Aliens vs Boyka 2: Gynoid

di Lucius Etruscus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** LE FONTI ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Gennaio 2231
Astronave USS Verloc

Il silenzio del deposito era inframmezzato da rumori secchi improvvisi ed esplosivi. Mentre Dunja procedeva lentamente, sorseggiando il suo tè, si divertiva a sentire quel suono inedito per la nave. «Inizi così tutte le mattine?»

La domanda non ebbe risposta ma non ne aspettava una. La donna si sedette su una cassa da imballaggio e continuò a sorseggiare il suo tè, mentre fissava il corpo muscoloso e madido di sudore di Boyka che prendeva a pugni un sacco legato ad una sbarra: c’era da chiedersi se il contenuto di quel sacco, probabilmente trovato in giro nel magazzino, avrebbe sopportato quel trattamento.

Il lottatore sferrava tecniche di varia complessità calibrando la respirazione e il ritmo, era un mix di combinazioni che aveva perfezionato durante i lunghi anni in cui era vissuto nel carcere di Gorgon: ogni briciolo di energia andava calcolato e mai sprecato, ma bisognava allenarsi ogni giorno per non perdere smalto. Il trucco era trovare il giusto equilibrio per allenare muscoli e fiato con il minor dispendio di energie.

«Abbiamo una palestra specializzata», continuò Dunja nel tentativo di attirare su di sé l’attenzione dell’uomo. «Poi te la mostro, così potrai allenarti con una strumentazione più complessa di un sacco sospeso.»

Boyka non diede segno di aver ascoltato e continuò le sue combinazioni. Pugni e gambe in tecniche incrociate, alternando esplosività a potenza per addestrare principalmente il fiato: non conta quanto forte colpisci, conta quanto tempo impieghi a riprender fiato e colpire di nuovo.

Dunja si mise l’anima in pace e non cercò più di parlare all’uomo, ma rimase a fissarlo per tutta la durata dell’allenamento. Un calcio circolare che mandò il sacco dall’altra parte del magazzino fu il chiaro segnale che la sessione mattutina era finita. Boyka finalmente guardò la donna, ansimando per il fiatone. «Non hai nulla da fare, la mattina?»

Dunja sorrise. «Certo, ma guardarti picchiare degli oggetti è molto più divertente.» Rise mentre l’uomo riprendeva fiato. «Hai un fiatone che non mi aspettavo, da un atleta come te: sei fuori forma?»

Boyka rimaneva immobile, con le mani ai fianchi, recuperando energie. «Negli allenamenti porto il mio fiato al limite, così so sempre quanto posso resistere in un incontro vero. Hai altre domande?»

Dunja si alzò, sempre sorridendo. «Ho capito, sei uno dei quegli uomini che la mattina sono intrattabili. Per tua fortuna io invece sono sempre amabile, così non bado alla tua insubordinazione: sai che potrei metterti agli arresti?»

Finalmente Boyka la guardò abbozzando un sorriso. «Ti ringrazio, l’immagine dei tuoi soldatini che cercano di obbligarmi a fare qualcosa è così ridicola che mi ha ridato il buonumore.»

L’uomo afferrò uno straccio e se lo passò sul torace per detergere un po’ di sudore. «Ti stai davvero pulendo con quella schifezza?», chiese Dunja allibita. «Sei il preferito della comandante della nave e ti comporti come un barbone.» Boyka la fissò, cercando di capire quanto stesse scherzando. Dunja scoppiò a ridere e continuò. «In tutta la mia carriera militare sono stata su navi i cui capitani si portavano a letto le donne di grado inferiore: ora che finalmente ho una mia nave, voglio la mia fetta di torta.»

«Tu non hai una nave», specificò ghignando Boyka, continuando a pulirsi con lo straccio. «Tu hai rubato una nave, e io non sono di grado inferiore semplicemente perché non ho alcun grado.»

«Nessun grado è meno di un grado: io ho un grado, quindi sono superiore a te che non ne hai, dico bene?» Dunja si avvicinò a Boyka e gli prese dolcemente lo straccio dalle mani. «Posso?» mormorò mentre lentamente girò intorno all’uomo e iniziò ad asciugargli la schiena. «Immagino che in carcere nessuno ti aiutasse ad asciugarti la schiena.»

«Al contrario», rispose seccamente il lottatore. «Lo facevano le mie puttane.»

Un silenzio gelido cadde all’improvviso tra i due. Dunja si era immobilizzata e lasciò cadere lo straccio in terra. Passarono degli eterni secondi. «Tra 25 minuti c’è una riunione in plancia, a cui sei tenuto a partecipare con un abbigliamento consono.» Iniziò a muoversi, sorpassandolo senza incrociare i suoi occhi. «Nella tua stanza troverai una divisa pulita: deve avercela messa qualche puttana.»

Dunja attraversò il magazzino con passo militare e in poche falcate ne uscì.

~

«Quel tizio è un pazzo, non possiamo fidarci di lui.» La voce di Dimitri risuonava nella sala riunioni e dalle teste che annuivano era chiaro che fosse condivisa. Aver deciso di non uccidere Dunja ed anzi averla aiutata a spodestare il generale Rykov gli aveva fatto guadagnare i favori della nuova comandante della Verloc: da soldato semplice ora tutti chiamavano Dimitri sergente, anche se era più un titolo onorifico che un reale grado militare.

«Lo so, la fama del dottor Lichtner parla chiaro», rispose Dunja, seduta composta a capo della grande tavola che riuniva i graduati dell’equipaggio, «ma è la nostra opzione migliore. Le sue armi sono spettacolari e ambite: non tutti possono permettersele e noi abbiamo una carta vincente da giocare. Io dico di approfittarne.»

Quando Boyka entrò nella sala tutti si voltarono di scatto a fissarlo, stupiti. Più che la sorpresa di veder partecipare un civile – per di più un avanzo di galera – fu vederlo indossare la divisa che faceva una strana impressione. L’uomo era visibilmente infastidito dall’indossare quel capo di fattura militare e camminava scompostamente. Quando si rese conto che non c’era una sedia libera rimase fermo a guardare Dunja.

«Quando dico che una riunione è tra 25 minuti, non sparo cifre a caso», disse la donna senza guardarlo. «Per questa volta chiudo un occhio perché sei un civile e non sei abituato a queste usanze, ma la puntualità è un concetto su cui non transigo.» Indicò una parte della stanza. «Lì dovrebbero esserci delle sedie.»

«Vieni, ti aiuto», disse Dimitri alzandosi.

«Si sieda, sergente!» tuonò Dunja. «Boyka ha affrontato da solo un esercito di alieni e ha cavalcato una Regina: è perfettamente in grado di prendersi da solo una sedia.»

Più di uno dei presenti rabbrividì: che il maggiore fosse più feroce del generale Rykov?

Senza far trapelare alcuna emozione, anzi con sul volto un’espressione di indifferenza, Boyka scelse una sedia a caso e si sedette in un punto qualsiasi: era ridicolo vederlo in abiti sformati e seduto come un bambino in punizione, ma bastava paragonare quella situazione al carcere duro in cui era vissuto fino a qualche tempo prima per capire quanto poco gli importasse il tutto.

«So che fare affari con il dottor Lichtner non è sicuro», riprese Dunja, «ma ricordate che in tutto l’universo esiste solamente un suo nemico che non è riuscito a distruggere: Rykov, che ora riposa nel sonno criogenico in cui l’abbiamo costretto. Presentandoci a Lichtner con Rykov in un pacchetto regalo diventeremmo i suoi migliori amici. In questo ambiente conta la potenza di fuoco, e noi siamo troppo pochi per poter rimanere sul mercato: con le armi di Lichtner diventeremmo invece i re dei mercenari.»

Nessuno interveniva, erano tutti occupati a cercar di digerire l’idea di fare affari con un noto folle. D’un tratto si sentì una voce: «Qual è l’alternativa?» Tutti si voltarono di scatto a fissare Boyka, che aveva posto la domanda. «Lo so, lo so, sono un civile, non devo intervenire e bla bla bla. Però sono stato invitato e quindi ho una domanda da fare: qual è l’alternativa a stringere alleanza con il pazzo di cui state parlando?»

Di getto tutti si voltarono verso Dunja, in attesa che il maggiore redarguisse l’ospite... invece la donna allargò le braccia. «Mi sembra una domanda sensata: qual è l’alternativa? Tornare dalla Weyland-Yutani e chiedere scusa per aver spodestato un suo generale? Lo sapevano tutti che Rykov era una scheggia impazzita e nessuno ci ha mai chiesto di rispettare i doveri militari: abbiamo fatto il nostro porco comodo perché Rykov era intoccabile. Ora che gli abbiamo sottratto il potere la Compagnia potrebbe benissimo schiacciarci, sparpagliandoci tutti in chissà quali plotoni sparsi nell’universo. Ve la sentite di rischiare?»

Tutti si guardavano perplessi, e Boyka prese di nuovo la parola. «Io non conosco la vita militare, né so chi sia questo dottore di cui parlate, ma sono cresciuto in galera, e lì se hai qualcosa di valore non lo vai a condividere con uno bravo, ma con il più infame di tutti: il bravo lo puoi gestire in ogni caso, l’infame no.»

Dunja si schiarì la voce. «Grazie per la tua filosofia da galera, forse l’esempio non è calzante perché la Compagnia non è certo il “bravo” della situazione, ma capisco il concetto: il dottor Lichtner è sicuramente più pericoloso, quindi è meglio farsi amico lui. Comunque qui non si parla di amicizia, non dobbiamo andare a trovarlo la domenica per un tè: dobbiamo solamente garantirci la sua fornitura di armi che ci permetterebbe di essere i migliori in questo ambiente. La Weyland-Yutani rispetta la forza e può solamente sognare ciò che Lictner crea: ripeto, non dobbiamo sprecare l’opportunità di giocare questa carta.»

Teste che annuirono fu il segnale che la riunione era finita, non rimaneva da sbrigare alcune incombenze tecniche che annoiarono a morte Boyka. Era questo il suo futuro?, si chiedeva l’uomo. Fare il pupazzo malvestito di una soldatessa ebbra di potere? Domande inutili: non aveva alcun controllo sugli eventi quindi non serviva a nulla fare piani o bilanci. Era tutto più rilassante che vivere nel carcere di Gorgon, quindi non rimaneva che godersela.

Quando tutti si alzarono e tornarono alle proprie mansioni, Dimitri si avvicinò a Boyka. «Divertenti le riunioni, eh?»

Il lottatore rispose al suo sorriso. «Io non ho niente da fare, che mi importa? Un soldato come te invece mi stupisce che accetti di fare lo scalda-sedia.»

Dimitri scosse le spalle. «Non si può sempre sparare. Anche tu, non è che combatti sempre.»

In quel momento passò Dunja con passo deciso, marziale, e occhi fissi verso la porta da cui sarebbe uscita di lì a qualche istante. «Possiamo parlare?» chiese Boyka alzandosi in fretta ma reso goffo dal vestito.

Con un distratto «No» pronunciato velocemente, ed uscendo altrettanto velocemente, Dunja mostrò tutto il suo freddo disappunto.

Boyka si voltò verso Dimitri. «A me sembra invece che c’è sempre da combattere: ma con le parole non ho la minima speranza di vincere.»

Dimitri lo prese per le spalle. «Vieni, ti porto in magazzino dove abbiamo altre divise: magari ne troviamo una della tua taglia.» Dopo aver iniziato a camminare, il soldato continuò. «Non so cosa sia successo fra te e il maggiore ma la tensione si tagliava con l’accetta, e questo mi ricorda una frase che mi diceva mia madre: “Non esiste furia all’inferno come una donna umiliata”.»

Boyka continuava a seguire l’uomo senza guardarlo negli occhi. «Per tanto tempo sono stato io la furia all’inferno», rispose senza tono. «Se ora vuole farla lei... si accomodi pure.»

~

La navetta lasciò l’astronave per raggiungere l’orbita del pianeta del dottor Lichtner. Boyka sedeva in fondo ad una fila di soldati, vestito in modo più dignitoso ma intento a far nulla se non guardare fisso davanti a sé. Era stato chiamato all’ultimo secondo e non aveva assistito alle operazioni di carico: non sapeva che la enorme cassa accanto a lui conteneva il corpo di un uomo in sonno criogenico. Il corpo di Rykov pronto ad essere ceduto al suo peggior nemico.

Nella cabina di comando Dimitri fece segno a Dunja. «Posso parlare liberamente, maggiore?»

«Sai che puoi», rispose sorridendo la donna.

«Perché portarci appresso Boyka? Non è un soldato e sappiamo tutti che la diplomazia non è il suo forte: perché lo ha voluto con noi, maggiore?»

La vera domanda era nell’aria, non c’era bisogno di esprimerla. «Non posso separarmene... che già mi manca», disse Duja abbassando gli occhi.

Dimitri avvampò di vergogna e cominciò a balbettare. «Maggiore, io... io non volevo... cioè...»

Dunja rialzò la testa scoppiando in una risata. «Io... io...» finse di balbettare per prendere in giro il sergente. «Dovresti vedere la tua faccia, Dimitri», e rise ancora. «Boyka sprigiona violenza da ogni poro e Lichtner rispetta la violenza. Diremo che è la mia guardia del corpo personale e ovviamente il dottore non ci crederà, ma è proprio quello che voglio: deve sospettare che siamo più forti di quello che sembriamo, così ci rispetterà di più. E poi...»

«E poi?», chiese flebilmente Dimitri.

«E se poi Lichtner ci chiede un sacrificio umano... parrebbe brutto presentarsi a mani vuote!»

Risero entrambi.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Avamposto di ricerca scientifica Adullam

«Benvenuti su Adullam», li accolse la voce flautata di una ragazza.

La navetta da trasporto della USS Verloc era atterrata nel punto prestabilito, in una radura nei pressi della città fortificata del dottor Lichtner, un posto isolato dove il velivolo sarebbe stato al sicuro in attesa del ritorno del maggiore. Dunja e pochi uomini sarebbero entrati in città mentre gli altri Colonial Marines avrebbero aspettato fuori: era la procedura standard.

La ragazza che li aveva accolti appena sbarcati indicò loro un veicolo. «Seguitemi, vi porterò dal dottor Lichtner.» Dunja e Boyka salirono a bordo.

Dimitri era impallidito quando aveva scoperto che solamente il maggiore e il lottatore sarebbero entrati nella città fortificata, ma Dunja fu inamovibile: voleva che il sergente rimanesse a guardia della navetta, con la cassa che conteneva Rykov in sonno criogenico e che organizzasse i soldati in caso di necessità. Non aveva senso andare in tanti da Lichtner, per prendere gli accordi del caso bastava lei e la sua “guardia del corpo”. Boyka non aveva commentato quella sua nuova mansione.

Entrati nell’ampio veicolo, Dunja commentò soddisfatta. «Che lusso: il dottor Lichtner è sempre così accogliente con gli ospiti?»

La ragazza sorrise in modo strano, quasi se l’espressione degli occhi non corrispondesse a quella della bocca. «Non capita spesso che vengano ospiti, qui su Adullam, quindi al dottore piace fare le cose in grande quando alcuno di così importante lo viene a trovare.»

Dunja chinò leggermente il capo in segno di ringraziamento. «Troppo buona, noi non siamo affatto così importanti.»

I complimenti andarono avanti ancora un po’, finché la ragazza non cedette alla curiosità. «È sempre così serio il suo soldato?»

Dunja si voltò a guardare divertita l’espressione immobile di Boyka. «L’ho scelto apposta così: una guardia del corpo non deve essere un chiacchierone né un simpaticone. Mi basta che faccia il suo lavoro e stia al suo posto.» Il lottatore non mosse un muscolo in risposta.

Il viaggio fu breve e il veicolo entrò nella città fortificata. All’interno piante rigogliose e piccole case basse sembravano stonare con il resto del piccolo pianeta, semidesertico. «Il dottore ha fondato una splendida città», disse Dunja guardandosi in giro.

La ragazza sorrise. «Il dottore ha cura di tutto ciò che gli è caro. Non gli capita spesso di mostrarlo a degli ospiti esterni quindi sarà felicissimo del vostro arrivo. Eccolo che arriva.»

Scesi dalla macchina, Dunja e Boyka si voltarono vedendo arrivare uno strano veicolo che trasportava, apparentemente a fatica, un uomo obeso scortato da giovani ragazze. «Benvenuti, amici miei», esultò l’uomo appena fu vicino agli ospiti, allargando le braccia in un gesto ampio.

«È un piacere conoscerla dal vivo, dottor Lichtner», esordì Dunja. «Ho sentito molto parlare di lei.»

«Per carità, tutte illazioni!» rispose il dottore esplodendo in una risata grassa. «Spero non crederà alle voci, sono solo invidiosi del piccolo paradiso che mi sono costruito.»

Il maggiore si inchinò a stringere la mano grassoccia e molliccia che Lichtner gli porgeva rimanendo seduto sul suo trabiccolo: probabilmente l’uomo non era più in grado di trasportare il suo peso con le sole gambe. «Sono perfettamente d’accordo con lei», rispose amabilmente Dunja.

«E chi è questo baldo giovane che si è portata appresso?» chiese il dottore guardando Boyka, che non accennava a muoversi.

«Saluta il dottore», lo redarguì Dunja, al che Boyka strinse anche lui la mano dell’uomo. «Lo scusi, è un buzzurro che non è abituato a stare tra le persone civili. Ma è un’ottima guardia del corpo: il giorno che riuscirò ad educarlo sarà davvero perfetto.»

Lichtner fissò Boyka continuando a sorridere. «Guardia del corpo, eh?» disse quasi sovrappensiero. Poi tornò a guardare la donna. «Educare e rendere civili sono le costanti del mio lavoro, lo sa?» Dunja annuì sebbene non capisse. «L’universo è caos puro, ed è compito di pochi saggi illuminati dargli forma. Educare significa sconfiggere il caos. Si guardi in giro», e agitò le mani a mostrare lo splendore della sua città. «Adullam era un pianetino a mala pena segnato nelle carte spaziali, ma io ho “educato” ogni sua parte per creare il mio paradiso.»

Dunja continuava ad annuire ma non vedeva l’ora finisse quell’inutile sproloquio. «Ha fatto un lavoro eccellente, dottore», buttò lì nella speranza fosse finita la solfa.

«Avremo modo di parlare meglio più tardi», esordì il dottore e fece un gesto alle ragazze che lo seguivano. «Accompagnate i nostri ospiti nella loro stanza.» Tornò a guardare Dunja. «Vi lascio riposare dal viaggio: sarete miei graditissimi ospiti stasera a cena. Se volete potete anche invitare gli altri soldati: mi piange il cuore a pensare ai vostri uomini che passeranno il tempo chiusi in quella piccola astronave.»

Poteva sembrare un gesto di cortesia, ma non lo era. Dunja nascose un brivido: quella sembrava dannatamente una minaccia, come a dire che quei Colonial Marines non avrebbero potuto difenderla in alcun modo. «La ringrazio dell’offerta, è davvero gentile, ma sono soldati: sono abituati a situazioni peggiori.»

Il sorriso sul volto del dottore era sempre raggiante. «Come preferisce. A dopo, maggiore», e se ne andò mentre la ragazza che li aveva accompagnati indicò loro di seguirla.

