L'onda lunga di Euros

di esse198
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***




L’onda lunga di Euros
 


La cassetta della posta era colma di volantini. Sembrava fosse stata via qualche mese. Invece stava solo rientrando dalla sua canonica giornata di lavoro. Liberò tutte le cartacce e recuperò tre buste: due buste sottili contenevano comunicazioni dalla banca e una terza busta era gialla e imbottita, evidentemente proteggeva qualcosa di fragile.
Molly guardò con curiosità quella busta, salendo le scale. Non aveva un mittente e nemmeno un destinatario: era stata messa personalmente nella cassetta. Una volta entrata nell’appartamento si spogliò: tolse via il cappotto, la sciarpa, le scarpe. Poggiò il pacchetto sulla penisola della cucina. Si mosse nell’appartamento per svolgere i suoi gesti rituali. Poi l’occhio ricadde sulla busta. Appoggiò la schiena al bordo della penisola e cominciò ad aprirla.
Un attimo dopo rimise scarpe, sciarpa e cappotto, riprese la borsa e uscì.
 
A Baker Street l’atmosfera era immersa nella classica quotidianità: la piccola già messa a letto, John nella sua poltrona col suo portatile e Sherlock nell’altra con le gambe ripiegate e i piedi su di essa a litigare con la tv.
Il suono del campanello non li scompose più di tanto: i clienti arrivavano sempre a qualsiasi ora.
A scomporli fu scoprire chi era appena entrato e la sua espressione contrita.
Sherlock mise giù i piedi dalla poltrona, John chiuse il portatile e si spostò un po’ in avanti voltandosi a guardarla, Molly avanzò esitante verso i due uomini allungando la busta gialla, ma soprattutto il suo contenuto: un dvd.
Molly aveva saputo dei dvd di Mary per Sherlock e John. Quello sembrava uno di essi, ma c’era su scritto “I love you”. Si chiese perché era stato portato da lei e sì, aveva agito d’impulso. Non aveva nemmeno provato a guardarlo. Aveva pensato ai suoi due amici e si era precipitata a Baker Street. Forse loro non c’entravano niente con quel dvd, ma aveva provato uno strano brivido di fronte a quell’oggetto, ma soprattutto di fronte a quella scritta. Alla fine aveva anche pensato che il mittente aveva sbagliato destinatario e si era convinta che fosse da parte di Mary per John.
Molly rabbrividì quando vide i due uomini sbiancare davanti a quell’oggetto. John aveva guardato con apprensione Sherlock e quest’ultimo, dopo aver accolto lo sguardo di John, aveva spostato l’attenzione su Molly. Poi prese il dvd. Lo rigirò tra le mani, lo scrutò a lungo. Temeva il peggio e si chiedeva già chi potesse aver fatto una crudeltà tale. O forse si stava sbagliando. Nel tempo aveva imparato che gli capitava spesso di sbagliarsi.
Fu John a sbloccare la situazione: gli strappò il dvd di mano
“Proviamo a vedere.” disse e lo infilò nel portatile.
Ci furono alcuni secondi di nero. Poi furono sufficienti i primissimi fotogrammi per far capire a Sherlock che non si era sbagliato. Il portatile fu poggiato sulla scrivania affollata di roba, era rivolto ai tre, Molly qualche passo indietro rispetto ai due uomini, come se quella cosa fosse una bomba pronta ad esplodere da cui stare alla larga.
“Forse è meglio fermarsi qui.” disse John con una mano sul bordo dello schermo.
“Decisamente.” lo seguì Sherlock velocemente piegando verso il basso lo schermo, e in un altro contesto sarebbe sembrato un ragazzino intento a nascondere qualche malefatta.
Ma Molly aveva già riconosciuto i tre uomini in quella stanza, aveva visto una bara e Sherlock aveva una pistola tra le mani. Si fece largo tra i due e rialzò lo schermo del computer, terrorizzata, ma quasi ipnotizzata. Restò in cappotto e sciarpa, e senza riuscire a staccare gli occhi dalle immagini, superò i due e si sedette alla scrivania, con le gambe di lato, un po’ storta, coprendo solo un angolo della sedia.
 
