Pokemon - A blossom story

di Arupaka24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAP 1 ***
Capitolo 2: *** CAP 2 ***
Capitolo 3: *** CAP 3 ***
Capitolo 4: *** CAP 4 ***
Capitolo 5: *** CAP 5 ***
Capitolo 6: *** CAP 6 ***
Capitolo 7: *** CAP 7 ***
Capitolo 8: *** CAP 8 ***
Capitolo 9: *** CAP 9 ***
Capitolo 10: *** CAP 10 ***
Capitolo 11: *** CAP 11 ***
Capitolo 12: *** CAP 12 ***
Capitolo 13: *** CAP 13 ***
Capitolo 14: *** CAP 14 ***
Capitolo 15: *** CAP 15 ***
Capitolo 16: *** CAP 16 ***
Capitolo 17: *** CAP 17 ***
Capitolo 18: *** CAP 18 ***
Capitolo 19: *** CAP 19 ***
Capitolo 20: *** CAP 20 ***
Capitolo 21: *** CAP 21 ***
Capitolo 22: *** CAP 22 ***
Capitolo 23: *** CAP 23 ***
Capitolo 24: *** CAP 24 ***



Capitolo 1
*** CAP 1 ***


Un sospiro di sconfitta ed uno zaino lanciato all’angolo della stanza erano abbastanza per descrivere Nate.
Il ragazzo, dalla faccia tumefatta da quaranta ore passate senza dormire, si fece cadere sul tanto agognato letto. Non aveva le forze né per piangere né per pensare al perché di tutta quell’amarezza. I suoi occhi si chiusero, respingendo l’impeto delle lacrime, e il ragazzo si addormentò.
 
Dodici ore di meritato sonno dopo, Nate si svegliò; il suo olfatto si era attivato al sentore di un dolce profumo, il suo Lilligant gli aveva preparato un infuso di fiori di baccarancia. Il Pokemon porse al ragazzo la tazza calda, ma non troppo, così da non turbare troppo il tatto del ragazzo appena sveglio. Ne bevve un sorso, il suo palato ne era assuefatto, e ne bevve un secondo sorso, poi un terzo; l’aroma di quella bacca aveva piacevolmente stimolato il senso del gusto di Nate, che continuò a sorseggiare da quella tazza. Con un sommesso “Grazie” il ragazzo ringraziò il suo premuroso Pokemon. Nate si guardò attorno, i suoi occhi, dapprima stropicciati dal cattivo sonno, si erano ripresi tornando alla nitida normalità. La stanza, da cui era circondato, era abbastanza spartana: il classico arredamento concesso ad una recluta semplice del Team Flare. Letto, scrivania e armadio erano tutti composti dallo stesso compensato rivestito da un film di plasticaccia rossa cremesi. I muri erano tinteggiati di un bianco ottico il più delle volte fastidioso alla vista; per ovviare a questo problema, Nate aveva tentato di coprire quel colore acceso con dei poster. Queste locandine manifestavano appieno le passioni di Nate: sulle quattro mura si potevano intravedere figure di ballerine classiche, che solo lui conosceva, o vecchie star del cinema dimenticate, o ancora cantanti di vecchie ballate melodrammatiche. Si circondava di ciò che più lo rappresentava: le sue aspirazioni, così da non sentirsi asfissiare da quella tintura così invadente.
 
Un rumore dalla stanza vicina sorprese l’orecchio di Nate: era Frillish che stava preparando un bagno per il suo padrone, mentre Bellossom ne stava profumando l’acqua con petali di baccamela. Il ragazzo iniziò a levarsi da dosso quei vestiti sudici ed entrò nella vasca tinta di rosa. Chiuse gli occhi e s’immerse nell’acqua, alcune bolle sgorgarono fuori da sotto la superficie del liquido, e le punte dei piedi apparvero dall’altro capo della vasca. I due si dileguarono presto, così da lasciar riposare Nate. Anche il bagno era di cattivo gusto, piastrelle bianche si alternavano a piastrelle arancio e formavano una scacchiera che ricopriva ogni metro quadrato della stanza.
Nel momento di pause mentre Nate era in bagno, i suoi Pokemon iniziarono a riordinargli la stanza ed a preparargli dei vestiti puliti; dopo, circa, una mezz’ora il ragazzo uscì dal bagno, ringraziò calorosamente i suoi amici per il gentile gesto e si vestì. Una camicia a quadri dalle tinte ocre, dei pantaloni in piedipull ed un camicie da laboratorio coprivano il ragazzo, Clefable non era il migliore negli abbinamenti.
 
Il perché del malessere di Nate era da rivedersi nell’insuccesso della sua ultima missione, difatti il ragazzo era stato scoperto appostato su di un albero durante l’annuale congresso dei capipalestre di Kalos e, nella frettolosa fuga dalle guardie poste attorno all’edificio, il ragazzo dimenticò sull’albero almeno un milione di Yen di attrezzatura da spionaggio. Elisio, capo del Team Flare per cui Nate lavorava nonché suo padre, non era affatto contento dell’operato del figlio. Nate non brillava in nessun campo utile per l’organizzazione: era un mediocre scienziato ed un pessimo allenatore di Pokemon, inoltre, una tragica vicenda aveva fatto perdere al ragazzo qualsivoglia motivazione per la carriera da spia. Il padre continuava a ripetergli di quanto lui fosse inutile per il team, mettendo sempre a paragone il discutibile operato del figlio con quello di Alain, punta di diamante dell’organizzazione scarlatta. Nate non ne poteva più di questa situazione, erano infatti due settimane che il ragazzo stava lavorando ad un suo progetto: trovare una mega-pietra. Di norma, Elisio elargiva mega-pietre ai membri più meritevoli o promettenti del Team Flare, tra cui Alain.
 
Nate considerava Alain suo rivale, anche se la cosa non era contraccambiata. Nei primi giorni di Alain nel Team Flare, i due avevano tentato di istaurare un’amicizia, ma il cupo con gli occhi ghiacciati non sembrava interessare i rapporti interpersonali. Presto, i due iniziarono a scontrarsi in battaglia Pokemon; Nate vinse un paio di volte contro Alain, ma ben presto, il presunto rivale si dimostrò troppo forte per il ragazzo. Alain non degnava di uno sguardo Nate, di rado mostrava un po’ di fredda compassione per il figlio di Elisio, era ancora incerto il motivo di questi gesti: poteva essere semplice pena o arrogante altruismo.
Compiendo ricerche tramite il suo computer, Nate aveva scoperto un grande deposito di mega-pietre situato in un laboratorio di ricerca nella capitale della regione: Luminopoli. Il ragazzo voleva competere con il mega-CharizardX del rivale con il suo futuro mega-Lopunny, unico Pokemon della sua squadra in grado di mega-evolversi.
 
Un bussare alla porta sorprese Nate che aprì di scatto: era suo padre, Elisio. “Papà!” esclamò il ragazzo con un mezzo tono fra la sorpresa e la paura; dietro all’uomo, era presente anche Alain che, a testa bassa, evitava lo sguardo del coetaneo.
La mano di Elisio, rapidamente, scheggiò sulla faccia di Nate, la guancia l’amava da arrossire. Dopo lo schiocco delle pelli, il silenzio piombò nel corridoio, solo il padre ne interruppe il rumore: “Sei un fallimento, vattene!”. Nate, inerme, si sfiorava il rossore con la mano, “Vattene!” gridò Elisio “Ora!”. Stanco della presenza del figlio immobile davanti a lui, Elisio lo spinse, usando entrambe le mani, nella stanza. Nate cadde scioccato, erano le parole appena sentite a non farlo muovere da terra, non lo spintone. Alain si premurò di chiudere la stanza del ragazzo, un po’ per compassione, e un po’ per vedere la faccia dello schiaffeggiato. Nate fece appena in tempo ad incrociare lo sguardo col rivale che la porta si chiuse.
Silenzio. Clefable aiutò il padrone a tornare in piedi, si girò, tutta la sua squadra lo fissava con aria incarognita. Trepidanti di vendetta contro quel gesto che reputavano così inconcepibile contro il loro fidato allenatore. Nate si convinse, quella era la sua ultima spiaggia, non c’erano possibilità di fallimento, non potevano esserci.
Una foto della Lopunnite ed un nome, sullo schermo del computer, balenarono all’occhio del ragazzo; aveva il proprietario della mega-pietra e la sua geo-localizzazione: Professor Augustine Platan, ricercatore di Pokemon presso il centro di ricerca a Luminopoli. Nate balzò davanti al PC, cercava nei database del Team Flare quel nome; un’inaspettata mole d’informazioni uscì fuori dall’omonima cartella: foto, documenti, lettere, numeri telefoni o e-mail, tutte associate alla stessa persona, si presentarono davanti agli occhi del ragazzo. Nate sapeva di non potercela fare da solo, aveva bisogno del suo aiuto, aveva bisogno di Rose, un’altra volta.
 
La ragazza si sistemò i capelli, aveva preferito morbidi boccoli che le scendevano lungo la schiena. Com’era solita fare si sistemò allo specchio, estrasse il suo rossetto Muk, sfilò la punta leggermente consumata da una o due applicazioni, posò la mano sul tavolino e si sporse leggermente davanti allo specchio per dipingersi con più precisione le labbra. Dopodiché, prese le Pokèball dal comodino vicino a lei e uscì dalla stanza. Nessuno sapeva della sua presenza nel dormitorio C del Team Flare, di scatto prese l’ascensore, eludendo un paio di reclute che ciondolavano nei corridoi. Un elicottero stava aspettando la ragazza all’ultimo piano, sul tetto. “Bentornata Rose, è un piacere rivederla” esclamò il pilota alla vista della donna appena salita sul mezzo; “Ne è passato di tempo, vero? Quando è stata l’ultima volta che mi sono fatta vedere? Oddio non mi ricordo, sono stata così impegnata di questi tempi” disse la ragazza spostandosi i capelli dietro la schiena. Il pilota sorrise sinceramente e partì.
Le pale del mezzo iniziarono a girare l’elicottero decollò dal quartier generale del Team Flare. A differenza d’altri mezzi di trasporto a disposizione dell’agenzia, l’aeromobile su cui viaggiava Rose era discreto e non presentava alcun richiamo al team di Elisio, come una carrozzeria totalmente rossa o adesivi richiamanti le fiamme. Seduta sul sedile appena dietro la cabina del pilota, Rose prese il pad rosso scarlatto alla sua sinistra, controllò le ultime informazioni utili per la sua missione, sapeva già tutto ma voleva comunque ammazzare l’attesa.
 
Dopo circa una ventina di minuti l’elicottero atterrò su di una landa desertica. Lì, il pilota intimò a Rose di scendere e di prendere con sé il motorino datole in dotazione dal Team Flare, “Si prenda cura di se, signorina!” urlò con forza il pilota, così da farsi sentire dalla ragazza nonostante il rumore delle pale sovrastanti. Non passò neanche un minuto, e l’elicottero era già pronto a ripartire, anche la ragazza non si fece attendere ed in fretta e furia partì a bordo del suo motorino. Controllò l’ora, era già in ritardo. Rapidamente attraversò il portone che divideva la città dalla strada non battuta, svoltò subito a destra nella parte bassa della capitale. In lontananza, vedeva il luogo dell’appuntamento.
 

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Capitolo 2
*** CAP 2 ***


Erano le dieci di mattina a Luminopoli. Le strade erano già piene di persone che passeggiavano fra le vie o sorseggiavano un caffè nei numerosi bar della città.
Ash, Serena, Lem e Clem si trovavano anche loro nella capitale per far visita alla palestra, posta al centro della metropoli, tanto cara a Lem. Il gruppo stava tranquillamente gironzolando quando una motoretta rosso ciclamino tagliò la strada alla compagnia, rischiando quasi di investire il povero Chespin. Seguendo con occhi increduli lo scellerato motorino, il gruppo non si accorse che alle loro spalle vi era proprio il Professor Platan, con un caffè di Starbok in mano ed un libro nell’altra. “Salve, ragazzi!” esclamò il ricercatore alla vista dei quattro, “Cosa ci fate qui?” continuò lui; il gruppo spiegò il perché della loro visita a Luminopoli all’uomo. Il ricercatore propose di seguirlo al suo studio, così da passare un po’ di tempo assieme e di chiacchierare sui progressi dei loro Pokédex, quella mattina doveva incontrare una ricercatrice.
 
Conoscendo gli studi condotti sulle mega-evoluzioni da parte del Professor Platan, Rose si era spacciata per una ricercatrice proveniente dalla regione di Sinnoh ed aveva richiesto al ricercatore un incontro per discutere di questa nuova scoperta. Per l’occasione, Rose si era concessa di indossare un outfit di Marillissa Webb, ideato per l’estate seguente; portava una leggera camiciola di seta di Leavanny, a tinte rosate, con una fine fantasia chiara intrecciata su tutto il tessuto, le spalle le erano coperte da una leggera balza, il tutto era chiuso in vita da un paio di pantaloni a vita alta, in quella che sembrava finta pelle nera leggermente lucida, così da far contrasto con la chiarezza della parte sopra.
 
Rose era appoggiata sul muretto basso a lato dell’ingresso del laboratorio del professore, aveva un libro in mano di saggistica che fintamente stava leggendo, non che le importasse di tali argomenti, ma voleva comunque restare nella parte. Una voce interruppe l’interessante lettura: “Signorina Rose!” sentì lei in lontananza, “Signorina Rose!”, era il Professor Platan che, accompagnato da un gruppo di ragazzini, salutava la ragazza.
“Bonjour professore!” rispose lei, “Vedo che ha già preso dimestichezza col dialetto locale” ribatté divertito lui. Il ricercatore prese la mano della signorina e, sfiorandole il palmo con l’arco di cupido delle sue labbra, le baciò la mano, “è un piacere incontrarla” disse lui. Al gesto d’inappropriata galanteria la ragazza rispose con un risolino sottomesso e ricambiò il saluto, senza baci di mani, presentandosi. Alle loro spalle, Ash e compagni diventarono rossi d’imbarazzo, era la prima volta che vedevano il professore fare il galante con le signore; rendendosi conto della loro presenza, anche il professore arrossì in viso scatenando in Rose una risata femminea, taciuta portandosi la mano davanti alla bocca.
“Bene... d... dobbiamo andare noi!” balbettò Serena, ancora purpurea in viso, ed il gruppo si dileguò in fretta. “Che ragazzi simpatici!” esclamò fintamente Rose. La ragazza richiamò l’attenzione del ricercatore ancora rosso in viso proponendogli di discutere della Mega-evoluzione davanti ad una tazza di caffè; Platan accettò di buon grado, gettando alle sue spalle la bevanda che già aveva in mano, senza farsi vedere dalla ragazza.
 
Impunemente, Rose porse la sua mano sotto braccio dell’uomo, accompagnando al gesto un sorriso amichevole. Il ricercatore la portò nel suo caffè di fiducia nella via più vicina al suo studio, i due si sedettero all’esterno del bar su delle sedie in metallo scuro adornate da ghirigori sullo schienale e sulla seduta. Essendo un posto molto frequentato, i due si ritrovarono vicini l’uno all’altra per colpa della troppa gente; Rose colse la pokèball al balzo ed accavallò le gambe, portando la sua Christian Slowbroutin in mezzo alle gambe del professore, sfiorando col fianco del piede il polpaccio dell’uomo, oramai ammaliato dalla donna. Lui ordinò un Cafè Créme e lei un Pumpkaboo Spice Latte.
 
Chiacchierarono a lungo i due, prendendo in analisi gli argomenti più disparati della ricerca Pokemon: dalla Mega-evoluzione alla nascita delle uova; il professor Platan, nei suoi discorsi, sembrava molto preso, si vedeva che era un vero appassionato della scienza riguardante il mondo Pokemon. Rose, invece, stava lentamente morendo dentro dalla noia; la scienza non era proprio il suo campo e, grazie al cappuccino, si teneva sveglia. Durante le parole del ricercatore sul perché la pietrastante non deve essere considerata una pietra evolutiva, la ragazza pensava a tutt’altro, ella rispondeva raramente all’uomo, così da sembrare interessata ed incuriosita dalle considerazioni di lui ma non troppo invadente nei suoi vagheggi.
 
Dopo circa un paio d’ore, ed una triade di caffè in più, la ragazza si accese una sigaretta. Normalmente, non avrebbe mai complito un gesto così avventato non sapendo la reazione dell’uomo al tabacco, sui database del Team Flare non vi era fatta menzione di alcun presunto tabagismo del ricercatore.
Sfilò lo stelo dal pacchetto e lo accese con un accendino trovato dentro il medesimo, “Le dispiace?” chiese Rose con già la sigaretta consumata da due respiri, “Oh no, si figuri!” rispose lui accompagnando la donna nel fumare, accendendosi a sua volta una sigaretta. Piacevolmente sorpresa dalla scoperta di non aver sbagliato sulla dipendenza da tabacco dell’uomo, Rose si godette appieno la sua affusolata amica, sporgendosi col corpo in avanti per arrivare comodamente al posacenere, diminuendo la distanza fra lei e l’uomo.
Finita la sigaretta, i due si alzarono per tornare allo studio del ricercatore, così che egli potesse mostrarle i Pokemon che curava; galantemente, l’uomo aveva già pagato il conto per tutti e due, lasciando Rose piacevolmente sorpresa.
 
Il Professor Platan era un uomo molto conosciuto in città e nel resto della regione. Le sue scoperte sensazionali, racchiuse in libri di saggistica di successo, lo avevano reso noto ai più.
L’uomo dedicava fin troppo tempo, però, alla ricerca e alla scrittura, questo lo si poteva denotare dai segni violacei sotto i suoi occhi e dalla barba incolta che circondava le sue mascelle. Era un uomo curato nel vestire, faceva attenzione ai dettagli, la camicia dal colletto sbottonato e la capigliatura scompigliata erano pensate con cura dall’uomo che voleva mantenere un’aria informale con chi lo guardava. I mocassini in perfetto abbinamento con la cintura e la sua spropositata collezione di camici bianchi, anche solo per minimi dettagli, diversi l’uomo dall’altro e lasciavano intravedere un gusto dell’uomo in fatto di particolari. Portava questo suo look informale, nel complesso curato, mentre camminava con disinvoltura per la città.
Non era goffo, anzi, aveva un portamento elegante. In molti in modo ironico lo definivano “nato con la camicia ma sbottonata”.
 
I due passarono l’intero pomeriggio a studiare i Pokemon nel giardino del Professor Platan, analizzandone il loro comportamento in un habitat protetto. Il prato, fresco d’irrigazione, non era adatto per le punte calzate dalla ragazza, che attendeva i Pokemon in una zona piastrellata del giardino, sotto di un gazebo. Aveva perfino fatto amicizia con la Garchomp del ricercatore, offrendole delle Poké-melle che si era portata da casa. Rose, nel passeggiare tra i corridoi che davano sul prato, aveva visto una foto di Alain insieme al ricercatore che la rese più motivata nella sua missione.
L’uomo, inoltre, la portò nella sua stanza delle Mega-pietre, dove esse erano disposte ordinatamente in esatti scompartimenti. Rose scorse la Lopunnite tanto agognata, ma la visita fu troppo breve ed ella non riuscì ad infilarsela nella borsetta in tempo. La stanza era chiusa rigorosamente a chiave dell’uomo stesso, che la portava al collo sotto la camicia.
 
