La bella e la bestia

di Echocide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Adrien Agreste; Marinette Dupain-Cheng; Altri
Genere: fantastico, romantico
Rating: G
Avvertimenti: AU, longfic,
Wordcount: 1.194 (Fidipù)
Note: Allora, io non avevo in mente di iniziare questa storia, veramente. Nonostante qualcuno mi passasse fanart o altro, ho cercato di resistere ma questo Qualcuno è stato veramente insistente e quindi...beh, eccomi qua! Dopo La sirena, perché non mettere le mani anche su un'altra fiaba e rimaneggiarla? (Se continua così faccio la saga FairyTale, eh!) E quindi ecco che nasce questa storia che ricalca la storia originale (E' una storia sai, vera più che mai...ok, la smetto), che noterete fin dalle prime battute ha un che di diverso: l'ambientazione in cui si muovono i personaggi è quella steampunk (è un anno che sto provando a creare qualcosa di steampunk su Ladybug e, finalmente, ce l'ho fatta!) e...
Beh, vi lascio direttamente alla storia! Premetto che ancora non so quando l'aggiornerò perché devo ancora collocarla nel giusto ordine dei post settimanali, intanto metto questo primo capitolo come regalo a quel Qualcuno che mi ha scartavetrato (ovviamente sto scherzando!) affinché iniziassi anche questa storia (Ora basta, eh. Almeno finché non finisco qualcosa di quello che in corso).
In anticipo, voglio dire grazie a tutti coloro che leggeranno le mie parole, le commenteranno o semplicemente la inseriranno in una delle loro liste.
Grazie tantissimo!


Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente.
Benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo.
Accadde però che una notte di inverno una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe una rosa in cambio del riparo dal freddo pungente.
Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò.
Ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore.
Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata.
Il principe si scusò, ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto che non c'era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in una orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.
Vergognandosi del suo aspetto mostruoso la bestia si nascose nel castello con uno specchio magico come unica finestra sul mondo esterno.
La rosa che gli aveva offerto la fata era davvero una rosa incantata e sarebbe rimasta fiorita fino a che il principe avesse compiuto 21 anni.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe spezzato; in caso contrario sarebbe rimasto una bestia per sempre.
Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto e perse ogni speranza...
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
[Incipit de La bella e la bestia - 1991]


Tom Dupain si asciugò la fronte, alzando il viso verso il cielo grigio e sospirando: mancavano molte miglia e di certo non sarebbe tornato a casa quel giorno; strinse le redini del calesse e guidò i cavalli lungo il sentiero tortuoso, sperando di essere in prossimità di una locanda.
Un rumore meccanico gli fece di nuovo alzare la testa, notando un dirigibile solcare avventuroso quel cielo plumbeo: ricchi, pensò con tono di sfida l’uomo, trattenendo con più forze le cinghie dei cavalli e pregando che il suono non li spaventasse.
Speranza vana, poiché lo scoppio di un tuono nelle vicinanze, li fece imbizzarrire: Tom aumentò la presa sulle redini, usando tutta la sua forza per trattenerli mentre questi correvano lungo il sentiero, reso accidentato dalla pioggia.
Doveva fare qualcosa.
Doveva assolutamente fare qualcosa o non sarebbe uscito vivo da tutto ciò.
Strinse i denti e, con tutta la sua forza, costrinse gli animali a curvare onde evitare di finire fuori dalla strada, mentre la folla corsa continuava; l’uomo si chinò per evitare un ramo in pieno viso e, usando nuovamente le sue energie, costrinse i cavalli a lasciare la strada maestra per entrare in un piccolo sentiero che portava verso l’alto della montagna che, fino a quel momento, aveva costeggiato e sperando che, con la salita, le bestie si sarebbero stancate maggiormente.
Tom respirò a fondo, sentendo la forza degli animali venir sempre meno e, alla fine, gli animali sebbene ancora spaventati fermarono la loro corsa: «Dove siamo finiti?» mormorò l’uomo, balzando a terra e, sempre tenendo le cinghie, avvicinandosi lentamente ai musi dei due cavalli, carezzandoli dolcemente in modo da calmarli.
Si guardò attorno, cercando di capire dove quella corsa pazza lo avesse portato ma tutto ciò che riusciva a vedere era solo un muro, che aveva ceduto il potere alla natura selvaggia: «Dove sono finito?» ripeté Tom, mentre un lampo squarciava il cielo e illuminava la notte, mostrando la figura maestosa dell’abitazione al di là della recinzione muraria.
Tom carezzò il muso ai due cavalli, stringendo le redini e facendo un passo in avanti, tirando leggermente le bestie per seguirlo: forse, più avanti, avrebbe trovato un cancello.
Forse in quel castello, arroccato su quello spunzone di montagna, qualcuno lo avrebbe aiutato.
Forse sarebbe riuscito a tornare a casa, da sua moglie e sua figlia.


Il motore scoppiettò all’improvviso e rilasciò una nube di fumo nero direttamente in faccia alla ragazza che, tossendo, si alzò velocemente dalla sua postazione, per avvicinarsi alla finestra e spalancarla in modo che l’aria satura di fuliggine venisse in qualche modo cambiata da quella pulita esterna.
Pulita.
Beh, per quanto poteva essere pulita l’aria di Parigi in quel periodo.
Alzò la testa, osservando alcuni dirigibili solcare il cielo: ricchi, pensò mentre si toglieva gli occhiali da saldatore e li teneva in mano, mentre studiava le linee dei mezzi che attraversavano il cielo. Le sarebbe piaciuto creare un qualcosa di simile, un giorno…
Magari meno ingombrante e con una forma più elegante.
Forse anche un qualcosa di più leggero, in modo che si potesse muovere più veloce e non con il passo pesante che avevano quelli.
Con un sospiro si voltò, e posò gli occhiali sul ripiano lì vicino, storcendo la bocca alla vista che le rimandava lo specchio che aveva appeso sopra: il suo viso era completamente sporco di fuliggine e così anche la parte superiore della maglia chiara che indossava.
I capelli? Un disastro.
E presto Monsieur Bourgeois sarebbe giunto per ritirare il suo lavoro, con l’odiosa figlia al seguito che le avrebbe fatto notare quanto carente fosse in fatto di buone maniere e lato prettamente femminile.
La ragazza sospirò, cercando di ripulirsi alla meglio, ma peggiorando solo il lavoro: con uno sbuffo, si tolse i guanti da lavoratore e li gettò accanto agli occhiali: «Sei fortunata che non ti interessa sposarti, Marinette Dupain-Cheng.» dichiarò al proprio riflesso, fissandolo sconsolata: «Nessun uomo ti vorrebbe in questo stato. Nessuno. Fidati.»
«Marinette! Marinette!» la voce della madre la mise in allerta e la ragazza si guardò attorno, pensando velocemente a come far sparire il danno che aveva compiuto: «Marinette, cosa è…?» la porta del suo laboratorio si aprì di schianto e una donna piccola e formosa si fermò sulla soglia, osservando a bocca aperta il risultato dello scoppio del motore.
Fuliggine ovunque.
Un lieve segno di bruciatura sul tavolo e, ovviamente, tanto disordine.
Ma quest’ultimo c’era già da prima che il motore scoppiasse.
«Marinette!»
«Ho dato troppo vapore.» dichiarò la ragazza, pulendosi le mani alla gonna a balze che indossava e avvicinandosi al colpevole di cotanta apprensione: «Vedi? Ho girato troppo la manopola del vapore e il motore non ha retto e…bum!» esclamò la ragazza, allargando le braccia e sorridendo timidamente: «Un incidente di percorso.»
«I tuoi incidenti di percorso hanno reso il tetto peggio di un pezzo di hemmental!» bofonchiò la donna, scuotendo la testa: «Marinette, cosa devo fare con te?»
«Aiutarmi a pulire prima che arrivi Monsieur Bourgeois?» buttò lì la ragazza, sorridendo allegramente e iniziando a raccattare i fogli sparsi per terra, ascoltando distrattamente il borbottio della madre che, entrata nella stanza, aveva subito messo mano alla ramazza, iniziando a spazzare il pavimento: «Mamma, attenta!» esclamò la ragazza, lasciando andare i fogli e salvando dalle ire della donna alcune viti: «Mi servono queste.»
La donna sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Io non so davvero cosa fare con te, Marinette.» sbuffò, riprendendo a spazzare e scuotendo il capo: «Se tuo padre fosse qui…»
«Ma papà non c’è. E’ sempre fuori per i suoi commerci.» mormorò la ragazza, recuperando i fogli che aveva abbandonato e posandoli sul tavolo, vicino al motore: «E con quel carretto trainato da cavalli. Cavalli! Impiegherebbe molto meno tempo se potesse usare uno di questi…»
«Ma non abbiamo soldi per permettercelo.»
«Proprio per questo sto cercando di mettere a nuovo questo bambino.» dichiarò la ragazza, battendo una mano sul motore e ricevendo in cambio uno scoppiettio e uno sguardo scettico da parte della madre: «Beh, non sono ancora vicinissima al risultato che voglio, ma ce la farò.»
Un sospiro sconsolato si levò dalle labbra della madre, mentre scuoteva il capo: «Certamente.» mormorò, riprendendo a spazzare il pavimento: «Intanto, hai finito il lavoro per Monsieur Bourgeois, vero? Lo sai come…»
«E’ tutto pronto. Era solo una vite allentata e per questo il suo orologio non segnava più.» spiegò la ragazza, indicando l’oggetto dorato abbandonato in un angolo del laboratorio: «Io dovrei creare macchine volanti oppure che si spostano per terra utilizzando il vapore, non…»
«Sì, sì.» mormorò la madre, spintonandola da parte: «Oh. Come vorrei che tu fossi come la figlia di Bourgeois. O anche solo come la tua amica Alya…Ah! Se tuo padre fosse qui…»
Marinette sorrise dolcemente, appoggiandosi al davanzale della finestra e osservando la madre affaccendarsi per la stanza, cercando di mettere a posto il caos che lei aveva creato; la ragazza piegò la testa all’indietro, ascoltando i rumori che provenivano dalla strada sottostante e contando rapidamente i giorni che erano passati da quando il padre era andato via, per l’ennesimo viaggio: presto sarebbe tornato a casa e lei avrebbe avuto di nuovo con sé l’unica persona che la capiva veramente.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.665 (Fidipù)
Note: Salve a tutti! Eccoci qua con un nuovo aggiornamento de La bella e la bestia che si è andata ad aggiungere alle 'Storie del mercoledì' (come son solita chiamare Inori e La sirena), al posto di Scene (non temete, la raccolta dei missing moments del Quantum Universe non si blocca, semplicemente verrà aggiornata ogni due sabati, in modo così da mandare avanti tutte le storie). Bene, bene. Sinceramente non so cosa dire di questo capitolo, dato che siamo ancora all'inizio ma penso che inizierete un po' a capire come va la storia e quanto si discosta dalla fiaba originale e dalla versione Disney (sia quella animata che live action).
Vi ringrazio tantissimo per i commenti al precedente capitolo e, come sempre, ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il fatto che leggete le mie storie, le commentate, le inserite in una delle vostre liste e mettete me fra i vostri autori preferiti.
Grazie tantissimo e di tutto cuore!



Tom Dupain gemette, aprendo gli occhi avvertendo immediatamente una fitta di dolore che gli attraversò la testa, costringendo a serrare nuovamente le palpebre: cosa era successo? Dove si trovava?
Ignorando il dolore più persistente, con fatica si issò a sedere e osservò l’ambiente in cui si trovava: le mura scure erano composte da mattoni grezzi e una lieve patina di umido le ricopriva, in vero l’intero posto sembrava aver ceduto al tempo e alla vegetazione, visto che alcuni rampicanti entravano dalla finestra e si allungavano all’interno della stanza: «Dove mi trovo?» si domandò l’uomo, alzandosi e barcollando leggermente.
Ricordava la tempesta, che aveva fatto imbizzarrire i cavalli e lo aveva condotto su una strada diversa, lontano dal suo percorso abituale per tornare a casa.
Ricordava di aver intravisto un’abitazione e di aver cercato un qualche accesso e poi…
Poi il nulla.
La sua mente era totalmente oscura.
Come era finito lì? Perché era lì? Chi ce lo aveva portato?
Erano tutte domande senza risposta e che lo agitavano: il cuore batteva veloce e il respiro era affannato, mentre continuava a guardarsi attorno, alla ricerca di un qualche indizio che spiegasse la sua presenza in quella stanza.
Cella, si corresse immediatamente, osservando la porta di legno e che aveva una piccola apertura in alto, attraversata da sbarre di metallo: chi lo aveva catturato? Perché? Non era ricco, era un semplice mercante che faceva la spola tra Parigi e Tours, non aveva nulla da offrire a dei rapitori.
Anche i suoi abiti, che avevano visto giorni migliori, erano un indice di quanto non fosse benestante…
Quindi perché catturarlo?
Un rumore lieve, al di là della porta, lo fece sobbalzare: «Il padrone non sarà contento di saperci qua…» mugugnò una voce metallica, che provocò in Tom un nuovo brivido: una volta, sua figlia, gli aveva mostrato un libro dove c’era la figura di un uomo che, per metà del corpo, era fatto di metallo.
Possibile che, dall’altra parte, ce ne fosse uno simile?
«Sai quanta paura mi fa quel ragazzino» commentò una seconda voce, con tono sbrigativo: «Cosa potrebbe farmi? Ruggirmi contro? Sgranocchiarmi un po’?»
Ruggire? Sgranocchiare?
Dove era finito?
E se fossero stati dei cannibali? E se…
«Ma perché vuoi vederlo?»
«Perché sento che quell’uomo è…è…non so dirtelo, ma vedo in lui la soluzione al nostro piccolo problemino.»
Lo avrebbero ucciso.
Ora ne aveva la conferma.
«Vi…vi…prego, n-non u-uccidetemi.» mormorò, allontanandosi dalla porta e osservandola, come se da un momento all’altro si fosse spalancata e i suoi carcerieri sarebbero entrati per portarlo verso morte certa.
«Oh. E’ sveglio!»
«Perché ci ha chiesto di non ucciderlo? Plagg, cosa hai combinato?»
«Assolutamente niente.»
«E allora…»
«Forse ci ha sentiti…» mormorò l’uomo che rispondeva al nome di Plagg: «Buon uomo, stia tranquillo! Con noi può dormire sogni tranquilli…beh, per quanto si possa dormire lì dentro, l’avevo detto al nostro signore che una stanza più confortevole sarebbe stata adeguata, Tikki aveva anche preparato quella blu nell’ala est…» si fermò, lasciando andare un enorme sospiro: «Ma quel moccioso è testardo come un mulo.»
«Vi, prego. Lasciatemi andare. Io non sono nessuno, sono solo un umile mercante…» mormorò Tom, sperando di far leva sull’umanità dei due: «Vi prego, mia moglie e mia figlia mi aspettano a casa.»
«Lei ha una figlia?»
«S-sì.»
«Sentito, Wayzz! L’avevo detto che era la soluzione al nostro problema.»
«Non vedo come il fatto che abbia una figlia possa aiutarci.»
«Co-cosa volete fare a mia figlia?»
«Assolutamente niente, buon uomo!» sentenziò Plagg, cercando di tranquillizzarlo: «Giusto una domandina innocente: che rapporto ha sua figlia con il pelo?»


«Voilà!» Marinette sorrise orgogliosa, togliendo il lenzuolo dalla sua creazione e mostrandola al padrone delle bottega: «La macchina taglia e arriccia, Theo.» dichiarò, facendosi da parte e osservando il barbiere avvicinarsi per studiarla: «Ti semplificherà il lavoro: basta che la imposti, tramite questa semplice manopola qua e  voilà! Taglia, arriccia e imbelletta. E per farla funzionare, devi semplicemente rifornirla di vapore…»
«E’…è…»
«Incredibile, vero?» esclamò la ragazza, battendo le mani e sorridendo: «Purtroppo ho potuto impostare solo quattro tagli base, i più comuni. L’ho testata su alcuni manichini, i bracci si muovono ed è stata perfetta. Beh, nella maggior parte dei casi.»
«Marinette, ti ringrazio veramente…»
«Ma…»
«Cosa?»
«Dalla tua frase sembrava che ci fosse un ma?»
«Ecco, è quella ‘maggior parte dei casi’ che mi costringe a rifiutare la tua invenzione.» dichiarò Theo, posandole le mani sulle spalle e sorridendole comprensivo: «La gente viene qui per farsi tagliare la barba, non per rischiare di venire sgozzato.»
«Ma funziona!»
«Ne sono certo, Marinette, però mi spiace. Non posso accettarla.»
«Te la faccio vedere in funzione, d’accordo?» esclamò la ragazza, sgusciando dalla presa dell’uomo, andando a recuperare il manichino che aveva lasciato fuori dalla porta del negozio: «Ti presento monsieur Mannequin!»
«Perché ha un taglio sulla faccia?»
«Incidente di percorso.» bofonchiò sbrigativa la mora, sistemando con un po’ di fatica il manichino sulla poltrona, sorridendo poi al barbiere: «Monsieur Mannequin vuole un taglio Chevron per i suoi baffi.» spiegò, armeggiando con la borsa che teneva in vita e recuperando un paio di baffi posticci, appiccicandoli in faccia al fantoccio: «Quindi, giro questa manopola qua, apro il vapore e…» la ragazza si allontanò, osservando soddisfatta i bracci della macchina avvicinarsi al volto del manichino e iniziando a tagliare: «…voilà! Mentre ti occupi di un altro cliente, la macchina…»
Un fischio lungo e acuto zittì Marinette che, riportando l’attenzione, sulla macchina notò come questa stava tremando e aveva iniziato a muovere i bracci in maniera sconclusionata, sfregiando il volto di monsieur Mannequin e portandolo alla prematura morte per decapitazione: «Ah…»
«L’ha…l’ha…»
«Succede quando è fredda, deve solo riscaldarsi. Sistemo la testa a…»
«Marinette, domani viene a prendila e riportala a casa tua.»
«Sì, d’accordo.» mormorò mesta la ragazza, osservando l’uomo, togliere il tubo del vapore e spingere la sedia in un angolo del suo negozio: «Theo, io…»
«Domani, Marinette.»
La giovane annuì, uscendo dal negozio e sospirando, calcandosi poi il berretto sulla testa: «Anche stavolta è stato uno schifo» borbottò, osservando alcune ragazze camminare dalla parte opposta della strada: i vestiti lindi e femminili erano l’esatto opposto della maglia logora e della corta gonne a balze che indossava lei. Era stata contenta quando, dall’odiata Inghilterra, era giunta la moda delle gonne corte: le permettevano un’ampia mobilità e non facevano gridare sua madre, come succedeva ogni volta che provava a indossare dei pantaloni.
Si portò una mano all’altezza del petto, giocherellando con il ciondolo a forma di coccinella, l’ultimo regalo che suo padre le aveva portato da Tours e incamminandosi verso casa.
La data del ritorno del genitore era passata da una settimana, eppure dell’uomo non c’era ancora segno, non che questo la preoccupasse, poiché capitava molto spesso che tornasse con parecchi giorni di ritardo: ecco perché voleva a tutti costi costruire un dirigibile o comunque una macchina volante che facilitasse gli spostamenti del padre, peccato che servivano parecchi soldi e le sue invenzioni…
«Oh. Ma guarda un po’ chi c’è» una sgradevole voce femminile le giunse alle orecchie, facendola sbuffare: «Marinette Dupain-Cheng. Chi hai cercato di uccidere oggi?»
«Chloé Bourgeois» mormorò la ragazza, voltandosi e osservare la figlia del sindaco uscire dalla pasticceria, vicina al negozio di Theo: «Ti mescoli a noi comuni mortali oggi?» domandò, cercando di ignorare l’abito giallo e carico di nastri e fiocchi.
Qualcuno doveva dire a quella ragazza che l’esagerazione non significava più eleganza.
Dietro di lei, come al solito, arrancava Sabrina Raincomprix con le braccia cariche di pacchetti e l’espressione sofferente di chi sta portando un peso eccessivo rispetto alla propria forza; Marinette sorrise alla giovane, venendo ricambiata da un timido piegamento delle labbra.
«Come al solito puzzi, eh Marinette?»
«Come al solito sembri una merceria ambulante, eh Chloé?»
«Almeno io non mi vesto da stracciona. Oh, ma cosa dico: tu se una stracciona.» dichiarò la figlia del sindaco, gettandosi indietro un boccolo biondo e sorridendo divertita; Marinette ringhiò, stringendo i pugni e osservando l’altra superarla: «Ricordalo, Marinette. Tu non sarai mai nient’altro che la tipa stramba che vive in fondo a questa via. Niente di più, niente di meno.»
«Beh, sempre essere la tipa stramba che quella che è odiata tutta Parigi!» sentenziò la ragazza, osservando la bocca di Chloé spalancarsi in una O perfetta; sorrise, voltandosi e andandosene velocemente, prima che l’altra si riprendesse dall’affronto e le potesse dire altro.
Corse velocemente per la strada, raggiungendo il palazzo ove viveva con i genitori e sorridendo alla vista del carro del padre: era tornato! Finalmente era di nuovo a casa!
Entrò velocemente nella stalla, osservando la madre accudire i due cavalli dal manto pezzato: «Dov’è, papà?» domandò, attirando l’attenzione della donna, mentre lei si guardava intorno: suo padre non avrebbe mai lasciato le due bestie senza occuparsene, erano la sua priorità appena arrivava a casa.
«Tuo padre non c’è.»
«Cosa?»
Sabine si avvicinò alla figlia, mostrandole una lettera con un sigillo in lacca: «Il carro è arrivato con solo la merce. E in cassetta c’erano questa lettera e uno strano candelabro.» dichiarò, indicando con un cenno del mento il calesse, fuori dalla stalla: «La lettera è per te, Marinette.»
La ragazza annuì, uscendo e carezzando il legno del carro, sorridendo alla vista del candelabro: aveva una figura umana e sembrava fatto di ottone; lo prese in mano, facendo scivolare un polpastrello sulle forme del viso e poi riponendolo nuovamente in cassetta, dedicando tutta la sua attenzione alla lettera, osservando la grafia ordinata con cui era stato scritto il suo nome e notando subito che non era quella di suo padre.
Che cosa era successo?
Ruppe il sigillo di lacca e tirò fuori il biglietto all’interno della busta, leggendo le poche righe che vi erano state scritte:

Madamoiselle Marinette Dupain-Cheng,
con la presente la informo che ho soccorso vostro padre lungo la strada che da Tours va a Parigi.
Purtroppo non può muoversi e così ho mandato il carro a casa,
sperando che voi potreste venire a recuperare il vostro genitore e riportarlo a casa.
Sempre vostro,
Adrien Agreste

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.681 (Fidipù)
Note: Salve salvino! Allora...io ci ho provato a rendere Adrien un mostro, tralasciando la figura bestiale a cui ci ha abituato la Disney, ho cercato di dare un aspetto grottesco al nostro bel modello parigino, usando parti di animali, pezzi in metallo, pelle riarsa e quant'altro la mia mente ha tirato fuori...il problema è che mi sembra figo lo stesso. La maledizione degli Agreste: sono fighi. Sempre.
E ora qualche piccola info tecnica, prima di lasciarvi ai ringraziamenti: con La bella e la bestia ci rivediamo mercoledì 17 maggio, mentre mercoledì prossimo ci sarà il nuovo capitolo de La sirena. Venerdì, invece, come di consueto verrà aggiornata Miraculous Heroes 3 e, per finire, sabato verrà aggiornata Scene (in ogni caso, per il calendario degli aggiornamenti, vi rimando al mio profilo).
Come sempre vi ringrazio tantissimo per i commenti che mi lasciate, per il fatto che inserite le mie storie nelle vostre liste, per il semplice fatto che mi leggete e...
Beh, ci vediamo venerdì!



«Dov’è Plagg?»
Wayzz sussultò, osservando l’ombra del giovane padrone mentre si aggirava furioso per la stanza, senza sapere cosa dire: era compito di quell’idiota di Plagg calmare l’ira del loro signore e lui…
Lui l’aveva detto che era una pessima idea, insomma.
Ma quell’idiota patentato l’aveva ascoltato? Nossignore, no. Aveva fatto sistemare il carro ad alcuni servitori e poi era partito, con una lettera scritta di suo pugno  ma firmata con il nome del loro padrone.
La fanciulla verrà qui, manderà via il padre e prenderà il suo posto!, aveva dichiarato allegro mentre balzava in cassetta: Succederà così! Fidati! L’ho letto in un libro.
Wayzz sospirò, sentendosi vicino a perdere qualche rotella: quell’idiota di Plagg non poteva pensare che la realtà sarebbe stata uguale a quella di un romanzo che aveva letto, non..
«Wayzz!» tuonò il signore del castello, facendolo sobbalzare e il servitore tremò, vedendo la figura scura che incombeva su di lui: «Dov’è Plagg?» ripeté nuovamente, quasi ringhiando quelle due parole.
«Ecco, lui…come dire…»
«Wayzz!»
«E’ andato a prendere la figlia del vostro ospite, sempre se così si può definire un uomo tenuto in cella.»
«Cos’ha fatto?»
«Lui crede che…» biascicò, osservando la figura balzare lontano da lui e avvicinarsi al piccolo tavolo a tre gambe, scaraventandolo da una parte: «Signore…ecco…»
«Quel…quel…»
Un ruggito potente si levò dalle labbra del padrone e Wayzz tremò, ben sapendo quanto poteva essere distruttiva la sua rabbia e Plagg, stavolta, l’aveva combinata davvero grossa: «Signore?»
«Cosa c’è?»
«Che cosa devo fare con la ragazza quando arriverà?»
Un nuovo ringhio, più basso e sinistro, fu la risposta del padrone mentre questi si accucciava a terra e balzava, colpendo la pesante porta della stanza  con una spalla e uscì fuori, dio solo sapeva, diretto dove.
Wayzz sospirò, guardando la stanza padronale immersa nel caos e nella distruzione tranne per la nicchia ove, una cupola di vetro, proteggeva una rosa: i petali si erano ammassati attorno allo stelo e solo pochi resistevano ancora: «Fra non molto compirà ventuno anni…» mormorò, fissando un petalo tremare leggermente, sinonimo che presto sarebbe caduto come tanti altri compagni.



Marinette sospirò, mentre gettava un po’ di vestiti alla rinfusa nella sacca, venendo ostacolata a ogni passo dalla madre, che la seguiva per tutta casa: «Cosa c’è?» domandò, mentre si calcava in testa il berretto e la fissava, le mani poggiate sui fianchi e lo sguardo di chi era pronto a dar battaglia pur di aver ragione.
«Non dovresti partire.»
«Cosa? Ma papà…»
«Tuo padre sarebbe d’accordo con me» dichiarò Sabine, incrociando le braccia e alzando il mento con aria di sfida: «E poi non sta bene che una signorina viaggi da sola…»
«Ci sarà il candelabro con me.»
«Oh per l’amor del cielo, Marinette!»
La ragazza gettò una maglia nella sacca, stringendo i lacci e voltandosi verso la madre: «Qualsiasi cosa mi dirai, io non cambierò idea» sentenziò, fissando seria la donna: «Prenderò il carro e andrò da papà, che tu lo voglia o no.»
«Perché non puoi essere come le altre ragazze?» sospirò Sabine, scuotendo il capo sconsolata: «E’ colpa di tuo padre, lo so. Invece di incoraggiarti con quell’assurda idea della meccanica, doveva portarti vestiti e accessori, così che tu…»
«Mi pavoneggiassi come Chloé Bourgeois per le strade di Parigi? Mamma, sii seria.»
«E’ così grave se voglio vedere la mia bambina sposata – possibilmente con qualcuno di ricco – e soprattutto vestita a modo e senza la presenza fissa di olio e macchie?»
Marinette sorrise, chinandosi e baciando le guance della madre: «Tornerò presto. E con papà, te lo prometto» dichiarò, afferrando la sacca e uscendo velocemente dalla stanza, diretta verso l’esterno e il carro che l’attendeva; sentì i passi svelti della donna che la seguivano e, quando si fermò davanti il barroccio, sentì il fiato ansante di sua madre: «Tornerò, mamma.»
«Beh, non potresti trovarmi qui. Me ne andrò.»
La ragazza sorrise, salendo a cassetta: «A presto, mamma» dichiarò, chinandosi in avanti e prendendo le redini dei cavalli e dando un sonoro schiocco, sentendosi pervadere da un brivido di eccitazione: non era la prima volta che viaggiava, ma era la prima in cui si avventurava da sola oltre i confini di Parigi.
Si voltò verso il candelabro, che aveva comodamente sistemato di fianco a lei: «Beh, signor Candelabro. E’ ora di fare le presentazioni, io mi chiamo Marinette Dupain-Cheng» dichiarò, allungando una mano e carezzando il metallo freddo: «Spero che tu sia un compagno di viaggio simpatico, sarebbe veramente scocciante fare tutta quella strada con un noioso a fianco.» continuò, voltandosi poi verso la strada e dedicando a questa tutta la sua attenzione, non notando che l’oggetto piegò le labbra in un sorriso convinto.


Wayzz sbuffò, mentre saliva i gradini della scala di pietra e raggiungeva la cella ove era tenuto il loro ospite: non sapeva dove era andato il padrone, ma era certo di conoscere il luogo che avrebbe visitato una volta tornato al castello.
E non voleva davvero essere nei panni di quel poveretto, la cui unica colpa era stata quella di trovare un riparo durante una tempesta e aver visto il padrone in volto.
Osservò la porta davanti a lui e sospirò: sarebbe stato complicato, ma ce l’avrebbe fatta.
Avrebbe fatto evadere Tom Dupain poi, una volta che la figlia fosse giunta lì, l’avrebbe rispedita a casa.
Si fermò, inspirando profondamente e osservando le chiavi che teneva in mano: e se Plagg avesse avuto ragione? E se la ragazza che stava portando lì era colei che avrebbe posto fine a tutto?
Alzò di nuovo la testa, annuendo fra sé: avrebbe liberato il padre e poi avrebbe aiutato Plagg a tenere la ragazza lì.
Se voleva che qualcosa succedesse serviva che il padrone e la ragazza dovessero rimanere il più tempo possibile da soli.
E quel piano non contemplava Tom Dupain.

