Vivere per la morte, morire per amore

di moni93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto primo: La luna calante che chiese perdono al vento ***
Capitolo 2: *** Atto secondo: L'uomo che rimase sconfitto ***
Capitolo 3: *** Atto finale: Incontrandoci ancora su quella collina ***



Capitolo 1
*** Atto primo: La luna calante che chiese perdono al vento ***


VIVERE PER LA MORTE, MORIRE PER AMORE

 

Atto primo: La luna calante che chiese perdono al vento

 

Couldn’t save you from the start

Love you so it hurts my soul

Can you forgive me for trying again?

Your silence makes me hold my breath

 

I’ve been so lost since you’ve gone

Why did fate deceive me?

Everything turned out so wrong

Why did you leave me in silence?

 

You gave up the fight

You left me behind

All that’s done is forgiven

 

You’ll always be mine

I know deep inside

 

All that’s done is forgiven

 

(Within Temptation – Forgiven)

 

 

Ai miei cari va il mio pensiero, mentre lentamente tramonta il sole.

Vaga irrequieto, tra le nebbie dei ricordi, lungo gocce di rugiada che sanno di peccato e di gioia. In un luogo che più non esiste, che mai più ci sarà. Vuoto è il cuore, assordante il silenzio, l'eco dei colori ormai sbiaditi. Frastornante la consapevolezza dell'odio, quel sentimento che mai mi avete fatto conoscere, per bontà o illusione di un futuro in cui non avrebbe più regnato.

Nonna, Akeginu, Koshiro, amici miei, come posso guardare alla mia vita senza pensare a voi? Voi che tanto mi avete dato, a cui devo ogni mio passo fatto su questa terra, ogni risata, ogni lacrima. Persino fino a te giunge il mio canto sofferto, Tenzen. Tu che tanto mi hai ferito e che più volte hai voluto violare questo mio corpo. Poiché sei stato una persona a me cara, poiché devi aver sofferto infinitamente anche tu, se hai infine abbandonato ciò che di umano e giusto albergava nel tuo animo. Sono per la mia famiglia queste note di agonia, rimpianto e inquietudine. A te tuttavia, Tenzen, che così tante vite hai reciso con gioia, ho dedicato anche questo sentimento che, ancora, mi brucia nel petto. A te l'ho riservato per un breve istante di debolezza e follia. Fu un attimo, ma bastò a rendermi come te. Mi hai portata a uccidere, in quel fugace battito d’ali di farfalla, mentre una sola domanda rimbombava nel mio spirito, come un urlo senza più voce. Così straziante era, da poter esser udito unicamente dagli alti dei di quel tempio abbandonato.

Perchè?

Perchè, è la sola preghiera che poteva sgorgare dal mio cuore infranto, da quell’organo talmente martoriato dal destino da non poter far altro che gridare e graffiare, ferire e infine recidere. Ti ho privato della vita, ma non ne ho gioito. Mi sono invece sentita ancor più misera, ancor più perduta. Poiché compresi una semplice quanto straziante verità.

Odiarti non mi avrebbe ridato la pace.

Odiarti fino al mio ultimo respiro, non mi avrebbe restituito tutto ciò che avevo perduto. Il sorriso dei nostri compagni, le parole che non sono riuscita a dir loro, gli adii che non potranno mai udire. Persino i miei nemici, i nemici di Iga, non riavranno nulla indietro. Né i loro cari, né una morte gloriosa, neppure una degna sepoltura dove poter essere pianti e ricordati.

Eppure, loro sono... erano, come noi.

Esseri umani.

Custodivano dentro di loro tenebre e luce, ricordi, sorrisi e lacrime. Temevano anche loro la morte, desideravano vendetta per le uccisioni subite, desideravano un’ultima occasione per salutare chi avevano perduto, una seconda possibilità per farsi perdonare per non averli protetti, per non essere stati abbastanza forti o spietati. Questo erano. Niente di più, niente di meno. Ma tu questo non l'hai mai capito, Tenzen. Nessuno di noi lo ha fatto ed ora è troppo tardi, anche per piangere. Soprattutto per odiare. Mai più, mai più lascerò che questo sentimento mi attraversi. È pericoloso il rammarico, fiorisce dentro di noi e vola alto verso il cielo, per scaraventarsi contro cento, mille altre persone, espandendosi come una piaga.

Fino a diventare indispensabile.

Fino a distruggere ogni cosa, perfino ciò che c’è di bello e giusto in questo effimero mondo.

Fino a farsi metallo, indissolubile, tagliente. Letale.

Fino a tramutarsi nelle nostre stesse lame, tinte del fiore vermiglio che sboccia in seno ai nostri avversari. Così ammaliante, così oscuro, così triste. Diabolico.

