The Others di The_Gabs (/viewuser.php?uid=1010284)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1x1 Gli Altri ***
Capitolo 2: *** 1x2 Adattamento ***
Capitolo 3: *** 1x3 Prova di coraggio ***
Capitolo 1 *** 1x1 Gli Altri ***
1x1 Gli Altri
Luogo sconosciuto, 1972
Due giovani fuggono disperatamente lungo il corridoio asettico
dell’edificio.
Niente sembra esistere al di fuori dei loro passi urgenti e frettolosi,
ansiosi, rapidi. La luce bluastra, cadaverica, li segue silenziosa fino
al loro obiettivo, una grande apertura nel muro, dalla quale i rifiuti
vengono espulsi dall’edificio.
I due ragazzi si fermano, aprono la grata di metallo e scrutano nel
buio. Non vi è posto per entrambi.
Altri passi, altrettanto urgenti, si avvicinano alle loro spalle.
I due ragazzi si guardano:
«Vai prima tu» dice il più giovane, un
ragazzino dai lineamenti morbidi e dai grandi occhi neri, un nero
liquido, dolce e indagatore.
L’altro, più alto, più anziano e
più avvenente, non è uno sprovveduto. Ha sentito
i passi avvicinarsi.
«No, Charlie. Sono più alto e ho le spalle
più larghe. Se rimango incastrato siamo fregati
entrambi.»
«È una scusa idiota»
«Muoviti!»
«No, Erik…!»
Ma quest’ultimo ha già afferrato il gracile amico
per le gambe, tentando di gettarlo nello scarico rifiuti.
Charlie si dimena, Erik impreca.
«Sei uno stupido, ti vuoi muovere? Così
prenderanno entrambi!»
«Vai prima tu! Lasciami andare!»
«Eccoli!»
Alcuni uomini in nero hanno avvistato i due ragazzi e corrono verso di
loro, sfoderando le pistole.
Erik affonda il suo penetrante sguardo algido sulla squadra in nero e
comincia a sudare freddo.
«Muovi quel culo, Charlie! Su, su!»
Charlie è dentro, tenuto saldo soltanto dalla presa
dell’amico.
Le ombre degli uomini in nero si fanno sempre più vicine.
«No! Erik!» geme il ragazzo. «Fermi!
Lasciateci in pace! Erik! Erik!»
Erik tenta di divincolarsi dalla presa di due uomini, ma un terzo lo
calma, sparando un colpo di pistola. Una siringa affonda nella gamba di
Erik, che mugugna, continuando però a divincolarsi.
«Scappa, Charlie!»
Non vi è molto tempo: gli occhi di ghiaccio incontrano
quelli neri, atterriti.
«Ti voglio bene, amico.»
«Erik!». È l’ultimo grido
disperato di Charlie, che scivola giù, lungo il tubo,
lontano dal pericolo.
L’apertura che dà sul corridoio si allontana
sempre di più, e anche Erik…
New York, 2012
In un malfamato pub del Bronx, alcuni bikers portano scompiglio,
inneggiando i loro cori e facendo baldoria. La birra scorre a fiumi.
«Ehi, Stan! Dammene un’altra!» urla uno
di loro, rivolto al barista.
Con l’aria di uno che sta per essere crocifisso,
l’uomo si inumidisce le labbra, deglutisce, non dice nulla.
«Ehi, dico a te!»
Stavolta il barista sembra prendere coraggio:
«Ehm… mi dispiace, non posso servirvene altre,
signore. È già la decima.»
«I miei cazzo di soldi però ti
piacciono!» sbraita il centauro.
«V-veramente… non… non mi ha ancora
pagato le ultime tre.»
Alcuni uomini accanto a quello che sembra essere il capo si guardano, a
metà tra il divertito e l’intimorito.
Cala un silenzio di tomba e il boss si avvicina al barista, tirando
spallate violente agli altri tre avventori del pub.
Due di loro si spostano senza fiatare; il terzo si fa da parte,
continuando tranquillamente a fumare il suo sigaro, il volto nascosto
dalla penombra di un cappello da cowboy che lo oscura al resto del
mondo.
Il capo centauro nel mentre raggiunge il barista: «Dammi una
cazzo di birra, se vuoi tornare a casa senza costole rotte,
frocetto.»
L’uomo sembra rassegnarsi e allunga un braccio per prendere
un nuovo boccale da dietro il bancone, poi sembra ripensarci:
«No, signore. Mi scusi, ma davvero, è meglio
se…»
Il boss afferra immediatamente il barista per il collo e lo trae a
sé, alitandogli in faccia. Il barista impallidisce seduta
stante.
«Vuoi scherzare?»
«Lascialo stare, te la offro io la birra» annuncia
l’uomo con il cappello, avvolto dal fumo del suo sigaro.
Il centauro si gira.
«E tu chi cazzo sei?»
«Uno che vuole offrirti l’undicesima
birra» risponde tranquillamente l’uomo.
«A patto che lasci andare il nostro Stan.»
Il centauro guarda i compagni, poi il barista, e infine sembra indagare
a fondo sull’uomo misterioso.
«Dimmi… chi è, il tuo
ragazzo?» ridacchia il boss, rivolto al barista, che non osa
muoversi, sempre avvolto nella presa stritolatrice dell’uomo.
«Vuoi la birra, sì o no?» insiste il
misterioso avventore. «O preferisci quattro calci nel
culo?»
Un borbottio agitato si solleva dal resto della squadriglia di bikers.
«Tu sei fuori!» borbottò uno.
Il capo lascia andare immediatamente il barista, si volge verso
l’altro uomo e afferra un coltello a serramanico dalla tasca
dei jeans. «Vieni, voglio proprio vedere come me li dai,
questi calci nel culo.»
L’avventore con il cappello da cowboy sospira, scuotendo la
testa: afferra il tagliasigari, recide l’estremità
incandescente del sigaro e ne ripone la parte buona in un cofanetto di
latta, per poi riporlo accuratamente nel taschino del cappotto di pelle.
Nel frattempo, fuori dal locale, un vecchio furgone nero parcheggia nel
piazzale.
L’uomo che ne esce è vestito di tutto punto, con
giacca e cravatta e mocassini tirati a lucido. Due agenti in nero lo
seguono a ruota fuori dal furgone, armi in pugno.
Improvvisamente, un tizio viene catapultato fuori dalla finestra del
pub, disegna un arco in aria, tra schegge di vetro e sangue, e atterra
esattamente di fronte al trio.
I due agenti alzano le armi, ma il signore in giacca e cravatta fa
segno a entrambi di abassare le pistole. Dopodiché ordina ai
due di precederlo all’interno del locale e la scena che si
para di fronte a loro è assolutamente irreale: una decina di
uomini è a terra, chi privo di sensi, chi semplicemente in
silenzio, tramortito o spaventato, non tutti scioccati quanto il
barista (nascosto dietro il bancone), ma tutti laceri e feriti da
quelli che sembrano profondi tagli.
Un colosso d’uomo giace sul pavimento, riverso a pancia in
su, gli occhi vitrei spalancati a fissare il vuoto, annegato in una
pozza di sangue.
Sopra di lui, a gambe incrociate, siede un uomo sulla trentina,
scarmigliato, lurido, insanguinato. Ma sembra star bene. Sta fumando un
sigaro.
Gli agenti alzano per la seconda volta le armi e per la seconda volta
il loro capo ordina loro di metterle giù.
«Cappello da cowboy, sigaro di bassa qualità
– a giudicare dall’odore – inconfondibili
basette e… una scia di morte famigerata. Buonasera, signor
Howlett Logan.»
«Io gli avevo detto di prendere la birra» commenta
il misterioso uomo, facendo spallucce con aria di sufficienza, ma senza
staccare mai lo sguardo vigile dal signore ben vestito.
Quest’ultimo abbozza un sorriso e si avvicina a Logan
Howlett, scansando con disgusto la pozza di sangue che si allarga
sempre più sul pavimento.
«Bentch. Alfred Bentch. La sto cercando da un po’
di tempo» e gli tende una mano.
«Non è il mio tipo» bofonchia Logan,
alzandosi dal cadavere e spazzolandosi la giacca.