Furono i dieci minuti più lunghi della vita. Per John, per Molly e per Sherlock.
John rimase debitamente vicino alla donna, temeva un crollo, una crisi isterica, ma si accorse che a preoccuparlo di più era il suo amico. Il detective si muoveva nervosamente nella stanza. Non guardò mai le immagini sul laptop, ma sentiva perfettamente l’audio e ciò era sufficiente per far riaffiorare in modo nitido nella sua mente tutti i suoi ricordi, tutti i suoi incubi. A un certo punto scattò verso la scrivania “Andiamo! Adesso basta, mi sembra più che sufficiente!”
Molly non staccò ancora lo sguardo, ma una mano decisa aprì il suo palmo verso Sherlock e quella mano diceva “Assolutamente no.”
La ragazza sentiva il proprio corpo completamente in tensione, ogni muscolo del suo corpo era rigido, aveva persino male. Il respiro sembrava rimasto sospeso per tutto il tempo, gli occhi non batterono ciglio e la mente sembrava aver annullato qualunque pensiero o forse erano talmente affollati, talmente sovrapposti da annullarsi. Perché mentre guardava quel video si rese conto di ciò che era effettivamente successo in quei giorni innominati, si rese conto che tutti – TUTTI – avevano  assistito a quell’umiliazione. Si rese conto di odiare quella voce femminile che le aveva inflitto quel dolore, quella voce sadica di cui non vedeva un volto, quella voce, lo sapeva, che apparteneva alla sorella di Sherlock. Si rese conto di essere sotto shock e che i suoi occhi non erano nemmeno più capaci di produrre lacrime, eravamo oltre. Molto oltre. E si rese conto che per quanto fosse straziante, lacerante, non riusciva a porre fine a quell’agonia. Finché quell’agonia non si spense da sola.
Sherlock aveva distrutto la sua bara e poi i tre erano usciti da quella maledetta stanza. E tornò il nero.
Solo allora Molly fece un profondo sospiro, riprese fiato, sbatté le palpebre e si portò la mani davanti la bocca. Ebbe un sussulto.
Adesso Sherlock si era avvicinato e aveva chiuso con violenza il computer. Probabilmente lo aveva rotto.
La guardava con rabbia.
“Soddisfatta?” soffiò con uno sguardo che John faticava a riconoscere.
“Peccato che non ci sia la continuazione! Ti sarebbe piaciuto: nell’altra stanza ho dovuto scegliere tra mio fratello e il mio amico. Dovevo sparare a uno dei due, ma ho deciso di sparare a me stesso e allora sono finito nella nostra vecchia casa di famiglia con John in un pozzo e pochi minuti a disposizione per tirarlo fuori da lì!” sbottò come un fiume in piena, senza riuscire a fermarsi. John aveva provato ad avvicinarsi per calmarlo, ma capì che Sherlock in quel momento era irrefrenabile. “O forse vuoi maggiori dettagli?”
Molly alzò sconvolta lo sguardo vero l’uomo che le stava rivolgendo tutte quelle accuse insensate. E vide un uomo fuori di sé. Forse in un altro momento avrebbe capito, avrebbe compreso, lo avrebbe in qualche modo calmato o consolato, perché era chiaro che Sherlock in quel momento era sopraffatto dalle emozioni e dall’orrore riemerso da quel video. Ma non era un altro momento, era quel momento e in quell’esatto istante anche Molly era fuori di sé, sopraffatta anche lei da quelle immagini così sconvolgenti. Per cui si alzò e gli si fece vicina: “Cosa diavolo stai dicendo?”
“Dovevi capirlo di cosa si trattava! Cos’altro ti aspettavi che fosse? Con quella scritta “I love you” – disse quelle parole marcandole, quasi in senso di sfida, quasi con derisione, con quel suo sarcasmo cattivo che John aveva visto poche volte e cioè quando aveva paura.
“Sherlock…” provò il dottore con voce bassa e uno sguardo che lo invitava a un minimo di autocontrollo. Ma il suo amico il controllo lo aveva perso alla vista di quel dvd.
“Cosa ti aspettavi? Una dichiarazione d’amore? Per te? Pensavi fosse uno di quei film romantici che piacciono a te? Dovevamo preparare i popcorn!”
“Sherlock, basta!” fece John con maggiore decisione.
“Io non avevo minimente idea del suo contenuto!” sbottò Molly alzando il tono della voce. “Nessuno mi ha mai anche solo accennato a quel che accadde in quei giorni. Ho ricevuto solo delle pallide scuse, e io me le sono tenute. Come sempre ho cercato di capire, di andare oltre, di vedere oltre, di vedere del buono in te, perché ero convinta che fosse così. Ma sai cosa? Mi sbagliavo, mi sono sempre sbagliata. Perché tu, Sherlock Holmes, sei solo un fottutissimo egoista del cazzo! E io non voglio più avere a che fare con te, con la tua famiglia psicopatica e con tutto questo!” concluse facendo un gesto che sembrava includere tutta Baker Street.
Raccolse la borsa e sbatté forte la porta dietro di sé.
Sherlock si mosse ancora nervosamente, John avvertì un moto di paura quando lo sentì fare un verso strano e poi lo vide scaraventare con violenza tutto ciò che era sulla scrivania. Si accasciò infine sul divano con la testa tra le mani.
Un pianto di bambina arrivò dall’altra stanza. 