È mai possibile che questa maledizione non possa essere spezzata?

Se non per il nemico, se non per la pietà che così scarsamente è tenuta di conto tra noi ninja, almeno per noi stessi, per la nostra vita? Non possiamo cancellarla? Nemmeno con l'amore?

Vale davvero così poco questo sentimento che mi arde nel petto e mi dilania l'anima?

Un amore voluto dal cielo non può dunque nulla dinnanzi alle spade dell'uomo?

Per quanto lotti, per quanto mi opponga, i miei sforzi devono apparire così vani, ridicoli. Una semplice donna non può che contorcersi, urlare nel proprio dolore, contro una faida che perdura nel tempo. Per ogni mia mossa, ogni mio dimenarmi, si stringono a me le corde del fato. Io non posso che piegarmi, fragile, dinnanzi alla volontà degli astri celesti. Quelle medesime stelle che un tempo ci sorridevano ingannatrici, mostrandoci un ponte da attraversare per non essere più soli, ora si beffano di noi, in trepidante attesa di scoprire il prossimo atto della tragedia che loro stesse hanno orchestrato. Quel passaggio si è ormai infranto e, da allora, non resta altro che questo mio delicato sentimento. Così sciocco deve apparire il mio legame, questo filo rosso che mi unisce all'anima del mio amato, si mostra al mondo come un oggetto semplice da spezzare. Ma si sbagliano, tutti quanti si sono sempre sbagliati. Almeno su questo, coloro che ci osservano, uomini o dei che siano, hanno commesso un errore.

Perché, anche se Gennosuke-sama dovesse odiarmi, io continuerei ugualmente ad amarlo. Anche se il mondo intero dovesse odiarci, io continuerei ad amarlo. Anche se dovessi morire, e anche dopo, oltre la morte e le mie mille reincarnazioni, io continuerei ad amarlo. Possono deridermi, lanciarmi sassi e pietre, maledire la mia anima infinite volte. Non mi importerebbe nulla, fintanto che io abbia lui al mio fianco; il marito dal quale non potrò mai essere chiamata sua sposa.

È così sbagliato questo?

Può l'amore essere tanto debole e caduco, come le ali di una farfalla, spezzate dalle fiamme di una candela?

Forse è proprio questo il mio errore.

Che cos'è una farfalla per la candela che illumina la stanza di un uomo? Le sue ali sono talmente vane per la vita degli uomini da meritare di bruciare. E se esse battono all'unisono con quelle della loro compagna, cosa può importare questo agli occhi di un intero villaggio?

Siamo inerti dinnanzi all'ineluttabilità del fato.

Non siamo niente.

Non siamo nulla che verrà mai ricordato.

Solo un effimero pensiero, un canto malinconico che già tace. E, intanto, già si prepara una nuova melodia. Un'altra tragedia sul palcoscenico di questo Inferno. Eppure, se questo è veramente il luogo in cui si sconta il mio peccato, se questo dolore è così straziante da togliermi il fiato, perché non riesco a pensare ad altro che a noi?

A te.

Penso soltanto a te, Gennosuke-sama.

L'uomo che canta della vita al chiaro di luna* e di cui io ho avuto il privilegio di poter udire la voce. Ne sono così felice. Sono davvero tanto, tanto felice di averla conosciuta, Gennosuke-sama. E la mia gioia è ancor più splendente se penso che ho potuto amarla, in questa vita, come nella precedente.

Ricorda?

Noi due siamo le metà di una stessa anima. Noi due non potevamo che incontrarci ed amarci, poiché separati siamo incompleti, perduti per sempre. Siamo Hikoboshi e la sua Orihime, amanti che neppure il fiume stellato può dividere. Un unico cuore che batte all’unisono nei nostri corpi.

Quanto ero sciocca.

Eppure lo sono ancora, perché mentre le lacrime mi solcano l'anima, poiché i miei occhi non ne hanno ormai più da versare, penso ancora a questa favola e m’illudo sia vera. O che, almeno, lo sia stata per qualche fugace istante delle nostre vite. Cadono gli ultimi ricordi, allora, in una leggera pioggia primaverile, portata via dal vento. Gli eleganti petali danzano, racchiudendo in sé le ultime immagini, l’estrema preghiera della mia anima. La supplica indegna di un ninja, ma che è anche sua, Gennosuke-sama, poiché in un attimo di debolezza mi ha confessato ogni cosa. Non voleva uccidere. Non desiderava la morte di nessuno. È stato un sollievo sentirle pronunciare simili parole, mentre le nostre lacrime si univano e si confondevano tra loro. Non ero la sola a lottare, non ero l’unica a desiderare un finale diverso, un miracolo che ci salvasse tutti.