«Non la voglio io, ma il mio capo» si corregge il
signor Bentch. «Ci sarebbe un nuovo
“obiettivo” sulla lista. Le andrebbero bene
diecimila, stavolta? Sono duemila in più rispetto alla
scorsa caccia.»
«Mi offrite un cognac, prima?»
«Molto volentieri.»
«Allora vada per diecimila.»
Westchester, Istituto Xavier
La scena si fa buia per qualche istante. Poi qualcosa sembra schiarire
le tenebre. Una tenue luce bluastra, asettica.
“Charlie”. Qualcuno lo sta chiamando. Charlie lo
avverte, ma non può muoversi.
“Charlie, aiutami” ripete la voce.
“Charlie, perché non sei tornato a
prendermi?”
“Volevo tornare. Voglio tornare” afferma Charlie.
“Dimmi dove sei, Erik.”
“Ho paura”. Questo è tutto
ciò che la voce può rispondergli. “Ho
paura”.
«Charlie, sei qui?»
Charles Xavier apre gli occhi.
Qualcuno ha bussato alla porta dello studio ed è entrato
nella sua stanza. I sensi del professore tornano acuti e vigili, ma
l’eco di quella voce rimbomba ancora nella sua testa.
«Charlie, tutto bene?»
Una donna dall’aria materna e dai morbidi boccoli castani gli
si para di fronte, scrutandolo in volto: «Tesoro, va tutto
bene?»
Xavier non risponde immediatamente. La voce nella sua testa sta
svanendo.
«Charles?»
«Sì. Sì, Moira»
l’uomo abbozza un sorriso alla moglie. «Certo, sono
solo un po’ stanco.»
Moira Kinross non sembra convinta, ma non indaga oltre, afferra i
manici della sedia a rotelle del marito e comincia a guidarlo fuori dal
suo studio, immergendolo nel caos dei corridoi dell’istituto.
Bambini e adolescenti corrono su e giù per il corridoio, uno
di loro rischia anche di investirlo, ma il bimbo esplode in tanti
piccoli granuli e si riforma subito dopo alle spalle della coppia.
«Ehi, Rickles! Se ti rivedo correre così nei
corridoi ti sospendo! Intesi?» lo ammonisce Moira.
«Scusi, signora Kinross!»
Xavier sorride, divertito.
«Che c’è di così
divertente?» chiede la donna, continuando a guidare la
carrozzina del marito infermo lungo il corridoio.
«Niente» ridacchia l’uomo.
«Stavo solo pensando a quanto siano fortunati questi
ragazzi.»
«Non festeggiare, Charlie. Ce ne sono ancora pochi al sicuro,
e molti ancora là fuori alla mercé dei
pregiudizi.»
L’uomo rimane in silenzio, lasciandosi trasportare fino
all’aula di lezione.
«Questa scuola necessita di fondi, lo sai» prosegue
la Kinross. «E una cena di beneficenza non è
proprio il tipo di evento che un istituto atto a raggruppare giovani
mutanti con poteri assurdi e fuori da ogni controllo potrebbe
pubblicizzare. Non ancora, almeno. La gente non si fida di
noi.»
«Noi? Tu non sei una mutante» le ricorda Xavier.
«Ah, no? Pensi che la pazienza di sopportare un branco di
bambini esplosivi, con turbe psichiche, magari anche acuminati non
faccia parte di una super calma o roba simile?»
Xavier scoppia a ridere: «Probabilmente hai ragione, tesoro.
E comunque mi hai frainteso, prima.»
La donna si arresta di fronte alla porta dell’aula dove il
professore avrebbe tenuto la sua lezione.
«Che cosa avrei frainteso?»
«Il motivo per cui questi ragazzi sono fortunati»
spiega Xavier. «Sono fortunati ad avere
un’insegnante premurosa come te.»
Moira scuote la testa, imbarazzata, poi stampa un bacio appassionato
sulle labbra del marito, chinandosi per trovarsi alla sua solita
altezza.
I due rimangono vicini.
«Tu meritavi una vita diversa da questa. Un uomo
diverso» le sussurra Charles.
«Forse hai ragione» controbatte la donna.
«Forse ho commesso un errore con queste scelte. Ma questo
errore mi rende felice ogni giorno.»
Xavier china la testa.
«Smettila di crearti complessi adolescenziali. Ce ne sono fin
troppi, in questo posto» ammette la donna, aprendo la porta
dell’aula e lasciando che il marito entri da solo,
spostandosi grazie alle maniglie sulle ruote.
L’aula è già gremita.
«Buongiorno, ragazzi» saluta Charles Xavier.
«Buongiorno, professore» rispondono in coro i
giovani. Non vi sono bambini, però. Quello è il
dipartimento Gamma, che comprende alcuni dei ragazzi più
anziani della scuola, oscillanti dai diciassette ai diciotto anni.
Alcuni salutano anche Moira Kinross.
«Salve, ragazzi. Buona lezione. Mi raccomando, non
stressatemelo che poi devo sorbirmelo io!»
Risata generale.
Dalle spalle di Moira appare una ragazza dalla bellezza mozzafiato, dal
carnato niveo e dal corpo slanciato, con un volto vagamente chiazzato
di lentiggini, un volto incorniciato da una chioma di capelli rosso
fuoco.
La ragazza ha il fiatone. Deve aver corso.
«Scusi il ritardo, professore…»
«Non preoccuparti, mia cara» le sorride Xavier,
incitandola a prendere posto in aula.
«Signorina Grey, le sembra l’orario più
consono per arrivare a lezione?» ribatte però
Moira.
«Mi scusi, signora Kinross. Ho avuto un
contrattempo…»
«Beh, visto che un contrattempo l’ha fatta arrivare
in ritardo, un contrattempo la terrà di più a
fine lezione» dice Moira, inarcando un sopracciglio.
«Sarà lei ad accompagnare il professore nei suoi
alloggi, dopo lezione. Che ne dice?»
Jean Grey non sembra averla neanche udita. Prende posto in silenzio
accanto ai suoi amici e tace.
«Moira, può bastare. Adesso penso io a
loro» Xavier la esorta ad andarsene, a metà tra il
divertito e lo spazientito.
La donna si chiude la porta alle spalle e la lezione comincia. Xavier
comincia ad elargire le sue nozioni di anatomia e neuroscienza, una
lezione che osa affrontare soltanto con i ragazzi più grandi.
Jean Grey prende tranquillamente appunti, ma a un certo punto le voci
nella sua testa, quelle che l’hanno perseguitata fino a pochi
minuti prima, ritornano più forti che mai.
Jean tenta di ignorarle e torna a prendere appunti, ma poi ecco una
nuova crisi e un filo di pensieri sembra sfuggirle dalla testa,
trapanandole il cervello e fuggendo via, lontano. Le sembra di essere
sospesa davanti a un grande schermo. Al di là dello schermo
vi è qualcuno… sembrano due ragazzi. È
buio, attorno a loro.
In una zona periferica di New York, un giovane di circa diciotto anni
si sta nascondendo in uno scantinato. Sente dei rumori al di
là della porta. Il ragazzo deglutisce, ma anche quel rumore
potrebbe essere udito da chiunque sia nell’altra stanza.
È buio nello scantinato, ma il giovane indossa comunque un
paio di occhiali da sole.
Cerca di prendere coraggio e grida: «A-Alex, sei
tu?»
Nessuna risposta.
Sente però dei passi dietro la porta, proprio a pochi metri
da lui.
Istintivamente, una mano del giovane corre agli occhiali mentre
l’altra si accinge a spalancare la porta. Pochi attimi di
suspence, prima che la porta si apra, lasciando entrare un altro
ragazzo, che grida, scoppiando poi a ridere.
Anche il ragazzo con gli occhiali grida, ma poi s’incupisce.
«Sei uno stronzo!»
L’altro ragazzo, più grande del primo di qualche
anno, scoppia a ridere: «Dai, Scott, era uno
scherzo!»
«Sei comunque un idiota» ribatte Scott, digrignando
i denti. «Stavo per farti fritto» e
indicò gli occhiali.
«Te li stavi per togliere?» chiede
l’altro, un po’ sorpreso. «Dai, ma chi
pensavi che ci fosse? Non avevi capito che ero io?»