Marinette si strinse nella giacca, scendendo dal carro e osservandosi attorno, sospirando pesantemente: «Mi sono persa…» mormorò, guardando la vegetazione e la strada che si diramava; rimase ferma a osservare la strada per una manciata buona di secondi, prima di abbassare lo sguardo sul foglio che teneva in mano e rileggere le note di viaggio che erano state spedite con la lettera, non sapendo che fare.
Le aveva seguite alla lettera, eppure si era persa.
Si strinse nelle braccia, rabbrividendo quando sentì un ululato fin troppo vicino per i suoi gusti e si affrettò a tornare sul carro: «Che devo fare?» pigolò, togliendosi il berretto di testa e osservando sconsolata ciò che la circondava: la notte stava rapidamente scendendo e lei non aveva la più pallida idea di dove era.
E questo comportava un bel problema.
«Si può essere più imbranati e sfortunati di me?»
«Beh, io conosco una persona che è veramente sfortunata.» dichiarò un’allegra voce maschile al suo fianco, facendola rabbrividire di più: lei era sola, completamente sola. Aveva solo un candelabro con sé e quindi…
Briganti!
Erano giunti lì senza che se ne accorgesse e ora sarebbe stata alla loro mercé.
Oh, ma perché non ascoltava mai sua madre?
«Chi sei?»
«Plagg.» le rispose la voce dell’uomo ed era così fastidiosamente vicina, che quasi le sembrava provenisse dal suo fianco: «Per servirvi, madamoiselle.»
«Sono armata.»
«E di cosa?»
«Di un candelabro?»
«E perché vorreste usarmi come arma?»
Marinette sussultò, inspirando profondamente e voltandosi lentamente verso la sua destra: rimase a bocca aperta, osservando il candelabro muoversi e sorriderle, facendole un cenno con uno dei bracci che sosteneva una candela.
Rimase immobile per un secondo, poi qualcosa scattò dentro di lei e si affrettò a scendere dal calesse, allontanandosi il più possibile e osservando il pezzo di metallo salire sul parapetto e fissarla: «Madamoiselle…»
Un ruggito si levò nell’aria, facendo tremare ancora di più Marinette, mentre il candelabro sbuffò: «Fantastico. Siamo vicini a casa e il padrone ha sentito il mio odore.» bofonchiò, voltandosi verso la ragazza: «Madamoiselle Marinette, la prego di non farsi prendere dal panico per ciò che vedrà da adesso in poi.»
La ragazza rimase fece un passo indietro, addossandosi contro uno degli alberi e portandosi le mani al volto: doveva scappare? Poteva un candelabro correre più velocemente di lei? Doveva…
Un qualcosa di nero atterrò vicino al carro e i cavalli s’impennarono, nitrendo imbizzarriti, partendo poi a tutta velocità e facendo sobbalzare fuori il candelabro di nome Plagg mentre Marinette rimase immobile, osservando la cosa che era giunta: «Plagg!»
«Padrone! Qual buon vento?»
La cosa si avvicinò all’oggetto e lo prese fra le sue dita, mentre la ragazza scivolò a terra, osservando la scena e cercando di non fare rumore: se nessuno l’avesse notata, lei sarebbe potuta fuggire via e recuperare il carro e…
E non lo sapeva neanche lei cos’altro fare.
«Cos’hai fatto?» ringhiò la cosa, alzandosi in tutta la sua statura e notando quando Plagg non fosse per nulla intimorito: «Ti avevo detto…»
«Padron Adrien! E’ quella giusta! Me lo sento!»
Padron Adrien ringhiò e Marinette lo vide voltarsi verso di lei: la cosa rimase immobile, poi aprì la mano e il candelabro cadde a terra, rialzandosi subito e ricomponendosi: «Madamoiselle Marinette, non abbiate paura.» le disse il soprammobile, rimanendo immobile mentre la cosa si avvicinava.
Aveva il passo lento e pesante, mentre alle sue orecchie giungeva il rumore familiare di ingranaggi che giravano: rimase ferma al suo posto, troppo impaurita per muovere un muscolo, e osservò Padron Adrien chinarsi davanti a lei e portare le mani – una sembrava una zampa animale, l’altra era qualcosa simile a un arto di metallo – al cappuccio che teneva in capo, tirandolo via: due orecchie feline si muovevano a scatti su una testa bionda, mentre metà volto era attraversato da filamenti neri, quasi come se fossero tatuaggi, e l’altra metà era rugosa e increspata.
Solo gli occhi verdi, che la fissavano, erano umani.
Tutto il resto era..
Era…
Un mostro.
Marinette inspirò profondamente, osservando la bestia che aveva davanti, fatta di carne e metallo, alzarsi in tutta la sua statura e fissandola dall’alto e, per la prima volta in vita sua, la ragazza fece ciò che sua madre desiderava tanto: si comportò da comune ragazza, urlando con tutto il fiato che aveva in corpo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.750 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccoci di nuovo qua con un aggiornamento de La bella e la bestia! E, a conti fatti, non è che devo dire poi tanto sul capitolo quindi vi do qualche informazione random: prima di tutto, vi ricordo che oggi allo Zag Studios manderanno in onda lo sneak peek della seconda stagione (l'appuntamento è alle 11 a Los Angeles, quindi noi lo vedremo in serata), quindi vi consiglio di tenere sotto controllo tutti i canali possibili e immaginabili (facebook, twitter, tumblr...); come seconda cosa vi comunico che ho aperto una pagina facebook dove posterò aggiornamenti, piccole anteprime e quant'altro.
Infine vi ricordo che domani sarà aggiornata Laki Maika'i, venerdì come sempre ci sarà un aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e, infine, sabato sarà il turno di Lemonish.
Detto questo, come sempre, voglio ringraziarvi tutti quanti: grazie a voi che leggete, commentate e inserite questa storia in una delle vostre liste e me fra gli autori preferiti!
Grazie di tutto!



Il grande portone del palazzo si aprì con un rumore assordante, che risuonò nell’androne fatiscente, facendo sobbalzare la servitù riunita: Wayzz trotterellò verso l’ingresso, per quanto il suo corpo da orologio da tavolo glielo permettesse, e si fermò a pochi metri dall’uscio, osservando il padrone entrare con una fanciulla fra le zampe, mentre Plagg balzellava allegro e felice ai piedi del loro signore.
«Wayzz, abbiamo un’ospite» dichiarò allegro il candelabro, allargando i bracci e indicando la giovane svenuta.
«Se ne andrà assieme al padre» ringhiò Adrien, osservando il servitore che, senza ascoltarlo, si stava avvicinando al carrello con le ruote e puntava la teiera sopra: «Plagg!»
«Sì, sì. Ho sentito. Se ne andrà, certo. Certo» mormorò il candelabro, sorridendo allegro: «Tikki, il miglior camembert.»
«Vorrei ricordarti che non puoi mangiarlo.»
«Perché devi sempre distruggere le mie speranze in questo modo?»
«Perché a qualcuno tocca questo ingrato compito.»
«Plagg!»
La voce potente del loro padrone fece voltare il candelabro che, sorridente, si voltò: «Sì?» domandò con fare innocente e ignorando il ringhio che uscì dalla gola di Adrien: «Padrone, capisco che vi siete innamorato al primo colpo – oh, il colpo di fulmine! – ma dovete portare quella poveretta nella sua camera…»
«Io ti uccido» ringhiò il giovane, tirando indietro le labbra e mostrando i denti al candelabro che, sprezzante del pericolo, sorrise tranquillo: «Stavolta ti fondo sul serio e ci faccio…»
«Sì, sì. La solita minaccia di fondermi e fare del mio oro un lingotto. Perché poi un lingotto, dico io? Non sarebbe meglio un bel portaformaggio?»
«Perché ogni cosa che ti riguarda è sul formaggio?» sospirò Tikki, osservando poi il proprio signore e la ragazza: «Buon dio, che è successo agli abiti di quella ragazza? Padrone!»
«Non l’ho toccata! Aveva già questa cosa così corta.»
«Ah, va di moda così. L’ho visto a Parigi» dichiarò Plagg, incrociando le braccia e alzando il viso: «Siete tutti così fuori moda…oh, e poi c’erano quelle forme di camembert così perfette, che mi fissavano da dietro la vetrina di un negozio…»
«Wayzz! Libera il padre e…»
«E’ scappato, signore!»
Adrien chiuse gli occhi, inspirando profondamente: «Come è scappato? Era in una cella, in cima alla torre nord. Come ha fatto a scappare?»
«Come ogni fuggitivo, padrone» dichiarò Plagg, agitando le braccia nel vuoto: «scassina una serratura, fare una fune di lenzuola. Io l’avevo detto che dovevamo metterlo in una delle camere degli ospiti? L’avevo detto? Sì, che l’avevo detto. Ma mai nessuno che da retta al candelabro…»
«Io lo uccido.»
«Povera piccola…» mormorò Tikki, spostandosi sulla cima del carrello e dando così il via al movimento di questo: «E’ venuta fin qua da sola…»
«Ehi, c’ero io con lei!»
«…e suo padre è fuggito. Cosa faremo adesso?»
«L’abbandoniamo nel bosco?»
«Padrone!»
«D’accordo. D’accordo, la metto nella torre nord…»
«Oh, ma che problema ha con quella torre?» sbuffò Plagg, scuotendo il capo: «Tikki, abbiamo una camera degli ospiti pronta per madamoiselle Marinette?»
«Marinette?»
«E’ il nome della tipa le cui cosce state palpando da mezz’ora, padrone» Plagg scosse la testa, sospirando: «Non vi ho proprio insegnato niente? Prima di toccare, chiedere almeno il nome.»
«Padrone…» mormorò Tikki, dolcemente: «Avete la mia benedizione per il suo omicidio, ma prima direi di portare madamoiselle Marinette nella camera rosa.»
Adrien osservò la teiera, annuendo poi con la testa e spostando l’attenzione sulla giovane svenuta fra le sue braccia: gli artigli delle sue zampe – quelli animali e quelli metallici – risaltavano contro la pelle nivea delle gambe, aveva gli occhi dello stesso colore del cielo e i capelli erano scuri come la notte.
Era graziosa.
Veramente graziosa.
Inspirò, salendo le scale e tenendo la ragazza contro di sé con delicatezza, sentendo Tikki ordinare a qualcuno di portarla di sopra: Marinette. Anche il suo nome era grazioso, ora che lo notava.
Chissà quanti anni aveva? E cosa faceva a Parigi?
E perché indossava quelle vesti così corte?
Era cambiata così tanto la moda da quando lui aveva avuto ancora contatti con il mondo?
Si fermò, alzando la testa e incontrando il suo riflesso in ciò che rimaneva di uno specchio: chi voleva prendere in giro? Lei aveva urlato di paura non appena l’aveva visto, come chiunque altro. Plagg era semplicemente un sognatore, che ancora sperava di riacquisire la forma umana.
Era un mostro.
Nessuno lo avrebbe amato.
Plagg si stava sbagliando. Su tutto quanto.


Tom Dupain si appoggiò al tronco dell’albero, inspirando profondamente e sentendo l’aria riempirgli i polmoni: avrebbe voluto voltarsi indietro, giusto per rendersi conto di non aver sognato tutto quanto ma non lo fece.
Alzò il viso e riprese la sua corsa, allontanandosi ancora di più da quel posto assurdo dove era finito.
Non vedeva l’ora di tornare a casa, abbracciare sua moglie e sua figlia e dimenticare tutto quanto, come se fosse stato un sogno.
Anzi no. Un incubo.
Sì.
Tutto sarebbe finito nel mondo dei sogni, evanescente e lontano dalla realtà.
Fece un passo, ma non si accorse della radice e rovinò a terra, scivolando poi lungo la breve scarpata e finendo dentro l’acqua di un piccolo fiumiciattolo; si rialzò, inspirando e osservando il punto in cui era caduto: gli alberi erano spogli e creavano un piccolo percorso, al cui inizio una bella donna dai capelli biondi lo stava fissando: «Volevo chiedervi se vi eravate fatto male…» mormorò la sconosciuta, avvicinandosi e sorridendogli: «Ma direi che state splendidamente.»
«Un po’ ammaccato…» mormorò Thomas, alzandosi: «Madame, sapete dirmi la direzione per Parigi?»
«Perché non vi fermate un attimo?»
«Vorrei raggiungere casa mia il prima possibile.»
«La notte sta calando e non è saggio attraversare il bosco di notte…»
«Io…»
«Vi assicuro che non vi mangerò» dichiarò la donna, sorridendo e fissandolo con le iridi verdi: «Vi offrirò solo un misero piatto di minestra e dell’acqua. E’ un’offerta scarna, lo so, ma…»
«Vi ringrazio» mormorò Thomas, chinando il capo e sospirando: «Ma vorrei…»
«Raggiungere casa vostra domani, fidatevi.»
Un sospiro si levò dalle labbra dell’uomo, mentre annuiva con la testa e seguì la donna lungo il percorso creato dagli alberi e pregando che, stupidamente, non si stesse cacciando in un nuovo guaio.


Marinette si svegliò, osservando un variopinto e suntuoso soffitto che non conosceva: si alzò, facendo vagare sulla camera in cui era stata portata e rendendosi conto, a una prima occhiata, che era molto più lussuosa di quella di Chloé Bourgeois.
E madamoiselle Bourgeois era solita vantarsi dello sfarzo in cui suo padre la faceva vivere.
Dove era?
Ricordava che si era persa nel bosco, poi un candelabro parlante e…
Si fermò, inspirando e scuotendo la testa al ricordo del mostro che aveva visto.
Aveva sognato tutto?
Se era così, allora, dove si trovava?
«Si è svegliata!» esclamò una voce allegra, prima che un piumino volasse nella sua camera e si fermasse a pochi metri da lei: «Ciao, io sono Flaffy.»
«Flaffy, così la spaventi…»
Marinette si voltò verso la fonte della voce femminile, osservando un carrello entrare e una teiera inchinarsi verso di lei: «Sono felice del vostro risveglio, madamoiselle» dichiarò il bricco e le linee della decorazione assunsero un’espressione felice: «Io sono Tikki e…beh, benvenuta.»
«Co-cos…»
«Bonjour, madamoiselle!» esclamò il candelabro, saltando sul letto e inchinandosi nella sua idea: «Gradito di vedervi non urlante.»
«Tu…»
«Plagg!»
«Un orologio?» mormorò Marinette, osservando il soprammobile arrampicarsi faticosamente sul letto: «Ma cosa…?» mormorò, portandosi una mano al petto e sentendo il respiro diventare più affannoso: non era stato tutto un sogno? Il candelabro parlante era veramente reale? E quindi anche…
«Oh. Temo che stia ricordando l’aspetto del padrone…»
«Padrone?» strillò Marinette, alzandosi velocemente dal letto e osservando gli oggetti animati, voltati verso di lei: «Io…io…»
«Vi prego, madamoiselle, calmatevi» mormorò Tikki, facendo un cenno alla tazza con lei e versando un po’ di the: «Sono certa che, dopo un buon the, tutto avrà una visione migliore.»
«Visione migliore?» mormorò Marinette, scuotendo la testa: «Forse mentre attraverso il bosco sono finita in una di quelle piante allucinogene e…oh, perché non sono mai stata attenta a quello che Myléne mi raccontava dei suoi studi di erboristeria? E’ sicuramente un sogno o l’effetto di qualche allucinogeno o…»
«Madamoiselle, tutto ciò che vedete è reale.»
«Siete soprammobili! Non potete muovervi!»
«E invece ci muoviamo!» dichiarò Plagg, allargando le braccia: «Tadan! Guardate come mi muovo, sono incredibilmente snodato e non avete mai visto un mio scatto felino, soprattutto se vedo del camembert!»
«Io…io…»
«Madamoiselle, vi prego. Siete al sicuro qui, non vi succederà nulla…»
«E il mostro?»
«Il padrone è particolare, ma non per questo impossibile da avvicinare.»
«Quando è nelle sue giornate migliori.»
«Plagg!»


Adrien osservò lo specchio che dominava la sua camera, sorridendo alla ragazza che sembrava venire a patti con il fatto che gli oggetti, che la circondavano, parlassero.
E anche tanto e, molto spesso, a sproposito.
Flaffy, allegro e iperattivo.
Plagg, dalla lingua lunga e la battuta tagliente.
Tikki, dolce e materna.
Wayzz, serio e composto.
Mancavano all’appello solo Nooroo, Vooxi e Mikko che, sicuramente, erano in giro da qualche parte nel castello: «Volete che vi mostri altro, padrone?» domandò lo specchio che, altri non era, l’anziano mentore di quando lui non era…
Lui non era un mostro orrendo.
«No, grazie Fu» mormorò, voltando le spalle allo specchio e osservando la rosa nella teca: «Plagg è convinto che quella ragazza spezzerà l’incantesimo…»
«E voi no, mio giovane signore?»
«Come potrebbe?» Adrien si voltò, allargando le braccia e fissando l’altro: «La maledizione si spezzerà solo se qualcuno mi amerà e…»
«In voi c’è molto più di questo aspetto grottesco» dichiarò Fu, con voce paziente: «Siete cambiato, non siete più il ragazzino viziato che aprì la porta quella notte…»
«Cosa te lo fa dire, Fu?»
«Il fatto che siete gentile con tutti noi, padron Adrien» mormorò Fu, attirando la piena attenzione del giovane: «E anche il fatto che, nonostante continuate a minacciarlo, non avete ancora ucciso Plagg.»
Adrien storse la bocca in un sorriso, portandosi le zampe al volto e sentendo la pelle increspata: «Sono un mostro fatto di carne e metallo, non sono né umano, né macchina e né animale. Cosa potrà mai vedere lei in me?»
«Una persona che, nonostante un certo passato da viziato e arrogante, ha scoperto la gentilezza e la bontà, forse?»
«Siete troppo buono, Fu.»
«E voi troppo cattivo con voi stesso, padrone.»
«Io non…»
«La ragazza vi piace, l’ho visto dal vostro sguardo, padrone» continuò Fu, riportando sulla superficie riflettente l’immagine di Marinette, intenta a studiare il povero Wayzz: «Lasciate che si avvicini a voi. Lasciate che tocchi il vostro cuore e voi il suo.»

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.560 (Fidipù)
Note: Salve! Ed eccoci di nuovo qua con un nuovo capitolo de La bella e la bestia! E, come al solito, non è che abbia da dire molto nelle note, non toccando posti di Parigi o che altro, quindi passo subito alle informazioni di servizio e poi ai ringraziamenti: prima di tutto vi informo che, il nuovo capitolo di questa fanfiction, verrà pubblicato il 28 giugno (come ben sapete si alterna a La Sirena e Inori, quindi i tempi di aggiornamento sono molto più lunghi).
Vi ricordo che domani ci sarà un nuovo capitolo di Laki Maika'i, venerdì sarà il turno di Miraculous Heroes 3 e sabato, invece, toccherà a Scene.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook dove restare sempre aggiornati e avere piccole anteprime.
Infine, ma solo per motivi tecnici, un grazie a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!


Marinette si allungò sul letto, osservando incuriosita l’orologio che si muoveva e parlava, chinandosi e studiando gli ingranaggi che si muovevano dietro lo sportellino di vetro: «Sicuro che non posso aprire e dare un’occhiata?» domandò, sorridendo dolcemente e vedendo l’altro allontanarsi di qualche passo, addossandosi contro il bandone finale del letto: «Un’occhiata piccola piccola.»
«Madamoiselle! Io non le chiedo di poter mettere le mani dentro la sua pancia.»
«Se è per questo, nemmeno ce l’hai le mani» commentò Plagg, comodamente seduto sul carrello portavivande e sorridendo divertito quando Marinette acciuffò Wayzz, iniziando a osservarlo da ogni angolazione: sembrava che quella strana ragazza trovasse affascinante tutto ciò che era di metallo, aveva rotelle e sbuffava.
Forse il padrone le sarebbe piaciuto veramente, se visto alla luce del giorno: in fondo aveva parti di metallo, qualche rotella e Plagg era certo di averlo visto sbuffare molto spesso.
Marinette inclinò il povero Wayzz, guardando la parte inferiore: «Come fai a muoverti?» domandò, rigirando l’orologio e picchiettando il vetro del quadrante: «C’è per caso un serbatoio interno?»
«Madamoiselle…»
«Però il candelabro? Il piumino? La teiera?» mormorò Marinette, rigirando nuovamente Wayzz e sospirando: «Possibile che ci siano dei motori così minuscoli che funzionano a vapore?» si domandò, posando l’orologio sul letto e allungandosi, afferrando la teiera e ignorando il singulto sorpreso della povera Tikki: tolse il coperchio, osservando l’interno e vedendo solo il liquido aranciato del the.
«Come fate a muovervi?» domandò, voltandosi verso il candelabro e fissandolo in attesa, quasi aspettandosi una risposta sensata da quest’ultimo; lo vide mettersi in posizione eretta e aprire la bocca metallica, pronto a rispondere alla sua domanda ma la porta della camera da letto si aprì con forza, talmente tanta che andò a sbattere contro il muro; Marinette sussultò, osservando la creatura che aveva incontrato nel bosco, non sapendo dove posare lo sguardo: sul volto dall’aria vagamente umana, completamente sfigurato e con dei tralicci neri che lo attraversavano per metà? Oppure sulle zampe di pelo nero, che sembravano molto simili a quelle di un gatto? Un braccio era completamente di metallo e, ogni volta che la creatura lo muoveva, le giungevano alle orecchie i suoni familiari degli ingranaggi in moto, mentre l’altra sembrava una zampa felina.
Il mostro si avvicinò a letto e lei si ritrasse, addossandosi contro la spalliera del letto e osservando lo sguardo verde che la studiava, mentre le orecchie, simili a quelle dei gatti, si muovevano a scatti, quasi a tempo con la lunga coda nera che frustava il pavimento: «Mettila sul carro e spediscila da dove è venuta» sentenziò la creatura, voltandosi verso il candelabro: «E non pensare mai più di fare una cosa del genere!»
«Ma, padrone, dovete pensare al padre…»
«Il padre è…»
«E’ terribilmente malato, non è vero?» lo interruppe Wayzz, mentre le lancette sul quadrate si muovevano impazzite: «Volete davvero rispedire la figlia da sola, sapendo che il padre giace in quelle condizioni?»
«Cosa?» mormorò Marinette, osservandoli e cercando di capire: «Cosa è successo a mio padre?»
«Lo abbiamo trovato, non molti giorni fa, fuori dal castello» spiegò Plagg, agitando i bracci: «Aveva la febbre molto alta e il padrone l’ha portato nel castello; adesso il nostro sensale se ne sta occupando ma è ancora molto debilitato e…»
«Voglio vederlo!»
«No!» esclamarono in coro Plagg e Wayzz, guardandosi poi l’un con l’altro: «Madamoiselle, vedete lui è molto contagioso. Per voi, ovviamente. Siete umana, mentre noi…beh…»
«Oh! Andiamo!» sbottò la creatura, alzando le braccia con un gesto di stizza: «Voi state…» si fermò, osservando che i suoi movimenti avevano impaurito la ragazza, tanto che si era nuovamente addossata al letto e lo fissava con uno sguardo impaurito in volto: «Fate come vi pare» sbuffò, voltandosi e andandosene con il passo lento e claudicante.
«S-sc-scusate.»
La voce della ragazza lo fece voltare e la osservò mentre, ai piedi del letto, si reggeva a una delle colonnine del baldacchino: «I-io…» la vide fermarsi e respirare profondamente, quasi alla ricerca del coraggio dentro di sé: «I-io p-posso remare…cioè, no…rimavere…rimanere lì...no, qui.»
«Volete restare qui?»
Marinette annuì vigorosamente con la testa: «P-per mio p-padre» balbettò in aggiunta; la bestia sbuffò, scuotendo il capo e andandosene via dalla camera con Plagg che lo seguiva saltellando: Marinette rimase immobile, facendo scivolare la mano lungo la colonnina e abbassando il capo mestamente.
«Quello era il suo modo per dirti che puoi rimanere» mormorò dolcemente la teiera, avvicinandosi con il carrello al letto: «Il padrone non è molto avvezzo ai rapporti sociali.»
«Potrò vedere mio padre?»
«Non appena Plagg e Wayzz diranno che non c’è pericolo, potrai farlo.»


«Che cos’è questa storia del padre malato?» sbottò Adrien, voltandosi verso il candelabro e fissandolo intensamente: «Se non erro, era scappato.»
«Sì. E la ragazza se ne sarebbe andata…»
«Io voglio che se ne vada!»
«Ma padrone!»
«Niente padrone, Plagg!» Adrien si voltò, indicando la direzione da cui entrambi erano venuti: «Non è lei che ci salverà, Plagg! Siamo condannati!»
«Questo perché qualcuno qui è testardo e non vuole fare neanche una prova!»
«L’hai vista! Ha paura di me!»
«Sa, padrone, entrare e sbattere la porta come ha fatto lei non è un bel modo di presentarsi» dichiarò Plagg, acciuffando il piccolo Flaffy: «Non è vero, mio piumato amico?»
«Vero! Avete fatto paura anche a me!»
«Fantastico! E Flaffy mi conosce!» sbuffò Adrien, prendendosi la testa fra le zampe: «La ragazza deve andarsene!»
«Padrone, provateci!»
«A fare cosa?»
«A conquistarla, che domande!» dichiarò Plagg, lasciando andare il piumino e agitando le braccia, mentre si metteva a passeggiare davanti all’altro: «La invitate a cenare con voi stasera, vi comportate in modo amabile come sapete fare, la guarderete fissa negli occhi…»
«E la vedrò correre via urlando.»
«Siete veramente un rovina-feste, sappiatelo.»
«E tu un sognatore illuso.»
«Oh! Ci sono! La ragazza ama la roba meccanica! Mostratele il vostro…»
«Plagg!»
«Braccio. Quello di metallo. Ma possibile che siate tutti così prevenuti con me? E poi là sotto siete ancora di carne…»
«Qualcuno mi salvi da te.»
«E si chiama Marinette.»
«Non demordi?»
«Non quando sono certo di qualcosa. E non lo sono mai stato come oggi…» si fermò, inclinando la testa: «E come la volta che dichiarai di riuscire a mangiare dieci forme di camembert, una dietro l’altra. Anche quella volta ero certo al cento per cento.»
«Tutto questo finirà male…»
«Andiamo! Un po’ di ottimismo, padrone!»


Marinette si guardò attorno nella camera, osservando i vari mobili dall’aria costosa e notando come nella stanza non ci fosse un filo di polvere e tutto fosse perfettamente lindo: «Ho fatto pulire personalmente la camera, quando Plagg è partito» spiegò Tikki, seguendola sul suo carrello: «Il padrone tende a voler infilare gli ospiti nella torre nord.»
«La torre nord?»
«Già.»
Marinette annuì, voltandosi verso l’enorme porta e sentendo la voglia di esplorare quel posto, immaginando di trovare chissà quale motore o altro macchinario da poter smontare e rimontare; ma era frenata anche dalla paura di trovarsi di nuovo faccia a faccia con il proprietario della casa che, doveva ammettere con sé stessa, le faceva molta più paura di tutte le Chloé Bourgeois di quel mondo.
«Lui…» mormorò, sedendosi su una delle poltroncine sistemate davanti al caminetto: «…che cosa è?»
«Il padrone è una persona, se è questo che vuoi sapere» dichiarò Tikki, mettendosi davanti a lei: «Ma porta sulle sue spalle il peso della maledizione che ha colpito tutti noi.»
«Una maledizione?»
«E’ una storia lunga e non sta a me narrarvela, madamoiselle» continuò la teiera con un sorriso: «Ma il padrone è molto più del suo aspetto, ve lo posso garantire: sotto quella facciata di bestia informe e mezza meccanica, c’è un ragazzo dal cuore d’oro. Certo, ha fatto i suoi sbagli ma ha imparato da questi e adesso vorrei solo che fosse finalmente felice…»
«Sembra che tu sia molto affezionata a lui.»
«Tutti siamo molto affezionati al padrone» mormorò Tikki, fissandola: «E se rimarrete qui, sono certa che anche voi vi attaccherete a lui.»
«Io voglio solo…»
«Tornare a casa  con vostro padre, certo. Ma mentre siete qui…» la teiera si fermò, fissandola intensamente: «…perché non provate a conoscerlo?»
«Non mi mangerà, vero?»
«A meno che non avete il sapore di un croissant, non credo.»


La donna si chinò, osservando l’uomo che dormiva della grossa e, con la sua stazza, faceva apparire minuscolo il piccolo letto ove l’aveva sistemato non senza qualche fatica: «Vi chiedo perdono, monsieur Dupain» mormorò, chinandosi sopra l’uomo e sorridendo dolcemente: «Ma penso che vostra figlia sia l’unica che può porre rimedio a ciò che ho fatto anni or sono, in preda all’ira» continuò, lasciando andare un lungo sospiro.
Non era giusto tenere quell’uomo lì, ma aveva paura che una volta tornato a Parigi e appreso del viaggio della figlia, avrebbe fatto di tutto e di più per tornare indietro.
Avrebbe potuto fargli del male e lei non voleva.
Aveva solo bisogno di dargli tempo e pregare nella ragazza: lei era l’unica che poteva sciogliere quel rovo di odio e maledizione, intessuto tanti anni prima da una donna scellerata e tradita.
Scosse il capo, mettendosi a rassettare la casupola e sorrise, quando una farfalla dalle ali violette le si posò sulla mano: «Lui sarà libero, mon chére» mormorò, portando la mano vicino al volto e osservando le ali dell’insetto vibrare lievemente: «Sono certa che il momento in cui la maledizione si spezzerà è vicino. E noi torneremo tutti assieme.»

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.550 (Fidipù)
Note: Buon salve salvino! Ecco qua un nuovo aggiornamento de La bella e la bestia (vi ricordo che il prossimo sarà il 19 luglio) e...beh, non è che  ci sia molto da dire, essendo questo un capitolo di congiunzione fra il precedente e il prossimo, quindi non vi annoio più di tanto con le mie chiacchiere e passo subito alle informazioni di servizio.
Come sempre vi ricordo lei, la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri.
Vi ricordo che domani ci sarà un nuovo capitolo di Laki Maika'i, venerdì invece sarà il turno del secondo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e sabato toccherà a Lemonish.
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!


Una stanza che non conosceva, Marinette aprì le palpebre mentre si girava sulla schiena e osservava il soffitto della camera: l’affresco aveva avuto senza dubbio giorni migliori e, per quanto la strana servitù di quella casa avesse pulito e sistemato tutto per farla stare a suo agio, non poteva non notare come al dipinto servisse una nuova mano di pittura.
Rimase ferma, osservando quella che doveva essere la rappresentazione del paradiso, e lasciò che la mente vagasse: suo padre stava male e aveva sicuramente contratto qualcosa di infettivo, se la servitù non voleva che lei si avvicinasse e ciò significava che l’unica cosa che poteva fare era rimanere lì e fare buon viso a tutto ciò che tale soggiorno avrebbe comportato.
I servitori – o meglio, la mobilia di quel luogo – erano gentili con lei e sembravano ansiosi di compiacerla in ogni modo possibile, eppure c’era qualcosa nei loro occhi e nelle loro voci, mentre si rivolgevano a lei: c’era una qualche aspettativa in loro, mentre le parlavano del castello e del loro padrone, quasi come se lei avesse una qualche soluzione.
Il padrone…
L’altra nota dolente di quel luogo: alla luce del giorno era leggermente meno pauroso di quando l’aveva incontrato la prima notte, nella foresta al buio, ma continuava a intimorirla e non poco.
Non poteva andarsene, questo era certo, ma anche rimanere lì aveva dei contro molto enormi.
«Andiamo, Marinette» bofonchiò la ragazza, colpendosi il volto con le mani e issandosi a sedere: «Hai anni alle spalle con Chloé Bourgeois! Cosa vuoi che sia un mostro come quello?»
«Buongiorno, madamoiselle!» trillò la voce allegra di Plagg, facendola sobbalzare nel letto: la ragazza indietreggiò, colpendo con la testa la testata di ferro e, uggiolando di dolore, si portò le mani alla nuca: «Oh, pardon moi. Non volevo spaventarvi…» mormorò il candelabro, muovendo frenetico i bracci e, muovendosi agilmente, raggiunse la porta della camera e l’aprì, permettendo al carrello di Tikki di entrare: «Pronta per una fantasmagorica giornata?»
«Come no?» borbottò Marinette, tirando su le coperte e guardandosi attorno alla ricerca dei suoi vestiti, notando il lungo abito che era stato deposto sul fondo del letto: «Che cos’è?» domandò, gattonando sul materasso e osservando la stoffa lisa che aveva visto sicuramente giorni migliori.
«Un abito» le spiegò Tikki, con quel suo tono di voce materno: «Decisamente più consono rispetto ai…» la teiera si fermò, osservando la ragazza scuotere il capo e scendere dal letto, incurante del fatto di essere in sottoveste e avvicinandosi alla propria sacca, tirando fuori quella che sembrava essere una veste corta come l’altra che aveva indossato; Tikki gemette mentre la ragazza continuare a vestirsi, incurante degli abiti che aveva messo a sua disposizione: «Beh, immagino che il mondo là fuori sia cambiato» sentenziò alla fine, mentre Marinette si allacciava gli scarponi e sorrideva convinta.
«Immagini bene, ma chére» dichiarò Plagg, ghignando: «Madamoiselle, siete una gioia per gli occhi.»
«Posso vedere mio padre?»
«Ehm…no.»
La ragazza annuì, sospirando e abbassando le spalle, stringendosi poi nelle braccia e fissando la camera: «E che cosa dovrei fare?»


