Kagamine Story

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Adolescence ***
Capitolo 2: *** Cantarella ***
Capitolo 3: *** Migikata no Chou ***
Capitolo 4: *** Yotsuba no Kuroobaa ***
Capitolo 5: *** Gemini ***



Capitolo 1
*** Adolescence ***


Adolescence

 

È strano. Inizio a sentirmi a disagio. Ci eravamo promessi che non ci saremmo mai separati, che saremmo stati insieme per l’eternità, eppure quella promessa si è rivelata una bugia.
Seduta qui, su quello che è sempre stato il nostro letto, mentre mi pettini i capelli biondi così simili ai tuoi che sto pettinando io, mi sembra ormai di guardarmi allo specchio.

 

Non ci riesco. Non riesco più a comportarmi come se nulla fosse. Mentre continuo a pettinare i tuoi capelli color del grano, all’improvviso sento un brivido. Mi trema la mano, come se quel gesto non fosse più così innocente e naturale come quando eravamo piccoli, vedo riflesse nei tuoi occhi, azzurri come i miei, le mie stesse sensazioni. È come se le nostre mani, che stanno ancora cercando di tenere saldamente quei pettini, fossero legate da un filo invisibile. Eppure sono sicuro, che se qualcuno potesse vedere quel filo, vedrebbe che ha il colore scarlatto del sangue.

 

Continuo a guardarti ed è come se in quello specchio fosse apparso un viso sconosciuto. Non riconosco più me stessa in te, non più. Ora vedo solo i tuoi capelli dorati, i tuoi occhi cobalto e quel viso ormai maturo d’adolescente. Avrei una voglia matta di afferrare un martello e rompere quello specchio invisibile in modo che tutto torni come prima, in modo che io possa rivedere in te soltanto il mio riflesso. Non voglio più sentirmi così a disagio.

 

Ormai non c’è più niente da fare. Non siamo più dei bambini e guardando avanti nella nostra adolescenza tutto questo non può avere futuro. Ormai è come se ci avessero separati definitivamente, non c’è più possibilità di riunirsi. Come se fossimo una principessa e un cavaliere separati dal male, ma quel male siamo noi, è la nostra consapevolezza di non poter più andare avanti, il nostro pudore nel renderci conto che quello che stiamo facendo sta diventando sbagliato. La nostra adolescenza segna, come una campana che suona, la fine di questi nostri momenti. Non è più l’ora dell’infanzia.
Posiamo entrambi i pettini sul comodino e rimaniamo per qualche secondo fermi, come a domandarci che cosa dovremmo fare.
Sfioro la tua mano, alzando lo sguardo verso di te. È inutile illuderci. Se quando eravamo bambini eravamo uno lo specchio dell’altra, come veri gemelli, ora non corrispondiamo più. Riesco a vedere la tua maturità di donna nel tuo viso, nelle tue forme, nelle tue espressioni. 

 

«D’ora in poi dovremmo dormire da soli?» ti chiedo con la voce che trema, come sperando che tu possa negare tutto e dirmi che rimarrai con me per sempre nonostante tutto.
«Sì! – mi dici invece, poi mi sussurri un sommesso – Buonanotte…» per poi alzarti dal letto e allontanarti da me.
Ti guardo dirigerti verso l’ingresso della stanza, posare la mano sulla maniglia e ruotarla, per poi aprire la porta.
A quel gesto non resisto più e con uno scatto veloce e un paio di passi, ti raggiungo e afferro la tua camicia con la mano che ancora trema.

 

Mi volto verso di te, vendendo la tua mano che trema impaurita. Sento la sensazione della pelle attorno alla bocca tirarsi, mentre faccio un leggero sorriso a quel tuo gesto disperato. Afferro quella manina candida e delicata, che stringeva con tutta la forza che aveva la manica bianca della mia camicia e chinandomi la sfioro con le labbra. Appena la mia bocca sfiora il dorso della tua mano avverto un brivido che mi percorre la schiena, come se quel semplice bacio avesse risvegliato tutti i sentimenti che provo per te, tutti quegli istinti che reprimo dentro di me con tutte le mie forze. Forse anche quel piccolo gesto mi è proibito, ma non posso farci niente, è più forte di me. 

 

«Per favore, dato che dovrò dormire da sola questa notte, non spegnere la luce…» ti supplico, la mia voce non smette di essere impaurita e insicura, come vorrei seriamente che dormissi ancora al mio fianco.
Ti vedo sorridere divertito, conosco quello sguardo, mi stai prendendo in giro.
«Non sto scherzando! Vedi che se non lo fai vengo fino in camera tua e ti prendo a cuscinate!» protesto, ma tu non smetti di sorridere.