«Non mi hai risposto» mugugna Scott, quasi in
lacrime. «Cazzo, Alex, non mi hai risposto! Hai detto che
tornavi tra una mezz’ora sicché ho
pensato… ho pensato che…»
A quel punto, il giovane più grande si avvicina
all’altro e lo afferra per le spalle, scrollandolo:
«Ehi, ascoltami. Ehi, fratellino, ascoltami bene. Siamo al
sicuro ora. Nessuno ci farà del male. Nessuno ti
farà del male. Ci sono io a proteggerti, hai capito
bene?»
Scott annuisce. Alex non può guardare il fratello negli
occhi, ma può immaginare il suo sguardo. Alcune lacrime
sbucano da dietro le lenti scure e solcano il volto del giovanotto.
Alex lo prende a sé e gli scompiglia i capelli:
«D’accordo, cretinetto. Forse ho esagerato. Ma tu
asciugati quelle lacrime e prepara le tue cose. Ce ne
andiamo.»
Scott geme: «Ancora?»
«Ormai ci siamo» ribatte Alex, stiracchiandosi e
guardando il loro nascondiglio. «Ci basta raggiungere la
stazione più vicina e arriveremo dal dottor Lance in un
battibaleno!»
Scott non sembra convinto. Il ragazzo indugia, pensieroso.
«Ti fidi di me?» chiede Alex, senza lasciare andare
il fratello minore. «Il dottor Lance saprà cosa
fare. Dopotutto è lui che ti ha dato il quarzo-rubino, no?
Stavolta ci aiuterà ancora. Ma tu devi fidarti.»
Scott annuisce.
Alcuni spari lacerano il silenzio. Entrambi i ragazzi sobbalzano.
«Che diavolo…?!» impreca Alex,
voltandosi verso la porta.
«Per di qua!». È la voce di un uomo.
«Ci hanno trovato!» Scott è atterrito.
«Ci hanno trovato, Alex, ci hanno trovato!»
«Stai dietro di me» lo avverte Alex. I suoi occhi
sono fiammeggianti.
La fiamma di un clipper d’argento accende la sigaretta
dell’uomo seduto su una bella poltrona rosso sangue.
L’uomo in questione – ben tarchiato e dai corti
capelli brizzolati – si trova in quello che sembra essere uno
studio e scruta pensieroso oltre la vetrata, ammirando il paesaggio
urbano, forse senza neanche vederlo. Sembra preoccupato.
Si alza, fa il giro della scrivania e poi si sofferma, sospirando.
Infine sembra prendere una decisione: afferra il telefono dal tavolo,
digita un numero e attende.
Dall’altra parte della cornetta vi è il professor
Charles Xavier.
«Pronto?»
«Charles, buongiorno. Spero di non disturbarti». La
voce dell’uomo è profonda e possente. Salda.
«Hank! Che piace sentirti! È un po’ che
non ti fai vivo. Spero sia tutto apposto». Il professore
capisce immediatamente che qualcosa non va, ma aspetta che sia il suo
interlocutore a fare il primo passo.
«Sai, Charles, queste giornate mi distruggono. Non manca
molto alle candidature e ho i nervi a fior di pelle. Ma non
è questo che mi preoccupa.»
«Sono tutt’orecchi, amico mio»
«Si tratta dei coniugi Summers.»
Xavier controlla che nel suo studio non ci sia nessuno: «Ci
sono novità sull’omicidio?»
«No, magari. Pagherei sangue purché la polizia
chiudesse quel dannato caso» la voce di Hank è
palesemente amareggiata.
«No, quel che mi preoccupa sono i due figli di Jonathan.
Quelli che mi hai detto di rintracciare e di sorvegliare»
prosegue Hank, giocherellando con una penna sul tavolo.
«L’ultima volta che mi hanno portato loro notizie i
due si stavano dirigendo a casa del dottor Robert Lance che, ironia
della sorte, è stato assassinato stanotte.»
«Ho sentito parlare di Lance. Una mente geniale, a quanto
dicono» commenta il professore, mortificato.
«Sì, beh, la sua mente geniale non gli ha permesso
di salvarsi da un colpo di arma da fuoco sparato a bruciapelo, proprio
in mezzo agli occhi. Puoi immaginare la stampa quanto farà
circolare questa notizia.»
«E i ragazzi?» chiede il professor Xavier,
trepidante. «Stanno bene?»
«Non lo so. Non sono mai arrivati a casa sua. Posso
immaginare il perché... e puoi anche tu.»
«La Circle?» chiede Xavier, anche se già
conosce la risposta.
Hank annuisce, poi, ricordando di essere al telefono, aggiunge:
«Sì.»
«Allora devo trovarli» conclude tranquillamente il
professore. «Grazie dell’aiuto, Hank. Da qui in
avanti me ne occupo io.»
«D’accordo, Charles. Tienimi al corrente di
eventuali aggiornamenti» si congeda Hank, prima di
aggiungere: «Però… Charles, stai
attento. La tua ricerca sta diventando pericolosa.»
«Lo è sempre stata» risponde Xavier.
«Ma nessun altro aiuterà quei due ragazzi. E loro
due ancora non lo sanno.»
«D’accordo. Buona giornata, Charles.»
«A te, signor Senatore»
Hank sorride, suo malgrado: «Tu corri troppo, Charles! In
senso figurato ovviamente.»
«Passa qui a scuola quando più ti aggrada, amico
mio.»
«Lo farò senz’altro.»
E la conversazione si chiude.
Hank chiama la segretaria tramite il citofono: «Venga subito
qui. Ho del lavoro per lei.»
Una donna molto carina, dallo sguardo accattivante e dai lunghi capelli
neri entra nella stanza: «Mi dica, signor McCoy.»
«Disdica i miei appuntamenti per questo pomeriggio, signorina
Braddock. Si armi di telefono e di tanta pazienza e si prepari a
tartassare la polizia. Voglio sapere cosa sta succedendo con le
indagini dei Summers. Voglio sapere tutto quello che
c’è da sapere.»
«D’accordo, signore» risponde la donna,
vagamente incuriosita. «Devo ricorrere a…
ehm… qualcosa di particolare?»
«Sì, se necessario» ammette Hank.
«Ma stia attenta. Non potrò proteggerla se si
lascia beccare.»
«Lasci fare a me» detto questo, Elisabeth Braddock
esce dalla stanza, ma non prima di aver fatto l’occhiolino al
suo capo.
Nel mentre, Charles Xavier fa visita a Jean Grey.
La porta della camera della ragazza è accostata.
“Jean, disturbo?” l’uomo sfiora soltanto
la mente della ragazza.
“Professore! Cosa ci fa qui?” la ragazza
è sorpresa.
Poco dopo la porta viene aperta e la giovane aiuta il professore ad
entrare nel dormitorio.
«Come prosegue lo studio, Jean?» chiede Charles,
sorridendo alla ragazza che, imbarazzata, tenta di ripulire un
po’ il caos all’interno della camera.
«Bene! Cioè, oggi non ho studiato molto, per la
verità» ammette Jean, impacciata.
«Non ne hai bisogno» le sussurra il professore,
divertito. «Sei fin troppo intelligente.»
Jean sorride, arrossendo violentemente.
«Melanie e Paige non ci sono?» chiede il
professore, notando i letti vuoti delle compagne di Jean.
«No, sono in biblioteca. Almeno credo» risponde
quest’ultima, grattandosi la fronte.
«Tu non avevi voglia di andare con loro?»
La ragazza fa spallucce: «Non molta, per la
verità. Non ho comunque nulla da fare.»
«È proprio quello che speravo tu
dicessi» ammette l’uomo. «Così
magari puoi aiutarmi in una piccola faccenda.»
La curiosità di Jean è stata scatenata
all’istante: «Di cosa si tratta?»
Xavier sorride, strizzando gli occhi: «Che ne dici di
aiutarmi a salvare due giovanotti?»
La scena cambia repentinamente: Jean e Xavier stanno attraversando
un’enorme sala su pianta sferica. Una lunga passeggiata
conduce i due ad un piedistallo sul quale riposa un casco metallico,
agganciato al pavimento da tre cavi.
