Big Hero 6

di LittleBloodyGirl
(/viewuser.php?uid=79296)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le strade di San Fransokyo ***
Capitolo 2: *** Serendipità ***
Capitolo 3: *** Vita automatica ***
Capitolo 4: *** Brucia con me ***
Capitolo 5: *** Eco ***
Capitolo 6: *** Una mano dal fondo ***
Capitolo 7: *** Uno della famiglia ***
Capitolo 8: *** Zona di pericolo ***
Capitolo 9: *** Invito all'angolo della mente ***
Capitolo 10: *** Transizione ***
Capitolo 11: *** Orizzonte ***
Capitolo 12: *** Orchestrazione ***
Capitolo 13: *** Illusione meccanica ***
Capitolo 14: *** Riflesso ***
Capitolo 15: *** Ultimo scontro ***
Capitolo 16: *** La Rondine Silente ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Le strade di San Fransokyo ***


"They say we are what we are
But we don't have to be
I'm bad behaviour but I do it in the best way
I'll be the watcher of the eternal flame
I'll be the guard dog of all your fever dreams"

Fall Out Boy - Immortals



Le sere di San Fransokyo erano insolitamente tranquille nel traffico caotico della metropoli. I grattacieli di vetro illuminati dai fari delle macchine, i tram dai percorsi circolari e ordinati, i lampioni che illuminavano la strada fino al mare che trovava il suo sbocco nell'enorme porto cittadino. Tutto nella città sapeva infondere tranquillità nel suo caos perfetto.
Una tranquillità che si infrangeva nei vicoli più stretti e remoti, come un corpo contro una lama invisibile. In quelle stradine deserte, erano le urla volgari di persone squilibrate e ubriache a farla da padroni. Le mura delle palazzine e dei garage chiusi tremavano tra le bestemmie esclamate e gli sputi di disappunto di chi aveva appena perso un'importante cifra di denaro. 
I Bot-Duelli erano l'ultima frontiera della scommessa. Chiunque poteva parteciparvi, che il robot fosse fatto a mano o perfezionato dai migliori ingegneri della città, per farli fronteggiare in una sfida all'ultimo sangue. O in questo caso, ultimo circuito. Si scommetteva sul più forte e si temeva il suo proprietario, si umiliava il perdente. Erano le regole del "gioco".
E in quel momento, il più importante sul ring era sicuramente Yama. Degno del suo nome, una montagna umana dai pochi capelli neri raccolti in un codino sfatto, il viso allungato dal mento prominente, proprio come il suo corpo, e due occhi piccoli che bramavano solo prepotenza e fama.
<< Il vincitore indiscusso di questo incontro è... >>
Una donna giapponese dalla voce profonda e squillante si mosse in modo accondiscendente verso il vincitore, facendo una pausa ad effetto prima di proferirne il nome.
<< Yama! >>
L'uomo si alzò da terra, procedendo a intascare i soldi di chiunque avesse scommesso sulla sua avversaria, una ragazzina punk che aveva ingenuamente pensato di poter sconfiggere il suo robot. Il giocattolino della ragazza era stato brutalmente fatto a pezzi da una delle tante armi segrete del drone in miniatura di Yama.
<< Sotto a chi tocca! >> Tuonò sollevando il robot in aria come un trofeo.
<< Chi ha il fegato di affrontare sul ring il Piccolo Yama? >>
Una domanda più che retorica. Un silenzio innaturale e soddisfacente calò sulla folla, permettendo all'uomo di assaporare quel momento di gloria per farlo sentire invincibile. Yama era il campione, il suo robot era pieno di armi e trucchi. Nessuno avrebbe mai potuto nulla contro la sua brutalità.
Nessuno.
<< Posso provare...? >>
Un brivido di irritazione scorse nelle vene dell'uomo, quando il suo istante di fama venne timidamente interrotto da una voce tenue, incerta, che stonava con gli adulti privi di educazione che rappresentavano il pubblico quotidiano di quei Bot-Duelli. Il suo sguardo innervosito cadde su un ragazzino dall'aspetto innocente, due grandi occhi color nocciola dal lieve taglio orientale lo guardavano ingenuamente, contornati da un visetto candido che nulla aveva a che vedere con le brutte facce di quei vicoli. Una felpa un po' troppo grande ricopriva il suo corpicino esile e un bermuda militare lasciava scoperte le caviglie magrissime e nivee. L'unica cosa che poteva conferire a quel bambino un'aria ribelle erano i capelli, una chioma corvina spettinata e intrattabile che sembrava non voler cedere ad alcun tipo di spazzola.
L'interesse di Yama crebbe quando notò tra le sue mani quello che poteva essere un giocattolo per neonati. Il ragazzino abbozzò un sorrisetto insicuro, mostrando un tenero intervallo tra gli incisivi.
<< Io ho un robot. L'ho costruito io stesso. >>
Disse, mostrando un pupazzetto di ferro e magneti neri dalla faccia gialla sorridente mal scarabocchiata. Un coro di risate maligne si sollevò a quell'affermazione, costringendo il piccolo ad indietreggiare. La donna giapponese che poco prima aveva annunciato l'ennesima vincita di Yama sputò per terra, rivolgendogli un'occhiata maliziosa.
<< Sparisci, ragazzino! Regola numero uno: si paga per giocare! >> Esclamò, facendogli notare il piatto delle "offerte".
<< Oh... >>
Il ragazzino infilò una mano nella tasca della felpa, tirando fuori una manciata di banconote da cinquemila yen l'una.
<< Sono sufficienti? >> Chiese infine, innocentemente.
Yama non pensava che l'avrebbe mai detto, ma quel ragazzino aveva suscitato il suo interesse.
<< Come ti chiami, bamboccio? >> Tuonò con un sorriso di scherno che non lasciava le sue labbra sottili e screpolate.
Il bambino sorrise ingenuamente, stringendo il suo robot tra le dita.
<< Hiro. Hiro Hamada. >>
<< Prepara il tuo robot, Ghiro! >>
Gli sguardi di tutti erano fissi su quel duello che aveva un chè di assolutamente ridicolo. Il brutale e maligno Piccolo Yama contro il giocattolino fatto a mano di un quattordicenne scapestrato in cerca di avventure. Ogni movimento, ogni gesto sembrava totalmente grottesco. Il robot di Yama stava ritto in piedi, minaccioso nella sua corazza nera e gli artigli inferriati lunghi quasi tre centimetri. Il piccolo robot di Hiro, invece, si era già accasciato malamente sulle gambette. Yama lanciò un ulteriore sguardo di scherno al ragazzino, pronto a gustarsi l'ennesima vittoria.
Quando l'annunciatrice diede il via al duello, i due automi in miniatura si fronteggiarono senza alcuna possibilità di sorpresa. Il robot di Hiro avanzò con difficoltà verso il suo avversario, ma venne  lanciato in aria con un solo fendente e prontamente distrutto dalla lama tagliente del Piccolo Yama, lasciando che i suoi pezzi rotolassero sul tappeto di battaglia.
L'uomo rise sguaiato, seguito dal pubblico che non faceva altro che assistere divertito a quello spettacolo senza trama. D'altra parte, cosa si aspettava quel ragazzino? Credeva davvero di aver avuto una possibilità con quel giocattolino da quattro soldi?
<< E-era il mio primo incontro! Posso riprovare? >>
Chiese Hiro, osservando spaesato i pezzi del suo robot sparsi come formiche su un terreno arido.
<< A nessuno piace chi non sa perdere, ragazzino! Và a dormire. >>
<< Ho altri soldi... >>
Prima che potesse appropriarsi del bottino appena conquistato, lo sguardo di Yama cadde sull'ingente mucchietto di banconote appena tirato fuori dal piccolo, che sembrava quasi supplicarlo di dargli un'altra possibilità. Perchè no, pensò alla fine. Tanto non c'era alcuna chànce che quel mocciosetto potesse vincere contro di lui. Un altro incontro, altri soldi a finire nelle sue tasche.
Peggio per lui quando la sua famiglia lo avrebbe scoperto.
Il piatto delle offerte si riempì più del solito e di nuovo l'annunciatrice diede il via a quel duello che sembrava già finito ancora prima di iniziare. La folla non perse tempo a fare il tifo per Yama e si prepararono ad una buona dose di risate per schernire quel ragazzino che ancora non si era pentito di essere andato in quel vicolo, scambiandolo per un parco giochi.
Peccato che le cose non andarono esattamente come tutti si aspettavano.
Un sorriso invisibile si dipinse sulle labbra sottili di Hiro che, impugnato il joystick, riconciliò con un solo comando tutti i pezzi del suo robot, e con una voce improvvisamente più profonda e maliziosa rivolse un solo ordine al suo automa.
<< Megabot, distruggi. >>
Quasi come se lo avesse sentito, il volto del robot cambiò con una rotazione automatica dal giallo e grottesco sorriso ad un ghigno demoniaco su uno sfondo rosso. E attaccò.
Prima che qualcuno potesse vederlo, schivò tutte le mosse del drone di Yama, che rimase interdetto davanti a quell'improvviso scambio di ruoli.
Non riusciva a capire! Un attimo prima l'automa era davanti a lui e un attimo dopo era dietro di esso, sul suo braccio, avvinghiandosi su se stesso e stringendo talmente forte da spezzarlo completamente, lasciando che le scintille dei circuiti sfavillassero come lucciole impazzite. In una mossa, toccò all'altro braccio e infine la testa del Piccolo Yama saltò in aria grazie alla presa strettissima del Megabot di Hiro, che nel frattempo non batteva ciglio mentre faceva a pezzi quel robot tre volte più grande del suo.
Una volta terminata "l'opera", il piccolo robot atterrò in piedi sul tappetino e, mostrando di nuovo il suo sorriso scarabocchiato, si inchinò davanti al suo avversario.
Hiro sorrise furbo, procedendo ad intascare i soldi del duello.  
<< Niente più Piccolo Yama. >> Disse, imitando il tono di scherno che il proprietario del robot appena distrutto aveva usato contro di lui. La soddisfazione di vedere quell'uomo grande e grosso raccogliere i pezzi del suo robot con un'espressione di puro stupore e disperazione sulla sua faccia di lardo valeva quanto tutto l'oro del mondo.
<< Cosa...?! No, non è possibile! >>
<< Ehi, io sono sorpreso quanto te! La fortuna del principiante. Vuoi la rivincita? >>
Peccato che Hiro non si fosse accorto che Yama si era pericolosamente avvicinato a lui, sovrastandolo con tutti i suoi due metri e cinquanta di altezza e grasso. Vista da lontano, poteva sembrare una rappresentazione grottesca del Davide e Golia, solo che in quell'occasione, era Golia ad avere la meglio.
Quando Hiro si accorse dell'incredibile silenzio e vuoto che si era creato intorno a lui, fece appena in tempo ad alzare lo sguardo su una montagna umana dallo sguardo a dir poco irritato. E ce l'aveva proprio con lui, non poteva incolpare nessun altro. Forse non era stata una buona idea prendersi gioco di quel tizio!
Non fece in tempo a scappare che le sue mani giganti lo afferrarono di prepotenza e lo sbatterono contro il muro più vicino, facendolo sembrare una mosca in confronto a lui.
<< Nessuno può fregare Yama! >>
Esclamò l'uomo, rovesciando il suo fiato pesante dal vago odore di sakè sul volto di Hiro, che piegò la testa di lato, spaventato. Per un istante, gli sembrò di essere tornato ai primi mesi del liceo, quando i bulli più grandi di lui lo trattavano esattamente allo stesso modo, e non era mai finita bene. Prima che potesse fare qualcosa, sentì il Megabot sfuggirgli tra le dita di prepotenza e lo vide finire tra le grinfie di Yama. Tentò debolmente di ribattere, ma gli si mozzò il fiato in gola quando l'uomo ordinò ai suoi tre scagnozzi di "dargli una lezione".
Hiro sapeva benissimo cosa voleva dire e di "lezioni" ne aveva già subite troppe a scuola, non aveva alcuna voglia di rivivere quei momenti.
Pensò di scappare, ma la distanza tra lui e i tre uomini si era già notevolmente accorciata che sarebbe bastato un solo passo falso a farlo finire tra le loro mani, e soprattutto tra le loro nocche che già schioccavano, non vedendo l'ora di colpire la sua faccia.
<< ... Ehi, ragazzi! >> Mormorò cercando di non dare a vedere quanto fosse terrorizzato.  << Che ne dite di parlarne...? >>
Ma i loro occhi ridotti a fessure e i ghigni maliziosi sulle loro facce non lasciavano spazio ad una tranquilla chiacchierata. Non era la prima volta che Hiro si cacciava in quel genere di guai, ma solitamente era riuscito a farla franca senza farsi male. Ora, se solo qualcuno si fosse presentato giusto in tempo per tirarlo fuori da quella situazione...
In un attimo, il rumore familiare di un motorino rimbombò nel vicolo attirando l'attenzione dei presenti. Due fari accecanti squarciarono l'oscurità e prima che Hiro potesse realizzare cosa stesse accadendo, una Vespa vecchio modello rosso fiammante si parò davanti a lui con una sonora sgommata, dividendo il ragazzino dai tre individui che bramavano dalla voglia di picchiarlo.
<< Hiro, salta su! >>
Hiro non era mai stato più felice di sentire quella voce in vita sua. Un largo sorriso si dipinse sulle sue labbra quando vide suo fratello maggiore, mentre correva verso il veicolo. Fu su con un solo salto, lasciando che un casco più grande della sua testa nascondesse la sua chioma ribelle.
<< Tadashi! Ah, che tempismo! >>
Il ragazzo più grande fulminò i tre uomini con lo sguardo, prima di rimettere in moto e abbandonarli nel vicolo. Ripercorse la strada che aveva fatto per arrivare lì e imboccò la destra, sperando che portasse di nuovo in città. Hiro, dietro di lui, ne approfittò per recuperare il Megabot rimasto tra le mani di Yama.
<< Tutto bene? >> Chiese Tadashi, cercando di non distrarsi dalla guida.
<< Si! >>
<< Sei ferito? >>
<< No! >>
<< Ma che ti è venuto in mente, testone?! >>
All'ultima negazione di Hiro, il ragazzo iniziò a prenderlo a pugni con una mano sola. Erano colpetti affettuosi, che esprimevano tutta la preoccupazione per suo fratello e per ciò che sarebbe potuto accadere se non fosse arrivato in tempo. Ma facevano anche parecchio male! Tadashi era palesemente irritato dal fatto che il suo fratellino avesse di nuovo messo piede in quelle strade buie per esercitare scommesse illegali, per di più senza dirgli niente. Cominciava a pensare che i GPS che aveva cucito sulla felpa di Hiro fossero più utili di quanto avesse immaginato, fintanto che il ragazzino non se ne accorgeva.
I suoi occhi si scontrarono con la visione di una grata alta più di tre metri davanti a loro, e fece in tempo a fare inversione e a tornare indietro. Questo però, non aveva impedito al suo istinto di fratellone di formulare più di una buona ramanzina per Hiro.
<< Ti sei diplomato a soli tredici anni, e adesso è questo che fai?! >>
Hiro non rispose, troppo impegnato a domandarsi come avrebbero fatto a evitare Yama e i suoi scagnozzi che nel frattempo li avevano seguiti, tentando di acchiapparli. Tadashi intravide una trave di legno malamente appoggiata su vecchi secchi di vernice e mattoni inutilizzati che sembravano formare una rampa. Sperava solo che avesse retto abbastanza da permettergli di fuggire.
<< Reggiti forte! >> Gridò a Hiro, e il fratellino obbedì stringendolo.
Tadashi premette con forza sull'acceleratore e le ruote si scontrarono violentemente contro il pezzo di legno, percorrendolo in un solo secondo ed entrambi si ritrovarono sospesi in aria, sopra le teste dei loro aguzzini. Hiro lanciò un gridolino pieno di adrenalina, gustandosi il vento freddo di Novembre che sferzava feroce contro il suo viso, facendogli quasi lacrimare gli occhi. Intravide il suo riflesso e quello di Tadashi nel vetro di una finestra e sorrise, immaginando entrambi come due supereroi che volavano via da un luogo pericoloso verso il loro rifugio segreto.
Il motorino atterrò sull'asfalto come un gatto che cade in piedi e i due fratelli riuscirono a seminare Yama e i suoi compari. Hiro si girò verso di loro, ma non ne vedeva più neanche l'ombra.
<< I Bot-Duelli sono illegali! Così ti farai arrestare! >>
Tadashi gridò sul rombo del motorino per farsi sentire. Hiro roteò gli occhi. Quando si trattava di quell'argomento, suo fratello era restìo a lasciar passare la cosa. Non importava quante volte il ragazzino avesse provato a spiegarglielo, lui era sempre stato irremovibile. Nonostante questo, Hiro era sempre riuscito a sfuggire alla sua guardia e a finire nel bel mezzo di un Bot-Duello.
<< I Bot-Duelli non sono illegali! E' scommettere sui Bot-Duelli che è... illegale, ma molto redditizio! >> Esclamò, tirando fuori il mazzo di soldi che aveva intascato dopo il duello contro Yama.
<< Vado alla grande, fratellone! E nessuno potrà fermarmi! >>
Prima che potesse godersi il suo momento di gloria, Tadashi frenò bruscamente, imprecando sottovoce. Davanti a loro, l'uscita era bloccata da più volanti della polizia le cui sirene lampeggiavano sonoramente.
Poco male, pensò Hiro. Non avevano fatto niente di male.

 (•—•)

Si ritrovarono entrambi in manette ancora prima di poter parlare, e tra le sbarre un secondo dopo. Hiro fissava il pavimento, imbarazzato, e sapendo che Tadashi lo stava guardando dall'altro lato della cella, sollevò la manina e lo salutò con un sorrisetto sghembo. Tadashi, schiacciato in mezzo agli altri criminali, lo fulminò con lo sguardo.
Fortunatamente, la loro esperienza da carcerati fu breve. Un poliziotto li fece uscire entrambi, lasciandoli alle braccia di una donna sui quaranta, i capelli ondulati dal bel colore ramato e due grandi occhi verdi come smeraldi. I due fratelli ingoiarono la loro stessa saliva quando la intravidero. Nonostante fosse di spalle, sapevano benissimo che si stava mangiucchiando nervosamente l'unghia del pollice, probabilmente formulando pensieri oscuri su come avesse fallito a crescere i ragazzi. Con le mani in tasca e lo sguardo basso, i due uscirono dalla questura e la salutarono all'unisono.
<< Ciao, zia Cass. >>
Non appena li sentì, la donna corse verso di loro stringendoli forte.
<< Ragazzi, tutto bene? Ditemi di si! >>
La sua voce preoccupata fece quasi tirare un sospiro di sollievo ai ragazzi. Magari non era poi così arrabbiata come si aspettavano.
<< Si, zia Cass. >>  Risposero con un sorriso.
<< Meno male... >>
Cass sospirò sollevata, appoggiando i palmi delle mani contro le loro guance. L'avevano scampata. Era decisamente troppo preoccupata per essere arrabbiata con loro.
<< ... Machevièpassatoperlatestolina!! >>
Gridò poi senza scandire le parole e trascinando per le orecchie i due nipoti sul furgoncino di sua proprietà.
Il tragitto fino a casa fu teso e silenzioso. Poco prima che Cass parcheggiasse fuori dal Lucky Cat Cafè, la caffetteria che lei stessa gestiva, tirò di nuovo fuori il solito discorso che doveva pronunciare ogni volta che i suoi due ragazzi facevano qualcosa di irresponsabile.
<< Per dieci anni ho fatto del mio meglio per crescervi! >>
Hiro e Tadashi si scambiarono uno sguardo preoccupato, le dita impegnate a massaggiare i lobi doloranti. Uscirono rapidamente dal furgoncino, continuando a sorbirsi la predica della zia, la cui voce squillante riecheggiava come una tromba in una strada deserta.
<< Sono stata perfetta? No! Ne so qualcosa di bambini? Nah! Dovevo studiare un manuale di genitore? Probabile! ...Dov'è che volevo arrivare, ho perso il filo... >>
Conoscevano quella scena a memoria. Era come un vecchio film che vedi ancora e ancora senza mai stancarti dell'effetto che ha su di te, un copione imparato quotidianamente alla perfezione. I due fratelli sapevano di averla fatta preoccupare e che lei teneva tantissimo a loro, per questo tendeva ad avere quel genere di reazione. In realtà, zia Cass tendeva ad avere un esaurimento nervoso a settimana a causa loro.
<< Scusa... >>
<< Ti vogliamo bene, zia Cass! >>
<< Bè, anch'io ve ne voglio! >> L'ultima esclamazione li costrinse ad indietreggiare, prima di seguirla dentro il locale.
<< Per voi mascalzoni ho dovuto chiudere prima nella serata delle poesie beat! >>
Affermò contrariata mentre afferrava una ciambella al cioccolato e le dava un morso nervoso. Sembrava non essersene neanche accorta, perchè rivolse il suo sguardo smeraldino prima al dolce e poi ai nipoti, che avevano imparato a sorridere a quel gesto. Fame da stress, puntualizzava lei. Ed era più che giustificata. D'altra parte, aveva faticato tanto per avere finalmente un fisico adatto ai suoi gusti , e preoccuparsi di mettere sù qualche etto in più rientrava nella lista delle cose che la stressavano. Nonostante questo, quando succedeva qualcosa ai ragazzi, il benessere del corpo passava in secondo piano.
La videro salire in cucina con la ciambella in mano, mentre faceva cenno al gatto di famiglia di seguirla. Mochi era un persiano dal pelo morbido, con macchie marroni su un batuffolo bianco. Lo avevano trovato quando era ancora un cucciolo sul retro di casa, appena dopo che Hiro e Tadashi si erano trasferiti lì con la zia.
I ragazzi salirono al piano di sopra in silenzio, rifugiandosi nella loro stanza.
Sapevano bene che la reazione della donna era dovuta ad un ulteriore trauma, e sapevano quanto doveva essere stato duro per lei occuparsi di due ragazzini pestiferi come loro e gestire un locale tutta sola. Non potevano biasimarla per la sua preoccupazione nei loro confronti. Cass non era soltanto una zia per loro. Era una mamma, una guida, un esempio da seguire. Un modello che i due fratelli ammiravano da sempre. E la pressione di essersi ritrovata a crescerli in completa solitudine aveva generato una forte insicurezza e un grande fardello sulle spalle della donna, che spesso la portava ad avere crolli emotivi ogni qual volta succedeva qualcosa di brutto ai suoi ragazzi. Cass sapeva di non essere perfetta, ma di certo faceva del suo meglio per assicurare a Hiro e Tadashi ogni bene.
Per questo Tadashi sentì il bisogno di ricordarlo al suo fratello minore.
<< Devi farti perdonare da zia Cass prima che divori l'intera caffetteria. >>
<< Certo... >>
<< E spero che tu abbia imparato la lezione. >>
<< ... Assolutamente si! >>
Tadashi posò la giacca sul suo letto, notando che Hiro si era già messo al computer. Gli occhioni castani spalancati e le labbra leggermente arricciate gli conferivano un'aria così innocente e da bambino per bene che il maggiore si insospettì subito.
<< Stai andando a un Bot-Duello, vero? >> Domandò sarcastico, quasi spazientito.
Hiro fece spallucce e si alzò dalla sedia per andare a prendere il suo Megabot.
<< C'è un altro combattimento! >> Affermò con non chalànce. << Se mi sbrigo, arrivo in tempo! >>
Ma Tadashi non era affatto d'accordo. Prima che Hiro potesse imboccare le scale, il ragazzo lo afferrò per il cappuccio della felpa, tirandolo nuovamente verso di lui.
<< Quando inizierai a usare la testa per qualcosa di più importante? >>
<< Cioè, andare al college come fai tu per farmi spiegare cose che già so? >>
Per quanto il fratellino potesse sembrare sfacciato, in buona parte aveva ragione. Hiro era nato un genio. Il suo quoziente intellettivo era largamente più sviluppato rispetto a quello di una persona comune, e questo gli aveva permesso di entrare al liceo a soli nove anni e diplomarsi in un periodo altrettanto breve. Tadashi ricordava ancora quando aveva costruito il suo primo robot a soli quattro anni, con la sola eccezione che Hiro non sapeva nemmeno cosa fosse un libretto delle istruzioni, nè tanto meno un ciacciavite o un circuito o un automa prima di tutto. Aveva una memoria fotografica a dir poco spaventosa per un ragazzino della sua età, specialmente se aveva dovuto studiare su libri di scienze che spesso non riusciva neanche a trasportare tanto erano pesanti. Inutile specificare che da quel momento in poi, la passione di Hiro per la robotica era cresciuta a dismisura. Complice anche il fratello maggiore che l'aveva sviluppata prima di lui.
Nel tempo libero si divertivano a costruire così tante cose che avevano perso il conto di quante fossero effettivamente risultate utili. Una volta, avevano persino costruito una specie di "astronave" con un carrello della spesa inutilizzato, un vecchio motore a scoppio e quattro piccoli mini-razzi. Avevano preso il volo, letteralmente. E un bel pò di ceffoni da zia Cass per averla fatta preoccupare!
Per esserci una tale differenza di età, Hiro e Tadashi avevano un rapporto fraterno incredibilmente profondo. Che fosse la stessa passione per la scienza ad unirli, o il fatto che il maggiore avesse dovuto costantemente tenere d'occhio il più piccolo, e che Hiro fosse stato vittima di tanti soprusi a scuola a causa della sua età nonostante fosse al liceo non aveva più importanza. Tadashi ci sarebbe sempre stato per Hiro e avrebbe fatto di tutto per vedere il suo fratellino fare finalmente un buon uso del suo genio.
<< Sei incredibile... >> Mormorò Tadashi, sospirando. << Uff, che direbbero la mamma e il papà? >>
Si pentì subito di aver fatto quella domanda. Aveva appena toccato un tasto dolente per entrambi.
<< Non lo so... Loro non ci sono più. Avevo tre anni quando è successo, ricordi? >>
La voce di Hiro si abbassò in un sussurro irritato e deluso. Odiava quando Tadashi tirava in ballo i loro genitori per farlo pentire di ciò che faceva, non lo trovava giusto. Specialmente se lui aveva passato così poco tempo con loro da non riuscire neanche a ricordare chi fossero, quanti anni avessero, quale fosse il loro aspetto. Tutto ciò che gli era rimasto era impresso in una fotografia appesa alla parete delle scale, dove posavano sorridenti e mostravano il pancione della mamma quando era ancora incinta di Tadashi. In altre parole, se la mente comincia a ricordare dai tre anni in poi, Hiro non aveva praticamente mai conosciuto i suoi genitori. Il maggiore deglutì, valutando il dolore di quella risposta. Sospirò e afferrato il casco da moto, lo lanciò verso Hiro, arruffandogli i capelli.
<< Senti, ti accompagno io. >>
<< Davvero?! >>
<< Bè, non posso impedirti di andarci, ma non ti lascio andare da solo. >>
<< Grande! >>
Hiro sorrise grato al fratello, scendendo giù per le scale. Tadashi sollevò lo sguardo al soffitto, abbozzando un sorrisetto speranzoso.
Magari questa sarebbe stata la volta buona.


_________________________________________________________________________

Innanzitutto, buon 2017! Che sia migliore dell'anno appena passato ecc.
E buona rinascita anche a me, visto che non riuscivo a scrivere decentemente da quasi due anni. E' stata una lunga pausa, ma ora sono di nuovo presente. E questo è un piccolo esperimento in cui ho deciso di cimentarmi. Una versione "romanzata" del film Big Hero 6. Per arrivare a fare una scelta del genere, confesso che il cartone animato mi ha colpita particolarmente e in maniera molto personale. Quindi volevo cercare di rendergli un po' di gratitudine.
Spero che vi possa piacere questa stesura scritta di uno dei film più belli che abbia mai visto.


LittleBloodyGirl

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Serendipità ***


Non fu facile convincere zia Cass a lasciarli uscire un'altra volta, ma Tadashi riuscì a tranquillizzarla quanto bastava per permettergli di prendere nuovamente il suo motorino.
La serata era piacevolemente fresca per essere Novembre e nel caos della città il rumore del veicolo si confondeva alla perfezione, come una perfetta sincronia di suoni. I giochi di luce creati dai fari delle macchine, i lampioni e gli schermi giganti della strada principale facevano apparire il centro di San Fransokyo come un'enorme discoteca a cielo aperto. E in quel caos, Hiro era rilassato mentre si aggrappava ai fianchi del fratello, dondolando ai movimenti del motorino. Una guancia appoggiata sulla sua schiena robusta e gli occhi grandi che catturavano fasci di colori inarrestabili.
Non riusciva a capire come mai Tadashi avesse acconsentito ad accompagnarlo. Da quando aveva scoperto i Bot-Duelli era sempre dovuto andare da solo, inventandosi qualche scusa per uscire o per quando rientrava troppo tardi. In realtà, più che di zia Cass, Hiro aveva paura di deludere il suo fratellone.
Si, era una contraddizione bella e buona, visto che fare i Bot-Duelli era l'ultima cosa che Tadashi voleva per lui. Ma tutti i soldi che vinceva, il ragazzino non li teneva certo per sè. Stava cercando di contribuire alla sua famiglia, ma sembrava che non lo capissero. Anche se avesse voluto lavorare, doveva aspettare almeno i diciotto anni prima di mettere piede in un'azienda. E ormai aveva finito la scuola, quindi non era rimasto più nulla per lui da fare.
A volte, essere un genio non è esattamente tutto rose e fiori.
Una volta finito il liceo, Hiro si era ripromesso di non mettere mai più piede in una scuola. Il mondo non era pronto ad avere un ragazzino di quattordici anni più intelligente della media. Semplicemente, non lo accettava. Era a causa della sua intelligenza troppo spiccata che Hiro non era riuscito a farsi degli amici. Troppo piccolo per fare parte di un gruppo di ragazzi più grandi, troppo geniale per essere ammesso tra i normali e non finire per essere oggetto di scherno da parte degli altri.
L'unico amico che Hiro aveva era... Tadashi. Il suo fratellone, il suo migliore amico, il suo papà, il suo eroe.
Tadashi era tutto per lui, e avrebbe dato qualsiasi cosa per potergli somigliare almeno un po'. Si era preso cura di lui da quando i loro genitori non c'erano più, lo aveva difeso dai bulli a scuola e aveva curato le sue ferite più profonde, fisiche ed emotive. Quante volte era finito lui nei guai per difendere il fratello minore, senza avere un briciolo di rimpianto.
Tadashi era gentile, intelligente e... Bello. L'uomo che tutte le donne vorrebbero al loro fianco. Il fisico tonico, gli occhi dal bel taglio orientale, leggero e curioso, i capelli neri velati di castano perfettamente curati sempre nascosti dal suo berretto preferito. Un regalo di papà, gli piaceva sempre ricordare. 
Tutto il contrario di Hiro che, basso, mingherlino, dai capelli ribelli e i denti non proprio perfetti era riuscito ad attirare solo insulti e pugni da gente più grande di lui.
Con questi pensieri, si strinse un po' di più alla vita del fratello, lasciando che il vento penetrasse nelle maniche della felpa e gli procurasse piacevoli brividi lungo tutto il corpo.
<< Ehi, che ti prende? >> Chiese Tadashi, notando il gesto improvviso del fratellino.
<< Niente... >> Rispose lui con un sussurro, senza essere sicuro che il maggiore avesse effettivamente sentito.

(•—•)

Hiro si era reso conto solo dopo un po' che avevano imboccato una strada di periferia illuminata a giorno, con aiuole perfettamente tosate e una struttura sul piano più alto che il ragazzino riconobbe subito, con suo estremo disappunto.
<< Che cosa ci facciamo alla tua scuola dei Nerd?! Il Bot-Duello e dall'altra parte! >>
Esclamò, dando a Tadashi un colpetto sulla spalla. Il maggiore non rispose. Procedette a parcheggiare il motorino davanti ad una grande costruzione circolare fatta interamente di vetro, illuminata da due grandi fari bianchi installati alla base dell'ingresso. Una grande insegna sul muretto vicino recitava: ITO ISHIOKA ROBOTIC LAB, San Fransokyo Institute of Technology and Robotic.
<< Devo prendere una cosa. >> assunse Tadashi per tutta risposta, facendo cenno a Hiro di seguirlo.
L'interno era piuttosto spoglio. Grandi mura dal colore grigiastro si espandevano in larghi corridoi che accoglievano le diverse aule di studio. Alcuni studenti passeggiavano con in mano libri o bicchieri di caffè, e nonostante l'ora tarda, si poteva benissimo intuire che la scuola fosse ancora frequentata.
<< Ci vorrà molto? >> Chiese Hiro con impazienza.
Non voleva essere lì. Quelle mura lo mettevano a disagio, gli sguardi degli altri studenti lo mettevano a disagio. Quella scuola era la causa principale della mancanza di attenzione di Tadashi nei confronti di Hiro.
Da quando lui aveva cominciato a frequentare il college, non riuscivano più a stare insieme come una volta. Era sempre troppo impegnato con lo studio e spesso rientrava a casa più tardi del solito. O peggio, a volte non rientrava affatto. Tutto per quella stupida scuola di appassionati di scienza peggiori di Victor Frankenstein! Hiro aveva un buon motivo per averla nominata "la scuola dei Nerd", e aveva esteso quel nomignolo anche al fratello maggiore proprio per prenderlo in giro.
<< Rilassati, piccoletto! >> Fece Tadashi, camminando a passo sicuro nel corridoio. << Ci vorrà un minuto. E poi, non hai mai visto il mio laboratorio! >>
<< Oh, fantastico vedrò il tuo covo di Nerd... >>
<< Attento! >>
Non appena il ragazzino entrò nell'aula in cui era entrato suo fratello, per poco non venne investito da una specie di motocicletta super veloce dalla carrozzeria gialla e le rifiniture violacee. Il suo pilota scese agilmente dalla sella, staccando con facilità una delle ruote dal veicolo appena dopo averlo appeso tranquillamente a una base magnetica. Una volta finito di esaminare la ruota, il tizio dietro il casco di cuoio la rilanciò indietro e questa si attaccò senza problemi al veicolo.
Hiro si avvicinò incuriosito, e nel frattempo i suoi occhi scrutavano l'intera aula. Era piena di ragazzi che inventavano e costruivano con ogni conoscenza e istruzione di robotica e automazione. Uno studente aveva costruito piccoli razzi per far volare il suo gatto, altri due avevano ideato un tavolo da ping pong automatico, altri ancora applicavano piccoli piedi robotici ad una piattaforma capace di salire gradini. Una strana euforia solleticò il cuore di Hiro mentre si avvicinava alla motocicletta che poco prima aveva rischiato di investirlo. La osservò attentamente e notò che non solo era sottilissima, ma le ruote erano letteralmente sospese alla vettura. Fece passare la mano in mezzo, avvertendo una lieve elettricità solleticargli le dita.
<< Wow... Sospensioni elettromagnetiche... >>
<< Ehi! >>
Sobbalzò quando una voce decisa e autoritaria lo richiamò all'attenzione. Il proprietario di quella motocicletta era davanti a lui, un giubbotto di pelle nera e un casco integrale a coprirgli il volto. Hiro si poteva specchiare nella visiera scheggiata.
<< Tu chi saresti? >>
<< Ehm... Io... >>
<< Gogo... >> Intervenne Tadashi, poggiando una mano sulla spalla del fratellino. << Lui è mio fratello Hiro. >>
Gogo, o almeno così pareva chiamarsi, procedette a togliersi il casco, rivelando l'espressione corrucciata di una ragazza sulla ventina, le ciocche nere sfumate di viola e una bolla di gomma da masticare tra le labbra che fece prontamente scoppiare. Per un attimo, Hiro ebbe la sensazione che lo avrebbe preso a pugni. Poi, abbozzando un sorrisetto mite, la ragazza procedette a posare il casco.
<< Benvenuto al laboratorio dei Nerd. >> Disse, rimarcando le stesse parole che lui aveva usato appena entrato lì.
Hiro arrossì, imbarazzato per la pessima figura appena fatta. Ma la meraviglia provata poco prima per quel prodigio di motocicletta ebbe la meglio su di lui.
<< Non avevo mai visto sospensioni elettromagnetiche su una bici! >>
<< Zero resistenza, bici più veloce. >> Affermò Gogo, sganciando una ruota. << Ma non abbastanza veloce, per ora. >>
Detto questo, procedette a lanciarla in un contenitore pieno di molte altre ruote simili a quella. Probabilmente tutti gli esperimenti precedenti che non avevano superato la prova.
Hiro volse lo sguardo appena dietro di lui e si mosse incerto verso un uomo di colore vestito di verde, con lunghi rastah ai capelli, che stava lavorando a un pannello di metallo. Non appena lo vide avvicinarsi, l'uomo lo fermò prontamente, costringendolo ad indietreggiare.
<< Ehi ehi ehi! Fermo dove sei! Non superare la linea, grazie! >>
<< Ciao, Wasabi! >> Lo salutò Tadashi, raggiungendoli. << Lui è mio fratello Hiro. >>
L'uomo sollevò i suoi occhialini da protezione e rivolse al ragazzino un sorriso rassicurante.
<< Ciao, Hiro. Ammira questo prodigio! >>
Così dicendo, prese una mela su un armadietto accanto a lui e la lanciò verso l'intervallo tra i due pannelli che stava sistemando poco prima. La mela si disintegrò. Come se ci fosse stato un rasoio invisibile, il frutto si trasformò in fettine sottilissime. Hiro ne prese una tra le dita, era così leggera che se avesse premuto un po' di più si sarebbe frantumata.
<< Plasma-laser indotto... >>
<< Già! >>
Wasabi era particolarmente orgoglioso del suo progetto. E anche parecchio prgamatico. Hiro notò che il suo tavolino era pieno di oggetti posti esattamente ognuno in uno spazio specifico. Persino una tazza da caffè aveva segnati sulla porcellana la giusta quantità di zucchero, latte e caffè stesso. Hiro rise a quella bizzarra visione. Neanche suo fratello era così ordinato!
<< Cos'è, fai disordine di secondo nome? >>
Si permise di prendere una minuscola lente di ingrandimento, ma l'uomo la rimise subito a posto, come se il fatto di avere qualcosa fuori posto lo preoccupasse più del dovuto.
<< Ehi, io ho un metodo: un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto. >>
Appena ebbe finito di dirlo, Gogo afferrò uno strumento dal piano di Wasabi urtandolo, mettendo in disordine gli altri oggetti.
<< Mi serve! >>
<< Che ca...?! Non puoi farlo, questa è anarchia! La società ha delle regole! >>
Hiro lo vide sparire dietro la parete per inseguire Gogo, urlando frasi sul disordine e sul caos come un profeta sventurato. Al suo posto, una ragazza alta e magra, dai lunghi capelli biondi e un paio di occhiali dalla montatura rosa si fece strada con una grossa palla di ferro che rotolava appena davanti a lei.
<< Scusate! Permesso! Devo passare! >>
La sua voce squillante la faceva somigliare vagamente ad un canarino a prima mattina, e dal suo accento si poteva intuire facilmente che fosse argentina. Hiro lanciò uno sguardo confuso prima al fratello e poi di nuovo alla ragazza, che nel frattempo si era letteralmente sdraiata sull'enorme masso che aveva trasportato finora, cercando di posizionarlo su un piedistallo. Quando vide Tadashi, la ragazza lanciò un gridolino felice.
<< Ciao, Tadashi! >> Poi rivolse lo sguardo al minore e si illuminò.
<< Non ci credo! Tu devi essere Hìro! Ho sentito tantissime cose sul tuo conto! >>
Si rimise in piedi con un balzo e si tolse le cuffiette, afferrando il ragazzino per le spalle e trascinandolo contro il suo viso per dargli due sonori baci sulle guance. A parte la presa incredibilmente forte per una ragazza così magra, Hiro non potè fare a meno di arrossire a quell'inusuale gesto di affetto. Sapeva che era così che ci si salutava in Europa, ma non pensava lo avrebbe mai sperimentato. Si lasciò guidare dall'euforia fatta persona davanti a un bancone di filtri e provette. Strani liquidi colorati scorrevano all'interno di contenitori di vetro o bollivano a temperature elevate.
La osservava di nascosto mentre sussurrava i nomi di ogni elemento chimico che utilizzava con un sorriso da psicopatica ad illuminarle il volto dalle mille smorfie. Sembrava che da un momento all'altro dovesse riportare in vita un cadavere e creare un esercito di morti viventi per conquistare la terra. Faceva quasi paura! Una volta finito il suo arteficio, prese una bomboletta spray e spruzzò la sostanza appena creata sull'enorme palla di metallo, dipingendola completamente di rosa.
<< Ta-dà! >> Esclamò soddisfatta.
Hiro sorrise imbarazzato. Cosa doveva dirle? Doveva farle i complimenti per aver dipinto di rosa in poco tempo quella palla?
<< E' così... rosa! >>
<< Ora arriva il meglio! >>
Infatti, le bastò poggiare delicatamente un dito sulla superficie appena dipinta e questa si sgretolò con una lieve esplosione in polvere rosa. Il ragazzino rimase stupefatto da ciò che aveva appena assistito. Quasi duecento kilogrammi di materiale resistente e pesante, ridotto in cenere semplicemente toccandolo. La ragazza si voltò verso di lui, la pittura rosa la ricopriva da cima a fondo.
<< Grandioso, vero?! Infragilimento chimico di metalli! >>
Specificò pulendosi gli occhiali, lasciando un intervallo di pelle pulita della stessa forma sugli occhi. Tadashi rise, avvicinandosi.
<< Niente male, Honey Lemon! >>
A quel punto, Hiro non riuscì più a contenersi. Era tutta la sera che sentiva suo fratello chiamare con i nomi più strani i suoi compagni di studio. Quelli non erano certo nomi che sentivi ogni giorno!
<< Honey Lemon? Gogo? Wasabi?! >>
Si soffermò in particolare sull'ultimo, visto che era il nome di una pietanza giapponese.
<< Una volta soltanto mi sono sporcato col Wasabi, una volta sola! Solo una! >>
Gridò Wasabi dall'altro lato della stanza. Tadashi si lasciò sfuggire una risatina.
<< E' Fred che ha inventato i soprannomi. >>
<< E... Chi è Fred? >>
<< Il tizio dietro di te! >>
Al sentire quella risposta, Hiro si voltò per ritrovarsi davanti la faccia gommosa e terrificante di una strana creatura; un misto tra un coccodrillo e Godzilla dallo sguardo strabico. Fu una visione così stramba e improvvisa che non riuscì a evitare di lasciarsi sfuggire un gridolino.
<< Non agitarti, è solo un costume! >>
Un braccio umano fuoriuscì dalla bocca del mostro e la sollevò con leggerezza, rivelando un ragazzo dai capelli lunghi e biondi nascosti da un berretto di feltro, il viso pallido e magro e uno sguardo rilassato. Sembrava uno di quelli che diventano tuoi amici appena ti stringono la mano. Infatti, la presa di Fred appena strinse la mano di Hiro era leggera e calorosa.
<< Io sono Fred! Di giorno mascotte della scuola, ma di notte... >>
Fece una pausa ad effetto, procedendo a fare un paio di giravolte su se stesso e afferrando il cartello che aveva lanciato a mezz'aria.
<< Sempre mascotte della scuola! >>
Hiro rise.
<< La tua specializzazione qual'è? >>
<< Bè, io non sono uno studente. Però, sono un grande fanatico della scienza! >>
Procedette a rintanarsi nel suo spazio; un angolino tappezzato di poster di vecchi film di fantascienza e uno scaffale pieno di action figures e fumetti di supereroi. Si sdraiò sulla poltroncina al centro con tutto il costume addosso.
<< Avevo chiesto ad Honey di prepararmi un siero che mi potesse trasformare in una lucertola gigante! >>
 Disse mostrando al piccolo un fumetto con una copertina macabra, che ricordava vagamente Dr. Jekyll e Mr. Hyde.
<< Ma lei dice che quella non è scienza... >>
<< Non lo è affatto. >>
<< E allora che mi dite del panino invisibile? >>
<< Hiro! >>
Tadashi richiamò il fratello, facendogli cenno di seguirlo in un'altra stanza. Hiro lo seguì, lasciando gli altri a infrangere i sogni da nerd di Fred.
Lo studio privato di suo fratello era una larga stanza con una grande finestra circolare al centro che dava sul giardino nel retro della scuola. Il ragazzino scorse vari gadget e oggetti che Tadashi si era portato da casa, probabilmente per abbellire la stanza. Un enorme computer dallo schermo sottile era in stand-by su una scrivania e uno sgabello con le rotelle stava in mezzo alla stanza, spezzando l'ordine dello studio.
<< Allora? A cosa stai lavorando? >>
Chiese, facendo finta di non essere interessato. In realtà, Hiro moriva dalla voglia di sapere che cosa fosse che teneva Tadashi fuori casa e lontano da lui così tanto tempo. Gliene aveva accennato un giorno durante il pranzo, ma non aveva voluto rivelargli nulla, lasciandolo ad una curiosità morbosa di scoprire il suo segreto. A dire il vero, ci era rimasto male che non gli avesse detto cosa fosse fin dall'inizio.
I fratelli Hamada condividevano sempre le loro invenzioni, prima di farle vedere agli altri.
Era la regola. La loro regola.
<< Ora te lo mostro. >> Fece Tadashi per tutta risposta, prendendo del nastro adesivo e staccandone un pezzo.
Hiro lo guardò sarcastico.
<< Nastro telato? Ti do una notizia, fratellone, lo hanno già inventato. >>
Senza aspettarsi una risposta, si ritrovò con buona parte dell'avambraccio arrossata e bruciante a causa di Tadashi, che quel nastro adesivo lo aveva appena usato per fare la ceretta al suo braccio.
<< Ahi! Ehi! >>
Un suono lieve arrivò alle sue orecchie nonostante il dolore, e davanti a lui fuoriuscì da una confezione rossa quello che sembrava un gonfiabile tutto bianco dal viso formato da due pupille nere unite da una linea retta. Tadashi sorrise orgoglioso.
<< Ecco a cosa sto lavorando. >>
Era un robot, o almeno Hiro lo intuì dal modo in cui si muoveva; movimenti piccoli e lenti, meccanici e schematici. Avanzò verso il ragazzino con fare sicuro prima di inciampare sullo sgabello nel mezzo dello studio. Il robot guardò in basso, alzò le braccia e sollevò lo sgabello per aria. Poi guardò a destra e sinistra, prima di posarlo poco lontano da lui. Una volta eliminato l'intralcio, la sua attenzione ritornò nuovamente su Hiro.
Una volta che fu di fronte a lui, alzò una mano gommosa e imitò un saluto.
<< Ciao, io sono Baymax! Il tuo operatore sanitario personale. >>
La sua voce robotica aveva un chè di umano. Era calda e simpatica, non incuteva timore.
<< Sono entrato in modalità di allerta per terapie mediche quando hai esclamato: "ahi!" >>
<< Un infermiere... Robot? >> Chiese Hiro, curioso.
Tadashi annuì.
<< In una scala da uno a dieci, come valuti il tuo dolore? >>
Chiese il robot pragmatico, sporgendo leggermente in avanti il pancione bianco che si illuminò mostrando due file di emoticon dalle varie espressioni. La prima faccina era gialla e sorridente mentre l'ultima era rossa e sofferente. Una vera e propria scala grafica del dolore, Baymax intendeva rateizzarlo letteralmente.
Tuttavia, a quella domanda Hiro non potè fare a meno di rivelarsi scettico.
<< Fisico o emotivo? >>
Scandì l'ultima parola guardando Tadashi. Dato l'ultimo periodo, il fratello doveva sapere bene a cosa si riferiva. Per tutta risposta, il maggiore sporse il labbro inferiore e fece una faccia dispiaciuta.
Baymax non registrò quella domanda, e ne approfittò per valutare meglio la condizione del "paziente".
<< Ora eseguirò uno scan. >>
Abbassò leggermente la testa prima di rialzarla e appurare il risultato. Fu talmente veloce che Hiro ne rimase sorpreso.
<< Scan completato. Hai una lieve abrasione epidermica sul tuo avambraccio. Suggerirei l'uso di uno spray disinfettante. >>
E così dicendo, prese la mano del piccolo e fece per per spruzzare il medicinale dal suo dito, quando Hiro si ritirò sospettoso. Non voleva lasciare a vedere quanto fosse entusiasta del progetto del fratellone, e decise che almeno una piccola punizione se la meritava. E quale cosa migliore di prenderlo in giro, dubitando dell'efficacia del suo robot?
<< Un momento! Che c'è esattamente nello spray? >>
<< Il principio attivo è la bacitracina. >>
Disse Baymax, mostrando sul suo pancione una serie di informazioni riguardo all'elemento. Hiro schioccò la lingua.
<< Peccato! Sono allergico a quella! >>
Si aspettava uno sguardo spazientito da parte di Tadashi, invece questo rise alla sua affermazione.
<< Non sei allergico alla bacitracina. Hai una leggera allergia alle arachidi. >> Affermò Baymax, alzando il dito per specificare.
A quel punto, Hiro si arrese. Si lasciò curare la ferità sull'avambraccio grazie allo spray che fuoriuscì direttamente dal dito di Baymax. La sostanza fredda si propagò lungo la pelle arrossata, attenuando il bruciore. Doveva ammetterlo, Baymax era geniale. Suo fratello doveva aver lavorato parecchio per costruire un robot così perfetto e accurato che diagnosticasse i problemi di salute e sapesse esattamente in che modo curarli. Non era esattamente il tipo di automa che Hiro preferiva. Lui era più per i tipi di combattimento, azione, divertimento. Ma conosceva bene Tadashi, tanto da sapere che lui era sempre stato un tipo più tranquillo.
<< Niente male! Ce n'è voluto di tempo per costruire questo coso, eh? >>
<< Ah-ah, l'ho programmato con oltre 10.000 procedure mediche. >>
 Affermò il ragazzo, premendo sul piccolo portello d'accesso appena sopra il petto di Baymax, rivelando un chip verde con sopra il nome di Tadashi, scritto proprio da lui.
<< Questo chip è ciò che rende Baymax Baymax. >>
Tadashi era fiero del suo progetto, Hiro poteva sentirlo nella sua voce. Ora capiva perchè suo fratello aveva passato così tanto tempo in quella scuola. Ricalcolò mentalmente quello che gli aveva detto riguardo a Baymax. Più di 10.000 procedure mediche per curare ogni tipo di abrasione o malattia. Quel robot aveva dentro di sè anni e anni di studi di medicina concentrati nel suo codice, frutto di ricerche incessanti e pazienti da parte di Tadashi. Doveva tenerci veramente tanto per averci lavorato così duramente.
Hiro spinse delicatamente il chip nel portello d'accesso e cominciò ad analizzare il robot. Tastò con un dito il suo corpo, trovandolo morbido ed elastico al tatto.
<< E' vinile? >>
<< Si, volevo che avesse un aspetto... Rassicurante e coccoloso! >>
<< Si, in effetti sembra un enorme marshmallow! Senza offesa... >>
<< Sono un robot. Non posso offendermi. >> Rispose Baymax al posto di Tadashi.
Hiro si avvicinò al suo viso, concentrando la sua attenzione sui due cerchi neri che dovevano rappresentare gli occhi. Dal tipo che aveva visto, riconobbe subito che dovevano essere videocamere iperspettrali. Tadashi confermò. Poi affondò il viso nel pancione di Baymax, osservando lo scheletro che lo reggeva. Grazie al vinile trasparente, non era difficile osservarlo per intero anche dall'interno.
<< Scheletro in titanio! >>
<< Fibra di carbonio. >> Lo corresse Tadashi.
<< Giusto, è più leggera. Che attuatori da urlo, ma dove li hai presi?! >>
<< Bè, li ho realizzati io stesso. Solleva oltre quattrocento chili. >>
Disse il maggiore, godendosi un po' di meritata spocchia, ammirando entusiasta l'incredulità del fratellino.
Un sorriso felice si dipinse sulle sue labbra senza che Hiro lo notasse. Sembrava proprio che il suo piano stesse funzionando, forse era stato addirittura fin troppo facile. Ma la soddisfazione di essere finalmente riuscito a stupire quel genietto di suo fratello era a dir poco impagabile. Sapeva di averlo trascurato a causa di Baymax, ma era stato per una buona causa. Sperava soltanto che anche Hiro se ne rendesse conto.
Dopotutto, era anche per quello che gli aveva fatto visitare il laboratorio.
Sapeva bene che suo fratello non sapeva più come dare sfogo alla sua creatività, ed essendo un adolescente tendeva a fare cose parecchio stupide, come i Bot-Duelli. Tadashi aveva la spiacevole sensazione che Hiro lo facesse appositamente per farlo preoccupare, e far sì che ricominciasse a considerarlo. Si era arrabbiato moltissimo la prima volta che era successo, ma si era pentito immediatamente di avergli gridato in faccia in quel modo orribile. Non gli era mai piaciuto litigare, specialmente con lui. Il fratellino era stato capace di non rivolgergli la parola per tre giorni consecutivi, fin quando zia Cass, accortasi della tensione tra i due, li aveva chiusi in bagno e minacciato di non farli uscire finchè non avessero chiarito.
Magari così, Hiro avrebbe capito che c'era ancora una possibilità per lui, che la sua vita non era ancora volta al termine. In quella scuola sarebbe stato accolto per le sue passioni e non semplicemente per il suo genio, e sarebbe stato sempre in compagnia di Tadashi. Non avrebbe più potuto lamentarsi del fatto che lo lasciava sempre solo per la scuola!
Lo osservò prendere entusiasta il lecca-lecca alla fragola di cui Baymax era munito e rise silenziosamente. Si atteggiava a duro, ma era ancora un bambino.
<< Non posso disattivarmi finchè non mi dici che sei soddisfatto del trattamento. >> Baymax informò Hiro.
<< Allora sono soddisfatto del trattamento. >>
Appena lo disse, Baymax rientrò nella sua custodia e si disattivò, sgonfiandosi come un palloncino. Tadashi si avvicinò al fratellino.
<< Aiuterà un sacco di persone. >>
Era principalmente quello il motivo per cui lo aveva costruito. Non voleva semplicemente tenerlo per sè, voleva che il suo robot fosse mandato negli ospedali, nei paesi in guerra, dovunque ci fosse bisogno di un aiuto medico e personale. Tadashi aveva voluto sempre seguire le orme del loro padre, un rinomato dottore, e aveva trovato il modo di conciliare la sua passione per la robotica con il ricordo dell'uomo che li aveva lasciati troppo presto. Per questo aveva lavorato così duramente su Baymax, e più lo guardava, più si rendeva conto di quanto ne fosse valsa la pena.
<< Lavorerà fino a tardi, signor Hamada? >>
Una voce profonda e vellutata si intromise nel loro scambio di opinioni su quale batteria ricaricasse più in fretta. Alla porta comparve un uomo anziano, dai capelli corti e brizzolati e gli occhi celesti come il cielo terso. Indossava un gilè grigio che copriva una camicia bordeaux e un paio di pantaloni di cotone nero. Aveva uno sguardo gentile, come quello di un nonno o di un padre.
Non aveva per niente l'aspetto di un professore di robotica, se Tadashi non lo avesse specificato.
<< Salve, professore. Stavo giusto andando via. >>
Lo sguardo dell'uomo si spostò su Hiro, che si tolse subito il lecca-lecca dalla bocca.
<< Tu devi essere Hiro. Fai i Bot-Duelli, vero? Anche mia figlia da piccola non avrebbe voluto fare altro... Posso? >>
Chiese educatamente, tendendo una mano verso il Megabot di Hiro. Il ragazzino glielo tese, mentre il suo cervello era impegnato a sbraitare contro Tadashi per aver riferito a tutti la sua passione per i Bot-Duelli illegali. Il professore osservò attentamente il suo piccolo robot, spostando i magneti con il dito affusolato. Il suo sguardo si fece sempre più interessato man mano che scopriva come Hiro era stato in grado di costruirlo.
<< Propulsori e cuscinetti magnetici... >> Mormorò tra sè e sè.
<< Spaziali, eh? Vuole vedere come funzionano? >>
<< Ehi, genio! >> Lo interruppe Tadashi, da dietro la parete. << Li ha inventati lui! >>
A quella rivelazione, Hiro sentì il suo respiro mozzarsi per un minuto. Per costruire il Megabot, Hiro aveva studiato dai libri più importanti di robotica, scritti da un professore altrettanto importante. Non riusciva a credere che l'autore di quel libro fosse in piedi proprio davanti a lui.
<< Lei è... Robert Callaghan? Quello delle leggi della robotica? >>
<< Esatto. Ti piacerebbe studiare qui? La tua età non sarebbe un problema. >>
Cominciò a pensare che era il caso di darsi un pizzicotto. Robert Callaghan era un mito nel mondo della robotica, e in quello di Hiro. Aveva sempre ringraziato mentalmente l'uomo che aveva descritto alla perfezione le leggi della sua passione sottoforma di libri. E ora quello stesso professore gli stava espressamente chiedendo di entrare a far parte della sua scuola. Era sicuramente un sogno!
<< Ah, non credo che ne abbia voglia! Dopotutto, è molto preso dalla sua carriera da Bot-Duellante. >>
Intervenne Tadashi, smontando immediatamente la sua euforia.
<< Bè... Abbastanza preso... >>
<< E' naturale, con quel robot vinci facilmente. >>
<< Già... Direi di si... >>
Abbassò lo sguardo, pensando alla pessima figura che Tadashi gli aveva appena fatto fare davanti al suo idolo. Si avviarono verso l'uscita, accompagnati dal professore che alzò le spalle alla conferma di Hiro.
<< Bè, se ti piacciono le cose facili, il mio programma non fa al caso tuo. Noi siamo l'avanguardia della robotica, i miei studenti plasmano il futuro. Ci vediamo, e buona fortuna con i Bot-Duelli! >>
Lo salutò, rimarcando scherzosamente il suo impegno nel mondo nei vicoli di San Fransokyo. Hiro non fece in tempo a rispondere, la porta si richiuse davanti al suo volto scombussolato.
 
