Big Hero 6 di LittleBloodyGirl (/viewuser.php?uid=79296)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le strade di San Fransokyo ***
Capitolo 2: *** Serendipità ***
Capitolo 3: *** Vita automatica ***
Capitolo 4: *** Brucia con me ***
Capitolo 5: *** Eco ***
Capitolo 6: *** Una mano dal fondo ***
Capitolo 7: *** Uno della famiglia ***
Capitolo 8: *** Zona di pericolo ***
Capitolo 9: *** Invito all'angolo della mente ***
Capitolo 10: *** Transizione ***
Capitolo 11: *** Orizzonte ***
Capitolo 12: *** Orchestrazione ***
Capitolo 13: *** Illusione meccanica ***
Capitolo 14: *** Riflesso ***
Capitolo 15: *** Ultimo scontro ***
Capitolo 16: *** La Rondine Silente ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Le strade di San Fransokyo ***
"They say we are what we are
But we don't have to be
I'm bad behaviour but I do it in the best way
I'll be the watcher of the eternal flame
I'll be the guard dog of all your fever dreams"
Fall Out Boy - Immortals
Le
sere di San Fransokyo erano
insolitamente tranquille nel traffico caotico della metropoli. I
grattacieli di vetro illuminati dai fari delle macchine, i tram dai
percorsi circolari e ordinati, i lampioni che illuminavano la strada
fino al mare che trovava il suo sbocco nell'enorme porto cittadino.
Tutto nella città sapeva infondere tranquillità
nel suo
caos perfetto.
Una
tranquillità che si infrangeva nei vicoli più
stretti
e remoti, come un corpo contro una lama invisibile. In quelle stradine
deserte, erano le urla volgari di persone squilibrate e ubriache a
farla da padroni. Le mura delle palazzine e dei garage chiusi tremavano
tra le bestemmie esclamate e gli sputi di disappunto di chi aveva
appena perso un'importante cifra di denaro.
I
Bot-Duelli erano l'ultima frontiera della scommessa. Chiunque poteva
parteciparvi, che il robot fosse fatto a mano o perfezionato dai
migliori ingegneri della città, per farli fronteggiare in
una
sfida all'ultimo sangue. O in questo caso, ultimo circuito. Si
scommetteva sul più forte e si temeva il suo proprietario,
si
umiliava il perdente. Erano le regole del "gioco".
E
in quel momento, il più importante sul ring era sicuramente
Yama. Degno del suo nome, una montagna umana dai pochi capelli neri
raccolti in un codino sfatto, il viso allungato dal mento prominente,
proprio come il suo corpo, e due occhi piccoli che bramavano solo
prepotenza e fama.
<<
Il vincitore indiscusso di questo
incontro è... >>
Una
donna giapponese dalla voce profonda e squillante si mosse in modo
accondiscendente verso il vincitore, facendo una pausa ad effetto prima
di proferirne il nome.
<<
Yama!
>>
L'uomo
si alzò da terra, procedendo a intascare i soldi di
chiunque avesse scommesso sulla sua avversaria, una ragazzina punk che
aveva ingenuamente pensato di poter sconfiggere il suo robot. Il
giocattolino della ragazza era stato brutalmente fatto a pezzi da una
delle tante armi segrete del drone in miniatura di Yama.
<<
Sotto a chi tocca! >> Tuonò sollevando il
robot in aria come un trofeo.
<<
Chi ha il fegato di affrontare sul ring il Piccolo Yama?
>>
Una
domanda più che retorica. Un silenzio innaturale e
soddisfacente calò sulla folla, permettendo all'uomo di
assaporare quel momento di gloria per farlo sentire invincibile. Yama
era il campione, il suo robot era pieno di armi e trucchi. Nessuno
avrebbe mai potuto nulla contro la sua brutalità.
Nessuno.
<<
Posso provare...? >>
Un
brivido di irritazione scorse nelle vene dell'uomo, quando il suo
istante di fama venne timidamente interrotto da una voce tenue,
incerta,
che stonava con gli adulti privi di educazione che rappresentavano il
pubblico quotidiano di quei Bot-Duelli. Il suo sguardo innervosito
cadde su un ragazzino dall'aspetto innocente, due grandi occhi color
nocciola dal lieve taglio orientale lo guardavano ingenuamente,
contornati da un visetto candido
che nulla aveva a che vedere con le brutte facce di quei vicoli. Una
felpa un po' troppo grande ricopriva il suo corpicino esile e un
bermuda militare lasciava scoperte le caviglie magrissime e nivee.
L'unica cosa che poteva conferire a quel bambino un'aria ribelle erano
i capelli, una chioma corvina spettinata e intrattabile che sembrava
non
voler cedere ad alcun tipo di spazzola.
L'interesse
di Yama crebbe quando notò tra le sue mani quello
che poteva essere un giocattolo per neonati. Il ragazzino
abbozzò un sorrisetto insicuro, mostrando un tenero
intervallo
tra gli incisivi.
<<
Io ho un robot. L'ho costruito io stesso. >>
Disse,
mostrando un pupazzetto di ferro e magneti neri dalla faccia
gialla sorridente mal scarabocchiata. Un coro di risate maligne si
sollevò a
quell'affermazione, costringendo il piccolo ad indietreggiare. La donna
giapponese che poco prima aveva annunciato
l'ennesima vincita di Yama sputò per terra, rivolgendogli
un'occhiata maliziosa.
<<
Sparisci, ragazzino! Regola numero uno: si paga per giocare!
>> Esclamò, facendogli notare il piatto delle
"offerte".
<<
Oh... >>
Il
ragazzino infilò una mano nella tasca della felpa, tirando
fuori una manciata di banconote da cinquemila yen l'una.
<<
Sono sufficienti? >> Chiese infine, innocentemente.
Yama
non pensava che l'avrebbe mai detto, ma quel ragazzino aveva suscitato
il suo interesse.
<<
Come ti chiami, bamboccio? >> Tuonò con un
sorriso di scherno che non lasciava le sue labbra
sottili e screpolate.
Il
bambino sorrise ingenuamente, stringendo il
suo robot tra le dita.
<<
Hiro. Hiro Hamada. >>
<<
Prepara il tuo robot, Ghiro!
>>
Gli
sguardi di tutti erano fissi su quel duello che aveva un chè
di assolutamente ridicolo. Il brutale e maligno Piccolo Yama contro il
giocattolino fatto a mano di un quattordicenne scapestrato in cerca di
avventure. Ogni movimento, ogni gesto sembrava totalmente grottesco.
Il robot di Yama stava ritto in piedi, minaccioso nella sua corazza
nera e gli artigli inferriati lunghi quasi tre centimetri. Il piccolo
robot di Hiro, invece, si era già accasciato malamente sulle
gambette. Yama lanciò un ulteriore sguardo di scherno al
ragazzino, pronto a gustarsi l'ennesima vittoria.
Quando
l'annunciatrice diede il via al duello, i due automi in
miniatura si fronteggiarono senza alcuna possibilità di
sorpresa. Il robot di Hiro avanzò con difficoltà
verso il suo avversario, ma venne lanciato in aria
con un solo fendente e prontamente distrutto dalla lama tagliente del
Piccolo Yama, lasciando che i suoi pezzi rotolassero sul tappeto di
battaglia.
L'uomo
rise sguaiato, seguito dal pubblico che non faceva altro che
assistere divertito a quello spettacolo senza trama. D'altra parte,
cosa si aspettava quel ragazzino? Credeva davvero di aver avuto una
possibilità con quel giocattolino da quattro soldi?
<<
E-era il mio primo incontro! Posso riprovare? >>
Chiese
Hiro, osservando spaesato i pezzi del suo robot sparsi come formiche su
un terreno arido.
<<
A nessuno piace chi non sa perdere, ragazzino! Và a dormire.
>>
<<
Ho altri soldi... >>
Prima
che potesse appropriarsi del bottino appena conquistato, lo
sguardo di Yama cadde sull'ingente mucchietto di banconote appena
tirato fuori dal piccolo, che sembrava quasi supplicarlo di dargli
un'altra possibilità. Perchè no, pensò
alla fine. Tanto
non c'era alcuna chànce che quel mocciosetto potesse
vincere contro di lui. Un altro incontro, altri soldi a finire nelle
sue tasche.
Peggio
per lui quando la sua famiglia lo avrebbe scoperto.
Il
piatto delle offerte si riempì più del solito e
di
nuovo l'annunciatrice diede il via a quel duello che sembrava
già finito ancora prima di iniziare. La folla non perse
tempo a
fare il tifo per Yama e si prepararono ad una buona dose di risate per
schernire quel ragazzino che ancora non si era pentito di essere andato
in quel vicolo, scambiandolo per un parco giochi.
Peccato
che le cose non andarono esattamente come tutti si aspettavano.
Un
sorriso invisibile si dipinse sulle labbra sottili di Hiro che,
impugnato il joystick, riconciliò con un solo comando tutti
i
pezzi del suo robot, e con una voce improvvisamente più
profonda
e maliziosa rivolse un solo ordine al suo automa.
<<
Megabot, distruggi.
>>
Quasi
come se lo avesse sentito, il volto del robot cambiò con
una rotazione automatica dal giallo e grottesco sorriso ad un ghigno
demoniaco su uno sfondo rosso. E attaccò.
Prima
che qualcuno
potesse vederlo, schivò tutte le mosse del drone di Yama,
che
rimase interdetto davanti a quell'improvviso scambio di ruoli.
Non
riusciva a capire! Un attimo prima l'automa era davanti a lui e un
attimo dopo era dietro di esso, sul suo braccio, avvinghiandosi su se
stesso e stringendo talmente forte da spezzarlo completamente,
lasciando che le scintille dei circuiti sfavillassero come lucciole
impazzite. In una mossa, toccò all'altro braccio e infine la
testa del Piccolo Yama saltò in aria grazie alla presa
strettissima del Megabot di Hiro, che nel frattempo non batteva ciglio
mentre faceva a pezzi quel robot tre volte più grande del
suo.
Una
volta terminata "l'opera", il piccolo robot atterrò in piedi
sul tappetino e, mostrando di nuovo il suo sorriso scarabocchiato, si
inchinò davanti al suo avversario.
Hiro
sorrise furbo, procedendo ad intascare i soldi del duello.
<<
Niente più Piccolo Yama. >> Disse, imitando il
tono di scherno che il proprietario del robot appena
distrutto aveva usato contro di lui. La soddisfazione di vedere
quell'uomo grande e grosso raccogliere i pezzi del suo robot con
un'espressione di puro stupore e disperazione sulla sua faccia di lardo
valeva quanto tutto l'oro del mondo.
<<
Cosa...?! No, non è possibile! >>
<<
Ehi, io sono sorpreso quanto te! La fortuna del principiante. Vuoi la
rivincita? >>
Peccato
che Hiro non si fosse accorto che Yama si era pericolosamente
avvicinato a lui, sovrastandolo con tutti i suoi due metri e cinquanta
di altezza e grasso. Vista da lontano, poteva sembrare una
rappresentazione grottesca del Davide
e Golia, solo che
in quell'occasione, era Golia ad avere la meglio.
Quando
Hiro si accorse dell'incredibile silenzio e vuoto che si era
creato intorno a lui, fece appena in tempo ad alzare lo sguardo su una
montagna umana dallo sguardo a dir poco irritato. E ce l'aveva proprio
con lui, non poteva incolpare nessun altro. Forse non era stata una
buona idea prendersi gioco di quel tizio!
Non
fece in tempo a scappare che le sue mani giganti lo afferrarono di
prepotenza e lo sbatterono contro il muro più vicino,
facendolo
sembrare una mosca in confronto a lui.
<<
Nessuno può fregare Yama! >>
Esclamò
l'uomo, rovesciando il suo fiato pesante dal vago odore
di sakè sul volto di Hiro, che piegò la testa di
lato,
spaventato. Per un istante, gli sembrò di essere tornato ai
primi mesi del liceo, quando i bulli più grandi di lui lo
trattavano esattamente allo stesso modo, e non era mai finita bene.
Prima che potesse fare qualcosa, sentì il Megabot sfuggirgli
tra
le dita di prepotenza e lo vide finire tra le grinfie di Yama.
Tentò debolmente di ribattere, ma gli si mozzò il
fiato
in gola quando l'uomo ordinò ai suoi tre scagnozzi di
"dargli
una lezione".
Hiro
sapeva benissimo cosa voleva dire e di "lezioni" ne aveva
già subite troppe a scuola, non aveva alcuna voglia di
rivivere
quei momenti.
Pensò
di scappare, ma la distanza tra lui e i tre uomini si era
già notevolmente accorciata che sarebbe bastato un solo
passo
falso a farlo finire tra le loro mani, e soprattutto tra le loro nocche
che già schioccavano, non vedendo l'ora di colpire la sua
faccia.
<<
... Ehi, ragazzi! >> Mormorò cercando di non
dare a vedere quanto fosse terrorizzato. << Che
ne dite di parlarne...? >>
Ma
i loro occhi ridotti a fessure e i ghigni maliziosi sulle loro facce
non lasciavano spazio ad una tranquilla chiacchierata. Non era la prima
volta che Hiro si cacciava in quel genere di guai, ma solitamente era
riuscito a farla franca senza farsi male. Ora, se solo qualcuno si fosse
presentato giusto in tempo per tirarlo fuori da quella situazione...
In
un attimo, il rumore familiare di un motorino rimbombò nel
vicolo attirando l'attenzione dei presenti. Due fari accecanti
squarciarono l'oscurità e prima che Hiro potesse realizzare
cosa
stesse accadendo, una Vespa vecchio modello rosso fiammante si
parò davanti a lui con una sonora sgommata, dividendo il
ragazzino dai tre individui che bramavano dalla voglia di picchiarlo.
<<
Hiro, salta su! >>
Hiro
non era mai stato più felice di sentire quella voce in vita
sua. Un largo sorriso si dipinse sulle sue labbra quando vide suo
fratello maggiore, mentre correva verso il veicolo. Fu su con un solo
salto, lasciando che un casco più grande della sua testa
nascondesse la sua chioma ribelle.
<<
Tadashi! Ah, che tempismo! >>
Il
ragazzo più grande fulminò i tre uomini con lo
sguardo, prima di rimettere in moto e abbandonarli nel vicolo.
Ripercorse la strada che aveva fatto per arrivare lì e
imboccò la destra, sperando che portasse di nuovo in
città. Hiro, dietro di lui, ne approfittò per
recuperare
il Megabot rimasto tra le mani di Yama.
<<
Tutto bene? >> Chiese Tadashi, cercando di non distrarsi
dalla guida.
<<
Si! >>
<<
Sei ferito? >>
<<
No! >>
<<
Ma che ti è venuto in mente, testone?! >>
All'ultima
negazione di Hiro, il ragazzo iniziò a prenderlo a
pugni con una mano sola. Erano colpetti affettuosi, che esprimevano
tutta la preoccupazione per suo fratello e per ciò che
sarebbe
potuto accadere se non fosse arrivato in tempo. Ma facevano anche
parecchio male! Tadashi era palesemente irritato dal fatto che il suo
fratellino avesse di nuovo messo piede in quelle strade buie per
esercitare scommesse illegali, per di più senza dirgli
niente.
Cominciava a pensare che i GPS che aveva cucito sulla felpa di Hiro
fossero più utili di quanto avesse immaginato, fintanto che
il ragazzino non se ne accorgeva.
I
suoi occhi si scontrarono con la visione di una grata alta
più
di tre metri davanti a loro, e fece in tempo a fare inversione e a
tornare indietro. Questo però, non aveva impedito al suo
istinto
di fratellone di formulare più di una buona ramanzina per
Hiro.
<<
Ti sei diplomato a soli tredici anni, e adesso è questo che
fai?! >>
Hiro
non rispose, troppo impegnato a domandarsi come avrebbero fatto a
evitare Yama e i suoi scagnozzi che nel frattempo li avevano seguiti,
tentando di acchiapparli. Tadashi intravide una trave di legno
malamente appoggiata su vecchi secchi di vernice e mattoni
inutilizzati che sembravano formare una rampa. Sperava solo che avesse
retto abbastanza da permettergli di fuggire.
<<
Reggiti forte! >> Gridò a Hiro, e il
fratellino obbedì stringendolo.
Tadashi
premette con forza sull'acceleratore e le ruote si scontrarono
violentemente contro il pezzo di legno, percorrendolo in un solo
secondo ed entrambi si ritrovarono sospesi in aria, sopra le teste dei
loro aguzzini. Hiro lanciò un gridolino pieno di adrenalina,
gustandosi il vento freddo di Novembre che sferzava feroce contro il
suo viso, facendogli quasi lacrimare gli occhi. Intravide il suo
riflesso e quello di Tadashi nel vetro di una finestra e sorrise,
immaginando entrambi come due supereroi che volavano via da un luogo
pericoloso verso il loro rifugio segreto.
Il
motorino atterrò sull'asfalto come un gatto che cade in
piedi
e i due fratelli riuscirono a seminare Yama e i suoi compari. Hiro si
girò verso di loro, ma non ne vedeva più neanche
l'ombra.
<<
I Bot-Duelli sono illegali! Così ti farai arrestare!
>>
Tadashi
gridò sul rombo del motorino per farsi sentire. Hiro
roteò gli occhi. Quando si trattava di quell'argomento, suo
fratello era restìo a lasciar passare la cosa. Non importava
quante volte il ragazzino avesse provato a spiegarglielo, lui era
sempre stato irremovibile. Nonostante questo, Hiro era sempre riuscito
a sfuggire alla sua guardia e a finire nel bel mezzo di un Bot-Duello.
<<
I Bot-Duelli non sono illegali! E' scommettere sui Bot-Duelli che
è... illegale, ma molto redditizio!
>> Esclamò, tirando fuori il mazzo di soldi
che aveva intascato dopo il duello contro Yama.
<<
Vado alla grande, fratellone! E nessuno potrà fermarmi!
>>
Prima
che potesse godersi il suo momento di gloria, Tadashi
frenò bruscamente, imprecando sottovoce. Davanti a loro,
l'uscita era bloccata da più volanti della polizia le cui
sirene lampeggiavano sonoramente.
Poco
male, pensò Hiro. Non avevano fatto niente di male.
(•—•)
Si
ritrovarono entrambi in manette ancora prima di poter parlare, e tra le
sbarre un secondo dopo. Hiro fissava il pavimento, imbarazzato, e
sapendo che Tadashi lo stava
guardando dall'altro lato della cella, sollevò la manina e
lo
salutò con un sorrisetto sghembo. Tadashi, schiacciato in
mezzo
agli altri criminali, lo fulminò con lo sguardo.
Fortunatamente,
la loro
esperienza da carcerati fu breve. Un poliziotto
li fece uscire entrambi, lasciandoli alle braccia di una donna sui
quaranta, i capelli ondulati dal bel colore ramato e due grandi occhi
verdi come smeraldi. I due fratelli ingoiarono la loro stessa saliva
quando la intravidero. Nonostante fosse di spalle, sapevano benissimo
che si stava mangiucchiando nervosamente l'unghia del pollice,
probabilmente formulando pensieri oscuri su come avesse fallito a
crescere i ragazzi. Con le mani in tasca e lo sguardo basso, i due
uscirono dalla questura e la salutarono all'unisono.
<<
Ciao, zia Cass. >>
Non
appena li sentì, la donna corse verso di loro stringendoli
forte.
<<
Ragazzi, tutto bene? Ditemi di si! >>
La
sua voce preoccupata fece quasi tirare un sospiro di sollievo ai
ragazzi. Magari non era poi così arrabbiata come si
aspettavano.
<<
Si, zia Cass. >> Risposero con un sorriso.
<<
Meno male... >>
Cass
sospirò sollevata, appoggiando i palmi delle mani contro le
loro guance. L'avevano scampata. Era decisamente troppo
preoccupata per essere arrabbiata con loro.
<<
... Machevièpassatoperlatestolina!!
>>
Gridò
poi senza scandire le parole e trascinando per le orecchie i due nipoti
sul furgoncino di sua proprietà.
Il
tragitto fino a casa fu teso e silenzioso.
Poco prima che Cass parcheggiasse fuori dal Lucky Cat Cafè,
la
caffetteria che lei stessa gestiva, tirò di nuovo fuori il
solito discorso che doveva pronunciare ogni volta che i suoi due
ragazzi facevano qualcosa di irresponsabile.
<<
Per dieci anni ho fatto del mio meglio per crescervi! >>
Hiro
e Tadashi si scambiarono uno sguardo preoccupato, le dita
impegnate a massaggiare i lobi doloranti. Uscirono rapidamente dal
furgoncino, continuando a sorbirsi la predica della zia, la cui voce
squillante riecheggiava come una tromba in una strada deserta.
<<
Sono stata perfetta? No! Ne so qualcosa di bambini? Nah! Dovevo
studiare un manuale di genitore? Probabile! ...Dov'è che
volevo arrivare, ho perso il filo... >>
Conoscevano
quella scena a memoria. Era come un vecchio film che vedi
ancora e ancora senza mai stancarti dell'effetto che ha su di te, un
copione imparato quotidianamente alla perfezione. I due fratelli
sapevano di averla fatta preoccupare e che lei teneva tantissimo a
loro, per questo tendeva ad avere quel genere di reazione. In
realtà, zia Cass tendeva ad avere un esaurimento nervoso a
settimana a causa loro.
<<
Scusa... >>
<<
Ti vogliamo bene, zia Cass! >>
<<
Bè, anch'io ve ne voglio! >> L'ultima
esclamazione li costrinse ad indietreggiare, prima di seguirla dentro
il locale.
<<
Per voi mascalzoni ho dovuto chiudere prima nella serata delle poesie
beat! >>
Affermò
contrariata mentre afferrava una ciambella al cioccolato
e le dava un morso nervoso. Sembrava non essersene neanche accorta,
perchè rivolse il suo sguardo smeraldino prima al dolce e
poi ai
nipoti, che avevano imparato a sorridere a quel gesto. Fame da stress,
puntualizzava lei. Ed era più che giustificata. D'altra
parte,
aveva faticato tanto per avere finalmente un fisico adatto ai suoi
gusti , e preoccuparsi di mettere sù qualche etto
in più rientrava nella lista delle cose che la stressavano.
Nonostante questo, quando succedeva qualcosa ai ragazzi,
il benessere del corpo passava in secondo piano.
La
videro salire in cucina con la ciambella in mano, mentre faceva cenno
al gatto di famiglia di
seguirla. Mochi era un persiano dal pelo morbido, con macchie marroni
su un batuffolo bianco. Lo avevano trovato quando era ancora un
cucciolo sul retro di casa, appena dopo che Hiro e Tadashi si erano
trasferiti lì con la zia.
I
ragazzi salirono al piano di sopra in silenzio, rifugiandosi nella loro
stanza.
Sapevano
bene che la reazione della donna era dovuta ad un ulteriore
trauma, e sapevano quanto doveva essere stato duro per lei occuparsi di
due ragazzini pestiferi come loro e gestire un locale tutta sola. Non
potevano biasimarla per la sua preoccupazione nei loro confronti. Cass
non era soltanto una zia per loro. Era una mamma, una guida, un esempio
da seguire. Un modello che i due fratelli ammiravano da sempre. E la
pressione di essersi ritrovata a crescerli in completa solitudine aveva
generato una forte insicurezza e un grande fardello sulle spalle della
donna, che spesso la portava ad avere crolli emotivi ogni qual volta
succedeva qualcosa di brutto ai suoi ragazzi. Cass sapeva di non essere
perfetta, ma di certo faceva del suo meglio per assicurare a Hiro e
Tadashi ogni bene.
Per
questo Tadashi sentì il bisogno di ricordarlo al suo
fratello minore.
<<
Devi farti perdonare da zia Cass prima che divori l'intera caffetteria.
>>
<<
Certo... >>
<<
E spero che tu abbia imparato la lezione. >>
<<
... Assolutamente si! >>
Tadashi
posò la giacca sul suo letto, notando che Hiro si era
già messo al computer. Gli occhioni castani spalancati e le
labbra leggermente arricciate gli conferivano un'aria così
innocente e da bambino per bene che il maggiore si
insospettì
subito.
<<
Stai andando a un Bot-Duello, vero? >> Domandò
sarcastico, quasi spazientito.
Hiro
fece spallucce e si alzò dalla sedia per andare a prendere
il suo Megabot.
<<
C'è un altro combattimento! >>
Affermò con non chalànce. << Se mi
sbrigo, arrivo in tempo! >>
Ma
Tadashi non era affatto d'accordo. Prima che Hiro potesse imboccare
le scale, il ragazzo lo afferrò per il cappuccio della
felpa,
tirandolo nuovamente verso di lui.
<<
Quando inizierai a usare la testa per qualcosa di più
importante? >>
<<
Cioè, andare al college come fai tu per farmi
spiegare cose che già so? >>
Per
quanto il fratellino potesse sembrare sfacciato, in buona parte
aveva ragione. Hiro era nato un genio. Il suo quoziente intellettivo
era largamente più sviluppato rispetto a quello di una
persona
comune, e questo gli aveva permesso di entrare al liceo a soli nove
anni e diplomarsi in un periodo altrettanto breve. Tadashi ricordava
ancora quando aveva costruito il suo primo robot a soli quattro anni,
con la sola eccezione che Hiro non sapeva nemmeno cosa fosse un
libretto delle istruzioni, nè tanto meno un ciacciavite o un
circuito o un automa prima di tutto. Aveva una memoria fotografica a
dir poco spaventosa per un ragazzino della sua età,
specialmente
se aveva dovuto studiare su libri di scienze che spesso non riusciva
neanche a trasportare tanto erano pesanti. Inutile specificare che da
quel momento in poi, la passione di Hiro per la robotica era cresciuta
a dismisura. Complice anche il fratello maggiore che l'aveva sviluppata
prima di lui.
Nel
tempo libero si divertivano a costruire così tante cose che
avevano perso il conto di quante fossero effettivamente risultate
utili. Una volta, avevano persino costruito una specie di "astronave"
con un carrello della spesa inutilizzato, un vecchio motore a scoppio e
quattro piccoli mini-razzi. Avevano preso il volo, letteralmente. E un
bel pò di ceffoni da zia Cass per averla fatta preoccupare!
Per
esserci una tale differenza di età, Hiro e Tadashi avevano
un rapporto fraterno incredibilmente profondo. Che fosse la stessa
passione per la scienza ad unirli, o il fatto che il maggiore avesse
dovuto costantemente tenere d'occhio il più piccolo, e che
Hiro
fosse stato vittima di tanti soprusi a scuola a causa della sua
età nonostante fosse al liceo non aveva più
importanza.
Tadashi ci sarebbe sempre stato per Hiro e avrebbe fatto di tutto per
vedere il suo fratellino fare finalmente un buon uso del suo genio.
<<
Sei incredibile... >> Mormorò Tadashi,
sospirando. << Uff, che direbbero la mamma e il
papà?
>>
Si
pentì subito di aver fatto quella domanda. Aveva appena
toccato un tasto dolente per entrambi.
<<
Non lo so... Loro non ci sono più. Avevo tre anni quando
è successo, ricordi? >>
La
voce di Hiro si abbassò in un sussurro irritato e deluso.
Odiava quando Tadashi tirava in ballo i loro genitori per farlo pentire
di ciò che faceva, non lo trovava giusto. Specialmente se
lui
aveva passato così poco tempo con loro da non riuscire
neanche a
ricordare chi fossero, quanti anni avessero, quale fosse il loro
aspetto. Tutto ciò che gli era rimasto era impresso in una
fotografia appesa alla parete delle scale, dove posavano sorridenti e
mostravano il pancione della mamma quando era ancora incinta di
Tadashi. In altre parole, se la mente comincia a ricordare dai tre anni
in poi, Hiro non aveva praticamente mai conosciuto i suoi genitori. Il
maggiore deglutì, valutando il dolore di quella risposta.
Sospirò e afferrato il casco da moto, lo lanciò
verso
Hiro, arruffandogli i capelli.
<<
Senti, ti accompagno io. >>
<<
Davvero?! >>
<<
Bè, non posso impedirti di andarci, ma non ti lascio andare
da solo. >>
<<
Grande! >>
Hiro
sorrise grato al fratello, scendendo giù per le scale.
Tadashi sollevò lo sguardo al soffitto, abbozzando un
sorrisetto
speranzoso.
Magari
questa sarebbe stata la volta buona.
_________________________________________________________________________
Innanzitutto,
buon 2017! Che sia migliore dell'anno appena passato ecc.
E
buona rinascita anche a me, visto che non riuscivo a scrivere
decentemente da quasi due anni. E' stata una lunga pausa, ma ora sono
di nuovo presente. E questo è un piccolo esperimento in cui
ho deciso di cimentarmi. Una versione "romanzata" del film Big Hero 6.
Per arrivare a fare una scelta del genere, confesso che il cartone
animato mi ha colpita particolarmente e in maniera molto personale.
Quindi volevo cercare di rendergli un po' di gratitudine.
Spero
che vi possa piacere questa stesura scritta di uno dei film
più belli che abbia mai visto.
LittleBloodyGirl
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Serendipità ***
Non fu facile convincere zia Cass a lasciarli uscire un'altra volta, ma
Tadashi riuscì a tranquillizzarla quanto bastava per
permettergli di
prendere nuovamente il suo motorino.
La
serata era piacevolemente fresca per essere Novembre e nel caos
della città il rumore del veicolo si confondeva alla
perfezione,
come una perfetta sincronia di suoni. I giochi di luce creati dai fari
delle macchine, i lampioni e gli schermi giganti della strada
principale facevano apparire il centro di San Fransokyo come un'enorme
discoteca a cielo aperto. E in quel caos, Hiro era rilassato mentre si
aggrappava ai fianchi del fratello, dondolando ai movimenti del
motorino. Una guancia appoggiata sulla sua schiena robusta e gli occhi
grandi che catturavano fasci di colori inarrestabili.
Non
riusciva a capire come mai Tadashi avesse acconsentito ad
accompagnarlo. Da quando aveva scoperto i Bot-Duelli era sempre dovuto
andare da solo, inventandosi qualche scusa per uscire o per quando
rientrava troppo tardi. In realtà, più che di zia
Cass,
Hiro aveva paura di deludere il suo fratellone.
Si,
era una
contraddizione bella e buona, visto che fare i Bot-Duelli era l'ultima
cosa che Tadashi voleva per lui. Ma tutti i soldi che vinceva, il
ragazzino non
li teneva certo per sè. Stava cercando di contribuire alla
sua
famiglia, ma sembrava che non lo capissero. Anche se avesse voluto
lavorare, doveva aspettare almeno i diciotto
anni prima di mettere piede in un'azienda. E ormai aveva finito la
scuola, quindi non era rimasto più nulla per lui da fare.
A
volte, essere un genio non è esattamente tutto rose e fiori.
Una
volta finito il liceo, Hiro si era ripromesso di non mettere mai
più piede in una scuola. Il mondo non era pronto ad avere un
ragazzino di quattordici anni più intelligente della media.
Semplicemente, non lo accettava. Era a causa della sua intelligenza
troppo spiccata che Hiro non era riuscito a farsi degli amici. Troppo
piccolo per fare parte di un gruppo di ragazzi più grandi,
troppo geniale per essere ammesso tra i normali e non finire per essere
oggetto di scherno da parte degli altri.
L'unico
amico che Hiro aveva era... Tadashi. Il suo fratellone, il suo migliore
amico, il suo papà, il suo eroe.
Tadashi
era tutto per lui, e avrebbe dato qualsiasi cosa per potergli
somigliare almeno un po'. Si era preso cura di lui da quando i loro
genitori non c'erano più, lo aveva difeso dai bulli a scuola
e
aveva curato le sue ferite più profonde, fisiche ed emotive.
Quante volte era finito lui nei guai per difendere il fratello minore,
senza avere un briciolo di rimpianto.
Tadashi
era gentile, intelligente e... Bello. L'uomo che tutte le donne
vorrebbero al loro fianco. Il fisico tonico, gli occhi dal bel taglio
orientale,
leggero e curioso, i capelli neri velati di
castano perfettamente curati sempre nascosti dal suo berretto
preferito. Un regalo di papà, gli piaceva sempre
ricordare.
Tutto
il contrario di Hiro che, basso, mingherlino, dai capelli ribelli
e i denti non proprio perfetti era riuscito ad attirare solo insulti e
pugni da gente più grande di lui.
Con
questi pensieri, si strinse un po' di più alla vita del
fratello, lasciando che il vento penetrasse nelle maniche della felpa e
gli procurasse piacevoli brividi lungo tutto il corpo.
<<
Ehi, che ti prende? >> Chiese Tadashi, notando il gesto
improvviso del fratellino.
<<
Niente... >> Rispose lui con un sussurro, senza essere
sicuro che il maggiore avesse effettivamente sentito.
(•—•)
Hiro
si era reso conto solo dopo un po' che avevano imboccato una
strada di periferia illuminata a giorno, con aiuole perfettamente
tosate e una struttura sul piano più alto che il ragazzino
riconobbe subito, con suo estremo disappunto.
<<
Che cosa ci facciamo alla tua scuola dei Nerd?! Il Bot-Duello e
dall'altra parte! >>
Esclamò,
dando a Tadashi un colpetto sulla spalla. Il maggiore
non rispose. Procedette a parcheggiare il motorino davanti ad una
grande costruzione circolare fatta interamente di vetro, illuminata da
due grandi fari bianchi installati alla base dell'ingresso. Una grande
insegna sul muretto vicino recitava: ITO
ISHIOKA ROBOTIC LAB, San Fransokyo Institute of Technology and Robotic.
<<
Devo prendere una cosa. >> assunse Tadashi per tutta
risposta, facendo cenno a Hiro di seguirlo.
L'interno
era piuttosto spoglio. Grandi mura dal colore grigiastro si
espandevano in larghi corridoi che accoglievano le diverse aule di
studio. Alcuni studenti passeggiavano con in mano libri o bicchieri di
caffè, e nonostante l'ora tarda, si poteva benissimo intuire
che
la scuola fosse ancora frequentata.
<<
Ci vorrà molto? >> Chiese Hiro con impazienza.
Non
voleva essere lì. Quelle mura lo mettevano a disagio, gli
sguardi degli altri studenti lo mettevano a disagio. Quella scuola era
la causa principale della mancanza di attenzione di Tadashi nei
confronti di Hiro.
Da
quando lui aveva cominciato a frequentare il
college, non riuscivano più a stare insieme come una volta.
Era
sempre troppo impegnato con lo studio e spesso rientrava a casa
più tardi del solito. O peggio, a volte non rientrava
affatto.
Tutto per quella stupida scuola di appassionati di scienza peggiori di
Victor Frankenstein! Hiro aveva un buon motivo per averla nominata "la
scuola dei Nerd", e aveva esteso quel nomignolo anche al fratello
maggiore proprio per prenderlo in giro.
<<
Rilassati, piccoletto! >> Fece Tadashi, camminando a
passo sicuro nel corridoio. << Ci vorrà un
minuto. E poi,
non hai mai visto il mio laboratorio! >>
<<
Oh, fantastico vedrò il tuo covo di Nerd... >>
<<
Attento! >>
Non
appena il ragazzino entrò nell'aula in cui era entrato suo
fratello, per poco non venne investito da una specie di motocicletta
super veloce dalla carrozzeria gialla e le rifiniture violacee. Il suo
pilota scese agilmente dalla sella, staccando con facilità
una
delle ruote dal veicolo appena dopo averlo appeso
tranquillamente a una
base magnetica. Una volta finito di esaminare la ruota, il tizio dietro
il casco di cuoio la rilanciò indietro e questa si
attaccò senza problemi al veicolo.
Hiro
si avvicinò incuriosito, e nel frattempo i suoi occhi
scrutavano l'intera aula. Era piena di ragazzi che inventavano e
costruivano con ogni conoscenza e istruzione di robotica e automazione.
Uno studente aveva costruito piccoli razzi per far volare il suo gatto,
altri due avevano ideato un tavolo da ping pong automatico, altri
ancora applicavano piccoli piedi robotici ad una piattaforma capace di
salire gradini. Una strana euforia solleticò il cuore di
Hiro
mentre si avvicinava alla motocicletta che poco prima aveva rischiato
di investirlo. La osservò attentamente e notò che
non
solo era sottilissima, ma le ruote erano letteralmente sospese alla
vettura. Fece passare la mano in mezzo, avvertendo una lieve
elettricità solleticargli le dita.
<<
Wow... Sospensioni elettromagnetiche... >>
<<
Ehi! >>
Sobbalzò
quando una voce decisa e autoritaria lo
richiamò all'attenzione. Il proprietario di quella
motocicletta
era davanti a lui, un giubbotto di pelle nera e un casco integrale a
coprirgli il volto. Hiro si poteva specchiare nella visiera scheggiata.
<<
Tu chi saresti? >>
<<
Ehm... Io... >>
<<
Gogo... >> Intervenne Tadashi, poggiando una mano sulla
spalla del fratellino. << Lui è mio fratello
Hiro. >>
Gogo,
o almeno così pareva chiamarsi, procedette a togliersi il
casco, rivelando l'espressione corrucciata di una ragazza sulla
ventina, le ciocche nere sfumate di viola e una bolla di gomma da
masticare tra le labbra che fece prontamente scoppiare. Per un attimo,
Hiro ebbe la sensazione che lo avrebbe preso a pugni. Poi, abbozzando
un sorrisetto mite, la ragazza procedette a posare il casco.
<<
Benvenuto al laboratorio dei Nerd. >> Disse, rimarcando
le stesse parole che lui aveva usato appena entrato lì.
Hiro
arrossì, imbarazzato per la pessima figura appena fatta. Ma
la meraviglia provata poco prima per quel prodigio di motocicletta ebbe
la meglio su di lui.
<<
Non avevo mai visto sospensioni elettromagnetiche su una bici!
>>
<<
Zero resistenza, bici più veloce. >>
Affermò Gogo, sganciando una ruota. << Ma non
abbastanza
veloce, per ora. >>
Detto
questo, procedette a lanciarla in un contenitore pieno di molte
altre ruote simili a quella. Probabilmente tutti gli esperimenti
precedenti che non avevano superato la prova.
Hiro
volse lo sguardo appena dietro di lui e si mosse incerto verso un uomo
di colore vestito di verde, con lunghi rastah
ai capelli, che stava lavorando a un pannello di metallo. Non appena lo
vide avvicinarsi, l'uomo lo fermò prontamente,
costringendolo ad
indietreggiare.
<<
Ehi ehi ehi! Fermo dove sei! Non superare la linea, grazie!
>>
<<
Ciao, Wasabi! >> Lo salutò Tadashi,
raggiungendoli. << Lui è mio fratello Hiro.
>>
L'uomo
sollevò i suoi occhialini da protezione e rivolse al
ragazzino un sorriso rassicurante.
<<
Ciao, Hiro. Ammira questo prodigio! >>
Così
dicendo, prese una mela su un armadietto accanto a lui e la
lanciò verso l'intervallo tra i due pannelli che stava
sistemando poco prima. La mela si disintegrò. Come se ci
fosse
stato un rasoio invisibile, il frutto si trasformò in
fettine
sottilissime. Hiro ne prese una tra le dita, era così
leggera
che se avesse premuto un po' di più si sarebbe frantumata.
<<
Plasma-laser indotto... >>
<<
Già! >>
Wasabi
era particolarmente orgoglioso del suo progetto. E anche
parecchio prgamatico. Hiro notò che il suo tavolino era
pieno di
oggetti posti esattamente ognuno in uno spazio specifico.
Persino
una tazza da caffè aveva segnati sulla porcellana la giusta
quantità di zucchero, latte e caffè stesso. Hiro
rise a
quella bizzarra visione. Neanche suo fratello era così
ordinato!
<<
Cos'è, fai disordine di secondo nome? >>
Si
permise di prendere una minuscola lente di ingrandimento, ma l'uomo
la rimise subito a posto, come se il fatto di avere qualcosa fuori
posto lo preoccupasse più del dovuto.
<<
Ehi, io ho un metodo: un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto.
>>
Appena
ebbe finito di dirlo, Gogo afferrò uno strumento dal
piano di Wasabi urtandolo, mettendo in disordine gli altri oggetti.
<<
Mi serve! >>
<<
Che ca...?! Non puoi farlo, questa è anarchia! La
società ha delle regole! >>
Hiro
lo vide sparire dietro la parete per inseguire Gogo, urlando frasi
sul disordine e sul caos come un profeta sventurato. Al suo posto, una
ragazza alta e magra, dai lunghi capelli biondi e un paio di occhiali
dalla montatura rosa si fece strada con una grossa palla di ferro che
rotolava appena davanti a lei.
<<
Scusate! Permesso! Devo passare! >>
La
sua voce squillante la faceva somigliare vagamente ad un canarino a
prima mattina, e dal suo accento si poteva intuire facilmente che fosse
argentina. Hiro lanciò uno sguardo confuso prima al fratello
e poi
di nuovo alla ragazza, che nel frattempo si era letteralmente sdraiata
sull'enorme masso che aveva trasportato finora, cercando di
posizionarlo su un piedistallo. Quando vide Tadashi, la ragazza
lanciò un gridolino felice.
<<
Ciao, Tadashi! >> Poi rivolse lo sguardo al minore e si
illuminò.
<<
Non ci credo! Tu devi essere Hìro! Ho sentito tantissime
cose sul tuo conto! >>
Si
rimise in piedi con un balzo e si tolse le cuffiette, afferrando il
ragazzino per le spalle e trascinandolo contro il suo viso per dargli
due sonori baci sulle guance. A parte la presa incredibilmente forte
per una ragazza così magra, Hiro non potè fare a
meno di
arrossire a quell'inusuale gesto di affetto. Sapeva che era
così
che ci si salutava in Europa, ma non pensava lo avrebbe mai
sperimentato. Si lasciò guidare dall'euforia fatta persona
davanti a un bancone di filtri e provette. Strani liquidi colorati
scorrevano all'interno di contenitori di vetro o bollivano a
temperature elevate.
La
osservava di nascosto mentre sussurrava i nomi di ogni elemento
chimico che utilizzava con un sorriso da psicopatica ad illuminarle il
volto dalle mille smorfie. Sembrava che da un momento all'altro dovesse
riportare in vita un cadavere e creare un esercito di morti viventi per
conquistare la terra. Faceva quasi paura! Una volta finito il suo
arteficio, prese una bomboletta spray e spruzzò la sostanza
appena creata sull'enorme palla di metallo, dipingendola completamente
di rosa.
<<
Ta-dà!
>> Esclamò soddisfatta.
Hiro
sorrise imbarazzato. Cosa doveva dirle? Doveva farle i complimenti per
aver dipinto di rosa in poco tempo quella palla?
<<
E' così... rosa! >>
<<
Ora arriva il meglio! >>
Infatti,
le bastò poggiare delicatamente un dito sulla
superficie appena dipinta e questa si sgretolò con una lieve
esplosione in polvere rosa. Il ragazzino rimase stupefatto da
ciò che aveva appena assistito. Quasi duecento kilogrammi di
materiale resistente e pesante, ridotto in cenere semplicemente
toccandolo. La ragazza si voltò verso di lui, la pittura
rosa la
ricopriva da cima a fondo.
<<
Grandioso, vero?! Infragilimento chimico di metalli! >>
Specificò
pulendosi gli occhiali, lasciando un intervallo di
pelle pulita della stessa forma sugli occhi. Tadashi rise,
avvicinandosi.
<<
Niente male, Honey Lemon! >>
A
quel punto, Hiro non riuscì più a contenersi. Era
tutta
la sera che sentiva suo fratello chiamare con i nomi più
strani
i suoi compagni di studio. Quelli non erano certo nomi che sentivi ogni
giorno!
<<
Honey Lemon? Gogo? Wasabi?!
>>
Si
soffermò in particolare sull'ultimo, visto che era il nome
di una pietanza giapponese.
<<
Una volta soltanto mi sono sporcato col Wasabi, una volta sola! Solo una!
>>
Gridò
Wasabi dall'altro lato della stanza. Tadashi si lasciò
sfuggire una risatina.
<<
E' Fred che ha inventato i soprannomi. >>
<<
E... Chi è Fred? >>
<<
Il tizio dietro di te! >>
Al
sentire quella risposta, Hiro si voltò per ritrovarsi
davanti
la faccia gommosa e terrificante di una strana creatura; un misto tra
un coccodrillo e Godzilla dallo sguardo strabico. Fu una visione
così stramba e improvvisa che non riuscì a
evitare di
lasciarsi sfuggire un gridolino.
<<
Non agitarti, è solo un costume! >>
Un
braccio umano fuoriuscì dalla bocca del mostro e la
sollevò con leggerezza, rivelando un ragazzo dai capelli
lunghi
e biondi nascosti da un berretto di feltro, il viso pallido e magro e
uno sguardo rilassato. Sembrava uno di quelli che diventano tuoi amici
appena ti stringono la mano. Infatti, la presa di Fred appena strinse
la mano di Hiro era leggera e calorosa.
<<
Io sono Fred! Di giorno mascotte della scuola, ma di notte...
>>
Fece
una pausa ad effetto, procedendo a fare un paio di giravolte su se
stesso e afferrando il cartello che aveva lanciato a mezz'aria.
<<
Sempre mascotte della scuola! >>
Hiro
rise.
<<
La tua specializzazione qual'è? >>
<<
Bè, io non sono uno studente. Però, sono un
grande fanatico della scienza! >>
Procedette
a rintanarsi nel suo spazio; un angolino tappezzato di
poster di vecchi film di fantascienza e uno scaffale pieno di action
figures e fumetti
di supereroi. Si sdraiò sulla poltroncina al centro con
tutto il costume addosso.
<<
Avevo chiesto ad Honey di prepararmi un siero che mi potesse
trasformare in una lucertola gigante! >>
Disse
mostrando al piccolo un fumetto con una copertina macabra, che
ricordava vagamente Dr.
Jekyll e Mr. Hyde.
<<
Ma lei dice che quella non è scienza... >>
<<
Non lo è affatto. >>
<<
E allora che mi dite del panino invisibile? >>
<<
Hiro! >>
Tadashi
richiamò il fratello, facendogli cenno di seguirlo in
un'altra stanza. Hiro lo seguì, lasciando gli altri a
infrangere
i sogni da nerd di Fred.
Lo
studio privato di suo fratello era una larga stanza con una grande
finestra circolare al centro che dava sul giardino nel retro della
scuola. Il ragazzino scorse vari gadget e oggetti che Tadashi si era
portato da casa, probabilmente per abbellire la stanza. Un enorme
computer dallo schermo sottile era in stand-by su una
scrivania e uno sgabello con le rotelle stava in mezzo alla stanza,
spezzando l'ordine dello studio.
<<
Allora? A cosa stai lavorando? >>
Chiese,
facendo finta di non essere interessato. In realtà, Hiro
moriva dalla voglia di sapere che cosa fosse che teneva Tadashi fuori
casa e lontano da lui così tanto tempo. Gliene aveva
accennato
un giorno durante il pranzo, ma non aveva voluto rivelargli nulla,
lasciandolo ad una curiosità morbosa di scoprire il suo
segreto.
A dire il vero, ci era rimasto male che non gli avesse detto cosa fosse
fin dall'inizio.
I
fratelli Hamada condividevano sempre le loro invenzioni, prima di farle
vedere agli altri.
Era
la regola. La loro regola.
<<
Ora te lo mostro. >> Fece Tadashi per tutta risposta,
prendendo del nastro adesivo e staccandone un pezzo.
Hiro
lo guardò sarcastico.
<<
Nastro telato? Ti do una notizia, fratellone, lo hanno già
inventato. >>
Senza
aspettarsi una risposta, si ritrovò con buona parte
dell'avambraccio arrossata e bruciante a causa di Tadashi, che quel
nastro adesivo lo aveva appena usato per fare la ceretta al suo
braccio.
<<
Ahi! Ehi! >>
Un
suono lieve arrivò alle sue orecchie nonostante il dolore, e
davanti a lui fuoriuscì da una confezione rossa quello che
sembrava un gonfiabile tutto bianco dal viso formato da due pupille
nere unite da una linea retta. Tadashi sorrise orgoglioso.
<<
Ecco a cosa
sto lavorando. >>
Era
un robot, o almeno Hiro lo intuì dal modo in cui si muoveva;
movimenti piccoli e lenti, meccanici e schematici. Avanzò
verso
il ragazzino con fare sicuro prima di inciampare sullo sgabello nel
mezzo dello studio. Il robot guardò in basso,
alzò le
braccia e sollevò lo sgabello per aria. Poi
guardò a
destra e sinistra, prima di posarlo poco lontano da lui. Una volta
eliminato l'intralcio, la sua attenzione ritornò nuovamente
su
Hiro.
Una
volta che fu di fronte a lui, alzò una mano gommosa e
imitò un saluto.
<<
Ciao, io sono Baymax! Il tuo operatore sanitario personale.
>>
La
sua voce robotica aveva un chè di umano. Era calda e
simpatica, non incuteva timore.
<<
Sono entrato in modalità di allerta per terapie mediche
quando hai esclamato: "ahi!"
>>
<<
Un infermiere... Robot? >> Chiese Hiro, curioso.
Tadashi
annuì.
<<
In una scala da uno a dieci, come valuti il tuo dolore? >>
Chiese
il robot pragmatico, sporgendo leggermente in avanti il pancione
bianco che si illuminò mostrando due file di emoticon dalle
varie espressioni. La prima faccina era gialla e sorridente mentre
l'ultima era rossa e sofferente. Una vera e propria scala grafica del
dolore, Baymax intendeva rateizzarlo letteralmente.
Tuttavia,
a quella domanda Hiro non potè fare a meno di rivelarsi
scettico.
<<
Fisico o emotivo?
>>
Scandì
l'ultima parola guardando Tadashi. Dato l'ultimo periodo,
il fratello doveva sapere bene a cosa si riferiva. Per tutta risposta,
il maggiore sporse il labbro inferiore e fece una faccia dispiaciuta.
Baymax
non registrò quella domanda, e ne approfittò per
valutare meglio la condizione del "paziente".
<<
Ora eseguirò uno scan. >>
Abbassò
leggermente la testa prima di rialzarla e appurare il risultato. Fu
talmente veloce che Hiro ne rimase sorpreso.
<<
Scan completato. Hai una lieve abrasione epidermica sul tuo
avambraccio. Suggerirei l'uso di uno spray disinfettante.
>>
E
così dicendo, prese la mano del piccolo e fece per per
spruzzare il medicinale dal suo dito, quando Hiro si ritirò
sospettoso. Non voleva lasciare a vedere quanto fosse entusiasta del
progetto del fratellone, e decise che almeno una piccola punizione se
la meritava. E quale cosa migliore di prenderlo in giro, dubitando
dell'efficacia del suo robot?
<<
Un momento! Che c'è esattamente nello spray? >>
<<
Il principio attivo è la bacitracina.
>>
Disse
Baymax, mostrando sul suo pancione una serie di informazioni riguardo
all'elemento. Hiro schioccò la lingua.
<<
Peccato! Sono allergico a quella! >>
Si
aspettava uno sguardo spazientito da parte di Tadashi, invece questo
rise alla sua affermazione.
<<
Non sei allergico alla bacitracina. Hai una leggera allergia alle arachidi.
>> Affermò Baymax, alzando il dito per
specificare.
A
quel punto, Hiro si arrese. Si lasciò curare la
ferità
sull'avambraccio grazie allo spray che fuoriuscì
direttamente
dal dito di Baymax. La sostanza fredda si propagò lungo la
pelle
arrossata, attenuando il bruciore. Doveva ammetterlo, Baymax era
geniale. Suo fratello doveva aver lavorato parecchio per costruire un
robot così perfetto e accurato che diagnosticasse i problemi
di
salute e sapesse esattamente in che modo curarli. Non era esattamente
il tipo di automa che Hiro preferiva. Lui era più per i tipi
di
combattimento, azione, divertimento. Ma conosceva bene Tadashi, tanto
da
sapere che lui era sempre stato un tipo più tranquillo.
<<
Niente male! Ce n'è voluto di tempo per costruire questo
coso, eh? >>
<<
Ah-ah, l'ho programmato con oltre 10.000 procedure mediche.
>>
Affermò
il ragazzo, premendo sul piccolo portello
d'accesso appena sopra il petto di Baymax, rivelando un chip verde con
sopra il nome di Tadashi, scritto proprio da lui.
<<
Questo chip è ciò che rende Baymax Baymax.