Note: salve a tutti! mi è presa la malattia sherlolly... scusate.
dunque questa è una cosa strana, forse. ho messo OOC perchè temo di essere andata un pò oltre, ma fatemi sapere cosa ne pensate.
ci sarà una seconda parte che attende di essere revisionata, quindi aggiornerò presto.
intanto se volete farmi sapere che ne pensate, ne sarei molto contenta!
grazie!
silvia

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***






“L’onda lunga di Euros.” esordì John, lasciandosi stancamente sedere sulla poltrona di fronte alla scrivania di Mycroft, dopo avervi lanciato qualcosa.
Sul piano della scrivania giaceva il dvd incriminato, con la sua bella scritta che nella famiglia Holmes ormai evocava solo incubi, invece di bei sentimenti d’amore.
Il maggiore degli Holmes infatti sgranò gli occhi e chiese: “è quello che penso?”
Il soldato annuì.
“Chi l’ha visto?”
“Io, Sherlock e… “ John fece una pausa piena di significato “e Molly.” Completò.
“La signorina Molly Hooper?” chiese conferma come se non fosse abbastanza ovvio.
“Oh, mio dio!” aveva esclamato poi sommessamente passandosi le mani sul viso, in un moto di sconforto.
John si sistemò sulla poltrona, tirò un lembo del giubbotto a coprirsi, in un gesto meccanico.
“Sherlock non esce di casa, parla a monosillabi, quasi non mangia. E non compone neanche.” Il soldato fece una pausa, si soffermò a guardare bene Mycroft. “Ha litigato con Molly. Lei ha sbattuto la porta ed è uscita dalla sua vita.”
Una sintesi perfetta ed esaustiva degli ultimi tre giorni.
John aveva pensato a lungo a quanto accaduto. E aveva assistito alle cose più assurde da quando aveva conosciuto Sherlock, ma non aveva mai visto un litigio alla pari tra lui e Molly, l’aveva vista schiaffeggiarlo, certo, ma non l’aveva ancora vista insultare il più grande consulente investigativo al mondo (anche perché unico, in effetti) e sbattere la porta. Non aveva mai assistito a tanta forza in un litigio, in un confronto carico di parole non dette, carico di tanto dolore. E temeva di essere arrivati a un punto di non ritorno.
“Domani c’è la visita mensile di Sherlock a Sherriford.” Si ricordò Mycroft.
“Sì, ecco. Sono qui anche per questo. Sarà meglio non lasciarlo andare da solo.” Concluse John, alzandosi e avviandosi verso l’uscita. E lasciando un Mycroft alquanto pensieroso.
 