(•—•)


<< Ehi, genio! Ti conviene sbrigarti se vuoi arrivare in tempo a quel Bot-Duello! >>
La voce di Tadashi risuonava come un'eco lontana alle orecchie di Hiro, che in piedi sulle scale osservava l'imponente struttura vitrea del laboratorio. Un flusso ininterrotto di pensieri stava attraversando la sua mente, in quel momento. Era come se una luce si fosse accesa per lui nel tunnel vuoto che era stato quell'anno. Quella scuola poteva essere il suo riscatto, la sua via di fuga dalla realtà, la foce della sua passione e del suo genio. Poteva inventare, costruire tutto quello che voleva, e magari avrebbe inventato qualcosa di così straordinario che il mondo intero lo avrebbe riconosciuto, le industrie lo avrebbero accolto e prodotto intere copie del suo progetto. Sarebbe diventato ricco, importante! Finalmente sarebbe stato accettato per quello che era e non per quello che sembrava. E poteva stare insieme a Tadashi tutto il tempo. Avrebbero inventato e creato insieme, avrebbero cambiato il mondo. Insieme.
<< Io voglio studiare qui! >> Esclamò, rivolgendosi a suo fratello. << Se non riesco ad entrare nella scuola dei Nerd, esco di testa! Come faccio a entrare? >>
Tadashi sorrise, facendogli cenno di montare sul motorino.
<< Andiamo a casa, così te lo spiego. >>
Hiro corse verso il veicolo, infilandosi il casco e montando in sella. Mentre attraversavano San Fransokyo, il ragazzino non potè fare a meno di rivolgere a Tadashi una domanda che lo aveva assillato sin da quando aveva visto Baymax.
<< Ehi, Tadashi? >>
<< Mmh? >>
<< Baymax... Non lo ha visto nessun altro, vero? >>
Da dietro non poteva vederlo, ma era sicuro che suo fratello stesse sorridendo. Riusciva quasi ad immaginarselo, quel sorriso misto tra scherno e tenerezza. Era il sorriso che gli rivolgeva sempre quando doveva rassicurarlo riguardo a qualcosa che lo tormentava. La sua risposta arrivò in un sussurro tranquillo.
<< Nessuno. >>

__________________________________________________________________________

Stasera su Rai 2, alle 21:20 verrà trasmesso Big Hero 6!

Ok, dopo questo importante annuncio, ecco il secondo capitolo. Ringrazio vivamente Emmydreamer_love2004 e fenris per le recensioni lasciate e per coloro che hanno avuto la briga di cominciare a leggere questa versione di Big Hero 6. Spero di non deludervi.
Buona Befana!


LittleBloodyGirl

 


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Vita automatica ***


 << Ogni anno la scuola organizza una fiera per reclutare nuovi studenti. Se riesci a inventare qualcosa che lasci Callaghan a bocca aperta, sei dentro. Ma deve essere stra-grande! >>
Tadashi si armò di poster dell'SFIT e spillatrice, e appese al muro nella parte di stanza di Hiro l'annuncio della suddetta fiera di robotica. Hiro lo ascoltò attentamente, rigirandosi sulla sedia. Non sarebbe stato difficile per un genio come lui venire a capo di qualcosa di incredibile. Doveva solo fare ordine nel suo cervello e scatenare tutta la sua creatività che era rimasta reclusa per troppo tempo.
<< Credimi... >> Mormorò più a se stesso che a Tadashi, facendo schioccare le dita << Lo sarà. >>
(•—•)

<< Niente! Nessuna idea! Ho-un-cervello-vuoto-inutile! >>

<< Wow! Un uomo finito a quattordici anni, che storia triste! >>
La scrivania di Hiro si era presto riempita di fogli di carta appallottolati, matite dalla punta consumata e modellini da cui prendere spunto che si erano rivelati inutili. Si era ormai fatta sera, e lui non era riuscito a venire a capo di niente. Nessuna delle idee che aveva abbozzato gli era sembrata abbastanza originale o degna dell'attenzione del professor Callaghan. Qualcuna era troppo scontata, qualcun'altra era assolutamente ridicola, altre ancora erano completamente inutili. Il flusso di creatività si era liberato troppo in fretta e doveva aver otturato quello spiraglio che gli doveva permettere di inventare qualcosa di straordinario. Era come un blocco dell'artista subito da Van Gogh, a dir poco surreale.
L'unica cosa che Hiro sapeva era che non aveva più idea di dove sbattere la testa se non sulla sua scrivania. Si accasciò sullo schienale della sedia, afflitto e disperato.
<< Non ho idee! E' la fine, non mi prenderanno mai! >>
<< Ehi. >>
Tadashi girò di scatto la sedia, trovandosi faccia a faccia con suo fratello e lo guardò dritto negli occhi.
<< Non lascerò che ti arrenda. >>
Prima che potesse rendersene conto, Hiro si trovò appeso a testa in giù, le caviglie stretta sulle spalle di Tadashi che cominciò a dondolarlo avanti e indietro, ridendo.
<< Ah! Che stai... Facendo?! >>
<< Ti offro un'opportunità! Accendi il cervello e trova una via d'uscita! >>
<< Cosa?! >>
<< Guardala da un'altra prospettiva. >>
Hiro sospirò, lasciandosi cadere lungo, le mani che quasi toccavano il pavimento. Osservò la sua stanza a testa in giù, cercando di seguire il suggerimento del fratello. Non credeva che lo avrebbe aiutato più di tanto, ogni cosa era semplicemente sottosopra e ancora più confusa di prima. La scrivania, il computer, il Megabot... Il Megabot.
Doveva essere stato l'afflusso di sangue al cervello, perchè Hiro sentì qualcosa affiorare dai meandri del suo intelletto. Qualcosa di simile a un'idea. Un'idea fantastica.
Senza pensarci due volte si dimenò dalla presa di Tadashi, afferrò il suo piccolo robot e scese di corsa nel garage. Si guardò intorno per un po', studiando la situazione e gli strumenti che gli sarebbero serviti per cominciare a lavorare. Posò il Megabot sulla scrivania accanto ad uno dei monitor e fece schioccare il collo, eccitato.
Avrebbe creato qualcosa di pazzesco; una calamita frammentata multifunzionante, come il suo robot, ma meglio! Avrebbe lasciato tutti a bocca aperta, ne era certo.
 (•—•)
I giorni erano passati velocemente, tra tanti piccoli momenti di euforia, stress, e prese di coscienza. Dopo neppure una settimana dopo aver cominciato a lavorare, Hiro pensò che doveva essere una pazzia. Quello che aveva in mente era praticamente impossibile da realizzare e forse avrebbe dovuto rivolgere la sua attenzione a qualcosa di più... Reale. In un momento di sconforto, aveva buttato tutto all'aria e si era chiuso in se stesso come un riccio, evitando di parlare sia a zia Cass, che gli portava sempre il cibo nel garage in cui lavorava, sia a Tadashi.  Ad un certo punto, era arrivato a chiedere espressamente di restare solo e a rispondere in tono non proprio appropriato al fratello maggiore che, preoccupato per lui, aveva cercato di tirargli su il morale.
<< Si può sapere che cosa ti succede? Avevi detto di sapere bene quello che volevi fare, e adesso ti stai arrendendo? >>
<< E' un'idea stupida, Tadashi... Non funzionerà mai, è troppo surreale. >>
<< E' un'idea straordianaria, invece. E tu stai lasciando che la paura di fallire ti stia facendo pensare quello che dici. >>
<< Si, bè, a te non ci sarà voluto molto per conquistare Callaghan, vero? Sempre con la risposta pronta, i libri a portata di mano, i capelli pettinati! L'ho capito subito che sei il suo cocchino! Un vero nerd... >>
<< ... Ma qual'è il problema? >>
A quella domanda, l'ennesima che gli rivolgeva, Hiro esplose. Si alzò di scatto dalla sedia e si voltò verso Tadashi con uno sguardo furioso e disperato.
<< Il problema sono io! Ero così convinto di quello che volevo fare e credevo che sarebbe stato straordinario! Ma la verità è che è impossibile, è troppo complicato! Finora, i miei tentativi sono tutti falliti e temo che il tempo a mia disposizione non sia abbastanza! Non ce la farò mai, okay?! E' inutile! Lasciami in pace... >>
Corse a buttarsi sul divano a faccia in giù, sperando di affogare se stesso e l'ansia che lo stava assalendo. Non voleva rispondere in quel modo al fratello. Sapeva che voleva aiutarlo, ma in quel momento voleva davvero soltanto restare solo. Si sentiva così male... Una parte di lui gli diceva di rimettersi al lavoro, di continuare a provare. Era un genio, ce la doveva fare per forza. Ma un'altra parte di lui gli sussurrava maliziosamente di lasciar perdere, di non pensare neanche di avere una possibilità di entrare nell'SFIT.
L'idea che aveva in mente era sì fantastica, ma sarebbe rimasta tale. Una fantasia.
Odiava quei momenti in cui si sentiva così, quella sensazione di inutilità che lo assaliva sempre quando non doveva.
Perchè? Perchè era così? Perchè non poteva essere sicuro di se stesso come Tadashi?
<< Hiro... >>
La voce del maggiore gli arrivò alle orecchie, vellutata e comprensiva. Era come una coperta di lana in un freddo giorno d'inverno. Sentì la sua mano calda appoggiarsi sulla sua spalla, delicatamente, quasi avesse paura di infrangerlo. Lo sentì sospirare. Chissà se era arrabbiato, o magari era triste per come lo aveva appena trattato? Era così confuso, dannazione. Avrebbe voluto chiedergli scusa e confessargli che aveva bisogno di conforto, ma allo stesso tempo desiderava che lo lasciasse nella sua solitudine. Non sapeva come comportarsi.
<< Forse è meglio se oggi ti svaghi un po', mmh? >>
<< E come? >>
Parlò a fatica, il volto ancora schiacciato contro i cuscini del divano. Se gli avesse chiesto di riprendere il karate avrebbe rifiutato di sicuro, perchè non aveva alcuna voglia di beccarsi un cazzotto per sbaglio. Avrebbero potuto uscire con lo skateboard, ma neanche quell'idea gli sembrava più allettante. Il calcio era fuori discussione, dopo che Hiro aveva deciso di ritirarsi perchè i suoi stessi compagni di squadra lo avevano pestato per aver segnato un goal. Secondo loro, il fatto che un ragazzino così minuto fosse così bravo a giocare a pallone aveva il solo scopo di umiliarli. E pensare che se non fosse stato per lui avrebbero perso come zotici.
Allontanò quel brutto ricordo, che ancora sapeva di ferita al cuore.
Non aveva voglia neanche di giocare ai videogame!
Notando una mancanza di risposta da parte di Tadashi, si constrinse a girare il capo verso di lui solo per trovarlo occupato a digitare qualcosa sul suo cellulare. Poi se lo portò all'orecchio, un sorriso sornione sulle labbra sottili.
<< Fred? Si, sono Tadashi. Senti, tu e gli altri avete da fare stasera? >>
Gli bastò sentir pronunciare quelle parole per scattare subito a sedere e tentare si strappargli il telefono dalle mani, facendo diverse smorfie supplichevoli.
<< Va bene, a stasera allora! Si, si, le pizze le prendo io. >>
Appena Tadashi chiuse la telefonata, il suo sguardo incrociò quello imbronciato e tradito di Hiro. Non riusciva a crederci! Gli aveva appena detto che voleva restare solo e lui invitava i suoi amici nerd a casa sua? Voleva forse fargli vedere quanto quel genio del suo fratellino fosse in preda al panico per quella fiera? Voleva prenderlo in giro davanti a tutti per avere una specie di rivincita?
<< Perchè lo hai fatto?! >>
<< Te l'ho detto, per farti svagare un po'. >>
<< Non ho bisogno di nerd come te per svagarmi! >>
<< Magari questi nerd riusciranno a sollevarti un po' il morale, se riescono a farti staccare un attimo la spina. >>
<< Ti odio quando fai così. >>
<< Anche io ti voglio bene, fratellino! >>
Tadashi imitò una voce disgustosamente mielosa e Hiro si lasciò sfuggire un sorrisetto, prima di saltargli addosso e cominciare a lottare scherzosamente con lui. Tadashi rise, ormai preparato a controbattere. Prima che Hiro potesse avere la meglio su di lui, iniziò a fargli il solletico. Il piccolo strillò, cadendo nuovamente sul divano mentre il maggiore lo sovrastava, pizzicandolo dappertutto e soffiandogli sulla pancia come faceva quando era bambino.
La serata fu più piacevole del previsto. Gogo, Honey Lemon, Fred e Wasabi arrivarono tutti insieme per l'ora di cena. La ragazza latina si presentò con una crostata al limone preparata con le sue stesse mani. Divorarono le pizze che zia Cass e Tadashi avevano comprato poco prima del loro arrivo. Le ore trascorsero tra barzellette, svago, piccole anticipazioni sul progetto di Hiro, che i ragazzi trovarono sorprendente. Il ragazzino non era stato molto felice di mostrargli il suo progetto prima che fosse finito, andava contro la regola dei fratelli Hamada. Ma fu inaspettatamente sollevato dal loro apprezzamento.
Per divertirsi, e umiliare Fred, Gogo decise di fare da arbitro a una gara di cavalluccio tra Tadashi e Hiro, e Fred e Wasabi. Il ragazzo americano non riuscì nemmeno a sollevare l'amico di un centimetro da terra.
Hiro ebbe modo di conoscere un po' meglio gli amici di Tadashi.
Gogo era sempre stata un'amante della velocità, e aveva persino partecipato a diverse piccole gare in varie zone della città. La ragazza confessò di avere una collezione di modellini di ogni tipo di bici o moto. Suo padre era un meccanico, e le aveva fatto scoprire quel mondo fin da piccola. Nemmeno un incidente in cui si era quasi spezzata una gamba l'aveva fermata dal coltivare la sua passione!
<< Avevo cinque anni, e i miei mi regalarono la prima bicicletta. Inutile dire che quella traditrice ora è ridotta ad un mucchio di rottami arrugginito. >>
Con grande sorpresa del ragazzino, Honey Lemon confessò di aver avuto difficoltà a fare amicizia appena arrivata all'SFIT. Essendo una ragazza alta, magra e a cui piaceva vestire in modo sempre elegante e con i tacchi a spillo, gli altri studenti si erano presto fatti parecchi pregiudizi su di lei. Per fortuna, Tadashi l'aveva introdotta al loro gruppo e adesso non aveva più paura di essere se stessa. La sua crostata aveva una sapore buonissimo, e Hiro venne a conoscenza della sua passione per la cucina.
<< Mia madre gestisce un bar, e io da piccola l'aiutavo spesso. Mi è sempre piaciuto cucinare, specialmente i dolci! >>
Gli rivelò che gestiva un blog di cucina online, dove postava ogni giorno ricette diverse. Persino i vestiti che indossava, così colorati e allegri, il piccolo scoprì che era lei stessa a cucirli.
<< Come mai ti sei trasferita qui? >> Chiese Hiro, conoscendo le origini argentine della ragazza.
<< Veramente, ho sempre voluto studiare fuori dal mio paese! Ma l'opportunità mi si è presentata quando decisi di fare un'esperimento, unendo acido solforico, acido nitrico e un pizzico di glicerina. I miei non presero esattamente bene il modo in cui gli ridussi il salotto e mi dissero che dovevo trovarmi un luogo dove poter condurre i miei esperimenti in tranquillità. La scuola migliore per l'ingegneria chimica era proprio quella di San Fransokyo e così eccomi qui! >>
Per poco Hiro non rischiò di affogarsi con la pizza, quando Honey Lemon le rivelò il motivo del suo trasferimento. Quella ragazza aveva rischiato di far saltare in aria la sua casa, creando una dose di nitroglicerina!
Più tardi, mentre si stavano rilassando e Hiro e Tadashi erano seduti sul divano, il maggiore lo avvertì.
<< Non farti ingannare dall'aspetto. Honey Lemon adora distruggere le cose! >>
Wasabi rivelò di essersi diplomato in microbiologia, che da sempre era stata la sua passione, e in seguito aveva scelto di dedicarsi alla pratica del plasma-laser indotto. Il suo nomignolo gli era stato affibiato proprio la prima volta che il gruppo aveva deciso di uscire tutti insieme. Fred ammise che la sua reazione alla goccia di wasabi sul suo maglione era stata talmente epica che sarebbe rimasta nella storia.
<< Infatti, ha provveduto subito! >> Rise Honey Lemon.
Parlando di Fred, bè, a lui piaceva scherzare parecchio.
Parlava molto spesso della sua abitazione che doveva essere un'enorme villa in periferia e che il suo maggiordomo aveva persino imparato a salutarlo battendo i pugni.
<< Sono anche iscritto alla comunità religiosa di San Franskoyo. >> Spiegò con sguardo fiero. <> Per quanto potesse sembrare nobile, la cosa era un po' difficile da credere, specialmente quando Fred sembrava il classico ragazzo che viveva in un monolocale sciatto con uno stipendio scarsissimo. Chissà perchè, ogni volta che raccontava di queste esperienze, gli altri gli dicevano di smetterla e di strofinare la sua faccia nella pizza piuttosto.
Aveva fatto anche quello, e la salsa gli si era spalmata sulle guance magre facendolo sembrare un cannibale che aveva appena finito il suo "spuntino".
<< Sembri un maniaco omicida! >> Aveva enfatizzato Gogo, per niente sorpresa dal suo atteggiamento.
Alla fine della serata, quando tutti furono andati via, Tadashi si occupò di gettare gli scatoloni della pizza e di ripulire il garage. Hiro era crollato sul divano a testa in giù, esausto. Ronfava beatamente, perso nel suo mondo di sogni. Sembrava più tranquillo adesso. Il maggiore sapeva che non aveva dormito per un'intera settimana e sapeva bene come ci si sentiva. Baymax gli era costato lo stesso sacrificio.
Quando ebbe finito di ripulire, sistemò meglio il fratellino sul divano, poggiandogli addosso una coperta. Gli passò una mano sulla fronte, sollevando un po' le ciocche di capelli che la coprivano costantemente e sentì il suo respiro affievolirsi e tornare tranquillo.
Rimase a guardarlo per un po', un sorriso tenero sulle labbra candide.
Hiro era speciale. Ma esserlo gli era costato la sicurezza di avere un'amicizia solida e la tranquillità di una vita normale. Non era la prima volta che il fratellino aveva avuto crisi d'ansia come quella, e Tadashi non si permetteva di giudicare. Sapeva che alzare la voce in quei momenti avrebbe soltanto peggiorato le cose.
Di certo, a volte aveva un carattere difficile, ma era pur sempre suo fratello. E lui aveva giurato di proteggerlo, qualsiasi cosa fosse accaduta. Anche da se stesso, se ce ne fosse stata la necessità.
<< Buonanotte, Hiro. >>
Sussurrò, alzandosi per rientrare in casa. Il giorno dopo, Hiro si rimise a lavoro.

_____________________________________________________________________________________________________________________

Oh, guarda! Un missing moment!
Volete forse dirmi che Hiro non ha mai avuto una crisi d'ansia? Pffft!
Ringrazio nuovamente Emmydreame_love2004 e fenris per le recensioni che gradisco molto e un grazie speciale a chi sta leggendo la storia. Spero di non deludervi.
LittleBloodyGirl

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Brucia con me ***


Gli ci erano volute altre tre settimane di lavoro, ma il suo progetto era finalmente pronto. Hiro sollevò il coperchio di uno dei bidoni che aveva richiesto per contenere la sua creazione e ne ammirò soddisfatto il risultato. Non vedeva l'ora che arrivasse la sera per recarsi alla fiera. Tadashi lo raggiunse, contemplando anche lui l'opera del fratellino.
Era stata dura, ma ce l'aveva fatta. Il suo lavoro era stato portato a termine in tempo ed era perfettamente funzionante. Il ragazzo era sicuro che Hiro avesse la lettera d'ammissione già in tasca.
Soddisfatto, sollevò una mano chiusa a pugno all'altezza del piccolo.
<< Pronto, genio? >>
<< Pronto. >>
Batterono le nocche, imitando una piccola esplosione con la bocca. Quello era il loro saluto e porta fortuna.
Hiro ne era sempre più sicuro, sarebbe andato tutto alla grande.
  (•—•)

La sera arrivò in fretta, silenziosa e limpida. Il cielo era terso, San Fransokyo era viva, le stelle sembravano brillare apposta per lui. Hiro arrivò all'edificio in cui si sarebbe svolta la fiera insieme a Tadashi e ai suoi amici, a cui il maggiore aveva chiesto aiuto per trasportare i bidoni. Cass li avrebbe raggiunti subito dopo la chiusura del locale.

Il vento soffiava leggero, la serata era fresca e i polmoni di Hiro si riempirono di quell'aria che sapeva di impazienza e divertimento, ma anche di insicurezza e timori.
E se la sua creazione non avesse impressionato nessuno? Se avesse smesso di funzionare durante la dimostrazione, o peggio non avesse funzionato affatto?
Scosse la testa, come se potesse allontanare quei cattivi pensieri che lo assillavano sempre nei momenti meno opportuni. Esplorò con lo sguardo il cortile, in cui si erano radunate persone di ogni età e sesso. Studenti che si scambiavano opinioni, sorrisi, sguardi. In fondo, alcuni professori si congratulavano con i loro studenti per le geniali invenzioni che avevano presentato. Tra questi c'era Callaghan. Il solito gilè grigio su una camicia azzurra, i pantaloni neri e i mocassini che gli conferivano un'aria sportiva ed elegante al tempo stesso. Il suo sguardo gentile velato di malinconia cadde su Hiro e si animò per un istante. Poi lo salutò con un cenno leggero della mano, prima di entrare nell'edificio.
Hiro fu capace di abbozzare un mezzo sorriso, ma subito le farfalle nello stomaco ebbero la meglio. Callaghan sarebbe stato tra quelli della giuria, avrebbe dovuto valutare il suo lavoro. Dal professore dipendeva il suo ingresso nell'SFIT. L'ansia cominciò a montare come uno strato di neve su un ramo secco.
<< Ehi, Hiro. >>
La voce di Tadashi riuscì per un attimo a interrompere quel flusso di pensieri. Il ragazzo appoggiò una mano sulla sua spalla e gli fece cenno con la testa.
<< E' quasi il momento. Stiamo tutti aspettando te. >>
<< Si, arrivo... >>
Forzò un sorriso e salì le scale insieme a lui, entrando nell'edificio.
L'aria che si respirava nella fiera era un misto di plastica, gas e strani liquidi chimici che somigliavano vagamente all'alcool. Il calore era quasi insopportabile. C'era così tanta gente e così tante invenzioni che avevano sfiorato e superato l'avanguardia tecnologica. Ogni partecipante aveva un suo stand dove presentare i propri lavori e Hiro si perse per un attimo in mezzo a quell'abisso di scienza. Passò in mezzo a sensori per la realtà virtuale, cyclette subacquee e robot tutto-fare dall'aspetto inquietante. Gli sembrava tutto così... Grande. Cominciò nuovamente a chiedersi se non fosse il caso di fare dietrofront e tornare a casa.
<< Wow, c'è il pienone di tecnologie! Come ti senti? >> Gli chiese Tadashi, in tono scherzoso.
Hiro tirò su il mento, cercando di darsi un'aria importante e sfacciata. Tutto questo non era niente di nuovo, si costrinse a pensare. Il suo progetto sarebbe stato un successone e sarebbe entrato in quella scuola in un lampo. Non era la prima volta che la gente si meravigliava del suo genio.
<< Parli con un ex Bot-Duellante, non mi agito per così poco. >>
La sua convinzione venne immediatamente spazzata via dalle parole di Gogo, appena dietro di lui.
<< Si, è nervoso! >> Disse con una risatina.
<< Oh, è agitatissimo! >> Rincarò Honey Lemon.
<< No, non è vero! >>
<< Tranquillo Hiro, il tuo progetto è pazzesco! Diglielo, Gogo. >>
<< Basta frignare, fai la donna. >>
<< Che ti serve, piccoletto? Deodorante, mentine per l'alito? Un paio di mutande pulite? >>
<< Mutande pulite?! Tu non sei normale. >> Asserì Gogo, sorridendo alle manie igieniche di Wasabi, che per tutta risposta le fece notare la sua previdenza in certi casi.
<< Non faccio una lavatrice da sei mesi! Le mutande mi durano per un sacco di tempo; le metto davanti, poi le rivolto, poi le metto di lato, poi dall'altro lato e di nuovo davanti! >>
La spiegazione di Fred riguardo all'intimo fu fin troppo chiara e concisa che gli amici dovettero reprimere un conato di vomito. Tadashi rise, conoscendo bene l'amico.
<< Wow, sei disgustoso e stupefacente. >>
<< Non incoraggiarlo. >>
<< Si chiama "riciclare". >>
Hiro non stava scoltando nulla di quello che gli altri stavano dicendo. Le loro voci gli sembravano eco lontane, e lui riusciva soltanto a sentire il suono del suo nervosismo che cresceva. Era davvero così palese quanto fosse agitato? Non si era mai sentito così, non che ricordasse. Non quando andava ai Bot-Duelli, nè a scuola. Persino agli esami di stato dell'ultimo anno del liceo non era stato affatto nervoso. Era sempre stato cosciente di essere intellettualmente superiore agli altri, quindi perchè adesso doveva essere diverso? Cos'era a generare quell'ansia che gli impediva di pensare chiaramente?
<< Prossimo partecipante: Hiro Hamada. >>
Quando l'annunciatrice chiamò il suo nome all'altoparlante, Hiro avvertì tutto lo stress e la tensione piombare nel suo stomaco come un masso gigantesco. Ora doveva salire sul palco, presentare la sua opera e sperare di impressionare il professor Callaghan. Sembrava tutto così facile a parole.
Fred sorrise eccitato, battendogli una pacca sulle spalle.
<< Tocca a me... >> Mormorò il ragazzino, poco convinto.
<< Okay, okay! Foto, foto, foto! >>
Honey Lemon tirò fuori il suo cellulare con la cover di peluche e radunò tutti gli amici per un selfie, trascinando letteralmente Hiro per il braccio.
<< Dite tutti: Hìro! >>
Se c'era una cosa Hiro non riusciva a sopportare, erano proprio le fotografie. Lui usciva sempre male nelle foto, non importa quanto si sforzasse. Non era per niente fotogenico. E un selfie prima della presentazione era proprio l'ultima cosa di cui aveva bisogno. Gogo, Honey Lemon, Fred e Wasabi gli augurarono buona fortuna mentre andavano a posizionare i bidoni poco sotto al palco per la dimostrazione, lasciandolo solo con il fratello.
<< Dai, fratellino, batti qui! >>
Tadashi rimase un po' sopreso di non ricevere automaticamente il saluto a pugno da parte del minore.
<< Andiamo! E il nostro saluto? >>
Si avvicinò un po' a lui, pensando che lo stesse prendendo in giro. Ma gli bastò vedere lo sguardo sul suo volto per capire immediatamente che Hiro non era affatto tranquillo come voleva dare a vedere.
Tadashi se n'era accorto dal primo momento che erano arrivati alla fiera. Era teso, come non gli capitava da moltissimo tempo. Anzi, forse non gli era mai capitato. Non per una cosa del genere, almeno.
Ma aveva sperato che la sua ansia sarebbe scivolata via, una volta arrivato il suo momento. A quanto pare non era stato così.
<< Qualcosa non va? >> Chiese pensieroso, senza sapere che risposta aspettarsi.
Hiro fissava il vuoto, gli occhi nocciola smarriti tradivano ansia e paura di fallire. Paura di tornare sulla cattiva strada, paura di deludere tutti, di deludere se stesso.
<< Voglio davvero entrare in questa scuola... >>
Fu un sussurro quasi disperato. Hiro rivolse finalmente il suo sguardo al fratello maggiore. Sembrava che lo stesse supplicando di credergli, di notare che intendeva davvero quello che aveva appena detto. Di aver bisogno di lui, semmai non ce l'avesse fatta. Tadashi sorrise, abbassandosi alla sua altezza per poterlo guardare meglio negli occhi.
<< Lo so. E so anche che puoi farcela. >>
Gli fece l'occhiolino, ricevendo un sorriso poco convinto, prima che il ragazzino si avviasse verso il palco.
Mentre lo guardava salire le scale per il palcoscenico, Tadashi si rese conto di quanto Hiro fosse cresciuto. E di quanto fosse cambiato. Suo fratello era tremendamente fragile, spaventato da ciò che il mondo aveva da offirirgli, perchè finora aveva trovato solo discriminazioni e interesse solamente nei confronti delle sue capacità intellettive. Quante volte aveva assistito ai suoi crolli psicologici durante il periodo in cui voleva soltanto rimanere chiuso in casa e non vedere nessuno se non il suo unico fratello. Ma se fosse riuscito a entrare nell'SFIT, nulla di tutto questo sarebbe più successo. E conoscendolo, Tadashi sapeva bene che Hiro era praticamente già dentro. Doveva soltanto rendersene conto lui.
Mentre saliva le scale, il ragazzino guardava dappertutto senza un motivo preciso. Sentiva l'ansia montare dentro di lui e torcergli lo stomaco, mentre troppi pensieri inutili si facevano spazio nella sua mente.
E se fosse inciampato sul palco? Forse doveva venire vestito in modo più decoroso, invece di indossare la sua solita felpa! Avrebbe dovuto pettinarsi i capelli? Con la chioma che aveva, la spazzola era l'ultimo oggetto preferito di Hiro, quindi era stato fuori discussione per tutta la serata, ma ora cominciava a pentirsene.
Afferrò sovrappensiero il microfono che una donna magra sui cinquanta, vestita in modo elegante gli passò e raggiunse il centro del palco, dove venne illuminato da uno dei fari appesi sull'impalcatura sopra di lui. Il suo sguardo incontrò subito quello del professor Callaghan e di altri due insegnati che facevano parte della giuria. Accanto a loro, un uomo grassoccio, calvo dai lunghi baffi con un'aria notevolmente poco interessata si era avvicinato con l'intenzione di seguire la presentazione.
Hiro deglutì. La sua mente cancellò ogni traccia del discorso che si era preparato appena prima di arrivare alla fiera per presentare il progetto, lasciandolo senza parole nel peggior modo possibile.
<< Uhm... Salve... Mi chiamo Hi-...! >>
Il microfonò fischiò fastidiosamente, costringendo i presenti a sussultare e a rannicchiare il viso tra le spalle con un'espressione sofferente. Hiro cominciò a chiedersi se non fosse il caso di tenere il conto di tutte le figuracce che stava per fare. Si scusò debolmente, procedendo a far vedere la sua opera.
<< S-scusate... Mi chiamo Hiro Hamada e... Ho lavorato ha qualcosa c-che secondo me è da non credere. Spero vi piaccia. >>
Tirò fuori dalla tasca del suo bermuda quello che sembrava un cerchietto e lo indossò intorno alla fronte, e quello venne prontamente nascosto dai ciuffi ribelli. Poi infilò la mano nella tasca della felpa, procedendo a tirare fuori quello che sembrava una minuscola scheggia di ferro nero. Lo sollevò contro luce, in modo che si potesse vedere meglio.
<< Questo è un microbot. >>
Gli sguardi degli insegnati nella giuria si assottigliarono per cercare di identificare meglio il piccolissimo oggetto che Hiro teneva tra le dita. L'uomo accanto a loro si allontanò con uno sguardo deluso, borbottando qualcosa su quanto fosse stata tutta una perdita di tempo.
A quel punto, Hiro ammutolì. Il suo respiro si mozzò in gola e la sua mente non riuscì più a formulare alcuna parola. Avvertì l'urgenza di scoppiare a piangere, mentre il suo corpo veniva scosso da brividi ansiosi. Il suo sguardo impaurito cadde su Tadashi, in mezzo alla folla. Accanto a lui, zia Cass e gli altri lo guardavano preoccupati.
Voleva scendere da quel palco, correre via e non tornare mai più lì dentro. Avrebbe voluto svanire nel nulla e far sì che nessuno si ricordasse di lui, nè della tremenda delusione che tutto sè stesso rappresentava.
Tadashi lo guardò, e prima che Hiro potesse crollare davanti a tutti fece quello che gli era sempre venuto più spontaneo.
Lo aiutò. Respirò a pieni polmoni e formulò parole invisibili tra le sue labbra.
Respira. Ce la puoi fare.
Non lo vide nessuno, non lo sentì nessuno. Ma Hiro si. Hiro afferrò quella mano invisibile, si aggrappò a quella roccia con tutto se stesso. E sorrise.
Trasse un  profondo respiro e, schiarendosi la voce, ricominciò a parlare.
<< Sembrerà insignificante, ma appena si collega ai suoi amichetti... >>
Un improvviso brusìo cominciò ad espandersi dai bidoni che lui e gli altri avevano portato e, con lo stupore di tutti, si capovolsero lasciando fuoriuscire quella che a prima vista appariva come una strana marmaglia nera e fluida, che si avvicinò ordinatamente verso il palcoscenico, risalendone la parete e andando a posizionarsi proprio accanto a Hiro, formando una costruzione rettangolare.
<< ... Le cose si fanno un po' più interessanti! >> Concluse Hiro, recuperando il suo sorrisetto sfacciato.
Le persone cominciarono ad avvicinarsi al palcoscenico per ammirare quel ragazzino e la sua straordinaria invenzione. Gli sguardi ammaliati e i mormorii stupiti della gente riempirono presto l'edificio.
<< I microbot sono controllati da questo trasmettitore neurale. Io penso a cosa voglio che facciano e lo fanno. >>
Hiro procedette a dimostrare ciò che aveva appena detto, sfilandosi il cerchietto di metallo dalla fronte. Appena lo fece, la costruzione accanto a lui crollò come un burattino senza fili. Quando se lo rimise, i microbot si riassestarono ordinatamente, formando una mano gigante che salutò il pubblico.
<< I vantaggi per questa opera sono illimitati! Costruzioni; ciò per cui ci volevano mesi o anni di lavoro manuale di più persone, ora può realizzarlo una sola persona! E questo è solo l'inizio. >>
La dimostrazione diventava sempre più incredibile, man mano che Hiro illustrava le tante possibilità che la sua invenzione recava. I presenti erano ormai tutti a bocca aperta e con il naso all'insù ad ammirare quel flusso di piccolissimi bots che costruivano una torre con i pezzi più vicini che riuscivano a recuperare. Bastò perdere per un momento di vista il ragazzino per ritrovarlo in cima alla costruzione. Un urlo spaventato e stupefatto crebbe quando lo videro saltare giù dall'alta torre per venire prontamente salvato dagli stessi microbot.
<< I microbot possono trasportare qualunque cosa in qualunque posto! >>
Hiro rimase appeso a testa in giù, i piedi avvolti dalle piccole scheggie di ferro che lo trascinavano lungo tutta la fiera, dai muri al soffitto alle impalcature. Il piccolo ordinò ai microbot di condurlo in direzione del fratello, che alzò la mano in modo che potesse incontrare la sua. Fu un momento, ma Hiro fu così felice di vedere lo sguardo fiero di Tadashi rivolto proprio verso di lui mentre gli batteva il cinque.
Stava funzionando, ce la stava facendo per davvero!
Si fece trasportare nuovamente sul palcoscenico, decidendo di concludere finalmente la sua dimostrazione.
<< Se potete pensarlo, i microbot possono farlo! L'unico limite è l'immaginazione. >>
I microbot formarono una scala mobile, riportandolo elegantemente sul parquet lucido del palco. Poi si ordinarono uno sopra l'altro, formando tutti insieme un gigantesco microbot che si piegò in avanti, simulando un inchino. Un boato si levò dalla folla, che cominciò ad applaurdire entusiasta quel ragazzino straordinario.
Hiro si inchinò, lasciando che le sue orecchie accogliessero quell'acclamazione che non avrebbe mai pensato di ricevere. Il suo cuore si riempì di gioia, un sorriso felice e incredulo si dipinse sulle sue labbra mentre i suoi occhi catturavano quelle immagini, trasformandole in un ricordo che sarebbe stato il più importante della sua vita. Un trionfo di urla, battiti di mani e sguardi ammirati riempì la fiera.
Ed era tutto per lui, solo per lui.
Si tolse il trasmettitore neurale dalla fronte e procedette a scendere dal palcoscenico, dove lo raggiunse Tadashi. Fu così contento di vedere quel sorriso a trentadue denti, fiero sul volto del fratello. Batterono le nocche, imitando l'esplosione con le proprie bocche e Hiro si lasciò arruffare i capelli dal maggiore. Tutti gli altri si avvicinarono per complimentarsi con lui. Honey Lemon lo abbracciò forte, riuscendo perfino a sollevarlo da terra.
<< Hiro, sei stato incredibile! >> Esclamò la ragazza con forte accento latino-americano.
<< Gia. Con qualche miglioramento, la tua teconologia potrebbe essere rivoluzionaria. >>
Una voce profonda e magnetica si intromise in quello scambio eccitato di complimenti. Un uomo sui quaranta, in completo nero, dal volto spigoloso e i capelli biondo cenere si mosse interessato verso il ragazzino, che rimase a bocca aperta quando lo riconobbe.
<< Alister Krei...! >>
L'imprenditore più ricco e famoso di tutta San Fransokyo. Krei era ben noto per i suoi interessi nel campo dell'ingegneria e della scienza che gli permettevano di portare avanti esperimenti che avevano fatto discutere per la loro capacità di sfidare l'ìmpossibile. La notizia che stesse facendo costruire un nuovo campus che portasse il suo nome nella zona alta della città aveva fatto presto il giro del mondo.
<< Ho assistito alla dimostrazione. Davvero notevole il tuo progetto. >>
Allungò educatamente una mano verso di lui, riferendosi al microbot che teneva in mano.
<< Permetti? >>
<< Certo. >>
Prese il minuscolo bot tra le dita e lo osservò con vago interesse. Dopo neppure un secondo, si permise di formulare il suo giudizio.
<< Interessante. Io voglio i tuoi microbot alla KreiTech. >>
<< Mi venga un colpo! >>
Hiro rimase senza fiato, il suo cervello impiegò un po' a valutare l'importanza di quella proposta. L'uomo più ricco della città era interessato alla sua creazione ed era disposto a venderla su scala mondiale, pagandolo fior di baiocchi. La scalata per il successo si stava rivelando più semplice e improvvisa di quanto si fosse aspettato. Riusciva già a vedere il suo nome e quello di Tadashi sui titoli di ogni giornale, sui cartelloni pubblicitari e sugli schermi. Avrebbero raggiunto la gloria che Hiro cercava, il merito che gli spettava da sempre.
<< Ha ragione, i tuoi microbot sono una scoperta assai straordinaria. Puoi continuare a produrli... O venderli ad un uomo che è guidato solo dai suoi interessi personali. >>
La voce di Robert Callaghan lo interruppe proprio mentre era sul punto di accettare. Il professore si avvicinò al gruppetto, lanciando un'occhiata fulminante a Krei.
<< Robert, so che ce l'hai con me... >>
<< La scelta sta a te, Hiro. Ma sappi che il signor Krei ha preso vie traverse, ignorando i principi della scienza per raggiungere i suoi scopi. >>
Quel discorso stava prendendo una piega decisamente tetra. Quelle parole furono abbastanza per inquietare Hiro, che deglutì all'improvvisa indecisione. Di quale vie traverse stava parlando il professor Callaghan? Sapeva che Krei non poteva essere uno stinco di santo, in fondo neanche lui lo era, ma fu un dubbio abbastanza convincente da riuscire a gettare su di lui un'aura oscura. Improvvisamente, Hiro realizzò tutti i pro e i contro se avesse accettato di vendere i suoi microbot. A discapito della sua fortuna, quali trucchi avrebbe potuto inventare quell'uomo per rubarglieli e farla franca prima che lui potesse rendersene conto?
 << Fossi in te non gli affidere i tuoi microbot. O qualsiasi altra cosa. >>
Il tono di Callaghan si abbassò notevolmente mentre scandiva quelle ultime parole, i suoi occhi lame taglienti ricoperti da ghiaccio spesso e letale. Sembrava che stesse tentando di ferire Krei, il suo rivale, con la sua voce e gli sguardi malevolenti. Per un attimo, a Hiro parve di scorgere una scintilla di odio e rabbia in quegli occhi azzurri come il cielo, solitamente così gentili. Ma fu una visione, un attimo di cui il ragazzino si dimenticò presto. Che cosa doveva fare? Accettare la richiesta di Krei e arrivare finalmente al riconoscimento che tanto agognava, rischiando però di perdere ogni diritto sui suoi microbot e di deludere il professor Callaghan? O dar retta a quest'ultimo ed entrare finalmente nella scuola che gli avrebbe permesso di costruirsi un futuro, una vita nuova insieme a Tadashi?
<< Hiro, ti sto offrendo più soldi di quanto tu possa immaginare. >>
Quella volta, Callaghan non ribattè. Hiro ne fu quasi sconfortato, e abbassò lo sguardo per concedersi un momento per pensare a mente fredda.
Quale dei due sentieri doveva prendere? Da un lato, Krei gli offriva una vita ricca e sicura, senza alcun ostacolo, e successo e denaro su un piatto d'argento. Dall'altra, la scuola che conservava un futuro istruito, una vita da costruire con le sue decisioni, con il rischio di fallire più spesso e la capacità di esplorare sempre nuove possibilità. Nuove prospettive. Insieme a Tadashi e ai suoi amici.
Gli bastò sentire il suono felpato dei passi di suo fratello per decidere.
Alzò lo sguardo su Alister Krei, gli occhi grandi dallo sguardo sincero e un sorriso invisibile sul volto paffuto.
<< Apprezzo l'offerta, signor Krei. Ma non sono in vendita. >>
Alla sua risposta, l'uomo schioccò la lingua con fare deluso, guardando il ragazzino dall'alto in basso con velata arroganza e stizza. Si lasciò sfuggire uno sbuffo sarcastico, che tradiva palese fastidio per qualcosa che non aveva ottenuto. Quasi come i bambini capricciosi che mettono il broncio quando non riescono ad avere quello che vogliono.
<< Credevo fossi più intelligente. >>
E sistemandosi in un gesto frettoloso la manica della giacca nera, salutò il professor Callaghan e fece per allontanarsi quando Tadashi lo richiamò.
<< Signor Krei... Quello è di mio fratello. >> Asserì, indicando il microbot che l'uomo teneva ancora in mano.
<< Oh, hai ragione. >>
Krei lo rilanciò verso Hiro, che lo afferrò al volo. Lo vide allontanarsi senza voltarsi indietro, a passo deciso. Quasi non sembrava che avesse appena ricevuto un rifiuto per un'ingente montagna di soldi. Perchè i microbot avrebbero di certo fruttato molto anche a lui, e questo Hiro lo sapeva bene. Ma non si era pentito della sua scelta, e ne fu ancora più convinto quando Tadashi gli appoggiò una mano sulla spalla e gli sorrise, fiero di lui. A quel punto, Callaghan si avvicinò a Hiro, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni la busta di una lettera che recava inciso il simbolo dell'SFIT, e gliela porse, sorridendo.
<< Allora ci vediamo ai corsi. >>
Hiro sussultò e prese la lettera d'ammissione tra le sue mani, guardandola come se avesse appena trovato una miniera piena d'oro. Ce l'aveva fatta! Era riuscito ad entrare nella scuola più prestigiosa di San Fransokyo, e adesso aveva un mondo intero da riscoprire davanti a sè.
 (•—•) 