>>
Tadashi
era fiero del suo progetto, Hiro poteva sentirlo nella sua
voce. Ora capiva perchè suo fratello aveva passato
così
tanto tempo in quella scuola. Ricalcolò mentalmente quello
che
gli aveva detto riguardo a Baymax. Più di 10.000 procedure
mediche per curare ogni tipo di abrasione o malattia. Quel robot aveva
dentro di sè anni e anni di studi di medicina concentrati
nel
suo codice, frutto di ricerche incessanti e pazienti da parte di
Tadashi. Doveva tenerci veramente tanto per averci lavorato
così
duramente.
Hiro
spinse delicatamente il chip nel portello d'accesso e
cominciò ad analizzare il robot. Tastò con un
dito il suo
corpo, trovandolo morbido ed elastico al tatto.
<<
E' vinile? >>
<<
Si, volevo che avesse un aspetto... Rassicurante e coccoloso!
>>
<<
Si, in effetti sembra un enorme marshmallow! Senza offesa...
>>
<<
Sono un robot. Non posso offendermi. >> Rispose Baymax al
posto di Tadashi.
Hiro
si avvicinò al suo viso, concentrando la sua attenzione sui
due cerchi neri che dovevano rappresentare gli occhi. Dal tipo che
aveva visto, riconobbe subito che dovevano essere videocamere
iperspettrali. Tadashi confermò. Poi affondò il
viso nel
pancione di Baymax, osservando lo scheletro che lo reggeva. Grazie al
vinile trasparente, non era difficile osservarlo per intero anche
dall'interno.
<<
Scheletro in titanio! >>
<<
Fibra di carbonio. >> Lo corresse Tadashi.
<<
Giusto, è più leggera. Che attuatori da urlo, ma
dove li hai presi?! >>
<<
Bè, li ho realizzati io stesso. Solleva oltre quattrocento
chili. >>
Disse
il maggiore, godendosi un po' di meritata spocchia, ammirando
entusiasta l'incredulità del fratellino.
Un
sorriso felice si dipinse sulle sue labbra senza che Hiro lo
notasse. Sembrava proprio che il suo piano stesse funzionando, forse
era stato addirittura fin troppo facile. Ma la soddisfazione di essere
finalmente riuscito a stupire quel genietto di suo fratello era a dir
poco impagabile. Sapeva di averlo trascurato a causa di Baymax, ma era
stato per una buona causa. Sperava soltanto che anche Hiro se ne
rendesse conto.
Dopotutto,
era anche per quello che gli aveva fatto visitare il laboratorio.
Sapeva
bene che suo fratello non sapeva più come dare sfogo alla
sua creatività, ed essendo un adolescente tendeva a fare
cose
parecchio stupide, come i Bot-Duelli. Tadashi aveva la spiacevole
sensazione che Hiro lo facesse appositamente per farlo preoccupare, e
far sì che ricominciasse a considerarlo. Si era arrabbiato
moltissimo la prima volta che era successo, ma si era pentito
immediatamente di avergli gridato in faccia in quel modo orribile. Non
gli era mai piaciuto litigare, specialmente con lui. Il fratellino era
stato capace di non rivolgergli la parola per tre giorni consecutivi,
fin quando zia Cass, accortasi della tensione tra i due, li aveva
chiusi in bagno e minacciato di non farli uscire finchè non
avessero chiarito.
Magari
così, Hiro avrebbe capito che c'era ancora una
possibilità per lui, che la sua vita non era ancora volta al
termine. In quella scuola sarebbe stato accolto per le sue passioni e
non semplicemente per il suo genio, e sarebbe stato sempre in compagnia
di Tadashi. Non avrebbe più potuto lamentarsi del fatto che
lo
lasciava sempre solo per la scuola!
Lo
osservò prendere entusiasta il lecca-lecca alla fragola di
cui Baymax era munito e rise silenziosamente. Si atteggiava a duro, ma
era ancora un bambino.
<<
Non posso disattivarmi finchè non mi dici che sei
soddisfatto del trattamento. >> Baymax informò
Hiro.
<<
Allora sono soddisfatto del trattamento. >>
Appena
lo disse, Baymax rientrò nella sua custodia e si
disattivò, sgonfiandosi come un palloncino. Tadashi si
avvicinò al fratellino.
<<
Aiuterà un sacco di persone. >>
Era
principalmente quello il motivo per cui lo aveva costruito. Non
voleva semplicemente tenerlo per sè, voleva che il suo robot
fosse mandato negli ospedali, nei paesi in guerra, dovunque ci fosse
bisogno di un aiuto medico e personale. Tadashi aveva voluto sempre
seguire le orme del loro padre, un rinomato dottore, e aveva trovato il
modo di conciliare la sua passione per la robotica con il ricordo
dell'uomo che li aveva lasciati troppo presto. Per questo aveva
lavorato così duramente su Baymax, e più lo
guardava,
più si rendeva conto di quanto ne fosse valsa la pena.
<<
Lavorerà fino a tardi, signor Hamada? >>
Una
voce profonda e vellutata si intromise nel loro scambio di opinioni
su quale batteria ricaricasse più in fretta. Alla porta
comparve
un uomo anziano, dai capelli corti e brizzolati e gli occhi celesti
come il cielo terso. Indossava un gilè grigio che copriva
una
camicia bordeaux e un paio di pantaloni di cotone nero. Aveva uno
sguardo gentile, come quello di un nonno o di un padre.
Non
aveva per niente l'aspetto di un professore di robotica, se Tadashi non
lo avesse specificato.
<<
Salve, professore. Stavo giusto andando via. >>
Lo
sguardo dell'uomo si spostò su Hiro, che si tolse subito il
lecca-lecca dalla bocca.
<<
Tu devi essere Hiro. Fai i Bot-Duelli, vero? Anche mia figlia
da piccola non avrebbe voluto fare altro... Posso? >>
Chiese
educatamente, tendendo una mano verso il Megabot di Hiro. Il
ragazzino glielo tese, mentre il suo cervello era impegnato a sbraitare
contro Tadashi per aver riferito a tutti la sua passione per i
Bot-Duelli illegali. Il professore osservò attentamente il
suo
piccolo robot, spostando i magneti con il dito affusolato. Il suo
sguardo si fece sempre più interessato man mano che scopriva
come Hiro era stato in grado di costruirlo.
<<
Propulsori e cuscinetti magnetici... >>
Mormorò tra sè e sè.
<<
Spaziali, eh? Vuole vedere come funzionano? >>
<<
Ehi, genio! >> Lo interruppe Tadashi, da dietro la
parete. << Li ha inventati lui! >>
A
quella rivelazione, Hiro sentì il suo respiro mozzarsi per
un
minuto. Per costruire il Megabot, Hiro aveva studiato dai libri
più importanti di robotica, scritti da un professore
altrettanto
importante. Non riusciva a credere che l'autore di quel libro fosse in
piedi proprio davanti a lui.
<<
Lei è... Robert Callaghan? Quello delle leggi della
robotica? >>
<<
Esatto. Ti piacerebbe studiare qui? La tua età non sarebbe
un problema. >>
Cominciò
a pensare che era il caso di darsi un pizzicotto.
Robert Callaghan era un mito nel mondo della robotica, e in quello di
Hiro. Aveva sempre ringraziato mentalmente l'uomo che aveva descritto
alla perfezione le leggi della sua passione sottoforma di libri. E ora
quello stesso professore gli stava espressamente chiedendo di entrare a
far parte della sua scuola. Era sicuramente un sogno!
<<
Ah, non credo che ne abbia voglia! Dopotutto, è molto preso
dalla sua carriera da Bot-Duellante. >>
Intervenne
Tadashi, smontando immediatamente la sua euforia.
<<
Bè... Abbastanza preso... >>
<<
E' naturale, con quel robot vinci facilmente. >>
<<
Già... Direi di si... >>
Abbassò
lo sguardo, pensando alla pessima figura che Tadashi gli
aveva appena fatto fare davanti al suo idolo. Si avviarono verso
l'uscita, accompagnati dal professore che alzò le spalle
alla
conferma di Hiro.
<<
Bè, se ti piacciono le cose facili, il mio programma
non fa al caso tuo. Noi siamo l'avanguardia della robotica, i miei
studenti plasmano il futuro. Ci vediamo, e buona fortuna con i
Bot-Duelli! >>
Lo
salutò, rimarcando scherzosamente il suo impegno nel mondo
nei vicoli di San Fransokyo. Hiro non fece in tempo a rispondere, la
porta si richiuse davanti al suo volto scombussolato.
(•—•)
<<
Ehi, genio! Ti conviene sbrigarti se vuoi arrivare in tempo a quel
Bot-Duello! >>
La
voce di Tadashi risuonava come un'eco lontana alle orecchie di Hiro,
che in piedi sulle scale osservava l'imponente struttura vitrea del
laboratorio. Un flusso ininterrotto di pensieri stava attraversando la
sua mente, in quel momento. Era come se una luce si fosse accesa per
lui nel tunnel vuoto che era stato quell'anno. Quella scuola poteva
essere il suo riscatto, la sua via di fuga dalla realtà, la
foce
della sua passione e del suo genio. Poteva inventare, costruire tutto
quello che voleva, e magari avrebbe inventato qualcosa di
così
straordinario che il mondo intero lo avrebbe riconosciuto, le industrie
lo avrebbero accolto e prodotto intere copie del suo progetto. Sarebbe
diventato ricco, importante! Finalmente sarebbe stato accettato per
quello che era e non per quello che sembrava. E poteva stare insieme a
Tadashi tutto il tempo. Avrebbero inventato e creato insieme, avrebbero
cambiato il mondo. Insieme.
<<
Io voglio studiare qui! >> Esclamò,
rivolgendosi
a suo fratello. << Se non riesco ad entrare nella scuola
dei
Nerd, esco di testa! Come faccio a entrare? >>
Tadashi
sorrise, facendogli cenno di montare sul motorino.
<<
Andiamo a casa, così te lo spiego. >>
Hiro
corse verso il veicolo, infilandosi il casco e montando in sella.
Mentre attraversavano San Fransokyo, il ragazzino non potè
fare
a meno di rivolgere a Tadashi una domanda che lo aveva assillato sin da
quando aveva visto Baymax.
<<
Ehi, Tadashi? >>
<<
Mmh? >>
<<
Baymax... Non lo ha visto nessun altro, vero? >>
Da
dietro non poteva vederlo, ma era sicuro che suo fratello stesse
sorridendo. Riusciva quasi ad immaginarselo, quel sorriso misto tra
scherno e tenerezza. Era il sorriso che gli rivolgeva sempre quando
doveva rassicurarlo riguardo a qualcosa che lo tormentava. La sua
risposta arrivò in un sussurro tranquillo.
<<
Nessuno. >>
__________________________________________________________________________
Stasera su Rai 2, alle
21:20 verrà trasmesso Big Hero 6!
Ok, dopo questo
importante annuncio, ecco il secondo capitolo. Ringrazio vivamente
Emmydreamer_love2004 e fenris per le recensioni lasciate e per coloro
che hanno avuto la briga di cominciare a leggere questa versione di Big
Hero 6. Spero di non deludervi.
Buona Befana!
LittleBloodyGirl
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Vita automatica ***
<<
Ogni anno la scuola organizza una fiera per reclutare
nuovi studenti. Se riesci a inventare qualcosa che lasci Callaghan a
bocca aperta, sei dentro. Ma deve essere stra-grande! >>
Tadashi
si armò di poster dell'SFIT e spillatrice, e appese al
muro nella parte di stanza di Hiro l'annuncio della suddetta fiera di
robotica. Hiro lo ascoltò attentamente, rigirandosi sulla
sedia.
Non sarebbe stato difficile per un genio come lui venire a capo di
qualcosa di incredibile. Doveva solo fare ordine nel suo cervello e
scatenare tutta la sua creatività che era rimasta reclusa
per
troppo tempo.
<<
Credimi... >> Mormorò più a se
stesso che
a Tadashi, facendo schioccare le dita << Lo
sarà. >>
(•—•)
<<
Niente! Nessuna idea! Ho-un-cervello-vuoto-inutile! >>
<<
Wow! Un uomo finito a quattordici anni, che storia triste!
>>
La
scrivania di Hiro si era presto riempita di fogli di carta
appallottolati, matite dalla punta consumata e modellini da cui
prendere spunto che si erano rivelati inutili. Si era ormai fatta sera,
e lui non era riuscito a venire a capo di niente. Nessuna delle idee
che aveva abbozzato gli era sembrata abbastanza originale o degna
dell'attenzione del professor Callaghan. Qualcuna era troppo scontata,
qualcun'altra era assolutamente ridicola, altre ancora erano
completamente inutili. Il flusso di creatività si era
liberato
troppo in fretta e doveva aver otturato quello spiraglio che gli doveva
permettere di inventare qualcosa di straordinario. Era come un blocco
dell'artista subito da Van Gogh, a dir poco surreale.
L'unica
cosa che Hiro sapeva era che non aveva più idea di dove
sbattere la testa se non sulla sua scrivania. Si accasciò
sullo
schienale della sedia, afflitto e disperato.
<<
Non ho idee! E' la fine, non mi prenderanno mai! >>
<<
Ehi. >>
Tadashi
girò di scatto la sedia, trovandosi faccia a faccia con suo
fratello e lo guardò dritto negli occhi.
<<
Non lascerò che ti arrenda. >>
Prima
che potesse rendersene conto, Hiro si trovò appeso a testa
in giù, le caviglie stretta sulle spalle di Tadashi che
cominciò a dondolarlo avanti e indietro, ridendo.
<<
Ah! Che stai... Facendo?! >>
<<
Ti offro un'opportunità! Accendi il cervello e
trova una via d'uscita! >>
<<
Cosa?! >>
<<
Guardala da un'altra prospettiva. >>
Hiro
sospirò, lasciandosi cadere lungo, le mani che quasi
toccavano il pavimento. Osservò la sua stanza a testa in
giù, cercando di seguire il suggerimento del fratello. Non
credeva che lo avrebbe aiutato più di tanto, ogni cosa era
semplicemente sottosopra e ancora più confusa di prima. La
scrivania, il computer, il Megabot... Il Megabot.
Doveva
essere stato l'afflusso di sangue al cervello, perchè
Hiro sentì qualcosa affiorare dai meandri del suo
intelletto.
Qualcosa di simile a un'idea. Un'idea fantastica.
Senza
pensarci due volte si dimenò dalla presa di Tadashi,
afferrò il suo piccolo robot e scese di corsa nel garage. Si
guardò intorno per un po', studiando la situazione e gli
strumenti che gli sarebbero serviti per cominciare a lavorare.
Posò il Megabot sulla scrivania accanto ad uno dei monitor e
fece schioccare il collo, eccitato.
Avrebbe
creato qualcosa di pazzesco; una calamita frammentata
multifunzionante, come il suo robot, ma meglio! Avrebbe lasciato tutti
a bocca aperta, ne era certo.
(•—•)
I
giorni erano passati velocemente, tra tanti piccoli momenti di
euforia, stress, e prese di coscienza. Dopo neppure una settimana dopo
aver cominciato a lavorare, Hiro pensò che doveva essere una
pazzia. Quello che aveva in mente era praticamente impossibile da
realizzare e forse avrebbe dovuto rivolgere la sua attenzione a
qualcosa di più... Reale. In un momento di sconforto, aveva
buttato tutto all'aria e si era chiuso in se stesso come un riccio,
evitando di parlare sia a zia Cass, che gli portava sempre il cibo nel
garage in cui lavorava, sia a Tadashi. Ad un certo punto, era
arrivato a chiedere espressamente di restare solo e a rispondere in
tono non proprio appropriato al fratello maggiore che, preoccupato per
lui, aveva cercato di tirargli su il morale.
<< Si può sapere che cosa ti succede? Avevi
detto di
sapere bene quello che volevi fare, e adesso ti stai arrendendo?
>>
<< E' un'idea stupida, Tadashi... Non
funzionerà mai, è troppo surreale.
>>
<< E' un'idea straordianaria, invece. E tu stai lasciando
che la
paura di fallire ti stia facendo pensare quello che dici.
>>
<< Si, bè, a te non ci sarà voluto
molto per
conquistare Callaghan, vero? Sempre con la risposta pronta, i libri a
portata di mano, i capelli pettinati! L'ho capito subito che sei il suo
cocchino! Un vero nerd... >>
<< ... Ma qual'è il problema? >>
A quella domanda, l'ennesima che gli rivolgeva, Hiro esplose. Si
alzò di scatto dalla sedia e si voltò verso
Tadashi con
uno sguardo furioso e disperato.
<< Il problema sono io! Ero così convinto di
quello che
volevo fare e credevo che sarebbe stato straordinario! Ma la
verità è che è impossibile,
è troppo
complicato! Finora, i miei tentativi sono tutti falliti e temo che il
tempo a mia disposizione non sia abbastanza! Non ce la farò
mai,
okay?! E' inutile! Lasciami in pace... >>
Corse a buttarsi sul divano a faccia in giù, sperando di
affogare se stesso e l'ansia che lo stava assalendo. Non voleva
rispondere in quel modo al fratello. Sapeva che voleva aiutarlo, ma in
quel momento voleva davvero soltanto restare solo. Si sentiva
così male... Una parte di lui gli diceva di rimettersi al
lavoro, di continuare a provare. Era un genio, ce la doveva fare per
forza. Ma un'altra parte di lui gli sussurrava maliziosamente di
lasciar perdere, di non pensare neanche di avere una
possibilità
di entrare nell'SFIT.
L'idea che aveva in mente era sì fantastica, ma sarebbe
rimasta tale. Una fantasia.
Odiava quei momenti in cui si sentiva così, quella
sensazione di
inutilità che lo assaliva sempre quando non doveva.
Perchè? Perchè era così?
Perchè non poteva essere sicuro di se stesso come Tadashi?
<< Hiro... >>
La voce del maggiore gli arrivò alle orecchie, vellutata e
comprensiva. Era come una coperta di lana in un freddo giorno
d'inverno. Sentì la sua mano calda appoggiarsi sulla sua
spalla,
delicatamente, quasi avesse paura di infrangerlo. Lo
sentì sospirare. Chissà se era arrabbiato, o
magari era
triste per come lo aveva appena trattato? Era così confuso,
dannazione. Avrebbe voluto chiedergli scusa
e
confessargli che aveva bisogno di conforto, ma allo stesso tempo
desiderava che lo lasciasse nella sua solitudine. Non sapeva come
comportarsi.
<< Forse è meglio se oggi ti svaghi un po',
mmh? >>
<< E come? >>
Parlò a fatica, il volto ancora schiacciato contro i cuscini
del
divano. Se gli avesse chiesto di riprendere il karate avrebbe
rifiutato di sicuro, perchè non aveva alcuna voglia di
beccarsi un
cazzotto per sbaglio. Avrebbero potuto uscire con lo skateboard, ma
neanche quell'idea gli sembrava più allettante. Il calcio
era
fuori discussione, dopo che Hiro aveva deciso di ritirarsi
perchè i suoi stessi compagni di squadra lo avevano pestato
per
aver segnato un goal. Secondo loro, il fatto che un ragazzino
così minuto fosse così bravo a giocare a pallone aveva il solo scopo di umiliarli.
E
pensare che se non fosse stato per lui avrebbero perso come zotici.
Allontanò quel brutto ricordo, che ancora sapeva di ferita
al cuore.
Non aveva voglia neanche di giocare ai videogame!
Notando una mancanza di risposta da parte di Tadashi, si constrinse a
girare il capo verso di lui solo per trovarlo occupato a digitare
qualcosa sul suo cellulare. Poi se lo portò all'orecchio, un
sorriso sornione sulle labbra sottili.
<< Fred? Si, sono Tadashi. Senti, tu e gli altri avete da
fare stasera? >>
Gli bastò sentir pronunciare quelle parole per scattare
subito a
sedere e tentare si strappargli il telefono dalle mani, facendo diverse
smorfie supplichevoli.
<< Va bene, a stasera allora! Si, si, le pizze le prendo
io. >>
Appena Tadashi chiuse la telefonata, il suo sguardo incrociò
quello imbronciato e tradito di Hiro. Non riusciva a crederci! Gli
aveva appena detto che voleva restare solo e lui invitava i suoi amici
nerd a casa sua? Voleva forse fargli vedere quanto quel genio del suo
fratellino fosse in preda al panico per quella fiera? Voleva prenderlo
in giro davanti a tutti per avere una specie di rivincita?
<< Perchè lo hai fatto?! >>
<< Te l'ho detto, per farti svagare un po'.
>>
<< Non ho bisogno di nerd come te per svagarmi!
>>
<< Magari questi nerd riusciranno a sollevarti un po' il
morale, se riescono a farti staccare un attimo la spina.
>>
<< Ti odio quando fai così. >>
<< Anche io ti voglio bene, fratellino! >>
Tadashi imitò una voce disgustosamente mielosa e Hiro si
lasciò sfuggire un sorrisetto, prima di saltargli addosso e
cominciare a lottare scherzosamente con lui. Tadashi rise, ormai
preparato a controbattere. Prima che Hiro potesse avere la meglio su di
lui, iniziò a fargli il solletico. Il piccolo
strillò,
cadendo nuovamente sul divano mentre il maggiore lo sovrastava,
pizzicandolo dappertutto e soffiandogli sulla pancia come faceva quando
era bambino.
La serata fu più piacevole del previsto. Gogo, Honey Lemon,
Fred
e Wasabi arrivarono tutti insieme per l'ora di cena. La ragazza latina
si presentò con una crostata al limone preparata con le sue
stesse mani. Divorarono le pizze che zia Cass e Tadashi avevano
comprato poco prima del loro arrivo. Le ore trascorsero tra
barzellette, svago, piccole anticipazioni sul progetto di Hiro, che i
ragazzi trovarono sorprendente. Il ragazzino non era stato molto felice
di mostrargli il suo progetto prima che fosse finito, andava contro la
regola dei fratelli Hamada. Ma fu inaspettatamente sollevato dal loro
apprezzamento.
Per divertirsi, e umiliare Fred, Gogo decise di fare da arbitro a una
gara di cavalluccio tra Tadashi e Hiro, e Fred e Wasabi. Il ragazzo
americano non riuscì nemmeno a sollevare l'amico di un
centimetro da terra.
Hiro ebbe modo di conoscere un po' meglio gli amici di Tadashi.
Gogo era sempre stata un'amante della velocità, e aveva
persino
partecipato a diverse piccole gare in varie zone della
città. La
ragazza confessò di avere una collezione di modellini di
ogni
tipo di bici o moto. Suo padre era un meccanico, e le aveva fatto
scoprire quel mondo fin da piccola. Nemmeno un incidente in cui si era
quasi spezzata una gamba l'aveva fermata dal coltivare la sua passione!
<< Avevo cinque anni, e i miei mi regalarono la prima
bicicletta.
Inutile dire che quella traditrice ora è ridotta ad un
mucchio
di rottami arrugginito. >>
Con grande sorpresa del ragazzino, Honey Lemon confessò di
aver
avuto difficoltà a fare amicizia appena arrivata all'SFIT.
Essendo una ragazza alta, magra e a cui piaceva vestire in modo sempre
elegante e con i tacchi a spillo, gli altri studenti si erano presto
fatti parecchi pregiudizi su di lei. Per fortuna, Tadashi l'aveva
introdotta al loro gruppo e adesso non aveva più paura di
essere
se stessa. La sua crostata aveva una sapore buonissimo, e Hiro venne a
conoscenza della sua passione per la cucina.
<< Mia madre gestisce un bar, e io da piccola l'aiutavo
spesso.
Mi è sempre piaciuto cucinare, specialmente i dolci!
>>
Gli rivelò che gestiva un blog di cucina online, dove
postava
ogni giorno ricette diverse. Persino i vestiti che indossava,
così colorati e allegri, il piccolo scoprì che
era lei
stessa a cucirli.
<< Come mai ti sei trasferita qui? >>
Chiese Hiro, conoscendo le origini argentine della ragazza.
<< Veramente, ho sempre voluto studiare fuori dal mio
paese! Ma
l'opportunità mi si è presentata quando decisi di
fare
un'esperimento, unendo acido solforico, acido nitrico e un pizzico di
glicerina. I miei non presero esattamente bene il modo in cui gli
ridussi il salotto e mi dissero che dovevo trovarmi un luogo dove poter
condurre i miei esperimenti in tranquillità. La scuola
migliore
per l'ingegneria chimica era proprio quella di San Fransokyo e
così eccomi qui! >>
Per poco Hiro non rischiò di affogarsi con la pizza, quando
Honey Lemon le rivelò il motivo del suo trasferimento. Quella ragazza aveva
rischiato di far saltare in aria la sua casa, creando una dose di
nitroglicerina!
Più tardi, mentre si stavano rilassando e Hiro e Tadashi
erano seduti sul divano, il maggiore lo avvertì.
<< Non farti ingannare dall'aspetto. Honey Lemon adora
distruggere le cose! >>
Wasabi rivelò di essersi diplomato in microbiologia, che da
sempre era stata la sua passione, e in seguito aveva scelto di
dedicarsi alla pratica del plasma-laser indotto. Il suo nomignolo gli
era stato affibiato proprio la prima volta che il gruppo aveva deciso
di uscire tutti insieme. Fred ammise che la sua reazione alla goccia di
wasabi sul suo maglione era stata talmente epica che sarebbe rimasta
nella storia.
<< Infatti, ha provveduto subito! >> Rise
Honey Lemon.
Parlando di Fred, bè, a lui piaceva scherzare parecchio.
Parlava
molto spesso della sua abitazione che doveva essere un'enorme villa in
periferia e che il suo maggiordomo aveva persino imparato a salutarlo
battendo i pugni.
<< Sono anche iscritto alla comunità religiosa
di San
Franskoyo. >> Spiegò con sguardo fiero.
<> Per
quanto
potesse sembrare nobile, la cosa era un po' difficile da credere,
specialmente quando Fred sembrava il classico ragazzo che viveva in un
monolocale sciatto con uno stipendio scarsissimo. Chissà
perchè,
ogni volta che raccontava di queste esperienze, gli altri gli dicevano
di smetterla e di strofinare la sua faccia nella pizza piuttosto.
Aveva fatto anche quello, e la salsa gli si era spalmata sulle guance
magre facendolo sembrare un cannibale che aveva appena finito il suo
"spuntino".
<< Sembri un maniaco omicida! >> Aveva
enfatizzato Gogo, per niente sorpresa dal suo atteggiamento.
Alla fine della serata, quando tutti furono andati via, Tadashi si
occupò di gettare gli scatoloni della pizza e di ripulire il
garage. Hiro era crollato sul divano a testa in giù,
esausto.
Ronfava beatamente, perso nel suo mondo di sogni. Sembrava
più
tranquillo adesso. Il maggiore sapeva che non aveva dormito per
un'intera settimana e sapeva bene come ci si sentiva. Baymax gli era
costato lo stesso sacrificio.
Quando ebbe finito di ripulire, sistemò meglio il fratellino
sul
divano, poggiandogli addosso una coperta. Gli passò una mano
sulla fronte, sollevando un po' le ciocche di capelli che la coprivano
costantemente e sentì il suo respiro affievolirsi e tornare
tranquillo.
Rimase a guardarlo per un po', un sorriso tenero sulle labbra candide.
Hiro era speciale. Ma esserlo gli era costato la sicurezza di avere
un'amicizia solida e la tranquillità di una vita normale.
Non
era la prima volta che il fratellino aveva avuto crisi d'ansia come
quella, e Tadashi non si permetteva di giudicare. Sapeva che alzare la
voce in quei momenti avrebbe soltanto peggiorato le cose.
Di certo, a volte aveva un carattere difficile, ma era pur sempre suo
fratello. E lui aveva giurato di proteggerlo, qualsiasi cosa fosse
accaduta. Anche da se stesso, se ce ne fosse stata la
necessità.
<< Buonanotte, Hiro. >>
Sussurrò, alzandosi per rientrare in casa. Il giorno dopo,
Hiro si rimise a lavoro.
_____________________________________________________________________________________________________________________
Oh,
guarda! Un missing moment!
Volete forse dirmi che Hiro non ha mai avuto una crisi d'ansia? Pffft!
Ringrazio nuovamente Emmydreame_love2004 e fenris per le recensioni che
gradisco molto e un grazie speciale a chi sta leggendo la storia. Spero
di non deludervi.
LittleBloodyGirl
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Brucia con me ***
Gli ci erano volute altre tre settimane di lavoro, ma il suo progetto
era finalmente pronto. Hiro sollevò il coperchio di uno dei
bidoni che aveva richiesto per contenere la sua creazione e ne
ammirò soddisfatto il risultato. Non vedeva l'ora che
arrivasse
la sera per recarsi alla fiera. Tadashi lo raggiunse, contemplando
anche lui l'opera del fratellino.
Era
stata dura, ma ce l'aveva fatta. Il suo lavoro era stato portato a
termine in tempo ed era perfettamente funzionante. Il ragazzo era
sicuro che Hiro avesse la lettera d'ammissione già in tasca.
Soddisfatto,
sollevò una mano chiusa a pugno all'altezza del piccolo.
<<
Pronto, genio? >>
<<
Pronto. >>
Batterono
le nocche, imitando una piccola esplosione con la bocca. Quello era il
loro saluto e porta fortuna.
Hiro
ne era sempre più sicuro, sarebbe andato tutto alla grande.
(•—•)
La sera arrivò in fretta, silenziosa e
limpida. Il cielo era
terso, San Fransokyo era viva, le stelle sembravano brillare apposta
per lui. Hiro arrivò all'edificio in cui si sarebbe svolta
la
fiera insieme a Tadashi e ai suoi amici, a cui il maggiore aveva
chiesto aiuto per trasportare i bidoni. Cass li avrebbe raggiunti
subito dopo la chiusura del locale.
Il
vento soffiava leggero, la serata era fresca e i polmoni di Hiro si
riempirono di quell'aria che sapeva di impazienza e divertimento, ma
anche di insicurezza e timori.
E
se la sua creazione non avesse
impressionato nessuno? Se avesse smesso di funzionare durante la
dimostrazione, o peggio non avesse funzionato affatto?
Scosse
la testa, come se potesse allontanare quei cattivi pensieri che
lo assillavano sempre nei momenti meno opportuni. Esplorò
con lo
sguardo il cortile, in cui si erano radunate
persone di ogni età e sesso. Studenti che si scambiavano
opinioni, sorrisi, sguardi. In fondo, alcuni professori si
congratulavano con i loro studenti per le geniali invenzioni che
avevano presentato. Tra questi c'era Callaghan. Il solito
gilè
grigio su una camicia azzurra, i pantaloni neri e i mocassini che gli
conferivano un'aria sportiva ed elegante al tempo stesso. Il suo
sguardo gentile velato di malinconia cadde su Hiro e si
animò
per un istante. Poi lo salutò con un cenno leggero della
mano,
prima di entrare nell'edificio.
Hiro
fu capace di abbozzare un mezzo sorriso, ma subito le farfalle
nello stomaco ebbero la meglio. Callaghan sarebbe stato tra quelli
della giuria, avrebbe dovuto valutare il suo lavoro. Dal professore
dipendeva il suo ingresso nell'SFIT. L'ansia cominciò a
montare
come uno strato di neve su un ramo secco.
<<
Ehi, Hiro. >>
La
voce di Tadashi riuscì per un attimo a interrompere quel
flusso di pensieri. Il ragazzo appoggiò una mano sulla sua
spalla e gli fece cenno con la testa.
<<
E' quasi il momento. Stiamo tutti aspettando te. >>
<<
Si, arrivo... >>
Forzò
un sorriso e salì le scale insieme a lui, entrando
nell'edificio.
L'aria
che si respirava nella fiera era un misto di plastica, gas e strani
liquidi chimici che somigliavano vagamente
all'alcool. Il calore era quasi insopportabile. C'era così
tanta
gente e così tante invenzioni che avevano sfiorato e
superato
l'avanguardia tecnologica. Ogni partecipante aveva un suo stand dove
presentare i propri lavori e Hiro si perse per un attimo in mezzo a
quell'abisso di scienza. Passò in mezzo a sensori per la
realtà virtuale, cyclette subacquee e robot tutto-fare
dall'aspetto inquietante. Gli sembrava tutto così... Grande.
Cominciò nuovamente a chiedersi se non fosse il caso di fare
dietrofront e tornare a casa.
<<
Wow, c'è il pienone di tecnologie! Come ti senti?
>> Gli chiese Tadashi, in tono scherzoso.
Hiro
tirò su il mento, cercando di darsi un'aria importante e
sfacciata. Tutto questo non era niente di nuovo, si costrinse a
pensare. Il suo progetto sarebbe stato un successone e sarebbe entrato
in quella scuola in un lampo. Non era la prima volta che la gente si
meravigliava del suo genio.
<<
Parli con un ex Bot-Duellante, non mi agito per così poco.
>>
La
sua convinzione venne immediatamente spazzata via dalle parole di Gogo,
appena dietro di lui.
<<
Si, è nervoso! >> Disse con una risatina.
<<
Oh, è agitatissimo! >> Rincarò
Honey Lemon.
<<
No, non è vero! >>
<<
Tranquillo Hiro, il tuo progetto è pazzesco! Diglielo, Gogo.
>>
<<
Basta frignare, fai la donna.
>>
<<
Che ti serve, piccoletto? Deodorante, mentine per l'alito? Un paio di
mutande pulite? >>
<<
Mutande pulite?! Tu non sei normale. >> Asserì
Gogo, sorridendo alle manie igieniche di Wasabi, che per tutta risposta
le fece notare la sua previdenza in certi casi.
<<
Non faccio una lavatrice da sei
mesi!
Le mutande mi durano per un sacco di tempo; le metto davanti, poi le
rivolto, poi le metto di lato, poi dall'altro lato e di nuovo davanti!
>>
La
spiegazione di Fred riguardo all'intimo fu fin troppo chiara e
concisa che gli amici dovettero reprimere un conato di vomito. Tadashi
rise, conoscendo bene l'amico.
<<
Wow, sei disgustoso e stupefacente. >>
<<
Non incoraggiarlo. >>
<<
Si chiama "riciclare".
>>
Hiro
non stava scoltando nulla di quello che gli altri stavano dicendo.
Le loro voci gli sembravano eco lontane, e lui riusciva soltanto a
sentire il suono del suo nervosismo che cresceva. Era davvero
così palese quanto fosse agitato? Non si era mai sentito
così, non che ricordasse. Non quando andava ai Bot-Duelli,
nè a scuola. Persino agli esami di stato dell'ultimo anno
del
liceo non era stato affatto nervoso. Era sempre stato cosciente di
essere
intellettualmente superiore agli altri, quindi perchè adesso
doveva essere diverso? Cos'era a generare quell'ansia che gli impediva
di pensare chiaramente?
<<
Prossimo
partecipante: Hiro Hamada.
>>
Quando
l'annunciatrice chiamò il suo nome all'altoparlante, Hiro
avvertì tutto lo stress e la tensione piombare nel suo
stomaco
come un masso gigantesco. Ora doveva salire sul palco, presentare la
sua opera e sperare di impressionare il professor Callaghan. Sembrava
tutto così facile a parole.
Fred
sorrise eccitato, battendogli una pacca sulle spalle.
<<
Tocca a me... >> Mormorò il ragazzino, poco
convinto.
<<
Okay, okay! Foto, foto, foto! >>
Honey
Lemon tirò fuori il suo cellulare con la cover di peluche e
radunò tutti gli amici per un selfie, trascinando
letteralmente
Hiro per il braccio.
<<
Dite tutti: Hìro!
>>
Se
c'era una cosa Hiro non riusciva a sopportare, erano proprio le
fotografie. Lui usciva sempre male nelle foto, non importa quanto si
sforzasse. Non era per niente fotogenico. E un selfie prima della
presentazione era proprio l'ultima cosa di cui aveva bisogno. Gogo,
Honey Lemon, Fred e Wasabi gli augurarono buona fortuna mentre andavano
a posizionare i bidoni poco sotto al palco per la dimostrazione,
lasciandolo solo con il fratello.
<<
Dai, fratellino, batti qui! >>
Tadashi
rimase un po' sopreso di non ricevere automaticamente il saluto a pugno
da parte del minore.
<<
Andiamo! E il nostro saluto? >>
Si
avvicinò un po' a lui, pensando che lo stesse prendendo in
giro. Ma gli bastò vedere lo sguardo sul suo volto per
capire
immediatamente che Hiro non era affatto tranquillo come voleva dare a
vedere.
Tadashi
se n'era accorto dal primo momento che erano arrivati alla
fiera. Era teso, come non gli capitava da moltissimo tempo. Anzi, forse
non gli era mai capitato. Non per una cosa del genere, almeno.
Ma
aveva sperato che la sua ansia sarebbe scivolata via, una volta
arrivato il suo momento. A quanto pare non era stato così.
<<
Qualcosa non va? >> Chiese pensieroso, senza sapere che
risposta aspettarsi.
Hiro
fissava il vuoto, gli occhi nocciola smarriti tradivano ansia e
paura di fallire. Paura di tornare sulla cattiva strada, paura di
deludere tutti, di deludere se stesso.
<<
Voglio davvero entrare
in questa scuola... >>
Fu
un sussurro quasi disperato. Hiro rivolse finalmente il suo sguardo
al fratello maggiore. Sembrava che lo stesse supplicando di credergli,
di notare che intendeva davvero quello che aveva appena detto.
Di
aver bisogno di lui, semmai non ce l'avesse fatta. Tadashi sorrise,
abbassandosi alla sua altezza per poterlo guardare meglio negli occhi.
<<
Lo so. E so anche che puoi farcela. >>
Gli
fece l'occhiolino, ricevendo un sorriso poco convinto, prima che il
ragazzino si avviasse verso il palco.
Mentre
lo guardava salire le scale per il palcoscenico, Tadashi si rese
conto di quanto Hiro fosse cresciuto. E di quanto fosse cambiato. Suo
fratello era tremendamente fragile, spaventato da ciò che il
mondo aveva da offirirgli, perchè finora aveva trovato solo
discriminazioni e interesse solamente nei confronti delle sue
capacità intellettive. Quante volte aveva assistito ai suoi
crolli psicologici durante il periodo in cui voleva soltanto rimanere
chiuso in casa e non vedere nessuno se non il suo unico fratello. Ma se
fosse riuscito a entrare nell'SFIT, nulla di tutto questo sarebbe
più successo. E conoscendolo, Tadashi sapeva bene che Hiro
era
praticamente già dentro. Doveva soltanto rendersene conto
lui.
Mentre
saliva le scale, il ragazzino guardava dappertutto senza un
motivo preciso. Sentiva l'ansia montare dentro di lui e torcergli lo
stomaco, mentre troppi pensieri inutili si facevano spazio nella sua
mente.
E
se fosse inciampato sul palco? Forse doveva venire vestito in modo
più decoroso, invece di indossare la sua solita felpa!
Avrebbe
dovuto pettinarsi i capelli? Con la chioma che aveva, la spazzola era
l'ultimo oggetto preferito di Hiro, quindi era stato fuori discussione
per tutta la serata, ma ora cominciava a pentirsene.
Afferrò
sovrappensiero il microfono che una donna magra sui
cinquanta, vestita in modo elegante gli passò e raggiunse il
centro del palco, dove venne illuminato da uno dei fari appesi
sull'impalcatura sopra di lui. Il suo sguardo incontrò
subito
quello del professor Callaghan e di altri due insegnati che facevano
parte della giuria. Accanto a loro, un uomo grassoccio, calvo dai
lunghi baffi con un'aria notevolmente poco interessata si era
avvicinato con l'intenzione di seguire la presentazione.
Hiro
deglutì. La sua mente cancellò ogni traccia del
discorso che si era preparato appena prima di arrivare alla fiera per
presentare il progetto, lasciandolo senza parole nel peggior modo
possibile.
<<
Uhm... Salve... Mi chiamo Hi-...! >>
Il
microfonò fischiò fastidiosamente, costringendo i
presenti a sussultare e a rannicchiare il viso tra le spalle con
un'espressione sofferente. Hiro cominciò a chiedersi se non
fosse il
caso di tenere il conto di tutte le figuracce che stava per fare. Si
scusò debolmente, procedendo a far vedere la sua opera.
<<
S-scusate... Mi chiamo Hiro Hamada e... Ho lavorato ha
qualcosa c-che secondo me è da non credere. Spero vi
piaccia.
>>
Tirò
fuori dalla tasca del suo bermuda quello che sembrava un
cerchietto e lo indossò intorno alla fronte, e quello venne
prontamente nascosto dai ciuffi ribelli. Poi infilò la mano
nella tasca della felpa, procedendo a tirare fuori quello che sembrava
una minuscola scheggia di ferro nero. Lo sollevò contro
luce, in
modo che si potesse vedere meglio.
<<
Questo è un microbot.
>>
Gli
sguardi degli insegnati nella giuria si assottigliarono per cercare
di identificare meglio il piccolissimo oggetto che Hiro teneva tra le
dita. L'uomo accanto a loro si allontanò con uno sguardo
deluso,
borbottando qualcosa su quanto fosse stata tutta una perdita di tempo.
A
quel punto, Hiro ammutolì. Il suo respiro si
mozzò in
gola e la sua mente non riuscì più a formulare
alcuna
parola. Avvertì l'urgenza di scoppiare a piangere, mentre il
suo
corpo veniva scosso da brividi ansiosi. Il suo sguardo impaurito cadde
su Tadashi, in mezzo alla folla. Accanto a lui, zia Cass e gli altri lo
guardavano preoccupati.
Voleva
scendere da quel palco, correre via e non tornare mai più
lì dentro. Avrebbe voluto svanire nel nulla e far
sì che
nessuno si ricordasse di lui, nè della tremenda delusione
che
tutto sè stesso rappresentava.
Tadashi
lo guardò, e prima che Hiro potesse crollare davanti a
tutti fece quello che gli era sempre venuto più spontaneo.
Lo
aiutò. Respirò a pieni polmoni e
formulò parole invisibili tra le sue labbra.
Respira. Ce
la puoi fare.
Non
lo vide nessuno, non lo sentì nessuno. Ma Hiro si. Hiro
afferrò quella mano invisibile, si aggrappò a
quella
roccia con tutto se stesso. E sorrise.
Trasse
un profondo respiro e, schiarendosi la voce,
ricominciò a parlare.
<<
Sembrerà insignificante, ma appena si collega ai suoi
amichetti... >>
Un
improvviso brusìo cominciò ad espandersi dai
bidoni
che lui e gli altri avevano portato e, con lo stupore di tutti, si
capovolsero lasciando fuoriuscire quella che a prima vista appariva
come una strana marmaglia nera e fluida, che si avvicinò
ordinatamente verso il palcoscenico, risalendone la parete e andando a
posizionarsi proprio accanto a Hiro, formando una costruzione
rettangolare.
<<
... Le cose si fanno un po' più interessanti!
>> Concluse Hiro, recuperando il suo sorrisetto sfacciato.
Le
persone cominciarono ad avvicinarsi al palcoscenico per ammirare
quel ragazzino e la sua straordinaria invenzione. Gli sguardi ammaliati
e i mormorii stupiti della gente riempirono presto l'edificio.
<<
I microbot sono controllati da questo trasmettitore neurale. Io penso a
cosa voglio che facciano e lo fanno. >>
Hiro
procedette a dimostrare ciò che aveva appena detto,
sfilandosi il cerchietto di metallo dalla fronte. Appena lo fece, la
costruzione accanto a lui crollò come un burattino senza
fili.
Quando se lo rimise, i microbot si riassestarono ordinatamente,
formando
una mano gigante che salutò il pubblico.
<<
I vantaggi per questa opera sono illimitati! Costruzioni;
ciò per cui ci volevano mesi o anni di lavoro manuale di
più persone, ora può realizzarlo una sola
persona! E
questo è solo l'inizio. >>
La
dimostrazione diventava sempre più incredibile, man mano che
Hiro illustrava le tante possibilità che la sua invenzione
recava. I presenti erano ormai tutti a bocca aperta e con il naso
all'insù ad ammirare quel flusso di piccolissimi bots che
costruivano una torre con i pezzi più vicini che riuscivano
a
recuperare. Bastò perdere per un momento di
vista il ragazzino per ritrovarlo in cima alla costruzione. Un urlo
spaventato e stupefatto crebbe quando lo videro saltare giù
dall'alta torre per venire prontamente salvato dagli stessi microbot.
<<
I microbot possono trasportare qualunque cosa in qualunque posto!
>>
Hiro
rimase appeso a testa in giù, i piedi avvolti dalle piccole
scheggie di ferro che lo trascinavano lungo tutta la fiera, dai muri al
soffitto alle impalcature. Il piccolo ordinò ai microbot di
condurlo in direzione del fratello, che alzò la mano in modo
che
potesse incontrare la sua. Fu un momento, ma Hiro fu così
felice
di vedere lo sguardo fiero di Tadashi rivolto proprio verso di lui
mentre gli batteva il cinque.
Stava
funzionando, ce la stava facendo per davvero!
Si
fece trasportare nuovamente sul palcoscenico, decidendo di concludere
finalmente la sua dimostrazione.
<<
Se potete pensarlo, i microbot possono farlo! L'unico limite
è l'immaginazione. >>
I
microbot formarono una scala mobile, riportandolo elegantemente sul
parquet lucido del palco. Poi si ordinarono uno sopra l'altro, formando
tutti
insieme un gigantesco microbot che si piegò in avanti,
simulando
un inchino. Un boato si levò dalla folla, che
cominciò ad
applaurdire entusiasta quel ragazzino straordinario.
Hiro
si inchinò, lasciando che le sue orecchie accogliessero
quell'acclamazione che non avrebbe mai pensato di ricevere. Il suo
cuore si riempì di gioia, un sorriso felice e incredulo si
dipinse sulle sue labbra mentre i suoi occhi catturavano quelle
immagini, trasformandole in un ricordo che sarebbe stato il
più
importante della sua vita. Un trionfo di urla, battiti di mani e
sguardi ammirati riempì la fiera.
Ed
era tutto per lui, solo per lui.
Si
tolse il trasmettitore neurale dalla fronte e procedette a scendere
dal palcoscenico, dove lo raggiunse Tadashi. Fu così
contento di
vedere quel sorriso a trentadue denti, fiero sul volto del fratello.
Batterono le nocche, imitando l'esplosione con le proprie bocche e Hiro
si lasciò arruffare i capelli dal maggiore. Tutti gli altri
si
avvicinarono per complimentarsi con lui. Honey Lemon lo
abbracciò forte, riuscendo perfino a sollevarlo da terra.
<<
Hiro, sei stato incredibile! >> Esclamò la
ragazza con forte accento latino-americano.
<<
Gia. Con qualche miglioramento, la tua teconologia potrebbe essere rivoluzionaria.
>>
Una
voce profonda e magnetica si intromise in quello scambio eccitato
di complimenti. Un uomo sui quaranta, in completo nero, dal volto
spigoloso e i capelli biondo cenere si mosse interessato verso il
ragazzino, che rimase a bocca aperta quando lo riconobbe.
<<
Alister Krei...! >>
L'imprenditore
più ricco e famoso di tutta San Fransokyo. Krei
era ben noto per i suoi interessi nel campo dell'ingegneria e della
scienza che gli permettevano di portare avanti esperimenti che avevano
fatto discutere per la loro capacità di sfidare
l'ìmpossibile. La notizia che stesse facendo costruire un
nuovo
campus che portasse il suo nome nella zona alta della città
aveva fatto presto il giro del mondo.
<<
Ho assistito alla dimostrazione. Davvero notevole il tuo progetto.
>>
Allungò
educatamente una mano verso di lui, riferendosi al microbot che teneva
in mano.
<<
Permetti? >>
<<
Certo. >>
Prese
il minuscolo bot tra le dita e lo osservò con vago
interesse. Dopo neppure un secondo, si permise di formulare il suo
giudizio.
<<
Interessante. Io voglio i tuoi microbot alla KreiTech. >>
<<
Mi venga un colpo! >>
Hiro
rimase senza fiato, il suo cervello impiegò un po' a
valutare l'importanza di quella proposta. L'uomo più ricco
della città era interessato alla sua creazione ed era
disposto a venderla su
scala mondiale, pagandolo fior di baiocchi. La scalata per il successo
si stava rivelando più semplice e improvvisa di quanto si
fosse
aspettato. Riusciva già a vedere il suo nome e quello di
Tadashi
sui titoli di ogni giornale, sui cartelloni pubblicitari e sugli
schermi. Avrebbero raggiunto la gloria che Hiro cercava, il merito che
gli spettava da sempre.
<<
Ha ragione, i tuoi microbot sono una scoperta assai
straordinaria. Puoi continuare a produrli... O venderli ad un uomo che
è guidato solo dai suoi interessi personali. >>
La
voce di Robert Callaghan lo interruppe proprio mentre era sul punto
di accettare. Il professore si avvicinò al gruppetto,
lanciando
un'occhiata fulminante a Krei.
<<
Robert, so che ce l'hai con me... >>
<<
La scelta sta a te, Hiro. Ma sappi che il signor Krei ha preso
vie traverse, ignorando i principi della scienza per raggiungere i suoi
scopi. >>
Quel
discorso stava prendendo una piega decisamente tetra. Quelle
parole furono abbastanza per inquietare Hiro, che deglutì
all'improvvisa indecisione. Di quale vie traverse stava parlando il
professor Callaghan? Sapeva che Krei non poteva essere uno stinco di
santo, in fondo neanche lui lo era, ma fu un dubbio abbastanza
convincente da riuscire a gettare su di lui un'aura oscura.
Improvvisamente, Hiro realizzò tutti i pro e i contro se
avesse
accettato di vendere i suoi microbot. A discapito della sua fortuna,
quali trucchi avrebbe potuto inventare quell'uomo per rubarglieli e
farla franca prima che lui potesse rendersene conto?
<<
Fossi in te non gli affidere i tuoi microbot. O
qualsiasi altra cosa.
>>
Il
tono di Callaghan si abbassò notevolmente mentre scandiva
quelle ultime parole, i suoi occhi lame taglienti ricoperti da ghiaccio
spesso e letale. Sembrava che stesse tentando di ferire Krei, il suo
rivale, con la sua voce e gli sguardi malevolenti. Per un attimo, a
Hiro parve di scorgere una scintilla di odio e rabbia in quegli occhi
azzurri come il cielo, solitamente così gentili. Ma fu una
visione, un attimo di cui il ragazzino si dimenticò presto.
Che
cosa doveva fare? Accettare la richiesta di Krei e arrivare finalmente
al riconoscimento che tanto agognava, rischiando però di
perdere
ogni diritto sui suoi microbot e di deludere il professor Callaghan? O
dar retta a quest'ultimo ed entrare finalmente nella scuola che gli
avrebbe permesso di costruirsi un futuro, una vita nuova insieme a
Tadashi?
<<
Hiro, ti sto offrendo più soldi di quanto tu possa
immaginare. >>
Quella
volta, Callaghan non ribattè. Hiro ne fu quasi
sconfortato, e abbassò lo sguardo per concedersi un momento
per
pensare a mente fredda.
Quale
dei due sentieri doveva prendere? Da un lato, Krei gli offriva
una vita ricca e sicura, senza alcun ostacolo, e successo e denaro su
un
piatto d'argento. Dall'altra, la scuola che conservava un futuro
istruito, una vita da costruire con le sue decisioni, con il
rischio di fallire più spesso e la
capacità di esplorare sempre nuove possibilità. Nuove
prospettive. Insieme
a Tadashi e ai suoi amici.
Gli
bastò sentire il suono felpato dei passi di suo fratello per
decidere.
Alzò
lo sguardo su Alister Krei, gli occhi grandi dallo sguardo sincero e un
sorriso invisibile sul volto paffuto.
<<
Apprezzo l'offerta, signor Krei. Ma non sono in vendita.
>>
Alla
sua risposta, l'uomo schioccò la lingua con fare deluso,
guardando il ragazzino dall'alto in basso con velata arroganza e
stizza. Si lasciò sfuggire uno sbuffo sarcastico, che
tradiva
palese fastidio per qualcosa che non aveva ottenuto. Quasi come i
bambini capricciosi che mettono il broncio quando non riescono ad avere
quello che vogliono.
<<
Credevo fossi più intelligente. >>
E
sistemandosi in un gesto frettoloso la manica della giacca nera,
salutò il professor Callaghan e fece per allontanarsi quando
Tadashi lo richiamò.
<<
Signor Krei... Quello
è
di mio fratello. >> Asserì, indicando il
microbot che l'uomo teneva ancora in mano.