Rose, però, non si demoralizzò, almeno sapeva dove poter trovare quella chiave: sul petto nudo del ricercatore.
Il sole tramontò sul giardino, su quel gazebo, sui piatti lasciati dai due dopo il pranzo e sui Pokemon che popolavano la vegetazione. Rose, allora, si fece forza, sapeva come ottenere quella chiave. Andò dall’uomo, con un gesto della mano si scostò i capelli dal davanti per portali alla schiena, e disse: “Signor Platan, gradirebbe accompagnarmi a cena questa stasera?”

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Capitolo 3
*** CAP 3 ***


“Certo!” rispose l’uomo. Il viso di Rose si riempì di gioia al sentire la risposta dell’uomo, un po’ per felicità nel sapere di non dover pagare un altro pasto, e un po’ per la consapevolezza della buona riuscita del suo piano.
“La porterò in uno dei migliori bistrot della capitale, è la sua prima volta qui e dovrà assaggiare solo il meglio!” continuò lui con aria solenne. A un “Grazie” della donna seguì un bacio sulla guancia del ricercatore, che divenne nuovamente paonazzo.
 
I mafiosi lo chiamavano “il bacio della morte” e preannunciava una congiura contro il baciato. Di norma, il bacio era elargito sulla bocca della vittima, e non sulla guancia, ma Rose non voleva di certo sembrare inopportuna o avventata.
Il gesto, per chi ne conosceva il vero significato, non aveva carattere romantico o sessuale, anzi, presagiva una fine orribile da lì a poche ore; il baciatore non eseguiva mai la condanna, spesso il bacio era dato alla presenza d’altra gente, nemici o calunniatori della vittima preferibilmente, come avvertimento per ciò che sarebbe successo dopo.
Il bacio che Rose aveva dato al Professor Platan era, però, diverso: non c’erano testimoni della condanna attorno a loro, il bacio non fu dato sulle labbra e, solitamente, la vittima sapeva già il suo destino dopo quel gesto.
Non era un bacio della morte, nel senso più comune del termine, ma il fine era lo stesso: condannare la vittima ad una fine già scritta.
 
Come ogni veicolo del Team Flare, anche il motorino di Rose disponeva di un bauletto interno con un cambio all’ultima moda, ordini di Elisio. La ragazza prese il necessaire e si diresse nell’hotel più vicino; ordinò una stanza e lì si cambiò. Fece una doccia, si profumò, si fece i capelli e si vestì. Non sapeva bene dove il ricercatore l’avrebbe portata, così optò per un due pezzi di Guccillery della stagione corrente. L’insieme era composto da un top dalle nuance verdi acqua, a spalline fini, ed una gonna sotto il ginocchio in muta di Seviper, plissettata a caldo artigianalmente e con una banda in finta pelle rosso acceso sul fondo.
La particolarità del tutto, però, era un disegno a paillettes cucite a mano di un Archen che, con l’apertura delle sue ali, toccava entrambe le spalle della ragazza.
I capelli, sempre composti da leggeri boccoli, erano invece rinchiusi in  una coda alta.
 
Rose si presentò alle 20:10 davanti allo studio del professore che già l’attendeva; dieci minuti di ritardo erano concessi ad una signora. “Lei è... ” balbettò Platan voltatosi per vedere la donna, “Stupenda?” disse lei con tono scherzoso, ma non troppo, d’altronde, credeva davvero d’essere stupenda quella sera. “S-sì!” disse lui nell’imbarazzo, “Sì certo è davvero... magnifica... scusi la voce, mi è mancato il fiato nel vederla” proseguì. Rose rise di gusto alla frase così artificiosa dell’uomo, seppur vera.
La donna mise nuovamente la sua mano sotto il braccio di lui ed entrambi si diressero al ristorante.
 
Il Professor Platan, oltre a frequentare le più eleganti boutique della capitale, era anche un habitué dei ristoranti più in di Luminopoli.
Presa una via perpendicolare al corso basso della città, Rose si trovò davanti ad un ristorante con un grande portone in marmo nero dalle venature bianche e argentee. Sopra l’inferriata vi erano disposte tre stelle in puro oro, incastonate nella pietra. Un distinto signore aprì la porta alla coppia, Rose sorrise timidamente all’uomo per poi rivolgere il suo sguardo nuovamente a Platan, era felice di passare la serata con un uomo così galante, in fondo.
Tutto lo staff del ristorante conosceva il ricercatore che, passato qualche minuto d’attesa, ebbe libero il tavolo migliore, quello con vista sulla torre della città.
 
Il Professor Platan accompagnò, galantemente, nella seduta la ragazza. Per passare il tempo, i clienti seduti ai tavoli potevano intraprendere delle veloci lotte Pokemon con lo staff, i due non si erano portati dietro alcuna Pokèball e, per ammazzare l’attesa, iniziarono a discutere.
Fu Rose ad iniziare la conversazione: “Allora, signor Platan, esiste anche una signora Platan per caso?”. La risposta, più che ovvia, del professore non tardò ad arrivare: “No no, al momento no... in passato c’è stata una signora Platan ma abbiamo preso strade diverse”. “Mi racconti!” chiese invadentemente Rose, “Sempre se non sono invadente” aggiunse poi.
“Era arrivata ad un bivio: la carriera o me; beh... lei scelse il successo” raccontò lui. “Ancora ci sentiamo e, alle volte, riusciamo pure a vederci, ma siamo semplici amici e colleghi, spesso mi aiuta nelle mie ricerche sulle mega-evoluzioni possedendo lei un Mega-Gardevoir” continuò lui.
Grazie ai database del Team Flare, Rose sapeva già di chi stesse parlando l’uomo, era l’attrice di fama mondiale Diantha, donna d’ineguagliabile talento e bellezza.
 
La chiacchierata fu interrotta dalla prima portata: Paté di foie-gras di Ducklett en terrine.
Solo dopo il primo assaggio dell’antipasto, Rose riprese la conversazione: “Ed ora, lei è riuscita a far carriera?” chiese lei scioccamente, conoscendo già perfettamente la risposta. “Ma certo!” esclamò sorridente lui, “L’avrà di sicuro vista in film come: Cenerentola a Luminopoli, Colazione da Togetic o anche in My fair Ledian”.
Rose si finse sorpresa e chiese all’uomo se stesse parlando della campionessa della Lega di Kalos: Diantha; lui rispose di sì e i due proseguirono con la cena.
Trascorsero il tempo a parlare delle vite l’uno dell’altra. Rose, da brava mentitrice, s’inventò un passato più che credibile: raccontò di essere stata una giovane promessa nel mondo scientifico e, ottenuta una borsa di studio, poté laurearsi con il massimo dei voti in una delle università più prestigiose di Sinnoh.
Il professore si bevette la storia della donna come lo Château Lanturn che aveva nel calice, annata 1961.
 
La cena non durò più di tanto, le porzioni date ai due erano così minimali da poter essere finite in un paio di forchettate.
La coppia uscì dal locale a braccetto, Rose si era appena accesa una delle sue sigarette affusolate, accompagnata dall’uomo nella sua dipendenza da tabacco. I due erano illuminati dal chiaro di luna che rifletteva sulla pavimentazione irregolare della strada le sagome dei due. Passeggiavano vicino al naviglio che tagliava in due la città.
L’uomo era oramai inebriato dal vino appena assaporato e della bella donna che lo accompagnava nella sua camminata imprecisa. Rose, dal canto suo, reggeva bene l’alcool, le tante cene con importanti uomini d’affari, a cui era solita assistere, le hanno permesso di allenare il suo corpo al resistere alle ebbrezze causate dal liquore.
 
I due si trovarono, dopo vari zig-zag sul pavé delle strade, davanti alla porta dello studio dell’uomo.
Rose si appoggiò allo stesso muricciolo di quel pomeriggio, porse in avanti il petto e portò indietro le braccia, il tutto mostrando all’uomo un timido sorriso. Davanti alla posa plastica della donna, il Professor Platan si gettò a lei e le baciò ripetutamente il collo, Rose gemette avvolgendo la gamba destra e il braccio sinistro al corpo del ricercatore. Stropicciò la stoffa della giacca dalla passione, stringendo la stoffa fra le dita.
Rose lo scostò via, l’uomo allora la baciò sulle labbra, lei lo scostò nuovamente emettendo un flebile “P-Platan”.
L’uomo interpretò il gemito come un segnale per continuare il corteggiamento e le baciò nuovamente il collo. Lei, con entrambe le mani, tolse la testa del ricercatore dal proprio petto.
“Mi spiace Platan”, non appena ebbe finito la frase Rose colpì con un pugno lo zigomo sinistro dell’uomo, facendolo cadere svenuto a terra.
 
La ragazza si affrettò a prendere la chiave che le serviva da sotto i vestiti del professore. Le chiavi per aprire la porta del laboratorio, invece, le trovò sotto lo zerbino.
Entrò nell’abitazione. Di fretta si diresse alla stanza delle mega-pietre, girò la chiave, e la porta si aprì. Rose aprì la pochette ed infilò dentro la Lopunnite tanto agognata, scheggiò fuori dalla stanza ed uscì dallo studio. Oltrepassò il corpo inerme dell’uomo, scese i gradini e si affrettò a partire con il suo motorino amaranto.
Si voltò solo una volta indietro per vedere le condizioni dell’uomo: si era appena ripreso e le gridava da lontano parole che lei non comprendeva per via del rumore del motore.
 
Uscì dalla città, l’elicottero la aspettava nello stesso punto dove l’aveva lasciata la stessa mattina; entrò nel mezzo che partì subito dopo.
“Ci ha messo più del previsto” sbofonchiò il pilota. “Scusa, quel tizio non si staccava più di dosso” rispose lei tirandosi su la spallina scesa.

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Capitolo 4
*** CAP 4 ***


“Papà... papà sono io Nate!”
“Sono riuscito ad ottenere una mega-pietra, sono pronto a sconfiggere Alain ora!”
“Rispondimi per favore”
Nate spense l’holovox subito dopo aver mandato quel messaggio. Era ancora sull’elicottero di ritorno a casa. “Papà, per favore rispondimi... ” il ragazzo non riuscì a frenarsi ed inviò un altro messaggio.
 
“Senti, ti propongo un patto: se verrò sconfitto da Alain ancora una volta sparirò per sempre, non sentirai più parlare di me”
“M-mi toglierò dal testamento e ti disconoscerò, saremo perfetti sconosciuti semmai subirò un’altra sconfitta”
“Papà... ti prego”
 
“Domani alle 17:00 all’arena” rispose Elisio tramite un messaggio scritto.
Nate subito si emozionò dalla gioia, avrebbe avuto finalmente l’occasione di riscattarsi contro Alain.
“Rose ha fatto presto ad andarsene, non sono nemmeno riuscito a salutarla” borbottò il pilota. Nate lo zittì, non voleva più sentir parlare di Rose.
Anche se aveva portato a termine la missione, per Nate, era stato uno sbaglio richiamarla dopo tutto questo tempo, non l’aveva ancora perdonata per quello che gli aveva fatto.
 
L’aereo atterrò sul tetto del dormitorio C. Il ragazzo scese con ancora in mano ben salda la sua preziosa mega-pietra; “Grazie ancora dell’aiuto!” gridò lui al pilota. “Non c’è di che, Nate” gridò a sua volta il pilota per colpa del rumore troppo forte delle pale.
“Permettimi di darti un consiglio, forse è Rose quella che dovrebbe usare quella mega-pietra, insomma, in fondo è lei che si è sporcata le mani” continuò l’uomo. Con un gesto della mano, Nate fece segno all’aeromobile di decollare, con una grande folata di vento il veicolo si dileguò nella notte.
Il ragazzo scese le scale, facendo attenzione a non farsi notare dalle guardie notturne che, per qualche motivo ancora sconosciuto, non avevano sentito il rumore di un elicottero che atterrava a pochi piani da loro. Girò la chiave ed entrò nella stanza, era salvo.
 
Nate tirò un sospiro di liberazione: era sano e salvo nella sua stanza, ora tinta dai colori della notte.
Il ragazzo accese la luce, per tornare a quel bianco acceso che tanto gli piaceva.
Il buio si dileguò, Nate estrasse tutte le sue sei Pokèball e fece uscire i suoi amici, già entusiasti dell’accaduto.
Si avvicinò a Lopunny con la mega-pietra, il Pokemon la prese e l’incastonò nella collana che già aveva al collo. Nate, invece, fece un rudimentale bracciale per la sua pietra, lo infilò al polso per ammirarlo meglio; era semplice fil di ferro arrotolato su se stesso con la gemma al centro, per Nate quel bracciale era inestimabile.
 
 
Bellossom svegliò Nate in giorno successivo, era tarda mattina ed il Pokemon aveva preparato per l’allenatore una tisana alla baccacedro essiccata. Il ragazzo si svegliò con il biancore della stanza che ancora una volta gli appannava la vista.
Sorseggiò l’infuso insieme al suo Pokemon, solo loro erano svegli a quell’ora. “Dormito bene?” chiese il ragazzo al Pokemon, la risposta affermativa del suo interlocutore gli disegno un sorriso spontaneo in volto. Finita la bevuta, si diresse in bagno. Il tempo di una doccia e anche il resto della sua squadra si svegliò.
 
Nate, elettrizzato dalla novità, decise di provare subito la Lopunnite insieme al suo Pokemon.
“Oltre all’evoluzione, mega-evoluzione!” recitò Nate, come aveva sentito fare da Alain tante volte, alzò il polso al cielo e... nulla.
Lo sconforto sul volto del ragazzo era palese, anche il resto della squadra e Lopunny erano sconcertati dall’inefficacia della gemma.
Ci provò una seconda, una terza, ed una quarta volta ma il risultato era sempre il medesimo: non succedeva nulla. Nate provò ad impugnare la pietra in diverso modo, a recitare una formula diversa o a cambiare la sua posizione, ma Lopunny non si mega-evolveva.
Erano amici da anni, da quando Lopunny era ancora una Buneary, era impossibile che il loro legame non fosse abbastanza forte per la mega-evoluzione.
 
Il ragazzo si rese allora conto di non avere altra scelta.
“Porygon... proviamoci” disse Nate, intimando al Pokemon di prendere un hula-hoop lì vicino, usò la mossa fulmine sul disco e il ragazzo ci passò in mezzo.
L’elettricità né cambiò le sembianze, si era trasformato in Rose.
“Oltre all’evoluzione” Rose alzò la mano impugnando la gemma “Mega-evoluzione!”.
Al grido un turbine si azionò dal suo polso, i fogli sulla scrivania iniziarono a volare per la stanza schiantandosi sulle pareti, il vento era così forte che spinse agli angoli della camera anche il resto della squadra dell’allenatrice, dei fasci di luce le uscirono dalla mano per intrecciarsi con quelli usciti dalla mega-pietra del Pokemon; le luci si unirono fra loro e un bagliore accecante invase la stanza.
Lopunny si era mega-evoluto.
 
Uno sguardo di sfida misto a soddisfazione si scolpì sul volto della ragazza, era ora di sconfiggere il suo rivale.
Aprì l’armadio e scelse un mini-dress dalle trasparenze in pizzo nero della maison Dittor, collezione Couture della stagione corrente. L’indossò. Raccolse i capelli in una coda alta e uscì dalla stanza. I Pokemon le erano rientrati nelle Pokèball, sistemò le sfere sulla cinta e, rapidamente, si avviò verso l’arena.
Dalla manica in pizzo fuoriusciva quel bracciale così grossolano da far contrasto con la preziosità della stoffa. Rose lo sistemò nuovamente sul polso, guardò per l’ultima volta quella gemma tanto cara a lei, ed entrò nell’ascensore.
 
Il sistema di trasporto negli edifici del Team Flare era tutto fuorché semplice: gli ascensori si diramavano in una serie di tubi labirintici, snodati all’interno di tutti gli edifici. Fin dal dormitorio più lontano si poteva tranquillamente raggiungere il quartier generale e, in meno di cinque minuti, Rose si trovava già nella sala d’entrata dell’edificio centrale.
 
La stanza che dava sull’arena vestiva dei toni plumbei, il marmo verdognolo contrastava con l’arancione acceso della mobilia presente; delle lunghe vetrate sostituivano due delle quattro pareti della sala: l’una dava sull’esterno, l’altra sull’arena. Qui si trovava già Elisio accompagnato da Malva che, insieme, aspettavano l’entrata dei due sfidanti.
 
Alain era già pronto da un lato del campo, Rose si presentò subito dopo.
Dall’ascensore uscì questa ragazza in un abito succinto di pizzo fine, lavorato sulla sua pelle. “C-cosa ti sei messo?” chiese Alain sorpreso alla vista della ragazza. “Cos’è hai paura di essere sconfitto da una donna?” rispose in modo saccente Rose, con una frase che si era minuziosamente preparata durante il tragitto in ascensore.
Il volto di Alain tornò serio, i due si preparavano ad un'altra sfida, fecero uscire i rispettivi Pokemon dalle loro Pokèball. Il timer si azionò e la sfida ebbe inizio.
 
“Lopunny presto usa fascino!” il Pokemon si avvicinò a Charizard e né diminuì drasticamente la potenza d’attacco, “Un’altra volta presto!” il drago era oramai inoffensivo.
“Dragartigli Charizard!” urlò il rivale, “Lopunny schiva e usa attrazione” rispose Rose.
Sulle unghie del Pokemon attaccante si formarono delle lunghe schegge scintillanti, Lopunny le schivò ripetutamente, la diminuzione d’attacco dell’avversario aveva giocato a suo favore.
La coniglia saltò in aria con le zampe posteriori e diede un bacio sul muso alla lucertola, “è il momento, oltre all’evoluzione, mega-evoluzione!” gridò la ragazza. Quei fasci di luce, provenienti dalla ragazza e dal suo Pokemon, si unirono nuovamente e Lopunny si trasformò.
 
“Charizard mega-evolviti anche tu!” gridò Alain “Oltre l’evoluzione, mega-evoluzione”, ed il drago cambiò colorazione in un minaccioso nero, delle fiamme di colore blu fuoriuscivano dalle sue mascelle, l’aspetto ostile non intimorì l’avversario.
“Lanciafiamme presto!” ordinò Alain al Pokemon che, però, non ascoltò l’allenatore, attrazione aveva impedito a Charizard di eseguire i comandi; uno stordipugno di Lopunny scaraventò il Pokemon sul soffitto, con un balzò, la coniglia lo seguì ed assestò un calciosalto sul muso del drago che, rovinosamente, cadde al suolo.