 
Le note che Sherlock stava suonando non sembravano nemmeno note, e forse Sherlock non stava nemmeno suonando. Erano suoni acuti e stridenti, melodie brevissime che cambiavano rapidamente direzione, il ritmo era estenuante, l’archetto sembrava torturare quelle corde e gli occhi di ghiaccio erano puntati sulla sorella. Quest’ultima all’inizio aveva suonato con lui, ma aveva faticato a stargli dietro e dopo pochissimo aveva rinunciato ed era rimasta a guardarlo con una vaga espressione di stupore. Non ci mise molto a capire che quelle note erano parole piene di risentimento, rabbia, rancore. Allora mise via il suo strumento e gli voltò le spalle. Sherlock andò avanti fino alla fine. Perché quel rumore era studiato, aveva un inizio e una fine. Era una composizione come le altre, era un discorso ben preparato e lui doveva andare fino in fondo.
“Ti avevo perdonato, pensavo ci fossimo chiariti. Pensavo ci fossimo trovati.” Aveva detto alla fine della sua esecuzione. Il fiato corto, affaticato dalla performance impegnativa. Non avrebbe ricevuto risposta, lo sapeva. E quella pausa non ne attendeva una.
“Quel video non te lo perdonerò mai.”
 
Mycroft lo attendeva all’uscita della cella. Sherlock uscì furioso e nel suo mutismo.
Mycroft lo seguì.
“Sai come sono andate le cose, Sherlock. Non serve prendersela adesso con lei.” Cercava di farlo ragionare.
E Sherlock sì, lo sapeva.
“Dev’essere stato qualcuno che ha rispettato patti precedentemente accordati. Questo era l’ultimo atto, probabilmente.” Mycroft lo seguiva, cercava di tenere il passo, cercava di capire se il fratello lo stesse ascoltando.
“Non si è accorto che la recita era finita da un pezzo.” completò a mezza voce Sherlock.
“Intercetteremo e rintracceremo ogni registrazione, beccheremo il responsabile di quanto appena successo.” Gli prese un braccio per farlo voltare e per assicurarsi che lo guardasse bene in faccia mentre gli faceva quella promessa.
Sherlock non fiatò. Si voltò e salì sull’elicottero.
Le parole di Mycroft avevano in qualche modo colmato quel desiderio di vendetta e giustizia che provava, ma si rendeva conto che ormai nulla avrebbe avuto senso, non dopo quelle parole, non dopo aver perso Molly.
 
 
 
 
 
Il suo sistema immunitario alla fine aveva ceduto. Quel weekend Molly era rimasta a letto tutto il tempo, in preda ai dolori dell’influenza. La febbre alta l’aveva fatta dormire a lungo e profondamente, ma appena si svegliava ricomparivano all’istante i fotogrammi di quel video. Rivedeva Sherlock di fronte all’obiettivo, ma anche l’inquadratura laterale che le aveva rivelato che i tre l’avevano pure spiata durante quell’assurda conversazione. Sentiva dello sporco addosso a sé, un senso di vergogna profondo. E disprezzo. Quasi odio. Ma anche la reazione di Sherlock… quella forza bruta che lo aveva spinto in pochi secondi a fare brandelli di quella cassa di legno. E si ricordò del fragore che aveva fatto appena in tempo a sentire quella sera a Baker Street, prima di richiudersi il portone alle spalle e andarsene via per sempre da lì. Perché la sua decisione era rimasta ferma su quel punto: non aveva alcuna intenzione di tornare indietro, nulla avrebbe potuto essere come prima, mai più. Indubbiamente provava pena per Sherlock, per la sua devastazione, ma non riusciva a perdonargli quella sua reazione, ma soprattutto l’averla coinvolta in qualcosa di così distruttivo. E capiva, capiva tutto, capiva sempre, ma aveva l’impressione che nessuno avesse mai capito nulla di sé. Ed era stanca di tutto ciò.
Tornò al lavoro dopo quei due giorni, anche se aveva ancora l’influenza e la febbre era scesa, ma restare a casa avrebbe significato rimuginare sugli ultimi eventi e ciò le avrebbe fatto scoppiare la testa. Lavorare le avrebbe consentito di cacciare tutto sullo sfondo, almeno per un po’, e magari avrebbe reso tutto un po’ meno importante.
 