Quella ragazza…
Adrien scaraventò un tavolino contro il muro, ignorando le risate divertite di Fu: «Si è spogliata come se nulla fosse!» tuonò la bestia, suscitando nuova ilarità nello specchio: «Che cosa ci trovi di così divertente?»
«La ragazza non sapeva di essere spiata, mio signore.»
«C’era Plagg nella stanza» borbottò Adrien, muovendosi faticosamente e andando a recuperare i pezzi del mobile che aveva rotto, iniziando a sistemarlo alla bell’e meglio, per quanto le sue zampe glielo permettessero: «Nessuna creatura con un po’ di cervello si cambierebbe con Plagg in camera.»
«Dubito che quella ragazza lo consideri un pericolo» commentò Fu, gorgogliando divertito: «E’ particolare, non trovate?»
«Plagg? Plagg è la vera essenza della particolarità! Dove lo trovi un altro con la fissa per il camembert come lui?»
«Intendevo la ragazza» precisò Fu, mentre Adrien uggiolava portandosi una zampa alle labbra e leccandola: «Vi siete fatto male, mio signore?»
«Solo una scheggia» borbottò la bestia, leccandosi la ferita: «Particolare? Quella è come Plagg!»
«Con la fissa per il formaggio puzzolente?»
«Buon dio no! Aveva un buon odore!»
«Oh, l’avete annusata, mio signore?»
«Non ho potuto farne a meno» borbottò Adrien, poggiando il muso contro la zampa e fissando contrariato lo specchio: «Questo funziona fin troppo a dovere» continuò, picchiettandosi il naso e scrollando le spalle, stendendosi sul pavimento: «Wayzz e Plagg sono intenzionati a farla rimanere qui e a nulla vale quello che dico. Che devo fare?»
«Provare a conoscere la vostra ospite?» domandò Fu, ridacchiando: «Riabituatevi alle relazioni sociali, mio signore.»
«E per cosa? Non prevedevo di andare a Parigi entro breve.»
«Beh, mai dire mai» dichiarò Fu, mentre sulla sua superficie riflettente apparve nuovamente la figura di Marinette: Plagg la stava portando a giro per il castello, mostrandole la rovina e distruzione in cui regnava e Adrien si sentì in colpa, sapendo che buona parte di tutto quello che lei vedeva era stata per colpa sua, quando ancora fresco della maledizione subita si era accanito contro ogni cosa che trovava a portata di zampa.
Sbuffò, incrociando le zampe dietro la testa e fissando il soffitto da cui spiovevano alcuni pezzi di stoffa, come se fossero tele create da un ragno gigante: «Quella ragazza sembra apprezzare tutto ciò che è metallico e sbuffa…» commentò Fu, spezzando il silenzio della stanza: «Secondo me…»
«Dovrei mostrarle il mio braccio?»
«No, in verità stavo pensando che dovreste farle vedere le fucine del castello» dichiarò Fu, sorridendo: «Vooxi sarà felice di avere un po’ di compagnia…»
Adrien balzò in piedi, annuendo con la testa e sistemandosi gli abiti logori, portandosi poi le zampe al volto e lisciandosi i capelli, indugiando con i cuscinetti sul volto sfigurato: «Come sto?» domandò, ruotando su sé stesso e attendendo il responso dello specchio: «Fu?»
«Come sempre, mio signore.»
Adrien annuì, tirando indietro le labbra e mostrando le zanne al proprio riflesso, assumendo poi la solita espressione seria di sempre: «Perché sto facendo tutto questo?» si domandò, voltandosi verso la porta della camera, senza fare neanche un passo quasi avesse paura di ciò che l’avrebbe accolto, non appena abbassata la maniglia.
«Perché, per quando diciate il contrario, anche voi sperate che quella ragazza spezzi la maledizione» dichiarò Fu con una nota bonaria nella voce: «E’ già nel vostro cuore, mio signore.»
«Bah. Avrò parlato con lei sì e no due volte e, ognuna di essa, stava squittendo come un topolino in gabbia.»
«Mai sentito parlare di colpo di fulmine?»
Adrien borbottò una risposta, uscendo poi velocemente dalla camera accompagnato dalla risata dello specchio, camminando per il corridoio e iniziando a pensare cosa dire alla ragazza quando l’avrebbe incontrata; si fermò nei pressi di un ritratto, osservando lo scempio che le sue unghie avevano creato, anni prima: lo sguardo verde di un bambino ricambiava il suo e lo fissava con fare strafottente, mentre lui si sentiva nuovamente inferiore a tutto ciò che era stato un tempo e, contemporaneamente, sentiva il proprio cuore farsi pesante per le colpe che aveva.


Marinette accarezzò quello che sembrava essere un pianoforte e indietreggiò, quando lo sentì tossire mentre Plagg le borbottava qualcosa sul musicista di quel luogo, spiegandole che la tosse perenne che aveva avuto da umano lo colpiva anche adesso: «Eravate tutti umani?» domandò la ragazza, fermandosi al centro di quella che doveva essere una sala da ballo e osservando uno specchio: «Salve.»
«Quello è un semplice specchio» dichiarò una voce cavernosa, facendo sobbalzare la ragazza che, voltandosi lentamente, osservò il padrone di casa fermo sulla soglia della porta: «Non tutti sono animati» continuò la bestia, avanzando lentamente nella sala: «Plagg, puoi andare.»
«Come desiderate, signore» dichiarò il candelabro, chinandosi al padrone e sorridendo alla ragazza che, balbettante, allungò una mano nella direzione del soprammobile, il quale incurante di tutto la lasciò sola con quel mostro.
La bestia la fissò, osservandola mentre indietreggiava fino a trovarsi con le spalle al muro: «Il mio nome è Adrien» mugugnò, allungando una zampa e fermandosi a metà del gesto, quando la vide tremare in maniera vistosa: «Il vostro nome?» domandò, abbassando gli artigli e rimanendo in attesa.
«Ah…mh….enm…Menette…cioè…Maritte….»
«Maritte?»
«N-no. M-ma-marin-nette.»
«Marinette» ripeté la bestia, annuendo e tirando indietro le labbra, mostrando le zanne ma accorgendosi che ciò non aveva fatto altro che provocare un singhiozzo da parte della giovane che, se possibile, voleva diventare un tutt’uno con il muro: «Volete venire con me?»
«Eh?»
«Plagg mi ha detto che siete un’appassionata di meccanica e di motori al vapore» borbottò Adrien, portandosi una mano alla testa e massaggiandosela: «Abbiamo delle fucine qui al castello e magari, nell’attesa di andarvene, volete…»
La ragazza annuì, osservandolo mentre si voltava e si dirigeva verso la porta: poteva seguirlo tranquillamente? Oppure l’avrebbe uccisa una volta portata in un posto solitario?
Marinette inspirò profondamente, portandosi una mano al petto e sentendo il battito del cuore furioso: lasciò andare l’aria che aveva trattenuto e fece un passo e scivolando per terra, storcendo le labbra di fronte all’ennesima dimostrazione della sua goffaggine, attirando l’attenzione del suo ospite che la fissò con lo sguardo verde sgranato, prima di ridere sguaiatamente e scuotere il capo: «Pe-perdonatemi» mormorò la mora, alzandosi da terra e spazzolandosi la corta gonna, prima di superarlo con il capo chino.
Ok, se voleva ucciderla gli aveva appena dimostrato quanto sarebbe stato facile.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.055 (Fidipù)
Note: Eccoci qua un nuovo aggiornamento de La bella e la bestia (vi ricordo che il prossimo sarà il 9 agosto) e, come al solito, non è che ci sia molto da dire ma anzi, ciò che deve parlare è proprio il capitolo e quindi vi lascio direttamente a lui. Ma ovviamente, prima le dovute informazioni di servizio!
Come sempre vi ricordo lei, la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri.
Vi ricordo che domani ci sarà un nuovo capitolo di Laki Maika'i, venerdì invece sarà il turno del secondo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e sabato toccherà a Scene, con Per la mia famiglia.
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

 

La fornace gorgogliò e le lingue di fuoco al suo interno divamparono, quasi accogliendo la ragazza che era entrata nella fucina: «Buongiorno, Vooxi» salutò Marinette, alzando una mano e muovendo le dita, salutando così il meccanico-fabbro del castello e domandandosi se poteva vederla o meno.
«Sei di nuovo qua?» le domandò Vooxi, aumentando un poco le sue fiamme e rischiarando così la stanza nella penombra più assoluta: quasi le sembrava che le lingue di fuoco assumessero la forma di una bocca, ogni volta che la fornace parlava.
«Non c’è altro da fare» commentò Marinette, incassando la testa nelle spalle e sorridendo, prima di abbassare lo sguardo sul piano di lavoro e carezzarlo, osservando le sue dita lasciare scie nella polvere: non aveva ancora compreso se Vooxi non gradiva la sua presenza lì perché intrusa nel suo regno indiscusso o, più semplicemente, solo perché donna.
«Non potresti fare come ogni ragazza e pensare a vestiti, trucchi e tutte quelle robe là?»
«Andresti d’accordo con mia madre» dichiarò la ragazza con un sorriso sulle labbra, lasciando andare liberi i pensieri e immaginando la figura piccola e arrotondata della donna mentre si affaccendava nel negozio di famiglia: da quanti giorni era in quel castello? Quattro? Cinque? Senza contare la giornata di viaggio che le era servita per giungere lì.
Come stava sua madre?
Era preoccupata, non vedendo nessuno tornare a casa?
Si fermò, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro: domanda stupida la sua, era certa che la madre si stesse preoccupando in quell’esatto momento, quasi immaginandola nel negozio, mentre alzava il capo ogni volta che un rumore di cavalli giungeva dalla strada o la porta si apriva, con la speranza del ritorno della figlia e del marito.
Avrebbe dovuto mandarle un messaggio?
La tentazione di scriverle alcune righe era forte, sebbene non avesse assolutamente idea di come poter spedire il messaggio poi a Parigi?
Magari da quelle parti c’era un qualcosa che le avrebbe permesso di…
Beh, comunicare con la madre.
Si picchiettò le dita sulle labbra, appuntandosi mentalmente di chiedere a Tikki delucidazioni in merito, mentre lo sguardo vagava per la stanza: il padrone del maniero l’aveva accompagnata lì due giorni prima, mostrandole quel luogo dimenticato da chiunque e presentandole Vooxi.
Marinette aveva notato come, sia padrone che meccanico, fossero entrambi sbuffanti e le ricordassero un motore a vapore: fumanti, rumorosi e borbottanti. La ragazza sorrise a quel pensiero, prendendo i guanti da lavoro e guardandosi nuovamente attorno, indicando di tanto in tanto qualcosa ed elencando mentalmente il lavoro ancora da fare: la fucina era stata lasciata a sé stessa, dando libero sfogo a polvere e ragnatele che avevano conquistato ogni angolo.
Adrien non le aveva detto niente e lei si era sentita era presa la libertà di sistemare e rendere agibile quel luogo: mettendosi subito al lavoro e tornando la sera al maniero sporca di polvere, con i capelli intrisi di ragnatele e alcuni sbaffi di grasso sul volto; ricordava ancora il singulto inorridito di Tikki il primo giorno, mentre l’osservava disfarsi degli abiti e trovare la giusta ricompensa del suo lavoro in un caldo e fumante bagno profumato.
Il giorno successivo era tornata nella fucina, ben decisa a dare un aspetto decente a quel luogo e nuovamente era tornata alle sue camere in condizioni per nulla consone a una giovane fanciulla come era lei, o almeno così diceva Tikki.
Del padrone di quel posto, invece, non aveva che visto l’ombra ogni volta che rientrava al castello.
Il timore per quella strana bestia aveva lasciato il posto a una certa curiosità: non sembrava intenzionato a ucciderla e, se doveva ammettere, sembrava ben deciso a tenerla a distanza e mandarla via il prima possibile, ricordando poi le parole che aveva detto alla sua servitù, il primo giorno del suo soggiorno in quel luogo.
Forse sotto quell’aspetto mostruoso, non c’era una bestia assetata del sangue – del suo sangue – ma semplicemente qualcuno che…
Beh, aveva un’anima umana.
Sapeva che quel luogo era sotto un qualche incantesimo e che la servitù era stata trasformata in un soprammobili e utensili, perché non poteva essere stato lo stesso per il signore di quel maniero?
Perché poi?
Per quale motivo era stata lanciata una magia simile?
Cosa era successo in quel luogo?
Aveva provato a domandarlo, facendo leva sulla lingua lunga di Plagg o sulla gentilezza di Tikki, ma entrambi avevano sviato le sue domande, senza che lei avesse ciò che voleva: risposte, spiegazioni a quello che la circondava.
Lasciò andare un sospiro pesante, stringendo le dita e assicurandosi la presa sui guanti, avvicinandosi al punto dove si era fermata il giorno precedente e iniziando a tirar fuori le casse piene di strumenti e materiali, afferrandone una e tirandola su con una smorfia in volto, serrando meglio la presa sui manici e sentendo i muscoli della braccia lavorare: «Vooxi?» mormorò, sentendo le fiamme della fornace crepitare e scoppiettare rumorose: «Che cosa vi è successo?»
«Intendete dire perché siamo oggetti?» domandò il meccanico, mentre le fiamme si levavano verso l’alto, piccole lingue rossastre che si scontravano con la pietra annerita: «Non è mio compito informarvi, madamoiselle.»
«Vorrei solo sapere…» la ragazza poggiò la cassa sul piano, scuotendo la testa e scostando una ciocca dal volto, che la infastidiva al quanto: «aiutarvi» mormorò, tenendo lo sguardo sugli oggetti e prendendo un martello: era pesante e il metallo scuro era liscio.
Un martello ben fatto, si ritrovò a pensare, mentre lo provava sul banco e ne constatava la forza.
Lo abbatté una seconda volta, ascoltando il rumore del legno e non prestando attenzione a nessun’altro suono: non certo al passo pesante e meccanico che si stava avvicinando alle sue spalle; colpì il tavolo una terza volta, sobbalzando quando sentì qualcosa sulla sua spalla e, spinta da un istinto che nemmeno sapeva di avere, si voltò e colpì con il martello nell’aria, a vuoto, con gli occhi chiusi: «Volete uccidermi per caso?» ringhiò la voce tagliente come una lama del padrone di quel posto, facendola sussultare nuovamente e aprire le palpebre.
La bestia – Adrien – era davanti a lei e la fissava con le labbra ritratte, le zanne in bella mostra e lo sguardo verde pieno di lampi, mentre dalla gola proveniva un ringhio basso, quasi un avvertimento a lei: «Sì» mormorò la ragazza, accorgendosi della sua risposta e portandosi entrambe le mani alle labbra, un gesto che costò l’abbandonò del martello, questo aiutato dalla forza di gravità si abbandonò a terra, colpendo l’ignara zampa di Adrien, la cui unica colpa era stata quella di trovarsi nella sua traiettoria.
Adrien ululò, alzando l’arto leso e tenendoselo con entrambe le mani, saltellando per la stanza e colpendo i tavoli e i mobili pieni di oggetti metallici e potenzialmente pericolosi: «Mi dispiace» pigolò Marinette, allungando le mani e osservandolo mentre si avvicinava alla fucina, poggiando una mano sulla pietra calda, mentre poggiava poco sicuro la zampa per terra: «Non volevo, lo giuro.»
«Voi volete uccidermi» decretò Adrien, voltandosi verso di lei e fissandola in volto, le parole piene di sicurezza verso le mire omicide della fanciulla: «E dopo che mi avete ucciso cosa farete? Diventerete la padrona di questo luogo?»
«Era solo un martello» borbottò Marinette, facendo un passo verso di lui con le mani protese in avanti; richiuse lentamente le dita di quella sinistra, tenendo disteso solo l’indice e puntandolo verso la mano metallica, poggiata sulla fucina: «E se non togliete alla svelta il vostro arto da lì, penso che avrete metallo fuso al posto delle dita» Adrien voltò il capo, osservando la mano incriminata e tirandola via con velocità, voltandosi poi verso la ragazza e accusandola quasi con il solo sguardo: «Non è stata colpa mia» decretò Marinette, sorridendo appena e posando lo sguardo celeste sull’arto di metallo, voltandosi un poco e ascoltando il rumore degli ingranaggi: «Potete muoverlo?»
«Cosa?»
«Il vostro arto. Potete muoverlo?» Adrien inclinò la testa verso destra, osservando la ragazza e sbattendo le palpebre, scuotendo poi il capo e flettendo l’avambraccio, mentre Marinette rimase in silenzio, aprendo un poco le labbra e annuendo poi con la testa: «Avete bisogno di manutenzione.»
«Prego?»
«La giuntura sta cigolando» disse la ragazza, indicando l’arto e facendo un nuovo passo verso di lui, rimanendo poi ferma sul posto e non avvicinandosi oltre: «Se volete posso farlo io. Ho trovato un’oliera e alcuni attrezzi, mentre mettevo in ordine qui» continuò, voltandosi e abbracciando con lo sguardo la stanza, fermandosi poi sulla bestia: l’osservò respirare a fondo, l’ampio petto che si alzava e poi lasciava andare l’aria, annuendo leggermente e sistemandosi sul primo sgabello a disposizione, poggiando poi il braccio sul tavolo di legno.
Marinette gli regalò un sorriso incerto, prendendo gli attrezzi e avvicinandosi lenta a lui, ponendo il tutto sul piano e allungando poi una mano verso l’arto di metallo, fermandosi a mezz’aria: «Non vi farò del male» mormorò, voltandosi verso il volto rovinato e osservando le iridi verdi, prima che lui acconsentisse con un cenno lento del capo.
Un nuovo sorriso comparve sulle labbra della ragazza, più deciso del precedente, mentre scostava la stoffa lisa e carezzava con i polpastrelli le linee sinuose del ferro: «E’ bellissimo» bisbigliò, alzando la testa e sorridendo allo sguardo che lui le aveva rivolto: sembrava sorpreso, quasi incredulo che potesse piacerle: «E’ il lavoro meraviglioso di un artigiano.»
«E’ il frutto di una maledizione.»
Marinette accolse quella constatazione, annuendo con la testa e iniziando a lavorare sulle giunture, oliandole e aggiustandone la presa: «Maledizione. Tutti qua ne parlate, ma nessuno vuole spiegarmi» mormorò, alzando la testa e sorridendo appena: «In vero, fino a che non sono giunta qua non sapevo neppure che esistessero le maledizioni.»
«E’ stato per colpa mia. Mia e della mia arroganza» Adrien ringhiò quasi quelle parole, stringendo la zampa e tenendo lo sguardo su questa: «Gli altri non sono altro che semplici vittime, costretti a questa vita per un mio errore.»
«Tutti sbagliamo» decretò Marinette, sorridendo appena: «Ma questo non significa che bisogna essere maledetti. Prima di venire qua avevo costruito una macchina e…» si fermò, storcendo le labbra al ricordo di ciò che aveva combinato al negozio di Theo: «…diciamo che ho quasi distrutto il negozio di un mio amico barbiere.»
«Avete la distruzione nel sangue.»
«No, sono umana e quindi tendo a sbagliare. Come tutti. Come voi.»
«Se sbagli con un essere magico non c’è perdono» Adrien socchiuse gli occhi, muovendo le dita della mano metallica e sentendo la ragazza fare forza contro il suo palmo, costringendolo a riaprire le palpebre: «Chiedo venia» mormorò, piegando le labbra in un sorriso incerto di fronte allo sguardo che lei gli aveva appena rivolto: i lampi di rabbia che vi aveva scorto avrebbero incenerito anche Plagg, n’era certo.
«Mi rendete difficile il lavoro» decretò Marinette, scuotendo la testa e tornando la lavoro, senza rialzare la testa finché non ebbe terminato il lavoro: «Ecco fatto» disse trillante, allontanandosi di un passo e osservando Adrien chiudere e riaprire le dita della mano metallica: non c’era più quell’orribile suono cigolante, ma le semplici fusa degli ingranaggi che si muovevano: «Dovreste tenerla ben pulita, sapete? Un bell’arto così, tenuto in quel modo orribile…»
«Non sono molto avvezzo alla meccanica e a tutto il resto» mormorò Adrien, sorridendo e muovendo le dita, come se fossero la prima volta che le vedeva: «Cosa che non si può dire di voi.»
«Finché sarò qui mi occuperò della manutenzione del vostro arto» dichiarò Marinette, alzando lo sguardo e sgranandolo, quando si accorse delle iridi verdi che erano fisse su di lei: «Co-come rin-grossamento…volevo dire ringraziamento per quello che avete fatto.»
«Ringhiarvi contro?»
Le labbra della ragazza si aprirono in un sorriso luminoso, mentre inclinava la testa e una ciocca di capelli le sfiorava la gola scoperta: «E-ra una battuta?» domandò, vedendo l’altro scrollare le spalle e guardarsi interessato attorno: «Grazie per avermi permesso di restare e per quello che fate per mio padre.»
«Mh. Sì» la voce di Adrien le arrivò come un ringhio basso, mentre l’osservava alzarsi e scuotere il capo, le orecchie sulla sommità che si muovevano a scatti e la lunga coda nera che sferzava l’aria: «Posso chiedervi l’onore di cenare con me, stasera? Come ringraziamento per il vostro ringraziamento.»
«Ce-certo» mormorò Marinette, annuendo con la testa e sorridendo appena: «Sarò onorata.»
«Vi assicuro che non vi mangerò.»
«E-ra un’altra battuta?»
«Ho appena scoperto che mi vengono bene, non è vero?»

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.007 (Fidipù)
Note: Eccoci qua un nuovo aggiornamento de La bella e la bestia (vi ricordo che il prossimo sarà il 6 settembre) e chi di voi comprenderà il cambiamento che avviene nel capitolo? Intanto, vi lascio alle classiche informazioni di servizio.
Come sempre vi ricordo lei, la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri.
Vi ricordo che domani ci sarà un nuovo capitolo di Laki Maika'i, venerdì invece sarà il turno del secondo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e sabato toccherà a Lemonish.
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

«Mostrami la ragazza.»
Adrien osservò il grande specchio e il riflesso della propria camera, che tremolò leggermente come ogni volta che il vecchio Fu trovava qualcosa di divertente: «Voglio solo assicurarmi che stia bene» commentò, posandosi la mano metallica sulla nuca e massaggiandosela, mentre faceva vagare lo sguardo in ogni angolo della stanza: «Io…»
«Voi avete preso il vizio di voler vedere la ragazza ogni mattina, mio signore» fu il commento pacato dell’anziano servitore, mentre la sua superficie s’illuminava e al posto del consueto riflesso la superficie mostrò un’altra camera da letto: «Potete vedere. Non è in déshabillé.»
Adrien borbottò qualcosa, sentendo le guance andargli a fuoco e ricordando il giorno precedente, quando aveva fatto la medesima richiesta a Fu e lo specchio gli aveva mostrato Marinette in un modo, che solo a un marito sarebbe stato concesso vedere.
Aveva distolto immediatamente lo sguardo, ma le forme morbidi e la pelle nivea erano ormai impresse a fuoco nella sua mente, tanto che quando l’aveva incontrata all’officina, era stato difficoltoso non avere la mente impregnata di pensieri non propriamente casti mentre lei, ignara di ogni cosa, aveva lavorato sul suo braccio meccanico, balbettando discorsi che lui non aveva ascoltato.
Per tutto questo aveva aspettato che Fu gli desse il via libera, prima di posare lo sguardo sullo specchio.
Sorrise, avvicinandosi appena e notando la ragazza ancora immersa nel sonno: le coperte erano state scalciate via durante la notte e la giovane era completamente padrona del grande letto, mentre dormiva supina e con le braccia aperte; la gamba sinistra era piegata in modo da formare un quattro con quella destra e la camicetta da notte era salita su ma, fortunatamente, non mostrava nulla che non doveva esser visto.
«Ha un modo di dormire alquanto interessante» commentò Fu, facendo traballare leggermente il riflesso e suscitando il disappunto di Adrien: il giovane padrone sbuffò e tirò indietro le labbra, mostrando le zanne allo specchio, senza ricevere nessuna risposta in cambio.
Grato di quel silenzio, Adrien continuò la sua contemplazione della fanciulla dormiente, sorridendo appena quando la vide muovere le labbra, continuando a rimanere immersa nel sonno e inavvicinabile: durante il giorno la osservava sempre da lontano, troppo il timore di vederla diventare impacciata e un pericolo per la sua stessa incolumità, come era successo durante la loro unica cena assieme, dove l’aveva vista quasi tagliarsi con il coltello ed essere vicina a infilzarsi la mano con la forchetta.
Tutto per colpa della sua presenza.
Non l’avvicinava, se non quando lei mandava Flaffy a cercarlo per la manutenzione del braccio.
Un lieve sorriso gli storse le labbra, mentre si rendeva conto di come la ragazza era entrata velocemente nella routine del castello, assoggettandola al suo volere ed entrando nel cuore di tutti i servitori: non c’era nessuno che non era stato conquistato dal fascino di Marinette e chiunque, dal primo all’ultimo, cercava di soddisfare ogni desiderio della giovane, facendo quasi a gara su chi ci riuscisse prima.
«Sarebbe perfetta» commentò Fu, facendolo tornare alla realtà mentre lo sguardo continuava a indugiare sul volto addormentato della ragazza.
«Per cosa?»
«Come signora di questo castello, ovviamente.»
«Io…»
«Lei può farcela, mio signore. Lei lo sta già facendo.»
Adrien allungò una zampa verso lo specchio, poggiando un artiglio sul volto di Marinette e ritirandolo con velocità, scuotendo la testa con vigore: «Lei non potrebbe mai amare un mostro» dichiarò, dando le spalle allo specchio e raggiungendo velocemente la porta, posando la mano sulla maniglia e abbassandola: «Ci vediamo dopo, Fu.»
Il riflesso dello specchio tornò quello consueto e tremolò leggermente, mentre Adrien usciva: «Ma il mostro ama già la sua bella» commentò la voce dell’anziano servitore: «Semplicemente non lo vuole ammettere. Non è vero, Plagg?»
Il candelabro di metallo uscì dal suo nascondiglio, muovendo i bracci e saltellando lungo il comò in parte distrutto che ancora rimaneva in piedi: «Mi chiedo come fai a sapere sempre che entro qua» dichiarò il giovane servitore, fermandosi sull’angolo del mobile e mettendosi seduto, accavallando le gambe metalliche e poggiando i due stoppini sopra di essa: «Si sta innamorando?»
«Mai sentito parlare di coup de foudre
«Oh. Quello che ho ogni volta che vedo una forma di camembert: le sue forme morbide e sinuose, il suo profumo ammaliante…» Plagg scosse il capo, sospirando esagerato: «Comunque lo sapevo. Me lo sentivo che si era innamorato subito. E lei? Di lei cosa mi dici? Potrà amarlo? Potrà salvarci tutti quanti?»
«Sono solo uno specchio, mio caro amico. Non posso vedere il futuro.»
«Oh. Andiamo. Hai la saggezza degli anni dalla tua. Cosa pensi? Cosa senti al riguardo?»
«Quella ragazza…»
«Sì?»
Il riflesso tremolò e Plagg incassò la testa di metallo nelle spalle, ridacchiando appena: «Quella ragazza…» riprese Fu, fermandosi un attimo: «…lei potrà vedere al di là del volto della bestia.»


La carrozza si fermò davanti il negozio dei Dupain-Cheng in un tripudio di sbuffi e vapore acqueo, attirando l’attenzione di qualche passante e dei bambini del vicinato: «Da quanti giorni hai detto che manca?» domandò Chloé Bourgeois, scostando la tendina dell’abitacolo e osservando l’entrata della bottega, abbassando poi la mano e voltandosi verso l’altra passeggera.
«Tre. Quattro. E’ partita poco dopo che il carro del padre è tornato, Chloé» fu la pacata risposta di Sabrina, abbozzando un sorriso e guardando l’amica e lisciandosi poi le pieghe della gonna: «E da allora non si sa più nulla. Anche la madre non ha idee di dove sia andata.»
Chloé strinse le labbra, lasciando andare la tendina e piegando la dita a pugno, continuando a tenere lo sguardo rivolto verso l’esterno, osservando il mondo al di fuori della carrozza da dietro la stoffa semitrasparente: «Marinette Dupain-Cheng sembra essere scomparsa, dunque.»
«Sembra proprio di sì.»
«Indaga» l’ordine arrivò dopo una manciata di minuti di silenzio, perentorio e autoritario, tanto che Sabrina alzò la testa e osservò l’amica con lo sguardo sgranato dietro le lenti degli occhiali di metallo: «Voglio sapere dove era diretta e perché.»
«Ma Chloé…»
«Sono certa che per te sarà facile scoprire tutto questo, Sabrina.»
«Sì, certo.»
Chloé Bourgeois sorrise di fronte all’espressione confusa dell’altra, tornando poi a guardare al di fuori del finestrino e ascoltando distratta Sabrina dare ordini al cocchiere: la carrozza si mosse con il cigolio metallico che era solita accompagnarla durante le sue trasferte per le strade di Parigi, mentre i suoi occhi rimasero fissi sulla bottega dei Dupain-Cheng, fino a che questa non sparì dalla sua visuale.
Lei doveva sapere dove Marinette Dupain-Cheng si era nascosta.
Doveva saperlo.