 

«Hai ancora paura dei fantasmi? Non sei più una bambina, mia principessa…» dico divertito, ma le parole mi muoiono in bocca.
Vedo i tuoi occhi tremare e poi versare due lacrime che scivolano veloci sulle tue guance e mi sembra di riuscire a sentire il suono del mio cuore che si spezza. Ho capito, so benissimo cosa mi vuoi dire. Non c’entrano i fantasmi, non c’entra la paura di rimanere sola. È proprio quell’idea che non sei più una bambina, che non siamo più bambini entrambi, che ti assilla. Anche tu ti sei resa conto che tutto è finito, che assieme alla nostra infanzia salutiamo anche il rapporto fraterno che c’è stato tra di noi. 

 

Non possiamo più comportarci come quando eravamo bambini, vero? Come quando rimanevamo svegli sotto le lenzuola dello stesso letto, tenendo mamma e papà allo scuro di tutto. Scruto i tuoi occhi, cercando una risposta che non mi puoi dare. Lo so, so benissimo che quei momenti con te, sono ormai ricordi lontani che dovrei mettere in un’angolo della mente e dimenticare.

 

Riesco a sentire il calore delle tue mani che sfiorano le mie. L’aria sembra ormai farsi incandescente tra di noi. Tutto ciò che sento e provo per te sembra esplodere in ogni singola cellula del mio corpo ed ho paura. Ho paura di questa sensazione prepotente che mi sta attanagliando cuore e anima, so che se le darò retta farò qualcosa che non potrei perdonarmi mai più.

 

Ti vedo chiudere la porta lentamente, come se con quel singolo gesto volessi decretare l’impossibilità per entrambi di tornare indietro da quello che potrà succedere da adesso in avanti. Dopo quel gesto però, rimaniamo di nuovo immobili, uno di fronte all’altra, senza riuscire a dire nemmeno una parola, continuando a fissarci, come se cercassimo ancora, per l’ennesima volta, quella somiglianza che non troviamo più. Nonostante gli stessi occhi, nonostante gli stessi capelli, ormai siamo diversi. Cerchiamo dispersamente risposte che forse non avremmo mai, ma cos’altro potremmo fare se non questo?

 

«Basta scuse! – ti dico serio – Non è per la luce spenta che vuoi che io rimanga qui…»
«È vero… – rispondi abbassando lo sguardo, ma subito dopo lo rialzi decisa – Ma se non posso più toccare i tuoi capelli, allora racconterò bugie ogni sera!»
I tuoi occhi azzurri sembrano trafiggermi anche l’anima e sento quelle parole colpirmi dritto al cuore.
Ti accompagno lentamente a letto ed entrambi ci mettiamo sotto le lenzuola, impossibilitati di nuovo a separarci.

 

Quando ci mettiamo entrambi a letto, sotto lo stesso, candido, lenzuolo, il tempo sembra fermarsi o almeno vorrei tanto fosse così.
Mi accoccolò a te, tenendoti più stretto che posso nella mia presa, nonostante tu sia poco più alto di me. Appoggio la testa sul tuo petto e percepisco il battito del tuo cuore. Chiudo gli occhi, cercando di sincronizzare il mio battito al tuo, almeno in quello voglio essere uguale a te, voglio che i nostri cuori possano battere sempre all’unisono.
Cullata da quella sensazione di benessere mi addormento tra le tue braccia.

 

Sento il tuo respiro rilassato e lieve proprio vicino a me, sento il calore della tua pelle che preme sulla mia. È una sensazione sublime e terrificante allo stesso tempo. L’averti così vicina e il non poterti toccare come e dove voglio mi uccide. Fremo dalla voglia di poterti dimostrare quello che provo per te, di svegliarti in questo preciso istante sfiorando le tue labbra con le mie…
Ma non farò nulla… Resterò al mio posto, come un vero cavaliere. Perché nonostante l’amore incondizionato che provo per te, rimarrai sempre la mia sorellina.



Angolo dell'autrice: 
Inizio questa serie di one-shot con la mia canzone preferita dei gemelli. Trovo che questa canzone, più di altre, rappresenti i loro veri sentimenti. L'idea che si amano come due veri amanti, ma che non si possono toccare per via del loro rapporto di sangue.
Ci ho messo tutta l'anima a scrivere questa prima storia e ho cercato di immedesimarmi appieno nei personaggi, cosa alquanto difficile nonostante io adori il loro rapporto.
Consiglio a chiunque abbia appena letto la fanfiction di rifarlo una seconda volta con la canzone in sottofondo, perché rende il tutto ancora più struggente.