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Capitolo 5
*** CAP 5 ***


La polvere del terreno creò una nuvola fitta all’impatto del Pokemon a terra, Alain si coprì il viso col braccio per evitare la sabbia. “Charizard riprenditi!” gridò Alain e un dirompente ruggito del Pokemon dissolse la polvere attorno a lui, era ferito, ma rimaneva in piedi.
“Presto usa lanciafiamme!” all’ordine dell’allenatore il drago ubbidì, Lopunny tentò di schivare le fiamme saltando velocemente sulle pareti dell’arena ma il fuoco la raggiunse; si parò con entrambe le braccia per difendersi dal getto che, però, la scaraventò sulla parete dietro di lei, il fuoco l’aveva scottata.
Rose ordinò al Pokemon di ripetere un calciosalto, Charizard, prevendendo la mossa, riuscì ad afferrare la zampa dell’avversaria e a lanciarla via.
 
“Presto Charizard, usa incendio!” alle parole di Alain il corpo del Pokemon si dipinse di striature rossastre, Charizard sbuffò fuori dalle mascelle un’onda di fuoco e presto il terreno sotto i suoi piedi iniziò a creparsi e dalle spaccature fuoriuscì della lava.
Ancora indebolita, Lopunny non poté fare nulla per schivare l’attacco del Pokemon e cadde fra le fiamme. L’incendiò terminò, Charizard si era calmato, Lopunny, non più mega-evoluta, giaceva a terra esausta: Rose aveva perso.
 
La ragazza si diresse presto al Pokemon per controllarne le condizioni, stava bene, respirava ancora, ma non era più in grado di combattere.
Rose fece rientrare Lopunny nella sua Pokèball, una lacrima bagnò il terreno ancora caldo ai suoi piedi. Alain si avvicinò alla ragazza per aiutarla a rialzarsi da terra, Rose si alzò da sola e guardò Alain negli occhi. La ragazza piangeva ma tentava di sopprimere le lacrime, non voleva mostrarsi debole.
Allora il rivale le porse la mano per stringergliela, in modo da terminare la sfida sportivamente, Rose gettò via la mano di lui con un gesto di assoluta freddezza. “Non sai cosa mi hai fatto Alain” pronunciò lei tra i singhiozzi, “Tu non sai a cosa mi hai condannato”.
 
Dall’alto della sua postazione, Elisio aveva osservato tutta la sfida tra Rose e Alain.
Il capo dell’organizzazione richiamò i due sfidanti nella stanza vetrata da dove aveva assistito all’incontro; Rose, intanto, si era asciugata le lacrime e la tristezza si era trasformata in rabbia sul suo volto.
 
“Prendetelo” disse Elisio appena Rose entrò nella stanza; sentendo l’ordine, una squadra cinque persone vestite di nero entrarono a loro volta nella sala, puntando un’arma contro la ragazza.
Le intimarono di sedersi su di una sedia lì vicina e, una volta seduta, le legarono i polsi. “Papà cosa significa questo?” chiese la ragazza confusa dalla situazione. Aveva già visto il padre legare altre persone a quella sedia, spesso traditori dell’organizzazione, e nessuno si era mai alzato vivo.
“Hai detto che semmai avessi perso un’altra volta saresti dovuto sparire, beh... i patti sono pur sempre patti... Nate” disse l’uomo tirando fuori dal revers della giacca una Bayard scarlatta.
 
Sparò una serie di tre colpi in viso alla ragazza, Alain guardò attonito la scena, Rose riuscì a schivare due colpi chinando la testa a lato ma il terzo le entrò nella spalla. Il dolore era lancinante ed il ricamo del suo vestito iniziò a macchiarsi di rosso.
Elisio puntò al cuore della ragazza per il suo ultimo colpo, Alain si era accovacciato dall’altro lato della stanza, le mani gli tremavano ed aveva lo sguardo fisso sul pavimento, non voleva vedere, non voleva sentire.
 
Repentinamente, una zampata al braccio dell’uomo fece cadere la pistola a terra, Elisio si voltò a guardare il volto dell’aggressore: era uno Zoroark.
Le cinque persone vestite in nero che accerchiavano l’uomo, presto, si trasformarono anche loro in degli Zoroark; Elisio fece appena in tempo a comprendere la situazione che la vetrata della stanza che dava sull’esterno si frantumò.
Un ronzio assordante di un elicottero invase la sala, ed il vento, generato dalle pale, fece volare i pezzi di vetro per tutta la stanza. Per proteggersi Elisio, Malva e Alain si ripararono dietro ad un divano vermiglio.
I Pokemon presero con loro Rose, si gettarono nell’abitacolo del mezzo e si allontanarono dal luogo distrutto.
“L’ha scampata di nuovo” proferì saccentemente la Superquattro.
 
Uno degli Zoroark prese il kit medico dell’elicottero e, grossolanamente, fermo l’emorragia della ragazza, il tragitto era lungo e non sarebbe sopravvissuta senza cure. Fortunatamente, la pallottola le aveva sfiorato la pelle, provocandole solo molto dolore ma non ferite gravi.
Rose sapeva dove quei Pokemon la stessero portando, li conosceva e sapeva chi fosse il loro proprietario.
 
Il viaggio, sembrato interminabile, finì con l’arrivo del mezzo su di una piazzola circondata da un pavimento di ghiaia bianca. La ragazza scese dal veicolo tenendosi con la mano le bende sulla ferita, le sue Slowbroutin non erano adatte per quel ghiaino e la donna fece fatica ad arrivare alla porta d’entrata dall’edificio lì vicino.
Conosceva bene quel posto. Era un’immensa magione sui colori dell’avorio, dotata di numerose stanze tinteggiate sui toni del blu impreziosito con dell’oro. Il posto era secolare, tramandato di padre in figlio per generazioni, ed ogni successore aveva contribuito all’aumentare della magnificenza dell’edificio.
 
La cosa che, però, Rose ricordava di più di quel posto era il giardino. Un giardino immenso fatto di siepi che si diramavano in un’area di piastrelle bianche e prati verdi; tutte le siepi, però, convertivano in un unico punto: una fontana a tre piani senza troppi sfarzi. Non aveva statuette o zampilli che la decoravano; essa era antica, forse più dell’edificio stesso, ed era conservata con cura nella parte posteriore della struttura.
Ancora nessuno aveva attribuito un nome alla costruzione, molte cartine topografiche della zona non la mostravano neanche, Rose la chiamava “Il Palazzo di N”.
 
Alain, ancora rintanato all’angolo di quella stanza aperta alla luna, non si era ancora ripreso dall’esperienza vissuta. Conosceva Elisio ma non credeva fosse capace di tanto, capace di sparare al proprio figlio.
Il capo del Team Flare, insieme a Malva, aveva già abbandonato la sala, lasciando il ragazzo da solo con i suoi pensieri.
Nella sua mente, la scena si ripeteva in continuazione, sentiva ancora il rombo della pallottola esplosa dalla pistola e, morbosamente, si copriva le orecchie con entrambe le mani. Il ragazzo si sentiva colpevole di ciò che era successo a Nate, era lui che l’aveva condannato a questa fine, se pur involontariamente, ed era rimasto immobile alla vista della pistola di Elisio.
Per fortuna, Marin non si trovava lì in quel momento, era ormai una settimana che Alain non la vedeva, si trovava a casa di Rocco per scelta della ragazzina.
 
Il ragazzo prese allora la Pokèball, con la quale aveva condannato Nate, e la guardò: Charizard era ancora in ottima forma nonostante la lotta con Lopunny.
Si alzò in piedi e fece uscire Charizard dalla sfera e i due si allontanarono in volo dall’edificio. Non voleva più restare in quella stanza, raggomitolato su se stesso con la paura di essere freddato anche lui da Elisio.
Alain era intenzionato a ritrovare Nate. L’elicottero che lo trasportava si era già dileguato nel cielo ma Charizard, grazie al suo olfatto, riuscì ad intercettare l’odore del carburante bruciato del mezzo e segui la scia.
 
“N! N dove sei?”
“Rispondimi ti prego!”
“N...”
 

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Capitolo 6
*** CAP 6 ***


“... sei tu!”
 
Rose camminava velocemente fra i corridoi del palazzo. Con la mano premeva ancora sulle bende, il sangue aveva ricominciato a sgorgare fuori dalla ferita.
Salì le scale frettolosamente. Cadde e gridò dal dolore. Il gradino che le colpì la spalla si macchiò del rosso delle bende, da lì una scia di gocce purpuree seguì il percorso della ragazza, intrecciandosi col blu della passatoia.
 
Presto Rose si trovò davanti ad una persona dal volto familiare: N.
Sentito l’urlo, il ragazzo era venuto ad assisterla; con lui c’era anche un Audino che le curò la ferita con la mossa Ondasana.
Lo squarciò sulla spalla della ragazza si richiuse, abbagliato da una luce benevola proveniente dalle zampe del Pokemon. Rose si toccò nuovamente la zona offesa per scoprire che della ferita non vi era più traccia. La ragazza, allora, fece uscire Lopunny dalla Pokèball, la coniglia aveva ustioni sul pelo e a stento si reggeva sulle zampe. Il Pokemon infermiere la prese con sé e la portò nella stanza adibita ad infermeria, le sue ferite erano troppo gravi per essere curate da una semplice Ondasana.
 
Rose guardava la sua amica essere portata via, voleva seguirla ma N la fermò, egli si fidava di Audino, e rassicurò la ragazza.
Gli occhi argento del ragazzo squadravano Rose, l’incredulità alla vista della vecchia conoscenza era taciuta dall’indifferenza che ne caratterizzava il volto.
 
N non era solito mostrare emozioni, anche se dietro quello scudo d’impassibilità la sua anima ribolliva di sentimenti. Rabbia, felicità, compassione erano tutte filtrate e annientate dall’esteriorità del ragazzo.
 
I due, senza proferire parola, si spostarono sul balcone. Il mosaico a raggera della piazzola imitava i raggi solari, il tutto era cintato da una palizzata dell’ottone più scuro, il metallo si districava su quella recinzione con disegni di Pokemon antichi; il tutto era avvolto da tendaggi leggeri che, col vento, volteggiavano su quella balconata e, con la luce lunare unita alle perlescenze della stoffa, acquerellava quelle piastrelle di un blu impalpabile.
 
Le ombre dei due cozzavano su quel terreno inconsistente, riportando il tutto in una dimensione reale.
“Mi fa piacere rivederti, N” esclamò Rose poggiandosi al corrimano in ottone, il ragazzo non pronunciava parola ma, invece, guardava con indifferenza la luna.
La sua freddezza poi si spostò sugli occhi di Rose, erano di un azzurro caldo che male si sposava con la freddezza della notte. “Ti ho pensata molto” interruppe lui, “non ti ho più vista da quella sera, ho usato i migliori servizi di intelligenze del Team Plasma per ritrovarti ma... nulla. Fino a ieri, ieri il satellite per il riconoscimento facciale ti ha vista a Luminopoli”. Si voltò nuovamente verso la luna e continuò “In seguito, ti sei allontanata dalla città in elicottero”.
“Dimmi qualcosa che non so” esclamò Rose troncando il discorso, “Perché sono di nuovo qui?”.
 
Alla domanda il ragazzo fermò i suoi respiri, si girò nuovamente verso la sua interlocutrice, e la sua impassibilità mutò in un flebile sorriso. “Per restituirti il favore!” rispose il ragazzo.
 
Le ombre su quella balconata, da due, divennero tre: lo Zoroark di N interruppe il discorso per andare a salutare Rose.
Alla presenza del Pokemon, la Pokèball di Lilligant si aprì e le ombre allora divennero quattro.
Lilligant e Zoroark si conoscevano già da tempo, erano amici fin dal loro primo stadio evolutivo; avevano passato molti momenti felici tra i giardini della villa ed erano contenti di essersi ritrovati. Zoroark evolvette prima di Lilligant. Per lui, infatti, era la prima volta che vedeva Petilil completamente al suo stadio finale.
Alla sera del loro primo incontro, N aveva regalato a Rose un Petilil trovato nel suo giardino di rose. Le disse che quel Pokemon era molto speciale per lui e per il suo Zoroark.
 
La ragazza accarezzò affettuosamente lo Zoroark alla ricerca di un po’ di coccole.
I vecchi amici si riunirono in un abbraccio che portò il sorriso di N ad ardere sulla sua bocca. Rose sentì anche una risata di gioia molto lieve provenire dal ragazzo.
“Mi sei mancata” disse N, mettendo la sua mano più vicina a quella dell’interlocutrice, lei avvicinò di conseguenza la sua, e le loro dita si sfiorarono sul corrimano di quel balcone.
 
I due parlarono per il resto della nottata. Lilligant e Zoroark, invece, si assopirono un paio di ore dopo, appoggiati l’uno sull’altra. Rose ringraziò più volte N di averla salvata in quella situazione ed i due si aggiornarono l’uno sulla vita dell’altra.
Il ragazzo raccontò che, una volta ottenuto il potere all’interno dell’organizzazione, iniziò a disporre squadre speciali per il ritiro di Pokemon abbandonati nella regione di Unima; accantonò, inoltre, il progetto di liberazione dei Pokemon, credendo una crudeltà il separare un Pokemon dal proprio allenatore.
 
N rifiutava di credere che il progetto di liberazione Pokemon fosse soltanto una facciata, ideata dal padre Ghecis, per acquisire più potere. Era cresciuto con l’idea che gli umani sfruttassero i Pokemon, che non riuscissero a vedere il loro vero potenziale e valore, ma reputava il tutto come una semplice fase malevola passata dal Team Plasma.
 
N era una delle poche persone al mondo che conosceva la vera storia di Rose; al loro primo incontro, o per ingenuità o per sentita fiducia, ella aveva raccontato al ragazzo il suo passato e chi fosse. Tralasciando però, un dettaglio: Nate.
 
Il voltò di N tornò all’indifferenza, si rivolse alla luna sporcata dai raggi della mattina, “Ti ho voluta qui, inoltre, per chiederti un favore, Rose” esclamò N.
“Anch’io avrei una richiesta” ribatté Rose.
I due, allora, esclamarono la loro richiesta all’unisono.
 
“Unisciti al Team plasma con me“.
 
“Devo tornare nel Team Flare”.

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Capitolo 7
*** CAP 7 ***


Al sentire la risposta discordante del suo interlocutore, Rose diede un bacio a stampo ad N, in un vano tentativo di chiudere quel discorso, stringendo le sue braccia al collo del ragazzo. Lui, quasi immediatamente, l’allontanò via.
“C-cosa stai facendo?” chiese il ragazzo preso alla sprovvista da quel gesto. “Io... non ti amo, Rose” disse pulendosi maleducatamente la bocca con la manica della camicia.
Rose non riuscì a credere alle parole appena sentite, era, infatti, da anni che provava dei sentimenti davvero forti per quel ragazzo, che mai si erano affievoliti nonostante la lunga distanza.
 
“Mi spiace, ma io non provo sentimenti per te, o per nessun altro essere umano, voglio solo spendere la mia vita aiutando più Pokemon possibili” continuò lui. Rose, in lacrime, non riusciva a credere a ciò che aveva appena sentito, rifiutava quelle parole con tutta se stessa.
“P-perché?” chiese lei tra i singhiozzi. A quella domanda N non rispose, continuava a rivolgere i suoi occhi alla luna, aspettando con indifferenza la fine delle lacrime della ragazza.
Rose, allora, si placò e si asciugò gli occhi con la gonna del vestito portata al viso, rivelando le gambe della ragazza. “Ho voluto, semplicemente, restituirti il favore, tu, quella sera, mi hai salvato, hai permesso tutto questo” disse N alla luna. Allora, il suo sguardo ritornò a Rose e disse: “Volevo sdebitarmi”.
 
 
La mattina seguente Rose si svegliò sul letto della stanza che dava sul quel balcone. Sperava di vedere N all’altro lato del letto con lei ma quella notte dormì sola. Sfilò le lenzuola e andò verso lo specchio cercando di sistemarsi i capelli aggrovigliati dalla nottata.
Aprì l’armadio e si vestì con una vestaglia da notte in seta viola dai ricami gialli, Unima non era conosciuta per il suo senso estetico.
Rivolse lo sguardo verso la finestra ed una sagoma, appoggiata allo stipite, la stava osservando: era Alain.
Allacciandosi la cintura in vita la ragazza esclamò “Che ci fai cui?” nel tono più scocciato possibile. Il ragazzo spiegò il perché della sua visita: voleva spiegazioni. Spiegazioni su chi fosse Rose, quale fosse il suo legame con Nate, e il perché si trovasse lì in quel momento.
 
La ragazza, allora, richiamò fuori dalla sua Pokèball il suo Porygon-Z e si trasformò nuovamente in Nate. “Semplice, no?” accompagnò l’entrata di Nate.
Alain, incredulo, fissava il ragazzo appena trasformatosi davanti ai suoi occhi, non aveva mai visto una stranezza simile.
“Perché sei qui?” chiese quello vestito di viola e giallo. Alain balbettò qualcosa d’incomprensibile, era ancora scioccato da ciò che aveva appena visto.
 
“Capiti proprio al momento giusto, mi serve il tuo aiuto, devo tornare nel Team Flare” esclamò Nate dall’alto della sua vestaglia. “In cosa dovrei esserti utile io, scusa?” chiese Alain con un tono fra lo stupito e lo sbeccato.
“Devi dare ad Elisio questo mio messaggio, non mi serve la sua approvazione, voglio solo che lo sappia” disse Nate, porgendo ad Alain una lettera in carta scarlatta. Il ragazzo, allora, intimò ad Alain di andarsene perché aveva sentito i passi di qualcuno avvicinarsi dal corridoio. Porygon-Z si avvicinò nuovamente a Nate ed egli si ritrasformò in Rose.
 
Mentre Alain si dileguava fra le nuvole del giorno con suo Charizard, N entrò nella stanza di Rose con un vassoio per la colazione. La ragazza ringraziò il ragazzo con un bacio sulla guancia che egli prese malamente uscendo dalla stanza una volta poggiato il vassoio.
Rose non prese nulla da quel portavivande se non una tazza di Caffè nero che sorseggiò sul balcone accompagnata da una sigaretta.
 
“è ora del mio piano, vero?”
“Sì, hai vinto tu, facciamo a modo tuo ora”
 
Finita la sigaretta, Rose si recò in bagno per una doccia. Si spogliò di quel viola ed aprì l’acqua.
Al tocco con la pelle, l’acqua deformò il corpo di Rose: i suoi fianchi si fecero più larghi, le guance s’ingrandirono, gli occhi le divennero di un verde acqua ed i capelli si colorarono di un rosa pescato.
Uscì dalla doccia e, guardandosi allo specchio appannato, scoprì il suo nuovo aspetto.
 
“Certo che potevi aspettare, Ursula”

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Capitolo 8
*** CAP 8 ***


Durante le sue settimane di ricerca, a Nate era arrivata un’e-mail a uno dei suoi tanti indirizzi di posta elettronica: era un invito al gran festival di Kalos, una specie di torneo di sette giorni, dove solo i coordinatori più bravi poteva parteciparvici. Alla fine della settimana di sfide si sarebbe incoronata la nuova regina di Kalos.
Nate aveva quasi subito abbandonato la lettura di quella mail, bollandola come non rilevante per le sue ricerche sulla mega-evoluzione.
Una voce nella sua testa, però, trovò quella lettera di particolare interesse, una voce che da qualche tempo non si faceva sentire e che il ragazzo aveva forse dimenticato di proposito.
 
