The End, The Beginning

di Moondreamer94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Hunger ***
Capitolo 3: *** Newborn ***
Capitolo 4: *** Home ***



Capitolo 1
*** Intro ***


Era una fredda giornata di novembre, la pioggia scorreva copiosa nelle strade, formando rigagnoli che catturavano qualsiasi cicca di sigaretta o foglia caduta che incontravano nel loro corso. Le macchine transitavano veloci, e la gente passeggiava incappucciata sui marciapiedi con una consueta seppur inspiegabile fretta. Queste immagini scorrevano monotone sotto lo sguardo verde e pensoso di Arielle, che dalla finestra della sua classe osservava quel piccolo spaccato di mondo, tanto la stava annoiando la lezione di matematica. La città era triste, proprio come lei. Dopotutto, era in quei momenti che lei si sentiva parte di quel quartiere periferico di Londra, sempre monotono e patetico a detta sua.
Un suono di campanella distolse i suoi pensieri. L’intera scolaresca balzò in piedi dai banchi quasi simultaneamente, quasi fosse un riflesso condizionato, e si fiondò verso il piccolo bar della scuola, che aveva già esposto in bella vista panini, brioche e qualsiasi altro manicaretto sfizioso. I ragazzi si riversavano lì da ogni angolo, spintonando a destra e a sinistra per poter beccare il panino che volevano senza che gli altri glielo fregassero. Solo Arielle non aveva fame. A dire il vero, non che non avesse fame ma sentiva come una specie di ribrezzo per quei panini, anche se si convinse a mangiarne uno. Anzi, era da un po’ di tempo che provava quello strano senso di rifiuto unito a un sordo brontolio dello stomaco, e precisamente da quando si ritrovò distesa su un letto di ospedale, con una cannula infilata in un braccio, e due paia di occhi, quelli dei suoi genitori, che la fissavano preoccupati…
2 mesi prima
Stavano uscendo dalla scuola, come sempre, chiacchierando amabilmente e ridendo per allentare la tensione dell’interrogazione dell’ora precedente.
‘Sai, non ho più alcuna intenzione di mettere questa borsa schifosa. È tutta plasticata e puzza’ stava dicendo Tabitha, capelli rossi ondulati, occhi castani ridenti, guance spruzzate di lentiggini e da sempre migliore amica di Arielle. ‘Ma dai Ta’, a me piace’ stava dicendo Arielle mentre si avviavano verso i parcheggi. ‘Allora ciao Ari, ci vediamo dopo!’ disse Tabitha raggiante. Quella sera c’era la festa di un loro compagno di classe, e Tabitha appena patentata aveva proposto ad Arielle di passarla a prendere e riportarla a casa. Si presentò sotto casa quella sera, e subito dopo salirono in macchina. ‘Cacchio Tab, sono così felice che ora guidi anche tu!’ ‘Ahah davvero, e adesso musicaaa!’ urlò Tab accendendo lo stereo da cui partì subito una canzone dance, di quelle che piacevano tanto a lei. Le due amiche erano sorridenti, raggianti, felici di vivere, di essere due adolescenti, di sentirsi libere mentre procedevano veloci sulla tangenziale. ‘Cazzo, se già facciamo casino in questo abitacolo figurati alla festa!’ strillò ancora Tabitha. ‘Ma scherzi, non vedo l’ora di essere lààà!’ disse Arielle di rimando.
Ma non ci fu nessuna festa per loro. Due secondi dopo aver scambiato queste battute successe tutto in un baleno. Due aloni giallo elettrico, appartenenti ai fari di una macchina, troppo vicini a loro. Poi, il colpo, troppo forte, seguito da un boato. Arielle non fece neanche in tempo a urlare che subito si sentì sbalzata in avanti verso chissà dove. Un attimo dopo era distesa, sentiva una forte pressione sul collo. Vide due occhi azzurri, grandi e gelidi come il ghiaccio, ma era troppo sconvolta per chiedersi se avesse le allucinazioni. Poi, più nulla. Quando riaprì gli occhi era passata una settimana. Scoprì di aver subito diversi interventi per rimettere a posto le ossa rotte. Tabitha invece, gli occhi non li riaprì più. Era in coma e non c’era l’ombra di una speranza di risveglio. Un orribile incidente, avevano perso il controllo dell’auto ed erano finite contromano. Voleva parlare, voleva piangere, voleva gridare, ma tutto ciò che riuscì a fare fu socchiudere la bocca e chiedere flebilmente ‘Dov’è Tabitha?’ La risposta arrivò pochi istanti dopo, dalle labbra di sua madre: ‘Tesoro, la tua amica si trova nel reparto accanto a questo, in rianimazione. E’ in coma’ Arielle si sentì sopraffare dalla disperazione, si sentì assalire dai dubbi più profondi, chiedendosi perché, perché proprio a due ragazze come loro, perché il destino avesse scelto proprio loro due, che cosa avevano fatto per meritarlo?
E soprattutto, a chi appartenevano quegli occhi azzurro ghiaccio?