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Capitolo 2
*** Cantarella ***


Cantarella

 

I nostri occhi s’incontrano e sembra quasi sia la prima volta che lo fanno. Conosco bene quello sguardo, quegli occhi color del cielo così simili a quelli che vedo ogni volta che mi guardo allo specchio. Eppure questa volta è diverso. C’è una nota diversa nel tuo sguardo e, sono certo, ci sia la stessa nota anche nel mio. 

Dentro di noi il modo di vedere ogni cosa è cambiato. Il nostro intero mondo è cambiato. Inizio a comprendere davvero che non potrei vederti di nuovo come allora nemmeno se volessi. 

Stiamo solo facendo finta che non stia succedendo niente. Facciamo finta di non sapere che tra noi è nato qualcosa di diverso. Qualcosa che ormai non è più così nascosto. Una scintilla, che potrebbe notare chiunque si soffermasse ad osservare gli sguardi che ci scambiamo, i gesti che ci rivolgiamo inconsciamente l’un l’altro.

Sento il mio cuore bruciare di un’emozione che ormai non riesco più a trattenere, ma che farò di tutto per non mostrarla a nessuno e mantenerla nascosta dentro di me. Nonostante sia quasi impossibile. Nonostante la sento crescere in te allo stesso modo, accanto ad ogni mio singolo respiro che percepisci e che vedo ti fa tremare.

Non possiamo continuare in questo modo, il fatto di non poterti avere come voglio mi uccide e mi sento quasi mancare il fiato.Vedo l’effetto che ormai ho avuto su di te, forse ancora più forte di quello che tu hai avuto su di me. Ti ho fatto cadere nella buca di un’amore da cui non si può tornare indietro e non ho lasciato nessuna traccia.

Decido quasi d’istinto. Come se una forza invisibile mi spingesse a fare ciò che sto per fare, ma ti giuro è più forte di me, ho un bisogno disperato di sentirmi libero di fare ciò che voglio e se questo comporta renderti vulnerabile a me e non darti altra possibilità, non posso fare altrimenti. So, che comunque, tu mi seguiresti fino in capo al mondo, anche all’inferno, se solo te lo chiedessi. 

Forse però se ti avessi detto fin da subito la mia idea, se sapessi cosa ho in mano, quel veleno che ti ucciderà, che ci ucciderà entrambi. Il fatto è che tu, per me, sei l’unico veleno a cui non posso resistere.

Voglio spezzare le catene che ci legano, che ci impediscono di stare insieme. Quelle catene fatte con il nostro legame di sangue che ci ricordano ogni giorno che siamo fratelli, che non possiamo toccarci, che saremmo sommersi non solo dai pregiudizi, ma anche dal folle senso di colpa. Dobbiamo scappare da tutto questo, dobbiamo andare dove non c’è nessuno, in un posto tutto nostro e questa è l’unica soluzione che conosco.

L’orologio rintocca più forte, quando incrocio di nuovo il tuo sguardo e sembra darmi la stessa scarica che mi diede quando mi resi conto per la prima volta che non eri più semplicemente la mia dolce sorellina.

Te lo prometto, sorella mia, ci rifugeremo nel nostro giardino segreto, ci nasconderemo lì per sempre e vivremo assieme, assuefatti dal profumo del nostro amore proibito. È strano, mi sento come se avessi già fatto quel terribile e allo stesso tempo meraviglioso passo.

In poche parole ti chiedo di fidarti di me e ti mostro la boccetta tra le mie mani, nella speranza che tu comprenda, che accetti questa mia follia, che provi gli stessi sentimenti irrazionali che provo io che sicuramente ci faranno cadere senza più nessuna possibilità di risalire in superficie.

Tu mi sorridi, afferri il colletto della mia camicia e decisa come non mai dici solo tre parole, tre parole che però mi fanno vibrare l’anima, tre parole che fanno crollare gli ultimi baluardi di razionalità che cercavo ancora di tenere dentro di me.

«Vieni a catturarmi!»
Forse è vero. Forse non potremmo vivere per sempre in quel giardino segreto, ma io voglio provarci.

Te lo prometto, amore mio, ci rifugeremo in quel giardino segreto, ci nasconderemo lì per sempre e vivremo assieme, assuefatti dal profumo del nostro amore proibito.

Apro la boccetta e verso il suo contenuto nella mia bocca, senza ingoiarne neanche una goccia, dopodiché mi avvicino a te, lentamente, e faccio quel gesto. Il gesto del vero amore. Quel gesto che sognavo di fare da sempre.

Al tuo fianco, incollato alle tue labbra, con la promessa di un’altra vita insieme, anche la morte è dolce.