«Questo è Cerebro, Jean» spiega il
professore, mentre la ragazza, allibita, lo sospinge verso il
piedistallo.
Jean sapeva dell’esistenza della stanza, ma non vi era mai
entrata prima d’ora.
«Qui posso distaccarmi da tutto ciò che di impuro
c’è nel mondo esterno e concentrarmi per ampliare
i miei poteri mentali» continua il professore, indossando il
casco metallico. «E puoi farlo anche tu.»
Jean si volta verso il professore, che le tende una mano.
«Insieme, la nostra telepatia è molto potente.
Ampliata ulteriormente da Cerebro, mi aiuterà a trovare due
ragazzi come te che, soli e spaventati, rischiano di andare incontro a
morte certa. Aiutami a trovarli, Jean.»
La ragazza non ci pensa due volte: «Okay,
professore» e restituisce la presa.
Entrambi rimangono in silenzio, fin quando la realtà non
crolla come un castello di carte. E tutto si fa distorto e
fantasmagoricamente surreale.
In un iniziale caos di voci, pensieri, sogni, aspirazioni e vite che
pullulano come insetti attorno a lei, Jean viene guidata dal professor
Xavier verso due voci in particolare.
E Jean riesce finalmente a vederli: gli stessi ragazzi di cui ha
avvertito la presenza quella stessa mattina.
«Ce n’è uno dietro la colonna,
Alex!» grida uno dei due.
L’altro lancia un concentrato di energia calda verso un uomo
in ombra, che cade a terra, privo di sensi.
Un secondo uomo afferra il ragazzo più giovane da dietro, ma
quello che sicuramente dev’essere suo fratello si precipita
verso di lui in un lampo di luce e afferra l’uomo per la
gola, prendendo letteralmente fuoco.
La creatura brillante salva il fratello e colpisce con un raggio anche
altri due agenti armati che entrano prepotentemente in quello che
sembra essere uno scantinato.
«Adesso mi avete stancato, piccoli sudici mutanti!»
grida un uomo, entrando nella stanza e scavalcando i corpi inerti dei
due colleghi.
«Corri, Scott!» grida la figura incandescente, che
in uno scoppio di luce si avventa sul nuovo arrivato, tentando di
colpirlo il più forte possibile.
Ma premendo il tasto di un minuscolo attrezzo elettronico,
l’uomo riesce a creare un campo energetico attorno a
sé che respinge con violenza l’urto con il mutante.
Alex batte violentemente la testa contro il muro dello scantinato e
rovina a terra, facendo affievolire le proprie fiamme.
«Alex!» grida l’altro ragazzo.
«Adesso tocca a te, marmocchio!»
Ma senza pensarci due volte, il ragazzo si toglie gli occhiali da sole
dal volto e un enorme luce accecante riempie la stanza.
Uno scoppio, un boato gemente che confonde ogni cosa. Jean e Xavier
sono costretti ad allontanarsi.
Improvvisamente, il silenzio assoluto di Cerebro torna ad accoglierli,
come se nulla di quello che avessero visto fosse successo.
«Chi erano, professore?» chiede subito Jean.
«Due amici che hanno bisogno di aiuto» risponde
Xavier, togliendosi il casco e riponendolo sul piedistallo.
«Ho capito dove sono. Jean, devi farmi un favore: corri dalla
signorina Kinross. Dille di telefonare al signor McCoy. Hank McCoy.
Corri come il vento, Jean.»
Città del Messico, officina meccanica di una baraccopoli
Un uomo grasso, sudicio e dall’aspetto sgradevole sta
aspettando che il meccanico finisca di riparare la guarnizione di testa
della sua vecchia auto.
«Non preoccuparti di fare un bel lavoro, Jorgen»
annuncia l’uomo, impaziente. «Tanto è
rubata. Domani Di Mauro la venderà a qualche americano del
cazzo.»
«Stia tranquillo» risponde il meccanico, tendendo
una mano a qualcuno accanto a lui: «Ororo, passami una chiave
più grande.»
Una ragazzina dal carnato scuro, lurida e dagli insoliti capelli
bianchi, lunghi e lisci come fili di una ragnatela, si appresta a
passare l’attrezzatura al suo capo.
«Però, Jorgen! Ti tratti bene, eh?»
ridacchia il cliente. «Che fai, metti le puttanelle a
aiutarti in officina? Non è un po’ piccola per
scoparci?»
Jorgen chiude subito il cofano della macchina e si spazzola le mani:
«Può andarsene, signore. Non permetto a nessuno di
offendere i miei assistenti. Se ne vada.»
«Cosa? Ma che cazzo stai dicendo, Jorgen?!»
l’uomo sembra sinceramente sorpreso. «Ma per la
puttanella? Stai scherzando!»
«La ragazza è un ottimo meccanico e non ti
permetto di trattarla così. Vattene.»
«Ma chi ti credi di essere, pezzo di stronzo?»
ringhia l’uomo tirando fuori una pistola
dall’interno della giacca.
Sorpreso, Jorgen alza le mani, ma la ragazzina è
più veloce, si para di fronte all’uomo e lo
avvolge in una scarica elettrica che fonde la pistola e brucia
gravemente la mano dell’uomo, che urla, straziato.
«Questa… me la paghi! Stronzo! Tu e la tua
puttana! Quella puttana malata! Siete tutti malati! Siete dei mostri!
Me la pagate!» ringhia l’uomo, fuggendo a piedi.
«Ororo, non dovevi» la ammonisce il meccanico.
«Figurati, l’ho fatto volentieri»
ridacchia la ragazza, raccogliendo la pistola fusa da terra e
guardandola, compiaciuta. Neanche il tempo di sorridere che
l’uomo le tira un ceffone che la fa rimanere a bocca
spalancata.
«Non dovevi farlo, Ororo» ripete l’uomo,
stavolta in tono più freddo. «Non devi usare i
tuoi poteri, lo sai. Quell’uomo può dirlo a
chiunque, adesso. Se ti rivedo usare i poteri in pubblico, ti tolgo la
razione di pasto per una settimana. Intesi?»
La ragazzina sembra sul punto di scoppiare a piangere, ma si riprende
quasi subito, assume un cipiglio caparbio e se ne va, pronta ad
occuparsi di una nuova macchina.
Da lontano, seduto sul tetto di una baracca, Logan Howlett assiste
all’intera scena con un binocolo.
«Che lavoro del cazzo…» borbotta,
stringendo in mano il documento d’identità di
Ororo Munroe, la sua prossima vittima.
Westchester, Istituto Xavier
Un elicottero privato atterra nel grande parco verde
all’esterno dell’accademia.
Ad attenderlo, sulla soglia dei cancelli, vi sono Charles Xavier, Moira
Kinross e la giovane Jean Grey.
Dall’elicottero escono Hank McCoy e la sua assistente,
Elisabeth Braddock: assieme a loro, vi sono i fratelli Summers, logori,
affamati, stremati.
Giungono davanti al cancello dell’istituto al limite delle
loro forze. Xavier li invita ad entrare.
Da qualche parte, in una camera di isolamento, avvolto nel bianco
immacolato più puro, un ormai anziano Erik sta leggendo un
libro:
“Dal diario personale del dottor Oswald Gibbs,
curioso come questa realtà riesca a sfuggire così
facilmente da ogni logica. Viviamo in un mondo in cui apparire
è vivere. Un incessante bisogno ossessivo di
essere qui e ora, immerso in un quadro armonioso ed effimero,
così facile da rompere. Apparire è vivere, ma
vivere senza apparire è soltanto sussistere. Uomini, donne,
adulti, bambini, ricchi, poveri: questa patogenica ossessione
psicosociale agisce a tutti i livelli della società e sembra
caratterizzare in particolar modo l’uomo del ventunesimo
secolo. A beneficio delle propagande xenofobe che stanno dilagando in
tutto il paese, credevo che tale realtà, questa ricerca
costante di un nostro posto nel mondo che ci circonda, fosse capibile
solo da noi “Normo”, ma a una ben più
approfondita analisi, mi chiedo se invece non siano loro a comprendere
meglio questa ricerca. Loro, gli
“Altri”…"
CONTINUA...