Ciao a tutti, ecco il primo capitolo della mia storia! Purtroppo non sarò spesso presente per aggiornarla a causa degli esami universitari che non finiscono mai, ma cercherò di postare nuovi capitoli il prima possibile!!

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Capitolo 2
*** Hunger ***


“Allora Green, hai sentito quello che ho detto?” Eccola di nuovo, la voce della Jenkins, la professoressa di scienze, e stava spiegando una alquanto noiosa lezione sulle rocce della terra nel laboratorio della scuola. Arielle si destò velocemente dai suoi pensieri rivolti all’amica in ospedale e farfugliò: “Ehm…sì, sì certo” “Sembri distratta, Green. Capisco la tua situazione, ma cerca di fare uno sforzo. D’accordo?” Annuì. ‘certo, come se fosse facile ricominciare a vivere dopo un trauma del genere’ pensò.  “Ok ragazzi, allora fate come vi ho spiegato. Mettetevi a gruppi di tre o quattro, ci sono un paio di pezzi per ciascuno. Non fate casino, mi raccomando.” Quella volta si trattava di praticare un piccolo taglio su alcuni frammenti di rocce particolarmente malleabili. Arielle si mise in gruppo con altri due compagni, non molto distante da Florence Lilly, la ragazza più popolare della classe che caricava di enfasi qualsiasi azione facesse, tanto era piena di sé; Florence impugnò il coltello, ma nella nonchalance con la quale mirò il colpo da dare al pezzo di argilla beccò invece  il palmo della mano: ‘Aoh!’ strillò, e il coltello cadde rumorosamente a terra. La ragazza si scostò con un’espressione schifata, il taglio che si era procurata era piuttosto profondo, e il sangue sgorgava a fiotti. Il capannello di ragazze che di solito circondava Florence si scostò di colpo. “Proof, devo andare in infermeria” urlò, e la Jenkins accorse subito da lei. Fu allora che Arielle si sentì strana. Le narici le si dilatarono, accogliendo dentro l’odore acre del sangue fresco. In quel momento provò una sensazione che non provava da tempo ormai: fame. Istinto a nutrirsi, accompagnato da una capriola dello stomaco. Di colpo iniziò a correre in mezzo ai tavoli, animata da una furia cieca, fissando gli occhi sul palmo aperto sanguinante della mano della bionda Florence. Si rese conto di ciò che stava facendo quando era a mezzo metro dalla compagna, e si calmò. ‘Green, che ti prende?’ disse la prof vedendo che Ari strabuzzava gli occhi mentre fissava la ferita di Florence. ‘niente prof, scusi…ehm…volevo solo aiutarla’ ‘Ah va bene..lodevole la tua compassione verso il prossimo, Green. Ma credo che Lilly sappia cavarsela benissimo da sola. Lilly, intanto prendi questo fazzoletto e va’ dall’infermiera che ti disinfetterà il taglio.’ Florence scostò la mano bruscamente e rivolse uno sguardo stupito ad Arielle, poi girò i tacchi e uscì velocemente dalla stanza. ‘Ma che diamine mi succede? Io che corro verso la ragazza che odio di più in classe? Però mmh, il suo sangue ha un buon odore. Ma perché sto parlando di sangue?? No sono solo scossa, forse mi ricorda l’incidente…’ pensava Ari mentre ritornava al suo tavolo.