Quando si trovò davanti ad un solo alloggio, Dunja gettò un rapido sguardo a Boyka: o il dottore dava per scontato sarebbe arrivata da sola... o dava per scontato che avrebbe diviso la stanza con la sua guardia del corpo. In entrambi i casi il maggiore non se la sentì di chiedere una stanza a parte per Boyka, ma si limitò a stringere la mano alla ragazza che li aveva accompagnati. «Lei è stata così gentile con me e non so neanche il suo nome.»

La ragazza sorrise nel suo modo strano. «Mi chiamo Olimpia e mi curerò di voi durante la vostra permanenza.» E se ne andò con una rapidità inaspettata.

~

Boyka si affacciò alla finestra e rimase lì immobile, mentre Dunja si sdraiava sul letto. «Quella ragazza ha il sorriso più falso che abbia mai visto... Oh, chissà se ci sono microfoni nascosti.» Si guardò distrattamente in giro. «Scherzavo, è una ragazza fantastica», disse ad alta voce, sorridendo.

Tornò a sdraiarsi e a fissare il soffitto, finché alla fine cedette. «Non hai proprio niente da dire?» La domanda rimase sospesa nell’aria per un po’.

Boyka non si voltò dalla finestra ma parlò con tono appassionato. «Sono cresciuto in un carcere, è la prima città che vedo in vita mia... Ma non dovrebbe esserci gente in giro? Siamo in pieno giorno e non ho sentito un solo rumore. Perché poi quel grassone è circondato solo da ragazze giovani?»

«Non è difficile da immaginare», rispose Dunja sempre fissando il soffitto. «Ai maschi potenti piace avere carne fresca al proprio fianco, e nessuno li giudica male per questo...»

Il silenzio tra i due era denso, finché Boyka lo spezzò. «Scoparsi ragazze è diverso che presentarle agli ospiti: avevano tutto l’aspetto di guardie del corpo e questo è ridicolo. Erano così giovani e magre che con un solo schiaffo le avrei potute uccidere tutte.»

«Lichtner non riceve molti ospiti, l’hai sentito, quindi non è abituato ad avere guardie del corpo. Quelle saranno le sue ancelle e con quelle si è presentato. Non mi sembra qualcosa di strano. Anch’io mi sono presentata con una guardia del corpo che non lo è affatto...»

«Non mi piace, c’è qualcosa di sbagliato in questo posto. E qualcosa di sbagliato in quelle ragazze. Camminavano come... come...»

«Non ti facevo così attento ai particolari, addirittura hai notato come camminavano? A me sembrava che camminassero come chiunque altro.»

«Un lottatore è abituato ad analizzare chi gli sta davanti nel minor tempo possibile: io sono un campione, quindi non importa se chi mi sta davanti è un amico o un nemico. Io studio tutti, mi viene automatico.»

«Dimenticavo la tua grande umiltà», sorrise Dunja. «E allora, campione, cos’hai notato nella camminata di quelle ragazze?»

Boyka stavolta si voltò a guardare la donna. «Non so spiegarlo in altro modo, ma... camminavano come combattenti, come chi sa di essere più forte di tutti e non si preoccupa di nasconderlo. Camminavano come me... e questo non mi piace.»

Dunja incrociò il suo sguardo solo per un secondo, poi si alzò dal letto e cominciò a svestirsi. «Quelle quattro ossa con un po’ di pelle sono tutto tranne che combattenti: magari camminavano storte perché non mangiano da giorni, per essere così magre. Io ora mi faccio una doccia, e dopo dovresti farla anche tu: non mi va che la mia guardia del corpo puzzi di sudore.»

Boyka guardava impassibile la donna che si spogliava. «Quindi è ufficiale? Ora sono la tua guardia del corpo?»

Dunja aspettò a rispondere finché non si fu sfilato l’ultimo vestito. Si portò poi le mani ai fianchi e rimase così, spavaldamente nuda davanti a Boyka, a mostrargli il suo corpo muscoloso da soldatessa. «A quanto pare non posso farci altro, con te, perciò sì: ora sei la mia guardia del corpo. Ti devo la vita e non lo dimentico, quindi se ti viene in mente qualche altra mansione che ti piaccia di più non hai che da dirmelo.» La donna afferrò uno degli asciugamani lasciati in vista e se lo mise su una spalla. «Allora, non hai altro da dire?»

Boyka non le aveva mai tolto gli occhi di dosso, pur non lasciando trasparire ciò che pensava. «Sono la tua guardia del corpo, quindi mi limito a guardarti il corpo...»

Dunja sorrise stizzita ed entrò in doccia.

~

La cena con Lichtner fu più noiosa del previsto. Il dottore parlò e parlò delle sue idee sul caos e l’educazione, raccontò di come aveva tirato su la città dal deserto e di mille altri argomenti tutt’altro che interessanti. Dunja sorrideva ed annuiva, e lanciava complimenti a caso. Boyka fingeva di essere distratto ma in realtà studiava ogni angolo della sala e soprattutto ogni persona al suo interno.

A Dunja non era sfuggito che tra i vari ospiti non c’era un solo uomo: la tavola del dottor Lichtner era frequentata da sole donne giovani. «Lei è un uomo che non si fa mancare nulla, dottore», si lasciò andare ad un certo punto.

Il dottore rise. «È per le mie ragazze? Le assicuro che non è come sembra.»

Dunja agitò una mano. «Non deve fraintendermi, so come vanno le cose...»

«Mi fa piacere invece spiegarle», la interruppe il dottore. «Mi capita così di rado di vantarmi della mia opera che le chiedo di lasciarmi questa soddisfazione.»

Il maggiore non capì bene di quale opera si trattasse ma fece segno di continuare.

«Tutti sanno che le mie armi sono le migliori in circolazione, ma quella è un’attività che porto avanti per mero interesse economico. Io ambisco all’arma più perfetta: l’umanità.» Seguì qualche istante di silenzio d’effetto. «Siamo tutti umani, maggiore, ma cosa distingue lei da una donna qualsiasi? La disciplina, l’ordine militare che fa di lei una fiera combattente. Più cresce il livello di ordine più si raggiunge la perfezione: di questo sono fermamente convinto. Ma è noto che gli esseri umani si ribellano a qualsiasi tipo di ordine, così li ho abbandonati per provare qualcosa di diverso: provare a costruire umani che ambissero alla perfezione.»

Dunja deglutì più forte del previsto. «Costruire, dice?»

Lichtner fece un segno ad una ragazza, che si avvicinò. «Questa è Olimpia, la ragazza che vi ha accolti: avete notato qualcosa di diverso in lei?» Dopo un attimo di gelo Dunja fece segno di no, una palese bugia. «È invece il frutto del mio interesse nella robotica umana. So che la Weyland-Yutani ha il monopolio delle “persone sintetiche” ma ho voluto cimentarmi anch’io: Olimpia infatti non è umana, è una ginoide. È una macchina “a forma di donna”.»

La ragazza continuava a sorridere, mentre Dunja e Boyka la guardavano allibiti. «È una sintetica?» chiese il maggiore.

«Preferisco ginoide», rispose Olimpia. «Non sono stata concepita bensì creata, ma al di là di questo sono cresciuta come qualsiasi altra ragazza: sono umana esattamente come voi.»

Mentre la ragazza sfoggiava il suo falso sorriso, Lichtner allargò le braccia. «Vedete? È convinta di essere cresciuta e di essere in tutto simile ad una donna umana. Anche se ora sta ascoltando quello che dico, anche se ora ribadisco che è solo una macchina a forma di donna, il suo software le continuerà a generare il falso ricordo di essere cresciuta. Di essere viva. L’alternativa, è triste dirlo, è stata una macchina priva di qualsiasi utilizzo, che ho dovuto smantellare. Olimpia, proprio perché convinta di essere simile ad una umana, è una macchina più utile. Ma... lo stesso non era quello che cercavo.»

Dunja aveva lo stimolo di girarsi a guardare Boyka, come a dire “lo senti quanto è folle quest’uomo?”, ma non poteva farlo: Lichtner continuava a fissarla, infiammato.

«Così ho proseguito le mie ricerche sul controllo e sull’educazione. Mi sono detto che la vita biologica ha qualcosa di impossibile da ricreare: non posso costruire la perfezione... devo limitarmi ad educare quella già esistente. E cosa c’è di perfetto già esistente in natura?»

Dopo un silenzio imbarazzato Dunja rispose a caso: «L’essere umano?»

Lichtner scoppiò in una risata. «Per carità, no. Ma aspetti, le parole non possono spiegare in pieno la potenza della mia opera: posso chiederle un favore, maggiore?» Dunja annuì titubante. «Può chiamare per radio i suoi uomini e chiedere loro di non reagire, qualsiasi cosa avverrà nel giro di qualche minuto?»

Dunja represse un brivido. «Che cosa ha in mente, dottore? Non capisco...»

«Le chiedo un atto di fede, maggiore. Ho le migliori intenzioni del mondo, le assicuro e le garantisco che né lei né i suoi uomini hanno da temere da me o dal mio pianeta, ma è necessario che lei li avverta di non reagire. La paura potrebbe fare dei danni.»

Dunja era raggelata e paralizzata: negare un favore così strano a quel folle poteva avere conseguenze terribili, visto che in pratica erano in suo potere. Stringendo i denti il maggiore afferrò la trasmittente che portava legata alla spalla e parlò con una voce che cercava disperatamente di nascondere la folle paura. «Dimitri, mi senti?» Una voce rispose affermativamente. «Il dottor Lichtner sta per mostrarci un... trucco. Diciamo una specie di sorpresa per impressionarci. Mi assicura che è tutto innocuo ma è importante che voi manteniate la calma. Qualsiasi cosa avverrà nel giro di pochi minuti.» Il maggiore dovette ripetere l’ordine, oggettivamente assurdo, ma alla fine guardò il dottore con occhi tesi. «Spero di non aver mal riposto la mia fiducia, dottore.»

Lichtner si illuminò in volto e fece un rapido quanto apparentemente distratto gesto con la mano, rivolto alle ragazze dietro di sé che non mostrarono alcuna reazione. «Vedrà, maggiore, sarà uno spettacolo sorprendente e non un solo capello verrà torto ad alcuno. Altro vino?»

Sotto gli occhi allibiti di Dunja e Boyka la cena proseguì come se niente fosse, finché il maggiore non ce la fece più. «Dottore, spero scuserà la mia apprensione, ma... non ha detto che avremmo assistito a... qualcosa

Lichtner annuì. «In effetti dovremmo esserci, come tempi.»

D’un tratto la trasmittente di Dunja gracchiò, e la donna rispose con voce palesemente allarmata. «Che cazzo succede, maggiore?» gridava Dimitri, fuori di sé. «Dove siamo finiti? Santo Dio...»

«Sergente!» gridò la donna. «Torna in te e dimmi cos’è successo.»

Dimitri cominciò a farfugliare qualcosa ma già Dunja non lo stava più ad ascoltare, atterrita dallo spettacolo che si presentò davanti ai suoi occhi.

«Le avevo promesso qualcosa da togliere il fiato», disse Lichtner, «e mi sembra di essere stato di parola.»

Nell’ampia sala dove si trovavano erano appena entrati degli xenomorfi: non erano piombati dentro come loro solito, né sembravano mostrare alcuna aggressività. Erano semplicemente entrati dalla porta in perfetto ordine. Come fosse una parata.

Gli occhi di Dunja e Boyka erano allibiti davanti allo spettacolo di un gruppo di alieni che trasportava una cassa appena prelevata dalla loro navetta. La cassa contenente Rykov addormentato.

«Lei... è riuscito ad ammaestrare gli xenomorfi», disse Dunja senza muovere un muscolo, completamente rapita dalla visione.

«No, maggiore, purtroppo non ho questo potere, ma sono andato alla radice: non si può piegare qualcosa che è nato violento... ma si può piegarlo al momento della nascita.»

Il gruppo di creature raggiunse il centro della sala e posò in terra la cassa, facendo qualcosa che sembrò dannatamente un inchino.

«Sono creature nate ubbidienti?» chiese Dunja senza riuscire a distogliere lo sguardo.

«C’è un equivoco, maggiore», e Lichtner agitò una mano per richiamare l’attenzione della donna. «Non sto parlando di quei mostri, quelli sono solo comunissimi xenomorfi che ubbidiscono agli ordini inviati loro per comunicazione mentale. No, io mi riferisco a chi sta mandando loro gli ordini in questo momento», e con un ampio gesto della mano indicò le ragazze dietro di sé.

Dunja le fissò ancora più confusa. «Sono telepati?»

Lichtner sorrise. «In un certo senso. Ma non lasciatevi ingannare dal loro aspetto: sembrano donne ma non lo sono, non almeno nel senso abituale del termine. Anche loro sono ginoidi, ma non sono state costruite: come una qualsiasi altra donna sono state generate, partorite... Loro però sono fuoriuscite dal ventre di una vittima...» Dunja lo fissò con gli occhi sgranati e la bocca aperta, e il dottore così seppe che poteva calare il colpo di teatro. «Sono xenomorfi, maggiore... modificati geneticamente per essere a forma di donna.»

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Capitolo 3
*** 3 ***


La ragazza danzava davanti agli ospiti, facendo piroettare la veste sottile che ricopriva a stento le sue nudità: era davvero difficile comprendere il motivo di quel balletto, ma al dottor Lichtner sembrava piacere molto.

«Guardate che movimenti aggraziati», diceva ai suoi ospiti, ancora scossi. «Capite la grandezza della mia opera?»

Dunja deglutì rumorosamente. «Davvero non riesco a credere che non sia una donna ma uno xenomorfo...»

Il dottore non aspettava altro. «Ho studiato a lungo la loro genetica, grazie ai molti campioni che ho recuperato: è incredibile cosa mercanti senza scrupoli siano disposti a procurare, per soldi. Ho modificato il DNA di quello che viene comunemente chiamato facehugger sostituendo il genoma alieno con quello umano, con le dovute proporzioni. Non sto ad elencare tutte le prove e gli studi fatti, ma alla fine sono riuscito a far impiantare in un ospite un embrione xenomorfo che ha poi dato alla luce un feto umano.» Dunja cominciava a dare segni di disgusto. «Umano solo nell’aspetto, ovviamente, solo nel fenotipo perché il genotipo è rimasto quello alieno. La crescita è di una rapidità incredibile e quelle che vedete sono creature adulte con l’aspetto fisico di donne giovani.»

«Perché giovani donne?»

Il dottore e Dunja si voltarono, stupiti: si erano quasi dimenticati di Boyka. Il maggiore fece un gesto per indicare di fare silenzio, Lichtner invece volle rispondere. «Ottima domanda, caro amico. E se me l’ha posta vuol dire che ha capito che la bellezza fisica non c’entra nulla. Queste donne sono percepite come deboli e la loro avvenenza fisica, che realizzare mi è costata molta fatica, le rende perfette per far abbassare le difese a chiunque. Quale soldato rimarrebbe impassibile davanti ad una giovane così bella che gli si agita mezza nuda davanti?»

«Il nemico più forte è quello che sembra debole», bofonchiò il lottatore.

Lichtner sorrise. «Esattamente. Nessuno potrebbe pensare che queste donne saprebbero sterminare un esercito a mani nude, quindi sono il corpo scelto più forte di tutti: e non hanno neanche bisogno di armi. Le vere armi sono loro stesse.»

«A che le serve un corpo scelto in un pianeta che è tutto ai suoi piedi?» continuò a chiedere Boyka, che paradossalmente sembrava più calmo adesso che prima di scoprire la presenza di xenomorfi.

Dunja continuava a fulminarlo con gli occhi ma il dottore sembrava invece divertito. «Domanda legittima, e le rispondo subito: il mio esilio quaggiù sta per finire.» Si voltò a guardare Dunja con occhi di fuoco. «Sto per distruggere la Weyland-Yutani dalle fondamenta per prenderne il posto, quindi faccio a lei, maggiore, la stessa domanda che ho posto ad altri suoi colleghi: da che parte sceglierà di stare, il giorno che io prenderò il potere?»

La donna lo fissò decisa e non esitò un attimo. «Io e miei uomini siamo mercenari, dottore, quindi stiamo con chi ci dà armi e missioni per usarle.» I due scoppiarono a ridere e brindarono, mentre Boyka li guardava poco convinto.

«Ora è il momento di liberare la stanza», disse Lichtner e diede un ordine alle ragazze alle sue spalle. Subito dopo ritornarono gli xenomorfi visti prima, afferrarono la grande cassa e la portarono via. «Apprezzo di cuore il vostro regalo, il generale Rykov sarà fonte di grande divertimento per me: avere nei miei laboratori l’uomo che mi ha esiliato, ferito e tradito darà una nuova sferzata alle mie notti. Sentirlo gridare durante gli anni di torture che ho in serbo per lui è davvero il più bel regalo che potevate farmi.»

Entrambi gli ospiti rabbrividirono. «Sono felice che il regalo sia stato gradito: lei, dottore, è il primo a cui ho pensato.»

«Forse c’è un altro regalo che potrei chiederle, maggiore... La sua guardia del corpo mi dà l’idea di uno bravo a combattere.»

Mentre il dottore fissava Boyka Dunja cercò di mettersi tra i due. «Certo, dottore, è un grande campione. Per questo l’ho voluto al mio fianco.»

Lichtner fissava divertito l’uomo. «Saprebbe insegnare a combattere ad una delle mie donne?»

La domanda rimase sospesa nel silenzio gelido che riempì la sala. Mentre Dunja balbettava qualcosa Boyka diede una rapida occhiata alle donne immobili alle spalle di Lichtner. «Sono alieni, che bisogno hanno di saper combattere?»

Il dottore sorrise. «Non mi riferisco a queste donne, ma ad un mio esperimento. Giocando con il DNA alieno ho fatto nascere una ginoide che pur se a forma di donna mantiene molta dell’aggressività della sua specie originaria. È muscolosa e grintosa, o almeno così sembra: purtroppo io non sono in grado di agire sul comportamento, ho potere solo sulla genetica. Vorrei che imparasse a combattere ma qui nessuno sa nulla in proposito...»

«Se è muscolosa e con la forza di alieno, ripeto la mia domanda: a che le serve saper combattere?»

Dunja era raggelata dalle domande irrispettose del lottatore, che fissava il dottore come fosse un ubriacone da bar, ma sembrava proprio che Lichtner trovasse divertente quel modo di fare. «Visto che ormai siamo una famiglia, tanto vale dirvelo: voglio che la mia Eloise – così ho chiamato quella ginoide – partecipi ad un grande torneo di combattimento segreto, il DOA. Lo conoscete?» Tutti scossero la testa. «Il Dead Or Alive è stato voluto dalla casata degli Yutani per dimostrare, volta dopo volta, il loro grande valore e supremazia. Lo vincono sempre loro e per questo si sono spinti a fare i gradassi: la regola vuole che chi vinca il DOA abbia il controllo del mercato, e infatti dalla nascita del DOA è sempre la Weyland-Yutani a comandare. Ora che ho un asso nella manica, un combattente forte che sembra debole, posso raggiungere il mio scopo velocemente: sarò il nuovo vincitore del DOA e comanderò il mercato, spazzando via ogni mio concorrente.»

Boyka lo fissava senza scomporsi. «Quindi vuole che io insegni qualche tecnica alla sua aliena perché sembri che vinca lealmente contro un altro lottatore?»

«Qualcosa del genere.» Il dottore gesticolò. «In realtà preferirei che sapesse fare qualcosa di più che “qualche mossa”: deve battere i campioni delle più grandi casate sembrando che sia un gioco pulito.»

Dunja stava per intervenire quando Boyka rispose secco. «Posso vederla?»