Cast principale:
Logan Howlett
Jean Grey
Scott Summers
Alex Summers
Ororo Munroe/Tempesta
Charles Xavier
Moira Kinross
Erik LenSherr/Magneto
Hank McCoy
Elisabeth Braddock
Personaggi secondari:
Alfred Bentch
Jorgen Muraz
Benjamin Rickles
|
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Capitolo 2 *** 1x2 Adattamento ***
1x2 Adattamento
New York, Mallet Cafè
Nel
piccolo bar di periferia, un uomo in divisa da poliziotto sta
sorseggiando una
birra al bancone. Vi è una leggera musica swing di
sottofondo.
La
porta del locale si apre e un paio di gambe ben tornite, adagiate su
alti tacchi
a spillo, si avvicinano all’uomo.
«Buonasera,
signorina, cosa posso offrirle?» chiede il barista.
«Uno
scotch, per favore» risponde Elisabeth Braddock, sedendosi
accanto al
poliziotto.
Quest’ultimo
la guarda di sottecchi, indugiando sulle cosce, risalendo con lo
sguardo fino
alla scollatura della camicetta. Deglutisce.
Elisabeth
sembra accorgersi dell’uomo soltanto in quel momento.
Sorride, vagamente
sorpresa: «Ci conosciamo, per caso?»
Il
poliziotto sembra ricomporsi improvvisamente. Schiarendosi la gola,
ammette:
«No, non credo.»
«Ma
sì,
io la conosco!» insiste Elisabeth, deliziata. «Lei
è Norman Pierce! Ha sventato
una rapina in banca la scorsa settimana, non è
vero?»
Adesso
è l’uomo ad apparire attonito:
«S-sì, sono io.»
«Oh,
mio dio, lei ha salvato mia sorella, lo sa?» miagola la
donna, abbracciando
l’agente. «Era una degli ostaggi dei banditi. Non
fosse stato per lei, mia
sorella sarebbe sicuramente morta!»
«Ho
fatto solo il mio dovere» sorride Pierce, gonfiando
arditamente il petto.
«Ecco
il suo scotch, signorina» s’intromette il barista,
dando un piccolo bicchiere
alla donna, che gli sorride in risposta.
«Ci
va
giù pesante, eh?» ridacchia il poliziotto.
«Non è un po’ forte, per una
donna?»
«Non
mi
giudichi male» ammicca Elisabeth, sorridendo imbarazzata.
«Mi piace il
divertimento, tutto qui. Ma spesso agli uomini non piace la mia
libertà.»
«Forse
perché non ha ancora trovato l’uomo
giusto» spiega l’agente Pierce, dopo un
attimo di esitazione.
La
donna lo guarda, stupita, poi sorride, forse ancora più
imbarazzata di prima.
«Che
ne
dice di fare una passeggiata, signorina…
signorina?» chiede l’uomo,
incuriosito.
«Braddock.
Elisabeth Braddock. Chiamami pure Liz.» si presenta la donna,
stringendo la
mano all’agente. «È un invito, il
suo?»
Il
poliziotto scoppia a ridere: «Potrebbe esserlo,
certo!»
«Beh,
in questo caso accetto molto volentieri!»
Entrambi
si alzano dal bancone e si avviano all’uscita del bar.
Westchester,
Istituto Xavier, la mattina seguente
Moira
Kinross sta tenendo una lezione con il dipartimento gamma.
L’aula è gremita di
studenti che borbottano incuriositi. Oggetto delle loro attenzioni
è il nuovo
compagno di classe, che si erge accanto alla signorina Kinross,
imbarazzato.
«Questo
è Scott Summers, il vostro nuovo compagno di
classe» annuncia Moira. «Frequenterà
momentaneamente le lezioni con questo dipartimento e rimarrà
nel nostro
istituto. Confido nella vostra buona accoglienza».
Il
suo
occhio casca in particolar modo su un gruppetto di ragazzi che stanno
ridacchiando malignamente.
Jean
Grey, seduta in penultima fila, studia attentamente il profilo del loro
nuovo
compagno.
“Carino”
è la prima cosa che le viene in mente. In effetti, Scott
Summers ha dei
lineamenti molto equilibrati, spalle larghe, capelli sbarazzini color
castagna.
Decisamente il suo tipo. Jean mordicchia una matita, sovrappensiero.
Infastidita vagamente dal fatto di non poterlo vedere dritto negli
occhi.
«Perché
indossa gli occhiali?» chiede un altro ragazzo, poco lontano
da Jean. La
domanda suscita qualche risatina di scherno qua e là.
Scott
è
in evidente imbarazzato. Jean se ne accorge; o meglio, lo avverte. Non
ha certo
bisogno della telepatia per accorgersene. E anche la signorina Kinross
deve
essersene resa conto, perché dopo pochi attimi, decide di
dire la verità: «Il
potere mutante del signor Summers consiste nella produzione di raggi
ottici,
che con la loro potenza da oltre quattrocentocinquanta gigawatt sono in
grado
di disintegrare qualsiasi cosa nel raggio di chilometri.»
La
classe non prende bene la notizia. Il brusio aumenta, incontrollabile.
Jean
rimane in silenzio, continuando a studiare attentamente il disagio del
povero
Summers.
«Fortunatamente»
Moira alza di poco la voce. «Queste lenti particolari
bloccano l’assorbimento
di energia dall’ambiente circostante, per cui siamo tutti al
sicuro, almeno fin
quando li indossa. Prego, vada a sedersi dove preferisce, signor
Summers.»
Scott
annuisce e si dirige verso la classe, quasi come se si stesse
incamminando
verso un patibolo.
Il
posto
davanti a Jean Grey è vuoto. Jean non è in grado
di capire se lui la stia
guardando, attraverso le lenti rubine, ma è convinta di
sì poiché avverte lo
sguardo insistente del giovane, prima che prenda posto a sedere.
Adesso
tutto ciò che Jean può vedere è la sua
nuca castana e le sue larghe spalle. E
anche i suoi pensieri oscuri e carichi di terrore.
Nell’ufficio
del professor Xavier, Charles e il giovane Alex Summers stanno
discutendo
riguardo alla morte del dottor Lance. Xavier è come sempre
seduto sulla sua
sedia a rotelle, dietro la scrivania; Alex invece è in
piedi, a ridosso della
parete d’entrata.
«Era
un
bravo dottore» mormora Alex, scuotendo la testa.
«Era
un
brav’uomo» lo corregge Xavier, annuendo.
«Il dottor Lance è stato uno dei primi
dottori, e purtroppo anche uno degli ultimi, a somministrare vaccini e
diagnosi
pediatriche ai bambini mutanti. Nessun altro medico ha mai voluto avere
niente
a che fare con noi.»
Alex
sbuffa, grattandosi il capo: «Perché è
stato ucciso? Che cosa ha fatto?»
«Per
lo
stesso motivo per cui sono stati uccisi i vostri genitori, molto
probabilmente»
afferma il professore, scrutando il giovane con compassione.
Alex
comincia a passeggiare nervosamente avanti e indietro:
«È stato orribile».
Xavier non lo interrompe, sa che il ragazzo sta per sfogarsi.
«Non
c’era niente che non andasse, quel giorno. Andava tutto
bene» Alex sembra quasi
in trance, la sua voce si fa sempre più flebile.
«Quando abbiamo salutato mamma
e papà al gate non credevamo potesse essere
l’ultima volta in cui li avremmo
visti. Mamma si è premurata di dirmi di non far saltare in
aria la casa,
altrimenti sarei stato in punizione per più di un mese, al
suo ritorno.»
Xavier
non osa dire nulla. Chiude semplicemente gli occhi, nel rispetto delle
lacrime
che Alex sta cercando di nascondere.
«Papà
invece ha permesso a Scott di invitare qualche ragazza a casa e di
organizzare
anche qualche festino, a patto che la mamma non lo venisse a
sapere» Alex
scoppia in una risata isterica, prima di lasciarsi andare ad un pianto
silenzioso.
«Conoscevo
tuo padre» esordisce Xavier, in tono concitato.
«Era un uomo eccezionale. Un
uomo d’onore che più volte ho avuto la fortuna di
incontrare. Non so se
l’incidente aereo sia stato frutto di un attentato o se sia
dovuto a un tragico
scherzo del destino, ma…»
«È
stato qualcuno!» ringhia Alex, interrompendo il professore.