È tardi ormai, questo sarà il mio ultimo tramonto.

Poiché ormai la mia mente e il mio cuore hanno deciso. Se deve esserci un vincitore, una persona che sopravviva a questa tragedia, allora voglio che sia lei, Gennosuke-sama. Desidero che viva, che sia felice. È quello per cui ho sempre pregato, da quando l’ho incontrata per la prima volta, quando ancora ero una bambina. Già all’epoca avevo percepito il suo dolore, il suo immenso tormento, e se con la mia vita ho potuto alleviarlo, anche solo per un istante, allora la mia esistenza non è stata vana. E se morendo posso salvarle la vita, lo faccio con gioia. In fondo, dal momento in cui l’ho conosciuta, essa non mi apparteneva già più.

Sia felice, dunque, per sempre.

La mia mano trema, mentre i miei ultimi rimpianti mi dilaniano, facendomi tentennare. Ma poi la guardo, e sorrido. Anche se non mi permetterà di udire la sua voce, potrò almeno guardarla, mentre il silenzio l’avvolge.

Avrei tanto voluto vedere i fiori di ciliegio in sua compagnia, Gennosuke-sama. Avremmo potuto riposarci sotto uno di questi magnifici alberi, mentre la brezza primaverile portava la gioia dei nostri due popoli, finalmente uniti e liberi. Sarebbe stato davvero bellissimo... un meraviglioso sogno.

Rimane soltanto il suo flauto, ora, come cimelio di ciò che siamo stati. Perchè già siamo passato, già ci avviciniamo all’epilogo di questa nostra vita. Ma lei no, lei vivrà. Questa sarà la dote che le offrirò in dono.

Una favola che soltanto noi due conosceremo e che si spegnerà, all'alba, insieme alle stelle.

Ma prima di allora, reciterò i miei ultimi versi. Per lei, Gennosuke-sama, e per nessun altro.

 

 

Dolci petali d'inverno,

che ormai siete primavera,

conducetemi dal mio amato

ovunque egli si trovi.

 

E con questa lama

che io possa avvertire ancora

il calore della sua pelle

e non più il gelo dell'assenza.

 

Dolce è la morte,

se mi conduce a lei.

Piano le mie ali bruciano

e i miei sogni si perdono

tra la pioggia,

finché non mi desto.

 

Sono la sua bianca sposa.

Ed è già estate

e autunno

ed ecco il freddo inverno

e poi, di nuovo, l’attesa primavera.

 

Di nuovo insieme,

mia metà.

Di nuovo unica realtà.

Questa volta, forse,

per sempre.

 

«Io ti amo.»

 

 

 

 

*Gennosuke significa "colui che canta della vita" mentre Oboro "la foschia che circonda la luna"

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Atto secondo: L'uomo che rimase sconfitto ***


Atto secondo: L’uomo che rimase sconfitto

 

I remember years ago someone told me

I should take caution when it comes to love, I did

And you were strong and I was not

My illusion, my mistake, I was careless

 

Falling out of love is hard, falling for betrayal is worst

Thinking all you need is there, building faith on love and words

And now when all is done there is nothing to say

You have gone and so effortlessly

You have won, you can go ahead tell them

 

Tell them all I know now, shout it from the roof tops

Write it on the sky line, all we had is gone now

Tell them I was happy and my heart is broken

All my scars are open

 

Tell them what I hoped would be impossible

 

 (James Arthur – Impossible)

 

 

Troppo tardi l'ho capito. Troppo tardi ho aperto i miei occhi.

Io, che mi ero persuaso di aver raggiunto la vista del terzo occhio e di riuscire a percepire il mondo in tutte le sue sfumature, non ero in grado di scrutare all'interno del mio stesso cuore. Mi era stato insegnato molto sul combattimento, sulle tattiche del nemico, su come depistarlo e infine colpirlo quando meno se lo sarebbe aspettato. I sentimenti non facevano parte della mia educazione. Tutto ciò che li riguardava, si limitava all’assoluta lealtà per il clan Koga. Ogni altra cosa era superflua, una mera distrazione. Qualcosa che, semplicemente, a un guerriero non serviva.

Con quale celerità tale insegnamento è andato completamente dimenticato, nell’istante in cui ti ho visto. In momento il mio cuore umano, che dormiva sopito sotto il peso della responsabilità, sussultò, come ridestato da un brusco fervore. E, in effetti, il tuo impacciato passo si era tramutato in rovinosa caduta. Una delle tue tante, rovinose cadute. Riusciti a conquistarmi proprio con questa tua ingenuità che, in un primo momento, mi era apparsa come provocatoria. Pensai seriamente che tu volessi prenderti gioco di me, rovesciandomi addosso il tè bollente che avresti dovuto servirmi; ma i tuoi occhi puri mi trasmisero tutto il tuo sconforto, oltre alla delusione per aver rovinato quel colloquio così importante e tanto atteso tra i nostri due clan.