Uscirono dall'edificio urlando di gioia. Hiro rideva felice, tenendo in aria la sua lettera come un trofeo. Cass scese saltellando i gradini dell'edificio e fece movimenti teatrali con le braccia per attirare l'attenzione dei presenti.
<< D'accordo gente, nutriamo le vostre menti affamate! La cena la offro io! >>
Si levò un'esclamazione di consenso da parte di tutti che si diressero verso il parcheggio dove la donna aveva appostato il suo furgoncino. Tadashi prese da parte Hiro, avvisandola che li avrebbero raggiunti dopo.
<< Sono così fiera di te! >> Fece poi lei, rivolgendosi al nipotino, saltellando di gioia.
Quella specie di danza del trionfo era qualcosa che i due fratelli avevano imparato a riconoscere e ad apprezzare. Significava che zia Cass era particolarmente felice. Si lasciarono stringere, quasi strozzare, dall'affetto della zia prima che questa si allontanasse insieme agli altri, lasciandoli soli. Tadashi fece cenno a Hiro di seguirlo, e il piccolo obbedì senza fare domande.
Appena fuori dalla fiera, c'era un giardino curato dalle aiuole piene di fiori di ogni tipo e alberi potati accuratamente. Cespugli di camelie, margherite e amaranti facevano capolino da alcuni mattoncini che circondavano un sentiero in pietre diretto al ponte che attraversava il fiume. Dall'altro lato si stagliava l'SFIT, illuminata a giorno dai fari bianchi e dai loro riflessi sui cristalli. Sembrava un'enorme diamante dalla strana forma circolare. Una fresca brezza serale accarezzò il luogo, smuovendo delicatamente i fili d'erba che iniziarono una danza sinuosa sotto i passi di Hiro e Tadashi.
<< So cosa stai pensando! "Dovrei essere fiero di me, perchè finalmente uso il mio talento per qualcosa di importante!" >> Disse Hiro, imitando la voce del fratello.
<< No, no. Stavo per dire che hai la cerniera dei pantaloni abbassata. >>
<< Ah ah! Divertente... >>
Il dubbio però attraversò la sua mente, e quando abbassò lo sguardo sussultò, procedendo ad abbottonare subito la cerniera. Poi fulminò Tadashi con lo sguardo per non averglielo fatto notare prima. Il maggiore scoppiò a ridere. Si appoggiarono entrambi sulla ringhiera di legno, osservando la scuola, la loro scuola. Erano dentro insieme ora, potevano finalmente essere posti sullo stesso piedistallo. Adesso dovevano solo esplorare le tante possibilità che quella nuova vita poteva offrire a entrambi.
<< Benvenuto nella scuola dei nerd, nerd. >>
Hiro sospirò. Fino al giorno prima, non avrebbe mai accettato un epiteto del genere da parte del fratello. Ma non poteva negare quanto gli avesse fatto piacere sentirsi chiamare in quel modo, quella sera.
Erano fratelli dopotutto, il cui rapporto era profondo quanto l'oceano, quanto la galassia, l'universo stesso. E quegli attimi erano le loro piccole stelle, che illuminavano la tela nera che era la loro vita.
E un giorno, come quelle stelle, anche loro sarebbero esplosi, fondendosi come due supernova che si scontrano, lasciando la loro traccia in quel cielo infinito.
In un attimo, Hiro ricordò la sua vita fino a quella sera. Era stato deriso dai più grandi per il suo fisico debole e il suo cervello fin troppo sviluppato, le sue capacità non erano mai state riconosciute davvero fino a quel giorno. E se non fosse stato per Tadashi, niente di tutto questo sarebbe successo.
Tadashi, che lo aveva sempre protetto, accudito, supportato e sopportato. Lui era rimasto con lui. E Hiro sapeva che non sarebbe arrivato da nessuna parte senza il suo aiuto.
<< Ehi, io non sarei qui se non fosse per te, perciò... Ecco... Grazie per l'incoraggiamento. >>
<< Non devi neanche dirlo. E' vero, ma non devi dirlo. >>
Gli arrivò un altro pugno sul braccio, ma lo fermò prima che potesse colpirlo e lo bloccò, arruffandogli ancora una volta la chioma corvina. Risero entrambi. Tadashi faceva quel gesto da quando erano ancora bambini. Non c'era stata una volta in cui Hiro non si fosse sentito protetto dalla sua mano che gli accarezzava insistentemente la testa. Gli sembrava passata un'eternità da quando aveva avuto quei momenti di intimità con suo fratello, e ora si sentiva di nuovo bene. Non aveva bisogno di nascondersi dietro a un robot per attirare la sua attenzione. Tadashi era lì, e ci sarebbe stato sempre per lui. Hiro ne era sicuro.
All'improvviso, un suono acuto e stridulo si intromise tra loro. Sembrava una sirena. Tadashi fissò il vuoto per un attimo, un'espressione confusa sul suo volto che si trasformò presto in pura preoccupazione. Hiro lo vide correre verso l'edificio dove si era tenuta la fiera e lo seguì.
Lo spettacolo che si parò davanti a loro fu sconcertante.
Fiamme violente e accecanti fuoriuscivano dalle mura e dalle finestre dell'edificio, illuminando la notte in un macabro spettacolo di luci assassine. Il fumo oscurò il cielo, che divenne improvvisamente nero e il calore si propagò fino ai loro corpi, dandogli per un attimo la sensazione di bruciare. Le urla della gente trascinarono via ogni risata della fiera, trasformandolo in un ricordo spezzato. Tadashi andò incontro a una donna che era appena uscita dall'edificio.
<< Sta bene?! >>
<< Si, io sto bene... Ma il professor Callaghan è ancora dentro! >> Corse via, tossendo.
Tadashi rabbrividì non appena sentì il nome del suo professore. I suoi occhi si scontrarono con il fuoco che avvolgeva la palazzina e la sua mente lo riportò all'uomo che era rimasto intrappolato lì dentro. Non poteva lasciarlo morire. Istintivamente, corse verso l'edificio in fiamme ma una presa stretta al braccio gli impedì di entrarvi.
<< Tadashi, no! >>
Si voltò verso Hiro, che lo aveva appena fermato. I suoi occhi gli imploravano silenziosamente di lasciar perdere, di non entrare, di non rischiare la sua vita.
L'incendio si era ormai propagato troppo, forse avrebbe dovuto lasciare che ci pensassero i pompieri...
Se lui fosse entrato lì dentro, non sapeva se ne sarebbe mai uscito vivo... E se non fosse tornato, avrebbe perso tutto. Avrebbe perso la sua vita, i suoi amici, la sua famiglia. Avrebbe perso Hiro, che aveva bisogno di lui. Che era ancora un bambino e che necessitava della sua guida più di ogni altra cosa.
Però...
<< Callaghan è lì dentro. >> Sussurrò, guardando il fratello. << Qualcuno deve aiutarlo. >>
Tentò di addentrarsi, ma Hiro non sembrava voler mollare la presa.
<< E' troppo tardi, Tadashi! Ci penseranno i pompieri! >>
<< Torno subito! >>
La mano di Hiro si allentò istintivamente a quelle parole. I suoi occhi catturarono quelli di Tadashi, cercando una traccia di verità tra i riflessi delle fiamme.
<< Lo prometto, torno subito... >>
Lo lasciò andare. Lo vide salire le scale di corsa e svanire nel fuoco, come un'ombra. Il suo respiro si impregnò di fumo, e si rese conto di quanto fosse difficile respirare in quel momento.
Di quanto fosse difficile respirare.
Che cosa aveva fatto? Perchè lo aveva lasciato andare? Non doveva mollare il suo braccio. Doveva tenerlo stretto, impedirgli di entrare in quell'inferno. Si guardò intorno, sperando che qualcuno potesse aiutarlo, ma nessuno era lì vicino a lui. Nessuno gli avrebbe detto con sicurezza che suo fratello sarebbe uscito subito da lì.
I suoi occhi caddero sul berretto di Tadashi ai suoi piedi. Lo aveva perso mentre entrava nell'edificio. Lo prese tra le mani, rivolgendo lo sguardo da quello alle fiamme.
Doveva andare anche lui. Doveva seguirlo. Doveva trovarlo e portarlo fuori prima che fosse troppo tardi.
Si mosse verso il fuoco. Fece un passo. Poi un altro. Più vicino, più vicino, più vicino.
Improvvisamente, un boato assordante proruppe dall'inferno davanti a lui, strisciando nelle sue orecchie, togliendogli il respiro, rubandogli gli occhi, spingendolo a terra. Per un attimo, la sua pelle divenne di vetro e rovente come il carbone prima di scontrarsi violentemente contro la fredda pietra del pavimento.
Era svenuto? Per quanto tempo aveva tenuto gli occhi chiusi? Gli sembrò un'eternità anche il tempo che impiegò per voltarsi e mettersi sulla sua schiena. Tutto era rallentato, ma non riusciva a capire il perchè. Ogni movimento era così pesante, così doloroso...
I suoi occhi rividero le fiamme. Una luce accecante, come appena sveglio da un sogno.
Perchè quello era tutto un sogno, giusto? Doveva esserlo. Una cosa del genere non poteva succedere nella realtà. Quelle sensazioni non avrebbe potuto provarle nessuno. Non lui, almeno.
Era surreale. Era tutto così surreale.
... Tadashi?
Dov'era? Perchè non era lì per aiutarlo a rialzarsi, a chiedergli se stesse bene? Era uscito, vero? Anzi, non era mai entrato lì dentro...
Vero?

<< E' qui? >>
<< Si, 'Dashi! E' qui che mi hanno rubato il libro di fisica quantistica... >>
Tadashi cercò di sorvolare sull'ultimo termine usato da Hiro, che a soli nove anni già leggeva quei testi. Teneva stretto il fratellino per la manina, mentre si lasciava condurre in uno dei corridoi del liceo, ormai quasi vuoto dato l'orario di chiusura.
Era stata l'ennesima giornata di umiliazione per Hiro, e tutto per colpa di quei bulli che non lo lasciavano stare. Quando Tadashi lo aveva visto tornare a casa piangendo, lo aveva invitato a dirgli cosa fosse successo. Ci volle un po', perchè il piccolo aveva paura. Ed era comprensibile, visto che quelli frequentavano l'ultimo anno ed erano dei bestioni grandi e grossi con il taglio ridicolo e il guardaroba altrettanto stupido.
<< Non è importante... Sul serio... >>
<< No, Hiro. Se qualcuno non gli da una lezione, loro continueranno a farti del male. E tu lo sai che  fratellone non ammette che si prendano gioco di te. >>
Il bambino lo aveva guardato con gli occhi lucidi di ammirazione. Tadashi era sempre stato il suo eroe, sempre.
Il ragazzo si avvicinò di soppiatto alla porta di una delle aule, da cui provenivano risate sfacciate e insulti volgari. Si abbassò all'altezza del fratellino, rivolgendogli un sorriso gentile.
<< Ora ascoltami bene. Io vado a dargli una lezione. Tu conta fino a dieci, e se non dovessi tornare subito, vai a chiamare zia Cass, d'accordo? >>
Hiro annuì, poco convinto e vide il fratello maggiore svanire dietro la porta scorrevole della classe. Trasse un respiro profondo, chiuse gli occhi e cominciò a contare come Tadashi gli aveva ordinato.
1.2.3.
Da dietro la porta si levarono piccole urla, con tanto di parolacce al seguito.
4.5.6.
Strani rumori cominciarono a risuonare, facendo sì che il suo cuoricino cominciasse a battere più velocemente. 
7.
Tadashi non era ancora uscito.
8.
I rumori continuavano, insieme alle grida.
9.
Hiro fece per chiamare zia Cass, quando dall'aula apparve Tadashi con il suo libro di fisica quantistica nella sua mano sinistra. Aveva qualche graffio sul volto e un livido sul collo che non attardò ad annerirsi maggiormente, ma il suo sorriso era quanto più riuscisse a rassicurare il minore sul fatto che stesse bene.
<< Quei tre non ti daranno più fastidio. >> Disse, porgendogli il libro.
<< Ora però andiamo via, non vogliamo che qualcuno scopra che cosa abbiamo fatto. >>
<< Grazie, 'Dashi! Sei il fratellone più buono del mondo! >>
Fuggirono dalla scuola a gambe levate, ridendo sottovoce.

Conta fino a dieci.
1... 2... 3...
Il crepitìo delle fiamme era fastidioso, come un predatore che rosicchia insistentemente la sua vittima.
4... 5... 6...
Il fumo aveva completamente oscurato il cielo, occultato le stelle. Sembrava che dovesse scoppiare una tempesta terribile da un momento all'altro.
7... 8...
Perchè Tadashi ci mette così tanto ad uscire dall'edificio?
9...
Adesso esce. Adesso viene fuori, e fuggiremo via ridendo. Come abbiamo sempre fatto... Come abbiamo sempre fatto.
10.

Un dolore lancinate al cuore costrinse Hiro a lanciare un urlo soffocato, mentre la sua mente cominciò a mettere insieme i frammenti di quel momento come un puzzle di cui non voleva conoscere il disegno.
La palazzina era esplosa. Il fuoco aveva avvolto tutto e aveva distrutto l'edificio, riducendolo ad un pezzo gigantesco di carbone. E Tadashi era rimasto dentro.
<< Tadashi...! >>
Avvolto dalle fiamme, ridotto in cenere dal calore soffocante. Le sirene dei pompieri suonavano come un'eco distorta e lontana nelle sue orecchie ancora otturate dal fischio causato dall'esplosione.
Ma che importanza aveva adesso?
Erano in ritardo. Era troppo tardi.
<< Tadashi!! >>

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Eco ***


<< Ieri sera, 30 Novembre, alle ore 20:09, un incendio ha distrutto la fiera di tecnologia che si tiene ogni anno in onore delle matricole per l'istituto di ingegneria e robotica di San Fransokyo.
Si sta ancora lavorando per cercare di comprendere l'origine delle fiamme, mentre la scuola piange le vittime di quella serata infernale.
Robert Callaghan, 56 anni, professore di robotica nell'istituto sopra menzionato, e Tadashi Hamada, 21 anni, studente.
Pare che il signor Hamada fosse rientrato all'interno dell'edificio per trarre in salvo il professor Callaghan che era rimasto intrappolato dentro. Una forte esplosione ha, in seguito, distrutto la palazzina, prendendo le loro vite.
Il sindaco ha proclamato lutto cittadino per i prossimi tre giorni. L'intera città di San Fransokyo si stringe intorno alle famiglie delle vittime, onorando i loro nomi che saranno ricordati come quelli di due eroi, periti sotto una catastrofe che non hanno potuto evitare. >>

Un'eco.
Un'eco era tutto ciò che sentiva. Rumori, voci sconnesse, vibrazioni.
Ricordava poco di quella sera. Tutto si era spento, dopo l'incendio. La sua mente, il suo corpo, il suo udito. Si sentiva un'involucro vuoto, un'automa rotto che non reagisce più agli stimoli esterni.
Riusciva appena a ricordare i pompieri che lo trascinavano via, lontano dalle fiamme, poggiandogli una coperta sulle spalle. Avevano sussurrato qualcosa, ma ora trovava difficile sapere cosa gli avessero detto esattamente. Aveva visto gli stessi uomini domare il fuoco, e portare via una barella con un corpo su di essa, coperto da un drappo nero.
Aveva visto una donna urlare al cielo, accasciarsi di fronte a quel corpo e piangere disperatamente.
Ricordava di aver gridato.
Aveva gridato il nome di Tadashi, sperando di ottenere una risposta.
Una risposta che adesso giaceva in una bara di legno, a pochi metri dalla sua casa da cui sarebbe dovuto uscire a breve. 
<< Hiro... Sei pronto, tesoro? >>
La voce di zia Cass appariva flebile, stanca, distrutta dalle grida che aveva lanciato quella sera. Le sue iridi smeraldine risplendevano particolarmente sullo sfondo della retina velata dalle lacrime. Un vestito nero avvolgeva il suo corpo snello, lasciando gentilmente scoperte le gambe, protette da un paio di calze dello stesso colore.
Non rispose. Non ne aveva la forza. Fissava il vuoto con sguardo vacuo, senza ascoltare. Lo smoking nero, tirato fuori per l'occasione, doveva ancora essere sistemato sui polsi e sulle spalle. La cravatta giaceva inerme sulla poltrona di cuoio, in attesa di essere indossata. Avvertì la donna aiutarlo a prepararsi. Gli alzò delicatamente i polsi per abbottonare le maniche della camicia, e appiattì con i palmi le spalle. Poi gli annodò la cravatta al collo, prendendogli il viso tra le mani.
La guardò. Un sorriso triste faceva capolino tra le labbra velate di rossetto della donna.
<< Dobbiamo andare... >>

Un'eco.
Un'eco era tutto ciò che sentiva, mentre il prete recitava l'ultima omelia al funerale.
Osservò la tomba posta metri e metri sotto i suoi piedi.
Sembrava tutto un sogno. Una paralisi da cui sperava di risvegliarsi presto.
Non gli sembrava possibile che Tadashi fosse chiuso lì dentro, nel suo vestito elegante che ricopriva il suo corpo ustionato.
Era un modo tremendo di morire. Doveva fare davvero caldo in quell'edificio per essersi ridotto in quel modo.
Il cielo era nero quel giorno, nuvole piene di pioggia ricoprirono la volta celeste come bambine perspicaci. Una giornata come quella non aveva bisogno del sole, sarebbe stato fuori luogo. Sarebbe stata una risata in un mare di pianti, un parassita tra i petali di una rosa.
L'aria cominciò a piangere. La gente aprì i propri ombrelli neri come la pece, come un corvo in procinto di morire.
Pioveva di nuovo.

Un'eco.
Un'eco era tutto ciò che sentiva, giù, appena sotto le scale.
Erano tutti lì, tutti presenti ad onorare quel ragazzo meraviglioso che era scomparso troppo presto. Le parole, la commozione, i ricordi che diventavano lacrime ogni secondo che passava.
Erano tutti lì. Tutti tranne lui.
Lui osservava il vuoto, con il suo sguardo vacuo. Non riusciva neanche a piangere.
Era solo.
Infine, era solo.
Vuoto come un buco nero, freddo come una goccia di rugiada in inverno, fragile come i petali di ciliegio.
Il suo sguardo vagava nel buio delle scale, risalendo su per la parete. Non aveva mai notato quante foto fossero appese lì. Tante foto. Di lui e Tadashi. Insieme. Da bambini, da adolescenti, da grandi.
No, non era giusto.
Il posto di Tadashi era lì, insieme a lui. Perchè lo aveva lasciato indietro? Perchè era entrato in quell'edificio?
Perchè non era tornato, come gli aveva promesso?
Tadashi aveva sempre mantenuto le sue promesse. Sempre.
Le sue gambe lo fecero alzare, lo condussero nella sua camera. Nella loro camera. Ma erano deboli, e lui fece appena in tempo a raggiungere il lato della stanza di Tadashi, prima di crollare sul letto di suo fratello. Le lenzuola, le coperte, il cuscino. Tutto aveva ancora il suo odore addosso. Un profumo delicato di violetta e pioggia, che lo aveva sempre rassicurato durante gli incubi.
Quello era un incubo. Presto si sarebbe svegliato.
Presto.
Pioveva di nuovo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Una mano dal fondo ***


Il rombo delle automobili risuonava nel quartiere. La vita scorreva normalmente. La gente si affrettava al lavoro, si concedeva ore di svago per andare al parco o fare shopping. I negozi ospitavano i propri clienti con caldo benvenuto, vendendo i loro prodotti. Il vecchio Kikuchi, il fioraio sotto casa, era chiuso quel giorno. Lui e zia Cass avevano stretto amicizia quando la donna si era trasferita nella zona per dirigere la sua caffetteria. L'uomo aveva deciso di tener chiuso il suo negozio per rispetto.
Mochi continuava a miagolare intensamente. Stava seduto davanti alla porta di casa, in attesa che il suo padrone l'aprisse e lo accogliesse tra le sue braccia come aveva sempre fatto. Ma non succedeva più da molti giorni ormai, e il gatto continuava a miagolare, come un bambino che piange nella notte.
I petali dei crisantemi che componevano la ghirlanda fuori dalla porta del Lucky Cat Cafè danzavano delicatamente sulle note inascoltabili di una brezza fredda, accompagnando i rami dei ciliegi sul viale. Il sole era tornato a splendere, illuminando le strade trafficate. Sembrava una giornata come tante altre per tutte quelle persone là fuori.
Per Hiro, invece, le giornate dopo il funerale non erano più state le stesse. Una fiacca monotonìa aveva preso il sopravvento sulla sua vita. Il suo lato della stanza era immerso in un'oscurità affievolita dalla luce del mattino che spirava tra le fessure delle persiane. Non aveva bisogno del sole. Come avrebbe potuto goderne, quando Tadashi era metri sotto terra? Lì il sole non arrivava, solo freddo e umidità.
Se avesse potuto, anche lui sarebbe sprofondato nella terra gelida. Almeno in quel modo, sarebbero rimasti insieme.
Vedere la vita scorrere normalmente fuori dalla finestra della sua stanza gli fece ancora più male, e decise di spostarsi sulla sua poltroncina di cuoio. Si accasciò su di essa, guardando senza interesse il Megabot che teneva tra le mani. Usciva ogni sera, di nascosto da zia Cass. Aveva ricominciato a fare i Bot-Duelli, a scommettere, a distruggere i suoi avversari e a intascare i soldi senza la minima emozione. Non gli importava più nulla di niente, ormai. Sapeva che era pericoloso, e che una notte sarebbe potuta non finire bene per lui. Ma dopo la morte di Tadashi, nulla aveva più senso. Neanche il pericolo di essere massacrato di botte lo spaventava. Anzi, era proprio quello che voleva.
La spirale catatonica in cui era avvolto in quei giorni senza scopo lo abbracciava, cullandolo tra le sue mani scheletriche. La depressione in cui era precipitato era un pozzo profondo da cui non riusciva a uscire, e allo stesso tempo una grande pelliccia che lo teneva al caldo, una coperta di morte di cui non aveva paura.
Non riusciva più a fare niente da quel giorno. Non riusciva a inventare, nè a costruire, nè ad aiutare zia Cass nella caffetteria. Preferiva restare chiuso in camera, lontano da quelle persone felici e da quei sorrisi spensierati. Non poteva capirlo nessuno. E lui non poteva capire loro, nè la loro felicità. Non più.
<< Ciao, tesoro. >>
Cass si presentò sulle scale, avvicinandosi a Hiro con passo esitante. In mano teneva un piatto di frutta fresca e un muffin ai mirtilli. Quella era la colazione preferita di suo nipote, che ormai non scendeva più neanche a mangiare in cucina. Hiro procedette a nascondere il Megabot, rivolgendo alla donna un sorriso forzato.
<< Ciao, zia Cass. >>
<< La signora Matsuda è al piano di sotto. Indossa un vestitino non proprio adatto a un'ottentenne! Dovresti scendere... >>
<< Magari dopo. >>
Solitamente, quel commento sulla vecchia cliente prosperosa del Lucky Cat Cafè lo avrebbe fatto ridere. Adesso, gli sembrava soltanto una triste battuta priva di senso. In fondo, a loro cosa importava di cosa indossasse la signora Matsuda? Declinò l'invito a scendere, non era dell'umore per affrontare tutta quella gente al piano di sotto. Tanto meno era in vena di svagarsi. Non ne aveva le forze.
<< Mmh... Hanno richiamato dall'università. I corsi sono già iniziati da due settimane, ma... Dicono che sei ancora in tempo per iscriverti. >>
Cass posò sul davanzale della finestra il piatto della colazione e prese la cena ormai fredda della sera prima. Notò tristemente che Hiro non aveva nemmeno toccato la bistecca o l'onigiri che gli aveva preparato.
Di solito divorava tutto subito.
Aprì la persiana, permettendo ad un raggio di sole di entrare e smuovere il pulviscolo invisibile da ogni parte della stanza e il suo sguardo smeraldino cadde sulla lettera di ammissione che giaceva sulla scrivania, mai aperta. La prese delicatamente fra le dita, come se fosse un petalo fragilissimo di un fiore pregiato, e la sistemò accanto al computer.
Avrebbe tanto voluto che Hiro cominciasse ad andare al college. Era sicura che lo avrebbe aiutato a risollevarsi, a superare il trauma che aveva subito e ad andare avanti. Ma Cass sapeva anche che non poteva forzare suo nipote a fare nulla, in quel momento.
La morte di Tadashi era stato come un incubo che si era ripetuto, e la donna non avrebbe mai voluto che Hiro sperimentasse lo stesso dolore che aveva provato lei quando aveva perso la sua gemella, la mamma del nipotino. Ci doveva essere una maledizione sulla loro famiglia, aveva pensato in un momento di disperazione. Il senso di colpa che l'affliggeva per non essere stata in grado di proteggere Tadashi la tormentava, come un parassita che rosicchiava pian piano le corde dell'autostima e della sicurezza. Hiro non lo diceva, ma sapeva che la zia scoppiava in lacrime una volta finita la giornata e si ritrovava da sola, di notte.
Ancora capitava che apparecchiasse la tavola per tre, e quando se ne rendeva conto era così difficile per lei trattenere il pianto.
Vederla in quello stato peggiorava soltanto la condizione di Hiro. Sapeva che avrebbe dovuto abbracciarla e cercare di farla sentire meglio, così come lei stava provando a fare con lui, ma non ci riusciva. Non riusciva a mettere piede fuori dalla sua camera se non per andare ai Bot-Duelli di nascosto, a notte fonda.
E poi l'università, l'ultimo posto dove Hiro voleva andare. Aveva perso tutto in quel luogo. L'unica persona che gli era stata accanto per tutto quel tempo era stata uccisa dalle fiamme devastanti che erano scoppiate per un motivo ignoto in uno dei suoi edifici. Come poteva zia Cass pretendere che lui tornasse lì, facendo finta che non fosse successo niente? Facendo finta che non mancasse niente?
<< Va bene, grazie. Ci penserò su. >>
La sua risposta laconica fece capire alla zia di dover togliere il disturbo. Cass sospirò e si diresse giù per le scale con uno sguardo afflitto che Hiro non ebbe modo di vedere. Gli occhi nocciola del piccolo scrutarono infastiditi quel raggio di sole che penetrava dalla finestra che la donna aveva appena aperto. Si alzò e la chiuse di nuovo.
Non voleva luce nella sua camera. Tadashi non sarebbe più riuscito a vederla, quindi non l'avrebbe vista neanche lui.
Si sedette alla scrivania e accese il computer, collegandosi alla pagina internet dei Bot-Duelli. La casella chat segnalava un messaggio-video. Vi cliccò sopra, senza il minimo interesse. Davanti a lui, apparvero i volti di Gogo, Honey Lemon, Fred e Wasabi che lo salutarono tristemente. Sui loro volti un sorriso forzato che cercava di nascondere il dolore per la perdita del loro collega.
<< Ciao Hiro, volevamo solo salutarti... E sapere come stai... >> Fece Honey Lemon, che riprendeva probabilmente con il suo cellulare.
Hiro odiava quella domanda. Era così finta e retorica in certe situazioni, che spesso si era chiesto perchè la gente sprecasse il fiato a pronunciarla.
<< Ci manchi, piccoletto. >> Aggiunse Wasabi.
<< Hiro, se avessi un super potere adesso, vorrei infilarmi dentro la telecamera e darti un abbraccione. >>
Fred aveva chiaramente gli occhi lucidi mentre pronunciava quella frase.
Hiro chiuse il video prima che potesse finire e si alzò dalla sedia, più infastidito che sollevato dalla preoccupazione dei colleghi di Tadashi.
Se non fosse stato per il fratello, i ragazzi non avrebbero mai neanche saputo della sua esistenza, e il solo motivo per cui riceveva tutte quelle attenzioni era perchè si sentivano in dovere di farlo per il collega scomparso. Era per Tadashi che lo facevano, non per lui. E Hiro non aveva bisogno di altra pietà da parte loro. Voleva soltanto restare solo.
Il suo sguardo cadde sulla lettera d'ammissione accanto al suo Megabot. La prese tra le mani, sfiorando la superficie ruvida con i polpastrelli.
Aveva sudato tanto per ottenere quella lettera, quel pezzo di carta che gli avrebbe permesso di entrare nella scuola più prestigiosa della città. Il suo biglietto per il futuro.
Tadashi avrebbe voluto che ci andasse, che ricominciasse a vivere, a inventare, a costruire. A usare il suo talento per qualcosa di importante.
Tadashi avrebbe voluto che stesse vicino ai suoi amici, in modo che questi sarebbero poi diventati anche amici di Hiro.
Ma Tadashi non c'era più. Se n'era andato. E non sarebbe tornato.
Come poteva Hiro scegliere di condurre una vita nuova senza suo fratello, senza sentire la mancanza della persona più importante della sua vita?
No. Tadashi non avrebbe più potuto avere la vita che sognava, la vita che sognavano entrambi. Quindi non l'avrebbe avuta nemmeno lui.
Lasciò cadere la lettera nel cestino della carta, sotto la scrivania. Non ne valeva più la pena, ormai.
Prese il Megabot per stendersi di nuovo sulla poltroncina quando uno dei magneti che lo tenevano insieme si staccò dalla parte superiore e cadde violentemente sull'alluce del ragazzino, procurandogli un fortissimo dolore. Hiro barcollò fino al capezzale del letto, stringendo la parte lesa tra le mani.
<< Ahi! >>
Un rumore familiare si insinuò nelle sue orecchie, costringendolo a voltarsi. Rimase sorpreso nel vedere Baymax, il robot costruito da Tadashi, osservarlo dall'altra parte della stanza. L'automa guardò prima a destra e poi a sinistra, cercando un modo per spostarsi dall'intervallo tra il letto e la libreria. Mosse piccoli passi verso la sua destra e si bloccò di nuovo, osservando Hiro che nel frattempo lo guardava confuso. Alzò leggermente le braccia gonfiabili e tentò di passare in maniera goffa. Sembrava quasi un pinguino con qualche difficoltà a camminare sul ghiaccio. Al suo passaggio, urtò alcuni dei libri di studio di Tadashi, che caddero a terra con un tonfo leggero. Una volta libero, Baymax abbassò le braccia e si diresse finalmente verso Hiro, sollevando la mano bianca per simulare il saluto.
<< Ciao, io sono Baymax. Il tuo operatore sanitario personale. >>
La sua voce dal forte suono umano e caldo riportò Hiro alla prima volta che lo aveva visto.
<< Ciao, Baymax... Io non sapevo fossi ancora... Attivo. >>
<< Ho sentito un verso di dolore. Dimmi, qual'è il problema? >> Chiese il robot, inclinando un po' la testa.
<< Oh, ho solo preso una botta al piede. Sto bene. >>
Probabilmente, la sua risposta non doveva averlo convinto perchè Baymax portò leggermente in avanti il pancione, che si illuminò con la schermata della scala grafica del dolore.
<< In una scala da uno a dieci, come valuti il tuo dolore? >>
<< Uh... Zero? Sto bene, davvero. Ora puoi anche zipparti. >>
<< Ti fa male se lo tocco? >>
<< No, non serve! Non si tocca! >>
Hiro non riusciva a capire per quale motivo Baymax insistesse tanto. La botta era stata forte, ma il dolore era ormai passato e non c'era effettivamente bisogno di nessun rimedio medico. Cercò di allontanare il robot che tentava costantemente di toccargli il piede, quando nel farlo inciampò sulla cassetta degli attrezzi dietro di lui e cadde tra il letto e la scrivania. Cercò di tirarsi fuori, ma si arrese subito all'idea di essere rimasto incastrato. La solita fortuna, pensò. Solo un imbranato magro come lui poteva essere capace di incastrarsi in uno spazio così ristretto.
Baymax si chinò su di lui, scrutandolo con curiosità.
<< Tu sei caduto. >>
<< Davvero?! >>
Replicò sarcastico il ragazzino. Allungò un braccio, tentando di afferrare la mensola appena sopra la scrivania per tirarsi su quando il gancio che la teneva rigida alla parete si spezzò, inclinandola. In poco tempo, tutte le action figures, i modellini e pupazzetti di Hiro gli caddero addosso, ricoprendolo come un alberello di natale disordinato. Baymax non faceva altro che domandare quanto Hiro valutasse il suo dolore ogni volta che uno di quelli gli finiva in faccia.
<< Zero! >> Esclamò spazientito, gli occhioni castani erano l'unica cosa che spiccava tra i giocattoli.
<< Puoi anche piangere se vuoi. Il pianto è una naturale conseguenza del dolore. >>
<< N-non sto piangendo! >>
Baymax si era finalmente degnato di aiutarlo a tirarsi fuori dal minuscolo spazio vitale, prendendolo in braccio come fosse un neonato. Hiro rimase per un momento incredulo davanti alla gentilezza del robot, ma si divincolò subito dalla sua presa, imbarazzato.
<< Ora eseguirò uno scan. >>
<< Non provarci nemmeno! >>
<< Scan completato. >>
<< E' incredibile... >>
Non aveva neanche fatto in tempo a impedirgli di scansionarlo che Baymax aveva già provveduto a fargli un analisi più che accurata del suo organismo.
<< Non hai riportato alcuna lesione. Tuttavia, i tuoi livelli di ormoni e neurotrasmettitori indicano che sei soggetto a sbalzi d'umore, comuni nell'adolescenza. >>
 Hiro ascoltava in silenzio con uno sguardo di pura confusione. Sembrava che Baymax avesse preso le veci di uno strizzacervelli e lo stesse analizzando con una strana tecnica freudiana. Perchè gli stava riferendo la sua attività ormonale e neurale? Qual'era la conclusione di tutto ciò?
<< Diagnosi: pubertà. >>
<< Whoah, cosa?! >>
Baymax puntualizzò il suo resoconto, puntando un dito verso l'alto. Hiro non potè fare a meno di essere sopreso dall'inaspettata risposta del robot e sentì le guance accaldarsi. Quella discussione stava prendendo una piega molto strana. Tossicchiò, decidendosi a prendere la custodia del robot.
<< Va bene... Mmh... Ora puoi disattivarti! >>
Peccato che il robot non sembrava interessato al fatto che il suo "paziente" fosse chiaramente in imbarazzo.
<< Dovrai aspettarti un incremento pilifero. Specialmente sul volto, sotto le ascelle, sul petto, sulle gambe e... >>
<< Grazie! E' sufficiente! >>
Hiro sapeva bene quali fossero i vari stadi della pubescenza, e non aveva bisogno di sentirselo dire da un robot infermiere. Era meglio chiudere subito quella conversazione, prima che potesse degenerare!
Appoggiò la custodia di Baymax per terra e si arrampicò su di lui per tentare di farlo entrare nel piccolo spazio. L'automa, intanto, continuava ad elencare le varie caratteristiche tipiche del passaggio dall'età infantile all'adolescenza, tra cui l'urgenza di soddisfare alcuni impulsi strani e irrefrenabili. Hiro forzò le braccia, cercando di schiacciare Baymax per farlo entrare nella sua custodia, ma il vinile e l'aria compressa al suo interno gli rendevano la cosa estremamente difficile. Il risultato fu un inutile appiattimento del robot, che gli conferiva una forma grottesca.
<< Non posso disattivarmi finchè non mi dici che sei soddisfatto del trattamento. >>
Finalmente Baymax sembrò comprendere ciò che Hiro voleva davvero e gli rammentò il modo per disattivarlo.
<< Va bene! Sono soddisfatto del... Ah! >>
Si ritrovò a terra con un balzo dopo essere scivolato sopra Baymax. Sbuffò seccato, quando la sua attenzione venne attirata dalla felpa gettata sotto il suo letto. Sembrava esserci qualcosa nella sua tasca, qualcosa che si muoveva freneticamente. Hiro la prese e vi infilò la sua mano, tirando fuori il piccolo microbot che aveva usato per presentare il suo progetto alla fiera. Si ricordò d'un tratto di averlo rimesso in tasca una volta che Alister Krei gli aveva chiesto di poterlo vedere da vicino. La cosa strana era il modo in cui si muoveva. Sembrava un'ape impazzita.
<< Non capisco... Sono confuso. >>
<< Un pubescente che si affaccia alla maturità può capitare che abbia le idee confuse. >> Asserì Baymax, avvicinandosi a lui.
Hiro lo ignorò, posando il microbot in una piccola teca di vetro.
<< No. Questo qui è attratto dagli altri microbot, ma è impossibile. Sono andati distrutti nell'incendio... Forse è impazzito. >>
Lo osservò per un pò, prima di decidere di lasciar perdere, e recuperò il pezzo rotto del Megabot, sedendosi alla scrivania per ripararlo. Baymax, incuriosito dal piccolo bot, prese la teca dove Hiro lo aveva posato e ne seguì distintamente il movimento.
<< Il tuo piccolo robot cerca di andare da qualche parte. >> Informò, tenendolo tra le mani gommose.
<< Ah, si? Allora... Scopri dov'è diretto. >>
<< Questo stabilizzerebbe i tuoi sbalzi d'umore puberali? >>
<< A-ah, assolutamente si. >>
In realtà, era palese che Hiro non aveva il minimo interesse di sapere perchè il microbot si stesse comportando in quel modo. Riteneva certo che fosse rotto e che in realtà non stesse cercando nulla, nè tanto meno di condurli da qualche parte. D'altra parte, Baymax era solo un robot, non poteva essere così intelligente da aver capito dove voleva andare il minuscolo bot, sempre ammesso che volesse andare da qualche parte. Mentre stava avvitando uno dei ferretti che si era sganciato dal Megabot, il ragazzino sentì distintamente il campanello della porta della caffetteria, con tanto di porta chiusa al seguito. Alzò lo sguardo, sorpreso di non sentire più Baymax che gli parlava di continuo.
<< Uh... Baymax? Baymax? >>
Chiamò il nome del robot un paio di volte, cercandolo per la stanza. Quando capì che non c'era, la realizzazione lo urtò come un muro di mattoni. Si affacciò alla finestra per vedere Baymax camminare incurante in mezzo alla strada, rischiando di venire investito o di causare un incidente. I freni dei veicoli che per poco non lo avevano colpito in pieno stridevano fuiosamente sull'asfalto. Hiro urlò, si infilò in fretta le scarpe e la felpa e scese nella caffetteria per uscire e recuperare il robot. Il locale era di nuovo pieno, e molti clienti stavano ordinando o gustando le loro ordinazioni composte da caffè, cioccolata calda, muffin e crostate alla fragola. Appena Hiro fece per raggiungere la porta, zia Cass lo vide e lo fermò, sorpresa.
<< Hiro? >>
<< Eh-ehi, zia Cass! >>
<< Oh... Sei in piedi! >>
<< Già... Ehm... era arrivato il momento! >>
<< Vai a iscriverti all'università? >>
<< Ehm, si! Ho pensato al tuo discorso, è stato illuminante! >>
<< Oh, tesoro! E' fantastico! >>
Cass abbracciò forte il nipotino, un sorriso felice illuminava il suo viso. Hiro, invece, aveva una tremenda fretta di fuggire fuori per recuperare Baymax prima che fosse troppo tardi. Gettò uno sguardo con la coda dell'occhio fuori dalla porta vetrata del locale e vide distintamente il suo grosso corpo bianco girare l'angolo, concentrato a seguire la strada che il microbot gli stava indicando. Cercò di divincolarsi delicatamente da lei, che nel frattempo elencava la spesa che avrebbe fatto per preparare la cena.
<< Allora stasera preparo le ali di pollo! Quelle piccanti, che ti fanno fare le facce buffe! >> Esclamò contenta, facendo una smorfia.
<< Ok, non vedo l'ora! >> Tagliò corto Hiro.
<< Ultimo abbraccio! >>
La donna lo strinse di nuovo a sè, prima di lasciarlo andare con un sorriso malinconico. Il ragazzino si precipitò fuori, scontrandosi con il traffico e il rumore che ormai era diventato soltanto un suono attutito dalla finestra della sua camera. Svoltò l'angolo rischiando di cadere e riuscì a vedere Baymax che attraversava la strada, gli occhi neri fissi sul microbot, incurante dei camion, i motorini e le automobili che lo evitavano per un pelo o che frenavano bruscamente. Gli sguardi increduli della gente si soffermavano su quell'essere bianco e paffuto che camminava tranquillamente per la via.
Hiro chiamò il suo nome, ma sembrava che il robot non riuscisse a sentirlo. Fermato dal traffico, il ragazzino fece il giro largo del quartiere, ritrovandosi in una delle vie centrali. Si guardò intorno, cercando Baymax con lo sguardo quando lo notò serenamente appostato su un tram che percorreva la strada principale. Cercò di seguirlo, ma al suo passaggio i semafori scattarono con il verde, permettendo ai veicoli di ripartire e per poco non venne investito da un'auto. Raggiunto il tram, che si era finalmente fermato, Hiro notò che Baymax non c'era più. Attraversò un vicoletto che si estendeva dalla piazza ai quartieri commerciali. Quella zona era sempre affollatissima, la gente camminava stretta e a pochi passi di distanza come formiche laboriose.
Hiro intravide Baymax girare l'angolo di un vicolo più stretto. Cercò di raggiungerlo, facendosi strada tra le persone.
Odiava le folle, era uno dei motivi per cui non usciva spesso di casa! Il disordine inadatto che tutta quella gente procurava senza scopo, ma quasi intenzionalmente lo aveva sempre irritato.
Riuscì ad insinuarsi nella stradina imboccata dal robot poco prima e si fermò un'istante, guardando in tutte le direzioni prima di vederlo di nuovo. Corse nella direzione in cui andava, ma scivolò su uno scatolo ancora umido di sushi lasciato per terra. Si rimise in piedi e tornò ad inseguirlo, incurante della botta che aveva preso alla schiena.
Finalmente lo raggiunse. Baymax stava in piedi davanti ad un magazzino abbandonato. Il legno con cui era stato costruito era ormai marcito, e nella recinzione che lo isolava dal terreno al di fuori di esso erano cresciute erbacce e piante infestanti. Le finestre erano ridotte a semplici fori, alcuni dei vetri erano andati in frantumi.
<< Baymax! Sei impazzito! Che stai facendo?! >> Chiese Hiro, raggiuggendo il robot.
Si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato. Quella corsa lo aveva distrutto, e aveva un dispersato bisogno di ossigeno nei polmoni brucianti.
<< Ho scoperto dove vuole andare il tuo piccolo robot. >> Affermò Baymax, con la sua solita pacatezza elettronica.
<< Te l'ho detto, non funziona! Non sta cercan... do...? >>
Hiro prese la piccola teca di vetro in cui era conservato il microbot dalle mani di Baymax e si rese conto di cosa il robot volesse dire. Il piccolo bot ora non faceva più movimenti sconnessi, ma sembrava seguire una direzione precisa. L'entrata del magazzino. Hiro si avvicinò al portone in acciaio, ma constatò subito che era chiuso a causa di una spessa catena avvolta intorno alle maniglie che culminava in un lucchetto di bronzo.
Non c'era modo di entrare.
<< Lì c'è una finestra. >> Notò Baymax, guardando in alto.
Effettivamente ad una delle finestre più basse mancava la vetrata inferiore. Ma per Hiro era comunque troppo alta. Baymax si offrì volontario per aiutarlo, permettendogli di arrampicarsi sul suo corpo per raggiungerne il davanzale scrostato. Il ragazzino non ascoltò ciò che il robot aveva da dire riguardo alla caduta da quella altezza, troppo concentrato a spiare l'interno della struttura in rovina. Dentro era buio e sembrava non ci fosse nessuno. Hiro si tirò su e strisciò per un po' sul pavimento prima di tirarsi su.
Il magazzino sembrava molto vasto, seppur completamente vuoto. Varie rampe di scale di ferro si estendevano lungo il perimetro dell'edificio e alcuni attrezzi erano stati abbandonati lì. Pezzi di vetro erano caduti dalle finestre e alcune travi di legno erano collassate, corrose dall'acqua e dall'umidità. Era una visione davvero spettrale, constatò Hiro, quando un rumore soffuso simile ad un palloncino che urta una parete ruvida lo costrinse a voltarsi.
<< Oh no. >>
Baymax aveva cercato di seguire Hiro e nel farlo si era incastrato nello spazio libero della finestra.
<< Shh! >> Fece lui, preoccupato che qualcuno potesse sentirli.
<< Perdonami. >> Disse il robot, puntando il dito verso l'alto. << Devo espellere un pò d'aria. >>
Appena finì di dirlo, cominciò a sgonfiarsi producendo l'esatto suono di un palloncino pieno d'aria che viene sgonfiato lentamente, con un rumore simile ad una pernacchia. La lentezza con cui Baymax si riduceva prese la forma invisibile di almeno un minuto di tempo, in cui Hiro non riuscì a fare nulla se non fissarlo allibito, e allo stesso tempo con il cuore in gola semmai qualcuno li avesse sentiti.
<< Hai finito? >>
<< ... Si. >>
Baymax cadde floscio sul pavimento e Hiro lo aiutò ad entrare, trascinandolo per la braccia ormai molli.
<< Mi ci vorrà solo un minuto per rigonfiarmi. >>
<< Va bene, ma non fare rumore. >>
Il ragazzino prese in mano la teca con il microbot e lo seguì giù per le scale, facendo attenzione ai gradini mancanti e a quelli distrutti. Arrivò al piano terra, notando quella che sembrava un piccolo bunker di vetro granulato proprio al centro del magazzino, da cui riuscì a distinguere delle strane sagome in movimento. Hiro deglutì, afferrando una scopa appoggiata al pilastro accanto a lui. Trasse un respiro profondo e decise di avvicinarsi un po' di più.
Sentiva il cuore battere all'impazzata per la paura. Qualunque cosa ci fosse in quel bunker, non era lì per caso. Quel magazzino sembrava abbandonato da molto tempo, perchè qualcuno avrebbe dovuto lavorare lì? E se avesse visto qualcosa che non doveva vedere? Se si fosse trovato immischiato in una faccenda losca da cui non sarebbe più potuto uscire?
Era tutto così tranquillo e silenzioso. Troppo tranquillo. Si sentiva osservato, come se ci fossero mille occhi nell'oscurità rivolti verso di lui.
Quella scopa sicuramente non sarebbe bastata a proteggerlo, ma era meglio di niente.
Avvicinò il viso al vetro granulato del bunker e riuscì a intravedere quelli che sembravano due braccia meccaniche impegnate a lavorare, sembrava che stessero producendo qualcosa. Un leggero suono metallico proveniente da appena fuori la piccola struttura lo condusse verso un nastro trasportatore di cuoio verde, da cui fuoriuscivano piccole scheggie di ferro nero che affondavano in un barile pieno.
Hiro li riconobbe subito. Sgranò gli occhi, affondando le mani in quella marmaglia nera come il petrolio e fredda come un cadavere.
<< I miei microbot...? >>
Alzò lo sguardo confuso davanti a lui, riconoscendo moltissimi altri barili di quel tipo. Tutti pieni di microbot.
<< E sono anche un bel pò... >>
I suoi occhi nocciola caddero su un'enorme lavagna appesa ad una parete alla sua destra, su cui erano incollati quelli che sembravano vari ritagli di giornale di qualche anno prima, articoli di vecchie riviste scientifiche e fogli con calcoli e formule. Al centro, un disegno di una rondine faceva capolino tra la confusione di quei pezzi di carta, posando sovrana su una mappa di tutta la città di San Fransokyo.
Gli occhi di Hiro seguirono un sottile filo rosso che correva dall'angolo della lavagna ai vari fogli lì appesi, culminando in uno dei luoghi della cartina.
Forse era meglio andarsene, pensò. Aveva una brutta sensazione. Sembrava che qualcosa di macabro fosse in procinto di accadere, ma per qualche strana ragione non riusciva a non essere curioso di quello che stava scoprendo.
<< Hiro. >>
<< Ah!! >>
Sussultò spaventato, una mano sul cuore che batteva furiosamente. Baymax lo guardava con i suoi occhi neri, incurante del fatto che lo avesse appena terrorizzato a morte. Il silenzio e la suspense gli avevano messo addosso così tanta tensione che si era completamente dimenticato del robot.
<< Mi è venuto un infarto! >>
<< Le mie mani hanno la funzione defibrillatore. Libera. >> Baymax si strofinò le mani, che si illuminarono di un vivace colore blu elettrico, e le avvicinò ad Hiro.
<< Fermo! E' solo un modo di dire! >>
Un rumore viscido e insidioso ma terribilmente familiare arrivò alle sue orecchie, costringendolo a voltarsi lentamente.
<< Oh no. >>
Baymax rivolse lo sguardo appena sopra di lui, indicando la fonte di quel macabro suono. I microbot che giacevano nei vari barili avevano tutti preso vita, creando un'altissima e pericolosa muraglia nera e informe. Hiro gridò, correndo verso l'uscita, quando si accorse che Baymax era decisamente troppo lento per seguirlo come avrebbe dovuto. Camminava tranquillamente, ignaro del pericolo che correva.
<< Oh, andiamo! >>
<< Io non sono veloce. >>
<< Già, me ne sono accorto! >>
Tornò indietro e lo afferrò per il braccio, trascinandolo via con sè il più veloce possibile. Cercò di aprire il portone del magazzino con un calcio, ma si ricordò troppo tardi che era chiuso a chiave. E lui era troppo mingherlino per poterla abbattere. Con il respiro mozzato per la paura, supplicò Baymax con lo sguardo di aiutarlo.
<< Buttala giù! >>
Baymax alzò una gambetta di vinile e urtò gentilmente la superficie annerita della porta.
<< Prendila a pugni! >>
Chiuse la mano gommosa a pugno e di nuovò toccò appena il portone, rimbalzando delicatamente. Hiro urlò frustrato. Dietro di loro, i microbot si avvicinavano velocemente, come un'onda furiosa in procinto di travolgerli. Il ragazzino prese Baymax e lo spinse davanti a lui, costringendolo a correre. Si infilarono in corridoi stretti e il robot sbattè imperterrito contro varie tubature. Hiro lo spinse lungo uno stanzino strettissimo per il robot, che si contrasse, sfregando la superficie ruvida con un fastidioso rumore. Una volta usciti da quello spazio ristretto, il ragazzino provò a chiudere il portello, ma vennero entrambi spinti via violentemente dall'ondata di microbot che riuscì a spezzare completamente quella porta di ferro.
Caddero supini sopra una grata arrugginita e Hiro riconobbe subito uno dei condotti di scarico ormai inutilizzati.
<< Forza, muoviamoci! >>
Spinse Baymax nel condotto, strisciando sul pavimento di acciaio freddo mentre l'istinto di sopravvivenza prendeva lentamente il sopravvento sulla paura di essere fatto a pezzi dall'orda di microbot che li inseguiva inarrestabile. Il suono tetro dei piccoli bot sul ferro lo fece rabbrividire. Sembravano tanti piccoli scarafaggi che morivano dalla voglia di cibarsi del suo corpo. Arrivò ad un bivio e seguì la luce emanata da una delle grate rimaste aperte, alla sua sinistra.
Seguì il sentiero e fu fuori, tirando via anche Baymax. Corsero per raggiungere le scale, quando un'improvviso sbalzo verso l'alto li catapultò violentemente in aria. Hiro lanciò un grido soffocato. Si schiantarono contro una piattaforma al piano superiore, e il ragazzino avvertì lo stomaco contrarsi violentemente all'urto. Un dolore lancinante colpì la pancia magra e i muscoli delle braccia. A niente era servito il tentativo di Baymax di attutire il tonfo, avvolgendogli le spalle con il suo braccio gonfiabile.
Qualcosa non quadra, pensò Hiro. I microbot non potevano semplicemente aver preso vita. Il suo trasmettitore neurale che aveva usato per controllarli alla presentazione era rimasto nell'edificio che aveva preso fuoco. Ma se i microbot erano stati portati via da qualcuno, allora anche il neurotrasmettitore era stato messo in salvo. O meglio, finito nelle mani di qualcuno che sapeva bene come usarlo e stava controllando i microbot per ucciderlo.
Aprì gli occhi e il suo sguardo si scontrò con una sagoma nera in fondo al ponte.
Un tenue raggio di sole pallido illuminava la figura che stava dritta in piedi, in silenzio, le mani coperte da guanti neri che controllavano i movimenti dei piccoli bot.
Hiro osservò meglio il suo volto. Aveva qualcosa di strano. La sua faccia non era... umana.
Gli occhi gialli privi di iridi, lacrime di sangue che fuoriuscivano dalle orbite e un volto pallido come il viso di un fantasma.
Una maschera. Chiunque fosse quella persona, indossava una maschera kabuki.
Sembrava un demone, un incubo che tormenta i sogni e la mente nel cuore della notte, rifugiandosi nelle tenebre più nere.
Si diresse verso Hiro con improvvisa velocità, costringendo il ragazzino a rimettersi in piedi e a dirigersi verso la finestra da cui erano entrati. Spinse Baymax davanti a lui e lo forzò ad uscire, ma il robot rimase incastrato. Hiro si voltò verso il loro inseguitore, che avanzava sempre più minaccioso. Dietro di lui, i microbot si estendevano come un nido di serpi brulicante di pericolo.
<< Avanti, sgonfiati! >> Ordinò a Baymax, cercando di spingerlo giù, ma la forza che ci mise questa volta fu troppa e in un attimo si ritrovò sospeso nel vuoto, aggrappato alla gamba del robot. All'improvviso, una forte spinta dall'interno li catapultò nell'aria, rischiando di farli schiantare al suolo. Tutto rallentò in quel momento. Hiro vide il cielo terso sopra di lui, e quasi non riusciva a credere che quella poteva essere l'ultima cosa che vedeva. Nessuno avrebbe saputo dove trovarlo, nessuno avrebbe saputo chi lo aveva spinto giù. 
Poi intorno a lui, due braccia morbide e sicure lo strinsero, schiacciandolo delicatamente contro un letto soffice. L'aria fredda che gli aveva sferzato il viso si arrestò per un attimo, diventando calda e rassicurante.
Come una coperta di lana in una notte d'inverno, una pezza fresca sulla fronte accaldata dalla febbre.
Hiro avvertì Baymax proteggerlo mentre cadevano giù. Per un attimo, si sentì al sicuro. Quasi non sembrava che di lì a poco si sarebbero schiantati al suolo.
L'atterraggio fu, però, più morbido del previsto. Baymax rimbalzò su se stesso e finì a terra, lasciando finalmente andare Hiro, che si ritrovò seduto sul pavimento fuori dal magazzino. Il piccolo guardò il robot per un attimo, indeciso su cosa fare. Avrebbe dovuto ringraziarlo per avergli salvato la vita, ma quando il suo sguardo volò sulla finestra da dove erano usciti, i suoi pensieri si congelarono.
Il fantasma in nero era ancora lì, gli occhi gialli scrutavano il ragazzino senza alcuna pietà o rimorso per ciò che aveva tentato di fare.
Hiro si alzò in piedi e aiutò Baymax a mettersi su.
<< Forza, andiamo via! Subito! >>
Corsero via, lasciandosi alle spalle il magazzino abbandonato. Il fantasma scomparve.