«Io ero là! Scott
era là! Abbiamo visto l’esplosione dalla vetrata
dell’aeroporto. L’aereo è
esploso di punto in bianco! È stata una bomba, o…
o…»
«O
un
mutante» asserisce Xavier.
Una
breve pausa riempie la mente di entrambi i presenti con una ridda di
pensieri
disparati che difficilmente riescono a imbrigliare in ragionamenti
sensati.
Alex
tenta di darsi un contegno e si asciuga le lacrime dal volto:
«Quindi… questa è
una scuola?». Tira su col naso. «Non ho mai sentito
parlare di lei, da mio
padre. Che cosa fa? Insegna? È un collegio?»
«Preferisco
chiamarla casa» commenta Xavier, sorridendogli.
«È un antico maniero dismesso
che io e mia moglie abbiamo deciso di rendere abitabile per tutti i
ragazzi
mutanti, sperando che le loro vite possano essere indirizzate verso un
futuro
migliore. Sai meglio di me quanto i ragazzi di oggi possano non avere
vita
facile, in un contesto scolastico con i
“Normo”.»
Alex
annuisce: «Sì, Scott si lamentava sempre dei suoi
compagni. A tal punto da
costringere mamma e papà a iscriverlo a una scuola
privata» inspirò e decise di
mettersi a sedere sulla poltrona, proprio di fronte alla scrivania e al
professor Xavier. «Per me è stato anche peggio. I
miei anni di liceo ho dovuto
viverli tutti, dal primo all’ultimo.»
«Qui
Scott sarà al sicuro, Alex. Su questo non devi
dubitare» dice Charles. «Tutti
coloro che giungono qui hanno avuto un passato difficile e questo li
conduce
tutti al solito livello. Poi vi sono anche dei ragazzi che tentano di
disturbare questa quiete, ma credo faccia parte del gioco. Qui i
ragazzi
possono anche litigare. Possono fare amicizia, amare, tradire, giocare,
parlare, conoscersi, offendersi. Possono fare tutto ciò che
li faccia sentire
“normali”, ma nel frattempo sviluppare anche i loro
poteri in un contesto di
quotidianità.»
Alex
annuisce, rincuorato.
«Tu,
però… non sei in età di apprendimento,
Alex. Hai venticinque anni e la mia
scuola accoglie i ragazzi in età da studio. Confido tu lo
sappia» aggiunge
Xavier, in tono pacato e naturale.
Alex
annuisce per la seconda volta, chinando il capo: «Io non ho
un posto dove
andare, professore…»
Xavier
rimugina sui fatti, osservando attentamente quel ragazzo distrutto:
«Sarò
sincero con te, Alex. Alla luce dei fatti recenti che hanno colpito te,
Scott e
i vostri genitori, tenervi assieme sotto lo stesso tetto è
la cosa più
pericolosa che possa fare. Se qualcuno volesse avvicinarsi a te o a tuo
fratello, questo sarebbe un aiuto non indifferente. In aggiunta, ha un
peso
notevole anche la pericolosità del tuo potere. Difficilmente
ho avuto nel mio
istituto un mutante pericoloso, e il tuo immagazzinamento e rilascio di
raggi
solari è un potere che rischia di mettere in pericolo tutta
la scuola.»
Alex
rimane a testa bassa, ascoltando attentamente le parole del professore.
«Ciò
nonostante…» prosegue Xavier. «La tua
età sviluppata ti consente di
padroneggiare il tuo potere molto meglio di quanto non sappiano fare
altri
mutanti più giovani e inesperti che vivono qui. Venire meno
alla richiesta di
aiuto di un giovane mutante e lasciarlo da solo in un mondo
così pericoloso
entra in contrasto con la mia etica più profonda. Quindi
puoi restare.»
Sorpreso,
Alex Summers alza lo sguardo, fissando l’uomo calvo di fronte
a lui. Non ha le
parole di dire nulla.
«Dovremo
trovarti un alloggio, ma non sarà un problema. Dovremo
trovarti una mansione,
questo sì. A tal proposito, vorrei presentarti ad una
persona che hai già avuto
modo di conoscere molto vagamente.»
New York, ufficio di Hank McCoy
Hank
sta parlando con alcuni poliziotti quando qualcuno bussa alla porta.
È
Elisabeth.
«Signore,
mi scusi, vi sono il professor Xavier e uno dei ragazzi Summers. Li
faccio
entrare?»
Sorpreso,
Hank annuisce, facendo cenno con la mano alla segretaria di lasciarli
passare.
Il
professor Xavier e Alex entrano nell’ufficio.
«Charles!»
Hank si alza dalla sedia e va incontro al professore a braccia
spalancate. «Che
piacere vederti.»
«Buongiorno,
Hank. Il piacere è mio. Credo di essere arrivato al momento
sbagliato, però»
Xavier adocchia la polizia.
«Oh,
no! Assolutamente no!» si affretta a dire Hank.
«Charles, questo è Edward
Nosley, capo della polizia di New York. E questi sono i suoi agenti
Tony Wang,
Norman Pierce e Theodore Dullen.»
Xavier
si presenta cordialmente al capo della polizia e agli altri tre agenti.
«Buongiorno
anche a lei, Summers» aggiunge poi Hank, stringendo la mano
ad Alex.
«Buongiorno,
signor McCoy» saluta il ragazzo, rispondendo alla stretta
stritolatrice e
possente dell’uomo. Alex nota che le mani del concorrente al
Senato sono
enormi, troppo enormi, decisamente sproporzionate in confronto al resto
del
corpo, sebbene la robustezza eccessiva dell’uomo consenta di
nascondere un po’
questa anomalia.
«Non
poteva arrivare in un momento più opportuno»
spiega Hank, indicandogli una
sedia vuota lì vicino. «Alex, questi sono alcuni
degli agenti che attualmente
stanno seguendo il caso della morte dei tuoi genitori.»
«E
così
tu sei il giovane Alex» commenta Nosley, studiando il
ragazzo. «Non ho mai
avuto modo di conoscere né te né tuo fratello,
durante gli interrogatori.»
«È
lei
che dirige il caso?» chiede Alex, senza troppi giri di parole.
«Sì,
sì. L’agente Dullen, tuttavia, ha indagato a
fondo, forse meglio di me» ammette
Nosley. «Sai, il tempo è quello che è.
Devo avere occhi e orecchie dappertutto,
essendo il pezzo grosso. Specialmente in una città come New
York. Sai, con
tutti questi mutanti a giro che fanno i pazzi… senza offesa
per lei,
professore» si affretta ad aggiungere l’uomo,
ricordandosi della presenza di
Xavier.
Quest’ultimo
alza le mani, come in segno di resa: «Ben lungi da me
l’offendermi. Io non ho
molto tempo per fare il pazzo.»
Hank
e
i poliziotti ridacchiano. Anche Alex abbozza un sorriso forzato, ma
dalle
parole di quel tronfio di Nosley gli è chiaro che nessuno
deve avere detto alla
polizia che i figli dei coniugi Summers sono mutanti.
«Nosley
mi stava spiegando che la scatola nera dell’aereo
è stata ripassata al setaccio
dagli inquirenti» prende parola Hank, schiarendosi la gola.
«Sì,
appunto» conferma il capo della polizia.
«L’esplosione sembra avvenire di punto
in bianco; non ci sono segnali di panico, tra i passeggeri. Quindi non
è stato
un attentatore, molto probabilmente.»
«Difficile
anche l’ipotesi della bomba» s’inserisce
l’agente Dullen. «Su quell’aereo
viaggiava l’attrice Charlotte Greer, purtroppo tra le
vittime. Per questo i
passeggeri erano stati perquisiti a fondo. Nessuno avrebbe potuto
inserire una
bomba sull’aereo.»
«Rimane
la pista dei mutanti» dice Nosley. Poi vedendo
l’espressione esasperata di
Hank, si affretta ad aggiungere: «Mi spiace, signor McCoy, ma
non vedo altro
possibilità. Professor Xavier, so che lei crede che tutti
quelli come voi siano
buoni, ma ci sono tanti pazzi scellerati, in giro.»