“Dovremmo partecipare” sussurrò quella voce. “No, il nostro obbiettivo, anzi, il mio obbiettivo è quello di distruggere Alain, non di diventare un insulso coordinatore” ribatté Nate nel tentativo di soffocare quel sibilo.
“La regina di Kalos è un titolo importante, pensa solo a tutto il potere mediatico che potremmo avere, un potere molto utile per il Team Flare” argomentò Ursula.
Il ragazzo strozzò quel discorso, per lui insensato, in tronco e continuò con le sue ricerche.
“Se il tuo piano fallirà, come tutti quelli del passato, non potrò fare altro che agire... ”.
 
 
Come di parola, Ursula si presentò nuovamente nella vita del ragazzo, nel modo più plateale ed invadente possibile come era solita fare. Ella non amava perdere tempo e, con tutte quelle missione fallite ed i piagnistei del ragazzo, ne aveva perso fin troppo.
“Dammi solo un altro po’ di tempo, devo sistemare le cose con N e poi faremo alla tua maniera” esclamò Nate dalla mente della ragazza. Ursula acconsentì e si fece trasformare da Porygon-Z di nuovo in Rose.
 
La ragazza castana, una volta asciugatasi la chioma, indossò dei vecchi abiti da signora trovati nell’armadio, probabilmente di una qualche vecchia collezione di Delcatty & Gabite dai toni celesti.
L’abito, che le arrivava appena sotto il ginocchio, era di una stoffa scivolata e fine ed era chiuso da una fila di bottoni di madre-clamperl sul davanti; aveva delle spalline larghe che le coprivano gran parte delle spalle e la stampa del completo richiamava un piastrellare antico, con ampi disegni di un azzurro accesso spennellati su di un fondo bianco.
 
Rose uscì dalla sua stanza per controllare le condizioni del suo Lopunny. Il Pokemon stava bene e si era ripreso dalla tremenda battaglia del giorno precedente.
Riposto il Pokemon nella sua Pokèball, Rose si diresse in giardino per incontrare N che si trovava lì, circondato da Pokemon a cui lui stava dando da mangiare.
La ragazza interruppe la mangiata e i due si allontanarono dal gruppo. “Hai pensato alla mia proposta?” chiese N interrompendo quel silenzio diventato imbarazzante. Rose fu presa alla sprovvista, non si sarebbe mai sognata di abbandonare il Team Flare. “Non puoi tornare lì, ti ucciderebbero” continuò lui guardando il cielo, senza incrociare lo sguardo con la ragazza.
“Sono la mia famiglia, devo” controbatté lei furiosamente.
 
N, stupito, interruppe la sua camminata per rivolgere, finalmente, il suo sguardo basito alla sua interlocutrice. “E come pensi di fare?” chiese il ragazzo con sincera curiosità.
“Mi basterà fare una chiamata al quartier e prendere possesso di questo posto, al Team Flare manca una base ad Unima” controbatté lei saccentemente, con un tono di assoluta spavalderia.
Rose stava fingendo apertamente con N; era arrivata alla conclusione che l’unico modo per distogliere il ragazzo dal farla entrare nel Team Plasma fosse quello di farsi odiare da lui.
 
Rose aveva mentito per tutta la sua vita, era il suo lavoro. Si trovava a proprio agio nelle sue menzogne e le indossava alla perfezione come un abito su misura.
Inventava alibi e false identità, mentiva sul conto di altre persone e metteva zizzania fra la gente, tutto per arrivare al suo scopo; non si era mai pentita di una sola parola detta nella sua vita da spia, dove la moralità non era concessa.
 
Quella fu l’unica menzogna della quale Rose si vergognò amaramente.
 
“Te ne devi andare...” disse lui distogliendo i suoi occhi da Rose. “Vattene, non ti voglio più vedere, mi hai deluso”, dopo quella frase N se né tornò, a passo svelto, dai suoi Pokemon senza guardarsi indietro, senza incrociare lo sguardo con quella ragazza che tanto aveva cercato.
N non la riconosceva più, non era lei la donna che aveva incontrato quella sera, era diversa, era superficiale, non era nulla per lui.
Rose, trattenendo le lacrime dovute a quell’addio così infelice, tornò nella sua stanza, prese una lampada trovata sul comodino e la scagliò sul muro di fronte a lei, rompendone il corpo in ceramica sul blu di quella parete.
 
Alain assistette alla scena dal balcone. Dopo quel gesto di rabbia cieca, Rose si accorse che quella figura la stava osservando da dietro le tende della sua stanza.
“Cosa ci fai qui?” chiese la ragazza seccata dalla presenza di quella sagoma tanto odiata.
“Non credo che una busta vuota possa far piacere ad Elisio” rispose Alain gettando da sotto le tende la lettera a Rose.
“Vuoi tornare nel Team Flare, ti aiuterò io, ma prima devi spiegarmi chi sei”.
 

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Capitolo 9
*** CAP 9 ***


“Ed ecco come sono finita in questa situazione”
“Ma questa è la trama di Nine to five”
“Senti cosone te l’ho detto: prima i miei vestiti, poi la mia verità”
 
Ursula rese il viaggio di Alain verso il dormitorio C del Team Flare un vero incubo.
I continui lamenti della ragazza sulla scomodità della schiena di Charizard, o sulla troppa aria che scompigliava i suoi boccoli, trasformarono ogni secondo in un’infinita agonia per il ragazzo che, durante tutto il tragitto, provava solo un’irrefrenabile voglia di gettare Ursula nel vuoto e lasciarla al suo destino.
 
Con non poche peripezie, i due si trovarono nella stanza di Nate.
Ursula aprì l’armadio e, minuziosamente, iniziò a scegliere i vestiti più adatti per il tuo trasloco.
“Allora, inizia a raccontare” disse Alain dopo essersi preso una tazza di Caffè dalla macchinetta sulla scrivania.
“Oddio, voi uomini siete così insensibili, non posso parlare e piegare questo top di Glalienchy nello stesso momento” rispose la ragazza seccata. “quand’è che la smetterai di usare queste scuse per evitare il discorso?” ribattette Alain, mettendo alle strette la usa interlocutrice.
 
“Bene, se ci tieni tanto, cosone... ” disse Ursula mentre chiudeva la sua terza valigia.
“Tutto iniziò dopo la mia sconfitta al gran festival di Sinnoh, nonostante avessi dato il massimo fui sconfitta da quella inetta di Lulù... Da allora le cose peggiorarono solamente, i miei genitori, legalmente, non mi riconobbero più come loro figlia e persi tutto. Senza un posto dove andare, mi ritrovai a far parte del culto di Archeus” a quell’affermazione Ursula estrasse un fazzoletto di stoffa dalla tasca e, melodrammaticamente, si asciugò una lacrima inesistente.
Alain non fu impressionato dalla scenetta della ragazza ed ella continuò: “Lì la vita non era male, certo, dovevo svegliarmi presto ogni mattina ed indossare quell’orribile tonata sformata ma, tutto sommato, non potevo chiedere di meglio; in breve tempo, divenni il capo coro della mia chiesa ed ogni domenica recitavo i canti sacri con gli Chatot”.
 
La ragazza fermò per un attimo il suo racconto e ciò che stava facendo il quel momento, si sedette, e continuò la narrazione: “... un giorno, però, al convento venne a farci visita un signore, non si presentò, almeno non a me, e poco dopo mi ritrovai nella sua stessa macchina senza saperne il perché o dove mi stesse portando; aveva i capelli biondi, laccati perfettamente all’indietro, ed un lungo ciuffo azzurro che gli circondava la testa. Dal camice bianco fece uscire una grossa siringa e, senza neanche accorgermene, m’iniettò un qualche liquido nel collo e mi addormentai... dopo non so quanto mi ritrovai così: intrappolata con questi qua in questa situazione del Garbodor”.
 
Ad Alain non usciva nessuna parola dalla bocca, quella storia era così surreale e fuori da ogni logica che il suo cervello non riusciva a metabolizzarla.
Posò la tazza sulla scrivania e continuava a fissare Ursula preparare la quarta valigia. “Quanti siete in quel corpo?” chiese il ragazzo tornato al suo solito fare serioso. “L’ultima volta che ho contato eravamo in quattro: io, Zero, Nate e Rose” rispose la ragazza mentre rovistava nell’armadio per trovare la sua cappelliera.
“Zero?” chiese Alain più confuso di prima. Ursula non rispose alla domanda, si limitò a guardare il suo interlocutore con uno sguardo vitreo e gelido che fece capire ad Alain che quella fosse una domanda scomoda.
 
Trovata la cappelliera, Ursula esclamò: “Devo partecipare al Gran Festival di Kalos, le prime selezioni si terranno a Gloriopoli. Mi serve che tu mi porti lì e mi trovi una stanza dove stare, so che il Team Flare ha appartamenti e basi segrete in ogni città della regione”.
“E cosa ci guadagnerei io?” chiese il ragazzo incrociando le braccia, in segno di rifiuto.
La ragazza posò la valigia a terra, si avvicinò ad Alain con fare di sfida, incrociò anche lei le braccia e disse: “Altre informazioni”. Dopo quell’affermazione, Ursula tornò alle sue faccende non prima di aver specificato che la storia detta ad Alain era solo una piccola parte del tutto.
 
Inoltre, Alain chiese anche come potesse un Festival Pokemon far tornare la pace fra Nate ed Elisio, un nuovo sguardo gelido di Ursula fece, però, capire che la ragazza non fosse tanto disposta a rispondere alle sue domande.
 
Caricato Charizard, i due partirono alla volta di Gloriopoli. Il Pokemon era visibilmente in difficoltà per via di tutto quel peso allora Alain decise di Mega-Evolverlo donandogli più forza per trasportare tutta quell’inutile paccottiglia.
Ursula indossava un vestito in morbido piqué bianco con una vistosa zip sul davanti, l’abito finiva ampiamente sotto il ginocchio e le maniche erano raccolte da due grossi elastici sui gomiti; la parte superiore del vestito, quella che copriva le spalle, era di un blu scuro e sul lato destro si poteva intravedere un Croconaw ricamato, iconico logo della marca Laironcoste.
Ai piedi calzava delle Manolo Blaziken rivestite in satin marezzato blu in coordinato con la parte superiore dell’abito, sulle punte vi erano delle vistose fibbie argento impreziosite da perle. I boccoli pescati, racchiusi in due codini alti, erano adornati da due vistosi fiocchi della stessa stoffa delle calzature.
Gli occhi, però, erano celati da un paio di occhiali da sole di Ditta Von Teese dalla struttura fine, le lenti creavano una punta verso l’alto, come l’occhio di un Glameow, che donavano allo sguardo di Ursula un’aria intimidatoria.
 
Appena arrivati a Gloriopoli, Ursula avrebbe avuto solamente tre giorni di tempo per allenare tutta la sua squadra per una gara Pokemon.
La ragazza fissava l’orizzonte dalle sue lenti scure; Alain, troppo concentrato nel guidare Charizard verso il luogo designato, non rivolgeva la parola ad Ursula e la ragazza rimase sola con i suoi pensieri.
Alla vista di quel cielo così limpido e di quel sole che le scaldava dolcemente la pelle, l’unico pensiero della ragazza era per il Gabite e, rivolgendo la sua preghiera al cielo, sperava di rivederlo al Gran Festival.

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Capitolo 10
*** CAP 10 ***


I due arrivarono all’appartamento del Team Flare a Gloriopoli. Era sera ed il sole iniziava a calare sul mare della città. Le luci sempre più soffuse, invece di nascondere il colorito dell’appartamento, accentuavano ancora di più l’arancione accesso delle mattonelle della casa.
 
La sobrietà non andava d’accordo con l’estetica del Team Flare, questo lo si poteva denotare dalle loro divise, dai loro mezzi di trasporto, ma, soprattutto, dalle loro basi segrete nella regione.
Il termine “segrete” mal si sposava con il colorito acceso scelto per gli appartamenti: arancione fluo e rosso scarlatto erano le opzioni principali per l’esterno di queste casupole; mentre, per i muri interni, la scelta ricadeva spesso sul bianco ottico tanto caro a Nate.
L’arredo esterno e interno di queste abitazioni non era da meno: sedie e tavoli dal design minimal erano di una plastica rigida arancione semi-trasparente, la mobilia era rivestita da un film amaranto e lenzuola e tende erano caratterizzate da una pacchiana stampa fiammeggiante.
 
Alla vista di tutto ciò Ursula impallidì; i suoi occhiali da sole firmati non poterono proteggerla da quell’accozzaglia di colori accesi e, istantaneamente, la ragazza provò un forte mal di testa.
Alain e Charizard portarono le valigie della loro compagnia di viaggio dentro l’abitazione, le posarono nella stanza da letto e caddero stremati sulle lenzuola.
Ursula, allora, infastidita dalla vista di quei colori così accesi, si fece trasformare da Porygon-Z in Nate, un po’ per riposare la mente ed un po’ per vedere come si comportasse il ragazzo vicino alla persona che più detestava al mondo.
 
Nate, allora, uscì dall’appartamento per sedersi su quella scomoda sedia arancio; la casa aveva una piccola terrazza che dava sul mare che regalava al ragazzo una suggestiva vista del sole che tramontava.
Si accese una sigaretta e la consumò tutta prima di rientrare nell’abitazione.
Trovò Alain dormire nel suo letto, collassato dopo la giornata, Nate non poteva vedere quella faccia, lo disgustava, così chiuse il ragazzo ed il suo Pokemon nella stanza e si mise a dormire sul divano del salotto.
 
Non riuscendo a prendere sonno, Nate pensò a quella serie di sfortunati eventi che lo hanno portato su quel sofà: lo scontro con Alain, il tentato omicidio da parte del padre, il rifiuto di N e il ritorno di Ursula.
Se fosse stato per lui, non si sarebbe mai fidato del suo rivale, di quel ragazzo così scontroso e freddo, altezzoso quanto basta per farsi odiare già dal primo incontro.
Si girò e rigirò su quei cuscini bordeaux senza trovare tregua. La sua mente continuava a navigare in una tempesta di paranoie che lasciava Nate in balia di una prepotente insonnia.
 
 
La mattina seguente, con poco meno di un paio d’ore di sonno, il ragazzo si alzò da quel sofà e si decise a prepararsi del caffè. Si sciacquò la faccia con dell’acqua fresca del lavandino della cucina e, dopo una tazza di caffè dello studente ed una sigaretta, era pronto ad iniziare quella giornata.
Nate face uscire tutti i suoi Pokemon dalle Pokèball, li guardò e loro guardarono lui; dopo circa un paio di minuti di occhiatacce fra di loro, Nate decise che fosse il caso di chiamare Ursula, più esperta di lui nelle gare Pokemon.
 
“Quello che vedo davanti a me sono una schiera d’inutili e scoordinati Pokemon” urlò aggressivamente lei.
“Per tutto questo tempo vi ho visto lottare ed allenarvi con Nate... siete perfino più patetici di lui, e ce ne vuole” continuò lei con un tono di voce ancora più forte.
“Per fortuna ci sono io: Ursula, la più grande e meravigliosa coordinatrice Pokemon, pronta ad insegnarvi l’arte delle gare” proseguì tentando, in una sola frase, di unire un messaggio di incoraggiamento per la sua squadra ed un complimento sulla sua persona.
 
La ragazza, allora, iniziò l’allenamento intensivo per quei Pokemon.
Notò, con sorpresa, una certa grazia nei movimenti di alcuni membri della sua squadra: Lopunny si muoveva agilmente e sinuosamente grazie alle sue lunghe zampe; Lilligant e Bellossom, grazie ad Eledanza e Giornodisole, creavano una sinergia fantastica; e i tentacoli di Frillish creavano meravigliosi effetti di luce quando il sole si rifletteva sulla sua membrana.
 
Alain si svegliò frastornato per colpa della musica proveniente dalla terrazza. Il ragazzo ed il suo Charizard si alzarono per andare a controllare da dove provenisse quel frastuono.
Si trovarono davanti ad una scena ai limiti del grottesco: Ursula, in scaldamuscoli e tutina gialli fluo, stava impartendo lezioni di stretching sulle note di “Let’s get Loudred” ai suoi Pokemon che tentavano di starle dietro, con scarsi risultati.
Infastidita dalla presenza di un estraneo, Ursula cacciò maleducatamente via Alain per tornare ai suoi esercizi.
 
La ragazza e la sua squadra di Pokemon passarono l’intera giornata ad esercitarsi su quella terrazza. Non mangiarono, si concessero solo dell’acqua fresca presa dal rubinetto della cucina.
Verso le otto della sera l’intero gruppo era stremato dalla giornata, così Ursula decise che era arrivato il momento di riposare. Entrando in camera e la trovarono occupata da Alain che dormiva.
La ragazza, presa dall’ira nel vedere quel ragazzo così beato nel suo letto, prese un lato del materasso e, con le poche forze rimaste, lanciò via Alain, facendo precipitare il ragazzo assieme a tutte le lenzuola sulla moquette color carota.
 
“Ma cosa ti salta per la testa?” chiese Alain mentre tentava di uscire da quella trappola di stoffa.
“Senti cosone questo è il mio letto, tu dormi sul divano questa sera!” rispose lei mentre tentava di afferrare bramosamente le coperte da terra. “Non potevi usare un metodo meno ortodosso?” domandò lui tentando di alzarsi dal pavimento.
Non amando le domande, Ursula lanciò l’ennesima occhiataccia ad Alain ed il ragazzo capì che quella discussione l’aveva vinta nuovamente lei; si sistemò su quello scomodo sofà e lasciò dormire la ragazza nella stanza da letto.
 
 
I giorni successivi passarono velocemente: Ursula e la sua squadra si allenavano duramente per il Gran Festival imminente, mentre Alain, sentendosi ancora in colpa per ciò che aveva causato a Nate, preparava pranzo e cena per la ragazza e puliva la casa, Ursula non era una ragazza ordinata.

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Capitolo 11
*** CAP 11 ***


“Oggi è il grande giorno!” gridò Ursula alla luna svegliando Alain dal suo divano. “Ursula... sono le due di notte... torna a letto” sbofonchiò il ragazzo da sotto le lenzuola color ciclamino.
“Senti cosone non riesco a dormire, sono troppo elettrizzata, finalmente tutti potranno vedere il mio talento!” disse lei rivolgendo il suo urlo all’interno della casa.
 
“Basta non ce la faccio più” disse Alain alzandosi dal sofà. “Io me ne vado! Ho tentato di sopportarti ma adesso basta!” continuò lui in un impeto d’ira.
Il ragazzo allora fece uscire il suo Charizard dalla Pokèball e se ne andò nel buio della notte.
 
“Patetico!”
 