Marinette sorrise, osservando il grande bestione di pelo e metallo venire scortato da un piccolo piumino verso l’officina del maniero e, vista l’espressione scocciata del padrone di casa, Flaffy doveva averlo praticamente costretto ad andare lì: «S-siete in ritardo» mormorò, sorridendo con dolcezza alla bestia e indicandogli lo sgabello che aveva preparato vicino al bancone di lavoro, con gli attrezzi ordinati su di questi: «I-il vostro braccio…»
«Posso tranquillamente saltare la manutenzione un giorno o due» bofonchiò Adrien che, nonostante le sue parole contrarie, proseguì la sua marcia e si lasciò cadere malamente sullo sgabello, poggiando il braccio metallico sul tavolo e fissandola con le iridi dello stesso colore delle chiome degli alberi: «Ho vissuto per molto tempo senza farla e…»
«E il vostro braccio stava andando in malora» borbottò Marinette, sbuffando e avvicinandosi, prendendo posto davanti a lui e costringendolo ad aprire le mano, carezzando le linee di metallo: afferrò l’oliera, incominciando la propria opera e diventando silenziosa, completamente concentrata sul suo lavoro.
Adrien inspirò, osservando il capo chino sopra la sua mano e spostando poi l’attenzione sull’officina: non c’erano più polvere e ragnatele, tutto era in ordine e sembrava che la giovane fosse riuscita a trovare anche alcuni macchinari nel caos che era diventato, con gli anni quel posto. Un luogo completamente diverso.
L’ennesimo segno della presenza di Marinette al castello.
L’ennesima prova di quanto la ragazza si stava insinuando nella vita di tutti loro.
«Che razza di maledizione può fare tutto questo?» commentò a voce alta la giovane, facendo spostare nuovamente l’attenzione di Adrien su di lei: stava carezzando i pezzi e le molle che formavano le dita, scivolando verso la punta con i polpastrelli e alzando lo sguardo celeste verso di lui: «Perché?»
«Io…» Adrien si fermò, inspirando profondamente e osservando le loro dita, le une sopra le altre: «Io ho sempre vissuto solo in questo castello: mia madre se n’era andata quando ero piccolo e mio padre era sempre impegnato con il suo lavoro; chi mi ha cresciuto è stata la servitù ma...» nuovamente si bloccò, aprendo la bocca e quasi aspettandosi che Marinette si ritrasse davanti alla vista delle zanne, stupendosi quando lei rimase immobile e in attesa del suo continuo: «Io ero arrogante, viziato, per nulla incline a capire il prossimo. Ogni cosa che volevo l’avevo, ogni mio capriccio veniva accolto e risolto. Io ero…»
«Un bambino veramente tremendo» bisbigliò Marinette, inclinando il capo e sorridendo dolcemente, carezzando lenta le dita di metallo: «Anche la figlia di un’amica di mia madre è esattamente così.»
Adrien annuì, osservando le dita di Marinette sfiorare le sue e maledicendo la mancata sensibilità di quella mano: non sentiva il calore della pelle di lei, non sentiva l’effetto che facevano le sue dita su di lui.
Non sentiva nulla.
«Che cosa è successo?»
«Una sera fu indetta una festa qui al castello. C’era un temporale in corso, mentre ballavo e mangiavo le più dolci prelibatezze preparate dal cuoco, poi qualcuno bussò e ogni cosa si fermò: Plagg andò ad aprire e fece entrare una vecchia che indossava stracci e cenci, tutto ciò che mi chiese era un po’ di riparo per quella notte tremenda, in cambio di una rosa» Adrien si fermò, socchiudendo gli occhi e ricordando esattamente ciò che aveva vissuto e provato.
La repulsione per quella creatura che non rispettava i suoi canoni.
La risata piena di cattiveria che era uscita dalle sue labbra, mentre ridicolizzava la vecchia.
«Io mi rifiutai, la derisi e la cacciai.»
«Ma…»
«Lei provò ad avvisarmi di non lasciarmi ingannare dalle apparenze, ma io ignorai il suo avvertimento e rimasi deciso sulla mia convinzione» Adrien inspirò, aprendo le palpebre e incontrando lo sguardo di Marinette: «Fu allora che lei mostrò il suo vero aspetto di spirito della natura, lanciando la sua maledizione su tutti noi: io fui trasformato in questo mostro e l’incantesimo si estese anche alla mia servitù. Nessuno fu risparmiato, neanche mio padre.»
«Che cosa gli è successo?»
«E’ una farfalla che vaga nel bosco. Sempre che non sia stato già mangiato, ovviamente.»
Marinette annuì, abbassando lo sguardo sulle loro mani e tenendolo lì, mentre la domanda che aveva in mente sfiorò le sue labbra: «C’è un modo per sciogliere questa maledizione?»
«Uno solo. Ma è impossibile.»
«Questo è ingiusto.»
«Non c’è giustizia con le creature della foresta e mi sono meritato ogni secondo di questa maledizione. Ma non i miei servitori, non loro.»
«Eri solamente un bambino…»
«Ero cattivo.»
«Non è vero» Marinette alzò lo sguardo, sorridendo con dolcezza al volto deturpato e orrendo della bestia, allungando titubante l’altra mano e sfiorando una delle linee nere che, dal naso, attraversava l’intero zigomo: «Non sei una persona cattiva, Adrien. Se tu lo fossi stato non avresti salvato mio padre e non lo terresti qui, curandolo. Non saresti venuto a salvare me. Sei una brava persona e qualcuno dovrebbe dirlo a quella creatura che ti ha maledetto…»
«Le creature della foresta non concepiscono il cambiamento, perché loro non posso farlo.»
«Ma tu sì. Tu sei umano, Adrien.»


La donna rimase immobile, seduta sulla porta della piccola abitazione immersa nel verde del bosco e ascoltando i rami che si muovevano nella lieve brezza notturna accompagnati dai richiami di alcuni animali; la notte così silenziosa era una cacofonia di versi e suoni, a cui si aggiungeva anche il sommesso russare del suo ospite.
Qualcosa si stava muovendo.
Il cambiamento così tanto atteso stava finalmente giungendo.
Lo poteva sentire nell’aria, serpeggiare nella sua forza e raggiungerla.
Il tempo stava scadendo e, per la prima volta dopo molti anni, lei era fiduciosa.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.010 (Fidipù)
Note: E si riprende anche questa storia! Mi mancavano un po' le atmosfere delle storie del mercoledì che, eccezionalmente per questa settimana, sono diventate storie del venerdì e si riprende il giro con La bella e la bestia, il cui capitolo successivo sarà il 27 settembre; la prossima settimana invece vedrà l'aggiornamento La sirena.
Detto ciò, come sempre, vi ricordo la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri.
Ed io vi do appuntamento a domenica con l'aggiornamento di Scene e la seconda parte di Eroina.
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Poteva una persona essere un pericolo per la propria esistenza?
Adrien aveva iniziato a porsi questo quesito da quando aveva conosciuto Marinette: non aveva molta dimestichezza con il genere umano, a conti fatti, era rinchiuso in quel maniero da quando era poco più che un ragazzino in procinto di entrare nella pubertà, ma era certo che nessuno avesse un istinto di sopravvivenza così irrisorio come quello della ragazza.
Un quesito che aveva trovato la sua massima conferma proprio in quel momento, mentre osservava le dense volute di fumo nero come la notte che si libravano dalla porta e dalle finestre dell’officina, regno indiscusso della giovane da quando aveva iniziato a vivere lì con tutti loro.
Adrien rimase fermo sul posto, quasi come se le sue gambe avessero messo radici oltre che ingranaggi e peluria, incerto su cosa fare e dove andare: tornare al castello e chiedere aiuto oppure gettarsi a capofitto nel pericolo e salvare la fanciulla in difficoltà?
Il dubbio svanì non appena vide Marinette uscire dal laboratorio e barcollando leggermente, tanto che si appoggiò allo stipite della porta; Adrien si mosse veloce, per quanto fosse possibile con due gambe di natura e altezza diverse, raggiungendo la ragazza e allungando il braccio meccanico, in modo che lei potesse usarlo come appoggio e le mani piccole si posarono subito sul suo avambraccio, sfiorando delicate gli ingranaggi che fungevano da sostituti di tendini e muscoli: «Cosa è successo?» domandò Adrien con premura, accogliendo il peso di Marinette completamente abbandonata contro di lui.
«Un incidente di percorso» riuscì a dire la ragazza fra i colpi di tosse, seguendo docilmente Adrien mentre la scortava poco distante, lontani da possibili pericoli e inalazioni potenzialmente velenose.
«Un incidente di percorso?» ripeté Adrien, scandendo bene ogni parola mentre lo sguardo celeste di Marinette si fissava su di lui e un sorriso dolce le piegava le labbra: «Che cosa stavi facendo?» domandò il giovane, alzando la testa e osservando l’officina che, ancora fumante, sembrava rimanere però in piedi.
«Un esperimento.»
«Un esperimento?»
«Devi ripetere ogni cosa che dico?» domandò Marinette con la voce sorridente, accentuando leggermente la presa sul braccio di Adrien e scuotendo la testa, senza allontanarsi da lui e trovando confortante la presenza di quello che, solo fino a pochi giorni prima, avrebbe definito mostro: «Comunque stavo provando a creare una macchina e, come al solito, ho fallito» mormorò, agitando la mano libera e voltandosi anche lei verso l’officina, sospirando lugubre: «Forse dovrei smettere…»
«Il mio mentore dice che la strada per il successo è lastricata dai fallimenti.»
«Il tuo mentore?»
Adrien annuì, chinando la testa mentre le labbra venivano tirate in un sorriso triste: «Anche lui è vittima della maledizione» mormorò, prendendo la mano di lei con la zampa, ben attento a non ferire la pelle nivea, e posandosela nell’incavo del gomito: «Non penso che l’hai incontrato, dato che è appeso nelle mie stanze: con un macabro senso dell’umorismo lo spirito l’ha trasformato in uno specchio, per riflettere ciò che aveva educato.»
Marinette rimase indietro, camminando lentamente al fianco di Adrien e osservando lo sguardo verde posarsi sul maniero poco distante: «A cosa serviva la macchina che stavi progettando?» domandò, scuotendo il capo e muovendo le orecchie feline e metalliche, quasi come se stesse captando qualcosa: «Per qualsiasi cosa di cui hai bisogno…»
«Per le pulizie» mormorò Marinette, guardando anche lei il castello, le cui candide mura erano soggiogate dalla vegetazione, libera di crescere senza nessuno che la domasse: «poco prima di partire da Parigi avevo progettato una macchina che potesse aiutare un mio amico: lui ha un negozio di barbiere ed io avevo pensato di dargli una mano, con una macchina che tagliasse e pettinasse.»
«Ma…»
«Ma cosa?»
«Sembra una storia dove c’è un ma.»
«Diciamo che ho decapitato il manichino che fungeva da esperimento.»
Adrien annuì, stringendo le labbra e alzando il mento, facendosi sfuggire una risata che mascherò con un colpo di tosse: «Beh, non tutte le ciambelle riescono con il buco. Questa è una massima di Tikki.»
«Usi sempre le massime dei tuoi servitori?»
«Penso di averle assimilate, vivendo con loro per tanto tempo e avendo solo la loro compagnia…»
«Strano che tu non abbia assimilato qualcosa da Plagg» commentò Marinette, pensando al candelabro dalla lingua lunga e le battutine piene di sensi, che sembrava divertirsi a mettere gli altri in imbarazzo.
«Sono stato selettivo» dichiarò Adrien, fermando e respirando a fondo, portandosi la zampa sulla gamba metallica e socchiudendo gli occhi: «Perdono, è complicato camminare per lungo tempo con questi affari.»
«Hai bisogno di manutenzione?»
«No, avrei bisogno che fossero almeno della stessa altezza» bofonchiò Adrien, guardandosi attorno e adocchiando una panchina di pietra, immersa nel verde di ciò che, un tempo, era stato uno dei vanti del castello: «Questo giardino era bellissimo un tempo» mormorò, indicando il sedile con un cenno del capo e osservando Marinette raggiungerlo velocemente e accomodarsi, lo sguardo celeste fisso su di lui finché non si accomodò al suo fianco: «Rose. Violette. Margherite. Orchidee. C’era ogni genere di fiore e il profumo…» si fermò, socchiudendo gli occhi e inspirando l’aria carica di odore d’erba: «Beh, era decisamente migliore: un bouquet delicato e inebriante.»
«Un bouquet delicato e inebriante» mormorò Marinette, tirando su le gambe e poggiando il mento sulle ginocchia coperte dalle impalpabili calze bianche, quasi dimentica della gonna corta che indossava e che si era tirata su, rivelando una buona porzione di cosce; Adrien si ritrovò a fissare quella parte di pelle, riscuotendosi e fissando avanti a sé con le mani strette sulle ginocchia e il respiro che si faceva pesante: «A Parigi penso che tutto quello che senti sia il fumo delle macchine e l’odore dei cavalli, magari agli Champs-Elysées…» si fermò, sorridendo appena: «Peccato che solo i ricchi e i nobili passino tanto tempo là.»
«Mentre tu?»
«Io cosa?»
«Tu come passavi il tempo a Parigi?»
Marinette sorrise, indicando con un gesto vago della mano l’officina poco distante e ancora fumante: «Pensavo fosse chiaro ormai» mormorò, le labbra piegate in un sorriso: «Il cruccio di mia madre e il divertimento di mio padre: ogni volta che torna da un viaggio mi porta dei pezzi nuovi o qualcosa da aggiustare e trasformare. L’ultima volta è stato un orologio, molto simile a Wayzz, e ho passato giornate intere a sistemarlo e renderlo qualcosa di più di quello che era.»
«E’ una bella passione.»
«E’ una passione non capita.»
«Perché dici così?»
«Perché la verità» mormorò Marinette, voltandosi nella direzione di Adrien e poggiando la guancia sulle ginocchia, osservandolo: «Mia madre ha sempre voluto che io fossi come le altre ragazze, mentre i conoscenti e la gente del quartiere dove vivo…» si fermò, inspirando e lasciando andare l’aria, notando come lo sguardo di lui si era posato nel suo e aspettava paziente che lei continuasse: «…beh, sono la strana del villaggio.»
«Mi dispiace» bisbigliò Adrien, tornando a fissare davanti a sé con un sorriso che gli illuminava il volto: «Parigi dev’essere terribile.»
«Oh, decisamente: piena di macchine, puzza e gente che guarda tutti dall’alto in basso.»
«Mh. Sento odore di esperienza diretta…»
«C’è questa ragazza, che è la figlia del sindaco, e…» Marinette strinse le labbra, stendendo le gambe davanti a sé: «Viziata, arrogante, insopportabile.»
«Mi ricorda qualcuno…»
Marinette aprì la bocca, incapace di dire alcunché e scattò in piedi, portandosi entrambe le mani alle labbra: «Perdonami» farfugliò contro le dita, osservando Adrien issarsi e allungare le mani verso di lei, prendendo le sue e abbassandole con gentilezza, mentre un sorriso gli piegava le labbra: «Non volevo…»
«Magari potremmo farle conoscere lo spirito.»
Marinette accolse quelle parole con un battito di ciglia, aprendo le labbra e sorridendo appena, rendendosi conto che Adrien aveva fatto una battuta: «Sarebbe meraviglioso» bisbigliò, socchiudendo le palpebre: «Pensi che sia possibile?»
«Magari attendiamo il prossimo temporale e diamo una festa?»
«Ci sto!»


«Baciala. Andiamo baciala» Plagg aprì i bracci, la bocca di metallo aperta in un’espressione scandalizzata mentre, assieme a parte della servitù, osservava l’incontro fra il loro padrone e Marinette: «Andiamo, Fu. Perché non la bacia?»
«Forse perché l’abbiamo educato a essere un cavaliere e non un cafone che infila le mani sotto le sottane di ogni fanciulla.»
«Ma quella non è una fanciulla qualsiasi!» sbottò il candelabro, indicando lo specchio e i due che parlavano: «E’ il suo vero amore, colei che spezzerà questa fottuta maledizione!»
«Plagg. Il linguaggio» Tikki sbuffò vapore in faccia all’altro, osservandolo poi allontanarsi e sistemarsi gli stoppini: «Non penso che Marinette apprezzerebbe un simile approccio.»
«Non abbiamo tanto tempo» borbottò Plagg, indicando un punto della camera ove, in una teca di cristallo, la rosa che lo spirito della natura aveva voluto donare ad Adrien tanti anni prima, era quasi sfiorito: «Manca poco e tutti i petali cadranno. Non abbiamo tempo per tutte queste moine! Deve passare all’azione!»
«Ma si rende conto di ciò che dice?» commentò Wayzz, osservando l’amico e seguendolo con lo sguardo mentre quest’ultimo iniziava a marciare avanti e indietro per il carrello con cui Tikki era solita spostarsi nel castello: «Mi sembra strano che non li abbia ancora legati a un letto insieme.»
«Buon Dio, Wayzz! Non dargli idee!»
«Perdono, Tikki» mormorò l’orologio, sistemandosi le lancette che si erano inceppate e osservando Plagg fermarsi, battendo i due stoppini che fungevano da mani assieme: «Oh signore, mi ha sentito.»
«Un incontro romantico!»
«Un incontro romantico?» ripeté Wayzz, non cogliendo il nesso fra le parole di Plagg e ciò che lui aveva appena detto: «Non comprendo cosa tu voglia dire…»
«Legarli a un letto assieme sarebbe troppo palese e il padrone si rifiuterebbe di fare alcunché, ma se noi organizziamo una serata romantica per loro due…» Plagg si fermò, schioccando le labbra di metallo: «La luce delle candele, del buon cibo, musica lenta e romantica, il favore delle tenebre» si fermò, annuendo alle sue stesse parole: «Magari mettiamo a lustro il padrone…»
«Potrebbe funzionare?»
«Potrebbe funzionare? Mio buon Wayzz, guarda» Plagg indicò lo specchio, dove ancora erano riflessi i due giovani: «Hanno solo bisogno di essere spinti l’uno nelle braccia dell’altra.»
«Per una volta concordo con Plagg» dichiarò Tikki, sbuffando vapore e saltellando sul posto: «Sarebbe qualcosa a cui il padrone non direbbe di no e, con la giusta atmosfera, possiamo spingere un po’ la situazione: è innegabile che c’è qualcosa fra i due, ogni giorno di più cresce e diventa palese…»
«Il padrone è innamorato» commentò Fu, rimasto in silenzio fino a quel momento: «Ed è innegabile che la ragazza prova qualcosa, è andata oltre l’aspetto fisico e ha visto ciò che noi tutti conosciamo, l’animo buono di un ragazzo che ha imparato dai propri errori. Dobbiamo solo spingerli…»
«Che il piano ‘Stia con noi’ abbia inizio, allora.»
«Plagg, che razza di nome…»
«L’ho letto in un libro!»


Chloé osservò la stoffa dorata che le fasciava il corpo, abbellita dal pizzo nero che enfatizzava lo scollo dell’ultimo acquisto: un capo sublime che solo qualcuno come lei poteva indossare; sorrise al proprio riflesso, spostando poi l’attenzione su quello della ragazza dietro di lei e che, in remissivo silenzio, stava attendendo: «Allora? Che cosa hai scoperto?» domandò senza neanche voltarsi e osservando Sabrina illuminarsi in volto, mentre iniziava a raccontare tutto quello che aveva scoperto, partendo dall’ultimo viaggio del signor Dupain verso Tours e dal fatto che non era ritornato, solo il carro con un invito era giunto a casa e Marinette era partita per andare dal genitore disperso.
Un viaggio a cui Sabine Dupain-Cheng si era opposta ma quella testarda di Marinette non aveva voluto sentire ragioni ed era partita, sparendo anche lei senza più notizie: «Quindi Marinette Dupain-Cheng è da qualche parte fra Parigi e Tours?» domandò Chloé, lisciandosi la gonna e aprendola in tutta la sua ampiezza, osservando con orgoglio il disegno floreale che vi era stato ricamato: prezioso filo nero che risaltava in quel mare dorato.
«Proprio così, Chloé.»
Chloé annuì, carezzando il corpetto dell’abito e tornando a fissare ancora una volta il proprio riflesso, piegando le labbra in un sorriso: «Sabrina, fai preparare la mia carrozza.»
«Dove vuoi andare, Chloé?»
«Da qualche parte fra Parigi e Tours.»

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.010 (Fidipù)
Note: Controllo un attimo il calendario...oh, che strano. Almeno stavolta sono nel periodo  giusto per l'aggiornamento! Scherzi a parte, bentornati sulle pagine de La bella e la bestia con questo nuovo capitolo dove, in pratica, succede qualcosa e non succede nient'altro (e già mi sto maledicendo per come sarà strutturato il prossimo, ma si sa, amo farmi male). Detto ciò...beh, che altro dire se non che, come sempre, vi ricordo la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri.
Per quanto riguarda gli aggiornamenti, vi rimando al mio profilo dove, dopo parecchie, cavolate ho messo un calendarietto che ha il 90% di essere seguito.
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Adrien finì di abbottonarsi la camicia, continuando a provare a ignorare la presenza molesta nella sua camera: si era svegliato con il peso di Plagg sull’addome e, nonostante, avesse sbraitato e minacciato di buttarlo fuori, il candelabro era rimasto ostinatamente nella sua camera.
Il giovane aveva provato a ignorarlo, preparandosi alla nuova giornata e trattenendo dal chiedere a Fu di mostrargli Marinette: poteva solo immaginare le chiacchiere e le prese in giro di Plagg se fosse venuto a conoscenza di quella sua piccola abitudine: «Oh. Interessante» commentò Plagg, battendo assieme i due bracci di metallo: «Sapete ancora vestirvi come un essere umano. O quasi.»
«Plagg…»
«Mio caro signore» dichiarò il candelabro, balzando sul materasso e aprendo le braccia e sorridendo affabile: «Mio caro signore…»
«Lo hai già detto.»
«Volevo ribadire il concetto.»
«Che vuoi?»
«Non posso essere venuto qui ad ammirare la vostra bellezza? Il vostro meraviglioso aspetto mattutino…» Plagg si fermò, inclinando la testa metallica e sorridendo: «il vostro pelo è tutto arruffato, signore.»
«Che vuoi, Plagg?» domandò Adrien, sistemandosi il colletto della camicia e fissando il proprio riflesso nello specchio che dominava la sua camera, notando come la sua concezione di sé fosse cambiata: da quanto tempo si specchiava senza sentire il bisogno di spaccare il suo riflesso? Da quando aveva iniziato ad accettare ciò che era?
Un piccolo sorriso gli piegò le labbra, mentre dava un’ultima occhiata a se stesso e si voltò per prendere la giacca e infilarla con qualche difficoltà, osservando Plagg saltellare qua e là per la stanza fino a raggiungerlo: «Mio signore, mio principe» iniziò il servitore, mentre allungava i bracci e prendeva un lembo della giacca, tenendolo fra gli arti metallici mentre Adrien si allungava all’indietro per infilare la zampa all’interno: «Vorrei ricordarle i bei tempi andati, quando il castello era al suo massimo splendore e noi servitori impiegavamo tutto il nostro tempo per rendere questo posto la più sublime perla…»
«Questo discorso ha un fine, Plagg?»
«Tempi in cui i nostri saloni erano liberi dalla polvere, dove la musica risuonava in ogni stanza…»
«Plagg.»
«E le cucine erano impregnate dei profumi più dolci e invitanti…»
«Cosa vuoi, Plagg?»
«Stavo pensando che forse, e ripeto forse, potremmo fare qualcosa: un piccolo soirée per voi e madamoiselle Marinette, qualcosa per allietare la vostra serata e coccolarvi con delizioso cibo e il vino migliore della nostra cantina, accompagnando il tutto con della dolce musica e…»
«Fate quel che vi pare.»
«Oh» Plagg si fermò, i bracci aperti e lo sguardo leggermente sorpreso: «E’ stato così facile? Pensavo di dovervi pregare un po’ di più.»
«Ti conosco e so che mi avresti tormentato finché non ti avrei detto sì. Non è per farti contento, è per risparmiare tortura alle mie orecchie.»
«Padrone, riuscite ogni volta a sorprendermi.»
«La missione della mia vita.»
Plagg l’osservò mentre usciva, lasciandolo solo nella camera e lo sguardo del servitore si posò sulla rosa: «Voglio sperare che tutto andrà per il meglio» mormorò, voltandosi poi verso lo specchio e vedendo la superficie vibrare: «Non tanto per me o per tutti gli altri, quanto per quel ragazzo…»
«Non sei l’unico a pensarla così, Plagg.»
«Voglio che sia felice. Se lo merita dopo tanta sofferenza. Non credi, Fu?»
«Non potrei usare parole migliori delle tue, Plagg» dichiarò lo specchio, facendo vibrare appena il riflesso: «E adesso vai, rendi questa serata memorabile per i nostri due giovani innamorati.»


Plagg osservò la servitù riunita nella cucina, marciando davanti a loro come se fosse stato un generale di un esercito, pronto a fare un discorso di incoraggiamento prima della grande battaglia: «E’ stata dura, ho dovuto usare ogni oncia della mia sagacia ma alla fine il padrone ha ceduto dichiarò ad alta voce, l’orgoglio che trapelava da ogni lettera, tanto era fiero di aver portato a termine quell’impressa: «E se questo vuol dire che l’ho tormentato fino a che non ha detto sì…» si fermò, annuendo soddisfatto. «Ebbene sì, l’ho fatto.»
Wayzz, al suo fianco, sospirò e si torse le mani metalliche l’una con l’altra: «Sei veramente sicuro, Plagg?» domandò, cercando con lo sguardo l’appoggio del resto della servitù: «Veramente sicuro?»
«Mio caro Wayzz…» Plagg si fermò, scuotendo il capo di cera e inspirando profondamente per quanto il suo corpo metallico glielo permettesse: «Se non facciamo qualcosa, madamoiselle Marinette – l’unica, vorrei rammentarti, che può spezzare la maledizione di questo luogo – scoprirà della nostra piccola bugia sul padre e se ne andrà…»
«Forse perché, fin dall’inizio, non dovevate mentire alla ragazza» commentò Tikki, sbuffando e facendo vibrare il coperchio: «Quella poveretta si preoccupa ogni giorno per il padre malato…»
«Non è che il padrone mi avesse dato molto materiale su cui far leva per far rimanere la ragazza» bofonchiò Plagg, incrociando le braccia: «Insomma, la spaventa e le ringhia contro. Un comportamento affascinante, non credi?»
«E dovevate per forza mentirle?»
«Abbiamo omesso un piccolo particolare, Tikki.»
«Omesso un piccolo particolare?» sbottò la teiera, sbuffando vapore da ogni apertura e avanzando minacciosa verso il candelabro: «Vuoi che ti sputi tutto il vapore in faccia?»
«No, grazie, ma chére» mormorò Plagg, sorridendo affabile e poi battendo i bracci fra di loro: «Forza. Forza. Forza. Abbiamo un castello da mettere a lucido, una cena da preparare, una sala da sistemare…» Plagg indicò Flaffy, che fluttuava a mezz’aria: «Mio giovane amico, usa tutti i piumini di questo posto e togli la polvere da ogni cosa. Tikki…»
«Per la cucina lascia fare a me. Monsieur Remier ed io creeremo la cena più buona che questo posto ha visto.»
«Wayzz, mio caro amico, va a svegliare Nooroo e dirgli di esercitarsi come quando era un giovane allievo della scuola di musica e poi inizia a coordinare i lavori nella sala da pranzo: sai come sono i piatti e i tovaglioli, sempre pronti a far rissare fra di loro.»
«Dovremmo preparare un abito per Madamoiselle Marinette» commentò Flaffy, girando su se stesso: «Avviso subito Mikko! Sono certo che creerà l’abito più bello.»
«E tu, Plagg?»
Il candelabro si voltò al richiamo dell’orologio da tavolo, sorridendo all’amico e muovendo i bracci con fare elegante: «Io cosa, mio caro amico?»
«Cosa farai?»
«Oh, molto semplicemente, mi dedicherò a creare una coreografia con i fiocchi e controfiocchetti.»
«Coreografia?»
Plagg sorrise, passando un braccio metallico attorno alle spalle dell’amico e alzò l’altro verso il soffitto: «Vedrai, Wayzz, vedrai» dichiarò, ridacchiando dei suoi stessi pensieri: «Il piano ‘Stia con noi’ sarà qualcosa di assolutamente epico.»


La carrozza davanti l’imponente edificio dalle pareti candide che dominava la piccola piazza antistante, ove la fontana creava giochi con i suoi zampilli: Chloé scese velocemente, non appena il predellino fu sistemato e uno sbuffo di vapore annunciò il suo arrivo a Tours, mentre dietro di lei Sabrina arrancava per scendere anch’essa.
La ragazza si guardò attorno, stringendo i lacci della borsetta mentre le labbra si piegavano in una smorfia di disappunto: avevano percorso lentamente la strada fra Parigi e Tours, impiegando molto più tempo di quello canonico, ma non aveva trovato il luogo ove Marinette era andata.
Da nessuna parte aveva trovato un’abitazione o una bettola.
Eppure sapeva che doveva essere lì, doveva essere in un punto fra Parigi e Tours.
«Torniamo indietro» dichiarò decisa, voltandosi verso il cocchiere e vedendolo immobilizzarsi nell’atto di scendere, una gamba che penzolava nell’aria mentre l’altro piede era fermo sullo scalino, lo sguardo sorpreso rivolto verso di lei: «Torniamo a Parigi.»
«Ma, madamoiselle, dobbiamo fare rifornimento di vapore e…»
«E allora fallo! Cosa stai aspettando?» domandò stizzita lei, stringendo le labbra e guardandosi attorno con disappunto, calamitando la propria attenzione su una piccola saletta da the non molto distante: «Vado a prendermi un the. Non appena sarò di ritorno, partiremo.»
«Ma, madamoiselle…»
«Andiamo, Sabrina.»
Sabrina annuì, chinando appena la testa e seguendo la bionda verso il locale che aveva adocchiato, mentre dietro di loro il cocchiere scendeva e si toglieva il cappello, fissando sconvolto prima le due e poi la carrozza.
 

Marinette si tolse i guanti di cuoio, mentre percorreva i viali del giardino dove Adrien l’aveva accompagnata pochi giorni prima e sorridendo alla vista della figura solitaria del padrone di casa che, immerso nella lettura di un libro, sembrava completamente ignaro della sua presenza; si fermò poco distante da lui, osservando il volto dai lineamenti umani, ma deturpato dalle cicatrici e dalle tracce nere che lo solcavano, le orecchie feline e meccaniche si muovevano a scatti e Marinette si domandò, per l’ennesima volta, come esse erano collegate al resto del corpo: aveva già notato come i collegamenti del braccio non fossero convenzionali e ipotizzava che anche la gamba meccanica presentasse gli stessi, ma le orecchie…
Quelle orecchie di metallo nero, che sembravano muoversi esattamente come quelle di un gatto, la incuriosivano e non poco.
Adrien si portò la zampa animale al volto e la ragazza sorrise, inclinando la testa e fissando intenerita quel giovane dal cuore d’oro, che era un miscuglio di umanità, meccanica e bestialità, chiedendosi come avesse fatto a trovarlo mostruoso la prima volta che l’aveva incontrato: non era passato tanto tempo, eppure la sua concezione di lui era profondamente cambiata.
Adesso davanti a lei non c’era più un mostro che la terrorizzava, ma un giovane che l’attraeva.
«Le-lettura interessante?» domandò, incespicando un po’ sulle parole e avvicinandosi, mentre Adrien alzava la testa e le regalava un pigro sorriso che arrivò agli occhi verdi e luminosi: come, come, come aveva fatto a considerare quel ragazzo un mostro?, si domandò nuovamente Marinette mentre si accomodava al suo fianco e l’osservava chiudere il tomo e poggiarlo sulla panchina, fra di loro.
La ragazza inclinò il capo e sorrise al titolo: «Parigi nel XX secolo» mormorò, allungando una mano e carezzando la copertina di pelle, indugiando sulle lettere che avevano perso un po’ del loro colore dorato: «Mio padre me lo leggeva da piccola…» bisbigliò, alzando timidamente lo sguardo e incontrando quello ora vigile e attento di Adrien: «Forse ho sviluppato questa passione per la meccanica proprio per le letture della buonanotte di mio padre.»
«Perché leggere di principesse che venivano salvate, quando puoi narrare questo a tua figlia?» domandò Adrien, storcendo le labbra in un smorfia divertita: «E’ scoppiato qualcosa oggi?»
«Con somma gioia di Vooxi no.»
«Il mio maniero è salvo per un altro giorno, allora» dichiarò Adrien, voltandosi verso l’abitazione dalla quale provenivano le chiacchiere gioiose della servitù e ancora si domandava come Plagg fosse riuscito a convincerlo a concordargli il permesso per qualsiasi cosa aveva in mente di fare: lo aveva visto saltare qua e là per il castello tutto il giorno, Tikki era sfrecciata sul suo portavivande per ogni piano e l’aveva sentita confabulare con Mikko riguardo a ciò che Marinette avrebbe indossato, Wayzz aveva invece coordinato i lavori di pulizia aiutato da un Flaffy decisamente ben motivato e il buon caro vecchio Nooroo aveva nuovamente riempito le stanze con la sua musica.
«Si stanno divertendo?» domandò Marinette, voltandosi verso il complesso principale del maniero e sorridendo: «Più del solito, devo dire.»
«Stanno combinando qualcosa per stasera» le spiegò Adrien, inspirando profondamente: «Stamattina Plagg ha iniziato a blaterare e blaterare, gli ho dato il permesso solo per zittirlo» si fermò, mentre lo sguardo si calamitava verso il basso e si posava sulle sue mani di natura diversa: «Immagino che sia divertente, per loro, avere qualcosa da fare che non sia occuparsi di me.»
Marinette strinse le labbra, allungando una mano e posandola timidamente sopra quella di Adrien e sorrise quando lui alzò lo sguardo, una luce sorpresa negli occhi verdi che, leggermente, sgranati la fissavano: «Loro ti vogliono bene» gli bisbigliò, alzando la mano e sfiorando con le nocche la tempia di lui, seguendo i contorni della cicatrice e scivolando lungo lo zigomo, sorridendo appena quando Adrien inclinò un poco il volto e socchiuse gli occhi, quasi come se si stesse godendo appieno quella carezza: «Non li ho mai sentiti lamentarsi di te, non li ho mai sentiti parlar male di te: i tuoi servitori di adorano e ti vogliono bene, Adrien.»
«Dillo ancora» bisbigliò Adrien, voltando appena la testa e inspirando il profumo della pelle di Marinette: «Ti prego, dillo ancora.»
«Cosa?»
«Il mio nome. Lo dici raramente.»
«A-ancotu» bofonchiò la ragazza, scuotendo la testa e inspirando profondamente: «A-anche t-tu.»
«Cosa?»
«Anche tu non dici mai il mio» mormorò Marinette, stringendo le labbra e chinando appena la testa, sentendo il coraggio che aveva usato per dire quelle parole scivolarle via e sentendosi stupida per essersi lamentata di una cosa del genere: tirò via la mano e si alzò di scatto, incespicando appena sui suoi stessi piedi, ma rimanendo miracolosamente in equilibrio: «Vado nella mia camera» mormorò, annuendo alla sua stessa decisione e allontanandosi di pochi passi.
«Marinette» La voce di Adrien la fermò e lei sorrise, sentendo il proprio aumentare i battiti e quasi dolerle nelle cassa toracica; si voltò, osservandolo ancora seduto e rimase in attesa, mentre lo sguardo di lui vagava ovunque e, alla fine si posò nel suo: «Non vedo l’ora che sia stasera, Marinette.»
«Anche io, Adrien.»