Quindici minuti dopo, la lezione era finita ed era ora di pranzo. Seduta ad un tavolo della mensa, Arielle mangiò meno del solito. La zuppa che aveva davanti a sé le faceva ancora più schifo. Continuava a tornarle in mente l’odore del sangue di Florence, in maniera insistente. ‘Qui c’è qualcosa che non va’ pensò. Si alzò di scatto lasciando la zuppa praticamente intatta e si diresse di corsa verso l’uscita della scuola. Avrebbe dovuto assistere ad altre due ore di lezione, ma chissenefrega. ‘Non è possibile, il cibo mi fa vomitare, e io…io ho fame…di sangue. Ma che mi è preso? Forse ho una malattia mentale. Magari mi conviene fare una visita da uno psichiatra. No…io so che non c’entra lo psichiatra. C’è altro. Magari è qualcosa di soprannaturale? Forse mi conviene fare qualche ricerca. Biblioteca…ma sì. Magari da qualche parte c’è la testimonianza di qualcuno a cui è accaduta la stessa cosa che succede a me. Sì, andrò alla Biblioteca del quartiere.. Adesso.’ E anziché proseguire nella corsa verso casa, scese dall’autobus aspettando la coincidenza per la biblioteca.
Dopo un numero interminabile di fermate si trovò proprio davanti alla Biblioteca. Entrò. ‘Buongiorno signorina’ l’accolse una voce chiara, della giovane segretaria all’ingresso. ‘Buongiorno a lei’ ricambiò Arielle, prendendo una mappa dell’edificio. Quattro piani, piano uno: storia e attualità. Piano due: letteratura inglese. Piano tre: annali. Uhm…vediamo’ La ragazza si ritrovò così a vagare per i saloni immensi della biblioteca, interamente tappezzati da alte colonne di volumi, alcuni dei quali stantii e ammuffiti dal tempo e dalla storia che era passata loro sopra. Giunta al piano tre fu incuriosita dalle numerose copie di quotidiani e settimanali che erano contenuti in quegli scaffali altissimi. Ne prese uno e iniziò a sfogliarlo. 
’17 gennaio 1849. Caspita, è un sacco di tempo fa! Vediamo, cronaca nera… Dramma nel quartiere di Chelsea, una giovane coppia trovata morta dissanguata in casa. Le perizie avvenute poche ore dopo il misfatto accertano la morte per dissanguamento di Edward e Mary Johnston ritrovati questa mattina riversi nel loro letto. Unico altro particolare, un’impronta sulla loro gola, simile a un morso insanguinato, apparentemente inspiegabile se non con l’attacco di qualche animale, ma sembrerebbe improbabile data l’integrità dei corpi…23 aprile 1851. In tutta la città sono ammontate a 27 le sparizioni, unite a 4 cadaveri ritrovati dissanguati e senza vita: due clochard per le strade di Westminster, un bambino di 8 anni e una ragazza di 20, tutti con i 4 strani fori sul collo. Si sta pensando a una qualche organizzazione segreta o massonica che uccide in questa maniera come per lasciare un messaggio, ma gran parte della popolazione è convinta che si tratti di un fatto spiegabile solo col soprannaturale…20 novembre 1855 Dramma al cimitero centrale, 12 tombe trovate vuote I familiari degli scomparsi non riescono a spiegare il fatto, e le porte del luogo sacro non mostrano alcun segno di scardinamento o di forzatura, come se i morti stessi avessero deciso di andarsene a zonzo chissà dove…troppe cose da spiegare, al momento nessuno è stato in grado di dare un senso a tutto ciò…10 dicembre Durante una delle molte visite sul luogo della profanazione la sconvolgente scoperta, i corpi sono di nuovo nelle loro tombe, e altro fatto alquanto rilevante è che non mostrano alcun segno di corruzione, hanno il viso florido e rilassato, e alcuni recano dei tagli profondi in corrispondenza dei polsi. 