Soltanto allora mi ricordai del tuo viso da bambina. Già all’epoca, sebbene non avessi più di otto anni, mi avevi sgridato con i tuoi profondi occhi di laguna, colmi d’innocenza e gentilezza. Da quell’incontro avevo appreso quanto fosse ingiusto odiare per il solo sentito dire.

Cosa potevo saperne di te, dei tuoi genitori, della tua gente? Cosa conoscevo di Iga? Né le montagne, né i fiumi, nemmeno il profumo della primavera o il colore del tramonto. Potevano essere diversi da quelli del mio villaggio e, allo stesso tempo, così simili?

Con gli anni avevo imparato ad apprezzare ognuno dei ninja che mi era vicino, ho amato i miei compagni come la mia stessa famiglia, proteggendoli e guidandoli al massimo delle mie capacità. Per questo motivo, quando mi fu proposto di sposare la nipote della nobile Ogen, la futura capoclan degli Iga, ho pensato che fosse mio dovere accettare. Per il bene del mio popolo mi sarei sacrificato, anche se questo significava unirmi in eterno con una donna che non amavo e che, con ogni probabilità, mi detestava. Non avrei potuto darle torto per questo, dato che io stesso perseguitavo a non vedere di buon occhio quel clan, nostro acerrimo rivale e spregevole nemico da tempo immemore. A mia insaputa, tuttavia, macchinò il destino.

Fu durante quella riunione prematrimoniale, avvenuta dieci anni dopo il nostro primo incontro, che rividi quegli occhi di rugiada e stelle, così scuri eppure brillanti. Non mi vergogno ad ammettere che mi innamorai di te a prima vista.

In fondo, che senso avrebbe mentire ulteriormente al cuore, adesso? A che scopo indossare la maschera del guerriero, quando non sono altro che un uomo ormai sconfitto?

Adesso tutto tace, dentro di me e intorno ai nostri due corpi, uniti in questo illusorio abbraccio. Ora il sole mi accarezza il volto con i suoi ultimi raggi, mentre il gelo dell’inverno abbraccia con insistenza il calare delle tenebre, nonostante i fiori incomincino già a sbocciare. Ogni illusione è caduta, persino la più insistente e maligna che mi aveva ghermito il cuore sinora. Tutto pare chetarsi e trovare un senso, o una risposta, dinnanzi all’ineluttabilità del tempo che, per me, è ormai trascorso.

Mentre carezzo il tuo viso, così inespressivo eppure bellissimo nonostante la morte, non posso fare a meno di pensare quanto a lungo avevo desiderato rivederlo.

C’erano due immagini di te, Oboro, che mi abbagliavano ogni giorno, ogni secondo, nonostante la cecità inflittami dal veleno del tuo clan. Una rappresentava la donna che avevo conosciuto ed amato, l’altra colei che credevo mi avesse ingannato e deriso alle spalle. Tu rappresentavi il demone di cui il mio anziano maestro e predecessore mi aveva messo in guardia, dal quale dovevo guardarmi: quel mostro chiamato amore.

Tu mi avevi insegnato a vivere, ricercando la verità con i miei occhi e il mio giudizio.

Tu mi avevi portato a sperare e poi a credere nella pace tra i nostri clan, anche se ardua e sofferta.

E sempre tu, mia adorata, mi avevi mostrato l’amore in ogni sua gioia.

Avevo costruito piano piano il mio mondo attorno ad una sola persona, anziché a un popolo, credendo fermamente alle tue parole. Tuttavia, eri anche colei che mi aveva messo dinnanzi alla desolazione, alla vista del proprio castello che cade a pezzi, senza poter fare nulla per impedirlo. Come un origami che, delicatamente, brucia, arso dalle fiamme del tradimento.

Forse era questo che tentai di fare, quando ricevetti la notizia che la tregua tra i Koga e gli Iga era stata spezzata: provai a imprimermi nel cuore l’odio per chi mi aveva ingannato, per colei che mi aveva sedotto e poi abbandonato. Per quella che, in realtà, si era rivelata essere la sua vera natura: una nemica da eliminare. Era così facile credere che fosse tutto un crudele tradimento, perchè così facendo avrei automaticamente dato ragione ai miei compagni... i miei compagni.

Per il clan ho sempre lottato. Per la mia discendenza, la mia gente sono cresciuto, mi sono allenato, ho sacrificato me stesso.

