breathless

di http__diletta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** casual meetings ***
Capitolo 2: *** party? ***



Capitolo 1
*** casual meetings ***


Erano circa le 8.30 di sera, quel giorno… venivo da una sbronzata tra amici ma, con i limiti che  il dover guidare mi imponeva, potevo dire al massimo di essermi ubriacata di coca-cola. Cazzo non è bello vedere i propri amici trangugiare alcol come se fossero noccioline mentre tu sorseggi imbarazzata una lattina di pepsi, ma ne fui grata quando mi misi in macchina con tutti i neuroni apposto.
 In quel momento pensavo solo a tornare a casa sana e salva. Per raggiungere casa mia dalla birreria Lux dovevo attraversare una miriade di vicoli pieni di drogati maniaci: lo detestavo. Mi arrivò un messaggio su Whatsapp e senza togliere il piede dall’acceleratore  mi chinai a guardare lo schermo. Un botto mi fece sobbalzare, il vetro si frantumò e l’Airbag mi esplose nella pancia. Sentii il mio braccio che implorava aiuto, lo sottrarsi alla palla dell’airbag e notai una sostanza color fragola su di esso. Capii subito che era sangue, ma non me ne importò molto: adesso dovevo vedere come me la dovevo sbrigare con la questione dell’incidente. 
Avevo sbattuto con una meravigliosa jeep bianca, che adesso per colpa mia aveva il muso tutto accartocciato: non osavo guardare la mia auto.
Vidi lo sportello aprirsi e mi aspettai che uscisse uno di quei malviventi che giravano di solito da quelle parti con la musica a mille (che soprattutto quando stai già dormendo ti fa salire il nazismo) e che fumano come dei turchi tanto da ridurre l’abitacolo della macchina a una camera a gas. Incredibilmente il ragazzo che uscì era diverso. Degli allegri ricciolini gli incorniciavano il volto sul quale spiccavano due enormi occhi verdi, indossava un cappotto con l’interno di pelliccia, un paio di blue jeans e degli scarponcini. La prima cosa che pensai fu che assomigliava vagamente ad Harry Styles dei One Direction. Aveva l’atteggiamento leggermente incazzato... non era uno degli ubriaconi drogati che vagavano per le strade con le siringhe in mano, ma lo inquadrai subito.
Forse era anche peggio.
Era il classico ragazzo stronzetto e popolare con i soldi che si sente incredibilmente figo... Abbandonai la mia cabriolet timorosa, ma appena mi vide lo sguardo del ragazzo si addolcì.
«Ehm… piacere.» cominciai. Come inizio non era un granché ma non potevo certo dirgli “ehi bel ricciolino scusa se adesso per colpa mia la tua maestosa macchina sembra un armadillo stitico”. Questo era chiaro.
«Che ti salta in testa? Ma stavi guardando la strada? Spero almeno che tu abbia la patente...» ringhiò aggressivo perdendo tutta la dolcezza che mi era sembrato di leggere nei suoi occhi inizialmente, io indietreggiai e mi appoggiai alla macchina guardinga. Il ragazzo al che sorrise con sufficienza:
«Tranquilla dolcezza, non mordo...» oh cazzo con questa gentilezza aveva stravolto tutti i miei piani di Kung Fu avanzato e di fuga rapida. Feci per aprire bocca ma lui mi precedette:
«Sei ferita?» nascosi il braccio dietro la schiena. Nonostante fosse premuroso mi guardava scuotendo ritmicamente i riccioli e con un sorrisetto da "mister so' figo so' bello so' fotomodello, inchinati ai miei piedi che sono un re":
«No... no, davvero sto bene. Giungiamo subito al momento in cui mi dici quanto ti devo dare per aggiustare l'auto.»
«Guarda che non intendo farlo.»
«No?» chiesi con un sospiro di sollievo e vagamente stupita.
«No... comunque sei ferita. Non fare l’orgogliosa dai, vuoi che chiami l’ambulanza?» continuava a fissarmi con quello sguardo di sufficienza, lo bloccai:
«Non è niente… è solo un taglietto.»