Lo stesso giorno, dopo una mezz’ora scarsa di sonno, Ursula si presentò all’ufficio iscrizioni per il Gran Festival.
Non erano ammessi tutti, anzi, vi era una rigida lista di requisiti che tutti i partecipanti dovevano rispettare: si doveva aver vinto almeno tre chiavi della principessa, per i concorrenti della regione di Kalos; o cinque fiocchi per chi proveniva da Sinnoh o Hoenn.
Ursula mostro fiera i suoi fiocchi conquistati ai Festival di Sinnoh e fu ammessa.
 
La ragazza sentì una voce familiare, si girò di scatto, si tolse gli occhiali da sole e la vide: era Lucinda.
Quella presenza dai capelli blu si guardava attorno spaesata, portava con una mano un trolley rosa confetto in coordinato con i suoi stivaletti Uggron.
Ursula la squadrò dal basso verso l’alto, in ricordo dei vecchi tempi, e rindossò la montatura da sole e si diresse verso quella provinciale che le aveva rubato la corona al Gran Festival di Sinnoh.
 
“Lucinda? Sei tu? Oddio da quanto tempo!” esclamò Ursula alla vista della ragazza e le diede un abbraccio più gelido e distaccato di un Froslass.
Lucinda rimase assolutamente stupida nel rivedere Ursula e nell’essere accolta dalla stessa con un abbraccio, gesto insolito per una tipa come lei.
Le due si salutarono e scambiarono un paio di chiacchere per aggiornarsi l’una sulla vita dell’altra, non che a Ursula interessasse più di tanto; entrambe sapevano perché si trovavano lì, erano nuovamente rivali.
 
Inoltre, Lucinda informò Ursula che tutti i coordinatori che avevano incontrato a Sinnoh erano giunti a Gloriopoli per partecipare al Gran Festival. La notizia rese Ursula più motivata nel competere di nuovo in un festival.
Le due si salutarono con una vigorosa stretta di mano, promettendosi di dare in massimo nelle loro esibizioni.
 
Ursula stava scendendo i gradini dello stadio di Gloriopoli, si stava pulendo le mani con una salvietta aromatizzata alla Baccafrago, quando si scontrò con una ragazza dai capelli color miele.
Ursula non la conosceva ma Rose sì: era Serena che, sbadatamente, non guardava dove stesse camminando.
 
Le due si rialzarono in fretta e la ragazza bionda si scusò più volte con Ursula che, raccogliendo i suoi occhiali da terra, non degnò la sua interlocutrice di uno sguardo e continuò la scalinata.
Serena la guardò perplessa scendere i gradini ma subito si ricompose, aveva una gara da vincere quella sera.
 
 
“Sei sicura nel voler farlo partecipare?”
“Si certo! Ci serve anche lui per questa esibizione”
“Ursula ma è malato, non può farcela!”
“Tranquillo sarà solo per una manciata di secondi”
 
“Si fatemi partecipare! Posso farcela” disse una voce lieve.
Ursula si trovava nel bagno del suo appartamento, si stava sistemando le ciglia con un po’ di mascara Grimmel. “Visto Nate? Zero è d’accordo con me” rispose Ursula allo specchio.
 
Zero era la quarta persona ospitata da Nate. Era il più giovane fra i quattro ed aveva un aspetto quasi fanciullesco: capelli grigi scompigliati e grandi occhi color viola scuro lo contraddistinguevano dalla massa.
Fra tutti, Zero era forse quello più insolito; Nate e Rose sapevano poco o nulla sul suo conto ed Ursula non voleva proferire parola su quello che il ragazzo le aveva confessato.
Zero era il risultato di una fusione di un essere umano e un Pokemon, un Froslass. L’esperimento fu un successo fino all’arrivo di una preoccupante tosse del ragazzo macchiata di sangue, poco dopo gli scienziati scoprirono che il Pokemon, prima della fusione, usò la mossa Ultimocanto e che stava trascinando con sé Zero.
 
Nate stava preparando le ultime cose per l’esibizione di quel giorno; Ursula, per non rovinarsi le unghie, fece fare al ragazzo tutti i lavori di fatica.
Prese con sé la valigia, Nate uscì dall’appartamento del Team Flare con la chiara intenzione di non tornarvici da perdente.
 
 
Il gruppo passò i vari controlli di sicurezza all’entrata secondaria dell’arena, Ursula mostrò il pass ed i Machamp di guardia la fecero entrare senza problemi.
 
Un Meowth l’accompagnò al suo camerino privato; ogni concorrente, essendo in pochi, ne aveva uno. La ragazza ringraziò il Pokemon con una generosa mancia ed entrò nella sua stanza.
Era abbastanza spoglia: pareti color crema, uno specchio da parete con una cornice di luci, un tavolinetto di vetro con un paio di fiori finti sopra ed una sedia posta di fronte alla superficie riflettente.                      
 
Tutti si vestirono con degli abiti coordinati che Ursula aveva personalmente scelto. Erano della collezione Atelier Vespiqueensace corrente. Ursula indossava un due pezzi, top e gonna a matita, bianco ottico con dei decori arancio, la gamba sinistra era scoperta da un evidente spacco; Nate portava un completo bianco con una magliettina fine sotto, era particolareggiato sul costato da una cintura giallo lime.
Rose indossava un abito a tre quarti, sempre bianco, con un gioco di stoffe sul davanti che le coprivano il seno ma lasciavano scoperto un fianco della ragazza e la spaziatura dello scollo; Zero, invece, portava un bomber bianco ottico con delle bande giallo acceso sul davanti, sotto indossava dei pantaloni attillati sempre bianchi.
 
Il Meowth di prima tornò nel camerino di Ursula per comunicarle il suo numero d’entrata, era la penultima, prima di Serena. La ragazza ordinò un Cosmoforzapolitan, da sorseggiare mentre si gustava le esibizioni degli altri concorrenti.
 
Ursula si sedette su quella sedia in stoffa e legno, più scomoda che carina, e si godette tutte le esibizioni prima della sua; non era di certo stupita da nessuna delle figure portate in scena dagli altri concorrenti e la sua sicurezza crebbe ancora di più.
 
 
“Ed è ora di presentare la nostra prossima concorrente! Dalla regione di Sinnoh lei è Ursula!”
 
“... ci siamo!”

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Capitolo 12
*** CAP 12 ***


“Life is a mistery... everybody must stand alone, I hear you call my name... and it’s feel like... home”
Ursula fece il suo ingresso in scena roteando sulle sue braccia due cerchi blu elettrico e, lentamente, si dirigeva al centro del palco.
 
Presto un fulmine di Porygon-Z la colpì in pieno e i suoi due cerchi assorbirono l’elettricità zampillando di schegge luminose. La coreografia partì, Ursula ballò assieme a Porygon-Z e a Lopunny in un breve balletto, interrotto dal lancio di uno dei due cerchi che, ritornato al suolo, c’entrò Ursula e la fece trasformare in Nate.
 
“I hear your voice... it's like an angel sighing” cantò Nate al pubblico; il secondo cerchio gli passò attorno e lo fece mutare in Zero, “I have no choice, I hear your voice... feels like flying”.
Allora, i cerchi iniziarono a muoversi velocemente attorno al corpo del ragazzo e, una volta passatoci dentro, trasformava il suo corpo; contendendosi il palco con Rose, Nate e Ursula.
 
Porygon-z e Lopunny occuparono il primo ritornello, Clefable il secondo; Bellossom e Lilligant invece il terzo, usando la mossa Fiortempesta ed Eledanza per ammaliare il pubblico con una sinuosa danza.
I fiori, però, vennero repentinamente spazzati via da una forte folata di vento purpurea: Frillish stava usando Funestovento per creare una nuvola di fumo attorno a Nate.
 
Il ragazzo ne uscì trasformato da Rose. La ragazza stava pattinando su di uno strato di ghiaccio che Frillish aveva creato usando Geloraggio.
“Just like a dream, you are not what you seem... just like a prayer, no choice your voice can take me there” I due pattinavano su quel velo gelido, creando forti acrobazie dove Rose manteneva una posa statica mentre scheggiava sul ghiaccio e Frillish le danzava attorno con vigore, avvolgendo la donna con i suoi leggeri tentacoli.
 
Rose, allora, si avvicinò al centro della pista ghiacciata ed eseguì una trottola, partendo da una posizione a uovo fino ad alzarsi completamente aumentando la sua velocità; Frillish, con Geloraggio, fece disperdere la nebbia scura attorno a lei.
 
Un raggio di sole fendette l’oscurità: era Bellossom che con Giornodisole scacciava quel vento malevolo. I due Pokemon d’erba, dopo essere stati lanciati via da Funestovento, avevano azionato un piccolo paracadute di cui erano dotati per planare nuovamente sul palco.
Mentre Bellossom danzava, Nate e Lilligant s’impegnavano per far battere le mani al pubblico a ritmo, così da coinvolgerlo di più durante l’esibizione.
 
Lilligant, allora, con Petalodanza creò un turbine di petali insieme a Clefable che usò le sue comete. Le due mosse combinate crearono dei teneri fiori rosa pallidi, con al centro una stella come pistillo.
 
Lopunny, con un Calciosalto, si proiettò in mezzo a quel tornado; Rose, repentinamente, azionò il suo Mega-bracciale per far evolvere il Pokemon. La forza provocata dalla Mega-evoluzione fece scoppiare tutti i fiori attorno alla coniglia, avvolgendola di un dorato luccichio.
 
“Just like a prayer, your voice can take me there... just like a muse to me, you are a mystery... just like a dream, you are not what you seem... just like a prayer, no choice your voice can take me there”
Tornata a terra, Mega-Lopunny e Rose simularono una breve scena di combattimento, preparata ad arte dalle due per dare l’impressione di un effettivo scontro, dalle Comete di Clefable interruppero la scena, avvolgendo i corpi di Rose e Lopunny.
 
L’esibizione terminò con un acuto di Ursula, circondata da tutti e sei i Pokemon, tempestata da uno scintillio prodotto dalle stelle di Clefable.
 
 
La traccia terminò ed il silenzio piombò in tutto lo stadio. La folla fissava Ursula e Ursula, ancora in posa, fissava la folla.
 
Il Signor Contesta, giudice massimo delle Gare Pokemon, si alzò in piedi e applaudì con vigore la ragazza. Subito dopo, anche il pubblico e gli altri giudici presero esempio dall’uomo e iniziarono ad applaudire Ursula, alzandosi in piedi.
Ursula, dopo essersi presa le sue lodi, si diresse all’uscita del palcoscenico e trovò di fronte a se Serena; la ragazza si fermò e squadrò la concorrente dopo di lei, si avvicinò al suo orecchio e sussurrò: “Prova a fare meglio di me, fallita”.
 
Ursula non si fermò allo schermo per vedere l’esibizione di Serena, invece, si diresse subito al suo camerino per sistemarsi il trucco e asciugarsi il viso. Tornò ad esibizione finita nella sala di raccoglimento di tutti i coordinatori, munita di apposito tele-schermo per visionare la gara.
Successivamente, tutti i concorrenti vennero richiamati sul palco per decidere i coordinatori che passeranno le eliminatorie.
 
Essendo una gara di portata internazionale, le votazioni si dividevano in due categorie: giudici e pubblico. I giudici sceglievano, in base alla loro esperienza e occhio, i concorrenti che dovevano passare tramite appositi punteggi; il pubblico, invece, aveva il potere di salvare un singolo concorrente votando dalle loro sedie, il concorrente con più voti, tra quelli non scelti dai giudici, sarebbe passato alla manche successiva.
 
“Bene abbiamo finalmente raggiunto un verdetto, guardiamo il teleschermo!”
I volti dei diciannove partecipanti al Gran Festival spuntarono, ad uno ad uno, su quello schermo giganti. Ursula fu la prima ad apparire e poté notare anche volti familiari sullo schermo: Lucinda, Kenny, Zoey e altri coordinatori della regione di Sinnoh, troppo poco rilevanti per la ragazza.
 
Serena guardò lo schermo e si pietrificò nel non vedere il suo viso fra quelli scelti dai giudici. Strinse la sua mano in un pugno e guardò, sconfitta, il terreno, Sylveon le asciugò una lacrima.
 
“Ed ora è il vostro turno pubblico, decidete voi chi salvare fra i coordinatori rimasti!”
Le chiavi di tutte le concorrenti scartate iniziarono a brillare di luce propria, erano alimentate dai voti di ogni singolo spettatore nella platea.
La chiave al collo di Serena fu quella a risplendere più di tutte le altre: era salva.

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Capitolo 13
*** CAP 13 ***


“Signorina Ursula! Signorina Ursula! La prego ci spieghi come ha fatto!”
“I nostri telespettatori sono rimasti basiti nel vedere la sua esibizione!”
“Guardi qui signorina! Domani il suo volto sarà su tutti i giornali!”
“Com’è essere stata eletta la migliore della prima prova?”
 
Ursula, dopo l’uscita dallo stadio, fu circondata da fotografi e intervistatori; tutti volevano un pezzo di lei, un pezzo del segreto della sua esibizione.
Amante delle attenzioni come non poche, la ragazza si fermò un’ora abbondante a parlare con tutte le testate giornalistiche e televisive che bramavano una risposta da lei.
 
“Signorina Ursula, sono un reporter de Il resto dello Snubbull, i nostri lettori sarebbero entusiasti nel sapere come ha realizzato quell’illusione!” disse uno dei tanti attorno alla ragazza.
Ursula, allora, si sfilò gli occhiali dal viso, fissò dritto negli occhi lo sconosciuto e rispose in tono secco: “Non è stata un’illusione”. Alla risposta la folla esplose in una raffica ancora più potente di domande; “Non era un’illusione?”, “Era reale?”, “Chi sono gli altri?” chiesero gli intervistatori all’unisono.
La giovane donna, però, si limitò a rindossare la sua montatura e a dirigersi al suo taxi che la stava aspettando da lì a pochi metri.
 
Ursula aprì la portiera ed infilò dentro al veicolo una gamba, guardò per l’ultima volta i giornalisti ed esclamò: “Lo vedrete”. Detto ciò la ragazza entrò finalmente in auto e partì.
 
“Gli ha lasciati a bocca asciutta, signorina Ursula” disse il guidatore incrociando lo sguardo della ragazza tramite lo specchietto centrale. Ursula lasciò a bocca asciutta anche lui, non rispondendogli, e alzò il vetro anti-suono fra lei e i sedili anteriori.
 
Il taxi lasciò la ragazza in una zona poco distante la sua abitazione, Ursula pagò l’uomo profumatamente e si diresse all’appartamento del Team Flare.
Girò la chiave ed entrò, la stanza era buia, tinta dalle ombre della sera. In quell’oscurità, Ursula si diresse al bagno, si sciacquò la faccia e si ritrasformò in Rose.
 
La bella ragazza mora andò al balcone per accendersi una sigaretta. Una volta lì, però, si accorse di non avere con sé un accendino, una mano maschile accese una tenera fiamma davanti agli occhi della ragazza.
“Non le dispiace se gliel’accendo io, vero?” chiese lui. Rose aspirò una boccata di fumo che accese, finalmente, la sua sigaretta.
 
Rose conosceva bene il suo interlocutore: era il Professor Platan.
“Cosa ci fa lei qui?” chiese la ragazza, anche se sapeva già la risposta. Il professore era lì per riprendersi ciò che gli era stato rubato: la sua Lopunnite.
“Ti credevo più furba, non avrei mai pensato di poterti vedere in diretta nazionale usare con tanta spavalderia un oggetto che non ti appartiene” esclamò Platan mentre si accendeva a sua volta una sigaretta.
“Sapevo saresti venuto a reclamarla, questa mega-pietra non mi appartiene ma fidati, serve più a me che a te” rispose la ragazza mentre guardava la luna riflettersi nelle increspature dell’acqua.
 
Rose, allora, rivolse il suo sguardo all’uomo, uno sguardo di sfida misto a malizia. Si avvicinò a lui e gli cinse il collo con il braccio sinistro, con il destro portò a se la sigaretta che consumò nuovamente. Platan, per tutta risposta, fasciò i fianchi della donna con entrambe le mani, solo la destra si allontanava da quella stretta mortale per cibare il suo proprietario di fumo.
 
“Siamo arrivati ad un impasse” disse Rose sbeffeggiando l’uomo gettandogli una lieve nuvola grigiastra in volto. “Oh sciapò! Non credevo lei conoscesse termini simili” rispose Platan, impassibile allo scherno della sua interlocutrice.
Rose rise di gusto e replicò: “Per chi mi ha preso, per una delle sciacquette che lavorano per lei?”
 
I due risero di gusto alla battuta ma Platan, con ancora il fumo della sigaretta in bocca, interruppe quelle risate e baciò Rose. La ragazza contraccambiò con un bacio altrettanto passionale e animato. L’uomo, allora, l’allontanò dalle sue labbra e le spense la sigaretta sulla guancia.
 
Rose, nel dolore più estremo, si toccò la guancia con le dita tremanti per scoprire l’abrasione nera sul suo zigomo. L’uomo di fronte a lei, con un movimento repentino, le afferrò il braccio e le sfilo con forza il bracciale con la mega-pietra.
 
La ragazza afferrò la camicia del professore nel vano tentativo di trattenerlo. L’uomo si dileguò nella notte senza voltarsi una seconda volta per vedere la ragazza che aveva lasciato indietro, accasciata in posizione fetale su quel balcone.

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Capitolo 14
*** CAP 14 ***


Elisio spalancò la pesante porta in legno ed entrò nel salone. Voleva restare solo ed ordinò a tutte le persone nella stanza, inclusa Malva, di uscire.
Prese due pezzi di legno e con essi alimentò il fuoco del camino affamato, l’uomo restò immobile a guardare le fiamme danzare davanti a lui.
Si muovevano, scoppiettavano, si abbracciavano, esplodevano o danzavano fra loro, il tutto era mescolato in una ricca sinfonia visiva.
 
Per Elisio, il fuoco era un elemento affascinante: una forma di calore, impalpabile eppure così forte, che prende energia e bellezza da altri materiali, e li consuma fino a renderli polvere. Il fuoco non si ferma, continua la sua danza e prende con sé atri elementi per continuare a vivere. La sua vita è breve ma la sua danza ne ripaga la magra durata dell’azione.
 
L’uomo, allora, sfilò dalla tasca interna della sua giacca un lembo di tessuto, era di pizzo fino nero macchiato di sangue. Lo aveva strappato a Rose nel tentativo di bloccarne la fuga.
Come il fuoco, anch’ella era sfuggente, impalpabile, si nascondeva dentro il corpo di Nate e lo consumava ogni volta che esercitava la sua elegante danza, come fuoco e legno.
 
Elisio si portò il panno al volto e annusò con cupidigia l’odore: il profumo era di donna, era di pelle femminile e tentatrice. L’assaporò una seconda e una terza volta prima di gettarlo fra le fiamme.
Lo guardò consumarsi inghiottito dal fuoco. “Anche tu sei feccia da bruciare, non sarai mai fuoco” sussurrò lui alla stoffa mentre perdeva progressivamente fibre.
 
“Signore, l’abbiamo trovata!”
Una voce interruppe l’intimità di Elisio, l’uomo si sistemò la giacca ed uscì dalla stanza, lasciando il fuoco morire solo.
 
