Conta fino a cento

di lololololol08
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prima. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.

Avevo undici anni quando ho iniziato a farmi male. 

"Ero introversa, con pochi amici, un bersaglio facile" è sempre stata la mia giustificazione. "Non sono adatta, forse sono io quella sbagliata" era l'unica risposta che riuscivo a dare a tante parole dette da ragazzini insignificanti, presuntuosi.
Un giorno, in classe, ho conficcato la matita nella pelle per impedirmi di piangere e ha funzionato: il dolore fisico mi ha distratta. Ho incominciato a tagliarmi. Più tardi iniziai a pensare di non poterne fare più a meno, di non riuscire a sopravvivere durante le ore di scuola senza un qualcosa che provocasse dolore a portata di mano. Portavo un beauty-case: lamette, rasoi, pezzi di vetro, spille; al suo interno tutto il necessario per tagliarsi, al bisogno.
Conobbi una ragazzina, Irene. Era nuova, un po' strana dicevano. In poco tempo riuscii a fare amicizia con tutti, anche con chi la prendeva in giro. Era straordinaria. Niente a che vedere con me: un disastro che cammina, mi definivo. 
Pian piano divenni la sua migliore amica. Stavamo insieme dalla mattina alla sera, tutti i giorni. Arrivammo al punto, quando non potevamo stare insieme tutta la giornata, di stare attaccate al cellulare tutta la notte e addormentarci così, con la chiamata ancora attiva. Poi però qualcosa è andato storto.
Se ci penso mi vien da piangere, ma i momenti con lei son stati stupendi. Era l'unica che riusciva a capirmi e quando si accorse dei miei tagli, li definii "piccole autostrade", al che iniziai a ridere all'inizio. Diceva "ti tengono compagnia, le piccole autostrade", e rideva. Come se ci fosse qualcosa da ridere al riguardo. Ma non mi dava fastidio, anzi lo faceva per farmi ridere. La sua risata era contagiosa.
Quando la conobbi le piccole autostrade diminuirono, fino a quando non sparirono del tutto. Ma dopo quel giorno si triplicarono, l'angoscia era tale che l'unico pensiero era volermi spegnere. Non sapevo cosa mi succedeva, o forse si. Era troppo, troppo e basta. Dovevo liberarmene, di quell'angoscia. Il dolore fisico attenuava quello psichico, attenuava quel malessere insostenibile, dava sollievo. Iniziò a diventare più forte di me, quasi una malattia, una fissazione. Il mio unico pensiero era quello.

All'età di tredici anni, quando iniziai a frequentare le superiori, dopo qualche mese dall'inizio della scuola, iniziai a fumare oltre a coltivare la mia fissazione. Iniziai a fare amicizia grazie a mia cugina Iris. Lei, i tagli li definiva "l'antidoto alla solitudine". 

Dopo vari anni, dopo aver continuato a coltivare due mie fissazioni, conobbi te. Tu, l'unica cosa bella che mi sia capitata dopo Irene. Tu, l'unica persona in grado di aiutarmi, ora stai andando via. Stai andando via e io ti capisco. Capisco te come ho sempre capito chi è andato via da me, e ancora oggi, dopo tanti anni, l'unica risposta che ho trovato alle tante domande è: "sono io quella sbagliata".

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Capitolo 2
*** Prima. ***


Settembre.

Ho undici anni.
Oggi è il mio primo giorno di scuola. Oggi inzio le medie. Oggi conoscerò nuove persone. Oggi è importante. Oggi è un traguardo. Oggi. Se non va bene oggi, non andrà mai più bene per i prossimi tre anni.

5:43. Troppa ansia per continuare, e non è nemmeno iniziata. Mi son svegliata un'ora prima, ma perché? Non va bene.

6:50. Con la massima precisione, mia madre inizia ad urlare. E' tardi, dice. 

7:40. Usciamo. Mia madre mi strattona e mi dice di muovermi, è tardi. Mi ferma in continuazione per aggiustarmi la maglia, come se non fosse già troppo essere vestita quasi in uniforme. 

7:55. Siamo arrivate. Per colpa mia siamo arrivate tardi. Come se fossi stata io a chiederle di aggiustarmi la maglia ogni tre passi. 
Tra cinque minuti entrerò nella solita scuola per conoscere persone nuove.

8:01. Stiamo entrando. Ci accompagnano in mensa, la stanza più grande della scuola.
La Preside si presenta, come ogni anno. Fa un discorso noioso.
Dopo si presenta una professoressa. Inizia a chiamare le varie classi e gli alunni che vi appartengono, in ordine alfabetico. Prima classe: 1° A. Dopo una serie di nomi che parevano un elenco di gente morta, chiama me. Gret Amethyst. Nome strano per una ragazza strana.
Mia madre mi incoraggia ad avvicinarmi alla prof, mentre mi aggiusta per l'ennesima volta la maglia e mi spinge. Sento occhi che mi fissano. Adesso perfino i muri hanno gli occhi. Perfino sedie e  tavoli. Cammino piano. Cerco di coprirmi coi capelli, invano. Mi avvicino agli altri alunni che son lì al fianco della prof, mi metto in riga come loro e osservo tutti quelli che mi guardano e che parlano piano, per giudicarmi. Mia madre mi saluta e sorride, e io ricambio, sorridendo piano.