______________________________________________________________________________________________________________________________

Sono tornati gli angoli dell'autrice!
Ebbene, niente di nuovo qui. O forse si? Devo essere sincera, questo è stato uno dei capitoli più difficili da scrivere, perchè c'è così tanto movimento che per un attimo non ero sicura di poter stare dietro a tutta questa frenesia. Ma questo è anche uno dei motivi per cui amo Big Hero 6 quindi, touchè, film.
Io come al solito ringrazio tutte le persone che stanno leggendo questa storia, Emmydreamer_love2004, fenris e Emmett Brown per le recensioni e noi ci vediamo ad un prossimo capitolo. (-semicit.)

LittleBloodyGirl

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Uno della famiglia ***


<< Vediamo se ho capito bene. Un uomo con una maschera kabuki vi ha aggrediti con dei robot volanti in miniatura? >>
<< Microbot! >>
<< Microbot... >>
Il poliziotto che stava prendendo informazioni riguardo alla denuncia appena fatta da Hiro appariva più annoiato del solito. Pigiava lentamente i pulsanti della tastiera per scrivere il referto, ma dal suo sguardo sembrava che avesse appena sentito una vecchia barzelletta che non faceva più ridere. A volte, degnava di uno sguardo la piccola teca tra le mani del ragazzino davanti a lui, senza chiedersi che cosa contenesse.
<< Li controllava telepaticamente attraverso un trasmettitore neurale. >>
<< Quindi l'uomo mascherato ha usato la telepatìa per sferrare un attacco a te e all"uomo palla"? >>
Nel frattempo, Baymax staccò un pezzo di nastro adesivo che si trovava sulla scrivania dell'ufficio di polizia e cominciò a rigonfiare tranquillamente il suo braccio destro, che si era sgonfiato per attutire la caduta dalla finestra del magazzino. Un fastidioso fischio fuoriuscì dai fori del vinile, diventando sempre più acuto man mano che il robot li tappava. Il tutto con una tremenda lentezza che rendeva l'azione di tappare quei buchi la cosa più soddisfacente dell'universo! Una volta finito, Hiro non fece neanche in tempo a tirare un sospiro di sollievo che Baymax gonfiò anche l'altro braccio, ripetendo esattamente la stessa scena di prima.
Il poliziotto, vagamente rassegnato, avvicinò al robot il nastro adesivo che era ormai quasi finito.
<< Tu hai sporto denuncia quando ti hanno rubato i tuoi robot volanti? >>
<< No, credevo si fossero distrutti! >> Esclamò il ragazzino, frustrato.
Si passò le dita tra i capelli, sfregando involontariamente la fronte. Come faceva a fargli capire che non stava scherzando? Certo, non era una storia che si sentiva tutti i giorni, ma era sicuro di quello che aveva visto e adesso doveva solo cercare di convincere l'agente che non lo stava prendendo in giro. Purtroppo, non aveva prove che potessero dimostrare che cosa era successo in quel magazzino. Sarebbero servite delle fotografie, dei video...
Forse Baymax aveva ripreso il tizio mascherato! Dopotutto, era un robot. E i robot sono programmati anche per registrare e conservare dati di quello che vedono!
<< Senta, lo so che sembra assurdo, ma Baymax ha visto tutto! >>
L'ennesimo sguardo disinteressato da parte dell'anziano poliziotto lo costrinse a supplicare il robot di aiutarlo.
<< Diglielo, Baymax! >>
<< Si, agente. Dice la veritàà... Aaaah... Uuuoooh... >>
La testa di Baymax schioccò velocemente di lato e il suo corpo morbido cominciò ad afflosciarsi come un palloncino sgonfio, mentre la sua voce si distorceva in modo inquietante.
<< Ma che... Che ti succede? >>
<< Batteria scuaaricauuu... >>
L'agente, nel frattempo, osservava la bizzarra scena con la stessa emozione di qualcuno che ha appena guardato una noiosa telenovela. Il robot bianco cominciò ad emettere strani suoni gutturali e a muoversi come un ubriaco, flaccido e debole. Erano anni che diceva di voler andare in pensione solo per non dover più avere a che fare con ragazzini che facevano finta di denunciare solo per il gusto di prendere in giro la polizia. Ne aveva viste di tutti i colori e quello spettacolo non era niente di nuovo per lui. L'unica cosa che non aveva ancora visto era un robot gonfiabile che usava le sue braccia come piffero e che faceva l'ubriacone quando la sua batteria si scaricava.
Adesso poteva dire di aver davvero visto tutto.
<< Giovanotto, io chiamerei i tuoi genitori e li farei venire qui. >>
<< Cosa? >>
Hiro intanto cercava di sostenere Baymax che non ce la faceva nemmeno a reggersi in piedi. Quando l'agente gli fece quella proposta, l'unica cosa che capì fu che doveva andarsene da lì il prima possibile. Non solo era orfano, ma non voleva nemmeno un'altra tirata d'orecchie da zia Cass che si sarebbe sicuramente preoccupata più del solito se l'avessero chiamata in centrale. Si appoggiò il robot sulle spalle mingherline e corse dritto verso l'uscita, lasciando che Baymax si tirasse dietro il nastro adesivo dalla scrivania dell'ufficio.
<< Devo riportarti a casa per ricaricarti. >>
<< Hic! >>
<< ... Puoi camminare? >>
<< Ora eseguirò uno scan- scan completato- Hic! Qual'è-il-problema? >>
(•—•) 

Riportare a casa un Baymax scarico equivalse al riportare a casa una persona che aveva bevuto un po' troppo. Nonostante lo scheletro in fibra di carbonio fosse leggero, il peso del vinile si poteva sentire tutto e trascinarlo sulle spalle senza dare nell'occhio si era rivelata un'impresa praticamente impossibile. Ogni persona che aveva incontrato per strada gli aveva rivolto uno sguardo confuso, disgustato e sorpreso. Ci si erano messi anche i bambini più piccoli che volevano toccare Baymax a tutti i costi.
La questura era dall'altra parte del quartiere in cui Hiro abitava, e con l'automa scarico che lo rallentava ci vollero quasi due ore per arrivare. Il ragazzino aprì silenziosamente la porta sul retro e si mosse con passo felpato per non farsi sentire dalla zia. Baymax lo seguì goffamente e si spostò di lato, muovendosi come una marionetta bagnata. Hiro lo riportò in equilibrio, voltandolo verso di lui in modo che potesse rivolgergli la poca attenzione che aveva.
<< Ok. Se mia zia fa domande, siamo stati a scuola tutto il giorno, chiaro? >>
<< Siamo saltati giù da una finestra! >>
La voce improvvisamente squillante costrinse Hiro a sussultare e a mettere istintivamente una mano lì dove avrebbe dovuto trovarsi una bocca che ovviamente non esisteva.
<< Shh! Silenzio! >>
<< Ssshiamo saltati giù da una finestraaaa... >> Sussurrò poi, il robot.
<< Non puoi dire una cosa del genere a zia Cass! Sssh. >>
<< Sssshh. >>
Baymax non sembrava scarico, ma letteralmente ubriaco. Non riusciva a comprendere quello che Hiro voleva fargli capire e se zia Cass li avesse scoperti, sarebbe stato difficile spiegare perchè quel robot continuava a dire di essere precipitati giù da una finestra senza destare sospetti. Doveva portare Baymax in stanza senza che la donna se ne accorgesse, ma si rivelò più complicato del previsto. Hiro salì silenziosamente le scale che portavano all'appartamento e quando Baymax tentò di fare lo stesso cadde con la testa sul gradino, provocando un rumore fortissimo.
<< Hiro? Sei tu, tesoro? >> Esclamò zia Cass dal piano di sopra.
<< Uh... S-si, esatto! >>
Ovviamente si era accorta della sua presenza. Adesso Hiro non poteva più far finta di niente. Doveva assolutamente evitare che la zia vedesse Baymax e apprendesse quello che era successo in quella giornata. Salì le scale per arrivare alla cucina, cercando di avere un'aria il più possibile tranquilla e sincera. Si costrinse a sorridere quando la zia lo vide.
<< Mi era sembrato di sentirti. Ciao! >>
<< Ciao, zia Cass...! >>
<< Oh, guarda il mio ometto universitario! Voglio che mi racconti tutto! Le alette sono quasi pronte. >> Disse la donna, voltandosi verso i fornelli per rosolare meglio la carne.
Baymax apparve da sotto le scale, squillando come una tromba rotta e Hiro fu costretto a spingerlo giù prima che Cass lo vedesse.
Per fortuna, tutto quello che la donna fece fu imitare il verso di Baymax pensando che fosse il nipote, eccitato per la sua cena preferita. Il ragazzino ne approfittò per cercare di portare il robot in camera, e dopo una giravolta che si stava quasi trasformando in una brutta caduta giù per le scale, finalmente riuscì a spingerlo al piano di sopra.
Riuscì a salire e a tornare giù appena in tempo, prima che la donna si accorgesse della sua assenza. Fece un sorriso a trentadue denti molto poco convincente, dondolandosi sulle caviglie magre. Le mani strette a pugno sospese appena sopra i fianchi e la testa affondata nelle spalle.
Per quanto gli dispiacesse, non aveva proprio il tempo di stare lì a chiacchierare con zia Cass quando al piano di sopra c'era Baymax da ricaricare prima che succedesse un pasticcio.
<< La verità è che, dato che mi sono iscritto in ritardo... Ho un sacco di materie da recuperare... >>
Un tonfo improvviso dalla camera da letto lo fece sobbalzare.
<< Che è stato? >> Chiese Cass, sospettosa.
<< ... Mochi! Oh, gattaccio cattivo! >> Esclamò lui, schioccando le dita quando avvertì uno strano calore sulle caviglie.
Abbassò lo sguardo per incontrare Mochi che si sfregava affettuosamente sui suoi piedi. Fortunatamente, Cass non lo aveva notato e Hiro fece appena in tempo a lanciare sopra il gatto prima che gli facesse saltare la copertura. Mochi miagolò, sentendosi tradito dal gesto del padroncino.
<< Almeno portati su qualcosa. >> Disse Cass, preparandogli un piatto di ali di pollo e patatine fritte. << Non studiare troppo. >>
<< Grazie per la comprensione! >>
Hiro afferrò il piatto e corse in camera, lasciando la donna da sola nel mezzo di una tavola apparecchiata per due. Fece spallucce. Le dispiaceva che il nipote non si fosse fermato a cena neanche un istante. Quella poteva essere una buona occasione per cercare di tornare alla normalità, almeno Hiro e lei. Ma la donna sapeva che lui aveva ancora bisogno di tempo per superare quanto era successo. Per lei, dopotutto, era stato lo stesso. Guardò il vassoio pieno di carne, il piatto di patatine fritte ricoperte di burro e la ciotola piena di insalata. Si chiese se non avesse preparato un po' troppo per tutti e due.
Sospirò, cercando di pensare a quanto potesse essere positivo per il nipote aver finalmente cominciato il college. Si sarebbe distratto, e avrebbe ricominciato a scendere a mangiare e parlare con lei.
Era solo questione di tempo.
 (•—•)

Hiro non potè fare a meno di sorprendersi alla vista di Baymax che coccolava Mochi, chiamandolo "bimbo peloso" con la voce languida. Quando il gatto lo vide, sparì al piano di sotto rivolgendogli uno sguardo truce. Il ragazzino posò la sua cena sulla mensola e prese sotto braccio il robot che stava appoggiato malamente al muro, guidandolo verso la sua custodia.
<< Ok, mettiamoti in carica. >>
<< Per la salute-il tuo personale-Baymax-operatore...>>
<< Un piede alla volta. >>
Baymax riuscì ad infilare nella base la gamba di vinile dopo qualche tentativo, poi l'altra e finalmente riuscì a stabilizzarsi. La spia della batteria si accese sul fondo della custodia, indicando la carica di energia e il robot ricominciò lentamente a gonfiarsi. Hiro sospirò, gettandosi sul letto. Prese il microbot dalla tasca della felpa e lo guardò amareggiato.
<< Tutto questo non ha senso... >>
Che cosa stava succedendo? Improvvisamente i suoi microbot erano al sicuro, custoditi da qualcuno che li stava usando per uno scopo a lui sconosciuto. Ripensò al modo in cui si erano sollevati dai barili e avevano attaccato lui e Baymax; un fluido nero e inconcreto, informe, oscuro come una notte senza stelle che aveva il solo ordine di ucciderli.
Ripensò all'uomo con la maschera kabuki che sembrava essere in controllo dei microbot. Doveva avere lui il trasmettitore neurale, o doveva averne fabbricato uno con le proprie mani.
Ripensò a quella maschera, tetra e cupa, nell'ombra del magazzino.
Le maschere kabuki sono delle tradizionali maschere usate nel teatro giapponese, e servono a identificare la parte di ogni attore sulla scena. Le loro particolarità sono il tratto e il disegno da cui sono composte, che possono rappresentare un angelo o un demone. La maschera che il tizio indossava era certamente quella di uno yokai, un demone, un fantasma. Un brutto personaggio, insomma.
Ma perchè mascherarsi in quel modo e rubare la sua creazione, che cosa stava cercando di ottenere? E ora che aveva visto Hiro, lo avrebbe forse cercato per ucciderlo e tappargli definitivamente la bocca?
Non che la cosa potesse servire a molto dato che l'agente alla questura non gli aveva creduto. Effettivamente, era stata una scena così surreale che anche lui avrebbe avuto dei dubbi se non lo avesse visto con i propri occhi. Adagiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi. Quella situazione era così frustrante, si sentiva così solo...
<< Tadashi... >>
Le sue palpebre si sollevarono di scatto alla voce silenziosa di Baymax. Si tirò su a sedere, guardando confuso il robot.
<< Cosa? >>
<< Tadashi... >>
Seguì il suo sguardo e i suoi occhi finirono dall'altro lato della stanza. Il lato diviso da un paravento di carta di riso semi-aperto, dall'aspetto curato, ordinato, vuoto. Il lato di Tadashi.
Sul letto perfettamente rifatto, illuminato da un tenue raggio di luna riposava ancora il suo berretto, lasciato lì fin dal giorno del funerale. Scontrarsi con quella visione per Hiro fu più doloroso del previsto. Erano successe così tante cose in quella giornata che si era quasi dimenticato dell'assenza di suo fratello. Ingoiò il groppo che si era formato nella sua gola al ricordo duro e improvviso di quello che era successo, e scese dal letto per andare a chiudere il paravento.
<< Tadashi se n'è andato... >>
<< Quando tornerà? >>
<< E' morto, Baymax. >>
Hiro sospirò. Una profonda tristezza scese sul suo viso come un velo di seta nera, mentre le sue mani si aggrappavano debolmente al bordo del paravento appena richiuso.
Serrò gli occhi, cercando di sparire per un istante. Quante volte aveva pensato che quello fosse solo un brutto sogno, un incubo che stava durando più del solito e che presto si sarebbe svegliato, ritrovando Tadashi nel suo letto che dormiva, o magari sdraiato insieme a lui per aiutarlo a dormire meglio. Ma ogni mattino era sempre la stessa cosa. Lui era nel suo letto, da solo, caduto nel sonno dopo una notte passata a non dormire. E Tadashi non c'era.
Tadashi non c'era più.
<< Tadashi era in ottima salute. >> Constatò Baymax, con un vago tono di sorpresa. << Con una dieta equilibrata e frequente esercizio avrebbe dovuto vivere a lungo. >>
<< Già. Avrebbe dovuto... C'è stato un incendio e... Lui non c'è più. >>
Chiaramente, Baymax non aveva scritto nel suo codice il concetto di fatalità e sentire quella diagnosi sulla salute di suo fratello rese Hiro ancora più triste.
Se Tadashi stava bene, perchè era morto?
Era giovane, aveva ancora un'intera vita davanti. Perchè se n'era andato così in fretta?
Hiro se l'era chiesto molte volte e ogni volta diventava sempre più doloroso pensarci. Gli sembrava di affogare, di andare sempre più giù in un abisso di disperazione che gli riservava solo qualche falsa speranza che poi si rivelava soltanto l'ennesima onda travolgente. A niente servivano gli sguardi di compassione, le carezze, gli abbracci delle persone. Le belle parole che gli rivolgevano erano soltanto menzogne, bugie, stupide favole dette da chi non può comprendere quel tipo di dolore.
Il robot rimase in silenzio, registrando le parole del ragazzino. C'era qualcosa di inspiegabile in quella frase, che lui non riusciva a comprendere.
Per quel che lo riguardava, lui sapeva che Tadashi era presente, in qualche modo.
<< Tadashi è qui. >> Disse, abbassando leggermente la testa.
<< No! >> Lo interruppe Hiro, gettandosi sulla sedia. << Tutti dicono che in realtà non se n'è andato, e che vive nei ricordi... >>
Enfatizzò quelle ultime parole con triste sarcasmo. Le aveva sentite milioni di volte, così tanto che ormai non significavano più nulla per lui. Anzi, gli procuravano solo fastidio e rabbia. Sbuffò, sfiorando la base della lampada sulla scrivania.
<< Fa un male cane... >>
<< Non vedo segni di lesioni fisiche. >>
<< E' un altro genere di dolore. >>
Baymax non riusciva a capire. Hiro era chiaramente in pena, ma non sembrava avere alcuna ferita sul suo corpo. Dunque, dove si trovava quella ferita? Quale parte del corpo gli faceva male? Si spostò dalla custodia una volta finito di ricaricarsi, avvicinandosi un po' di più al ragazzino. Non riusciva a vederlo in faccia poichè era girato dall'altra parte, ma poteva capire che non era affatto felice.
<< Sei mio paziente. Io vorrei aiutarti. >> Disse gentilmente.
<< Non esiste una cura per questo... >> Mormorò Hiro, un sorriso amaro sulle labbra sottili.
Lo pensava davvero, non esisteva alcuna cura per un dolore come il suo. Era un dolore che veniva dal cuore, privo di origine e di fine, privo di identità e pietà. Una scheggia piena di sabbia di una clessidra spezzata a metà, il cui solo scopo era quello di infettare maggiormente quella ferita già sanguinante.
Un suono flebile gli arrivò alle orecchie e lo costrinse a voltarsi, solo per vedere Baymax appoggiato allo schermo del computer che mostrava in un rapidissimo slideshow varie opere mediche e psicologiche di cui il ragazzino non riusciva a leggere i nomi.
<< Uh... Che cosa fai? >>
<< Sto scaricando un database sulle perdite in famiglia. Database scaricato. >> Disse, rimuovendo la mano gommosa dal computer.
<< In casi simili, il paziente ha bisogno di svago e rapporti con amici e persone care. Li sto contattando ora. >>
Quando Baymax spinse leggermente in avanti il pancione bianco, che si illuminò mostrando i volti di Wasabi, Gogo, Honey Lemon e Fred, Hiro si precipitò verso di lui come se potesse in qualche modo fermare quella chiamata automatica da parte del robot.
Come faceva a spiegargli che non aveva alcuna voglia di vedere gente? Che non si sentiva a suo agio in mezzo a persone come loro, che lo guardavano con tristezza e compassione ogni volta che lo andavano a trovare?  Come faceva a spiegargli che loro non erano suoi amici, ma amici di Tadashi, e che qualsiasi cosa avessero fatto per lui sarebbe sempre stato un debito verso suo fratello?
<< No, no, no! Non farlo! >>
<< Ho contattato i tuoi amici. >>
<< E' incredibile! >>
Alzò gli occhi al cielo, visibilmente irritato per il gesto di Baymax. Ma non fece in tempo a formulare un insulto decente nei suoi confronti quando sentì le grosse e morbide braccia del robot stringerlo a lui, in un delicato quanto goffo tentativo di abbracciarlo.
<< E ora che fai?! >>
<< Altre terapie includono rassicurazione e affetto reciproco. >>
Hiro non potè fare a meno di sorridere sentendo la giustificazione laconica di Baymax che gli diede delle piccole pacche sulla testa. Il suo sguardo si perse per un attimo, così come il suo corpo tra il calore procurato da quell'abbraccio. Ogni volta che era successo qualcosa a scuola, da piccolo, o quando era preoccupato o qualcosa non andava, Tadashi aveva sempre avuto l'abitudine di sorprenderlo a stringerlo forte contro di lui, prima che Hiro potesse ribellarsi. Appariva da dietro e lo imprigionava tra le sue braccia, sfregando il volto contro la chioma corvina del ragazzino, rassicurandolo.
<< Vedrai che passerà. Su, su. >>
<< Grazie, Baymax. >> Disse Hiro, staccandosi dall'abbraccio.
<< Mi dispiace per tuo fratello. >> Confessò il robot, piegando leggermente la testa rotonda verso destra.
<< Tranquillo, è stato un incidente. >>
I suoi occhi bassi catturarono nuovamente l'immagine desolata del paravento di carta che separava la parte di Tadashi dalla sua, vagando tra gli scaffali, le finestre, il letto, il microbot... Il microbot.
Un'improvvisa realizzazione colpì Hiro come una scarica elettrica, riportandolo al magazzino, all'ondata di microbot che aveva scoperto essersi salvati dall'incendio, all'uomo che li aveva attaccati e al suo volto coperto da quella maschera maledetta.
<< O forse non lo è stato...? >>
Le sue dita afferrarono delicatamente il minuscolo bot tra le mani, inducendolo a riflettere. Davanti ai suoi occhi, l'immagine della sera dell'incendio riapparve per un attimo, prima che le fiamme si condensassero in un unica e tetra figura; una figura dalla cornea gialla e le lacrime di sangue, pallido come un fantasma.
<< Alla presentazione... Quel tizio mascherato mi ha rubato i microbot! E con l'incendio ha nascosto le sue tracce. E' lui il responsabile della morte di Tadashi! >>
Tutto cominciava improvvisamente a quadrare, un disegno sfocato stava finalmente cominciando a prendere forma. Un disegno che sapeva di cenere e fuliggine, di calore e di rabbia.
L'uomo che avevano visto controllava certamente i microbot con il trasmettitore neurale, e nessuno che non fosse presente alla fiera poteva sapere del progetto di Hiro. Qualcuno aveva tramato alle sue spalle, aspettando il momento giusto per approfittarne e rubare i suoi microbot per qualche sporco affare. E chiunque fosse stato, si era portato via tra le fiamme il professore Callaghan e suo fratello Tadashi.
<< Dobbiamo catturare quel tizio. >>
Una scintilla di furia si accese negli occhi di Hiro.
Non appena avrebbe avuto tra le mani colui che gli aveva portato via Tadashi, gliel'avrebbe fatta pagare cara.

_________________________________________________________________________________________

Non sono sicura se questo capitolo serva effettivamente a qualcosa o no. Però è sempre necessaria un po' di calma prima della tempesta.
Ringrazio vivamente tutti coloro che stanno leggendo la storia e un salutone speciale a fenris e Emmydreamer_love2004 per le recensioni.

LittleBloodyGirl



 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Zona di pericolo ***


Hiro trascinò Baymax nel garage, facendo attenzione a non farsi beccare da zia Cass che guardava estasiata uno dei suoi film horror preferiti mentre coccolava Mochi, che le stava seduto in grembo facendo le fusa.
Il magazzino era il rifugio segreto del ragazzino. Lo aveva adibito a un vero e proprio laboratorio, con più di tre monitor giganti, la stampante 3D che gli era stata regalata per il suo undicesimo compleanno, la tastiera e lo schermo olografico e moltissimi chips usati per la registrazione di dati.
<< Se vogliamo catturare quel criminale, ti servirà un upgrade! >>
Prese uno degli scanner manuali sulla scrivania del magazzino e lo accese subito dopo aver piazzato Baymax di fronte ad una parete spoglia e avergli alzato le braccia gonfiabili a metà. Lo scannerizzò completamente, trasferendo i dati appena ottenuti su uno dei tanti computer presenti.
<< Catturare l'uomo mascherato migliorerà il tuo stato emotivo? >> Chiese il robot, con il suo solito tono gentile e curioso.
<< Assolutamente si! >>
L'immagine standard di Baymax venne trasferita sul desktop, e Hiro ne approfittò per scaricare un vecchio filmato di arti marziali e trasferirlo nel database del robot. L'immagine tridimensionale dell'automa gonfiabile venne presto messa in moto da acrobatiche mosse di kung-fu. Soddisfatto, si voltò verso Baymax, toccandogli la pancia gommosa con un dito.
<< E ora occupiamoci di questa! >>
Spinse con i piedi la sedia per ritrovarsi ad un altra scrivania dal lato opposto del garage, dove lo attendevano, già configurati, alcuni vecchi modelli di armature samurai. Gli bastò modellare apertamente l'ologramma del tipo di armatura che preferiva per ottenere un risultato che non vedeva l'ora di testare sul robot, che osservava il tutto incuriosito, seguendo Hiro da una parte all'altra della stanza mentre lui si muoveva.
La stampante 3D si rivelò ancora una volta molto utile. Scaricò l'immagine tridimensionale delle varie parti della divisa scelta, rivestendola in fibra di carbonio e modellandola in modo che potesse essere indossata da Baymax. Una volta terminato il processo, Hiro si appoggiò allo schienale della sedia, ammirando soddisfatto il risultato ottenuto. Baymax, davanti a lui,  era ora interamente rivestito da un armatura grigia, il pancione bianco completamente coperto da una spessa corazza di ferro e la testa protetta da un casco dello stesso colore della divisa.
<< Ho qualche inquietudine. >> Azzardò Baymax, osservando confuso il suo nuovo aspetto. << Questa armatura potrebbe compromettere il mio aspetto rassicurante e coccoloso. >>
<< E' più o meno questo l'obiettivo. Sei da paura! >>
<< Non dovrei far paura, ma curare la gente. >>
<< ... E' solo un modo di dire. >>
Un suono dal processore del computer avvisò Hiro del completamento del download di dati. Il ragazzino spinse la sedia verso la scrivania e ritirò dalla stampante il chip di un accentuato colore rosso, vi attaccò su un'etichetta nera e con un pennarello bianco vi disegnò sopra un piccolo teschio, a riconoscimento delle nuove capacità di combattimento del robot. Una volta finito, si alzò dalla sedia e si avvicinò a Baymax, premendo delicatamente il dito sul portello d'acceso del robot per inserire la scheda dati.
Poco prima di infilarla, il chip originale di Tadashi fuoriuscì dal suo ingresso.
Un velo di profonda tristezza mascherò la sua adrenalina alla vista dell'oggetto. Il bel colore verde smeraldo gli ricordò la prima volta che suo fratello gli aveva mostrato Baymax.
Era stato così orgoglioso quel giorno... Il solo vedere la sua calligrafia sull'etichetta equivalse a ricevere un pugno allo stomaco.
Forse stava commettendo un errore. Dopotutto Baymax era stato programmato per guarire e aiutare, non attaccare e distruggere. Ma se qualcuno aveva ucciso Tadashi nell'incendio, di certo non sarebbe bastato un abbraccio e qualche medicinale per acciuffarlo.
"Lo faccio per te, Tadashi."
Sospirando, spinse nel portello d'accesso il secondo chip e attese che Baymax lo assimilasse nel suo codice. L'interfaccia grafica del robot si riempì subito delle nuove tecniche di combattimento.
<< Mi sfugge come il karate possa fare di me un operatore sanitario migliore. >>
<< Tu ci tieni alla mia salute, giusto? >> Chiese Hiro innocentemente, prima di mostrargli uno spesso blocco di legno. << Colpisci qui! >>
Non appena udì l'ordine, Baymax si mise in posizione d'attacco e sferrò un diretto alla tavoletta che il ragazzino teneva in mano, spezzandola perfettamente a metà. Hiro rilasciò un gridolino eccitato che si susseguì man mano che il robot eseguiva perfettamente le varie mosse di karate che lui gli elencava. Era perfino in grado di prelevare gli orsetti gommosi da una macchinetta senza farlo pagare!
In breve tempo, tutto ciò che era duro e superfluo venne ridotto a brandelli dai calci volanti e pugni di Baymax. Si allenarono fino a tarda notte e una volta che il robot ebbe eseguito tutte le mosse del nuovo database, Hiro si parò davanti a lui e si inchinò, convincendo Baymax a fare lo stesso, proprio come i veri guerrieri.
<< Si! Batti il pugno! >> Esclamò Hiro euforico, sporgendo verso di lui le nocche.
Baymax battè le sue palpebre meccaniche un paio di volte, perplesso.
<< "Batti il pugno" non è nel mio database di combattimento. >>
<< No, il combattimento non c'entra niente. E' ciò che le persone fanno a volte quando sono... Su di giri o eccitati! >>
Il ragazzino afferrò la mano molto più grande del robot e la portò verso la sua, cercando di convincerlo a battere il cinque. Per un attimo, Baymax sembrò non avere idea di che cosa fare, ma quando Hiro mosse un po' la testa in segno di assenso, subito imitò il gesto.
Batti il cinque, nocca a nocca, pugno a pugno.
Dopo aver battuto le nocche, Hiro imitò automaticamente il suono di un'esplosione con la bocca, a cui Baymax rispose con un allegro verso strambo.
<< Bha-la-la-la-la! >>
<< Si, è così che si fa! >>
<< Aggiungerò "batti il pugno" al mio database di combattimento. >>
Hiro rise. Poi tirò su la cerniera della sue felpa ed aprì la saracinesca del garage, indicando al robot di seguirlo.
<< Vieni, andiamo a prendere quel tizio! >>
Svanirono nella notte nei vicoli di San Fransokyo, attraversando le strade della città addormentata. Baymax seguiva Hiro in modo goffo, rimbalzando sonoramente sui suoi piedi di vinile. Era notte fonda, i lampioni erano l'unica fonte di luce e non un suono si udiva in tutta la città. A volte, qualche auto passava ancora, rombando quieta.
Hiro non ci mise molto a ritrovare la strada che il giorno prima aveva seguito per arrivare al vecchio magazzino, e una volta lì non riuscì a fare a meno di nascondersi dietro Baymax e mandarlo avanti. Il posto desolato, il vento freddo che soffiava e l'edificio che cadeva a pezzi avevano un'aspetto ancora più macabro durante le ore notturne. Una volta arrivati di fronte al portone principale, ancora chiuso con il lucchetto, Baymax sfoderò un calcio, buttandolo giù. Ma l'interno del magazzino era completamente vuoto. Nessun barile, nessun microbot, nessun uomo con la maschera kabuki. Un silenzio spettrale regnava sovrano nell'immensa sala vuota. Hiro sospirò frustrato.
<< Siamo arrivati tardi. >>
Forse aveva immaginato le cose troppo in grande, come suo solito, ma poi gli venne in mente che forse il piccolo microbot che gli era rimasto era ancora attratto dai suoi compagni. Prese dalla tasca della felpa la teca contenente il piccolo bot e ne osservò il movimento. Tendeva a strisciare verso sinistra.
<< Il tuo piccolo robot cerca di andare da qualche parte. >> Puntuallizzò Baymax.
Hiro gli fece cenno di proseguire. In lontananza, il rombo delle auto si distingueva appena. Più il ragazzino seguiva la direzione indicata dal microbot, meno si rendeva conto di essersi allontanato notevolmente dal centro cittadino. Il porto di San Fransokyo era enorme. Vasti containers di diversi colori conteneti materiale che Hiro ignorava erano disposti ordinatamente in file. Dove lo stava portando il microbot? Sentiva distintamente le gambe bruciare dai kilometri consumati, ma se questo serviva a ritrovare l'uomo che aveva condannato a morte Tadashi allora avrebbe resistito. Era sicuro di esserci, doveva essere vicino, ormai.
In un attimo, si ritrovò sospeso nel vuoto, una peso allo stomaco piombò improvvisamente per torcergli le interiora e il suo cuore schizzò fuori dal petto.
In un attimo soltanto, che passò quando si rese conto di essere letteralmente sospeso sul mare, un piede ciondoloava fuori dal pavimento. Una forte e familiare presa al collo lo riportò subito indietro. Baymax lo aveva afferrato dal cappuccio prima che cadesse in acqua.
<< Dopo mangiato aspetta almeno due ore  prima di fare il bagno. >> Asserì Baymax, senza badare allo sguardo sconvolto di Hiro.
Distratto dal pensiero di essere quasi annegato, il ragazzino allentò la presa sulla teca di vetro contenente il microbot e questo schizzò via, verso l'oscurità e le onde nere dell'oceano. Hiro rimase per un momento pietrificato all'idea di aver perso l'unico indizio che lo avrebbe portato a trovare il responsabile di quella vicenda, quando nella nebbia marina cominciò a modellarsi qualcosa. Inizialmente sembrava una massa informe, quasi come una montagna che si muoveva sotto qualche strano maleficio, ma quando Hiro riconobbe la figura umana appena più in alto, il suo cuore prese a battere all'impazzata e una viscida paura si insinuò nella sua mente. Trascinò Baymax dietro uno dei container, nascondendosi dall'uomo con la maschera kabuki che si stava pericolosamente avvicinando al porto, trasportato dai microbot, che lo facevano apparire come un mostro lovecraftiano.
Lo aveva per caso visto? Si stava preparando ad attaccarlo? Per fortuna quelle domande rimasero senza risposta quando Hiro vide emergere dall'acqua un enorme oggetto circolare, trasportato dai piccoli bots verso la riva. Il piccolo cercò di capire di cosa si trattasse, ma la sua attenzione venne catturata da un simbolo scolorito sul bordo dello strano strumento. Una rondine dalle ali spiegate, avvolta in un cerchio.
Il ricordo del giorno prima si fece strada nella sua memoria. Aveva già visto quel simbolo, nel magazzino. Che cosa poteva significare?
Zittì Baymax, che stava per fare una diagnosi sul suo battito cardiaco accelerato e lo invitò a mettersi in posizione d'attacco.
<< Ok, Baymax. E' ora di sfoderare gli upgrades. >>
Il robot alzò le braccia per prepararsi a combattere, ma entrambi vennero presi alla sprovvista da un fascio di luce accecante puntato proprio verso di loro. Un'automobile bianca era parata davanti ai due e non lasciava scampo in caso avessero provato a fuggire. Improvvisamente, un pensiero colpì Hiro forte come un pugno. Forse quell'uomo mascherato aveva un complice e non stava agendo da solo. Magari ne aveva anche più di uno che lo avevano osservato per tutto quel tempo.
E ora cosa poteva fare? Sarebbe bastato Baymax a difenderlo da chiunque fosse in quell'auto?
<< Hiro?! >>
Il ragazzino sgranò gli occhi alla vista dei quattro colleghi di Tadashi, quando questi uscirono dalla vettura. Wasabi, Honey Lemon, Gogo e Fred si avvicinarono a lui, preoccupati e stupiti di averlo trovato lì fuori.
<< No! No, no, no! Dovete andarvene da qui! >>
<< Bello, che cosa ci fai qui? >> Chiese Wasabi.
Hiro azzardò un sorrisetto sghembo, cercando di apparire convincente e disinvolto.
<< N-niente! Stavo solo passeggiando! Calma i miei sbalzi d'umore
puberali... >>
<< Quello è Baymax?! >>
Il ragazzo squadrò il robot costruito dal collega per aiutare i malati e i feriti, e che ora era completamente ricoperto da un armatura in puro stile samurai. Gogo si avvicinò curiosa, studiandolo da cima a fondo.
<< Perchè indossa dei mutandoni in fibra di carbonio? >> Chiese cinica, indicandolo con il pollice. La gomma da masticare alla fragola perennemente tra i suoi denti.
<< E conosco anche il karate. >> Aggiunse Baymax, muovendo le braccia.
<< Sentite, ora dovete andarvene! >>
Hiro era visibilmente sotto stress. Il fatto che gli amici di Tadashi fossero arrivati proprio in quel momento non era affatto conveniente, rischiavano di mandare a monte il suo piano per catturare il tizio mascherato.
E peggio, avrebbero potuto farsi molto male.
<< No, non puoi allontanrci, Hìro. Vogliamo starti vicino, ecco perchè Baymax ci ha contattati. >> Disse Honey Lemon, premurosamente.
<< Chiunque affronti un lutto ha bisogno del sostegno di amici e persone care. Chi inizia con la condivisione dei sentimenti? >>
<< Oh! Io, io! Inizio io! Mi chiamo Fred e sono dieci giorni che non mi... Oh, grande madre di Megazord! >>
Fred interruppe la sua dichiarazione, rivolgendo lo sguardo verso l'alto. L'uomo mascherato si ergeva terribile su di loro, sollevato dalla massa nera di microbots che gli coprivano interamente le gambe, facendolo apparire un vero e proprio mostro uscito dagli incubi peggiori di un bambino. Alcuni tentacoli composti dai bots che lui controllava erano riusciti a sollevare uno dei container, che minacciava di finire sulle loro teste senza pietà.
<< Vedete anche voi quello che vedo io? >> Chiese Fred, mentre Honey Lemon scattava una foto con il suo cellulare.
L'uomo ordinò ai microbots di lasciar cadere il container e tutti si aspettarono una morte atroce, le interiora e le cervella che schizzavano d'appertutto come il peggior film splatter. Wasabi lanciò un acuto gridolino.
Ma quel colpo fatale non arrivò mai. Baymax era riuscito a bloccare il container e Hiro ne approfittò per odrinare a tutti di fuggire. Inizialmente si stupì di come il robot fosse riuscito in un gesto del genere, ma poi gli sovvenne che Tadashi gli aveva rivelato che Baymax poteva sollevare oltre quattrocento chili.
Non avrebbe mai pensato che un dato del genere potesse rivelarsi effettivamente utile!
Prima che riuscisse a ordinargli di attaccare, si sentì trascinare via dalla forte presa di Gogo. In breve, si ritrovò sul sedile posteriore dell'auto con cui i ragazzi erano arrivati.
<< Aspetta, no! Che stai facendo? >>
<< Ti salvo la vita! >>
<< Baymax è in grado di affrontarlo! >>
Neanche a farlo apposta, appena Hiro pronunciò quelle parole un sordo rumore di ferro arrivò alle loro orecchie e videro la massa grigia del robot volare verso l'automobile, prima di schiantarsi violentemente sul tettuccio della vettura.
<< Oh no. >>
L'uomo mascherato si avvicinò minaccioso all'auto e Wasabi premette subito il piede sull'acceleratore, fece retromarcia e cercò di uscire il prima possibile dal porto.
<< Hiro, voglio una spiegazione. Subito! >> Disse Gogo, autoritaria.
<< Ha preso i microbots, ha causato l'incendio... I-io non so chi sia! >>
Lo sguardo di Hiro cadde sul tentacolo di microbots che si stava dirigendo in picchiata verso di loro.
<< Baymax, colpisci col palmo! >>
Il robot ubbidì, respingendo l'attaco con la mano. L'urto fu talmente potente che l'auto girò su se stessa, riposizionandosi in direzione della città. Dopo lo sbandamento iniziale, Wasabi si affrettò a partire in quarta, schiacciando sull'acceleratore. Le ruote dell'auto sgommarono rumorosamente sull'asfalto e si assestarono verso la strada di città. L'uomo mascherato si mosse insieme ai microbot, inseguendoli a folle velocità.
L'automobile sferzò verso sinistra, in uno dei vicoli che i ragazzi avevano seguito per arrivare al portò, illuminata dai lampioni deboli. Neanche la strada così stretta era riuscita a fermare l'aggressore dall'inseguirli.
I microbots si insinuarono rapidi tra i muri, lasciando all'uomo lo spazio adeguato per passare. Gli occhi gialli della maschera scrutavano maligni la vettura davanti a lui.
Fred, seduto sul sedile posteriore, osservava ogni particolare della misteriosa persona che li stava inseguendo.
<< Quella maschera... Il vestito nero... Siamo nel mirino di un super malvagio. Non è fico?! Ovviamente, è spaventoso, ma anche fico! >>
In quel momento la parola "fico" non era esattamente quello che il resto del gruppo pensava del loro inseguitore. Wasabi alzò lo sguardo e istintivamente il suo piede schiacciò il freno, fermando l'auto con un brusco movimento. Gogo lo guardò confusa.
<< Perche ci fermiamo? >>
<< Il semaforo è rosso! >>
<< Un pazzo ci insegue e tu ti fermi al semaforo?! >> Gridò furiosa.
Nel frattempo il  verde era scattato e il ragazzo di colore ne approfittò, spinto anche dalla pericolosità dell'amica quando si arrabbiava, per accelerare nuovamente.
<< Perchè vuole ucciderci?! >>
<< E' un classico, abbiamo visto troppo! >> Esclamò Fred, che non riusciva a perdere il suo temperamento di appassionato dei fumetti.
<< Evitiamo conclusioni affrettate. >> Mormorò Honey Lemon, cercando di apparire tranquilla. << Non sappiamo se vuole ucciderci. >>
<< Auto!! >>
Bastò l'avviso di Fred per far accapponare la pelle a tutti. Non ebbero bisogno di guardare per sapere che il tizio mascherato aveva usato i suoi microbot per lanciare in aria un'automobile proprio verso di loro. Wasabi sterzò violentemente a destra, evitandola per un soffio.
<< Ok, vuole ucciderci! >> Concluse Honey Lemon.
Nonostante fosse notte fonda e in giro non ci fosse nessuno, Gogo notò che Wasabi aveva comunque acceso la freccia direzionale.
<< Hai acceso la freccia?! >>
<< E' obbligatorio segnalare la direzione! E' il codice! >>
Lo sguardo della ragazza si assottigliò, una scintilla violenta si accese nelle sue iridi argentate mentre si toglieva la gomma da masticare dalla bocca, appoggiandola sul cruscotto.
<< Ora. Basta. >>
Si slacciò la cintura e spostò indietro il sedile del guidatore, trascinando via Wasabi dal volante. Poi si sedette nel suo grembo, senza badare alle proteste imbarazzate da parte dell'amico, e pose saldamente i palmi sul rivestimento in gomma dello sterzo, inserì la quinta e schiacciò il piede sull'acceleratore con estrema forza. Le ruote sgommarono sull'asfalto, spingendo la vettura in avanti come un razzo diretto verso lo spazio più profondo. La lancetta dei kilometri saliva vorticosamente, passando dai 90 ai 120, ai 150 ai 180 in un solo istante.
Nello stomaco di tutti si avvertì quella spietata e familiare sensazione di vuoto, come quando si è in una giostra adrenalinica.
Gogo era l'unica che sembrava non avere problemi, lo sguardo deciso mentre sterzava bruscamente tra le strade di San Fransokyo, evitando abilmente le buche e i cassonetti, spezzando le pozzanghere. Il loro inseguitore si presentò a sorpresa davanti a loro, ma lei fu abbastanza rapida da intercettarlo e svoltare velocemente a sinistra. L'uomo mascherato continuava a inseguirli imperterrito, ordinando ai microbots di trasportarlo sempre più veloce verso l'automobile con il solo intento di distruggerla, e le vite al suo interno con essa. Sfrecciando fino a 200 kilometri, Gogo arrivò nei pressi di un passaggio a livello.
E un treno era in procinto di passare.
In un attimo, le sbarre si abbassarono e la campana che avvisava l'arrivo del treno si mise a suonare come impazzita, come se volesse dare un segnale pericoloso di morte. Ma la ragazza non aveva alcuna intenzione di rallentare per farsi prendere e squartare viva da un pazzo con una maschera da demone. Tirò il freno a mano, sterzò verso destra, inclinando l'auto e accelerò. Il treno era sempre più vicino.
<< No, no! Chefaichefaichefai?! >>
Un coro di urla spaventate accompagnò l'improvviso volo dell'automobile, che grazie all'accelerazione sfruttata in salita riuscì a passare sopra il passaggio a livello, evitando il treno che passava proprio in quel momento. L'automobile atterrò violentemente sulla strada superiore, e come se non fosse successo nulla Gogo riprese a guidare in direzione opposta all'inseguitore, che non accennava a volerli lasciar andare. I microbots investirono in pieno la ferrovia e una parte di loro sollevò in aria il loro padrone e lo portarono fino alla strada principale dove l'automobile correva.
Hiro si spostò sul sedile del passeggero, cercando di attirare l'attenzione di Gogo.
<< Senti, accosta! Baymax ed io possiamo fermaaaah! >>
Un tentacolo di microbots strappò via lo sportello della macchina e Hiro si ritrovò improvvisamente senza un appoggio. Si sentì cadere, l'asfalto pericolosamente vicino al suo viso. Chiuse gli occhi, attendendo il feroce impatto, che però non arrivò. Si ritrovò sospeso a poco più di un centimetro dalla strada nera, il braccio proteso in alto. Qualcosa lo aveva afferrato prima che si schiantasse. Alzò lo sguardo e vide Baymax, reggerlo con la sua mano gommosa dal tettuccio dell'auto. Il robot lo riportò sul sedile, allacciandogli la cintura.
<< La cintura ti salva la vita. Tienila sempre allacciata. >>
Gogo sterzò bruscamente a destra, sventando per un attimo un palo della luce ed entrò in una galleria in costruzione. Dai pannelli vuoti, Hiro riuscì a scorgere la figura dell'uomo mascherato appena oltre il cantiere. Incollato al gorgo di microbots come un abominio vivente, i suoi occhi di fiamme scrutarono nella sua anima, infrangendo le barriere del suo coraggio. Il piccolo non riuscì a distogliere lo sguardo da lui. Improvvisamente, tanti pensieri affollarono la sua mente.
Chi era quell'uomo?
Perchè stava facendo tutto questo?
Quanti pericoli stavano correndo adesso loro, in quell'auto ridotta a pezzi che appariva più come una trappola mortale di metallo? E per che cosa, poi?
<< Attenta! >>
Il lato destro della macchina venne investito da un'orda di microbots che crearono un tunnel vorticoso intorno al veicolo con l'intenzione di intrappolare i passeggeri al suo interno. L'unica via di fuga in fondo a quel nero lucido si stava lentamente chiudendo. Hiro guardò Gogo, e lo sguardo di incertezza che attraversò le iridi nere della ragazza non lo mise per niente a suo agio. Si aggrappò al sedile, un mix di adrenalina e terrore lo attanagliò allo stomaco.
<< Baymax, reggiti forte! >>
Il robot ubbidì, serrando la presa sui lati del tettuccio ormai sfondato. Gogo accelerò. In un attimo l'auto raggiunse i 200 km di velocità. Puntava dritto a quel piccolo buco che era la loro via d'uscita, come un pugnale che aveva lo scopo di penetrare un'armatura.
<< Ce la faremo! >>
<< Non ce la faremo! >>
<< Ce la faremo! >>
<< Non ce la faremo! >>
<< Ce la faremo! >>
<< Aaaaaah! >>
L'auto piombò sul muro di microbots, frantumandolo. Si ritrovarono sospesi in aria e poi di nuovo sull'asfalto con un violento atterragio. Ma rivedere la notte nuvolosa, la città in lontanaza e sentire l'aria fredda sul corpo li costrinse a sorridere nonostante il pericolo appena scampato. Honey Lemon esultò. Ma non fecero in tempo a tirare un sospiro di sollievo che l'improvvisa frenata di Gogo li fece scontrare con la visione di una strada interrotta. Un urlo agghiacciante si levò dal veicolo e l'auto volò giù dal livello, gli pneumatici lasciarono indietro l'asfalto a cui appartenevano e il tergicristallo si frantumò al suo impatto con l'acqua gelida.
L'auto sprofondò nel mare. In un'istante si riempì di acqua salata, che cominciò a bruciare gli occhi e a procurare brividi, a consumare ogni respiro che non poteva essere rilasciato.
Honey e Fred provarono ad aprire gli sportelli che erano rimasti bloccati dall'acqua nelle fenditure e la cintura attorno al corpo di Hiro non voleva saperne di sganciarsi. Lo teneva legato al sedile, impedendogli ogni mossa fuori dall'auto. La paura per la situazione in cui si trovavano contrasse i polmoni, che cominciarono a bruciare. Il cuore batteva forte, supplicando aria.
Non sapevano per quanto tempo avrebbero resistito laggiù.
Poi Hiro vide l'armatura di Baymax cominciare a cadere sul fondale, pezzo per pezzo. Il robot sgusciò fuori dal tettuccio grazie alla fluidità dell'acqua e con un calcio sfondò gli sportelli posteriori, tirando fuori Fred e Honey Lemon che si aggrapprono a lui. Poi fu la volta di Gogo e Wasabi, e infine Hiro, che riuscì a liberarsi solo grazie alla forzatura della cintura da parte del robot.
Una volta che furono tutti aggrappati a Baymax, questo cominciò a risalire su, verso la superficie.
Mancava poco, ma i polmoni pregavano di lasciare entrare aria. Hiro non sapeva se ce l'avrebbe fatta a resistere, si sentiva svenire.
Prima che potesse perdere i sensi, il suo viso si ritrovò fuori dall'acqua, insieme a tutti gli altri. Tossì per liberare i bronchi e respirò a pieni polmoni, rendendosi conto di quanto l'aria lo facesse improvvisamente stare bene. Gli sembrava di aver temporanemente perduto un bene prezioso, e ritrovarlo era stato un sollievo.
<< Ve l'ho detto che ce l'avremmo fatta! >> Gridò Honey Lemon, guadagnandosi uno sguardo torvo da parte degli altri.
<< Le vostre lesioni richiedono le mie cure. E la vostra temperatura corporea è bassa. >> Fece notare Baymax, che fungeva da canotto per i ragazzi.
<< Meglio uscire dall'acqua. >> Consigliò Hiro, che cominciava ad avvertire il gelo di novembre sulla pelle.
Fred abbozzò un sorrisetto malizioso, lo sguardo celeste si assottigliò. Sembrava che dovesse rivelare un importante segreto.
<< Vi porto in un posto. >>
__________________________________________________________________________________________________

Questo capitolo è stato tanto, troppo difficile da scrivere. Le scene d'azione sono così estreme che mi sembra di non riuscire a starle dietro. Oh, be. Spero che almeno voi lettori gradiate la cosa.
Ringrazio nuovamente i lettori e le persone che stanno trovando il tempo di lasciarmi una recensione, lo apprezzo moltissimo.