 
Nate stava preparando le valigie per partire alla prossima tappa per il Gran Festival. Aiutato dai suoi Pokemon, il ragazzo ci mise relativamente poco nel finire i preparativi; sistemò di fretta il resto della casa ed uscì dall’appartamento.
La prossima tappa del suo viaggio era Luminopoli, lì si sarebbe tenuta la cerimonia d’apertura effettiva del concorso, con una grande parata ed un grande festa per i coordinatori definiti “migliori” delle diverse regioni.
 
Uscito da quella casa, però, Nate si accorse della mole spropositata di valigie che aveva con sé, il ragazzo era sprovvisto di un Pokemon forte come il Charizard di Alain e non riusciva nemmeno a spostarne una.
Decise, allora, di trasformarsi in Rose e di chiamare un taxi che l’avrebbe aiutata.
 
La sera precedente, Rose si era fatta medicare da Porygon-Z la ferita lasciata dal professor Platan. Porygon era un esperto chirurgo; cresciuto in un ospedale di Unima, aveva sviluppato un’ampia conoscenza della medicina nel navigare tra i computer dei vari reparti.
 
Il taxi arrivò quasi subito.
Rose indossava un suo vecchio completo di Moscinccino in finta pelle rosa shocking; era composto da una giacchetta a maniche corte che terminava sotto il seno, una cintura in vita e una gonna aderente sopra il ginocchio. Il tutto era impreziosito da zip a contrasto argento per tutta la lunghezza dell’abito.
Le gambe erano fasciate da collant bianchi che terminavano in scarpe a stiletto color fucsia, in coordinato con la shopping-bag alla spalla e col foulard in seta leggera che le cingeva il viso.
 
Il taxista aiutò Rose a mettere i bagagli nell’auto, o meglio, l’uomo fece tutto il lavoro di fatica mentre la ragazza si limitava a guardare da lontano.
Nate era furbo: si era trasformato in Rose per poter far uso dei suoi privilegi femminili e declinare il lavoro di fatica a qualcun altro. Certo, non tutte le ragazze ne usufruivano, anzi, molte volevano rovesciare questa obsoleta costruzione sociale; ma a Nate sembrava di sprecare un’opportunità nel non usufruire di questo vantaggio.
Lui, però, si riteneva il più fortunato di tutti, visto che poteva usufruire a suo piacimento dei privilegi di ambedue i sessi.
 
Il taxi arrivò alla stazione di Gloriopoli, dove un facchino attendeva all’entrata qualche cliente a cui portare i bagagli. Il ragazzetto si prese cura dei bagagli di Rose e l’accompagnò fino al suo treno.
La ragazza partì a bordo di un treno di ultima generazione, con tutti i confort che l’alta velocità potesse offrire. Il viaggio non fu lungo e Rose arrivò a destinazione in neanche due ore.
 
Alla stazione di Luminopoli, la più grande e fastosa della regione, l’attendeva un secondo facchino ed un secondo taxi, che la portò all’hotel dove alloggiavano tutti i coordinatori scelti.
Prima di entrare nella hall, però, fece uscire Bellossom dalla sua Pokèball e si fece spruzzare da esso un dolce profumo, così da coprire l’olezzo della metropoli.
 
La ragazza infilò il piede nella moquette dell’albergo, le porte scorrevoli si chiusero dietro alla sua figura, circondata da bagagli.
 
“Facciamolo!”

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Capitolo 15
*** CAP 15 ***


“Chi è lei? La conosci?”
“Scusa, non hai visto la TV in questi giorni?”
 
Rose percorse quei pochi metri, dalla porta d’ingresso dell’albergo alla reception, nel più completo silenzio. Tutte le persone che prima intrattenevano animate conversazioni si fermarono per guardarla con uno sguardo tra l’ammirazione e l’incredulità.
Ancora nessuno riusciva a spiegarsi come fosse riuscita a realizzare quell’esibizione e, più in particolare, come fosse riuscita a trasformarsi.
 
“Era un trucco di magia?”, “Era un’illusione?”, “Ha usato il potere di qualche suo Pokemon?” queste erano le domande che la gente si chiedeva, senza, però, trovare risposta.
 
“Buongiorno, lei deve essere la signorina Rose giusto? Un signore la attende nella nostra caffetteria” disse la receptionist alla ragazza appena arrivata al suo bancone. Rose seguì la donna e si fece scortare al bar dell’hotel.
Lì, fra le tante persone sedute ai tavolini, vi era un uomo che l’aspettava, con i gomiti si appoggiava al bancone di mogano e portava una gamba accavallata sull’altra: era Elisio.
L’uomo si voltò verso l’ingresso della caffetteria e vide la ragazza che stava aspettando, si sciolse dalla sua posa statica e porse i suoi saluti alla sua interlocutrice.
 
“P-papà?” esclamò Rose alla stretta di mano di Elisio. L’uomo non si scompose e disse: “è un piacere rivederti, Nate”. La ragazza restò impietrita da come l’avesse chiamata, quello non era il suo nome, non era la sua identità, o almeno non lo era per il momento.
 
“So chi sei davvero, non sei né Rose né nessun altro, sei soltanto Nate che si diverte a giocherellare a spasso per Kalos” continuò l’uomo che non aveva ancora terminato di stringere la mano alla sua interlocutrice alla quale, quella morsa, iniziava a far male.
Elisio, vedendo lo sguardo perso negli occhi di suo figlio, continuò il discorso: “Non so come ci riesci e, sinceramente, non voglio nemmeno saperlo; sò solo che questa cosa che tu hai potrà essere molto utile per il Team Flare”.
 
Al sentir pronunciare quella frase gli occhi di Rose si riempirono di gioia, si tolse da quella stretta di mano ed abbracciò d’istinto il padre, al quale non dava un gesto d’affetto da anni.
“Papà era da tutta la vita che aspettavo tu mi dicessi questo!” esclamò Rose in una più che sincera manifestazione di gioia.
Elisio si ricompose, non aveva finito il suo discorso: “Non avevo mai valutato la possibilità di espandere il potere dell’organizzazione in queste... Gare Pokemon ma sono a conoscenza dell’enorme potere mediatico che la Regina di Kalos ha: schiere di fan, adulatori, sponsor pronti a pagare milioni ed un enorme bacino d’utenza al quale far arrivare il messaggio del Team Flare”.
 
“Nate... questa è la tua ultima possibilità: fallisci anche questa volta e non sbaglierò di proposito la mira” dopo aver detto quest’ultima frase, Elisio si congedò uscendo dal bar dell’albergo.
“Aspetta!” disse Rose tentando di mettere in pausa quel momento fugace con suo padre.
Elisio guardò la ragazza che le teneva la manica della giacca, la guardò fissa negli occhi voltando leggermente la testa, così da poterla analizzare meglio.
 
“Certo! Che sbadato che sono! Me ne sono ricordato adesso, al ballo d’inaugurazione di questa sera sarò io il tuo cavaliere” disse Elisio sull’uscio della porta con tono autoritario.
Rose ne rimase spiazzata, la bella notizia del poter passare un’intera serata con suo padre era smorzata dal tono così serioso, come di comando.
“Certo!” rispose lei mentre guardava l’uomo andarsene.
 
 
“Allora... tu non hai mai avuto un bel rapporto con tuo padre?” chiese la voce di Ursula a Rose mentre ella si stava preparando i capelli allo specchio; aveva optato per un coda molto alta che scoppiava in morbidi boccoli castani che le coprivano leggermente le spalle.
 
“Beh... no” disse Rose fermatasi un attimo nell’attesa che l’arricciacapelli facesse il suo lavoro.
“Non abbiamo mai avuto un rapporto così profondo, nella mia infanzia non è stato presente, anzi, mia madre mi raccontò che era in viaggio di lavoro tutti giorni e che non aveva tempo per tornare a casa... Lo conosco da poco più di un anno, da quando sono entrato a far parte del team Flare”.
 
Lì allo specchio era Nate a parlare.
La fusione era un processo particolare e con ancora molti buchi sul suo reale funzionamento: due corpi si univano, umano-umano o umano-Pokemon, e quello più forte dei due prevaleva sull’altro che si annientava.
 
Zero era il primo del gruppo ad aver provato questa esperienza, infatti era stato uno dei primi casi documentati di fusione uomo-Pokemon; Ursula, invece, fu successivamente fusa con Zero, il quale, però, essendo già a sua volta il risultato di una fusione, non subì l’annientamento della sua persona.
 
Nate e Rose, invece, erano due persone considerate “pure”, ovvero non il risultato di una fusione, e la loro unione portò Rose ad annientarsi e a diventare un semplice guscio vuoto per Nate; infatti, tutte le azioni compiute dalla ragazza sono in realtà di Nate.
I pensieri, i gusti, le movenze e i desideri sono quelli del ragazzo, ufficialmente la vera Rose è morta, non esiste più nulla di lei se non il personaggio interpretato da Nate.
 
L’ultimo stadio, invece, fu quello di congiungere una fusione con un’altra fusione, ovvero Nate e Ursula, per vederne in risultato finale: l’esperimento andò a buon fine, come previsto dagli scienziati Ursula e Nate non si annientarono a vicenda come, in verità, era già successo in passato con altre cavie.
 
 
Rose finì di sistemarsi i capelli e il trucco e si recò nella stanza da letto della sua stanza per vestirsi. Sul letto matrimoniale vi era il suo abito appena consegnato dalla sarta per le ultime rifiniture.
Era un abito di Mareepchesa della futura collezione resort, non ancora disponibile alla vendita.
Aveva un delicato corpino in voile di seta nera. Le spalle e il seno erano coperti da fiori di tessuto rossi e foglie verdi che formavano un profondo scollo a V sul petto della giovane.
La gonna, sempre il voile nero e balze di crinolina, le arrivava a metà polpaccio; dalla vita i fiori rossi del corpetto cambiavano colore, diventando blu e viola, e si diramavano sul tessuto fino all’altezza delle ginocchia.
Rose decise di non indossare alcun accessorio con quell’abito così ricco, solo un paio di delicate decolté nere dalla suola rossa, le sue preferite.
 
 
Erano le dieci precise di sera, Rose lasciò la sua stanza d’albergo e con celerità di fiondò nell’ascensore, era già in ritardo.
Al ballo era consentito portare un solo Pokemon per invitato, la ragazza aveva scelto il suo Bellossom che teneva custodito nella sua Pokèball dentro la clutch che portava in mano.
 
Elisio stava aspettando la sua accompagnatrice all’esterno dell’albergo, appoggiato alla portiera posteriore dell’auto che avrebbe dovuto scortarli fino al luogo della serata.
Con un gesto di galanteria, Elisio aprì la portiera alla ragazza appena uscita dall’hotel e i due partirono.
 
“Grazie ancora per l’abito, papà”
“Non ringraziare me, ringrazia i miei addetti marketing e d’immagine per aver pensato a quel capo”
“Come ti sembra? Mi sta bene, vero?”
“Si ti sta davvero perfettamente, meno male che abbiamo trovato quella sarta dell’ultimo minuto che ha potuto stringercelo; comunque avrei optato per un trucco meno pesante sugli occhi, dovresti essere una ragazza acqua e sapone invece così sei troppo sofisticata, la prossima volta ricordami di assumere una truccatrice”
Rose rispose con un tiepido sorriso al complimento ricevuto.
 
“Grazie papà!”
 

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Capitolo 16
*** CAP 16 ***


La macchina si fermò davanti ad un cancello d’ottone antico che si districava in complicati disegni floreali per creare un arco di fogliame color grafite.
Elisio scese dal mezzo ed aprì la porta a Rose, la ragazza appoggio le punte su quel tappeto di velluto rosso.
Rapidamente i due furono assaliti da una pioggia di flash delle macchine fotografiche, pronte ad immortalare qualsivoglia passo falso degli invitati.
 
Con passo sostenuto Elisio si diresse verso l’entrata, portandosi con sé Rose sotto braccio che faticava a stare dietro alla camminata dell’uomo.
L’edificio adibito ad ospitare la serata di gala era l’hotel fior di quattrini, simbolo di eleganza e prestigio per tutta la regione di Kalos. Gli ospiti, dopo una suntuosa accoglienza nella hall, vennero scortati fino alla gran sala dell’edificio.
 
Il salone era molto ampio, circondato tutto attorno da marmo lavorato per creare precise forme architettoniche che poi si aprivano in alte vetrate e portefinestre, il colore predominante era il rosso dei tappeti e delle tende, un rosso freddo tendente al violaceo e decorato di nappe oro sui suoi orli.
 
Rose, tra l’élite del mondo Pokemon, riuscì a scorgere alcune delle coordinatrici ammesse come lei razzolare tra la folla; si capiva che erano lì fuori posto, delle bertucce mascherate da regine. Con fare di sdegno, Rose non rivolse più lo sguardo alle rivali, d’altronde, quella serata era dedicata a suo padre.
 
Rose ed Elisio si trovarono nella folla, circondati da ricchi uomini d’affari, stelle del cinema o del mondo delle gare Pokemon; tutti volevano un pezzo di loro, tutti volevano essere loro.
Elisio disdegnava tali persone, tutto ciò che era inutile, per lui, andava estirpato alla radice, e quelle persone davanti a lui erano tutto quello che più odiava: parassiti, però della peggior specie, perché le blatte che aveva davanti tentavano di mascherarsi da ricchi signori.
 
Rose, nel marasma di gente, decise di allontanarsi con una scusa, un semplice: “vado a salutare le altre concorrenti, così da non sembrare acida”, anche se voleva solo uscire sul balcone per concedersi una pausa al sapore di tabacco.
 
“Fumare ti fa male, sai?” le disse una voce famigliare all’accensione della fiamma.
Rose si voltò in quella nuvola di fumo e lo vide: era N.
“C-cosa ci fai qui?” chiese lei sorpresa. “Combatto il sistema dall’interno” disse lui spavaldo, “gli anni passati c’eravamo messi all’entrata a gettare vernice a chi indossava pellicce di Linoone ma non ha funzionato, anzi, se ne sono andati a comprare delle altre... così eccomi qua a discutere di politica ambientale con questi gentil signori” proseguì poi il ragazzo mentre tentava di sistemarsi la cravatta troppo stretta.
 
Rose, vedendo l’uomo in difficoltà, si avvicinò a lui e gli allentò la morsa che quella striscia di seta stava esercitando sul collo del ragazzo. “Non sei mai stato uno da cravatta e camicia” disse lei dopo aver aspirato dell’altra nicotina.
“Cavolo ancora te lo ricordi... Nate”
 
Con un’involontaria drammaticità, Rose fece cadere quella sigaretta dalla sua bocca e la fece cadere al suolo; lasciando la bocca della ragazza aperta dall’incredulità. “C-come?” chiese lei mentre raccoglieva lo stelo.
“Ho visto la tua esibizione e, sinceramente, non pensavo che un ragazzetto così impacciato come te potesse essere capace di cose simili” disse N a denti stretti.
“B-beh non mi conosci poi così tanto bene, allora” disse Rose nel disperato tentativo di ricomporsi.
 
La chiacchierata fra i due fu interrotta dalla figura di Elisio appena apparsa su quella balconata. L’uomo guardò Rose dritta negli occhi e la ragazza capì il comando.
Rose spense la sigaretta su di un posacenere lì vicino e disse a N: “Diciamo che questo è solo un arrivederci, okay?” con un tono quasi scherzoso e leggero.
La ragazza si voltò per dirigersi verso il suo accompagnatore ma N la fermò di scatto prendendole il braccio, i due si guardarono per pochi secondi; “Rose, sei felice?” chiese lui senza, però, avere risposta.
 
La ragazza tornò dentro la sala principale accompagnata sotto braccio da Elisio.
“Tieni, prendi questa” disse l’uomo porgendo alla ragazza una mentina, “A nessuno piacciono le Cenerentole” aggiunse poi.
 
La serata proseguì come previsto da Elisio.
La coppia si presentò a molti uomini illustri di Kalos e non solo, Rose si fece pubblicità tra la gente e fece spargere la sua fama di “nuova stella fra le coordinatrici”, come amava definirla Elisio.
Rose ebbe anche l’occasione di presentarsi di persona alle altre concorrenti della gara, chiacchierano a lungo ma erano solo discorsi di circostanza: “Da dove vieni?”, “Come hai scoperto le gare Pokemon?”, “Dove hai comprato quel vestito?”.
 
Rose era abbastanza annoiata da quella festa. Ne aveva già viste tante in passato, tutte uguali, tutte con lo stesso tipo d’invitati, con lo stesso tipo di rigore e con lo stesso tipo di finzione.
Rose amava fingere, o meglio, sapeva recitare.
Riusciva a interpretare qualsivoglia tipo di personaggio, sguazzando alla perfezione nella sua storia, nella sua dialettica e nel suo modo di fare; era molto convincente e sapeva quello che faceva, solo che, alla lunga, la recita stufa.
 
Rose sapeva recitare, ma non sapeva fingere.
 
 
“Rose, sei felice?”

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Capitolo 17
*** CAP 17 ***


Nate si svegliò il giorno successivo alla festa.
Aveva gli occhi stropicciati dal poco sonno e la luce che s’infilava dalle persiane della portafinestra non era d’aiuto.
Bellossom gli preparò un infuso di Baccalampon e Lilligant dei dolcetti alla Baccaguava per la colazione, il miscuglio di sapori non era affatto piacevole ma il ragazzo finì comunque il pasto per non sembrare ingrato verso i suoi premurosi amici.
 
Alzatosi da quel letto stropicciato, Nate notò il suo abito della sera passata appeso di fronte a lui, né toccò la stoffa, era preziosa e leggera, scorreva perfettamente fra le dita; muovendo la stoffa, Nate poté sentire ancora il profumo del padre impregnato nell’armatura dei fili.
 
Il ragazzo resto davanti a quell’abito da sera per altri due minuti buoni, poi il suo sguardo si spostò verso lo specchio lì a fianco, “Sembri da buttar via” disse la voce di Ursula.
“Sta zitta!” disse Nate gridando al suo stesso riflesso.
 
“Problemi in paradiso?” chiese una voce alla finestra.
Era Alain, rimasto lì a fissare la scena surreale.
“Spiegami, hai una passione per le entrate in scena ad effetto dietro a delle tende?” disse Nate per tutta risposta.
 
“Sono qui solo per farti i complimenti, hai davvero spaccato l’altro giorno!” disse Alain porgendo la mano a mo’ di pugno, in segno d’amicizia. Nate, nell’imbarazzo della situazione, decise di rispondere al saluto giovanile con un finto sorriso; “Grazie, questa sera spero di fare lo stesso” disse il ragazzo con sufficienza.
“Sono sicuro che ci riuscirai!” rispose repentinamente Alain porgendo a Nate una piccola confezione in organza azzurra.
 