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.010 (Fidipù)
Note: Bene, questo capitolo io non so proprio da dove l'ho tirato fuori, ma è uscito: in vero, nel progetto originale era leggermente diverso ma, vuoi che mentre scrivevo ascoltavo fissa la colonna sonora del film, vuoi che...oh, insomma! Andava fatto! E quindi ecco a voi il nuovo capitolo de La bella e la bestia!
Detto ciò...beh, che altro dire se non che, come sempre, vi ricordo la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92.
Per quanto riguarda gli aggiornamenti alle varie storie, come bene sapete, cesseranno per le prossime due settimane e riprenderanno il 6 novembre con un calendario bello ricco! In ogni caso, vi lascerò tutte le informazioni debite a tempo debito (e per questo ricordo la pagina facebook).
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Marinette sorrise, osservando il riflesso nello specchio del grande armadio il cui nome era Mikko: «Sto bene?» domandò la ragazza, posando le mani all’altezza dello stomaco e lisciando la stoffa cremisi del corpetto, impreziosito di pietre nere come l’onice; la gonna si allargava dal punto vita ed era arricchita da un tulle rosso che rifletteva la luce delle candele, anche quello tempestato di pietre nere che davano all’intero abito l’aspetto di una…
«Coccinella» mormorò Mikko, aprendo e chiudendo alcuni cassetti, mentre un nastro volava nell’aria, subito agguantato da un bastone per appendere gli abiti: «Le coccinelle portano fortuna, sa?»
«Ne avrò bisogno stasera…»
«Madamoiselle, si ha sempre bisogno di fortuna» dichiarò Mikko, mentre Marinette si voltava e lasciava che la sarta del castello le acconciasse i capelli in un morbido chignon, da cui alcune ciocche sfuggirono adagiandosi sul collo nudo: «E voi siete assolutamente bellissima. Sono certo che il padrone non vi toglierà gli occhi di dosso» riprese, tirando fuori una collana con una pietra rossa come ciondolo e la posò attorno al collo della ragazza, chiudendola: «Sì, assolutamente bellissima.»
«Sono…» mormorò Marinette, osservando nuovamente il suo aspetto e sorridendo a quella se stessa così differente rispetto a ciò che lo specchio le rimandava sempre: «…diversa.»
«Essere diversi non è un male» commentò Mikko, sospingendola con le ante verso la porta: «E adesso andate. Il vostro principe vi attende.»


«Mi raccomando, Nooroo» dichiarò Plagg, marciando sopra il pianoforte a corde che aveva visto giorni migliori: il legno candido era, in alcuni punti, scheggiato e i decori sembravano sbiaditi; le uniche cose che erano ancora tirate a lucide erano i tasti bianchi e neri, che si muovevano di tanto in tanto: «Voglio qualcosa d’effetto, che crei l’atmosfera giusta. Dobbiamo fare sì che sia il massimo del romanticismo.»
«Con il piano che hai in mente ne dubito» commentò il pianoforte, suonando alcune note: «Ma vedrò quel che posso fare. Romantico, eh?»
«Romantico e d’effetto?»
«Hai altro? Magari vuoi anche un minuetto o una tarantella? Poi? Un po’ di valzer?»
«Per l’amor del cielo, no! Sai bene che il padrone non può ballare nelle sue condizioni.»


Adrien sorrise, mentre osservava la giovane che scendeva la rampa di scale antistante la sua, il lungo e vaporoso abito cremisi che ondeggiava a ogni passo, lo sguardo celeste che brillava e il sorriso radioso completamente rivolto a lui: «Sei…» mormorò, quando fu davanti a lei e si fermò, osservandola alzare la mano e sfiorargli appena lo zigomo con le nocche: «Sei…»
«Sei vestito decentemente» constatò Marinette, studiando la giacca di broccato scuro e i calzoni neri, riportando poi lo sguardo sul suo volto e sorridendogli dolcemente: «Per una volta non sembri un barbone.»
«E tu non sembri uno straccio per pulire i motori» commentò Adrien di rimando, sentendo il cuore che batteva furioso nel suo petto: «Sei splendida.»
«Tutto merito di Mikko, è lei l’artefice di questo meraviglioso abito» dichiarò Marinette, prendendosi le gonne con le punta delle dita e allargandole appena; Adrien rimase in silenzio, senza dire che la bellezza della ragazza centrava poco o nulla con l’abito che indossava: certo, la valorizzava ma lui sapeva che Marinette era bella anche con i suoi soliti abiti e sporca di olio da motori.
«Vogliamo andare?» le domandò, offrendole il braccio metallico e rimanendo in attesa, quasi trattenendo il respiro finché lei non posò la mano nell’incavo del suo gomito, stringendolo appena e lasciandosi guidare nell’ultima parte della scalinata, diretti verso la sala ove li attendeva qualsiasi cosa avesse preparato la servitù di quello strano posto.


«Ma chére madamoiselle et mon cher maître, è con profondo orgoglio e con grande piacere, che vi diamo il benvenuto stasera» Plagg s’inchinò ai due ospiti per quanto il suo corpo metallico glielo permettesse e poi si rialzò, muovendo uno dei bracci con un movimento lento: «E ora, vi invitiamo a rilassarvi. Avviciniamo una sedia» dichiarò, osservando una delle poltroncine muoversi e fermarsi dietro a Marinette: «Avviciniamone un’altra» continuò Plagg, muovendo l’altro braccio e osservando una seconda poltroncina muoversi in direzione di Adrien: «La sala da pranzo è fiera di presentare…» si fermò, lasciando che Nooroo eseguisse un piccolo assolo, facendo muovere i tasti bianchi e neri: «…la vostra cena!»
Adrien sospirò, passandosi la mano metallica sul volto e osservando il candelabro saltellare davanti a loro e sfoderare un sorriso, un presagio di qualcosa di catastrofico che stava per abbattersi; il giovane artigliò la sedia con l’altra mano, mentre la servitù abbassava le luci della sala e alcuni piatti si misero a rifrangere la luce delle poche candele, creando dei giochi di luci per tutta la sala: «Stia con noi. Qui con noi» mormorò Plagg, quasi canticchiando le parole mentre i tovaglioli planavano dolcemente attorno a lui, piegati in quel modo complicato che Adrien tanto ammirava: «Si rilassi d’ora in poi Il portabiti si avvicinò a entrambi, posando un tovagliolo sulle gambe di Marinette e poi, con una piroetta, raggiunse la parte opposta, lasciandone uno sulla gamba metallica di Adrien: «Leghi al collo il tovagliolo, dopo ci pensiamo noi.»
«Sarà così per tutta la cena?» domandò Marinette, chinandosi appena verso Adrien e vedendolo mentre negava con la testa, scoccandole una fugace occhiata di pura disperazione: «Vediamo dove andrà a parare» decretò alla fine la giovane, sorridendo alle scodelle che planarono con delicatezza avanti a loro, accompagnate da due piatti pieni di crostini.
«Soupe du journe, antipasti, li serviamo entusiasti» continuò Plagg, afferrando un vassoio di metallo e mostrandolo ai due, allontanandolo poi quando Adrien allungò la zampa: «Il caviale non lo batti. Ha dei dubbi? Chieda ai piatti.»
«Non importa chiederlo ai piatti» sospirò il ragazzo, provando ad acciuffare alcune tartine: «Basta assaggiarlo!»
Marinette ridacchiò, notando come Plagg balzò lontano dal campo di azione del giovane e cercò a sua volta di recuperare qualcosa dai vassoi ma i piatti e il portabiti erano più veloci di lei a muoversi: «Non mangeremo di questo» mormorò, storcendo la bocca quando si accorse di essere quasi riuscita ad afferrare un piccolo voulevant.
«Penso sia il loro piano: stia con noi. Certo, ma da cadavere.»
«Vive l’amour» continuò Plagg, completamente immerso nel suo soliloquio, balzando fra i due e piegando le labbra in un sorriso malizioso: «Vive la dance. Dopotutto, Madamoiselle, c’est la France.»
«Mi chiedo cosa sarebbe successo se fossimo stati in Italia» bofonchiò Adrien, guardando male un piatto pieno di tartine: «Volavano pizze?»
«E una cena qui da noi c’est fantastique» continuò Plagg, infischiandosene di ciò che aveva detto Adrien e alzando un braccio, facendo volare i menu fino a loro: «Prenda il menù in mano. Un pasto luculliano.»
«M’interessa poco che sia luculliano, se non posso mangiarlo» bofonchiò Adrien, abbassando lo sguardo e sospirando, leggendo velocemente le righe vergate in una grafia elegante.
«Dovremmo mangiare tutta questa roba?»
«Se continuano a fare così, ci alzeremo da tavola con la pancia vuota.»
«E allora perché hanno cucinato?»
«Non li hai ancora imparati a conoscere?»
«Stia con noi» dichiarò Plagg, abbassando la carta di entrambi e sorridendo, muovendo le sopracciglia verso l’alto mentre un sorriso sfavillante gli piegò le labbra: «Qui con noi. Sì con noi.»
«Plagg, siamo qui. Dacci da mangiare ora.»
«Che ragout, che soufflé, torte e caramel flambé» Plagg saltò al centro della tavola, mentre alcuni portavivande comparvero e vennero illuminati dai piatti che, continuando a riflettere la luce, facevano sembrare la tavola il palco sul quale Plagg si stava esibendo: «Preparati e serviti come un grande cabaret.»
«Forse stavolta mangiamo…» mormorò la ragazza, poggiando una mano in quella metallica di Adrien e stringendola appena, sorridendo di fronte all’espressione di pura esasperazione dell’altro: «Voglio sperarci almeno.»
«Lei è sola, impaurita…»
«Plagg, non è né sola e né impaurita» sospirò Adrien, osservando i portavivande girare attorno al tavolo e poi spostò lo sguardo su Tikki che, da una parte, osservava tutto con un sorriso sulle labbra: «Tikki! Puoi fare qualcosa?»
La teiera trasalì, osservando il proprio padrone e poi muovendosi da una parte del proprio portavivande: «Dalla gioia urlerei» dichiarò Tikki, facendo muovere il proprio carrello e avvicinandosi al tavolo: «Ora il vino è già versato e il tovagliolo è accanto a lei; col dessert vorrà il tè…»
«Non vogliamo il dessert, Tikki! Vogliamo mangiare.»
«Ma la tavola è imbandita» s’intromise Plagg e un ringhio provenne dalle labbra di Adrien, mentre Marinette al suo fianco sorrideva piena di divertimento, continuando a tenere la mano in quella di Adrien: «Via la noia e la tristezza, viva la spensieratezza.»
«Mangeremo mai?»
«Se vuoi dopo provo a fare qualcosa io» mormorò Marinette, allungando la mano e punzecchiandogli la guancia con l’indice: «Qualcosa di semplice sono capace di farlo.»
«Almeno non andremo a letto a stomaco vuoto» bofonchiò Adrien, ignorando Plagg che continuava con il suo soliloquio: «A quanto pare preferiscono recitare questa pantomima piuttosto che darci da mangiare.»
«In alto i calici, facciamo un brindisi» dichiarò Plagg, facendo muovere i bicchieri di vino: «Poi resti qua e vedrà, soddisfatta se ne andrà…»
«A stomaco pieno, però non assicuro» commentò Adrien, sussurrando le parole all’orecchio di Marinette e la risata di lei si riverberò in lui: «Stia con noi» bisbigliò, ripetendo la frase di Plagg e sorrise, vedendo lo sguardo celeste di lei posarsi su di lui: «Qui con noi.»
«Qui con voi.»
«Sì, con noi.»


Plagg si lasciò andare sul tavolo, certo che se avesse avuto ancora un corpo umano sarebbe stato madido di sudore: «Secondo voi com’è andata? Io ho notato un certo feeling…»
«C’era, c’era» mormorò Tikki, squittendo allegra: «Avete visto come il padrone la guardava? E come lei ricambiava? Oh, c’era amore vero nell’aria.»
«Allora, presto la maledizione si spezzerà?» trillò allegro Flaffy, volando per la stanza e fermandosi poi sopra Plagg, scuotendo la coda fatta di piume: «Torneremo tutti normali.»
«E’ quello che speriamo, mio polveroso amico» bofonchiò Plagg, spostandosi e fissando male il piumino: «E’ quello che speriamo…»


Marinette sorrise, osservando l’immenso salone da ballo: le pareti avevano visto giorni migliori ed era certa che non sempre erano state decorate con ragnatele, così come il pavimento non doveva aver avuto sempre quella patina polverosa; chiuse gli occhi, cercando di immaginarsi quel luogo al suo massimo splendore e sorrise al pensiero.
S’immagina le mura tinteggiate di bianco o, al massimo crema, i decori nei caldi colori dell’oro, il pavimento di marmo scuro e poi…
«Mi dispiace» la voce di Adrien la riscosse, facendolo voltare verso di lui e Marinette sorrise, di fronte all’espressione piena di imbarazzo che lui aveva in volto: «Di solito, in serate come queste, dopo la cena si balla ma…» il giovane abbassò lo sguardo sulle sue gambe di natura e dimensione diverse: «…sono un po’ impossibilitato.»
«Conoscendomi, sarei capace di inciampare e distruggere ciò che ancora rimane di questo posto.»
Adrien annuì, facendo un passo verso di lei e sorridendo: «Quando sono stato colpito dalla maledizione, io…» si fermò, socchiudendo gli occhi e negando con la testa, trasalendo appena quando sentì le dita di Marinette sfiorargli la guancia e risalire lungo la cicatrice che solcava lo zigomo, raggiungendo il setto nasale: «Io ero arrabbiato e ho iniziato a distruggere tutto ciò che non era…beh, animato.»
«E’ normale…»
«No. Io…»
«Penso sia certo che, chiunque, al tuo posto avrebbe agito come te» dichiarò Marinette annuì e piegando le labbra in un sorriso divertito, allontanandosi e piroettando su se stessa, alzando il viso verso il soffitto grigio e pieno di sporcizia: «Com’era?»
«Cosa?»
«Questo posto?»
«Lussuoso» commentò Adrien, avvicinandosi con lentezza a lei e prendendole una mano, portando lo sguardo di Marinette nuovamente su di sé: «Elegante. Bellissimo» mormorò, piegando le labbra in un sorriso appena accennato e trattenendo il fiato, quando lei fece un passo verso di lui, allungando entrambe le mani al suo volto e sfiorandogli i lineamenti del volto.
Il tocco di Marinette era delicato e dolce, esattamente come lei.
Un qualcosa che sarebbe diventato un problema dimenticare, quando la giovane sarebbe andata via da lui: «Come si spezza la maledizione?» domandò Marinette, sfiorandogli il labbro inferiore con il dito indice e poi, con un sorriso divertito, scostò appena quello superiore per vedere le zanne candide come la neve e acuminate.
Adrien socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quella dolce indagine e lasciò andare un respiro mentre faceva un passo e si avvicinava di più a lei: poteva sentire il respiro contro la pelle della gola, libera dalla cravatta annodata e il calore del corpo di lei.
Avrebbe voluto rimanere così per sempre, con gli occhi chiusi e con l’illusione di essere ancora il giovane di un tempo: l’avrebbe corteggiata, certo del suo fascino e lei sarebbe stata immediatamente sua. O forse no.
Forse Marinette avrebbe odiato la persona che era.
«Adrien?»
La voce di lei lo portò via dai suoi pensieri e fu costretto a riaprire le palpebre, ritornando alla realtà dove aveva mani e piedi di natura diverse, la faccia invasa da cicatrici e tralicci di inchiostro nero, e un paio di orecchie feline sul capo: «Cosa?» mormorò, aprendo appena le labbra quando lei gli sfiorò nuovamente lo zigomo con le nocche.
«Come si spezza la maledizione?» gli domandò la ragazza, seguendo il contorno della guancia con le dita e scendendo fino alla mascella: «C’è un modo?»
«Solo uno.»
«E quale?»
Adrien strinse le labbra, scuotendo appena il capo e sorridendole con dolcezza: «Solo l’amore può farlo, Marinette.»


Il riflesso nello specchio vibrò e Fu tornò a rispecchiare ciò che c’era nella camera padronale: essere uno specchio magico aveva i suoi vantaggi, poiché la magia aveva fatto in modo che lui potesse vedere ciò che stava riflettendo; sapeva tutto ciò che succedeva al castello, nonostante non uscisse mai dalla stanza: «Il ragazzo la ama» commentò ad alta voce, mentre una figura femminile usciva dalle ombre e si palesava davanti a lui: «E lei lo ricambia.»
«Lo so…»
«E allora perché la maledizione non cessa?» domandò Fu, facendo vibrare appena la superficie riflettente: «Perché continua a essere una bestia? Solo l’amore può rompere questa maledizione che tu hai lanciato.»
«Ci sono ancora troppe incertezze nel loro amore.»
«Incertezze?» domandò Fu, sentendo la rabbia montare e non sapeva cosa avrebbe dato per avere un corpo di qualche tipo e lasciare che quel sentimento sbollisse in un modo molto simile a quello che usava Adrien: «Cosa vuoi ancora? Cosa vuoi di più da lui? Ha sofferto tutti questi anni e adesso…» si fermò, aspettando un attimo e calmandosi: «Adesso lui non crede di meritare quell’amore che sta ricevendo.»
«Io…»
«Cosa vuoi ancora? Non pensi che abbia imparato dai suoi sbagli? Non pensi che sia cambiato, Sophie?»
«Se è amato» La donna alzò lo sguardo dello stesso colore dell’erba primaverile e si tirò su la cappa di una fredda tonalità celeste, coprendo i capelli d’oro: «Allora la maledizione si spezzerà, ma al momento debito.»

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.547 (Fidipù)
Note: Che dire? Questo capitolo è stato un vero e proprio parto, perché...beh, diciamo che sono stata molto indecisa su cosa sarebbe stata la molla scatenante, lo trovavo leggermente sciocco ma poi mi sono ricordata del carattere di Marinette e di una cosa che odia veramente tanto, soprattutto quando la coinvolge personalmente, quindi mi son detta? Perché no? Perché non fare veramente così? Quindi ecco come è nato questo capitolo e...sì, penso che molti di voi avranno i miei stessi pensieri mentre leggeranno ma...beh, è una favola e nelle favole i personaggi non agiscano mai secondo logica (cosa non si fa per arrampicarsi sugli specchi).
Detto ciò...beh, andiamo come sempre a ricordarvi la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92.
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Marinette osservò gli abiti disposti sul letto, sorridendo e allungando le mani, sfiorando il broccato rosso scuro del gilet e seguendone la trama floreale: un capo di abbigliamento che non avrebbe mai indossato in vita sua, se non fosse finita in quella casa. Mikko aveva abbinato a ciò anche altri indumenti, creando una mise elegante e adatta a lei.
Dopo le insistenze iniziali, Mikko e Tikki si erano arrese davanti ai suoi costanti rifiuti di indossare abiti che, nonostante la bellezza e magnificenza, le risultavano scomodi per muoversi e lavorare nell’officina: «Oggi siete proprio luminosa» commentò l’enorme guardaroba, agitando le ante e i cassetti, facendo sorridere la ragazza mentre si sedeva sul letto per infilare gli stivali di morbida pelle scura: «Una luce che, oserei dire, innamorata.»
«Co-co-cosa?»
Mikko gorgogliò alla voce della giovane, che incespicava sulle parole, ignorando lo sbuffò infastidito e il discorso senza senso che lo seguì. Marinette s'imbronciò, iniziando a vestirsi e rabbrividendo appena quando sentì la stoffa fredda contro la pelle: «Io non…» bofonchiò, ritrovando un po' di padronanza di se stessa e scuotendo il capo: «Io non sono innamorata.»
«Certamente» commentò l'armadio, aprendo le sue ante e mostrando lo specchio interno: Marinette sorrise al proprio riflesso, finendo di allacciare i bottoni scuri del gilet e osservando la propria figura, notando come la camicetta candida risaltava contro la stoffa scura del gilet e della gonna corta a balze: «Posso suggerire un paio di parigine nere?» buttò lì Mikko, mentre un cassetto si apriva e mostrava le calze: «Direi che sono perfette per la mise odierna, a cui penso abbinerà i suoi soliti stivali.»
«Beh, vado in officina perché dovrei mettermi delle altre scarpe?»
«Quello che mi chiedo anche degli abiti, madamoiselle» commentò l'armadio, richiudendo il cassetto non appena Marinette prese le calze: «Che motivo avete di vestirvi così elegantemente, se poi passerete tutto il tempo con quel vecchio brontolone di Vooxi?»
«E-ecco…» Marinette deglutì, sedendosi sul letto e iniziando a infilarsi le calze, cercando di trovare una risposta per Mikko che non implicasse in nessun modo il padrone di casa: poteva negarlo a parole, rifiutarsi di ammettere ciò che, in verità, sapeva benissimo.
Cercava di essere carina per lui, tentava in ogni modo di attirare la sua attenzione e questo perché…
Si morse il labbro, scuotendo appena la testa e alzandola, notando gli stivali già pronti nel ripiano inferiore dell'armadio: le sue vecchie scarpe erano state pulite e tirate a lucido e, sebbene consumate in alcuni punti, non sembravano da buttare, come sempre aveva pensato sua madre.
Si alzò e afferrò le calzature per i lembi, portandosele al petto e stringendole con forza, mentre chinava la testa e inspirava l'odore di cuoio: «Qualcosa non va, madamoiselle?» domandò Mikko, facendola sorridere appena per il tono premuroso e preoccupato che aveva subito assunto: «Io non volevo…»
«Stavo solo pensando a casa. A mia madre» mormorò Marinette, sedendosi nuovamente sul materasso e infilando senza problemi, la calzatura sinistra, stringendo i lacci con forza e tirando appena su con il naso: «Ormai manco da…» si bloccò, storcendo la bocca e fissando il pavimento: «Starà bene? Si starà preoccupando? Non le ho fatto avere nessuna notizia e papà…»
«Madamoiselle…»
«Quando potrò vederlo? Quando guarirà? Vorrei solamente vederlo, ma Plagg e Wayzz me lo vietano, dicendo che è pericoloso.»
«Ecco, madamoiselle…» Mikko si zittì, incapace di continuare il discorso e immergendosi nel silenzio: avrebbe voluto dire qualcosa a quella ragazza che aveva iniziato ad apprezzare nel periodo passato assieme, rivelarle la verità e parlare dell'inganno perpetrato alle sue spalle; allo stesso tempo, però, non voleva poiché l'unico a rimetterci sarebbe stato il padrone e non voleva, non ora che erano così vicini a spezzare la maledizione e tornare umani.
Era un pensiero egoistico e lo sapeva fin troppo bene, ma cosa poteva fare?
Marinette la ignorò, avvicinandosi alla toelette e prendendo la spazzola, ridacchiando a qualcosa che la cameriera trasformata le stava dicendo e poi pettinandosi i capelli e sistemandoli in una treccia: «Mikko?» il richiamo riportò l'armadio al presente e lei aprì e chiuse le ante, come a far intendere che era attenta a ciò che le stava per dire: «Grazie.»
«Per cosa, madamoiselle?»
«Per avermi ascoltato» dichiarò Marinette, sorridendo appena e uscendo poi velocemente dalla stanza: non merita i ringraziamenti di quella fanciulla, non meritava neanche un sorriso. La stava ingannando, come tutti in quel luogo: il padre, per cui era tanto preoccupata, era scappato e nessuno di loro sapeva dove si trovasse, poteva essere tornato a Parigi oppure essere disperso per il bosco che circondava il maniero, o ancora…
Mikko aprì le ante, richiudendole subito e cercando di non pensare all'opzione peggiore di tutte.


Adrien poggiò il piede metallico sul pavimento lastricato, valutandone la mobilità dei legamenti e sorridendo appena: «Come lo senti?» domandò Marinette, poggiando il cacciavite nella cassetta e passandosi il dorso della mano sulla fronte, inclinando la testa e studiando l'arto di metallo: «Ho cercato di stringere meglio alcuni bulloni, però…»
«Meglio» commentò il giovane, facendo qualche passo e sorridendo, zoppicando ancora ma sentendo che l'arto seguiva meglio i movimenti della sua parte umana: «Direi che va molto meglio rispetto a prima.»
«Ci credo! Avevi due vite arrugginite, lo sai?»
«Oh. Davvero?»
«Possibile che non te ne sia mai accorto?»
«Non ci facevo caso. Non è il mio campo, ecco.»
«E quale sarebbe il tuo campo, allora?» domandò Marinette, chinandosi e sistemando gli attrezzi nella cassetta, sentendo Adrien avvicinarsi e cogliendo un movimento con la coda dell'occhio, voltandosi e notandolo mentre si abbassava, trovandolo fin troppo vicino a lei: «A-adrien?»
«Il mio campo, dici? Sicuramente è quello di ammaliare il prossimo, rendere il mondo un posto migliore con la mia splendida presenza, conquistare giovani fanciulle e…» si fermò, piegando le labbra in un sorriso e piegandosi verso di lei, tanto che Marinette avvertì il fiato sulla pelle e rabbrividì: «E non scordiamoci la mia istruzione: so suonare il piano perfettamente e sono incredibilmente bravo in ogni ambito di cui un gentiluomo debba avere conoscenza. Ah, e mi piace studiare.»
«Ecco perché sei sempre con un libro in mano» mormorò Marinette, chiudendo la cassetta degli attrezzi e indugiando con le dita su di questa, incapace di alzarsi e distruggere il momento che avevano creato: «Ti piace studiare, quindi?
«Mio padre era solito dire che un uomo è libero quando ha la conoscenza nella sua mano» le rispose Adrien, facendole un occhiolino e prendendo la cassetta per il manico, sollevandola senza fatica mentre si rialzava: «Inoltre posso fare ben poco in questa situazione, quindi perché non rendersi una persona migliore e ampliare la propria conoscenza?»
«Giusta osservazione.»
Adrien le sorrise, sollevando appena la cassetta e inclinando la testa, guardandola negli occhi e facendole sentire le gambe deboli e lo stomaco dolente: «Questa vuoi riportarla in officina?» le chiese e Marinette annuì con la testa, sentendo incapace di articolare una frase con un senso compiuto.
«Andiamo, allora.»


«Le cose stanno andando bene. Non credete?» Wayzz si voltò verso gli altri, cercando un consenso alle sue parole e sorridendo quando notò Plagg e Tikki al suo fianco, osservando i due giovani che camminavano nel giardino, ignari degli sguardi indiscreti che li seguivano: «Ancora poco e la maledizione si scioglierà.»
«Mikko mi ha detto che stamattina, Marinette ha chiesto del padre» mormorò Tikki, sbuffando appena e facendo fuoriuscire una voluta di vapore dal beccuccio: «Non possiamo continuare a nasconderglielo.»
«Questo è successo perché qualcuno qui ha voluto liberarlo» bofonchiò Plagg, agitando uno dei bracci metallici e voltandosi verso l'orologio: «Non è vero, Wayzz?»
«Mi sembrava una buona idea.»
«Dovremmo dirle la verità.»
«Tikki, manca veramente poco...»
«Non la prenderà bene se lo scopre da sola.»
«Oh, andiamo! E' una sciocchezza! Sono certo che la ragazza farà un po' di storie ma poi le passerà» Plagg sorrise, poggiandosi contro il vetro e sorridendo: «Insomma, non è che abbiamo ucciso qualcuno, le abbiamo solamente taciuto una cosa e fatto credere un'altra.»
«Ma tu hai imparato a conoscere quella ragazza o no?»
«Certamente! E posso dire che perdonerà qualsiasi cosa al padrone. Ne sono certo, mia meravigliosa Tikki.»
La teiera sbuffò, facendo tremare appena il coperchio mentre saltava dal davanzale al carrello portavivande: «Sai, Plagg, alle volte vorrei avere la tua testa vuota» commentò, prima di allontanarsi dai due e dirigersi verso la cucina.
«Non ho capito…» Plagg si voltò verso Wayzz e inclinò appena la testa, portandosi un braccio alla candela che teneva sulla sommità quando la sentì scivolare: «Mi ha fatto un complimento o mi ha offeso?»
«Penso la seconda, amico mio.»