«Mi dispiace per l'incidente.» disse alla fine. Diventava più gentile, ma quel vago atteggiamento di superiorità un po' fastidioso non accennava ad andare via. Questo però faceva parte della natura di quelli come lui, già era tanto che era stato educato. 
«È stata colpa mia, perché ti dispiace?» chiesi con un risolino isterico. 
«Ti sei fatta male e mi dispiace… anche se abbiamo sbattuto perché guidi peggio della mia bisnonna tetraplegica.»
«Faccio finta di non aver sentito il tuo riferimento alla bisnonna... grazie per non volermi denunciare e farmi pagare l'assicurazione. Grazie davvero.» fece spallucce.
«Una cosa da niente… comunque sono Harry.»
«È uno scherzo?» borbottai tra me e me, e lui aggrottò la fronte. Prima che però potesse chiedermi spiegazioni  gli porsi la mano:
«Piacere, Alison.» perché diavolo ci stavamo presentando? Se mi andava bene non lo avrei rivisto mai più, almeno era quello che speravo dato che la sua presenza cominciava a farmi saltellare lo stomaco. O era la sua bellezza?
«Sicura di stare bene?» mi chiese con una faccia che sembrava che si sentisse obbligato a domandarmelo.
«Si sto bene, ciao.» “no buono Alison, no buono” iniziai  pensare quando dopo avergli stretto la mia mano mi accorsi di star immaginando una scena di noi due vietata ai minori di  diciotto anni. Era un bel ragazzo sì, beh magari anche più di un “bel ragazzo”… ma era solo quello e non lo avevo mai visto prima in tutta la mia vita. Non avrei dovuto reagire così. Cazzo.
«A mai più rivederci...» borbottò con un sorrisetto, e io mi girai con gli occhi a cuoricini ma sentii una voce:
«Alison?» 
«Si?»
«Una ragazza bella come te non dovrebbe girare a quest'ora sola in quartiere malfamato come questo.» arrossii e lui continuò:
«Vuoi che ti accompagno a casa io? Con certa gente in giro...» gli occhi mi letteralmente volarono fuori dalle orbite ( se ve lo stesse chiedendo sì, a mo' di Boccino D'Oro). Nonostante l’idea mi allettasse avevo ancora un po’ di buona creanza dentro di me, ed ero abbastanza certa che farmi accompagnare a casa da quel ragazzo infrangesse almeno un centinaio delle raccomandazioni che mi faceva mia madre da quando avevo sei anni.
«Non se ne parla... Non è conveniente.» alzò le spalle e fece per infilarsi in macchina. Mi girai e notai un gruppo di ubriachi che barcollavano verso di me. Bene.
«Ehilà bellezza...» erano così vicini che potevo già affumicarmi con il loro alito che puzzava di alcol peggio di una botte di vino.
«Oh cielo…»
«Me la dai, tesoro?» cominciai a indietreggiare scuotendo il capo.
«Scopiamo.» magari più diretto? 
«Harry?» mormorai a denti stretti con gli occhi lucidi. Ovviamente il riccio non mi sentì. Terrorizzata gridai:
«Harry!» ero a pochi metri dal muro e mi stavano per accerchiare. I maniaci cominciavano a farmi gesti sconci davanti e non c'era bisogno di un intelligenza particolare per capire che con me. Con tutto il fiato che avevo in gola strillai:
«Harry!» bene, stavo invocando il nome di uno fighetto sconosciuto per farmi aiutare in quella situazione difficile. Mi girai e cominciai a correre ma finii tra le braccia di qualcuno. Pensando fosse uno di loro cominciai a divincolarmi e gli diedi un calcio nelle palle. Sentii un gemito familiare, ma quella persona continuò a stringermi e mi mormorò:
«Non ti preoccupare, sono io.» alzai lo sguardo: era Harry. Ottimo, in dieci minuti gli avevo distrutto la macchina e dato un calcio nelle parti basse. Aveva sentito le mie urla ed era venuto, così mentre cacciava gli ubriachi io continuai a stringerlo spaventata ma incredibilmente grata. 
Non succede sempre che un incidente stradale ti cambi la vita, ma la mia cambiò per sempre.