«Ne
sono consapevole» ammette il professore. «Non
dubito della bontà di tutti i
mutanti meno di quanto non dubiti dell’intelligenza di tutti
i normo.»
Alex
ed
Hank hanno colto l’umorismo.
Nosley
invece sembra spiazzato: «Sì, bene…
allora batteremo quella pista. Con
permesso…»
Il
capo
della polizia e i tre agenti escono dall’ufficio.
«Che
razza di idiota» commenta subito Alex, disgustato da Edward
Nosley. «Ma cosa
pensa che siamo, mostri?»
«Sì,
Alex. È proprio ciò che pensa» conferma
Xavier, del tutto sincero.
«Tranquilli,
presto non riderà più, ve lo assicuro»
ridacchia Hank, tornando dietro alla sua
scrivania e inforcando un paio di occhiali da vista. «Ho
qualcuno all’interno
della polizia che presto confermerà la mia ipotesi, ovvero
che qualcuno sta
volutamente rallentando le indagini.»
Alex
rimane colpito, ma Xavier sembra più che altro soddisfatto.
«Che
cosa te lo fa pensare, Hank?» chiede il professore.
«A
me
niente» Hank alza le spalle, in tono disinvolto.
«Ma mi fido dell’infiltrato.»
Città
del Messico, officina meccanica di una baraccopoli
La
giovane Ororo Munroe è sdraiata sotto una vecchia cadillac
verde acido, stesa
tra polvere e residui di olio motore. Sta armeggiando probabilmente
alla
marmitta.
Dietro
un trattore malandato, avvolto dalle erbacce da chissà
quanti anni, Logan
Howlett spia la ragazzina.
«Ororo,
passo un attimo dal signore Hernandez. Non ci metterò
molto.»
È
la
voce di Jorgen Muraz, il vecchio meccanico. Logan non riesce a vederlo
da
nessuna parte, dalla sua angolazione, perciò deduce che si
trovi all’ingresso
del retro dell’officina, vicino la porta che dà
sulle scale degli uffici.
«Smettila
di chiamarmi con quello stupido nome, cazzo!» sbotta la
ragazza, uscendo da
sotto l’auto per cambiare attrezzi da lavoro.
«E
tu
modera i termini, signorina» ribatte Jorgen. «E non
aprire a nessuno.»
«E
non
usare i tuoi poteri» commentano in coro sia Jorgen che la
giovane, che lo
anticipa.
«Lo
so,
lo so! Stai diventando prevedibile» commenta Ororo,
afferrando una vecchia
chiave inglese e tornando sotto l’auto.
«Sarà
perché sto invecchiando» ridacchia il meccanico,
dopodiché se ne va.
Silenzioso
come un gatto, Logan striscia sul suolo ricoperto di pagliericcio,
sperando di
fare il meno rumore possibile; lascia il suo nascondiglio dietro il
trattore e
s’insinua sopra una vecchia mustang corrosa dalla ruggine.
Nell’officina
regna il silenzio, rotto solo dal tintinnio degli attrezzi utilizzati
da Ororo.
Silenziosamente,
Logan stringe una mano a pugno e le carni tra una nocca e
l’altra si lacerano,
facendo fuoriuscire lentamente uno, due, tre lunghi artigli lucenti,
spessi
cinque centimetri e lunghi almeno venti.
Ororo
non sembra essersene neanche accorta. Continua tranquillamente ad
armeggiare al
di sotto dell’auto, come se nulla fosse. Non sa che tra pochi
istanti morirà
dissanguata.
“È
soltanto una ragazzina” pensa Logan, lì per
lì. “Ha appena compiuto sedici
anni. Che razza di male può aver fatto?”
“I
soldi sono soldi” s’insinua però
un’altra voce, all’interno della sua testa.
L’attimo
di esitazione basta per far fallire il piano.
Più
agile di una scimmia, la ragazza scivola sotto la macchina, per poi
alzarsi
dall’altro lato e colpire Logan con una violenta scarica
elettrica che lo fa
volare dall’altra parte dell’officina.
Logan
sente il suo corpo bruciare e abbandonarsi agli impulsi nervosi,
scioccato
dalla scarica ricevuta.
Tuttavia
si rialza quasi immediatamente.
«Però,
non credevo facesse così male» commenta
l’uomo, spazzolandosi i jeans e
tossendo. I suoi artigli, su entrambe le mani, sono ancora sfoderati.
«Sei
una strana bestia» commenta Ororo, senza osare avvicinarsi.
«Ma cacci veramente
da schifo. È la quarta volta che provi ad avvicinarti
all’officina. Sei proprio
un inetto.»
Logan
abbozza un sorriso beffardo: «Allora ti sei già
accorta di me.»
«Per
le
tracce e il tanfo che lasci anche un morto si accorgerebbe di
te» la ragazza
allunga le mani per elettrizzare nuovamente l’avversario, ma
stavolta Logan è
pronto: scatta in avanti, usa la mustang come trampolino e si getta ad
artigli
sfoderati sulla ragazzina, che scarta a sua volta di lato e con uno
strano
gesto della mano crea una corrente ventosa che sbilancia
l’uomo bestia,
facendolo cozzare di nuovo contro la parete. Logan usa i suoi stessi
artigli
per reggersi alla parete, dopodiché, con un salto
all’indietro, atterra proprio
alle spalle della ragazza che, sorpresa, rimane paralizzata. Gli
artigli di
Logan scorrono sulla sua gola, mentre con l’altra mano
l’uomo le regge i polsi,
bloccati dietro la schiena.
«Allora,
Ororo, per quale motivo di vogliono morta?» chiede Logan,
sussurrandole
all’orecchio. «Che cosa può aver mai
fatto una ragazzina di sedici anni così
tenera e indifesa?»
«Se
riusi un’altra volta quel nome ti prendo a calci nei
coglioni» sputa la
ragazza, elettrizzando le mani; non osa però colpire
un’altra volta l’uomo.
«Ororo
non è il tuo nome?» ridacchia Logan, senza
lasciarla andare. «Come dovrei
chiamarti?»
Mentre
gli artigli si avvicinano alla sua gola, la ragazza si libera
fulmineamente
dalla presa dell’uomo, gira su se stessa e colpisce il
sicario con un’altra
scarica, lanciandolo sul trattore.
«Però,
te la cavi bene.»
«E
non
hai ancora visto nulla» ringhia la giovane, spalancando le
braccia e
sollevandosi da terra, come un terribile angelo della morte dal carnato
scuro,
pronto a uccidere.
I
suoi
occhi diventano completamente bianchi e il sole sparisce dal cielo di
Città del
Messico.
Esterrefatto,
Logan scruta fuori dall’officina, dove pochi attimi prima il
sole ardeva
violentemente; adesso però attorno a loro vi sono soltanto
nere nuvole
temporalesche.
Un
fulmine colpisce l’officina, entrando dalla finestra. Logan
non fa in tempo a
scansarlo che una seconda scossa lo atterra; una terza lo sbalza fuori
dall’officina e una quarta lo scaraventa giù dalla
valle, sul fondo lurido
della baraccopoli.
Dopo
un
volo di almeno venti metri, Logan si rialza, tossendo e sputando sangue
e alza
gli occhi sulle case soprastanti. Troppe persone stanno accorrendo
nella
baraccopoli. L’uomo decide di ripiegare e riprovarci in
seguito. È la prima
volta che sottovaluta una delle sue vittime. Nessuno l’ha mai
fatto ripiegare,
men che mai un’adolescente di sedici anni.
Avrebbe
potuto ucciderla, però… se solo avesse voluto
farlo.
New
York, centrale di polizia
L’ufficio
è buio.
La
porta si apre lentamente, cigolando. Una figura scivola dentro,
chiudendosi la
porta alle spalle. È l’agente Norman Pierce.
Con
una
torcia, l’uomo comincia a rufolare ovunque: negli armadi,
all’interno della
credenza, nei cassetti della scrivania. Nell’ultimo cassetto
di un vecchio comò
trova alcuni documenti spillati insieme, sigillati
all’interno di una grande
busta gialla.