Mentre la donna lo fulminava con lo sguardo, il dottore andò in visibilio. «Anche subito, vi va?» Guardò entusiasta Dunja e il maggiore dovette per forza acconsentire con entusiasmo.

~

Quando le porte si aprirono una puzza terribile aggredì i visitatori. Nessuno dei due disse nulla ma non riuscirono ad evitare di coprirsi naso e bocca.

«Come vedete Eloise mi dà dei problemi», spiegò mortificato il dottore. «Geneticamente è perfetta ma il comportamento lascia molto a desiderare. Non si lava e rifiuta qualsiasi convenzione sociale: per questo sono costretto a tenerla rinchiusa qui dentro.»

Nella stanza aleggiava un buio denso, un’oscurità fatta di acredine e sudore. Man mano che gli occhi dei visitatori si abituarono al buio fu chiaro che non c’era nessuno, lì dentro. «Non dovete guardare in basso», avvertì il dottore. «Di solito le piace stare appollaiata sui tubi vicino al soffitto.»

Dunja e Boyka alzarono lo sguardo e infatti videro subito una forma umana rintanata su un alto tubo. La donna era accovacciata e li fissava dall’oscurità: non si vedevano le pupille ma i due sentivano addosso i suoi occhi.

«Signori, vi presento Eloise», disse Lichtner con enfasi.

«Non sembra proprio un nome da “aliena”», cercò di scherzare Dunja.

«È un nome perfetto», disse a sorpresa Boyka. «È anonimo, non attira l’attenzione e non incute timore. Tranquillizza l’avversario... prima di colpirlo.»

Il dottore gongolava. «Vedo che lei è esattamente quello che cerco.»

Il lottatore avanzò leggermente. «Boyka...» provò a fermarlo la donna.

«Stia tranquilla, maggiore, Eloise è ribelle ma non è un’assassina.»

Boyka fissò dal basso la donna, finché nell’oscurità riuscì a scorgerle gli occhi. Non aveva bisogno d’altro. Si voltò e tornò dal dottore. «Non prometto niente ma il materiale è buono. Ormai è tardi, comincerò domattina presto. Solo io, però.»

Il dottore smorzò leggermente il suo ampio sorriso. «La mia presenza le garantirà che Eloise non diventerà violenta, e poi a me fa piacere assistere...»

«Solo io», ripeté duramente Boyka. «Insegnare a combattere non è un circo, è qualcosa di intimo che non ha bisogno di spettatori.» Lichtner titubava ancora. «Dottore, fino a poco tempo fa anch’io ho vissuto come sta vivendo ora Eloise: rinchiuso in una gabbia sporca dove si respira puzza di merda, ad allenarmi e a combattere per rimanere in vita un giorno di più. Sa però quali erano i momenti più duri? Quando qualche stronzo potente veniva a vedermi allenare: ero come un animale da vedere durante gli esercizi per essere sicuri di scommettere su quello vincente.» D’un tratto il lottatore spostò leggermente gli occhi, a guardare Dunja. «Chi vive libero non si rende conto di quanto possa ferire anche quando ha le migliori intenzioni. Quando si comportano con te come fossi carne da macello o un animale da esposizione o una bestia da soma... non importa per cosa, ma ti usano. E quando vivi in una gabbia, essere anche usato per il divertimento di altri è quanto di peggio ci sia.»

Dunja lo fissava stupita: era chiaro che in realtà stesse parlando a lei.

«Va bene, va bene», si decise il dottore. «Se questo può servire a fare di quella ribelle una lottatrice che ben venga.»

Boyka si limitò ad annuire con la testa, e prese la parola Dunja. «A questo punto direi di ritirarci, visto che poi domattina dovremo svegliarci presto. Così mentre i ragazzi giocano alla lotta, noi... giochiamo alle armi.»

~

Dunja e Boyka non si erano scambiati una sola parola, rientrando nella loro stanza, ed ora rimanevano sdraiati nei loro letti a fissare il soffitto. Svegli entrambi.

Dunja non aveva ritenuto il caso di chiedere stanze separate: Lichtner aveva dato per scontato che avrebbe dormito con la sua guardia del corpo e non se la sentiva di contraddire quel pazzo furioso. Però avere Boyka lì vicino la faceva sentire a disagio. Chi voleva prendere in giro? Sarebbe stata a disagio anche se lui fosse stato in un’altra stanza. Doveva risolvere quella situazione, e doveva farlo subito.

«Davvero ti ho dato l’impressione di volerti comandare come se tu fossi un prigioniero?» Lanciò questa domanda nell’aria: odiava queste situazioni ma era necessario sciogliere la tensione fra di loro, vista la situazione esplosiva in cui si stavano infilando.

«Le uniche donne con cui ho avuto contatti sono state drogate e prostitute», rispose Boyka con un filo di voce. «Diciamo che non sono in grado di parlare con una donna normale. Figuriamoci una come te.»

Dunja scattò la testa in direzione dell’uomo. «Una come me? E come sarei, io?»

«Dal carattere forte», rispose Boyka con lo stesso tono pacato. «Una che sa muoversi e sa cosa vuole. E che mai avrei pensato che volesse me.»

Dunja sbuffò. «E chi ha detto che ti voglio?»

«Una cosa è una scopata dopo una missione pericolosa», continuò il lottatore come se niente fosse, «ma poi ti sei comportata come se fossi la mia donna... e questo mi ha confuso. Le mie donne sono sempre state solo puttane...»

«Sì, questo l’hai già detto. Più volte.»

«Sono cresciuto in un ambiente in cui se qualcuno si avvicina è per farti del male, quindi sono abituato a reagire... Quando ti sei avvicinata a me, l’altro giorno, ho semplicemente reagito come sono sempre stato abituato a fare.»

«Va bene, è inutile stare a rimuginarci sopra. Non mi avvicinerò più a te così starai tranquillo: va bene questa distanza? O devo spostare il mio letto più lontano?»

Dopo alcuni secondi di silenzio Boyka tornò a parlare. «Ma le donne non sono famose per voler sempre analizzare i propri sentimenti?»

«Be’, io non sono come le altre donne...» e d’un tratto Dunja scattò dal suo letto e con un gesto rapidissimo fu addosso a Boyka. L’uomo fece scattare le braccia in automatico e con un rapido gesto – su cui in pratica non ebbe il minimo controllo – afferrò al collo la donna, immobilizzandola. «Ti ho appena detto che io...» Si raggelò.

La presa d’acciaio di Boyka stava bloccando la circolazione sanguigna di Dunja, ma anche con il volto gonfio la donna riuscì a parlare. «E io ti ho appena detto che non sono come le altre donne», disse mentre premeva il suo coltello da marine sul collo del lottatore.

Boyka le lasciò il collo e lei ritirò la lama. Il volto della donna rimaneva gonfio e anche nel buio della stanza l’uomo poteva vedere le impronte delle sue dita sul suo collo. Ma Dunja non emise un solo verso, limitandosi a fissare il lottatore nel buio. «Non perdi occasione per parlare di dove sei cresciuto, be’ ti rivelo un segreto: neanch’io ho vissuto in una fiaba. Da quando ho avuto il mio primo ciclo dormo con un coltello sotto il cuscino, e ti stupiresti di quante volte ho dovuto usarlo.» Dunja si rimise nel suo letto con gesti secchi. «Quindi piantala di rompere il cazzo con il tuo passato violento: siamo tutti spazzatura che cerca di rimanere in vita lottando con tutto ciò che ha.»

Uno strano silenzio rimase ad aleggiare nell’aria, finché non venne spezzato da un bisbiglio di Boyka. «Sei la prima donna che mi abbia mai minacciato di morte...»

Dunja non lo guardò. «Perdonami se ho offeso la tua sensibilità», disse sarcastica. «Ora vuoi analizzare i tuoi sentimenti?»

«No, ora voglio scoparti.»

Dunja si voltò di scatto. «Scusa, puoi ripetere? Perché giurerei di aver sentito...»

«Hai capito benissimo», sibilò l’uomo. «Ma prima togli di mezzo quel coltello: lo sai usare troppo bene.»

Dunja sorrise, nervosa. «Ma credi davvero che funzioni così? Che quando ti viene la voglia io sono qui, pronta a...» Boyka, denudatosi velocemente, iniziò a spostare lentamente le lenzuola. «Amico, stai a cuccia, non mi sembra proprio di aver detto sì.»

Il lottatore si infilò lentamente nel letto. «Ma non hai detto neanche no.»

Spostandosi sul bordo del letto, Dunja agitava le braccia, indignata. «Siamo in missione su un pianeta ostile, abitato plausibilmente da soli xenomorfi mutati geneticamente, guidati da un pazzo che vuole conquistare l’universo, e tu pensi a...»

Boyka la strinse a sé e la baciò a fondo. Poi si interruppe di colpo e la guardò sorridendo. «Neanche questo mi sembrava un no.»

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Capitolo 4
*** 4 ***


Quando le porte si aprirono si ripresentò la puzza di stantio, ma stavolta Boyka non si coprì il naso: il giorno prima l’aveva fatto solo assecondare Dunja. Quella puzza gli era più che familiare.

Con la coda dell’occhio vide un’ombra guizzare nell’oscurità e saltare verso l’alto. Evidentemente Eloise dormiva a terra e, sentendolo entrare, si era andata a riparare sulla sua solita postazione elevata.

«Eloise, mi senti?» chiese ad alta volta il lottatore. «Mi chiamo Yurj Boyka e sono il tuo istruttore di combattimento. Il dottor Lichtner dice che capisci perfettamente quello che ti si dice ed io parlerò chiaro: da questo momento finisce il tuo vittimismo e ogni capriccio da ragazzina.» Boyka raggiunse lentamente il centro della ampia sala vuota, lasciando la porta aperta per far entrare un po’ di luce ma soprattutto di aria.

«Per prima cosa inizierai a lavarti, ma non perché sia un dovere o perché lo voglia qualcuno. Lo farai perché il primo dovere di un lottatore è prendersi cura del proprio corpo. Ma anche perché se puzzi come un animale sarà facile sentirti arrivare anche da lontano, quando invece un lottatore non si deve sentire né vedere se non quando vuole lui.»

Iniziò lentamente a togliersi la divisa, uno straccio inutile che gli impediva i movimenti. «A quanto vedo vivi nuda, e questo va bene se però lo fai di tua volontà: se è un dispetto che fai al dottore, allora smettila. Un lottatore è superiore ai dispetti, e scoprirai che lottare completamente nudi non è confortevole.» L’uomo finì di spogliarsi e rimase solo con i suoi boxer neri.

Guardò in alto e come il giorno prima vide gli occhi della ginoide. «Dal tuo sguardo è chiaro che sei una combattente, ed io sono qua per migliorarti e per renderti anche una lottatrice. Ma non posso importi uno stile: deve essere lo stile di combattimento a sceglierti.»

Boyka agitò le braccia e le gambe a mo’ di breve riscaldamento, poi divaricò i piedi, piegò leggermente le ginocchia e cominciò a muovere le mani e le braccia creando lentamente cerchi nell’aria. «Gli antichi maestri sulla Terra dicevano che esiste in noi una forza circolare e che solo imparando a controllarla si può essere un maestro. Ognuno chiamava questa forza in modo diverso e a noi non importa farti diventare una maestra: per ora è importante che tu diventi consapevole di questa forza.»

Da rozzi, i movimenti di Boyka iniziarono a farsi più aggraziati, aumentando il diametro dei cerchi disegnati nell’aria. «Sono sicuro che tu senti dentro di te rabbia e furore, ma quella non è forza, anzi sono sentimenti che spezzano la forza. Devi essere superiore e convogliare tutto il tuo essere in un unico punto: non puoi affrontare l’intero universo, come vorrebbe la tua rabbia, ma un unico punto sì, ed è a quello che ti serve la forza interiore. A focalizzarti su un unico punto dimenticando tutto il resto.»

D’un tratto il lottatore iniziò a velocizzare i movimenti, rendendoli più a scatti. «Un giorno gli antichi maestri che dicevano tutte queste cazzate vennero pestati di brutto, e i poveracci – che non erano maestri – si resero conto che serviva qualcosa di più immediato. La forza andava frammentata perché dieci schiaffi valgono più di un pugno.» Boyka cominciò a tirare rapidi pugni in aria, avanzando ed indietreggiando con mosse rapide e precise dei piedi. «Fu una donna, una combattente come te, a codificare un modo di lottare che aiutasse le altre donne a difendersi dagli assalitori, e molti uomini sono diventati famosi sviluppando quello stile.»

Il lottatore cominciò a restringere i pugni e ad incassare il petto: a colpire l’aria non erano più solo i pugni ma anche i gomiti e le ginocchia. «A sud di quelle terre invece si notò che parti dure del corpo sono molto efficaci nel combattimento, e una volta rassodate si poteva affrontare avversari più grandi.»

Sempre con tecniche strette e contratte iniziò ad aumentare vistosamente la velocità. «In altre terre pensarono che difendersi da criminali in spazi angusti richiedesse uno stile più nervoso ma sempre preciso, contraendo la forza interiore solo per lasciarla andare a piccole dosi.»

Di nuovo tornò ad allungare le tecniche, aggiungendo una forte dose di ritmo nei movimenti, alternando colpi a capriole in aria e a terra. «Intanto gli schiavi non potevano lottare così decisero che il loro stile sarebbe stato mascherato da danza, perché combattere non è altro che muoversi a ritmo.»

Eseguì una doppia capriola prima di atterrare saldamente... e rendersi conto che nel frattempo la donna era scesa e lo fissava in piedi, a pochi passi da lui.

Boyka restituì lo sguardo. «Infine un maestro meno antico si rese conto che tutti gli esseri umani sono uguali, che hanno due braccia e due gambe, e si fece la domanda a cui nessuno aveva mai pensato.» La donna lo fissava e lo studiava. «Perché perdere tempo a studiare solo uno stile... quando si può prendere il meglio da tutti?»

La donna nuda si avvicinò e fissò Boyka scuotendo la testa: visti da vicino i suoi occhi avevano una luce ancora più forte. E crudele. «Sapresti insegnarmi queste mosse?» disse la donna. A quanto pareva Lichtner aveva fatto davvero un buon lavoro: Boyka infatti pensava che la ginoide non sapesse parlare.

«Non è questa la domanda», rispose il lottatore. «La domanda è: tu vuoi impararle?»

~

«Stia tranquillo, la sua Eloise è in buone mani.»

Dunja si stava gustando la colazione che il dottor Lichtner gli aveva offerto. L’uomo pingue sedeva al tavolo con lei sempre sul suo trabiccolo a rotelle, da cui sembrava non alzarsi mai. «Spero solamente che lei sia disposta ad imparare così da arginare la sua anima ribelle. Geneticamente è un esemplare perfetto, ma temo che il comportamento sia il suo punto debole.»

Con la bocca piena del dolce locale che le era stato offerto – anche le ginoidi cucinano “dolci locali”?, si era chiesto – Dunja cercava di tranquillizzare il dottore. «Boyka è l’ultima persona che può migliorare il comportamento di qualcuno, ma dal punto di vista marziale è un maestro: se non ci riesce lui ad insegnare l’arte di combattere, non ci riuscirà nessun altro.»

Dopo qualche altra chiacchiera di circostanza Lichtner fece un gesto alle sue ragazze, e già Dunja iniziò a rabbrividire: sapeva che questi “gesti” poi finivano con l’entrata in scena di xenomorfi. E questo timore fu confermato da un crepitio di artigli che si fece sempre più vicino.

«Ecco le armi pattuite, maggiore», disse amabilmente Lichtner indicando le casse che le creature stavano posando davanti al loro tavolo.

La donna rimaneva immobile. «Mi scusi, dottore, ma ancora non riesco ad abituarmi ad avere quegli alieni così vicino...»

Lichtner sorrise e con un gesto mandò via le creature. «È lei che deve perdonarmi, maggiore, sono così abituato alla loro presenza che mi dimentico della loro natura e dell’effetto che giustamente provocano in chi non vi sia entrato in confidenza.»

Dunja annuì ma era seccata: quell’uomo non corrispondeva alla fama che aveva, e questo era un pessimo segno. C’era il rischio che tutta quella gentilezza e cortesia fosse solo una facciata per qualche subdolo inganno, ma ormai era invischiata fino al collo e non poteva fare nulla.

Seguendo un gesto del dottore, il maggiore si alzò ed aprì una delle casse. «Che mi venga un colpo...»

Lichtner rise di gusto. «Sapevo che avrebbe gradito.»

La donna estrasse delicatamente un fucile dalla cassa, maneggiandolo con la cura che avrebbe riservato ad una porcellana. «Ma dove ha trovato questa bellezza? Ho visto un modello simile solamente nei manuali di storia delle armi.»

Il dottore gongolò. «Infatti l’FN F2000 è un modello che appartiene agli archeologi, ma è questa la sua forza: essendo un fucile ormai dimenticato chi lo usa è come se usasse un’arma futuristica. Li ho costruiti io, o meglio l’hanno fatto i miei ingegneri e costruttori, partendo da antichi progetti dimenticati. Come potrà notare, il materiale ultra leggero lo rende un’arma comodissima senza per questo rinunciare alla sua forza letale.»

Dunja imbracciò il fucile prima lentamente, poi iniziò a manovrarlo sempre più con vigore. «Lei è un genio, dottore, è come se questo fucile non avesse peso: sento che potrei tenerlo con una mano sola...»

«Proprio per questo ho voluto modificarne il materiale: è un’arma di alto livello ma dall’uso comodo. E l’essere scomparsa da secoli la rende unica.»

La donna roteava il busto puntando punti immaginari in varie direzioni, provando la maneggevolezza dell’arma: la sua espressione tradiva un’estasi inaspettata.

«Non dimentichi i proiettili speciali “ammazzalieni”: il nome dovrebbe già far capire la loro particolarità.» Il dottore estrasse da una tasca una cartuccia e lo offrì a Dunja. «Prego, maggiore, lo provi.»

La donna lo guardò interdetta. «Sta cercando di dirmi che un solo proiettile basterebbe ad uccidere uno xenomorfo?»

Il dottore sorrise. «Non le chiedo di credermi, glielo dimostrerò.» Fece un cenno ad una delle ragazze e in pochi secondi un alieno fu al loro cospetto. Lichtner tornò ad offrire la cartuccia a Dunja. «Prenda, lo carichi e spari: saranno i fatti a parlare.»

La donna faceva scattare gli occhi dal dottore all’alieno e alle ragazze. «Ma... mi sta chiedendo di sparare ad un suo servo... o quello che è quell’alieno?»

Il dottore rise. «Ho una Regina Aliena a disposizione: posso mettere al mondo tutti gli xenomorfi che voglio, ucciderne uno è come schiacciare una mosca fastidiosa.»

Dunja prese lentamente la cartuccia e la montò nel fucile. Fissò poi la creatura che stava immobile di fronte a lei, ad una decina di metri di distanza. «Se lo colpisco da qui il sangue acido farà danni tutto intorno.»

Lichtner sorrise. «Spari, maggiore, non abbia paura.»

Inutile aspettare oltre. Con rapidità Dunja alzò il fucile, tenuto saldamente a due mani, e sparò con mira sicura. Un sibilo appena udibile scaturì dall’arma e un attimo dopo l’alieno implose. Non ci fu alcuno schizzo di sangue, semplicemente le carni chitinose della creatura si accartocciarono su se stesse. Un solo proiettile per trasformare una macchina di morte in un ammasso di carne fumante.