“Emh... senti, so che è un po’ strano, ma ti ho portato un regalo di buona fortuna”
Nate aprì la busta e trovò dentro un portachiavi in metallo con al fondo un piccolo fiore di Baccaliegia sempre del medesimo materiale.
“Cioè, non è per te... cioè si lo è ma ho pensato ad Ursula quando l’ho visto in negozio” aggiunse Alain nel più completo imbarazzo, insolito per lui.
Alain era un ragazzo tutto d’un pezzo, non lasciava mai trapelare nessun sentimento positivo verso il genere umano, ed era forse per questo che Nate era ancora meno convinto delle vere intenzioni del ragazzo.
 
Nate chiuse di fretta quella conversazione, diventata oramai insostenibile, con un frettoloso “Grazie!” e fece uscire Alain dalla porta della camera, visto che il ragazzo era oramai stufo di vedere le sue entrate e uscite dalle finestre.
Nate non aveva tempo da perdere, aveva un’esibizione da preparare.
 
Visto il poco tempo a disposizione, Ursula fu incaricata, essendo la più esperta, di preparare tutta l’esibizione della giornata.
La ragazza aveva già l’idea perfetta in mente, il costume e la base musicale; aveva scelto come Pokemon da portare sul palcoscenico Lilligant, vista la sua grazia e la sua leggiadria.
 
Ursula fece il suo ingresso, per la prima volta, in quella stanza d’albergo. Non perse l’occasione per sputare acidi commenti sull’arredamento e la scelta cromatica della suite, troppo mediocre e dozzinale per lei.
La ragazza, allora, volse il suo sguardo verso lo specchio della cassettiera, lì vi era il portafortuna di Alain per lei.
Ursula lo aprì in un misto di insofferenza e curiosità; vide il ciondolo e decise di crearsi un orecchino per l’esibizione di quel giorno.
“D’altronde, anche le migliori star hanno bisogno di un pizzico di fortuna” si disse tra se e se mentre indossava la bigiotteria.
 
 
“Il Gran Festival è diviso in sei giornate, più la serata finale. I venti concorrenti saranno divisi in due turni, A e B, che si alterneranno nei giorni nelle varie prove. Le location saranno tre in totale: lo stadio di Gloriopoli a Kalos, la Cuoripoli a Sinnoh e Porto Selcepoli a Hoenn. Le performance si divideranno in tre categorie: esibizione singola, esibizione doppia e lotta a coppia. Ai partecipanti verrà assegnato un punteggio per ogni prova da parte dei nostri giudici e dal pubblico; i tre concorrenti col numero massimo di voti si sfideranno nella prova finale il settimo giorno allo stadio di Gloriopoli. Anche per oggi è tutto, a presto con la telecronaca in diretta dallo stadio!”
Il suono della TV rimbombava in quell’enorme stanza vuota.
“Signore, le serve qualcosa?”
“No tutto a posto può andare; vorrei soltanto guardare un po’ di TV stasera”
 
 
“Buonasera Kalos! Sei pronta per l’inizio del Gran Festival?”
La folla gettò un urlo d’incitamento alla presentatrice, la gara stava ufficialmente per iniziare.
“Per questa prima serata a Kalos vi stupiremo riproponendo... una gara di cucina! Ogni concorrente dovrà preparare, durante la propria esibizione, una gustosa ricetta che sarà poi servita ai nostri giudici!”
 
“Tenetevi caldi come un poffin nel forno, perché la gara sta per iniziare!”
 
“Ed ecco la prima concorrente: dalla regione di Sinnoh lei è Ursula! Con le sue doti di trasformismo ha conquistato i giudici e la folla e al momento è la prima in classifica, vediamo se anche questa sera riuscirà a stupirci!”
 
Ursula fece il suo ingresso sul palco.
Tutte le luci erano spente tranne un occhio di Tauros che puntava su di lei, mentre camminava verso il centro dell’arena. A fianco con sé c’era Lilligant, anch’essa con uno sguardo fermo e concentrato di pura determinazione.
 
La ragazza indossava un abito beige completamente ricoperto da finissime pietre luccicanti; era particolareggiato da due lembi di tessuto rosso scarlatto sullo scollo a cuore e nella fodera della gonna che le arrivava a metà polpaccio.
La pallidità del tessuto principale e l’estrosità dei dettagli si sposavano perfettamente sul corpo di Ursula e la facevano risplendere su quel palco vuoto.
 
La ragazza e il suo Pokemon diedero un ultimo sguardo di sfida ai giudici prima che la traccia partisse. Ursula e Lilligant chiusero gli occhi ed iniziarono a sentire ogni singola nota e cominciarono a muoversi all’unisono in una sinuosa danza.
Ursula sapeva che anche solo un passo falso poteva costarle caro.
 
“Spring was never waiting for us, dear”

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Capitolo 18
*** CAP 18 ***


“Spring was never waiting for us, dear”
“It ran one step ahead as we followed in the dance”
Ursula e Lilligant, illuminate solo da un faro di luce, muovevano le braccia all’unisono in aggraziati movimenti.
Alcune persone della folla si erano alzate in piedi per vedere meglio l’esibizione, Ursula né approfittò ed ordinò a Lilligant di eseguire la mossa Eledanza.
 
Il Pokemon s’illuminò di luce propria, la sua danza si fece più veloce ed iniziò a muoversi per tutto il palco, usando ogni centimetro a sua disposizione per ballare.
Ursula, rimasta ferma al centro, continuava a cantare: “MacArthur's Park is melting in the dark all the sweet, green icing flowing down, someone left the cake out... in the rain”


La sua voce era molto potente, Ursula tentava in tutti modi, ad ogni singola nota, di usare tutta la potenza che aveva in corpo per elevare quelle parole ad un livello emozionale superiore.
“I don't think that I can take it, 'cause it took so long to bake it and I'll never have that recipe again”


“Again!”
All’acuto, Ursula volse il suo grido al cielo, esplodendo in un urlo dirompente.
Ora che aveva la più completa attenzione del pubblico, la ragazza decise che quello era il momento di agire.
Con entrambe le mani prese due lembi della gonna e la strappò, trasformando il suo abito in un body di pietre preziose.
 
Le due si portarono dietro al bancone ed iniziarono a maneggiare gli ingredienti; farina, uova, latte ed aroma di Baccaperina; il tutto veniva fatto roteare con maestria sopra le teste di Lilligant e Ursula che si destreggiavano come due circensi mentre tentavano di mescolare gli ingredienti.
 
“I recall the yellow cotton dress foaming like a wave on the ground beneath your knees”
Il Pokemon, per accompagnare la preparazione della ricetta, usò la mossa Petalodanza; gli oggetti sul bancone della cucina iniziarono a volare nell’aria accompagnati dai dolci petali.
Ursula ne prese un paio e li aggiunse all’impasto, così da creare un sapore nuovo per il palato dei giudici.
 
La ragazza trasferì l’impasto in una teglia rotonda ed infornò il tutto per una cottura leggera.
Ordinò a Lilligant, che ancora stava eseguendo la mossa Petalodanza, di usare anche Sintesi, così da accrescerne il potere.
I fasci di petali di Lilligant si trasformarono in tentacoli di profumo rosa che ammaliavano la folla col loro dolce aroma.
 
“MacArthur's Park is melting... in the dark all the sweet, green icing flowing down...”
Ursula saltò dal bancone su uno dei fasci di petali e si fece trasportare da quella brezza dolciastra.
“Someone left the cake out... in the rain I don't think that I can take it... 'cause it took so long to bake it...”
 
Il forno interruppe l’epifania del duo con un trillo fastidioso: la torta era pronta.
La luce che copriva il corpo di Lilligant esplose in mille scintillii che arrivarono fino alla folla, portandosi con sé anche i petali profumati.
Ursula, con un balzo, prese la torta dal forno, la tolse dalla sua teglia e la porse su di un piatto quadrato; Lilligant aggiunse dei petali come contorno alla struttura e Ursula porse al centro del dolce due steli di Baccaperina essiccati come decorazione.
Una spolverata di zucchero a velo e la torta era pronta.


“...And I'll never have that recipe again... Again!”
Assieme a Lilligant, Ursula porse la torta ai giudici ed entrambe conclusero l’esibizione usando nuovamente la mossa Eledanza.
“After all the loves of my life you'll still be the one”
 
La traccia finì ed il pubblico, al calare dell’ultima nota, esplose in un urlo generale.
Le sensazioni provate durante quell’esibizione avevano catturato ogni singolo spettatore lì presente, compresi i giudici che aspettavano solo di assaggiare quel dolce.
 
La presentatrice fece nuovamente il suo ingresso sul palco ed invitò la folla a calmarsi per sentire il giudizio dei giudici.
Tutti e tre, compreso il signor contesta, il difficile della compagnia, diedero ottimi voti alla torta.
 
Era un dessert morbido, dove il latte Mumu era l’ingrediente principale; la preparazione a bagnomaria aveva dato alla torta una consistenza morbida e spugnosa, in netto contrasto col sapore forte della Baccaperina.
 
 
Ursula, salutando la folla, uscì dal palco per far spazio al prossimo concorrente.
Appena scesa le scale, un gruppo di giornalisti la stava aspettando con trepidazione.
“Signorina Ursula come descrive la sua esibizione di stasera?”
“Tutto quello che posso dire è di non lasciare la propria torta fuori quando piove, potrebbe bagnarsi”
 

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Capitolo 19
*** CAP 19 ***


Ursula, e gli altri concorrenti, si portarono al centro del palco.
Nonostante fosse stata la prima ad esibirsi, la ragazza concentrava ancora tutte le attenzioni su di se.
Aveva una posa plastica, con una sfacciata mano sul fianco, ed un aria sicura quasi sfrontata.
Da questa prima prova il numero dei partecipanti si sarebbe dimezzato: da dieci ne sarebbero rimasti cinque, sia per il primo che per il secondo gruppo, così da creare una top ten che si sarebbe sfidata in un torneo di lotte Pokemon.
 
“Ecco i risultati finali della votazione dei nostri giudici, i quattro a passare sono...” all’urlo della presentatrice il tabellone s’illuminò di quattro volti: Ursula, Lucinda, Solidad e Nando erano passati alla fase successiva; rimaneva ancora l’ultimo concorrente scelto dal pubblico.
Le persona scelte si emozionarono tutte all’unisono, portando entrambe le mani alla bocca per coprire lo stupore e le lacrime.
Ursula fece lo stesso, anche se il successo per lei era scontato, ma voleva emozionarsi davanti alle telecamere così da avere un aspetto più “umano” per chi la stesse guardando.
 
“Bene ed ora tocca a voi signori del pubblico! Chi volete mandare avanti in questa gara?”
“Ovviamente me!” una voce di donna si fece largo nel farfuglio della folla.
Nessuno sapeva da dove provenisse e tutti iniziarono a guardarsi attorno per capirne l’origine.
 
Una risata altezzosa interruppe nuovamente il borbottare della gente.
“Non c’è bisogno di votare, la vostra Jessilina è qui!” alla frase una polvere di fumo fucsia esplose al centro del palco ed apparve Jessilina in mezzo ai concorrenti.
 
La presentatrice riuscì ad esclamare un: “C-cosa?” alla vista della ragazza e della sua insolita entrata.
“Non puoi presentarti qui cosi!”, “Non è giusto”, “Stai barando, vattene subito!” queste erano solo alcune delle esclamazioni che uscivano fuori dalla bocca dei coordinatori non ancora scelti per la fase successiva.
Jessilina si voltò verso di loro con aria di sfida e disse: “Se siete così tanto sicuri di vincere allora vediamo chi sceglierà il pubblico: me o una di voi comparse?”
 
La presentatrice prese la palla al balzo ed accettò la richiesta di Jessilina: ora il pubblico doveva scegliere tra sette coordinatori.
Dagli spalti iniziò una pioggia di luci colorate, destiate alle coordinatrici scelte dalla folla; il ciondolo sul collo della ragazza dai capelli violacei s’illuminò più di tutti: ella aveva vinto.
 
I cinque concorrenti scelti per passare alla fase successiva uscirono dal palco dall’entrata centrale tra i fischi e gli insulti della folla e degli altri concorrenti squalificati.
Jessilina rideva tra se e se e ancora nessuno sapeva come avesse fatto a vincere la simpatia di un pubblico che subito cinque minuti dopo le fischiava contro.
 
Ursula portò una mano sulla spalla di Jessilina e le sussurrò nell’orecchio: “Ottimo lavoro con quel dispositivo”. Al sentire quelle parole il membro del Team Rocket sotto copertura si girò di scatto e difensivamente rispose: “C-cosa intendi?”.
“Ero accanto a te quando hai attivato quella barra elettrica per attrarre le luci delle votazioni a te, ma tranquilla non lo dirò a nessuno” mormorò nuovamente Ursula, così da non farsi sentire da nessuno.
 
“Sai è bello vederti qua Jessilina, sei sempre stata una delle mie preferite, peccato che la gente non capisse il tuo stile unico...”
“Hai ragione! Ma questa volta tutti potranno amare la fantastica Jessilina!”
“Certo, puoi contare già sul mio supporto, insomma... se non ci si aiuta fra incomprese”
 
Ursula salutò Jessilina e la vide voltare l’angolo per andare ad incontrare i giornalisti che la stavano aspettando con trepidazione.
La ragazza dai capelli aranciati tirò un sospiro di sollievo e poté finalmente sciogliere le dita che aveva tenuto incrociate dietro la schiena; con un ghigno si gustava il fatto di poter iniziare a muovere le pedine come volesse lei.
 
Ursula non era nuova agli inganni, anzi, erano il suo poffin quotidiano. Sapeva distruggere la reputazione sociale di chi, per lei, era inferiore e sapeva giocare con la mente delle persone per costringerle a fare ciò che lei voleva.
I suoi occhi verdi non mentivano, scrutavano la preda con freddezza, la analizzavano per poi divorarla in un solo boccone.
 
La ragazza passò dal suo camerino e si cambiò finalmente d’abito. Accese la TV per sentire in sottofondo i programmi di dopo gara condotti da qualche mediocre opinionista.
Premiò Lilligant con un poffin speciale preparato apposta per lei, al sapore dolce.
 
Uscì dalla stanza indossando un mini abito aderente di Oddishquared2 in finta pelle nera con dettagli in scamosciato rosso e latex bianco che avvolgevano magnificamente la figura della donna.
Indossò i suoi occhiali da sole e si gettò nella folla di giornalisti e fotografi.
 

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Capitolo 20
*** CAP 20 ***


Ursula riuscì finalmente a rientrare nella sua stanza d’albergo. I tacchi la stavano uccidendo e non riusciva a tenere gli occhi aperti, così decise di cambiarsi, lavarsi la faccia e trasformarsi in Nate per la notte.
 
Il ragazzo uscì dal bagno con un discutibile pigiama in flanella color ceruleo e lo spazzolino ancora in bocca; ordinò un po’ i vestiti sporchi lasciati da Ursula per terra per poi tornare in bagno e sputare il dentifricio che aveva in bocca.
 
Tornò nella sala principale, guardò la finestra ed il posacenere lasciato sul balcone e decise di mandare al Giratina l’igiene dentale e di fumarsi un’altra sigaretta.
Non fu sorpreso di trovarsi lì sul balcone Alain che lo stava aspettando. “Non sei un tipo da porte, vero?” chiese con fare scherzoso Nate mentre si accendeva la sigaretta.
 
Alain, stupito dalla domanda insolita, titubò un po’ nella sua risposta per poi controbattere con: “Beh... sono solo venuto a farti i complimenti, cioè non a te... a Ursula”.
Nate guardò il suo interlocutore con uno sguardo tra la compassione e lo sdegno, “Ti ringrazio per il complimento... cosone” disse poi il ragazzo per fare il verso ad Ursula.
 
“Sei qui solo per questo? Non ti ha mandato Elisio per dirmi qualcosa?” chiese successivamente il fumatore per interrompere quel silenzio oramai diventato imbarazzante.
“No sono qui di mia spontanea volontà!” rispose Alain; “Sai... non abbiamo mai avuto un momento per parlare, insomma siamo sempre stati rivali e ci siamo sempre guardati male...” aggiunse poi il ragazzo.
Ma Nate lo fermò con un sonoro: “Cos’è vuoi essere mio amico ora?”.
 
“No.”
 
Alla risposta Alain afferrò con vigore le spalle di Nate, il ragazzo lo superava in altezza ed Alain fu costretto a mettersi sulle punte dei piedi per potergli dare un bacio.
“C-cosa fai?” chiese Nate ancora nella morsa del ragazzo. Lasciò la sigaretta cadergli per terra, si liberò dalla morsa del ragazzo e si diresse verso la portafinestra, tentando di chiudere Alain fuori ma lui lo fermò prima, entrando nella stanza.
Chiuse a chiave la porta e si gettò nuovamente a Nate per un secondo bacio, questa volta il ragazzo contraccambiò.
 
Nate non sapeva perché Alain lo stesse baciando con così tanta passione, non aveva mai manifestato questi sentimenti prima di allora e di certo la sua aria altezzosa non aiutava nel codificarlo.
Il ragazzo pensava ancora ad N, non aveva assimilato del tutto il rifiuto così secco da parte del ragazzo dalla chioma verde; ancora lo amava, ancora lo desiderava, ma lo vedeva come un traguardo troppo distante per lui. Alain, invece, era già lì con lui, in quella stanza d’albergo di second’ordine.
Così Nate si concedette ai piaceri della carne.
 
Possedere Alain su quel letto fece impazzire Nate: la stoffa così ruvida gli graffiava la pelle mentre il corpo dell’amante, così morbido e liscio, gli curava le ferite; creando un insieme di sofferenza e appagamento in lui.
Alain ansimava tra le coperte, afferrò un cuscino e lo strinse forte fra le mani, poi lo morse con ferocia mentre Nate lo dominava con ancora più forza di prima.
 
Gli urli di piacere di Alain si fecero più intensi e si mescolarono a quelli di Nate quando entrambi toccarono il piacere estremo. Nate si appoggiò al corpo nudo di Alain e gli mordicchio l’orecchio e il collo, lasciandoli dei lievi segni scuri.
Alain, allora, afferrò le spalle di Nate e lo portò più vicino al suo petto, per assaggiare ancora una volta quella carne.
 
Dopo un paio di minuti passati in quella posa statica, Alain si riprese e di fretta si rivestì.
“Non pensavo di piacerti” disse Nate ancora coricato sul letto.
Alain non rispose alla provocazione dell’altro, si limitò a vestirsi il più velocemente possibile e a lasciare quella stanza. Prima di chiudere la porta dietro di se, però, il ragazzo fissò Nate per un paio di secondi, con i suoi taglienti occhi di ghiaccio, e disse: “Scusami”.
 
Nate fissò l’amante andare via in sella al suo Charizard. Ancora non riusciva a credere alla situazione assurda nella quale si era cacciato.
Si appoggiò alla testiera del letto con la schiena e si accese l’ennesima sigaretta, ignorando il cartello “vietato fumare in stanza” appeso sulla parete.

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Capitolo 21
*** CAP 21 ***


“Su forza andiamo!”
Nate scese le scale dell’albergo fior di quattrini, l’ascensore era mal funzionante ed il ragazzo fu costretto a sciupare le sue scarpe in pelle di Ponytha per quattro piani di gradini in marmo color avorio.
I “tac-tac” delle calzature contrastavano con il pesante suono dei cinque facchini che, dietro di lui, si portavano in spalla quella mole impressionante di valigie.
 