Eppure, che cosa resta di questo?

Una pergamena intrisa di sangue, nomi che un tempo erano persone... volti... una famiglia... e che ora sono niente. Nemmeno ricordi. Non più, ora che l'ultima Iga se ne va da questa terra.

Per quanto ti stringa a me, per quanto il mio cuore urli il tuo nome, non riaprirai mai più gli occhi. Ormai sei volata via, Oboro, lontana da questa guerra e dalla follia dell’uomo.

Non mi sarà più concesso di vedere quel cielo luminoso che, adornato di un sorriso bello come un fiore che sboccia, mi apparteneva.

Eppure, poco prima che tu te ne andassi, sono riuscito a leggere il messaggio impresso nel tuo sguardo. Nonostante mi avessi dichiarato il tuo amore a parole, sul tuo viso lessi una straziante domanda, che mi perseguiterà fino alla fine dei tempi.

«Gennosuke-sama, mi dica almeno questo... era l’odio tra i nostri due clan ad essere troppo forte o forse era il nostro amore ad essere troppo debole?»

Non ho saputo risponderti.

Tu dovevi essere la prima, nei miei piani. Nei miei pensieri da guerriero di Koga, saresti dovuta perire subito, dolce Oboro. Se non per mano mia, attraverso quella di un mio compagno. Non importava il mio dolore, il desiderio di rivederti nonostante tu avessi ferito il mio cuore. M’illudevo che, se fossi spirata senza che potessi rivederti, le mie sofferenze avrebbero avuto fine. Invece ho udito il mio petto lacerarsi fino a sanguinare, quando Kagero mi ha avvisato della tua presunta morte. A parole mi sono complimentato, ma il mio animo era in subbuglio. Era nero. Vuoto.

Quella era una menzogna, tuttavia. Sei giunta sin qui, dopo dieci aspre giornate di battaglie. Sei stata furba, pensavo. Hai fatto di tutto per ingannarmi, per ucciderci, sterminarci.

Così mi convincevo.

E, intanto, nel silenzio morivo. Ancora, ancora e ancora.

Perivo, lasciando che le mie azioni cancellassero i ricordi, il sole, il tuo sorriso. Ma, dentro di me, da qualche parte noi due vivevamo insieme, tenendoci per mano. E quando ho sentito la tua voce, dopo giorni infiniti cosparsi della tua assenza, bramavo unicamente di farti di nuovo mia, desideravo il tuo tocco leggero sulla mia pelle. Volevo prenderti ancora per mano, come facemmo quell'ultima sera nel bosco ai confini tra i nostri due villaggi, l'ultima notte in cui fummo liberi. Né Iga né Koga, nemmeno Oboro e Gennosuke. No. Eravamo soltanto una donna e un uomo che si amavano. Ed io, questo folle e miserabile essere che sono io, ieri notte volevo rapirti e fuggire con te. Oppure ti avrei abbracciata, abbandonandomi al profumo dei tuoi capelli, del tuo respiro e delle tue labbra; non lo so. Non so che avrei fatto, se Kagero non mi avesse ridestato dal mio torpore. Poiché, se il mio primo istinto fu quello di ucciderti e porre così fine alla guerra, il saperti accecata dalle tue stesse mani per non ferirmi, mi fece vacillare. Tesi la mano verso il vuoto, cercando la tua figura attraverso le tenebre che mi imprigionavano da sei lunghi giorni. Ero tornato ad essere l’uomo innamorato che piangeva dietro la maschera sporca di sangue del guerriero.

Ti avevo immaginata spesso, mia amata, durante questi giorni di lacrime e morte. Ti vedevo davanti a me, bella e letale. Uno sguardo ingannatore, pronto ad uccidermi non appena mi fossi avvicinato per baciarti. Eppure, per quanto realistica, tale figura mai mi ha persuaso. Mai ha vacillato il mio cuore, che accompagnava ogni secondo del mio viaggio con l’immagine di tuoi occhi, i tuoi veri occhi, dolci e buoni.

Ma poi c'erano i morti.

I caduti, i miei compagni ed amici.

Allora il peso del mio nome, del mio ruolo e del mio destino, mi schiacciavano, e perseguitarono a farlo sino all'ultimo. Fino a che non sentii la tua voce, di nuovo, in quello che fu il tuo estremo saluto a questo mondo. Poi il sigillo posto sui miei occhi si spezzò e ti vidi. Morta.

Avevi scelto di morire come donna, amandomi, piuttosto che vivere da ninja dopo avermi ucciso.

Tu, che mai hai conosciuto l'odio.

Tu, così sbadata da inciamparti ad ogni passo.

Tu, che ti accontentavi di vedere le nostre ombre vicine.