27 gennaio 1857 due uomini si aggiravano nell’ora compresa tra le 3 e le 4 del mattino nei pressi di Regent Street, avvistati da una coppia che vive nella via dalla finestra della loro casa: uno era steso a terra, e serrava in un morso il polso dell’altro..si possono così spiegare i tagli sui polsi dei corpi del cimitero centrale, e si sta cercando di ricollegare tutti i misteriosi fatti degli ultimi anni…Si sospetta un rituale di una setta oscura, ma tra la popolazione cresce il sospetto di qualcosa di più potente: creature della notte, che suggellano patti di sangue, emerse dalla tomba per un ultimo, disperato appello ai vivi… ‘Oh, cazzo!’ urlò Arielle ansimando. Probabilmente quei giornali erano stati archiviati in biblioteca perché ritenuti pieni zeppi di fandonie. Ma forse non era così. Di scatto tirò fuori uno specchietto e scostò i capelli, cercando di capire se anche lei avesse quei segni sul collo candido. Ed eccoli lì infatti, ormai cicatrizzati ma visibili..come aveva fatto a non accorgersene prima? Forse aveva pensato che fossero ferite riportate in seguito all’incidente..probabile. Era ad un passo dalla verità, e doveva sapere, doveva sapere tutto. Il sangue, il morso, il cimitero, troppe cose in comune. Si alzò e continuò a sbirciare tra gli scaffali, ed uno di essi attirò la sua attenzione: recava un cartellino con la scritta ‘1700’ e conteneva diversi volumoni di colore nero. Iniziò a leggere i titoli: ‘Streghe: come riconoscerle, Arti occulte, Creature di ogni genere, ecco, forse qui c’è qualcosa che mi può interessare’ Con uno sforzo (il libro era enorme) tirò fuori il libro, che risultò essere stantio e ammuffito, come gli altri del resto, si accasciò sotto lo scaffale e lo aprì. ‘Uhm, vediamo un po’..creature del giorno, umani, creature magiche…creature della notte... licantropi, demoni…non morti’ Un groppo le salì alla gola. Iniziò a leggere alla voce ‘Non-morti’: ‘A seguito del morso, per completare la trasformazione, l’umano necessita di fare tre sorsate del sangue del demone dopodichè, in base alla quantità di sangue asportato, il tempo del decesso più variare, da tre giorni a tre mesi, caratterizzato dallo sviluppo degli istinti post-mortem…Pallore,pelle fredda al tatto, sete di sangue…Forza, resistenza a traumi anche gravi, eccezionale sviluppo dei cinque sensi, grazia sono alcune delle loro caratteristiche…come cenere cadono al cospetto di un raggio di sole…potenti e vivi nella morte, vampiri. Antidoti e diversivi: aglio, croci. Per ucciderli, piantare un palo di frassino nel cuore e per un’ulteriore precauzione bruciare i resti.’ ‘Oh cavolo, allora è vero, è tutto fottutamente vero. Ci sono altre creature oltre agli umani. Ma chi può avermi morso? Ma certo, mentre ero in coma farmacologico la settimana dopo l’incidente. Non avrei potuto accorgermene. Anzi sì..si forse lo so. Gli occhi azzurri che ho visto quando sono stata sbalzata fuori dalla macchina…non erano allucinazioni. Erano di un vampiro…lui deve avermi morsa. Forse mi ha salvato la vita…bevendo il suo sangue ho acquisito un po’ di poteri vampireschi che hanno permesso al mio corpo di sopravvivere…devo ritrovare il proprietario di quegli occhi ‘ Arielle aveva i brividi e la tachicardia, con fatica si alzò e rimise il libro a posto, bofonchiò un arrivederci alla segretaria e si incamminò verso la fermata del bus. Arrivata a casa, si sentì male. Era debole, debolissima. Si accasciò per terra ed avvertiva un senso di oppressione al petto. Il suo respiro era affannoso, il battito del suo cuore era sempre più lento, lei lo percepiva. E percepiva ancora quella famelica sete di sangue. ‘Lo sento, sto morendo. O meglio, mi sto trasformando. E’ così. Devo andarmene da qui, non posso tramutarmi qui. Non ho le forze, ma devo scappare’ e mentre lo pensava, arrancò fino alla porta di casa e uscì fuori. Era già sera.