 

Marinette sorrise all'appendiabiti che le posò davanti il vassoio, scoperchiandolo e rivelando la prima portata del pranzo di quel giorno: si chinò, inspirando appena il vellutato profumo della verdura e afferrando il cucchiaio, immergendolo nella crema verde pastello e sollevandolo, soffiando appena sopra, mentre la sua mente andava all'uomo che era in una stanza, da qualche parte in quel maniero.
Forse era stato il discorso con Mikko, forse si era svegliata da quella fiaba a occhi aperti che stava vivendo, ma mai come quel giorno il pensiero del genitore era stato così vivido: voleva avere sue notizie, qualcosa di più concreto del solito 'è come sempre' che gli propinavano ogni giorno, voleva vederlo.
Alzò la testa, osservando Adrien immerso nella lettura e completamente ignaro dei suoi pensieri, finché lui non alzò lo sguardo dalle pagine e la fissò in attesa, quasi domandandole con lo sguardo quale fosse il problema che l'attanagliava: «Adrien, posso chiederti una cosa?» Marinette si fermò, notando lo sguardo del padrone di casa posarsi su di lei, mentre abbassava le posate e le poggiava sul piatto: «Dove è mio padre? Vorrei andare a trovarlo.»
Il ragazzo la fissò, inspirando e copiandone i movimenti, aprendo la bocca e richiudendola: aveva la risposta pronta, la solita bugia che era solita propinarle ogni volta che le domandava del padre ma le parole non volevano uscire e morivano ancora prima di arrivare alle labbra: «Io…» iniziò, fermandosi e chinando lo sguardo, stringendo le dita e sentendosi incapace di alzare lo sguardo: «Io…»
«Tu cosa, Adrien?»
Non voleva mentirle, non voleva continuare a imbastire quel castello fatto di illusioni.
Non a lei che era diventata così importante per lui.
«Tuo padre non è qui, Marinette» mormorò, senza rialzare lo sguardo, stringendo le labbra e sentendo il peso di quelle parole calare nella stanza: i servitori avevano smesso di ciarlare e nessun suono proveniva dalla ragazza; rimase a fissare il piatto e la crema di verdure al suo interno, fino a quando non sentì il rumore di una sedia che cadeva e alzò la testa, osservando Marinette correre fuori dalla stanza.
«Padrone!» il richiamo risentito di Plagg gli scivolò addosso, mentre si alzava con lentezza e poggiava le mani sul tavolo di legno, gravitando tutto il peso del suo corpo: «Perché gliel'avete detto? Eravamo così vicini…voi…»
«Non volevo continuare a mentirle» mormorò Adrien, scostando appena la sedia e avanzando verso l'uscita della sala da pranzo, zoppicando appena e fermandosi appena oltre la porta, guardando il piccolo corridoio che portava all'androne del maniero: sapeva dove lei si era diretta, lo sentiva dentro di sé e seguì quell'istinto, dirigendosi verso l'androne e uscendo dalla casa, trovandola appena fuori dalla porta e con lo sguardo rivolto verso il cancello di metallo alla fine del giardino.
«Perché lo avete fatto?» Marinette sussurrò appena quelle parole, voltandosi e fissandolo con il mento alzato, lo sguardo leggermente umido: «Sono stata qui per tutto questo tempo, pensando che mio padre stesse male e non potendo fare nulla per lui! Ogni giorno cercavo mille modi per distrarmi e cosa scopro? Che mi avete mentito!»
«Posso spiegarti…»
«Cosa? Il perché di tutta questa bugia?» la ragazza sbottò, allargando le braccia e facendo un passo indietro, scuotendo il capo: «Rivoglio il mio cavallo e il carro» dichiarò, arretrando ancora: «Non voglio più rimanere qui. Voglio andare da mio padre e…»
«E cosa? Tu lo sai dov'è, Marinette?»
«No. Non lo so! Io pensavo che fosse in una stanza di questo dannato castello! Dov'è? Tu lo sai?»
«Non puoi andare…»
«Sì, che posso. Vuoi forse impedirmelo?»
«Marinette…» Adrien allungò le mani, facendo un passo in avanti e fermandosi, non appena vide la ragazza scendere velocemente due gradini; socchiuse gli occhi, cercando di non vedere così le emozioni che passavano nello sguardo di lei: c'era rabbia e lo sentiva dalle sue parole, c'era delusione e c'era anche tristezza: «Quando sei giunta qui, Wayzz aveva liberato tuo padre ma poi, sia lui che Plagg hanno…beh, hanno detto quel che hanno detto ed io…»
«Tu hai mentito come tutti loro. Mi hai fatto credere…»
«Sì, sono stato loro complice. Hai ragione.»
Marinette si strinse nelle spalle, sentendo il corpo svuotarsi e lasciarla completamente priva di ogni emozione: la rabbia che aveva provato subito, non appena Adrien aveva bisbigliato le poche parole che avevano dato il via a tutto era scomparsa, lasciandola senza niente, voleva semplicemente andarsene.
Voleva vedere suo padre e sua madre, nascondersi nella sua mansarda, fra le sue invenzioni malfunzionanti e…
E non sapeva neanche lei cosa.
Non comprendeva più niente: né come si sentiva, né quello che provava verso Adrien.
Voleva solo…
«Voglio andare a casa mia» mormorò, dando così voce ai propri pensieri e fissando la persona davanti a lei, osservando il volto deformato ormai ben familiare: «Voglio…»
«Faccio preparare il tuo cavallo e il carro» decretò Adrien, voltandosi e avanzando verso la porta del maniero: «Puoi aspettare qui» continuò, zoppicando verso l'interno e non aspettando nessuna risposta, ritornando nell'androne e osservando la servitù che fissava in attesa: «Wayzz, puoi far preparare il cavallo di Marinette?» domandò, osservando l'orologio da tavolo balzare in avanti e trotterellare deciso verso l'esterno dell'abitazione.
Adrien li superò tutti, ignorando il suono ritmico che lo seguiva e salendo le scale: «Non ora, Plagg» dichiarò, socchiudendo gli occhi e fermandosi a metà scalinata, cercando di ignorare tutto ciò che sentiva: il senso di colpa, la speranza infranta, il vuoto, tutto si mischiava in un dolore sordo che sembrava quasi volerlo uccidere.
Ora comprendeva cosa volesse dire soffrite per amore.
«Quella ragazza se la prende troppo per delle sciocchezzuole» commentò Plagg, balzando sui gradini e superandolo: «Non credete, padrone?»
«Sciocchezzuole? Plagg! Le abbiamo fatto credere che il padre fosse in fin di vita!»
«Tikki, gradirei che in certe situazioni tu non mi dessi contro, ma mi sostenessi.»
«Conosciamo madamoiselle, Plagg, l'abbiamo imparato a fare durante il suo soggiorno qui e sai cosa ti dico? Quella è una ragazza sincera e leale, quasi sicuramente odia le bugie così come io odio la puzza del camembert e tutto quello che abbiamo fatto l'ha sicuramente ferita profondamente!»
«Oh, andiamo.»
«No, niente 'oh, andiamo', Plagg.»
«Tikki, vorrei ricordarti che la tua ragazza sincera e leale, è anche quella che dovrebbe spezzare la maledizione e, al momento, sembra più intenzionata a ucciderci tutti che a dichiarare il suo amore per il padrone.»
«Ha solo bisogno di tempo.»
«Ma noi non ce l'abbiamo il tempo, Tikki! I petali ormai sono veramente pochi e quando l'ultimo cadrà…»
«Ora basta» Adrien ascoltò il silenzio che seguì le sue parole, inspirando e lasciando andare poi l'aria: «Basta. Vi prego, finitela. Lasciate perdere la maledizione, lasciate perdere tutto. Voglio solo…»
«Padrone.»
«Sono nelle mie stanze, lasciatemi da solo.»

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.171 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo de La bella e la bestia, mettendo un altro tassello lungo la strada che porta alla fine! Nello scorso capitolo mi sono dimenticata di avvisarvi che, per tutto il mese di gennaio, pubblicherò un capitolo a settimana di questa storia: è quasi alla fine e quindi voglio...come dire? Liberarmene il prima possibile (esattamente come sto facendo con altre).
Detto questo, andiamo come sempre a ricordarvi la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92, mentre per gli altri miei social vi rimando alla descrizione nel mio profilo (altrimenti qui faccio la lista infinita!).
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Fissò il legno del tavolo, poggiando il mento sulle dita intrecciate e inspirando profondamente l'aria, cercando di ignorare la farfalla che stava volteggiando attorno a lei e più e più volte le era passata davanti agli occhi: «Lo so che cosa è successo» sbottò, dopo l'ennesimo volo dell'animale, dandosi la spinta e posandosi contro lo schienale della schiena: «La ragazza ha lasciato il castello e… per cosa? Per un'innocua bugia! Lo ama, perché se l'è dovuta prendere per così poco?»
La farfalla volò più alto, sfiorando quasi il soffitto e facendola sorridere: «E' vero. Io ho fatto di peggio, ma anche lui aveva fatto di peggio a me» bisbigliò, battendosi la lingua contro il palato ed emettendo alcuni rumori: «Che cosa devo fare? Era quasi vicino a spezzare l'incantesimo: lui la ama e lei lo stesso. Se tutto fosse rimasto come era la maledizione…» si fermò, storcendo la bocca e osservando l'insetto fluttuare davanti a lei in modo convulso: «Lo so anche io quello che ho detto a Fu, mio caro. E l'ho detto solo per darmi un tono! Insomma, mica potevo apparire e dire: sì, che bello! La maledizione si sta sciogliendo, non credi?» sbuffò, posando il gomito sul tavolo e il viso contro il pugno chiuso, voltandosi verso un angolo della piccola abitazione e fissando l'uomo che dormiva profondamente: «Che cosa dovrei fare? Svegliarlo? Lasciarlo andare? Ma così lui tornerà a casa e la ragazza non avrà più nessun motivo per tornare qui e Adrien…» si alzò con un movimento veloce, posando le mani sul tavolo e scuotendo la testa: «Che cosa devo fare? Oh, ma perché ho lanciato questa maledizione? Perché non potevo fare come tutte le madri normali? No, io dovevo far valere il mio lato fatato e via a condannare il proprio figlio! Che faccio? Che faccio?» alzò il capo, osservando la farfalla e fissandola come se avesse la soluzione a ogni suo problema: «Tu hai un piano? Ne hai sempre uno per ogni problema! Andiamo, non lasciarmi da sola proprio adesso!»
L'insetto sbatté le ali, volando fino a lei e posandosi sul volto della donna, sfiorandola appena con le zampette prima di allontanarsi e fluttuare nell'aria: «Neanche tu hai un'idea, eh?» bisbigliò, lasciandosi andare e scivolando verso terra; tirò su le gambe, poggiando il mento contro le ginocchia e osservando l'uomo dormiente, la stazza che riempiva l'intero letto e quasi fuoriusciva: «Non ha senso che io continui a tenerlo qui. La ragazza potrebbe non tornare comunque e la sua famiglia si preoccuperebbe soltanto» inspirò, alzando una mano e muovendo le dita nell'aria, osservando il suo ospite alzarsi e gettare le gambe fuori dal letto, tirandosi su e dirigendosi verso la porta: Tom Dupain non era piena cosciente, lo sarebbe stato una volta giunto dentro Parigi ma, fino a quel momento, sarebbe stato sotto l'influsso e la protezione della sua magia: «Adrien…» bisbigliò, ascoltando il rumore dei passi dell'uomo che si allontanavano e posando la fronte contro le ginocchia: «Cosa posso fare per lui? Come posso impedire che il mio sbaglio lo distrugga?» si fermò, inspirando e stringendo le palpebre: «Io l'ho condannato a morte certa: se la maledizione si compirà, diventerà una bestia e si scorderà la sua natura umana; oppure il suo cuore spezzato lo ucciderà prima. In ogni caso, la sua fine è segnata.»

 

Inspirò, riconoscendo l'odore tipico di Parigi: l'aria era densa di smog e vapore, i rumori metallici si accompagnavano alla cacofonia di voci umane; si guardò attorno, osservando le persone che accalcavano i marciapiedi e i mezzi che occupavano la strada: macchine a vapore erano al fianco di carrozze trainate da cavalli.
Parigi. La sua cara Parigi.
La sua città natale, confusionaria e caotica.
Dette un piccolo colpo con le redini, seguendo il carro avanti al proprio e osservandosi qua e là, aspirando a fondo i profumi nell'aria, quasi come se in quel modo potesse anche assorbire la città: non ci aveva fatto caso, mentre si trovava lontana, ma le era mancato tutto quello.
Tirò appena le cinghie, facendo rallentare il carro e poi allentando la presa sulla redine sinistra e aumentando la pressione su quella di destra, facendo così voltare il cavallo e immettersi nella piccola via che si affacciava sulla strada principale, sorridendone alla vista: quello era il luogo dove era nata e cresciuta, il vicolo dove aveva cercato di far funzionare le sue prime invenzioni.
Un posto importante nel suo cuore ma che, nel periodo trascorso nel castello di Adrien, aveva quasi dimenticato.
Come poteva essere successo?
Come era potuto accadere?
Abbassò le spalle, guardando avanti a sé e riconoscendo il negozio dei genitori, l'insegna consumata dalle intemperie continuava a svettare sopra la porta del negozio con la vernice leggermente consumata su alcune lettere, tanto che il cognome scritto in bianco non era più Dupain ma assomigliava più a Cupain.
Tirò le redini, facendo fermare il carro davanti il cancello in ferro e legno, proprio accanto alla porta del negozio e balzò a terra, guardandosi attorno e avvicinandosi alle vetrine piene di cianfrusaglie, notando l'assenza di qualche oggetto e la mancata presenza di merce nuova.
Suo padre non era dunque tornato a casa.
Allungò una mano, posandola sul vetro e facendo scivolare il polpastrello verso il basso, tenendo lo sguardo sul piccolo scrigno di metallo, dall'altra parte della vetrina, con una patina di polvere sopra: ricordava il giorno che suo padre l'aveva portato in negozio, tenendo fra le mani quell'oggettino e dichiarando di aver trovato un piccolo tesoro. Sua madre aveva sbuffato, scuotendo la testa e osservando il marito con tutta la saccenteria di cui una moglie era provvista: Marinette li aveva guardati, mentre avevano cominciato una discussione sul vizio del padre a comprare sempre oggetti che non potevano essere rivenduti, ritrovandosi poi fra le mani il cofanetto.
Ci aveva lavorato sopra, sistemando il meccanismo e facendo sì che potesse aprirsi a scatto: era stato un lavoro complicato, impegnata con pezzi che richiedevano l'ausilio della lente, ma alla fine ci era riuscita e aveva modificato il fallimentare acquisto del padre, posandolo poi in vetrina dove era rimasto.
Chinò la testa, posando la fronte contro il vetro e socchiudendo gli occhi, inspirando l'aria e avvertendo gli odori che le pungevano il naso, ma a lei familiari: «Marinette?» la voce conosciuta di sua madre la fece tirare su, mentre si voltava verso l'entrata del negozio e osservava la donna, che ricambiava il suo sguardo quasi sorpresa di vedere la figlia lì: «Sei veramente tu?»
«Ciao, mamma.»
«Oh, il mio tesoro» Sabine corse verso di lei, arrivandole davanti e circondandola con le braccia, stringendo con forza a sé la figlia e nascondendo il volto contro la spalla, tirando su con il naso mentre le spalle tremavano leggermente: «Io avevo paura di non vederti più» pigolò, stringendo la stoffa della giacca di Marinette e tirando su la testa, piegando le labbra in un sorriso: «Dove eri? Che cosa è successo?»
Marinette scosse il capo, stringendo le labbra e arretrando di un passo, facendo vagare lo sguardo attorno a sé, mentre Sabine la liberava dall'abbraccio: «Papà?» domandò, stringendosi le braccio al corpo e massaggiandosi i bicipiti, posando poi la completa attenzione sulla madre e osservandola mentre negava con la testa: «Non…» si fermò, inspirando e lasciando andare l'aria: «Non è tornato?»
«No, tesoro.»
Dove era dunque?
Se n'era andato dal castello di Adrien da molto tempo, da quando lei era giunta al maniero.
Possibile che si forse perso e, in quel momento, stava girovagando da qualche parte, incapace di trovare la via di casa?
Oppure…
No. L'altra ipotesi non voleva pensarla. Non era possibile. Non poteva essere accaduto a suo padre.
«Tu l'hai trovato?»
«No» mormorò, storcendo la bocca e avanzando nella strada, avvicinandosi ai cavalli e cominciando a togliere i finimenti: «Quando sono andata nel luogo indicato dalla lettera…beh, papà non c'era più ed io sono rimasta lì per un po' di tempo perché…perché…» si fermò, stringendo la presa sulle cinghie di cuoio e scuotendo la testa: «Beh, il padrone di casa aveva bisogno dei miei servizi come meccanico.»
«Bontà divina! Non hai fatto saltare niente, vero?»
«No, mamma.»
Sabine annuì, posandosi la mano sul cuore e piegò le labbra in un sorriso, seguendo con lo sguardo i movimenti della figlia mentre libera i due cavalli dal giogo delle redini e li scortava verso la stalla: «Ah, mi chiedo dove si sia infilato tuo padre…» mormorò, seguendola all'interno dell'edificio e superandola, aprendo uno dei box e poggiandosi poi contro il legno: «Sembra quasi scomparso. Puff! Come in quegli spettacoli di magia.»
«E' vero…» mormorò Marinette, posando una mano sul fianco dell'animale e lisciando lievemente il pelo corto: «Mi occupo dei cavalli e poi vado a farmi un bagno.»
«Certamente, tesoro. Vuoi che ti prepari uno spuntino?»
«No. Grazie, mamma.»

 

La fucina era immersa nel silenzio: non c'era più nessuno che lavorava e chiacchierava, alimentando il fuoco nella fornace. Il martello non suonava ritmico contro il metallo, nessuno sbuffo si levava dai macchinari e nessun suono di ingranaggi messi in moto giungeva alle sue orecchie.
Lei se n'era andata e anche la vita di quel luogo.
Il castello stava velocemente riprendendo la patina di abbandono che aveva avuto, prima che Marinette giungesse in quel luogo, anche la servitù sembrava aver perso il suo brio e si muoveva solo perché doveva farlo: era molto facile trovare Wayzz immobile da qualche parte, possibilmente, sopra un mobile; Mikko non apriva più le sue ante e non gettava più nastri e pezzi di stoffa ovunque e anche il resto sembrava scivolare veloce verso l'apatia.
Tutto stava morendo, privato dell'essenza vitale dalla partenza di Marinette.
Forse Plagg aveva avuto ragione e lei era stata la chiave per liberarli tutti, ma lui era stato troppo idiota per accorgersene e l'aveva lasciata andare via, l'aveva persa, tutto perché non era stato capace di dirle la verità fin dall'inizio, sorreggendo il gioco dei suoi servitori.
Entrò nella stanza, posando la mano metallica sul tavolo e scivolando sullo sgabello, poggiando il gomito contro il legno e tenendo il braccio rilassato con il palmo rivolto verso l'alto: la posa che assumeva sempre quando lei doveva fare la manutenzione al suo arto e quasi poteva vederla, con la testa china sopra gli ingranaggi mentre lo riprendeva per la noncuranza con cui trattava il suo stesso braccio, alzando poi lo sguardo e sorridendogli per un breve attimo, prima di tornare a dedicarsi al suo lavoro: «Ti amo» bisbigliò al suo fantasma, chiudendo appena le dita e riaprendole, domandandosi come avrebbe reagito alle sue parole.
Sarebbe arrossita, assumendo quella deliziosa tonalità rosata che le colorava le guance, arretrando poi di un passo e balbettando qualche parola senza un senso logico, cercando di comporre una frase; sorrise, mentre la immaginava portarsi una mano alla testa e tormentare una ciocca sfuggita all'acconciatura, tenendo con decisione lo sguardo verso terra e poi rialzando, una volta acquisita sicurezza, e posandolo lentamente su di lui.
Sì, se chiudeva gli occhi poteva vederla tranquillamente, immaginarla in ogni gesto.
Alzò il capo, sorridendo e chiudendo gli occhi, rivedendola mentre si affaccendava in quella stanza, mentre scherzava con i servitori, incontrando poi lo sguardo e vedendoci l'illusione di un sentimento ricambiato: «Ti amo, Marinette.»



I rumori nella strada la tenevano sveglia, rendendole incapace dormire e trovare ristoro nel sonno, impedendo così alla sua mente di lavorare: che cosa stava facendo Adrien in quel momento? Come stava?
Perché le aveva mentito? Perché aveva inscenato quel teatrino fin dal primo giorno che si erano conosciuti?
Adrien aveva provato a parlarle, a spiegarle ma lei non ricordava alcunché, solo il dolore della bugia e la bruciatura della delusione; si portò una mano al petto, massaggiandoselo appena sopra la camicia da notte e voltandosi verso la finestra e osservando la luce dei lampioni a gas fra le stecche delle imposte chiuse: voleva dormire, lasciarsi andare ai sogni e sperare che, almeno in quelli, non ci fosse dolore, ma invece rimaneva sveglia e completamente cosciente.
Scosse il capo, alzandosi e posando i piedi sulle assi del pavimento, avvicinandosi alla toeletta e afferrando la piccola lampada a gas, accendendola e rischiarando la stanza; si guardò attorno, trovando subito i suoi indumenti da lavoro e si tolse la camicia da notte, infilandosi la camicia e la gonna corta, sporchi in più punti di grasso e olio, sistemandosi poi alla meglio i capelli.
Se non poteva dormire avrebbe lavorato, sfruttato quel tempo, piuttosto che lasciarsi andare ai piagnistei.
Non avrebbe più pensato a niente.
Non avrebbe più pensato a quel castello, immerso nella foresta, con quella strana servitù e quel padrone che le aveva ghermito il cuore: con il tempo, il dolore si sarebbe placato e i suoi sentimenti assopiti e poi dimenticati.
Doveva solo attendere e lasciare che il tempo la guarisse.
Solo questo. Nient'altro.
Annuì con la testa, quasi come a confermare la propria decisione, e uscì dalla camera, raggiungendo le scale del corridoio e salendole, tornando alla sua mansarda piena delle sue invenzioni: lì doveva stare, quello era il suo mondo.
Lì sarebbe rimasta.

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.181 (Fidipù)
Note: Un po' in ritardo rispetto al solito - già, dovevo postarlo ieri - ma ecco qua il consueto aggiornamento settimanale de La bella e la bestia!  Nuovo capitolo, personaggi che ritornano e...beh, ormai siamo in dirittura del finale: ancora quattro capitoli e questa storia ci saluta (E qua si sente un 'Finalmente!' mio. Il bello è che ho già pronta la sostituta...me tapina!)
Detto questo, andiamo come sempre a ricordarvi la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92, mentre per gli altri miei social vi rimando alla descrizione nel mio profilo (altrimenti qui faccio la lista infinita!).
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Si lasciò cadere sulla chaise longue, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente, aprendo poi le labbra e lasciando andare l'aria: «Sabrina, preparami una cioccolata calda» ordinò, muovendo con pigrizia una mano nell'aria e non dando peso alla sequela di parole incerte che seguirono.
Il viaggio l'aveva distrutta mente e corpo, facendole sentire il bisogno di tornare nella sua cara Parigi, storcendo le labbra mentre ripensava al fallimento della sua ricerca: aveva fatto la strada fra Parigi e Toulouse almeno due volte, ma di Marinette Dupain-Cheng non c'era nessuna traccia e sembrava che la ragazza fosse scomparsa come per magia.
Dove era?
Dove si era nascosta?
Poggiò la nuca contro la spalliera della poltroncina, inspirando profondamente e lasciando i pensieri liberi: non ricordava il momento esatto in cui aveva iniziato a odiare la meccanica, semplicemente era successo e renderle la vita un inferno era diventato il suo chiodo fisso.
Mise le mani sulla pancia, cominciando a giocherellare con il merletto che decorava il corsetto e ascoltando il rumore delle persone che stavano lavorando nella sua stanza: due valletti erano impegnati a portare dentro i bauli, mentre le cameriere stavano riponendo gli abiti che si era portata dietro quella fallimentare missione.
Era rilassante, quasi confortante, ascoltarli: un sospiro le sfuggì dalle labbra, mentre si sistemava meglio sulla chaise longue e lasciandosi ammaliare dalla promessa del riposo; voltò la tesa di lato, passandosi la lingua sulle labbra e scivolando con velocità fra le braccia accoglienti del sonno.
«Chloé! Chloé! Chloé!»
La voce persistente di Sabrina la strappò quasi immediatamente da dormiveglia, facendole aprire gli occhi e fissare contrariata l'altra: «Che c'è?» domandò con stizza, osservando le mani vuote della ragazza e poi il volto: «Spero che tu abbia una buona ragione per avermi disturbato.»
Sabrina annuì con il capo, talmente vigorosamente che gli occhiali tondi le scivolarono sul naso e quasi le caddero per terra: «Allora?» domandò Chloé, mettendosi seduta e rimanendo in attesa, portandosi una mano al capo e controllando che l'acconciatura fosse ancora in ordine.
«Ho appena saputo da una delle cuoche che la figlia di Sabine è tornata a casa.»
«La figlia di Sabine?»
«Marinette Dupain-Cheng.»
Chloé sbatté le palpebre, scuotendo appena il capo e facendo schioccare le labbra: «Mi stai dicendo che, mentre io ero a giro per il mondo, la meccanica era tornata a Parigi?»
Sabrina annuì per la seconda volta con la testa, osservando l'altra alzarsi e pestare con forza un piede per terra: «Che vuoi fare, Chloé?» domandò, tirandosi su anche lei e osservando l'altra marciare verso la porta della camera, ignorando uno dei valletti che stava portando un baule dentro e costringendolo a retrocedere.
«Che domande? Vado in quel buco di negozio. Fai preparare la carrozza.»
«Sì, Chloé.»


Plagg osservò la stanza immersa nel buio, ringraziando la sorte che lo aveva trasformato in un candelabro, colpì i propri bracci e accese gli stoppini delle candele che aveva al posto delle mani, saltellando all'interno e osservando il giovane sdraiato sul letto.
Adrien sembrava aver perso ogni forza e, forse perché collegato al giovane, anche il castello sembrava risentirne: non c'era più quella luce che aveva dominato nelle stanze mentre madamoiselle Marinette era lì, scacciata dalle tenebre che sembravano diventare più fitte ogni giorno che passava.
Cinque giorni.
Questo era il tempo trascorso da quando la ragazza, quella giusta, quella che avrebbe rotto quell'incantesimo nefasto, se n'era andata: «Padrone…» mormorò, avvicinandosi al letto e osservando la coperta logora, ricordando com'era un tempo: prezioso broccato rosso, ricamato d'oro che riprendeva le tende del baldacchino e quelle delle finestre.
Era sempre stata una camera bellissima, sontuosa, il rifugio di quel bambino cresciuto nella bambagia, mentre ora era la tana di una bestia ferita, con il cuore in mille pezzi.
«Lasciami stare, Plagg.»
«Padrone, io…» il candelabro si fermò, cercando le parole e non trovando assolutamente niente da dire: «…è stata colpa nostra, padrone. Avremmo dovuto dire fin da subito la verità…»
«Io sono vostro complice. Nemmeno io le ho detto qualcosa e ho lasciato che vivesse qui, preoccupandosi senza motivo e…»
«Ma padrone…»
«E ora l'ho persa. Per sempre» Adrien si girò nel letto, voltandosi verso il candelabro e fissandolo: «Mi dispiace solo che in questa maledizione siate coinvolti anche voi: io diventerò la bestia che sono, ma voi…»
Plagg inspirò, osservando la rosa che dominava una parte della camera, stranamente rilucente e con ancora pochi petali attaccati allo stelo: ancora tre petali e poi tutto sarebbe finito, la maledizione sarebbe diventata eterna e avrebbe trasformato tutti loro in mobili, perdendo ogni forma di vita.
Sarebbero stati ciò in cui erano stati trasformati e nulla più, esattamente come il loro padrone.
«Padrone, voi l'amate e lei vi ama.»
«A quanto pare no, perché come vedi, sono ancora in questo fantastico aspetto: in fondo il metallo e la carne è una combinazione di moda quest'anno, no? Mettici un po' di…boh, qualsiasi cosa sono questi affari che ho in faccia, aggiungi un po' di piaghe e potrei tranquillamente essere il modello di quest'anno.»
«La vostra lingua, in questi casi, è veramente fuori luogo.»
«Chissà da chi ho imparato.»
«La rosa non ha perso ancora tutti i petali…»
«Ma presto accadrà.»
Plagg inspirò, avvicinandosi a una delle colonnine del letto e sfruttandola per scalare la struttura e raggiungere così il ragazzo; balzò sul materasso, avvicinandosi al volto del giovane e fissandolo: «C'è sempre speranza, padrone. Sempre. Fino all'ultimo secondo. Soprattutto in qualcosa di così delicato, effimero e imprevisto come l'amore: voi l'amate, lo vedo da come vi siete ridotto dopo che Marinette se n'è andata; e anche lei prova i vostri stessi sentimenti, l'ho visto nei suoi occhi, nel suo sguardo, ogni volta che si posavano su di voi. Solo un cieco o un idiota non avrebbe compreso ciò, e propendo per il fatto che voi appartenente alla seconda categoria» si fermò, osservando lo sguardo verde del giovane e indicando con uno dei bracci la rosa: «Ci sono ancora tre petali, c'è ancora una speranza. Non abbattetevi, vi prego. Lottate. Fatelo per Marinette: volete veramente farle perdere l'amore della sua vita?»
«Ora mi ricordo perché eri tu quello che dirigeva questa casa, prima di tutto questo…» mormorò Adrien, piegando appena le labbra in un sorriso: «La tua parlantina è sempre stata così dannatamente…»
«Sublime. Non è vero?»
«Fastidiosa.»
«Padrone, sono solo un povero candelabro, nonché voce della verità.»
«Tu sei una spina nel fianco, venuto al mondo apposta per farmi ammattire.»
«Vorrei ricordarvi, padrone, che voi siete nato dopo di me, perciò posso tranquillamente dire che voi siete venuto al mondo per far ammattire me e visto le vostre inclinazioni da piccolo…beh, sì. Eravate decisamente insopportabile: dio solo sa quante volte Tikki mi ha fermato, mentre cercavo di affogarvi nel lago che si trovava nel cortile posteriore.»
Adrien sospirò, scuotendo la testa e afferrando il candelabro, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla rosa, notando come le tenebre si erano un poco dissolte rispetto a prima: «Grazie, Plagg» mormorò, tenendo lo sguardo sul fiore: «Hai cercato di scuotermi e ci sei riuscito…»
«So come trattare i miei polli. E vi prego di lasciarmi andare, sono capace di muovermi da solo.»
«Lei mi ama. Ne sei certo?»
«Ma la maledizione vi ha reso anche cieco? No, perché è l'unico modo per capire la vostra ignoranza: se le chiedevate di sposarla, prima che succedesse quella cosetta della bugia sul padre, sono certo che vi rispondeva sì e, a quest'ora, eravate a rotol…Padrone. Ho una curiosità.»
«Cosa?»
«E' un quesito curioso che mi sono sempre domandato in tutti questi anni.»
«Ovvero?»
«Ma là sotto siete di carne o di metallo?»
«Io ti fondo. Fosse l'ultima cosa che faccio in vita mia!»