«Dio santo...» bisbigliò Dunja.

«Proiettili speciali pensati per gli alieni: con una cassa di munizioni può distruggere un nido intero.»

«Lei supera la sua fama, dottore», disse la donna sinceramente colpita. «Ma a questo punto devo farle una domanda.»

«La prego», la invitò Lichtner.

Dunja posò il fucile nella cassa e tornò a sedersi di fronte all’uomo. «Lei è un mago della genetica, ha creato il proprio esercito di super-soldatesse e schiavi alieni di enorme potenza, senza contare le armi incredibili che è capace di creare... Perché ha bisogno di un torneo di combattimento per prendere il potere?»

Il dottore annuì sorridendo. «È una domanda giustissima, maggiore, e le rispondo subito: il potere conquistato con la forza è troppo effimero. Pensi a tutti quegli uomini che, nella storia dell’umanità, hanno conquistato il potere mediante la violenza e l’hanno mantenuto con le armi e la crudeltà. Quanto sono durati? Anni? Decenni? Pensi invece alle imprese commerciali: loro detengono il potere da secoli, se non da millenni.» Scosse la testa. «Già domattina potrei partire da questo pianetino e conquistare tutti i mondi umani, ma poi? Come manterrei il potere su intere galassie quando uomini più grandi di me in passato non sono riusciti a mantenerlo sui piccoli territori terrestri? No, maggiore, io non conquisterò l’universo con le armi... ma con i soldi. Il commerciò è alla base della vita umana, e qualsiasi suo appartenente compra e vende. Io mi sostituirò alla Weyland-Yutani vincendo onestamente il DOA e avvierò la mia compagnia commerciale: solo così sarà vero potere che non avrà bisogno di essere mantenuto. Si manterrà da solo!»

«Dice “onestamente”, però lei vuole vincere un torneo con un lottatore che sembra una donna ma che ha la forza di un alieno: questo non è proprio onesto.»

Lichtner sghignazzò. «Quand’è stata l’ultima volta che ha assistito ad un DOA?» La donna scosse le spalle. «Lì tutti i lottatori sono “potenziati”, in pratica non esistono semplici umani tra loro. Non sono incontri alla pari, non è mica una gara sportiva: vince il più forte, e non importa cosa lo renda più forte. L’unica regola è che non si usino armi, per il resto tutto è lecito.» Il dottore allargò le braccia. «Altre domande?»

Dunja lo guardò sorridendo. «No, dottore, e anzi mi scuso per la mia curiosità: lei è un ospite perfetto e sento che sarà un onore lavorare con lei.»

Lichtner gongolò a quelle parole, quindi Dunja si disse che aveva fatto bene ad essere così viscida.

«Che ne dice ora, maggiore, di pensare ai suoi uomini?» disse ad un tratto il dottore. «Farò consegnar loro queste casse così potranno portarle a bordo della vostra nave, e lì riposarsi: non dev’essere comodo passare tutto questo tempo chiusi in quell’angusta navetta.»

Dunja rabbrividì ma riuscì a nasconderlo. Di nuovo Lichtner si “preoccupava” dei suoi marine e questo voleva chiaramente dire che non li voleva nei paraggi. «Ha ragione, dottore, li manderò a sgranchirsi le gambe.» Non poteva fare altro.

«Benissimo, così noi avremo tutto il tempo di capire se il suo Boyka riuscirà ad ottenere risultati con la mia Eloise.»

«Già», rispose poco convinta Dunja: l’idea di rimanere da sola sul pianeta di un folle non le piaceva affatto.

~

«Da sola con Lichtner? Non esiste, maggiore!»

Dimitri non stava prendendo bene la notizia, e Dunja si disse che aveva fatto bene ad allontanarsi per parlare con lui per radio. «Sergente, non è bene che tu ti faccia sentire dagli uomini mentre contesti i miei ordini. Quando tornerò a bordo mi dirai in privato tutte le tue riserve.»

«Agli ordini, maggiore», disse Dimitri più che altro a favore degli altri soldati. «Ma faccio rispettosamente notare che la situazione è troppo pericolosa...»

«Ora ascoltami, Dimitri, e rispondi “sì, maggiore” così agli altri sembrerà che ti stia dando degli ordini.»

«Sì, maggiore», eseguì l’uomo.

«So che non ti sei goduto molto i nuovi gradi che subito sono arrivate le responsabilità, ma appena metterai piede a bordo della Verloc sarai tu il capitano, in mia assenza. Ti chiamerò ogni sei ore e se dovessi saltare anche solo un appuntamento... be’, vorrà dire che sei in tutto e per tutto il nuovo capitano della nave. Parti e cerca nuove missioni per i nostri uomini.»

«Ma io... cioè, , maggiore...»

«Non so come finirà, qui, forse ho sbagliato i calcoli o forse no, non posso ancora dirlo. L’altra sera m’è preso un infarto quando quelle bestiacce hanno recuperato la cassa con Rykov dalla navetta: se l’avessero aperta sarebbe stata la fine. Tutto però va come previsto sebbene le incognite siano tante e forse ho fatto il passo più lungo della gamba... Per questo voglio che ti tieni pronto a prendere il comando, se dovesse succedermi qualcosa.»

«Sì, maggiore», bisbigliò Dimitri, per nulla convinto.

«Tirati su, amico mio, non è facile farmi fuori e sai che ci hanno provato.» A sorpresa Dunja sorrise. «In fondo sono l’allieva del generale Rykov...»

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Capitolo 5
*** 5 ***


La donna ripeteva le mosse che Boyka le mostrava con una precisione millimetrica, evidentemente un vantaggio datole dal miscuglio genetico del dottor Lichtner: alla fine di una giornata di allenamento Eloise aveva appreso come se studiasse arti marziali da anni.

Boyka si era fermato solo per mangiare, quando una delle ragazze del dottore era entrata portando il pranzo. Eloise non voleva interrompere la lezione né era interessata al pasto, ma il lottatore insistette. «Cos’è che ho detto?»

La donna fece una strana espressione, come se avesse messo il broncio, e rispose. «Per un lottatore il proprio corpo è sacro e come tale va curato.»

Nessuno dei due parlò durante il pasto e poi si rimisero subito a lavoro. Eloise non chiese mai nulla e si limitò ad eseguire gli ordini di Boyka e ad imitarne le mosse. Dopo un iniziale sconcerto, la nudità della donna non distraeva più l’uomo, che la toccava spesso aggiustando le posizioni come un maestro fa con un’allieva, senza alcuna malizia. O almeno senza mostrarla.

Poco dopo il tramonto Olimpia si affacciò per avvertirli che si avvicinava l’ora di cena e il dottore richiedeva la presenza di Boyka. Rimasti soli, il lottatore alzò una mano verso Eloise. «Per oggi basta, hai imparato più di quanto sia umanamente possibile.»

«Ma io non sono umana...»

Non fu una frase, fu più un bisbiglio scappato alla donna, che fissava il pavimento immobile. «L’umanità non è una dote, ma un traguardo da raggiungere» sibilò sprezzante Boyka. «E soprattutto non basta essere scodellati dal ventre di una donna per definirsi umani.» Allungò una mano ed alzò il volto della donna perché lo guardasse negli occhi. «Un lottatore non guarda mai il pavimento: tiene gli occhi fissi davanti a sé e studia tutto ciò che lo circonda, anche se sembra che sia distratto.»

«Vivo qui dentro, conosco a memoria ogni angolo di questa stanza.»

«Ma non conosci me», rispose secco Boyka... e sferrò un pugno dritto al volto di Eloise. Un gancio da boxe, esagerando il lavoro della spalla perché l’allieva lo notasse, ma sembrò subito una cortesia inutile: la ginoide afferrò saldamente il pugno proprio davanti al proprio volto. Senza sforzo aveva intercettato il pugno dell’uomo come se non facesse altro nella vita.

Boyka sorrise, poi aprì le dita del pugno bloccato, girò di scatto il polso ed usò la propria mano per bloccare la mano della donna, tirandola a sé mentre le sferrava un calcio alto. Eloise si chinò e schivò senza fatica il calcio, tirando a sua volta la mano di Boyka e, sfruttando il fatto che in quel momento aveva tutto il peso su una sola gamba, mandandolo a terra con una spazzata.

Il lottatore continuava a sorridere, guardando la donna che lo fissava, in piedi e nuda davanti a sé. «Impari in fretta ed esegui le tecniche con stile: così rendi fiero il tuo maestro.»

«Posso fare una domanda?» Boyka annuì, rialzandosi. «Perché ho dovuto imparare tutti questi movimenti? Che senso hanno? Mi sembrano abbellimenti inutili: ho la forza sufficiente per strapparti il cuore, perché dovrei mettere i piedi e le mani in un certo modo nel farlo?»

«Perché così invece di un mostro dimostri di essere umana.» La risposta colpì Eloise, che non lo nascose, ma Boyka non le diede il tempo di rispondere. «Un mostro ha la forza, la violenza e la furia necessaria... ma non il controllo. Quelli che chiami “abbellimenti” sono imposizioni che noi umani diamo al nostro corpo per imbrigliare la forza: obblighiamo mani e piedi ad assumere posizioni particolari perché così ci eleviamo dal grado di mostri, controllando la nostra forza interiore e superando la nostra debolezza.»

«Quindi ammetti di essere più debole di me? E allora perché mi fai da maestro?»

Il lottatore sorrise. «Noi umani siamo meno potenti di alcuni grandi animali che vivono sul nostro pianeta, per questo li abbiamo studiati e abbiamo forgiato dei movimenti rubandoli a loro.» Mosse rapidamente le braccia, contorcendo la mano destra davanti al volto di Eloise. «Il serpente è mille volte meno potente della tigre, eppure con un solo colpo può ucciderla: gli antichi umani hanno rubato quel colpo e l’hanno usato per essere più forti dei propri avversari.»

«Non conosco quegli animali», rispose la donna senza entusiasmo.

«Eppure oggi hai imparato le loro mosse, che bloccano la tua naturale forza per renderti più forte del mostro che sei: per fare di te un essere umano.»

«Sono belle parole, ma non credo che un essere umano sia più forte di me, e tu...» Eloise non finì la frase: un colpo di Boyka la mandò a terra così velocemente che non riuscì a capire come ci fosse riuscito.

Ritrovatasi sdraiata, gli occhi della donna fissavano sgranati il soffitto finché con un colpo di reni Eloise si rimise in piedi con una velocità incredibile. Senza emettere un suono si avventò contro Boyka, che si limitò ad agitare le braccia di fronte a lei: non fu chiaro cosa fece, ma la donna si ritrovò di nuovo in terra.

«Non mi hai insegnato questo!» gridò rabbiosa.

«Sì, invece, solo che io sto imbrigliando la mia forza mentre tu la stai lasciando andare, e questo ti rende cieca... e debole.»

Eloise stavolta si alzò lentamente. «Ho capito la lezione... maestro.»

«Balle!» esplose Boyka. «Mi hai stuzzicato per mettermi alla prova, perché volevi vedere come “funziona” l’unico altro essere umano che conosci. Così da capire come “funziona” tuo padre.»

La donna trasalì, immobilizzandosi. «Io... non capisco...»

Boyka le si avvicinò fin quasi a far sfiorare i loro corpi, e le parlò bisbigliando. «Mio padre mi ha fatto nascere in una fogna di prigione e mi ha addestrato alla violenza: l’ho sempre odiato per questo e appena ho potuto gliel’ho fatta pagare cara. Quindi capisco perfettamente il tuo odio per il dottore, che ti ha creata come mostro e quel che è peggio te l’ha fatto capire. Ma io non sono come lui... io sono come te

«Tu...» scattò la donna, poi controllandosi. «Tu non sei un esperimento da laboratorio, cresciuto sapendo che l’unico scopo è uccidere e distruggere altri umani. Per questo mio padre – sì, così vuole che io lo chiami – ha lasciato che le altre sue figlie mantenessero una mente aliena mentre a me ha dato pensieri e sentimenti umani, perché capisse le persone con cui dovrò stare a contatto. Ma non ha pensato che quegli stessi sentimenti umani mi avrebbero fatto capire la mia mostruosità e straziato il cuore per la mia stessa esistenza.»

«Benvenuta tra gli umani», si limitò a risponderle Boyka.

Eloise lo fissò, con occhi d’un tratto languidi. «Se rivelerai queste cose a mio padre... lui mi ucciderà o peggio, mi userà per qualcuno dei suoi terribili esperimenti.»

«Come ti dicevo, io sono più uguale a te di quanto pensi, e se vorrai farla pagare a quel pazzo di tuo padre... puoi contare su di me.»

Eloise sgranò gli occhi e rimase in silenzio per qualche attimo. «Credevo che la donna con cui sei arrivato stesse facendo affari con mio padre.»

«Farà affari con qualcun altro: l’universo è grande, mentre io ho un’allieva sola.»

La donna continuava a fissare il lottatore con espressione corrucciata ed occhi di fuoco. «Voi umani come ringraziate qualcuno per il suo aiuto?»

Boyka ghignò. «Mi basta che domattina ti metti almeno le mutande, che non ce la faccio più a controllarmi.»

~

Quando Boyka tornò in camera trovò Dunja che si stava sistemando l’uniforme pulita. «Ciao, straniero», lo salutò lei. «Finito il corso intensivo di lotta?»

«È stato incredibile: una prima lezione che ne ha racchiuse mille. Quel dottore sa davvero come creare esseri dalle grandi capacità.»

«Già, il problema è che ne crea troppi.» Vide che il lottatore si era seduto sul letto. «So che sei stanco, ma Lichtner ci vuole a cena: fatti una doccia, che c’è tempo.»

«Spero che il dottore non tiri fuori altre cosoidi, per farci capire quanto è bravo.»

Dunja sorrise. «Lichtner ha davvero uno strano senso dell’ospitalità: vizia i suoi ospiti ma poi mostra loro gli orrori che crea...»

«Hai detto bene, orrori.» Boyka aspettò che Dunja si voltasse a guardarlo. «Quel dottore a forza di vivere con ragazze finte e alieni veri ha perso i contatti con l’umanità e non si rende conto di cosa ha creato, con Eloise. Quella donna è una bomba pronta ad esplodere, e il fatto che abbia la forza di uno xenomorfo rende il pericolo decisamente più preoccupante.»

«Hai sentito il suo discorso, no? L’ha fatta apposta così, violenta.»

Boyka scosse la testa. «No, Dunja, quella è la parte meno importante: il problema è che le ha dato sentimenti umani, e questo è dannatamente pericoloso. Io ho cercato di arginare la sua violenza con la marzialità, ma ti assicuro che quella donna è vicina ad esplodere, e quando questo avverrà le vittime non saranno poche. Per questo... per questo ho promesso che l’aiuterò...»

Dunja lo fissò con sguardo duro, poi si avvicinò lentamente all’uomo. «L’aiuterai a fare cosa?»

«È meglio essere dalla sua parte, credimi.»

«L’aiuterai a fare cosa, Boyka?»

I due si guardarono in silenzio per qualche minuto. «L’aiuterò ad uccidere il dottore.»

L’uomo disse la frase tutto d’un fiato, come a volersene liberare velocemente in attesa della reazione di Dunja. La donna lo fissò immobile senza emettere un fiato, poi lentamente si sedette accanto a lui sul letto. «M’hai fatto prendere un colpo, maledizione», disse tirando un sospiro di sollievo. «Chissà che mi credevo...»

Boyka spalancò la bocca. «Ma... hai capito cosa ho detto?»

Dunja cominciò a ridere. «Certo, e ti ringrazio di aver trovato un’alleata così forte: ce la fai a tenerla a bada ancora un po’, in attesa dell’occasione giusta?»

L’uomo continuava a rimanere a bocca aperta. «Anche tu vuoi far fuori...»

«Sì, ma abbassa la voce. Ora fatti una doccia e vestiti, e preparati ad un’altra cena noiosa. Poi stanotte ti parlo del piano.»

«Ah, c’è anche un piano? E quando contavi di dirmelo?»

«Quando l’averlo saputo non ti avesse permesso di mandarlo a monte. Scusami, ma non so quanto tu sappia mantenere un segreto.»

«Segreto? A me pare che sia una parola riduttiva per definire un piano per ucci...»

«Shhh!» sibilò Dunja coprendo la bocca dell’uomo con una mano. «Lo vedi che non riesci ad essere discreto? Non volevo rischiare, vista la posta in gioco. Stanotte, quando torniamo dalla cena, con calma ti bisbiglio il piano.»

Il lottatore la afferrò per le spalle. «Cosa ti fa pensare che stanotte ti lascerò avvicinare così tanto da potermi bisbigliare?»

Dunja represse una risata e guardò con tenerezza l’uomo. «Perché sei pazzo di me e ti faccio fare quello che voglio.»

Boyka sbuffò stizzito, la lasciò andare e si alzò dal letto. «Credilo pure, se ti fa piacere, donna. Io vado a farmi una doccia.»

Dunja, sempre sorridendo, si sdraiò sul letto. «Esattamente quello che io ti ho detto di fare.»

Quando Boyka entrò nella doccia, la donna stava ancora ridendo.

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Capitolo 6
*** 6 ***


La cena con Lichtner fu simile a quella del giorno prima: verbosa e noiosa. Il dottore amava mettere a dura prova l’attenzione di Dunja parlando senza interruzione dei propri progressi scientifici, delle proprie teorie, della propria visione del genoma umano, del comportamento e della vita in generale. Insomma, uno sproloquio indigesto. La donna annuiva ma non ce la faceva più ad avere stampato sul volto un falsissimo sorriso di circostanza, e a ripetere ogni tanto qualche frasetta che dimostrasse interesse. «Incredibile, non lo avrei immaginato.» «Ma dice sul serio?» «Sono senza parole...» E via di questo passo.

Boyka non era così educato né in fondo era oggetto di attenzioni da parte del dottore: si limitava a guardarsi distrattamente in giro e a mangiare il cibo insipido servito a tavola. Essere l’unico umano del posto doveva aver fatto dimenticare a Lichtner il gusto del mangiare: le pietanze sembravano non avere alcun sapore, sebbene visivamente fossero invitanti.

«Come va Eloise?» Tutto d’un tratto il dottore passò ad un argomento all’altro, tanto che Dunja si ritrovò ad annuire senza motivo: solo quando vide gli occhi del dottore diretti verso Bojka si rese conto che non stava più parlando con lei. E non poté reprimere un sospiro di sollievo.

Il lottatore si trovò spiazzato, non aspettandosi di venir interpellato. «Benissimo, è un’allieva strepitosa.» Iniziò balbettando ma prese subito confidenza. «Ha imparato in un giorno quello che io ho impiegato anni anche solo a capire.»

«Me ne compiaccio», gongolò Lichtner. «Nel DNA le ho inserito una grande capacità di apprendimento, ma certo c’è bisogno di qualcuno che le insegni e lei, Boyka, è sicuramente il migliore.»

«Senza dubbio», rispose tranquillamente il lottatore. «Però anch’io avrei bisogno di apprendere qualcosa, per insegnare meglio ad Eloise.»

Il dottore fu sinceramente colpito. «E cosa mai dovrebbe apprendere il migliore lottatore dell’universo? A quanto ho capito è così che lei si descrive...»