<<
Oh, hai ragione. >>
Krei
lo rilanciò verso Hiro, che lo afferrò al volo.
Lo
vide allontanarsi senza voltarsi indietro, a passo deciso. Quasi non
sembrava che avesse appena ricevuto un rifiuto per un'ingente montagna
di soldi. Perchè i microbot avrebbero di certo fruttato
molto
anche a lui, e questo Hiro lo sapeva bene. Ma non si era pentito della
sua scelta, e ne fu ancora più convinto quando Tadashi gli
appoggiò una mano sulla spalla e gli sorrise, fiero di lui.
A
quel punto, Callaghan si avvicinò a Hiro, tirando fuori
dalla
tasca dei pantaloni la busta di una lettera che recava inciso il
simbolo dell'SFIT, e gliela porse, sorridendo.
<<
Allora ci vediamo ai corsi. >>
Hiro
sussultò e prese la lettera d'ammissione tra le sue mani,
guardandola come se avesse appena trovato una miniera piena d'oro. Ce
l'aveva fatta! Era riuscito ad entrare nella scuola più
prestigiosa di San Fransokyo, e adesso aveva un mondo intero da
riscoprire davanti a sè.
(•—•)
Uscirono
dall'edificio urlando di gioia. Hiro rideva felice, tenendo in
aria la sua lettera come un trofeo. Cass scese saltellando i gradini
dell'edificio e fece movimenti teatrali con le braccia per attirare
l'attenzione dei presenti.
<<
D'accordo gente, nutriamo le vostre menti affamate! La cena la offro
io! >>
Si
levò un'esclamazione di consenso da parte di tutti che si
diressero verso il parcheggio dove la donna aveva appostato il suo
furgoncino. Tadashi prese da parte Hiro, avvisandola che li avrebbero
raggiunti dopo.
<<
Sono così fiera di te! >> Fece poi lei,
rivolgendosi al nipotino, saltellando di gioia.
Quella
specie di danza del trionfo era qualcosa che i due fratelli
avevano imparato a riconoscere e ad apprezzare. Significava che zia
Cass era particolarmente felice. Si lasciarono stringere, quasi
strozzare, dall'affetto della zia prima che questa si allontanasse
insieme agli altri, lasciandoli soli. Tadashi fece cenno a Hiro di
seguirlo, e il piccolo obbedì senza fare domande.
Appena
fuori dalla fiera, c'era un giardino curato dalle aiuole piene
di fiori di ogni tipo e alberi potati accuratamente. Cespugli di
camelie, margherite e amaranti facevano capolino da alcuni mattoncini
che circondavano un sentiero in pietre diretto al ponte che
attraversava il fiume. Dall'altro lato si stagliava l'SFIT, illuminata
a giorno dai fari bianchi e dai loro riflessi sui cristalli. Sembrava
un'enorme diamante dalla strana forma circolare. Una fresca brezza
serale accarezzò il luogo, smuovendo delicatamente i fili
d'erba
che iniziarono una danza sinuosa sotto i passi di Hiro e Tadashi.
<<
So cosa stai pensando! "Dovrei essere fiero di me,
perchè finalmente uso il mio talento per qualcosa di
importante!" >> Disse Hiro, imitando la voce del fratello.
<<
No, no. Stavo per dire che hai la cerniera dei pantaloni abbassata.
>>
<<
Ah ah! Divertente... >>
Il
dubbio però attraversò la sua mente, e quando
abbassò lo sguardo sussultò, procedendo ad
abbottonare
subito la cerniera. Poi fulminò Tadashi con lo sguardo per
non
averglielo fatto notare prima. Il maggiore scoppiò a ridere.
Si
appoggiarono entrambi sulla ringhiera di legno, osservando la scuola,
la loro scuola.
Erano dentro
insieme ora, potevano finalmente essere posti sullo stesso piedistallo.
Adesso dovevano solo esplorare le tante possibilità che
quella
nuova vita poteva offrire a entrambi.
<<
Benvenuto nella scuola dei nerd, nerd.
>>
Hiro
sospirò. Fino al giorno prima, non avrebbe mai accettato un
epiteto del genere da parte del fratello. Ma non poteva negare quanto
gli avesse fatto piacere sentirsi chiamare in quel modo, quella sera.
Erano
fratelli dopotutto, il cui rapporto era profondo quanto
l'oceano, quanto la galassia, l'universo stesso. E quegli attimi erano
le loro piccole stelle, che illuminavano la tela nera che era la loro
vita.
E
un giorno, come quelle stelle, anche loro sarebbero esplosi,
fondendosi come due supernova che si scontrano, lasciando la loro
traccia in quel cielo infinito.
In
un attimo, Hiro ricordò la sua vita fino a quella sera. Era
stato deriso dai più grandi per il suo fisico debole e il
suo
cervello fin troppo sviluppato, le sue capacità non erano
mai
state riconosciute davvero fino a quel giorno. E se non fosse stato per
Tadashi, niente di tutto questo sarebbe successo.
Tadashi,
che lo aveva sempre protetto, accudito, supportato e
sopportato. Lui era rimasto con lui. E Hiro sapeva che
non sarebbe arrivato da nessuna parte senza il suo aiuto.
<<
Ehi, io non sarei qui se non fosse per te, perciò... Ecco...
Grazie per l'incoraggiamento. >>
<<
Non devi neanche dirlo. E' vero, ma non devi dirlo. >>
Gli
arrivò un altro pugno sul braccio, ma lo fermò
prima
che potesse colpirlo e lo bloccò, arruffandogli ancora una
volta
la chioma corvina. Risero entrambi. Tadashi faceva quel gesto da quando
erano ancora bambini. Non c'era stata una volta in cui Hiro non si
fosse sentito protetto dalla sua mano che gli accarezzava
insistentemente la testa. Gli sembrava passata un'eternità
da
quando aveva avuto quei momenti di intimità con suo
fratello, e
ora si sentiva di nuovo bene. Non aveva bisogno di nascondersi dietro a
un robot per attirare la sua attenzione. Tadashi era lì, e
ci
sarebbe stato sempre per lui. Hiro ne era sicuro.
All'improvviso,
un suono acuto e stridulo si intromise tra loro.
Sembrava una sirena. Tadashi fissò il vuoto per un attimo,
un'espressione confusa sul suo volto che si trasformò presto
in
pura preoccupazione. Hiro lo vide correre verso l'edificio dove si era
tenuta la fiera e lo seguì.
Lo
spettacolo che si parò davanti a loro fu sconcertante.
Fiamme
violente e accecanti fuoriuscivano dalle mura e dalle finestre
dell'edificio, illuminando la notte in un macabro spettacolo di luci
assassine. Il fumo oscurò il cielo, che divenne
improvvisamente
nero e il calore si propagò fino ai loro corpi, dandogli per
un
attimo la sensazione di bruciare. Le urla della gente trascinarono via
ogni risata della fiera, trasformandolo in un ricordo spezzato. Tadashi
andò incontro a una donna che era appena uscita
dall'edificio.
<<
Sta bene?! >>
<<
Si, io sto bene... Ma il professor Callaghan è ancora
dentro! >> Corse via, tossendo.
Tadashi
rabbrividì non appena sentì
il nome del suo professore. I suoi occhi si scontrarono con il fuoco
che avvolgeva la palazzina e la sua mente lo riportò
all'uomo
che era rimasto intrappolato lì dentro. Non
poteva lasciarlo morire.
Istintivamente, corse verso l'edificio in fiamme ma una presa stretta
al braccio gli impedì di entrarvi.
<<
Tadashi, no! >>
Si
voltò verso Hiro, che lo aveva appena fermato. I suoi occhi
gli imploravano silenziosamente di lasciar perdere, di non entrare, di
non rischiare la sua vita.
L'incendio
si era ormai propagato troppo, forse avrebbe dovuto lasciare che ci
pensassero i pompieri...
Se
lui fosse entrato lì dentro, non sapeva se ne sarebbe mai
uscito vivo... E se non fosse tornato, avrebbe perso tutto. Avrebbe
perso la sua vita, i suoi amici, la sua famiglia. Avrebbe perso Hiro,
che aveva bisogno di lui. Che era ancora un bambino
e che necessitava della sua guida più di ogni altra cosa.
Però...
<<
Callaghan è lì dentro. >>
Sussurrò,
guardando il fratello. << Qualcuno deve aiutarlo.
>>
Tentò
di addentrarsi, ma Hiro non sembrava voler mollare la presa.
<<
E' troppo tardi, Tadashi! Ci penseranno i pompieri! >>
<<
Torno subito! >>
La
mano di Hiro si allentò istintivamente a quelle parole. I
suoi occhi catturarono quelli di Tadashi, cercando una traccia di
verità tra i riflessi delle fiamme.
<<
Lo prometto, torno
subito...
>>
Lo
lasciò andare. Lo vide salire le scale di corsa e svanire
nel
fuoco, come un'ombra. Il suo respiro si impregnò di fumo, e
si
rese conto di quanto fosse difficile respirare in quel momento.
Di
quanto fosse difficile respirare.
Che
cosa aveva fatto? Perchè lo aveva lasciato andare? Non
doveva mollare il suo braccio. Doveva tenerlo stretto, impedirgli di
entrare in quell'inferno. Si guardò intorno, sperando che
qualcuno potesse aiutarlo, ma nessuno era lì vicino a lui.
Nessuno gli avrebbe detto con sicurezza che suo fratello sarebbe uscito
subito da lì.
I
suoi occhi caddero sul berretto di Tadashi ai suoi piedi. Lo aveva
perso mentre entrava nell'edificio. Lo prese tra le mani, rivolgendo lo
sguardo da quello alle fiamme.
Doveva
andare anche lui. Doveva seguirlo. Doveva trovarlo e portarlo fuori
prima che fosse troppo tardi.
Si
mosse verso il fuoco. Fece un passo. Poi un altro. Più
vicino, più vicino, più vicino.
Improvvisamente,
un boato assordante proruppe dall'inferno davanti a
lui, strisciando nelle sue orecchie, togliendogli il respiro,
rubandogli gli occhi, spingendolo a terra. Per un attimo, la sua pelle
divenne di vetro e rovente come il carbone prima di scontrarsi
violentemente contro la fredda pietra del pavimento.
Era
svenuto? Per quanto tempo aveva tenuto gli occhi chiusi? Gli
sembrò un'eternità anche il tempo che
impiegò per
voltarsi e mettersi sulla sua schiena. Tutto era rallentato, ma non
riusciva a capire il perchè. Ogni movimento era
così
pesante, così doloroso...
I
suoi occhi rividero le fiamme. Una
luce accecante, come appena sveglio da un sogno.
Perchè
quello era tutto un sogno, giusto? Doveva esserlo. Una
cosa del genere non poteva succedere nella realtà. Quelle
sensazioni non avrebbe potuto provarle nessuno. Non lui, almeno.
Era
surreale. Era tutto così surreale.
...
Tadashi?
Dov'era?
Perchè non era lì per aiutarlo a rialzarsi, a
chiedergli se stesse bene? Era uscito, vero? Anzi, non era mai entrato
lì dentro...
Vero?
<< E' qui? >>
<< Si, 'Dashi! E' qui che mi hanno rubato il libro di
fisica quantistica... >>
Tadashi cercò di sorvolare sull'ultimo termine usato da
Hiro,
che a soli nove anni già leggeva quei testi. Teneva stretto
il
fratellino per la manina, mentre si lasciava condurre in uno dei
corridoi del liceo, ormai quasi vuoto dato l'orario di chiusura.
Era stata l'ennesima giornata di umiliazione per Hiro, e tutto per
colpa di quei bulli che non lo lasciavano stare. Quando Tadashi lo
aveva visto tornare a casa piangendo, lo aveva invitato a dirgli cosa
fosse successo. Ci volle un po', perchè il piccolo aveva
paura.
Ed era comprensibile, visto che quelli frequentavano l'ultimo anno ed
erano dei bestioni grandi e grossi con il taglio ridicolo e il
guardaroba altrettanto stupido.
<< Non è importante... Sul serio...
>>
<< No, Hiro. Se qualcuno non gli da una lezione, loro
continueranno a farti del male. E tu lo sai che fratellone
non
ammette che si prendano gioco di te. >>
Il bambino lo aveva guardato con gli occhi lucidi di ammirazione.
Tadashi era sempre stato il suo eroe, sempre.
Il ragazzo si avvicinò di soppiatto alla porta di una delle
aule, da cui provenivano risate sfacciate e insulti volgari. Si
abbassò all'altezza del fratellino, rivolgendogli un sorriso
gentile.
<< Ora ascoltami bene. Io vado a dargli una lezione. Tu
conta
fino a dieci, e se non dovessi tornare subito, vai a chiamare zia Cass,
d'accordo? >>
Hiro annuì, poco convinto e vide il fratello maggiore
svanire
dietro la porta scorrevole della classe. Trasse un respiro profondo,
chiuse gli occhi e cominciò a contare come Tadashi gli aveva
ordinato.
1.2.3.
Da dietro la porta si levarono piccole urla, con tanto di parolacce al
seguito.
4.5.6.
Strani rumori cominciarono a risuonare, facendo sì che il
suo
cuoricino cominciasse a battere più velocemente.
7.
Tadashi non era ancora uscito.
8.
I rumori continuavano, insieme alle grida.
9.
Hiro fece per chiamare zia Cass, quando dall'aula apparve Tadashi con
il suo libro di fisica quantistica nella sua mano sinistra. Aveva
qualche graffio sul volto e un livido sul collo che non
attardò ad annerirsi maggiormente, ma il suo sorriso era
quanto
più riuscisse a rassicurare il minore sul fatto che stesse
bene.
<< Quei tre non ti daranno più fastidio.
>> Disse, porgendogli il libro.
<< Ora però andiamo via, non vogliamo che
qualcuno scopra che cosa abbiamo fatto. >>
<< Grazie, 'Dashi! Sei il fratellone più buono
del mondo! >>
Fuggirono dalla scuola a gambe levate, ridendo sottovoce.
Conta
fino a dieci.
1...
2... 3...
Il
crepitìo delle fiamme era fastidioso, come un predatore che
rosicchia insistentemente la sua vittima.
4...
5... 6...
Il
fumo aveva completamente oscurato il cielo, occultato le stelle.
Sembrava che dovesse scoppiare una tempesta terribile da un momento
all'altro.
7...
8...
Perchè
Tadashi ci mette così tanto ad uscire dall'edificio?
9...
Adesso
esce. Adesso viene fuori, e fuggiremo via ridendo. Come abbiamo sempre
fatto... Come
abbiamo sempre fatto.
10.
Un
dolore lancinate al cuore costrinse Hiro a lanciare un urlo
soffocato, mentre la sua mente cominciò a mettere insieme i
frammenti di quel momento come un puzzle di cui non voleva conoscere il
disegno.
La
palazzina era esplosa. Il fuoco aveva avvolto tutto e aveva
distrutto l'edificio, riducendolo ad un pezzo gigantesco di carbone. E
Tadashi era rimasto dentro.
<<
Tadashi...! >>
Avvolto
dalle fiamme, ridotto in cenere dal calore soffocante. Le
sirene dei pompieri suonavano come un'eco distorta e lontana nelle sue
orecchie ancora otturate dal fischio causato dall'esplosione.
Ma
che importanza aveva adesso?
Erano
in ritardo. Era troppo tardi.
<<
Tadashi!!
>>
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Eco ***
<< Ieri
sera, 30 Novembre, alle
ore 20:09, un incendio ha distrutto la fiera di tecnologia che si tiene
ogni anno in onore delle matricole per l'istituto di ingegneria e
robotica di San Fransokyo.
Si sta ancora lavorando per cercare di comprendere l'origine delle
fiamme, mentre la scuola piange le vittime di quella serata infernale.
Robert Callaghan, 56 anni, professore di robotica nell'istituto sopra
menzionato, e Tadashi Hamada, 21 anni, studente.
Pare che il signor Hamada fosse rientrato all'interno dell'edificio
per trarre in salvo il professor Callaghan che era rimasto intrappolato
dentro. Una forte esplosione ha, in seguito, distrutto la palazzina,
prendendo le loro vite.
Il sindaco ha proclamato lutto cittadino per i prossimi tre giorni.
L'intera città di San Fransokyo si stringe intorno alle
famiglie
delle vittime, onorando i loro nomi che saranno ricordati come quelli
di due eroi, periti sotto una catastrofe che non hanno potuto evitare.
>>
Un'eco.
Un'eco era tutto ciò che sentiva. Rumori, voci sconnesse,
vibrazioni.
Ricordava poco di quella sera. Tutto si era spento, dopo l'incendio. La
sua mente, il suo corpo, il suo udito. Si sentiva un'involucro vuoto,
un'automa rotto che non reagisce più agli stimoli esterni.
Riusciva appena a ricordare i pompieri che lo trascinavano via, lontano
dalle fiamme, poggiandogli una coperta sulle spalle. Avevano sussurrato
qualcosa, ma ora trovava difficile sapere cosa gli avessero detto
esattamente. Aveva visto gli stessi uomini domare il fuoco, e portare
via una barella con un corpo su di essa, coperto da un drappo nero.
Aveva visto una donna urlare al cielo, accasciarsi di fronte a quel
corpo e piangere disperatamente.
Ricordava di aver gridato.
Aveva gridato il nome di Tadashi, sperando di ottenere una risposta.
Una risposta che adesso giaceva in una bara di legno, a pochi metri
dalla sua casa da cui sarebbe dovuto uscire a breve.
<< Hiro... Sei pronto, tesoro? >>
La voce di zia Cass appariva flebile, stanca, distrutta dalle grida che
aveva lanciato quella sera. Le sue iridi smeraldine risplendevano
particolarmente sullo sfondo della retina velata dalle lacrime. Un
vestito nero avvolgeva il suo corpo snello, lasciando gentilmente
scoperte le gambe, protette da un paio di calze dello stesso colore.
Non rispose. Non ne aveva la forza. Fissava il vuoto con sguardo vacuo,
senza ascoltare. Lo smoking nero, tirato fuori per l'occasione, doveva
ancora essere sistemato sui polsi e sulle spalle. La cravatta giaceva
inerme sulla poltrona di cuoio, in attesa di essere indossata.
Avvertì la donna aiutarlo a prepararsi. Gli alzò
delicatamente i polsi per abbottonare le maniche della camicia, e
appiattì con i palmi le spalle. Poi gli annodò la
cravatta al collo, prendendogli il viso tra le mani.
La guardò. Un sorriso triste faceva capolino tra le labbra
velate di rossetto della donna.
<< Dobbiamo andare... >>
Un'eco.
Un'eco era tutto ciò che sentiva, mentre il prete recitava
l'ultima omelia al funerale.
Osservò la tomba posta metri e metri sotto i suoi piedi.
Sembrava tutto un sogno. Una paralisi da cui sperava di risvegliarsi
presto.
Non gli sembrava possibile che Tadashi fosse chiuso lì
dentro,
nel suo vestito elegante che ricopriva il suo corpo ustionato.
Era un modo tremendo di morire. Doveva fare davvero caldo in
quell'edificio per essersi ridotto in quel modo.
Il cielo era nero quel giorno, nuvole piene di pioggia ricoprirono la
volta celeste come bambine perspicaci. Una giornata come quella non
aveva bisogno del sole, sarebbe stato fuori luogo. Sarebbe stata una
risata in un mare di pianti, un parassita tra i petali di una rosa.
L'aria cominciò a piangere. La gente aprì i
propri
ombrelli neri come la pece, come un corvo in procinto di morire.
Pioveva di nuovo.
Un'eco.
Un'eco era tutto ciò che sentiva, giù, appena
sotto le scale.
Erano tutti lì, tutti presenti ad onorare quel ragazzo
meraviglioso che era scomparso troppo presto. Le parole, la commozione,
i ricordi che diventavano lacrime ogni secondo che passava.
Erano tutti lì. Tutti tranne lui.
Lui osservava il vuoto, con il suo sguardo vacuo. Non riusciva neanche
a piangere.
Era solo.
Infine, era solo.
Vuoto come un buco nero, freddo come una goccia di rugiada in inverno,
fragile come i petali di ciliegio.
Il suo sguardo vagava nel buio delle scale, risalendo su per la parete.
Non aveva mai notato quante foto fossero appese lì. Tante
foto.
Di lui e Tadashi. Insieme. Da bambini, da adolescenti, da grandi.
No, non era giusto.
Il posto di Tadashi era lì, insieme a
lui. Perchè lo
aveva lasciato indietro? Perchè era entrato in
quell'edificio?
Perchè non era tornato, come gli aveva promesso?
Tadashi aveva sempre mantenuto le sue promesse. Sempre.
Le sue gambe lo fecero alzare, lo condussero nella sua camera. Nella loro
camera. Ma erano deboli, e lui fece appena in tempo a raggiungere il
lato della stanza di Tadashi, prima di crollare sul letto di suo
fratello. Le lenzuola, le coperte, il cuscino. Tutto aveva ancora il
suo odore addosso. Un profumo delicato di violetta e pioggia, che lo
aveva sempre rassicurato durante gli incubi.
Quello era un incubo. Presto si sarebbe svegliato.
Presto.
Pioveva di nuovo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Una mano dal fondo ***
Il rombo delle automobili risuonava nel quartiere. La vita
scorreva normalmente. La gente si affrettava al
lavoro, si concedeva ore di svago per andare al parco o fare shopping.
I negozi ospitavano i propri clienti con caldo benvenuto, vendendo i
loro prodotti. Il vecchio Kikuchi, il fioraio sotto casa, era chiuso
quel giorno. Lui e zia Cass avevano stretto amicizia quando la donna si
era trasferita nella zona per dirigere la sua caffetteria. L'uomo aveva
deciso di tener chiuso il suo negozio per rispetto.
Mochi continuava a miagolare intensamente. Stava seduto davanti alla
porta di casa, in attesa che il suo padrone l'aprisse e lo accogliesse
tra le sue braccia come aveva sempre fatto. Ma non succedeva
più
da molti giorni ormai, e il gatto continuava a miagolare, come un
bambino che piange nella notte.
I petali dei crisantemi che componevano la ghirlanda fuori dalla porta
del Lucky Cat Cafè danzavano delicatamente sulle note
inascoltabili di una brezza fredda, accompagnando i rami
dei ciliegi sul viale. Il sole era tornato a splendere, illuminando le
strade trafficate. Sembrava una giornata come tante altre per
tutte quelle persone là fuori.
Per Hiro, invece, le giornate dopo il funerale non erano più
state le
stesse. Una fiacca monotonìa aveva preso il sopravvento
sulla
sua vita. Il suo lato della stanza era immerso in
un'oscurità
affievolita dalla luce del mattino che spirava tra le fessure delle
persiane. Non aveva bisogno del sole. Come avrebbe potuto goderne,
quando Tadashi era metri sotto terra? Lì il sole non
arrivava,
solo freddo e umidità.
Se avesse potuto, anche lui sarebbe sprofondato nella terra gelida.
Almeno in quel modo, sarebbero rimasti insieme.
Vedere la vita scorrere normalmente fuori dalla finestra della sua
stanza gli fece ancora più male, e decise di spostarsi sulla
sua
poltroncina di cuoio. Si accasciò su di essa, guardando
senza
interesse il Megabot che teneva tra le mani. Usciva ogni sera, di
nascosto da zia Cass. Aveva ricominciato a fare i Bot-Duelli, a
scommettere, a distruggere i suoi avversari e a intascare i soldi senza
la minima emozione. Non gli importava più nulla di niente,
ormai. Sapeva che era pericoloso, e che una notte sarebbe potuta non
finire bene per lui. Ma dopo la morte di Tadashi, nulla aveva
più senso. Neanche il pericolo di essere massacrato di botte
lo
spaventava. Anzi, era
proprio quello che voleva.
La spirale catatonica in cui era avvolto in quei giorni senza scopo lo
abbracciava, cullandolo tra le sue mani scheletriche. La depressione in
cui era
precipitato era un pozzo profondo da cui non riusciva a uscire, e allo
stesso tempo una grande pelliccia che lo teneva al caldo, una coperta
di morte di cui non aveva paura.
Non riusciva più a fare niente da quel giorno. Non riusciva
a
inventare, nè a costruire, nè ad aiutare zia Cass
nella
caffetteria. Preferiva restare chiuso in camera, lontano da quelle
persone felici e da quei sorrisi spensierati. Non poteva capirlo
nessuno. E lui non poteva capire loro, nè la loro
felicità. Non
più.
<<
Ciao, tesoro. >>
Cass si presentò sulle scale, avvicinandosi a Hiro con passo
esitante. In mano teneva un piatto di frutta fresca e un muffin ai
mirtilli. Quella era la colazione preferita di suo nipote, che ormai
non scendeva più neanche a mangiare in cucina. Hiro
procedette a
nascondere il Megabot, rivolgendo alla donna un sorriso forzato.
<< Ciao, zia Cass. >>
<< La signora Matsuda è al piano di sotto.
Indossa un
vestitino non proprio adatto a un'ottentenne! Dovresti scendere...
>>
<< Magari dopo. >>
Solitamente, quel commento sulla vecchia cliente prosperosa del Lucky
Cat Cafè lo avrebbe fatto ridere. Adesso, gli sembrava
soltanto
una triste battuta priva di senso. In fondo, a loro cosa importava di
cosa indossasse la signora Matsuda? Declinò l'invito a
scendere,
non era dell'umore per affrontare tutta quella gente al piano di sotto.
Tanto meno era in vena di svagarsi. Non ne aveva le forze.
<< Mmh... Hanno richiamato dall'università. I
corsi sono
già iniziati da due settimane, ma... Dicono che sei ancora
in
tempo per iscriverti. >>
Cass posò sul davanzale della finestra il piatto della
colazione
e prese la cena ormai fredda della sera prima. Notò
tristemente che Hiro
non aveva nemmeno toccato la bistecca o l'onigiri che gli
aveva preparato.
Di solito divorava tutto subito.
Aprì la persiana, permettendo ad un raggio di sole di
entrare e
smuovere il pulviscolo invisibile da ogni parte della stanza e il suo
sguardo smeraldino cadde sulla lettera di ammissione che giaceva sulla
scrivania, mai aperta. La prese delicatamente fra le dita, come se
fosse un petalo fragilissimo di un fiore pregiato, e la
sistemò
accanto al computer.
Avrebbe tanto voluto che Hiro cominciasse ad andare al college. Era
sicura che lo avrebbe aiutato a risollevarsi, a superare il trauma che
aveva subito e ad andare avanti. Ma Cass sapeva anche che non poteva
forzare suo nipote a fare nulla, in quel momento.
La morte di Tadashi era stato come un incubo che si era ripetuto, e la
donna non avrebbe mai voluto che Hiro sperimentasse lo stesso dolore
che aveva provato lei quando aveva perso la sua gemella, la mamma del
nipotino. Ci doveva essere una maledizione sulla loro famiglia, aveva
pensato in un momento di disperazione. Il senso di colpa che
l'affliggeva per non essere stata in grado di proteggere Tadashi la
tormentava, come un parassita che rosicchiava pian piano le corde
dell'autostima e della sicurezza. Hiro non lo diceva, ma sapeva che la
zia scoppiava in lacrime una volta finita la giornata e si ritrovava da
sola, di notte.
Ancora capitava che apparecchiasse la tavola per tre, e quando se ne
rendeva conto era così difficile per lei trattenere il
pianto.
Vederla in quello stato peggiorava soltanto la condizione di Hiro.
Sapeva che avrebbe dovuto abbracciarla e cercare di farla sentire
meglio, così come lei stava provando a fare con lui, ma non
ci riusciva. Non riusciva a mettere piede fuori dalla
sua camera se non per andare ai Bot-Duelli di nascosto, a notte fonda.
E poi l'università, l'ultimo posto dove Hiro voleva andare.
Aveva perso tutto in quel luogo. L'unica persona che gli era stata
accanto per tutto quel tempo era stata uccisa dalle fiamme devastanti
che erano scoppiate per un motivo ignoto in uno dei suoi edifici. Come
poteva
zia Cass pretendere che lui tornasse lì, facendo finta che
non fosse successo niente? Facendo
finta che non mancasse niente?
<< Va bene, grazie. Ci penserò su.
>>
La sua risposta laconica fece capire alla zia di dover togliere il
disturbo. Cass sospirò e si diresse giù per le
scale con
uno sguardo afflitto che Hiro non ebbe modo di vedere. Gli occhi
nocciola del piccolo scrutarono infastiditi quel raggio di sole che
penetrava dalla finestra che la donna aveva appena aperto. Si
alzò e la chiuse di nuovo.
Non voleva luce nella sua
camera. Tadashi non sarebbe più riuscito a vederla, quindi
non l'avrebbe vista
neanche lui.
Si sedette alla scrivania e accese il computer, collegandosi alla
pagina internet dei Bot-Duelli. La casella chat segnalava un
messaggio-video. Vi cliccò sopra, senza il minimo interesse.
Davanti a lui, apparvero i volti di Gogo, Honey Lemon, Fred e Wasabi
che lo salutarono tristemente. Sui loro volti un sorriso forzato che
cercava di nascondere il dolore per la perdita del loro collega.
<< Ciao Hiro, volevamo solo salutarti... E sapere come
stai...
>> Fece Honey Lemon, che riprendeva probabilmente con il
suo
cellulare.
Hiro odiava quella domanda. Era così finta e retorica in
certe
situazioni, che spesso si era chiesto perchè la gente
sprecasse
il fiato a pronunciarla.
<< Ci manchi, piccoletto. >> Aggiunse
Wasabi.
<< Hiro, se avessi un super potere adesso, vorrei
infilarmi dentro la telecamera e darti un abbraccione. >>
Fred aveva chiaramente gli occhi lucidi mentre pronunciava quella
frase.
Hiro chiuse il video prima che potesse finire e si alzò
dalla
sedia, più infastidito che sollevato dalla preoccupazione
dei
colleghi di Tadashi.
Se non fosse stato per il fratello, i ragazzi non avrebbero mai neanche
saputo della sua esistenza, e il solo motivo per cui riceveva tutte
quelle attenzioni era perchè si sentivano in dovere di
farlo per il collega scomparso. Era per Tadashi che lo facevano, non
per lui. E Hiro non aveva bisogno di altra pietà da parte
loro.
Voleva soltanto restare solo.
Il suo sguardo cadde sulla lettera d'ammissione accanto al suo Megabot.
La prese tra le mani, sfiorando la superficie ruvida con i
polpastrelli.
Aveva sudato tanto per ottenere quella lettera, quel pezzo di carta che
gli avrebbe permesso di entrare nella scuola più prestigiosa
della città. Il suo biglietto per il futuro.
Tadashi avrebbe voluto che ci andasse, che ricominciasse a vivere, a
inventare, a costruire. A
usare il suo talento per qualcosa di importante.
Tadashi avrebbe voluto che stesse vicino ai suoi amici, in modo che
questi sarebbero poi diventati anche amici di Hiro.
Ma Tadashi non c'era più. Se n'era andato. E non sarebbe
tornato.
Come poteva Hiro scegliere di condurre una vita nuova senza suo
fratello, senza sentire la mancanza della persona più
importante
della sua vita?
No. Tadashi non avrebbe più potuto avere la vita che
sognava, la
vita che sognavano entrambi. Quindi non l'avrebbe avuta nemmeno lui.
Lasciò cadere la lettera nel cestino della carta, sotto la
scrivania. Non ne valeva più la pena, ormai.
Prese il Megabot per stendersi di nuovo sulla poltroncina quando uno
dei magneti che lo tenevano insieme si staccò dalla parte
superiore e cadde violentemente sull'alluce del ragazzino,
procurandogli un fortissimo dolore. Hiro barcollò fino al
capezzale del letto, stringendo la parte lesa tra le mani.
<< Ahi! >>
Un rumore familiare si insinuò nelle sue orecchie,
costringendolo a voltarsi. Rimase sorpreso nel vedere Baymax, il robot
costruito da Tadashi, osservarlo dall'altra parte della stanza.
L'automa guardò prima a destra e poi a sinistra, cercando un
modo per spostarsi dall'intervallo tra il letto e la libreria. Mosse
piccoli passi verso la sua destra e si bloccò di nuovo,
osservando Hiro che nel frattempo lo guardava confuso. Alzò
leggermente le braccia gonfiabili e tentò di passare in
maniera
goffa. Sembrava quasi un pinguino con qualche difficoltà a
camminare sul ghiaccio. Al suo passaggio, urtò alcuni dei
libri
di studio di Tadashi, che caddero a terra con un tonfo leggero. Una
volta libero, Baymax abbassò le braccia e si diresse
finalmente
verso Hiro, sollevando la mano bianca per simulare il saluto.
<< Ciao, io sono Baymax. Il tuo operatore sanitario
personale. >>
La sua voce dal forte suono umano e caldo riportò Hiro alla
prima volta che lo aveva visto.
<< Ciao, Baymax... Io non sapevo fossi ancora... Attivo.
>>
<< Ho sentito un verso di dolore. Dimmi,
qual'è il problema? >> Chiese il robot,
inclinando un po' la testa.
<< Oh, ho solo preso una botta al piede. Sto bene.
>>
Probabilmente, la sua risposta non doveva averlo convinto
perchè
Baymax portò leggermente in avanti il pancione, che si
illuminò con la schermata della scala grafica del dolore.
<< In una scala da uno a dieci, come valuti il tuo
dolore? >>
<< Uh... Zero? Sto bene, davvero. Ora puoi anche
zipparti. >>
<< Ti fa male se lo tocco? >>
<< No, non serve! Non si tocca! >>
Hiro non riusciva a capire per quale motivo Baymax insistesse tanto. La
botta era stata forte, ma il dolore era ormai passato e non c'era
effettivamente bisogno di nessun rimedio medico. Cercò di
allontanare il robot che tentava costantemente di toccargli il piede,
quando nel farlo inciampò sulla cassetta degli attrezzi
dietro
di lui e cadde tra il letto e la scrivania. Cercò di tirarsi
fuori, ma si arrese subito all'idea di essere rimasto incastrato. La
solita fortuna, pensò. Solo un imbranato magro come lui
poteva
essere capace di incastrarsi in uno spazio così ristretto.
Baymax si chinò su di lui, scrutandolo con
curiosità.
<< Tu sei caduto. >>
<< Davvero?!
>>
Replicò sarcastico il ragazzino. Allungò un
braccio,
tentando di afferrare la mensola appena sopra la scrivania per tirarsi
su quando il gancio che la teneva rigida alla parete si
spezzò,
inclinandola. In poco tempo, tutte le action figures,
i modellini e pupazzetti di Hiro gli caddero addosso, ricoprendolo come
un alberello di natale disordinato. Baymax non faceva altro che
domandare quanto Hiro valutasse il suo dolore ogni volta che uno di
quelli gli finiva in faccia.
<< Zero! >> Esclamò spazientito,
gli occhioni castani erano l'unica cosa che spiccava tra i giocattoli.
<< Puoi anche piangere se vuoi. Il pianto è
una naturale conseguenza del dolore. >>
<< N-non sto piangendo! >>
Baymax si era finalmente degnato di aiutarlo a tirarsi fuori dal
minuscolo spazio vitale, prendendolo in braccio come fosse un neonato.
Hiro rimase per un momento incredulo davanti alla gentilezza del robot,
ma si divincolò subito dalla sua presa, imbarazzato.
<< Ora eseguirò uno scan. >>
<< Non provarci nemmeno! >>
<< Scan completato. >>
<< E' incredibile... >>
Non aveva neanche fatto in tempo a impedirgli di scansionarlo che
Baymax aveva già provveduto a fargli un analisi
più che
accurata del suo organismo.
<< Non hai riportato alcuna lesione. Tuttavia, i tuoi
livelli di
ormoni e neurotrasmettitori indicano che sei soggetto a sbalzi d'umore,
comuni nell'adolescenza. >>
Hiro ascoltava in silenzio con uno sguardo di pura
confusione.
Sembrava che Baymax avesse preso le veci di uno strizzacervelli e lo
stesse analizzando con una strana tecnica freudiana. Perchè
gli
stava riferendo la sua attività ormonale e neurale? Qual'era
la
conclusione di tutto ciò?
<< Diagnosi: pubertà.
>>
<< Whoah, cosa?! >>
Baymax puntualizzò il suo resoconto, puntando un dito verso
l'alto. Hiro non potè fare a meno di essere sopreso
dall'inaspettata risposta del robot e sentì le guance
accaldarsi. Quella discussione stava prendendo una piega molto strana.
Tossicchiò, decidendosi a prendere la custodia del robot.
<< Va bene... Mmh... Ora puoi disattivarti!
>>
Peccato che il robot non sembrava interessato al fatto che il suo
"paziente" fosse chiaramente in imbarazzo.
<< Dovrai aspettarti un incremento pilifero. Specialmente
sul
volto, sotto le ascelle, sul petto, sulle gambe e... >>
<< Grazie! E' sufficiente! >>
Hiro sapeva bene quali fossero i vari stadi della pubescenza, e non
aveva bisogno di sentirselo dire da un robot infermiere. Era meglio
chiudere subito quella conversazione, prima che potesse degenerare!
Appoggiò la custodia di Baymax per terra e si
arrampicò
su di lui per tentare di farlo entrare nel piccolo spazio. L'automa,
intanto, continuava ad elencare le varie caratteristiche tipiche del
passaggio dall'età infantile all'adolescenza, tra cui
l'urgenza
di soddisfare alcuni impulsi
strani e irrefrenabili. Hiro forzò le braccia, cercando di
schiacciare Baymax per farlo entrare nella sua custodia, ma il vinile e
l'aria compressa al suo interno gli rendevano la cosa estremamente
difficile. Il risultato fu un inutile appiattimento del robot, che gli
conferiva una forma grottesca.
<< Non posso disattivarmi finchè non mi dici
che sei soddisfatto del trattamento. >>
Finalmente Baymax sembrò comprendere ciò che Hiro
voleva davvero e gli rammentò il modo per disattivarlo.
<< Va bene! Sono soddisfatto del... Ah! >>
Si ritrovò a terra con un balzo dopo essere scivolato sopra
Baymax. Sbuffò seccato, quando la sua attenzione
venne
attirata dalla felpa gettata sotto il suo letto. Sembrava esserci
qualcosa nella sua tasca, qualcosa che si muoveva freneticamente. Hiro
la prese e vi infilò la sua mano, tirando fuori il piccolo
microbot che aveva usato per presentare il suo progetto alla fiera. Si
ricordò d'un tratto di averlo rimesso in tasca una volta che
Alister Krei gli aveva chiesto di poterlo vedere da vicino. La cosa
strana era il modo in cui si muoveva. Sembrava un'ape impazzita.
<< Non capisco... Sono confuso. >>
<< Un pubescente che si affaccia alla maturità
può
capitare che abbia le idee confuse. >> Asserì
Baymax,
avvicinandosi a lui.
Hiro lo ignorò, posando il microbot in una piccola teca di
vetro.
<< No. Questo qui è attratto dagli altri
microbot, ma
è impossibile. Sono andati distrutti nell'incendio... Forse
è impazzito. >>
Lo osservò per un pò, prima di decidere di
lasciar
perdere, e recuperò il pezzo rotto del Megabot, sedendosi
alla
scrivania per ripararlo. Baymax, incuriosito dal piccolo bot, prese la
teca dove Hiro lo aveva posato e ne seguì distintamente il
movimento.
<< Il tuo piccolo robot cerca di andare da qualche parte.
>> Informò, tenendolo tra le mani gommose.
<< Ah, si? Allora... Scopri dov'è diretto.
>>
<< Questo stabilizzerebbe i tuoi sbalzi d'umore puberali?
>>
<< A-ah, assolutamente si. >>
In realtà, era palese che Hiro non aveva il minimo interesse
di
sapere perchè il microbot si stesse comportando in quel
modo.
Riteneva certo che fosse rotto e che in realtà non stesse
cercando nulla, nè tanto meno di condurli da qualche parte.
D'altra parte, Baymax era solo un robot, non poteva essere
così
intelligente da aver capito dove voleva andare il minuscolo bot, sempre
ammesso che volesse andare da qualche parte. Mentre stava avvitando uno
dei ferretti che si era sganciato dal Megabot, il ragazzino
sentì distintamente il campanello della porta della
caffetteria,
con tanto di porta chiusa al seguito. Alzò lo sguardo,
sorpreso
di non sentire più Baymax che gli parlava di continuo.
<< Uh... Baymax? Baymax? >>
Chiamò il nome del robot un paio di volte, cercandolo per la
stanza. Quando capì che non c'era, la realizzazione lo
urtò come un muro di mattoni. Si affacciò alla
finestra
per vedere Baymax camminare incurante in mezzo alla strada, rischiando
di venire investito o di causare un incidente. I freni dei veicoli che
per poco non lo avevano colpito in pieno stridevano fuiosamente
sull'asfalto. Hiro urlò, si infilò in fretta le
scarpe e
la felpa e scese nella caffetteria per uscire e recuperare il robot. Il
locale era di nuovo pieno, e molti clienti stavano ordinando o gustando
le loro ordinazioni composte da caffè, cioccolata calda,
muffin
e crostate alla fragola. Appena Hiro fece per raggiungere la porta, zia
Cass lo vide e lo fermò, sorpresa.
<< Hiro? >>
<< Eh-ehi, zia Cass! >>
<< Oh... Sei in piedi! >>
<< Già... Ehm... era arrivato il momento!
>>
<< Vai a iscriverti all'università?
>>
<< Ehm, si! Ho pensato al tuo discorso, è
stato illuminante! >>
<< Oh, tesoro! E' fantastico! >>
Cass abbracciò forte il nipotino, un sorriso felice
illuminava
il suo viso. Hiro, invece, aveva una tremenda fretta di fuggire fuori
per recuperare Baymax prima che fosse troppo tardi. Gettò
uno
sguardo con la coda dell'occhio fuori dalla porta vetrata del locale e
vide distintamente il suo grosso corpo bianco girare l'angolo,
concentrato a
seguire la strada che il microbot gli stava indicando. Cercò
di
divincolarsi delicatamente da lei, che nel frattempo elencava la spesa
che avrebbe fatto per preparare la cena.
<< Allora stasera preparo le ali di pollo! Quelle
piccanti, che
ti fanno fare le facce buffe! >> Esclamò
contenta, facendo
una smorfia.
<< Ok, non vedo l'ora! >> Tagliò
corto Hiro.
<< Ultimo abbraccio! >>
La donna lo strinse di nuovo a sè, prima di lasciarlo andare
con
un sorriso malinconico. Il ragazzino si precipitò fuori,
scontrandosi con il traffico e il rumore che ormai era diventato
soltanto un suono attutito dalla finestra della sua camera.
Svoltò l'angolo rischiando di cadere e riuscì a
vedere
Baymax che attraversava la strada, gli occhi neri fissi sul microbot,
incurante dei camion, i motorini e le automobili che lo evitavano per
un pelo o che frenavano bruscamente. Gli sguardi increduli della gente
si soffermavano su quell'essere bianco e paffuto che camminava
tranquillamente per la via.
Hiro chiamò il suo nome, ma sembrava che il robot non
riuscisse
a sentirlo. Fermato dal traffico, il ragazzino fece il giro largo del
quartiere, ritrovandosi in una delle vie centrali. Si guardò
intorno, cercando Baymax con lo sguardo quando lo notò
serenamente appostato su un tram che percorreva la strada principale.
Cercò di seguirlo, ma al suo passaggio i semafori scattarono
con
il verde, permettendo ai veicoli di ripartire e per poco non venne
investito da un'auto. Raggiunto il tram, che si era finalmente fermato,
Hiro notò che Baymax non c'era più.
Attraversò un
vicoletto che si estendeva dalla piazza ai quartieri commerciali.
Quella zona era sempre affollatissima, la gente camminava stretta e a
pochi passi di distanza come formiche laboriose.
Hiro intravide Baymax girare l'angolo di un vicolo più
stretto.
Cercò di raggiungerlo, facendosi strada tra le persone.
Odiava le folle, era uno dei motivi per cui non usciva spesso di casa!
Il disordine inadatto che tutta quella gente procurava senza scopo, ma
quasi intenzionalmente lo aveva sempre irritato.
Riuscì ad insinuarsi nella stradina imboccata dal robot poco
prima e si fermò un'istante, guardando in tutte le direzioni
prima di vederlo di nuovo. Corse nella direzione in cui andava, ma
scivolò su uno scatolo ancora umido di sushi lasciato per
terra. Si rimise in piedi e tornò ad inseguirlo, incurante
della botta che aveva preso alla schiena.
Finalmente lo raggiunse. Baymax stava in piedi davanti ad un magazzino
abbandonato. Il legno con cui era stato costruito era ormai marcito, e
nella recinzione che lo isolava dal terreno al di fuori di esso erano
cresciute erbacce e piante infestanti. Le finestre erano ridotte a
semplici fori, alcuni dei vetri erano andati in frantumi.
<< Baymax! Sei impazzito! Che stai facendo?!
>> Chiese Hiro, raggiuggendo il robot.
Si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato. Quella corsa
lo
aveva distrutto, e aveva un dispersato bisogno di ossigeno nei polmoni
brucianti.
<< Ho scoperto dove vuole andare il tuo piccolo robot.
>>
Affermò Baymax, con la sua solita pacatezza elettronica.
<< Te l'ho detto, non funziona! Non sta cercan... do...?
>>
Hiro prese la piccola teca di vetro in cui era conservato il microbot
dalle mani di Baymax e si rese conto di cosa il robot volesse dire. Il
piccolo bot ora non faceva più movimenti sconnessi, ma
sembrava
seguire una direzione precisa. L'entrata del magazzino. Hiro si
avvicinò al portone in acciaio, ma constatò
subito che
era chiuso a causa di una spessa catena avvolta intorno alle maniglie
che culminava in un lucchetto di bronzo.
Non c'era modo di entrare.
<< Lì c'è una finestra.
>> Notò Baymax, guardando in alto.
Effettivamente ad una delle finestre più basse mancava la
vetrata inferiore. Ma per Hiro era comunque troppo alta. Baymax si
offrì volontario per aiutarlo, permettendogli di
arrampicarsi
sul suo corpo per raggiungerne il davanzale scrostato. Il ragazzino non
ascoltò ciò che il robot aveva da dire riguardo
alla
caduta da quella altezza, troppo concentrato a spiare l'interno della
struttura in rovina. Dentro era buio e sembrava non ci fosse nessuno.
Hiro si tirò su e strisciò per un po' sul
pavimento prima
di tirarsi su.
Il magazzino sembrava molto vasto, seppur completamente vuoto. Varie
rampe di scale di ferro si estendevano lungo il perimetro dell'edificio
e alcuni attrezzi erano stati abbandonati lì. Pezzi di vetro
erano caduti dalle finestre e alcune travi di legno erano collassate,
corrose dall'acqua e dall'umidità. Era una visione davvero
spettrale, constatò Hiro, quando un rumore soffuso simile ad
un
palloncino che urta una parete ruvida lo costrinse a voltarsi.
<< Oh no. >>
Baymax aveva cercato di seguire Hiro e nel farlo si era incastrato
nello spazio libero della finestra.
<< Shh! >> Fece lui, preoccupato che
qualcuno potesse sentirli.
<< Perdonami. >> Disse il robot, puntando
il dito verso
l'alto. << Devo espellere un pò d'aria.
>>
Appena finì di dirlo, cominciò a sgonfiarsi
producendo
l'esatto suono di un palloncino pieno d'aria che viene sgonfiato
lentamente, con un rumore simile ad una pernacchia. La lentezza con cui
Baymax si riduceva prese la forma invisibile di almeno un minuto di
tempo, in cui Hiro non riuscì a fare nulla se non fissarlo
allibito, e allo stesso tempo con il cuore in gola semmai
qualcuno li avesse sentiti.
<< Hai finito? >>
<< ... Si. >>
Baymax cadde floscio sul pavimento e Hiro lo aiutò ad
entrare, trascinandolo per la braccia ormai molli.
<< Mi ci vorrà solo un minuto per rigonfiarmi.
>>
<< Va bene, ma non fare rumore. >>
Il ragazzino prese in mano la teca con il microbot e lo
seguì
giù per le scale, facendo attenzione ai gradini mancanti e a
quelli distrutti. Arrivò al piano terra, notando quella che
sembrava un piccolo bunker di vetro granulato proprio al centro del
magazzino, da cui riuscì a distinguere delle strane sagome
in
movimento. Hiro deglutì, afferrando una scopa appoggiata al
pilastro accanto a lui. Trasse un respiro profondo e decise di
avvicinarsi un po' di più.
Sentiva il cuore battere all'impazzata per la paura. Qualunque cosa ci
fosse in quel bunker, non era lì per caso. Quel magazzino
sembrava abbandonato da molto tempo, perchè qualcuno avrebbe
dovuto lavorare lì? E se avesse visto qualcosa che non
doveva
vedere? Se si fosse trovato immischiato in una faccenda losca da cui
non sarebbe più potuto uscire?
Era tutto così tranquillo e silenzioso. Troppo tranquillo.
Si sentiva osservato, come se ci fossero mille occhi
nell'oscurità rivolti verso di lui.
Quella scopa sicuramente non sarebbe bastata a proteggerlo, ma era
meglio di niente.
Avvicinò il viso al vetro granulato del bunker e
riuscì a
intravedere quelli che sembravano due braccia meccaniche impegnate a
lavorare, sembrava che stessero producendo qualcosa. Un leggero suono
metallico proveniente da appena fuori la piccola struttura lo condusse
verso un nastro trasportatore di cuoio verde, da cui fuoriuscivano
piccole scheggie di ferro nero che affondavano in un barile pieno.
Hiro li riconobbe subito. Sgranò gli occhi, affondando le
mani
in quella marmaglia nera come il petrolio e fredda come un cadavere.
<< I miei microbot...? >>
Alzò lo sguardo confuso davanti a lui, riconoscendo
moltissimi altri barili di quel tipo. Tutti pieni di microbot.
<< E sono anche un bel pò... >>
I suoi occhi nocciola caddero su un'enorme lavagna appesa ad una parete
alla sua destra, su cui erano incollati quelli che sembravano vari
ritagli di giornale di qualche anno prima, articoli di vecchie riviste
scientifiche e fogli con calcoli e formule. Al centro, un disegno di
una rondine faceva capolino tra la confusione di quei pezzi di carta,
posando sovrana su una mappa di tutta la città di San
Fransokyo.
Gli occhi di Hiro seguirono un sottile filo rosso che correva
dall'angolo della lavagna ai vari fogli lì appesi,
culminando in
uno dei luoghi della cartina.
Forse era meglio andarsene, pensò. Aveva una brutta
sensazione.
Sembrava che qualcosa di macabro fosse in procinto di accadere, ma per
qualche strana ragione non riusciva a non essere curioso di quello che
stava scoprendo.
<< Hiro. >>
<< Ah!!
>>
Sussultò spaventato, una mano sul cuore che batteva
furiosamente. Baymax lo guardava con i suoi occhi neri, incurante del
fatto che lo avesse appena terrorizzato a morte. Il silenzio e la
suspense gli avevano messo addosso così tanta tensione che
si
era completamente dimenticato del robot.
<< Mi è venuto un infarto! >>
<< Le mie mani hanno la funzione defibrillatore. Libera.
>>
Baymax si strofinò le mani, che si illuminarono di un vivace
colore blu elettrico, e le avvicinò ad Hiro.
<< Fermo! E' solo un modo di dire! >>
Un rumore viscido e insidioso ma terribilmente familiare
arrivò
alle sue orecchie, costringendolo a voltarsi lentamente.
<< Oh no. >>
Baymax rivolse lo sguardo appena sopra di lui, indicando la fonte di
quel macabro suono. I microbot che giacevano nei vari barili avevano
tutti preso vita, creando un'altissima e pericolosa muraglia nera e
informe. Hiro gridò, correndo verso l'uscita, quando si
accorse
che Baymax era decisamente troppo
lento per seguirlo come avrebbe dovuto. Camminava tranquillamente,
ignaro del pericolo che correva.
<< Oh, andiamo! >>
<< Io non sono veloce. >>
<< Già, me ne sono accorto! >>
Tornò indietro e lo afferrò per il braccio,
trascinandolo
via con sè il più veloce possibile.
Cercò di
aprire il portone del magazzino con un calcio, ma si ricordò
troppo tardi che era chiuso a chiave. E lui era troppo mingherlino per
poterla abbattere. Con il respiro mozzato per la paura,
supplicò
Baymax con lo sguardo di aiutarlo.