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Capitolo 3
*** Newborn ***


Correva Arielle, correva. L’equilibrio era sempre più precario, ma lei correva. Non voleva morire lungo una strada, voleva morire lontano da tutti. Attraversava strisce pedonali, scavalcava marciapiedi. Per l’ultima volta da mortale fece soffermare lo sguardo sui volti della gente: un anziano signore con la bombetta, due studentesse, una donna con un bambino in braccio…già, lei non avrebbe avuto bambini, probabilmente. Sentì una morsa stringerle il petto. Le forze erano sempre meno. Riuscì a trovare l’imbocco di una strada sterrata, diretta verso la campagna che circondava il quartiere, fuori dai confini della città. Si fece largo tra gli alberi, poi trovò una radura. Lì si fermò, appoggiò la borsa e si accasciò a terra. Sentiva il mondo sotto di sé che girava, sembrava che ondeggiasse. Arielle iniziò a piangere silenziosamente. Poche, timide lacrime le solcarono il viso. Per l’ultima volta, fece scorrere davanti a sé le immagini del viso dolce di sua madre, di quelli affettuosi di suo padre e di suo fratello, il sorriso luminoso di Tabitha. Scorse i flashback della sua infanzia felice, spensierata, le corse ai giardinetti, la scuola, i nuovi amici, le lezioni di danza…la sua vita, splendida per quello che fosse durata. ‘E’ così che me ne sto andando…addio prati verdi e campagne dove amavo passeggiare, addio sole, così bello e luminoso, addio cielo grigio d’Inghilterra, addio scuola, amici…’ La ragazza era distesa a terra, aveva gli occhi rivolti verso il cielo, uno sguardo sempre più vitreo e privo di espressione. Uno, due, tre respiri profondi, e più nulla.
 
La gente ha poche, grandi domande esistenziali. Una di queste è: cosa si prova a morire. Nessuno nel mondo mortale ha potuto raccontare la sua esperienza. Una volta che te ne vai, non ritorni più. E questo per le persone comuni, la maggior parte al termine di una vita lunga e serena.
Io so cosa si prova a morire. E’ una sensazione strana, quasi impossibile da spiegare. Perlomeno non ad un altro essere umano. Puoi parlarne solo con uno come te, che ha già abbandonato l’umanità per diventare qualcos’altro.La morte è…dolce. E’ come se ti prendesse in braccio e ti cullasse. Tutto ti gira attorno e svanisce, è quasi una sensazione di pace. Sei ottenebrato, non hai più una coscienza. E’ un addio silenzioso, melanconico. Poi, più nulla. Fino a che qualcosa, o qualcuno, non ti riapre gli occhi.

 
‘Perché l’hai fatto, Aaron?’ ‘Perché doveva essere salvata. Ha un potenziale enorme per essere una figlia delle tenebre’ ‘Sicuro? A me pareva così fragile, amico mio. Così esile, come una foglia al vento…’ ‘Zakhariah, ho imparato presto a non fidarmi delle apparenze’
‘Ma sei sicuro che non si ribellerà? Sai come sono gli iniziati, hanno una violenza in corpo inaudita. Se sa che sei stato tu, potrebbe ucciderti’ ‘Non lo farà amico mio’’Tu lo credi?’ ‘Si, lo credo. Oh.’ ‘Cosa c’è Aaron?’ ‘Sento che sta succedendo qualcosa. E’ pronta’ ‘Pronta?’ ‘La ragazza è morta. Al massimo tra quarantotto ore si risveglierà. Devo andare, Zakariah, ti porterò buone notizie, amico mio.’…
 