Tu, che ballavi per me, per noi, per il nostro amore.

Eri morta amandomi. Ed io non ho mai potuto dimostrarti quanto anch'io ti amassi. A questo non posso porvi rimedio in alcun modo. Sono sconfitto come uomo e come ninja.

Agli Iga va la vittoria, poiché io non sono mai stato un vero capo e, soprattutto, perché tu sei stata più coraggiosa e retta di tutti noi. Ho potuto solo rincorrerti, nella speranza che, un giorno, avrei afferrato ancora la tua mano. Come un bambino che rincorre la propria ombra. Mentre tu, come un vero guerriero, hai combattuto sino alla fine; contro i Koga, contro i tuoi cari, contro il destino e, persino, contro te stessa. Hai continuato a lottare, nonostante io ti avessi lasciato indietro, in silenzio.

Mi domando, nei tuoi ultimi istanti, che cosa devi aver visto?

Un nemico.

Non c’è altra risposta... questo è sicuramente il mio più grande rimpianto. L’averti lasciata sola, in un mondo di tenebre, pur sapendo quanto avessi bisogno della mia luce. Nonostante ti avessi promesso di donarti gioia e di proteggerti.

Mi viene in mente ciò che mi dicesti quando ancora potevamo amarci, quando il mondo ancora non si era fatto buio: io e te siamo un'unica anima. Forse è per questo che il mio cuore è in frantumi, la mia mente vuota e desolata. Mi hai messo in imbarazzo come credo tu mai ti sia sentita. Hai reso vani i miei sforzi, i miei tentativi di dominare il cuore tramite la ragione. Alla fine, quella più forte tra noi tutti eri tu, Oboro.

Adesso che sei finalmente libera, corri dal tuo popolo, dai tuoi amati Iga, e grida loro quanto sei stata coraggiosa e leale, quanto giusto e retto è stato il tuo cammino. Urla al mondo che straordinaria guerriera sei stata, una principessa che non volle tradire se stessa, né rinnegare la sua gente. Una donna che seppe mettere in ginocchio il più temibile dei ninja.

Non mi permetto nemmeno di versare lacrime. Non sono degno di piangerti, non ti ho mai meritata... non meritavo un amore così grande.

Sei stata magnifica, Oboro.

Vorrei che questa carezza sul tuo corpo morto, questo mio ultimo abbraccio ti raggiunga. Perchè tu non ti senta più sola. Spero che la morte non ti spaventi, che qualunque dio della morte abbia accolto la tua anima nell’alto dei cieli sia stato gentile con te. Infine... infine ho un’ultima preghiera.

Ti prego, permettimi di raggiungerti, ovunque tu sia, per dirti che ti amo. Non merito il tuo amore, eppure, non posso fare a meno di vivere al cospetto della tua luce. Poiché anche nella morte, ovunque essa mi conduca, sarò felice.

Sarà una bella giornata e ci sarà il sole, quel sole che “brilla brilla forte” come ad Iga. Perchè anche tu sarai lì, con me.

 

 

Fiume che scorri,

sii gentile,

accogli la mia preghiera.

 

Ascolta la voce di un uomo

che fu guerriero,

capo stimato,

amico ed allievo,

comandante e nemico.

 

Ascolta il mio canto,

dolce vento,

e conducilo a lei.

 

Fa che ella possa udirmi

e guidarmi

poiché io senza di lei

sono cieco

sono debole

sono nulla.

 

Fa che possa stringere

ancora la sua mano,

stavolta per sempre.

Poiché mai,

mai più vivrò

su questa terra

se ella non sarà con me.

 

La mia sposa è lì.

Mi attende.

Mi sorride.

Mi ama.

 

Ed io sono solo

un povero uomo.

Ed io posso solo seguire

questo filo

che a lei mi lega

in eterno.

 

Mia adorata,

nel silenzio io ti giuro

«Io ti amo.»

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Atto finale: Incontrandoci ancora su quella collina ***


Atto finale: Incontrandoci ancora su quella collina

 

Le ciel bleu sur nous peut s'effondrer

Et la terre peut bien s'écrouler

Peu m'importe si tu m'aimes

Je me fous du monde entier

 

Tant qu'l'amour inond'ra mes matins

Tant que mon corps frémira sous tes mains

Peu m'importe les problèmes

Mon amour, puisque tu m'aimes

 

On peut bien rire de moi

Nous aurons pour nous l'éternité

Dans le bleu de toute l'immensité

Dans le ciel plus de problèmes

Mon amour, crois-tu qu'on s'aime?

 

Dieu réunit ceux qui s'aiment

 

(Edith Piaf – Hymne à l’amour)

 

«Buonasera, Gennosuke-sama.»