<< Buttala giù! >>
Baymax alzò una gambetta di vinile e urtò
gentilmente la superficie annerita della porta.
<< Prendila a pugni! >>
Chiuse la mano gommosa a pugno e di nuovò toccò
appena il
portone, rimbalzando delicatamente. Hiro urlò frustrato.
Dietro
di loro, i microbot si avvicinavano velocemente, come un'onda furiosa
in procinto di travolgerli. Il ragazzino prese Baymax e lo spinse
davanti a lui, costringendolo a correre. Si infilarono in corridoi
stretti e il robot sbattè imperterrito contro varie
tubature.
Hiro lo spinse lungo uno stanzino strettissimo per il robot,
che si contrasse, sfregando la superficie ruvida con un fastidioso
rumore. Una volta usciti da quello spazio ristretto, il ragazzino
provò
a chiudere il portello, ma vennero entrambi spinti via violentemente
dall'ondata di microbot che riuscì a spezzare completamente
quella porta di ferro.
Caddero supini sopra una grata arrugginita e Hiro riconobbe subito uno
dei condotti di scarico ormai inutilizzati.
<< Forza, muoviamoci! >>
Spinse Baymax nel condotto, strisciando sul pavimento di acciaio
freddo mentre l'istinto di sopravvivenza prendeva lentamente il
sopravvento sulla paura di essere fatto a pezzi dall'orda di microbot
che li inseguiva inarrestabile. Il suono tetro dei piccoli bot sul
ferro lo fece rabbrividire. Sembravano tanti piccoli scarafaggi
che morivano dalla voglia di cibarsi del suo corpo. Arrivò
ad un
bivio e seguì la luce emanata da una delle grate rimaste
aperte,
alla sua sinistra.
Seguì il sentiero e fu fuori, tirando via anche Baymax.
Corsero
per raggiungere le scale, quando un'improvviso sbalzo verso l'alto li
catapultò violentemente in aria. Hiro lanciò un
grido
soffocato. Si schiantarono contro una piattaforma al piano
superiore, e il ragazzino avvertì lo stomaco
contrarsi
violentemente all'urto. Un dolore lancinante colpì la pancia
magra e i muscoli delle braccia. A niente era servito il tentativo di
Baymax di attutire il tonfo, avvolgendogli le spalle con il suo braccio
gonfiabile.
Qualcosa non quadra, pensò Hiro. I microbot non potevano
semplicemente aver preso vita. Il suo trasmettitore neurale che aveva
usato per controllarli alla presentazione era rimasto nell'edificio che
aveva preso fuoco. Ma se i microbot erano stati portati via da
qualcuno, allora anche il neurotrasmettitore era stato messo in salvo.
O meglio, finito nelle mani di qualcuno che sapeva bene come usarlo e
stava controllando i microbot per ucciderlo.
Aprì gli occhi e il suo sguardo si scontrò con
una sagoma nera in fondo al ponte.
Un tenue raggio di sole pallido illuminava la figura che stava dritta
in piedi, in silenzio, le mani coperte da guanti neri che controllavano
i movimenti dei piccoli bot.
Hiro osservò meglio il suo volto. Aveva qualcosa di strano.
La sua faccia non era... umana.
Gli occhi gialli privi di iridi, lacrime di sangue che fuoriuscivano
dalle orbite e un volto pallido come il viso di un fantasma.
Una maschera.
Chiunque fosse quella persona, indossava una maschera kabuki.
Sembrava un demone, un incubo che tormenta i sogni e la mente nel cuore
della notte, rifugiandosi nelle tenebre più nere.
Si diresse verso Hiro con improvvisa velocità, costringendo
il
ragazzino a rimettersi in piedi e a dirigersi verso la finestra da cui
erano entrati. Spinse Baymax davanti a lui e lo forzò ad
uscire,
ma il robot rimase incastrato. Hiro si voltò verso il loro
inseguitore, che avanzava sempre più minaccioso. Dietro
di lui, i microbot si estendevano come un nido di serpi brulicante di
pericolo.
<< Avanti, sgonfiati! >> Ordinò
a Baymax, cercando
di spingerlo giù, ma la forza che ci mise questa volta fu
troppa
e in un attimo si ritrovò sospeso nel vuoto, aggrappato alla
gamba del robot. All'improvviso, una forte spinta dall'interno li
catapultò nell'aria, rischiando di farli schiantare al
suolo.
Tutto rallentò in quel momento. Hiro vide il cielo terso
sopra
di lui, e quasi non riusciva a credere che quella poteva essere
l'ultima cosa che vedeva. Nessuno avrebbe saputo dove trovarlo, nessuno
avrebbe saputo chi lo aveva spinto giù.
Poi intorno a lui, due braccia morbide e sicure lo strinsero,
schiacciandolo delicatamente
contro un letto soffice. L'aria fredda che gli aveva sferzato il viso
si arrestò per un attimo, diventando calda e rassicurante.
Come una coperta di lana in una notte d'inverno, una pezza fresca sulla
fronte accaldata dalla febbre.
Hiro avvertì Baymax proteggerlo mentre cadevano
giù. Per
un attimo, si sentì al sicuro. Quasi non sembrava che di
lì a poco si sarebbero schiantati al suolo.
L'atterraggio fu, però, più morbido del previsto.
Baymax
rimbalzò su se stesso e finì a terra, lasciando
finalmente andare Hiro, che si ritrovò seduto sul pavimento
fuori dal magazzino. Il piccolo guardò il robot per un
attimo,
indeciso su cosa fare. Avrebbe dovuto ringraziarlo per avergli salvato
la vita, ma quando il suo sguardo volò sulla finestra da
dove
erano usciti, i suoi pensieri si congelarono.
Il fantasma in nero era ancora lì, gli occhi gialli
scrutavano il
ragazzino senza alcuna pietà o rimorso per ciò
che aveva
tentato di fare.
Hiro si alzò in piedi e aiutò Baymax a mettersi
su.
<< Forza, andiamo via! Subito! >>
Corsero via, lasciandosi alle spalle il magazzino abbandonato. Il
fantasma scomparve.
______________________________________________________________________________________________________________________________
Sono
tornati gli angoli dell'autrice!
Ebbene,
niente di nuovo qui. O forse si? Devo essere sincera, questo
è stato uno dei capitoli più difficili da
scrivere, perchè c'è così tanto
movimento che per un attimo non ero sicura di poter stare dietro a
tutta questa frenesia. Ma questo è anche uno dei motivi per cui amo Big
Hero 6 quindi, touchè, film.
Io
come al solito ringrazio tutte le persone che stanno leggendo questa
storia, Emmydreamer_love2004, fenris e Emmett Brown per le recensioni e
noi ci vediamo ad un prossimo capitolo. (-semicit.)
LittleBloodyGirl
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Uno della famiglia ***
<< Vediamo se ho capito bene. Un uomo con una
maschera kabuki vi ha
aggrediti con dei robot volanti in miniatura? >>
<<
Microbot! >>
<<
Microbot... >>
Il
poliziotto che stava prendendo informazioni riguardo alla denuncia
appena fatta da Hiro appariva più annoiato del solito.
Pigiava
lentamente i pulsanti della tastiera per scrivere il referto, ma dal
suo sguardo sembrava che avesse appena sentito una vecchia barzelletta
che non faceva più ridere. A volte, degnava di uno sguardo
la
piccola teca tra le mani del ragazzino davanti a lui, senza chiedersi
che cosa contenesse.
<<
Li controllava telepaticamente attraverso un trasmettitore neurale.
>>
<<
Quindi l'uomo mascherato ha usato la telepatìa per sferrare
un attacco a te e all"uomo palla"? >>
Nel
frattempo, Baymax staccò un pezzo di nastro adesivo che si
trovava sulla scrivania dell'ufficio di polizia e cominciò a
rigonfiare
tranquillamente il suo braccio destro, che si era sgonfiato per
attutire la caduta dalla finestra del magazzino. Un fastidioso fischio
fuoriuscì dai fori del vinile, diventando sempre
più acuto man mano che il robot li tappava. Il tutto con una
tremenda lentezza che rendeva l'azione di tappare quei buchi la cosa
più soddisfacente dell'universo! Una volta finito, Hiro non
fece
neanche in tempo a tirare un sospiro di sollievo che Baymax
gonfiò anche l'altro braccio, ripetendo esattamente la
stessa
scena di prima.
Il
poliziotto, vagamente rassegnato, avvicinò al robot il
nastro adesivo che era ormai quasi finito.
<<
Tu hai sporto denuncia quando ti hanno rubato i tuoi robot volanti?
>>
<<
No, credevo si fossero distrutti! >> Esclamò
il ragazzino, frustrato.
Si
passò le dita tra i capelli, sfregando involontariamente la
fronte. Come faceva a fargli capire che non stava scherzando? Certo,
non era una storia che si sentiva tutti i giorni, ma era sicuro di
quello che aveva visto e adesso doveva solo cercare di convincere
l'agente che non lo stava prendendo in giro. Purtroppo, non aveva prove
che potessero dimostrare che cosa era
successo in quel magazzino. Sarebbero servite delle fotografie, dei
video...
Forse
Baymax aveva ripreso il tizio mascherato! Dopotutto, era un
robot. E i robot sono programmati anche per registrare e conservare
dati di quello che vedono!
<<
Senta, lo so che sembra assurdo, ma Baymax ha visto tutto!
>>
L'ennesimo
sguardo disinteressato da parte dell'anziano poliziotto lo costrinse a
supplicare il robot di aiutarlo.
<<
Diglielo, Baymax! >>
<<
Si, agente. Dice la veritàà... Aaaah... Uuuoooh...
>>
La
testa di Baymax schioccò velocemente di lato e il suo corpo
morbido cominciò ad afflosciarsi come un palloncino sgonfio,
mentre la sua voce si distorceva in modo inquietante.
<<
Ma che... Che ti succede? >>
<<
Batteria scuaaricauuu...
>>
L'agente,
nel frattempo, osservava la bizzarra scena con la stessa
emozione di qualcuno che ha appena guardato una noiosa telenovela. Il
robot bianco cominciò ad emettere strani suoni gutturali e a
muoversi come un ubriaco, flaccido e debole. Erano anni che diceva di
voler andare in pensione solo per non dover più avere a che
fare
con ragazzini che facevano finta di denunciare solo per il gusto di
prendere in giro la polizia. Ne aveva viste di tutti i colori e quello
spettacolo non era niente di nuovo per lui. L'unica cosa che non aveva
ancora visto era un robot gonfiabile che usava le sue braccia come
piffero e che faceva l'ubriacone quando la sua batteria si scaricava.
Adesso
poteva dire di aver davvero visto tutto.
<<
Giovanotto, io chiamerei i tuoi genitori e li farei venire qui.
>>
<<
Cosa? >>
Hiro
intanto cercava di sostenere Baymax che non ce la faceva
nemmeno a reggersi in piedi. Quando l'agente gli fece quella proposta,
l'unica cosa che capì fu che doveva andarsene da
lì il
prima possibile. Non solo era orfano, ma non voleva nemmeno un'altra
tirata d'orecchie da zia Cass che si sarebbe sicuramente preoccupata
più del solito se l'avessero chiamata in centrale. Si
appoggiò il robot sulle spalle mingherline e corse dritto
verso
l'uscita, lasciando che Baymax si tirasse dietro il nastro adesivo
dalla scrivania dell'ufficio.
<<
Devo riportarti a casa per ricaricarti. >>
<<
Hic! >>
<<
... Puoi camminare? >>
<<
Ora
eseguirò uno scan- scan completato- Hic!
Qual'è-il-problema? >>
(•—•)
Riportare
a casa un Baymax scarico equivalse al riportare a casa una
persona che aveva bevuto un po' troppo. Nonostante lo scheletro in
fibra di carbonio fosse leggero, il peso del vinile si poteva sentire
tutto e trascinarlo sulle spalle senza dare nell'occhio si era
rivelata un'impresa praticamente impossibile. Ogni persona che aveva
incontrato per strada gli aveva rivolto uno sguardo confuso, disgustato
e sorpreso. Ci si erano messi anche i bambini più piccoli
che
volevano toccare Baymax a tutti i costi.
La
questura era dall'altra parte del quartiere in cui Hiro abitava, e
con l'automa scarico che lo rallentava ci vollero quasi due ore per
arrivare. Il ragazzino aprì silenziosamente la porta sul
retro e si mosse con passo
felpato per non farsi sentire dalla zia. Baymax lo seguì
goffamente e si spostò di
lato, muovendosi come una marionetta bagnata. Hiro lo
riportò in
equilibrio, voltandolo verso di lui in modo che potesse rivolgergli la
poca attenzione che aveva.
<<
Ok. Se mia zia fa domande, siamo stati a scuola tutto il giorno,
chiaro? >>
<<
Siamo saltati giù da una finestra! >>
La
voce improvvisamente squillante costrinse Hiro a sussultare e a
mettere istintivamente una mano lì dove avrebbe dovuto
trovarsi
una bocca che ovviamente non esisteva.
<<
Shh! Silenzio! >>
<<
Ssshiamo
saltati giù da una finestraaaa... >>
Sussurrò poi, il robot.
<<
Non puoi dire una cosa del genere a zia Cass! Sssh. >>
<<
Sssshh. >>
Baymax
non sembrava scarico, ma letteralmente ubriaco. Non riusciva a
comprendere quello che Hiro voleva fargli capire e se zia Cass li
avesse scoperti, sarebbe stato difficile spiegare perchè
quel
robot continuava a dire di essere precipitati giù da una
finestra senza destare sospetti. Doveva portare Baymax in stanza senza
che la donna se ne accorgesse, ma si rivelò più
complicato del previsto. Hiro salì silenziosamente le scale
che
portavano all'appartamento e quando Baymax tentò di fare lo
stesso cadde con la testa sul gradino, provocando un rumore
fortissimo.
<<
Hiro? Sei tu, tesoro? >> Esclamò zia Cass dal
piano di sopra.
<<
Uh... S-si, esatto! >>
Ovviamente
si era accorta della sua presenza. Adesso Hiro non poteva
più far finta di niente. Doveva assolutamente evitare che la
zia
vedesse Baymax e apprendesse quello che era successo in quella
giornata. Salì le scale per arrivare alla cucina, cercando
di
avere un'aria il più possibile tranquilla e sincera. Si
costrinse a sorridere quando la zia lo vide.
<<
Mi era sembrato di sentirti. Ciao! >>
<<
Ciao, zia Cass...! >>
<<
Oh, guarda il mio ometto universitario! Voglio che mi racconti
tutto! Le alette sono quasi pronte. >> Disse la donna,
voltandosi
verso i fornelli per rosolare meglio la carne.
Baymax
apparve da sotto le scale, squillando come una tromba rotta e
Hiro fu costretto a spingerlo giù prima che Cass lo vedesse.
Per
fortuna, tutto quello che la donna fece fu imitare il verso di
Baymax pensando che fosse il nipote, eccitato per la sua cena
preferita.
Il ragazzino ne approfittò per cercare di portare il robot
in
camera, e dopo una giravolta che si stava quasi trasformando in una
brutta caduta giù per le scale, finalmente riuscì
a
spingerlo al piano di sopra.
Riuscì
a salire e a tornare giù appena in tempo, prima
che la donna si accorgesse della sua assenza. Fece un sorriso a
trentadue denti molto poco convincente, dondolandosi sulle caviglie
magre. Le mani strette a pugno sospese appena sopra i fianchi e la
testa affondata nelle spalle.
Per
quanto gli dispiacesse, non aveva proprio il tempo di stare
lì a chiacchierare con zia Cass quando al piano di sopra
c'era
Baymax da ricaricare prima che succedesse un pasticcio.
<<
La verità è che, dato che mi sono iscritto in
ritardo... Ho un sacco di materie da recuperare... >>
Un
tonfo improvviso dalla camera da letto lo fece sobbalzare.
<<
Che è stato? >> Chiese Cass, sospettosa.
<<
... Mochi! Oh, gattaccio cattivo! >> Esclamò
lui,
schioccando le dita quando avvertì uno strano calore sulle
caviglie.
Abbassò
lo sguardo per incontrare Mochi che si sfregava
affettuosamente sui suoi piedi. Fortunatamente, Cass non lo aveva
notato e Hiro fece appena in tempo a lanciare sopra il gatto prima che
gli facesse saltare la copertura. Mochi miagolò, sentendosi
tradito dal gesto del padroncino.
<<
Almeno portati su qualcosa. >> Disse Cass, preparandogli
un piatto di ali di pollo e patatine fritte. << Non
studiare
troppo. >>
<<
Grazie per la comprensione! >>
Hiro
afferrò il piatto e corse in camera, lasciando la donna da
sola nel mezzo di una tavola apparecchiata per due. Fece spallucce. Le
dispiaceva che il nipote non si fosse fermato a cena neanche
un istante. Quella poteva essere una buona occasione per cercare di
tornare alla normalità, almeno Hiro e lei. Ma la donna
sapeva
che lui aveva ancora bisogno di tempo per superare quanto era
successo. Per lei, dopotutto, era stato lo stesso. Guardò il
vassoio pieno di carne, il piatto di patatine fritte ricoperte di burro
e la ciotola piena di insalata. Si chiese se non avesse preparato un
po'
troppo per tutti e due.
Sospirò,
cercando di pensare a quanto potesse essere positivo
per il nipote aver finalmente cominciato il college. Si sarebbe
distratto, e avrebbe ricominciato a scendere a mangiare e parlare con
lei.
Era
solo questione di tempo.
(•—•)
Hiro
non potè fare a meno di sorprendersi alla vista di Baymax
che coccolava Mochi, chiamandolo "bimbo peloso" con la voce languida.
Quando il gatto lo vide, sparì al piano di sotto
rivolgendogli
uno sguardo truce. Il ragazzino posò la sua cena sulla
mensola e
prese sotto braccio il robot che stava appoggiato malamente al muro,
guidandolo verso la sua custodia.
<<
Ok, mettiamoti in carica. >>
<<
Per
la salute-il tuo personale-Baymax-operatore...>>
<<
Un piede alla volta. >>
Baymax
riuscì ad infilare nella base la gamba di vinile dopo
qualche tentativo, poi l'altra e finalmente riuscì a
stabilizzarsi. La spia della batteria si accese sul fondo della
custodia, indicando la carica di energia e il robot
ricominciò
lentamente a gonfiarsi. Hiro sospirò, gettandosi sul letto.
Prese il microbot dalla tasca della felpa e lo guardò
amareggiato.
<<
Tutto questo non ha senso... >>
Che
cosa stava succedendo? Improvvisamente i suoi microbot erano al
sicuro, custoditi da qualcuno che li stava usando per uno scopo a lui
sconosciuto. Ripensò al modo in cui si erano sollevati dai
barili e avevano attaccato lui e Baymax; un fluido nero e inconcreto,
informe, oscuro come una notte senza stelle che aveva il solo ordine di
ucciderli.
Ripensò
all'uomo con la maschera kabuki
che sembrava essere in controllo dei microbot. Doveva avere lui il
trasmettitore neurale, o doveva averne fabbricato uno con le proprie
mani.
Ripensò
a quella maschera, tetra e cupa, nell'ombra del magazzino.
Le
maschere kabuki sono
delle
tradizionali maschere usate nel teatro giapponese, e servono a
identificare la parte di ogni attore sulla scena. Le loro
particolarità sono il tratto e il disegno da cui sono
composte,
che possono rappresentare un angelo o un demone. La maschera che il
tizio indossava era certamente quella di uno yokai, un
demone, un fantasma. Un brutto personaggio, insomma.
Ma
perchè mascherarsi in quel modo e rubare la sua creazione,
che cosa stava cercando di ottenere? E ora che aveva visto Hiro, lo
avrebbe forse cercato per ucciderlo e tappargli definitivamente la
bocca?
Non
che la cosa potesse servire a molto dato che l'agente
alla questura non gli aveva creduto. Effettivamente, era stata una
scena
così surreale che anche lui avrebbe avuto dei dubbi se non
lo
avesse visto con i propri occhi. Adagiò la testa sul cuscino
e
chiuse gli occhi. Quella situazione era così frustrante, si
sentiva così solo...
<<
Tadashi...
>>
Le
sue palpebre si sollevarono di scatto alla voce silenziosa di Baymax.
Si tirò su a sedere, guardando confuso il robot.
<<
Cosa? >>
<<
Tadashi...
>>
Seguì
il suo sguardo e i suoi occhi finirono dall'altro lato
della stanza. Il lato diviso da un paravento di carta di riso
semi-aperto, dall'aspetto curato, ordinato, vuoto. Il lato
di Tadashi.
Sul
letto perfettamente rifatto, illuminato da un tenue raggio di luna
riposava ancora il suo berretto,
lasciato lì fin dal giorno del funerale. Scontrarsi con
quella
visione per Hiro fu più doloroso del previsto. Erano
successe
così tante cose in quella giornata che si era quasi
dimenticato
dell'assenza di suo fratello. Ingoiò il groppo che si era
formato nella sua gola al ricordo duro e improvviso di quello che era
successo, e scese dal letto per andare a chiudere il paravento.
<<
Tadashi se n'è andato... >>
<<
Quando tornerà? >>
<<
E' morto, Baymax. >>
Hiro
sospirò. Una profonda tristezza scese sul suo viso come un
velo di seta nera, mentre le sue mani si aggrappavano debolmente al
bordo del paravento appena richiuso.
Serrò
gli occhi, cercando di sparire per un istante. Quante
volte aveva pensato che quello fosse solo un brutto sogno, un incubo
che stava durando più del solito e che presto si sarebbe
svegliato, ritrovando Tadashi nel suo letto che dormiva, o magari
sdraiato insieme a lui per aiutarlo a dormire meglio. Ma ogni mattino
era sempre la stessa cosa. Lui era nel suo letto, da solo, caduto nel
sonno dopo una notte passata a non dormire. E Tadashi non c'era.
Tadashi
non c'era più.
<<
Tadashi era in ottima salute. >> Constatò
Baymax,
con un vago tono di sorpresa. << Con una dieta
equilibrata e
frequente esercizio avrebbe dovuto vivere a lungo. >>
<<
Già. Avrebbe
dovuto...
C'è stato un incendio e... Lui non c'è
più. >>
Chiaramente,
Baymax non aveva scritto nel suo codice il concetto di
fatalità e sentire quella diagnosi sulla salute di suo
fratello
rese Hiro ancora più triste.
Se
Tadashi stava bene,
perchè era morto?
Era
giovane, aveva ancora un'intera vita
davanti. Perchè se n'era andato così in fretta?
Hiro
se
l'era chiesto molte volte e ogni volta diventava sempre più
doloroso pensarci. Gli sembrava di affogare, di andare sempre
più giù in un abisso di disperazione che gli
riservava
solo qualche falsa speranza che poi si rivelava soltanto l'ennesima
onda travolgente. A niente servivano gli sguardi di compassione, le
carezze, gli abbracci
delle persone. Le belle parole che gli rivolgevano erano soltanto
menzogne, bugie, stupide favole dette da chi non può
comprendere
quel tipo di dolore.
Il
robot rimase in silenzio, registrando le parole
del ragazzino. C'era qualcosa di inspiegabile in quella frase, che lui
non riusciva a comprendere.
Per
quel che lo riguardava, lui sapeva che
Tadashi era presente, in qualche modo.
<<
Tadashi è qui. >> Disse, abbassando
leggermente la testa.
<<
No! >> Lo interruppe Hiro, gettandosi sulla sedia.
<< Tutti dicono che in realtà non se
n'è andato, e che vive
nei ricordi... >>
Enfatizzò
quelle ultime parole con triste sarcasmo. Le aveva
sentite milioni di volte, così tanto che ormai non
significavano
più nulla per lui. Anzi, gli procuravano solo fastidio e
rabbia.
Sbuffò, sfiorando la base della lampada sulla scrivania.
<<
Fa un male cane... >>
<<
Non vedo segni di lesioni fisiche. >>
<<
E' un altro genere di dolore. >>
Baymax
non riusciva a capire. Hiro era chiaramente in pena, ma non
sembrava avere alcuna ferita sul suo corpo. Dunque, dove si trovava
quella ferita? Quale parte del corpo gli faceva male? Si
spostò
dalla custodia una volta finito di ricaricarsi, avvicinandosi un po' di
più al ragazzino. Non riusciva a vederlo in faccia
poichè era girato dall'altra parte, ma poteva capire che non
era
affatto felice.
<<
Sei mio paziente. Io vorrei aiutarti. >> Disse
gentilmente.
<<
Non esiste una cura per questo... >> Mormorò
Hiro, un sorriso amaro sulle labbra sottili.
Lo
pensava davvero, non esisteva alcuna cura per un dolore come il suo.
Era un dolore che veniva dal cuore, privo di origine e di fine, privo
di identità e pietà. Una scheggia piena di sabbia
di una
clessidra spezzata a metà, il cui solo scopo era quello di
infettare maggiormente quella ferita già sanguinante.
Un
suono flebile gli arrivò alle orecchie e lo costrinse a
voltarsi, solo per vedere Baymax appoggiato allo schermo del
computer che mostrava in un rapidissimo slideshow varie opere mediche e
psicologiche di cui il ragazzino non riusciva a leggere i nomi.
<<
Uh... Che cosa fai? >>
<<
Sto scaricando un database sulle perdite in famiglia. Database
scaricato. >> Disse, rimuovendo la mano gommosa dal
computer.
<<
In casi simili, il paziente ha bisogno di svago e rapporti con amici e
persone care. Li sto contattando ora. >>
Quando
Baymax spinse leggermente in avanti il pancione bianco, che si
illuminò mostrando i volti di Wasabi, Gogo, Honey Lemon e
Fred,
Hiro si precipitò verso di lui come se potesse in qualche
modo
fermare quella chiamata automatica da parte del robot.
Come
faceva a spiegargli che non aveva alcuna voglia di vedere gente?
Che non si sentiva a suo agio in mezzo a persone come loro, che lo
guardavano con tristezza e compassione ogni volta che lo andavano a
trovare? Come faceva a spiegargli che loro non
erano
suoi amici, ma amici di Tadashi, e che qualsiasi cosa avessero fatto
per lui sarebbe sempre stato un debito verso suo fratello?
<<
No, no, no! Non farlo! >>
<<
Ho contattato i tuoi amici. >>
<<
E' incredibile! >>
Alzò
gli occhi al cielo, visibilmente irritato per il gesto di
Baymax. Ma non fece in tempo a formulare un insulto decente nei suoi
confronti quando sentì le grosse e morbide braccia del robot
stringerlo a lui, in un delicato quanto goffo tentativo di abbracciarlo.
<<
E ora che fai?! >>
<<
Altre terapie includono rassicurazione e affetto reciproco.
>>
Hiro
non potè fare a meno di sorridere sentendo la
giustificazione laconica di Baymax che gli diede delle piccole pacche
sulla testa. Il suo sguardo si perse per un attimo, così
come il
suo corpo tra il calore procurato da quell'abbraccio. Ogni volta che
era successo qualcosa a scuola, da piccolo, o quando era preoccupato o
qualcosa non andava, Tadashi aveva sempre avuto l'abitudine di
sorprenderlo a stringerlo forte contro di lui, prima che Hiro potesse
ribellarsi. Appariva da dietro e lo imprigionava tra le sue braccia,
sfregando il volto contro la chioma corvina del ragazzino,
rassicurandolo.
<<
Vedrai che passerà. Su, su. >>
<<
Grazie, Baymax. >> Disse Hiro, staccandosi
dall'abbraccio.
<<
Mi dispiace per tuo fratello. >> Confessò il
robot, piegando leggermente la testa rotonda verso destra.
<<
Tranquillo, è stato un incidente. >>
I
suoi occhi bassi catturarono nuovamente l'immagine desolata del
paravento di carta che separava la parte di Tadashi dalla sua, vagando
tra gli scaffali, le finestre, il letto, il microbot... Il microbot.
Un'improvvisa
realizzazione colpì Hiro come una scarica
elettrica, riportandolo al magazzino, all'ondata di microbot che aveva
scoperto essersi salvati dall'incendio, all'uomo che li aveva attaccati
e al suo volto coperto da quella maschera maledetta.
<<
O forse non lo è stato...? >>
Le
sue dita afferrarono delicatamente il minuscolo bot tra le mani,
inducendolo a riflettere. Davanti ai suoi occhi, l'immagine della sera
dell'incendio riapparve per un attimo, prima che le fiamme si
condensassero in un unica e tetra figura; una figura dalla cornea
gialla e le lacrime di sangue, pallido come un fantasma.
<<
Alla presentazione... Quel tizio mascherato mi ha rubato i
microbot! E con l'incendio ha nascosto le sue tracce. E' lui il
responsabile della morte di Tadashi! >>
Tutto
cominciava improvvisamente a quadrare, un disegno sfocato stava
finalmente cominciando a prendere forma. Un disegno che sapeva di
cenere e fuliggine, di calore e di rabbia.
L'uomo
che avevano visto controllava certamente i microbot con il
trasmettitore neurale, e nessuno che non fosse presente alla fiera
poteva sapere del progetto di Hiro. Qualcuno aveva tramato alle sue
spalle, aspettando il momento giusto per approfittarne e rubare i
suoi microbot per qualche sporco affare. E chiunque fosse stato, si era
portato via tra le fiamme il professore Callaghan e suo fratello
Tadashi.
<<
Dobbiamo catturare quel tizio. >>
Una
scintilla di furia si accese negli occhi di Hiro.
Non
appena avrebbe avuto tra le mani colui che gli aveva portato via
Tadashi, gliel'avrebbe fatta pagare cara.
_________________________________________________________________________________________
Non
sono sicura se questo capitolo serva effettivamente a qualcosa o no.
Però è sempre necessaria un po' di calma prima
della tempesta.
Ringrazio
vivamente tutti coloro che stanno leggendo la storia e un salutone
speciale a fenris e Emmydreamer_love2004 per le recensioni.
LittleBloodyGirl
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Zona di pericolo ***
Hiro trascinò Baymax nel garage, facendo attenzione a non
farsi
beccare da zia Cass che guardava estasiata uno dei suoi film horror
preferiti mentre coccolava Mochi, che le stava seduto in grembo facendo
le fusa.
Il
magazzino era il rifugio segreto del ragazzino. Lo aveva adibito a
un vero e proprio laboratorio, con più di tre monitor
giganti,
la stampante 3D che gli era stata regalata per il suo undicesimo
compleanno, la tastiera e lo schermo olografico e moltissimi chips
usati per la registrazione di dati.
<<
Se vogliamo catturare quel criminale, ti servirà un upgrade!
>>
Prese
uno degli scanner manuali sulla scrivania del magazzino e lo
accese subito dopo aver piazzato Baymax di fronte ad una parete
spoglia e avergli alzato le braccia gonfiabili a metà. Lo
scannerizzò completamente, trasferendo i dati appena
ottenuti su
uno dei tanti computer presenti.
<<
Catturare l'uomo mascherato migliorerà il tuo stato
emotivo? >> Chiese il robot, con il suo solito tono
gentile e
curioso.
<<
Assolutamente si! >>
L'immagine
standard di Baymax venne trasferita sul desktop, e
Hiro ne approfittò per scaricare un vecchio filmato di arti
marziali e trasferirlo nel database del robot. L'immagine
tridimensionale dell'automa gonfiabile venne presto messa in moto
da acrobatiche mosse di kung-fu. Soddisfatto, si voltò verso
Baymax, toccandogli la pancia gommosa con un dito.
<<
E ora occupiamoci di questa! >>
Spinse
con i piedi la sedia per ritrovarsi ad un altra scrivania dal
lato opposto del garage, dove lo attendevano, già
configurati,
alcuni vecchi modelli di armature samurai.
Gli bastò modellare apertamente l'ologramma del tipo di
armatura
che preferiva per ottenere un risultato che non vedeva l'ora di testare
sul robot, che osservava il tutto incuriosito, seguendo Hiro da una
parte all'altra della stanza mentre lui si muoveva.
La
stampante 3D si rivelò ancora una volta molto utile.
Scaricò l'immagine tridimensionale delle varie parti della
divisa scelta, rivestendola in fibra di carbonio e modellandola in modo
che potesse essere indossata da Baymax. Una volta terminato il
processo, Hiro si appoggiò allo schienale della sedia,
ammirando
soddisfatto il risultato ottenuto. Baymax, davanti a lui, era
ora
interamente rivestito da un armatura grigia, il pancione bianco
completamente coperto da una spessa corazza di ferro e la testa
protetta
da un casco dello stesso colore della divisa.
<<
Ho qualche inquietudine. >> Azzardò Baymax,
osservando confuso il suo nuovo aspetto. << Questa
armatura potrebbe compromettere il mio aspetto rassicurante e
coccoloso. >>
<<
E' più o meno questo l'obiettivo. Sei da paura!
>>
<<
Non dovrei far paura, ma curare la gente. >>
<<
... E' solo un modo di dire. >>
Un
suono dal processore del computer avvisò Hiro del
completamento del download di dati. Il ragazzino spinse la sedia verso
la scrivania e ritirò dalla stampante il chip di un
accentuato
colore rosso, vi attaccò su un'etichetta nera e con un
pennarello bianco vi disegnò sopra un piccolo teschio, a
riconoscimento delle nuove capacità di combattimento del
robot. Una volta finito, si alzò dalla sedia e si
avvicinò a Baymax, premendo delicatamente il dito sul
portello
d'acceso del robot per inserire la scheda dati.
Poco
prima di infilarla, il chip originale di Tadashi fuoriuscì
dal suo ingresso.
Un
velo di profonda tristezza mascherò la sua adrenalina alla
vista dell'oggetto. Il bel colore verde smeraldo gli ricordò
la
prima volta che suo fratello gli aveva mostrato Baymax.
Era
stato così orgoglioso quel giorno... Il solo vedere la sua
calligrafia sull'etichetta equivalse a ricevere un pugno allo stomaco.
Forse
stava commettendo un errore. Dopotutto Baymax era stato
programmato per guarire e aiutare, non attaccare e distruggere. Ma se
qualcuno aveva ucciso Tadashi nell'incendio, di certo non sarebbe
bastato un abbraccio e qualche medicinale per acciuffarlo.
"Lo
faccio per te, Tadashi."
Sospirando,
spinse nel portello d'accesso il secondo chip e attese che
Baymax lo assimilasse nel suo codice. L'interfaccia grafica del robot
si riempì subito delle nuove tecniche di combattimento.
<<
Mi sfugge come il karate possa fare di me un operatore sanitario
migliore. >>
<<
Tu ci tieni alla mia salute, giusto? >> Chiese Hiro
innocentemente, prima di mostrargli uno spesso blocco di legno.
<< Colpisci qui! >>
Non
appena udì l'ordine, Baymax si mise in posizione d'attacco e
sferrò un diretto alla tavoletta che il ragazzino teneva in
mano, spezzandola perfettamente a metà. Hiro
rilasciò un
gridolino eccitato che si susseguì man mano che il robot
eseguiva perfettamente le varie mosse di karate che lui gli elencava.
Era perfino in grado di prelevare gli orsetti gommosi da una
macchinetta senza farlo pagare!
In
breve tempo, tutto ciò che era duro e superfluo venne
ridotto a
brandelli dai calci volanti e pugni di Baymax. Si allenarono fino a
tarda notte e una volta che il robot ebbe eseguito tutte le mosse del
nuovo database, Hiro si parò davanti a lui e si
inchinò,
convincendo Baymax a fare lo stesso, proprio come i veri guerrieri.
<<
Si! Batti il pugno! >> Esclamò Hiro euforico,
sporgendo verso di lui le nocche.
Baymax
battè le sue palpebre meccaniche un paio di volte, perplesso.
<<
"Batti il pugno" non è nel mio database di combattimento.
>>
<<
No, il combattimento non c'entra niente. E' ciò che le
persone fanno a volte quando sono... Su di giri o eccitati!
>>
Il
ragazzino afferrò la mano molto più grande del
robot e
la portò verso la sua, cercando di convincerlo a battere il
cinque. Per un attimo, Baymax sembrò non avere idea di che
cosa
fare, ma quando Hiro mosse un po' la testa in segno di assenso, subito
imitò il gesto.
Batti
il cinque, nocca a nocca, pugno a pugno.
Dopo
aver battuto le nocche, Hiro imitò automaticamente il suono
di un'esplosione con la bocca, a cui Baymax rispose con un allegro
verso strambo.
<<
Bha-la-la-la-la!
>>
<<
Si, è così che si fa! >>
<<
Aggiungerò "batti il pugno" al mio database di
combattimento. >>
Hiro
rise. Poi tirò su la cerniera della sue felpa ed
aprì la saracinesca del garage, indicando al robot di
seguirlo.
<<
Vieni, andiamo a prendere quel tizio! >>
Svanirono
nella notte nei vicoli di San Fransokyo, attraversando le
strade della città addormentata. Baymax seguiva Hiro in modo
goffo, rimbalzando sonoramente sui suoi piedi di vinile. Era notte
fonda, i lampioni erano l'unica fonte di luce e non un suono si udiva
in tutta la città. A volte, qualche auto passava ancora,
rombando quieta.
Hiro
non ci mise molto a ritrovare la strada che il giorno prima aveva
seguito per arrivare al vecchio magazzino, e una volta lì
non
riuscì a fare a meno di nascondersi dietro Baymax e mandarlo
avanti. Il posto desolato, il vento freddo che soffiava e l'edificio
che cadeva a pezzi avevano un'aspetto ancora più macabro
durante
le ore notturne. Una volta arrivati di fronte al portone principale,
ancora chiuso con il lucchetto, Baymax sfoderò un calcio,
buttandolo giù. Ma l'interno del magazzino era
completamente vuoto. Nessun barile, nessun microbot, nessun uomo con la
maschera kabuki. Un
silenzio spettrale regnava sovrano nell'immensa sala vuota. Hiro
sospirò frustrato.
<<
Siamo arrivati tardi. >>
Forse
aveva immaginato le cose troppo in grande, come suo solito, ma
poi gli venne in mente che forse il piccolo microbot che gli era
rimasto era ancora attratto dai suoi compagni. Prese dalla tasca della
felpa la teca contenente il piccolo bot e ne osservò il
movimento. Tendeva a strisciare verso sinistra.
<<
Il tuo piccolo robot cerca di andare da qualche parte. >>
Puntuallizzò Baymax.
Hiro
gli fece cenno di proseguire. In lontananza, il rombo delle auto
si distingueva appena. Più il ragazzino seguiva la direzione
indicata dal microbot, meno si rendeva conto di essersi allontanato
notevolmente dal centro cittadino. Il porto di San Fransokyo era
enorme. Vasti containers di diversi colori conteneti materiale che Hiro
ignorava erano disposti ordinatamente in file. Dove lo stava portando
il microbot? Sentiva distintamente le gambe
bruciare dai kilometri consumati, ma se questo serviva a ritrovare
l'uomo che aveva condannato a morte Tadashi allora avrebbe resistito.
Era sicuro di esserci, doveva essere vicino, ormai.
In
un attimo, si ritrovò sospeso nel vuoto, una peso allo
stomaco piombò improvvisamente per torcergli le interiora e
il
suo cuore schizzò fuori dal petto.
In
un attimo soltanto, che
passò quando si rese conto di essere letteralmente sospeso
sul
mare, un piede ciondoloava fuori dal pavimento. Una forte e familiare
presa al collo lo riportò subito indietro. Baymax lo aveva
afferrato dal cappuccio prima che cadesse in acqua.
<<
Dopo mangiato aspetta almeno due ore prima di fare il
bagno. >> Asserì Baymax, senza badare allo
sguardo
sconvolto di Hiro.
Distratto
dal pensiero di essere quasi annegato, il ragazzino
allentò la presa sulla teca di vetro contenente il microbot
e
questo schizzò via, verso l'oscurità e le onde
nere
dell'oceano. Hiro rimase per un momento pietrificato all'idea di aver
perso l'unico indizio che lo avrebbe portato a trovare il responsabile
di quella vicenda, quando nella nebbia marina cominciò a
modellarsi qualcosa. Inizialmente sembrava una massa informe, quasi
come una montagna che si muoveva sotto qualche strano maleficio, ma
quando Hiro riconobbe la figura umana appena più in alto, il
suo
cuore prese a battere all'impazzata e una viscida paura si
insinuò nella sua mente. Trascinò Baymax dietro
uno dei
container, nascondendosi dall'uomo con la maschera kabuki
che si stava pericolosamente avvicinando al porto, trasportato dai
microbot, che lo facevano apparire come un mostro lovecraftiano.
Lo
aveva per caso visto? Si stava preparando ad attaccarlo? Per
fortuna quelle domande rimasero senza risposta quando Hiro vide
emergere dall'acqua un enorme oggetto circolare, trasportato dai
piccoli bots verso la riva. Il piccolo cercò di capire di
cosa
si trattasse, ma la sua attenzione venne catturata da un simbolo
scolorito sul bordo dello strano strumento. Una rondine dalle ali
spiegate, avvolta in un cerchio.
Il
ricordo del giorno prima si fece strada nella sua memoria. Aveva
già visto quel simbolo, nel magazzino. Che cosa poteva
significare?
Zittì
Baymax, che stava per fare una diagnosi sul suo
battito cardiaco accelerato e lo invitò a mettersi in
posizione d'attacco.
<<
Ok, Baymax. E' ora di sfoderare gli upgrades. >>
Il
robot alzò le braccia per prepararsi a combattere, ma
entrambi
vennero presi alla sprovvista da un fascio di luce accecante puntato
proprio verso di loro. Un'automobile bianca era parata davanti ai due e
non lasciava scampo in caso avessero provato a fuggire.
Improvvisamente, un pensiero colpì Hiro forte come un pugno.
Forse quell'uomo mascherato aveva un complice e non stava agendo da
solo. Magari ne aveva anche più di uno che lo avevano
osservato
per tutto quel tempo.
E
ora cosa poteva fare? Sarebbe bastato Baymax a difenderlo da chiunque
fosse in quell'auto?
<<
Hiro?! >>
Il
ragazzino sgranò gli occhi alla vista dei quattro colleghi
di
Tadashi, quando questi uscirono dalla vettura. Wasabi, Honey Lemon,
Gogo e Fred si avvicinarono a lui, preoccupati e stupiti di averlo
trovato lì fuori.
<<
No! No, no, no! Dovete andarvene da qui! >>
<<
Bello, che cosa ci fai qui? >> Chiese Wasabi.
Hiro
azzardò un sorrisetto sghembo, cercando di apparire
convincente e disinvolto.
<<
N-niente! Stavo solo passeggiando! Calma i miei sbalzi d'umore
puberali...
>>
<<
Quello è Baymax?! >>
Il
ragazzo squadrò il robot costruito dal collega per aiutare i
malati e i feriti, e che ora era completamente ricoperto da un armatura
in puro stile samurai. Gogo si avvicinò curiosa, studiandolo
da
cima a fondo.
<<
Perchè indossa dei mutandoni in fibra di carbonio?
>> Chiese cinica, indicandolo con il pollice. La gomma da
masticare alla fragola perennemente tra i suoi denti.
<<
E conosco anche il karate. >> Aggiunse Baymax, muovendo
le braccia.
<<
Sentite, ora dovete andarvene! >>
Hiro
era visibilmente sotto stress. Il fatto che gli amici di Tadashi
fossero arrivati proprio in quel momento non era affatto
conveniente, rischiavano di mandare a monte il suo piano per catturare
il tizio mascherato.
E
peggio, avrebbero potuto farsi molto male.
<<
No, non puoi allontanrci, Hìro. Vogliamo starti vicino,
ecco perchè Baymax ci ha contattati. >> Disse
Honey Lemon,
premurosamente.
<<
Chiunque affronti un lutto ha bisogno del sostegno di amici e
persone care. Chi inizia con la condivisione dei sentimenti?
>>
<<
Oh! Io, io! Inizio io! Mi chiamo Fred e sono dieci giorni che non mi...
Oh, grande madre di Megazord!
>>
Fred
interruppe la sua dichiarazione, rivolgendo lo sguardo verso
l'alto. L'uomo mascherato si ergeva terribile su di loro, sollevato
dalla massa nera di microbots che gli coprivano interamente le gambe,
facendolo apparire un vero e proprio mostro uscito dagli incubi
peggiori di un bambino. Alcuni tentacoli composti dai bots che lui
controllava erano riusciti a sollevare uno dei container, che
minacciava di finire sulle loro teste senza pietà.
<<
Vedete anche voi quello che vedo io? >> Chiese Fred,
mentre Honey Lemon scattava una foto con il suo cellulare.
L'uomo
ordinò ai microbots di lasciar cadere il container e
tutti si aspettarono una morte atroce, le interiora e le cervella che
schizzavano d'appertutto come il peggior film splatter. Wasabi
lanciò un acuto gridolino.
Ma
quel colpo fatale non arrivò mai. Baymax era riuscito a
bloccare il container e Hiro ne approfittò per odrinare a
tutti
di fuggire. Inizialmente si stupì di come il robot fosse
riuscito in un gesto del genere, ma poi gli sovvenne che Tadashi gli
aveva rivelato che Baymax poteva sollevare oltre quattrocento chili.
Non
avrebbe mai pensato che un dato del genere potesse rivelarsi
effettivamente utile!
Prima
che riuscisse a ordinargli di attaccare, si sentì
trascinare via dalla forte presa di Gogo. In breve, si
ritrovò
sul sedile posteriore dell'auto con cui i ragazzi erano arrivati.
<<
Aspetta, no! Che stai facendo? >>
<<
Ti salvo la vita! >>
<<
Baymax è in grado di affrontarlo! >>
Neanche
a farlo apposta, appena Hiro pronunciò quelle parole un
sordo rumore di ferro arrivò alle loro orecchie e videro la
massa grigia del robot volare verso l'automobile, prima di schiantarsi
violentemente sul tettuccio della vettura.
<<
Oh no. >>
L'uomo
mascherato si avvicinò minaccioso all'auto e Wasabi
premette subito il piede sull'acceleratore, fece retromarcia e
cercò di uscire il prima possibile dal porto.
<<
Hiro, voglio una spiegazione. Subito! >> Disse Gogo,
autoritaria.
<<
Ha preso i microbots, ha causato l'incendio... I-io non so chi sia!
>>
Lo
sguardo di Hiro cadde sul tentacolo di microbots che si stava dirigendo
in picchiata verso di loro.
<<
Baymax, colpisci col palmo! >>
Il
robot ubbidì, respingendo l'attaco con la mano. L'urto fu
talmente potente che l'auto girò su se stessa,
riposizionandosi
in direzione della città. Dopo lo sbandamento iniziale,
Wasabi
si affrettò a partire in quarta, schiacciando
sull'acceleratore.
Le ruote dell'auto sgommarono rumorosamente sull'asfalto e si
assestarono verso la strada di città. L'uomo mascherato si
mosse
insieme ai microbot, inseguendoli a folle velocità.
L'automobile
sferzò verso sinistra, in uno dei vicoli che i
ragazzi avevano seguito per arrivare al portò, illuminata
dai
lampioni deboli. Neanche la strada così stretta era riuscita
a
fermare l'aggressore dall'inseguirli.
I
microbots si insinuarono rapidi
tra i muri, lasciando all'uomo lo spazio adeguato per passare. Gli
occhi gialli della maschera scrutavano maligni la vettura davanti a
lui.
Fred,
seduto sul sedile posteriore, osservava ogni particolare della
misteriosa persona che li stava inseguendo.
<<
Quella maschera... Il vestito nero... Siamo nel mirino di un
super malvagio. Non è fico?! Ovviamente, è
spaventoso, ma
anche fico! >>
In
quel momento la parola "fico" non era esattamente quello che il
resto del gruppo pensava del loro inseguitore. Wasabi alzò
lo
sguardo e istintivamente il suo piede schiacciò il freno,
fermando l'auto con un brusco movimento. Gogo lo guardò
confusa.
<<
Perche ci fermiamo? >>
<<
Il semaforo è rosso! >>
<<
Un pazzo ci insegue e tu ti fermi al semaforo?! >>
Gridò furiosa.
Nel
frattempo il verde era scattato e il ragazzo di colore ne
approfittò, spinto anche dalla pericolosità
dell'amica
quando si arrabbiava, per accelerare nuovamente.
<<
Perchè vuole ucciderci?! >>
<<
E' un classico, abbiamo visto troppo! >>
Esclamò
Fred, che non riusciva a perdere il suo temperamento di appassionato
dei fumetti.
<<
Evitiamo conclusioni affrettate. >> Mormorò
Honey
Lemon, cercando di apparire tranquilla. << Non sappiamo
se vuole
ucciderci. >>
<<
Auto!!
>>
Bastò
l'avviso di Fred per far accapponare la pelle a tutti. Non
ebbero bisogno di guardare per sapere che il tizio mascherato aveva
usato i suoi microbot per lanciare in aria un'automobile proprio verso
di loro. Wasabi sterzò violentemente a destra, evitandola
per un
soffio.
<<
Ok, vuole ucciderci! >> Concluse Honey Lemon.
Nonostante
fosse notte fonda e in giro non ci fosse nessuno, Gogo
notò che Wasabi aveva comunque acceso la freccia
direzionale.
<<
Hai acceso la freccia?! >>
<<
E' obbligatorio segnalare la direzione! E' il codice! >>
Lo
sguardo della ragazza si assottigliò, una scintilla violenta
si accese nelle sue iridi argentate mentre si toglieva la gomma da
masticare dalla bocca, appoggiandola sul cruscotto.
<<
Ora.
Basta.
>>
Si
slacciò la cintura e spostò indietro il sedile
del
guidatore, trascinando via Wasabi dal volante. Poi si sedette nel suo
grembo, senza badare alle proteste imbarazzate da parte dell'amico, e
pose saldamente i palmi sul rivestimento in gomma dello sterzo,
inserì la quinta e schiacciò il piede
sull'acceleratore
con estrema forza. Le ruote sgommarono sull'asfalto, spingendo la
vettura in avanti come un razzo diretto verso lo spazio più
profondo. La lancetta dei kilometri saliva vorticosamente, passando dai
90 ai 120, ai 150 ai 180 in un solo istante.
Nello
stomaco di tutti si avvertì quella spietata e familiare
sensazione di vuoto, come quando si è in una giostra
adrenalinica.
Gogo
era l'unica che sembrava non avere problemi, lo sguardo deciso mentre
sterzava bruscamente tra le strade di San
Fransokyo, evitando abilmente le buche e i cassonetti, spezzando le
pozzanghere. Il loro inseguitore si presentò a sorpresa
davanti
a loro, ma lei fu abbastanza rapida da intercettarlo e svoltare
velocemente a sinistra. L'uomo mascherato continuava a inseguirli
imperterrito, ordinando ai microbots di trasportarlo sempre
più
veloce verso l'automobile con il solo intento di distruggerla, e le
vite al suo interno con essa. Sfrecciando fino a 200 kilometri, Gogo
arrivò nei pressi di un passaggio a livello.
E
un treno era in
procinto di passare.
In
un attimo, le sbarre si abbassarono e la
campana che avvisava l'arrivo del treno si mise a suonare come
impazzita, come se volesse dare un segnale pericoloso di morte. Ma la
ragazza non aveva alcuna intenzione di rallentare per farsi prendere e
squartare viva da un pazzo con una maschera da demone. Tirò
il
freno a mano, sterzò verso destra, inclinando l'auto e
accelerò. Il treno era sempre più vicino.
<<
No, no! Chefaichefaichefai?!
>>
Un
coro di urla spaventate accompagnò l'improvviso volo
dell'automobile, che grazie all'accelerazione sfruttata in salita
riuscì a passare sopra il passaggio a livello,
evitando il treno che passava proprio in quel momento. L'automobile
atterrò violentemente sulla strada superiore, e come se non
fosse successo nulla Gogo riprese a guidare in direzione opposta
all'inseguitore, che non accennava a volerli lasciar andare. I
microbots investirono in pieno la ferrovia e una parte di loro
sollevò in aria il loro padrone e lo portarono fino alla
strada
principale dove l'automobile correva.
Hiro
si spostò sul sedile del passeggero, cercando di attirare
l'attenzione di Gogo.
<<
Senti, accosta! Baymax ed io possiamo fermaaaah!
>>
Un
tentacolo di microbots strappò via lo sportello della
macchina e Hiro si ritrovò improvvisamente senza un
appoggio. Si
sentì cadere, l'asfalto pericolosamente vicino al suo viso.