Boyka guardava seriamente il dottore e soprattutto ignorava le occhiatacce che Dunja gli mandava. Forse avrebbe dovuto parlarne prima con lei, ma l’attenzione ricevuta all’improvviso da Lichtner gli aveva fatto prendere la decisione di parlare. «Ho già affrontato degli xenomorfi, ma mai questi... come li ha definiti? Gino...»

«Sì, ginoidi, è un antico neologismo che significa “a forma di donna”.»

«Ecco, il problema è che non so quanto siano in grado di fare, e questo mi lascia indeciso su quanto posso spingere l’allenamento della lottatrice. Se penso a lei come una donna commetto un errore, perché è molto più di questo, e la alleno al di sotto delle sue potenzialità. Ma se penso a lei come uno xenomorfo... be’, magari esagero e pretendo da lei più di quello che è in grado di dare.»

Il dottore annuì e sembrò davvero colpito dal discorso. «È un’ottima questione, Boyka, ha fatto benissimo a sollevarla. Voglio che Eloise raggiunga il livello massimo della forza e bravura di cui è capace, per questo d’istinto le direi di non avere remore a portarla al limite, ma capisco il suo discorso.» Voltò leggermente la testa ed alzò un braccio in aria: una delle sue inseparabili guardie del corpo si avvicinò a lui. Lichtner tornò a guardare Boyka. «Lei è un lottatore fenomenale quindi è inutile stare a parlare di teoria: passerei dunque ai fatti...» Guardò la donna che gli si era avvicinata e la fissò con occhi d’un tratto serissimi. Con una mano indicò il lottatore e disse alla donna: «Uccidilo!»

La donna fece scattare la testa e fissò Boyka con occhi vuoti: quello che divenne minaccioso fu tutto il resto. Ogni muscolo del volto si contrasse fino a mostrare una dentatura umana che si stava velocemente trasformando in una serie di affilate sciabole. Il sibilo emesso da quella bocca non aveva nulla da invidiare al sibilo di un qualsiasi xenomorfo in procinto di colpire. Con una velocità disumana la donna scattò sulle gambe, evidentemente fortissime, e salì sul tavolo nella posizione accucciata tipica degli alieni in attacco.

Boyka non aveva ancora capito la frase del dottore che si vide la donna avventarglisi contro, ma non si scompose di certo: non era la prima volta che veniva aggredito durante un pasto. Afferrò d’istinto il piatto davanti a sé e si limitò ad alzarlo proprio quando la donna-alieno stava per raggiungerlo con un balzo: il piatto cozzò contro i denti e il rumore che si avvertì fu particolarmente sgradevole.

Spezzata la forza del balzo in avanti, mentre l’essere sputava via il piatto e si preparava ad aggredire di nuovo l’uomo, Boyka aveva adottato d’istinto la seconda mossa. Se qualcuno ti aggredisce nella mensa del carcere, ben sapendo che le guardie osservano e sono pronte ad intervenire, vuol dire che non ha nulla da perdere: sa che quell’aggressione finirà con una morte, quindi bisogna agire di conseguenza. Uccidere l’aggressore approfittando della confusione che ne nascerà. Quando la donna compì un nuovo balzo e finì addosso a Boyka, non si era resa conto di avere un coltello piantato nel collo. Un coltello con cui prima l’uomo stava mangiando.

Il lottatore cadde con la sedia all’indietro, ma non era per il peso della donna, o almeno non solo. Mai opporsi alla forza dell’avversario, è inutile e si spreca energia. Proprio mentre l’essere lo aggrediva il lottatore si era spinto indietro così da agevolare la caduta inevitabile, conservando però tutta l’energia che invece stava sprecando la donna-alieno, inconsapevole di star anche perdendo sangue dal collo. Il dottore era stato così magnanimo da rendere il sangue più umano e quindi non acido, constatò Boyka.

Appena la sedia toccò terra il lottatore scalciò in alto la donna che si ritrovò a rotolare via. Con una contrazione degli addominali e un leggero arco delle gambe Boyka si ritrovò in piedi in un attimo. «La richiami!» gridò alla volta del dottore. «Ormai ho vinto...»

«Io la vedo ancora muoversi», rispose calmo Lichtner, indicando dietro le spalle del lottatore. Boyka si voltò e vide un’altra carica della donna-alieno: se il dottore non la richiamava, non rimaneva altro che sistemare la questione.

Sibilando a bocca spalacanta come un alieno, la donna si lanciò di nuovo in avanti: doveva avere gambe potentissime per raggiungere quella velocità e quell’altezza. Ma ora erano evidenti le sue mani... che non avevano più molto di umano. Artigli affilati erano fuoriusciti dalle dita, mentre le mani si contraevano in un fascio di nervi: sarebbe bastata una sola mano ad uccidere un uomo, ed erano due le mani che si fiondavano alla volta di Boyka.

Il lottatore aspettò che la parabola del salto della donna arrivasse a compimento, poi fece scattare la gamba destra a compire una spazzata, rimanendo rigidamente serrata. Colpì in pieno volto la donna, facendo sì che la sua forza la spingesse a cadere rovinosamente in terra. Rialzatasi di scatto, la donna si avventò contro l’uomo che le afferrò subito i polsi.

Dunja era paralizzata, tutto stava avvenendo troppo in fretta perché potesse capire la reale entità di ciò che stava vedendo, ma quando finalmente ritrovò il controllo di se stessa... si astenne dal dire qualcosa di inutile. Il dottore non avrebbe richiamato il suo mostro ma soprattutto Dunja capì cosa stava facendo Boyka: stava studiando il suo nemico. Si era assicurato una posizione di vantaggio colpendo subito alla gola la creatura, ed ora stava eseguendo tecniche non risolutive per il semplice motivo che voleva mettere alla prova la donna-alieno: voleva capire di cosa potesse essere capace.

Mentre la creatura sibilava, Boyka si rese conto che non poteva arginarne la forza, che tenerla per i polsi così da evitare i suoi artigli non era una soluzione di lunga durata. L’essere era troppo forte e quella posizione troppo debole: stava contrastando la forza con la forza, e questo è sempre uno svantaggio.

Cominciò ad arretrare lasciando che la donna aumentasse la spinta, e i due fecero alcuni metri prima che l’uomo si facesse cadere in terra, raggomitolandosi così da ritrovarsi le gambe sotto la pancia della creatura: una spinta e la donna-alieno volò di nuovo lontano.

Scattato ancora in piedi, Boyka guardò il dottore. «Mi pare di capire che dovrò ucciderla per fermarla.»

Lichtner sorrise. «Ha chiesto di apprendere... Sta apprendendo, no?»

La donna tornava all’attacco con ogni artiglio luccicante di saliva e sangue. Il proprio sangue. Come poteva avere ancora tutta quella forza con un coltello piantato nel collo?

Gli attacchi continuavano ad essere frontali, tutta la scienza di Lichtner non era stata in grado di fornire della strategia al comportamento alieno. Boyka si limitò a spostarsi leggermente, sottraendosi alla portata degli artigli, e sferrò un pugno preciso sul collo. Dall’altro lato di dov’era piantato il coltello.

Il sibilo della donna si trasformò in un rantolo e la sua forza sembrò scemare. Non cadde ma si limitò a voltarsi lentamente a fissare Boyka, sempre con occhi vuoti: probabilmente stava rantolando dal dolore, sebbene le espressioni aliene si confondessero con l’aspetto umano.

Boyka fissò la donna immobile. «Niente di personale, sorella.» Roteò il busto su se stesso così velocemente che la donna-alieno probabilmente non capì che fu il piede dell’uomo, dopo una roteazione del corpo che gli aveva donato grande potenza, a colpirla. Spezzandole il collo già martoriato.

L’essere rimase immobile, perché la violenta forza del calcio di Boyka aveva colpito solo la testa: mai disperdere la forza, perché se focalizzata in un punto solo può fare la differenza tra la vita e la morte.

Mentre la donna con la testa in una posizione innaturale lentamente si accasciava a terra, Boyka si risistemava la divisa davanti agli occhi stupiti di Lichtner. «Credevo che lei fosse un pallone gonfiato, Boyka, ma devo farle le mie scuse: l’alta opinione che ha di se stesso forse non è immeritata.»

Il lottatore lo fissò duramente. «Tolga quel “forse”.»

~

La semioscurità avvolgeva il corpo nudo di Eloise, che non aveva alcuna nozione di tempo o di differenze di luce tra il giorno e la notte. Tutto ciò che sapeva era che ad intervalli regolari venivano a darle da mangiare: quello era l’unico segno dello scorrere del tempo.

Ma stasera c’era qualcosa di diverso nell’aria. Qualcosa di potente.

Senza sapere bene perché, scese dal posto sopraelevato in cui era solita stare: era inquieta, ma non sapeva perché. Il dottore le aveva parlato di umani e di xenomorfi, e che lei era una fusione tra queste due entità, ma erano tutte vuote chiacchiere alla fin fine. Eloise non sapeva nulla né dell’una né dell’altra creatura. Sapeva che il dottore era un umano e quindi odiava gli umani, rifiutando ogni minima parte del proprio corpo fatto a loro somiglianza, ma ora aveva conosciuto Boyka e lui non l’odiava. Degli xenomorfi non sapeva niente, e si sentiva confusa.

Da quando aveva memoria la confusione e la paura facevano parte del suo essere, in ogni istante, e l’unico momento in cui era stata bene era stato proprio quel giorno di allenamento con quell’umano così diverso dal dottore. Ma ora...

Eloise contrasse i muscoli... perché?

Si accucciò a terra, sibilò con la bocca mentre sentiva il proprio intero corpo contrarsi in ogni parte: sentiva la furia, una forza antica impadronirsi di lei. Era una sensazione terribile che la riempiva di paura... ma era anche inebriante.

Cominciò a trotterellare di qua e di là, impaurita, poi si ricordò le parole di Boyka: sul campo di battaglia è vietato ogni movimento inutile. Si fermò, piantò i piedi saldamente a terra: distanziati e con le punte leggermente inclinate l’una verso l’altra. Una posizione che dava grande solidità con un minimo sforzo. Si alzò eretta con ogni muscolo teso: qualunque fosse il pericolo era pronta ad affrontarlo.

Fissava il vuoto quando si rese conto che non esisteva alcun pericolo nella stanza... Quando si rese conto che era tutto dentro di lei: quello che sentiva era la furia di una sua sorella aliena, una delle altre versioni di lei che ogni giorno le portava da mangiare senza mai dire alcuna parola né comunicare in altro modo. Erano tutte collegate, anche se diverse, ed ora stava provando dentro di sé le emozioni intense di un’altra.

Era un’occasione unica e doveva sfruttarla: provava la furia per la prima volta nella sua vita e poteva approfittare di una situazione priva di pericoli. Si guardò le braccia e le gambe: era pronta ad esplodere ma segregata in una stanza vuota: che fare?

Boyka era stato chiaro: combattere significa imbrigliare la forza interiore, prenderne il controllo invece che lasciarsene controllare. Eloise alzò i pugni contratti e cominciò a colpire l’aria, sempre più forte, sempre più forte, con tecniche sempre più rapide e precise, poi iniziò ad avanzare passo dopo passo, sempre mantenendo posizioni stabili, poi iniziò a sferrare calci, frontali, laterali, a spazzata alta e a spazzata bassa, poi ad unire tecniche di pugno e di calcio, ruotando il busto per controllare la forza. Un turbine rutilante di potenza che d’un tratto divenne puro piacere: il suo corpo iniziava a controllare quella furia antica e a renderla potenza al proprio servizio.

Ora Eloise, mentre eseguiva le tecniche, sorrideva.

~

«Si può sapere che cosa pensavi di ottenere?»

Il tono di Dunja era furente ma sempre a voce bassa. Rientrati nella loro camera dopo la cena movimentata non voleva gridare e dare l’impressione che un suo uomo avesse preso un’iniziativa discutibile, e che quindi avesse appena dimostrato di essere fuori controllo. Però era esattamente ciò che era avvenuto.

«Era solo una donna-alieno», rispose pacato Boyka senza guardare il maggiore. «Se ne costruirà subito un’altra, non è un gran danno. E poi l’hai sentito, per due volte gli ho dato la possibilità di richiamarla, ma il dottore voleva il sangue.»

«Voleva vedere quanto sei forte e ora lo sa: una volta non mi hai detto che non bisogna mai mostrarsi forti ma fingersi sempre deboli?»

Boyka si stava sfilando lentamente l’uniforme: raffreddandosi i muscoli cominciavano a fargli male e aveva bisogno di una doccia calda. «Io volevo fare un incontro tranquillo con una delle sue guardie del corpo, invece quel pazzo ha organizzato un gioco al massacro: non lo avevo preventivato.»

«Magari se ne avessi parlato prima, con me...»

Boyka sbuffò, girandosi verso Dunja e togliendosi la camicia. «Come tu hai parlato prima con me del tuo misterioso piano?» E l’uomo fissò la donna con sguardo di sfida mentre finiva di denudarsi.

Dunja mantenne lo sguardo, impassibile. «Io sono il capo, in questa missione, quindi non sono tenuta a rivelarti nulla prima che ce ne sia bisogno. Tu invece...»

«Sì, sì, lo so», bofonchiò l’uomo dirigendosi alla doccia. «Io sono il tuo burattino e devo eseguire i tuoi ordini.» L’ultima frase la disse cantilenando, chiudendosi poi nel bagno.

«È esattamente quello che devi fare!» Dunja ce la stava mettendo tutta per non gridare, così riuscì a sentire il rumore di qualcuno che bussava alla porta. D’istinto cercò la sua pistola, ma a cosa sarebbe servito? Erano soli in un pianeta ostile, una pistola non sarebbe servita a molto.

Lentamente andò alla porta e la aprì tenendo dietro la schiena la pistola carica. «Sì?» chiese prima ancora di sapere chi fosse a bussare.

«Sono Olimpia», disse la donna sorridente. «Il dottore mi ha mandato a prendermi cura di Boyka: dice che dopo il combattimento di stasera ha bisogno di un massaggio: io sono molto brava nei massaggi.»

Dunja la fissò a lungo, allibita. «Ringrazi il dottore per il pensiero ma Boyka sta benissimo, non ha bisogno di...»

La ragazza sintetica si fiondò nella stanza, decisa ma attenta a non ferire la donna. «Non posso disobbedire ad un ordine del dottore, vedrà che non la disturberò.» E richiuse subito la porta dietro di sé.

Il maggiore era furente. «Ho detto che...»

«Non gridare, Dunja, sono io... Lazarus.»

Il silenzio crollò tra le due, e solo dopo qualche secondo il maggiore riuscì a riprendere la parola. «Io... non so cosa voglia dire...»

Olimpia sorrise. «Non serve fare finta di niente, lo so che ti aspettavi qualcun altro ma sono io che ti ho contattata: sono io quel Lazarus con cui hai preso accordi.»

Dunja era confusa: doveva fidarsi di questo essere, di questo robot... di questa macchina? «Io...» continuava a balbettare.

«Non potevo dirti che ero una persona artificiale, non mi avresti mai dato fiducia, e così visto che comunicavamo solo tramite messaggi scritti ho inventato una nuova identità. Fammi una domanda, chiedimi qualcosa che solo Lazarus potrebbe sapere.»

Dunja la fissava immobile. «Non so chi sia questo Lazarus di cui parli, ma parlando per ipotesi... Se tu avessi preso il suo posto ti sarebbe facile spacciarti per lui. Ripeto, non so cosa voglia dire questa faccenda ma credo che nel caso non potrei proprio fidarmi di te.»

Olimpia sorrise in modo triste. «Ti prego, Dunja, non abbiamo molto tempo, dobbiamo...»

D’un tratto l’attenzione delle due donne si spostò: Boyka era appena uscito dalla doccia. «Che succede?» chiese asciugandosi il petto.

Olimpia scattò verso di lui, tornando a parlare con un tono di voce neutro. «Il dottore si complimenta con il suo stile di combattimento e mi manda a massaggiarle i muscoli per farle recuperare le forze.» Agguantò un braccio del lottatore e lo trascinò verso il letto.

«Ma che...?» Boyka si ritrovò a faccia in giù sulle lenzuola, mentre Olimpia cominciava a massaggiargli i muscoli, bloccandogli di volta in volta gambe e braccia. «Aspetta, ma se io non voglio essere massaggiato?»

«Gli ordini del dottore non si discutono, si eseguono», ripeté in tono neutro la donna artificiale, impegnandosi a tenere fermo sul letto il corpo del lottatore. «Come per esempio quando si studia un piano con una donna e quella poi decide di aggiungere un passeggero, che definisce “l’uomo della sua vita”.»

«Okay, mi hai convinto!» cominciò a gridare Duja, agitando le braccia alla volta di Olimpia. «Sei Lazarus, ho capito, puoi anche smettere di accartocciare Boyka.»

La donna lasciò il lottatore e scese dal letto. «Sono felice di averti convinto: il nostro piano dovrà entrare in vigore molto prima del previsto.»

«Qualcuno mi dice che diavolo succede?» bofonchiò Boyka alzandosi in piedi e fissando le due donne.

Olimpia lo guardò e poi tornò a rivolgersi a Dunja. «Com’è diverso dal dottore. Sono tutti così gli uomini della Terra?»

Il maggiore sorrise. «No, non tutti. Ma ora parlami del piano: perché dobbiamo anticiparlo?»

«Perché il dottore è così contento dei grandi progressi che fa Eloise nel combattere che vuole partire subito: non vuole più aspettare il prossimo torneo ma partecipare a quello che sta per iniziare in questi giorni.»

«In questi giorni?» ripeté allibita Dunja. «Così presto?»

Olimpia annuì. «Vuole partire domani stesso, convinto che la usa ginoide abbia appreso più di quanto il tuo lottatore creda di averle insegnato.»

«Ma tu non sei la schiava del dottore?» Entrambe le donne si girarono verso Boyka, stupite da quelle parole.

«Sì, il dottore crede in effetti che io sia sua schiava», rispose pacatamente Olimpia, mentre Dunja fulminava con lo sguardo il lottatore. «In realtà è stata una mia scelta, fingermi tale.»

«I robot sono capaci di fingere?» chiese Boyka.

«E gli uomini dovrebbero rimanere così nudi davanti a due donne?»

I due si guardarono, finché l’uomo sorrise e recuperò l’asciugamano che gli era caduto. «Non sembri proprio un robot.»

«E tu non sembri proprio un lottatore così forte: ti ho sbattuto sul letto usando solo il 20% della mia forza.»

La donna aveva detto sorridendo quelle parole, ma il lottatore le prese molto sul serio. «Solo perché te l’ho lasciato fare.»

«Possiamo tornare al piano?» intervenne il maggiore. «Quindi dobbiamo anticipare tutto a domani?»

Olimpia annuì. «Il dottore è convinto di non aver più bisogno di voi, di avere già ottenuto tutto ciò che potevate offrirgli. Originariamente aveva pensato di uccidervi ma oggi ha visto che il tuo lottatore è un osso duro: può darsi che decida di mandarvi via, così da evitare altri problemi, ma c’è il discorso dei fucili...»

«Le casse che ha fatto recapitare ai miei soldati e che ora sono sulla mia nave? Sì, sono i suoi fucili ma le munizioni me le darà solamente alla fine dell’allenamento di Boyka...»

«Non c’erano fucili in quelle casse, Dunja: c’erano uova aliene. Quando i tuoi uomini le apriranno saranno aggrediti e imbozzolati.»

Il maggiore scattò in avanti ed afferrò per le spalle Olimpia, avvertendo la forza fisica della ginoide. «Maledetto! Devo fare qualcosa, devo avvertirli!»