Angolo dell'autrice: 
Penso che chiunque abbia iniziato o inizierà a leggere questa serie di fan fiction e conosce almeno un poco Rin e Len Kagamine, sà che quasi sicuramente non ci sarà quasi mai un lieto fine per questi due poveretti e con questa seconda shot direi che cominciamo.
È stato faticoso scrivere questa storia lo ammetto, perché purtroppo ho trovato solo una traduzione italiana della versione dei gemelli (la versione di Kaito e Miku si trova più facilmente) e ho dovuto vedere anche un paio di video con i sottotitoli in inglese per essere sicura di quello che stessi scrivendo.
Comunque sono sicura di avervi fatto piangere abbastanza... E chiedo venia per questo, come sapete non sono io che decido come vanno a finire queste mini storie.
Consiglio come al solito a chiunque l'abbia letta di rifarlo con la canzone in sottofondo.

 

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Capitolo 3
*** Migikata no Chou ***


Migikata no Chou

 

Lo capisco. Capisco ciò che ti ha portato a lasciarmi. Oramai a scuola non si faceva altro che parlare di noi. La succulenta storia di quel bacio nell’aula di musica dei fratelli Kagamine era sulla bocca di tutti e non ti biasimo per avermi lasciato.
Eppure, se prima mi svegliavo nel risentire le note di quel pianoforte che tu accidentalmente avevi suonato, nel momento in cui venivamo scoperti, ora è un’altro terribile incubo a darmi fastidio.
Un incubo che ho proprio qui, davanti agli occhi. Vorrei svegliarmi, ma non posso. Perché non sto dormendo, sono chiaramente sveglio. Sono qui, a scuola, quella stessa scuola che ha parlato male di noi, nella stessa aula in cui è cominciata a crollare la nostra storia.
Tu stai sorridendo ingenuamente a lui e probabilmente è solo quello. Una cotta ingenua e semplice, ma non è la prima volta che succede, non è la prima volta che vedo questa scena e sta incominciando a infastidirmi. Nonostante non stiamo più insieme, nonostante tu voglia negare ciò che proviamo l’uno per l’altra, nonostante tutto, non posso vedere ciò che sta accadendo senza sentirmi quasi male.
Deglutisco, cercando di trattenere la bile e la rabbia, mentre lui, mi supera e se ne va e tu ti avvicini a me.
«Stai bene? Sembri pallido.» mi dici in un sussurro.
Ormai le parole tra di noi sono talmente rare, che mi pare ancora un sogno risentire la tua voce. Eppure mi domando perché. Perché mi stai chiedendo se sto bene? Come posso io darti una risposta? Quale risposta vorresti, poi?
«Sto bene.» rispondo appena, per poi andarmene e lasciarti lì.
Sento la rabbia montare in me. Non posso credere che mi hai chiesto seriamente come sto. Come se non mi stessi rendendo conto di cosa stia succedendo. Come se non avessi capito cosa tu stia facendo.
Ho ancora vivido in me il ricordo di quella meravigliosa sera di luna piena, di circa tre giorni fa, in cui tu hai detto ai nostri genitori che saresti uscita. 
È stato in quel momento che ho compreso tutto, che ho capito che non eri più mia e mi è quasi sembrato di impazzire. 
Quella sera, come anche tutti i giorni successivi, hai ricominciato a farti bella per qualcuno. Qualcuno che non ero più io. 
Non lo sai, ma in questi ultimi giorni sono rimasto spesso a guardarti, attraverso la fessura che lasci alla porta di camera tua. Ti osservo, mentre con il rimmel ti fai le ciglia più lunghe, in modo da risaltare i tuoi meravigliosi occhi azzurri, così simili ai miei. Hai persino ricominciato a portare il rossetto, di quel colore scarlatto che lo sai, mi faceva impazzire.
Eppure tutto questo non è più per me. Non ci sono più io al tuo fianco ed ora che vi ho visti insieme è chiaro come il sole.
Kamui Gakupo, quella farfalla viola che ormai si è poggiata sulla tua spalla destra e forse anche sul tuo cuore. Perciò è questo che vuoi ora? Adesso non ti piace più tuo fratello? Preferisci i giovani professori?
Sì capisco, forse è un amore proibito più sopportabile del nostro. Eppure non posso fare a meno di sentire un dolore straziante al petto, ogni volta che vi vedo assieme. La vostra complicità, i vostri sorrisi, sono gli stessi che avevamo io e te quando ancora eravamo convinti di essere solo fratelli, mentre ora, anche a casa, a malapena mi parli. Tutto questo mi spezza il cuore.
Mi ficco le cuffie alle orecchie e vado via, sperando e pregando che domani sia un nuovo giorno, ma so già che non sarà così.