8:30. L'elenco della ormai mia classe è finito. La professoressa ci mette in fila per due e ci precede, conducendoci nella nostra aula, quella che ci terrà compagnia per tutto l'anno.
Arriviamo all'aula: una stanza abbastanza grande per contenere trenta ragazzini; ci sono tre file con cinque banchi a due e la cattedra di fronte al primo banco della prima fila. Le pareti sono del solito colore verde spento. Le tapparelle alle grandi finestre sulla destra sempre color verde triste. Il pavimento a quadri sempre del solito beige depresso.
Tutti gli alunni hanno preso posto: la maggior parte di loro si conoscono, altri fanno amicizia.
Trovo un banco vuoto accanto la prima finestra. Corro a sedermi. Sono sola, per fortuna. Non conosco nessuno, mentre tutti gli altri si conoscono tra loro. Sapevo che sarebbe finita così. 

10:00. Entra un professore. Ci alziamo, ci sediamo, in forma di rispetto per sentito dire. Il professore si presenta. Ora ho un'informazione su di lui: fa di cognome Rossi ed insegna arte, la mia materia preferita. 
Ci chiede di presentarci. Uno per volta ci chiama e chiede nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza e "cosa vuoi fare da grande?", "qual'è la tua materia preferita?".
Gret Amethyst, dice. Mi alzo mentre mi osserva da dietro gli occhiali posati sul suo naso a patata. << Presentati>> dice. 
<< Sono Amethyst Gret, ho undici anni, sono nata e vivo a Napoli>> mi presento imbarazzata e impacciata, strofinandomi le mani in modo nervoso.
<> mi chiede sorridendo. Vuole fare il simpatico, forse. "Non lo so" è stata la mia risposta. << Ma come? Sai che sei cresciuta e dovresti iniziare a pensarci? Anche se hai altri tre anni per decidere, devi iniziare a pensarci. Bene... Hai una materia che preferisci?>> mi dice con fare quasi annoiato. Muovo la testa a destra e poi a sinistra due volte. Lascio sedermi e andò avanti, forse dispiaciuto nel non aver avuto una risposta. Perché non gli ho dato una risposta?

10:29. Il professor Rossi ci distribuisce dei fogli e ci chiede di provare a copiare ciò che lui disegnerà a breve sulla lavagna. 

10:58. Il professor Rossi passa tra i banchi a ritirare i fogli. Arriva da me, osserva il disegno: << Ti piace disegnare?>> mi chiede.
<< Si. >> rispondo impacciata. Lui annuisce e  mette il foglio insieme agli altri.

11:56. La professoressa di italiano ci dice di mettere a posto le nostre cose, come se avessimo usato qualcosa durante la sua ora. Ci mette in fila per due e ci conduce nell'atrio, dove attendiamo che aprano le porte alle 12:00 spaccate insieme alle altre classi. 
Incontro le mie amiche dell'elementari, le saluto e corro verso mia madre che mi chiede come sia andata la giornata. Come se non lo sapesse che fatico a rapportarmi con gli altri. 

Ottobre.


E' lunedì. Purtroppo. Il mese scorso ho fatto sei giorni d'assenza. Troppi, per mia madre. 

7:10. Mamma urla perché non voglio alzarmi.
Quelle facce non voglio proprio vederle. Non ho ancora fatto amicizia ed è evidente che non va bene.

7:54. Sono fuori scuola con mia madre. I miei compagni di classe si son riuniti tutti in un solo punto, a ridere. Cosa c'è da ridere alle otto di mattina?
<> chiede mia madre improvvisamente. Faccio spallucce. Non voglio che capisca che non sono miei amici.

8:05. Sono in aula, seduta al solito banco. La prof annuncia l'inizio della lezione di inglese, ma di prima mattina non riesco a subirla. 
Prendo libro e quaderno e fingo di seguire la lezione. 

9:40. Arriva un nuovo compagno di classe. Si siede accanto a me, l'unico posto libero. Si presenta alla classe: Leonardo, per gli amici Leo, 12 anni. Apparentemente simpatico.

11:06. L'ora di arte, finalmente. Il ragazzo di fianco a me, Leonardo, non ha fatto altro che ridere con gli altri, anche se effettivamente sono degli sconosciuti per lui. 
Disegno. Mentre disegno, Leonardo mi spinge, ma mi chiede scusa. Quindi va bene, anche se m'ha fatto sbagliare. 

11:47. La ragazza seduta nel banco davanti mi chiede la gomma per cancellare. Me la restituisce dopo dieci minuti tutta tagliuzzata e sporca d'inchiostro blu.
<< Perché l'hai tagliata?>> chiedo.
<< Oh, mi ero dimenticata fosse tua>> dice, per poi ridacchiare con la compagna a fianco.
I ragazzi dietro di me ridono, e anche Leonardo. Sospiro e continuo il disegno, sperando non mi chiedano più nulla da prestare.

12:01. Sono fuori scuola e vado via con mamma, mentre ascolto i commenti delle mie compagne di classe dietro di me. 

12:20. Sono a casa. Sembra che mia madre non abbia intenzione di aiutarmi a studiare.

14:02. Non riesco a capire cosa voglia la consegna di francese, ma mamma non m'aiuta. Ha da fare con le mie sorelle, dice. 

18:39. Parlo con mia cugina su facebook. Sembra che nel fine settimana ci vediamo. Dice che ha iniziato a farsi male... Non riesce più a sopportare la situazione tra scuola e famiglia. Ma non riesco a capire: farsi male in che senso?

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