LittleBloodyGirl




Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Invito all'angolo della mente ***


L'acqua ristagnante sui vestiti di Hiro e degli altri cominciò a trasformarsi in brividi di freddo e le folate di vento, seppur leggere, non aiutavano. La notte di San Fransokyo era gelida a novembre e come se non bastasse sembrava che dovesse piovere da un momento all'altro. Camminarono per un'ora intera, attraversando le strade desolate fino ad arrivare a zone illuminate a giorno decorate da aiuole perfettamente potate, rare piante tropicali dai fiori colorati e ville dai grandi giardini. Ci volle un po' perchè tutti si accorgessero di trovarsi nei quartieri alti della città. Si guardarono intorno, sorpresi di essere improvvisamente lì. Fred era l'unico che sembrava estremamente convinto di dove andare. Le fradice Vans bianche calpestavano il marciapiede pulito con decisione, trasportando il resto del corpo all'interno di un cancello in ferro battuto alto più di due metri. I ragazzi osservarono confusi l'amico mentre questi si dirigeva verso il portone principale di una delle grandi ville dalle mura bianche e le finestre dai contorni dorati.
<< Fred, che stai facendo? >> Chiese Hiro, perplesso.
Fred lo guardò confuso, come se non capisse lo stupore del ragazzino. Poi, come se si fosse ricordato di una cosa improtante ma apparentemente scontata, il suo sguardo si illuminò.
<< Ah, benvenuti a mì càsa! E' francese e non è quella dell'anime! >>
<< Non è... Così... >> Asserì Honey Lemon, levando gli occhi al cielo.
<< Senti, brutto idiota, un pazzo mascherato ha appena cercato di ucciderci! Vedi di piantarla con... >>
Ma Gogo non riuscì a finire la sua lista di insulti che il portone principale si aprì, permettendo ad un elegante maggiordomo dai baffetti accuratamente tirati e lo smocking di uscire allo scoperto.
<< Bentornato, padrone Frederick. >>
<< Heathcliff, amico mio! Sono venuto in compagnia di alcuni amici! Batti il pugno! >>
L'uomo di nome Heathcliff aveva i capelli neri palesemente tinti ma perfettamente tirati all'indietro, non un pelo fuori posto nè una piaga sui suoi vestiti. Con un'espressione che variava dalla noia all'interesse verso qualcosa che non esisteva, sollevò il pugno per accogliere il saluto del giovane padrone. Continuò a tenerlo sollevato al passaggio di tutti, finchè Baymax non si fermò e battè il pugno come gli aveva insegnato a fare Hiro, con un sonoro "Bha-la-la-la-la".
Dentro, la villa risplendeva come oro. Ogni sala era immensa, ricoperta di parquet tirato a lucido, quadri di famiglia e lampadari di cristallo. Nel salone centrale, una scala dalla moquet rossa si estendeva fino al piano superiore, dividendosi poi a metà. Il soffitto era altissimo. In qualche angolo si intravedevano delle piccole statue di marmo o bronzo. Improvvisamente, agli amici fu chiaro come Fred potesse permettersi di fare beneficienza!
<< Freddy... Questa è casa tua? >> Mormorò Honey Lemon, incredula.
<< Credevo vivessi sotto un ponte. >> Asserì Gogo.
<< Bè questa è la casa dei miei genitori, ma sono in vacanza sull'isola di famiglia. Sarebbe figo andarci un giorno. >>
Passarono sotto ad un grande ritratto di famiglia, in cui posavano un piccolo Fred di circa otto anni in divisa nera, quella che doveva essere sua madre, un'altezzosa signora dai capelli rossi e ricci e il naso all'insù, e il padre, che aveva un'aria vagamente familiare. Il ragazzo li condusse attraverso un ampio corridoio e con un battito di mano aprì una porta meccanica alla fine di questo. Non ci volle molto per capire che la stanza in cui si trovavano era la stanza di Fred.
<< Non ci posso credere. >> Sputò Gogo, più inquietata che stupita.
Quella camera era un vero e proprio paradiso per nerd. Dovunque erano esposte action figures, cosplay, modellini, fumetti e film. Vecchi poster di supereroi riempivano le pareti e persino le coperte del letto avevano disegni di Godzilla. I più disturbanti erano sicuramente i quadri, molti dei quali ritraevano un Fred muscoloso che cavalcava vari mostri con in mano spade o asce.
<< Se non fossi stato inseguito da un uomo con una maschera kabuki, questa sarebbe la cosa più folle che ho visto oggi. >> Commentò Wasabi, stupito.
Hiro si diresse senza tanti complimenti verso la scrivania rotonda, seguito da Baymax. I vestiti erano ancora umidi così come i capelli, ma almeno aveva smesso di tremare.
Si sedette e strappò un foglio da un taccuino vicino, prendendo una penna a inchiostro dal portamatite.
Cominciò a scarabocchiare il simbolo della rondine che aveva visto prima sulla mappa nel magazzino e dopo sul grosso oggetto trasportato dall'uomo mascherato. Un lieve senso di fastidio e fallimento erano costantemente presenti dentro di lui. Alla fine non era riuscito a prendere quell'uomo. Se solo gli amici di Tadashi se ne fossero stati tranquilli, a quest'ora quel criminale sarebbe stato già nelle sue mani. Invece erano scappati come codardi, e avevano anche rischiato di morire tutti. Era sempre così che andava a finire. Ogni volta che qualcuno si immischiava nelle sue faccende non riusciva a concludere nulla.
<< La tua temperatura corporea è ancora bassa. >> Disse Baymax, dietro di lui.
Hiro mugugnò, incurante di quello che il robot aveva da dire. Continuò a disegnare la rondine senza alzare lo sguardo, quando sentì il corpo morbido dell'automa stendersi sulla sua schiena. Baymax attivò un sistema di riscaldamento interno e cominciò a emanare un piacevole tepore. Hiro alzò gli occhi al cielo all'ossessione del robot per la sua salute. Tuttavia, gli altri ne approfittarono subito per riscaldarsi e saltarono addosso a Baymax, abbracciandolo.
<< E' come abbracciare un bollente marshmallow! >> Disse Fred con un'espressione rilassata sul viso.
Seguirono i commenti estasiati degli altri tre, che accolsero volentieri il calore regalato da Baymax. Hiro finì il disegno della rondine e la mostrò ai ragazzi.
<< Questo simbolo vi dice niente? >>
<< Si, è un uccello! >> Puntuallizzò Fred.
<< No! L'uomo mascherato ha trasportato qualcosa con questo simbolo. >>
<< Catturare l'uomo mascherato migliorerebbe lo stato emotivo di Hiro. >> Chiarì Baymax.
<< Acciuffare quel tizio? Non sappiamo neanche chi sia! >> Esclamò Gogo.
<< Io ho una teoria. >>
Fred invitò tutti ad accomodarsi sul divano in pelle bèige e passò ad ognuno dei suoi amici un fumetto diverso. Le loro copertine macabre e i nomi impronunciabili fecero subito perdere la pazienza a Gogo, che sbattendo il giornalino sul divano, convinse Fred ad arrivare subito al punto.
<< Ragazzi, ma non capite? Il motivo per cui vi ho passato questi fumetti è perchè ognuno di questi ha come antagonista un personaggio che nella vita quotidiana è un imprenditore, un uomo d'affari o comunque una persona particolarmente ricca che può permettersi qualsiasi cosa senza alcuno scrupolo! E con chi ha parlato il nostro Hiro, alla fiera della scuola? >>
Rimasero tutti in silenzio in attesa che Fred rivelasse chi fosse esattamente la persona a cui aveva pensato. Il ragazzo prese il telecomando sulla mensola e lo puntò verso il grande schermo posizionato tra i due alti scaffali. Il primo canale mostrò il telegiornale con le ultime notizie, e in primo piano c'era un uomo che tutti loro conoscevano alla perfezione. L'uomo più ricco di San Fransokyo, colui che investiva annualmente i suoi soldi per esperimenti scientifici che spesso suscitavano scalpore a causa dei principi trascurati della materia.
Un uomo sempre elegante, a cui Hiro aveva rifiutato di vendere la sua opera il giorno della fiera.
<< Alister Krei. >>
<< Cosa? >>
<< Pensaci bene. Lui voleva i tuoi microbots e tu gli hai detto di no. Ma gli uomini come Krei non rispettano le regole. >>
Hiro non ci poteva credere. Krei era un uomo ricchissimo. Se anche qualche affare non fosse andato a buon fine, non poteva semplicemente dar fuoco ad una struttura e rubare quello a cui era interessato.
Possibile che fosse così capriccioso, così testardo? Cosi malvagio?
<< No, no. Non posso crederci, non è possibile. Krei è sempre sotto i riflettori. >> Spiegò, sperando di avere ragione.
<< Allora chi era quell'uomo? >> Chiese Honey Lemon.
<< Io... Io non lo so. >>
Non lo sapeva davvero. Non era più sicuro di niente, ormai. Chiunque avesse appiccato l'incendio alla mostra era sicuramente la stessa persona dietro la maschera kabuki, ma mai avrebbe pensato che potesse trattarsi di una persona con cui era stato a poco più di qualche metro di distanza, così cordiale eppure così spietato. Se lui era il nemico, gli era più vicino di quanto pensasse. La cosa più grave era che l'aveva sicuramente riconosciuto, e se avesse scoperto dove abitava, avrebbe potuto controllarlo finchè non avrebbe deciso di attaccare.
Dopotutto, pensò il ragazzino, era pur vero che nel momento in cui l'auto di Wasabi era finita in mare, con molta probabilità doveva aver pensato che fossero tutti morti. E questo, da una parte era un bene.
Ma il tarlo che Krei potesse davvero essere l'uomo che aveva rubato i suoi microbot, che aveva cercato di ucciderli, che aveva ucciso Tadashi, potesse essere lui Hiro non riusciva ancora ad accettarlo.
E comunque non avevano nemmeno delle prove.
<< Il suo gruppo sanguigno è AB negativo, i livelli del colesterolo sono... >>
<< Baymax! L'hai scansionato? >>
<< Sono programmato per valutare lo stato di salute di tutti. >>
Hiro ghignò, saltellando sul posto. Baymax si era rivelato incredibilmente utile in quella giornata. Con i dettagli che aveva in mano grazie al robot, adesso poteva scoprire più facilmente se il suo uomo fosse Krei. Doveva solo trovare il modo di individuarlo il prima possibile.
<< Si, ma per trovarlo dovresti scansionare l'intera città di San Fransokyo. E potrebbe volerci, non so, una vita. >> Puntuallizzò Gogo.
Effettivamente aveva ragione. San Fransokyo era una città da più di dieci milioni di abitanti. Sarebbe stato impossibile trovare la persona giusta prima di qualche mese, o peggio, qualche anno. Ma Hiro non sembrò per nulla demoralizzato da quell'affermazione. Si passò la mano sulla fronte, alzando i ciuffi ribelli. Doveva solo vedere le cose da un'altra prospettiva, come Tadashi gli aveva insegnato. E lo fece.
<< Ho trovato! Scannerizzerò l'intera città in un colpo solo, mi basta potenziare i sensori di Baymax. >>
Non si era mai sentito così euforico. Si sentiva sempre più vicino alla verità, e presto sarebbe stato in grado di vendicare suo fratello. Alzò lo sguardo, osservando il suo riflesso nel vetro. Le sue iridi dorate si scontrarono all'improvviso con quelle degli altri dietro di lui.
Improvvisamente, non era più solo in quella faccenda. Aveva involontariamente trascinato dentro anche Honey Lemon, Gogo, Wasabi e Fred. E nonostante avessero potuto ritirarsi subito, lasciare che fosse lui a decidere cosa farne di quel momento in completa solitudine, quella notte lo avevano protetto. Erano scappati, si, ma lo avevano fatto con l'intento di difenderlo.
Con l'intento di difendere il fratellino del loro collega, del loro amico. Si rese conto di quanto avesse rischiato a mettere piede fuori casa da solo, andando incontro ad un pericoloso criminale che non avrebbe esitato a toglierlo di mezzo per sempre nonostante fosse soltanto un bambino. Il loro nemico non era un semplice ladro. Era un assassino senza scrupoli, un uomo terribile e spietato. Un demone.
E se gli avvenimenti di quella sera fossero stati costretti a ripetersi, non potevano certo affrontarlo con addosso una felpa e un paio di scarpe da ginnastica.
<< A pensarci bene, forse avete tutti bisogno di un upgrade. >>
Gli sguardi di tutti si posarono su di lui, variando da sfumature di confusione a eccitazione pura.
<< Un upgrade, in che senso? >> Chiese Wasabi, con una scintilla di terrore negli occhi.
<< Chiunque affronti un lutto ha bisogno del supporto degli amici e delle persone care. >> Ripetè Baymax.
<< No, no, no! Non se ne parla! Non possiamo metterci contro quel tizio, siamo dei nerd! >>
<< Hìro, noi vogliamo aiutarti, ma siamo solo... Noi. >> Disse timidamente Honey Lemon.
<< No. >> Hiro li guardò. Uno per uno. Un sorriso dipinto sulle labbra sottili.  << Potete diventare molto di più. >>
Non sembravano affatto convinti. Belle parole, forse stavano pensando, ma non abbastanza da spingerli ad affrontare una situazione più grande di loro. Finchè Gogo, un velo di tristezza negli occhi glaciali, si azlò in piedi, poggiando una mano sulla spalla di Fred.
<< Tadashi Hamada era il nostro migliore amico. >> Sussurrò, più a se stessa che al gruppo. << Siamo con te. >>


(
•—•)
 

Era quasi mezzanotte quando Hiro rientrò a casa. Fece attenzione a chiudere delicatamente la porta per non svegliare zia Cass e rimase in attesa nell'oscurità e nel silenzio. Non un suono provenne dal piano di sopra. Fece cennò a Baymax di salire insieme a lui a passo felpato. Quella volta, per il robot non fu difficile. Arrivati al primo piano, il ragazzino sporse un pò la testa oltre le scale. La cucina era vuota e buia. Salirono entrambi in camera e Hiro ne approfittò per disattivare Baymax, non prima di essersi accertato che le sue batterie non si fossero danneggiate per l'acqua. Anche Baymax aveva diritto a un po' di riposo dopo quella giornata. Si infilò il pigiama e scese silenziosamente in cucina per prendere un bicchiere d'acqua.
Ma prima che potesse avvicinarsi al tavolo, un rumore dall'interno della sala lo fece trasalire. La luce si accese e zia Cass comparve davanti a lui. La vestaglia di flanella azzurra copriva delicatamente il corpo snello e sotto i suoi occhi verdi, Hiro riuscì a distinguere bene due occhiaie. Non sembrava affatto felice di vedere il nipote in piedi a quell'ora.
<< Zia Cass... Credevo dormissi... >>
<< Dove sei stato? >>
Hiro deglutì. Se era stata lì tutto quel tempo, era ovvio che l'avesse sentito. E forse aveva visto anche Baymax. Il suo tono autoritario gli fece subito capire che pretendeva una risposta. Ma non poteva certo dirle di essere stato attaccato da un uomo mascherato, di aver rischiato la vita correndo per le strade della città in auto. Come si sarebbe tirato fuori da quel pasticcio, ora?
<< Sono stato con degli amici... >>
<< No, no, no. Non fare il vago con me, per favore. Voglio sapere dove sei stato fino a quest'ora, Hiro. >>
Il silenzio da parte del nipote la fece solo adirare di più. Si avvicinò pericolosamente a lui, piazzandogli le mani sulle spalle. Hiro abbassò lo sguardo, temendo la reazione della donna.
<< Guardami. >> Sussurrò.
E Hiro la guardò. Oro contro smeraldo. Timore contro rabbia. O disperazione. O preoccupazione.
<< Pensi che non lo sappia? Pensi che io non sappia che tu, ogni notte, esci per andare a fare quei maledetti duelli? Pensi che io non ti senta quando chiudi la porta? Pensi che io non resti sveglia fino a notte fonda soltanto per accertarmi di sentire di nuovo quella porta aprirsi? Pensi che io non abbia paura che un giorno quella porta si chiuderà e non sentirò più il suo suono mentre si apre? >>
La sua voce cresceva di parola in parola, e più cresceva più si spezzava. E più i suoi occhi si infuocavano, più le lacrime li riempivano. Gocce di perla cominciarono a formarsi sulle ciglia, per poi cadere delicatamente giù, lungo le guance rosee come piccole cascate. Hiro non aveva mai visto sua zia in quel modo. Non credeva che potesse essere capace di conservare dentro di sè tante emozioni tutte in una volta. Sfumature di rabbia, preoccupazione e dolore si alternavano nel suo sguardo smeradino, e lui si sentì male.
Non aveva capito quanto la donna stesse soffrendo, non solo per Tadashi, ma anche per lui.
<< Avrei tanto voluto che non succedesse mai. Tadashi non meritava quella fine, noi non meritavamo questa sofferenza. E ogni notte ripenso a quella sera e mi chiedo come ho fatto ad essere stata così stupida, così incurante. Avrei dovuto dirvi di venire via con me, avreste potuto avere il vostro momento fraterno dopo! Ma non l'ho fatto, e Tadashi non c'è più. Siamo soli entrambi, Hiro, e dobbiamo farci forza a vicenda. >>
La sua forza non fu abbastanza per permetterle di resistere. Cass cedette alle lacrime, aggrappandosi alle spalle del nipote.
Hiro avvertì un nodo in gola. Avrebbe voluto abbracciare la zia, confortarla e dirle che non sarebbe tornato a fare i Bot-Duelli. Avrebbe voluto dirle tutta la verità. Ma non poteva farlo. Sarebbe andata sicuramente dalla polizia, o più probabilmente avrebbe pensato che stesse delirando. E Hiro non poteva permettersi di correre anche quel rischio.
Sapeva bene che Cass soffriva, e che non riusciva ancora a darsi pace per quello che era successo. Ma vedere la donna che aveva cresciuto lui e suo fratello, sempre forte ed energica, ora così debole e spossata lo fece sentire ancora più desolato.
<< Anni fa feci una promessa. >> Sussurrò la zia, asciugandosi le lacrime. << Avrei badato a due bambini come se fossero stati i miei stessi figli. Parte della mia promessa è stata infranta, dopo quella sera. >>
Hiro sgranò gli occhi, accogliendo senza proteste il palmo della zia sulla sua guancia, lasciando che lo accarezzasse.
<< Non posso perdere anche te, Hiro. Se ti succedesse qualcosa, non so cosa farei. >>
La donna lo strinse forte a sè e il piccolo ne approfittò per appoggiarsi sui suoi seni. Come un figlio con una madre. Perchè era questo che Cass era per lui. Una mamma, più di una zia. Le sue dita si strinsero intorno alla vestaglia candida di lei. Un altro abbraccio, prima di andare a dormire.
<< Sta tranquilla, zia Cass. >>
La donna lo lasciò andare, osservandolo mentre saliva le scale.
<< Non ti devi preoccupare per me. Gli amici di Tadashi mi stanno aiutando a capire. >>
<< A capire cosa? >>
Hiro si fermò sui gradini. Le sue dita si strinsero impercettibilmente sulla ringhiera.
<< Qual'è la cosa giusta da fare, per Tadashi. >>

____________________________________________________________________________________________

Non so bene cosa pensare di questo capitolo. Penso che sia uno di quelli meno riusciti finora, ma non riesco a capire cos'è che mi turba. Spero che almeno voi lettori lo apprezziate di più di quanto faccia io. A proposito, un biscotto per chi capisce il riferimento che fa Fred all'inizio!
Ringrazio sempre Emmydreamer_love 2004 e fenris per le recensioni, e i lettori che stanno seguendo silenziosamente questo piccolo delirio.

LittleBloodyGirl

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Transizione ***


Ci volle quasi un mese perchè Hiro e il resto della squadra si adattassero totalmente all'idea di diventare più che semplici studenti di ingegneria. Hiro lavorava giorno e notte ininterrottamente sulle possibili difese che tutti loro avrebbero dovuto avere se avevano intenzione di affrontare l'uomo con la maschera kabuki. Erano arrivati a toccare quasi con mano la pericolosità del criminale, e la prima cosa a cui il ragazzino aveva pensato era l'impossibilità di affrontarlo senza un'adeguata protezione.
E quale migliore protezione potevano indossare se non delle vere e proprie armature, o meglio, tute? Si procurò i tessuti più resistenti grazie a zia Cass, a cui raccontò che gli servivano per il laboratorio della scuola. In seguito, lui stesso cominciò ad occuparsi dei modelli e delle armi che avrebbero avuto per difendersi.
Non aveva intenzione di creare vere e proprie armi, ma un'idea lo colse di sorpresa. Ognuno dei quattro compagni studiava un determinato percorso universitario;
Honey Lemon era un'ingegnere chimico, Gogo era ingegnere meccanico, Wasabi era un microbiologo ed esperto di plasma-laser indotto, e Fred... Bè, Fred era specializzato in fumetti.
Nessuno di loro aveva mai tenuto in mano una pistola o un fucile, ma tutti sapevano bene quali strumenti usare nel proprio campo. Quindi Hiro avrebbe fornito loro proprio quegli strumenti.

Per Honey Lemon, creò uno speciale comparto portatile di bombe chimiche. Quando glielo propose, la ragazza rimase leggermente allibita e gli confessò che le sembrava troppo pericoloso. Hiro l'aveva rassicurata.
<< Forse bombe chimiche non è il termine adatto. Solo che avevo pensato di amalgamare alcuni elementi in modo da creare sostanze che ti permetterebbero di proteggerti o, magari, di immobilizzare il nostro uomo semplicemente intrappolandolo in un'enorme sostanza gelatinosa. >>
<< Oh, ok! Ora è più fattibile! >>
<< Però mi serve il tuo aiuto. Sei tu il chimico, tra noi. >>
Honey Lemon sorrise, prendendo dalla tasca del cardigan celeste una provetta che conteneva un liquido dal colore verde particolarmente brillante.
<< Lascia fare a me! >>
Si ritrovarono nel suo laboratorio di prima mattina e cominciarono ad elencare tutte le possibili formule di amalgamazione e fusione di vari elementi, eliminando quelli più pericolosi e cercando di limitare al limite i danni nella piccola stanza. Ci volle un'intera giornata per catalogarli tutti, ma riuscirono perfettamente nell'intento. Honey Lemon amava sperimentare. Le bastavano una provetta e un oggetto su cui condurre i suoi esperimenti e riusciva a trasformare un semplice bicchiere d'acqua in una bomba gelatinosa dai colori fluorescenti o in una sfera di ghiaccio indistruttibile.
A quel punto, a Hiro non rimaneva che riportare tutti gli elementi chimici esistenti su una tavola periodica digitale che inserì all'interno di un computer a forma di borsetta.
Honey Lemon amava le cose carine e colorate, quindi il ragazzino pensò che potesse essere simpatico costruire una finta borsa a tracolla, al cui interno in realtà giaceva un complesso sistema di formazione che permetteva all'elemento desiderato di uscire fuori da un piccolo vano circolare al lato di questa. Hiro rese il display simile al touch screen, in modo che Honey potesse tranquillamente selezionare gli elementi senza aver bisogno di un mouse. Ci lavorò per quasi quattro giorni, ma il risultato fu veramente soddisfacente. Un po' di più ci volle per la tuta. Zia Cass gli aveva procurato dei tessuti in cotone elastico di un bel fucsia brillante, e sebbene quello non fosse proprio il genere di colore che Hiro amava, ad Honey Lemon sarebbe sicuramente piaciuto. Si fece aiutare dalla zia e ritagliò due leggins rivestiti di pelle, uno spesso pull-over a maniche corte che arrivava all'altezza della vita e un paio di guanti lunghi e spessi che ricoprivano le braccia come maniche.
Poi pensò al casco di protezione. Anche questo rosa, con due bordi gialli e verdi sulla testa e due lunghe sporgenze all'altezza delle tempie, in cui inserì due cuffie e un trasmettitore per comunicare, cosa che si raccomandò di fare per tutti gli altri. Una volta finito, ammirò il risultato, sperando che Honey Lemon avrebbe gradito.

Quella di Gogo fu la tuta più semplice da realizzare, insieme a quella di Wasabi. Gogo amava la velocità, non ne aveva mai fatto un mistero, e Hiro aveva deciso di dotarla della stessa velocità della sua bici a sospensioni elettro-magnetiche. A sentirlo parlare, Gogo aveva storto il naso. La gomma alla fragola fece un giro vorticoso tra i suoi denti.
<< E come faresti a farmi andare così veloce, sentiamo? >>
<< Con le stesse sospensioni elettro-magnetiche che tu usi sulle ruote della tua bici. Fidati, sarà come andare sui pattini. Per te, almeno.>>
Lo scetticismo di Gogo si rivelò particolarmente infondato quando Hiro ebbe finito di lavorare alla sua armatura. Agli stivaletti gialli di gomma applicò delle staffe che permettevano di reggere le ruote esattamente come una moto. La tuta doveva essere quanto più elastica possibile, per permettere alla ragazza tutto il movimento necessario. Ritagliò un pezzo intero di tessuto nero e ricoprì le spalle con una spessa armatura gialla, in modo che coprisse anche il petto. Per il casco, usò il calco di quello di  Honey Lemon, privandolo solo delle antenne, ma inserendo comunque microfono e ricevitore.  All'interno delle ruote infilò anche degli spessi dischi arancioni calamitati che potevano staccarsi dalla base ed essere usati come boomerang da lanciare.
Contemporaneamente, Hiro lavorò anche alla tuta di Wasabi. La sua era di un tessuto più leggero, data la corporatura robusta del ragazzo e ritagliò l'armatura per il petto in modo che fosse ben spessa da proteggerlo, di un bel colore verde. Il casco sarebbe stato scomodo per lui a causa dei dreads, così Hiro optò per una semplice fascia e gli occhi sarebbero stati protetti da un paio di occhiali di supervisione speciali.
Questi ultimi, più che a proteggere le iridi da eventuali attacchi, servivano maggiormente a salvaguardarlo dalle sue stesse armi. Dopo aver studiato con lui la profondità di taglio del laser, Hiro optò per delle vere e proprie lame di plasma-laser indotto che si attivavano grazie a un piccolo pulsante posto sui palmi dei guanti di gomma neri di cui aveva dotato la sua tuta.
Certo, un pò più pericoloso degli altri, ma il ragazzino pensò che fosse terribilmente fantastico per non creare una cosa del genere. Non doveva necessariamente servire ad uccidere, la sua utilità stava nel poter infrangere anche oggetti molto pesanti. Se avessero dovuto attraversare una porta di ferro, Wasabi l'avrebbe spalancata per loro.

La tuta di Fred fu quella più lunga da realizzare per il semplice fatto che Hiro si divertiva non poco e aveva fin troppe idee per realizzare qualcosa di affine all'amico nerd. Passò una giornata intera solo a pensare a come vestirlo, e alla fine optò per una follia che Fred approvò in pieno. L'appassionato di fumetti era un grande fan di Godzilla e mostri del genere, quindi lo avrebbe trasformato in un mostro.
Non con una pozione velenosa, ma piuttosto con un po' di fibra di carbonio, gomma per abiti e il costume fu pronto in meno di una settimana. Una creatura grande e grossa, rivestita in gomma piuma, dagli artigli lunghi e affilati, tre occhi gialli dalle pupille sottili, una bocca munita di lancia-fiamme e, proprio sotto i piedi, dei super ammortizzatori che permettevano a Fred di fare salti che superavano facilmente i quattro metri di altezza.
Quando gli mostrò la tuta, il ragazzo corse ad abbracciarlo e riempirlo di baci sulle guance.
<< Tu... Tu hai realizzato il mio sogno! >>
<< S-si, va bene! Ma ora basta baci! >>
<< Oh oh! Posso provarla?! >>
<< Ecco, forse è meglio aspettare che siamo tutti insieme per collaudarle. Così non ci sarà bisogno di perdere altro tempo. >>
<< Oh... Hai ragione. >> Disse Fred, assottigliando lo sguardo. << Solo il lancia-fiamme, ti prego! Solo il lancia-fiamme! >>
Lo supplicò poi, gettandosi alle sue ginocchia. Hiro balbettò incerto per qualche minuto, poi sospirò e acconsentì. Dopotutto, erano a casa di Fred e se fossero usciti in giardino non avrebbero potuto fare danni.
Ma Fred non perse neanche tempo ad andare in giardino. Infilò dubito il costume nel bel mezzo della sua camera e indossò il copricapo, nascondendo la sua faccia sotto i tre occhi minacciosi di plastica.
<< No, Fred! Aspetta, non qui! >>
In un attimo, una violenta fiammata partì dalla bocca circolare del costume e Hiro fu costretto a indietreggiare per non rischiare di essere bruciato vivo.
Si aggrappò al muro, le mani appena dietro la sua schiena con le dita che si aggrappavano patetiche alla parete. Si paralizzò. La saliva sulla sua lingua seccò e una violenta scossa di brividi lo attraverso da capo a piedi. Per un momento, la sua vista si annebbiò e un fastidioso ronzio prese a infestargli l'udito. Un ronzio che presto si trasformò in un miscuglio di urla agghiaccianti e crepitii fastidiosi. Davanti ai suoi occhi riapparve la visione della scuola avvolta dal fuoco, senza via di fuga. Non riusciva a respirare. Fuoco, fuoco, fuoco.
<< Hiro? Hiro, piccoletto, stai bene? >>
La voce di Fred lo riportò al presente. Davanti a lui riapparve il volto allungato e pallido dell'amico, visibilmente preoccupato. Sentì la sua mano calda sulla spalla e per un attimo smise di tremare. Tastò sorpreso il muro alle sue spalle, confuso e spaventato. Che cos'era successo? Per un istante, era ritornato a quella sera. Alla sera dell'incendio. Perchè?
<< Vuoi un po' d'acqua?  Chiedo subito a Heathcliff di portartela. >>
<< N- no... >> Momorò, quasi a fatica. << Sto bene, davvero... >>
<< Almeno siediti un po'. >>
<< No, io... E' meglio che vada adesso. >>
<< Ti accompagno. >>
Hiro scosse il capo, negando la cortesia di Fred, il cui sguardo era visibilmente pieno di rimpianto e vergogna per ciò che era successo. Era stato un irresponsabile, avrebbe potuto causare un incendio. E soprattutto, il suo piccolo amico aveva rischiato di avere un attacco di panico a causa della sua immaturità. Hiro non ce l'aveva con lui, ma aveva davvero bisogno di restare da solo per un po'.
Uscì dalla villa accompagnato da Fred, svanendo nell'oscurità che cominciava a risorgere dopo il tramonto del sole.

L'armatura più difficile da realizzare fu sicuramente quella di Baymax. Hiro aveva deciso in auge che anche il robot aveva bisogno di fare squadra con loro. Glielo doveva, in fondo era lui che aveva permesso a Hiro di chiedere aiuto, seppur involontariamente, ai ragazzi. Ma per lui non ci voleva certo una tuta protettiva.
Baymax aveva bisogno di una nuova armatura, dato che quella vecchia giaceva ormai sul fondo del mare, dopo l'inseguimento con l'uomo mascherato.  Sdraiato sul suo letto, osservava in silenzio la custodia in cui il robot riposava. Una sottile linea nera nel bel mezzo della visiera lasciava intendere che i suoi occhi erano chiusi.

La visiera. La custodia.
<< Ma certo! >> Esclamò, ricordandosi poi di essere nel cuore della notte e di non dover svegliare zia Cass, che altrimenti diventava intrattabile.
Scese subito dal letto, sedendosi alla scrivania. Strappò un foglio da uno dei suoi quaderni, afferrò la matita e cominciò ad abbozzare l'idea per la nuova armatura. Rossa, sarebbe stata rossa. Il rosso stava bene sul bianco! Disegnò il casco, simile a quello di Honey Lemon e al suo. Si, anche il suo avrebbe avuto quella forma. Ridisegnò la pancera in ferro come il precedente modello e pensò anche ad una possibile arma.
Razzo laser? No. Lancia-fiamme? Fred ne aveva già abusato. Lancia missili? Troppo pericoloso.
<< Uff, no... Baymax non è un robot da combattimento. Anche se ha il mio chip, non vuol dire che può mettersi a prendere semplicemente a pugni qualcuno. >>
Appena finì di dirlo, un'idea lo illuminò.
<< Il pugno! Giusto, il pugno! >>
Gli sarebbe stato più facile ricordarlo dato che lo aveva assimilato nel database. Gli sarebbe bastato convincerlo che anche il suo "Bha-la-la-la-la" poteva essere usato come mossa di karate. Doveva solo colpire un po' più forte. E per farlo, sarebbe stata necessaria una forza maggiore del solito. Si morse le labbra, sorridendo eccitato all'idea che gli era venuta. Non vedeva l'ora di vederlo in azione.
Poi, una piccola domanda lo fece riflettere. Come avrebbero fatto a spostarsi? Non potevano mica andarsene in giro con le loro tute, i caschi e tutto il resto.
Un'auto? No, troppo evidente. Qualcuno avrebbe potuto identificare la targa e di certo si sarebbe chiesto che cosa ci facessero dei tizi conciati in quel modo all'interno di una vettura.
Una cosa era certa, quella faccenda era personale e dovevano trovare il modo di passare inosservati. Ma come? Non potevano mica… Volare.
<>
In un attimo, l'abbozzo fu pronto.
Non poteva aspettare il giorno dopo, doveva subito mettersi al lavoro. Si infilò la felpa e le ciabatte e corse nel garage, attento a non farsi sentire da zia Cass. Usò il vecchio database accumulato nello scanner e cominciò a modellare sul computer la nuova divisa per Baymax. La stampante 3D sfornò ogni pezzo dell'armatura nel giro di una sola notte.
Soddisfatto, si buttò sul divano a peso morto con un sorriso soddisfatto sul volto. Non vedeva l’ora di far vedere anche agli altri quello che aveva creato.

Di certo, non potevano pensare di acciuffare l’uomo mascherato solo con dei caschi di protezione e delle tute. Avevano già avuto modo di verificare quanto potesse essere pericoloso, quindi avevano bisogno di allenamento. Hiro propose il suo pensiero al resto della squadra, un pomeriggio a casa sua. Erano nel garage, in modo da non doversi preoccupare di essere ascoltati da orecchie indiscrete.
<< Ok, ma cosa dovremmo fare allora? >> Domandò Honey Lemon.
<< Combattere. Non potremo sempre scappare. Se vogliamo scoprire chi è, dovremo affrontarlo. >>
<< E’ una follia! >> Esclamò Wasabi. << Non saremo così pazzi da andare contro un tizio come quello! >>
<< Forse non ci sarà bisogno di arrivare a tanto, se siamo abbastanza veloci da togliergli la maschera. La prima volta che l’ho visto, ho avuto come la sensazione che il trasmettitore neurale per controllare i microbots fosse proprio nella maschera. >>
Hiro si avvicinò allo schermo olografico e mosse delicatamente le dita sullo schermo inesistente, muovendo i modelli tridimensionali della maschera e del trasmettitore.
<< Perciò, via la maschera e il nostro uomo diventerà innocuo. >> Concluse Gogo.
<< Solo… Dove ci alleniamo? Non possiamo mica metterci in bella mostra in mezzo alla strada. >> Disse Honey Lemon.
<< Ci servirà un luogo di ritrovo. >> Concluse Gogo.
<< C’è un vecchio parco abbandonato fuori città che… >>
<< No, no, no! Niente parchi abbandonati! Avete pensato ai germi?! >> Chiese Wasabi, visibilmente terrorizzato all’idea.
<< Ehi, perché non ci vediamo a casa mia? >> Esclamò Fred, infine. << E’ grande, spaziosa, siamo soli, e per Heathcliff garantisco io. Potrà aiutarci nell’addestramento. Lui farà il cattivo! >>
Per quanto potesse sembrare azzardata come mossa, a nessuno venne l’idea di obiettare.
Il giorno dopo, si ritrovarono alla villa dell’amico. Le tute erano accuratamente ripiegate all’interno di una valigia di Wasabi. Si apprestarono a indossarle e a cominciare subito con l’addestramento.
La prima ad offrirsi volontaria fu Gogo, che indossò subito i suoi dischi ai piedi. 
Ma non appena fece per alzarsi dai gradini della scaletta di cemento del giardino, si rese conto di quanto le mancasse il terreno sotto i piedi.
Hiro si avvicinò a lei, tendendo timidamente le braccia in avanti per afferrarla ogni momento.
Il corpo della ragazza si piegò in avanti, poi bruscamente indietro e infine l’abbandonò, lasciandola cadere per terra come una bambina inesperta. Il ragazzino le tese una mano, ma lei lo fermò subito. Questo era il suo mondo, quello che aveva fatto fin da piccola. Era come andare sui pattini, in fondo. E lei lo sapeva fare bene. Lei amava andare sui pattini.
Si rimise in piedi, nei suoi occhi grigi una scintilla di decisione, e pian piano cominciò a muovere le gambe. Poi il movimento passò ai piedi, e cominciò a muoversi. Più veloce, più decisa, più furiosa. I dischi gialli cominciarono a girare violentemente, trasformandosi in scie dorate davanti agli occhi di Hiro. Ben presto, Gogo cominciò a roteare su se stessa, sfidando la velocità e l’aria che le sferzava il corpo attraverso la tuta.
Il maggiordomo di casa, Hethcliff, stava davanti a lei con una maschera simile a quella del loro uomo. Sferzò sui dischi e gli girò intorno, sempre più veloce fino ad afferrare immediatamente una pompa dell’acqua che era accanto al gazebo.
Si avvicinò sempre di più al soggetto interessato e continuò a girargli intorno come un tornado inferocito, immobilizzandolo alle gambe, e prima che potesse farsi vedere, gli strappò la maschera dalla faccia. Sfrecciò verso Hiro e gliela lanciò, facendo scoppiare un palloncino di gomma tra i denti. Il ragazzino rimase a bocca aperta dalla performance della compagna.

Il turno di Honey fu visibilmente più semplice. La ragazza digitò sul display della sua borsetta gli elementi necessari a creare una bomba chimica e strinse la pallina fluorescente tra le dita delicate non appena questa fuoriuscì dal piccolo portale laterale della tracolla.
Heathcliff, dal centro del gazebo, gli fece un leggero cenno di attaccare senza la minima emozione. Hiro la incoraggiò, notando in lei un cenno di esitazione. La ragazza lanciò timidamente la sua bomba contro il maggiordomo, e alle gambe di questi si creò una sostanza gelatinosa dai colori luminescenti che lo intrappolò senza lasciargli alcuna possibilità di movimento. Honey Lemon si avvicinò per togliere a Heathcliff  la maschera, preoccupata per l’incolumità dell’uomo che per tutta risposta fece un mezzo sorriso. La mira era il fattore da migliorare, ma per lei non ci volle molto. Hiro la fece allenare contro bersagli mobili appositamente installati da Heathcliff e, con un po’ d’arguzia, la ragazza riuscì a raggiungere anche uno dei manichini che era decisamente troppo alto per lei. Le bastò usare piccole quantità di zinco e rame per creare una solida scala dorata che le permise di salire fino alla siepe più alta e privare il bersaglio della maschera.
<< Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta! >> Esultò felice.
Hiro rise, facendole un piccolo applauso.
Fred fu quello che si divertì di più con la sua tuta. Completamente travestito da mostro, esattamente come uno dei suoi costumi da mascotte della scuola, finalmente potè approfittarne per sperimentare il salto lungo e il lanciafiamme senza causare troppi danni. Si diede una spinta sui talloni e saltò in alto, sempre più in alto. Gli sembrò quasi di volare, mentre chiamava le possibili mosse che usava a voce alta, gridando al cielo, euforico. Poi si concentrò su Heathcliff, circondandolo con fiamme che presto divamparono verso il giardino, bruciando l’erba all’inizio del pavimento in pietra. Saltò a intervalli regolari, immaginando di eludere il nemico, quando ne approfittò per sbucare alle sue spalle e, con i suoi artigli, rubare silenziosamente la maschera. Non appena ebbe finito, Heathcliff corse subito a prendere un estintore per spegnere il fuoco, il tutto senza la minima preoccupazione sul suo volto.
Con Wasabi ci fu da stare particolarmente attenti. Le sue lame di plasma-laser erano molto pericolose e sarebbe bastata una mossa azzardata o distratta per fare danni tremendi. Perciò, quando fu il suo turno, Hiro optò per perfezionare prima la mira e soprattutto attaccare e distruggere in caso l’uomo mascherato avesse usato i microbots per attaccarli. Heathcliff si procurò un lancia palle e, quando Hiro gli diede il via, allontanandosi da Wasabi con uno sguardo di incoraggiamento, accese la macchina. Una pallina da tennis venne lanciata ad alta velocità verso il ragazzo, che istintivamente si portò le braccia davanti al volto, dimenticandosi di avere ancora accese le lame di laser. Quando la pallina si schiantò contro di esse, venne subito tagliata a metà e le due parti finirono ognuna in due direzioni opposte del giardino. Ci volle un po’ perché Wasabi si rendesse conto di avere ancora le sue lame attive, ma fu abbastanza perché Heathcliff aumentasse la velocità di scambio del lancia palle, il cui cannone cominciò a sparare rapidamente le palline da tennis, una dopo l’altra. Wasabi si divincolò in una serie di mosse bizzarre e spaventate, centrando miracolosamente ogni pallina con i laser e schivando agilmente quelle che non riusciva a colpire. Avanzò verso la macchina sempre più velocemente finchè, con un urlo adrenalinico, saltò in avanti, contrasse i muscoli del braccio e lanciò un fendente su di essa, tagliandola in due. Soddisfatto, prese la maschera da Heathcliff e fece per battere il cinque a Hiro, che per poco non perse la mano se non gli avesse ricordato del laser ancora attivo.

A fine giornata, erano tutti esausti ma euforici. Le nuove tute erano perfette e le armi funzionavano bene. Bisognava solo allenarsi un po’ di più per evitare di rimanere feriti dal loro stesso armamentario. Il sole stava cominciando a calare, sfumando il cielo di viola e arancione e dipingendo il mare d’oro. Una leggera brezza invernale si stava levando, smuovendo le foglie degli alberi nel giardino della casa di Fred. Su un tavolino a bordo della piscina, dove i ragazzi si stavano godendo il loro meritato riposo, vi erano bevande dolci e tartine preparate appositamente. 
<< Tutto questo è fantastico! >> Esclamò Fred eccitato.
<< Niente male. >> Fece Gogo, giocando con uno dei suoi dischi.
<< A nessuno la tuta si infila nelle mutande? >> Chiese Wasabi, guadagnandosi un’occhiata di disgusto da parte degli altri.
<< Ehi, Hiro. Ma la tua tuta dov’è? >> Chiese Honey Lemon, notando che il ragazzino era l’unico ad indossare ancora i suoi normali vestiti.
Hiro lanciò un’occhiata al suo abbigliamento e si grattò la testa, lasciandosi sfuggire un sorrisetto eccitato.

<< Già, è meglio che vada ad indossarla! Vi devo fare vedere una cosa. >>
Corse verso l’entrata della villa, ridendo euforico come non gli capitava da molto tempo.
________________________________________________________________________

NVU ha deciso di farmi un po' arrabbiare. Ho paura che il capitolo possa venir fuori mal strutturato, ma non ho idea di cosa sia capitato al programma. Spero comunque di non aver fatto errori. Questo capitolo è stato parecchio difficile da scrivere a causa di tutti i dettagli da inserire, ma ripeto che è proprio questo uno dei tanti motivi per cui ho amato questo film, quindi va bene così.
Ringrazio tutti i lettori e in particolare fenris e Emmydreamer_love2004 per le recensioni.


LittleBloodyGirl

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Orizzonte ***


Hiro osservava il suo riflesso nello specchio del camerino. Le spalle magre coperte dal bustino violaceo che componeva la sua armatura erano basse e si muovevano delicatamente insieme al suo respiro. Il petto si alzava e si abbassava piano, contenendo i battiti del suo cuore eccitato. La tuta nera fasciava il suo esile corpo alla perfezione, leggera e allo stesso tempo resistente abbastanza da non strapparsi al minimo tocco. Infilò i guanti di fibra elastica con un rivestimento in gomma nera, sul dorso vi erano due piccoli monitor che fungevano da computer e tracker per qualsiasi codice informatico.
Si concesse un breve attimo per incontrare se stesso. Le iridi nocciola brillavano vive, come non facevano da tempo.
L'ultima volta che si era sentito così era stato il giorno della fiera. Quel misto letale di adrenalina, ansia e trepidazione concentrate tutte in un solo corpicino fragile, e allo stesso tempo resistente come un castello di vetro. Trasse un respiro profondo, riempendo i suoi polmoni di aria.
Si concentrò su quel gesto. Era una cosa così naturale, così semplice eppure così importante. Gli sembrò che fosse passato moltissimo tempo dall'ultima volta che si era ricordato di respirare.
Aveva paura? Si, tanta. Quello che stava per mostrare a tutti era qualcosa di pericoloso, e allo stesso tempo bellissimo. Ma andava collaudato, e per farlo c'era un unico modo.
Si mise il casco viola, lasciando che inghiottisse la sua chioma ribelle e contornasse perfettamente il suo viso paffuto. Un ultimo sguardo al suo riflesso. Poi uscì, mascherando la tensione con l'eccitazione.