Prima ancora che i suoi occhi si abituino alla leggera luce che sorge da est, oltre le montagne e le colline, l’uomo è destato da quella dolce voce. Il suo capo, dapprima pesante, si alleggerisce di colpo, per merito del tocco di lei sulla sua fronte. L’altra mano della donna, la destra, non impugna più la spada, ma è libera di stringere quella del guerriero. Finalmente anch’egli può abbracciarla, proteggerla tra le sue braccia, senza alcuna lama che li divida. Con questi pensieri i suoi occhi si inumidiscono, mentre stringe con foga la sua mano, per timore di perderla. Gli sembra di non vedere da secoli la sua amata.

«Buonasera, Oboro.» risponde con un filo di voce, mentre una lacrima gli solca il viso.

Si siede al suo fianco, imprigionando avidamente eppure con gentilezza le sue labbra. Quanto aveva sognato quella sensazione, quanto aveva immaginato le sue gote tinte di rosso. Ma nulla è la fantasia in confronto alla realtà. Lei è lì, gli sorride. È felice. La sua bella sposa è al suo fianco, adesso, stretta tra le sue braccia che vogliono darle unicamente affetto.

«B-buona sera... finalmente si è svegliato.» lo saluta ancora lei, chinando appena gli occhi, imbarazzata.

Nonostante la vergogna per quel gesto inatteso, eppure tanto desiderato, continua a guardarlo. Non può e non vuole più separarsi dal suo amato, nemmeno per un istante. Anche per lei sono stati giorni interminabili, ore infinite e dolorosi attimi, in sua assenza.

«Sì, mi perdoni per il ritardo. Ho inciampato e sono caduto.»

Un altro miracolo si compie: lei ride.

Ride come una bambina, un suono di cristallo e luce, solo per lui. Una meraviglia per gli occhi e le orecchie, per quegli organi che egli credeva non avrebbero più assistito ad una tale bellezza.

«Di solito sono io a cadere...» commenta lei divertita, lasciando che il capo si poggi al suo petto, finché i loro battiti non diventato un tutt’uno.

Tutto appare immensamente perfetto e felice, ma un velo di tristezza avvolge allora il guerriero, mentre parla.

«Invece, stavolta lei mi ha sorretto.»

C'è silenzio. E pace, sulla loro collina.

Sembra un paesaggio infinito quello che si stende dinnanzi a loro, così famigliare e, allo stesso tempo, sconosciuto. Vorrebbe parlare il ninja, vorrebbe cancellare i suoi errori, alleviare la sua donna da tutte le pene che gli ha inferto. Vorrebbe essere perdonato, fare qualcosa per meritarsi ciò che sta vivendo. Prova una gioia e un timore tale, il suo cuore, da rischiare di scoppiare.

E allora la sua voce trema, mentre stringe a sé la sua amata.

«Oboro, io...»

«Shh.» lo zittisce lei, gentile, scuotendo appena il capo e poggiando un dito sulle sue labbra «Lo so. L'ho sempre saputo. Ma non abbia fretta di dirmelo, Gennosuke-sama. So quanto le sia difficile parlare dei suoi sentimenti.»

Fa una pausa, garbata, che riempie l'anima e libera i cuori.

«Adesso avremo tutto il tempo.»

 

Intanto, lungo le colline, il sole sorgeva più luminoso che mai. Rosso, come la promessa che univa i due amanti. Dorato come il paradiso che si erano meritati, dopo anni di Inferno e sofferenze. Sincero, come la collina che, da adesso in poi, li avrebbe sempre accolti e protetti.

 

E, se questo non è che un sogno o una sciocca fantasia, almeno per loro, vogliate crederci.

 

***

 

Questa mattina porta una pace che rattrista; nemmeno il sole mostrerà la sua faccia. Andiamo via da qui, a ragionare di questi dolorosi avvenimenti. Per alcuni sarà il perdono, per altri il castigo immediato: poiché mai storia fu più triste di quella di Giulietta e del suo Romeo.

 

(William Shakespeare – Romeo e Giulietta; atto V)

 

***

 

 

Sono state stelle

assai infelici

le vostre.

 

Nessun ponte celeste

vi ha uniti

mostrandovi la via,

nessuno stormo di uccelli

condurrà Orihime

dal suo Hikoboshi.

 

Vega e Altair piangeranno

ma in quelle lacrime

effimere

Giulietta troverà la forza

e il suo Romeo il suo cuore.

 

Poiché né il tempo

né le distanze

e nemmeno gli uomini

possono nulla

contro il destino.

 

Il filo rosso

li ha legati

in eterno.

 

Mio amato,

mia amata,

preparati a morire

stringendoti

per sempre

a me.