Osservò la composizione di fiori secchi che sua madre aveva messo vicino al registratore di cassa, allungando una mano e carezzando distrattamente il metallo dell'apparecchio, premendo appena i tasti quel tanto che bastava per non far battere nessun numero: non aveva voglia di far niente, voleva semplicemente chiudere gli occhi e lasciarsi scivolare nel nulla.
Anche stare nella sua mansarda, immersa fra le sue invenzioni e gli oggetti da riparare, non le suscitava più niente: non c'era più la voglia di mettersi in gioco, di provare, di creare.
Non aveva più niente.
Poggiò il capo contro il pugno chiuso, voltandosi verso la cassa e continuando a premere il tasto: aveva lasciato tutto nel luogo che aveva abbandonato, un castello magico dove gli oggetti si muovevano e il padrone di casa era una bestia dall'animo gentile.
Si sentiva una stupida a essersela presa tanto per quel che le era stato detto, per quella bugia, eppure non riusciva neanche a tornare indietro, a ritornare in quel luogo che aveva sentito come casa in quel poco tempo in cui ci aveva vissuto.
Il rumore del campanello della porta la tirò via dai suoi pensieri e le fece voltare la testa verso l'ingresso del negozio, trattenendo a mal fatica il gemito che le salì dalla gola non appena vide il volto fin troppo familiare di Chloé Bourgeois: «Sei tornata» dichiarò la ragazza, fissandola e avanzando nel negozio, facendo vagare lo sguardo per gli oggetti ammassati un po' ovunque, ma senza posarsi su qualcosa in particolare.
«Sì» mormorò Marinette, poggiando le mani sul bancone e seguendo l'altra con lo sguardo: «Vuoi qualcosa, Chloé? Devi far aggiustare qualcosa?»
«No. Non comprerei mai queste cose da plebei» Chloé si voltò, studiandola e piegando le labbra in un sorriso che non giunse agli occhi: «Io non sono come te.»
Marinette la fissò, stringendo lievemente la presa e inclinando la testa: «Posso sapere cosa ti ho fatto di male?» le domandò, cercando di trovare la risposta a quella domanda nei suoi ricordi: fin dal loro primo incontro, Chloé l'aveva infilata nella sua lista nera senza un apparente motivo e non riusciva proprio a capire per quale arcano motivo.
Che cosa poteva averle mai fatto di così tremendo, da suscitare quell'odio e quel disprezzo?
Chloé la ignorò, continuando a vagare con lo sguardo sugli oggetti della bottega, mentre piegava le labbra in un sorrisetto: «Oh, la risposta è molto semplice» dichiarò, voltandosi e battendo le mani fra loro: «Non ti sopporto solo perché sei te.»
«Cosa?»
«Non mi sei mai piaciuta. Mai. Fin dalla prima volta che ti ho visto, ho provato solo astio nei tuoi confronti» Chloé si avvicinò, lo sguardo azzurro che riluceva e la bocca piegata in un sorriso che aveva ben poco di amichevole: «E sai cosa faccio con le cose che non mi piacciono?»
«Ehm. Le ignori?» buttò lì Marinette, sbattendo le palpebre e sorridendo piena di fiduciosa aspettativa, cercando quasi di ignorare il modo in cui la ragazza si era sempre comportata con lei, osservandola mentre si avvicinava al bancone, osservando interessata la composizione di fiori secchi che era stata messa vicino al vecchio registratore di cassa.
Marinette si passò la lingua sulle labbra, stringendo le mani sul metallo freddo e osservando l'altra dall'altro lato: «Quando c'è qualcosa che non mi piace…» mormorò Chloé, afferrando un fiore in mano e stringendo la presa con forza: «Io lo distruggo ed è quello che farò con te, Marinette Dupain-Cheng» dichiarò, poggiando la mano sul bancone e lasciando lì i petali ridotti in pezzetti minuscoli: «Ti seguirò ovunque, ti renderò la vita un inferno.»
Marinette la fissò e abbassò poi lo sguardo: forse un tempo avrebbe ribattuto a quella frase, avrebbe combattuto, ma adesso…
Quel senso di vuoto che aveva dentro la stava divorando, lasciandola completamente inerme.
«O forse non ne avrò bisogno» commentò Chloé, riportando l'attenzione di Marinette su di sé: «Sembra che qualcuno sia arrivato prima di me, Marinette Dupain-Cheng. Mi chiedo chi sia stato. Vorrei complimentarmi con lui.»
«Fidati: se lo vedi, scapperesti urlando» mormorò Marinette, trovando quasi buffo che, in qualche modo, la persona che aveva appena dichiarato di renderle la vita un inferno stava in un modo contorto e perverso, tirandola su di morale: «Io…»
«Ehi. Meccanica. Non voglio confidenze» Chloé schioccò le dita, voltandosi e raggiungendo la porta, posando la mano sulla maniglia e guardandola da sopra una spalla: «Ricorda le mie parole, Marinette Dupain-Cheng: io ti renderò la vita un inferno.»
Marinette annuì, scuotendo appena la testa e fissandola mentre usciva con il mento alto e lo sguardo fisso avanti a sé: «La vita un inferno…» mormorò fra sé, abbassando le spalle e sorridendo appena, mentre quelle parole le ricordavano una lamenta di Adrien nei confronti di Plagg.
Aveva usato quella stessa combinazione di vocaboli, facendola sorridere mentre si gustavano uno dei pasti, preparati dalla servitù: era un ricordo dolce, carino, eppure le provocava fitte al cuore, come ogni altra cosa che le ricordava quel posto.
Aveva quasi distrutto un orologio che ricordava Wayzz ed aveva nascosto in un angolo della soffitta tutti gli arti di metallo, che fossero protesi o di bambole, che aveva trovato.
Non voleva più…
Il campanello della porta suonò di nuovo e Marinette sospirò, spostando lo sguardo e rimanendo a bocca aperta alla vista della figura imponente che stagliava sulla porta; l'osservò mentre si toglieva il berretto e si grattava i capelli castani, facendo vagare lo sguardo per la stanza: «Papà?»

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.099 (Fidipù)
Note: Ed eccomi nuovamente qua con un nuovo appuntamento de La bella e la bestia e, signori e signore, mancano esattamente tre capitoli alla conclusione di questa storia, che ci lascerà nel mese di febbraio. Eh, sembra ieri quando la cominciai, sotto la richiesta insistente di qualcuno. Ad ogni modo, eccoci qua con un nuovo capitolo e...beh, non dico altro.
Detto questo, andiamo come sempre a ricordarvi la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92, mentre per gli altri miei social vi rimando alla descrizione nel mio profilo (altrimenti qui faccio la lista infinita!).
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Si mosse per la casa, attraversandola per tutta la sua larghezza, scuotendo il capo e fermandosi di tanto in tanto, osservando la farfalla candida che volteggiava sopra il tavolo: «Non sei di aiuto» dichiarò, incrociando le braccia al seno e tamburellando le dita sulla stoffa del vestito: «Dovremmo trovare una soluzione, non manca molto al momento in cui l'ultimo petalo cadrà e sai cosa questo significa, no? Lui rimarrà una bestia e tu…beh, diventerai una farfalla a tutti gli effetti.»
L'insetto si mosse, volando in cerchio sopra il tavolo e facendo sbuffare la donna: «Lo so che è tutta colpa mia, non c'è bisogno di rivangare sempre questa cosa» sospirò, avvicinandosi alla porta, afferrando il mantello di lana pesante, appeso e gettandoselo sulle spalle: «Io non so cosa fare, non so proprio come rimediare o aiutarlo a sciogliere questa maledizione: la ragazza era la soluzione, ma adesso…» si fermò, stringendo i lembi dell'indumento contro la gola: «Che cosa posso fare? Come posso…vorrei solo tornare indietro e non dare il via a tutto ciò: parlare con lui, dirgli chi ero e non maledirlo.»
La donna si voltò, alzando appena un angolo della bocca e sorridendo alla farfalla, mentre allungava una mano, l'indice ben proteso mentre le altre dita piegate, guardando l'insetto volare e posarsi vicino alla punta: «Vorrei non aver fatto questo a te» continuò, avvicinando la mano al volto e chiudendo le palpebre: «Ma è tardi per rimediare a tutto ciò. Voglio solo fare in modo che questa maledizione non si compia: ci dev'essere un modo e lo troverò» la farfalla sbatté le ali, agitandosi nell'aria e muovendosi sconclusionata attorno al volto della donna, facendola ridere: «Sono contenta che la mia decisione ti piaccia» dichiarò quest'ultima, aprendo l'uscio di legno e rabbrividendo appena, mentre metteva un piede fuori e affondava per gran parte della scarpa nel fango.
Una nebbia leggera dominava la foresta, allungandosi fra gli alberi e scivolando sopra gli arbusti, mentre l'umido e il freddo le entrava dentro le ossa e un lieve tremore le scosse il corpo, mentre si sistemava meglio il mantello e, un passo dopo l'altro, avanzava nel terreno molliccio, incurante delle macchie e dello sporco che si andava a creare sull'orlo dell'abito.
La foresta era la sua casa e l'aveva vista molte volte in quel modo: le persone comuni, gli umani, la temevano e la consideravano una minaccia, ma per lei nessun mostro si annidava poco distante da lei, protetta dalla foschia che si levava di tanto in tanto.
Si prese il cappuccio del mantello con entrambe le mai, tirandolo sopra la testa e proteggendosi così dall'umidità.
I pensieri vagavano mentre si addentrava fra gli alberi, lo sguardo rivolto verso il terreno, attenta agli ostacoli sul suo cammino: non sarebbe di certo stata la prima volta che finiva con la faccia immersa nel fango per colpa di qualche radice traditrice.
Un sorriso le curvò le labbra, ricordando un avvenimento del genere: era stato per colpa di una radice se aveva conosciuto l'uomo che aveva amato con tutta se stessa. Se chiudeva gli occhi poteva rivivere tranquillamente quel giorno: ricordava il calore del sole sulla pelle, i tiepidi raggi che filtravano fra le fronde, gli odori che le penetravano il naso e la facevano sorridere. Era un momento di quelli dove la primavera cominciava a lasciare segno di sé, nonostante l'inverno non volesse cedere il posto: aveva vagato per la foresta con il naso per aria, assaporando la vita che ritornava; era stata una radice a tradirla, facendola inciampare e rovinare contro un cespuglio. Si era ritrovata immersa di foglie, infangata e, mentre cercava di districarsi dai rami degli arbusti, aveva notato la figura solitaria poco distante da lei.
Un uomo l'aveva guardata con fare curioso, prima di sorriderle e avvicinarsi: l'aveva amato fin da subito, perdendosi in quegli occhi che avevano il ghiaccio e il fuoco assieme, e lo aveva seguito spinta dall'impulsività della sua natura fatata.
Quella stessa che poi l'aveva riportata nella foresta, comprendendo che la vita in un'abitazione completamente umana rassomigliava a una gabbia per lei: aveva abbandonato lui e il loro bambino, nato da quell'unione perfetta, perché era semplicemente fatta così.
Aveva cercato di avvicinarsi di nuovo, attendendo che lui fosse stato lontano per non cadere nuovamente vittima dei suoi sentimenti e, tutto quello a cui era arrivata, non era stato nient'altro che una maledizione al suo unico figlio.
Un essere fatato non poteva essere una brava madre.
Lo aveva compreso in quel momento.
Inspirò, lasciando andare il passato e osservando le mura in pietra che, da tempo ormai, avevano perso la loro guerra contro la natura: il castello sembrava adombrarsi a ogni minuto, l'abbandono e l'incuria regnavano ancora più sovrani.
Eppure, quando la ragazza era stata lì, la maledizione aveva ceduto il passo e la natura aveva ripreso a essere complice di quelle mura, ma adesso il cuore spezzato della bestia non aveva fatto altro che accelerare il tutto e lei non sapeva assolutamente cosa fare.
Non poteva ritrarre la maledizione, altrimenti lo avrebbe fatto da tempo e neanche andare a cercare la fanciulla in una città tossica per lei; strinse le labbra, alzando lo sguardo e osservando le guglie del castello, i tetti appuntiti e le mura quasi completamente coperte dai rampicanti.
Mancava poco. La fine era vicina.
E non sapeva assolutamente che cosa fare.
Sospirò, posando una mano sulle pietre e osservandole mentre si muovevano sotto l'influsso della sua magia, permettendole così di accedere al giardino, continuò ad avanzare, osservando le piante che crescevano incolte mentre la sua mente cercava di ricordare quel posto com'era un tempo: aiuole curate, siepi che creavano percorsi, gazebi e fontane.
L'eleganza e la bellezza era stata ovunque lì.
Si fermò a un gazebo, stringendosi il mantello al petto e osservando la costruzione ora più vicina: non si sarebbe spinta oltre, non voleva avere il timore di incontrarlo, di vederlo e sentire il peso della propria colpa, vedere l'accusa nei suoi occhi.
Era una codarda, lo sapeva bene.
Si avvicinò alla balaustra di pietra, poggiando le mani su questa e stringendola appena, troppa la paura di vederla sbriciolarsi, continuando a fissare quella che, per un breve tempo, era stata anche casa sua. Accentuò appena la presa, lasciando andare poi tutto e portandosi il pugno chiuso al petto, chinando la testa e sentendo le proprie emozioni galoppare selvagge: dolore, senso di colpa, vergogna.
Tutto si mischiava.
Voleva vederlo.
Voleva vedere suo figlio e, al contempo, non incontrarlo.
Incoerenza allo stato puro.
Scosse la testa, tornando a fissare l'abitazione e raccogliendo ogni oncia di coraggio per andare avanti: si voltò e tornò a percorrere le vie trascurate del giardino, diminuendo la distanza fra lei e un possibile incontro con lui.
Che cosa gli avrebbe potuto dire, se lo avesse avuto davanti a sé?
Come avrebbe potuto scusarsi? Con quali parole?
Cosa poteva fare una madre che aveva condannato il proprio figlio?
Si fermò, voltandosi e tornando indietro, i piedi che quasi volavano sul piastrellato dei vialetti, tornando al muro e alla sicurezza che c'era al di là del muro; lo superò e continuò ad andare avanti, finché non fu abbastanza sicura di aver messo abbastanza distanza fra lei e tutto ciò che aveva fatto.
Il suo errore.
«Sono una stupida» si mormorò, poggiando una mano contro il tronco di un albero e lasciandosi andare, inginocchiandosi fra le radici che fuoriuscivano dal terreno, non curandosi di macchiare il vestito o il mantello, e cercando di calmare il proprio cuore.
Alzò la testa, sorridendo appena quando vide la farfalla bianca volare fino a lei: alzò una mano e la guardò, mentre si adagiava con grazia sul suo dito, sbattendo le ali e zampettando fino al dorso della mano; la portò più vicina al volto, sentendo il bisogno del suo conforto e sapendo che non poteva darle altro che qualche movimento: «Non ce l'ho fatta» mormorò, scuotendo il capo e poi poggiandolo contro il tronco con un gesto troppo impetuoso, che le strappò una smorfia di dolore: «Sono una codarda. Una stupida codarda e non so proprio come risolvere tutto questo.»
La farfalla si mosse, volteggiando nell'aria e posandosi sul suo naso, strappandole un sorriso di divertimento: «Dici che tutto si sistemerà? Non ti ricordavo così ottimista» decretò, vedendo l'animale tornare a librarsi nell'aria e poi adagiarsi sulla sua gonna, costringendola a guardare verso il basso: «Hai fiducia nell'amore di quella ragazza per lui, vero? Sei certo che tutto si sistemerà. Sei fiducioso come sempre: anche su di noi eri così e guardarc…» si bloccò, scuotendo la testa: «No, non sono noi. Hai ragione. Voglio credere anche io che tutto si risolverà. Voglio farlo.»
 
 
Marinette osservò sua madre mentre rimboccava amorevolmente la coperta al marito, allungando poi una mano e carezzandogli il volto, sfiorandogli con l'indice i baffoni: «Dorme tranquillo» mormorò Sabine, alzando la testa e incontrando lo sguardo della figlia: «Era così…»
«Stravolto» mormorò la ragazza, annuendo con la testa e stringendosi le braccia attorno al busto: «Pensi ci sia bisogno di chiamare qualche medico?»
«Non credo. Mi sembra in perfetta forma: un po' denutrito e delirante, ma penso sia normale» Sabine annuì con la testa, sorridendo alla figlia e raggiungendola ai piedi del letto, passandole poi un braccio attorno alla vita e poggiando la testa contro la spalla: «Vedrai che starà bene.»
La ragazza annuì, continuando a fissare il padre e poggiando il capo contro quello della madre: non c'era niente di diverso nell'uomo, nulla faceva intendere il suo soggiorno presso il castello e poi chissà dove; se non fosse stato confuso, leggermente delirante, quando era entrato nel negozio avrebbe sicuramente creduto che fosse semplicemente andato a Toulouse e tornato.
«Mi chiedo dove sia stato…» mormorò sua madre, allontanandosi e scuotendo la testa, tornando al capezzale del marito e posandogli una mano sulla guancia, passandola poi fra i capelli corti e lasciandola sul cuscino, accanto al viso dell'uomo: «Che cosa ti è successo, mon chére?»
Marinette chinò la testa, facendo un passo indietro e allontanandosi, sentendosi di troppo e il bisogno di lasciare il momento solo ai propri genitori; ignorata dalla donna, uscì dalla camera e si chiuse dietro la porta, stazionando nel corridoio, non sapendo cosa fare: mosse alcuni passi verso le scale che portavano al piano inferiore, fermandosi e ricordandosi che, dopo l'arrivo del padre, sua madre aveva chiuso il negozio.
Non aveva senso tornare di sotto, in attesa di clienti.
Scosse il capo, voltandosi e avviandosi verso la fine del corridoio e salendo l'insieme di assi di legno che portavano alla sua mansarda; salì lentamente ogni gradino, scivolando con la mano lungo il corridoio sentendo il petto dolerle: andava mal volentieri nella sua vecchia tana, troppo simile all'officina del castello. Quasi si aspettava di trovare Vooxi a borbottare in un angolo e salutarla con quel modo di fare brusco che lo contraddistingueva.
Arrivò alla cima, poggiando la mano sulla porta e spingendola in avanti, osservando la stanza immersa nel solito caos: il tavolino era pieno di strumenti e pezzi di metallo, le mensole alle pareti ospitavano parte dei suoi esperimenti riusciti e non, il pavimento era un campo minato fra casse, viti e quant'altro.
Era il disordine più assoluto.
Si guardò attorno, mentre si avvicinava al tavolo e prendeva un martello fra le mani, soppesandone il peso e picchiando con leggerezza contro il palmo della mano; lo posò nuovamente, dirigendosi verso la finestra e aprendola, lasciando entrare gli effluvi nocivi di Parigi e sistemandosi sul davanzale, tirando su una gamba e poggiando il mento contro il ginocchio, lasciando vagare lo sguardo sui tetti della città.
Il cielo era grigio quel giorno, quasi la quotidianità da quelle parti: le esalazioni creavano quasi un microclima nella città ed erano rare le giornate di sole o di cielo completamente terso; doveva tornare veramente indietro con la memoria, se voleva ricordare l'azzurro alto e i raggi del sole che le scaldavano la pelle.
Al castello di Adrien, invece, immerso nella natura com'era il tempo seguiva il suo naturale corso: aveva amato le giornate di sole che le permettevano di passeggiare nei giardini abbandonati e quelle di pioggia, rintanata nell'officina a chiacchierare con Vooxi o in casa, divertendosi con il resto della servitù sapendo che Adrien la seguiva ogni secondo con il suo sguardo.
Le mancavano tutti.
E poteva quasi sentire il suo petto vuoto senza la loro presenza: non c'era più il sarcasmo di Plagg, la dolcezza di Tikki e Mikko, l'esuberanza di Flaffy, la saggezza di Wayzz o le battute al vetriolo di Vooxi; la musica di Nooro non l'accompagnava e non sentiva più lo sguardo di Adrien carezzarle la pelle.
Era sola adesso.
 
 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.372 (Fidipù)
Note: Ecco qua un nuovo capitolo de La bella e la bestia e, ormai, ci avviciniamo al finale: ancora due capitoli e anche questa storia ci saluta! E non dico più di tanto, perché...beh, se volete vi posso parlare dei mille modi di usare un elastico. Scherzi a parte, non ho molto da dire su questo capitolo, quindi non vi disturbo più di tanto.
Ma prima di lasciarvi, come sempre, vi ricordo la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri, trovare i link delle playlist delle storie e tanto altro ancora. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92, mentre per gli altri miei social vi rimando alla descrizione nel mio profilo (altrimenti qui faccio la lista infinita!).
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Il rumore del martello si ripercuoteva per tutta la casa: un rumore forte alternato a una breve pausa di silenzio, in una sequenza quasi infinita. Non era la prima volta, da quando era tornato, che Tom ascoltava la figlia al lavoro e si era subito reso conto che c'era qualcosa che non andava nella ragazza.
Marinette si era intrattenuta poco con lui e con sua madre, preferendo la solitudine della sua soffitta e la compagnia del suo lavoro.
Inspirò, chiudendo il giornale, che stava provando invano a leggere, e si scostò le coperte di dosso, scendendo dal letto: fece qualche passo, avvertendo i muscoli delle gambe dolere a ogni minimo movimento, e storse la bocca, cominciando ad avanzare lentamente, un passo dopo l'altro, e arrivando alla porta della camera.
Poggiò la mano sulla maniglia, rimanendo fermo e aspettando che il respiro tornasse regolare, ora fin troppo accelerato, prima di aprire la porta e uscire dalla stanza.
Osservò il corridoio e avvertì quasi un peso crollargli sulle spalle, mentre osservava la distanza che lo separava dalle scale che portavano al piano superiore: sarebbe dovuto arrivare fino in fondo al corridoio, una lunghezza che di norma avrebbe compiuto velocemente, ma non dopo tutto quel periodo di fermo che aveva alle spalle e di cui non ricordava assolutamente niente.
La sua memoria arrivava fino al giorno in cui era scappato da quello strano castello e aveva incontrato una donna misteriosa nella foresta, il resto era semplicemente affondato nell'oblio e rendendogli impossibile dare una spiegazione alla moglie dei perché e per come non era tornato subito a casa.
Posò la mano sul muro, arrancando lungo il corridoio e fermandosi ogni tanto a riprendere fiato, prima di continuare verso le scale, arrivando e sentendo il corpo dolergli, mentre alzava una gamba e poggiava il piede sul primo scalino, ripetendo l'operazione fino alla fine della scala.
Il rumore del martello era più forte lì e, se chiudeva gli occhi, poteva quasi immaginare la scena che gli si sarebbe parata davanti, una volta aperta la porta; allungò una mano e strinse la maniglia, non sapendo cosa avrebbe detto e fatto una volta entrato nella stanza: sua figlia non stava bene ed era suo dovere di genitore fare qualcosa.
Aprì la porta e rimase un attimo fermo sulla soglia, osservando la testa scura e china sul tavolo di lavoro, la mano destra teneva saldamente il martello e lo stava abbattendo sul pezzo di metallo, colpendolo in un punto in cui era leggermente piegato. Sua figlia alzò di nuovo il braccio e, nell'operazione, sembrò notare la sua presenza: «Papà!» esclamò, posando immediatamente lo strumento e guardandolo con lo sguardo chiaro, che aveva ereditato dalla madre: «Puoi alzarti?»
«Mi era venuto a noia stare a letto» bofonchiò Tom, scrollando le spalle e sorridendole appena, mentre faceva vagare lo sguardo nel laboratorio della ragazza: «Ogni volta che entro in questo posto, trovo sempre più roba» commentò, chinando la testa per entrare nella piccola stanza e facendo vagare lo sguardo sulle scaffalature che adornavano i muri della mansarda: «Beh, devo dire che il merito è anche mio.»
«Come stai, papà?»
«Sto bene» dichiarò l'uomo, avvicinandosi al tavolo e poggiando le mani su questo, allargando le dita: «E tu come stai?»
«Sto bene.»
Tom rimase in silenzio, scuotendo la testa e lasciando andare un sospiro mentre lentamente circumnavigava il tavolo e raggiungeva la figlia: «Pensi davvero che ci creda, tesoro mio?» le domandò, fermandosi davanti a Marinette e fissandola: «Non m'inganni, signorina.»
«Sto bene. Davvero. Io…»
«Tu non sei felice qui, bambina mia» mormorò Tom, allungando una mano e scostando una ciocca scura, carezzando la guancia della figlia: «Lo vedo nei tuoi occhi e lo sento nei tuoi colpi di martello. Dove vorresti essere, tesoro?»
«Io…»
«Non avere mai paura di quello che provi, Marinette.»
«Anche se questo mi porterebbe fra le fauci di un mostro?» domandò la ragazza, osservando il padre e cercando nel suo sguardo la risposta alla sua domanda: «O se questo mi facesse donare il cuore a una bestia?»
«L'importante è che tu sia felice, tutto il resto non conta. Mi puoi portare a casa una scimmia ammaestrata e sono certo che mi piacerà come genero.»
«Papà…»
Tom ridacchiò, portandosi una mano al volto e lisciandosi i baffi, mentre posava lo sguardo sulla finestra e osservava i tetti di Parigi: «Non ho mai avuto il piacere di incontrare il nostro ospite, durante il mio soggiorno al castello» commentò, lasciando andare un sospiro: «Tutto ciò che ho incontrato sono stati un candelabro e un orologio da tavolo, prima di fuggire urlante da tutto quello…»
«Plagg e Wayzz» mormorò Marinette, sorridendo al ricordo dei due servitori e alzandosi dallo sgabello, avvicinandosi alla finestra e poggiando le mani sul davanzale: «Loro sono…» si fermò, scuotendo il capo e lasciando vagare la mente fra i ricordi: «Wayzz è serio, sempre ligio al dovere, mentre Plagg è una personalità effervescente, dalla lingua lunga e sempre pronto a prendere in giro Adrien.»
«Adrien?»
«Il padrone del castello.»
Tom annuì, voltandosi verso la figlia e posando le mani sulle ginocchia: «Parlami di lui, Marinette» bisbigliò, sorridendo alla ragazza quando le sue guance si arrossarono leggermente: «E' bello?»
«E'…» Marinette si fermò, chinando la testa e stringendo una mano nell'altra, tormentandosi le dita: «Sì, lo è. Lui pensa di essere un mostro perché il suo aspetto è…è…» si bloccò, scuotendo la testa e inclinandola, mentre le labbra si piegavano in un sorriso: «Ma non è vero: non è un mostro, per niente. Lui è gentile, forte e dolce, nonostante Plagg lo faccia ammattire, nonostante lo minacci ogni tre per due di fonderlo, non l'ha mai fatto. Era sempre al mio fianco e mi ha salvato in diverse occasione dalla mia stessa imbranataggine e…»
«E?»
«E' solo, molto solo e non si perdona ciò che ha fatto in passato, ciò che l'ha portato a essere maledetto…»
«Mi sembra un bravo ragazzo» commentò Tom, alzandosi e avvicinandosi alla figlia, posandole una mano sulla spalla e chinandosi fino ad avere il volto alla stessa altezza di quello di Marinette: «Ma la cosa più importante: lo ami?»
Marinette aprì la bocca, rimanendo immobile per alcuni secondi e poi richiudendo le labbra, portandosi una mano al petto e socchiudendo le palpebre: «Io…» mormorò, mordendosi il labbro inferiore e storcendo così appena la bocca.
Amava Adrien?
Il suo cuore galoppò, cominciando a battere forte mentre ricordava ogni momento in cui era stata con lui: il loro incontro nella foresta, il momento in cui l'aveva accompagnata alla fucina con l'idea che potesse piacerle, la prima volta che si era occupata del suo braccio meccanico, le confidenze, la festa indetta dalla servitù…
Ogni momento si mischiava agli altri, facendola sorridere mentre il suo cuore si calmava appena: «Adrien è il mio migliore amico, è il mio compagno» bisbigliò, aprendo le palpebre e fissando quelle del genitore: «E' il mio amore.»
«Lo ami, quindi?»
«Lo amo.»
Tom annuì, sorridendo e posando le mani sulle spalle della figlia, indirizzandola verso la porta: «Ho già preparato uno dei cavalli» dichiarò, conducendola fuori dalla mansarda: «Parlerò con tua madre appena torna dal mercato, quindi non preoccuparti di noi e…»
«Papà…»
«Preferisco saperti con quest'Adrien ma felice, piuttosto che qui con noi ma triste» dichiarò l'uomo, sorridendole: «Quindi ora vai in quel castello e ti chiarisci con lui, qualsiasi cosa sia successa fra di voi.»
«Ma…»
«Vai!» dichiarò Tom, dandole una lieve spinta e chiudendo la porta della mansarda dietro di sé: «E torna solo con quel ragazzo al tuo fianco. Sono stato chiaro?»
 
 
Sophie poggiò la mano sul muro, sentendo la pietra umida e scivolosa contro la sua pelle, voltandosi e addossandosi contro la parete: dunque finiva tutto così e lei non poteva fare assolutamente nulla? Rimaneva a guarda come una spettatrice, sebbene fosse stata l'autrice di tutto ciò?
Si lasciò cadere per terra, tirando le ginocchia su e poggiando la fronte contro di esse, ignorando i rumori che la circondavano: «Vorrei che fosse finita in maniera differente, sai?» mormorò, ben conscia che nessuno le avrebbe risposto: «Vorrei avere avuto più coraggio e incontrarlo, magari così…» si fermò, tirando appena su il viso e lasciando andare un sospiro: «No, anche in quel caso sono certa che avrebbe fatto come gli pare. In fondo è tuo figlio, no? Ed è anche mio figlio. Ha preso il peggio di entrambi…»
 
 
Il cavallo correva, portandola lungo la strada che non molto tempo addietro aveva fatto sul carro del padre e in compagnia di un candelabro che, poco dopo, avrebbe scoperto essere fin troppo vitale: non sapeva dove andare, ricordava a stento la strada che aveva fatto, troppa la preoccupazione verso il padre e poca l'attenzione che aveva rivolto alla strada; figurarsi poi la parte successiva, quando era svenuta ed era stata portata da Adrien al castello.
Marinette tirò le redini, fermandosi e osservandosi attorno, cercando di capire dove fosse: era quello il punto dove si era fermata e Plagg le aveva parlato per la prima volta? Le sembrava. Era simile, eppure non ne era sicura con certezza.
Il cavallo nitrì e lei si chinò in avanti, posando una mano sul collo robusto, carezzando il manto e cercando di calmarlo così: dove era finita? Era vicina al castello?
Inspirò, stringendo le labbra e portandosi una mano al petto, sentendo il dolore che si acutizzava: voleva incontrarlo, voleva chiedergli scusa per come si era comportata, incontrare di nuovo il suo sguardo verde e dire finalmente quelle due parole che aveva custodito gelosamente e inconsciamente: «Ti prego» bisbigliò, senza essere certa di sapere a chi si stava rivolgendo: «Voglio solo incontrarlo.»
«Chi vuoi incontrare?»
La voce femminile la fece sobbalzare, mentre stringeva le redini e osservava la figura ammantata che fuoriusciva dalla vegetazione: «Ehm…io…» mormorò Marinette, tirando appena le briglie e fissando la persona a lei sconosciuta. La corporatura minuta e la voce le aveva fatto subito cancellare la possibilità di aver incontrato lui.
Non, non era stata così fortunata.
«Sto cercando un castello» mormorò, portandosi una mano alla gola e stringendo i lembi della giacca, maledicendosi con sé stessa per non essersi portata dietro qualche cosa con cui difendersi: «Io…»
«Non c'è nessun castello qui» commentò la figura, facendo qualche passo e avvicinandosi a lei: «Solo rovine.»
«Rovine?»
La sconosciuta annuì appena con la testa, un movimento difficile da captare per via del mantello che la copriva interamente, e allungò una mano, indicando un piccolo sentiero che si andava a snodare lungo il colle: «Da quella parte» dichiarò, abbassando il braccio e portandosi la mano al petto: «Ma troverai solo incuria e desolazione.»
Non poteva essere.
Non poteva…
Marinette scosse il capo, dando un colpo di redini e lanciando il cavallo a galoppo lungo la strada che le era stata indicata, chinandosi e diventando incurante di tutto: non le interessavano i rami che potevano graffiarla, il vento che le sferzava il viso, e la possibilità di cadere dalla sella se avesse continuato quella corsa selvaggia.
Le interessava solo arrivare al castello.
Tornare al luogo a cui, aveva finalmente compreso, lei apparteneva.
Alzò la testa, sentendo il suo battito aumentare nel petto quando vide la sagoma del castello in lontananza: era lì. Era finalmente arrivata.
Dette un nuovo colpo con le redini, facendo aumentare l'andatura al cavallo e raggiungendo velocemente il muro che delineava il giardino, lo stesso dove lei e Adrien erano soliti passeggiare durante il giorno, superandolo con lo sguardo completamente rivolto verso il maniero poco distante da lei.
Tirò le briglie, facendo fermare il cavallo davanti il grande portone di legno scuro e si gettò giù da cavallo, osservandosi attorno e trovando il tutto fin troppo silenzioso e tranquillo: dov'erano Plagg, Tikki, Wayzz e Flaffy che chiacchieravano allegramente? Perché Nooroo non suonava qualcosa?
Si voltò verso il punto dove sapeva esserci l'officina e non trovò la voluta di fumo scuro di Vooxi.
Non c'era niente.
Respirò, sentendo l'aria sulle labbra e avanzò verso la porta d'ingresso, salendo velocemente la gradinata e sbirciando fra le due ante, leggermente socchiuse: «C'è nessuno?» mormorò, osservando l'oscurità che regnava all'interno e aspettando una risposta.
Niente.
Mosse un passo dentro l'abitazione, guardandosi attorno e stringendosi nelle braccia, quasi avvertendo sulla pelle la desolazione del posto: non sembrava per niente che qualcuno ci avesse vissuto nell'ultimo periodo, e la vegetazione regnava ora sovrana, irrompendo dalle finestre e da ogni possibile apertura: «Adrien?» mormorò, continuando ad avanzare e poi svoltare verso il corridoio che portava alla sala da pranzo: «C'è qualcuno?»
Era come se tutto fosse stato abbandonato.
Era come se non ci fosse stato nessuno per tanto tempo.
Inspirò, osservando la porta poco distante da lei e corse, ricordando i momenti che aveva trascorso lì dentro: la cena che avevano improvvisato Plagg e gli altri, i pranzi che aveva consumato assieme ad Adrien. Sì, sicuramente lì sarebbe stato tutto in ordine e avrebbe trovato gli altri, che le avrebbero spiegato la situazione.
Girò il pomello, aprendo il battente della porta e rimanendo immobile sulla soglia, osservando il lungo tavolo completamente in balia dei rampicanti e di parte del tetto, che era crollato sopra di lui.
Si lasciò cadere, una mano aggrappata allo stipite della porta, l'altra che saliva fino al volto e si posava sulla bocca, sopprimendo il singulto che le era salito mentre le lacrime scivolavano lungo le guance: non c'era più nessuno.
Erano tutti svaniti, scomparsi, come se non fossero mai vissuti lì e lei…
Chinò la testa, stringendosi fra le braccia e dondolando, mentre le lacrime uscivano copiose e il corpo veniva scosso dai singhiozzi: lei era stata una stupida, si era aggrappata a qualcosa di futile e aveva perso tutto quanto. Non c'era più nessuno per lei, non c'era più niente.
Adrien era andato via, scomparso dalla sua vita, senza che lei avesse potuto dirgli cosa provava, senza che avesse potuto rivelargli il suo amore: le era stato strappato via ancor prima di tutto, tutto per colpa sua.
Tutto per colpa della sua stupidità.
Singhiozzò, chinandosi in avanti e posando le mani sul pavimento impolverato, urlando quasi ciò che sentiva dentro di sé: il dolore l'attanagliava, la mangiava da dentro e lei non poteva fare niente, se non abbandonarsi.
Non c'era più niente da fare, era arrivata tardi e aveva perso tutto.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.444 (Fidipù)
Note: E ci siamo! Il penultimo capitolo de La bella e la bestia è qui: devo dire che, per questo finale, mi sono ispirata più alla versione di Beaumont, dove non ci sono battaglie ecclatanti o altro, piuttosto che a quella disneyana. Nel prossimo capitolo ci sarà l'epilogo e allora mi dilungherò in ringraziamenti e altro, a questo punto non vi tolgo altro tempo e passo alle classiche informazioni di rito: ricordandovi la pagina facebook, l'account instagram e quello twitter dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri, trovare i link delle playlist delle storie e tanto altro ancora. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92, mentre per gli altri miei social vi rimando alla descrizione nel mio profilo (altrimenti qui faccio la lista infinita!).
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