Chiuse gli occhi, attendendo il feroce impatto, che però non
arrivò. Si ritrovò sospeso a poco più
di un
centimetro dalla strada nera, il braccio proteso in alto. Qualcosa lo
aveva afferrato prima che si schiantasse. Alzò lo sguardo e
vide Baymax, reggerlo con la sua mano gommosa dal tettuccio dell'auto.
Il robot lo riportò sul sedile, allacciandogli la cintura.
<<
La cintura ti salva la vita. Tienila sempre allacciata. >>
Gogo
sterzò bruscamente a destra, sventando per un attimo un
palo della luce ed entrò in una galleria in costruzione. Dai
pannelli vuoti, Hiro riuscì a scorgere la figura dell'uomo
mascherato appena oltre il cantiere. Incollato al gorgo di microbots
come un abominio vivente, i suoi occhi di fiamme scrutarono nella sua
anima, infrangendo le barriere del suo coraggio. Il piccolo non
riuscì a distogliere lo sguardo da lui. Improvvisamente,
tanti
pensieri affollarono la sua mente.
Chi
era quell'uomo?
Perchè
stava facendo tutto questo?
Quanti
pericoli stavano correndo adesso loro, in quell'auto ridotta a
pezzi che appariva più come una trappola mortale di metallo?
E
per che cosa, poi?
<<
Attenta! >>
Il
lato destro della macchina venne investito da un'orda di microbots
che crearono un tunnel vorticoso intorno al veicolo con l'intenzione di
intrappolare i passeggeri al suo interno. L'unica via di fuga in fondo
a quel nero lucido si stava lentamente chiudendo. Hiro
guardò
Gogo, e lo sguardo di incertezza che attraversò le iridi
nere
della ragazza non lo mise per niente a suo agio. Si aggrappò
al
sedile, un mix di adrenalina e terrore lo attanagliò allo
stomaco.
<<
Baymax, reggiti forte! >>
Il
robot ubbidì, serrando la presa sui lati del tettuccio ormai
sfondato. Gogo accelerò. In un attimo l'auto raggiunse i 200
km
di velocità. Puntava dritto a quel piccolo buco che era la
loro
via d'uscita, come un pugnale che aveva lo scopo di penetrare
un'armatura.
<<
Ce la faremo! >>
<<
Non ce la faremo! >>
<<
Ce la faremo! >>
<<
Non ce la faremo! >>
<<
Ce la faremo! >>
<<
Aaaaaah!
>>
L'auto
piombò sul muro di microbots, frantumandolo. Si
ritrovarono sospesi in aria e poi di nuovo sull'asfalto con un violento
atterragio. Ma rivedere la notte nuvolosa, la città in
lontanaza
e sentire l'aria fredda sul corpo li costrinse a sorridere nonostante
il pericolo appena scampato. Honey Lemon esultò. Ma non
fecero
in tempo a tirare un sospiro di sollievo che l'improvvisa frenata di
Gogo li fece scontrare con la visione di una strada interrotta. Un urlo
agghiacciante si levò dal veicolo e l'auto volò
giù dal livello, gli pneumatici lasciarono indietro
l'asfalto a
cui appartenevano e il tergicristallo si frantumò al suo
impatto
con l'acqua gelida.
L'auto
sprofondò nel mare. In un'istante si riempì di
acqua salata, che cominciò a bruciare gli occhi e a
procurare
brividi, a consumare ogni respiro che non poteva essere rilasciato.
Honey
e Fred provarono ad aprire gli sportelli che erano rimasti
bloccati dall'acqua nelle fenditure e la cintura attorno al corpo di
Hiro non voleva saperne di sganciarsi. Lo teneva legato al sedile,
impedendogli ogni mossa fuori dall'auto. La paura per la situazione in
cui si trovavano contrasse i polmoni, che cominciarono a bruciare. Il
cuore batteva forte, supplicando aria.
Non
sapevano per quanto tempo avrebbero resistito laggiù.
Poi
Hiro vide l'armatura di Baymax cominciare a cadere sul fondale,
pezzo per pezzo. Il robot sgusciò fuori dal tettuccio grazie
alla fluidità dell'acqua e con un calcio sfondò
gli
sportelli posteriori, tirando fuori Fred e Honey Lemon che si
aggrapprono a lui. Poi fu la volta di Gogo e Wasabi, e infine Hiro, che
riuscì a liberarsi solo grazie alla forzatura della cintura
da
parte del robot.
Una
volta che furono tutti aggrappati a Baymax, questo cominciò
a risalire su, verso la superficie.
Mancava
poco, ma i polmoni pregavano di lasciare entrare aria. Hiro non
sapeva se ce l'avrebbe fatta a resistere, si sentiva svenire.
Prima
che potesse perdere i sensi, il suo viso si ritrovò fuori
dall'acqua, insieme a tutti gli altri. Tossì per liberare i
bronchi e respirò a pieni polmoni, rendendosi conto di
quanto
l'aria lo facesse improvvisamente stare bene. Gli sembrava di aver
temporanemente perduto un bene prezioso, e ritrovarlo era stato un
sollievo.
<<
Ve l'ho detto che ce l'avremmo fatta! >> Gridò
Honey Lemon, guadagnandosi uno sguardo torvo da parte degli altri.
<<
Le vostre lesioni richiedono le mie cure. E la vostra
temperatura corporea è bassa. >> Fece notare
Baymax, che
fungeva da canotto per i ragazzi.
<<
Meglio uscire dall'acqua. >> Consigliò Hiro,
che cominciava ad avvertire il gelo di novembre sulla pelle.
Fred
abbozzò un sorrisetto malizioso, lo sguardo celeste si
assottigliò. Sembrava che dovesse rivelare un importante
segreto.
<<
Vi porto in un posto. >>
__________________________________________________________________________________________________
Questo
capitolo è stato tanto, troppo difficile da scrivere. Le
scene d'azione sono così estreme che mi sembra di non
riuscire a starle dietro. Oh, be. Spero che almeno voi lettori gradiate
la cosa.
Ringrazio
nuovamente i lettori e le persone che stanno trovando il tempo di
lasciarmi una recensione, lo apprezzo moltissimo.
LittleBloodyGirl
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Invito all'angolo della mente ***
L'acqua ristagnante sui vestiti di Hiro e degli altri
cominciò a
trasformarsi in brividi di freddo e le folate di vento, seppur
leggere, non aiutavano. La notte di San Fransokyo era gelida a novembre
e come se non bastasse sembrava che dovesse piovere da un momento
all'altro. Camminarono per un'ora intera, attraversando le strade
desolate fino ad arrivare a zone illuminate a giorno decorate da aiuole
perfettamente
potate, rare piante tropicali dai fiori colorati e ville dai grandi
giardini. Ci volle un po' perchè tutti
si accorgessero di trovarsi nei quartieri alti della
città.
Si guardarono intorno, sorpresi di essere improvvisamente
lì.
Fred era l'unico che sembrava estremamente convinto di dove andare.
Le fradice Vans
bianche
calpestavano il marciapiede pulito con decisione, trasportando il resto
del corpo all'interno di un cancello in ferro battuto alto
più
di due metri. I ragazzi osservarono confusi l'amico mentre questi si
dirigeva verso il portone principale di una delle grandi ville dalle
mura bianche e le finestre dai contorni dorati.
<<
Fred, che stai facendo? >> Chiese Hiro, perplesso.
Fred
lo guardò confuso, come se non capisse lo stupore del
ragazzino. Poi, come se si fosse ricordato di una cosa improtante ma
apparentemente scontata, il suo sguardo si illuminò.
<<
Ah, benvenuti a mì
càsa! E'
francese e non è quella dell'anime! >>
<<
Non è... Così... >>
Asserì Honey Lemon, levando gli occhi al cielo.
<<
Senti, brutto idiota, un pazzo mascherato ha appena cercato di
ucciderci! Vedi di piantarla con... >>
Ma
Gogo non riuscì a finire la sua lista di insulti che il
portone principale si aprì, permettendo ad un elegante
maggiordomo dai baffetti accuratamente tirati e lo smocking di uscire
allo scoperto.
<<
Bentornato, padrone Frederick. >>
<<
Heathcliff, amico mio! Sono venuto in compagnia di alcuni amici! Batti
il pugno! >>
L'uomo
di nome Heathcliff aveva i capelli neri palesemente tinti ma
perfettamente tirati all'indietro, non un pelo fuori posto
nè
una piaga sui suoi vestiti. Con un'espressione che variava dalla noia
all'interesse verso qualcosa che non esisteva, sollevò il
pugno
per accogliere il saluto del giovane padrone. Continuò a
tenerlo
sollevato al passaggio di tutti, finchè Baymax non si
fermò e battè il pugno come gli aveva insegnato a
fare
Hiro, con un sonoro "Bha-la-la-la-la".
Dentro,
la villa risplendeva come oro. Ogni sala era immensa, ricoperta di parquet
tirato a lucido, quadri di famiglia e lampadari di cristallo. Nel
salone centrale, una scala dalla moquet
rossa si estendeva fino al
piano superiore, dividendosi poi a metà. Il soffitto era
altissimo. In qualche angolo si intravedevano delle piccole statue di
marmo o bronzo. Improvvisamente, agli amici fu chiaro come Fred potesse
permettersi di fare beneficienza!
<<
Freddy... Questa è casa tua?
>> Mormorò Honey Lemon, incredula.
<<
Credevo vivessi sotto un ponte. >> Asserì Gogo.
<<
Bè questa è la casa dei miei genitori, ma sono
in vacanza sull'isola di famiglia. Sarebbe figo andarci un giorno.
>>
Passarono
sotto ad un grande ritratto di famiglia, in cui posavano un
piccolo Fred di circa otto anni in divisa nera, quella che doveva
essere sua madre, un'altezzosa signora dai capelli rossi e ricci e il
naso all'insù, e il padre, che aveva un'aria vagamente
familiare.
Il ragazzo li condusse attraverso un ampio corridoio e con un battito
di mano aprì una porta meccanica alla fine di questo. Non ci
volle molto per capire che la stanza in cui si trovavano era la
stanza di Fred.
<<
Non ci posso credere. >> Sputò Gogo,
più inquietata che stupita.
Quella
camera era un vero e proprio paradiso per nerd. Dovunque erano
esposte action
figures, cosplay,
modellini, fumetti e film. Vecchi
poster di supereroi riempivano le pareti e persino le coperte del letto
avevano disegni di Godzilla. I più disturbanti erano
sicuramente i quadri, molti dei quali ritraevano un Fred muscoloso che
cavalcava vari mostri con in mano spade o asce.
<<
Se non fossi stato inseguito da un uomo con una maschera kabuki, questa
sarebbe la cosa più folle che ho visto oggi.
>> Commentò Wasabi, stupito.
Hiro
si diresse senza tanti complimenti verso la scrivania rotonda,
seguito da Baymax. I vestiti erano ancora umidi così come i
capelli, ma almeno aveva smesso di tremare.
Si
sedette e strappò un foglio da un taccuino vicino, prendendo
una penna a inchiostro dal portamatite.
Cominciò
a scarabocchiare il simbolo della rondine che aveva
visto prima sulla mappa nel magazzino e dopo sul grosso oggetto
trasportato dall'uomo mascherato. Un lieve senso di fastidio e
fallimento erano costantemente presenti dentro di lui. Alla fine non
era riuscito a prendere quell'uomo. Se solo gli amici di Tadashi se ne
fossero stati tranquilli, a quest'ora quel criminale sarebbe stato
già nelle sue mani. Invece erano scappati come codardi, e
avevano anche rischiato di morire tutti. Era sempre così che
andava a finire. Ogni volta che qualcuno si immischiava nelle sue
faccende non riusciva a concludere nulla.
<<
La tua temperatura corporea è ancora bassa. >>
Disse Baymax, dietro di lui.
Hiro
mugugnò, incurante di quello che il robot aveva da dire.
Continuò a disegnare la rondine senza alzare lo sguardo,
quando
sentì il corpo morbido dell'automa stendersi sulla sua
schiena.
Baymax attivò un sistema di riscaldamento interno e
cominciò a emanare un piacevole tepore. Hiro alzò
gli
occhi al cielo all'ossessione del robot per la sua salute. Tuttavia,
gli altri ne approfittarono subito per riscaldarsi e saltarono addosso
a Baymax, abbracciandolo.
<<
E' come abbracciare un bollente marshmallow! >> Disse
Fred con un'espressione rilassata sul viso.
Seguirono
i commenti estasiati degli altri tre, che accolsero
volentieri il calore regalato da Baymax. Hiro finì il
disegno
della rondine e la mostrò ai ragazzi.
<<
Questo simbolo vi dice niente? >>
<<
Si, è un uccello! >> Puntuallizzò
Fred.
<<
No! L'uomo mascherato ha trasportato qualcosa con questo simbolo.
>>
<<
Catturare l'uomo mascherato migliorerebbe lo stato emotivo di Hiro.
>> Chiarì Baymax.
<<
Acciuffare quel tizio? Non sappiamo neanche chi sia! >>
Esclamò Gogo.
<<
Io ho una teoria. >>
Fred
invitò tutti ad accomodarsi sul divano in pelle bèige e
passò ad ognuno dei suoi amici un fumetto diverso. Le loro
copertine macabre e i nomi impronunciabili fecero subito perdere la
pazienza a Gogo, che sbattendo il giornalino sul divano, convinse Fred
ad arrivare subito al punto.
<<
Ragazzi, ma non capite? Il motivo per cui vi ho passato questi
fumetti è perchè ognuno di questi ha come
antagonista un
personaggio che nella vita quotidiana è un imprenditore, un
uomo
d'affari o comunque una persona particolarmente ricca che
può
permettersi qualsiasi cosa senza alcuno scrupolo! E con chi ha parlato
il nostro Hiro, alla fiera della scuola? >>
Rimasero
tutti in silenzio in attesa che Fred rivelasse chi fosse
esattamente la persona a cui aveva pensato. Il ragazzo prese il
telecomando sulla mensola e lo puntò verso il grande schermo
posizionato tra i due alti scaffali. Il primo canale mostrò
il
telegiornale con le ultime notizie, e in primo piano c'era un uomo che
tutti loro conoscevano alla perfezione. L'uomo più ricco di
San
Fransokyo, colui che investiva annualmente i suoi soldi per esperimenti
scientifici che spesso suscitavano scalpore a causa dei principi
trascurati della materia.
Un
uomo sempre elegante, a cui Hiro aveva rifiutato di vendere la sua
opera il giorno della fiera.
<<
Alister
Krei.
>>
<<
Cosa? >>
<<
Pensaci bene. Lui voleva i tuoi microbots e tu gli hai detto
di no. Ma gli uomini come Krei non rispettano le regole.
>>
Hiro
non ci poteva credere. Krei era un uomo ricchissimo. Se anche
qualche affare non fosse andato a buon fine, non poteva semplicemente
dar fuoco ad una struttura e rubare quello a cui era interessato.
Possibile
che fosse così capriccioso, così testardo? Cosi malvagio?
<<
No, no. Non posso crederci, non è possibile. Krei
è sempre sotto i riflettori. >>
Spiegò, sperando di
avere ragione.
<<
Allora chi era quell'uomo? >> Chiese Honey Lemon.
<<
Io... Io non lo so. >>
Non
lo sapeva davvero. Non era più sicuro di niente, ormai.
Chiunque avesse appiccato l'incendio alla mostra era sicuramente la
stessa persona dietro la maschera kabuki,
ma mai avrebbe pensato che potesse trattarsi di una persona con cui era
stato a poco più di qualche metro di distanza,
così
cordiale eppure così spietato. Se lui era il nemico, gli era
più vicino di quanto pensasse. La cosa più grave
era che
l'aveva sicuramente riconosciuto, e se avesse scoperto dove abitava,
avrebbe potuto controllarlo finchè non avrebbe deciso di
attaccare.
Dopotutto,
pensò il ragazzino, era pur vero che nel momento in
cui l'auto di Wasabi era finita in mare, con molta
probabilità
doveva aver pensato che fossero tutti morti. E questo, da una parte era
un bene.
Ma
il tarlo che Krei potesse davvero essere l'uomo che aveva rubato i suoi
microbot, che aveva cercato di ucciderli, che
aveva ucciso Tadashi, potesse
essere lui Hiro non riusciva ancora ad accettarlo.
E
comunque non avevano nemmeno delle prove.
<<
Il suo gruppo sanguigno è AB negativo, i livelli del
colesterolo sono... >>
<<
Baymax! L'hai scansionato? >>
<<
Sono programmato per valutare lo stato di salute di tutti.
>>
Hiro
ghignò, saltellando sul posto. Baymax si era rivelato
incredibilmente utile in quella giornata. Con i dettagli che aveva in
mano grazie al robot, adesso poteva scoprire più facilmente
se
il suo uomo fosse Krei. Doveva solo trovare il modo di individuarlo il
prima possibile.
<<
Si, ma per trovarlo dovresti scansionare l'intera città
di San Fransokyo. E potrebbe volerci, non so, una vita.
>>
Puntuallizzò Gogo.
Effettivamente
aveva ragione. San Fransokyo era una città da
più di dieci milioni di abitanti. Sarebbe stato impossibile
trovare la persona giusta prima di qualche mese, o peggio, qualche
anno. Ma Hiro non sembrò per nulla demoralizzato da
quell'affermazione. Si passò la mano sulla fronte, alzando i
ciuffi ribelli. Doveva solo vedere le cose da un'altra prospettiva,
come Tadashi gli aveva insegnato. E lo fece.
<<
Ho trovato! Scannerizzerò l'intera città in un
colpo solo, mi basta potenziare i sensori di Baymax. >>
Non
si era mai sentito così euforico. Si sentiva sempre
più vicino alla verità, e presto sarebbe stato in
grado
di vendicare suo fratello. Alzò lo sguardo, osservando il
suo
riflesso nel vetro. Le sue iridi dorate si scontrarono all'improvviso
con quelle degli altri dietro di lui.
Improvvisamente,
non era più solo in quella faccenda. Aveva
involontariamente trascinato dentro anche Honey Lemon, Gogo, Wasabi e
Fred. E nonostante avessero potuto ritirarsi subito, lasciare che fosse
lui a decidere cosa farne di quel momento in completa solitudine,
quella notte lo avevano protetto. Erano scappati, si, ma lo avevano
fatto con l'intento di difenderlo.
Con
l'intento di difendere il fratellino del loro collega, del loro
amico. Si rese conto di quanto avesse rischiato a mettere piede fuori
casa da solo, andando incontro ad un pericoloso criminale che non
avrebbe esitato a toglierlo di mezzo per sempre nonostante fosse
soltanto un bambino. Il loro nemico non era un semplice ladro. Era un
assassino senza scrupoli, un uomo terribile e spietato. Un demone.
E
se gli avvenimenti di quella sera fossero stati costretti a
ripetersi, non potevano certo affrontarlo con addosso una felpa e un
paio di scarpe da ginnastica.
<<
A pensarci bene, forse avete tutti bisogno di un upgrade.
>>
Gli
sguardi di tutti si posarono su di lui, variando da sfumature di
confusione a eccitazione pura.
<<
Un upgrade, in che
senso? >> Chiese Wasabi, con una scintilla di terrore
negli occhi.
<<
Chiunque affronti un lutto ha bisogno del supporto degli amici e delle
persone care. >> Ripetè Baymax.
<<
No, no, no! Non se ne parla! Non possiamo metterci contro quel tizio,
siamo dei nerd! >>
<<
Hìro, noi vogliamo aiutarti, ma siamo solo... Noi.
>> Disse timidamente Honey Lemon.
<<
No. >> Hiro li guardò. Uno per uno. Un sorriso
dipinto sulle labbra sottili. << Potete
diventare molto
di più.
>>
Non
sembravano affatto convinti. Belle parole, forse stavano pensando,
ma non abbastanza da spingerli ad affrontare una situazione
più
grande di loro. Finchè Gogo, un velo di tristezza negli
occhi
glaciali, si azlò in piedi, poggiando una mano sulla spalla
di
Fred.
<<
Tadashi Hamada era il nostro migliore amico. >>
Sussurrò, più a se stessa che al gruppo.
<< Siamo
con te. >>
(•—•)
Era quasi
mezzanotte quando Hiro rientrò a casa. Fece attenzione
a chiudere delicatamente la porta per non svegliare zia Cass e rimase
in attesa nell'oscurità e nel silenzio. Non un suono
provenne
dal piano di sopra. Fece cennò a Baymax di salire insieme a
lui
a passo felpato. Quella volta, per il robot non fu difficile. Arrivati
al primo piano, il ragazzino sporse un pò la testa
oltre le scale. La cucina era vuota e buia. Salirono entrambi in camera
e Hiro ne approfittò per disattivare Baymax, non prima di
essersi accertato che le sue batterie non si fossero danneggiate per
l'acqua. Anche Baymax aveva diritto a un po' di riposo dopo quella
giornata. Si infilò il pigiama e scese silenziosamente in
cucina
per prendere un bicchiere d'acqua.
Ma prima
che potesse avvicinarsi al tavolo, un rumore dall'interno
della sala lo fece trasalire. La luce si accese e zia Cass comparve
davanti a lui. La vestaglia di flanella azzurra copriva delicatamente
il
corpo snello e sotto i suoi occhi verdi, Hiro riuscì a
distinguere bene due occhiaie. Non sembrava affatto felice di
vedere il nipote in piedi a quell'ora.
<<
Zia Cass... Credevo dormissi... >>
<<
Dove sei stato? >>
Hiro
deglutì. Se era stata lì tutto quel tempo, era
ovvio
che l'avesse sentito. E forse aveva visto anche Baymax. Il suo tono
autoritario gli fece subito capire che pretendeva una risposta. Ma non
poteva certo dirle di essere stato attaccato da un uomo mascherato, di
aver rischiato la vita correndo per le strade della città in
auto. Come si sarebbe tirato fuori da quel pasticcio, ora?
<<
Sono stato con degli amici... >>
<<
No, no, no. Non fare il vago con me, per favore. Voglio sapere dove sei
stato fino a quest'ora, Hiro. >>
Il
silenzio da parte del nipote la fece solo adirare di più. Si
avvicinò pericolosamente a lui, piazzandogli le mani sulle
spalle. Hiro abbassò lo sguardo, temendo la reazione della
donna.
<<
Guardami. >> Sussurrò.
E
Hiro la guardò. Oro contro smeraldo. Timore contro rabbia. O
disperazione. O preoccupazione.
<<
Pensi che non lo sappia? Pensi che io non sappia che tu, ogni
notte, esci per andare a fare quei maledetti duelli? Pensi che io non
ti senta quando chiudi la porta? Pensi che io non resti sveglia fino a
notte fonda soltanto per accertarmi di sentire di nuovo quella porta
aprirsi? Pensi che io non abbia paura che un giorno quella porta si
chiuderà e non sentirò più il suo
suono mentre si
apre? >>
La
sua voce cresceva di parola in parola, e più cresceva
più si spezzava. E più i suoi occhi si
infuocavano,
più le lacrime li riempivano. Gocce di perla cominciarono a
formarsi sulle ciglia, per poi cadere delicatamente giù,
lungo
le guance rosee come piccole cascate. Hiro non aveva mai visto sua zia
in quel modo. Non credeva che potesse essere capace di conservare
dentro di sè tante emozioni tutte in una volta. Sfumature di
rabbia, preoccupazione e dolore si alternavano nel suo sguardo
smeradino, e lui si sentì male.
Non
aveva capito quanto la donna stesse soffrendo, non solo per Tadashi, ma
anche per lui.
<<
Avrei tanto voluto che non succedesse mai. Tadashi non
meritava quella fine, noi non meritavamo questa sofferenza. E ogni
notte ripenso a quella sera e mi chiedo come ho fatto ad essere stata
così stupida, così incurante. Avrei dovuto dirvi
di
venire via con me, avreste potuto avere il vostro momento fraterno
dopo! Ma non l'ho fatto, e Tadashi non c'è più.
Siamo
soli entrambi, Hiro, e dobbiamo farci forza a vicenda. >>
La
sua forza non fu abbastanza per permetterle di resistere. Cass cedette
alle lacrime, aggrappandosi alle spalle del nipote.
Hiro
avvertì un nodo in gola. Avrebbe voluto abbracciare la zia,
confortarla e dirle che non sarebbe tornato a fare i Bot-Duelli.
Avrebbe voluto dirle tutta la verità. Ma non poteva farlo.
Sarebbe andata sicuramente dalla polizia, o più
probabilmente
avrebbe pensato che stesse delirando. E Hiro non poteva permettersi di
correre anche quel rischio.
Sapeva
bene che Cass soffriva, e che non riusciva ancora a darsi pace per
quello che era successo. Ma vedere la donna che aveva cresciuto lui e
suo fratello, sempre forte ed energica, ora così debole e
spossata lo fece sentire ancora più desolato.
<<
Anni fa feci una promessa. >> Sussurrò la zia,
asciugandosi le lacrime. << Avrei badato a due bambini
come se
fossero stati i miei stessi figli. Parte della mia promessa
è
stata infranta, dopo quella sera. >>
Hiro
sgranò gli occhi, accogliendo senza proteste il palmo della
zia sulla sua guancia, lasciando che lo accarezzasse.
<<
Non posso perdere anche te, Hiro. Se ti succedesse qualcosa, non so
cosa farei. >>
La
donna lo strinse forte a sè e il piccolo ne
approfittò per appoggiarsi sui suoi seni. Come un figlio con
una
madre. Perchè era questo che Cass era per lui. Una mamma,
più di una zia. Le sue dita si strinsero intorno alla
vestaglia candida di lei. Un altro abbraccio, prima di andare a dormire.
<<
Sta tranquilla, zia Cass. >>
La
donna lo lasciò andare, osservandolo mentre saliva le scale.
<<
Non ti devi preoccupare per me. Gli amici di Tadashi mi stanno aiutando
a capire. >>
<<
A capire cosa? >>
Hiro
si fermò sui gradini. Le sue dita si strinsero
impercettibilmente sulla ringhiera.
<<
Qual'è la cosa giusta da fare, per Tadashi. >>
____________________________________________________________________________________________
Non
so bene cosa pensare di questo capitolo. Penso che sia uno di quelli
meno riusciti finora, ma non riesco a capire cos'è che mi
turba. Spero che almeno voi lettori lo apprezziate di più di
quanto faccia io.
A proposito, un biscotto per chi capisce il riferimento che fa Fred all'inizio!
Ringrazio sempre Emmydreamer_love 2004 e fenris per le recensioni, e i
lettori che stanno seguendo silenziosamente questo piccolo delirio.
LittleBloodyGirl
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Transizione ***
Ci volle
quasi un mese perchè Hiro e il resto della squadra si
adattassero totalmente
all'idea di diventare più che semplici studenti di
ingegneria. Hiro lavorava
giorno e notte ininterrottamente sulle possibili difese che tutti loro
avrebbero dovuto avere se avevano intenzione di affrontare l'uomo con
la
maschera kabuki. Erano arrivati a toccare
quasi con mano la
pericolosità del criminale, e la prima cosa a cui il
ragazzino aveva pensato
era l'impossibilità di affrontarlo senza un'adeguata
protezione.
E quale migliore protezione potevano indossare se non delle vere e
proprie
armature, o meglio, tute? Si procurò i tessuti
più resistenti grazie a zia
Cass, a cui raccontò che gli servivano per il laboratorio
della scuola. In
seguito, lui stesso cominciò ad occuparsi dei modelli e
delle armi che
avrebbero avuto per difendersi.
Non aveva intenzione di creare vere e proprie armi, ma un'idea lo colse
di
sorpresa. Ognuno dei quattro compagni studiava un determinato percorso
universitario;
Honey Lemon era un'ingegnere chimico, Gogo era ingegnere meccanico,
Wasabi era
un microbiologo ed esperto di plasma-laser indotto, e Fred...
Bè, Fred era
specializzato in fumetti.
Nessuno di loro aveva mai tenuto in mano una pistola o un fucile, ma
tutti
sapevano bene quali strumenti usare nel proprio campo. Quindi Hiro
avrebbe
fornito loro proprio quegli strumenti.
Per Honey Lemon, creò uno speciale comparto portatile di
bombe chimiche. Quando
glielo propose, la ragazza rimase leggermente allibita e gli
confessò che le
sembrava troppo pericoloso. Hiro l'aveva rassicurata.
<< Forse bombe chimiche non è il termine
adatto. Solo che avevo pensato
di amalgamare alcuni elementi in modo da creare sostanze che ti
permetterebbero
di proteggerti o, magari, di immobilizzare il nostro uomo semplicemente
intrappolandolo in un'enorme sostanza gelatinosa. >>
<< Oh, ok! Ora è più fattibile!
>>
<< Però mi serve il tuo aiuto. Sei tu il
chimico, tra noi. >>
Honey Lemon sorrise, prendendo dalla tasca del cardigan celeste una
provetta
che conteneva un liquido dal colore verde particolarmente brillante.
<< Lascia fare a me! >>
Si ritrovarono nel suo laboratorio di prima mattina e cominciarono ad
elencare
tutte le possibili formule di amalgamazione e fusione di vari elementi,
eliminando quelli più pericolosi e cercando di limitare al
limite i danni nella
piccola stanza. Ci volle un'intera giornata per catalogarli tutti, ma
riuscirono perfettamente nell'intento. Honey Lemon amava sperimentare.
Le
bastavano una provetta e un oggetto su cui condurre i suoi esperimenti
e
riusciva a trasformare un semplice bicchiere d'acqua in una bomba
gelatinosa
dai colori fluorescenti o in una sfera di ghiaccio indistruttibile.
A quel punto, a Hiro non rimaneva che riportare tutti gli elementi
chimici
esistenti su una tavola periodica digitale che inserì
all'interno di un
computer a forma di borsetta.
Honey Lemon amava le cose carine e colorate, quindi il ragazzino
pensò che
potesse essere simpatico costruire una finta borsa a tracolla, al cui
interno
in realtà giaceva un complesso sistema di formazione che
permetteva
all'elemento desiderato di uscire fuori da un piccolo vano circolare al
lato di
questa. Hiro rese il display simile al touch screen,
in modo che Honey
potesse tranquillamente selezionare gli elementi senza aver bisogno di
un
mouse. Ci lavorò per quasi quattro giorni, ma il risultato
fu veramente
soddisfacente. Un po' di più ci volle per la tuta. Zia Cass
gli aveva procurato
dei tessuti in cotone elastico di un bel fucsia brillante, e sebbene
quello non
fosse proprio il genere di colore che Hiro amava, ad Honey Lemon
sarebbe
sicuramente piaciuto. Si fece aiutare dalla zia e ritagliò
due leggins
rivestiti di pelle, uno spesso pull-over a maniche corte che arrivava
all'altezza della vita e un paio di guanti lunghi e spessi che
ricoprivano le
braccia come maniche.
Poi pensò al casco di protezione. Anche questo rosa, con due
bordi gialli e
verdi sulla testa e due lunghe sporgenze all'altezza delle tempie, in
cui
inserì due cuffie e un trasmettitore per comunicare, cosa
che si raccomandò di
fare per tutti gli altri. Una volta finito, ammirò il
risultato, sperando che
Honey Lemon avrebbe gradito.
Quella di Gogo fu la tuta più semplice da realizzare,
insieme a quella di
Wasabi. Gogo amava la velocità, non ne aveva mai fatto un
mistero, e Hiro aveva
deciso di dotarla della stessa velocità della sua bici a
sospensioni
elettro-magnetiche. A sentirlo parlare, Gogo aveva storto il naso. La
gomma
alla fragola fece un giro vorticoso tra i suoi denti.
<< E come faresti a farmi andare così veloce,
sentiamo? >>
<< Con le stesse sospensioni elettro-magnetiche che tu
usi sulle ruote
della tua bici. Fidati, sarà come andare sui pattini. Per
te, almeno.>>
Lo scetticismo di Gogo si rivelò particolarmente infondato
quando Hiro ebbe
finito di lavorare alla sua armatura. Agli stivaletti gialli di gomma
applicò
delle staffe che permettevano di reggere le ruote esattamente come una
moto. La
tuta doveva essere quanto più elastica possibile, per
permettere alla ragazza
tutto il movimento necessario. Ritagliò un pezzo intero di
tessuto nero e
ricoprì le spalle con una spessa armatura gialla, in modo
che coprisse anche il
petto. Per il casco, usò il calco di quello di
Honey Lemon, privandolo
solo delle antenne, ma inserendo comunque microfono e
ricevitore.
All'interno delle ruote infilò anche degli spessi dischi
arancioni calamitati
che potevano staccarsi dalla base ed essere usati come boomerang da
lanciare.
Contemporaneamente, Hiro lavorò anche alla tuta di Wasabi.
La sua era di un
tessuto più leggero, data la corporatura robusta del ragazzo
e ritagliò
l'armatura per il petto in modo che fosse ben spessa da proteggerlo, di
un bel
colore verde. Il casco sarebbe stato scomodo per lui a causa dei dreads,
così Hiro optò per una semplice fascia e gli
occhi sarebbero stati protetti da
un paio di occhiali di supervisione speciali.
Questi ultimi, più che a proteggere le iridi da eventuali
attacchi, servivano
maggiormente a salvaguardarlo dalle sue stesse armi. Dopo aver studiato
con lui
la profondità di taglio del laser, Hiro optò per
delle vere e proprie lame di
plasma-laser indotto che si attivavano grazie a un piccolo pulsante
posto sui
palmi dei guanti di gomma neri di cui aveva dotato la sua tuta.
Certo, un pò più pericoloso degli altri, ma il
ragazzino pensò che fosse
terribilmente fantastico per non creare una cosa del genere. Non doveva
necessariamente servire ad uccidere, la sua utilità stava
nel poter infrangere
anche oggetti molto pesanti. Se avessero dovuto attraversare una porta
di ferro,
Wasabi l'avrebbe spalancata per loro.
La tuta di Fred fu quella più lunga da realizzare per il
semplice fatto che
Hiro si divertiva non poco e aveva fin troppe idee per realizzare
qualcosa di
affine all'amico nerd. Passò una giornata intera solo a
pensare a come
vestirlo, e alla fine optò per una follia che Fred
approvò in pieno.
L'appassionato di fumetti era un grande fan di Godzilla e mostri del
genere,
quindi lo avrebbe trasformato in un mostro.
Non con una pozione velenosa, ma piuttosto con un po' di fibra di
carbonio,
gomma per abiti e il costume fu pronto in meno di una settimana. Una
creatura
grande e grossa, rivestita in gomma piuma, dagli artigli lunghi e
affilati, tre
occhi gialli dalle pupille sottili, una bocca munita di lancia-fiamme
e,
proprio sotto i piedi, dei super ammortizzatori che permettevano a Fred
di fare
salti che superavano facilmente i quattro metri di altezza.
Quando gli mostrò la tuta, il ragazzo corse ad abbracciarlo
e riempirlo di baci
sulle guance.
<< Tu... Tu hai realizzato il mio sogno! >>
<< S-si, va bene! Ma ora basta baci! >>
<< Oh oh! Posso provarla?! >>
<< Ecco, forse è meglio aspettare che siamo
tutti insieme per collaudarle.
Così non ci sarà bisogno di perdere altro tempo.
>>
<< Oh... Hai ragione. >> Disse Fred,
assottigliando lo sguardo.
<< Solo il lancia-fiamme, ti prego! Solo il
lancia-fiamme! >>
Lo supplicò poi, gettandosi alle sue ginocchia. Hiro
balbettò incerto per
qualche minuto, poi sospirò e acconsentì.
Dopotutto, erano a casa di Fred e se
fossero usciti in giardino non avrebbero potuto fare danni.
Ma Fred non perse neanche tempo ad andare in giardino.
Infilò dubito il costume
nel bel mezzo della sua camera e indossò il copricapo,
nascondendo la sua
faccia sotto i tre occhi minacciosi di plastica.
<< No, Fred! Aspetta, non qui! >>
In un attimo, una violenta fiammata partì dalla bocca
circolare del costume e
Hiro fu costretto a indietreggiare per non rischiare di essere bruciato
vivo.
Si aggrappò al muro, le mani appena dietro la sua schiena
con le dita che si
aggrappavano patetiche alla parete. Si paralizzò. La saliva
sulla sua lingua
seccò e una violenta scossa di brividi lo attraverso da capo
a piedi. Per un
momento, la sua vista si annebbiò e un fastidioso ronzio
prese a infestargli
l'udito. Un ronzio che presto si trasformò in un miscuglio
di urla
agghiaccianti e crepitii fastidiosi. Davanti ai suoi occhi riapparve la
visione
della scuola avvolta dal fuoco, senza via di fuga. Non riusciva a
respirare. Fuoco,
fuoco, fuoco.
<< Hiro? Hiro, piccoletto, stai bene? >>
La voce di Fred lo riportò al presente. Davanti a lui
riapparve il volto
allungato e pallido dell'amico, visibilmente preoccupato.
Sentì la sua mano
calda sulla spalla e per un attimo smise di tremare. Tastò
sorpreso il muro
alle sue spalle, confuso e spaventato. Che cos'era successo? Per un
istante,
era ritornato a quella sera. Alla sera dell'incendio. Perchè?
<< Vuoi un po' d'acqua? Chiedo subito a
Heathcliff di portartela.
>>
<< N- no... >> Momorò, quasi a
fatica. << Sto bene,
davvero... >>
<< Almeno siediti un po'. >>
<< No, io... E' meglio che vada adesso. >>
<< Ti accompagno. >>
Hiro scosse il capo, negando la cortesia di Fred, il cui sguardo era
visibilmente pieno di rimpianto e vergogna per ciò che era
successo. Era stato
un irresponsabile, avrebbe potuto causare un incendio. E soprattutto,
il suo
piccolo amico aveva rischiato di avere un attacco di panico a causa
della sua
immaturità. Hiro non ce l'aveva con lui, ma aveva davvero
bisogno di restare da
solo per un po'.
Uscì dalla villa accompagnato da Fred, svanendo
nell'oscurità che cominciava a
risorgere dopo il tramonto del sole.
L'armatura più difficile da realizzare fu sicuramente quella
di Baymax. Hiro
aveva deciso in auge che anche il robot aveva bisogno di fare squadra
con loro.
Glielo doveva, in fondo era lui che aveva permesso a Hiro di chiedere
aiuto,
seppur involontariamente, ai ragazzi. Ma per lui non ci voleva certo
una tuta protettiva.
Baymax aveva bisogno di una nuova armatura, dato che quella vecchia
giaceva
ormai sul fondo del mare, dopo l'inseguimento con l'uomo mascherato.
Sdraiato sul suo letto, osservava in silenzio la custodia in
cui il robot
riposava. Una sottile linea nera nel bel mezzo della visiera lasciava
intendere
che i suoi occhi erano chiusi.
La visiera. La
custodia.
<< Ma certo! >> Esclamò,
ricordandosi poi di essere nel cuore della
notte e di non dover svegliare zia Cass, che altrimenti diventava
intrattabile.
Scese subito dal letto, sedendosi alla scrivania. Strappò un
foglio da uno dei
suoi quaderni, afferrò la matita e cominciò ad
abbozzare l'idea per la nuova
armatura. Rossa, sarebbe stata rossa. Il rosso stava bene sul bianco!
Disegnò
il casco, simile a quello di Honey Lemon e al suo. Si, anche il suo
avrebbe avuto quella forma. Ridisegnò la pancera in ferro
come
il precedente modello e pensò anche ad una possibile arma.
Razzo laser? No. Lancia-fiamme? Fred ne aveva già abusato.
Lancia missili?
Troppo pericoloso.
<< Uff, no... Baymax non è un robot da
combattimento. Anche se ha il mio
chip, non vuol dire che può mettersi a prendere
semplicemente a pugni qualcuno.
>>
Appena finì di dirlo, un'idea lo illuminò.
<< Il pugno! Giusto, il pugno! >>
Gli sarebbe stato più facile ricordarlo dato che lo aveva
assimilato nel
database. Gli sarebbe bastato convincerlo che anche il suo "Bha-la-la-la-la"
poteva essere usato come mossa di karate. Doveva solo colpire un po'
più forte.
E per farlo, sarebbe stata necessaria una forza maggiore del solito. Si
morse
le labbra, sorridendo eccitato all'idea che gli era venuta. Non vedeva
l'ora di
vederlo in azione.
Poi, una piccola domanda lo fece riflettere. Come avrebbero fatto a
spostarsi?
Non potevano mica andarsene in giro con le loro tute, i caschi e tutto
il
resto.
Un'auto? No, troppo evidente. Qualcuno avrebbe potuto identificare la
targa e
di certo si sarebbe chiesto che cosa ci facessero dei tizi conciati in
quel
modo all'interno di una vettura.
Una cosa era certa, quella faccenda era personale e dovevano trovare il
modo di
passare inosservati. Ma come? Non potevano mica… Volare.
<>
In un attimo, l'abbozzo fu pronto.
Non poteva aspettare il giorno dopo, doveva subito mettersi al lavoro.
Si
infilò la felpa e le ciabatte e corse nel garage, attento a
non farsi sentire
da zia Cass. Usò il vecchio database accumulato nello
scanner e cominciò a
modellare sul computer la nuova divisa per Baymax. La stampante 3D
sfornò ogni
pezzo dell'armatura nel giro di una sola notte.
Soddisfatto,
si buttò sul divano a peso morto con un sorriso soddisfatto
sul volto. Non
vedeva l’ora di far vedere anche agli altri quello che aveva
creato.
Di certo,
non potevano pensare di acciuffare l’uomo mascherato solo con
dei caschi di
protezione e delle tute. Avevano già avuto modo di
verificare quanto potesse
essere pericoloso, quindi avevano bisogno di allenamento. Hiro propose
il suo
pensiero al resto della squadra, un pomeriggio a casa sua. Erano nel
garage, in
modo da non doversi preoccupare di essere ascoltati da orecchie
indiscrete.
<< Ok,
ma cosa dovremmo fare allora? >> Domandò Honey
Lemon.
<<
Combattere. Non potremo sempre scappare. Se vogliamo scoprire chi
è, dovremo
affrontarlo. >>
<< E’
una follia! >> Esclamò Wasabi.
<< Non saremo così pazzi da andare
contro un tizio come quello! >>
<<
Forse non ci sarà bisogno di arrivare a tanto, se siamo
abbastanza veloci da togliergli
la maschera. La prima volta che l’ho visto, ho avuto come la
sensazione che il
trasmettitore neurale per controllare i microbots fosse proprio nella
maschera.
>>
Hiro si
avvicinò allo schermo olografico e mosse delicatamente le
dita sullo schermo
inesistente, muovendo i modelli tridimensionali della maschera e del
trasmettitore.
<<
Perciò, via la maschera e il nostro uomo
diventerà innocuo. >> Concluse
Gogo.
<<
Solo… Dove ci alleniamo? Non possiamo mica metterci in bella
mostra in mezzo
alla strada. >> Disse Honey Lemon.
<< Ci
servirà un luogo di ritrovo. >> Concluse Gogo.
<< C’è
un vecchio parco abbandonato fuori città che…
>>
<< No,
no, no! Niente parchi abbandonati! Avete pensato ai germi?!
>> Chiese
Wasabi, visibilmente terrorizzato all’idea.
<< Ehi,
perché non ci vediamo a casa mia? >>
Esclamò Fred, infine. << E’
grande, spaziosa, siamo soli, e per Heathcliff garantisco io.
Potrà aiutarci
nell’addestramento. Lui farà il cattivo!
>>
Per quanto
potesse sembrare azzardata come mossa, a nessuno venne l’idea
di obiettare.
Il giorno
dopo, si ritrovarono alla villa dell’amico. Le tute erano
accuratamente
ripiegate all’interno di una valigia di Wasabi. Si
apprestarono a indossarle e
a cominciare subito con l’addestramento.
La prima ad
offrirsi volontaria fu Gogo, che indossò subito i suoi
dischi ai piedi.
Ma non
appena fece per alzarsi dai gradini della scaletta di cemento del
giardino, si
rese conto di quanto le mancasse il terreno sotto i piedi.
Hiro si avvicinò
a lei, tendendo timidamente le braccia in avanti per afferrarla ogni
momento.
Il corpo
della ragazza si piegò in avanti, poi bruscamente indietro e
infine
l’abbandonò, lasciandola cadere per terra come una
bambina inesperta. Il
ragazzino le tese una mano, ma lei lo fermò subito. Questo
era il suo mondo,
quello che aveva fatto fin da piccola. Era come andare sui pattini, in
fondo. E
lei lo sapeva fare bene. Lei amava
andare sui pattini.
Si rimise in
piedi, nei suoi occhi grigi una scintilla di decisione, e pian piano
cominciò a
muovere le gambe. Poi il movimento passò ai piedi, e
cominciò a muoversi. Più
veloce, più decisa, più furiosa. I dischi gialli
cominciarono a girare
violentemente, trasformandosi in scie dorate davanti agli occhi di
Hiro. Ben
presto, Gogo cominciò a roteare su se stessa, sfidando la
velocità e l’aria che
le sferzava il corpo attraverso la tuta.
Il
maggiordomo di casa, Hethcliff, stava davanti a lei con una maschera
simile a
quella del loro uomo. Sferzò sui dischi e gli
girò intorno, sempre più veloce
fino ad afferrare immediatamente una pompa dell’acqua che era
accanto al
gazebo.
Si avvicinò
sempre di più al soggetto interessato e continuò
a girargli intorno come un
tornado inferocito, immobilizzandolo alle gambe, e prima che potesse
farsi
vedere, gli strappò la maschera dalla faccia.
Sfrecciò verso Hiro e gliela
lanciò, facendo scoppiare un palloncino di gomma tra i
denti. Il ragazzino
rimase a bocca aperta dalla performance della compagna.
Il turno di
Honey fu visibilmente più semplice. La ragazza
digitò sul display della sua
borsetta gli elementi necessari a creare una bomba chimica e strinse la
pallina
fluorescente tra le dita delicate non appena questa
fuoriuscì dal piccolo
portale laterale della tracolla.
Heathcliff,
dal centro del gazebo, gli fece un leggero cenno di attaccare senza la
minima
emozione. Hiro la incoraggiò, notando in lei un cenno di
esitazione. La ragazza
lanciò timidamente la sua bomba contro il maggiordomo, e
alle gambe di questi
si creò una sostanza gelatinosa dai colori luminescenti che
lo intrappolò senza
lasciargli alcuna possibilità di movimento. Honey Lemon si
avvicinò per
togliere a Heathcliff la
maschera,
preoccupata per l’incolumità dell’uomo
che per tutta risposta fece un mezzo
sorriso. La mira era
il fattore da migliorare, ma per lei non ci volle molto. Hiro la fece
allenare
contro bersagli mobili appositamente installati da Heathcliff e, con un
po’
d’arguzia, la ragazza riuscì a raggiungere anche
uno dei manichini che era
decisamente troppo alto per lei. Le bastò usare piccole
quantità di zinco e
rame per creare una solida scala dorata che le permise di salire fino
alla siepe
più alta e privare il bersaglio della maschera.
<< Ce
l’ho fatta! Ce l’ho fatta! >>
Esultò felice.
Hiro
rise,
facendole un piccolo applauso.
Fred fu
quello che si divertì di più con la sua tuta.
Completamente travestito da
mostro, esattamente come uno dei suoi costumi da mascotte della scuola,
finalmente
potè approfittarne per sperimentare il salto lungo e il
lanciafiamme senza
causare troppi danni. Si diede una
spinta sui talloni e saltò in alto, sempre più in
alto. Gli sembrò quasi di
volare, mentre chiamava le possibili mosse che usava a voce alta,
gridando al
cielo, euforico. Poi si
concentrò su Heathcliff, circondandolo con fiamme che presto
divamparono verso
il giardino, bruciando l’erba all’inizio del
pavimento in pietra. Saltò a
intervalli regolari, immaginando di eludere il nemico, quando ne
approfittò per
sbucare alle sue spalle e, con i suoi artigli, rubare silenziosamente
la
maschera. Non appena ebbe finito, Heathcliff corse subito a prendere un
estintore
per spegnere il fuoco, il tutto senza la minima preoccupazione sul suo
volto.
Con Wasabi
ci fu da stare particolarmente attenti. Le sue lame di plasma-laser
erano molto
pericolose e sarebbe bastata una mossa azzardata o distratta per fare
danni
tremendi. Perciò,
quando fu il suo turno, Hiro optò per perfezionare prima la
mira e soprattutto
attaccare e distruggere in caso l’uomo mascherato avesse
usato i microbots per
attaccarli. Heathcliff si procurò un lancia palle e, quando
Hiro gli diede il
via, allontanandosi da Wasabi con uno sguardo di incoraggiamento,
accese la
macchina. Una pallina
da tennis venne lanciata ad alta velocità verso il ragazzo,
che istintivamente
si portò le braccia davanti al volto, dimenticandosi di
avere ancora accese le
lame di laser. Quando la pallina si schiantò contro di esse,
venne subito
tagliata a metà e le due parti finirono ognuna in due
direzioni opposte del
giardino. Ci volle un po’ perché Wasabi si
rendesse conto di avere ancora le
sue lame attive, ma fu abbastanza perché Heathcliff
aumentasse la velocità di
scambio del lancia palle, il cui cannone cominciò a sparare
rapidamente le
palline da tennis, una dopo l’altra. Wasabi si
divincolò in una serie di mosse
bizzarre e spaventate, centrando miracolosamente ogni pallina con i
laser e
schivando agilmente quelle che non riusciva a colpire.
Avanzò verso la macchina
sempre più velocemente finchè, con un urlo
adrenalinico, saltò in avanti,
contrasse i muscoli del braccio e lanciò un fendente su di
essa, tagliandola in
due. Soddisfatto, prese la maschera da Heathcliff e fece per battere il
cinque
a Hiro, che per poco non perse la mano se non gli avesse ricordato del
laser
ancora attivo.
A fine
giornata, erano tutti esausti ma euforici. Le nuove tute erano perfette
e le
armi funzionavano bene. Bisognava solo allenarsi un po’ di
più per evitare di
rimanere feriti dal loro stesso armamentario. Il sole stava cominciando
a
calare, sfumando il cielo di viola e arancione e dipingendo il mare
d’oro. Una
leggera brezza invernale si stava levando, smuovendo le foglie degli
alberi nel
giardino della casa di Fred. Su un tavolino a bordo della piscina, dove
i
ragazzi si stavano godendo il loro meritato riposo, vi erano bevande
dolci e
tartine preparate appositamente.
<<
Tutto questo è fantastico! >>
Esclamò Fred eccitato.
<<
Niente male. >> Fece Gogo, giocando con uno dei suoi
dischi.
<< A
nessuno la tuta si infila nelle mutande? >> Chiese
Wasabi, guadagnandosi
un’occhiata di disgusto da parte degli altri.
<<
Ehi, Hiro. Ma la tua tuta dov’è? >>
Chiese Honey Lemon, notando che il
ragazzino era l’unico ad indossare ancora i suoi normali
vestiti.
Hiro lanciò
un’occhiata al suo abbigliamento e si grattò la
testa, lasciandosi sfuggire un
sorrisetto eccitato.
<<
Già, è meglio che vada ad indossarla! Vi devo
fare vedere una cosa. >>
Corse
verso
l’entrata della villa, ridendo euforico come non gli capitava
da molto tempo.
________________________________________________________________________
NVU
ha deciso di farmi un po' arrabbiare. Ho paura che il capitolo possa
venir fuori mal strutturato, ma non ho idea di cosa sia capitato al
programma. Spero comunque di non aver fatto errori. Questo capitolo
è stato parecchio difficile da scrivere a causa di tutti i
dettagli da inserire, ma ripeto che è proprio questo uno dei
tanti motivi per cui ho amato questo film, quindi va bene
così.
Ringrazio tutti i lettori e in particolare fenris e
Emmydreamer_love2004 per le recensioni.
LittleBloodyGirl
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Orizzonte ***
Hiro osservava il suo riflesso nello specchio del camerino. Le spalle
magre coperte dal bustino violaceo che componeva la sua armatura erano
basse e si muovevano delicatamente insieme al suo respiro. Il petto si
alzava e si abbassava piano, contenendo i battiti del suo cuore
eccitato. La
tuta nera fasciava il suo esile corpo alla perfezione, leggera e allo
stesso tempo resistente abbastanza da non strapparsi al minimo tocco.
Infilò i guanti di fibra elastica con un rivestimento in
gomma
nera, sul dorso vi erano due piccoli monitor che fungevano da computer
e tracker per qualsiasi codice informatico.
Si
concesse un breve attimo per incontrare se stesso. Le iridi nocciola
brillavano vive, come non facevano da tempo.