«Ora non puoi, il dottore ha schermato le comunicazioni. Dovrai aspettare fino a domani: c’è da sperare che a nessuno dei tuoi soldati venga in mente di aprire quelle casse.»

Dunja aveva il volto contratto dalla rabbia e dalla frustrazione. Si prese il volto tra le mani: avrebbe voluto urlare ma non voleva dare questa soddisfazione a Lichtner. Prese un lungo sospiro e poi guardò la donna artificiale. «Devi portarmi alle armi del dottore: voglio uno di quei fucili carico tra le mie mani, per domani.»

Olimpia scosse la testa. «Non è facile, le sue creature custodiscono l’armeria.»

«Tu sei una di loro: sono sicura che potrai entrare.»

L’espressione di Olimpia fece capire che non amava essere accomunata con loro. «L’unico modo che ho di entrare è prenderli alla sprovvista facendomi strada con la forza: capisci però che posso farlo solo dopo che il piano sarà iniziato.»

«E come possiamo far iniziare il piano senza armi?»

«Avete me.»

Le due donne si girarono. «Tu... saresti un’arma?» chiese Olimpia con un sorriso di sufficienza. «Ti devo ricordare quanto tempo hai impiegato ad avere la meglio su quella donna? Immagina se dieci di loro ti aggredissero, tutte insieme.»

Boyka era appoggiato ad una parete, a braccia conserte e con solo l’asciugamano lungo i fianchi. «Ho tirato per le lunghe perché volevo capire come “ragionano” quegli esseri, e per trovare conferma di una mia teoria: il dottore ha commesso un errore gravissimo e noi possiamo sfruttarlo. Io posso sfruttarlo.»

Olimpia guardò Dunja. «Il tuo uomo vaneggia.» Poi si voltò verso il lottatore. «Il dottor Lichtner ha manipolato la vita creando degli esseri perfetti e tu pensi che abbia sbagliato qualcosa?»

Il lottatore continuò come se non avesse sentito. «Ha preso una perfetta macchina da guerra come lo xenomorfo e l’ha trasformato nella creatura più debole dell’universo: l’uomo. O, in questo caso, la donna. Così facendo ha annullato ogni punto di forza degli alieni, compreso il sangue acido: combattere con quella donna mi ha fatto capire quanto siano fragili quegli esseri... se si trovano davanti un lottatore del mio livello.»

Le due donne si guardarono. «Ha un’opinione un po’ alta di sé», disse Dunja.

«Se vi serve tempo per il vostro misterioso piano», continuò Boyka, «io posso affrontare quelle gino-cose senza problemi. Anche tutte assieme.»

Olimpia guardava stupita l’uomo. Poi tornò a rivolgersi al maggiore. «È sempre così esageratamente sicuro di sé?»

Dunja agitò le mani. «Pensiamo invece a come raggiungere i fucili.»

Boyka si avvicinò lentamente ad Olimpia, sempre a braccia conserte, però parlò rivolgendosi a Dunja. «Come mai ci stiamo fidando di questa qui? Ancora non l’ho capito.»

Il maggiore sospirò. «Tempo fa sono stata contattata da un certo Lazarus, che a quanto pare era lei sotto falso nome. Ha chiesto aiuto per sventare un attentato alla Casata ma doveva essere una missione segreta: per questo ho detto ai miei uomini che venivamo qui per comprare armi.»

Il lottatore si voltò a guardarla fissa. «Cos’è la Casata?»

Dunja sussultò. «Volevo dire la Yutani. La Casata Yutani. È lei che domina il torneo DOA e offre alla Weyland la possibilità di essere leader del mercato.»

«Sei una di loro, vero? Per questo l’hai chiamata semplicemente Casata.»

La domanda era semplice e diretta, ma rimase nell’aria pesante come un macigno.

«Sei una Yutani?» chiese Olimpia al maggiore.

«Sono stata diseredata da ragazza», rispose la donna con sguardo grave. «Da allora non ho più alcun rapporto con loro... ma se vengo a sapere di un pericolo che li minaccia non posso semplicemente ignorarlo.»

«Quante altre cose non mi hai detto?» chiese Boyka seccato, allargando le braccia in un gesto di sconforto. «Come posso esserti utile se fai tutto senza dirmi niente?»

Dunja annuì con il capo. «Va bene, ora sei parte del piano.»

E iniziarono ad elaborare una strategia d’azione.

~

Quando la donna entrò a portarle il pasto Eloise in un lampo le fu accanto. «Cos’è successo stasera? Una sorella ha combattuto?»

La donna-alieno la fissò in silenzio poi si girò per andarsene, ma Eloise glielo impedì bloccandola fulmineamente con la mano: la sua presa avrebbe stritolato una spalla di donna, ma di fronte aveva un essere forte quanto lei.

La donna-alieno si voltò con sguardo interrogativo ed Eloise ripeté la domanda, in tono gentile. «Cos’è successo stasera? Ho sentito una forza dentro che non avevo mai provato...» Non ricevette alcuna risposta se non uno sguardo vacuo, al che si rese conto che l’unico modo per comunicare con le sue sorelle sarebbe stato con la mente... ma non ne era capace. Oppure nessuno glielo aveva mai insegnato: il dottore aveva sempre voluto che lei si esprimesse nel linguaggio degli umani, perché avrebbe dovuto compiere missioni in mezzo a loro.

Eloise capì che era inutile cercare di comunicare con quella creatura a forma di donna, così si limitò a studiarla dall’alto in basso, sempre tenendola ferma con la mano. Quando l’altra tentò di forzare la presa per liberarsene, Eloise lentamente le passò il bracco libero intorno al collo, e sempre con lentezza silenziosa strinse finché non sentì il crack del collo che si spezzava: la creatura a forma di donna si accasciò a terra senza alcuna reazione, continuando ad avere lo stesso sguardo vacuo.

«Esseri inutili», sibilò Eloise. «Altro che sorella... mi sa che sono la vostra regina...»

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Capitolo 7
*** 7 ***


Quella mattina Boyka uscì presto dalla sua stanza per andare ad allenare Eloise, ma fuori trovò Olimpia immobile a fissarlo. Non ricordava quando se ne fosse andata, la notte prima, per far dormire qualche ora lui e Dunja, ma l’impressione che ebbe fu che avesse aspettato tutto quel tempo fuori dalla stanza. Visto che era in fondo un robot, la cosa non avrebbe per nulla stupito.

«Il dottor Lichtner ha chiesto la presenza di entrambi alla sua colazione», disse la ginoide in tono afono.

Boyka la fissò incerto: non sembrava la stessa donna con cui avevano parlato la notte prima – con cui aveva complottato la notte prima – e probabilmente quel cambio di “personalità” era dovuto al suo rientro nei ranghi. «Quindi non devo allenare Eloise, come da accordi presi con il dottore?»

«Il dottor Lichtner ha richiesto espressamente la presenza di entrambi alla sua colazione», ripeté Olimpia come un messaggio registrato.

Boyka annuì. «Vado a svegliare Dunja e ci vediamo nella sala.»

Anche la donna annuì. «Aspetto qui, così vi accompagno.»

I due si guardarono ma la ginoide non aveva alcuna espressione che si potesse interpretare.

Il lottatore entrò e, lasciando la porta aperta, si sedette sul letto di Dunja in modo da dare le spalle ad Olimpia. Svegliare Dunja fu facile e prima che la donna potesse dire qualsiasi cosa Boyka si portò l’indice alla bocca, incitando a fare silenzio. «Qualcosa è cambiato», bisbigliò l’uomo. «Il nostro piano è appena stato fottuto.»

~

Stavolta il clima in cui gli ospiti mangiarono con il dottore non fu di noia, ma di tensione: la consapevolezza che Lichtner stesse per sferrare un tiro mancino era palpabile nell’aria. Dunja si era vestita con la solita uniforme con tanto di pistola d’ordinanza – più che altro un talismano che la faceva sentire tranquilla, visto l’inutilità di quell’arma con gli xenomorfi. Boyka non aveva nulla con sé e nulla aveva portato: il suo corpo era la sua unica arma e quella era sempre carica.

«Ben svegliati, cari miei», li accolse mellifluo Lichtner. «Spero abbiate dormito bene.»

Chiaramente il dottore aveva scoperto che invece di dormire avevano confabulato e complottato, così Boyka prese la parola cambiando subito argomento. «Pensavo che il mio addestramento di Eloise sarebbe durato più di un giorno: abbiamo fatto giganteschi passi in avanti, ma...»

«Non è più necessario alcun addestramento», tagliò corto e lapidario il dottore, lasciando il lottatore stupito. «Eloise ha imparato tutto ciò di cui aveva bisogno, entrando nella condizione d’animo perfetta per il suo compito: non a caso stanotte è stata protagonista di uno sgradevole incidente.»

«Incidente?» chiese preoccupato Boyka.

«Ha ucciso facilmente e a sangue freddo la “sorella” che le portava la cena», spiegò il dottore non nascondendo una palese soddisfazione, come se fosse esattamente questo il comportamento che voleva ottenere dal suo “esperimento”. «Finora la sua ribellione era assimilabile ai capricci d’una bambina: ora invece uccide come un’adulta, quindi è pronta per combattere al DOA.»

«Uccidere non è combattere, dottore», provò a ribattere Boyka. «Ha ancora bisogno di...»

«Eloise non ha più bisogno di nulla», tagliò di nuovo corto Lichtner. «L’addestramento è stato ottimo ma ormai non c’è bisogno d’altro: impareranno ciò che rimane con l’esperienza.»

Dunja finalmente intervenne. «Ha usato il plurale... non stavamo parlando solo di Eloise?»

Il dottore sorrise in modo malvagio. «Mi sono dimenticato di rivelarvi un particolare delle mie xeno-ginoidi... Vi piace il nome?» Nessuno rispose. «Comunicano tra loro a livello telepatico perché geneticamente sono in tutto e per tutto degli xenomorfi, ma questo vuol dire anche un’altra cosa...» Il dottore si compiacque nel vedere Boyka contrarre la mascella. «Vuol dire che insegnare a combattere ad una di loro... significa addestrarle tutte.»

Dunja e Boyka fecero scorrere gli occhi sulle donne che circondavano il dottore, provando un brivido che attraversò la schiena.

«Quando ieri sera c’è stato quello scontro diretto», continuò il dottore, «la comunicazione tra le mie xeno-ginoidi è esplosa e si sono passate tutto il “nuovo materiale” imparato da Eloise. Ora sono tutte forti, anche se solo quest’ultima si presenterà al torneo.»

«Quindi ora non ha più bisogno di noi?» chiese con un filo di voce Dunja.

«Esatto», rispose gongolando il dottore. «Devo ringraziarvi perché siete stati molto più utili del previsto, ma ora il DOA mi aspetta e successivamente dovrò governare l’universo con la mia nuova impresa commerciale. Capirete che questi impegni sono più pressanti dei doveri dell’ospitalità.»

«E Rykov?»

La domanda fulminò il dottore, che fissò a lungo Dunja. «Ha ragione, maggiore, quasi dimenticavo.» Alzò una mano e parlottò sottovoce con la donna che si chinò su di lui. Dopo qualche momento entrarono degli xenomorfi trasportando la grande cassa dove “dormiva” il generale. «A questo punto facciamo partecipare anche lui, no?» disse sorridendo il dottore.

Appena la cassa fu posata al centro della sala, Dunja scattò: «C’è una procedura complessa per aprire la cassa, ci penso io...»

«Non si preoccupi, maggiore», la fulminò Lichtner. «Conosco bene quei contenitori criogenici e posso dare indicazioni alle mie xeno-ginoidi. Temo che lei invece non conosca molto bene le casse di trasporto fucili, maggiore, visto che è stato più facile del previsto sostituirle al momento di consegnarle ai suoi uomini.» Dunja raggelò e lo fulminò con lo sguardo. «Dalla sua mancanza di reazione capisco che la mia poco fedele Olimpia le ha già raccontato della “cassa di Schrödinger” che ora giace nella sua astronave: finché non verrà aperta nessuno saprà il suo contenuto di morte.» Sorrise. «Lei sa cosa può fare un solo alieno all’equipaggio di una nave... figuriamoci i dieci che riposano in quella cassa, pronti ad uscire dalle uova in cerca di ospiti freschi...»

«Perché?» Invece di esplodere di rabbia, Dunja si dimostrò invece altamente delusa. «Perché se l’è presa con i miei uomini, che non c’entravano niente in tutto questo?»

Uno sbuffo di vapore uscì dalla cassa con un sibilo: il liquido criogenico cominciava a fuoriuscire. Il dottore lo ammirò divertito, prima di rispondere con voce dura. «Perché nessuno viene qui, a casa mia, ad ordire contro di me senza pagarne conseguenze molto salate. State parlando con il più illustre scienziato della galassia e fra poco signore dell’universo: e pensavate di prendermi per il culo impunemente?»

«Stai sbagliando, dottore.»

Lichtner aveva alzato il suo tono di voce fin quasi ad urlare con Dunja, ma quella frase lapidaria di Boyka l’aveva riportato alla calma. «Lei crede, “miglior lottatore dell’universo”?» chiese Lichtner dopo qualche attimo di stupore, sfottendo l’uomo.

«Credi che avere imparato telepaticamente qualche mossa renda i tuoi mostri capaci di lottare? Perché allora una delle tue ginotroie non prova di nuovo ad uccidermi? Al DOA immagino che incontrerete lottatori forti quasi quanto me.»

Lichtner sbottò in una sonora risata, prima di rispondere. «Giuro, mi mancherà da morire la strafottenza di questo tizio: magari potrei clonarti, signor Boyka, così da avere un giullare sempre con me.»

«Questo sarebbe un no?»

Il dottore rise di nuovo. «E va bene, voglio concedermi questo sfizio, e visto che mi fai così ridere ti concederò la morte veloce e misericordiosa dell’essere abbattuto da una delle mie... come le hai chiamate? Ginotroie?» Rise di nuovo. «Ma visto che il mio scopo è vincere il DOA, tanto vale organizzare una prova generale.» Diede altri ordini alle sue donne. «Tanto vale vedere se hai insegnato bene ad Eloise: sarà lei a massacrarti.»

~

Dopo qualche minuto in cui Dunja e Boyka cercarono di comunicare con gli sguardi, senza alcun risultato se non un inequivocabile espressione da “Il piano è davvero fottuto”, un gruppo di donne entrò in sala portando in catene Eloise: evidentemente non si fidavano a lasciarla troppo libera.

«Allora, grande lottatore», schernì Lichtner, «sei pronto ad affrontare la tua allieva?»

Boyka si alzò con decisione dalla tavola e si tolse la giacca della divisa, arrotolandosi con calma furente le maniche della camicia. «È un peccato rovinare una combattente così perfetta, ma l’hai voluto tu, dottore

Un’altra risata riempì la stanza. «Come hai fatto a sopravvivere in carcere, Boyka? Non tutti potrebbero trovarti divertente, come faccio io.»

Il lottatore si avvicinò al gruppo di donne al centro della stanza e quando queste si scansarono, portando via le catene, vide Eloise... ad occhi chini e tremante. Non poteva essere paura, pensò Boyka, perché allora tremava? Era piena di lividi, forse le sue “sorelle” erano state troppo irruente, ma una creatura forte come lei non poteva tremare per così poco...

Quando finalmente la donna alzò gli occhi e i due si guardarono, Boyka capì. Quegli esseri comunicavano in continuazione... e quindi aveva saputo che avrebbe dovuto uccidere il suo maestro. Tremava perché non voleva farlo?

«Allora, Boyka», lo schernì Lichtner. «Ti piace questa situazione paradossale? Ti tocca sperare di aver insegnato male alla tua allieva, così da avere una speranza, ma sei così pieno di te che magari la consapevolezza di non essere un così bravo lottatore di ucciderebbe lo stesso.»

I vaneggiamenti e le risate del dottore non interessavano Boyka, che stava fissando qualcosa che solo ora notava. Qualcosa che non si sarebbe mai aspettato, qualcosa che cambiava tutto...

Eloise stava indossando delle mutande.

~

Boyka fissò allibito la lottatrice che stava davanti a lui mezza nuda, coprendosi il petto con le braccia e con la testa chinata. «Stai portando le mutande...» bisbigliò.

La donna annuì. «Mi avevi chiesto di farlo.»

«Dove mai puoi averne trovate in...?» Boyka sgranò gli occhi. «Per questo hai ucciso quella tua sorella? Per rubarle le mutande?»

Eloise tirò con il naso. «Non avrei saputo dove trovarne altre. E io non ho sorelle...»

Boyka fissava stupito la donna che tremava come un pulcino. «Che vuoi dire? E perché stai tremando così?»

«Nessuno qui mi ha mai dato nulla di quello che mi hai dato tu in un solo giorno: mi hai trattato come se io appartenessi alla tua razza, come se io fossi qualcosa di vero invece di un mostro da laboratorio.»

«Tu non sei un mostro da laboratorio, Eloise. Quella è la tua origine così come io sono stato cagato in un carcere: questo non ha nulla a che vedere con quello che siamo diventati.»

«Si può sapere di che state parlottando?» chiese il dottore, che dalla sua postazione non udiva i bisbigli dei due lottatori.

«Vogliono che ti uccida», continuò Eloise bisbigliando.

«Lo so, e devi farlo se vuoi sopravvivere. Ovviamente io cercherò di impedirtelo.» Boyka la fissava con occhi dispiaciuti. «Penso che potrei batterti facilmente», aggiunse.

La donna tremò e lo guardò con occhi pieni di lacrime. «Lo so anch’io, per questo la situazione è assurda. Così come è assurdo che io mi trovi qui, circondata da schiave che potrei spezzare con una mano sola...»

Dopo un attimo di silenzio stupito Boyka bisbigliò. «Ma allora...»

Eloise lo fissò e, tra le lacrime, gli sorrise. «Un maestro una volta mi ha detto di fingermi sempre debole e indifesa... prima di iniziare a spaccare culi.» Le scappò un sorriso. «Come ho detto, non ho sorelle... perché io sono la loro regina...»

Boyka sghignazzò. «Spudorata e tronfia... Ora sì che sei una vera combattente!»

«Insomma, cominciate?» stava gridando il dottore. «O devo spronarvi in qualche modo spiacevole?»

Boyka, senza mai distogliere gli occhi da Eloise, cominciò a togliersi lentamente la camicia. «Quante schiave hai alle spalle?»

Eloise, sempre fingendo di tremare, non gli toglieva gli occhi di dosso. «Cinque. Tre distanti e due più vicine, che ancora hanno in mano le catene con cui hanno osato trascinarmi qui.»

«Sicura che non ti leggano nella mente e capiscano il tuo gioco?»

La donna scosse la testa. «Il dottore non ha pensato che rendendomi più umana delle altre mi avrebbe donato una qualità che manca completamente a quelli della mia razza: la capacità di mentire. Le mie schiave non hanno controllo su ciò che pensano, io invece sì: sto comunicando loro paura così le tengo buone.»

«Come la mettiamo con quelle due creature che hanno portato la cassa? Sono ancora lì, ferme...»

«A quelle penso io», rispose decisa Eloise. «La mia forza è quasi pari alla loro: tu occupati delle schiave dietro di me.»

Facendo cadere la camicia per terra Boyka sorrise. «Sarai la regina di queste creature, ma non pensare neanche per un attimo di essere la mia.»