 
Furono mesi strani. La rottura tra il detective e la patologa si ripercosse sull’iter delle indagini, divenne tutto molto meno lineare, molto meno semplice. E se da un lato Molly si rivelò, come prevedibile, bravissima a sparire, dall’altro Sherlock sembrava fare di tutto per farsi notare e inevitabilmente gli episodi di stizza contro qualunque patologo incompetente arrivavano alle orecchie di Molly. E per forza di cose anche Lestrade si trovò a dover gestire una situazione, in verità, davvero ingestibile. Continuava a lanciare occhiate al povero John, richieste d’aiuto perché intervenisse, perché facesse qualcosa. E John i suoi tentativi li aveva fatti, aveva contattato più volte Molly. In realtà non lo aveva fatto solo per rimediare tra lei e Sherlock, anche perché la situazione era un po’ troppo complicata per essere mediata, ma era preoccupato, gli interessava sapere come stava la ragazza, e aldilà di tutto Molly restava la madrina di Rosie e solo per questo John avrebbe mantenuto saldamente i rapporti con lei. D’altra parte non aveva molto da dire in difesa del suo amico, si era scusato più volte con lei per il suo comportamento, per tutto quanto, per quell’enorme faccenda. Ma le disse anche che, in effetti, non c’erano più parole che potessero spiegare, comprendere, giustificare quanto successo quella sera a Baker Street. Anche perché il soldato era convinto che quella era una faccenda che dovevano risolvere solo loro due, che per quanto potesse intercedere, la questione restava sospesa fino a che uno dei due non avesse fatto un passo verso l’altro.
Ma ciò non toglieva che una spintarella bisognava pur darla…
 
“Credo che dovresti parlare con Molly.”
Questo era il tipico attacco che John tentava a intervalli regolari.
E di solito Sherlock ignorava e non rispondeva.
“Hai sentito anche tu cos’ha detto.” aveva bofonchiato stavolta il detective.
“Ho sentito anche quel che le hai detto tu.”
Sherlock accolse la risposta dell’amico, cogliendone il significato nascosto: entrambi non pensavano davvero quel che si erano detti.
“Non è la stessa cosa. Proprio per quel che ho detto, lei era ben consapevole della sua risposta.”
“Beh, indubbiamente è stata provocata…” ammise John.
Nonostante ciò non riusciva a capire, non riusciva ad accettare che le cose dovessero rimanere a quel punto e aveva maturato una consapevolezza da tempo.
“È strano…” disse “quanto è successo a Sherrinford è qualcosa che vi ha devastato, probabilmente allo stesso modo. Questo avrebbe dovuto avvicinarvi in qualche modo, invece vi ha irrimediabilmente separati.”
Sherlock, che era rimasto immobile al suo microscopio, si mosse sulla sedia, manifestando un certo fastidio a quelle parole.
“In che modo avrebbe dovuto avvicinarci?” chiese quasi sbuffando.
“Avreste dovuto affrontarlo e superarlo insieme. Invece vi siete ostinati a farvi guerra e a lottare ognuno per conto proprio.”
 