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Capitolo 2
*** party? ***


In macchina per arrivare a casa, dopo qualche secondo di silenzio, Harry mi disse:
«Ho diciotto anni, almeno quasi, li compio domani»
«Interessante.» non era la risposta che sperava, perché subito dopo chiese:
«Tu?»
«Sedici…» mentre parlavo notai che mi fissava in modo strano:
«Perché mi guardi in questo modo?» si scosse.
«Perché sei bellissima…» il mio viso assunse la tonalità di un pomodoro.
«G-grazie.»
«Hai visto che avevo ragione sull’accompagnarti a casa?» feci un sorriso da ebete.
«Beh, si! Se non fossi arrivato tu domani mi avresti trovata sulla copertina di “Chi l’ha visto”.» nonostante la mia battuta fosse di uno squallore unico, lui rise.
«Bene, la casa è questa.»
«Ok, ci sentiamo Alison.»
«Ci sentiamo riccio.» scherzai, e lui mi infilò in mano un pezzo di carta. Lo aprii. Sopra c’era un numero di telefono, con scarabocchiato un nome: Harry Blake. Oddio, lui intendeva davvero continuare a sentirci, non lo aveva detto come una stupida e obbligatoria formalità.
«È Hale.»
«Che?»
«Il mio cognome, è Hale» gli comunicai.
«Arrivederci Harry Blake»
«Arrivederci Alison Hale» mi girai e mi diressi verso casa.
Quella notte mi misi a letto con il cuore leggero e sognai tanti piccoli Cupido che scagliavano minuscole freccette rosa su me e su H… ma che cazzate sto dicendo?!
L’indomani aprii gli occhi e mi trovai davanti dei riccioli castani. Presi ad accarezzarli:
«Che bei capelli che hai Harry…» poi mi accorsi che stavo accarezzando il sedere del mio cane:
«Oh cazzo Ares scendi subito dal mio letto.» borbottai seccata, e una voce mi chiese:
«Ammettilo, ti piace Harry.» io commentai:
«Zitta stupida coscienza.»
«Ma che coscienza e coscienza? Sono tua madre Alison!» alzai lo sguardo. Mia madre mi fissava in modo strano: sì, ero davvero nel mondo dei sogni.
«Ma se non sai nemmeno chi è Harry!» fece spallucce e se ne andò.
Io mi avvicinai all’enorme specchio che avevo appeso alla parete e cominciai a pettinarmi. Il braccio mi bruciava un po’, ma era un dolore… agrodolce! Nel senso che faceva male, ma mi ricordava anche l’incontro con il riccio. Scossi la lunga e liscia chioma bionda, mi girai e vidi un aereoplanino di carta verde. Avevo dimenticato la finestra aperta quella notte e qualcuno si era divertito a giocare a basket. Aggrottando la fronte lo aprii e lessi:
Ciao piccola,
sei invitata alla megafesta che organizzo questa notte per il mio compleanno.
-HB
Stracciai l’invito. Non ci andrò, pensai.
Quel giorno lo persi interamente a rimuginare sulla festa. Mi aveva chiamata piccola? Chissà quante altre troie Harry chiama giornalmente “piccola”. Mi chiedevo. Tante probabilmente, era il tipo.
Alle otto di sera avevo ancora la testa al riccio.
«A cosa pensi tesoro?» domandò mia madre. Ero seduta pensierosa sul divano, con addosso una larga felpa di mio fratello che mi stava a dir poco enorme.
«Niente ma’»
«Secondi me dovresti andare a quella festa.»
«Che?» sobbalzai girandomi di scatto e fissando i pezzi dell’invito stracciato in mano a mia madre.
«Lei non va da nessuna parte.» sorpresa fissai mio fratello che era appena entrato nella stanza.
«Su Nick, non essere così protettivo con tua sorella.» lui sbuffò ma io borbottai:
«Può anche esserlo, tanto io non ci vado.»
«Fai come vuoi, ma secondo me dovresti andare.» sì esatto, mia madre non è proprio la classica madre convenzionale. Mia madre mi fece l’occhiolino e lasciò la stanza canticchiando in modo molto stonato “Jingle Bells” e “dieci renne” (da notare che eravamo a Luglio).
La prima ora passò alla velocità di una tartaruga zoppa, ogni santo minuto fissavo con i miei grandi occhi azzurri il quadrante dell’orologio. Alle 11:30 pensai “sono ancora in tempo per andare!”. Poi scossi la testa e tuffai il viso nella felpa di Nick che avevo addosso.
Fu così che comparvero i due fatidici “angioletto e diavoletto” sulle mie spalle. Avete presente quelli di Tom & Jerry? La buona coscienza e la cattiva coscienza? Comunque comparvero sulle mie spalle. Il diavoletto mi intimava di andare alla festa di Harry, l’angioletto mi consigliava di non farlo. Sarà perché sono un tipo ribelle, un tipo guerriero, il tipo di ragazza che da bambina non rifiutava certamente la corona, ma sotto l’ampia gonna da principessa indossava le converse e pretendeva l’arco dalle frecce a ventosa, ma scelsi il diavoletto. (Che poesia in questo rigo).
Corsi in camera mia chiudendomi la porta alle spalle, mi poggiai su di essa con la schiena e tirai un profondo sospiro.
 

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