L'ultima
volta che si era sentito così era stato il giorno
della fiera. Quel misto letale di adrenalina, ansia e trepidazione
concentrate tutte in un solo corpicino fragile, e allo stesso tempo
resistente come un castello di vetro. Trasse un respiro profondo,
riempendo i suoi polmoni di aria.
Si
concentrò su quel gesto. Era una cosa così
naturale,
così semplice eppure così importante. Gli
sembrò
che fosse passato moltissimo tempo dall'ultima volta che si era
ricordato di respirare.
Aveva
paura? Si, tanta. Quello che stava per mostrare a tutti era
qualcosa di pericoloso, e allo stesso tempo bellissimo. Ma andava
collaudato, e per farlo c'era un unico modo.
Si
mise il casco viola, lasciando che inghiottisse la sua chioma
ribelle e contornasse perfettamente il suo viso paffuto. Un ultimo
sguardo al suo riflesso. Poi uscì, mascherando la tensione
con
l'eccitazione.
(•—•)
Fred,
Honey Lemon, Gogo e Wasabi vennero richiamati nella terrazza
grande da Hiro, che si era presentato a loro con la sua tuta addosso.
Non persero tempo a chiedere quale fossero le sue armi e come si
sarebbe difeso, perchè vennero trascinati in fretta sul
retro
della villa.
<<
Ok, ragazzi, siete pronti? >>
Hiro
saltellò sul prato, un sorriso eccitato lasciava
intravedere il tenero intervallo tra gli incisivi. I ragazzi
si
scambiarono uno sguardo d'intesa. Non vedevano l'amichetto sorridere in
quel modo da tanto tempo.
<<
Vi presento Baymax 2.0! >>
Si
spostò per lasciare il posto ad un Baymax rivestito
completamente di una spessa armatura rossa, sulla testa un elmetto
della stessa forma di quello di Hiro, con la visiera che lasciava
intravedere i due occhi neri. Uno strato di carbonio e acciaio
grigio copriva lo stomaco e due solidi guantoni di ferro avvolgevano le
candide dita bianche. Più che un operatore sanitario, adesso
sembrava palesamente un robot da combattimento dall'aspetto
intimidatorio. Con il petto in avanti e le spalle larghe e alte
appariva come un guerriero invincibile. Sembrava stranamente pericoloso.
<<
Ciao. >> Disse poi Baymax, riacquistando il suo aspetto
innocente mentre inseguiva una farfalla.
<<
Ehi, ehi, ehi! Cosa fai? Concentrazione. >>
Hiro
gli corse incontro, dissuadendolo dal suo comportamento
bambinesco, e gli lanciò uno sguardo d'intesa mentre
sussurrava
tutto eccitato parole che gli altri non capirono. Notando che neanche
Baymax sembrava comprendere a cosa si stesse riferendo, il ragazzino
portò un braccio in avanti, chiudendo la mano a pugno.
<<
Mostragli il pugno, il pugno! >>
Il
robot imitò la posizione di Hiro e tese anche lui il braccio
in avanti, ma invece di fare quel che intendeva il ragazzino,
esordì con il suo "Bha-la-la-la-la"
che fece scoppirare tutti a ridere. Hiro arrossì,
imbarazzato
per la figura che l'automa gli stava facendo fare. Sapeva che avrebbe
dovuto essere più specifico, ma non voleva rovinare
l'effetto
sorpresa.
<<
No, non quello! L'altra cosa! >>
Solo
allora, Baymax sembrò comprendere cosa Hiro volesse dire e
procedette a serrare il pugno metallico. In quel momento, quattro
alette si sollevarono lentamente all'altezza dell'avambraccio
dell'armatura, lasciando fuoriuscire piccole fiamme celesti. In breve,
il pugno si staccò dal braccio del robot e fu lanciato ad
alta
velocità contro una delle statue della villa, distruggendola
per
intero. Poi, come un boomerang, ritornò a ricollegarsi con
l'armatura, completamente intatto. Quello che avevano appena visto fece
smettere immediatamente i quattro compagni di ridere, lasciandoli senza
fiato.
Fred,
ancora nel suo costume, battè le mani freneticamente.
<<
Il pugno-razzo rende Freddy tanto felice! >>
Esclamò eccitato.
<<
Ed è solo uno dei nuovi upgrades!
Baymax... >>
Hiro
sospirò, prima di pronunciare quella piccola parola di sole
tre lettere. Sapeva che non appena l'avrebbe pronunciata, non avrebbe
più potuto tirarsi indietro.
<<
Ali! >>
Non
appena lo disse, due ali meccaniche rivestite di rosso si
sollevarono dalla schiena di Baymax. Non troppo grandi, ma
perfettamente aderenti alla corporatura del robot, agili e leggere.
Baymax sembrò altrettanto confuso di vedere quelle lame poco
affilate spuntare all'improvviso sulla sua schiena. Hiro si
arrampicò su di lui, piazzando la punta dei piedi in due
piccoli
intervalli magnetici e facendo lo stesso con i palmi delle mani. Sui
guanti, infatti, erano presenti dei grandi comandi a propulsione che
gli
permettevano di restare aggrappato a Baymax con facilità,
senza
preoccuparsi di cadere. Da lì, poteva controllare tutte le
opzioni di volo.
Si
morse le labbra, lasciando che un brivido di eccitazione scorresse
giù lungo la sua schiena.
<<
Propulsione! >>
Al
comando del ragazzino, fasci di fuoco azzurri fuoriuscirono violenti
dai plantari di Baymax, sollevandolo da terra.
<<
Mi sfugge come il volo possa fare di me un operatore sanitario
migliore. >> Gli fece notare il robot, visibilmente
impacciato a
non stare con i piedi per terra.
Hiro
ostentò un sorrisetto impertinente, cacciando fuori la
lingua.
<<
Mi sfugge come ti sfugga che è uno sballo! Propulsori al
massimo! >>
Era
arrivato il momento. Era giunta l'ora di mostrare a tutti
ciò
che aveva creato, dove era riuscito ad arrivare. Avrebbe compiuto
un'impresa incredibile davanti agli occhi dei suoi compagni e sentiva
già il sapore dell'adrenalina tra i suoi denti. Trattenne il
respiro, ascoltando il suo cuore battere forte. Era pronto, sarebbe
andato tutto bene. Lo sentiva.
In
un attimo si ritrovò a terra, sulla schiena di Baymax, in
orizzontale. I suoi occhi si scontrarono con la visione diretta dei
quattro ragazzi, che mutarono i loro sguardi da stupefatti a un misto
di confusione e terrore. La propulsione data dagli stivali del robot
era ancora attiva e i due si ritrovarono a sfrecciare sull'erba verde
come un battello impazzito arenato su una spiaggia. Il muro della villa
si avvicinò
pericolosamente e il ragazzino potè quasi sentire il dolore
delle sua ossa che si frantumavano contro i mattoni. Si
sollevò
sulle ginocchia e inarcò la schiena, tendendo le braccia
più che poteva per cercare di sollevare Baymax da terra.
Ci
riuscì, ma l'effetto non fu quello sperato. Decollarono a
velocità spedita, abbandonando la villa dietro di loro per
fendere l'aria fredda e fumosa della città. Si ritrovarono a
volare precariamente sui tetti dei palazzi, sui negozi addobbati e sui
chioschi pieni di gente intenta a comprare qualcosa di caldo da
mangiare.
Erano
troppo bassi, e Hiro lo capì a causa di tutte le persone
che avevano il naso rivolto verso di loro, una grande massa rossa che
sparava fuoco.
<<
Stabilizza il volo! >> Scese sulle ginocchia e
posizionò meglio i palmi sui magneti. Le
ali si drizzarono, permettendo un volo più diretto.
<< Iniziamo piano piano... >>
Non
appena finì di dirlo, una delle grandi insegne di un
ristorante giapponese si scontrò con la sua vista, dilatando
le
sue iridi più del dovuto. Hiro si lasciò sfuggire
un
gridolino terrorizzato e tese nuovamente le braccia, cercando di
trascinare Baymax verso l'alto.
<<
Su, su, su! Propulsione, propulsione! >>
Poco
prima di scontrarsi con l'insegna, il robot stabilizzò i
propulsori e puntò verso l'alto, partendo come un razzo
verso il
cielo. Il ragazzino sulle sue spalle rise eccitato, finchè
non
si rese conto che stavano rischiando di entrare nella stratosfera e
morire asfissiati.
<<
Troppa propulsione! Troppa! Troppaaaaaah!
>>
Probabilmente
comprendendo lo stress del piccolo, Baymax decise di
spegnere i razzi sotto i suoi piedi appena sopra uno degli archi torii
che decoravano il ponte di San Fransokyo. In un attimo, la forza di
gravità strinse le sue mani invisibili intorno al ragazzino
e al
robot, trascinandoli a tutta velocità verso la strada del
ponte
trafficata dalle auto. Un'orribile sensazione di vuoto si
aprì
nello stomaco di Hiro, costringendolo a gridare. La strada era sempre
più vicina. Se si fossero schiantati, avrebbero causato il
caos
più totale. Per non parlare dei tanti che feriti che
potevano
andarci di mezzo. Ma poco prima di schiantarsi contro un'auto in corsa,
i propulsori si riattivarono, spedendo i due lungo il ponte e il
traffico in linea retta. Poi con una spinta, risalirono su, sbattendo
contro il ferro di uno degli archi rossi del ponte. Arrivati in cima,
Baymax si adagiò delicatamente sulla superficie liscia
dell'arco. Essere di nuovo fermi a terra fu un sollievo per Hiro, che
rilasciò un sospiro incredulo e al contempo felice.
Sentiva
ancora troppo bene quel solletico allo stomaco e il cuore
battere forte contro la cassa toracica, pompando sangue pieno di
adrenalina nelle sue vene. Nonostante avessero rischiato di morire
più di una volta, il ragazzino era più che
soddisfatto, e
il sorriso euforico che aveva stampato sulle labbra non accennava a
svanire.
<<
Uh, cavolo! Bè, direi che per oggi basta volare! Tu che ne
dici? >>
Baymax
lo guardò, registrando il suo stato emotivo di nascosto,
e notò un incremento notevole di neuroni e del livello
ormonale.
Qualcosa stava cambiando dai primi giorni in cui lo aveva incontrato.
Quella strana sensazione di tristezza che aveva rempito i suoi occhi
stava lentamente scivolando via, lasciando spazio ad una
visibile
e probabilmente inconscia contentezza. Lo notava dalle iridi che
brillavano di eccitazione, dal sorriso perenne che lasciava scoperti i
denti bianchi e dolcemente imperfetti. Ogni gesto lasciava trasparire
euforia da quel corpo minuto e agile.
<<
I livelli dei tuoi neurotrasmettitori salgono costantemente.
>>
<<
Quindi... In poche parole? >>
<<
Il trattamento sta funzionando. >>
Si
inclinò leggermente verso sinistra, poi sempre di
più
fino a ritrovarsi improvvisamente a mezz'aria, sospeso lateralmente.
Fuori
dall'arco. Nell'aria fredda.
Caddero
giù, verso il mare di
novembre increspato dal vento, tra le braccia della morte
più
certa. Per un istante, il tempo si fermò per Hiro. Ogni cosa
apparve rallentata. I suoi capelli nella brezza gelida, il suo corpo
che perdeva equilibrio e stabilità, il suo cuore che
affondava
nel vuoto insieme a tutto il resto.
Stava
cadendo. Stava
cadendo giù. Baymax
li stava trascinando giù entrambi.
<<
Oh no! Oh no, no, no! Baymaaaaax!
>>
In
un attimo, una forte spinta lo sospese nell'aria, ad un pelo dalla
superficie dell'acqua. Riaprì gli occhi che aveva chiuso per
attendere l'impatto e un sorriso incredulo illuminò il suo
volto.
Stava
volando.
Stava
volando sul mare d'autunno increspato dalla schiuma, attraverso
il vento freddo e feroce che gli accarezzava il corpo. Urlò
a
pieni polmoni, riempendo la città sottostante con la sua
voce
elettrizzata.
Volarono
sui tetti delle case più basse, sfidando la
gravità della terra e giocando con le strade distorte, le
luci
dei lampioni e della automobili, dei negozi e delle insegne.
Oltrepassarono i ponti, infilandosi come insetti dispettosi nelle
gallerie più buie per illuminarle con la loro luce.
Seguirono i
treni sui passaggi a livello più alti, prendendosi gioco di
tutti coloro che avevano avuto la fortuna di ammirare quel ragazzino
nascosto da un casco che si era permesso di volare in alto, con la
sicurezza che il suo compagno non lo avrebbe mai lasciato cadere.
Baymax non aveva bisogno di ordini da parte di Hiro, nè di
raccomandargli di tenersi ben stretto. In qualche modo sapeva che il
suo piccolo "paziente" si fidava di lui e gli stava lasciando la
gioiosa libertà di farlo sognare e volare un pò
più in alto. E lo fece.
Girò
su se stesso come una vispa libellula e percorse le altezze
dei grattacieli, infrangendo le regole dell'impossibile.
Le
finestre lucide dei palazzi rifletterono il loro volo come
telecamere silenziose, spettatori inesistenti di quello spettacolo
glorioso.
Hiro
distolse per un attimo lo sguardo dalle nuvole davanti a lui per
osservare il suo riflesso in quegli specchi. Guardò il suo
viso,
i suoi occhi che brillavano di eccitazione e felicità. E
sorrise, lasciando che un dolce ricordo ritornasse a illuminare la sua
mente che era rimasta all'oscuro troppo a lungo in quei giorni di
tempesta interiore.
Aveva
già vissuto quel momento, in realtà. Era stato
così sciocco a ricordarsene solo ora.
Aveva
volato da piccolo sulle spalle di suo fratello, aveva volato
insieme a lui su un razzo fatto male, aveva volato con Tadashi sul suo
motorino quella volta che lo aveva salvato da pestaggio sicuro.
Era
sempre riuscito a volare grazie a lui, e la verità era che
non pensava che avrebbe mai più potuto farlo.
E
invece era lì, sospeso nell'aria a giocare con le nuvole
mentre osservava il ricordo di quei momenti nel riflesso di uno dei
grattacieli più alti della città. Ed era felice,
come se
Tadashi fosse sempre stato lì con lui. Come se Baymax fosse
sempre stato lì con lui.
Il
robot sfiorò uno dei cordoni elettrici dei mulinelli d'aria
che fornivano energia eolica a San Fransokyo, seguendone la direzione
che attraversava le nuvole dorate e bagnate dalla luce del tramonto.
Girò su se stesso, ritornando poi in direzione delle
turbine. Il
robot guardò Hiro, Hiro guardò lui. Non ci fu
bisogno di
parole per capire ciò che entrambi avevano intenzione di
fare.
Hiro
serrò la presa sui magneti e nascose leggermente il volto
nelle spalle per reggersi forte. Baymax aumentò la
velocità, sferzando l'aria e le nuvole, evitando abilmente i
meccanismi energetici con agili acrobazie. Puntava al sole, era
lì che voleva portare Hiro. Sapeva che lui voleva arrivare
lì.
Il
ragazzino accolse contento la sensazione di vuoto nel suo stomaco
ogni volta che Baymax girava su se stesso, osservò senza
paura
il mondo sotto sopra, anche solo per un secondo. Sentì
lacrime
adrenaliniche pungere gli angoli dei suoi occhi e increspò
le
labbra in un grande sorriso mentre volava al di là delle
nubi
bionde, verso l'orizzonte purpureo segnato dal sole che tramontava ad
ovest, tra le montagne offuscate dalla lontananza e urlò con
tutto il fiato che aveva in gola. Gli sembrava di essere sulla vetta
del mondo, un punto immaginario del cosmo così piccolo da
esistere soltanto nella sua immaginazione.
E
per quei brevi attimi, si sentì in grado di fare qualsiasi
cosa, di poter affrontare qualsiasi battaglia o dolore che il futuro
gli avrebbe riservato. Sentiva di poter vincere qualsiasi sfida a cui
la vita lo avrebbe sottoposto.
Per
quei brevi attimi, si sentì invincibile.
(•—•)
Il sole
stava ormai svanendo oltre le radure grigiastre, lasciando il
posto alla sera che cominciava a stendere il suo manto bluastro sulla
città, che pian piano si avviava al riposo notturno.
Hiro
e Baymax guardavano quello spettacolo dall'alto di una delle
turbine eoliche, sopra gli spruzzi di nuvole rosa. Il ponte di San
Fransokyo cominciava ad accendere le sue luci e la scia di colori che
nascondevano i fari delle auto iniziava a definirsi meglio,
riflettendosi sul mare. Hiro respirò a pieni polmoni
quell'aria
pura e distese i muscoli. Non si sentiva così rilassato da
troppo tempo.
<<
E' stato... >>
<<
Da paura. >> Baymax completò la frase per lui,
lasciandolo per un attimo sgomento. << E' solo un modo di
dire.
>>
<<
Eheh! Si, è così, amico mio. >>
Disse il ragazzino, dandogli una leggera pacca sulla gamba.
Si
perse un po' nelle sue riflessioni mentre osservava il robot che
guardava il tramonto.
Fino
a quel momento lo aveva considerato soltanto una macchina, nulla
di più e nulla di meno. Un automa che stava semplicemente
facendo quello per cui era stato programmato, ovvero aiutare un
paziente a guarire. Ma la ferita di Hiro non era una semplice cicatrice
che poteva essere curata con il semplice getto di qualche spray
medicinale. Era una ferita più profonda, più
grave. Una
ferita per cui Hiro pensava non esistessero cure. E invece, Baymax una
cura l'aveva trovata eccome. Perchè Hiro era stato in grado
di
dimenticarsi, anche se per poco, di quel dolore che aveva cominciato a
divorarlo lentamente.
Ora
gli sembrava di soffire di meno, e che quel dolore potesse essere
sopportabile, in fondo.
A
causa di Baymax era uscito di casa, cacciandosi nei guai e rischiando
la vita. Ma era anche stato capace di riconnettersi con Gogo, Wasabi,
Honey Lemon e Fred. Era stato capace di riattivare il cervello per
inventare e costruire cose fantastiche. E ora si trovava nel bel mezzo
del cielo a guardare il sole svanire davanti ai suoi occhi. Ed era
bellissimo. Tutto grazie a Baymax.
Hiro
aveva come la sensazione che tra lui ed il robot si stesse creando
più di un semplice rapporto padrone-automa. Forse era il
caso di
cominciare a considerare Baymax come un suo... amico.
<<
Il tuo stato emotivo è migliorato. >>
I
suoi pensieri vennero bruscamente interrotti dal robot, che lo aveva
appena scannerizzato.
<<
Posso disattivarmi se mi dici che sei soddisfatto del trattamento.
>>
<<
Cosa...? No, non voglio che ti disattivi! >>
Esclamò Hiro, riprendendo coscienza del fatto che avevano
ancora
una missione da compiere.
<<
Dobbiamo trovare quel tizio mascherato. Quindi attiva quel
super-sensore. >>
Baymax
obbedì all'ordine e si alzò in piedi. I suoi
occhi
neri si restrinsero per un attimo, focalizzando le videocamere
sull'intero quartiere di San Fransokyo. Il suo sistema
sintetizzò rapidamente tutti i dati che acquisiva durante lo
scan della città alla ricerca della persona interessata,
finchè non ricevette un segnale affermativo da parte del
database.
<<
Ho trovato una corrispondenza. >> Disse infine,
allungando il braccio e puntando il dito in una direzione
più
lontana da San Fransokyo. << Su quell'isola.
>>
Hiro
seguì la direzione indicata dal robot e osservò
confuso il pezzo di terra nel mezzo del mare. Isola Akuma, una delle
isole più remote dell'arcipelago. Hiro non sapeva molto di
quell'isola se non che fosse disabitata e delle varie leggende che
circolavano su di essa. Qualcuno diceva fosse infestata da spiriti,
altri da demoni da cui prendeva il nome. Ma una spiegazione
più
logica impartiva che lì venissero condotti esperimenti
pericolosi e illegali. A causa di storie come quella, nessuno visitava
l'isola ed era ritenuto uno dei luoghi più contaminati della
contea.
Il
nascondiglio perfetto per uno yokai.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Orchestrazione ***
Il
cielo era sempre più scuro
e l'aria si era ormai raffreddata quando Hiro e Baymax tornarono
alla villa di Fred per recuperare i quattro compagni e raggiungere
Isola Akuma. Honey Lemon si perse in convenevoli su quanto fossero
stati in pensiero nel notare che non ritornavano e Wasabi aveva
confessato
di voler chiamare la polizia e l'ambulanza. Era stato solo grazie al
sangue freddo di Gogo, e anche ad una sua tipica sfuriata senza
emozioni, che avevano deciso di preoccuparsi per Hiro e Baymax in
silenzio.
<< Che vista mozzafiato. >> Si espresse
Gogo, dall'alto di una spalla di Baymax mentre sorvolavano San
Fransokyo.
Honey Lemon, dall'altra parte, fece spallucce senza lasciare la presa
sul braccio di Hiro. Fred e Wasabi erano appesi alle mani del robot, e
mentre il ragazzo biondo si metteva in pose straordinarie facendo finta
di essere Superman, l'altro si aggrappava disperatamente al braccio
dell'automa, inveendo contro le altezze e
asserì che lui
soffriva di vertigini.
Ci vollero circa quindici minuti per arrivare sull'isola e Hiro diede
ordine a Baymax di atterrare all'interno di un recinto spinato. Una
volta atterrati, non fu difficile per i cinque ragazzi capire che la
piccola struttura circondata dal filo di ferro era una base segreta di
cui i proprietari non volevano si scoprisse nulla. Dovunque erano
affissi segnali di pericolo e cartelli con avvisi di quarantena per
niente rassicuranti che implicavano una probabile morte per chiunque
avesse osato addentrarsi. Un silenzio inquietante regnava sovrano
sull'isola, nascondendo un velo di tensione e paura per una minaccia
invisibile, ma ben presente.
Fred era l'unico che non sembrava affatto turbato da quell'atmosfera.
<< Fantastico, ragazzi! Il nostro primo atterraggio da
supereroi! >>
Il fatto che considerasse il gruppo come dei supereroi diede da pensare
ad Hiro. Certo, era figo e straordinario ma lui non aveva alcuna
intenzione di continuare a nascondersi sotto un casco e intervenire
ogni qual volta c'era bisogno di aiuto in città.
Ciò che
stavano facendo era per una faccenda puramente personale. Una volta
portata a termine la loro missione, avrebbero ripreso la loro normale
vita da studenti universitari.
<< Andiamo, forza. >> Ordinò
Hiro, poco convinto.
A Wasabi non sfuggirono i vari avvisi affissi sul recinto e intorno
alla struttura e non perse tempo ad esprimere tutto il suo terrore.
<< Quarantena? No, cioè... Qualcuno sa esattamente cosa
significa? >>
<< Quarantena: isolamento forzato durante epidemie o
malattie per
prevenire contagio, o in alcuni casi la morte. >>
Spiegò
subito Baymax, puntando il dito verso l'alto come per
sottolineare l'importanza della spiegazione. Essendo un
robot,
non aveva il senso del sarcasmo e Wasabi non la prese bene.
Continuò ad esprimere il suo disappunto finchè
Hiro non
lo zittì, una volta arrivati davanti ad una grande porta di
ferro che bloccava loro l'accesso all'edificio.
<< Fate attenzione, potrebbe essere ovunque.
>>
Si sa che la paura può essere fortemente contagiosa, e ne
diede
prova il fatto che sentire un lieve rumore alle loro spalle,
scatenò tutto il terrore che i cinque ragazzi avevano
cercato
invano di nascondere. Fu una reazione a catena. Hiro urlò, e
a
lui seguirono Wasabi che cominciò a menare fendenti all'aria
con
le sue lame laser, poi Gogo che lanciò i suoi dischi
magnetici
ad un soggetto invisibile e infine Honey Lemon e Fred che crearono
diverse pericolosissime reazioni chimiche che culminarono in esplosioni
rumorose. Una volta accertatosi di aver abusato abbastanza
dell'armamentario a loro disposizione, si accertarono di avere almeno
colpito la causa di quel rumore. Quando la cortina di fumo si
diradò, davanti a loro, sul terreno bruciato, apparve un
colombo
che volò via subito dopo.
<< Era solo un uccello... >>
Commentò Fred.
<< A-almeno sappiamo che l'attrezzatura funziona!
>> Affermò Honey Lemon, imbarazzata.
Hiro era solo felice che nella confusione generale, nessuno avesse
notato che si era nascosto dietro Baymax come un bambino impaurito.
Alla faccia del leader impavido! Una parte di lui cercò di
giustificarsi per il fatto che fosse l'unico disarmato senza il robot e
che, in fondo, era ancora un bambino rispetto agli altri e come loro
era impaurito.
Era giustificato!
Una volta riacquistata la concentrazione, Wasabi si fece avanti con una
delle sue lame per liberare la via all'interno della struttura. Il
plasma-laser penetrò senza problemi la superficie spessa
della
porta e la tranciò di netto dopo averla sminuzzata in forma
circolare. La porta cedette con un sonoro tonfo che
riecheggiò
macabro nel corridoio buio che si parò davanti ai ragazzi.
Hiro deglutì silenziosamente, facendo cenno agli altri di
avanzare. I loro passi sembravano rimbombare sulle pareti spoglie,
mescolandosi poi al silenzio che avvolgeva il luogo. Lievi
neon illuminavano a malapena il tunnel e alcuni erano così
rovinati che tremavano oppure avevano smesso di funzionare. Hiro doveva
riconoscere che poteva essere il posto perfetto per le leggende che si
raccontavano. Piccoli brividi attraversavano la sua pelle e una strana
inquietudine si era insidiata dentro di lui, cominciando a rodere i
suoi nervi. Il luogo non sembrava così mal ridotto da
sembrare
abbandonato da molto tempo, ma ancora non riuscivano a capire di
che cosa si trattasse esattamente, nè c'erano tracce che
lasciassero intendere cosa fosse successo. Ma la preoccupazione
più grande che tormentava le menti di tutti era la presenza
del
loro nemico, che a detta di Baymax doveva trovarsi lì. I
nervi
erano tesi e l'udito attento ad ogni tipo di suono. Spesso si
guardavano le spalle perchè gli sembrava di aver sentito un
rumore, ma una volta girati, non c'era
niente. E la loro tensione saliva.
Silenzioso com'era, quell'uomo sarebbe potuto apparire da un momento
all'altro
dietro di loro e colpirli senza pietà, portando a termine
ciò che aveva tentato di fare già una volta.
E se le cose non fossero andate per il verso giusto? Se quell'uomo li
avesse uccisi, dove avrebbe sepolto i loro cadaveri? O peggio, li
avrebbe usati per fare esperimenti? E loro sarebbero stati dichiarati
scomparsi senza che nessuno venisse a cercarli? Solo quei pensieri gli
davano i brividi.
<< Sei
intrepidi eroi,
guidati da Fred, il leader Fred,
Fred's Angelz... Mmm... Fred's Angelz. >>
Fred iniziò a canticchiare quella che sembrava una bizzarra
colonna sonora per qualche telefilm degli anni '80. Quale fosse la
necessità, nessuno lo sapeva. Sembrava solo che l'amico non
la
stesse prendendo poi così seriamente come avrebbe dovuto. E
Wasabi non perse tempo a rinfacciarglielo.
<< Fred, se continui ti do uno schiaffo-laser!
>>
<< Ragazzi dai, finitela! >>
Sussurrò Hiro infastidito. Era già abbastanza
teso senza
bisogno che si creassero discordie nel gruppo. Il pericolo poteva
essere
ovunque, e come se non bastasse non sapeva nemmeno dove stavano
andando.
<< Baymax, riesci a individuarlo? >>
Il robot provò ad attivare il suo sensore, ma tutto
ciò
che riuscì a creare fu una serie di immagini distorte e
confuse
davanti al suo schermo.
<< Questa struttura interferisce con i miei sensori.
>>
<< Perfetto, il robot è rotto!
>> Asserì Wasabi, visibilmente seccato.
<< Uh... Ragazzi, venite a vedere... >>
La voce di Honey Lemon risuonò nel corridoio in un sussurro
che
non prometteva niente di buono. Erano appena passati di fianco ad una
grande porta di ferro rimasta socchiusa e la ragazza ne aveva
approfittato per sbirciare oltre la soglia. Entrarono in quello che
sembrava un piano superiore che affacciava su un'enorme sala
accogliente due pilastri distrutti, uniti tra loro da degli strani
binari ormai arrugginiti. E su uno di quei
pilastri, giaceva come un mostro dormiente una grande costruzione
circolare visibilmente consumata da qualche cataclisma. La plastica che
ricopriva
la superficie esterna era stata erosa dall'umidità e dai
batteri, e fili elettrici sgusciavano fuori dalla dimensione interna,
come organi strappati da un corpo mummificato.
<< Secondo te cos'è, genio? >>
Chiese Gogo, un filo di tensione nella sua voce.
<< Non ne sono sicuro, ma... Guarda. >>
Hiro indicò la parte inferiore della costruzione e solo
allora
tutti gli altri si accorsero del simbolo che era affisso su di esso.
Una rondine di colore rosso al centro di un cerchio. Era lo stesso
simbolo che Hiro aveva visto su un pezzo della cosa che l'uomo
mascherato stava facendo riemergere ai suoi microbot dal fondo del
mare, e il ragazzino era sicuro di averlo visto anche sulla lavagna del
magazzino in cui era entrato dopo aver seguito il microbot che gli era
rimasto. Quei tre luoghi erano tutti connessi, dunque. Ma che cosa
simboleggiava esattamente quel disegno?
<< Hiro, lassù... >>
Il piccolo si volse verso la direzione indicata da Honey Lemon e i suoi
occhi si scontrarono con la vista di una stanza vetrata da cui
proveniva una macabra luce rossa. Si diressero verso di essa, e Baymax
aprì cautamente la porta socchiusa. Non sembrava esserci
nessuno
lì. Ogni cosa era in disordine, come se chiunque fosse stato
lì prima avesse abbandonato il luogo in fretta. Le sedie
erano
spostate dalle rispettive scrivanie e ogni macchinario sembrava
completamente inutilizzabile. Fogli e documenti erano sparsi sui tavoli
e per terra, ma il bagliore rosso sembrava provenire dall'interno
della stanza. Doveva essere stata una
sala comandi o di sorveglianza, perchè vi erano dei grandi
schermi che i ragazzi identificarono come riprese di telecamere di
sicurezza.
Alcuni dei monitor erano rimasti accesi e il più grande
aveva le
dimensioni dell'intera stanza. L'enorme simbolo della rondine era
disegnato in nero e giaceva su uno sfondo cremisi, come un inquietante
incontro tra inchiostro e sangue.
Il gigantesco monitor sembrava ancora funzionante, Hiro premette il
tasto di
accensione e il simbolo svanì per lasciare posto ad una
divisione dello schermo in nove parti corrispondenti. Ognuna di queste,
mostrava una fotogramma di ciascun video ripreso dalle telecamere di
sorveglianza.
E alla vista di uno di quei fotogrammi, Hiro sentì il suo
respiro aumentare notevolmente quando riconobbe una persona a lui nota.
<< Krei... >>
L'uomo era stato ripreso mentre camminava su uno dei pontili vicino
alla struttura circolare nella sala grande, insieme a quelli che
apparivano come poliziotti o guardie dell'esercito. Premette il tasto
di avvio e il video cominciò a scorrere davanti ai suoi
occhi,
mostrando immagini nascoste di una vicenda oscura.
<< Ci
è stato chiesto di
fare l'impossibile, e noi lo abbiamo fatto. State per assistere alla
dimostrazione di qualcosa di straordinario. Vi presento il progetto:
Rondine Silente >>
La voce di Alister Krei risuonò profonda e tranquilla,
sicura di
sè, esattamente come quando aveva parlato con lui alla fiera
del
campus. Il ragazzino sentì un brivido scorrere lungo la sua
schiena. Improvvisamente, quella voce gli faceva paura. Era la voce di
un manipolatore, di qualcuno che sa esattamente cosa vuole ed
è
disposto a tutto pur di ottenerlo.
<< Permette,
generale? >> Chiese l'uomo nel
video, tendendosi verso un uomo massiccio con la divisa, che gli
cedette il suo cappello.
In quel momento, Krei fece un gesto rivolto ad un tecnico dall'altro
lato del pontile e al centro del grande pannello circolare apparve uno
strano flusso dal colore celeste. I ragazzi si accorsero subito che sul
pilastro attualmente vuoto era prima presente una struttura circolare
simile a quella che era rimasta. Le due costruzioni dovevano essere
connesse, in qualche modo.
E proprio mentre cominciavano a chiederselo, Krei lanciò il
cappello nel flusso. Ma invece di finire dall'altra parte, quest'ultimo
rispuntò invece dal secondo pannello, finendo nelle mani
dell'operatore tecnico, che procedette a ripetere l'azione.
Lanciò il cappello nel flusso e questo fuoriuscì
automaticamente dal corrispettivo pannello. Krei lo prese al volo,
restituendolo al proprietario.
<< Teletrasporto:
il trasporto temporale della materia attraverso lo spazio. Da oggi non
è più solo fantascienza.
>>
Quella spiegazione così dettagliata dell'esperimento in
questione fece accapponare la pelle ai ragazzi.
Com'era possibile? Un'azione del genere era qualcosa che si vedeva nei
film, era pura fantasia. Eppure, quell'uomo era riuscito a rendere una
cosa del genere realtà.
<< Inutile
che vi spieghi che
non abbiamo speso mesi di lavoro e soldi per teletrasportare un
cappello. Signori, siete testimoni di un momento storico. Sei pronta a
farti un giro, Abigail? >>
<< Oggi
abbiamo degli spettatori. Cerchiamo di dargli un bello spettacolo.
>>
La voce di una donna, vellutata e decisa, fece capolino dalle casse del
monitor e gli occhi dei ragazzi si spostarono su un altro frame, il
quale mostrava una ragazza rivestita interamente di una tuta bianca e
il viso in parte coperto da un casco integrale. Il volto era ben
squadrato e un ciuffo di capelli castani spuntava dalla parte alta
della fronte, gli occhi grandi erano di un bellissimo colore azzurro,
due zaffiri luminosi.
Hiro ebbe una strana sensazione mentre la guardava. In qualche modo,
gli sembrava... familiare. Possibile che l'avesse già vista
da
qualche parte?
La donna procedette a sedersi in quella che sembrava una capsula
orbitale, e dopo aver premuto alcuni pulsanti dall'interno, la parte
anteriore del veicolo si mosse in avanti, intrappolandola dentro. A
quel punto, fu ovvio per tutti quello che Krei aveva intenzione di
fare.
Fin da bambini, si era abituati a notare che il teletrasporto era
un potere particolare e fantastico. Ma era, appunto, solo una fantasia.
Hiro in particolare non avrebbe mai pensato a una simile
possibilità.
E lui era un genio!
Krei diede ordini specifici riguardo alla preparazione per lanciare la
capsula nel portale, denigrando il possibile errore di sistema
individuato da un tecnico, che non sembrava poi così
importante.
Una voce elettronica femminile intonò il conto alla rovescia
e i sei compagni non poterono fare a meno di stare col fiato sospeso
per tutto il tempo.
<< Lancio
capsula. >>
La telecamera interna riprese quel momento incredibile, mostrando la
ragazza che, senza perdere quella determinazione stampata sul suo
volto, si aggrappò forte ai braccioli del sedile mentre la
sua
capsula veniva spedita all'interno del portale. Un cambio di
angolazione mostrò il veicolo sparire nel flusso celeste.
Ma la capsula non
uscì mai dall'altra parte.
Improvvisamente, il secondo pannello cominciò a tremare e
subito
dopo esplose, causando il primo portale ad andare in tilt e a creare un
terribile campo magnetico che iniziò a risucchiare dentro di
sè ogni cosa all'interno del laboratorio. Le urla dei
tecnici e
degli scienziati riecheggiarono strazianti, e forti rumori di
distruzione riempirono la sala e le orecchie dei cinque ragazzi, che
osservavano increduli e terrorizzati quello spettacolo crudele.
<< Krei,
spenga quella macchina! Subito! >>
All'ordine del colonello, l'uomo aprì un pannello sulla
scrivania dei comandi e premette un pulsante che spense immediatamente
il portale, lasciando solo una sala piena di distruzione e
desolazione.
Hiro deglutì. Era inutile domandarsi cosa fosse successo al
pilota nella capsula. Quegli occhi così determinati e
volenterosi... Non avrebbero più visto la luce del giorno. E
Krei,
che in quell'ultimo
fotogramma aveva uno sguardo colmo di stupore e disperazione, sembrava
completamente distrutto.
Ora tutto combaciava. L'esperimento era già stato stabilito
per
avere un alto grado di difficoltà e pericolo, e per questo
era
stato fatto costruire un laboratorio segreto sull'isola più
sperduta dell'arcipelago di San Fransokyo. Doveva essere un momento
importantissimo, ma le cose non erano andate come Krei aveva previsto e
tutto quello che aveva ricavato era stato un taglio netto ai fondi di
sperimentazione e la cancellazione del progetto da parte del governo.
Non c'erano più dubbi. Krei voleva vendicarsi di quel torto
subito. Alister Krei era l'uomo mascherato.
<< Oh no. >>
Sentire Baymax pronunciare quelle brevi parole fu abbasanza
perchè Hiro sentisse il cuore in gola. C'era un pericolo
nelle
vicinanze. Ma prima che potessero reagire, un rumore fortissimo di
vetri infranti e mura crollate penetrò le loro orecchie e
una
terribile spinta li schiacciò, oscurando il luogo intorno a
loro. Fortunatamente, Baymax era riuscito ad intercettare in tempo il
grande pezzo di soffitto che era stato lanciato contro di loro ed era
riuscito ad evitare una strage. Lo sollevò sulle sue spalle,
dando la possibilità ai ragazzi di respirare. Honey Lemon
tossì a causa della polvere dei detriti.
Hiro si alzò in piedi, riprendendosi dallo shock che gli
aveva
causato l'idea di essere stato per poco schiacciato vivo, e
cercò di mostrarsi forte.
<< Baymax, facci uscire da qui! >>
Il robot ubbidì, squarciando il pezzo di soffitto con il suo
pugno-razzo e liberando la strada. Davanti a loro, l'uomo con la
maschera kabuki
fluttuava
come un fantasma sui microbots ed era rivolto verso di loro. Le dorate
iridi vuote scrutavano il gruppo con particolare fastidio e un gesto
delle spalle fece intendere quanto fosse seccato che non fossero morti.
<< Mirate al trasmettitore, dietro la maschera!
>> Urlò Hiro, ma prima
che potesse intervenire, l'uomo fece lanciare ai microbots un altro
grande frammento di soffitto verso di lui.
Baymax afferrò velocemente uno dei detriti per terra e lo
utilizzò come scudo contro l'attacco, ma l'impatto fu
talmente
forte da destabilizzarlo e catapultarlo violentemente contro il muro.
Hiro accorse spaventato, accertandosi che il robot stesse bene.
Honey Lemon, Gogo e Wasabi si lanciarono uno sguardo terrorizzato. Era
arrivata l'ora di combattere, il momento di mettere in pratica tutto
quello per cui si erano allenati. Ma d'improvviso, compresero che la
realtà dei fatti era molto più paurosa di quello
che si
erano immaginati. Erano davanti a qualcuno che non si faceva scrupoli
ad ucciderli, e per quanto loro potessero essere protetti con le tute e
le armi, erano terrorizzati dal fatto che tutto sarebbe potuto crollare
da un momento all'altro e che non se la sarebbero certo cavata solo con
qualche graffio.
Per loro fu come ritrovarsi nel bel mezzo di una guerra, avendo in
mente solo l'idea di ciò che poteva essere, ma completamente
inesperti. Non erano ancora pronti a morire.
Wasabi scrollò le spalle, cercando di non far notare il
tremolio nella sua voce.
<< Ok, qual è il piano? >>
Ma prima che Gogo e Honey si potessero esprimere, Fred si pose
davanti a loro con un sorriso deciso stampato in faccia.
<< E' il mio momento. >>
Abbassò teatralmente il cappuccio su di se, nascondendo il
viso
affilato sotto la maschera da mostro e saltò in alto,
rimbalzando sulla ringhiera per tendere un attacco
aereo. Ma a parte l'agilità, era decisamente scontato per
l'uomo
mascherato, il quale ordinò mentalmente ai microbots di
tirargli
un solido pugno, facendolo cadere dall'altra parte della sala.
<< Sul serio, qual è il piano?!
>> Chiese di nuovo
Wasabi, il terrore che cominciava a definirsi sul suo volto.
Gogo fece scoppiare la gomma da masticare e riacquistò la
sua
freddezza. << Prendiamo la maschera. >>
Disse, infilando i
dischi alle caviglie e sfrecciando verso la sala grande.
<< Aspetta, vengo anch'io! >> La
seguì Honey Lemon, ignorando le proteste dell'amico di
colore.
L'uomo mascherato si volse verso la ragazza dall'armatura dorata e
cercò di individuarla, tendendo un braccio per ordinare ai
microbots di colpirla. Ma Gogo era veloce, e schivò ogni
attacco
con facilità, saltando da un padiglione all'altro. Pose in
avanti la gamba sinistra per aiutarsi nella discesa e una volta a terra
roteò su se stessa, caricando la forza nelle braccia per
lanciare uno dei dischi magnetici contro il nemico. Lo colpì
dritto sulla fronte, ma nonostante lo avesse stordito non era bastato a
far cadere la maschera dal volto.
Honey Lemon nel frattempo agiva cautamente, avanzando di soppiatto
dietro ai pannelli integri. Seguiva l'amica con gli occhi, attendendo
il momento giusto per cogliere l'uomo di sorpresa. Saltellò
come
una cavaletta da un pilastro all'altro, appiattendosi contro la fredda
parete. Digitò alcuni elementi dal display della tracolla e
afferrò la pallina chimica tra le dita, stringendola forte.
Respirò a fondo, cercando di contenere i battiti del suo
cuore e
ascoltò silenziosamente i rumori alle sue spalle,
immaginando
davanti ai suoi occhi ogni mossa, ogni azione del nemico. Lo vedeva
agitare le braccia, vedeva i microbots che si muovevano come serpenti
giganti in attesa di stritolare una preda, vedeva Gogo che scattava
come una lepre, veloce e aggrazziata per cercare di disorientarlo e
rubare la maschera del demone.
Le sue orecchie sentirono lo stridìo lontano dei cerchi
dell'amica e decise di agire.
<< Ehi! >> Urlò per attirare
l'attenzione del
nemico, ma le sue iridi smeraldine si dilatarono quando vide uno dei
dischi dorati volare verso di lei.
Venne violentemente colpita sul casco e l'impatto fu così
forte
da destabilizzarla. La pallina chimica scivolò dalle sue
mani e
si infranse sul pavimento, creando una patina trasparente scivolosa.
Gogo scese a terra proprio in quel momento e scivolò,
scontrandosi con il corpo di Honey Lemon. L'uomo le
scrutò
dalle orbite infuocate della sua maschera, probabilmente pensando a
quanto fossero stati sciocchi quei cinque ragazzini a pensare di
mettersi contro di lui, giocando a fare i supereroi. Una voce maschile
attirò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi.
Riconobbe
il ragazzo di colore, che però non sembrava molto convinto
di
quello che
stava facendo.
<< Hai voglia di fare un balletto, uomo
mascherato? >> Esclamò Wasabi, sguainando le
sue lame
laser.
Si lanciò in una serie di mosse drammatiche e per niente
intimidatorie, e quando affilati tentacoli di microbots cominciarono a
colpirlo persino lui si stupì di riuscire a centrarli.
Lanciava
gridolini spaventati e si muoveva convulsamente fendendo ogni cosa che
si muovesse, finchè non sentì più i
piccoli bots
attaccarlo.
<< Ah ah! E' tutto qui quello che sai fare?
>>
Si pentì subito di averlo detto non appena sentì
uno
strano solleticò ai piedi. Abbassò lo sguardo e
notò che una melma nera di microbots si era annidata proprio
intorno alle sue caviglie, senza lasciargli scampo.
Con un gesto della mano, l'uomo scaraventò via il ragazzo
che
finì addosso a Fred, appena riemerso da una presa d'aria.
Cominciava a stancarsi, era giunto il momento di finirla. Quei
ragazzini non erano degni di sprecare il suo tempo. Ordinò
ai
microbots di formare un enorme e pesante pistone, sospeso
minacciosamente sui loro corpi indeboliti. Sarebbe bastato un colpo
secco e finalmente sarebbero stati fuori da piedi per sempre.
Ma improvvisamente, un forte colpo d'aria attraversò il suo
corpo e quasi perse l'equilibrio. Alzò lo sguardo e
notò
Hiro e Baymax volare sopra di lui. Il ragazzino aveva cercato di
strappargli la maschera ma non ci era riuscito. Rotearono nell'aria e
si diressero di nuovo verso il loro nemico, aumentando la
velocità. Se non riuscivano a disarmarlo avrebbero dovuto
destabilizzarlo. Ma l'uomo non si fece cogliere di sorpresa e
sparò contro i due un pugno di ferro fatto di microbots che
colpì in pieno il robot. Hiro venne sbalzato in avanti e
cadde
addosso all'uomo.
Rotolarono entrambi giù per le scale buie, finendo sul
pavimento freddo del laboratorio.
In quel momento, la maschera volò via dal volto del suo
ospite e
i microbots persero vita, disintegrando ogni costruzione massiccia che
avevano formato.
Il pistone si sgretolò sulle teste dei quattro ragazzi, che
sentirono il freddo metallo dei piccoli bots come una pioggia
benedetta. Hiro alzò il busto. Avvertiva dolore in ogni
parte
del corpo e una tremenda confusione in testa. Confusione che si
diradò come nebbia quando vide davanti a lui la maschera kabuki. In un
attimo realizzò, l'uomo era ormai disarmato. Senza la
maschera non poteva fare niente, lo aveva in pugno.
Ce l'aveva fatta. La raccolse velocemente, come impaurito che il suo
nemico potesse reagire violentemente per cercare di riprendersela, e si
alzò in piedi, scrutandolo severamente.
<< E' finita, Krei. >>
Il suo sguardo si assottigliò, eliminando ogni traccia di
pietà per l'uomo che stava cercando di rimettersi in piedi a
fatica.
Voleva che si voltasse, che lo guardasse negli occhi. Voleva che
capisse chi era
quel ragazzo a cui aveva strappato l'anima, voleva che lo fronteggiasse
per sentire il rimorso di aver ucciso una persona innocente. Era giunto
il momento della resa dei conti.
E lui si voltò.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Illusione meccanica ***
Qualcosa
non andava.
Lo aveva capito subito. Dal momento in cui aveva visto Hiro
paralizzarsi davanti a quell'uomo vestito di nero, con i capelli
brizzolati, gli occhi azzurri come il ghiaccio più freddo e
il
volto contornato da rughe profonde come solchi. Un'espressione cupa
proferiva dal suo stato d'animo. Chiunque egli fosse,
non somigliava affatto alla persona che stavano cercando. Ora che il
suo viso era scoperto, Baymax cercò di identificarlo,
ma Hiro gli risparmiò quella fatica.
<< Professor Callaghan...? >> Il suo tono
era sconcertato e confuso.
A quanto pare, non era una buona
cosa che ci fosse quella persona sotto la maschera, perchè
anche
i suoi amici ebbero la stessa reazione.
<< Ma... L'esplosione... Lei è morto...
>>
Ogni parola fuoriusciva dalle labbra di Hiro con enorme
difficoltà, come se una pesante catena avesse imprigionato
la
sua voce.
<< No, avevo i tuoi microbots. >> Rispose
il professore, la voce greve e completamente priva di emozione alcuna.
<< Ma... Tadashi... Lo ha lasciato morire?
>>
Nel suo database, Baymax aveva registrato anche il momento in cui il
ragazzino gli aveva parlato dell'incendio in cui Tadashi era morto. Che
stessero parlando dello stesso incidente?
<< Dammi quella maschera, Hiro. >>
<< Lui era rientrato per salvare lei! >>
<< Tanto
peggio per lui. >>
Era stato un attimo, questione di un secondo diviso a metà,
ma l'aveva notato.
Nel momento in cui il professor Callaghan aveva pronunciato quella
frase, Hiro aveva tremato. Ma non per paura, nè tanto meno
per
esitazione. Era sotto stress, lo percepiva. Era notevolmente sotto
stress. Era vicino ad una soglia che non doveva essere valicata per
nulla al
mondo. Troppo vicino ad uno stato mentale che non andava alterato. Per nulla al mondo.
Doveva proteggerlo. Doveva afferrarlo e riportarlo indietro.
Volò da lui, piazzandosi appena dietro il suo corpo
irrigidito.
Avrebbe dovuto dire qualcosa, assicurarsi che stesse bene. Avrebbe
dovuto abbracciarlo e dire che presto tutto sarebbe passato.
Ma Hiro non gliene diede il tempo.
Tremò di nuovo, questa volta fu più percettibile.
E pronunciò un solo ordine.
<< Baymax... Distruggi.
>>
Qualcosa non andava.
I ruoli si erano invertiti velocemente. Ora era il professor Callaghan
ad essere sconcertato e confuso, e Hiro ad essere arrabbiato.
Furioso.
<< Il mio programma mi impedisce di procurare lesioni
fisiche. >> Disse esitante.
Non poteva sapere come Hiro avrebbe reagito alle sue parole in quello
stato, ed era meglio non alterarlo ulteriormente. In fondo, aveva detto
la verità. Lui era un operatore sanitario,
era stato creato per curare la gente, non ferirla. Per quanto l'uomo
davanti a lui potesse essere cattivo, Baymax non avrebbe mai potuto
fargli del male. Non era programmato per quello.
<< Adesso non più. >>
Hiro picchiò violentemente sul portello d'accesso sul suo
petto,
liberando i due chip al suo interno, e rimosse quello verde, gettandolo
via.
Il suo chip. La sua essenza.
Quello era il suo cuore, l'oggetto che lo rendeva se stesso.
E Hiro lo stava buttando via come un inutile pezzo di plastica. Era
arrabbiato, lo sapeva. Doveva cercare di farlo ragionare, doveva
prendersi cura di lui come gli era stato ordinato. E doveva farlo
subito, prima che la cosa andasse oltre il suo controllo. Ma come
poteva farlo? Un abbraccio sarebbe stato poco efficace e
una qualsiasi medicina non sarebbe servita a nulla.
Doveva parlargli. Forse Hiro aveva dimenticato qual'era il suo vero
scopo. Baymax doveva ricordaglielo.
<< Hiro, non è questo che... >>
Sistema riavviato.
Registrazione dati in corso. Rimozione dati scientifici.
Procedura di distruzione attivata.
Hiro spinse di nuovo il portello d'accesso verso l'interno. Dentro,
soltanto il chip rosso.
Il sistema di Baymax si disattivò per un istante,
racchiudendolo
in una bolla di incoscienza.
Ogni circuito dentro di lui lasciò
che il suo compito di guarire
e portare conforto scivolasse via, rimpiazzandolo con un nuovo
obiettivo.
Un obiettivo che non era suo. Un obiettivo per
cui non era
stato creato. Ma in quel momento era tutto quello che poteva fare, non
aveva scelta.
Era soltanto un robot.
I suoi occhi neri e curiosi si tinsero di un rosso sanguigno e
violento, e il suo sistema attendeva un solo ordine che non
tardò a ripetersi.
<< Fallo, Baymax. Uccidilo!
>>
Era soltanto un robot.
E come tale doveva eseguire gli ordini. Non poteva ribellarsi.
Non potè farlo quando puntò il pugno-razzo contro
il
professor Callaghan e fece fuoco su di lui, il quale lo
evitò
gettandosi a terra e fuggì terrorizzato.
Era soltanto un robot. Doveva eseguire gli ordini.
Non reagì quando le persone intorno a lui cercarono
disperatamente di fermarlo.
No! Fermo, Baymax!
Tutto
quello che fece fu gettarli via come manichini, impotenti davanti alla
sua furia.
Doveva seguire Callaghan e distruggerlo. Era il suo compito.
Era soltanto un robot. Doveva eseguire gli ordini.
I suoi occhi rossi brillarono come fuochi demoniaci nella polvere,
individuando il professor Callaghan che ancora tentava di fuggire
spaventato.
Distrusse i pannelli di sostegno, facendosi strada in mezzo
all'oscurità.