 
Il turno quella sera era stato lungo ed estenuante. Molly aveva caricato sulla spalla la sua grande borsa e si apprestava a tornare a casa. Aprì la porta e si avviò verso l’altra uscita.
“Quel che provi è ciò che provo anch’io.”
La voce di Sherlock l’aveva fatta sobbalzare, esattamente come diversi anni prima, quando le aveva chiesto il suo aiuto, mettendo da parte ogni orgoglio e aprendosi a lei per la prima volta.
“È rabbia, smarrimento, imbarazzo. Ostinazione. Ma non verso di te, né il tuo verso di me.”
La sua figura si stagliava nera sul bianco del corridoio vuoto. Come allora parlava senza guardarla.
“E io… devo ammetterlo… ho delle grosse difficoltà ad andare avanti senza di te.”
Poi posò lo sguardo su di lei.
“Tu conti. Ricordi? Sempre. Da sempre. Questo non è mai cambiato. Anzi, forse sei diventata sempre più importante, altrimenti Euros non mi avrebbe messo alla prova con te. E mi dispiace. Davvero. Mi dispiace. Vorrei tanto tu potessi perdonarmi.”
Aveva mosso qualche passo verso di lei.
La donna lo guardava sconvolta. Di nuovo. Il cuore accelerò i battiti. Si portò le mani sulla bocca.
“Oh, Sherlock!”
Le lacrime risalirono fino alle ciglia, come un fiume sgorgarono incontrollabili, come se in quei mesi le avesse trattenute tutte quante, come se volesse dimostrare a se stessa di essere forte. Ma quelle parole, quella voce, quegli occhi la fecero crollare e lasciò cadere tutte le difese. Sedendosi su una delle panchine di quel corridoio deserto, si lasciò andare a quello sfogo.
Sherlock rimase basito, incerto sul da farsi, desideroso di toccarla, ma timoroso di un rifiuto. Le si sedette accanto, attento a che i loro corpi non si sfiorassero nemmeno.
“Quelle parole erano mie, solo mie. Erano i miei sentimenti, la cosa più intima che avessi. Mi sono sentita spogliata, violata. Mi sono state estorte e poi spiattellate. Adesso non riesco nemmeno a pensarle. Mi sembra che tutto abbia perso senso.”
Ecco cosa aveva provato, ecco come si era sentita in tutto quel tempo. Finalmente era venuto fuori e sentiva come se si fosse liberata di una verità troppo ingombrante.
“Molly…” sussurrò lui e le si fece più vicino.
“Scusa…” disse la ragazza, tra un singhiozzo e l’altro. Sherlock sgranò lo sguardo. Perché si stava scusando?
“Per gli insulti di quella sera.” completò Molly, rispondendo alla sua domanda inespressa.
“Dimentichiamo quella sera, ok?”
Molly girò leggermente il corpo verso di lui, le ginocchia si toccarono e Sherlock non riuscì più a trattenersi: poggiò una mano sulla spalla di Molly e la strinse delicatamente a sé, le labbra sui capelli. Il profumo del suo shampoo gli riempì piacevolmente le narici, serrò le palpebre e ne inspirò il più possibile.
Attese che il pianto scemasse, in silenzio.
Molly, a quel tocco, si rilassò gradualmente. Il calore del suo corpo la rassicurò, la calmò. Lui che aveva tanto odiato, lui che aveva deciso di non rivedere mai più. Tra le sue braccia ritrovò una pace insperata, un senso smarrito chissà dove. Era come tornare a trovare l’incastro giusto tra due tessere di un puzzle.
Le luci al neon del corridoio non erano tutte accese, a quell’ora tarda in quel reparto non c’era nessuno. Regnava il silenzio assoluto, solo il rumore del traffico giungeva ovattato dall’esterno.
E il respiro di Sherlock e Molly.
Molly asciugò le ultime lacrime e si scostò. Sherlock sciolse l’abbraccio a malincuore. Cercò di scrutarne il viso, ancora basso. La sua voce giunse meno acuta, un po’ arrochita.
“Il lavoro in laboratorio rasenta la noia senza di te.” ammise con un’umbra di ironia.
Sherlock sorrise, forse tirò un sospiro di sollievo. Non per l’accesso al laboratorio, ovviamente. Pensò che forse le cose sarebbero tornate come prima, forse lentamente e con molta pazienza lui e Molly sarebbero tornati quelli di un tempo.
 
Quella sera John vide rientrare uno Sherlock stanco, ma con un accenno di sorriso sulle labbra. Gli sembrò addirittura rilassato.
Dal giorno dopo il cielo di Londra assunse un colore turchino che non si vedeva da mesi, le temperature si alzarono e la primavera cominciò a fare capolino, timidamente, forse con una punta di timore.
E quando, qualche giorno dopo, John entrò con Sherlock nel laboratorio del Bart’s e vi trovò Molly, all’uscita il sole gli sembrò brillare più del solito.
 