Eloise rise, rise forte, di gusto, mentre iniziò a sgranchirsi braccia e gambe, pompando i muscoli. «Ti lascio decidere quando attaccare.»

Lo sconcerto cominciò ad attraversare i volti delle ginoidi: non capivano più i messaggi che arrivavano dalla loro “sorella”.

Boyka fece scrocchiare le nocche. «A proposito... belle mutande.»

Eloise non si aspettava il complimento, e chinò la testa a guardarsele. «Davvero?»

«Fregata!» gridò Boyka, lanciandosi contro le ginoidi stupefatte.

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Capitolo 8
*** 8 ***


Il dottor Lichtner pregustava lo spettacolo della sua ginoide che avrebbe massacrato quel pallone gonfiato di Boyka, magari con l’aiuto delle altre “sorelle”. Si sistemò con la sua carrozzina elettrica in modo da gustarsi la scena, ignorando volutamente la presenza al suo tavolo di Dunja: a lei ci avrebbe pensato Olimpia o un’altra ginoide.

Lichtner assaporava compiaciuto il proprio trionfo, così quando vide Boyka atterrare una ginoide con un solo colpo... un brivido gli percorse la schiena. Un colpo fortunato, sicuramente, ma lo spettacolo si fece decisamente meno scontato di quanto immaginasse.

~

La sorpresa in un combattimento è tutto, e più si è svantaggiati più è importante cogliere di sorpresa l’avversario. Le ginoidi avevano visto combattere Boyka la sera prima quindi conoscevano tutte le sue mosse: l’unico modo per affrontarle era cambiare completamente stile, usando tutte le mosse che non avevano visto.

Lanciatosi in aria, il lottatore era crollato addosso alla donna nel mezzo con tutto il suo peso, sferrando un pugno che aveva fatto rientrare il naso della creatura nel proprio cranio. Il dottore aveva preso uno degli aspetti di forza degli alieni – il coriaceo esoscheletro chitinoso – e l’aveva tramutato in fragilità umana. Naso e zigomi si sfracellarono sotto la potenza delle nocche callose di Boyka, che aveva passato i momenti migliori della sua infanzia a prendere a pugni il muro per aumentare la massa calcificata delle nocche, a forza di microfratture.

Le altre ginoidi persero preziosi secondi a fissare la loro sorella accasciarsi al suolo, secondi in cui Boyka tornò in posizione e scattò verso un’altra vittima: la distanza ravvicinata non gli consentiva di caricare un colpo potente, così si limitò a sguisciare dietro una creatura e ad agguantarla per il collo: un altro errore del dottore, dettato dal gusto di avere donne magre dal collo piccolo, e un’altra ginoide che perde la vita. Con il collo spezzato come fosse un fuscello. Ma stavolta niente caduta a corpo morto: Boyka tenne stretto il collo della sua vittima, perché era uno scudo perfetto.

Fu la donna alla sua destra ad attaccare per prima, con gli artigli snudati dalle lunghe dita: quella sì era un’arma pericolosa. Per questo il lottatore premette addosso agli artigli il corpo della ginoide morta che teneva per il collo, corpo che venne trapassato e che quindi fermò l’attacco mortale della creatura, che si ritrovava le mani bloccate nell’addome della sua sorella morta. Con una rapida torsione del busto Boyka caricò un calcio alto e colpì la nuca della morta, che così facendo colpì a sua volta la fronte della viva: non un colpo mortale ma che tramortì la creatura il tempo necessario a Boyka per eseguire un’altra torsione e far scaricare un altro calcio circolare addosso al volto di un’altra ginoide in procinto di attaccare. Spezzandole il collo.

Mentre la ginoide tramortita si liberava le mani artigliate dal cadavere della sorella, il lottatore si avvicinò e appena essa alzò la testa sibilando, pronta ad attaccare di nuovo, due mani esperte la afferrarono per il mento e per il collo dietro la nuca: una pressione come si deve e un altro collo emise un rumore gracchiante.

L’ultima ginoide non si lanciò alla cieca con gli artigli, ma a sorpresa spazzò le gambe di Boyka, che riuscì a stento a rimanere in piedi. L’uomo guardò i movimenti della creatura, che d’un tratto si rialzò con una capriola, e capì: aveva appreso i suoi insegnamenti leggendo la mente di Eloise e questo non la rendeva una semplice donna-alieno. La rendeva una lottatrice.

La creatura stava di fronte a lui spostando il peso da una gamba all’altra, agitando le dita artigliate in attesa dell’occasione giusta per sferrare il suo colpo, e Boyka non volle essere da meno: allargò le braccia e iniziò ad ondulare il busto.

I due si studiarono per qualche istante prima che Boyka portasse tutto il suo peso verso il basso e, facendo leva su un braccio puntato a terra, elevasse il suo corpo fino a colpire con un calcio la testa dell’avversaria. Una tecnica bella ma inutile, parata la quale la ginoide decise che era il momento giusto per attaccare: quando cioè l’avversario stava tornando in posizione e non aveva ancora assunto una posa stabile.

Facendo passi a gambe larghe cominciò ad agitare le braccia con ampi gesti, per non attaccare in linea retta come avevano fatto le sue sorelle, senza successo. Ma Boyka non aspettava altro: aveva eseguito apposta una tecnica inutile, per scatenare l’attacco sicuro dell’avversaria. Cambiato stile immediatamente, la anticipò andandole incontro e iniziando a lanciare rapide ma potenti tecniche corte di braccia, pugni a nocche chiuse e colpi a dita tese, alternando parate dei colpi della ginoide a colpi diretti al viso. Con una velocità crescente il lottatore inondò la creatura di così tanti colpi che ogni stile marziale acquisito da essa perse ogni efficacia: Boyka aveva affrontato uno stile aperto con uno stile stretto, ingannando l’avversaria e portandola dove voleva lui.

L’ultimo di una rapidissima serie di colpi finì al centro esatto del collo, spegnendo la luce alla ginoide. Mentre crollava a terra, Boyka ne approfittò e sferrò un potente calcio a spazzata sulla sua testa. Giusto per essere sicuro.

Nel giro di una manciata di secondi il lottatore aveva massacrato cinque ginoidi davanti agli occhi del loro creatore, che ancora doveva riuscire a capire cosa stesse accadendo.

~

Nel frattempo Eloise era scattata alla volta dei due xenomorfi che rimanevano imbambolati vicino alla cassa criogenica, che emetteva ancora il suo sibilo di decompressione. Nella confusione nessuno stava dando loro ordini quindi sembrava dondolassero la loro lunga testa da una parte all’altra, in attesa di istruzioni. Al loro posto arrivò la morte, che li fulminò con gli occhi infuocati di Eloise.

La donna in un lampo si piazzò alle spalle delle due creature: voleva colpirli ma all’ultimo secondo trovò un’idea migliore: afferrò le loro code con una presa d’acciaio e mise in funzione ogni potente muscolo del suo corpo iniziando a roteare. Con solo un paio di giri già gli xenomorfi roteavano confusi nell’aria, agitando i loro arti, quindi era il momento giusto per lo slancio finale: con colpo preciso Eloise fracassò i due corpi contro la parete della stanza, come fossero stati due insetti fastidiosi.

~

«Ma che succede?» fece appena in tempo a dire il confuso Lichtner prima che Dunja scattasse dalla sua sedia, attraversasse il tavolo con una capriola e si ritrovasse addosso al dottore.

Con un pugno lo confuse e poi gli avvinghiò le braccia al collo. «Succede che ora la tua merda ti torna indietro», gli sibilò la donna nelle orecchie.

Subito le due ginoidi di guardia fecero per avvicinarsi, così Dunja estrasse rapidamente il suo coltello e lo puntò alla gola del dottore. «Un altro passo e sgozzo il vostro padrone.» Le creature si immobilizzarono ma non sembravano convinte. «Fermale», sibilò la donna nell’orecchio di Lichtner, «o andremo insieme all’inferno.»

«Questa è la peggiore mossa che potesse fare, maggiore», gracchiò l’uomo che respirava a fatica, mentre agitava il suo corpo pingue immobilizzato sulla carrozzina. «Siete in minoranza schiacciante, il suo uomo non potrà far fuori centinaia, migliaia di alieni.»

«Magari posso aiutarlo io.»

Dunja e Lichtner alzarono lo sguardo e videro che tra le due ginoidi immobilizzate era apparsa Eloise, che fissava il dottore con occhi di sfida. Lentamente alzò le braccia e ogni mano agguantò la testa della ginoide al suo fianco. «In fondo queste sono solo mie schiave.» Strinse lentamente le sue dita, e mentre la sua forza comprimeva inesorabilmente il loro cranio le due donne rimasero immobili, quasi inconsce di ciò che avvenisse. Davanti agli occhi allibiti di Dunja e Lichtner Eloise maciullò a mani nude i crani delle due sue “sorelle”, che si accasciarono in silenzio. «Sei contento di come mi hai fatto, papà

Il dottore deglutì sonoramente. «Ti ho resa forte apposta, figlia mia, ma non per rivoltarti contro di me.»

D’improvviso un rumore potente avvertì tutti che degli xenomorfi erano entrati nella stanza: non erano più gli inquietanti servitori di Lichtner, bensì semplici macchine di morte chiamate a difendere il dottore dagli aggressori.

In un lampo Eloise scattò verso di loro, lanciandosi in aria e caricando il pugno. Era la stessa identica tecnica che aveva eseguito Boyka un attimo prima, ed era facile immaginare che prima di morire le ginoidi avessero trasmesso a tutta la loro razza quella nuova informazione. Per questo Eloise all’ultimo secondo roterò il busto e colpì le creature con una falciata di gamba: si aspettavano un pugno, quindi furono colpite di sorpresa e incassarono tutta la forza della donna.

«Osate ribellarvi alla vostra regina?» bisbigliò Eloise mentre i suoi occhi fiammeggianti fulminavano le due creature confuse: in un attimo fu loro addosso. Afferrò la lunga testa di uno xenomorfo e la usò come leva per sollevare l’intero corpo, che usò per colpire l’altro xenomorfo. Arti e code si agitavano senza sosta e le grida animali delle due creature stordivano ma non fermarono Eloise, che nel groviglio di corpi chitinosi afferrò le due teste e le fece girare finché un rumore raccapricciante non l’avvertì che non c’era più niente di vivo in quel groviglio di arti.

«Impressionante.»

Eloise si voltò e sorrise a Boyka, che l’aveva raggiunta. «Dubitavi di me, maestro?» chiocciò la donna.

Boyka ghignò. «Neanche per un momento. Una che picchia un alieno con un altro alieno... è degna di tutta la mia stima!»

Non fecero in tempo a godersi la momentanea vittoria che dalla porta della stanza iniziarono ad affacciarsi altri xenomorfi... tanti altri xenomorfi.

«I miei schiavi hanno bisogno di una lezione», disse Eloise.

«Ora non esagerare», rispose Boyka mettendole una mano sulla spalla per fermare la sua carica. «È il momento di chiedere un aiuto.»

Voltatasi per capire a cosa si riferisse, la donna vide che il lottatore guardava dietro di loro e seguì il suo sguardo. Vide che più in là Dunja stava trascinando il dottore, tenendogli sempre il coltello alla gola, verso la cassa criogenica, che ormai non emetteva più vapore. Sembrava un semplice mobile ma il maggiore iniziò ad armeggiare con i suoi comandi con fare sicuro. «Volevi tanto il tuo generale Rykov», gridò Dunja all’improvviso in faccia a Lichtner, «ed eccotelo qui!»

Le ante della grande cassa iniziarono ad aprirsi lentamente.

«I miei schiavi ci stanno per raggiungere», bisbigliò Eloise alla volta di Boyka.

L’uomo si voltò a fissarla, tranquillo e sorridente. «Giù, Eloise.»

La donna lo fissò incerta. «Cosa?»

Boyka l’afferrò per le spalle e la trascinò a terra con sé. «Giù!»

Le ante della cassa criogenica si spalancarono ed uscì il generale Rykov... all’interno dell’armatura Berserker dotata di mitragliatori. Un grido potente fuoriuscì dalla gola del vecchio generale, risvegliato dal suo sonno artificiale, prima che aprisse il fuoco e un oceano di proiettili esplosivi inondasse la stanza.

Senza stare a guardare chi colpiva, senza chiedersi se i piani stessero andando come Dunja gli aveva preventivato, appena uscito dal sonno criogenico Rykov iniziò a sparare, falcidiando tutto ciò che aveva davanti. Gli occhi erano ancora appannati per il sonno forzato e l’equilibrio era malandato, ma per fortuna l’armatura Berserker era in grado di guidare il suo corpo e sostenerlo. E potenziarlo.

I potenti mitragliatori montati sulle mani si agitavano nell’aria ma per fortuna l’armatura teneva la mira ad altezza uomo, così che chi si riparava in terra non venisse colpito. Gli xenomorfi che stavano entrando a frotte nella stanza cominciarono ad inciampare sui cadaveri gli uni degli altri, mentre i potenti proiettili esplosivi facevano scempio dei loro corpi inondando l’ambiente di sangue acido.

«Leviamoci da qui!» gridò Boyka, strisciando via e trascinando con sé Eloise mentre i corpi degli alieni cadevano sempre più vicini.

Dunja e Lichtner si erano riparati dietro la cassa criogenica. «Puttana!» stava sibilando il dottore. «Pensi di avermi battuto perché stai facendo fuori un po’ di creature? Ne trovo mille volte tante: siete dei folli e morirete qui, schiacciati come insetti.»

Dunja mise a tacere il dottore dandogli una botta in testa con il manico del coltello. L’uomo cadde dalla sua sedia, mezzo tramortito, e solo allora la donna vide una luce rossa lampeggiare all’interno di uno dei braccioli. «Perché quella luce lampeggia? Ehi, dottorino, cosa vuol dire quella luce?»

Rantolando da terra, con il sangue a coprirgli il volto, Lichtner emise una risatina inquietante. «Ho chiamato mamma... per fare pulizia.»

Dunja rabbrividì e fece il giro della cassa criogenica per gridare ed avvertire gli altri del pericolo, ma fece appena in tempo a vedere Rykov volare via. Una enorme mano lo aveva afferrato alle spalle e spinto all’indietro, facendolo volare verso la parete opposta della sala, distruggendola con il peso dell’armatura e scomparendo al di là. Da chissà quale anfratto delle fondamenta, era salita una Regina in aiuto di Lichtner.

~

Gli spari cessarono all’improvviso e le grida degli alieni falcidiati si tacquero, così come loro stessi smisero di entrare nella stanza, lasciando decine e decine di cadaveri accatastati in terra. L’improvviso silenzio fece risaltare le grida lanciate da Dunja e Boyka, ritrovatisi disarmati di fronte alla potente Regina: il lottatore non era stato in grado di affrontarla quando indossava l’armatura che ne moltiplicava la forza, figuriamoci ora a corpo nudo.

Le grida erano sconclusionate e proponevano piani di salvezza senza speranza. Eloise non li stava ad ascoltare: si alzò e si diresse lentamente verso la sua usurpatrice. Verso la creatura che si arrogava il titolo di Regina.

Giunta di fronte all’enorme xenomorfo la ginoide fissò la sua testa con occhi furenti di sfida. Poteva avvertire potente il richiamo della Regina, era assordata dai messaggi psichici che l’essere le stava inviando in forma telepatica, inondandola: non poteva capirli ma era abbastanza sicura che fosse un richiamo all’ordine. Il che voleva dire che quella stupida creatura non aveva capito come stessero le cose. «C’è solo una regina», bisbigliò Eloise, sapendo che l’essere non poteva capirla. «E sono io!»

L’enorme xenomorfo fece scattare uno dei suoi artigli per spazzare via la ginoide, ma questa rimase immobile ad aspettare il colpo... e con rapido gesto colpì d’anticipo l’artiglio della Regina con un pugno. Un solo colpo sferrato con tutta la sua forza. Il risultato fu che non solo Eloise non venne spazzata via, ma riuscì a maciullare due dita dalla enorme mano della Regina.

Non aspettò che la creatura smettesse di gridare prima di avventarsi contro il suo enorme corpo, cominciando velocemente a scalarlo malgrado gli spasmi e i tentativi dell’essere di scrollarsela di dosso. In pochi istanti raggiunse l’enorme collo e, a cavallo del dorso della Regina, cominciò a tempestarlo di pugni. Rapidi. Potenti. Letali.

«Eloise, scendi!» gridava Boyka. «È troppo forte per te! Se le penetri la pelle il suo sangue ti corroderà!»

La ginoide si bloccò: il suo corpo era stato creato per essere umano, quindi il sangue acido la corrodeva? Non ci aveva mai pensato, aveva ucciso gli altri xenomorfi senza spargere sangue, ed era saltata addosso alla Regina senza calcolare che se un suo pugno avesse penetrato l’esoscheletro chitinoso il sangue acido le avrebbe fuso la mano...

L’esitazione di un attimo fu fatale, e vide quasi in sogno l’enorme coda della Regina volare verso di lei, nel tentativo di scrollarsi di dosso quella fastidiosa pulce. Mai assorbire la forza di un colpo, bisogna sempre assecondarne l’energia ed impossessarsene: Eloise scattò sulle gambe e si lanciò nella direzione in cui andava la coda, così che quando la colpì non fu un impatto forte.

Afferrando e tenendo stretta l’estremità della coda, la ginoide raggiunse la parete di fronte e girando su se stessa riuscì ad evitare di colpirla di schiena: ammortizzò con le gambe l’impatto, e appena ricaduta in terra iniziò a tirare la coda della creatura. Era impossibile trattenerle quell’enorme essere tirandogli la coda, ma almeno poteva guadagnare qualche istante per pensare ad un piano.

Mentre la Regina si agitava, Dunja le trascinò davanti il dottore, ancora sanguinante dalla testa. «Richiama il tuo mostro, Lichtner», gridava la donna. «O morirai anche tu per mano sua.»

Il dottore si lamentava e gesticolava. «Potevo essere... il signore dell’universo... e invece... per colpa di due pidocchi...» Non riuscì a dire altro, perché un colpo di mano della Regina furiosa dilaniò il corpo in una fontana di carne e sangue che schizzò ovunque. Dunja rimase immobile, ricoperta dei resti fumanti di Lichtner, senza riuscire a capire perché si sentisse d’un tratto bagnata. Lo shock non le faceva capire d’essere ricoperta di sangue e pezzi di carne. E non le faceva vedere che la Regina, sebbene Eloise tentasse di allontanarla, stava per sferrare un altro colpo. Che nessun essere umano avrebbe potuto fermare.

Dunja non si rendeva conto di nulla, neanche che prima di essere colpita all’ultimo secondo una serie di accecati luci azzurre inondò le sue pupille e la fecero cadere a causa dell’intensità. Quando riaprì gli occhi non c’era più nulla davanti a sé... se non Eloise a terra, che stringeva un enorme pezzo di coda aliena che fremeva.

«Che... cazzo...» bofonchiò Dunja. Sentì una presenza accanto a sé e si voltò.

Era Olimpia con un FN F2000 in pugno.

«Il dottore era un gran bastardo, ma sapeva costruire armi davvero potenti.»

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Capitolo 9
*** 9 ***


Dunja fissava ancora lo spazio vuoto dove qualche istante prima c’era l’enorme Regina aliena pronta a maciullarla. Non riusciva ad alzarsi semplicemente perché non provava neanche a muoversi: lo stupore per essere ancora viva era un qualcosa che andava gestito lentamente.