 

Quando finalmente riesco ad addormentarmi, al posto dei pensieri, sono i sogni che cominciano a darmi il tormento.
Mi ritrovo bagnato, sotto la pioggia incessante. Abbasso lo sguardo sui miei abiti fradici, indosso la divisa scolastica.
Nel momento in cui rialzo lo sguardo, tu sei lì. Ferma immobile, proprio come me. I tuoi biondi capelli sono completamente bagnati e gocciolano sull’asfalto, esattamente come fa la pioggia. Vedo il tuo corpo scuotersi leggermente e non so se è per il freddo che la pioggia sta portando con se e che entra fin dentro le ossa, oppure per i singhiozzi. In realtà non so nemmeno se stai piangendo. Sei troppo lontana perché io possa capirlo. Troppo lontana per riuscire a raggiungerti.
Decido comunque di provarci, ma appena comincio a muovermi, tu cominci a correre. All’inizio ho quasi l’impressione che sia tu quella che vuole raggiungermi, ma poi mi accorgo che stai solo cercando riparo. Mi superi, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo, quasi come fossi un fantasma. Decido di entrare anche io nell'edificio e subito due ragazze si avvicinano a me. A malapena sento le loro parole, credo siano preoccupate per la mia salute, visto che sono bagnato dalla testa ai piedi, ma a me non importa.
I miei occhi sono puntati su di te, come i tuoi lo sono su di me. Questa volta sembra che tu mi abbia notato. Rabbrividisco nel vederti così. Bagnata, affannata, tremante. Distinguo perfettamente il pizzo del tuo reggiseno sotto la camicia fradicia della divisa. Tu probabilmente ti accorgi di quel mio sguardo, un po’ troppo malizioso e impuro per i tuoi gusti e, dopo esserti coperta il petto con le braccia, ti volti e te ne vai.
Tento di inseguirti, ma improvvisamente vedo qualcosa passarmi accanto. È una farfalla, una farfalla viola, mi supera, muovendo freneticamente le sue ali delicate. Solo a quel punto tu ti fermi e ti volti verso di noi e nel momento in cui vedi la farfalla il tuo viso si illumina e ricominci a sorridere.
A quel punto mi sveglio di soprassalto. Maledetto sogno, maledetta farfalla, maledetto Gakupo.

 

L’illusione che oggi sarà un giorno diverso era già debole dopo ciò che ho sognato durante la notte. Per non parlare di quando questa mattina ti ho visto mettere lo smalto rosso, invece di quello giallo che mettevi sempre per me, ed io stupidamente, mi sono avvicinato a te e ti ho regalato quegli orecchini viola che, maledizione se avessi saputo prima cosa mi stava succedendo e come mi sta riducendo questo tuo nuovo rapporto, forse non li avrei nemmeno comprati. Eppure questa mattina te li ho dati lo stesso, perché nonostante tutto sei la mia sorellina e vedere sul tuo viso quel sorriso entusiasta per me è il massimo della felicità.
Per lo meno questo era quello che credevo, perché improvvisamente quella flebile illusione svanisce non appena salgo le scale e vi vedo lì, sul pianerottolo. 
Siete uno di fronte all’altra e lui, lui è troppo vicino a te. Troppo. Perdonami, ma non ce la posso fare. Il solo vedervi insieme mi fa male, mi fa sentire l’impellente bisogno di avere la tua attenzione. Sento un vuoto dentro di me da ormai più di un mese e ora so che tu sei l’unica a poterlo colmare.
Ti afferrò il polso e ti porto via da lui.
«Len! Che diavolo stai facendo?! Len!» continui a protestare tu, ma io non voglio ascoltare le tue proteste. Non finché tu non avrai ascoltato le mie.
Quando però entriamo dentro l’aula di chimica e mi fermo tu, ancora adirata, ti liberi dalla mia presa. Non ho nemmeno il tempo di aprire bocca, che quella stessa mano che hai liberato si scaraventa contro il mio viso.
La mia guancia comincia a pulsare, esattamente allo stesso ritmo di come batte il mio cuore.
«Devi smetterla! Smettila di trattarmi come una bambina! Lasciami vivere!» mi urli addosso.
Nel momento in cui vedo le tue lacrime, comprendo. Quello schiaffo, me lo sono decisamente meritato. Eppure dovresti cercare di capirmi anche tu. Non riesco ancora a controllarmi. Non è colpa mia se il mio cuore batte ancora per te, non è colpa mia se quel terrificante veleno, chiamato gelosia, ha ormai infettato ogni cellula del mio essere.
Eppure mi pento di quello che ti ho fatto. Ti ho fatta piangere e questo è qualcosa che mi spezza il cuore ancora di più del vederti con lui. 
Vorrei morire per quello che ho fatto e quasi spero che non mi perdoni.
«Hai ragione tu Rin…»
Crollo a terra, chiudendo gli occhi e aspettando che tu te ne vada. Che mi abbandoni qui, tornandotene da lui, dalla tua farfalla.
Vorrei fuggire, vorrei scappare da qui, ma improvvisamente sento un rumore che non mi aspetto.
Un fruscio. Apro gli occhi e ti vedo tenere tra le mani il nastro bianco che solitamente ti lega i capelli. 
In quel preciso istante ti metti sopra di me, con le gambe da entrambi i lati del mio corpo inerme, e perdonami se riesco a vedere distintamente il tuo intimo da sotto la gonna.
Tu però decidi che non posso più guardare nulla, perché lasci andare quel nastro e ti allontani.
Mi tiro su, serrando le mani attorno ad esso e portandomelo al viso. C’è ancora il tuo profumo e, improvvisamente, percepisco la fitta definitiva e il mio cuore che comincia a sanguinare. 
No, non posso permetterti di andartene, non così. Non senza averti chiesto scusa, poco importa se mi perdoni o no.
«Rin! – dico tirandomi su e correndoti dietro, proprio come nel sogno della scorsa notte – Rin!»
Ti blocco di nuovo, proprio in mezzo al corridoio, qualcuno ci sta guardando, ma non m’importa. Non più.
Ti volti verso di me e improvvisamente so cosa fare. Ti prendo dalle spalle e ti porto a me, stringendoti.
«Perdonami Rin, mi dispiace. Sei… sei libera di frequentare chi vuoi. Ma ti prego, ti scongiuro, non abbandonarmi mai più, non è colpa mia io… Io ti amo ancora.»
Le ultime parole le dico in un sussurro, ancora più leggero, in modo che possa sentirmi solo tu e percepisco il tuo corpo rabbrividire nell’ascoltarle.