La campanella della porta trillò imperiosa, risuonando nell'intero negozio di carabattole e annunciando l'arrivo di qualche cliente: Tom Dupain infilò alcune casse nella scaffalatura, osservando gli ultimi acquisti che aveva fatto a Calais e annuendo quasi orgoglioso delle sue scelte, pulendosi poi le mani ai pantaloni e andando a ricevere le persone che erano entrate.
Si fermò sulla soglia, scostando appena la tenda viola scuro e osservando i tre uomini che si aggiravano per il negozio: i vestiti eleganti e il modo con cui si muovevano, gli aveva fatto subito capire che si trovava davanti a clientela facoltosa.
Quella che raramente poteva venire in un negozio come quello, nella periferia della città.
«Oh. Vedo che state bene» dichiarò uno degli uomini, portandosi una mano ai baffi scuri e curati, lisciandosi e piegando le labbra in un sorriso: «Wayzz è stato molto in pensiero per voi, monsieur.»
«Anche tu, Plagg» bofonchiò l'altro uomo, togliendosi il cappello e chinando la testa, in segno di saluto: «Sono felice di vederla in salute, monsieur Dupain.»
Li conosceva? Non gli sembrava e lui era anche molto fisionomista, una qualità che gli rendeva veramente facile il lavoro.
Eppure quei signori dall'aria distinta non riusciva a inquadrarli da nessuna parte: non ricordava quando aveva potuto conoscerli e dove, non aveva memoria di loro e neanche del giovane che li accompagnava.
«Perdonate i miei servitori» mormorò proprio quest'ultimo, avvicinandosi al bancone e sorridendo: «Volevo sapere se madamoiselle Marinette è qui?»
«E' dal barbiere» Tom si portò la mano alla nuca, massaggiandosela e scuotendo il capo: «Ha creato una nuova macchina, la…»
«La Taglia e arriccia? Me ne aveva parlato» dichiarò il ragazzo, sorridendo e annuendo con la testa, socchiudendo poi gli occhi e riaprendoli: «Sapete dirmi dove posso trovare il negozio?»
«Sulla via principale. Non è molto distante.»
Il giovane annuì, infilandosi in testa il cappello e roteando il bastone da passeggio: «Plagg, Wayzz. Rimanete qui e…» si fermò, osservando i due uomini: «…non fate nessun danno.»
«Ehi, al massimo potremmo rinchiuderlo nella torre nord. Ormai il signore qua c'è abituato…»
Torre nord?
Tom si passò la lingua sulle labbra, aggrottando lo sguardo e cercando di ricordare dove aveva già sentito quella combinazione di parole, osservando poi i due servitori con rinnovata consapevolezza: «Voi…»
«Noi» fu la risposta di Plagg, poggiandosi al bancone e sorridendo: «Allora, mentre il padrone va a recuperare vostra figlia, io avrei solo qualche semplice domanda…»
«Ovvero?»
«Pesce o carne?»
«Cosa?»
«Vedete…»
«Plagg, per favore, penso che il padrone e madamoiselle Marinette vorranno riferire loro il tutto.»
«Sei sempre il solito noioso, Wayzz.»
 
 
Theo lasciò andare un sospiro, mentre faceva vagare lo sguardo dalla giovane al macchinario, che occupava gran parte del locale della bottega: «La macchina taglia e arriccia, modello due punto zero» dichiarò Marinette, posando le mani sui fianchi e sorridendo: «Mi sono messa d'impegno, ho studiato il vecchio modello e ho fatto le modifiche del caso…»
«Marinette, io non credo…»
«Lascia che te la faccia vedere in funzione» dichiarò la ragazza, posando una mano sul congegno che a Theo ricordava molto una ghigliottina, piuttosto che un qualcosa di utile a un barbiere: «Ho regolato l'emissione del vapore, che è stata la causa di morte di Monsieur Mannequin e poi messo alcune piccole accortezze, come un meccanismo di arresto d'emergenza.»
«E perché ci dovrebbe essere qualcosa che serve per un arresto di emergenza?»
«Beh, un taglio errato?»
«Marinette, il tagliare la gola a un cliente non è un taglio errato, è omicidio!»
La ragazza piegò le labbra in un sorriso appena accennato, chinando la testa e portando le mani all'orlo dell'abito: «Stavolta funzionerà. Fidati» dichiarò, voltandosi verso l'apparecchio e iniziando a premere bottoni, girare manopole mentre un Monsieur Mannequin secondo veniva posto nella poltrona: «Che taglio facciamo al signore?»
«Qualsiasi taglio che non includa la gola» sospirò Theo, scuotendo la testa e osservando Marinette azionare il tutto: il congegno borbottò, mentre i bracci meccanici cominciavano a tagliare i baffi posticci del manichino, prima che un fischio lungo e acuto irruppe nell'aria: «Ci risiamo…»
«No. Non un'altra volta, no!» Marinette si avvicinò alla macchina, premendo il bottone del meccanismo d'arresto, ma non riuscendo a impedire che Monsieur Mannequin secondo rimanesse sfregiato a vita: un lungo taglio gli attraversava il volto da uno zigomo all'altro.
Theo sospirò, avvicinandosi alla macchina e scuotendo il capo: «Marinette, io ti ringrazio per l'impegno che ci stai mettendo e tutto, ma non importa. Davvero. Posso fare alla vecchia maniera.»
«Ma con una macchina saresti più veloce e avresti più clienti!»
«Sinceramente preferisco avere meno clienti, ma saperli in vita e al sicuro» dichiarò l'uomo, avvicinandosi e poggiandole una mano sulla spalla, sorridendole: «Perché non pensi a qualche altra invenzione? Possibilmente qualcosa senza lame e forbici?»
«Io…»
«Marinette, sei una ragazza geniale e sono certo che farai grandi cose ma…» Theo si fermò, indicando la macchina taglia e arriccia: «Questa non penso rientri fra queste.»
Marinette annuì, avvicinandosi alla poltrona dove aveva abbandonato la giacca lunga e la infilò, chiudendo la doppia fila di bottoni e indicando con un cenno del capo l'apparecchio: «Domani faccio venire qualcuno a prenderla. Va bene? Mi dispiace che non posso farlo fare oggi, ma…»
«Non ti preoccupare. Oggi è giorno di chiusura, alla fine.»
La ragazza annuì, osservando la macchina taglia e arriccia e scuotendo poi il capo: «Allora, domattina la faccio venire a prendere prima che tu apra.»
«Sì. E grazie, Marinette.»
«Grazie a te, che mi dai sempre fiducia.»
«Forse sono un sadico, ma mi piace vedere Monsieur Mannequin venire mutilato» dichiarò Theo, scuotendo il capo e ridacchiando: «Ci vediamo e salutami i tuoi genitori!»
«Certamente» dichiarò la ragazza, avvicinandosi alla porta e uscendo, voltandosi indietro un'ultima volta e sospirando, mentre usciva dal negozio di Theo, ben conscia che avrebbe dovuto nuovamente chiamare qualcuno a prendere la macchina taglia e arriccia, anche se non sapeva assolutamente chi: ancora una volta aveva creato un fallimento, nonostante la certezza di essere riuscita nell'impresa.
Scosse il capo, mentre si voltava verso la vetrina e osservava Theo sistemare il disastro che aveva combinato. Di nuovo.
Forse rintanarsi nelle sue invenzioni non era stata la scelta migliore e il nuovo fallimento sembrava confermare questa teoria: si portò una mano al collo, giocherellando con il ciondolo a forma di coccinella che stonava con il cappotto marrone scuro e l'abito in una tonalità più chiara, mentre un sorriso gli piegò le labbra: chissà cosa avrebbero pensato Mikko e Tikki degli abiti che indossava quel giorno…
Suo padre glieli aveva portati dopo essere stato a Calais, adducendo al fatto che erano all'ultima moda e provenivano dall'odiata Inghilterra; ovviamente l'abito dalla gonna corta e ampia aveva suscitato non poche lamentele da parte di sua madre, ma lei invece aveva adorato il tutto.
Le ricordavano molto ciò che aveva indossato al castello di Adrien.
Inspirò, portandosi una mano al petto e socchiudendo gli occhi, sentendo il cuore venire stretto nella morsa di quel dolore che, ormai, era diventato un compagno fidato: erano passati mesi da quando era tornata dal castello, completamente a pezzi.
Non aveva voluto parlare con nessuno, non aveva voluto niente se non annegare nella sua stessa pena.
Non sapeva quanto tempo aveva trascorso in camera sua, con il volto affondato nel cuscino ormai pregno delle sue lacrime, e il lenzuolo stretto nella mano: aveva lasciato che il dolore l'avvolgesse completamente, trascinandola verso il basso e poi, alla fine, quando non aveva più niente da piangere si era rialzata e aveva ripreso ad affrontare la sua vita.
Adrien non avrebbe mai voluto che lei fosse solo un'anima in pena, un fantasma di sé e, per onorare questo, aveva ripreso a ideare e creare macchinari. Per onorare il ricordo del suo amore.
Lasciò andare l'aria, riaprendo le palpebre e sorridendo al suo riflesso, che appena s'intravedeva nella vetrina del negozio: non doveva lasciarsi abbattere. Il fallimento di quel giorno era semplicemente l'ennesima pietra verso la strada del successo.
Ce l'avrebbe fatta a creare qualcosa che funzionasse e potesse aiutare qualcuno nel suo lavoro.
Adrien aveva creduto nelle sue capacità, ora doveva farlo lei.
Si portò le mani dietro la schiena, intrecciandole e avviandosi lungo la strada, osservando alcune ragazze dalla parte opposta della città e notando i pacchi che, un povero valletto, stava portando impilati pericolosamente l'uno sopra l'altro: magari, invece di una macchina arriccia e taglia avrebbe potuto creare un qualcosa che avrebbe aiutato i poveri servitori, costretti a seguire le figlie dei datori in sfrenate sessioni di shopping.
Si fermò sul marciapiede, inclinando la testa e storcendo la bocca: magari un qualcosa come un carrello, possibilmente con un piccolo motore a vapore, sarebbe stata la soluzione perfetta.
«Ah. Perdono.»
Però come avrebbero fatto a guidarlo?
«Madamoiselle?»
Magari avrebbe potuto mettere un sistema di guida, però così sarebbe venuta fuori una vettura in miniatura…
Una mano guantata di bianco si parò davanti al sua visuale, facendola sobbalzare all'indietro e fissare quasi scocciata la persona che l'aveva interrotta: un giovane uomo le stava sorridendo, mentre abbassava la mano e se la portava alla gola, sistemandosi la cravatta e tirando appena, quasi sentisse il bisogno di respirare: «Sì?» domandò Marinette, aggrottando lo sguardo e studiando lo sconosciuto.
Era un ragazzo veramente bellissimo, con i capelli dorati, il sorriso tranquillo e gli occhi verdi, vestito elegante come si conveniva a qualcuno dello stesso status di Chloé Bourgeois: un nobile, sicuramente. Qualcuno con il soldi che gli uscivano…
Socchiuse gli occhi, stringendo le labbra e cercando di placare il suo Plagg interiore.
A quanto pareva, oltre a un cuore spezzato, aveva portato con sé anche una parte della personalità dell'effervescente servitore.
«Immagino che ancora una volta la tua invenzione non abbia avuto successo» mormorò il giovane, indicando il negozio di Theo, poco distante: «Beh, considerato i tuoi fallimenti mi sembra strano che non sia scoppiato tutto.»
«Che cosa?»
«Sì» il ragazzo assentì, facendo un passo verso di lei e fissandola, con il sorriso sempre più deciso in volto: «Sei esperta in esplosioni, no? E un edificio come quello…beh, devo dire che non so se avrebbe retto.»
Ma che voleva quello?
Marinette si voltò, riprendendo a camminare e cercando di ignorare i richiami del giovane che, poco dopo, l'affiancò con le mani infilate nei pantaloni candidi, esattamente come tutto il resto dei vestiti, il bastone da passeggio infilato sotto al braccio e il passo che teneva tranquillamente quello di lei: «Te la sei presa?» le domandò, inclinando la testa e cercando di vederla in volto: «Te la sei proprio presa!»
Chi era quel tipo, che sembrava trovare divertente canzonarla?
Chi…
Marinette si fermò, voltandosi verso di lui e pronta a dirgli tutto ciò che stava pensando, ma sentendo le parole morirle in gola: c'era un qualcosa di familiare in lui, eppure era certa di non conoscere quel ragazzo. Cercò fra i suoi ricordi, ma neanche fra i volti dei clienti del negozio dei suoi trovava quel giovane: «Chi sei?» gli domandò, arretrando di un passo e scuotendo il capo.
Perché gli era così familiare?
Perché sentiva il cuore batterle nel petto, quasi come se…
Lo vide piegare le labbra in un sorriso, mentre roteava con nonchalance il bastone da passeggio: «Immagino che non mi riconosci. Vero, Marinette?» le domandò, avvicinandosi di un passo e fissandola negli occhi: «Sono io.»
Quello sguardo…
Lei conosceva quello sguardo.
Rimase a guardare quelle iridi verdi, che sembravano aspettare pazienti, mentre la sua mente riportava alla memoria il volto di qualcun'altro: Marinette si portò le mani alla bocca, osservando il giovane davanti a lei, cercando di far combaciare l'immagine che c'era nella sua testa con la persona che aveva davanti a sé.
Non poteva essere vero.
Eppure riconosceva quello sguardo, la luce che vi era in loro le era fin troppo familiare: era lui, sebbene il suo aspetto adesso le fosse totalmente sconosciuto. Non c'erano cicatrici e neanche rovi neri in quel volto che adesso la fissava, non c'erano orecchie nere e metalliche fra i capelli biondi, ma gli occhi…
Oh sì. Loro erano sempre gli stessi.
«A-adrien?»
Lo vide sorridere e annuire appena con la testa, avvicinandosi a lei e passandole le braccia attorno alla vita, stringendola a sé e affondando il volto contro il collo, lasciato scoperto dai capelli tirati su: «Mi sei mancata così tanto…» bisbigliò, sfiorandole la pelle con le labbra: «Perdonami, se non sono potuto venir prima da te…»
«I-io…non capiusco…capesc…» Marinette si morse il labbro inferiore, mentre cercava di adattarsi a quella stretta che non sembrava intenzionata a lasciarla andare e faceva i conti con la sua lingua, stranamente impastata e il volto che sembrava essere diventato puro fuoco: «I-io…»
«Grazie per aver creduto in noi, Marinette» mormorò Adrien, allentando un poco l'abbraccio e guardandola in volto: «Il giorno in cui hai detto di amarmi, la maledizione si è sciolta ed io…beh, sono tornato normale.»
«Io non ho detto…»
«Oh sì, lo devi aver detto per forza, altrimenti io sarei rimasto un mostro a vita. Non mentire, signorina.»
«Io non…» Marinette si fermò, ricordando il giorno in cui aveva parlato con suo padre, poco dopo che era tornato e riportando alla mente che sì, in effetti, aveva accennato al fatto che amava Adrien: «I-io…»
«Ti amo, Marinette» mormorò Adrien, allungando una mano e scostandole una ciocca di capelli dalla fronte: «Tu sei sempre stata l'unica e sola che avrebbe potuto spezzare la maledizione.»
«Io non sto capendo niente» mormorò la ragazza, scuotendo il capo e fissandolo in volto, osservando nuovamente lo sguardo verde, mentre cercava di non sentirsi una pallina impazzita per via di tutto quello che le stava succedendo; inclinò la testa, allungando una mano e sfiorandogli lo zigomo con le nocche: «Sei veramente tu?»
«Sono veramente io» dichiarò Adrien, sorridendo appena e voltando la testa, in modo da posare le labbra sul palmo di lei: «E ti spiegherò tutto, mio amore. Prima però vorrei andare a conoscere i tuoi e chiedere la tua mano a tuo padre…»
«Co-cosa?»
«Beh, dato che tu ami me ed io amo te, penso che il matrimonio sia la soluzione ideale» dichiarò Adrien, prendendole la mano con la propria e trascinandola lungo il marciapiede: «E dopo tutto quello che è successo, Plagg e gli altri mi hanno detto di non tornare a casa, finché non avessi avuto una risposta affermativa alla mia proposta e, soprattutto, non potevo tornare senza di te.»
«Stanno tutti bene?»
«Tutti bene ed in carne, iperattivi come sempre» le rispose Adrien, fermandosi nuovamente e tirandola verso di sé: «E non vedono l'ora di vedermi arrivare con la nuova signora del castello. Quindi…» si fermò, prendendole anche l'altra mano e portandosele alla bocca: «Marinette, vuoi sposarmi?»
 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.684 (Fidipù)
Note: Come sempre, per i ringraziamenti, ci vediamo alla fine del capitolo.

 

Plagg si lisciò il pizzetto, osservando l'enorme sala dai muri candidi e le rifiniture dorate completamente illuminata dalla luce del sole, le tende trasparenti si muovevano appena nella brezza, gli specchi erano lucidati e rimandavano il riflesso della la servitù si affaccendava per la stanza, sistemando i tavoli che occupavano gran parte della stanza.
Non gli sembrava vero di vedere nuovamente il castello all'antico splendore, di rivedere i suoi amici e compagni di lavoro nella loro forma umana e non come semplici suppellettili che si muovevano: «E' tutto magnifico. Non trovi?» mormorò una voce femminile, facendolo voltare appena e osservare la giovane donna che lo aveva appena affiancato: lo sguardo di Tikki era rivolto verso la sala, i lunghi capelli rossi erano legati in quell'austero chignon, in cui lei era solita tenerli e il vestito chiaro, con lo scollo quadrato, le fasciava il corpo: «Cosa stai guardando, maniaco?»
«Ehi, stavo notando che ti sono rimaste un po' di curve di quando eri una…» Plagg non poté finire la frase, avvertendo il dolore sulla guancia destra e ritrovandosi a fissare un punto dalla parte opposta, mentre il bruciore si espandeva lungo il suo volto: «Tikki!»
«Tu. Stupido maniaco!»
«Era un complimento!»
«In quale universo era un complimento quello?»
«Nel mio, mon petit fromage» dichiarò Plagg, prendendole una mano e portandosela alle labbra, sfiorandole con le delicatezza le nocche, tenendo lo sguardo in quello di lei e notando il disappunto che le si era dipinto sul volto: «Che cosa ho detto?»
«Mon petit fromage? Sei serio?»
«Sai che amo il formaggio e tu sei il tipo che più preferisco.»
«Il tipo che preferisci è il camembert…» Tikki spalancò la bocca, tirando via la mano da quelle di Plagg e portandosela al cuore insieme all'altra: «Mi stai dicendo che puzzo come il camembert?»
«Ma mon coeur, non ho detto questo…»
Plagg la fissò, mentre si raccoglieva le gonne e si voltava, camminando velocemente e raggiungendo la porta del salone, senza degnarlo di un secondo sguardo: ah, quella donna! L'avrebbe fatto diventare matto e, sinceramente, l'amava anche per questo.
«E' pazza di me» commentò, scuotendo il capo e sorridendo appena, mentre Nooroo lo affiancava e lo fissava con quella certa luce negli occhi, la stessa che poteva avere quando assecondava un malato di mente: «Fa solo la ritrosa.»
«Se lo dici tu…»
 
 
«E così la bella sposò il suo principe e vissero felici e contenti» Marinette si fermò, osservando i bambini seduti davanti a lei e sorridendo, mentre guardava gli occhi adoranti dei piccoli e tirava su le gambe, posando i piedi sulla panchina.
«Ma il principe era veramente fatto di metallo e carne, prima che la maledizione fosse sciolta?» domandò una delle bambine, inclinando la testa e fissandola: «Ed è stato veramente l'amore a sciogliere tutto?»
«Sì, Manon» mormorò Marinette, adocchiando un movimento e osservando il giovane che stava salendo i pochi gradini che portavano al gazebo: si era allontanata dalla festa nuziale, dopo l'ennesimo ballo e aveva cercato un po' di rifugio in quella parte del giardino, venendo attorniata dai piccoli ospiti che volevano sapere qualcosa della magica storia fra il principe Adrien e la bella Marinette.
Perché sì, fra le tante cose che Adrien le aveva omesso durante il suo primo soggiorno al castello, c'era anche il fatto che lui era un principe e niente meno che quello di Parigi, una carica ormai andata perduta dato che la città era sotto il potere dei Bourgeois.
Ad Adrien non era interessato riprendere il potere della famiglia e aveva lasciato esattamente tutto come era, Marinette aveva accettato la sua decisione, sebbene il piccolo sogno di sbattere in faccia a Chloé Bourgeois il fatto che fosse principessa di Parigi era nato.
Forse un giorno l'avrebbe fatto…
Forse.
«Ed io che credevo che avrei dovuto tirarti fuori dall'officina» dichiarò Adrien allegro, palesando la sua presenza ai piccoli e fissando la sua novella moglie: «Tikki ha portato la torta» continuò, osservando il piccolo pubblico della sua novella sposa e sorridendo alle grida piene di euforia che l'annuncio portò: si fece da parte, lasciando passare i bambini e osservandoli mentre correvano verso il castello e i dolci che li attendevano all'interno. Scosse il capo, riportando l'attenzione sulla moglie e trovandola mentre lo fissava interessata, il volto poggiato sulle ginocchia e il lungo abito colore crema che creava una cascata di stoffa attorno alla panchina; lo scollo quadrato dava un timido accenno del senno, stretto nel corsetto e i capelli scuri erano stati acconciati e impreziositi con roselline della stessa tonalità dell'abito. Era semplicemente bellissima.
Adrien salì gli ultimi gradini che lo separavano dalla novella sposa, rendendosi conto che anche lei lo fissava con lo stesso interesse e trasporto: «Cosa c'è?» le domandò, avvicinandosi e fermandosi davanti a lei, chinandosi e sfiorandole le labbra con le proprie: «Sembri che…»
«Hai mai pensato a qualche arto in metallo?»
«No, Marinette. Abbiamo già fatto questo discorso» mormorò Adrien, sedendosi accanto a lei e spintonandola appena, osservandola perdere leggermente l'equilibrio e fissarlo male: «Per quanto io sia innamorato di te e farei qualsiasi cosa, l'amputazione non rientra fra queste.»
«Ma potrei occuparmi della tua manutenzione.»
«Ti ho detto di no.»
«Ma…»
«Marinette.»
«Un dito, magari?»
«Marinette no» dichiarò il ragazzo, alzandosi e osservandola mentre si scostava le lunghe gonne dell'abito, adocchiando gli scarponi che la ragazza aveva messo sotto il delicato ed elegante abito: «Quindi era per quelli che Mikko ha urlato stamattina?»
«No, ha urlato perché mi sono avvicinata all'abito mentre ero ancora sporca di fuliggine e olio per motori» borbottò Marinette, tirandosi su e sistemando meglio la gonna: «Ero certa che le sarebbe venuto un infarto: aveva il volto completamente rosso e aveva una vena che le pulsava in fronte.»
Adrien sorrise, allungando le mani e prendendo quelle della moglie fra le sue portandosele alle labbra, sfiorandole con delicatezza le nocche: «Che cosa stavi facendo in officina stamattina?» domandò, tirandola appena verso di sé e avvertendo sul volto il fiato caldo di lei: «Sei una cosa impossibile, andare in officina nel giorno delle tue nozze…»
«Dovevamo fare il primo lancio del Speriamo che non cadi uno» dichiarò Marinette, liberando una mano e sfiorando il volto del giovane con le nocche, un gesto che era ormai diventato loro: «Vooxi aveva detto che oggi il vento era perfetto.»
«E' la macchina volante che stavi progettando?»
«Proprio quella?»
«E com'è andato il volo di prova?»
«E' caduto» decretò la ragazza, passandosi la lingua sulle labbra e lasciando andare un respiro: «Forse abbiamo calibrato male il peso. Sono ancora lontana dal poter costruire un dirigibile…»
Adrien le passò le mani attorno alla vita, portandole indietro una ciocca, sfuggita all'acconciatura elaborata, e sorridendole: «Beh, avrai tutto il tempo che vuoi per provarci e ogni genere di materiale. Chiedi e ti sarà dato, principessa.»
«Te l'ho già detto che ti amo?»
«Mh. No. Oggi ancora no» Adrien le sorrise, chinandosi e sfiorandole le labbra con le proprie, invitandola a dischiudere la bocca e approfondendo il bacio, mentre la stringeva maggiormente contro di sé: «Pensi che qualcuno ci verrà a cercare, se scappiamo?» le bisbigliò, staccandosi da lei, giusto per riprendere un attimo il fiato, prima di continuare il bacio da dove l'aveva interrotto.
«Non lo so. Dove vuoi andare?»
«Beh, tesoro. In camera da letto ovviamente.»
«Oh.»
«Non sono una bestia, che fa certe attività all'aperto.»
«No, infatti. Non sei una bestia. No, no.»
«Sento un velato sarcasmo nelle tue parole, principessina.»
«Oh. Solo velato? Vogliamo parlare del nostro primo incontro? Mi hai fatto venire un infarto.»
«In verità ti ho fatto svenire da quanto ero bello» dichiarò Adrien, chinandosi e prendendo la moglie fra le braccia, cercando di raccapezzarsi fra gli strati di stoffa e sorridendo ai gridolini della giovane: «E poi ti ho portato in camera da letto in questo modo. Vogliamo ripetere il tutto?»
«Ci sto.»
 
 
Sophie osservò la giovane coppia, rimanendo nascosta fra le piante e sorridendo: «Te l'avevo detto che tutto sarebbe andato bene» commentò la voce maschile al suo fianco, facendola voltare e accentuare il sorriso: Gabriel era in piedi accanto a lei, il volto dai lineamenti severi rivolti verso il figlio e bello come il giorno che l'aveva conosciuto: «Non ho mai dubitato un giorno su quei due.»
«Non è vero» commentò la donna, scuotendo il capo: «Per un attimo hai tentennato anche tu.»
«Era per farti compagnia.»
Sophie storse le labbra, lasciando andare un sospiro e tornando a fissare la coppia: «Pensi che staranno bene? Che saranno felici?»
«Il loro amore sarà come una di quelle fiabe che leggevi ad Adrien da piccolo, prima di sparire nella foresta» commentò Gabriel passandole un braccio attorno alle spalle e tirandola a sé: «Quindi sì, nostro figlio e la fanciulla che ama, vivranno felici e contenti.»
«A meno che una fata non li maledica di nuovo.»
«Sophie, per l'amore del cielo, no.»
L'urlo acuto di uno degli ospiti, bloccò la donna mentre spostava l'attenzione sulla ragazza che, non molto lontano dal punto in cui era, stava maltrattando un povero servitore che aveva avuto l'ardire di non prestarle troppa attenzione.
Sophie inspirò, stringendo le mani e decretando dentro di sé che quella snob avesse veramente bisogno di una lezione: aveva saputo che era una ragazza di Parigi, invitata da Marinette sebbene questa le avesse sempre reso la vita un inferno, decretando così che la sua nuora aveva un gran cuore oppure una certa inclinazione al masochismo.
Doveva ancora decidere.
Ma quella tipa…
Oh, sentiva le dita prudere dal bisogno di lanciarle addosso una maledizione, di vederla trasformata nell'orrida creatura che era e vedere cosa avrebbe fatto.
«Però potrei farlo con quella biondina laggiù, mi sembra che abbia…»
«Sophie, è il matrimonio di nostro figlio, non ci saranno maledizioni o altro!»
«D'accordo, d'accordo.»
«Sophie.»
«Portami lontano da quella ragazza, ti prego» mormorò Sophie, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente più e più volte, mentre si dirigeva nella parte opposta del giardino ove si era spostata parte del ricevimento: «Prometto che lascerò che questa giornata si concluda come nella migliore delle favole.»
«Ovvero, amore mio?»
«Beh, con il classico 'E vissero tutti felici e contenti'.»


Devo ammetterlo: io non volevo scrivere questa storia e la ragazza, che me l'aveva richiesta, ha dovuto faticare non poco per convincermi. C'era già un qualcosa di simile, ispirato a questa favola sebbene abbandonato a se stesso e non volevo venire accusata di copiare o di prendere idee altrui. Insomma, c'è stato bisogno di un bel lavoro di convincimento, prima che cominciassi a buttar giù quasi un anno fa il prologo di questa storia.
E adesso, a quasi undici mesi esatti di distanza, si è conclusa e devo dire grazie a quella ragazza che mi ha permesso di gettarmi in questa avventura, dove alla favola che tanto ho amato da bambina (avevo un librone gigantesco, che facevo fatica a portarmi dietro, con tutte le favole e quella de La bella e la bestia era quella che adoravo leggere, sebbene non capissi perché era così differente al cartone animato che avevo visto. Quando sono stata più grande, poi, ho scoperto che la Disney aveva fatto una sua versione della storia e che ne esistevano altre) e, forse, già da questo dovevo capire quanto sarei stata connessa alla Francia: non solo per natali, ma anche per passione.
Alla mia favola preferita, ho anche aggiunto un genere che amo, lo steampunk, sebbene si veda veramente poco e sia solo un contorno al tutto.
E' stato un bel viaggio - e lo so, non lo finisco a rotolamento nel letto, ma...beh, volevo mantenere quell'atmosfera di fiaba che ho cercato di dare - e un po' è strano che si concluda. Non dovrò più dire: cavolo! Devo aggiornare anche La bella e la bestia, impazzire perché è lungo come titolo e abbreviarlo con B&B nei piani mensili che mi faccio.
Un altro viaggio si è concluso ma, ovviamente, il tempo di sistemare i bagagli e uno nuovo comincerà, sperando che tutti voi che leggete, che mi supportate e sopportate, siate nuovamente con me.
Ci vediamo alla prossima avventura
Echocide
 
 

 

 

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