Si sentì sollevare e in un attimo si ritrovò in piedi. «Per un pelo», sentì dire, ma la voce di Boyka proveniva da lontano, come ovattata. Mentre il lottatore proseguiva alla volta di Eloise, Dunja d’un tratto fece mente locale: i suoi uomini! Se sull’astronave avevano aperto le maledette casse che Lichtner aveva inviato loro... Agguantò il suo trasmettitore con gesti compiuti quasi in sogno e cominciò a cercare di comunicare con la Verloc, malgrado sentisse la propria voce come in lontananza. «Dimitri, mi senti? Ti prego, rispondi...»

Boyka intanto aveva raggiunto la sua allieva, che ancora stringeva l’enorme coda mozzata della Regina. «Non male come primo giorno della tua nuova vita», le disse.

Eloise gettò lontano il resto alieno con un gesto di stizza. «Ho fallito. Maledizione, ero sicura di poter affrontare una Regina...»

«Magari un giorno ci riuscirai», cercò di consolarla Boyka, vedendola davvero delusa. «Non puoi chiedere troppo dal tuo primo incontro: un lottatore migliora andando avanti, non si è subito campioni.»

«Non avevo pensato al dannato sangue acido», continuò la donna guardandosi le mani. «Mi ero inorgoglita con le mie “sorelle” e ho sottostimato un nuovo nemico.»

«Ma hai imparato, ed è questo l’importante. Non essere dura con te stessa.» Il lottatore si voltò a salutare con un cenno Olimpia. «Grazie per l’aiuto, temevo che ci avessi traditi.»

La donna-robot accennò un semplice gesto del capo ma subito si diresse da Dunja, che continuava a cercare un contatto con l’astronave. Olimpia aveva nel frattempo annullato il blocco del segnale imposto dal dottore, ma era stato un gesto inutile, lo sapeva benissimo. «Non le risponderà nessuno, maggiore» si limitò a dire, con un tono di voce che cercava di imitare, senza riuscirci, la compassione umana.

Dunja la fulminò con gli occhi. «Perché dici questo? Sai qualcosa...?»

Olimpia annuì. «Mi sto collegando in remoto con il computer centrale della Verloc: segnala che ieri sera c’è stata una violazione nel protocollo di sicurezza della nave. Lei sa cosa vuol dire, vero?» Dunja la fissò immobile. «Risulta che nelle ore successive alcune sezioni della nave sono state sigillate ma non sembra sia servito a molto: il database del sistema d’areazione mostra un’interruzione della percentuale del riciclo di anidride carbonica.» La donna rimase in attesa di una reazione che non arrivò, così proseguì. «Sembra che nessuno stia più respirando, sulla nave.»

Dunja continuava a fissare Olimpia, sperando che tutto quello fosse solo uno stupido scherzo di quella donna artificiale, che fosse l’ultimo tiro mancino di Lichtner, che non fosse vero niente. Che quella maledetta missione non avesse fatto morire tutti gli uomini. Che non avesse sulla coscienza la morte del suo intero equipaggio. Compresi quelli che le avevano salvato la vita eleggendola capitano della nave. Ovviamente si erano sbagliati, puntando su di lei...

«Dimitri...» provò di nuovo il maggiore, bisbigliando nella trasmittente. «Ti prego... rispondi...»

«È inutile, Dunja, nessuno ti risponderà.»

«Lasciala provare comunque.» Olimpia si voltò a guardare Boyka, che si era avvicinato e probabilmente aveva sentito tutto. «Piuttosto dovresti guidarci verso una qualche navetta per lasciare questo posto.»

«Per andare dove?» sbottò Dunja, fissando con occhi sofferenti il lottatore. «Non c’è più un’astronave a cui tornare, non possiamo lasciare questo pianeta di merda.»

«Non serve lasciarlo: ci stanno venendo a prendere», disse Olimpia.

Il silenzio calò improvviso e tutti guardarono la donna. «Chi ci sta venendo a prendere?» chiese Dunja per tutti.

«Ieri sera, appurato che eri dalla nostra parte, ho chiamato la Casata perché iniziassero a mandare qualcuno a darci man forte. Poi tutto è crollato velocemente, ma dovrebbe arrivare tra poco l’astronave Yutani per portarci via.»

«Yutani...» quasi bisbigliò Dunja.

«Sì, la tua Casata. Li ho informati del tuo operato e sono stati lieti di sapere che ti sei battuta per fermare il dottore, che rappresentava un grave pericolo per loro. Vogliono che torni in famiglia.» Olimpia girò lo sguardo verso Boyka ed Eloise. «Anche voi, ovviamente. Li ho informati di tutto e vi considerano una preziosa risorsa.»

Sia il lottatore che la ginoide si limitarono a guardare silenziosamente Dunja: a loro non importava minimamente far parte di una Casata, ma avrebbero seguito il maggiore.

Dunja era frastornata. «Non ho più contatti con la Casata, con quella che tu chiami “famiglia”, da tanto di quel tempo...»

«Loro sono disposti ad accoglierti e a dimenticare, per iniziare un nuovo futuro insieme.»

«Aspetta... dimenticare cosa?»

«Dagli archivi risulta che la Casata non ha più preso in considerazione la tua riammissione in famiglia dai tempi dell’incidente sul pianeta Korari: una nota specifica che il tuo comportamento in quell’occasione, con tutti quei morti che hai provocato, non è degno della classe dirigenziale Yutani. Però è passato molto tempo e sono disposti...»

«Che cosa?» gridò Dunja sdegnata. «Su Korari io non ho fatto niente, è stata tutta opera di quell’infame di...»

«Vi sono mancato?»

Tutti si girarono verso la breccia aperta nella parete della stanza... aperta proprio dall’armatura attraverso cui ora Rykov li guardava. «Grazie per esservi preoccupati per me, che ho volato per mezza città» disse sarcastico il generale.

«Hai dato a me la colpa del massacro di Korari?» gli gridò Dunja andandogli incontro.

Attraverso la visiera dell’armatura Berserker era difficile stabilire l’espressione di Rykov, ma tutto lasciava pensare ad un ghigno. «Perché rivangare il passato? Comunque non è il caso che la Yutani sappia di questo», ed alzò i mitragliatori ancora collegati all’armatura: una raffica di proiettili attraversò la stanza.

Tutti si gettarono immediatamente a terra, ma la raffica fu brevissima. Boyka ed Eloise si guardarono per sincerarsi che non avessero subìto ferite e lo stesso fece Dunja. Solo dopo un attimo si accorsero che Olimpia stava rantolando a terra, con il corpo che vibrava ed emetteva strani ronzii.

«Così non potrà raccontare la verità alla Casata», disse Rykov, avvicinandosi.

«Non era amico nostro?» chiese Eloise bisbigliando a Boyka.

«Rykov non è amico di nessuno», rispose l’uomo. «Prima spara da una parte e poi spara dall’altra. Dargli un’armatura invincibile non è stata una grande idea.»

«Davvero è invincibile?»

«Praticamente sì. L’unico suo punto debole è...» Boyka si voltò di scatto a fissare Eloise. «Non può resistere alla forza fisica degli alieni...»

Rykov si avvicinò fino a troneggiare su Dunja, che lo stava insultando da per terra. Con un sorriso arcigno il generale puntò una delle mitragliatrici verso la donna. «È stato un onore averti come mia allieva, Dunja, e ti ringrazio di non avermi consegnato a Lichtner, ma conservare i favori della Yutani è più importante. Ora che sai di Korari, non posso portarti con me.»

«Dopo tutto questo tempo, generale...» Dunja sputò, «non hai ancora imparato la lezione più importante di tutte.»

Incuriosito, Rykov esitò divertito. «E quale sarebbe?»

Dunja lo fissò con disprezzo. «Mai tirarla per le lunghe prima di premere il grilletto.»

Un attimo dopo il corpo muscoloso di Eloise impattava pesantemente con l’armatura del generale, costringendo Rykov ad indietreggiare. Prima che l’uomo potesse realizzare cosa stesse succedendo, la ginoide stava adottando lo stile del combattimento a corta distanza, inondando di pugni potenti e a corto raggio il centro dell’armatura: per quanto fossero potenti i suoi muscoli non poteva arrecare particolare danno, ma le serviva per destabilizzare il generale. Il quale cominciò ad agitare le braccia davanti a sé, nel tentativo di scacciare quella donna.

Ad ogni tentativo di scacciarla, Eloise cambiava posizione e colpiva nello spazio lasciato scoperto sull’armatura, acquisendo sempre più velocità, finché non scivolò dietro Rykov e gli si avvinghiò sulla schiena, tenendosi ferma con le gambe alla vita dell’armatura. Cominciò a rallentare i pugni ma ad aumentarne la forza: ogni goccia di sangue xenomorfo cominciò a ribollire nelle sue vene umanoidi, finché il metallo dell’armatura non cominciò vistosamente ad ammaccarsi.

«Togliti di dosso, maledetta!» gridava Rykov agitandosi, frustrato dal non riuscire a scacciare quell’essere dalla potenza micidiale.

Ammaccate le spalle, Eloise agguantò il casco e iniziò a premere verso l’alto, mentre schivava le braccia dell’armatura che tentando di colpirla in realtà sbattevano contro la testa stessa di Rykov.

Ogni muscolo del corpo di Eloise era contratto oltre ogni umana condizione: a parte la mera forma esteriore, nulla c’era più di umano in lei. A forza di tirare, un rumore di metallo torturato fu il segnale che l’armatura Berserker stava cedendo: una piccola crepa si aprì nell’attaccatura del casco al resto del corpo. A Dunja non serviva altro.

La donna scattò in avanti e piantò il suo coltello nella fessura, raggiungendo la gola di Rykov. In pochi secondi la visiera dell’armatura si imbrattò di sangue, finché le braccia iniziarono a rallentare i loro movimenti nell’aria. Dunja premette ed agitò la lama, mentre urlava contro la visiera ormai piena di sangue: impossibile vedere il volto di Rykov. Infine la Berserker crollò, sotto il peso delle due donne ma anche perché il generale aveva perso il controllo. Era morto soffocato in una visiera ripiena del suo stesso sangue.

Finito di urlare, stringendo ancora il coltello fino a rendere completamente bianche le dita, Dunja chinò la fronte fino a posarla sull’armatura immobile. Non voleva che gli altri la vedessero versare lacrime per aver perso di nuovo una famiglia, per essere di nuovo sola contro l’universo.

Eloise si allontanò per raggiungere Boyka, che intanto si stava sincerando delle condizioni di Olimpia. La donna-robot aveva perso la funzionalità del corpo ma la sua testa era ancora attiva. Quando Eloise si avvicinò la donna si voltò a guardarla e il suo volto robotico si allargò in un sorriso. «Non male, per una ginoide.»

~

Quando l’astronave Yutani iniziò le manovre di atterraggio, Dunja e Boyka la guardarono in lontananza, seduti sul tetto della dimora del dottor Lichtner. La donna era voluta salire perché dabbasso diceva le mancasse l’aria, ma probabilmente cercava un posto per rimanere sola. Non ci riuscì, visto che Boyka la seguì quasi subito.

«Sei pronta ad incontrare la tua nuova vecchia famiglia?» le disse il lottatore, a metà fra il serio e lo scherzo.

I due erano stati in silenzio tutto il tempo. Lui l’aveva raggiunta sul tetto ma non aveva detto una parola: erano rimasti così, semplicemente vicini.

«Non sono mai stati la mia famiglia», rispose con un filo di voce Dunja. «Non lo saranno certo ora.»

«Vuoi che ti racconti i rapporti con la mia famiglia in carcere?»

Dunja sbottò in una risata. «Basta coi tuoi racconti carcerari, Boyka.» Poi, dopo un attimo di silenzio. «Grazie per non aver cercato di consolarmi o per non aver infierito.»

«Non sono bravo con le parole», rispose lui, cambiando posizione, «volevo però farti sapere che ci sono. A volte basta questo.»

Dunja annuì. «A volte basta questo», ripeté.

«Perdere tutto a volte è un modo per cambiare vita. Ora puoi scegliere un altro percorso, un’altra strada da seguire.»

«Sarebbe bello», rispose amareggiata la donna, «ma l’unica strada sarà quella che mi consentirà la Casata: se vorranno mettermi a guardia dei maiali, sarà quella la mia nuova “strada”.»

Boyka sorrise. «E allora sarai la migliore guardiana di maiali dell’universo.» Risero. «E quando ti sarai stufata ce ne andremo e faremo qualcos’altro.»

Dunja si voltò a guardarlo per la prima volta. «D’un tratto usi il plurale? Sembra quasi che siamo una coppia...»

Boyka rispose allo sguardo, sorridendo. «Il maggiore Dunja era troppo seriosa, sembrava una gino-cosa, la semplice Dunja la trovo più umana, e mi piace l’idea di stare con lei.»

Dunja tornò a guardare la navetta che stava atterrando in lontananza. «Dev’essere una donna fortunata, questa Dunja.»

«Inoltre questa Dunja è molto meno spietata dell’altra. Per esempio non sta pensando che Eloise potrebbe battere qualunque avversario del Dead Or Alive, non pensa che partecipando a quel torneo potrebbe mettersi in mostra con la casata.»

La donna si voltò a guardarlo allibita. «Stai proponendo di mettere in atto la follia di Lichtner? Vuoi far partecipare quella ginoide al DOA?»

Boyka scosse le spalle. «L’essere stato un pazzo non vuol dire che il dottore abbia sbagliato tutto. Vincendo il DOA credo entreresti subito nelle grazie della Yutani...»

I due rimasero in silenzio per un po’, mentre i Colonial Marines della Weyland-Yutani venivano a prenderli per portarli in un nuovo mondo.

«Sai che la tua allieva dovrà combattere con dei vestiti addosso?»

L’uomo scoppiò in una sonora risata. «Facciamo così: vestiamo lei... e spogliamo te.»

I due risero, e dal basso nessuno poté vederli baciarsi.

FINE

(A presto con Aliens vs Boyka 3: Death or Alive ma prima, le fonti che ho utilizzato)

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Capitolo 10
*** LE FONTI ***


Questa fan fiction è una storia originale che utilizza però personaggi e situazioni pre-esistenti, estratti da varie fonti: ecco la specifica del materiale a cui ho attinto per la stesura di Aliens vs Boyka 2: Gynoid.

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Boyka - personaggio cinematografico nato nel film Undisputed II: Last Man Standing (2006) di Isaac Florentine, prodotto dalla NU Image / Millennium Films. Nato come cattivo, conquista talmente il pubblico che diventa protagonista assoluto del successivo Undisputed III: Redemption (2010): dopo un vano tentativo dell’attore Scott Adkins di diventare “attore normale”, nel 2016 gira il terzo film nei panni del personaggio, la cui uscita però è ripetutamente slittata.

Personaggio venerato in ogni angolo del mondo, tranne in Italia dove è totalmente inedito, Boyka è un detenuto del carcere duro di Gorgon, campione indiscusso dei combattimenti illegali finché il buono del secondo film gli ha spezzato una gamba. Diventato buono (e religioso), riesce a riabilitarsi e sebbene zoppo partecipa al campionato di Gorgon sbaragliando ogni avversario. Dopo Fang, lo spadaccino monco cinese, e Zatôichi, lo spadaccino cieco giapponese, Boyka è un nuovo grande crippled master del cinema marziale.

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Dunya, generale Rykov e Dimitri sono personaggi del videogioco Aliens vs Predator 2 (2001) prodotto dalla Sierra, ma ho preso in considerazione anche l’espansione Primal Hunt (2002).

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Olimpia - Sebbene il personaggio sia completamente inventato, il nome Olimpia è comunque un omaggio alla prima ginoide della cultura occidentale, concepita nel 1815: quella Olympia del racconto “L’uomo della sabbia” (Der Sandmann) di E.T.A. Hoffmann che ha riempito di paure l’Europa e ha fatto la gioia di Sigmund Freud, che giudicò il racconto “perturbante” (unheimlich)

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Per quanto riguarda Eloise e il dottor Lichtner... be’, serve una parentesi: giuro che ne varrà la pena.

L’idea di uno scienziato fuori dagli schemi che in un posto lontano crei una donna non è certo nuova: nasce nell’agosto 1952 quando Fritz Leiber pubblica sulla rivista “Galaxy” il racconto “La casa del passato” (Yesterday House): la prima storia di una donna clonata. (Il film Ex machina del 2014 “clona” palesemente questo racconto, anche se la donna è robotica.) Per Eloise però mi sono rifatto ad una fonte più squisitamente “aliena”.

Il 22 febbraio 1997 gli scienziati danno al mondo l’annuncio ufficiale della nascita di Dolly, pecora nata nel luglio 1996 mediante clonazione: sarà stata qualche fuga di notizie, fatto sta che esattamente due mesi prima di quell’annuncio la 20th Century Fox ha depositato il titolo del suo nuovo progetto in fase di realizzazione sin dal novembre ’96: Alien Resurrection. Lo sceneggiatore Joss Whedon aveva saputo in anteprima della nascita di Dolly, l’unica degli otto embrioni clonati giunta alla nascita? Oppure è stata una incredibile coincidenza che abbia scritto della rinascita di Ellen Ripley, ultima di otto esperimenti di clonazione? In realtà sulla questione del numero otto è più facile che Whedon abbia scopiazzato l’idea dal film “Priorità assoluta” (Eve of Destruction, 1991), in cui la dottoressa protagonista costruisce varie copie robotiche di se stessa e solamente l’ultima, l’ottava, ottiene dei risultati.

Quale che sia la fonte di Whedon, fatto sta che il 1997 si apre con la lavorazione del quarto film alieno ed evidentemente la Dark Horse Comics deve seccarsi di brutto: dal 1988 i suoi fumetti di alta qualità hanno ampliato l’universo di Aliens e guadagnato milioni di lettori, e di nuovo la Fox manda a scatafascio tutto? Già con l’apocrifo e raffazzonato Alien 3 la Dark Horse si era vista segare via tre intere saghe, campioni di incasso, con Newt ed Hicks protagonisti, ed ora la Fox vuole di nuovo sparare a casaccio? Serve una vendetta in grande stile: il 27 agosto 1997, a due mesi dalla prima proiezione del film con la Ripley clonata, la Dark Horse presenta Aliens: Purge, storia di una donna clonata da DNA alieno...

Su Sybaris 503 il dottor Lichtner compie vari esperimenti, tra cui la creazione di una donna partendo da materiale genetico alieno: uno xenomorfo a forma di donna di nome Eloise. Quando i nuovi “padroni” del dottore vengono a prendere possesso dell’impianto, Eloise massacrerà tutto ciò che respira e rimarrà regina del suo piccolo impero.

Il fumetto è uno one shot, non ha seguito, è una storiella breve in pratica nata solo per bruciare la Fox sul tema della donna clonata: è un peccato che Eloise – o una sua clone! – non riappaia più nell’universo alieno...

Ovviamente questo fumetto è inedito in Italia, come la stragrande maggioranza degli Aliens Comics.

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Tutto quello che scrivo sulle ginoidi lo potete trovare in forma ampliata, insieme a tantissimo altro materiale, nel mio saggio “Gynoid. Duecento anni di donne artificiali”.

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Il torneo DOA (Dead Or Alive) è ovviamente una citazione del celebre videogioco della Koei Tecmo che ha dato vita anche ad un omonimo film del 2006. Curiosamente il gioco viene distribuito la prima volta nel novembre 1996, cioè esattamente quando iniziano le riprese di Aliens Resurrection.

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