 

Non so come sia successo, ma ora siamo qui. Io e te. Sul letto in camera mia. Tentando di non farci sentire dai nostri genitori che, sicuramente, non capirebbero, anzi ne rimarrebbero sconvolti.
Ma in fondo sappiamo bene a cosa andiamo incontro. L’abbiamo sempre saputo. Sin da quel primo bacio un mese fa in quella classe, quel bacio che ha scaturito tutti i pettegolezzi su di noi. Pettegolezzi di cui, ora, c’importa poco.
Mi accarezzi il petto, con le tue mani smaltate ancora di rosso, mentre io osservo la tua spalla nuda, coperta solo dalla sottile spallina del reggiseno. Ora non c’è più la farfalla viola ad occuparla.
Ora, sei solamente mia!



Angolo dell'autrice: 
Lo so, lo so, era da una vita che non aggiornavo questa raccolta, ma a mia discolpa posso dire che non è facile trovare le versioni dei Kagamine, di qualsiasi canzone si tratti.
La versione di questa canzone l'ho trovata particolarmente bella. Vediamo Len essere geloso Gakupo Kamui, che se non sbaglio è il partner di Luka, che guarda caso ha i capelli viola, infatti la traduzione del titolo della canzone è proprio "Una farfalla viola sulla tua spalla destra".

Come al solito vi consiglio di rileggerla con la canzone in sottofondo.

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Capitolo 4
*** Yotsuba no Kuroobaa ***


Yotsuba no Kuroobaa

 

Faccio un sospiro, aprendo il rubinetto del lavandino ed osservando per qualche secondo l’acqua che scorre.
La luce del sole che passa attraverso le fronde degli alberi del nostro giardino, supera la barriera della finestra, per colpirmi in viso e dare un’aspetto più luminoso al mio riflesso che vedo nello specchio di fronte a me.
Allungo le mani sotto l’acqua fresca, poi me le porto al viso, bagnandomelo delicatamente. La sensazione dei miei palmi, bagnati e freddi, sugli zigomi mi sveglia. Nonostante il mio corpo sia ancora stanco.
Non so con esattezza il perché di questa stanchezza. In fin dei conti è mattina e ieri non è nemmeno stata una giornata alquanto pesante. Certo, come mio solito ho miei crucci, la maggior parte nei confronti di me stessa e dei miei sentimenti, ma forse non è quello.
Il fatto è che stanotte ho fatto un sogno. Un sogno che, stranamente, ricordo perfettamente. Ricordo che ero ancora bambina, o meglio c’era la me bambina che mi osservava. Il suo sguardo era felice, gioioso. Una gioia che ormai non riesco più ad avere. Quando quella piccola Rin, incrociò il mio sguardo si rattristò anche lei. I suoi occhi sembravano domandarmi che cosa mi stesse succedendo e, come un treno ad alta velocità, la verità m’investì. Sto male: sono cresciuta e non riesco più ad avere quell’innocenza che mi permetteva di vedere il mondo a colori. 
Le feci un sorriso, un sorriso tirato, falso.
Quella Rin, forse, era la vera me, ma oramai l’ho dimenticata. Ho dimenticato com’è essere spensierata. Ormai la mia mente volge a pensieri proibiti, pensieri che mi portano a colui che non posso e non devo amare.
Finisco di sciacquarmi la faccia e alzo lo sguardo nuovamente verso lo specchio: decisamente, quella bambina non esiste più.