Presto la piccola Rosie compì il suo primo anno di vita. John raccolse le persone a lui care al 221b di Baker Street. Fu una festicciola piccola, ma calorosa e Rosie sembrò proprio essersi divertita.
Tutti notarono con piacere che la presenza nella stessa stanza del detective e della patologa non emanava alcuna tensione. Sembrava davvero tutto risolto.
La serata trascorse piacevole, nonostante Sherlock si tenesse defilato, nonostante le sue battute sarcastiche su Greg e la sua vita sentimentale, nonostante i suoi insegnamenti così poco ortodossi alla piccola Rosie.
Molly ritrovò l’antico affetto e calore dei suoi amici.   
Quando Molly uscì dal bagno, quasi a fine serata per lavare le mani che aveva sporcato con la panna della torta, la signora Hudson e Lestrade erano spariti.
“La signora Hudson era un po’ stanca, Lestrade è dovuto scappare in centrale.” Spiegò John al punto di domanda sul viso della patologa.
“Anch’io mi ritiro con la piccola, è stanca anche lei.” Aggiunse, baciò la donna e le sussurrò che avrebbe potuto restare, se voleva.
Una volta sparito John con la piccola, Molly fece per prendere la borsa.
“Beh, vado anch’io allora.”
Sherlock guardava fuori dalla finestra.
“Sono rimasti ancora… “ iniziò esitante e una mano puntava il vassoio con i dolci “I tuoi preferiti…” abbozzò. E finalmente ebbe il coraggio di guardarla.
Lei accennò un sorriso, ne prese uno e lo addentò.
Se ne stavano in piedi in mezzo alla stanza, come fossero due estranei, come se quella casa fosse una sconosciuta anche lei.
“Hai risolto il caso?” gli chiese.
“Sì.”
“Appena in tempo per la festa?”
“Sì.”
“E John non ha capito che hai rischiato di non arrivare in tempo.”
“No.”
Sorrisero sornioni.
“Vuoi che ti racconti com’è andata?” propose Sherlock e sembrava non vedesse l’ora.
“Perché no?” rispose lei.
Sherlock con un’occhiata la invitò a sedersi sul divano. Poi la seguì e le si sedette accanto.
 
La piccola Rosie aveva avuto un incubo. John aveva dovuto tranquillizzarla, era rimasto accanto al suo lettino a lungo, furono necessarie tante rassicurazione e carezze. Alla fine la piccola si riaddormentò. Era notte fonda e fu allora che gli arrivò un chiacchiericcio dal piano di sotto. Possibile che fossero Sherlock e Molly?
Si affacciò sul pianerottolo per distinguere meglio le voci. Sì, erano le loro inconfondibili voci. Era stranamente piacevole sentire i due timbri mescolarsi in quel loro parlottare sommesso. A un certo punto sentì chiaramente una risata.
I due se la ridevano.
Dopo tutto quell’inferno adesso se la ridevano come se niente fosse. Ma sorrise anche lui. Tirò un sospiro di sollievo e tornò a letto.
 
Col tempo John poté testimoniare che Sherlock e Molly non usarono mai parole d’amore. Non quelle convenzionali, almeno. Non quelle lì, quelle che tutti desiderano poter dichiarare almeno una volta nella vita, quelle che vorrebbero sentirsi ricambiare. Trovarono altri modi per testimoniare il reciproco amore, trovarono soprattutto molti gesti, intimi e personali. Un loro codice segreto che ogni tanto il soldato riusciva a intercettare e decifrare.
Sherlock e Molly non si sposarono mai. Ma lo furono per tutta la vita.









Note: salve a tutti!
ed ecco la seconda e ultima parte!
spero vi sia piaciuta!
grazie a tutti coloro che hanno letto e che hanno inserito questa storia tra le loro preferite e seguite :)
attendo opinioni, se vi va!
alla prossima
silvia
 
 

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