(
•—•)
 
Fred, Honey Lemon, Gogo e Wasabi vennero richiamati nella terrazza grande da Hiro, che si era presentato a loro con la sua tuta addosso. Non persero tempo a chiedere quale fossero le sue armi e come si sarebbe difeso, perchè vennero trascinati in fretta sul retro della villa.
<< Ok, ragazzi, siete pronti? >>
Hiro saltellò sul prato, un sorriso eccitato lasciava intravedere il tenero intervallo tra gli incisivi. I ragazzi si scambiarono uno sguardo d'intesa. Non vedevano l'amichetto sorridere in quel modo da tanto tempo.
<< Vi presento Baymax 2.0! >>
Si spostò per lasciare il posto ad un Baymax rivestito completamente di una spessa armatura rossa, sulla testa un elmetto della stessa forma di quello di Hiro, con la visiera che lasciava intravedere i due occhi neri. Uno strato di carbonio e acciaio grigio copriva lo stomaco e due solidi guantoni di ferro avvolgevano le candide dita bianche. Più che un operatore sanitario, adesso sembrava palesamente un robot da combattimento dall'aspetto intimidatorio. Con il petto in avanti e le spalle larghe e alte appariva come un guerriero invincibile. Sembrava stranamente pericoloso.
<< Ciao. >> Disse poi Baymax, riacquistando il suo aspetto innocente mentre inseguiva una farfalla.
<< Ehi, ehi, ehi! Cosa fai? Concentrazione. >>
Hiro gli corse incontro, dissuadendolo dal suo comportamento bambinesco, e gli lanciò uno sguardo d'intesa mentre sussurrava tutto eccitato parole che gli altri non capirono. Notando che neanche Baymax sembrava comprendere a cosa si stesse riferendo, il ragazzino portò un braccio in avanti, chiudendo la mano a pugno.
<< Mostragli il pugno, il pugno! >>
Il robot imitò la posizione di Hiro e tese anche lui il braccio in avanti, ma invece di fare quel che intendeva il ragazzino, esordì con il suo "Bha-la-la-la-la" che fece scoppirare tutti a ridere. Hiro arrossì, imbarazzato per la figura che l'automa gli stava facendo fare. Sapeva che avrebbe dovuto essere più specifico, ma non voleva rovinare l'effetto sorpresa.
<< No, non quello! L'altra cosa! >>
Solo allora, Baymax sembrò comprendere cosa Hiro volesse dire e procedette a serrare il pugno metallico. In quel momento, quattro alette si sollevarono lentamente all'altezza dell'avambraccio dell'armatura, lasciando fuoriuscire piccole fiamme celesti. In breve, il pugno si staccò dal braccio del robot e fu lanciato ad alta velocità contro una delle statue della villa, distruggendola per intero. Poi, come un boomerang, ritornò a ricollegarsi con l'armatura, completamente intatto. Quello che avevano appena visto fece smettere immediatamente i quattro compagni di ridere, lasciandoli senza fiato.
Fred, ancora nel suo costume, battè le mani freneticamente.
<< Il pugno-razzo rende Freddy tanto felice! >> Esclamò eccitato.
<< Ed è solo uno dei nuovi upgrades! Baymax... >>
Hiro sospirò, prima di pronunciare quella piccola parola di sole tre lettere. Sapeva che non appena l'avrebbe pronunciata, non avrebbe più potuto tirarsi indietro.
<< Ali! >>
Non appena lo disse, due ali meccaniche rivestite di rosso si sollevarono dalla schiena di Baymax. Non troppo grandi, ma perfettamente aderenti alla corporatura del robot, agili e leggere. Baymax sembrò altrettanto confuso di vedere quelle lame poco affilate spuntare all'improvviso sulla sua schiena. Hiro si arrampicò su di lui, piazzando la punta dei piedi in due piccoli intervalli magnetici e facendo lo stesso con i palmi delle mani. Sui guanti, infatti, erano presenti dei grandi comandi a propulsione che gli permettevano di restare aggrappato a Baymax con facilità, senza preoccuparsi di cadere. Da lì, poteva controllare tutte le opzioni di volo.
Si morse le labbra, lasciando che un brivido di eccitazione scorresse giù lungo la sua schiena.
<< Propulsione! >>
Al comando del ragazzino, fasci di fuoco azzurri fuoriuscirono violenti dai plantari di Baymax, sollevandolo da terra.
<< Mi sfugge come il volo possa fare di me un operatore sanitario migliore. >> Gli fece notare il robot, visibilmente impacciato a non stare con i piedi per terra.
Hiro ostentò un sorrisetto impertinente, cacciando fuori la lingua.
<< Mi sfugge come ti sfugga che è uno sballo! Propulsori al massimo! >>
Era arrivato il momento. Era giunta l'ora di mostrare a tutti ciò che aveva creato, dove era riuscito ad arrivare. Avrebbe compiuto un'impresa incredibile davanti agli occhi dei suoi compagni e sentiva già il sapore dell'adrenalina tra i suoi denti. Trattenne il respiro, ascoltando il suo cuore battere forte. Era pronto, sarebbe andato tutto bene. Lo sentiva.
In un attimo si ritrovò a terra, sulla schiena di Baymax, in orizzontale. I suoi occhi si scontrarono con la visione diretta dei quattro ragazzi, che mutarono i loro sguardi da stupefatti a un misto di confusione e terrore. La propulsione data dagli stivali del robot era ancora attiva e i due si ritrovarono a sfrecciare sull'erba verde come un battello impazzito arenato su una spiaggia. Il muro della villa si avvicinò pericolosamente e il ragazzino potè quasi sentire il dolore delle sua ossa che si frantumavano contro i mattoni. Si sollevò sulle ginocchia e inarcò la schiena, tendendo le braccia più che poteva per cercare di sollevare Baymax da terra.
Ci riuscì, ma l'effetto non fu quello sperato. Decollarono a velocità spedita, abbandonando la villa dietro di loro per fendere l'aria fredda e fumosa della città. Si ritrovarono a volare precariamente sui tetti dei palazzi, sui negozi addobbati e sui chioschi pieni di gente intenta a comprare qualcosa di caldo da mangiare.
Erano troppo bassi, e Hiro lo capì a causa di tutte le persone che avevano il naso rivolto verso di loro, una grande massa rossa che sparava fuoco.
<< Stabilizza il volo! >> Scese sulle ginocchia e posizionò meglio i palmi sui magneti. Le ali si drizzarono, permettendo un volo più diretto. << Iniziamo piano piano... >>
Non appena finì di dirlo, una delle grandi insegne di un ristorante giapponese si scontrò con la sua vista, dilatando le sue iridi più del dovuto. Hiro si lasciò sfuggire un gridolino terrorizzato e tese nuovamente le braccia, cercando di trascinare Baymax verso l'alto.
<< Su, su, su! Propulsione, propulsione! >>
Poco prima di scontrarsi con l'insegna, il robot stabilizzò i propulsori e puntò verso l'alto, partendo come un razzo verso il cielo. Il ragazzino sulle sue spalle rise eccitato, finchè non si rese conto che stavano rischiando di entrare nella stratosfera e morire asfissiati.
<< Troppa propulsione! Troppa! Troppaaaaaah! >>
Probabilmente comprendendo lo stress del piccolo, Baymax decise di spegnere i razzi sotto i suoi piedi appena sopra uno degli archi torii che decoravano il ponte di San Fransokyo. In un attimo, la forza di gravità strinse le sue mani invisibili intorno al ragazzino e al robot, trascinandoli a tutta velocità verso la strada del ponte trafficata dalle auto. Un'orribile sensazione di vuoto si aprì nello stomaco di Hiro, costringendolo a gridare. La strada era sempre più vicina. Se si fossero schiantati, avrebbero causato il caos più totale. Per non parlare dei tanti che feriti che potevano andarci di mezzo. Ma poco prima di schiantarsi contro un'auto in corsa, i propulsori si riattivarono, spedendo i due lungo il ponte e il traffico in linea retta. Poi con una spinta, risalirono su, sbattendo contro il ferro di uno degli archi rossi del ponte. Arrivati in cima, Baymax si adagiò delicatamente sulla superficie liscia dell'arco. Essere di nuovo fermi a terra fu un sollievo per Hiro, che rilasciò un sospiro incredulo e al contempo felice.
Sentiva ancora troppo bene quel solletico allo stomaco e il cuore battere forte contro la cassa toracica, pompando sangue pieno di adrenalina nelle sue vene. Nonostante avessero rischiato di morire più di una volta, il ragazzino era più che soddisfatto, e il sorriso euforico che aveva stampato sulle labbra non accennava a svanire.
<< Uh, cavolo! Bè, direi che per oggi basta volare! Tu che ne dici? >>
Baymax lo guardò, registrando il suo stato emotivo di nascosto, e notò un incremento notevole di neuroni e del livello ormonale. Qualcosa stava cambiando dai primi giorni in cui lo aveva incontrato. Quella strana sensazione di tristezza che aveva rempito i suoi occhi stava lentamente scivolando via, lasciando spazio ad una visibile e probabilmente inconscia contentezza. Lo notava dalle iridi che brillavano di eccitazione, dal sorriso perenne che lasciava scoperti i denti bianchi e dolcemente imperfetti. Ogni gesto lasciava trasparire euforia da quel corpo minuto e agile.
<< I livelli dei tuoi neurotrasmettitori salgono costantemente. >>
<< Quindi... In poche parole? >>
<< Il trattamento sta funzionando. >>
Si inclinò leggermente verso sinistra, poi sempre di più fino a ritrovarsi improvvisamente a mezz'aria, sospeso lateralmente.
Fuori dall'arco. Nell'aria fredda.
Caddero giù, verso il mare di novembre increspato dal vento, tra le braccia della morte più certa. Per un istante, il tempo si fermò per Hiro. Ogni cosa apparve rallentata. I suoi capelli nella brezza gelida, il suo corpo che perdeva equilibrio e stabilità, il suo cuore che affondava nel vuoto insieme a tutto il resto.
Stava cadendo. Stava cadendo giù. Baymax li stava trascinando giù entrambi.
<< Oh no! Oh no, no, no! Baymaaaaax! >>
In un attimo, una forte spinta lo sospese nell'aria, ad un pelo dalla superficie dell'acqua. Riaprì gli occhi che aveva chiuso per attendere l'impatto e un sorriso incredulo illuminò il suo volto.
Stava volando.
Stava volando sul mare d'autunno increspato dalla schiuma, attraverso il vento freddo e feroce che gli accarezzava il corpo. Urlò a pieni polmoni, riempendo la città sottostante con la sua voce elettrizzata.
Volarono sui tetti delle case più basse, sfidando la gravità della terra e giocando con le strade distorte, le luci dei lampioni e della automobili, dei negozi e delle insegne. Oltrepassarono i ponti, infilandosi come insetti dispettosi nelle gallerie più buie per illuminarle con la loro luce. Seguirono i treni sui passaggi a livello più alti, prendendosi gioco di tutti coloro che avevano avuto la fortuna di ammirare quel ragazzino nascosto da un casco che si era permesso di volare in alto, con la sicurezza che il suo compagno non lo avrebbe mai lasciato cadere. Baymax non aveva bisogno di ordini da parte di Hiro, nè di raccomandargli di tenersi ben stretto. In qualche modo sapeva che il suo piccolo "paziente" si fidava di lui e gli stava lasciando la gioiosa libertà di farlo sognare e volare un pò più in alto. E lo fece.
Girò su se stesso come una vispa libellula e percorse le altezze dei grattacieli, infrangendo le regole dell'impossibile.
Le finestre lucide dei palazzi rifletterono il loro volo come telecamere silenziose, spettatori inesistenti di quello spettacolo glorioso.
Hiro distolse per un attimo lo sguardo dalle nuvole davanti a lui per osservare il suo riflesso in quegli specchi. Guardò il suo viso, i suoi occhi che brillavano di eccitazione e felicità. E sorrise, lasciando che un dolce ricordo ritornasse a illuminare la sua mente che era rimasta all'oscuro troppo a lungo in quei giorni di tempesta interiore.
Aveva già vissuto quel momento, in realtà. Era stato così sciocco a ricordarsene solo ora.
Aveva volato da piccolo sulle spalle di suo fratello, aveva volato insieme a lui su un razzo fatto male, aveva volato con Tadashi sul suo motorino quella volta che lo aveva salvato da pestaggio sicuro.
Era sempre riuscito a volare grazie a lui, e la verità era che non pensava che avrebbe mai più potuto farlo.
E invece era lì, sospeso nell'aria a giocare con le nuvole mentre osservava il ricordo di quei momenti nel riflesso di uno dei grattacieli più alti della città. Ed era felice, come se Tadashi fosse sempre stato lì con lui. Come se Baymax fosse sempre stato lì con lui.
Il robot sfiorò uno dei cordoni elettrici dei mulinelli d'aria che fornivano energia eolica a San Fransokyo, seguendone la direzione che attraversava le nuvole dorate e bagnate dalla luce del tramonto. Girò su se stesso, ritornando poi in direzione delle turbine. Il robot guardò Hiro, Hiro guardò lui. Non ci fu bisogno di parole per capire ciò che entrambi avevano intenzione di fare.
Hiro serrò la presa sui magneti e nascose leggermente il volto nelle spalle per reggersi forte. Baymax aumentò la velocità, sferzando l'aria e le nuvole, evitando abilmente i meccanismi energetici con agili acrobazie. Puntava al sole, era lì che voleva portare Hiro. Sapeva che lui voleva arrivare lì.
Il ragazzino accolse contento la sensazione di vuoto nel suo stomaco ogni volta che Baymax girava su se stesso, osservò senza paura il mondo sotto sopra, anche solo per un secondo. Sentì lacrime adrenaliniche pungere gli angoli dei suoi occhi e increspò le labbra in un grande sorriso mentre volava al di là delle nubi bionde, verso l'orizzonte purpureo segnato dal sole che tramontava ad ovest, tra le montagne offuscate dalla lontananza e urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Gli sembrava di essere sulla vetta del mondo, un punto immaginario del cosmo così piccolo da esistere soltanto nella sua immaginazione.
E per quei brevi attimi, si sentì in grado di fare qualsiasi cosa, di poter affrontare qualsiasi battaglia o dolore che il futuro gli avrebbe riservato. Sentiva di poter vincere qualsiasi sfida a cui la vita lo avrebbe sottoposto.
Per quei brevi attimi, si sentì invincibile.
 
(
•—•)

Il sole stava ormai svanendo oltre le radure grigiastre, lasciando il posto alla sera che cominciava a stendere il suo manto bluastro sulla città, che pian piano si avviava al riposo notturno.
Hiro e Baymax guardavano quello spettacolo dall'alto di una delle turbine eoliche, sopra gli spruzzi di nuvole rosa. Il ponte di San Fransokyo cominciava ad accendere le sue luci e la scia di colori che nascondevano i fari delle auto iniziava a definirsi meglio, riflettendosi sul mare. Hiro respirò a pieni polmoni quell'aria pura e distese i muscoli. Non si sentiva così rilassato da troppo tempo.
<< E' stato... >>
<< Da paura. >> Baymax completò la frase per lui, lasciandolo per un attimo sgomento. << E' solo un modo di dire. >>
<< Eheh! Si, è così, amico mio. >> Disse il ragazzino, dandogli una leggera pacca sulla gamba.
Si perse un po' nelle sue riflessioni mentre osservava il robot che guardava il tramonto.
Fino a quel momento lo aveva considerato soltanto una macchina, nulla di più e nulla di meno. Un automa che stava semplicemente facendo quello per cui era stato programmato, ovvero aiutare un paziente a guarire. Ma la ferita di Hiro non era una semplice cicatrice che poteva essere curata con il semplice getto di qualche spray medicinale. Era una ferita più profonda, più grave. Una ferita per cui Hiro pensava non esistessero cure. E invece, Baymax una cura l'aveva trovata eccome. Perchè Hiro era stato in grado di dimenticarsi, anche se per poco, di quel dolore che aveva cominciato a divorarlo lentamente.
Ora gli sembrava di soffire di meno, e che quel dolore potesse essere sopportabile, in fondo.
A causa di Baymax era uscito di casa, cacciandosi nei guai e rischiando la vita. Ma era anche stato capace di riconnettersi con Gogo, Wasabi, Honey Lemon e Fred. Era stato capace di riattivare il cervello per inventare e costruire cose fantastiche. E ora si trovava nel bel mezzo del cielo a guardare il sole svanire davanti ai suoi occhi. Ed era bellissimo. Tutto grazie a Baymax.
Hiro aveva come la sensazione che tra lui ed il robot si stesse creando più di un semplice rapporto padrone-automa. Forse era il caso di cominciare a considerare Baymax come un suo... amico.
<< Il tuo stato emotivo è migliorato. >>
I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti dal robot, che lo aveva appena scannerizzato.
<< Posso disattivarmi se mi dici che sei soddisfatto del trattamento. >>
<< Cosa...? No, non voglio che ti disattivi! >> Esclamò Hiro, riprendendo coscienza del fatto che avevano ancora una missione da compiere.
<< Dobbiamo trovare quel tizio mascherato. Quindi attiva quel super-sensore. >>
Baymax obbedì all'ordine e si alzò in piedi. I suoi occhi neri si restrinsero per un attimo, focalizzando le videocamere sull'intero quartiere di San Fransokyo. Il suo sistema sintetizzò rapidamente tutti i dati che acquisiva durante lo scan della città alla ricerca della persona interessata, finchè non ricevette un segnale affermativo da parte del database.
<< Ho trovato una corrispondenza. >> Disse infine, allungando il braccio e puntando il dito in una direzione più lontana da San Fransokyo. << Su quell'isola. >>
Hiro seguì la direzione indicata dal robot e osservò confuso il pezzo di terra nel mezzo del mare. Isola Akuma, una delle isole più remote dell'arcipelago. Hiro non sapeva molto di quell'isola se non che fosse disabitata e delle varie leggende che circolavano su di essa. Qualcuno diceva fosse infestata da spiriti, altri da demoni da cui prendeva il nome. Ma una spiegazione più logica impartiva che lì venissero condotti esperimenti pericolosi e illegali. A causa di storie come quella, nessuno visitava l'isola ed era ritenuto uno dei luoghi più contaminati della contea.
Il nascondiglio perfetto per uno yokai.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Orchestrazione ***


Il cielo era sempre più scuro e l'aria si era ormai raffreddata quando Hiro e Baymax tornarono alla villa di Fred per recuperare i quattro compagni e raggiungere Isola Akuma. Honey Lemon si perse in convenevoli su quanto fossero stati in pensiero nel notare che non ritornavano e Wasabi aveva confessato di voler chiamare la polizia e l'ambulanza. Era stato solo grazie al sangue freddo di Gogo, e anche ad una sua tipica sfuriata senza emozioni, che avevano deciso di preoccuparsi per Hiro e Baymax in silenzio.
<< Che vista mozzafiato. >> Si espresse Gogo, dall'alto di una spalla di Baymax mentre sorvolavano San Fransokyo.
Honey Lemon, dall'altra parte, fece spallucce senza lasciare la presa sul braccio di Hiro. Fred e Wasabi erano appesi alle mani del robot, e mentre il ragazzo biondo si metteva in pose straordinarie facendo finta di essere Superman, l'altro si aggrappava disperatamente al braccio dell'automa, inveendo contro le altezze e asserì che lui soffriva di vertigini.
Ci vollero circa quindici minuti per arrivare sull'isola e Hiro diede ordine a Baymax di atterrare all'interno di un recinto spinato. Una volta atterrati, non fu difficile per i cinque ragazzi capire che la piccola struttura circondata dal filo di ferro era una base segreta di cui i proprietari non volevano si scoprisse nulla. Dovunque erano affissi segnali di pericolo e cartelli con avvisi di quarantena per niente rassicuranti che implicavano una probabile morte per chiunque avesse osato addentrarsi. Un silenzio inquietante regnava sovrano sull'isola, nascondendo un velo di tensione e paura per una minaccia invisibile, ma ben presente.
Fred era l'unico che non sembrava affatto turbato da quell'atmosfera.
<< Fantastico, ragazzi! Il nostro primo atterraggio da supereroi! >>
Il fatto che considerasse il gruppo come dei supereroi diede da pensare ad Hiro. Certo, era figo e straordinario ma lui non aveva alcuna intenzione di continuare a nascondersi sotto un casco e intervenire ogni qual volta c'era bisogno di aiuto in città. Ciò che stavano facendo era per una faccenda puramente personale. Una volta portata a termine la loro missione, avrebbero ripreso la loro normale vita da studenti universitari.
<< Andiamo, forza. >> Ordinò Hiro, poco convinto.
A Wasabi non sfuggirono i vari avvisi affissi sul recinto e intorno alla struttura e non perse tempo ad esprimere tutto il suo terrore.
<< Quarantena? No, cioè... Qualcuno sa esattamente cosa significa? >>
<< Quarantena: isolamento forzato durante epidemie o malattie per prevenire contagio, o in alcuni casi la morte. >> Spiegò subito Baymax, puntando il dito verso l'alto come per sottolineare l'importanza della spiegazione.  Essendo un robot, non aveva il senso del sarcasmo e Wasabi non la prese bene. Continuò ad esprimere il suo disappunto finchè Hiro non lo zittì, una volta arrivati davanti ad una grande porta di ferro che bloccava loro l'accesso all'edificio.
<< Fate attenzione, potrebbe essere ovunque. >>
Si sa che la paura può essere fortemente contagiosa, e ne diede prova il fatto che sentire un lieve rumore alle loro spalle, scatenò tutto il terrore che i cinque ragazzi avevano cercato invano di nascondere. Fu una reazione a catena. Hiro urlò, e a lui seguirono Wasabi che cominciò a menare fendenti all'aria con le sue lame laser, poi Gogo che lanciò i suoi dischi magnetici ad un soggetto invisibile e infine Honey Lemon e Fred che crearono diverse pericolosissime reazioni chimiche che culminarono in esplosioni rumorose. Una volta accertatosi di aver abusato abbastanza dell'armamentario a loro disposizione, si accertarono di avere almeno colpito la causa di quel rumore. Quando la cortina di fumo si diradò, davanti a loro, sul terreno bruciato, apparve un colombo che volò via subito dopo.
<< Era solo un uccello... >> Commentò Fred.
<< A-almeno sappiamo che l'attrezzatura funziona! >> Affermò Honey Lemon, imbarazzata.
Hiro era solo felice che nella confusione generale, nessuno avesse notato che si era nascosto dietro Baymax come un bambino impaurito. Alla faccia del leader impavido! Una parte di lui cercò di giustificarsi per il fatto che fosse l'unico disarmato senza il robot e che, in fondo, era ancora un bambino rispetto agli altri e come loro era impaurito.
Era giustificato!
Una volta riacquistata la concentrazione, Wasabi si fece avanti con una delle sue lame per liberare la via all'interno della struttura. Il plasma-laser penetrò senza problemi la superficie spessa della porta e la tranciò di netto dopo averla sminuzzata in forma circolare. La porta cedette con un sonoro tonfo che riecheggiò macabro nel corridoio buio che si parò davanti ai ragazzi.
Hiro deglutì silenziosamente, facendo cenno agli altri di avanzare. I loro passi sembravano rimbombare sulle pareti spoglie, mescolandosi poi al silenzio che avvolgeva il luogo. Lievi neon illuminavano a malapena il tunnel e alcuni erano così rovinati che tremavano oppure avevano smesso di funzionare. Hiro doveva riconoscere che poteva essere il posto perfetto per le leggende che si raccontavano. Piccoli brividi attraversavano la sua pelle e una strana inquietudine si era insidiata dentro di lui, cominciando a rodere i suoi nervi. Il luogo non sembrava così mal ridotto da sembrare abbandonato da molto tempo, ma ancora non riuscivano a capire di che cosa si trattasse esattamente, nè c'erano tracce che lasciassero intendere cosa fosse successo. Ma la preoccupazione più grande che tormentava le menti di tutti era la presenza del loro nemico, che a detta di Baymax doveva trovarsi lì. I nervi erano tesi e l'udito attento ad ogni tipo di suono. Spesso si guardavano le spalle perchè gli sembrava di aver sentito un rumore, ma una volta girati, non c'era niente. E la loro tensione saliva.
Silenzioso com'era, quell'uomo sarebbe potuto apparire da un momento all'altro dietro di loro e colpirli senza pietà, portando a termine ciò che aveva tentato di fare già una volta.
E se le cose non fossero andate per il verso giusto? Se quell'uomo li avesse uccisi, dove avrebbe sepolto i loro cadaveri? O peggio, li avrebbe usati per fare esperimenti? E loro sarebbero stati dichiarati scomparsi senza che nessuno venisse a cercarli? Solo quei pensieri gli davano i brividi.
<< Sei intrepidi eroi,
guidati da Fred, il leader Fred,
Fred's Angelz... Mmm... Fred's Angelz.
>>
Fred iniziò a canticchiare quella che sembrava una bizzarra colonna sonora per qualche telefilm degli anni '80. Quale fosse la necessità, nessuno lo sapeva. Sembrava solo che l'amico non la stesse prendendo poi così seriamente come avrebbe dovuto. E Wasabi non perse tempo a rinfacciarglielo.
<< Fred, se continui ti do uno schiaffo-laser! >>
<< Ragazzi dai, finitela! >>
Sussurrò Hiro infastidito. Era già abbastanza teso senza bisogno che si creassero discordie nel gruppo. Il pericolo poteva essere ovunque, e come se non bastasse non sapeva nemmeno dove stavano andando.
<< Baymax, riesci a individuarlo? >>
Il robot provò ad attivare il suo sensore, ma tutto ciò che riuscì a creare fu una serie di immagini distorte e confuse davanti al suo schermo.
<< Questa struttura interferisce con i miei sensori. >>
<< Perfetto, il robot è rotto! >> Asserì Wasabi, visibilmente seccato.
<< Uh... Ragazzi, venite a vedere... >>
La voce di Honey Lemon risuonò nel corridoio in un sussurro che non prometteva niente di buono. Erano appena passati di fianco ad una grande porta di ferro rimasta socchiusa e la ragazza ne aveva approfittato per sbirciare oltre la soglia. Entrarono in quello che sembrava un piano superiore che affacciava su un'enorme sala accogliente due pilastri distrutti, uniti tra loro da degli strani binari ormai arrugginiti. E su uno di quei pilastri, giaceva come un mostro dormiente una grande costruzione circolare visibilmente consumata da qualche cataclisma. La plastica che ricopriva la superficie esterna era stata erosa dall'umidità e dai batteri, e fili elettrici sgusciavano fuori dalla dimensione interna, come organi strappati da un corpo mummificato.
<< Secondo te cos'è, genio? >> Chiese Gogo, un filo di tensione nella sua voce.
<< Non ne sono sicuro, ma... Guarda. >>
Hiro indicò la parte inferiore della costruzione e solo allora tutti gli altri si accorsero del simbolo che era affisso su di esso. Una rondine di colore rosso al centro di un cerchio. Era lo stesso simbolo che Hiro aveva visto su un pezzo della cosa che l'uomo mascherato stava facendo riemergere ai suoi microbot dal fondo del mare, e il ragazzino era sicuro di averlo visto anche sulla lavagna del magazzino in cui era entrato dopo aver seguito il microbot che gli era rimasto. Quei tre luoghi erano tutti connessi, dunque. Ma che cosa simboleggiava esattamente quel disegno?
<< Hiro, lassù... >>
Il piccolo si volse verso la direzione indicata da Honey Lemon e i suoi occhi si scontrarono con la vista di una stanza vetrata da cui proveniva una macabra luce rossa. Si diressero verso di essa, e Baymax aprì cautamente la porta socchiusa. Non sembrava esserci nessuno lì. Ogni cosa era in disordine, come se chiunque fosse stato lì prima avesse abbandonato il luogo in fretta. Le sedie erano spostate dalle rispettive scrivanie e ogni macchinario sembrava completamente inutilizzabile. Fogli e documenti erano sparsi sui tavoli e per terra, ma il bagliore rosso sembrava provenire dall'interno della stanza.  Doveva essere stata una sala comandi o di sorveglianza, perchè vi erano dei grandi schermi che i ragazzi identificarono come riprese di telecamere di sicurezza. Alcuni dei monitor erano rimasti accesi e il più grande aveva le dimensioni dell'intera stanza. L'enorme simbolo della rondine era disegnato in nero e giaceva su uno sfondo cremisi, come un inquietante incontro tra inchiostro e sangue.
Il gigantesco monitor sembrava ancora funzionante, Hiro premette il tasto di accensione e il simbolo svanì per lasciare posto ad una divisione dello schermo in nove parti corrispondenti. Ognuna di queste, mostrava una fotogramma di ciascun video ripreso dalle telecamere di sorveglianza.
E alla vista di uno di quei fotogrammi, Hiro sentì il suo respiro aumentare notevolmente quando riconobbe una persona a lui nota. << Krei... >>
L'uomo era stato ripreso mentre camminava su uno dei pontili vicino alla struttura circolare nella sala grande, insieme a quelli che apparivano come poliziotti o guardie dell'esercito. Premette il tasto di avvio e il video cominciò a scorrere davanti ai suoi occhi, mostrando immagini nascoste di una vicenda oscura.
<< Ci è stato chiesto di fare l'impossibile, e noi lo abbiamo fatto. State per assistere alla dimostrazione di qualcosa di straordinario. Vi presento il progetto: Rondine Silente >>
La voce di Alister Krei risuonò profonda e tranquilla, sicura di sè, esattamente come quando aveva parlato con lui alla fiera del campus. Il ragazzino sentì un brivido scorrere lungo la sua schiena. Improvvisamente, quella voce gli faceva paura. Era la voce di un manipolatore, di qualcuno che sa esattamente cosa vuole ed è disposto a tutto pur di ottenerlo.
<< Permette, generale? >>  Chiese l'uomo nel video, tendendosi verso un uomo massiccio con la divisa, che gli cedette il suo cappello.
In quel momento, Krei fece un gesto rivolto ad un tecnico dall'altro lato del pontile e al centro del grande pannello circolare apparve uno strano flusso dal colore celeste. I ragazzi si accorsero subito che sul pilastro attualmente vuoto era prima presente una struttura circolare simile a quella che era rimasta. Le due costruzioni dovevano essere connesse, in qualche modo.
E proprio mentre cominciavano a chiederselo, Krei lanciò il cappello nel flusso. Ma invece di finire dall'altra parte, quest'ultimo rispuntò invece dal secondo pannello, finendo nelle mani dell'operatore tecnico, che procedette a ripetere l'azione. Lanciò il cappello nel flusso e questo fuoriuscì automaticamente dal corrispettivo pannello. Krei lo prese al volo, restituendolo al proprietario.
<< Teletrasporto: il trasporto temporale della materia attraverso lo spazio. Da oggi non è più solo fantascienza. >>
Quella spiegazione così dettagliata dell'esperimento in questione fece accapponare la pelle ai ragazzi.
Com'era possibile? Un'azione del genere era qualcosa che si vedeva nei film, era pura fantasia. Eppure, quell'uomo era riuscito a rendere una cosa del genere realtà.
<< Inutile che vi spieghi che non abbiamo speso mesi di lavoro e soldi per teletrasportare un cappello. Signori, siete testimoni di un momento storico. Sei pronta a farti un giro, Abigail? >>
<< Oggi abbiamo degli spettatori. Cerchiamo di dargli un bello spettacolo. >>
La voce di una donna, vellutata e decisa, fece capolino dalle casse del monitor e gli occhi dei ragazzi si spostarono su un altro frame, il quale mostrava una ragazza rivestita interamente di una tuta bianca e il viso in parte coperto da un casco integrale. Il volto era ben squadrato e un ciuffo di capelli castani spuntava dalla parte alta della fronte, gli occhi grandi erano di un bellissimo colore azzurro, due zaffiri luminosi.
Hiro ebbe una strana sensazione mentre la guardava. In qualche modo, gli sembrava... familiare. Possibile che l'avesse già vista da qualche parte?
La donna procedette a sedersi in quella che sembrava una capsula orbitale, e dopo aver premuto alcuni pulsanti dall'interno, la parte anteriore del veicolo si mosse in avanti, intrappolandola dentro. A quel punto, fu ovvio per tutti quello che Krei aveva intenzione di fare.
Fin da bambini, si era abituati a notare che il teletrasporto era un potere particolare e fantastico. Ma era, appunto, solo una fantasia. Hiro in particolare non avrebbe mai pensato a una simile possibilità.
E lui era un genio!
Krei diede ordini specifici riguardo alla preparazione per lanciare la capsula nel portale, denigrando il possibile errore di sistema individuato da un tecnico, che non sembrava poi così importante. Una voce elettronica femminile intonò il conto alla rovescia e i sei compagni non poterono fare a meno di stare col fiato sospeso per tutto il tempo.
<< Lancio capsula. >>
La telecamera interna riprese quel momento incredibile, mostrando la ragazza che, senza perdere quella determinazione stampata sul suo volto, si aggrappò forte ai braccioli del sedile mentre la sua capsula veniva spedita all'interno del portale. Un cambio di angolazione mostrò il veicolo sparire nel flusso celeste.
Ma la capsula non uscì mai dall'altra parte.
Improvvisamente, il secondo pannello cominciò a tremare e subito dopo esplose, causando il primo portale ad andare in tilt e a creare un terribile campo magnetico che iniziò a risucchiare dentro di sè ogni cosa all'interno del laboratorio. Le urla dei tecnici e degli scienziati riecheggiarono strazianti, e forti rumori di distruzione riempirono la sala e le orecchie dei cinque ragazzi, che osservavano increduli e terrorizzati quello spettacolo crudele.
<< Krei, spenga quella macchina! Subito! >>
All'ordine del colonello, l'uomo aprì un pannello sulla scrivania dei comandi e premette un pulsante che spense immediatamente il portale, lasciando solo una sala  piena di distruzione e desolazione.
Hiro deglutì. Era inutile domandarsi cosa fosse successo al pilota nella capsula. Quegli occhi così determinati e volenterosi... Non avrebbero più visto la luce del giorno. E Krei, che in quell'ultimo fotogramma aveva uno sguardo colmo di stupore e disperazione, sembrava completamente distrutto.
Ora tutto combaciava. L'esperimento era già stato stabilito per avere un alto grado di difficoltà e pericolo, e per questo era stato fatto costruire un laboratorio segreto sull'isola più sperduta dell'arcipelago di San Fransokyo. Doveva essere un momento importantissimo, ma le cose non erano andate come Krei aveva previsto e tutto quello che aveva ricavato era stato un taglio netto ai fondi di sperimentazione e la cancellazione del progetto da parte del governo.
Non c'erano più dubbi. Krei voleva vendicarsi di quel torto subito. Alister Krei era l'uomo mascherato.
<< Oh no. >>
Sentire Baymax pronunciare quelle brevi parole fu abbasanza perchè Hiro sentisse il cuore in gola. C'era un pericolo nelle vicinanze. Ma prima che potessero reagire, un rumore fortissimo di vetri infranti e mura crollate penetrò le loro orecchie e una terribile spinta li schiacciò, oscurando il luogo intorno a loro. Fortunatamente, Baymax era riuscito ad intercettare in tempo il grande pezzo di soffitto che era stato lanciato contro di loro ed era riuscito ad evitare una strage. Lo sollevò sulle sue spalle, dando la possibilità ai ragazzi di respirare. Honey Lemon tossì a causa della polvere dei detriti.
Hiro si alzò in piedi, riprendendosi dallo shock che gli aveva causato l'idea di essere stato per poco schiacciato vivo, e cercò di mostrarsi forte.
<< Baymax, facci uscire da qui! >>
Il robot ubbidì, squarciando il pezzo di soffitto con il suo pugno-razzo e liberando la strada. Davanti a loro, l'uomo con la maschera kabuki fluttuava come un fantasma sui microbots ed era rivolto verso di loro. Le dorate iridi vuote scrutavano il gruppo con particolare fastidio e un gesto delle spalle fece intendere quanto fosse seccato che non fossero morti.
<< Mirate al trasmettitore, dietro la maschera! >> Urlò Hiro, ma prima che potesse intervenire, l'uomo fece lanciare ai microbots un altro grande frammento di soffitto verso di lui.
Baymax afferrò velocemente uno dei detriti per terra e lo utilizzò come scudo contro l'attacco, ma l'impatto fu talmente forte da destabilizzarlo e catapultarlo violentemente contro il muro. Hiro accorse spaventato, accertandosi che il robot stesse bene.
Honey Lemon, Gogo e Wasabi si lanciarono uno sguardo terrorizzato. Era arrivata l'ora di combattere, il momento di mettere in pratica tutto quello per cui si erano allenati. Ma d'improvviso, compresero che la realtà dei fatti era molto più paurosa di quello che si erano immaginati. Erano davanti a qualcuno che non si faceva scrupoli ad ucciderli, e per quanto loro potessero essere protetti con le tute e le armi, erano terrorizzati dal fatto che tutto sarebbe potuto crollare da un momento all'altro e che non se la sarebbero certo cavata solo con qualche graffio.
Per loro fu come ritrovarsi nel bel mezzo di una guerra, avendo in mente solo l'idea di ciò che poteva essere, ma completamente inesperti. Non erano ancora pronti a morire.
Wasabi scrollò le spalle, cercando di non far notare il tremolio nella sua voce.
<< Ok, qual è il piano? >>
Ma prima che Gogo e Honey si potessero esprimere, Fred si pose davanti a loro con un sorriso deciso stampato in faccia.  << E' il mio momento. >>
Abbassò teatralmente il cappuccio su di se, nascondendo il viso affilato sotto la maschera da mostro e saltò in alto, rimbalzando sulla ringhiera per tendere un attacco aereo. Ma a parte l'agilità, era decisamente scontato per l'uomo mascherato, il quale ordinò mentalmente ai microbots di tirargli un solido pugno, facendolo cadere dall'altra parte della sala.
<< Sul serio, qual è il piano?! >> Chiese di nuovo Wasabi, il terrore che cominciava a definirsi sul suo volto.
Gogo fece scoppiare la gomma da masticare e riacquistò la sua freddezza. << Prendiamo la maschera. >> Disse, infilando i dischi alle caviglie e sfrecciando verso la sala grande.
<< Aspetta, vengo anch'io! >> La seguì Honey Lemon, ignorando le proteste dell'amico di colore.
L'uomo mascherato si volse verso la ragazza dall'armatura dorata e cercò di individuarla, tendendo un braccio per ordinare ai microbots di colpirla. Ma Gogo era veloce, e schivò ogni attacco con facilità, saltando da un padiglione all'altro. Pose in avanti la gamba sinistra per aiutarsi nella discesa e una volta a terra roteò su se stessa, caricando la forza nelle braccia per lanciare uno dei dischi magnetici contro il nemico. Lo colpì dritto sulla fronte, ma nonostante lo avesse stordito non era bastato a far cadere la maschera dal volto.
Honey Lemon nel frattempo agiva cautamente, avanzando di soppiatto dietro ai pannelli integri. Seguiva l'amica con gli occhi, attendendo il momento giusto per cogliere l'uomo di sorpresa. Saltellò come una cavaletta da un pilastro all'altro, appiattendosi contro la fredda parete. Digitò alcuni elementi dal display della tracolla e afferrò la pallina chimica tra le dita, stringendola forte. Respirò a fondo, cercando di contenere i battiti del suo cuore e ascoltò silenziosamente i rumori alle sue spalle, immaginando davanti ai suoi occhi ogni mossa, ogni azione del nemico. Lo vedeva agitare le braccia, vedeva i microbots che si muovevano come serpenti giganti in attesa di stritolare una preda, vedeva Gogo che scattava come una lepre, veloce e aggrazziata per cercare di disorientarlo e rubare la maschera del demone.
Le sue orecchie sentirono lo stridìo lontano dei cerchi dell'amica e decise di agire.
<< Ehi! >> Urlò per attirare l'attenzione del nemico, ma le sue iridi smeraldine si dilatarono quando vide uno dei dischi dorati volare verso di lei.
Venne violentemente colpita sul casco e l'impatto fu così forte da destabilizzarla. La pallina chimica scivolò dalle sue mani e si infranse sul pavimento, creando una patina trasparente scivolosa. Gogo scese a terra proprio in quel momento e scivolò, scontrandosi con il corpo di Honey Lemon. L'uomo le scrutò dalle orbite infuocate della sua maschera, probabilmente pensando a quanto fossero stati sciocchi quei cinque ragazzini a pensare di mettersi contro di lui, giocando a fare i supereroi. Una voce maschile attirò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi. Riconobbe il ragazzo di colore, che però non sembrava molto convinto di quello che stava facendo.
<< Hai voglia di fare un balletto, uomo mascherato? >> Esclamò Wasabi, sguainando le sue lame laser.
Si lanciò in una serie di mosse drammatiche e per niente intimidatorie, e quando affilati tentacoli di microbots cominciarono a colpirlo persino lui si stupì di riuscire a centrarli. Lanciava gridolini spaventati e si muoveva convulsamente fendendo ogni cosa che si muovesse, finchè non sentì più i piccoli bots attaccarlo.
<< Ah ah! E' tutto qui quello che sai fare? >>
Si pentì subito di averlo detto non appena sentì uno strano solleticò ai piedi. Abbassò lo sguardo e notò che una melma nera di microbots si era annidata proprio intorno alle sue caviglie, senza lasciargli scampo.
Con un gesto della mano, l'uomo scaraventò via il ragazzo che finì addosso a Fred, appena riemerso da una presa d'aria.
Cominciava a stancarsi, era giunto il momento di finirla. Quei ragazzini non erano degni di sprecare il suo tempo. Ordinò ai microbots di formare un enorme e pesante pistone, sospeso minacciosamente sui loro corpi indeboliti. Sarebbe bastato un colpo secco e finalmente sarebbero stati fuori da piedi per sempre.
Ma improvvisamente, un forte colpo d'aria attraversò il suo corpo e quasi perse l'equilibrio. Alzò lo sguardo e notò Hiro e Baymax volare sopra di lui. Il ragazzino aveva cercato di strappargli la maschera ma non ci era riuscito. Rotearono nell'aria e si diressero di nuovo verso il loro nemico, aumentando la velocità. Se non riuscivano a disarmarlo avrebbero dovuto destabilizzarlo. Ma l'uomo non si fece cogliere di sorpresa e sparò contro i due un pugno di ferro fatto di microbots che colpì in pieno il robot. Hiro venne sbalzato in avanti e cadde addosso all'uomo.
Rotolarono entrambi giù per le scale buie, finendo sul pavimento freddo del laboratorio.
In quel momento, la maschera volò via dal volto del suo ospite e i microbots persero vita, disintegrando ogni costruzione massiccia che avevano formato.
Il pistone si sgretolò sulle teste dei quattro ragazzi, che sentirono il freddo metallo dei piccoli bots come una pioggia benedetta. Hiro alzò il busto. Avvertiva dolore in ogni parte del corpo e una tremenda confusione in testa. Confusione che si diradò come nebbia quando vide davanti a lui la maschera kabuki. In un attimo realizzò, l'uomo era ormai disarmato. Senza la maschera non poteva fare niente, lo aveva in pugno.
Ce l'aveva fatta. La raccolse velocemente, come impaurito che il suo nemico potesse reagire violentemente per cercare di riprendersela, e si alzò in piedi, scrutandolo severamente.
<< E' finita, Krei. >>
Il suo sguardo si assottigliò, eliminando ogni traccia di pietà per l'uomo che stava cercando di rimettersi in piedi a fatica.
Voleva che si voltasse, che lo guardasse negli occhi. Voleva che capisse chi era quel ragazzo a cui aveva strappato l'anima, voleva che lo fronteggiasse per sentire il rimorso di aver ucciso una persona innocente. Era giunto il momento della resa dei conti.
E lui si voltò.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Illusione meccanica ***


Qualcosa non andava.
Lo aveva capito subito. Dal momento in cui aveva visto Hiro paralizzarsi davanti a quell'uomo vestito di nero, con i capelli brizzolati, gli occhi azzurri come il ghiaccio più freddo e il volto contornato da rughe profonde come solchi. Un'espressione cupa proferiva dal suo stato d'animo. Chiunque egli fosse, non somigliava affatto alla persona che stavano cercando. Ora che il suo viso era scoperto, Baymax cercò di identificarlo, ma Hiro gli risparmiò quella fatica.
<< Professor Callaghan...? >> Il suo tono era sconcertato e confuso.
A quanto pare, non era una buona cosa che ci fosse quella persona sotto la maschera, perchè anche i suoi amici ebbero la stessa reazione.
<< Ma... L'esplosione... Lei è morto... >>
Ogni parola fuoriusciva dalle labbra di Hiro con enorme difficoltà, come se una pesante catena avesse imprigionato la sua voce.
<< No, avevo i tuoi microbots. >> Rispose il professore, la voce greve e completamente priva di emozione alcuna.
<< Ma... Tadashi... Lo ha lasciato morire? >>
Nel suo database, Baymax aveva registrato anche il momento in cui il ragazzino gli aveva parlato dell'incendio in cui Tadashi era morto. Che stessero parlando dello stesso incidente?
<< Dammi quella maschera, Hiro. >>
<< Lui era rientrato per salvare lei! >>
<< Tanto peggio per lui. >>
Era stato un attimo, questione di un secondo diviso a metà, ma l'aveva notato.
Nel momento in cui il professor Callaghan aveva pronunciato quella frase, Hiro aveva tremato. Ma non per paura, nè tanto meno per esitazione. Era sotto stress, lo percepiva. Era notevolmente sotto stress. Era vicino ad una soglia che non doveva essere valicata per nulla al mondo. Troppo vicino ad uno stato mentale che non andava alterato. Per nulla al mondo.
Doveva proteggerlo. Doveva afferrarlo e riportarlo indietro. Volò da lui, piazzandosi appena dietro il suo corpo irrigidito. Avrebbe dovuto dire qualcosa, assicurarsi che stesse bene. Avrebbe dovuto abbracciarlo e dire che presto tutto sarebbe passato.
Ma Hiro non gliene diede il tempo.
Tremò di nuovo, questa volta fu più percettibile. E pronunciò un solo ordine.
<< Baymax... Distruggi. >>

Qualcosa non andava.
I ruoli si erano invertiti velocemente. Ora era il professor Callaghan ad essere sconcertato e confuso, e Hiro ad essere arrabbiato.  Furioso.
<< Il mio programma mi impedisce di procurare lesioni fisiche. >> Disse esitante.
Non poteva sapere come Hiro avrebbe reagito alle sue parole in quello stato, ed era meglio non alterarlo ulteriormente. In fondo, aveva detto la verità. Lui era un operatore sanitario, era stato creato per curare la gente, non ferirla. Per quanto l'uomo davanti a lui potesse essere cattivo, Baymax non avrebbe mai potuto fargli del male. Non era programmato per quello.
<< Adesso non più. >>
Hiro picchiò violentemente sul portello d'accesso sul suo petto, liberando i due chip al suo interno, e rimosse quello verde, gettandolo via.
Il suo chip. La sua essenza.
Quello era il suo cuore, l'oggetto che lo rendeva se stesso.
E Hiro lo stava buttando via come un inutile pezzo di plastica. Era arrabbiato, lo sapeva. Doveva cercare di farlo ragionare, doveva prendersi cura di lui come gli era stato ordinato. E doveva farlo subito, prima che la cosa andasse oltre il suo controllo. Ma come poteva farlo? Un abbraccio sarebbe stato poco efficace e una qualsiasi medicina non sarebbe servita a nulla.
Doveva parlargli. Forse Hiro aveva dimenticato qual'era il suo vero scopo. Baymax doveva ricordaglielo.
<< Hiro, non è questo che... >>
Sistema riavviato.
Registrazione dati in corso. Rimozione dati scientifici.
Procedura di distruzione attivata.


Hiro spinse di nuovo il portello d'accesso verso l'interno. Dentro, soltanto il chip rosso.
Il sistema di Baymax si disattivò per un istante, racchiudendolo in una bolla di incoscienza.
Ogni circuito dentro di lui lasciò che il suo compito di guarire e portare conforto scivolasse via, rimpiazzandolo con un nuovo obiettivo.
Un obiettivo che non era suo. Un obiettivo per cui non era stato creato. Ma in quel momento era tutto quello che poteva fare, non aveva scelta.
Era soltanto un robot.
I suoi occhi neri e curiosi si tinsero di un rosso sanguigno e violento, e il suo sistema attendeva un solo ordine che non tardò a ripetersi.
<< Fallo, Baymax. Uccidilo! >>

Era soltanto un robot.
E come tale doveva eseguire gli ordini. Non poteva ribellarsi.
Non potè farlo quando puntò il pugno-razzo contro il professor Callaghan e fece fuoco su di lui, il quale lo evitò gettandosi a terra e fuggì terrorizzato.
Era soltanto un robot. Doveva eseguire gli ordini.
Non reagì quando le persone intorno a lui cercarono disperatamente di fermarlo.  
No! Fermo, Baymax!
Tutto quello che fece fu gettarli via come manichini, impotenti davanti alla sua furia.
Doveva seguire Callaghan e distruggerlo. Era il suo compito.
Era soltanto un robot. Doveva eseguire gli ordini.
I suoi occhi rossi brillarono come fuochi demoniaci nella polvere, individuando il professor Callaghan che ancora tentava di fuggire spaventato.
Distrusse i pannelli di sostegno, facendosi strada in mezzo all'oscurità.
Callaghan era caduto. Strisciava come un verme in cerca di pietà. Pietà che per Baymax non esisteva, non più.
Puntò il pugno-razzo, pronto a fare fuoco.
Era soltanto un robot. Doveva eseguire gli ordini.
C'erano voci intorno a lui. Eco lontane che non penetravano attraverso la sua armatura.
Qualcosa lo distrasse dallo sparare il pugno-razzo contro l'obiettivo.
Si sentì trascinare via in un disperato tentativo di fermarlo.
Ma lui era un robot. E doveva eseguire gli ordini.
Si schiacciò violentemente contro la parete, abbattendo chiunque si fosse posato sulle sue spalle per trascinarlo via.
Non riconsceva più niente, più nessuno.
Tutto quello che sapeva era che doveva distruggere il professor Callaghan.
Che state facendo? Così lo farete fuggire.