 

Esco di casa, pronta per una nuova giornata.
Nell’attraversare il giardino, il mio sguardo cade su qualcosa che non avevo mai notato. In effetti è una cosa difficile da notare, una cosa che capita raramente e che molti reputano quasi un segno.
Lì, nel prato verde, tra una miriade di verdi e brillanti trifogli, ne spicca uno che sembra avere quattro petali. Mi chino, per osservarlo più da vicino e contare distintamente le foglie, assicurandomi che il mio occhio, ma soprattutto la mia mente non mi ha ingannato.
Un leggero e sincero sorriso mi tira la bocca. Forse non è sparita del tutto quella bambina. Dopo la fatica di questi giorni, difficili e interminabili, in cui il mio unico pensiero era sopprimere i miei sentimenti, ecco un barlume di felicità. 
I quadrifogli sono difficili da trovare, per questo motivo portano fortuna.
Lo raccolgo e, nel momento esatto in cui lo stringo tra le dita, comprendo. Non sono io ad essere cambiata; i miei sentimenti, quelli che cerco di sopprimere, li ho sempre avuti. È stato il mondo attorno a me che mi ripeteva quanto fossero sbagliati. Ma in fin dei conti, perché deve essere sbagliato? Amare non è mai sbagliato.
Finalmente so la verità, non sono io quella diversa, ma il mondo che mi circonda. Non mi trovo nel posto giusto.
Sorrido di nuovo, mentre apro la cartella e prendo uno dei miei libri di scuola, infilandoci dentro quel piccolo quadrifoglio.
Ora so. La cosa più importante è vivere, amare e decidere con la mia testa.
«Non ho forse ragione, quadrifoglio?» sussurro, chiudendo il libro.
«Ehi Rin!» sento improvvisamente alle mie spalle e con un sorriso che non facevo da molto tempo, mi volto verso di lui.



Angolo dell'autrice: 
Eccomi qua con un'altra chicca per voi, per fortuna anche questa diciamo che finisce alquanto bene. Insomma non ha il solito finale drammatico, nonostante tutto.
Lo so, è un po' corta come storia, ma la canzone è questa, non potevo certo allungarla più di così. Anzi è già tanto che sia riuscita a trovare la versione di Rin, perché quella più comune è quella di Hatsune Miku.
Come al solito vi consiglio di rileggerla con la canzone in sottofondo.

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Capitolo 5
*** Gemini ***


Gemini

 

Siamo lontani, immensamente lontani. Una costellazione intera ci separa, quella stessa costellazione che ci rappresenta. Siamo gemelli, gemelli separati dalla nascita e uniti dalle stelle. Un segno che percorre il cielo, portandoci ogni giorno l’uno verso l’altra e allontanandoci durante la notte. In questo cielo stellato siamo gemelli, attratti l’uno dall’altra.

 

Spesso mi capita di svegliarmi alle due del mattino, con un groppo in gola che non riesco a farmi passare. È un po’ come quando ti svegli di soprassalto per un incubo, uno di quelli che ti lasciano senza fiato, completamente terrorizzata sul letto, con il sudore che t’imperla il volto impallidito dallo spavento. Svegliarsi in quel modo, sola e tremante, mentre dentro di te ti sembra quasi di percepire una tempesta, in completo contrasto con il cielo notturno fuori: limpido e carico di stelle.
Anche questa notte, come tutte le altre, è andata così. Mi sono svegliata di soprassalto, in un bagno di sudore, terrorizzata da un’incubo che nemmeno ricordo, ma che mi fa venir voglia di gridare per chiedere aiuto. Anche la mia voce però è spezzata e sembra rifiutarsi di collaborare, mentre nel mio petto riesco a percepire un dolore lancinante, come se il cielo stellato che vedo fosse caduto.