Callaghan era caduto. Strisciava come un verme in cerca di
pietà. Pietà che per Baymax non esisteva, non
più.
Puntò il pugno-razzo, pronto a fare fuoco.
Era soltanto un robot. Doveva eseguire gli ordini.
C'erano voci intorno a lui. Eco lontane che non penetravano attraverso
la sua armatura.
Qualcosa lo distrasse dallo sparare il pugno-razzo contro l'obiettivo.
Si sentì trascinare via in un disperato tentativo di
fermarlo.
Ma lui era un robot. E doveva eseguire gli ordini.
Si
schiacciò violentemente contro la parete, abbattendo
chiunque si fosse posato sulle sue spalle per trascinarlo via.
Non
riconsceva più niente, più nessuno.
Tutto quello che sapeva era che doveva distruggere il
professor Callaghan.
Che state facendo?
Così lo farete fuggire.
Perchè glielo aveva ordinato Hiro. Lui stava male, Baymax si
era ripromesso che lo avrebbe aiutato a guarire.
E se quella era l'unica soluzione, allora l'avrebbe fatto.
Per Hiro.
Il professor Callaghan stava scappando. Non poteva lasciare che
fuggisse.
Fermo, Baymax!
Scansò
via ogni intruso, ogni forma vivente che osasse fermarlo.
Violentemente, senza pietà, senza gentilezza alcuna.
Solo forza e devastazione.
Registrò l'obiettivo, in alto su un pannello verso
l'esterno, dal tetto.
Sarebbe bastato poco, ormai era suo.
Prese la mira e alzò il pugno.
Doveva farlo. Era il suo compito. Se lo avesse fatto, Hiro sarebbe
stato meglio.
Non avrebbe più sofferto. Doveva farlo.
Per Hiro.
Sistema riavviato.
Recupero dati scientifici in corso.
Modalità medica attivata.
Baymax
riaprì gli occhi, neri
e
curiosi. Studiò l'espressione spaventata di Honey Lemon, che
aveva inserito nuovamente il suo chip nel portello d'accesso. Il suo
scanner rilevò un'alta concentrazione di adrenalina e
ossitocina
nel suo corpo. Le sue iridi smeraldine erano completamente dilatate e
il suo respiro affannoso. Le mani delicate tremavano terribilmente. Si
guardò intorno, realizzando ciò che aveva fatto
non
appena si accorse che tutti stavano cercando di riprendersi da qualcosa
di terribile. Lo osservavano come fosse un mostro, un animale randagio
a cui avevano
paura di avvicinarsi. E la cosa creò dentro di lui uno
strano
sentimento. Aveva davvero fatto una cosa così brutta?
Hiro gli aveva davvero ordinato di fare una cosa così brutta?
<< Il mio protocollo è stato violato.
>> Disse, aiutando Fred a rialzarsi.
Il ragazzo ritirò debolmente il braccio dalle mani di
Baymax, ancora sotto shock.
<< Mi spiace di aver causato eventuali disagi.
>>
Era davvero dispiaciuto. Era imbarazzante per lui, terribile. Lui era
un operatore sanitario, non una macchina da guerra. Perchè
aveva
lasciato che succedesse?
<< Perchè lo avete fatto?! Lo avevo in pugno!
>>
Hiro sfondò la sua vista, parandosi brutalmente tra lui e i
compagni. Era ancora arrabbiato. Lo percepiva dalle urla, la voce
tremante e furiosa, gli occhi castani di solito così dolci,
ora
bramavano soltanto vendetta e trasparivano delusione nei confronti dei
quattro ragazzi.
Baymax non riusciva a capire. Perchè Hiro ce l'aveva tanto
con
loro? Aveva forse sbagliato a contattarli, quel giorno? Aveva sbagliato
a seguire le sue procedure mediche, cercando di aiutare il ragazzino?
Lo aveva fatto a fin di bene, lui voleva aiutarlo. Voleva che stesse
bene di nuovo. Ma forse aveva soltanto peggiorato le cose.
<< Quello che hai fatto non era nei piani.
>> Disse Wasabi, cercando di calmarlo.
<< Il nostro piano era acciuffarlo, tutto qui.
>> Continuò Gogo.
Non c'era rabbia nella loro voce. Solo preoccupazione e voglia di far
ragionare il piccolo amico, velati da una strana e incredibile dolcezza
nonostante quello che era successo poco prima. Loro capivano
più
di quanto Hiro immaginasse quello che stava provando in quei momenti,
per questo sapevano bene che gridargli contro non sarebbe servito a
nulla.
Ma Hiro non voleva sentire ragioni. Era troppo, troppo arrabbiato.
Troppo frustrato.
Troppo deluso.
<< Ho sbagliato a farmi aiutare da voi. >>
Sputò quelle parole piene di acido e furia contro di loro.
In
qualche modo, sperava di ferirli. Sperava di fargli del male. Poi
ordinò laconicamente a Baymax di registrare la posizione del
professor Callaghan, ma il robot lo deluse nuovamente. Lo scanner era
fuori uso a causa degli impatti violenti durante lo scontro. Hiro
sospirò frustrato. Si arrampicò sulla sua
schiena,
posizionandosi sui sensori magnetici e ordinò di alzare le
ali.
I quattro compagni capirono subito ciò che il ragazzino
aveva in
mente, e gli si mozzò il respiro.
<< Hiro, non faceva parte dei piani... >>
Fred tentò
di parlare, ma la sua voce andò perduta in un istante.
<< Vola! >>
I propulsori si accesero sotto i piedi di Baymax, che in silenzio, non
potè fare nulla per evitare che Hiro lasciasse su
quell'isola i
quattro ragazzi e volasse via. Via da quello che il piccolo considerava
come
un tradimento, come l'ennesima delusione data dalle persone. Avrebbe
dovuto impedirglielo, in qualche modo. Avrebbe dovuto farlo ragionare.
Ma lui era solo un robot. E come tale, doveva eseguire gli ordini.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Riflesso ***
L'orizzonte
era ormai sparito da
tempo, e il manto nero della notte aveva ricoperto la città
e
parte del mondo, condannandolo al sonno. Si era alzato il vento, un
freddo maestrale d'inverno che sferzava violento, fendendo la pelle e i
capelli di Hiro, che volava sulle spalle di Baymax con lo sguardo
dritto e le
labbra serrate. Non una parola fuoriusciva dalla sua bocca. La sua voce
era intrappolata ancora una volta da una spessa catena che posava il
suo pesante macigno sul cuore. Tremava, ma non per il freddo. Gli occhi
gli bruciavano, ma non per il vento.
Tutto
quello a cui riusciva a pensare era quello che era successo poco
prima sull'Isola Akuma. Finiva sempre così, ormai doveva
esserci
abituato. Era sempre finita in quel modo.
Ogni
persona che incontrava lo deludeva, fin da quando era bambino.
Tutti agivano egoisticamente e secondo il solo scopo di rovinare ogni
suo piano, di tranciare via ogni sicurezza per poi giustificarsi con un
banale e stupido discorso privo di senso. Non si poteva fidare di
nessuno. Se lo era sempre ripetuto, fin da piccolo. Le
persone feriscono e basta.
L'unica
persona che non lo aveva mai deluso e di cui si era sempre fidato era
svanita via.
In
una scintilla, in un velo di fumo tra le fiamme dell'inferno. Dritto
nella bocca del demone, che aveva assunto le sembianze di un uomo.
Callaghan.
Il professor Callaghan. L'uomo che Hiro più stimava, il suo
idolo, il suo mito, si era
portato via suo fratello. E lo aveva fatto rubandogli i suoi microbots.
Ma
perchè?
Che
bisogno aveva avuto di
arrivare a tanto? Perchè rubare la sua invenzione e dare
fuoco
alla scuola? Perchè uccidere Tadashi?
Tadashi...
Lui
era rientrato in quell'edificio perchè Callaghan era rimasto
dentro, ignaro o forse conscio del fatto che il professore fosse il
responsabile di quella cruenta messinscena.
La
sua gentilezza lo aveva tradito. La sua bontà lo aveva
condannato a morte in quell'inferno. Ed era tutta colpa di Callaghan.
Hiro
urlò al cielo, liberando tutta la furia e la disperazione di
quel tradimento.
Baymax
ascoltò le sue grida. Era inutile fare alcuna diagnosi
adesso, sapeva benissimo come stava il suo protetto. E
preferì
rimanere in silenzio, mentre si dirigevano verso casa.
(•—•)
<<
'Dashi? 'Dashi, dove sei? >>
Il piccolo Hiro camminava svelto tra i tavoli della caffetteria. I
piedini scalzi non facevano alcun
rumore sul pavimento di mattonelle decorate. Lui e Tadashi stavano
giocando a nascondino, ed era il suo turno di trovare il suo
fratellone. Ma il piccolo aveva guardato ovunque. Sotto i tavoli, nel
ripostiglio, sotto il bancone della cucina. Persino dietro le tende e i
mobili.
Tadashi
non era neanche sotto il letto. Non riusciva a trovarlo.
<<
'Dashi...? >>
Forse
era uscito perchè si era dimenticato che stavano giocando?
Forse si era annoiato di avere sempre il fratello minore tra i piedi?
Forse
lo aveva... Abbandonato? E se non fosse tornato più, come la
mamma e il papà?
<<
'Dashi... >>
Prima
che potesse trattenersi, Hiro scoppiò a piangere. Lacrime
d'argento varcavano il suo visino paffuto e arrossato dallo sforzo, la
bocca contratta in un vano tentativo di reprimere i singhiozzi. Dov'era
Tadashi? Perchè era sparito? Perchè lo aveva
lasciato
solo?
Davvero
non sarebbe tornato più...?
<<
Hiro, che succede? Ti sei fatto male? >>
Zia
Cass scese nella caffetteria e prese in braccio il nipotino di soli
cinque anni, appoggiandolo sulla sua spalla e cominciando a cullarlo
tra le braccia morbide. I suoi capelli ramati sfioravano il faccino di
Hiro mentre la donna cercava di asciugargli le lacrime.
<<
'Dashi... 'Dashi non c'è più... >>
<<
Come sarebbe? Quel cattivone, se lo prendo gli faccio vedere io.
>>
La
donna cercò di calmarlo, ma fu tutto inutile. Hiro
continuava a strillare riguardo all'ipotetica sparizione del fratello
maggiore e lei si vide costretta a richiamarlo. Non aveva idea di dove
fosse, ma di certo si sarebbe fatto vivo presto sentendola ringhiare
come suo solito.
<<
Tadashi Hamada! Dovunque tu sia, ti ordino di venire fuori! Tuo
fratello sta piangendo per colpa tua! >>
Un
paio di secondi, un rumore soffuso dal piano di sopra e sulle scale
apparve Tadashi, con i suoi capelli corti e arruffati e la maglietta
dei supereroi piena di polvere. Zia Cass fu piacevolmente sopresa di
notare lo sguardo di puro orrore sul volto del nipote più
grande
alla vista di Hiro, che piangeva accoccolato sul suo seno.
<< Hiro! >>
Non
appena sentì la voce del fratellone, il piccolo si
girò verso di lui, smettendo subito di piangere, gli
occhioni
nocciola lucidi a causa delle lacrime versate e le guance arrossate.
Allungò le braccine verso di lui, che accorse subito per
prenderlo. Hiro sembrò così sollevato.
<<
'Dashi... >>
<<
Si può sapere che stavi combinando? >>
Chiese
zia
Cass in tono perentorio, lasciando il nipotino nelle mani del fratello
maggiore.
Non
era arrabbiata, ma voleva una spiegazione al riguardo.
Tadashi sembrava imbarazzato, mentre cercava di reggere Hiro in braccio.
<<
Stavamo giocando a nascondino, e io mi sono nascosto sotto il divano!
Non pensavo che... >>
<<
Come hai fatto a... Oh, lasciamo perdere. Hai fatto prendere un bello
spavento a Hiro. >>
La
donna abbozzò un sorriso intenerito e arruffò
maggiormente la chioma di Tadashi, prima di tornare al piano di sopra
per sistemare i letti. Tadashi guardò Hiro, un'espressione
colpevole dipinta sul suo volto da bambino. Il fratellino si reggeva
sulla sua spalla, succhiandosi il pollice mentre il suo piccolo petto
tentava di trattenere i singhiozzi. Il maggiore passò una
mano
in mezzo alla chioma corvina di Hiro, sinceramente dispiaciuto.
<<
Scusami, Hiro. Non pensavo di essermi nascosto così
bene! >> Esclamò sorridendo, cercando di
sdrammatizzare.
Per
tutta risposta, Hiro gli tirò un pugnetto sulla spalla.
<<
Stupido, 'Dashi! Credevo che fossi scappato, che ti fossi stancato di
me... >>
<<
Ma che dici, scemotto? >>
<<
... Credevo che mi avessi lasciato solo... >>
<<
Hiro... >>
Tadashi
rimase sopreso dalle parole inaspettatamente tristi di Hiro. In
un attimo, si rese conto di ciò che aveva dovuto provare il
suo
piccolo fratello quando non era più riuscito a trovarlo. La
morte dei loro genitori era ancora bene impressa nella loro mente, in
fondo erano passati solo due anni dalla loro scomparsa. E Hiro, di
certo, aveva avvertito il trauma in maniera ancor più
profonda.
Tadashi
non poteva biasimarlo, lui stesso faceva ancora fatica ad
accettare la mancanza dei genitori. E adesso che erano rimasti soli,
loro due dovevano farsi forza a vicenda. Erano una squadra, lo erano
sempre stati.
<<
Hiro, ascolta. Ti rivelo un segreto. >>
<<
Hhm...? >>
<<
Io sono immortale! Nessuno può sconfiggermi. Sono stato
creato per restare sempre accanto a te e
proteggerti! >>
Esclamò
Tadashi con la voce forte, fingendosi un supereroe. Gli
occhi di Hiro si illuminarono alle parole del fratello.
<<
Davvero? >> Chiese elettrizzato.
Tadashi
rise. << Si, più o meno. Ma ricorda, se sei
triste o arrabbiato, devi cercami qui. >>
Le
sue dita sottili si appoggiarono delicatamente sul petto del
fratellino. Per un attimo riuscì a sentire il suo cuore
battere,
il suo respiro timido.
<<
Se saprai che io sono qui, non avrai bisogno di chiamare il
mio nome. Perchè siamo insieme, Hiro.
Io sarò sempre con
te. >>
(•—•)
La
saracinesca del garage si aprì con un violento
stridore. Era tardi, ma non aveva alcuna importanza. Poteva svegliarsi
il mondo intero, non avrebbe fatto alcuna differenza. Hiro si tolse il
casco e i guanti, buttandoli malamente sul divano. Baymax
avanzò
timidamente dietro di lui. Osservava ogni movimento del piccolo con
silenziosa preoccupazione. Il ragazzino prese una scaletta e la
posizionò davanti al robot, si arrampicò e
smontò
l'elmetto rosso dalla testa. Doveva ripararlo se voleva ritrovare
Callaghan. Spostò violentemente gli attrezzi di troppo sul
tavolo da lavoro, gettandoli a terra con una gomitata, e
collegò
il chip del casco al computer. Non era stato danneggiato gravemente, e
Hiro fu capace di riprogrammare le funzionalità dell'elmetto
senza problemi.
Non
era del tutto concentrato, però. Non
riusciva a parlare, e il suo sguardo non fissava direttamente lo
schermo. La sua mente era altrove, persa in una spirale di tentazioni
ed emozioni che non accennavano a svanire, esattamente come quella
sensazione di tradimento che lo stava divorando lentamente.
Callaghan
aveva ucciso suo fratello. Tutti gli altri avevano ucciso lui, ancora
una volta.
Gogo,
Fred, Wasabi, Honey Lemon. Tutti loro, i suoi compagni che
avevano accettato di aiutarlo nella sua missione gli avevano infine
voltato le spalle.
Perchè?
Per seguire la loro morale, per rispettare una legge che non avrebbe
mai fatto giustizia. Codardi.
Non
avevano forse proclamato che Tadashi era il loro migliore amico?
Non avevano forse giurato che avrebbero aiutato Hiro a vendicare suo
fratello, non importa quali conseguenze scaturissero?
E
invece, quando erano proprio sul punto di riuscire finalmente a non
rendere vana la morte di suo fratello, si erano tirati indietro,
mandando a monte i
suoi tentativi. Lo avevano rinnegato. Avevano rinnegato Tadashi. Lo
avevano tradito.
Aveva
sbagliato tutto. Doveva agire da solo, come aveva tentato di fare
all'inizio.
Quello
che provava in quel momento era soltanto rabbia, una cieca furia
che gli stava lentamente annebbiando la mente e la vista, formulando
pensieri sconnessi e terribili, macabre scene dal sipario di sangue.
Tutto
ciò che voleva era distruggere Callaghan. Ucciderlo.
Massacrarlo.
Se
Baymax avesse fallito, sarebbe stato disposto a
spezzargli il collo a mani nude. Lo voleva morto. Voleva il suo
cadavere, i suoi occhi vuoti mentre supplicavano di risparmiargli la
vita.
Ma
sapeva che Fred, Wasabi, Gogo e Honey non avrebbero mai
permesso che ciò accadesse.
Avrebbe
dovuto uccidere prima loro.
Si,
avrebbe dovuto farlo subito. Non appena si era reso conto che
stavano tentando di fermare Baymax dal distruggere Callaghan. Gli
avevano portato solo guai, avevano solo fatto saltare i suoi piani.
Era
loro la colpa se non era riuscito a fermare il professore. Era loro
la colpa se non si erano fermati alla scuola quella sera, lasciandolo
solo mentre supplicava Tadashi di non entrare nell'edificio. Era colpa
loro.
Era
tutta colpa loro. Ogni persona che aveva incontrato aveva
contribuito ad uccidere suo fratello un pezzo alla volta, senza
mostrare il minimo risentimento.
Li
avrebbe uccisi tutti. Tutti.
<<
La tua pressione sanguigna è alta. Sembri essere sotto
stress. >>
Baymax
non perse tempo a farglielo notare.
<<
Sto bene. >> Tagliò corto il ragazzino,
palesemente seccato, infilando nuovamente l'elmetto sulla testa di
Baymax. << Ora funziona? >>
Il
robot provò ad attivare il suo scanner, constatandone la
perfetta funzionalità.
<<
Il mio sensore è operativo. >>
<<
Bene, quindi ora... Uh? >>
Hiro
provò ad aprire il portello d'accesso sul petto di Baymax,
ma la perplessità occupò per un istante il posto
della
rabbia, quando notò che questo non si apriva.
Lanciò uno
sguardo confuso a Baymax prima di riprovare, facendo pressione sempre
più forte sul pannello.
<<
Vorresti rimuovere il mio chip di operatore sanitario? >>
Chiese
Baymax, con uno strano tono. Non aveva perso la sua solita
gentilezza, ma adesso sembrava quasi che parlasse in modo perentorio.
Come
se fosse pronto a rimproverare Hiro per quello che stava tentando di
fare.
<<
Si, apri. >>
<<
Tu vuoi che io sopprima il professor Callaghan? >>
<<
Baymax, apri il portello d'accesso. >>
<<
Il mio scopo è guarire i malati e i feriti. >>
<<
Ti ho detto di aprirlo! >>
Non
era mai successo prima. Baymax non si era mai rifiutato così
categoricamente di eseguire un ordine. Stava ragionando a modo suo,
stava impedendo a Hiro di fare ciò che doveva. Da quando
aveva
acquisito una simile capacità? Da quando la
volontà era
entrata a far parte dei suoi circuiti? Hiro avvertì il cuore
battere freneticamente, la rabbia pulsare nelle vene. Non poteva
credere che anche Baymax lo stesse ostacolando. Ma perchè?
Perchè erano tutti contro di lui?
Smontò
brutalmente l'armatura rossa del robot, gettandola di
lato, e cercò di forzare con le dita il portello, che
però non accennava a sganciarsi dal petto dell'automa.
Baymax
non aveva alcuna intenzione di lasciare che Hiro procedesse con
le sue intenzioni. Era scritto nel suo codice, lui doveva aiutare le
persone, non ucciderle. E questo il suo protetto sembrava averlo
dimenticato. Lo aveva rivestito di un ruolo che non poteva ricoprire,
semplicemente per soddisfare un desiderio che Baymax non poteva
realizzare.
Gli
aveva fatto credere che catturare colui che aveva ucciso Tadashi e
consegnarlo alla giustizia lo avrebbe fatto sentire meglio, lo avrebbe
aiutato a guarire. Ma non era quello lo scopo che Hiro stava
inseguendo.
Lui
aveva usato Baymax. Si era servito di lui e lo aveva manipolato
come meglio poteva per fargli credere che lo stesse aiutando, quando in
realtà tutto quello che voleva era vendicarsi. Una vendetta
di
cui si era nutrito per così tanto tempo che alla fine lo
aveva
consumato, facendogli perdere di vista la realtà.
Ma
Hiro aveva usato l'arma sbagliata. Perchè Baymax non avrebbe
mai potuto realizzare quello scopo.
E
se anche ci fosse riuscito, sarebbe davvero stato in grado di vivere
con se stesso, dopo?
<<
Sopprimere il professor Callaghan migliorerà il tuo stato
emotivo? >>
Se
Hiro era davvero sicuro di quello che voleva, Baymax non si sarebbe
più opposto. Avrebbe lasciato che lo usasse per compiere la
sua
vendetta senza protestare. Ma doveva esserne sicuro.
Sicuro
come lo era stato fino a quel momento.
<<
Si..! N-no... Non
lo so! Ora apri
il portello! >>
La
voce di Hiro diventava sempre più forte ad ogni vano
tentativo di forzare l'apertura di Baymax.
E
sempre più fragile.
<<
E' questo che desiderava Tadashi? >>
No.
<<
Non importa! >>
Sempre
più fragile.
Quel
peso era troppo forte. Presto lo avrebbe schiacciato.
<<
Tadashi mi ha programmato per... >>
<<
Tadashi non c'è più! >>
Urlò.
Un ultimo, disperato tentativo di resistere, prima di
collassare.
Hiro
si lasciò andare, mollò la presa
sull'abisso.
Aveva
resistito troppo a lungo, e non ce la faceva
più.
<<
Tadashi...
Non c'è più...
>>
La
sua voce divenne un sussurro nell'oscurità notturna. Quel
peso che aveva portato dentro di sè per tutto quel tempo era
diventato troppo grande, e alla fine aveva ceduto, schiacciandolo con
la sua forza.
Aveva
sentito sempre le stesse parole, visto sempre gli
stessi volti, sopportato sempre le stesse delusioni. Se era riuscito a
resistere fino a quel momento, lo doveva soltanto a Tadashi. A suo
fratello, che gli aveva fatto da padre e da migliore amico. Che era
stato il suo universo, il suo mondo, la sua ancora.
E
che se n'era andato. Per sempre.
Lui
non era più lì a tirarlo su quando cadeva, non
era
più lì ad asciugare le sue lacrime, e non era
più
lì a tenergli la mano e a guidarlo nel suo cammino.
Lui
non c'era più.
<<
Tadashi è qui. >>
Sussurrò
Baymax, quasi
avesse paura di rompere quella triste calma che si era formata tra
loro. Hiro avvertì un nodo alla gola che cercò
disperatamente
di rimandare giù, gli occhi serrati nel buio delle sue
palpebre.
Aveva sentito quella frase così tante volte, ed era
così
falsa, così priva di verità che non valeva
più la
pena di tenerla a mente e illudersi che fosse vero. Era stanco.
Stanco
di quelle parole prive di sostanza. Stanco di quella commiserazione
inutile. Stanco di essere solo.
Tadashi
non sarebbe tornato grazie a quella frase. Nessuno poteva riportarlo
indietro. Nessuno poteva riportarlo da lui.
<<
No... Lui non è qui... >>
<<
Tadashi... E' qui. >>
<< Io sono
Tadashi Hamada, e questo è il primo test del mio progetto di
robotica. >>
Il
viso di Hiro venne illuminato dalla schermata-video apparsa sulla
pancia di Baymax. Alzò lentamente lo sguardo sull'immagine
riprodotta, avvertendo il suo cuore risollevarsi dopo ogni parola
appena pronunciata da quella voce che avrebbe riconosciuto tra mille
altre, aggrappandosi ad ogni movimento, ogni dettaglio che la persona
nel video presentava. Lo vide avanzare verso la telecamera e toccare
qualcosa, prima di sentire una seconda voce, la voce di Baymax,
riempire le casse.
<< Ciao,
io sono Bayma- >>
<< Fermo!
Fermo! Fermo! >>
Un
fischio stridulo e fastidioso si intromise nel solito saluto di
Baymax, costringendo il protagonista di quel video ad indietreggiare e
a tapparsi le orecchie prima di spegnere il robot con un'espressione
dolorosa. Hiro sgranò gli occhi, trattenendo il respiro.
Tadashi
era lì, in piedi davanti alle videocamere di Baymax,
sorridente,
eccitato mentre cercava di mettere a punto il suo progetto.
Il
video era composto da tanti spezzoni, momenti in cui il robot aveva
ripreso i ritocchi che suo fratello gli dava, spesso senza alcun esito
positivo. Il settimo test era finito male, Baymax era entrato in tilt e
aveva quasi minacciato di fargli seriamente male se non fosse stato
fatto interamente di vinile. Un ulteriore stacco e la videocamera
riportò nuovamente l'immagine di Tadashi, questa volta
stanco e
sconfortato, due accentuate occhiaie e i capelli arruffati
dall'evidente mancanza di riposo. La scritta sulla lavagna nera che
teneva in mano riportava il numero 33.
<<
Sono sempre Tadashi
Hamada... E questo è il trentatreesimo test del mio progetto
di robotica... >>
Appena
finì di parlare, l'intera
stanza piombò nell'oscurità a causa di un
improvviso
blackout. Il volto di Tadashi riemerse dalle ombre illuminato da una
piccola torcia tascabile. In quella flebile luce, la sua stanchezza
sembrava trapelare ancora di più. Solo in quel momento, Hiro
si
rese conto di quanto veramente suo fratello ci avesse impiegato per
programmare Baymax. Ogni tentativo sembrava portarlo sempre
più
lontano dal suo obiettivo, così tanto che l'unica soluzione
sembrava gettare la spugna. Eppure Tadashi non ne voleva sapere di
arrendersi.
E
Hiro lo poteva vedere nel suo sguardo, quella scintilla di
determinazione non accennava a svanire.
<<
Non mi
arrenderò, amico mio. Tu non lo sai ancora, ma tu servi al
mondo. Quindi rimettiamoci al lavoro. >>
In
quel momento, Hiro abbassò lo sguardo.
Quella
frase, seppur non diretta a lui, gli sembrò quasi un'eco
vicina, un dolce rimprovero che stava cercando di rammentargli quale
fosse il vero scopo che spettava a Baymax, il suo vero ruolo nel mondo.
E di certo, non si trovava tra le viti di un'armatura da combattimento.
Ma era anche rivolta a lui.
Con
quelle esatte parole, Tadashi lo aveva sempre spronato ad andare
avanti, a cercare un'opportunità. A vedere le cose da
un'altra
prospettiva.
E
in quei giorni di oscurità, Hiro aveva dimenticato tutto,
lasciando che la depressione si tramutasse in rabbia, e la rabbia in
vendetta, oscurando il ricordo di Tadashi. Suo fratello aveva sempre
voluto che Hiro facesse qualcosa di grande per il mondo, aveva sempre
desiderato vedere il modo in cui il suo fratellino avrebbe cambiato
tutto, aiutando sè stesso e ogni persona bisognosa.
Lo
aveva tirato fuori dai vicoli sudici della città, via dalle
pericolose risse dei Bot-Duelli per cercare di rimetterlo sulla strada
giusta.
E
c'era riuscito. Prima di andare via.
Dopo
la sua morte, Hiro aveva sotterrato dentro di sè tutto
quello che Tadashi aveva fatto per lui, concentrandosi soltanto su se
stesso, ricadendo in quel vortice di errori e confusione da cui suo
fratello lo aveva faticosamente tirato fuori. Aveva perso di nuovo la
sua strada, e aveva bisogno che qualcuno gli rammentasse che valeva
molto di più di un mucchio di soldi sporchi.
E
ora Tadashi era lì, per ricordargli chi era
davvero.
Si
rese conto di quanto si fosse sbagliato, di quanto avesse avuto
torto anche solo a pensare che Baymax potesse essere usato come arma
di distruzione.
Tadashi
aveva lavorato duro e a lungo per programmarlo. Era stato il
suo progetto più grande, il suo scopo nella vita.
Baymax
era
stato così importante per Tadashi che lui stesso aveva
ritenuto
necessario allontanarsi per un po' da Hiro pur di portare a termine
ciò che voleva.
E
Hiro era stato troppo egoista per capire quanto davvero suo fratello
avesse sofferto, seppur con il sorriso sulle labbra, per la sua
creazione. Una creazione dall'animo profondamente altruista, il cui
solo scopo era aiutare la gente a guarire. Hiro l'aveva quasi
trasformato in una macchina da guerra, distruggendo tutte le speranze
che Tadashi aveva riposto in lui.
Lo
aveva deluso.
Infine,
lo aveva deluso.
I
suoi occhi si riempirono di lacrime al solo pensiero.
Il
video tagliò nuovamente, questa volta mostrando lo studio di
Tadashi immerso nel sole del primo mattino.
Il
ragazzo non
guardò direttamente la telecamera, troppo occupato a
sbadigliare
e a stirare via le occhiaie dal suo viso con una mano.
<<
Sono sempre Tadashi
Hamada e questo è l'ottantaquattresimo test... >>
Mise
via la lavagna, alzando lo sguardo sempre speranzoso su Baymax, prima
di immettere il chip.
<<
Che racconti, ragazzone?
>>
<< Ciao,
io sono Baymax. Il tuo operatore sanitario personale. >>
<< Funziona...
Funziona! Oh, è fantastico, tu funzioni! >>
Dopo
tutta la fatica, dopo tutto il lavoro impiegato e il sudore
versato finalmente Baymax era stato messo a punto, e funzionava
esattamente come lo aveva programmato Tadashi. Lui stesso
sembrò
non poterci credere quando sprigionò finalmente tutta la sua
felicità, baciando perfino la faccia del robot, appannandone
la
superficie. Saltellò su e giù per tutta la
stanza,
lasciando che la sua voce solitamente profonda diventasse acuta e
trillante di euforia. Hiro rise intenerito. Suo fratello era sempre
stato
buffo quando qualcosa di bello capitava e spesso si lasciava andare a
dimostrazioni del genere, così divertenti e spensierate.
<<
Ok, ok! E' un grande
momento. Scansionami. >>
<< Il
livello dei tuoi neurotrasmettitore è elevato.
Ciò significa che sei felice. >>
<< Eccome!
Io sono felicissimo!
Oh, cavolo... Aspetta che ti veda mio fratello. Aiuterai molte persone,
amico mio. Moltissime. E per ora è tutto.
Sono soddisfatto del
trattamento. >>
L'ultimo
fotogramma del video
mostrava Tadashi. Semplicemente lui, lui in ogni aspetto perfetto di se
stesso. Il suo sorriso sollevato, gli occhi brillanti e vivi, ogni pura
emozione traspariva da ogni centimetro del suo corpo. Tadashi era
felice, felice come non mai. Felice di aver finalmente ideato un amico
per tutti coloro che ne avrebbero avuto bisogno.
Di aver finalmente
creato un amico per
Hiro.
Il
piccolo allungò una mano a toccare lo schermo olografico,
carezzando delicatamente il volto del fratello maggiore, mentre lacrime
sottili solcavano il sorriso malinconico sulle sue labbra, tingendolo
di sale.
Gli
era mancato. Gli era mancato così tanto.
Avrebbe
dato qualsiasi cosa per poterlo rivedere, e così era
stato. Un piccolo dono dall'aldilà, prima di ripartire.
<<
Grazie, Baymax. >> Sussurrò timidamente,
guardando il robot.
Ancora
una volta, Baymax aveva trovato un rimedio per attenuare il suo dolore,
esaudendo il suo vero desiderio
impossibile.
Aveva
rivisto Tadashi. Tramite uno schermo, certo, e solo per un breve tempo.
Ma lo aveva rivisto.
Per
così tanto tempo, così tante notti aveva tentato
di
modificare quella sera fatale nella sua mente, senza mai riuscirci.
Aveva
rincorso suo fratello tra le fiamme oniriche, ritornando sempre
da solo. Aveva dato ad altri responsabilità che non avevano,
soltanto per allontanare da sè stesso quel senso di colpa e
quella sofferenza che lo avevano lentamente consumato dall'interno, che
avevano divorato la sua anima e il suo cuore, e lo avevano accecato
procurandogli ferite troppo profonde. Ferite che Baymax era riuscito a
guarire.
Si
sentì più leggero, avvertì la rabbia
scivolare
via e liberarlo, sciogliendo quelle catene che lo avevano tenuto
imprigionato troppo a lungo. Ogni cosa sembrava più chiara
ora,
come se avesse finalmente visto la luce alla fine di un tunnel immerso
d'oscurità e solitudine. Un tunnel che lui stesso aveva
creato.
Tadashi
aveva lavorato tanto su Baymax. Aveva riposto in lui tutta la
sua anima e le sue intenzioni, compreso l'istinto fraterno che aveva
sempre protetto Hiro da ogni male. Era per questo motivo che Hiro
ammirava e amava suo fratello, ma non era mai riuscito a capirlo
pienamente, non fino a quel momento. E accecato dal desiderio
di vendetta, aveva quasi distrutto quel bellissimo sogno.
<<
Io ti chiedo scusa... Forse non sono come mio fratello. >>
<<
Hiro... >>
Fu
sorpreso nell'udire la voce profonda e flebile di Gogo provenire
dall'esterno del garage. Lo fu ancora di più quando vide lei
insieme al resto della squadra, vivi e vegeti e con sguardi gentili sui
loro volti.
Come
avrebbero mai potuto perdonarlo per ciò che aveva detto, per
ciò che aveva fatto?
Se
erano arrabbiati, di certo non poteva biasimarli. Era stato
immaturo, irresponsabile e terribilmente egoista. Tutto il contrario di
quello che Tadashi avrebbe voluto.
Perchè
si erano preoccupati di venire fin lì? Sentiva di non
meritare il loro perdono.
<<
Ragazzi, io... Io... >>
Tentò
debolmente di scusarsi, ma il suo tentativo venne subito
spazzato via da Gogo, che lo strinse forte a sè. Hiro chiuse
gli
occhi, godendo per un momento di quel caldo abbraccio che sapeva solo
di conforto e comprensione. La ragazza gli accarezzò i
capelli,
poggiandogli poi le mani sulle spalle.
<<
Acciufferemo Callaghan, e questa volta lo faremo come si deve.
>> Disse con decisione.
Hiro
abbozzò un sorriso grato, ancora un po' stupito della loro
presenza lì. Ma poi ogni cosa, ogni pensiero e sensazione si
ricongiunsero insieme come i tasselli di un puzzle perfetto.
Gogo,
Honey Lemon, Fred e Wasabi.
Onoravano
Tadashi, lo ammiravano come un eroe. Per questo avevano
impedito che Hiro uccidesse Callaghan. Sapevano bene che, se il loro
piccolo amico ci fosse riuscito, Tadashi sarebbe scomparso dalla sua
memoria per sempre, venendo rimpiazzato con il sentimento di rimorso
che avrebbe consumato il cuore del piccolo fino a farlo
diventare un involucro vuoto di disperazione.
Hiro
non sarebbe stato diverso da Callaghan se lo avesse ucciso. Ma di
certo, sarebbe stato troppo diverso
da quello che Tadashi voleva che fosse.
Ma
lui non lo aveva capito, ed era stato testardo, malizioso. E
nonostante tutto, erano ancora lì, accanto a Hiro, per nulla
arrabbiati e pronti ad aiutarlo ancora una volta.
Anche
loro, in un senso profondo, gli avevano salvato la vita.
<<
Magari la prossima volta puoi evitare di abbandonarci
sull'isola del terrore? >> Chiese ironico Wasabi, un
sorriso
gentile sulle grosse labbra nere.
Hiro
si portò una mano sul volto, imbarazzato.
<<
Oh, mi dispiace. >>
<<
Ah, tranquillo. Heathcliff è venuto a prenderci con
l'elicottero. >> Precisò Fred.
<<
Hiro, qui c'è qualcosa che dovresti vedere. >>
Honey
Lemon tirò fuori dalla tasca della gonna un pen-drive
viola con leggere sfumature dorate e gliela porse. Hiro la
collegò al computer, aprendo la cartella che conteneva i
vari
file video del progetto Rondine
Silente.
Non avevano fatto in tempo a vedere alcuni di quegli spezzoni e uno in
particolare attirò l'attenzione dei sei compagni. Doveva
essere
stato registrato poco dopo l'incidente perchè la troupe
operativa sembrava ancora sconcertata e il colonello stava
rimproverando Krei, che appariva visibilmente mortificato.
In
quel momento, una voce familiare fuori campo proruppe in un urlo
furioso, inveendo contro l'imprenditore.
<<
Callaghan... >>
Il
professore apparve fuori di sè mentre veniva bloccato con
forza da alcuni poliziotti presenti, prima che potesse mettere le mani
su Krei. Ogni segno di malinconia sul suo volto, ogni traccia di
composta fierezza e la calma gentile che tanto avevano contraddistinto
il suo primo incontro con Hiro erano svanite.
Quello
non era il professor Callaghan che Hiro aveva conosciuto. Non era il
professore che Tadashi aveva ammirato e stimato.
<<
Era un brav'uomo... Cosa gli è successo? >>
Chiese tristemente Honey Lemon.
Hiro
scosse la testa, cercando tra gli altri file. Doveva pur esserci
un indizio, una traccia che lo aiutasse a completare quel disegno
così contorto e deprimente. Aveva bisogno di una risposta,
qualsiasi risposta a quello che Callaghan aveva fatto, pur di
giustificare il mostro in cui si era trasformato. Honey Lemon
indicò un angolo nascosto dalla telecamera, e i sei
amici si stupirono nel vedere Callaghan abbracciare una donna, appena
dietro la capsula. Hiro riconobbe subito la giovane. Si trattava del
pilota che doveva provare la funzionalità del teletrasporto.
E
che era scomparsa nel portale, causando il fallimento del progetto.
Studiò
nuovamente il filmato del pilota poco prima che questa
entrasse nella capsula. Riavviò il video molte volte,
finchè un dettaglio non gli torse lo stomaco. Un dettaglio
nascosto tra i pannelli del casco bianco della donna. Un nome era
impresso in lettere maiuscole sulla superficie.
O
meglio, un
cognome.
Callaghan.
<<
Il pilota era la figlia di Callaghan... Callaghan ce l'ha con Krei!
>>
<<
Vuole vendicare sua figlia! >> Esclamò Fred,
in tono drammatico.
<<
E usa i microbot per ricostruire il portale. >>
Completò Honey Lemon.
Tutto
combaciava. Tutti i pezzi del puzzle erano finalmente al loro
posto e avevano rivelato un terribile e triste movente. Il motivo che
aveva trasformato il professore buono in un demone spietato.
Callaghan
aveva perso sua figlia, e credeva che fosse tutta colpa di Krei. E
andava fermato.
Doveva
essere salvato.
__________________________________________________________________________
Sarò
sincera. Credo che questo sia il capitolo che mi è piaciuto
di più scrivere. Rileggendolo, mi sono resa conto del
perchè ho voluto fare questo esperimento, del
perchè questo film mi sia rimasto così impresso.
Ho
messo tutta me stessa in queste righe. La stessa persona che si
è rivista in Hiro, e anche un po' in tutti gli altri
personaggi seppure in piccole parti frammentate.
Questo
capitolo ha sancito il motivo per cui io ho adorato e non
smetterò mai di adorare questo film, e di ritenerlo uno dei
più belli e più saggi della Disney.
Come
al solito, grazie a tutti quelli che stanno seguendo questo piccolo
delirio.
Un
ringraziamento speciale a fenris, EmmyDreamer_love2004 e alla nuova
arrivata Marlena_Libby.
LittleBloodyGirl
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Ultimo scontro ***
La nuova struttura che avrebbe
ospitato il campus di Alister Krei era stata finanziata interamente
dalle più
grandi aziende che cooperavano con la KreiTeck Industry, fornendo
ognuna quasi
cinque milioni di yen per poterla erigere. Era stata costruita su una
vecchia e
solida collina nella parte alta della città, proprio accanto
al secolare tempio
shintoo. Le lucide pareti bianche
contornavano una facciata completamente vitrea, e uno spazio aperto era
stato
allestito affinché i futuri studenti potessero rilassarsi
durante le pause
dalle lezioni. La concorrenza all'istituto tecnologico SFIT.
L'idea del campus era nata principalmente per ostacolare la famosa
scuola, e Alister
Krei non si era fatto alcuno scrupolo per ottenere i soldi necessari
alla
costruzione della sua struttura.
Quel giorno in cui il sole splendeva alto riflettendosi in mille
diamanti sul
mare, fungeva da scenario perfetto per l'inaugurazione.
L'imprenditore reggeva in mano un sottile bicchiere di vetro pieno di
champagne
e, scortato da alcune guardie del corpo, illustrava tutte le
qualità della sua
scuola ai giornalisti e fotografi presenti.
Non poteva certo immaginare che quella giornata sarebbe finita in
tragedia per
lui.
<< Questo campus è la realizzazione del sogno
di una vita. Ma non sarebbe
stato possibile senza qualche... Incidente di percorso. Quegli
imprevisti ci
hanno resi più forti e hanno spianato la strada verso il
futuro. >>
L'uomo alzò il bicchiere verso la folla sottostante il palco
dove stava tenendo
il comizio, per brindare alla sua nuova opera. Rimase visibilmente
spiazzato
quando si accorse che i presenti, invece di applaudire, cominciarono a
scappare
e a gridare, indicando qualcosa dietro l'uomo.
<< Imprevisti?! >>
Una voce profonda e graffiante squarciò la calma di quella
giornata, sfociando
in un urlo spettrale. Krei si volse, solo per vedere un'inquietante
melma nera
strisciare e colare lungo le finestre del campus e divenire sempre
più densa
fino a proiettare un'ombra oscura su di lui. Un fantasma demoniaco
apparve
contro la luce del sole, coprendolo interamente. Gli occhi infuocati e
le
lacrime di sangue lo fecero trasalire e una paura fredda si
insidiò in lui,
costringendolo a reagire con la fuga. Il bicchiere di champagne cadde
sul
pavimento, frantumandosi in piccoli pezzi sporchi che vennero subito
sommersi
dai tentacoli neri dell'ammasso ferroso. Il suo tentativo di fuggire fu
inutile. Le braccia fredde e metalliche composte dai microbots lo
afferrarono
subito, intrappolandolo in un'inquietante bozzolo che copriva
interamente il
suo corpo, lasciando libera solo la testa.
L'uomo che comandava i microbots il cui volto era celato dalla maschera
kabuki
si parò davanti a lui, rivelandosi solo per poter soddisfare
quella sete di
terrore che vide riflesso negli occhi della sua vittima.
Gli occhi di ghiaccio di Robert Callaghan si scontrarono contro quelli
stupiti
e spaventati di Alister Krei. Lo squadrò con tutto
il disprezzo e l'odio
che aveva coltivato fino a quel momento, contando ogni secondo che lo
separava
dalla sua bramata vendetta. Aveva atteso quel giorno con tutto se
stesso.
<< Mia figlia è stata un imprevisto?
>>
Krei sentì il suo respiro mozzarsi alla vista dell'anziano
professore che tutti
avevano creduto morto. Per un attimo, fu come se fosse piombato in un
incubo,
in una situazione irreale da cui non riusciva a venire fuori. Il ferro
gelido
dei microbots scorreva viscido lungo il suo corpo, penetrando
attraverso i suoi
vestiti come fitte indolori. Tutto ciò non poteva essere
reale... Certe cose
accadevano soltanto nei film! Ma sentire la sua voce roca e furiosa
nominare
Abigail lo fece trasalire, ricordandogli il momento più buio
della sua vita.
Con la voce spezzata e tremante, cercò di parlare.
<< Callaghan...? Tua figlia... E' stato un incidente, io
non... >>
<< Silenzio! >> Lo zittì il
professore, urlando. << Mia
figlia non c'è più a causa della tua arroganza.
>>
Le sue ultime parole culminarono in un sussurro frustrato, sputato come
una
punta velenosa contro l'imprenditore. Poi sollevò lo sguardo
verso il cielo.
Sopra di loro, tre lunghi tentacoli composti dai microbots si
diramarono lungo
tutto il campus, trasportando ognuno i pezzi del portale. Krei lo
riconobbe
subito e deglutì.
Come aveva fatto a recuperare quei frammenti? Nulla di tutto questo
doveva
succedere. Non poteva succedere.
<< C-che cosa vuoi fare? >>
<< Mi hai tolto tutto ciò che avevo quando hai
spedito Abigail in quella
macchina. Ora è il mio turno di
toglierti tutto. >>
<< No... No, non farlo! >>
Un velo di terrore scese sulle sue iridi di zaffiro non appena il
portale si
riattivò, emanando una forte luce celeste da cui
scaturì un potente flusso che
cominciò a risucchiare dentro di sè qualsiasi
cosa si trovasse nel suo raggio
d’azione. Krei vide il campus che aveva costruito, il sogno
di una vita, il
frutto di anni di sacrifici svanire lentamente mentre questo si
sgretolava come
sabbia, venendo trasportato via dal campo magnetico del portale. Il
tetto
bianco si incrinò a vista d'occhio, frammentandosi e volando
verso l'alto per
finire all'interno del portale, seguito dai vetri delle finestre, le
sedie
all'interno e le scrivanie.
Un'intera scuola d'acciaio e cemento si stava sgretolando davanti ai
suoi occhi
impotenti, come fosse cartapesta.
<< Ora vedrai svanire tutto quello che hai costruito. Poi
toccherà a te.
>>
Non c'era alcuna esitazione da parte di Callaghan, alcuna
pietà. I suoi occhi
erano di gelido ghiaccio pronto a trasformarsi in stalattiti
pungenti.
<< Professor Callaghan! >>
Una giovane e familiare voce interruppe per un attimo la sua sete di
vendetta e
lo costrinse a voltarsi. Avrebbe dovuto essere stupito di vedere Hiro e
i suoi
compagni ancora lì, intenti a fermarlo. Ma non lo
era. Li fissò
freddamente, senza alcuna emozione che potesse trasparire dal suo volto
sempre
più vecchio. Hiro scese da Baymax e si tolse il
casco, sostenendo il suo
sguardo.
<< Lo lasci libero. >>
La sua non era una richiesta. Era un ordine. Un ordine che Callaghan
non aveva
alcuna intenzione di eseguire.
<< E' questo che Abigail avrebbe voluto? >>
<< Abigail non c'è più!
>>
Seguì il silenzio a quella risposta. Hiro sgranò
gli occhi, lasciando che il
peso dell'inquietudine piombasse nel suo stomaco. Fu un breve attimo di
terrore, ma lo vide. Vide se stesso. Proprio di fronte a lui.
Vide uno specchio sporco di sangue e ruggine che mostrava il suo
riflesso più
macabro, quello che sarebbe diventato se Baymax e gli altri non lo
avessero
riportato sulla giusta strada. E quel riflesso aveva i capelli grigi,
le rughe
segnate e gli occhi di ghiaccio pieni di odio.
Hiro e Callaghan. Callaghan e Hiro. Due facce della stessa medaglia.
Erano
simili, non poteva negarlo. La loro storia era stata scritta in modo
brutale,
seguendo lo stesso sentiero di disperazione.
Hiro aveva perso Tadashi per colpa di Callaghan. Callaghan aveva perso
Abigail
per colpa di Krei. Entrambi avevano desiderato la vendetta, e il finale
di quel
racconto sarebbe stato prevedibile e intriso di violenza. Ma la loro
strada era
giunta ad un bivio, e Hiro aveva imboccato un sentiero diverso. La
differenza
tra i due era che Hiro non era solo, non lo era mai stato. E grazie ai
suoi
amici, grazie a Baymax, si era salvato.
Forse ora poteva tendere quella stessa mano anche all'assassino di suo
fratello, a quell'uomo distrutto dal dolore e accecato dalla vendetta,
esattamente come lui.
<< Questo non cambierà le cose. Deve
credermi... >> La vendetta non
gli avrebbe reso ciò che avevano perso. << Io
lo so. >>
Lo sguardo del professore si addolcì per un istante,
mettendo da parte l'odio.
L'uomo riemerse dall'aspetto del demone. Forse Hiro aveva ragione.
Valeva davvero la pena sporcarsi le mani di sangue per sua figlia? In
fondo
sapeva che Abigail non avrebbe mai voluto che suo padre diventasse un
assassino. Non era masi stata sua intenzione uccidere... E di certo,
non
avrebbe voluto coinvolgere innocenti. Tadashi Hamada era morto per
causa sua.
Quanta distruzione aveva portato fino ad ora per inseguire il suo
scopo? E
soprattutto, quale beneficio ne aveva tratto?
<< Ascolta il ragazzo, Robert! Se mi lasci andare ti
darò tutto quello
che vuoi! >>
Le parole di Krei furono come una spada trafitta nel velo della
pietà. Tutto
quello che voleva. Non avrebbe più potuto riavere
tutto quello che voleva.
Perchè ciò che più desiderava era una
cosa sola.
<< Rivoglio... La mia. Adorata. Figlia!
>>
Calò nuovamente la maschera sul suo volto, lasciando che il
demone prendesse di
nuovo il sopravvento sull'uomo.
Non gli importava più se quei ragazzini, che una volta erano
i suoi studenti
migliori, fossero ancora vivi per dargli la caccia. Non gli importava
se
stessero bene, nè tantomeno voleva sapere perchè
sembrava che fossero più uniti
di prima. Nonostante il tentativo di Hiro di ucciderlo, a
Callaghan non
importava nulla di lui, nè del suo robot o dei suoi amici.
Era così consumato
dalla vendetta e dall'odio che provava per Krei che tutto
ciò che voleva fare
era soltanto vederlo morire, e i suoi sogni con lui. Esattamente come
sua
figlia. Era tutta colpa di quell'uomo se Abigail non c'era
più. Lei era la sua
ragione di vita, la sua speranza.
Ed era svanita via in un attimo. Non gli era rimasto più
nulla se non l'odio,
il suo carburante per vendicare sua figlia. Krei avrebbe fatto la
stessa fine,
e Abigail avrebbe finalmente avuto giustizia.
Sferrò un attacco con i microbots contro i ragazzi, che si
scansarono
velocemente.
Hiro atterrò di lato con una capriola, si infilò
il casco e salì sopra Baymax
, ordinandogli di volare. << Prendiamo la
maschera! >>
Girarono intorno a Callaghan, cercando di colpirlo dal retro, ma i
tentacoli di
microbots afferrarono Baymax per i piedi e lo sbatterono violentemente
contro
la parete del campus, sbilanciando il piccolo. Hiro si
schiantò contro le
finestre, rotolando lungo la sala studio. Prima che riuscisse a
rimettersi in
piedi, si sentì spinto verso l'alto ritrovandosi incollato
al soffitto. Si
lasciò sfuggire un grido acuto, quando realizzò
che la forza del campo
magnetico aveva preso il sopravvento e stava lentamente appropriandosi
di ogni
cosa. Baymax cercò di raggiungere Hiro, ma venne prontamente
afferrato dai
microbots e sbattuto a terra con violenza inaudita, stordendolo.
Gogo, Wasabi, Fred e Honey Lemon cercarono di aiutarli, ma senza
successo.
Prima che riuscissero a sferrare un attacco decisivo, vennero
prontamente
fermati da Callaghan che ordinò ai microbots di
distruggerli. Fred sputò fuoco
sui piccoli bots cercando di liquefarli, ma i vari tentacoli lo
afferrarono per
gli arti prima che potesse reagire, minacciando di strapparglieli via.
Il
ragazzo tentò debolmente di resistere e digrignò
i denti, cercando di
sopportare il dolore lancinante alle spalle e alle caviglie. Per un
attimo, il
costume sembrò soffocarlo, soffiando su di lui una tetra
aria calda e
soffocante. I microbots lo strinsero ancora di più,
costringendolo ad urlare.