Voci. Indistinte, sommesse. Sensazione di vuoto, o di moto vorticoso. Buio, il buio più profondo. Poi, ad un tratto, una sensazione strana, come quella che si ha quando si sta per venire a galla affiorando dall’acqua. E infine, gli occhi si aprirono, destandosi dal riposo mortale. Era di nuovo sera, Arielle era nello stesso punto in cui era due giorni prima. Si guardò le mani, pallidissime e traslucide, e si mise a sedere. Aveva ancora addosso la divisa della scuola. Non riusciva a respirare, per poi rendersi conto che non ne aveva bisogno. Con suo grande sgomento, portò le mani all’altezza del cuore. Non batteva più. Arielle era morta, ma era di nuovo viva. Paura. Tanta. E sete, sete voluttuosa di sangue, quasi come un famelico istinto sessuale. Era diventata un vampiro.
Iniziò a guardarsi intorno, con un’espressione sbigottita e disperata. Guardò da lontano le luci della città, mai le aveva percepite così lontane da sé. Poi un fruscio: ‘Stai tranquilla, è normale all’inizio’ Una voce si fece sentire dal nulla. Arielle cacciò un urlo, poi si voltò di scatto e vide che non era sola. Il suo interlocutore aveva qualcosa di familiare. Un ragazzo, apparentemente poco più grande di lei, con i capelli neri come l’ebano, la pelle bianca come la neve e gli occhi azzurri come il ghiaccio.
‘EHI!’ sbottò Arielle ‘Io ti conosco. So chi sei. Ti ho visto. Era…era la sera dell’incidente’ ‘Si’ rispose lui ‘Ti ho salvato la vita. Per quanto una creatura come me possa fare’ disse accennando un sorriso. ‘Ma perché lo hai fatto? Perché non mi hai detto niente? Perché hai lasciato che tutto questo accadesse, che la mia migliore amica andasse in coma profondo e che io…’ la ragazza iniziò ad agitarsi ed il vampiro dagli occhi di ghiaccio la strinse tra le braccia ‘Calmati, ehi..calmati. Lo so, capisco la tua rabbia, e capisco che ora tu ce l’abbia con me, ma credimi, ho voluto darti una possibilità che andasse oltre alla morte certa che ti aspettava’ Ari smise di divincolarsi e il vampiro mollò la presa. 'Tieni questo. Ti rimetterà in sesto' e le porse una fialetta contenente un liquido rosso. Ma certo, sangue. Finalmente. Arielle d'impulso la afferrò e bevve avidamente. 'Grazie' disse. ‘Figurati. Io sono Aaron, piacere di conoscerti. Sono un membro di uno dei più antichi clan di vampiri dell’Inghilterra, del quale molto presto anche tu farai parte. Vieni, alzati’ e le tese una mano. Lei si aggrappò senza esitazione e si alzò. ‘Io sono Arielle’ ‘Ciao, Arielle’ rispose lui, con fare gentile. Per molti mesi la ragazza si era chiesta a quale genere di mostro appartenessero quegli occhi azzurri, e la cosa che più la sbigottì oltre all’aver scoperto che ora si fosse tramutata in un vampiro, fu che quegli occhi appartenessero a niente più che un ragazzo, e peraltro molto affascinante. ‘Ti prego, spiegami un po’ di cose. Voglio dire, io…io, ero umana fino a qualche ora fa, però ultimamente mi sentivo strana, avevo come una voglia perversa di succhiare il sangue della gente che si tagliava, e…’ ‘Calma, calma. Ora vieni con me, ti porto a casa, così potrai riposare un po’ e io ti potrò spiegare molte cose che dovrai sapere’ ‘Ok grazie, Aaron’ ’Vieni, Arielle. La mia macchina è parcheggiata qualche metro più in là. Seguimi.’ Ari incespicò inizialmente sulle scarpe col tacco che usava per andare a scuola, poi iniziò ad osservare il suo nuovo amico. Aveva un portamento molto aggraziato ed un’aria da persona intelligente, oltre ad essere davvero un bel giovane..nel senso vampiresco di bellezza ovviamente. Nel frattempo arrivarono all’automobile. ‘Ma guarda, i vampiri vanno in giro in Porsche Cayenne?’ chiese Arielle divertita, osservando la scintillante vettura nera davanti a loro. ‘Sai, bisogna in qualche modo mantenere delle connessioni col mondo esterno’ rispose Aaron facendo l’occhiolino ‘Dai, sali in macchina’ le disse aprendole la portiera del lato passeggeri e invitandola ad entrare. Lei salì, poi il ragazzo mise in moto. ‘Destinazione Northumberland, ne avremo per un po’ da guidare’ annunciò. ‘Northumberland?’ chiese Arielle ‘Si esatto. Lì c’è la dimora del nostro clan da molti secoli’ ‘Ah quindi è uno di quei castelli arroccati stile goth e magari con qualche fantasma in pena d’amore che gironzola per le stanze?’chiese divertita Ari ‘Fantasmi non ce ne sono, ma sì, è un castello arroccato stile goth, come dici tu’ rispose Aaron divertito. E partirono verso il Nord dell’Inghilterra.