Perchè glielo aveva ordinato Hiro. Lui stava male, Baymax si era ripromesso che lo avrebbe aiutato a guarire.
E se quella era l'unica soluzione, allora l'avrebbe fatto.
Per Hiro.
Il professor Callaghan stava scappando. Non poteva lasciare che fuggisse.
Fermo, Baymax!
Scansò via ogni intruso, ogni forma vivente che osasse fermarlo.
Violentemente, senza pietà, senza gentilezza alcuna.
Solo forza e devastazione.
Registrò l'obiettivo, in alto su un pannello verso l'esterno, dal tetto. 
Sarebbe bastato poco, ormai era suo.
Prese la mira e alzò il pugno.
Doveva farlo. Era il suo compito. Se lo avesse fatto, Hiro sarebbe stato meglio.
Non avrebbe più sofferto. Doveva farlo. 
Per Hiro.


Sistema riavviato.
Recupero dati scientifici in corso.
Modalità medica attivata.

Baymax riaprì gli occhi, neri e curiosi. Studiò l'espressione spaventata di Honey Lemon, che aveva inserito nuovamente il suo chip nel portello d'accesso. Il suo scanner rilevò un'alta concentrazione di adrenalina e ossitocina nel suo corpo. Le sue iridi smeraldine erano completamente dilatate e il suo respiro affannoso. Le mani delicate tremavano terribilmente. Si guardò intorno, realizzando ciò che aveva fatto non appena si accorse che tutti stavano cercando di riprendersi da qualcosa di terribile. Lo osservavano come fosse un mostro, un animale randagio a cui avevano paura di avvicinarsi. E la cosa creò dentro di lui uno strano sentimento. Aveva davvero fatto una cosa così brutta?
Hiro gli aveva davvero ordinato di fare una cosa così brutta?

<< Il mio protocollo è stato violato. >> Disse, aiutando Fred a rialzarsi.
Il ragazzo ritirò debolmente il braccio dalle mani di Baymax, ancora sotto shock.
<< Mi spiace di aver causato eventuali disagi. >>
Era davvero dispiaciuto. Era imbarazzante per lui, terribile. Lui era un operatore sanitario, non una macchina da guerra. Perchè aveva lasciato che succedesse?
<< Perchè lo avete fatto?! Lo avevo in pugno! >>
Hiro sfondò la sua vista, parandosi brutalmente tra lui e i compagni. Era ancora arrabbiato. Lo percepiva dalle urla, la voce tremante e furiosa, gli occhi castani di solito così dolci, ora bramavano soltanto vendetta e trasparivano delusione nei confronti dei quattro ragazzi.
Baymax non riusciva a capire. Perchè Hiro ce l'aveva tanto con loro? Aveva forse sbagliato a contattarli, quel giorno? Aveva sbagliato a seguire le sue procedure mediche, cercando di aiutare il ragazzino?
Lo aveva fatto a fin di bene, lui voleva aiutarlo. Voleva che stesse bene di nuovo. Ma forse aveva soltanto peggiorato le cose.
<< Quello che hai fatto non era nei piani. >> Disse Wasabi, cercando di calmarlo.
<< Il nostro piano era acciuffarlo, tutto qui. >> Continuò Gogo.
Non c'era rabbia nella loro voce. Solo preoccupazione e voglia di far ragionare il piccolo amico, velati da una strana e incredibile dolcezza nonostante quello che era successo poco prima. Loro capivano più di quanto Hiro immaginasse quello che stava provando in quei momenti, per questo sapevano bene che gridargli contro non sarebbe servito a nulla. 
Ma Hiro non voleva sentire ragioni. Era troppo, troppo arrabbiato. Troppo frustrato.
Troppo deluso.
<< Ho sbagliato a farmi aiutare da voi. >>
Sputò quelle parole piene di acido e furia contro di loro. In qualche modo, sperava di ferirli. Sperava di fargli del male. Poi ordinò laconicamente a Baymax di registrare la posizione del professor Callaghan, ma il robot lo deluse nuovamente. Lo scanner era fuori uso a causa degli impatti violenti durante lo scontro. Hiro sospirò frustrato. Si arrampicò sulla sua schiena, posizionandosi sui sensori magnetici e ordinò di alzare le ali. I quattro compagni capirono subito ciò che il ragazzino aveva in mente, e gli si mozzò il respiro.
<< Hiro, non faceva parte dei piani... >> Fred tentò di parlare, ma la sua voce andò perduta in un istante.
<< Vola! >>
I propulsori si accesero sotto i piedi di Baymax, che in silenzio, non potè fare nulla per evitare che Hiro lasciasse su quell'isola i quattro ragazzi e volasse via. Via da quello che il piccolo considerava come un tradimento, come l'ennesima delusione data dalle persone. Avrebbe dovuto impedirglielo, in qualche modo. Avrebbe dovuto farlo ragionare.
Ma lui era solo un robot. E come tale, doveva eseguire gli ordini.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Riflesso ***


L'orizzonte era ormai sparito da tempo, e il manto nero della notte aveva ricoperto la città e parte del mondo, condannandolo al sonno. Si era alzato il vento, un freddo maestrale d'inverno che sferzava violento, fendendo la pelle e i capelli di Hiro, che volava sulle spalle di Baymax con lo sguardo dritto e le labbra serrate. Non una parola fuoriusciva dalla sua bocca. La sua voce era intrappolata ancora una volta da una spessa catena che posava il suo pesante macigno sul cuore. Tremava, ma non per il freddo. Gli occhi gli bruciavano, ma non per il vento.
Tutto quello a cui riusciva a pensare era quello che era successo poco prima sull'Isola Akuma. Finiva sempre così, ormai doveva esserci abituato. Era sempre finita in quel modo.
Ogni persona che incontrava lo deludeva, fin da quando era bambino. Tutti agivano egoisticamente e secondo il solo scopo di rovinare ogni suo piano, di tranciare via ogni sicurezza per poi giustificarsi con un banale e stupido discorso privo di senso. Non si poteva fidare di nessuno. Se lo era sempre ripetuto, fin da piccolo. Le persone feriscono e basta.
L'unica persona che non lo aveva mai deluso e di cui si era sempre fidato era svanita via.
In una scintilla, in un velo di fumo tra le fiamme dell'inferno. Dritto nella bocca del demone, che aveva assunto le sembianze di un uomo.
Callaghan. Il professor Callaghan. L'uomo che Hiro più stimava, il suo idolo, il suo mito, si era portato via suo fratello. E lo aveva fatto rubandogli i suoi microbots. Ma perchè?
Che bisogno aveva avuto di arrivare a tanto? Perchè rubare la sua invenzione e dare fuoco alla scuola? Perchè uccidere Tadashi?
Tadashi...
Lui era rientrato in quell'edificio perchè Callaghan era rimasto dentro, ignaro o forse conscio del fatto che il professore fosse il responsabile di quella cruenta messinscena.
La sua gentilezza lo aveva tradito. La sua bontà lo aveva condannato a morte in quell'inferno. Ed era tutta colpa di Callaghan.
Hiro urlò al cielo, liberando tutta la furia e la disperazione di quel tradimento.
Baymax ascoltò le sue grida. Era inutile fare alcuna diagnosi adesso, sapeva benissimo come stava il suo protetto. E preferì rimanere in silenzio, mentre si dirigevano verso casa.


 (•—•)

<< 'Dashi? 'Dashi, dove sei? >>
Il piccolo Hiro camminava svelto tra i tavoli della caffetteria. I piedini scalzi non facevano alcun rumore sul pavimento di mattonelle decorate. Lui e Tadashi stavano giocando a nascondino, ed era il suo turno di trovare il suo fratellone. Ma il piccolo aveva guardato ovunque. Sotto i tavoli, nel ripostiglio, sotto il bancone della cucina. Persino dietro le tende e i mobili.
Tadashi non era neanche sotto il letto. Non riusciva a trovarlo.
<< 'Dashi...? >>
Forse era uscito perchè si era dimenticato che stavano giocando? Forse si era annoiato di avere sempre il fratello minore tra i piedi?
Forse lo aveva... Abbandonato? E se non fosse tornato più, come la mamma e il papà?
<< 'Dashi... >>
Prima che potesse trattenersi, Hiro scoppiò a piangere. Lacrime d'argento varcavano il suo visino paffuto e arrossato dallo sforzo, la bocca contratta in un vano tentativo di reprimere i singhiozzi. Dov'era Tadashi? Perchè era sparito? Perchè lo aveva lasciato solo?
Davvero non sarebbe tornato più...?
<< Hiro, che succede? Ti sei fatto male? >>
Zia Cass scese nella caffetteria e prese in braccio il nipotino di soli cinque anni, appoggiandolo sulla sua spalla e cominciando a cullarlo tra le braccia morbide. I suoi capelli ramati sfioravano il faccino di Hiro mentre la donna cercava di asciugargli le lacrime.
<< 'Dashi... 'Dashi non c'è più... >>
<< Come sarebbe? Quel cattivone, se lo prendo gli faccio vedere io. >>
La donna cercò di calmarlo, ma fu tutto inutile. Hiro continuava a strillare riguardo all'ipotetica sparizione del fratello maggiore e lei si vide costretta a richiamarlo. Non aveva idea di dove fosse, ma di certo si sarebbe fatto vivo presto sentendola ringhiare come suo solito.
<< Tadashi Hamada! Dovunque tu sia, ti ordino di venire fuori! Tuo fratello sta piangendo per colpa tua! >>
Un paio di secondi, un rumore soffuso dal piano di sopra e sulle scale apparve Tadashi, con i suoi capelli corti e arruffati e la maglietta dei supereroi piena di polvere. Zia Cass fu piacevolmente sopresa di notare lo sguardo di puro orrore sul volto del nipote più grande alla vista di Hiro, che piangeva accoccolato sul suo seno.  << Hiro! >>
Non appena sentì la voce del fratellone, il piccolo si girò verso di lui, smettendo subito di piangere, gli occhioni nocciola lucidi a causa delle lacrime versate e le guance arrossate. Allungò le braccine verso di lui, che accorse subito per prenderlo. Hiro sembrò così sollevato.
<< 'Dashi... >>
<< Si può sapere che stavi combinando? >>
Chiese zia Cass in tono perentorio, lasciando il nipotino nelle mani del fratello maggiore.
Non era arrabbiata, ma voleva una spiegazione al riguardo. Tadashi sembrava imbarazzato, mentre cercava di reggere Hiro in braccio.
<< Stavamo giocando a nascondino, e io mi sono nascosto sotto il divano! Non pensavo che... >>
<< Come hai fatto a... Oh, lasciamo perdere. Hai fatto prendere un bello spavento a Hiro. >>
La donna abbozzò un sorriso intenerito e arruffò maggiormente la chioma di Tadashi, prima di tornare al piano di sopra per sistemare i letti. Tadashi guardò Hiro, un'espressione colpevole dipinta sul suo volto da bambino. Il fratellino si reggeva sulla sua spalla, succhiandosi il pollice mentre il suo piccolo petto tentava di trattenere i singhiozzi. Il maggiore passò una mano in mezzo alla chioma corvina di Hiro, sinceramente dispiaciuto.
<< Scusami, Hiro. Non pensavo di essermi nascosto così bene! >> Esclamò sorridendo, cercando di sdrammatizzare.
Per tutta risposta, Hiro gli tirò un pugnetto sulla spalla.
<< Stupido, 'Dashi! Credevo che fossi scappato, che ti fossi stancato di me... >>
<< Ma che dici, scemotto? >>
<< ... Credevo che mi avessi lasciato solo... >>
<< Hiro... >>
Tadashi rimase sopreso dalle parole inaspettatamente tristi di Hiro. In un attimo, si rese conto di ciò che aveva dovuto provare il suo piccolo fratello quando non era più riuscito a trovarlo. La morte dei loro genitori era ancora bene impressa nella loro mente, in fondo erano passati solo due anni dalla loro scomparsa. E Hiro, di certo, aveva avvertito il trauma in maniera ancor più profonda.
Tadashi non poteva biasimarlo, lui stesso faceva ancora fatica ad accettare la mancanza dei genitori. E adesso che erano rimasti soli, loro due dovevano farsi forza a vicenda. Erano una squadra, lo erano sempre stati.
<< Hiro, ascolta. Ti rivelo un segreto. >>
<< Hhm...? >>
<< Io sono immortale! Nessuno può sconfiggermi. Sono stato creato per restare sempre accanto a te e proteggerti! >>
Esclamò Tadashi con la voce forte, fingendosi un supereroe. Gli occhi di Hiro si illuminarono alle parole del fratello.
<< Davvero? >> Chiese elettrizzato.

Tadashi rise. << Si, più o meno. Ma ricorda, se sei triste o arrabbiato, devi cercami qui. >>
Le sue dita sottili si appoggiarono delicatamente sul petto del fratellino. Per un attimo riuscì a sentire il suo cuore battere, il suo respiro timido.
<< Se saprai che io sono qui, non avrai bisogno di chiamare il mio nome. Perchè siamo insieme, Hiro.
Io sarò sempre con te. >>

 

(•—•)

La saracinesca del garage si aprì con un violento stridore. Era tardi, ma non aveva alcuna importanza. Poteva svegliarsi il mondo intero, non avrebbe fatto alcuna differenza. Hiro si tolse il casco e i guanti, buttandoli malamente sul divano. Baymax avanzò timidamente dietro di lui. Osservava ogni movimento del piccolo con silenziosa preoccupazione. Il ragazzino prese una scaletta e la posizionò davanti al robot, si arrampicò e smontò l'elmetto rosso dalla testa. Doveva ripararlo se voleva ritrovare Callaghan. Spostò violentemente gli attrezzi di troppo sul tavolo da lavoro, gettandoli a terra con una gomitata, e collegò il chip del casco al computer. Non era stato danneggiato gravemente, e Hiro fu capace di riprogrammare le funzionalità dell'elmetto senza problemi.
Non era del tutto concentrato, però. Non riusciva a parlare, e il suo sguardo non fissava direttamente lo schermo. La sua mente era altrove, persa in una spirale di tentazioni ed emozioni che non accennavano a svanire, esattamente come quella sensazione di tradimento che lo stava divorando lentamente.
Callaghan aveva ucciso suo fratello. Tutti gli altri avevano ucciso lui, ancora una volta.
Gogo, Fred, Wasabi, Honey Lemon. Tutti loro, i suoi compagni che avevano accettato di aiutarlo nella sua missione gli avevano infine voltato le spalle.
Perchè? Per seguire la loro morale, per rispettare una legge che non avrebbe mai fatto giustizia. Codardi.
Non avevano forse proclamato che Tadashi era il loro migliore amico? Non avevano forse giurato che avrebbero aiutato Hiro a vendicare suo fratello, non importa quali conseguenze scaturissero?
E invece, quando erano proprio sul punto di riuscire finalmente a non rendere vana la morte di suo fratello, si erano tirati indietro, mandando a monte i suoi tentativi. Lo avevano rinnegato. Avevano rinnegato Tadashi. Lo avevano tradito.
Aveva sbagliato tutto. Doveva agire da solo, come aveva tentato di fare all'inizio.
Quello che provava in quel momento era soltanto rabbia, una cieca furia che gli stava lentamente annebbiando la mente e la vista, formulando pensieri sconnessi e terribili, macabre scene dal sipario di sangue.
Tutto ciò che voleva era distruggere Callaghan. Ucciderlo. Massacrarlo.
Se Baymax avesse fallito, sarebbe stato disposto a spezzargli il collo a mani nude. Lo voleva morto. Voleva il suo cadavere, i suoi occhi vuoti mentre supplicavano di risparmiargli la vita.
Ma sapeva che Fred, Wasabi, Gogo e Honey non avrebbero mai permesso che ciò accadesse.
Avrebbe dovuto uccidere prima loro.
Si, avrebbe dovuto farlo subito. Non appena si era reso conto che stavano tentando di fermare Baymax dal distruggere Callaghan. Gli avevano portato solo guai, avevano solo fatto saltare i suoi piani.
Era loro la colpa se non era riuscito a fermare il professore. Era loro la colpa se non si erano fermati alla scuola quella sera, lasciandolo solo mentre supplicava Tadashi di non entrare nell'edificio. Era colpa loro.
Era tutta colpa loro. Ogni persona che aveva incontrato aveva contribuito ad uccidere suo fratello un pezzo alla volta, senza mostrare il minimo risentimento.
Li avrebbe uccisi tutti. Tutti.
<< La tua pressione sanguigna è alta. Sembri essere sotto stress. >>
Baymax non perse tempo a farglielo notare.
<< Sto bene. >> Tagliò corto il ragazzino, palesemente seccato, infilando nuovamente l'elmetto sulla testa di Baymax. << Ora funziona? >>
Il robot provò ad attivare il suo scanner, constatandone la perfetta funzionalità.
<< Il mio sensore è operativo. >>
<< Bene, quindi ora... Uh? >>
Hiro provò ad aprire il portello d'accesso sul petto di Baymax, ma la perplessità occupò per un istante il posto della rabbia, quando notò che questo non si apriva. Lanciò uno sguardo confuso a Baymax prima di riprovare, facendo pressione sempre più forte sul pannello.
<< Vorresti rimuovere il mio chip di operatore sanitario? >>
Chiese Baymax, con uno strano tono. Non aveva perso la sua solita gentilezza, ma adesso sembrava quasi che parlasse in modo perentorio.
Come se fosse pronto a rimproverare Hiro per quello che stava tentando di fare.
<< Si, apri. >>
<< Tu vuoi che io sopprima il professor Callaghan? >>
<< Baymax, apri il portello d'accesso. >>
<< Il mio scopo è guarire i malati e i feriti. >>
<< Ti ho detto di aprirlo! >>
Non era mai successo prima. Baymax non si era mai rifiutato così categoricamente di eseguire un ordine. Stava ragionando a modo suo, stava impedendo a Hiro di fare ciò che doveva. Da quando aveva acquisito una simile capacità? Da quando la volontà era entrata a far parte dei suoi circuiti? Hiro avvertì il cuore battere freneticamente, la rabbia pulsare nelle vene. Non poteva credere che anche Baymax lo stesse ostacolando. Ma perchè? Perchè erano tutti contro di lui?
Smontò brutalmente l'armatura rossa del robot, gettandola di lato, e cercò di forzare con le dita il portello, che però non accennava a sganciarsi dal petto dell'automa.
Baymax non aveva alcuna intenzione di lasciare che Hiro procedesse con le sue intenzioni. Era scritto nel suo codice, lui doveva aiutare le persone, non ucciderle. E questo il suo protetto sembrava averlo dimenticato. Lo aveva rivestito di un ruolo che non poteva ricoprire, semplicemente per soddisfare un desiderio che Baymax non poteva realizzare.
Gli aveva fatto credere che catturare colui che aveva ucciso Tadashi e consegnarlo alla giustizia lo avrebbe fatto sentire meglio, lo avrebbe aiutato a guarire. Ma non era quello lo scopo che Hiro stava inseguendo.
Lui aveva usato Baymax. Si era servito di lui e lo aveva manipolato come meglio poteva per fargli credere che lo stesse aiutando, quando in realtà tutto quello che voleva era vendicarsi. Una vendetta di cui si era nutrito per così tanto tempo che alla fine lo aveva consumato, facendogli perdere di vista la realtà.  
Ma Hiro aveva usato l'arma sbagliata. Perchè Baymax non avrebbe mai potuto realizzare quello scopo.
E se anche ci fosse riuscito, sarebbe davvero stato in grado di vivere con se stesso, dopo?
<< Sopprimere il professor Callaghan migliorerà il tuo stato emotivo? >>
Se Hiro era davvero sicuro di quello che voleva, Baymax non si sarebbe più opposto. Avrebbe lasciato che lo usasse per compiere la sua vendetta senza protestare. Ma doveva esserne sicuro.
Sicuro come lo era stato fino a quel momento.
<< Si..! N-no... Non lo so! Ora apri il portello! >>
La voce di Hiro diventava sempre più forte ad ogni vano tentativo di forzare l'apertura di Baymax.
E sempre più fragile.
<< E' questo che desiderava Tadashi? >>
No.
 << Non importa! >>
Sempre più fragile.
Quel peso era troppo forte. Presto lo avrebbe schiacciato.
<< Tadashi mi ha programmato per... >>
<< Tadashi non c'è più! >>
Urlò. Un ultimo, disperato tentativo di resistere, prima di collassare.
Hiro si lasciò andare, mollò la presa sull'abisso.
Aveva resistito troppo a lungo, e non ce la faceva più.
<< Tadashi... Non c'è più... >>
La sua voce divenne un sussurro nell'oscurità notturna. Quel peso che aveva portato dentro di sè per tutto quel tempo era diventato troppo grande, e alla fine aveva ceduto, schiacciandolo con la sua forza.
Aveva sentito sempre le stesse parole, visto sempre gli stessi volti, sopportato sempre le stesse delusioni. Se era riuscito a resistere fino a quel momento, lo doveva soltanto a Tadashi. A suo fratello, che gli aveva fatto da padre e da migliore amico. Che era stato il suo universo, il suo mondo, la sua ancora.
E che se n'era andato. Per sempre.
Lui non era più lì a tirarlo su quando cadeva, non era più lì ad asciugare le sue lacrime, e non era più lì a tenergli la mano e a guidarlo nel suo cammino.
Lui non c'era più.
<< Tadashi è qui. >>
Sussurrò Baymax, quasi avesse paura di rompere quella triste calma che si era formata tra loro. Hiro avvertì un nodo alla gola che cercò disperatamente di rimandare giù, gli occhi serrati nel buio delle sue palpebre. Aveva sentito quella frase così tante volte, ed era così falsa, così priva di verità che non valeva più la pena di tenerla a mente e illudersi che fosse vero. Era stanco.
Stanco di quelle parole prive di sostanza. Stanco di quella commiserazione inutile. Stanco di essere solo.
Tadashi non sarebbe tornato grazie a quella frase. Nessuno poteva riportarlo indietro. Nessuno poteva riportarlo da lui.
<< No... Lui non è qui... >>
<< Tadashi... E' qui. >>

<< Io sono Tadashi Hamada, e questo è il primo test del mio progetto di robotica. >>

Il viso di Hiro venne illuminato dalla schermata-video apparsa sulla pancia di Baymax. Alzò lentamente lo sguardo sull'immagine riprodotta, avvertendo il suo cuore risollevarsi dopo ogni parola appena pronunciata da quella voce che avrebbe riconosciuto tra mille altre, aggrappandosi ad ogni movimento, ogni dettaglio che la persona nel video presentava. Lo vide avanzare verso la telecamera e toccare qualcosa, prima di sentire una seconda voce, la voce di Baymax, riempire le casse.

<< Ciao, io sono Bayma- >>
<< Fermo! Fermo! Fermo! >>

Un fischio stridulo e fastidioso si intromise nel solito saluto di Baymax, costringendo il protagonista di quel video ad indietreggiare e a tapparsi le orecchie prima di spegnere il robot con un'espressione dolorosa. Hiro sgranò gli occhi, trattenendo il respiro. Tadashi era lì, in piedi davanti alle videocamere di Baymax, sorridente, eccitato mentre cercava di mettere a punto il suo progetto.
Il video era composto da tanti spezzoni, momenti in cui il robot aveva ripreso i ritocchi che suo fratello gli dava, spesso senza alcun esito positivo. Il settimo test era finito male, Baymax era entrato in tilt e aveva quasi minacciato di fargli seriamente male se non fosse stato fatto interamente di vinile. Un ulteriore stacco e la videocamera riportò nuovamente l'immagine di Tadashi, questa volta stanco e sconfortato, due accentuate occhiaie e i capelli arruffati dall'evidente mancanza di riposo. La scritta sulla lavagna nera che teneva in mano riportava il numero 33.

<< Sono sempre Tadashi Hamada... E questo è il trentatreesimo test del mio progetto di robotica... >>

Appena finì di parlare, l'intera stanza piombò nell'oscurità a causa di un improvviso blackout. Il volto di Tadashi riemerse dalle ombre illuminato da una piccola torcia tascabile. In quella flebile luce, la sua stanchezza sembrava trapelare ancora di più. Solo in quel momento, Hiro si rese conto di quanto veramente suo fratello ci avesse impiegato per programmare Baymax. Ogni tentativo sembrava portarlo sempre più lontano dal suo obiettivo, così tanto che l'unica soluzione sembrava gettare la spugna. Eppure Tadashi non ne voleva sapere di arrendersi.
E Hiro lo poteva vedere nel suo sguardo, quella scintilla di determinazione non accennava a svanire.

<< Non mi arrenderò, amico mio. Tu non lo sai ancora, ma tu servi al mondo. Quindi rimettiamoci al lavoro. >>

In quel momento, Hiro abbassò lo sguardo.
Quella frase, seppur non diretta a lui, gli sembrò quasi un'eco vicina, un dolce rimprovero che stava cercando di rammentargli quale fosse il vero scopo che spettava a Baymax, il suo vero ruolo nel mondo. E di certo, non si trovava tra le viti di un'armatura da combattimento. Ma era anche rivolta a lui.
Con quelle esatte parole, Tadashi lo aveva sempre spronato ad andare avanti, a cercare un'opportunità. A vedere le cose da un'altra prospettiva.
E in quei giorni di oscurità, Hiro aveva dimenticato tutto, lasciando che la depressione si tramutasse in rabbia, e la rabbia in vendetta, oscurando il ricordo di Tadashi. Suo fratello aveva sempre voluto che Hiro facesse qualcosa di grande per il mondo, aveva sempre desiderato vedere il modo in cui il suo fratellino avrebbe cambiato tutto, aiutando sè stesso e ogni persona bisognosa.
Lo aveva tirato fuori dai vicoli sudici della città, via dalle pericolose risse dei Bot-Duelli per cercare di rimetterlo sulla strada giusta.
E c'era riuscito. Prima di andare via.
Dopo la sua morte, Hiro aveva sotterrato dentro di sè tutto quello che Tadashi aveva fatto per lui, concentrandosi soltanto su se stesso, ricadendo in quel vortice di errori e confusione da cui suo fratello lo aveva faticosamente tirato fuori. Aveva perso di nuovo la sua strada, e aveva bisogno che qualcuno gli rammentasse che valeva molto di più di un mucchio di soldi sporchi.
E ora Tadashi era lì, per ricordargli chi era davvero.
Si rese conto di quanto si fosse sbagliato, di quanto avesse avuto torto anche solo a pensare che Baymax potesse essere usato come arma di distruzione.
Tadashi aveva lavorato duro e a lungo per programmarlo. Era stato il suo progetto più grande, il suo scopo nella vita.
Baymax era stato così importante per Tadashi che lui stesso aveva ritenuto necessario allontanarsi per un po' da Hiro pur di portare a termine ciò che voleva.
E Hiro era stato troppo egoista per capire quanto davvero suo fratello avesse sofferto, seppur con il sorriso sulle labbra, per la sua creazione. Una creazione dall'animo profondamente altruista, il cui solo scopo era aiutare la gente a guarire. Hiro l'aveva quasi trasformato in una macchina da guerra, distruggendo tutte le speranze che Tadashi aveva riposto in lui.
Lo aveva deluso.
Infine, lo aveva deluso.
I suoi occhi si riempirono di lacrime al solo pensiero.
Il video tagliò nuovamente, questa volta mostrando lo studio di Tadashi immerso nel sole del primo mattino.
Il ragazzo non guardò direttamente la telecamera, troppo occupato a sbadigliare e a stirare via le occhiaie dal suo viso con una mano.

<< Sono sempre Tadashi Hamada e questo è l'ottantaquattresimo test... >>

Mise via la lavagna, alzando lo sguardo sempre speranzoso su Baymax, prima di immettere il chip.

<< Che racconti, ragazzone? >>
<< Ciao, io sono Baymax. Il tuo operatore sanitario personale. >>
<< Funziona... Funziona! Oh, è fantastico, tu funzioni! >>

Dopo tutta la fatica, dopo tutto il lavoro impiegato e il sudore versato finalmente Baymax era stato messo a punto, e funzionava esattamente come lo aveva programmato Tadashi. Lui stesso sembrò non poterci credere quando sprigionò finalmente tutta la sua felicità, baciando perfino la faccia del robot, appannandone la superficie. Saltellò su e giù per tutta la stanza, lasciando che la sua voce solitamente profonda diventasse acuta e trillante di euforia. Hiro rise intenerito. Suo fratello era sempre stato buffo quando qualcosa di bello capitava e spesso si lasciava andare a dimostrazioni del genere, così divertenti e spensierate.

<< Ok, ok! E' un grande momento. Scansionami. >>
<< Il livello dei tuoi neurotrasmettitore è elevato. Ciò significa che sei felice. >>
<< Eccome! Io sono felicissimo! Oh, cavolo... Aspetta che ti veda mio fratello. Aiuterai molte persone, amico mio. Moltissime. E per ora è tutto.
Sono soddisfatto del trattamento. >>


L'ultimo fotogramma del video mostrava Tadashi. Semplicemente lui, lui in ogni aspetto perfetto di se stesso. Il suo sorriso sollevato, gli occhi brillanti e vivi, ogni pura emozione traspariva da ogni centimetro del suo corpo. Tadashi era felice, felice come non mai. Felice di aver finalmente ideato un amico per tutti coloro che ne avrebbero avuto bisogno.
Di aver finalmente creato un amico
per Hiro.
Il piccolo allungò una mano a toccare lo schermo olografico, carezzando delicatamente il volto del fratello maggiore, mentre lacrime sottili solcavano il sorriso malinconico sulle sue labbra, tingendolo di sale.
Gli era mancato. Gli era mancato così tanto.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo rivedere, e così era stato. Un piccolo dono dall'aldilà, prima di ripartire.
<< Grazie, Baymax. >> Sussurrò timidamente, guardando il robot.
Ancora una volta, Baymax aveva trovato un rimedio per attenuare il suo dolore, esaudendo il suo vero desiderio impossibile.
Aveva rivisto Tadashi. Tramite uno schermo, certo, e solo per un breve tempo. Ma lo aveva rivisto.
Per così tanto tempo, così tante notti aveva tentato di modificare quella sera fatale nella sua mente, senza mai riuscirci.
Aveva rincorso suo fratello tra le fiamme oniriche, ritornando sempre da solo. Aveva dato ad altri responsabilità che non avevano, soltanto per allontanare da sè stesso quel senso di colpa e quella sofferenza che lo avevano lentamente consumato dall'interno, che avevano divorato la sua anima e il suo cuore, e lo avevano accecato procurandogli ferite troppo profonde. Ferite che Baymax era riuscito a guarire.
Si sentì più leggero, avvertì la rabbia scivolare via e liberarlo, sciogliendo quelle catene che lo avevano tenuto imprigionato troppo a lungo. Ogni cosa sembrava più chiara ora, come se avesse finalmente visto la luce alla fine di un tunnel immerso d'oscurità e solitudine. Un tunnel che lui stesso aveva creato.
Tadashi aveva lavorato tanto su Baymax. Aveva riposto in lui tutta la sua anima e le sue intenzioni, compreso l'istinto fraterno che aveva sempre protetto Hiro da ogni male. Era per questo motivo che Hiro ammirava e amava suo fratello, ma non era mai riuscito a capirlo pienamente, non fino a quel momento.  E accecato dal desiderio di vendetta, aveva quasi distrutto quel bellissimo sogno.
<< Io ti chiedo scusa... Forse non sono come mio fratello. >>
<< Hiro... >>
Fu sorpreso nell'udire la voce profonda e flebile di Gogo provenire dall'esterno del garage. Lo fu ancora di più quando vide lei insieme al resto della squadra, vivi e vegeti e con sguardi gentili sui loro volti.
Come avrebbero mai potuto perdonarlo per ciò che aveva detto, per ciò che aveva fatto?
Se erano arrabbiati, di certo non poteva biasimarli. Era stato immaturo, irresponsabile e terribilmente egoista. Tutto il contrario di quello che Tadashi avrebbe voluto.
Perchè si erano preoccupati di venire fin lì? Sentiva di non meritare il loro perdono.
<< Ragazzi, io... Io... >>
Tentò debolmente di scusarsi, ma il suo tentativo venne subito spazzato via da Gogo, che lo strinse forte a sè. Hiro chiuse gli occhi, godendo per un momento di quel caldo abbraccio che sapeva solo di conforto e comprensione. La ragazza gli accarezzò i capelli, poggiandogli poi le mani sulle spalle.
<< Acciufferemo Callaghan, e questa volta lo faremo come si deve. >> Disse con decisione.
Hiro abbozzò un sorriso grato, ancora un po' stupito della loro presenza lì. Ma poi ogni cosa, ogni pensiero e sensazione si ricongiunsero insieme come i tasselli di un puzzle perfetto.
Gogo, Honey Lemon, Fred e Wasabi.
Onoravano Tadashi, lo ammiravano come un eroe. Per questo avevano impedito che Hiro uccidesse Callaghan. Sapevano bene che, se il loro piccolo amico ci fosse riuscito, Tadashi sarebbe scomparso dalla sua memoria per sempre, venendo rimpiazzato con il sentimento di rimorso che avrebbe consumato il cuore del piccolo fino a farlo diventare un involucro vuoto di disperazione.
Hiro non sarebbe stato diverso da Callaghan se lo avesse ucciso. Ma di certo, sarebbe stato troppo diverso da quello che Tadashi voleva che fosse.
Ma lui non lo aveva capito, ed era stato testardo, malizioso. E nonostante tutto, erano ancora lì, accanto a Hiro, per nulla arrabbiati e pronti ad aiutarlo ancora una volta.
Anche loro, in un senso profondo, gli avevano salvato la vita.
<< Magari la prossima volta puoi evitare di abbandonarci sull'isola del terrore? >> Chiese ironico Wasabi, un sorriso gentile sulle grosse labbra nere.
Hiro si portò una mano sul volto, imbarazzato.
<< Oh, mi dispiace. >>
<< Ah, tranquillo. Heathcliff è venuto a prenderci con l'elicottero. >> Precisò Fred.
<< Hiro, qui c'è qualcosa che dovresti vedere. >>
Honey Lemon tirò fuori dalla tasca della gonna un pen-drive viola con leggere sfumature dorate e gliela porse. Hiro la collegò al computer, aprendo la cartella che conteneva i vari file video del progetto Rondine Silente. Non avevano fatto in tempo a vedere alcuni di quegli spezzoni e uno in particolare attirò l'attenzione dei sei compagni. Doveva essere stato registrato poco dopo l'incidente perchè la troupe operativa sembrava ancora sconcertata e il colonello stava rimproverando Krei, che appariva visibilmente mortificato.
In quel momento, una voce familiare fuori campo proruppe in un urlo furioso, inveendo contro l'imprenditore.
<< Callaghan... >>
Il professore apparve fuori di sè mentre veniva bloccato con forza da alcuni poliziotti presenti, prima che potesse mettere le mani su Krei. Ogni segno di malinconia sul suo volto, ogni traccia di composta fierezza e la calma gentile che tanto avevano contraddistinto il suo primo incontro con Hiro erano svanite.
Quello non era il professor Callaghan che Hiro aveva conosciuto. Non era il professore che Tadashi aveva ammirato e stimato.
<< Era un brav'uomo... Cosa gli è successo? >> Chiese tristemente Honey Lemon.
Hiro scosse la testa, cercando tra gli altri file. Doveva pur esserci un indizio, una traccia che lo aiutasse a completare quel disegno così contorto e deprimente. Aveva bisogno di una risposta, qualsiasi risposta a quello che Callaghan aveva fatto, pur di giustificare il mostro in cui si era trasformato. Honey Lemon indicò un angolo nascosto dalla telecamera, e i sei amici si stupirono nel vedere Callaghan abbracciare una donna, appena dietro la capsula. Hiro riconobbe subito la giovane. Si trattava del pilota che doveva provare la funzionalità del teletrasporto. E che era scomparsa nel portale, causando il fallimento del progetto.
Studiò nuovamente il filmato del pilota poco prima che questa entrasse nella capsula. Riavviò il video molte volte, finchè un dettaglio non gli torse lo stomaco. Un dettaglio nascosto tra i pannelli del casco bianco della donna. Un nome era impresso in lettere maiuscole sulla superficie.
O meglio, un cognome.
Callaghan.
<< Il pilota era la figlia di Callaghan... Callaghan ce l'ha con Krei! >>
<< Vuole vendicare sua figlia! >> Esclamò Fred, in tono drammatico.
<< E usa i microbot per ricostruire il portale. >> Completò Honey Lemon.
Tutto combaciava. Tutti i pezzi del puzzle erano finalmente al loro posto e avevano rivelato un terribile e triste movente. Il motivo che aveva trasformato il professore buono in un demone spietato.
Callaghan aveva perso sua figlia, e credeva che fosse tutta colpa di Krei. E andava fermato.
Doveva essere salvato.

__________________________________________________________________________

Sarò sincera. Credo che questo sia il capitolo che mi è piaciuto di più scrivere. Rileggendolo, mi sono resa conto del perchè ho voluto fare questo esperimento, del perchè questo film mi sia rimasto così impresso.
Ho messo tutta me stessa in queste righe. La stessa persona che si è rivista in Hiro, e anche un po' in tutti gli altri personaggi seppure in piccole parti frammentate.
Questo capitolo ha sancito il motivo per cui io ho adorato e non smetterò mai di adorare questo film, e di ritenerlo uno dei più belli e più saggi della Disney.
Come al solito, grazie a tutti quelli che stanno seguendo questo piccolo delirio.
Un ringraziamento speciale a fenris, EmmyDreamer_love2004 e alla nuova arrivata Marlena_Libby.