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Salve a tutti e piacere.

È sempre una bella emozione scrivere per la prima volta in un nuovo fandom e, nonostante l’anime di Basilisk abbia ormai più di dieci anni, solo il 6 Ottobre dello scorso anno ho guardato l’ultima, sofferta, puntata. Dire che è stato straziante è dire poco. Ho amato questa serie fin dal primissimo episodio, apprezzandone le musiche, le ambientazioni, i personaggi e, soprattutto, la realisticità. Sì, perchè nonostante le arti ninja siano qui utilizzate alla stregua di magie o doti soprannaturali e, purtroppo, nonostante alcuni personaggi siano stati ben poco analizzati (Jingoro in primis, ma anche Zenki e Rousai non scherzano e, per non fare un torto ai Koga, anche Josuke e Okoi), ci sono tanti piccoli particolari che me lo hanno fatto amare. Primo fra tutti gli sguardi, i silenzi, persino il parlato ed il modo di pensare ed agire, che non sono mai a caso o fittizi, ma legati ad un mondo antico e crudele che, purtroppo, ancora perdura, sebbene in modo diverso.

Questa mia prima fanfic è nata di getto, durante la stessa notte in cui terminai l’anime. Ero talmente pervasa da quelle immagini e dallo straziante dolore di quella coppia, che non potevo fare altro che rievocarla nella mia mente, mentre le note di Hime Murasaki, la seconda ending dell’anime, mi rimbombava nella mente e nelle orecchie. Insomma, alla fine ho imbracciato il cellulare e tempo un’oretta avevo già abbozzato il capitolo di Oboro. Non soddisfatta, l’ho riletto e ampliato, corretto e riveduto. Poi, come guidata da una melodia, stavolta diversa, ho descritto i pensieri di Gennosuke. Forgiven dei Within Tempation descriveva perfettamente ciò che questa coppia aveva passato. Alle quattro del mattino, tutto era concluso. Ed ora, eccoci qui, a lavoro ultimato. Ho dovuto purtroppo sospendere la revisione finale di tutta l’opera, a causa dello studio. Nonostante tale imprevisto, ne sono molto felice, perchè in tal modo ho avuto la possibilità di “staccarmi” da quanto avevo scritto di getto e rileggerlo con occhi più obiettivi e severi. Il capitolo di Gennosuke era decisamente troppo breve e, inoltre, ho pensato di dedicare ad ogni capitolo una canzone diversa. Se vi soffermerete bene sui testi (che ho deciso di tagliare per ragioni legate al ritmo narrativo), spero che possiate cogliere tutti i doppi significati che, da oggi, mi faranno pensare a questa coppia sfortunata.

Le poesie a fine capitolo sono state scritte da me, e per questo motivo vi domando clemenza. Ho tentato di rievocare i ritmi brevi e pieni di pathos degli haiku giapponesi, ma non so quanto questo mi sia riuscito. Purtroppo la poesia non è mai stata il mio forte e, per quanto la apprezzi e mi sia dilettata, ho scarsissima fiducia nelle mie capacità. A mia discolpa, tentate di leggerle come un flusso di pensieri più poetico da parte dei due protagonisti e del narratore esterno, che si dovrebbero comunque intendere molto più di me in materia poetica.

Spero che possiate apprezzare la mia storia, esattamente come avete trovato diletto guardando l’anime o leggendo il manga. Se poteste farmi sapere con una recensione cosa pensate del mio lavoro, mi fareste un regalo stupendo, dato che sono sempre alla ricerca di confronti e suggerimenti per migliorarmi.

In ogni caso, vi ringrazio di cuore per aver letto fin qui, già questo è per me un’immensa soddisfazione.

Oyassuminnasai,

 

Moni =)

 

PS: Riporto qui di seguito la traduzione della canzone di Edith Piaf, l’Inno all’amore, poiché capisco che qualcuno possa fare fatica a capire il francese (mi limiterò a scrivere la traduzione dei versi che ho riportato, sebbene tutta quella canzone sia meravigliosa e rispecchi perfettamente i pensieri di Gennosuke e Oboro).

 

 

Il cielo blu sopra di noi può crollare

E la terra può benissimo sprofondare

Non m’importa più se mi ami

Me ne frego del mondo intero

 

Fintanto che l’amore inonderà le mie mattine

Fintanto che il mio corpo fremerà sotto le tue mani

Non m’importa più dei problemi

Amore mio, poiché tu mi ami

 

Possono benissimo ridere di me

Avremo per noi l’eternità

Nell’immensità di tutto il blu

Nel cielo più nessun problema

Amore mio, riesci a credere che ci amiamo?

 

Dio riunisce coloro che si amano

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