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Capitolo 4
*** Home ***


Dopo quattro o cinque ore interminabili di viaggio in cui Arielle fu costretta ad ascoltare gli improponibili dischi di musica classica di Aaron, fermarono la macchina davanti a quello che Arielle definì il più bello e inquietante castello dell’età ottocentesca.
‘Benvenuta a Blackmoore Castle’ disse Aaron ‘La mia, la tua nuova casa.’ scesero dalla macchina e si incamminarono verso l'ingresso ‘Ah, ho pure una casa adesso. Figo, non pensavo che morendo si potessero ottenere così tanti privilegi’ ghignò Arielle non senza una punta di sarcasmo nella voce. ‘Vieni, entriamo.’ E con una spinta decisa, aprì l’imponente portone. Dentro, il salone principale, con tre navate e soffitto altissimo in stile gotico, alle pareti quadri e arazzi di persone appartenute ai secoli passati, probabilmente decedute da tempo, o, chissà, tramutate in spietati succhiasangue.
Un uomo apparentemente sulla trentina, con i capelli biondicci e l’incarnato bianchissimo, si face avanti. ‘Oh, e così tu devi essere Arielle Green, la nuova arrivata nella nostra specie. Benvenuta signorina, è un onore averti qui. Puoi chiamarmi Zakhariah.’ ‘Piacere di conoscerti, Zakhariah’ rispose Arielle. ‘Allora mia cara ragazza, stiamo andando al quarto piano, dove ci sono le stanze per voi giovani adepti. Eccola qua, stanza X-57, hai tutto quello che ti occorre. Ci sono due sacche di sangue se hai fame, l’armadio e la bara personalizzata per dormire. C’è scritto il vostro nome. Non mi guardare strano signorina, presto scoprirai che non riuscirai a dormire in nessun’altra sistemazione se non in una cassa da morto. E’ nella tua essenza ormai.’ ‘Eghh’ fece una smorfia Arielle. ‘Io e Aaron ora andiamo. Hai quindici minuti di tempo per rincontrarti con Aaron al piano terra. Ci sono altre cose che devi sapere. Ci rivedremo presto, Arielle Green’ ‘Ehm…ok, è…è stato un piacere Zakhariah’ ‘Figurati’ disse lui con voce vellutata. Poi girò i tacchi e se ne andò.
Arielle chiuse la porta, poi corse verso la finestra e la spalancò. Cristo, che vista mozzafiato. Erano in una selva dimenticata da Dio, spersa per le campagne inglesi, ma non riusciva a capire dove di preciso, seppure sapeva che si trovasse nell'Inghilterra del Nord. ‘Aspetta che forse ho ancora il cellulare con me’ e sì, nonostante il folle volo era ancora nella sua tasca, il suo Samsung Galaxy S4 era ancora vivo e vegeto. Accese il GPS (‘I vampiri usano il cellulare o si comportano come Dracula e company nel 1850?’) e scovò la posizione. ‘Eh immaginavo. Posizione non identificata, Northumberland, Inghilterra. Rivoglio Londra, uffa.’ Aprì la bara (sulla targhetta dorata c’era scritto proprio “Arielle Green, 17-3-1992 19-11-2010” ‘Ammazza che efficienza…tremendi proprio’) e si accoccolò al suo interno (‘Ma sì al di là del macabro che questa cosa emana, è comoda’) Com’era spoglia la sua stanza, com’era freddo e solitario il paesaggio, come era triste la sua nuova gente (Perlomeno Zakhariah aveva la stessa espressione felice di quando ti soffiano l’ultimo muffin da sotto il naso, o di quando ti sei lasciato con la ragazza, o peggio di quando stai morendo ecco appunto) Poi finalmente si concesse di avere fame. ‘Sangue. Oh cazzo.’ E in un baleno infilò la cannuccia nella sacca e la svuotò in un nanosecondo ‘Alla stregua di un frappuccino. Starbucks mi fa un baffo ormai’ e giunse ora di andare.