LittleBloodyGirl

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Ultimo scontro ***


La nuova struttura che avrebbe ospitato il campus di Alister Krei era stata finanziata interamente dalle più grandi aziende che cooperavano con la KreiTeck Industry, fornendo ognuna quasi cinque milioni di yen per poterla erigere. Era stata costruita su una vecchia e solida collina nella parte alta della città, proprio accanto al secolare tempio shintoo. Le lucide pareti bianche contornavano una facciata completamente vitrea, e uno spazio aperto era stato allestito affinché i futuri studenti potessero rilassarsi durante le pause dalle lezioni. La concorrenza all'istituto tecnologico SFIT.
L'idea del campus era nata principalmente per ostacolare la famosa scuola, e Alister Krei non si era fatto alcuno scrupolo per ottenere i soldi necessari alla costruzione della sua struttura.
Quel giorno in cui il sole splendeva alto riflettendosi in mille diamanti sul mare, fungeva da scenario perfetto per l'inaugurazione.
L'imprenditore reggeva in mano un sottile bicchiere di vetro pieno di champagne e, scortato da alcune guardie del corpo, illustrava tutte le qualità della sua scuola ai giornalisti e fotografi presenti.
Non poteva certo immaginare che quella giornata sarebbe finita in tragedia per lui.
<< Questo campus è la realizzazione del sogno di una vita. Ma non sarebbe stato possibile senza qualche... Incidente di percorso. Quegli imprevisti ci hanno resi più forti e hanno spianato la strada verso il futuro. >>
L'uomo alzò il bicchiere verso la folla sottostante il palco dove stava tenendo il comizio, per brindare alla sua nuova opera. Rimase visibilmente spiazzato quando si accorse che i presenti, invece di applaudire, cominciarono a scappare e a gridare, indicando qualcosa dietro l'uomo.
<< Imprevisti?! >>
Una voce profonda e graffiante squarciò la calma di quella giornata, sfociando in un urlo spettrale. Krei si volse, solo per vedere un'inquietante melma nera strisciare e colare lungo le finestre del campus e divenire sempre più densa fino a proiettare un'ombra oscura su di lui. Un fantasma demoniaco apparve contro la luce del sole, coprendolo interamente. Gli occhi infuocati e le lacrime di sangue lo fecero trasalire e una paura fredda si insidiò in lui, costringendolo a reagire con la fuga. Il bicchiere di champagne cadde sul pavimento, frantumandosi in piccoli pezzi sporchi che vennero subito sommersi dai tentacoli neri dell'ammasso ferroso. Il suo tentativo di fuggire fu inutile. Le braccia fredde e metalliche composte dai microbots lo afferrarono subito, intrappolandolo in un'inquietante bozzolo che copriva interamente il suo corpo, lasciando libera solo la testa.
L'uomo che comandava i microbots il cui volto era celato dalla maschera kabuki si parò davanti a lui, rivelandosi solo per poter soddisfare quella sete di terrore che vide riflesso negli occhi della sua vittima.
Gli occhi di ghiaccio di Robert Callaghan si scontrarono contro quelli stupiti e spaventati di Alister Krei.  Lo squadrò con tutto il disprezzo e l'odio che aveva coltivato fino a quel momento, contando ogni secondo che lo separava dalla sua bramata vendetta. Aveva atteso quel giorno con tutto se stesso.
<< Mia figlia è stata un imprevisto? >>
Krei sentì il suo respiro mozzarsi alla vista dell'anziano professore che tutti avevano creduto morto. Per un attimo, fu come se fosse piombato in un incubo, in una situazione irreale da cui non riusciva a venire fuori. Il ferro gelido dei microbots scorreva viscido lungo il suo corpo, penetrando attraverso i suoi vestiti come fitte indolori. Tutto ciò non poteva essere reale... Certe cose accadevano soltanto nei film! Ma sentire la sua voce roca e furiosa nominare Abigail lo fece trasalire, ricordandogli il momento più buio della sua vita. Con la voce spezzata e tremante, cercò di parlare.
<< Callaghan...? Tua figlia... E' stato un incidente, io non... >>
<< Silenzio! >> Lo zittì il professore, urlando.  << Mia figlia non c'è più a causa della tua arroganza. >>
Le sue ultime parole culminarono in un sussurro frustrato, sputato come una punta velenosa contro l'imprenditore. Poi sollevò lo sguardo verso il cielo. Sopra di loro, tre lunghi tentacoli composti dai microbots si diramarono lungo tutto il campus, trasportando ognuno i pezzi del portale. Krei lo riconobbe subito e deglutì.
Come aveva fatto a recuperare quei frammenti? Nulla di tutto questo doveva succedere. Non poteva succedere.
<< C-che cosa vuoi fare? >>
<< Mi hai tolto tutto ciò che avevo quando hai spedito Abigail in quella macchina. Ora è il mio turno di toglierti tutto. >>
<< No... No, non farlo! >>
Un velo di terrore scese sulle sue iridi di zaffiro non appena il portale si riattivò, emanando una forte luce celeste da cui scaturì un potente flusso che cominciò a risucchiare dentro di sè qualsiasi cosa si trovasse nel suo raggio d’azione. Krei vide il campus che aveva costruito, il sogno di una vita, il frutto di anni di sacrifici svanire lentamente mentre questo si sgretolava come sabbia, venendo trasportato via dal campo magnetico del portale. Il tetto bianco si incrinò a vista d'occhio, frammentandosi e volando verso l'alto per finire all'interno del portale, seguito dai vetri delle finestre, le sedie all'interno e le scrivanie.
Un'intera scuola d'acciaio e cemento si stava sgretolando davanti ai suoi occhi impotenti, come fosse cartapesta.
<< Ora vedrai svanire tutto quello che hai costruito. Poi toccherà a te. >>
Non c'era alcuna esitazione da parte di Callaghan, alcuna pietà. I suoi occhi erano di gelido ghiaccio pronto a trasformarsi in stalattiti pungenti. 
<< Professor Callaghan! >>
Una giovane e familiare voce interruppe per un attimo la sua sete di vendetta e lo costrinse a voltarsi. Avrebbe dovuto essere stupito di vedere Hiro e i suoi compagni ancora lì, intenti a fermarlo. Ma non lo era.  Li fissò freddamente, senza alcuna emozione che potesse trasparire dal suo volto sempre più vecchio. Hiro scese da Baymax e si tolse il casco, sostenendo il suo sguardo.
<< Lo lasci libero. >>
La sua non era una richiesta. Era un ordine. Un ordine che Callaghan non aveva alcuna intenzione di eseguire.
<< E' questo che Abigail avrebbe voluto? >>
<< Abigail non c'è più! >>
Seguì il silenzio a quella risposta. Hiro sgranò gli occhi, lasciando che il peso dell'inquietudine piombasse nel suo stomaco. Fu un breve attimo di terrore, ma lo vide. Vide se stesso. Proprio di fronte a lui.
Vide uno specchio sporco di sangue e ruggine che mostrava il suo riflesso più macabro, quello che sarebbe diventato se Baymax e gli altri non lo avessero riportato sulla giusta strada. E quel riflesso aveva i capelli grigi, le rughe segnate e gli occhi di ghiaccio pieni di odio.
Hiro e Callaghan. Callaghan e Hiro. Due facce della stessa medaglia. Erano simili, non poteva negarlo. La loro storia era stata scritta in modo brutale, seguendo lo stesso sentiero di disperazione.
Hiro aveva perso Tadashi per colpa di Callaghan. Callaghan aveva perso Abigail per colpa di Krei. Entrambi avevano desiderato la vendetta, e il finale di quel racconto sarebbe stato prevedibile e intriso di violenza. Ma la loro strada era giunta ad un bivio, e Hiro aveva imboccato un sentiero diverso. La differenza tra i due era che Hiro non era solo, non lo era mai stato. E grazie ai suoi amici, grazie a Baymax, si era salvato.
Forse ora poteva tendere quella stessa mano anche all'assassino di suo fratello, a quell'uomo distrutto dal dolore e accecato dalla vendetta, esattamente come lui.
<< Questo non cambierà le cose. Deve credermi... >> La vendetta non gli avrebbe reso ciò che avevano perso. << Io lo so. >>
Lo sguardo del professore si addolcì per un istante, mettendo da parte l'odio. L'uomo riemerse dall'aspetto del demone. Forse Hiro aveva ragione.
Valeva davvero la pena sporcarsi le mani di sangue per sua figlia? In fondo sapeva che Abigail non avrebbe mai voluto che suo padre diventasse un assassino. Non era masi stata sua intenzione uccidere... E di certo, non avrebbe voluto coinvolgere innocenti. Tadashi Hamada era morto per causa sua. Quanta distruzione aveva portato fino ad ora per inseguire il suo scopo? E soprattutto, quale beneficio ne aveva tratto?
<< Ascolta il ragazzo, Robert! Se mi lasci andare ti darò tutto quello che vuoi! >>
Le parole di Krei furono come una spada trafitta nel velo della pietà. Tutto quello che voleva. Non avrebbe più potuto riavere tutto quello che voleva. Perchè ciò che più desiderava era una cosa sola.
<< Rivoglio... La mia. Adorata. Figlia! >>
Calò nuovamente la maschera sul suo volto, lasciando che il demone prendesse di nuovo il sopravvento sull'uomo.
Non gli importava più se quei ragazzini, che una volta erano i suoi studenti migliori, fossero ancora vivi per dargli la caccia. Non gli importava se stessero bene, nè tantomeno voleva sapere perchè sembrava che fossero più uniti di prima. Nonostante il tentativo di Hiro di ucciderlo, a Callaghan non importava nulla di lui, nè del suo robot o dei suoi amici. Era così consumato dalla vendetta e dall'odio che provava per Krei che tutto ciò che voleva fare era soltanto vederlo morire, e i suoi sogni con lui. Esattamente come sua figlia. Era tutta colpa di quell'uomo se Abigail non c'era più. Lei era la sua ragione di vita, la sua speranza.
Ed era svanita via in un attimo. Non gli era rimasto più nulla se non l'odio, il suo carburante per vendicare sua figlia. Krei avrebbe fatto la stessa fine, e Abigail avrebbe finalmente avuto giustizia.
Sferrò un attacco con i microbots contro i ragazzi, che si scansarono velocemente.
Hiro atterrò di lato con una capriola, si infilò il casco e salì sopra Baymax , ordinandogli di volare. << Prendiamo la maschera! >>
Girarono intorno a Callaghan, cercando di colpirlo dal retro, ma i tentacoli di microbots afferrarono Baymax per i piedi e lo sbatterono violentemente contro la parete del campus, sbilanciando il piccolo. Hiro si schiantò contro le finestre, rotolando lungo la sala studio. Prima che riuscisse a rimettersi in piedi, si sentì spinto verso l'alto ritrovandosi incollato al soffitto. Si lasciò sfuggire un grido acuto, quando realizzò che la forza del campo magnetico aveva preso il sopravvento e stava lentamente appropriandosi di ogni cosa. Baymax cercò di raggiungere Hiro, ma venne prontamente afferrato dai microbots e sbattuto a terra con violenza inaudita, stordendolo.
Gogo, Wasabi, Fred e Honey Lemon cercarono di aiutarli, ma senza successo. Prima che riuscissero a sferrare un attacco decisivo, vennero prontamente fermati da Callaghan che ordinò ai microbots di distruggerli. Fred sputò fuoco sui piccoli bots cercando di liquefarli, ma i vari tentacoli lo afferrarono per gli arti prima che potesse reagire, minacciando di strapparglieli via. Il ragazzo tentò debolmente di resistere e digrignò i denti, cercando di sopportare il dolore lancinante alle spalle e alle caviglie. Per un attimo, il costume sembrò soffocarlo, soffiando su di lui una tetra aria calda e soffocante. I microbots lo strinsero ancora di più, costringendolo ad urlare.
Honey cercò di aiutare l'amico lanciando due delle sue bombe chimiche contro i bots, riuscendo a fermare due braccia metalliche in arrivo verso di lei grazie ad una spessa barriera di vetro color arancio. Ma un terzo tentacolo infranse la sostanza con un fortissimo colpo, e assunse le sembianze di una lama affilata, pronta a colpirla. Honey li intercettò subito e fece esplodere due sfere accanto a lei, creandosi uno scudo impenetrabile. I bots cominciarono a colpirlo, ammaccandolo in varie parti finchè uno dei colpi andò a segno e infranse lo scudo, evitando la ragazza per un soffio.
Gogo scivolò giù per la parete di vetro, facendo rotolare come fulmini i suoi dischi dorati. Accelerò e cercò di saltare su una delle braccia formate dai microbots neri, ma Callaghan capì subito la sua intenzione e ritirò il tentacolo, ordinando poi di formare una dura sfera di ferro intorno alla ragazza, la quale perse l'equilibrio e si ritrovò circondata da una vera e propria gabbia di microbots. La luce del giorno venne completamente oscurata e Gogo si ritrovò al buio in breve tempo, senza sapere come reagire.
Wasabi era l'unico rimasto in gioco a usare le sue lame-laser per tranciare nettamente i piccoli robot che lo attaccavano. Callaghan smise di sferrare attacchi frontali e pose i palmi l'uno di fronte all'altro. In quell'istante, i minuscoli robot strisciarono in due file incidenti ai lati del ragazzo, smantellando due dei grandi pannelli bianchi del tetto per spingerli contro di lui. Wasabi sgranò gli occhi e pose le braccia ai lati, facendo pressione sui bicipiti per cercare di allontanarli. Per poco non si tagliò la gola, quando avvertì il calore del laser sulla trachea. Disattivò le lame e tentò di liberarsi ma senza successo, sentendo i microbots spingere sempre più forti le tegole contro il suo corpo. Di lì a poco, lo avrebbero schiacciato.
Hiro riusciva appena a muoversi. Dall'auricolare del casco gli giungevano le grida dei compagni come una macabra eco e la paura gli torse lo stomaco. Se anche uno di loro fosse morto, non se lo sarebbe mai perdonato. Cercò di spingersi giù dal soffitto, quando questo si disintegrò proprio sotto le sue mani, trascinandolo via con sè verso il portale. Il ragazzino urlò, afferrando uno dei ferri che avevano composto lo scheletro del campus, pregando che almeno quello resistesse al flusso. Il suo corpo era sospeso in aria, verso l'alto, e lo sentiva stranamente pesante. Senza Baymax non aveva alcuna possibilità di resistere al campo magnetico e sarebbe stato risucchiato prima di potersene accorgere. Callaghan era invincibile finchè aveva la sua maschera, e le sue difese assolutamente impenetrabili.
Sembrava davvero che non ci fosse modo per sconfiggerlo.
Piccoli pezzeti freddi sfiorarono il vetro del suo casco emettendo un tintinnio metallico.
Alcuni microbots che si erano staccati dal resto della costruzione mobile vennero risucchiati dal portale, svanendo nella luce celeste del flusso. Li seguì con lo sguardo, lasciando che la vista si capovolgesse per creare intorno a lui una nuova prospettiva di quella situazione. Una nuova prospettiva.
D'improvviso capì. Era ovvio, la risposta era sempre stata sotto i suoi occhi. L'aveva costruita proprio lui.
<< Ho trovato... So come batterlo! >> Poi si rivolse ai suoi compagni, parlando tramite il ricevitore. << Ascoltate, accendete il cervello e trovate una via d'uscita! Guardate da un'altra prospettiva! >>
Le parole di Hiro penetrarono nelle orecchie e nel ricordo dei quattro ragazzi, lasciando che la paura venisse per un attimo sostituita dalla voce di Tadashi che illuminò la loro visione come un barlume di speranza. Wasabi arricciò le labbra, e facendo un'ultima pressione sull'avambraccio destro per allontanare uno dei pannelli che lo stavano schiacciando, usò l'altro per azionare la lama-laser e squarciare il pavimento sotto i suoi piedi, creandosi una via di fuga appena in tempo per sfuggire alla trappola tesa dai microbots.
Honey Lemon preparò due bombe chimiche e attese pazientemente che uno dei tentacoli affondasse il colpo proprio di fronte a lei. Quando accadde, fece esplodere le sfere su di esso e tenendosi aggrappata grazie alla colla che aveva appena creato, si lasciò trascinare in alto, fuori dallo scudo di vetro, finalmente libera. Gogo la seguì, sputando via la gomma da masticare alla fragola. Riprese i dischi che le erano caduti quando era stata intrappolata nella sfera formata dai piccoli bots e cominciò a ruotare su se stessa, le gambe e le braccia distese in posizione supina, sfiorando la spessa superficie di ferro.
Girò più veloce, sempre più veloce, sempre più veloce ogni secondo. Gridò per lo sforzo, sentiva la testa girare e i muscoli del suo corpo contrarsi violentemente. Ma presto, la parete di microbots cominciò a cedere, preda del calore e dei dischi affilati di Gogo. La sfera che la teneva prigioniera si aprì a metà, lasciando che l'aria e la luce del giorno penetrassero di nuovo nei suoi polmoni mentre saltava via da quel guscio infernale. << Le mie braccia... Si stanno... Spezzando! >>
Gridò Fred, ancora vittima della forte presa dei microbots. Poi la realizzazione lo illuminò come una lampadina. << Aspetta un momento... E' il costume! >>
Ovviamente, i suoi arti erano ricoperti interamente da una tuta di cuoio a forma di mostro, ovvero ciò che i microbots stavano tentando di strappare via in quel momento. Fred ritirò le mani con un sorriso sornione, quando adocchiò un pannello di ferro caduto dalla parete del campus. Sembrava spesso e molto affilato.
<< Ciao, bel cartello! Hai voglia di fare un giretto? >>
Tese il braccio fuori dalla bocca di fuoco e lo afferrò, sfoderando tutte le sue capacità di mascotte della scuola per farlo roteare e tranciare via i tentacoli di microbots, che si disintegrarono come formiche morte, rilasciandolo. Una volta libero, Fred si riappropriò del costume e tagliò energicamente ogni braccio metallico che cercasse di infilzarlo. Un misto di rabbia, tensione e adrenalina si impossessò di lui mentre urlava i nomi delle sue mosse segrete ogni volta che dilaniava i microbots. Sferrò un ultimo colpo ad una pozza di robots a lui vicina, e urlò vittorioso prima di balzare per raggiungere gli altri.
<< Ragazzi, Hiro è lassù! >> Esclamò Honey Lemon, indicando il piccolo amico. La vista e l'idea di Hiro che veniva risucchiato all'interno del portale li fece rabbrividire.
<< Che cosa possiamo fare? >> Domandò Wasabi, più a se stesso che agli altri.
Ma prima che potessero decidere come aiutarlo, Hiro emise un rantolo soffocato. << Baymax... Baymax! >>
Il piccolo non sentiva più il braccio, non sapeva quanto avrebbe potuto resistere. Strinse le palpebre, cercando di ignorare il dolore ai bicipiti ma senza successo. Le sue dita cominciarono a cedere e a scivolare lungo la superficie rugosa del ferro a cui si reggeva.
Baymax, immobilizzato dai microbots, sentì la sua voce tramite il microfono e alzò lo sguardo. << Hiro! >> La sua visuale azzurra venne completamente oscurata dalla melma ferrosa dei bots, che lo coprirono interamente, seppellendolo sotto il loro peso freddo. I quattro ragazzi osservarono allibiti quello spettacolo e accorsero per tirare fuori l’amico robot, prima di vedere i microbots cedere inermi sotto la potenza del pugno-razzo che l’automa sferrò per liberarsi.
Baymax si diede la spinta con i propulsori e si librò in aria, recuperando la sua mano. Hiro sorrise, vedendo l'amico dirigersi in volo verso di lui. Senza togliergli gli occhi di dosso, calcolò la distanza che li separava, e ogni secondo che passava la sua presa si allentava sempre di più.
Ancora un po'. Più vicino. Più vicino.
Si lasciò andare.
E Baymax lo afferrò.
<< Ah ah! Adoro quel robot! >> Esclamò Krei, spettatore silenzioso di tutta quella scena. Callaghan, dal canto suo, non sembrava affatto felice dello sviluppo della situazione e schiantò Krei contro l’insegna del campus, e i microbots piegarono con forza le leghe d’acciaio che componevano la grande lettera K, intrappolando l’imprenditore.
Hiro e Baymax squarciarono il flusso magnetico del portale con la velocità del volo ed entrambi si stabilizzarono di nuovo, raggiungendo il resto del gruppo che urlò di gioia nel rivederli.
<< Ok, nuovo piano. >> Parlò Hiro, rivolto ai compagni. << Lasciamo stare la maschera e disgreghiamo i microbot, verranno risucchiati dal portale. >>
<< Questo è un piano! >> Esclamò Wasabi, sguainando le lame-laser che brillarono come smeraldi nel mare. Gogo lo seguì.
<< Honey, Fred, ci coprite? >> Chiese il ragazzino.
<< C'era mica bisogno di chiederlo! >> Fece Fred.
Honey Lemon gli fece l'occhiolino e prese dalla tracolla una delle sue sfere chimiche dal bel colore celeste che lanciò in aria. Fred saltò e le fece esplodere con il fuoco, producendo una spessa cortina fumogena.
Callaghan rimase visibilmente spiazzato e disorientato da quell'improvvisa nebbia che lo aveva circondato. Ordinò mentalmente ai microbots di portarlo più in alto, ma non servì a molto. Non riusciva a vedere più in basso.
Ed era proprio quello che i sei compagni volevano. Wasabi scavalcò una colonna di microbots giacente sul terreno, ma si ritrovò per un attimo sospeso per aria. <>
L'effetto del campo magnetico si stava facendo sentire ad una distanza sempre maggiore, ma il ragazzo non si lasciò intimorire. Al contrario, ebbe un'idea. Affilò le sue lame e sferzò una serie di attacchi rapidi e furiosi contro le varie colonne di microbots, squarciando, tagliando e distruggendo, dalle parti più basse a quelle più alte.
<<  Fai. La. Donna! >> Urlò Gogo, lanciandosi addosso ad una serie di microbots con i suoi dischi dorati, facendoli vorticare alla velocità della luce. I dischi divennero lame taglienti e infuocate che distrussero qualsiasi cosa si ponesse fra loro. Honey Lemon si fece lanciare in aria da Fred e posizionò la sua tracolla in mezzo a due dei tanti tentacoli neri. Prima di lasciarsi cadere, estrasse un'ultima sfera dal colore rosso intenso e la lanciò con tutta la forza che aveva contro la borsetta. In un attimo, quest'ultima si trasformò in una vera e propria bomba chimica che esplose con un rumore sordo e fortissimo, disintegrando i microbots.
<< Woo-hoo! Questa sì che è una reazione chimica! >>
Nel frattempo, Hiro e Baymax ispezionavano la parte alta del campus. Callaghan era troppo impegnato a pensare a loro per preoccuparsi di ciò che stava succedendo proprio sotto i suoi piedi. Gli occhi infuocati della maschera kabuki si scontrarono con le iridi nocciola di Hiro. L'uomo allungò un braccio nella loro direzione e subito quattro colonne di micorbots apparvero dalla coltre di fumo con una velocità violenta. Baymax li evitò abilmente e salì più in alto, verso il portale, per poi cominciare a discendere come una zanzara che punta alla sua vittima, colpendo i tentacoli di microbots con ogni mossa che Hiro gli aveva insegnato. Se qualcuno avesse assistito alla scena dall'esterno, avrebbe detto che essa si stava svolgendo all'interno di un caleidoscopio. Sembrava come se il mondo si fosse momentaneamente capovolto.
Una pioggia nera e ferrosa stava cominciando a risalire dal terreno per scomparire nella luce celeste del portale, diventando sempre più fitta di minuto in minuto, dipingendo una strana e inquietante tela nera su un campo di fumo grigio. E un demone e un ragazzino lottavano senza tregua in uno scontro insanguinato.
Hiro e Baymax risalirono di nuovo verso l'alto. Era giunto il tempo di sferrare l'ultimo attacco. Il robot volò agilmente tra le ultime braccia di microbots e poco prima di avvicinarsi al portale, si voltò.
<< In picchiata! >> Urlò Hiro, e il robot si lanciò a tutta velocità verso il basso, infrangendo con il suo solido pugno una schiera di bots che si stava dirigendo verso di loro.
Callaghan si sentì perso per un momento. Il ricordo di Baymax che aveva tentato di ucciderlo era ancora vivido in lui e cercò di arrestare la loro caduta verso la vittoria, ordinando a due braccia di microbots di trattenerli. Queste si strinsero intorno al corpo dell'automa, bloccandolo completamente.
<< Adesso basta! >> Gridò l'uomo, tendendo le braccia verso i due per simulare l'ordine dato ai piccoli robot. Ma non successe nulla. I microbots non rispondevano ai suoi comandi. Perchè?
Ci riprovò disperatamente, simulando una patetica scena di fallimento. Hiro sorrise beffardo. << Direi che sei a corto di microbots. >>
<< Cosa...? >>
Solo allora, Callaghan si decise a guardare in basso, solo per scoprire un vuoto abissale sotto i suoi piedi e le uniche due colonne di microbots rimasti a reggerlo. L'enorme massa nera che aveva sempre domato era svanita in un istante sotto la coltre di fumo, lasciandolo impotente e inerme davanti a Hiro e Baymax.
Il ragazzino assottigliò lo sguardo e con un solo ordine, lasciò che Baymax si liberasse dalla forte presa dei microbots e procedesse nella sua caduta libera verso la fine di quello scontro. << Baymax, colpisci! >>
Il robot sferrò il pugno contro la maschera pallida e ormai vuota di Callaghan, il quale lasciò che il panico prendesse il sopravvento.
Non poteva fare niente. Se fosse caduto da quell'altezza sarebbe morto di sicuro, e di fronte a lui Hiro aveva scelto un modo più veloce di ucciderlo. Era finita per lui.
Parò davanti a se le braccia in un vano tentativo di attutire il colpo, sperando che non facesse troppo male. Ma il pugno non arrivò mai.
Baymax si era fermato a pochi centimetri dal suo viso, le nocche rosse e dure davanti ai suoi occhi gialli.
<< Noi non siamo programmati per ferire un essere umano. >> Rammentò Hiro con un sorrisetto sarcastico. << Ma possiamo fare... Questo. >>
La maschera kabuki svanì dal viso del professor Callaghan per finire tra le dita di Baymax. Bastò una leggera stretta, e in un attimo fu distrutta. E il neurotrasmettitore con essa. Uno schioppo sordo e rapido, e un impero intero crollò insieme al suo tiranno. Il demone venne distrutto. Lo yokai fu scacciato di nuovo nell'oltretomba, lasciando il posto ad un miserabile uomo ormai sconfitto. La sua caduta fu interrotta soltanto da Baymax, che lo afferrò appena in tempo, e tutti e tre si allontanarono dal portale che, persi i suoi sostegni, cadde nel vuoto con un rumore sordo, provocando la distruzione immane della zona. Una nera nube di polvere e cenere si levò nell'aria, appannando il sole ed il cielo mattutino. Sipario oscuro dei protagonisti di quella triste e avventurosa messa in scena.
Baymax e Hiro si affiancarono nuovamente agli altri compagni, che nel frattempo si erano presi cura di Krei. Lasciarono Callaghan nelle mani di Wasabi e Fred e la loro attenzione si rivolse immediatamente al portale, che nonostante la forte botta non si era ancora spento.
<< Dobbiamo disattivarlo! Come si fa? >> Chiese Hiro a Krei, nella speranza di ricevere una risposta.
<< E' impossibile! C'è un collasso del campo di contenimento, il portale esploderà! >>
<< Dobbiamo allontanarci subito! >>
Non c'era altra scelta se non quella di aspettare che il flusso magnetico si arrestasse da solo. Cominciarono a correre via, quando Hiro notò l'assenza di Baymax nei paraggi. Si fermò, solo per vedere l'amico dargli le spalle, rivolto verso la luce viva e pericolosa del pannello.
<< Baymax...? >>
<< I miei sensori rivelano segni di vita. Provengono da lì. >> Disse il robot, indicando la luce. << Segni di vita di genere femminile. >>
Hiro sgranò gli occhi. Il ricordo del filmato era ancora vivo nella sua mente e quasi non poteva crederci. Non poteva essere altrimenti, se non quello che pensava.
<< La figlia di Callaghan è ancora viva... >>
Lei era entrata in quel portale senza mai uscirne. Non era effettivamente detto che fosse morta. Esiste una dimensione spazio-temporale di mezzo durante il teletrasporto, in cui il corpo viaggia velocemente, perdendo i sensi per brevissimo tempo. Se l'inter-dimensione esisteva realmente, allora era lì che Abigail si trovava. Hiro montò in groppa a Baymax, aggrappandosi alla sua schiena tramite i sensori magnetici.
<< Il portale sta collassando! Non ce la farete mai! >> Gridò Krei, la voce rotta dallo stremo.
Quello che aveva intenzione di fare era pericoloso. Molto pericoloso.
C'era il rischio che non sarebbero più tornati indietro. Ne valeva davvero la pena, in fondo?
Era della figlia del nemico che si stava parlando. La causa da cui tutto era scaturito. Quella che aveva portato alla morte di Tadashi.
Stavano rischiando. Rischiando di perdere tutto, di svanire per sempre e divenire ricordi sordi e lontani. Stavano rischiando di morire soli, senza l'affetto di nessuno, nè una tomba in cui riposare.
Però...

<< Tadashi, no! >>
Silenzio. Uno sguardo alle fiamme. Poi di nuovo a lui.
<< Callaghan è la dentro, qualcuno deve aiutarlo. >>
Un conto alla rovescia. Un'esplosione. Una vita che cambiava in un attimo.
<< Torno subito. Lo prometto, torno subito. >>
Aveva infranto quella falsa promessa fin dall'inizio. Ora toccava a lui rispettarla fino alla fine.


<< Lei è viva ed è li dentro, qualcuno deve aiutarla! >>
Non c'era segno di esitazione nella sua voce, mentre si preparava a volare. << Tu che ne dici, amico? >>
<< Volare mi rende un operatore migliore. >>
Baymax rispose con onesta gentilezza, mimando le parole di Hiro. Il ragazzino sorrise, assaporando gli ultimi istanti di libertà che lo separavano dalla prigione inter-dimensionale in cui si stava recando. I propulsori si accesero rombando, squarciando l'aria fredda e polverosa. Baymax si librò in aria, vorticando su se stesso, e come una rondine vola leggiadra sulla terra, si lanciarono all'interno del portale.
Alle spalle, la vita che li attendeva con trepidazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** La Rondine Silente ***


Una bianca luce inondò i corpi di Hiro e Baymax mentre attraversavano il portale. Quando si affievolì, la visione che si parò davanti ai loro occhi era inquietante e spettacolare al tempo stesso. Una distesa di colori, sfumature di viola e blu che si arpeggiavano in nuvole di cotone, svanendo in spirali bidimensionali. Un paesaggio surreale e onirico. L'inter-dimensione.
Era come se ogni frase letta nei libri di fantascienza e teoria scientifica avesse improvvisamente preso vita e si fosse trasformata in un elemento di quel luogo. Colori, luci, nubi sfumate. Ma era tutta un'illusione. L'inter-dimensione era un luogo pericoloso, se era davvero un luogo. Per quanto affascinante e meravigliosa, essa era l'incarnazione del vuoto. Era solo una maschera, un trucco per far impazzire e inghiottire ogni cosa precipitasse al suo interno, come un enorme buco nero. Hiro questo lo sapeva, e nonostante lo stupore iniziale, vedere i tanti frammenti del campus di Krei che fluttuavano in quel miscuglio di colori gli fece ricordare perchè era lì. E soprattutto, che doveva sbrigarsi.
<< Attento, è pieno di rottami della KreiTeck! >> Avvisò Baymax, prima di lanciarsi in mezzo ai vetri taglienti e ai muri pesanti che si sgretolavano man mano a causa della pressione.
Il piccolo avvertì la nausea e lo stomaco contorcesi ogni secondo che passavano a inoltrarsi in quel tunnel di colori senza fine. La testa si svuotò per un istante e fu molto difficile cercare di mantenere la concentrazione. Baymax fece una giravolta per evitare alcune vecchie finestre dell'edificio di Krei, e Hiro si ritrovò a testa in giù all'improvviso, rischiando di avere un conato di vomito. Il robot si stabilizzò appena in tempo per fargli recuperare lucidità. Hiro scosse il capo, cercando di ignorare la nausea che andava prendendo piede dentro di lui e schiacciò forte i palmi contro i propulsori sulla schiena di Baymax. Non fecero in tempo a stabilizzare il volo che la vista di una lunga finestra sopravvissuta al disastro del portale si avvicinò pericolosamente come una lama affilata per trafiggerli entrambi. Bayamx si abbassò, passando sotto la vetrata, ma Hiro, preso alla sprovvista, ebbe l'istinto di saltare. I suoi piedi si ritrovarono a calpestare il vetro infranto con una macabra leggerezza, tanto che gli sembrava di dover faticare a tenersi incollato alla superficie. Gli occhi nocciola, sgranati e concentrati, seguivano Baymax sotto di lui. Entrambi si scambiarono uno sguardo preoccupato e Hiro lo spezzò solo per constatare che mancava poco alla fine della vetrata. Non aveva altra scelta se non fidarsi dell'amico e una volta arrivato sul bordo, si lanciò nel vuoto colorato che lo circondava. Le braccia di Baymax lo accolsero con tutta la sicurezza di cui erano dotate, strappandogli un sorriso sollevato.
<< Ho intercettato il paziente. >> Disse il robot, indicando un punto preciso nell'inter-dimensione.
Hiro seguì il suo sguardo, notando quella che sembrava una piccola capsula grigia, un insetto sperduto in un  mare di arcobaleni. Lì dentro c'era Abigail Callaghan. Il piccolo si risistemò sulla schiena di Baymax e insieme volarono fino alla suddetta. Il robot planò con i razzi, aggrappandosi delicatamente ai lati della navicella. Hiro passò una mano sul vetro sporco, liberando la visuale all'interno. La giovane donna che avevano visto nelle riprese del laboratorio sull'isola Akuma, piena di grinta e vita negli occhi, era condannata ad un sonno profondo. Era pallida e smagrita, profondi solchi erano scavati intorno alle palpebre nivee e le labbra sottili erano increspate nello spettro di un sorriso.
<< Forza amico, portiamola in salvo. >> Ordinò Hiro, lasciando che Baymax volasse intorno alla capsula e la spingesse davanti a loro, prima di attivare i propulsori e recarsi nuovamente verso l'uscita del portale.
<< Ti guido io! >> Esclamò il ragazzino, mentre facevano ritorno nel tifone di macerie del Campus KreiTeck.
I suoi occhi seguivano attenti ogni movimento delle rovine, la sua mente li registrava, la sua bocca parlava.
Sferzarono a destra, poi svoltarono a sinistra, virarono su se stessi e infine continuarono dritto, passando lungo un tunnel composto da vetro e cemento. Furono nuovamente nell'area libera, davanti a loro la luce del portale li attendeva con trepidazione. Hiro urlò di gioia, il sapore dell'adrenalina sulla sua lingua era dolce come un tempo. Le grandi iridi nocciola osservavano i colori sgargianti, illuminandosi di gioia per quella missione impossibile che era stata finalmente risolta proprio da lui, da loro. Ce l'avevano fatta. Erano davvero invincibili insieme.
E quando Hiro rivolse a Baymax il suo sguardo felice non potè accorgersi che un grossa parte di muro ancora intatto si stava avvicinando sempre di più a loro con troppa velocità.
Ma Baymax lo vide. Le sua mani si staccarono dalla capsula per avvolgere Hiro.
L'impatto fu più violento di quanto avesse sperato.
<< Baymax! >>
Hiro si ritrovò improvvisamente solo. Solo sulla capsula, insieme ad Abigail. Baymax era lontano da loro, scaraventato via dalla potenza dell'urto da cui lo aveva appena protetto. La parete si era disintegrata, e così la sua armatura rossa. Il robot battè le palpebre meccaniche, come se si stesse riprendendo da un sonno brusco e tentò di accendere i razzi sotto i suoi piedi. Inutilmente. L'impatto era stato troppo forte.
<< I miei propulsori sono fuori uso. >>
<< Forza, afferra la mia mano! >>
Hiro allungò il braccio verso di lui. Non era molto lontano, sapeva che poteva riuscire a prenderlo. Sarebbe bastato poco, solo un poco, solo un po' più vicino...
La sua piccola mano venne avvolta da quella grande e morbida del robot. Lo trascinò verso di sè, permettendogli di aggrapparsi nuovamente alla navicella. Si volse verso la luce, e la vide affievolirsi ogni secondo un po' di più. Non avevano più scampo. Baymax non poteva volare, e loro non potevano uscire dal portale.
Abigail non sarebbe stata tratta in salvo.
Sarebbero rimasti lì dentro per sempre...
<< C'è ancora un modo per mettervi in salvo. >>
La voce di Baymax apparve improvvisamente più debole alle orecchie di Hiro. Si volse verso di lui, osservandolo mentre posizionava il pugno-razzo, l'unico pezzo dell'armatura rimasto intatto, all'interno del motore della navicella. Oh, no. Oh, no, no, no. Aveva capito che cosa aveva intenzione di fare e pregò fino alla fine di sbagliarsi. Pregò di non sentirlo pronunciare quelle esatte parole.
<< Posso disattivarmi se mi dici che sei soddisfatto del trattamento. >>
<< No, no, no! Io non ti lascio quassù. >>
La sua mente lottava strenuamente contro l'idea di abbandonare Baymax e la ricerca di una soluzione che prevedesse un lieto fine tanto desiderato. Ma era tutto così confuso, non riusciva a pensare chiaramente.
E in quel momento, tutto ciò che regnava dentro di lui era una paura che distruggeva lentamente la sua anima già ferita. 
<< Voi siete miei pazienti. La vostra salute è il mio solo scopo. >>
<< Baymax, smettila! >>
Non poteva lasciarlo lì. Non lo avrebbe accettato. Non se lo sarebbe mai perdonato. Baymax era il suo migliore amico, il suo eroe...
<< Sei soddifatto del trattamento? >>
<< No! Non ho intenzione di lasciarti qui! Troverò una soluzione, deve esserci un altro modo! >>
Baymax era...
<< Non c'è più tempo. Sei soddisfatto del trattamento? >>
<< Per favore... No... Non posso perdere anche te... >>
Tadashi. Aveva perso suo fratello per una promessa che non sarebbe mai stata mantenuta. Lo aveva perso perchè non era stato in grado di tenerlo stretto, di tenerlo accanto a sè un po' più a lungo. Tadashi era morto per salvare la vita di una singola persona, rinunciando alla sua. E ora Baymax, esattamente come il suo creatore, si stava offrendo sull'altare sacrificale con il solo scopo di salvare Hiro e Abigail.
Non di nuovo... Non poteva rivivere quel momento ancora una volta. Non voleva. Era troppo per lui. Non ce l'avrebbe fatta, non lo avrebbe sopportato.
Un forte nodo alla gola cominciò a risalire su per la trachea, mozzandogli il respiro, costringendolo a piegarsi su se stesso come un cucciolo impaurito. Gli occhi gli bruciavano.
<< Hiro... >>
La mano morbida di Baymax si posò teneramente sulla testa di Hiro, sfiorandogli la chioma ribelle e nera come la notte. Una carezza. Il modo più gentile che aveva per convincerlo a non arrendersi. Il piccolo riaprì gli occhi, incontrando quelli neri e meccanici dell'amico. Era così strano... La linea sul volto era sempre la stessa, ma sembrava quasi che Baymax stesse sorridendo. Appariva... Sereno.
<< Io sarò sempre con te. >>
E in quell'istante, la voce di Baymax cambiò. Non era più un'amichevole voce robotica, ma una voce umana, una voce familiare che Hiro conosceva benissimo.
La voce di Tadashi. La sua promessa mantenuta. Il suo regalo per lui.
Ora tutto era più chiaro.
Tadashi non gli aveva mai mentito. Era tornato da lui, lo aveva aiutato a rimettersi in piedi dopo la caduta, lo aveva fatto volare oltre le mura del lutto e della depressione, lo aveva abbracciato con le sue ali d'angelo. Lo aveva salvato una volta, fuori dalla scuola infuocata, impedendogli di seguirlo nella morte.
E ora lo stava salvando di nuovo.
Perchè per quanto doloroso e lungo, quell'addio era necessario per entrambi. Se Hiro fosse morto, nessuno avrebbe potuto mantenere vivo il ricordo di Tadashi.
Per questo era necessario che Hiro vivesse. In questo modo, una parte di Tadashi avrebbe continuato a vivere. Hiro doveva andare avanti per lui, doveva finire ciò che Tadashi aveva iniziato. Era lui il vero eroe di quella storia, era l'eroe e il protagonista della sua stessa vita. E ora doveva continuare.
Senza accorgersi delle lacrime che scivolavano giù lungo le sue guance rosee, Hiro si gettò alle braccia di Baymax, stringendolo più forte che potè, aggrappandosi a lui come ultimo appiglio. Fu così bello sentirsi avvolgere da quell'abbraccio. Quel contatto gli era mancato per troppo tempo. Baymax chiuse gli occhi, godendo del calore di quell'affetto e delle lacrime dolci di quel ragazzino che aveva protetto fino all'ultimo. Aveva svolto correttamente il suo compito, e adesso era giunto il momento di andare.
Con un ultimo, grato sorriso spezzato dal pianto, Hiro pronunciò le sue parole d'addio. La voce rotta, gentile e delicata, poco più di un sussurro. Erano rivolte solo a Baymax. Solo a Tadashi.
<< Sono soddisfatto del trattamento. >>
Si allontanarono in silenzio, gli ultimi istanti racchiusi in uno sguardo incatenato fino alla fine della luce. Hiro lasciò andare Baymax, esattamente come aveva lasciato andare Tadashi. Ancora una volta.
Stava tornando a casa, da solo.


 (•—•)

Il portale espulse la capsula con una violenta esplosione e si disintegrò in una nube di cenere nera. Hiro riaprì gli occhi, incontrando la strada distrutta, le macerie e la distruzione che segnavano l'immane scontro che c'era stato poco prima tra i sei amici e il professor Callaghan. Erano vivi. Stavano bene, e Abigail era salva. Ma mancava qualcosa... Qualcuno.
<< Hiro! >>
<< Si, ce l'hanno fatta! >>
Le grida di gioia di Fred e Wasabi si interruppero subito non appena notarono che Hiro non appariva affatto felice del compimento della sua missione, e che uno di loro mancava all'appello.
<< Baymax...? >> Azzardò il ragazzo di colore con la voce tremante, temendo il peggio.
Il piccolo amico non rispose, limitandosi a voltare le spalle al gruppo, specchiandosi nel vetro sporco della navicella.
Abigail era salva, respirava e di lì a poco si sarebbe svegliata. Avrebbe rivisto suo padre ed entrambi avrebbero avuto il loro lieto fine.
Nessuno parlò di quella mattina. La realizzazione di aver perso ancora una volta un amico, un compagno di squadra li atterrì, rendendoli partecipi dell'agonia di Hiro.
Hiro, che così giovane aveva provato più sofferenza di chiunque altro.
Hiro che aveva perso tutto nel giro di poco tempo.
Hiro che aveva salvato la causa della sua stessa sofferenza.
Hiro, che era stato salvato.
Hiro, l'eroe caduto che doveva rialzarsi.
Non avrebbe mai avuto un lieto fine, Hiro.
Forse non lo meritava? Forse la vita era davvero così ingiusta?
Non lo sapeva. L'unica cosa di cui era sicuro era che Tadashi aveva mantenuto la sua promessa. E ora toccava a lui mantenere la sua.
Doveva andare avanti. Avrebbe continuato a vivere, anche se nel dolore.
Per Baymax.
Per Tadashi.
__________________________________________________________________________________________________________

Chiedo scusa a tutti per l'eventuale sparizione del capitolo! Ora dovrebbe comparire normalmente.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Epilogo ***


<< Continuano le indagini sul misterioso crollo avvenuto questa mattina al quartier generale della KreiTeck Industry. Le forze dell'ordine stanno ancora cercando il gruppo di individui non identificati che avrebbe evitato una terribile catastrofe. L'intera città di San Fransokyo si domanda chi sono questi eroi? E dove si trovano adesso? >>

La notizia della distruzione del campus fece il giro del mondo, attirando domande e supposizioni tipiche della curiosità della gente. Alister Krei aveva scelto di non rivelare le identità dei suoi salvatori, in segno di rispetto e come riconoscenza per il loro servizio. Abigail Callaghan fu estratta dalla capsula e trasportata urgentemente in ospedale, ma la buona notizia era che si era finalmente svegliata, riusciva a parlare e ricordava tutto.
Ma non sapeva nulla di quello che era successo fino a quel giorno.
Il professor Callaghan venne arrestato e portato via prima che avesse la possibilità di salutarla. Tutto quello che gli rimase di lei fu uno sguardo di rammarico da oltre il finestrino della volante.
Neanche lui, infine, aveva avuto il suo lieto fine.
Hiro e gli altri osservarono la scena dall'alto di un palazzo. Non volevano gloria nè successo o celebrazioni. Volevano solo tornare a casa, ad una vita che non avevano mai voluto che fosse reale. Svanirono nel tramonto.

(•—•) 

Era ormai sera inoltrata quando Hiro e gli altri si recarono finalmente alle rispettive case. Si erano cambiati a casa di Fred per non destare troppi sospetti ed erano andati via quasi subito. Hiro entrò dalla porta sul retro, sperando che zia Cass non lo sentisse. Non era in vena di ramanzine quella sera, era già troppo stanco. La luce della caffetteria era ancora accesa, e il ragazzino ne approfittò per sbirciare. Alcuni degli scaffali erano ancora pieni di dolci fatti quella mattina e altri appena sfornati. L'aria era ancora impregnata del profumo di cioccolata calda e caffè.
<< Hiro! >>
Sussultò quando sentì la voce della zia provenire dritta da dietro il bancone. Si volse verso di lei, senza riuscire a formulare una buona scusa per giustificare il suo ritardo. Ma ogni parola sembrò superflua quando si sentì avvolgere dalle braccia esili della donna. Si ritrovò premuto contro il suo corpo caldo, stretto dal suo abbraccio protettivo.
Non si era mai reso conto di quanto gli fosse mancata quell'attenzione da parte della zia.
<< Grazie al cielo, sei a casa! Ma dove sei stato tutt'oggi? >>
<< Io... >>
Non poteva dirle niente. Se avesse saputo ciò che aveva fatto si sarebbe spaventata ancora di più, e Hiro non voleva questo per lei. Non lo voleva per loro. Ma questa volta non aveva davvero alcuna scusa e non aveva la forza per formularne una. Aveva appena perso Baymax e tutto gli sembrava privo di senso. Era stanco, voleva solo dormire.
Notando la difficoltà nel rispondere, lo sguardo di Cass si addolcì e strinse nuovamente a sè il nipote.
<< Sai cosa? Non importa. L'importante è che tu sia qui, adesso. >>
Hiro sospirò. Sentì le guance avvampare e un grave peso sul cuore sciogliersi piano piano, liberando uno sfogo che aveva tenuto dentro per tutto il tempo.  
<< Zia Cass... >>
Quella donna lo aveva cresciuto. Non si era mai arresa con lui e aveva dedicato tutta la sua vita a far sì che stesse bene e che non gli mancasse niente. Anche quando gli era mancato il terreno sotto i piedi, lei era stata accanto a lui per fargli forza, e gli aveva teso una mano che Hiro non era mai stato pronto a prendere. Ma ora erano lì, erano insieme. E si rese conto di quanto gli fosse mancata.
Si aggrappò a lei, sprofondando il viso nel suo seno, lasciando che le lacrime trattenute trovassero finalmente la loro strada al di fuori degli occhi e al di fuori del cuore. Cass non fece domande. Lasciò che si sfogasse, che piangesse quanto voleva. Qualsiasi cosa avesse programmato di dirgli poteva attendere.
Erano insieme, ora. Si erano finalmente ritrovati.
E Cass non lo avrebbe mai più lasciato solo.


 (•—•)

Non fu facile riprendersi dalla perdita di Baymax, ma Hiro decise di tener fede al suo compito e cominciò ad andare al campus. La settimana dopo, Honey Lemon, Gogo Fred e Wasabi lo raggiunsero alla caffetteria per fare colazione insieme e poi recarsi tutti all'università, dove il piccolo avrebbe finalmente portato a termine l'iscrizione completa per frequentare le lezioni. Il sole era tornato a splendere e un vento tiepido soffiava tra i fiori dei ciliegi. Quando i suoi piedi varcarono la soglia dell'ingresso della scuola, Hiro si ritrovò catapultato nei giorni dimenticati del passato.
Era già stato lì, in mezzo a quei prati, sul ponte che collegava i giardini con l'edificio principale. La parte bruciata veniva ristrutturata pian piano, e dell'incendio non rimaneva quasi più traccia. Una strana sensazione, figlia di un misto tra nostalgia e trepidazione, cominciò a farsi strada nel suo cuore. Gli era mancato stare lì, più di quanto avesse immaginato.
Non c'erano dubbi su quale fosse stato il suo spazio personale. Gli fu affidato il vecchio studio di Tadashi, rimasto vuoto dal giorno del funerale, in cui lui e sua zia erano andati a ritirare i suoi effetti personali. Hiro non perse tempo a riempirlo di nuovo con i suoi nuovi libri, i vari gadget a lui più cari, tra cui il cappello di suo fratello e il pugno-razzo di Baymax.
L'ultimo ricordo dell'amico.
Era rimasto attaccato alla capsula dopo averlo usato per spedire Hiro e Abigail Callaghan fuori dal portale. Aveva voluto lasciarlo esattamente come il giorno in cui Baymax lo aveva lasciato, senza pulirlo nè modificarlo.
L'armatura rossa era segnata dalle cicatrici della battaglia e la polvere delle macerie costituiva una patina scura sulla superficie.
Ma andava bene così, per Hiro era perfetto.
Lo tolse da uno scatolone e lo poggiò con cura su una delle mensole vicino al grande lucernario circolare, lasciando che il sole bagnasse il pugno chiuso. Hiro sorrise malinconico, battendo delicatamente le nocche contro di esso.
<< Bha-la-la-la-la. >>
Mormorò, ricordando simpaticamente la sera in cui Baymax aveva tirato fuori quel suono così strano e subito amichevole.
Fece per svuotare l'ultimo scatolone rimasto quando notò qualcosa tra le insenature delle dita del pugno-razzo. C'era qualcosa lì, nascosto nella mano di Baymax.
Hiro aprì a fatica il pugno, sollevando le dita una ad una. Quasi gli si mozzò il respiro quando realizzò di cosa si trattava.
Il chip verde.
Non sapeva come nè quando, ma Baymax aveva avuto il tempo di estrarlo da sè stesso e lasciarlo al sicuro nella sua mano, in attesa che Hiro lo trovasse. Ma perchè?
... Forse, con quella piccola cassaforte di ricordi, avrebbe potuto riportare in vita qualcuno.

(•—•)

<< Ahi... >>
<< Io sono Baymax. Il tuo operatore sanitario personale. Ciao, Hiro! >>


 (•—•)

Un sabato mattina si svegliò presto e sorprese la zia scendendo nella caffetteria e, infilandosi il suo grembiule, prendendo gli ordini che la donna stava portando al tavolo desiderato.
<< Hiro? Che ci fai già in piedi? >>
<< Buongiorno, zia Cass. E' sabato oggi! Il giorno migliore per il locale! >> Esclamò lui, servendo i clienti.
Cass ne fu piacevolmente sorpresa. Erano settimane che Hiro non scendeva nella caffetteria e alcuni degli ospiti abituali del locale lo salutarono contenti come fosse un vecchio amico, ai quali Hiro ricambiò con un sorriso sereno e gli occhi brillanti. La donna ne approfittò per osservarlo, un sorriso felice sulle labbra dipinte di rosso.
Hiro era cresciuto. In altezza e in morale, era diventato un ometto. Il viso paffuto si era leggermente assottigliato e i capelli erano cresciuti di qualche centimetro. Ma era sempre lui. Il suo Hiro. Suo nipote. E non poteva essere più fiera di lui in quel momento. Dopo tutta la sofferenza a cui era stato condannato, ora stava trovando la forza per rialzarsi e andare avanti. A cosa fosse dovuta, non le era dato di sapere. Ma poteva immaginare che dietro ci fosse lo zampino del suo primo nipote.
Tadashi le mancava tanto, ma era sempre stato un'ancora per Hiro. E in qualche modo, in quei giorni, lo aveva sentito un po' più presente. Volse lo sguardo smeraldino al lucernario della caffetteria, lasciando che i raggi del sole caldo la inondassero.
Era di nuovo una bella giornata.
Quando Hiro riuscì a liberarsi della signora Matsuda, che gli faceva i complimenti per pizzicargli le guance, si recò subito al bancone a prendere gli altri ordini.
<< Zia Cass, ti va se... Ceniamo insieme stasera? >>
La donna alzò lo sguardo su di lui, quasi come se volesse accertarsi di aver sentito bene.
<< Sai, mi sono reso conto che ti ho un po' trascurata e... Bè, volevo rimediare... E poi, devo farti vedere una cosa! >> Il suo solito sguardo innocente era pieno di sincerità e Cass non potè fare a meno di sorridere a quella proposta.
<< Certo, tesoro. >>
<< Ali di pollo piccanti? >>
<< Ali di pollo piccanti. >>
Scoppiarono a ridere insieme, prima che Hiro si allontanasse con due vassoi pieni di briochè alla crema e tre cappuccini al cacao. La giornata fu estenuante, ma mai come allora poterono permettersi di ritirarsi nell'appartamento con il volto pieno di soddisfazione. Entrambi si fecero una doccia e Cass si mise subito a cucinare.
<< Zia Cass. >>
<< Si, cosa c'è, tesoro? >>
<< Devo farti conoscere qualcuno. >>
La donna smise di tagliuzzare il limone e si asiugò le mani sul grembiule legato alla vite prima di volgere lo sguardo a Hiro, che la attendeva pazientemente davanti al finestrone appena dopo le scale. Rimase sorpresa di vedere accanto al nipote quello che sembrava un grosso gonfiabile tutto bianco dal viso formato da due pupille nere unite da una linea retta. Hiro sorrise orgoglioso.
<< Zia Cass, ti presento Baymax. >>
Il robot alzò una mano a mezz'aria e la mosse lentamente, simulando un saluto. << Ciao, io sono Baymax. >>
Cass avanzò qualche passo incerto, gli occhi smeraldini erano sgranati e le labbra leggermente socchiuse per la sorpresa. Non sapeva perchè, ma c'era qualcosa di familiare in quel robot.
Poteva sentirlo nel suo cuore, che cominciò a battere più veloce senza un motivo preciso.
<< Lui era... è il progetto di robotica a cui Tadashi stava lavorando ultimamente. >>
Non appena sentì il nome del nipote più grande, l'emozione si impossessò di lei come una carezza velata dal tempo. Le sue iridi brillarono come diamanti per le lacrime commosse che si andarono formando mentre Hiro passava a illustrarle tutto il tempo che Tadashi aveva speso per costruirlo. Quasi le sembrò di rivederlo, Tadashi, mentre sorridente e umile spiegava in cosa consistesse quel suo progetto che aveva così teneramente chiamato Baymax.
<< Un infermiere... Robot? >> Chiese timidamente.
Hiro annuì, lasciando che un tenero dejavù scorresse nella sua mente.
<< E non ha solo medicinali e caramelle tra i suoi scomparti... >> Il piccolo rivolse uno sguardo all'amico bianco e questo, battendo lentamente le sue palpebre meccaniche, si sporse un po' in avanti, illuminando il pancione. Cass si avvicinò curiosa a quello che sembrava un vero e proprio schermo olografico e quando i vecchi video delle prove di Tadashi per costruirlo partirono, una risata generata dal pianto riempì l'aria di casa. La voce del nipote riecheggiò eccitata, stanca, emozionata e felice tra le mura dell'appartamento rimasto silenzioso troppo a lungo.
<< Tadashi... >>
Hiro la abbracciò forte, lacrime silenziose scorrevano lungo le sue guance senza mascherare il sorriso felice mentre rivedeva suo fratello ancora una volta. Cass lo strinse a sè, continuando a ridere felicemente.
Tadashi era lì.
Loro erano lì. Di nuovo tutti insieme.


(•—•) 

La domenica era ufficialmente il giorno in cui gli amici di Hiro venivano a scroccargli la colazione al Lucky Cat Cafè. Ormai era diventata un'abitudine e il ragazzino ne approfittava per passare il tempo insieme a loro.
<< Allora Hiro, Baymax come sta andando? >> Chiese Wasabi, sorseggiando il suo tè verde.
<< E' come nuovo grazie al chip che mi ha lasciato. Mi ha dato un po' di grane quando ho provato a ricostruirlo, ma per fortuna adesso è perfettamente funzionante. >>
<< Cavolo, tu sì che sei forte! Ci hai messo solo tre settimane! Tadashi ci ha impiegato mesi per finirlo! >>
L'eccitazione tipica da nerd di Fred conobbe una brusca interruzione da parte di Gogo, che gli assestò un calcio negli stinchi. Ma invece di rattristarsi per il ricordo del fratello, Hiro rise.
<< Lo so. Ci sono state sere in cui non rincasava affatto. >>
<< Bè, l'importante è che adesso lui sia di nuovo con noi. >> Wasabi afferrò il suo tè in bicchiere di carta e lo sollevò, convincendo gli altri a fare lo stesso. << A Baymax. >>
Brindarono con le rispettive bevande, trascorrendo il tempo a parlare dell'università e delle imminenti feste natalizie. Ma non riuscirono a nascondere i momenti passati a fare i supereroi per acciuffare Callaghan. Per ognuno di loro, quei giorni erano stati a loro modo fantastici e pieni di sorprese.
<< Credete che potremmo rifarlo? Sapete, non mi dispiacerebbe indossare di nuovo la mia tuta! >> Cinguettò Honey Lemon, mentre fotografava la sua cioccolata calda con i biscottini al burro.
Un silenzio impessionante calò nel gruppo di amici. Si guardarono l'uno con l'altro, ogni sguardo racchiudeva domande e pensieri che stavano stranamente ritornando a galla.
<< Eh, no. Insomma, è stato bello la prima volta, ma abbiamo già dato e non credo che sia il caso di ricominciare. >>
Cercò di tagliare corto Wasabi, ma sembrò non avere alcun effetto.
<< No, un momento... Voi pensate davvero che... >>
Il silenzio fu rotto soltanto dalle risatine eccitate di Fred che si mordeva le labbra e stringeva i pugni come un bambino felice. Gogo e Honey si scambiarono un sorriso di intesa e tutti si voltarono verso Hiro.
<< Tu che ne pensi, genio? >> Domandò Gogo, infilandosi in bocca una gomma da masticare alla fragola.
Hiro si sentì sotto inchiesta, ma fu quasi sollevato nel sentire di nuovo l'argomento. D'altra parte, la città di San Fransokyo poteva aver bisogno di qualche eroe per essere al sicuro.
E Baymax era tornato, quindi...
<< Dovremmo procurarci un nome! La gente dovrà pur chiamarci in qualche modo! >> Esordì Fred con sguardo serio.
<< Ma... Fate sul serio? >> Gridò Wasabi, incredulo.
<< Oh oh! Che ne dite de "I Supersonici di San Fransokyo"? >> Esclamò Honey Lemon.
<< No, troppo lungo. Saranno già morti ancora prima di riuscire a chiamarci. >> Tagliò corto Gogo.
<< E se ci chiamassimo "I difensori dell'universo"?! >>
<< Guarda che non ci chiamiamo Luke Skywalker. >>
<< Tu cosa suggerisci, Hiro? >> Gli chiese Honey Lemon, eccitata.
Hiro, dal canto suo, stava ragionando sulla stessa squadra.
Chi erano loro? Dei ragazzi appassionati di scienza, la cui arma era l'intelletto e la passione. La passione li rendeva grandi. Ognuno di loro era un eroe della propria vita. Valorosi, determinati, coraggiosi.
Insieme, facevano la forza. Erano in sei.
<< Che ne dite di Big Hero 6? >>

 (•—•)

Le sere di San Fransokyo erano insolitamente tranquille nel traffico caotico della metropoli. Una tranquillità che trovava la sua sorgente nell'adrenalina di sei guardiani che sorvegliavano la bellezza della grande città, custodendo preziosamente la vita di ogni singolo individuo che passeggiava per le strade, nei treni o nelle automobili. Sfrecciavano come siluri tra le luci colorate dei grandi schermi, fugaci come fantasmi e coraggiosi come angeli caduti dal cielo.
La sicurezza delle persone, grate per i loro servigi e più sicure nel loro futuro, dipendeva tutta da quei sei misteriosi individui. Nessuno sapeva che, in realtà, questi giovanni ribelli non erano partiti per fare i supereroi.
Ma a volte la vita non va secondo i piani.
Il loro capo, il più giovane del gruppo, aveva avuto un fratello. Costui, leale nel nome e nell'essere, avrebbe voluto aiutare le persone di tutto il mondo. E con la sua creazione, il ragazzo e i suoi amici tennero fede a quella volontà.
Stringendo le spalle e aggrappandosi a Baymax, Hiro puntò verso il cielo, volando un po' più in alto.






And live with me forever now

We pull the black out curtains down
Just not for long, for long
We could be
Immortals

Fall Out Boy - Immortals

_______________________________________________________________________________________________________

E così, questo piccolo delirio è giunto al termine. E lasciate che vi dica che sono veramente soddisfatta di quello che ne è venuto fuori e in particolare anche dal discreto successo che ha avuto. Bisogna ammetterlo, il fandom di Big Hero 6 è più morto che vivo, e giuro che non avrei scommesso una lira su questo esperimento. E' semplicemente bellissimo il fatto che, al contrario di quanto mi aspettassi, ha ricevuto un buon successo e critiche per lo più positive, e di questo vi ringrazio tantissimo.
Ringrazio molto i lettori e i recensori che hanno trovato il tempo di lasciare le loro considerazione quali fenris, Emmydreamer_love2004, Emmet Brown e Marlena_Libby.
Alla prossima.

LittleBloodyGirl



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3609719