Honey cercò di aiutare l'amico lanciando due delle sue bombe
chimiche contro i
bots, riuscendo a fermare due braccia metalliche in arrivo verso di lei
grazie
ad una spessa barriera di vetro color arancio. Ma un terzo tentacolo
infranse
la sostanza con un fortissimo colpo, e assunse le sembianze di una lama
affilata, pronta a colpirla. Honey li intercettò subito e
fece esplodere due
sfere accanto a lei, creandosi uno scudo impenetrabile. I bots
cominciarono a
colpirlo, ammaccandolo in varie parti finchè uno dei colpi
andò a segno e
infranse lo scudo, evitando la ragazza per un soffio.
Gogo scivolò giù per la parete di vetro, facendo
rotolare come fulmini i suoi
dischi dorati. Accelerò e cercò di saltare su una
delle braccia formate dai microbots
neri, ma Callaghan capì subito la sua intenzione e
ritirò il tentacolo,
ordinando poi di formare una dura sfera di ferro intorno alla ragazza,
la quale
perse l'equilibrio e si ritrovò circondata da una vera e
propria gabbia di
microbots. La luce del giorno venne completamente oscurata e Gogo si
ritrovò al
buio in breve tempo, senza sapere come reagire.
Wasabi era l'unico rimasto in gioco a usare le sue lame-laser per
tranciare
nettamente i piccoli robot che lo attaccavano. Callaghan smise di
sferrare
attacchi frontali e pose i palmi l'uno di fronte all'altro. In
quell'istante, i
minuscoli robot strisciarono in due file incidenti ai lati del ragazzo,
smantellando due dei grandi pannelli bianchi del tetto per spingerli
contro di
lui. Wasabi sgranò gli occhi e pose le braccia ai lati,
facendo pressione sui
bicipiti per cercare di allontanarli. Per poco non si tagliò
la gola, quando
avvertì il calore del laser sulla trachea.
Disattivò le lame e tentò di
liberarsi ma senza successo, sentendo i microbots spingere sempre
più forti le
tegole contro il suo corpo. Di lì a poco, lo avrebbero
schiacciato.
Hiro riusciva appena a muoversi. Dall'auricolare del casco gli
giungevano le
grida dei compagni come una macabra eco e la paura gli torse lo
stomaco. Se
anche uno di loro fosse morto, non se lo sarebbe mai perdonato.
Cercò di
spingersi giù dal soffitto, quando questo si
disintegrò proprio sotto le sue
mani, trascinandolo via con sè verso il portale. Il
ragazzino urlò, afferrando
uno dei ferri che avevano composto lo scheletro del campus, pregando
che almeno
quello resistesse al flusso. Il suo corpo era sospeso in aria, verso
l'alto, e
lo sentiva stranamente pesante. Senza Baymax non aveva alcuna
possibilità di
resistere al campo magnetico e sarebbe stato risucchiato prima di
potersene
accorgere. Callaghan era invincibile finchè aveva la sua
maschera, e le sue difese
assolutamente impenetrabili.
Sembrava davvero che non ci fosse modo per sconfiggerlo.
Piccoli pezzeti freddi sfiorarono il vetro del suo casco emettendo un
tintinnio
metallico.
Alcuni microbots che si erano staccati dal resto della costruzione
mobile
vennero risucchiati dal portale, svanendo nella luce celeste del
flusso. Li
seguì con lo sguardo, lasciando che la vista si capovolgesse
per creare intorno
a lui una nuova prospettiva di quella situazione. Una nuova
prospettiva.
D'improvviso capì. Era ovvio, la risposta era sempre stata
sotto i suoi occhi.
L'aveva costruita proprio lui.
<< Ho trovato... So come batterlo! >> Poi
si rivolse ai suoi
compagni, parlando tramite il ricevitore. << Ascoltate,
accendete il
cervello e trovate una via d'uscita! Guardate da un'altra prospettiva!
>>
Le parole di Hiro penetrarono nelle orecchie e nel ricordo dei quattro
ragazzi,
lasciando che la paura venisse per un attimo sostituita dalla voce di
Tadashi
che illuminò la loro visione come un barlume di speranza.
Wasabi arricciò le
labbra, e facendo un'ultima pressione sull'avambraccio destro per
allontanare
uno dei pannelli che lo stavano schiacciando, usò l'altro
per azionare la
lama-laser e squarciare il pavimento sotto i suoi piedi, creandosi una
via di
fuga appena in tempo per sfuggire alla trappola tesa dai microbots.
Honey Lemon preparò due bombe chimiche e attese
pazientemente che uno dei tentacoli
affondasse il colpo proprio di fronte a lei. Quando accadde, fece
esplodere le
sfere su di esso e tenendosi aggrappata grazie alla colla che aveva
appena
creato, si lasciò trascinare in alto, fuori dallo scudo di
vetro, finalmente
libera. Gogo la seguì, sputando via la gomma da masticare
alla fragola. Riprese
i dischi che le erano caduti quando era stata intrappolata nella sfera
formata
dai piccoli bots e cominciò a ruotare su se stessa, le gambe
e le braccia
distese in posizione supina, sfiorando la spessa superficie di ferro.
Girò più veloce, sempre più veloce,
sempre più veloce ogni secondo. Gridò per
lo sforzo, sentiva la testa girare e i muscoli del suo corpo contrarsi
violentemente. Ma presto, la parete di microbots cominciò a
cedere, preda del
calore e dei dischi affilati di Gogo. La sfera che la teneva
prigioniera si
aprì a metà, lasciando che l'aria e la luce del
giorno penetrassero di nuovo
nei suoi polmoni mentre saltava via da quel guscio infernale.
<< Le mie
braccia... Si stanno... Spezzando! >>
Gridò Fred, ancora vittima della forte presa dei microbots.
Poi la
realizzazione lo illuminò come una lampadina.
<< Aspetta un momento... E'
il costume! >>
Ovviamente, i suoi arti erano ricoperti interamente da una tuta di
cuoio a
forma di mostro, ovvero ciò che i microbots stavano tentando
di strappare via
in quel momento. Fred ritirò le mani con un sorriso
sornione, quando adocchiò
un pannello di ferro caduto dalla parete del campus. Sembrava spesso e
molto
affilato.
<< Ciao, bel cartello! Hai voglia di fare un giretto?
>>
Tese il braccio fuori dalla bocca di fuoco e lo afferrò,
sfoderando tutte le
sue capacità di mascotte della scuola per farlo roteare e
tranciare via i
tentacoli di microbots, che si disintegrarono come formiche morte,
rilasciandolo. Una volta libero, Fred si riappropriò del
costume e tagliò
energicamente ogni braccio metallico che cercasse di infilzarlo. Un
misto di
rabbia, tensione e adrenalina si impossessò di lui mentre
urlava i nomi delle
sue mosse segrete ogni volta che dilaniava i microbots.
Sferrò un ultimo colpo
ad una pozza di robots a lui vicina, e urlò vittorioso prima
di balzare per raggiungere
gli altri.
<< Ragazzi, Hiro è lassù!
>> Esclamò Honey Lemon, indicando il
piccolo amico. La vista e l'idea di Hiro che veniva risucchiato
all'interno del
portale li fece rabbrividire.
<< Che cosa possiamo fare? >>
Domandò Wasabi, più a se stesso che
agli altri.
Ma prima che potessero decidere come aiutarlo, Hiro emise un rantolo
soffocato.
<< Baymax... Baymax! >>
Il piccolo non sentiva più il braccio, non sapeva quanto
avrebbe potuto
resistere. Strinse le palpebre, cercando di ignorare il dolore ai
bicipiti ma
senza successo. Le sue dita cominciarono a cedere e a scivolare lungo
la
superficie rugosa del ferro a cui si reggeva.
Baymax, immobilizzato dai microbots, sentì la sua voce
tramite il microfono e
alzò lo sguardo. << Hiro! >> La
sua visuale azzurra venne
completamente oscurata dalla melma ferrosa dei bots, che lo coprirono
interamente, seppellendolo sotto il loro peso freddo. I quattro ragazzi
osservarono allibiti quello spettacolo e accorsero per tirare fuori
l’amico
robot, prima di vedere i microbots cedere inermi sotto la potenza del
pugno-razzo che l’automa sferrò per liberarsi.
Baymax si diede la spinta con i propulsori e si librò in
aria, recuperando la
sua mano. Hiro sorrise, vedendo l'amico dirigersi in volo verso di lui.
Senza
togliergli gli occhi di dosso, calcolò la distanza che li
separava, e ogni
secondo che passava la sua presa si allentava sempre di più.
Ancora un po'. Più vicino. Più vicino.
Si lasciò andare.
E Baymax lo afferrò.
<< Ah ah! Adoro quel robot! >>
Esclamò Krei, spettatore silenzioso
di tutta quella scena. Callaghan, dal canto suo, non sembrava affatto
felice
dello sviluppo della situazione e schiantò Krei contro
l’insegna del campus, e
i microbots piegarono con forza le leghe d’acciaio che
componevano la grande
lettera K, intrappolando l’imprenditore.
Hiro e Baymax squarciarono il flusso magnetico del portale con la
velocità del
volo ed entrambi si stabilizzarono di nuovo, raggiungendo il resto del
gruppo
che urlò di gioia nel rivederli.
<< Ok, nuovo piano. >> Parlò
Hiro, rivolto ai compagni. <<
Lasciamo stare la maschera e disgreghiamo i microbot, verranno
risucchiati dal
portale. >>
<< Questo è un piano! >>
Esclamò Wasabi, sguainando le lame-laser
che brillarono come smeraldi nel mare. Gogo lo seguì.
<< Honey, Fred, ci coprite? >> Chiese il
ragazzino.
<< C'era mica bisogno di chiederlo! >> Fece
Fred.
Honey Lemon gli fece l'occhiolino e prese dalla tracolla una delle sue
sfere
chimiche dal bel colore celeste che lanciò in aria. Fred
saltò e le fece
esplodere con il fuoco, producendo una spessa cortina fumogena.
Callaghan rimase visibilmente spiazzato e disorientato da
quell'improvvisa
nebbia che lo aveva circondato. Ordinò mentalmente ai
microbots di portarlo più
in alto, ma non servì a molto. Non riusciva a vedere
più in basso.
Ed era proprio quello che i sei compagni volevano. Wasabi
scavalcò una colonna
di microbots giacente sul terreno, ma si ritrovò per un
attimo sospeso per
aria. <>
L'effetto del campo magnetico si stava facendo sentire ad una distanza
sempre
maggiore, ma il ragazzo non si lasciò intimorire. Al
contrario, ebbe un'idea.
Affilò le sue lame e sferzò una serie di attacchi
rapidi e furiosi contro le
varie colonne di microbots, squarciando, tagliando e distruggendo,
dalle parti
più basse a quelle più alte.
<< Fai. La. Donna!
>> Urlò Gogo, lanciandosi addosso
ad una serie di microbots con i suoi dischi dorati, facendoli vorticare
alla
velocità della luce. I dischi divennero lame taglienti e
infuocate che
distrussero qualsiasi cosa si ponesse fra loro. Honey Lemon si fece
lanciare in
aria da Fred e posizionò la sua tracolla in mezzo a due dei
tanti tentacoli
neri. Prima di lasciarsi cadere, estrasse un'ultima sfera dal colore
rosso
intenso e la lanciò con tutta la forza che aveva contro la
borsetta. In un
attimo, quest'ultima si trasformò in una vera e propria
bomba chimica che
esplose con un rumore sordo e fortissimo, disintegrando i microbots.
<< Woo-hoo! Questa sì che è una
reazione chimica! >>
Nel frattempo, Hiro e Baymax ispezionavano la parte alta del campus.
Callaghan
era troppo impegnato a pensare a loro per preoccuparsi di
ciò che stava
succedendo proprio sotto i suoi piedi. Gli occhi infuocati della
maschera kabuki
si scontrarono con le iridi nocciola di Hiro. L'uomo allungò
un braccio nella
loro direzione e subito quattro colonne di micorbots apparvero dalla
coltre di
fumo con una velocità violenta. Baymax li evitò
abilmente e salì più in alto,
verso il portale, per poi cominciare a discendere come una zanzara che
punta
alla sua vittima, colpendo i tentacoli di microbots con ogni mossa che
Hiro gli
aveva insegnato. Se qualcuno avesse assistito alla scena dall'esterno,
avrebbe
detto che essa si stava svolgendo all'interno di un caleidoscopio.
Sembrava
come se il mondo si fosse momentaneamente capovolto.
Una pioggia nera e ferrosa stava cominciando a risalire dal terreno per
scomparire nella luce celeste del portale, diventando sempre
più fitta di
minuto in minuto, dipingendo una strana e inquietante tela nera su un
campo di
fumo grigio. E un demone e un ragazzino lottavano senza tregua in uno
scontro
insanguinato.
Hiro e Baymax risalirono di nuovo verso l'alto. Era giunto il tempo di
sferrare
l'ultimo attacco. Il robot volò agilmente tra le ultime
braccia di microbots e
poco prima di avvicinarsi al portale, si voltò.
<< In picchiata! >> Urlò Hiro, e
il robot si lanciò a tutta
velocità verso il basso, infrangendo con il suo solido pugno
una schiera di bots
che si stava dirigendo verso di loro.
Callaghan si sentì perso per un momento. Il ricordo di
Baymax che aveva tentato
di ucciderlo era ancora vivido in lui e cercò di arrestare
la loro caduta verso
la vittoria, ordinando a due braccia di microbots di trattenerli.
Queste si
strinsero intorno al corpo dell'automa, bloccandolo completamente.
<< Adesso basta! >> Gridò
l'uomo, tendendo le braccia verso i due
per simulare l'ordine dato ai piccoli robot. Ma non successe nulla. I
microbots
non rispondevano ai suoi comandi. Perchè?
Ci riprovò disperatamente, simulando una patetica scena di
fallimento. Hiro
sorrise beffardo. << Direi che sei a corto di microbots.
>>
<< Cosa...? >>
Solo allora, Callaghan si decise a guardare in basso, solo per scoprire
un
vuoto abissale sotto i suoi piedi e le uniche due colonne di microbots
rimasti
a reggerlo. L'enorme massa nera che aveva sempre domato era svanita in
un
istante sotto la coltre di fumo, lasciandolo impotente e inerme davanti
a Hiro
e Baymax.
Il ragazzino assottigliò lo sguardo e con un solo ordine,
lasciò che Baymax si
liberasse dalla forte presa dei microbots e procedesse nella sua caduta
libera
verso la fine di quello scontro. << Baymax, colpisci!
>>
Il robot sferrò il pugno contro la maschera pallida e ormai
vuota di Callaghan,
il quale lasciò che il panico prendesse il sopravvento.
Non poteva fare niente. Se fosse caduto da quell'altezza sarebbe morto
di
sicuro, e di fronte a lui Hiro aveva scelto un modo più
veloce di ucciderlo.
Era finita per lui.
Parò davanti a se le braccia in un vano tentativo di
attutire il colpo,
sperando che non facesse troppo male. Ma il pugno non arrivò
mai.
Baymax si era fermato a pochi centimetri dal suo viso, le nocche rosse
e dure
davanti ai suoi occhi gialli.
<< Noi non siamo programmati per ferire un essere umano.
>>
Rammentò Hiro con un sorrisetto sarcastico. <<
Ma possiamo fare...
Questo. >>
La maschera kabuki svanì dal viso del
professor Callaghan per finire tra
le dita di Baymax. Bastò una leggera stretta, e in un attimo
fu distrutta. E il
neurotrasmettitore con essa. Uno schioppo sordo e rapido, e un impero
intero
crollò insieme al suo tiranno. Il demone venne distrutto. Lo
yokai fu
scacciato di nuovo nell'oltretomba, lasciando il posto ad un miserabile
uomo
ormai sconfitto. La sua caduta fu interrotta soltanto da Baymax, che lo
afferrò
appena in tempo, e tutti e tre si allontanarono dal portale che, persi
i suoi
sostegni, cadde nel vuoto con un rumore sordo, provocando la
distruzione immane
della zona. Una nera nube di polvere e cenere si levò
nell'aria, appannando il
sole ed il cielo mattutino. Sipario oscuro dei protagonisti di quella
triste e
avventurosa messa in scena.
Baymax e Hiro si affiancarono nuovamente agli altri compagni, che nel
frattempo
si erano presi cura di Krei. Lasciarono Callaghan nelle mani di Wasabi
e Fred e
la loro attenzione si rivolse immediatamente al portale, che nonostante
la
forte botta non si era ancora spento.
<< Dobbiamo disattivarlo! Come si fa? >>
Chiese Hiro a Krei, nella
speranza di ricevere una risposta.
<< E' impossibile! C'è un collasso del campo
di contenimento, il portale
esploderà! >>
<< Dobbiamo allontanarci subito! >>
Non c'era altra scelta se non quella di aspettare che il flusso
magnetico si
arrestasse da solo. Cominciarono a correre via, quando Hiro
notò l'assenza di
Baymax nei paraggi. Si fermò, solo per vedere l'amico dargli
le spalle, rivolto
verso la luce viva e pericolosa del pannello.
<< Baymax...? >>
<< I miei sensori rivelano segni di vita. Provengono da
lì. >>
Disse il robot, indicando la luce. << Segni di vita di
genere femminile.
>>
Hiro sgranò gli occhi. Il ricordo del filmato era ancora
vivo nella sua mente e
quasi non poteva crederci. Non poteva essere altrimenti, se non quello
che
pensava.
<< La figlia di Callaghan è ancora viva...
>>
Lei era entrata in quel portale senza mai uscirne. Non era
effettivamente detto
che fosse morta. Esiste una dimensione spazio-temporale di mezzo
durante il
teletrasporto, in cui il corpo viaggia velocemente, perdendo i sensi
per
brevissimo tempo. Se l'inter-dimensione esisteva realmente, allora era
lì che
Abigail si trovava. Hiro montò in groppa a Baymax,
aggrappandosi alla sua
schiena tramite i sensori magnetici.
<< Il portale sta collassando! Non ce la farete mai!
>> Gridò Krei,
la voce rotta dallo stremo.
Quello che aveva intenzione di fare era pericoloso. Molto pericoloso.
C'era il rischio che non sarebbero più tornati indietro. Ne
valeva davvero la
pena, in fondo?
Era della figlia del nemico che si stava parlando. La causa da cui
tutto era scaturito.
Quella che aveva portato alla morte di Tadashi.
Stavano rischiando. Rischiando di perdere tutto, di svanire per sempre
e
divenire ricordi sordi e lontani. Stavano rischiando di morire soli,
senza
l'affetto di nessuno, nè una tomba in cui riposare.
Però...
<< Tadashi, no! >>
Silenzio. Uno sguardo alle fiamme. Poi di nuovo a lui.
<< Callaghan è la dentro, qualcuno deve
aiutarlo. >>
Un conto alla rovescia. Un'esplosione. Una vita che cambiava in un
attimo.
<< Torno subito. Lo prometto, torno subito.
>>
Aveva infranto quella falsa promessa fin dall'inizio. Ora toccava a lui
rispettarla fino alla fine.
<< Lei è viva ed è li dentro,
qualcuno deve aiutarla! >>
Non c'era segno di esitazione nella sua voce, mentre si preparava a
volare.
<< Tu che ne dici, amico? >>
<< Volare mi rende un operatore migliore.
>>
Baymax rispose con onesta gentilezza, mimando le parole di Hiro. Il
ragazzino
sorrise, assaporando gli ultimi istanti di libertà che lo
separavano dalla prigione
inter-dimensionale in cui si stava recando. I propulsori si accesero
rombando,
squarciando l'aria fredda e polverosa. Baymax si librò in
aria, vorticando su
se stesso, e come una rondine vola leggiadra sulla terra, si lanciarono
all'interno del portale.
Alle spalle, la vita che li attendeva con trepidazione.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** La Rondine Silente ***
Una bianca luce inondò i corpi di Hiro e Baymax mentre
attraversavano il portale. Quando si affievolì, la visione
che
si parò davanti ai loro occhi era inquietante e spettacolare
al
tempo stesso. Una distesa di colori, sfumature di viola e blu che si
arpeggiavano in nuvole di cotone, svanendo in spirali bidimensionali.
Un paesaggio surreale e onirico. L'inter-dimensione.
Era come se ogni frase letta nei libri di fantascienza e teoria
scientifica avesse improvvisamente preso vita e si fosse trasformata
in un elemento di quel luogo. Colori, luci, nubi sfumate. Ma era tutta
un'illusione. L'inter-dimensione era un luogo pericoloso, se era
davvero un luogo. Per quanto affascinante e meravigliosa, essa era
l'incarnazione del vuoto. Era solo una maschera, un trucco per far
impazzire e inghiottire ogni cosa precipitasse al suo interno, come un
enorme buco nero. Hiro questo lo sapeva, e nonostante lo stupore
iniziale, vedere i tanti frammenti del campus di Krei che fluttuavano
in quel miscuglio di colori gli fece ricordare perchè era
lì. E soprattutto, che doveva sbrigarsi.
<< Attento, è pieno di rottami della KreiTeck!
>>
Avvisò Baymax, prima di lanciarsi in mezzo ai vetri
taglienti e
ai muri pesanti che si sgretolavano man mano a causa della pressione.
Il piccolo avvertì la nausea e lo stomaco contorcesi ogni
secondo che passavano a inoltrarsi in quel tunnel di colori senza fine.
La testa si svuotò per un istante e fu molto difficile
cercare
di mantenere la concentrazione. Baymax fece una giravolta per evitare
alcune vecchie finestre dell'edificio di Krei, e Hiro si
ritrovò a testa in giù
all'improvviso, rischiando di avere un conato di vomito. Il robot si
stabilizzò appena in tempo per fargli recuperare
lucidità. Hiro scosse il capo, cercando di ignorare la
nausea
che andava prendendo piede dentro di lui e schiacciò forte i
palmi contro i propulsori sulla schiena di Baymax. Non fecero
in
tempo a stabilizzare il volo che la vista di una lunga finestra
sopravvissuta al disastro del portale si avvicinò
pericolosamente come una lama affilata per trafiggerli entrambi.
Bayamx si abbassò, passando sotto la vetrata, ma Hiro, preso
alla sprovvista, ebbe l'istinto di saltare. I suoi piedi si ritrovarono
a calpestare il vetro infranto con una macabra leggerezza, tanto che
gli sembrava di dover faticare a tenersi incollato alla
superficie. Gli occhi nocciola, sgranati e concentrati, seguivano
Baymax sotto di lui. Entrambi si scambiarono uno sguardo preoccupato e
Hiro lo spezzò solo per constatare che mancava poco alla
fine
della vetrata. Non aveva altra scelta se non fidarsi dell'amico e una
volta arrivato sul bordo, si lanciò nel vuoto colorato che
lo
circondava. Le braccia di Baymax lo accolsero con tutta la sicurezza di
cui erano dotate, strappandogli un sorriso sollevato.
<< Ho intercettato il paziente. >> Disse il
robot, indicando un punto preciso nell'inter-dimensione.
Hiro seguì il suo sguardo, notando quella che sembrava una
piccola capsula grigia, un insetto sperduto in un mare di
arcobaleni. Lì dentro c'era Abigail Callaghan. Il piccolo si
risistemò sulla schiena di Baymax e insieme volarono fino
alla
suddetta. Il robot planò con i razzi, aggrappandosi
delicatamente ai lati della navicella. Hiro passò una mano
sul
vetro sporco, liberando la visuale all'interno. La giovane donna che
avevano visto nelle riprese del laboratorio sull'isola Akuma, piena di
grinta e vita negli occhi, era condannata ad un sonno profondo. Era
pallida e smagrita, profondi solchi erano scavati intorno alle palpebre
nivee e le labbra sottili erano increspate nello spettro di un sorriso.
<< Forza amico, portiamola in salvo. >>
Ordinò Hiro,
lasciando che Baymax volasse intorno alla capsula e la spingesse
davanti a loro, prima di attivare i propulsori e recarsi nuovamente
verso l'uscita del portale.
<< Ti guido io! >> Esclamò il
ragazzino, mentre
facevano ritorno nel tifone di macerie del Campus KreiTeck.
I suoi
occhi seguivano attenti ogni movimento delle rovine, la sua mente li
registrava, la sua bocca parlava.
Sferzarono a destra, poi svoltarono a sinistra, virarono su se stessi e
infine continuarono dritto, passando lungo un tunnel composto da vetro
e cemento. Furono nuovamente nell'area libera, davanti a loro la luce
del portale li attendeva con trepidazione. Hiro urlò di
gioia,
il sapore dell'adrenalina sulla sua lingua era dolce come un tempo. Le
grandi iridi nocciola osservavano i colori sgargianti, illuminandosi di
gioia per quella missione impossibile che era stata finalmente risolta
proprio da lui, da loro. Ce l'avevano fatta. Erano davvero invincibili
insieme.
E quando Hiro rivolse a Baymax il suo sguardo felice
non potè accorgersi che un grossa parte di muro
ancora
intatto si stava avvicinando sempre di più a loro con troppa
velocità.
Ma Baymax lo vide. Le sua mani si staccarono dalla capsula per
avvolgere Hiro.
L'impatto fu più violento di quanto avesse sperato.
<< Baymax!
>>
Hiro si ritrovò improvvisamente solo. Solo sulla capsula,
insieme ad Abigail. Baymax era lontano da loro, scaraventato via dalla
potenza dell'urto da cui lo aveva appena protetto. La parete si era
disintegrata, e così la sua armatura rossa. Il robot
battè le palpebre meccaniche, come se si stesse riprendendo
da
un sonno brusco e tentò di accendere i razzi sotto i suoi
piedi.
Inutilmente. L'impatto era stato troppo forte.
<< I miei propulsori sono fuori uso. >>
<< Forza, afferra la mia mano! >>
Hiro allungò il braccio verso di lui. Non era molto lontano,
sapeva che poteva riuscire a prenderlo. Sarebbe bastato poco, solo un
poco, solo un po' più vicino...
La sua piccola mano venne avvolta da quella grande e morbida del robot.
Lo trascinò verso di sè, permettendogli di
aggrapparsi
nuovamente alla navicella. Si volse verso la luce, e la vide
affievolirsi ogni secondo un po' di più. Non avevano
più
scampo. Baymax non poteva volare, e loro non potevano uscire dal
portale.
Abigail non sarebbe stata tratta in salvo.
Sarebbero rimasti lì dentro per sempre...
<< C'è ancora un modo per mettervi in salvo.
>>
La voce di Baymax apparve improvvisamente più debole alle
orecchie di Hiro. Si volse verso di lui, osservandolo mentre
posizionava il pugno-razzo, l'unico pezzo dell'armatura rimasto
intatto, all'interno del motore della navicella. Oh, no. Oh, no, no, no.
Aveva capito che cosa aveva intenzione di fare e pregò fino
alla
fine di sbagliarsi. Pregò di non sentirlo pronunciare quelle
esatte parole.
<< Posso disattivarmi se mi dici che sei soddisfatto del
trattamento. >>
<< No, no, no! Io non ti lascio quassù.
>>
La sua mente lottava strenuamente contro l'idea di abbandonare Baymax e
la ricerca di una soluzione che prevedesse un lieto fine tanto
desiderato. Ma era tutto così confuso, non riusciva a
pensare
chiaramente.
E in quel momento, tutto ciò che regnava dentro di lui era
una
paura che distruggeva lentamente la sua anima già
ferita.
<< Voi siete miei pazienti. La vostra salute è
il mio solo scopo. >>
<< Baymax, smettila! >>
Non poteva lasciarlo lì. Non lo avrebbe accettato. Non se lo
sarebbe mai perdonato. Baymax era il suo migliore amico, il suo eroe...
<< Sei soddifatto del trattamento? >>
<< No! Non
ho intenzione di lasciarti qui! Troverò una soluzione, deve
esserci un altro modo! >>
Baymax
era...
<< Non c'è più tempo. Sei soddisfatto del trattamento?
>>
<< Per favore... No... Non posso perdere anche te...
>>
Tadashi.
Aveva perso suo
fratello per una promessa che non sarebbe mai stata mantenuta. Lo aveva
perso perchè non era stato in grado di tenerlo stretto, di
tenerlo accanto a sè un po' più a lungo. Tadashi
era
morto per salvare la vita di una singola persona, rinunciando alla sua.
E ora Baymax, esattamente come il suo creatore, si stava offrendo
sull'altare sacrificale con il solo scopo di salvare Hiro e Abigail.
Non di nuovo... Non poteva rivivere quel momento ancora una volta. Non
voleva. Era troppo per lui. Non ce l'avrebbe fatta, non lo avrebbe
sopportato.
Un forte nodo alla gola cominciò a risalire su per la
trachea,
mozzandogli il respiro, costringendolo a piegarsi su se stesso come un
cucciolo impaurito. Gli occhi gli bruciavano.
<< Hiro... >>
La mano morbida di Baymax si posò teneramente sulla testa di
Hiro, sfiorandogli la chioma ribelle e nera come la notte. Una carezza.
Il modo più gentile che aveva per convincerlo a non
arrendersi.
Il piccolo riaprì gli occhi, incontrando quelli neri e
meccanici
dell'amico. Era così strano... La linea sul volto era sempre
la
stessa, ma sembrava quasi che Baymax stesse sorridendo. Appariva... Sereno.
<< Io
sarò sempre con te. >>
E in quell'istante, la voce di Baymax cambiò. Non era
più
un'amichevole voce robotica, ma una voce umana, una voce familiare che
Hiro conosceva benissimo.
La voce di Tadashi. La sua promessa mantenuta. Il suo regalo per lui.
Ora tutto era più chiaro.
Tadashi non gli aveva mai mentito. Era tornato da lui, lo aveva aiutato
a rimettersi in piedi dopo la caduta, lo aveva fatto volare oltre le
mura del lutto e della depressione, lo aveva abbracciato con le sue ali
d'angelo. Lo aveva salvato una volta, fuori dalla scuola infuocata,
impedendogli di seguirlo nella morte.
E ora lo stava salvando di nuovo.
Perchè per quanto doloroso e lungo, quell'addio era
necessario
per entrambi. Se Hiro fosse morto, nessuno avrebbe potuto mantenere
vivo il ricordo di Tadashi.
Per questo era necessario che Hiro vivesse. In questo
modo, una parte di Tadashi avrebbe continuato a vivere. Hiro doveva
andare avanti per lui, doveva finire ciò che Tadashi aveva
iniziato. Era lui il vero eroe di quella storia, era l'eroe e il
protagonista della sua stessa vita. E ora doveva continuare.
Senza accorgersi delle lacrime che scivolavano giù lungo le
sue
guance rosee, Hiro si gettò alle braccia di Baymax,
stringendolo
più forte che potè, aggrappandosi a lui come
ultimo
appiglio. Fu così bello sentirsi avvolgere da
quell'abbraccio.
Quel contatto gli era mancato per troppo tempo. Baymax chiuse gli
occhi, godendo del calore di quell'affetto e delle lacrime dolci di
quel ragazzino che aveva protetto fino all'ultimo. Aveva svolto
correttamente il suo compito, e adesso era giunto il momento di andare.
Con un ultimo, grato sorriso spezzato dal pianto, Hiro
pronunciò
le sue parole d'addio. La voce rotta, gentile e delicata, poco
più di un sussurro. Erano rivolte solo a Baymax. Solo a
Tadashi.
<< Sono
soddisfatto del trattamento. >>
Si allontanarono in silenzio, gli ultimi istanti racchiusi in uno
sguardo incatenato fino alla fine della luce. Hiro lasciò
andare
Baymax, esattamente come aveva lasciato andare Tadashi. Ancora una
volta.
Stava tornando a casa, da solo.
(•—•)
Il
portale espulse la capsula con una violenta esplosione e si
disintegrò in una nube di cenere nera. Hiro
riaprì gli
occhi, incontrando la strada distrutta, le macerie e la distruzione che
segnavano l'immane scontro che c'era stato poco prima tra i sei amici e
il professor Callaghan. Erano vivi. Stavano bene, e Abigail era salva.
Ma mancava qualcosa... Qualcuno.
<< Hiro! >>
<< Si, ce l'hanno fatta! >>
Le grida di gioia di Fred e Wasabi si interruppero subito non appena
notarono che Hiro non appariva affatto felice del compimento della sua
missione, e che uno di loro mancava all'appello.
<< Baymax...? >> Azzardò il
ragazzo di colore con la voce tremante, temendo il peggio.
Il piccolo amico non rispose, limitandosi a voltare le spalle al
gruppo, specchiandosi nel vetro sporco della navicella.
Abigail era salva, respirava e di lì a poco si sarebbe
svegliata. Avrebbe rivisto suo padre ed entrambi avrebbero avuto il
loro lieto fine.
Nessuno parlò di quella mattina. La realizzazione di aver
perso
ancora una volta un amico, un compagno di squadra li
atterrì,
rendendoli partecipi dell'agonia di Hiro.
Hiro, che così giovane aveva provato più
sofferenza di
chiunque altro.
Hiro che aveva perso tutto nel giro di poco tempo.
Hiro
che aveva salvato la causa della sua stessa sofferenza.
Hiro, che era
stato salvato.
Hiro, l'eroe caduto che doveva rialzarsi.
Non avrebbe mai avuto un lieto fine, Hiro.
Forse non lo meritava? Forse la vita era davvero così
ingiusta?
Non lo sapeva. L'unica cosa di cui era sicuro era che Tadashi aveva
mantenuto la sua promessa. E ora toccava a lui mantenere la sua.
Doveva andare avanti. Avrebbe continuato a vivere, anche se nel dolore.
Per Baymax.
Per Tadashi.
__________________________________________________________________________________________________________
Chiedo
scusa a tutti per l'eventuale sparizione del capitolo! Ora dovrebbe
comparire normalmente.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Epilogo ***
<<
Continuano le indagini sul misterioso crollo avvenuto questa mattina al
quartier generale della KreiTeck Industry. Le forze dell'ordine stanno
ancora cercando il gruppo di individui non identificati che avrebbe
evitato una terribile catastrofe. L'intera città di San
Fransokyo si domanda chi sono questi eroi? E dove si trovano adesso?
>>
La notizia della distruzione del campus fece il giro del mondo,
attirando domande e supposizioni tipiche della curiosità
della
gente. Alister Krei aveva scelto di non rivelare le identità
dei
suoi salvatori, in segno di rispetto e come riconoscenza per il loro
servizio. Abigail Callaghan fu estratta dalla capsula e trasportata
urgentemente in ospedale, ma la buona notizia era che si era finalmente
svegliata, riusciva a parlare e ricordava tutto.
Ma non sapeva nulla di quello che era successo fino a quel giorno.
Il professor Callaghan venne arrestato e portato via prima che avesse
la possibilità di salutarla. Tutto quello che gli rimase di
lei
fu uno sguardo di rammarico da oltre il finestrino della volante.
Neanche lui, infine, aveva avuto il suo lieto fine.
Hiro e gli altri osservarono la scena dall'alto di un palazzo. Non
volevano gloria nè successo o celebrazioni. Volevano solo
tornare a casa, ad una vita che non avevano mai voluto che fosse reale.
Svanirono nel tramonto.
(•—•)
Era
ormai sera inoltrata quando Hiro e gli altri si recarono finalmente
alle rispettive case. Si erano cambiati a casa di Fred per non destare
troppi sospetti ed erano andati via quasi subito. Hiro entrò
dalla porta sul retro, sperando che zia Cass non lo sentisse. Non era
in vena di ramanzine quella sera, era già troppo stanco. La
luce
della caffetteria era ancora accesa, e il ragazzino ne
approfittò per sbirciare. Alcuni degli scaffali erano ancora
pieni di dolci fatti quella mattina e altri appena sfornati. L'aria era
ancora impregnata del profumo di cioccolata calda e caffè.
<< Hiro! >>
Sussultò quando sentì la voce della zia provenire
dritta
da dietro il bancone. Si volse verso di lei, senza riuscire a formulare
una buona scusa per giustificare il suo ritardo. Ma ogni parola
sembrò superflua quando si sentì avvolgere dalle
braccia
esili della donna. Si ritrovò premuto contro il suo corpo
caldo,
stretto dal suo abbraccio protettivo.
Non si era mai reso conto di quanto gli fosse mancata quell'attenzione
da parte della zia.
<< Grazie al cielo, sei a casa! Ma dove sei stato
tutt'oggi? >>
<< Io... >>
Non poteva dirle niente. Se avesse saputo ciò che aveva
fatto si
sarebbe spaventata ancora di più, e Hiro non voleva questo
per
lei. Non lo voleva per loro. Ma questa volta non aveva davvero alcuna
scusa e non aveva la forza per formularne una. Aveva appena perso
Baymax e tutto gli sembrava privo di senso. Era stanco, voleva solo
dormire.
Notando la difficoltà nel rispondere, lo sguardo di Cass si
addolcì e strinse nuovamente a sè il nipote.
<< Sai
cosa? Non importa. L'importante è che tu sia qui, adesso.
>>
Hiro sospirò. Sentì le guance avvampare e un
grave peso
sul cuore sciogliersi piano piano, liberando uno sfogo che aveva tenuto
dentro per tutto il tempo.
<< Zia Cass... >>
Quella donna lo aveva cresciuto. Non si era mai arresa con lui e aveva
dedicato tutta la sua vita a far sì che stesse bene e che
non
gli mancasse niente. Anche quando gli era mancato il terreno sotto i
piedi, lei era stata accanto a lui per fargli forza, e gli aveva teso
una mano che Hiro non era mai stato pronto a prendere. Ma ora erano
lì, erano insieme. E si rese conto di quanto gli fosse
mancata.
Si aggrappò a lei, sprofondando il viso nel suo seno,
lasciando
che le lacrime trattenute trovassero finalmente la loro strada al di
fuori degli occhi e al di fuori del cuore. Cass non fece domande.
Lasciò che si sfogasse, che piangesse quanto voleva.
Qualsiasi
cosa avesse programmato di dirgli poteva attendere.
Erano insieme, ora. Si erano finalmente ritrovati.
E Cass non lo avrebbe mai più lasciato solo.
(•—•)
Non
fu facile riprendersi dalla perdita di Baymax, ma Hiro decise di
tener fede al suo compito e cominciò ad andare al campus. La
settimana dopo, Honey Lemon, Gogo Fred e Wasabi lo raggiunsero alla
caffetteria per fare colazione insieme e poi recarsi tutti
all'università, dove il piccolo avrebbe finalmente portato a
termine l'iscrizione completa per frequentare le lezioni. Il sole era
tornato a splendere e un vento tiepido soffiava tra i fiori dei
ciliegi. Quando i suoi piedi varcarono la soglia dell'ingresso della
scuola, Hiro si ritrovò catapultato nei giorni dimenticati
del
passato.
Era già stato lì, in mezzo a quei prati, sul
ponte che
collegava i giardini con l'edificio principale. La parte bruciata
veniva ristrutturata pian piano, e dell'incendio non rimaneva quasi
più traccia. Una strana sensazione, figlia di un misto tra
nostalgia e trepidazione, cominciò a farsi strada nel suo
cuore.
Gli era mancato stare lì, più di quanto avesse
immaginato.
Non c'erano dubbi su quale fosse stato il suo spazio personale. Gli fu
affidato il vecchio studio di Tadashi, rimasto vuoto dal giorno del
funerale, in cui lui e sua zia erano andati a ritirare i suoi effetti
personali. Hiro non perse tempo a riempirlo di nuovo con i suoi nuovi
libri, i vari gadget a lui più cari, tra cui il cappello di
suo
fratello e il pugno-razzo di Baymax.
L'ultimo ricordo dell'amico.
Era rimasto attaccato alla capsula dopo
averlo usato per spedire Hiro e Abigail Callaghan fuori dal portale.
Aveva voluto lasciarlo esattamente come il giorno in cui Baymax lo
aveva lasciato, senza pulirlo nè modificarlo.
L'armatura rossa
era segnata dalle cicatrici della battaglia e la polvere delle macerie
costituiva una patina scura sulla superficie.
Ma andava bene
così, per Hiro era perfetto.
Lo tolse da uno scatolone e lo
poggiò con cura su una delle mensole vicino al grande
lucernario
circolare, lasciando che il sole bagnasse il pugno chiuso. Hiro sorrise
malinconico, battendo delicatamente le nocche contro di esso.
<< Bha-la-la-la-la.
>>
Mormorò, ricordando simpaticamente la sera in cui
Baymax aveva tirato fuori quel suono così strano e subito
amichevole.
Fece per svuotare l'ultimo scatolone rimasto quando notò
qualcosa tra le insenature delle dita del pugno-razzo. C'era qualcosa
lì, nascosto nella mano di Baymax.
Hiro aprì a fatica il pugno, sollevando le dita una ad una.
Quasi gli si mozzò il respiro quando realizzò di
cosa si
trattava.
Il chip verde.
Non sapeva come nè quando, ma Baymax aveva avuto il tempo di
estrarlo da sè stesso e lasciarlo al sicuro nella sua mano,
in
attesa che Hiro lo trovasse. Ma perchè?
... Forse, con quella piccola cassaforte di ricordi, avrebbe potuto
riportare in vita qualcuno.
(•—•)
<< Ahi... >>
<< Io sono Baymax. Il tuo operatore sanitario personale. Ciao, Hiro!
>>
(•—•)
Un
sabato mattina si svegliò presto e sorprese la zia scendendo
nella caffetteria e, infilandosi il suo grembiule, prendendo gli ordini
che la donna stava portando al tavolo desiderato.
<< Hiro? Che ci fai già in piedi?
>>
<< Buongiorno, zia Cass. E' sabato oggi! Il giorno
migliore per
il locale! >> Esclamò lui, servendo i clienti.
Cass ne fu piacevolmente sorpresa. Erano settimane che Hiro non
scendeva nella caffetteria e alcuni degli ospiti abituali del locale lo
salutarono contenti come fosse un vecchio amico, ai quali Hiro
ricambiò con un sorriso sereno e gli occhi brillanti. La
donna
ne approfittò per osservarlo, un sorriso felice sulle labbra
dipinte di rosso.
Hiro era cresciuto. In altezza e in morale, era diventato un ometto. Il
viso paffuto si era leggermente assottigliato e i capelli erano
cresciuti di qualche centimetro. Ma era sempre lui. Il suo Hiro. Suo
nipote. E non poteva essere più fiera di lui in quel
momento.
Dopo tutta la sofferenza a cui era stato condannato, ora stava trovando
la forza per rialzarsi e andare avanti. A cosa fosse dovuta, non le era
dato di sapere. Ma poteva immaginare che dietro ci fosse lo zampino del
suo primo nipote.
Tadashi le mancava tanto, ma era sempre stato un'ancora per Hiro. E in
qualche modo, in quei giorni, lo aveva sentito un po' più
presente. Volse lo sguardo smeraldino al lucernario della caffetteria,
lasciando che i raggi del sole caldo la inondassero.
Era di nuovo una
bella giornata.
Quando Hiro riuscì a liberarsi della signora Matsuda, che
gli
faceva i complimenti per pizzicargli le guance, si recò
subito
al bancone a prendere gli altri ordini.
<< Zia Cass, ti va se... Ceniamo insieme stasera?
>>
La donna alzò lo sguardo su di lui, quasi come se volesse
accertarsi di aver sentito bene.
<< Sai, mi sono reso conto che ti ho un po' trascurata
e...
Bè, volevo rimediare... E poi, devo farti vedere una cosa!
>> Il suo solito sguardo innocente
era pieno di sincerità e Cass non potè fare a
meno di
sorridere a quella proposta.
<< Certo, tesoro. >>
<< Ali di pollo piccanti? >>
<< Ali di pollo piccanti. >>
Scoppiarono a ridere insieme, prima che Hiro si allontanasse con due
vassoi pieni di briochè alla crema e tre cappuccini al
cacao. La
giornata fu estenuante, ma mai come allora poterono permettersi di
ritirarsi nell'appartamento con il volto pieno di soddisfazione.
Entrambi si fecero una doccia e Cass si mise subito a cucinare.
<< Zia Cass. >>
<< Si, cosa c'è, tesoro? >>
<< Devo farti conoscere qualcuno. >>
La donna smise di tagliuzzare il limone e si asiugò le mani
sul
grembiule legato alla vite prima di volgere lo sguardo a Hiro, che la
attendeva pazientemente davanti al finestrone appena dopo le scale.
Rimase sorpresa di vedere accanto al nipote quello che sembrava un
grosso gonfiabile tutto bianco dal viso formato da due pupille nere
unite da una linea retta. Hiro sorrise orgoglioso.
<< Zia Cass, ti presento Baymax. >>
Il robot alzò una mano a mezz'aria e la mosse lentamente,
simulando un saluto. << Ciao, io sono
Baymax. >>
Cass avanzò qualche passo incerto, gli occhi smeraldini
erano
sgranati e le labbra leggermente socchiuse per la sorpresa. Non sapeva
perchè, ma c'era qualcosa di familiare in quel robot.
Poteva
sentirlo nel suo cuore, che cominciò a battere
più veloce
senza un motivo preciso.
<< Lui era... è
il progetto di robotica a cui Tadashi stava lavorando
ultimamente. >>
Non appena sentì il nome del nipote più grande,
l'emozione si impossessò di lei come una carezza velata dal
tempo. Le sue iridi brillarono come diamanti per le lacrime commosse
che si andarono formando mentre Hiro passava a illustrarle tutto il
tempo che Tadashi aveva speso per costruirlo. Quasi le
sembrò di
rivederlo, Tadashi, mentre sorridente e umile spiegava in cosa
consistesse quel suo progetto che aveva così teneramente
chiamato Baymax.
<< Un infermiere... Robot? >> Chiese
timidamente.
Hiro annuì, lasciando che un tenero dejavù
scorresse nella sua mente.
<< E non ha solo medicinali e caramelle tra i suoi
scomparti...
>> Il piccolo rivolse uno sguardo all'amico bianco e
questo,
battendo lentamente le sue palpebre meccaniche, si sporse un po' in
avanti, illuminando il pancione. Cass si avvicinò curiosa a
quello che sembrava un vero e proprio schermo olografico e quando i
vecchi video delle prove di Tadashi per costruirlo partirono, una
risata generata dal pianto riempì l'aria di casa. La voce
del
nipote riecheggiò eccitata, stanca, emozionata e felice tra
le
mura dell'appartamento rimasto silenzioso troppo a lungo.
<< Tadashi... >>
Hiro la abbracciò forte, lacrime silenziose scorrevano lungo
le
sue guance senza mascherare il sorriso felice mentre rivedeva suo
fratello ancora una volta. Cass lo strinse a sè, continuando
a
ridere felicemente.
Tadashi era lì.
Loro erano lì. Di nuovo tutti insieme.
(•—•)
La
domenica era ufficialmente il giorno in cui gli amici di Hiro
venivano a scroccargli la colazione al Lucky Cat Cafè. Ormai
era
diventata un'abitudine e il ragazzino ne approfittava per passare il
tempo insieme a loro.
<< Allora Hiro, Baymax come sta andando? >>
Chiese Wasabi, sorseggiando il suo tè verde.
<< E' come nuovo grazie al chip che mi ha lasciato. Mi ha
dato un
po' di grane quando ho provato a ricostruirlo, ma per fortuna adesso
è perfettamente funzionante. >>
<< Cavolo, tu sì che sei forte! Ci hai messo
solo tre
settimane! Tadashi ci ha impiegato mesi per finirlo! >>
L'eccitazione tipica da nerd di Fred conobbe una brusca interruzione da
parte di Gogo, che gli assestò un calcio negli stinchi. Ma
invece di rattristarsi per il ricordo del fratello, Hiro rise.
<< Lo so. Ci sono state sere in cui non rincasava
affatto. >>
<< Bè, l'importante è che adesso
lui sia di nuovo
con noi. >> Wasabi afferrò il suo
tè in bicchiere
di carta e lo sollevò, convincendo gli altri a fare lo
stesso.
<< A Baymax. >>
Brindarono con le rispettive bevande, trascorrendo il tempo a parlare
dell'università e delle imminenti feste natalizie. Ma non
riuscirono a nascondere i momenti passati a fare i supereroi per
acciuffare Callaghan. Per ognuno di loro, quei giorni erano stati a
loro modo fantastici e pieni di sorprese.
<< Credete che potremmo rifarlo? Sapete, non mi
dispiacerebbe
indossare di nuovo la mia tuta! >> Cinguettò
Honey Lemon,
mentre fotografava la sua cioccolata calda con i biscottini al burro.
Un silenzio impessionante calò nel gruppo di amici. Si
guardarono l'uno con l'altro, ogni sguardo racchiudeva domande e
pensieri che stavano stranamente ritornando a galla.
<< Eh, no. Insomma, è stato bello la prima
volta, ma
abbiamo già dato e non credo che sia il caso di
ricominciare.
>>
Cercò di tagliare corto Wasabi, ma sembrò non
avere alcun effetto.
<< No, un momento... Voi pensate davvero che...
>>
Il silenzio fu rotto soltanto dalle risatine eccitate di Fred che si
mordeva le labbra e stringeva i pugni come un bambino felice. Gogo e
Honey si scambiarono un sorriso di intesa e tutti si voltarono verso
Hiro.
<< Tu che ne pensi, genio? >>
Domandò Gogo, infilandosi in bocca una gomma da masticare
alla fragola.
Hiro si sentì sotto inchiesta, ma fu quasi sollevato nel
sentire di nuovo l'argomento. D'altra parte, la città di San
Fransokyo poteva aver bisogno di qualche eroe per essere al sicuro.
E Baymax era tornato, quindi...
<< Dovremmo procurarci un nome! La gente dovrà
pur
chiamarci in qualche modo! >> Esordì Fred con
sguardo
serio.
<< Ma... Fate sul serio? >>
Gridò Wasabi, incredulo.
<< Oh oh! Che ne dite de "I Supersonici di San Fransokyo"?
>> Esclamò Honey Lemon.
<< No, troppo lungo. Saranno già morti ancora
prima di riuscire a chiamarci. >> Tagliò corto
Gogo.
<< E se ci chiamassimo "I difensori dell'universo"?!
>>
<< Guarda che non ci chiamiamo Luke Skywalker.
>>
<< Tu cosa suggerisci, Hiro? >> Gli chiese
Honey Lemon, eccitata.
Hiro, dal canto suo, stava ragionando sulla stessa squadra.
Chi erano loro? Dei ragazzi appassionati di scienza, la cui arma era
l'intelletto e la passione. La passione li rendeva grandi. Ognuno di
loro era un eroe
della propria vita. Valorosi, determinati, coraggiosi.
Insieme, facevano la forza. Erano in sei.
<< Che ne dite di Big
Hero 6? >>
(•—•)
Le
sere di San Fransokyo erano insolitamente tranquille nel traffico
caotico della metropoli. Una tranquillità che trovava la sua
sorgente nell'adrenalina di sei guardiani che sorvegliavano la bellezza
della grande città, custodendo preziosamente la vita di ogni
singolo individuo che passeggiava per le strade, nei treni o nelle
automobili. Sfrecciavano come siluri tra le luci colorate dei grandi
schermi, fugaci come fantasmi e coraggiosi come angeli caduti dal
cielo.
La sicurezza delle persone, grate per i loro servigi e più
sicure nel loro futuro, dipendeva tutta da quei sei misteriosi
individui. Nessuno sapeva che, in realtà, questi giovanni
ribelli non erano partiti per fare i supereroi.
Ma a volte la vita non va secondo i piani.
Il loro capo, il più giovane del gruppo, aveva avuto un
fratello.
Costui, leale nel nome e nell'essere, avrebbe voluto aiutare le persone
di
tutto il mondo. E con la sua creazione, il ragazzo e i suoi amici
tennero fede a quella volontà.
Stringendo le spalle e aggrappandosi a Baymax, Hiro puntò
verso il cielo, volando un po' più in alto.
And live with me forever now
We pull the black out
curtains down
Just not for long, for
long
We could be
Immortals
Fall Out Boy - Immortals
_______________________________________________________________________________________________________
E
così, questo piccolo delirio è giunto al termine.
E lasciate che vi dica che sono veramente soddisfatta di quello che ne
è venuto fuori e in particolare anche dal discreto successo
che ha avuto. Bisogna ammetterlo, il fandom di Big Hero 6 è
più morto che vivo, e giuro che non avrei scommesso una lira
su questo esperimento. E' semplicemente bellissimo il fatto che, al
contrario di quanto mi aspettassi, ha ricevuto un buon successo e
critiche per lo più positive, e di questo vi ringrazio
tantissimo.
Ringrazio molto i lettori e i recensori che hanno trovato il tempo di
lasciare le loro considerazione quali fenris, Emmydreamer_love2004,
Emmet Brown e Marlena_Libby.
Alla prossima.
LittleBloodyGirl
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3609719
|