 

Lo sento, sento nella profondità del mio petto il tuo dolore. Nonostante la distanza so che i battiti caldi e calibrati del mio cuore arriveranno fin da te, sciogliendoti. Tu abbracciali, stringili forte a te così io non sparirò nemmeno in quei momenti. Anche io comunque mi sento come perso, è come se non riuscissi in nessun modo a trovare la strada che mi porti a te, mentre l’ansia pervade ogni centimetro del mio corpo. Chiudiamo perciò gli occhi e sentiamo i battiti dei nostri cuori, loro batteranno sempre all’unisono, aiutandoci a resistere.
Almeno fino a che la gelida mattina non ci sveglia, facendoci ritrovare di nuovo vicini e permettendoci di passare pomeriggi languidi e sereni. In fin dei conti è questo il nostro destino, seguire il suono del nostro cuore per riunirci.

 

Appena arriva la sera, però, mi guardo indietro e sono di nuovo sola. Possibile che io sia arrivata così lontano? Oppure è la notte che ci separa, che fa in modo che io svanisca di nuovo dalla tua vita e che tu svanisca dalla mia. Ricomincio a urlare, questa volta la voce sembra uscire, ma nessuno mi sente, nessuno mi risponde. Di nuovo percepisco quel terribile dolore nel petto, come se questo mare davanti a cui mi sono fermata, si fosse spaccato.

 

Alla fine, li ho sempre sentiti, in un modo o nell’altro, questi vecchi e lenti ritmi che trasudano amore e speranza: è il mio cuore che ti chiede di essere ascoltato. Vedrai che se tu li ascolterai e li prenderai, io non svanirò.
«Hey, non piangere…» sussurro, e nonostante la distanza so che tu mi hai sentito.
Tu sappi semplicemente che, quando ti ritrovi sola nella notte buia e fredda, ti basterà ascoltare queste parole; queste arriveranno sempre e comunque dalla mia bocca alle tue orecchie, nonostante la distanza nonostante la pioggia o le bufere.
Grazie a queste parole la notte si accenderà e la terra stessa ci mostrerà, col suo ruotare, che in fin dei conti non siamo così distanti come sembra.
Perciò anche se ci sentiamo ansiosi in questi momenti, basta chiudere gli occhi e ascoltare come sempre il battito dei nostri cuori, loro sapranno sempre ritrovare la strada per portarci l’uno dall’altra e farci passare un altro giorno meraviglioso.
«Sai questa notte, – comincio a raccontarti, quasi cantando – ho trovato per la strada un uccellino smarrito. Aveva il petto tutto bruciato…»
Tu trattieni il respiro, portandoti le mani alla bocca, ma io continuo come se niente fosse.
«…bruciato da quell’amore che non porterà mai a termine. Gli uccelli, più di noi, sanno che il domani è incerto, ma che invece è il presente che bisogna affrontare con forza e coraggio, nonostante certe volte si abbia poca forza per farlo. Per questo è venuto a riposarsi da me, con me: in fin dei conti quel dolore e quella stanchezza la sentivamo entrambi.»
«E poi?» domandi tu.
«Quando finì il pianto ed entrambi i nostri cuori sembrarono un po’ più alleviati, abbiamo cantato una canzone d’amore… Una canzone d’amore di un giorno in cui non può essere cantata, e in quel momento ho pensato a te.»
Tu sorridi ed io so che nonostante questa giornata finirà, separandoci di nuovo, tu ricorderai questa storia e nel momento in cui starai male nella notte, ti basterà ascoltare i nostri cuori e la mia voce che ti sussurra «Hey, non piangere…» e tu resisterai fino a domani.

 

Siamo lontani, immensamente lontani. Una costellazione intera ci separa, quella stessa costellazione che ci rappresenta. Siamo gemelli, gemelli separati dalla nascita e uniti dalle stelle. Un segno che percorre il cielo, portandoci ogni giorno l’uno verso l’altra e allontanandoci durante la notte. In questo cielo stellato siamo gemelli, attratti l’uno dall’altra.



Angolo dell'autrice: 
Ci ho messo parecchio a scrivere questa one-shot, non solo per i vari impegni (o le altre storie da portare avanti), ma soprattutto perché è stato davvero difficile interpretare a parole questa canzone.
Probabilmente l'avrete notato, infatti, che al contrario delle altre che in qualche modo sono riuscite a trasformarle in veri e propri racconti (introspettivi o no), questa è rimasta molto sul poetico e molto platonica, ma purtroppo non ho potuto fare altrimenti, perché avrei rischiato di rovinare il meraviglioso concetto che rappresenta.
Consiglio come sempre a chi ha letto la fanfiction di rifarlo una seconda volta con la canzone in sottofondo.

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