Ad attenderla al piano terra c’era Aaron, che la prese sottobraccio e la condusse in una stanzetta adiacente chiudendo la porta. Con enorme stupore Arielle comprese che era spoglia. ‘Qui accogliamo ogni nuovo membro della famiglia per spiegargli i concetti base su cui si fonderà la sua nuova esistenza. Bene Arielle, tu ora sei un vampiro, un demone, una figlia della notte (lascia stare la definizione “succhiasangue” che usano i tuoi coetanei umani) lo so che queste definizioni stonano un po’ con il tuo aspetto delicato, ma è così. Ti renderai conto che è così.’ ‘Oh senz’altro’ replicò Ari con una smorfia. ‘Tecnicamente sei morta, l’hai sperimentato tu stessa. I tuoi organi non sono più vitali ormai. Ma più precisamente sei non-morta: puoi vedere, sentire, muoverti, odorare e sentire l’acquolina in bocca. E puoi cibarti di sangue umano. Non solo: con il tempo scoprirai che questi cinque sensi sono amplificati.’ “Fico, sono una sorta di Wonder Woman trapassata” pensò ‘Passiamo al nutrimento: non uccidiamo da tempo, ormai: a volte succhiamo un po’ di sangue senza lasciar morire la preda, a volte rubiamo le sacche destinate alle trasfusioni negli ospedali. Quando hai fame, sentirai i tuoi canini allungarsi: servono per ledere i tessuti. Anche noi abbiamo sangue nelle vene, ma non è come quello umano. Anzi è molto più potente: bisogna farlo bere ad un umano per tramutarlo in vampiro, e ne bastano poche gocce per guarire le ferite umane. Ah a proposito, le ferite inferte ad un vampiro guariscono molto in fretta.’
‘E riguardo alla luce del sole? Voglio dire, brucerei viva se mi azzardassi ad uscire di giorno?’ ‘Ora non più: so che quello che dico ti sembrerà alquanto stupido, ma esistono le creme solari, quelle degli umani, sì. La scienza ha fatto progressi anche per i vampiri.’ ‘Di solito si preferisce evitare di uscire, ma in certe situazioni è necessario: devi cospargere il corpo di crema 60+ “Ti prego dimmi che stai scherzando”, ti vesti accuratamente e puoi uscire. Ovviamente la crema dopo alcune ora scompare e sarai vulnerabile di nuovo’
‘Puoi volare sai: trasformandoti in pipistrello. Sì questa cosa è vera. E non solo in un pipistrello: se vuoi anche passare inosservata, puoi trasformarti in nebbia’ "Ecco questa cosa è bellissima, ho sempre voluto essere invisibile: Harry Potter il tuo mantello non vale più niente"
‘E un’ultima cosa: attenta ad aglio, fuoco e paletti di frassino: se te li piantano nel cuore, ti priveranno del tuo sangue e morirai. Cioè, tecnicamente sei già morta, ma torneresti a far parte degli abitanti del cimitero’
'Hai domande, mia cara?'

'Si, ho una domanda molto semplice: ma perchè esistono i vampiri?'

'Sei perspicace, ragazzina. Nessun altro mi aveva mai fatto questa domanda: un vampiro solitamente si limita ad accettare la propria condizione e ad imparare a viverci. Ma questa è una storia molto lunga: se hai tempo stasera dopo la mezzanotte, te la racconterò'.
 

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