Il gruppo arrivò nella hall dove due guardie del corpo di rosso vestite attendevano Nate; caricarono il ragazzo ed i suoi bagagli su di un capiente fuoristrada color ciclamino e partirono verso il porto più vicino, destinazione Sinnoh.
 
Scortato dalle guardie e da una seconda schiera di facchini, Nate riuscì a prendere la nave che l’avrebbe portato alla prossima tappa del Gran Festival.
L’entourage portò poi il ragazzo nella sua stanza, lo lasciarono solo con i propri bagagli e con un cesto di frutta esotica in omaggio sul comodino vicino al letto.
 
“Alola! Grazie per aver scelto di solcare i mari con noi!” recitava il biglietto sul cesto.
Nate rise tra se e se nel vedere l’incompetenza dello staff nel non leggere nemmeno i biglietti pre-impostati prima di metterli nei loro cesti omaggio.
Quel breve attimo di ilarità fece dimenticare per qualche secondo al ragazzo ciò che era successo con Alain la sera precedente. Aveva dormito pochissimo, attanagliato da quel vivido ricordo di quell’esperienza così surreale.
 
Nate, preso nuovamente nei suoi pensieri sull’accaduto, si scrollò la testa con forza e decise di mangiarsi una banana presa da quel cesto omaggio; l’ironia di quello spuntino strappò un nuovo sorriso al ragazzo.
Decise di far uscire dalle loro sfere-pokè tutti i suoi Pokemon, così che anche loro potessero deliziarsi di quei cibi esotici.
 
Nate decise poi, assieme a tutta la sua squadra, di fare un giro per la nave per ammazzare il tempo; il viaggio sarebbe durato almeno una notte ed il ragazzo non voleva di certo restare nella sua stanza ad annoiarsi.
Il Team Flare non disponeva di un budget abbastanza alto per l’abbigliamento da crociera, così il ragazzo fu costretto ad indossare dei pantaloncini cachi ed una camicia in lino di M&T; copri però quel tremendo abbinamento da grandi magazzini con un cardigan ceruleo appena appoggiato sulle spalle, marca Ralph&Loutred.
 
Frillish fu il primo a varcare la soglia di quella porta, con velocità si fece largo tra la gente e Nate tentava di stargli dietro come meglio poteva.
Il polipetto, finalmente, giunse sulla prua della nave e si gettò in mare, al Pokemon d’acqua mancava molto l’oceano. La paura iniziale del ragazzo, preso alla sprovvista dal Pokemon, si placò vedendo Frillish nuotare allegramente nelle onde del mare seguendo la nave.
 
Nate, col resto della sua squadra ancora asciutta, si godeva la vista del sole di mezzogiorno sulla punta dell’imbarcazione, ancora non riusciva a credere di essere riuscito a cambiare la sua vita così repentinamente. Ora si trovava sulla cresta dell’onda, sia in maniera figurata che letterale.
I suoi pensieri vennero, però, interrotti da una voce di ragazza e dal suo timido “Ciao”.
 
La ragazza dai capelli color della notte si presento: “Piacere, sono Lucinda!”
“Piacere Nate, sei un’amica di Ursula per caso?”
“Emh si, come fai a saperlo?”
“Immaginavo! Insomma siete entrambe due coordinatrici di Sinnoh, no?”
 
La ragazza si trovò nell’obbligo di porre la domanda: “Scusa ma... tu sei Ursula? Cioè sto parlando con una persona ma che è anche Ursula, e sto parlando di Ursula”
 
“Cavolo chic-issime queste epifore” risponde il ragazzo per spezzare il tono della conversazione. Lucinda lo guarda per un attimo e poi si lascia andare ad una sincera risata.
Nate allora, sentitosi in dovere nei confronti di un’amica di Ursula, le spiegò la sua situazione lasciandosi andare al consumare almeno una dozzina di sigarette.
Nel mentre i Pokemon dei due allenatori iniziarono a conoscersi, specialmente Lopunny prese molto in simpatia il Buneary della ragazza che, ammaliato dalla mossa attrazione, si faceva coccolare dalla coniglia su di una sdraio.
Nate ebbe modo di conoscere Lucinda, la riteneva una ragazza a modo, gentile, simpatica, forse un po’ troppo sempliciotta per i suoi gusti ma nel complesso godibile.
I due si salutarono con una formale, e alquanto inappropriata, stretta si mano seguita da due baci sulle guance l’uno dell’altro.
Lucinda stava per andare via quando si ricordò di chiedere a Nate una cosa: “Scusa che sbadata, tu questa sera hai da fare?”
“No perché?”
“Sai giù vicino al ristorante organizzano una serata Karaoke e mi chiedevo se volessi fare una serata fra donne” alla proposta Lucinda accompagnò anche un sorriso, si capiva che non aveva usato malizia in quella frase anche se aveva lasciato Nate perplesso.
 
“Certo!”
 

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Capitolo 22
*** CAP 22 ***


“No! Dannazione no!”
“Ursula è una tua amica dovresti essere gentile con lei”
“Sei tu che mi hai incastrato in questa situazione, io non lo volevo, sei stato tu! Tu brutto...”
“Brutto?”
“Dopo quello a cui ho assistito l’altra sera non ho più parole per descriverti”
“Ma brutta stronza”
“Ma brutto... non lo so se ci fosse un modo per darti della puttana ma al maschile lo userei, ma questa società maschilista fallocentrica non me lo permette”
“Ursula non iniziare con queste robe femministe che ci credi meno di me”
 
La conversazione fra Nate ed il suo riflesso allo specchio andò avanti a lungo, le due parti si scambiavano battutine taglienti che da lì a poco avrebbero rovinato quel pezzo di vetro a cui Nate parlava.
Ursula non era per nulla intenzionata ad andare a quell’uscita, la ragazza non era molto sociale, o socievole o simpatica, amava stare con se stessa, con l’unica persona che ella considerava meritevole della sua attenzione.
Così Nate decise di ripiegare su Rose per quella sera.
 
“Dovresti mettere quell’abito color pastello con le piume di Swanna” disse Zero all’orecchio del ragazzo; Nate accolse il consiglio ed andò a farsi una doccia per prepararsi alla serata.
 
 
 
“Sei una vergogna per questa famiglia, ti abbiamo dato tutto e tu ci ripaghi così? Sei morta per noi”
 
“Lucinda... io ti odio”
Ursula rimase immobile davanti all’uscio di casa sua, aveva una valigia in una mano e con l’altra tentava di trattenere le lacrime; il suo Gabite provava a consolarla strusciandosi con la testa sulla sua coscia ma senza risultati.
Il taxi arrivò a prenderla ed ella, con rammarico, partì.
 
I suoi genitori l’avevano cacciata via di casa dopo la sconfitta al Gran Festival. Non la ritenevano più meritevole di far parte della loro stirpe così decisero di mandarla in un monastero per poterla eliminare dal testamento, visto che una monaca non può possedere beni, e dalle loro vite.
 
La ragazza si sentiva anche fortunata della loro scelta, almeno non è stata “suicidata” come la figlia dei suoi vicini di casa l’anno precedente.
Con il suo Gabite sotto braccio, Ursula guardava quel quartiere scivolare via dai suoi occhi al ritmo di una fine pioggerellina primaverile, con la testa appoggiata al freddo finestrino osservava l’ambiente che una volta era stato la sua culla, la sua casa, ed ora ricordo.
 
Finito il malinconico monologo interiore, stile scena iniziale di “Nidorine interrotte”, la ragazza fu lasciata dal taxi davanti ad una fatiscente chiesa.
I mattoni in terracotta a malapena si reggevano su se stessi e l’intero edificio, dalle tinte borgogna, sembrava crollarle addosso da un momento all’altro.
Al centro di questa pericolante struttura si ergeva una vetrata fin troppo maestosa per l’edificio, con raffigurato Archeus, il Dio di tutti i Pokemon, mentre crea il mondo con un fascio di luce proveniente dalla sua testa.
 
Con un sospiro di amarezza Ursula bussò al portone dell’edificio, il fatto che la maniglia della porta le rimase attaccata in mano non le faceva presagire un ambiente accogliente.
 
Le aprì una suora che già sapeva del suo arrivo e la fece entrare nella struttura. La donna era molto chiacchierona e si dilungava fin troppo in sproloqui sul monastero, sulle altre suore e sulle mansioni giornaliere che dovevano compiere.
Ursula emise un secondo sospiro di amarezza misto a sconfitta mentre la suora le mostrava la via più rapida per raggiungere la mensa.

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Capitolo 23
*** CAP 23 ***


“Signorina Ursula ne vorrei ancora”
La ragazza sentì il richiamo ed accorse a curare il malato; si trovava nell’infermeria del monastero, o meglio, nella ex-mensa ora adibita a sala per il ricovero degli infetti.
Nessuna fra le suore sapeva cosa quelle persone avessero, era stato detto loro solo che non era contagioso e che ai malati serviva solo un po’ di riposo.
 
Gli ospiti del monastero avevano un aspetto orribile: presentavano delle enormi escrescenze butterate sul corpo, chi sulle gambe, chi sul corpo e chi sulla faccia. Molti di loro non potevano più muoversi ed avevano bisogno di cure costanti da parte delle monache, a tutte era stato riferito che la malattia sarebbe scomparsa entro un paio di settimane ma erano già passati due mesi ed il numero dei pazienti non accennava a diminuire.
 
“Signorina Ursula la prego mi giri, la piaga mi fa male”
Erano passati circa sei mesi dall’ingresso della ragazza nel monastero, in quel tempo ella era riuscita ad abituarsi alla vita semplice che le suore avevano; ogni giorno si svegliava all’alba per curare l’orto, poi una visita al templio, colazione, nuovamente al templio, si prendeva cura degli ammalati in infermeria, messa, cena, visita al templio e poi nuovamente nella sua stanza.
Molte ragazze lasciate lì dalle famiglie impazzivano dopo un mese con questa routine ma Ursula era riuscita perfettamente ad abituarsi; l’unica cosa che non andava giù alla ragazza era la tonaca, troppo larga e lunga, così decise di tagliarla appena sotto il ginocchio e con la stoffa in eccesso di crearsi una fusciacca da mettere in vita.
 
“Sorella Ursula la prego mi segua nell’altra stanza, ha visite”
Ursula seguì quella suora nella stanza vicino, la sala della messa, dove un signore l’attendeva sotto la grande vetrata di Archeus, che rifletteva le sue bellissime sfumature di colore sulla pavimentazione e sulla sagoma dello sconosciuto.
La monaca lasciò Ursula sola mentre le chiudeva alle spalle la porta, la ragazza, intimorita, fece un passo in avanti.
 
“Ciao! Tu devi essere Ursula, vero?” una voce di un uomo si fece sentire alle spalle della ragazza che si girò di scatto emettendo uno spaventato: “S-sì”
“Perfetto... Piacere! Mi chiamo Acromio e sono il ricercatore che sta studiando la malattia che affligge queste povere anime nel vostro monastero”
 
La ragazza guardò perplessa il suo interlocutore, non come segno di maleducazione, ma perché non capiva come mai quella figura cercasse lei.
“Mi hanno detto che è stata un membro molto attivo nell’aiutare questi, mi perdoni il termine, appestati e vorrei sapere se ha notato nulla di strano” continuò lui.
La ragazza scosse la testa in segno di negazione così l’uomo si avvicinò di un passo a lei.
 
Ursula, allora, indietreggiò di un passo; la camminata a passi alterni dei due terminò quando Ursula raggiunse con la schiena il muro.
“Scusi ma mi sono votata ad Archeus, non posso avere rapporti carnali” disse la ragazza con la voce strozzata.
Acromio le guardò il volto e lo sfiorò con il dorso della mano.
 
“Tu sei perfetta”
Alle parole dell’uomo una siringa penetrò nella carotide della ragazza secernendo nel suo sangue un tranquillante istantaneo.
L’uomo prese fra le sue braccia la ragazza svenuta e la caricò, aiutato da altri due uomini in camice bianco, sul sedile posteriore della sua auto.
 
Il Gabite della ragazza, in un gesto estremo per salvare l’allenatrice, morse la gamba del ricercatore costringendolo ad estrarre una seconda siringa dal revers della sua giacca e a annientare anche il Pokemon.
 
Ursula, in un attimo di lucidità, riuscì ad aprire gli occhi e ad avere una visione chiara di dove si stesse trovando, purtroppo, la ragazza era troppo stanca per tenere gli occhi aperti.
Con l’ultimo sforzo di energia emise un suono dalla bocca, flebile e quasi incomprensibile.
 
“G-Gabite...”
 
 
 
Nate uscì dalla doccia, rimase in accappatoio e si distese sul letto di quella stanza. Si guardò attorno annoiato così decise di prendere un vecchio libro che si portava sempre dietro ma che non aveva mai voglia di leggere: “I protocolli dei savi di Sinnoh”.
 
Passo il pomeriggio immerso nella saggistica complottistica e né uscì più che sconvolto; sul suo volto era palpabile il senso di angoscia che solo 250 pagine di teorie antiarcheussiane possono dare.
Decise così di liberarsi la mente rivestendosi di una vestaglia color prugna e di ordinare la cena tramite il servizio in camera, quella sera servivano tartare di polpa di Clouncher.
 
Il ragazzo né mangiò a sufficienza per sentirsi sazio ma non troppo gonfio, sensazione che egli personalmente odiava.
Arrivarono le nove e in fretta si cambiò in Rose.
 
La ragazza vestiva un magnifico abito Haute Couture di Chanseynel della stagione futura; le copriva finemente il seno tramite due triangoli color oliva pastello finemente imperlinati, erano fermati in vita da una vistosa cintura argentea che esplodeva poi fino ai polpacci in strati di finissimo voile che le coprivano dolcemente le gambe. Il tutto era decorato sui bordi da piume di Swanna, le migliori e più ricercate sul mercato.
Ai piedi calzava delle Mandibuzz Blanik argento come la cinta, fermate sulla caviglia da un giro di perle che s’intonava perfettamente alla collana che le cingeva il collo.
 
I capelli erano costretti in uno stretto chignon alto fermato da una rete in seta di Ariados sulla testa della ragazza.
Rose, finita di fermare l’ultima forcina sulla crocchia, era pronta ad uscire. Prese con sé anche la sua clutch coordinata con dentro due Pokèball, un pacchetto di sigarette nuovo ed un paio di banconote.
 
La ragazza era in un ritardo spaventoso quella sera.

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Capitolo 24
*** CAP 24 ***


“Vuoi sapere cos’è lui?”
“S-sì”
“Stai attento a cosa desideri, Alain”
 
 
Rose si presentò all’entrata della sala principale della nave, guardò l’orologio posto all’interno del polso, la ragazza era in ritardo di almeno mezz’ora.
Esitando per qualche istante, entrò nella sala e si trovò al bancone Lucinda ed  un’altra ragazza che l’attendevano, o meglio, aspettavano Ursula.
 
Con un cenno Rose salutò Lucinda e la ragazza che, stupite dalla visione dell’estranea, salutarono educatamente a loro volta.
“Scusate il ritardo” disse Rose iniziando la conversazione. “N-non ti preoccupare, pensavamo solo venisse Ursula” replicò senza peli di Purugly sulla lingua Lucinda.
 
Rose s’inventò una scusa sul momento e disse che Ursula non si sentiva tanto bene, lasciando il tutto un po’ sul vago.
Finito il tempo delle giustificazioni, l’estranea si presentò a Rose: “Piacere, sono Zoey un’amica di Lucinda e Ursula”. Inoltre, la ragazza dal taglio mascolino raccontò che era andata a vedere la sua amica Lucinda esibirsi a Kalos e poi, per puro caso, si erano trovate sulla stessa nave; Rose non poteva essere più annoiata dalla storia.
 
Era uno di quei pochi momenti in qui la ragazza si sentiva davvero a disagio e fuori-posto, non tanto perché quella sottospecie di P!nk tarocca le stesse parlando, ma perché la ragazza vestiva haute couture ad una serata dove tutti i presenti indossavano abiti “normali”.
Rose non era nuova ad essere quella meglio vestita della sala ma quel gap di stile troppo elevato la faceva sentire quasi seccata, per lei non c’era competizione, era come sfidare uno Shuckle sui cento metri.
 
Il trio ordinò da bere, fu Zoey e chiamare la barista.
“Scusa io ti prendo una birra scura, un vino rosé per lei [indicando Lucinda] e tu Rose?”
“Per me un Dirty Martini, con molto dirty però questa volta” disse la ragazza finendo la frase con un occhiolino ironico alla bar-woman.
La barista si sporcò il sorriso con dell’imbarazzo difficile da nascondere e si dileguò dall’altro lato del bancone per evadere da quella situazione.
 
Vedendo il disagio dell’estranea, fu Zoey a rompere il ghiaccio e ad iniziare una conversazione sulle gare Pokemon, una di quelle chiacchierate di cortesia ma comunque utile in una situazione del genere.
Zoey raccontò a Rose come vinse il gran festival di Sinnoh e la pancia della ragazza brontolò per tutta la storia, sintomo che Ursula stava scalpitando dalla rabbia al solo sentire le parole della sua ex-rivale.
 
Il trio uscì per fumarsi una sigaretta, non che nel locale non si potesse fumare, ma era una buona scusa per Rose per respirare del tabacco nel mentre di quella chiacchierata, le serviva.
La generosità di Zoey le fece comporre una delle sue sigarette fatte da cartine biologiche e tabacco kilometro zero anche per Rose; dopo circa un minuto la ragazza, che vestiva un blazer scuro vintage da uomo con le maniche tirate su fino ai gomiti ed una t-shirt over-size bianca sotto, porse la sigaretta alla sua interlocutrice e gliela accese con la mano sinistra.
“Mi stai per caso dando della Illumise?” disse Rose dopo essersi fatta accendere la sigaretta.
Zoey si lasciò andare ad una sincera risata che la portò a tossire un paio di volte per colpa del fumo.
 
“Ragazze tra quindici minuti inizia il karaoke, dobbiamo andare a prenotarci!” interruppe Lucinda dopo aver visto l’orologio. Le due incaricarono la ragazza dai capelli blu di prenotare due canzoni anche per loro, così da poter finire la sigaretta tranquillamente per poi entrare a cantare.
 
“Scusa posso farti una domanda?” chiese Rose dopo che Lucinda se ne fosse andata.
Zoey rispose di sì incuriosita.
“Sei per caso lesbica?”
 
Zoey si lasciò andare ad una seconda risata sempre interrotta dalla tosse.
“Sei la prima che me lo chiede, di solito o è troppo ovvio o la gente non vuole essere indiscreta”
“Beh, per me era abbastanza ovvio e so essere molto discreta quanto voglio” controbatté Rose dopo un tiro di sigaretta.
“Ah si? E quanto discreta potresti essere?” chiese Zoey avvicinandosi impunemente alla ragazza che sì e no la superava di almeno venti centimetri.
 
 

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