Pierce
studia a fondo la busta e il suo contenuto: i suoi occhi brillano di un
inquietante luce purpurea…
A
svariati chilometri di distanza, nell’ufficio di Hank McCoy,
gli occhi di
Elisabeth Braddock brillano della stessa luce violacea. Le immagini dei
documenti si travasano dal cervello di Pierce al suo,
dopodiché la donna
interrompe il collegamento.
Elisabeth
sembra tornare in sé. La segretaria è sdraiata
sulla poltrona del suo capo.
Quest’ultimo si trova accanto a lei, in attesa.
«Allora?»
chiede Hank in maniera urgente.
«Missione
completata» è la risposta di Elisabeth.
«So chi sta intralciando le indagini.»
Città
del Messico, baraccopoli
Alcuni
uomini, armati di fucili d’assalto e di fucili di precisione,
sorvegliano la
baraccopoli da lontano, posizionandosi in punti strategici, dai quali
possono
osservare i due bersagli.
Ororo
Munroe è seduta sul tetto dell’officina e scruta
la valle, inondata di luce
aranciata, mentre gli ultimi raggi di sole affondano
all’orizzonte. Logan
Howlett gli si avvicina.
«Mi
hai
fatto fare un brutto volo, ragazzina» esordisce
l’uomo, rimanendo in piedi alle
sue spalle. Stavolta gli artigli sono riposti con cura
all’interno del suo
corpo. «E rivoglio il mio portafoglio.»
«Allora
te ne sei accorto» ridacchia la ragazza.
«Certo,
devo pur comprare i miei sigari, da qualche parte, no?»
Senza
chiedere il permesso, Logan si accuccia al fianco della ragazza,
scrutando
anch’egli l’orizzonte infuocato.
«Perché
ti vogliono morta, Ororo?» chiede l’uomo.
«Smettila
di chiamarmi con quel ridicolo nome» taglia corto lei,
stringendo le mani a
pugni.
«E
come
dovrei chiamarti? Tuono Nero? Fulmine dal pelo bianco?» la
deride l’uomo.
«Tempesta
andrà bene» lo interrompe lei, sorridendo a sua
volta. Poi si volta a
guardarlo: «La domanda non è perché mi
vogliono morta. La domanda è: perché tu
non mi hai uccisa?»
Logan
sospira, sovrappensiero. Poi avverte qualcosa. Tende al massimo i suoi
sensi
animaleschi, scrutando l’orizzonte con la massima urgenza.
«Abbiamo
visite. Sei piuttosto famosa, ragazzina.»
«Ah,
meno male. Credevo che pisciare in un bagno comunicante con altre otto
famiglie
non fosse un atteggiamento da personaggio famoso» replica
Tempesta, ma non fa
neanche in tempo a finire la frase, che Logan la getta a terra.
Un
proiettile sibila furiosamente sopra di loro, mancandoli entrambi.
I
due
mutanti cadono dal tetto, atterrando nel sabbione polveroso
dell’ingresso
dell’officina.
Altri
spari nell’aria e altri proiettili che colpiscono superfici
molto vicino a
loro.
«Figli
di puttana!» impreca la ragazzina, stringendosi una spalla;
un proiettile l’ha
colpita di striscio.
«Nasconditi,
mi sei di intralcio.» E senza troppi complimenti, Logan la
scaraventa dietro al
trattore contro il quale poco prima ella stessa aveva scaraventato lui.
Logan
ha intravisto due sicari sopra il tetto di fronte a quello
dell’officina: sono
i più vicini.
Prende
la rincorsa, sfodera gli artigli e sfrutta un auto per saltare sul
basso tetto
dell’edificio fatiscente, trovandosi faccia a faccia con due
latinoamericani
armati di mitra.
Nessuno
dei due ha il tempo di prendere la mira. Meno di due secondi dopo sono
entrambi
a terra, con la gola squartata.
Qualcun
altro continua a sparare sull’officina e Logan segue con lo
sguardo il fuoco
dei proiettili.
Salta
sul tetto accanto e poi su quello dopo ancora, uccide un uomo appostato
su un
balcone, afferra il suo mitra e scarica i proiettili addosso ad altri
due sicari
poco lontani, freddandoli entrambi.
Uno
strano rumore sopraggiunge dall’officina
e voltandosi Logan si rende conto che anche Tempesta
è alle prese con
alcuni di loro.
Ma
quei
pochi secondi sono fatali: qualcuno lo afferra da dietro, pugnalandolo
ai reni.
Logan urla, cercando di liberarsi dalla presa dell’uomo, ma
poco dopo una
violenta scarica elettrica fa volare via l’assassino, che
prende fuoco ancora a
mezz’aria.
Gli
ultimi due sicari sono proprio di fronte all’officina.
Jorgen, il proprietario
del cantiere, dev’essere appena tornato a casa. Ha la busta
della spesa a
terra, le mani alzate e due sicari di fronte, pronti a ucciderlo.
Logan
arranca, ma ben presto è di nuovo in piedi; prende di nuovo
la rincorsa e si
getta a capofitto giù dal tetto, atterrando su un vecchio
furgone e usandolo
per piombare dall’alto su uno dei due sicari, artigliandolo
alla testa.
Tempesta
fulmina immediatamente l’altro, salvando il vecchio
meccanico, che cade in
ginocchio.
«Ma
che… ma che…»
«Jorgen!
Come stai?» chiede subito la ragazza, chinandosi accanto a
lui.
Jorgen
scruta uno dei due uomini a terra, riconoscendolo
all’istante: «Gli uomini di
Di Mauro» poi osserva Logan, atterrito.
«Chi
sei? Cosa vuoi dalla mia bambina?»
«Mi
hanno mandato ad ucciderla» ammette Logan, ringhiando
furiosamente contro
l’uomo, prima di tendergli la mano. «Quindi ora mi
dirai chi è questo Di Mauro
e perché la vogliono morta.»
Westchester,
Istituto Xavier
Un’esplosione
devasta la scuola di Xavier. L’ala est, dove vi è
la biblioteca, crolla su se
stessa.
Scott
Summers scoppia a ridere, voltandosi verso l’ingresso
principale e prendendo di
mira ogni mutante che gli capita a tiro.
Alex
corre verso il fratello, cercando di farlo ragionare: «Scott!
Fratellino, sono
io! Non era questo che intendevo quando ti dicevo di non aver paura dei
tuoi
poteri! Il professor Xavier ci ha accolto qui e non merita tutto
questo!»
Scott
sembra ponderare per un po’ le parole del fratello, prima di
alzare gli
occhiali e centrarlo in pieno con un colpo laser degli occhi. Alex cade
a
terra, morto, il ventre in fiamme e gli occhi spalancanti verso il
cielo
plumbeo.
«Ci
ucciderà tutti» mormora Xavier, nascosto dietro la
parete del mausoleo nel
parco. Assieme a lui vi sono Moira e Jean. Giungono sul posto anche gli
agenti Pierce,
Dullen e Wang.
«Siete
riusciti ad arrivare, allora!» esclama Moira.
«Voi
mutanti siete tutti così pericolosi?» ironizza
Wang, nascondendosi accanto al
professore ed estraendo la pistola.
«Alex
Summers è morto» annuncia immediatamente Moira,
mentre Scott continua a
distruggere la scuola con i suoi laser.
I
poliziotti ammutoliscono.
«Porca
puttana» commenta Dullen. «Non credevo potesse
arrivare a uccidere il
fratello.»
«Ma
cosa ha scatenato questa sua ira?» chiede Wang, mentre
l’agente Pierce avvicina
a sé Jean, salvandola da un raggio che fa saltare in aria
parte della fontana
del mausoleo, e che l’avrebbe sicuramente uccisa.
«Nessuno
lo sa. E non sappiamo cosa fare» afferma Xavier, chiudendo
gli occhi. «Moriremo
tutti.»
«Non
si
preoccupi, professore» si fa avanti Dullen. «Non
siamo arrivati del tutto
sprovveduti. Tutti dietro di me!»
L’agente
si affaccia dall’angolo del mausoleo e prende bene la mira.
Spara.
Un proiettile colpisce Scott in pieno volto. Il ragazzo cade a terra.
«Come
hai fatto a colpirlo? I proiettili dovrebbero distruggersi prima di
arrivare a
contatto con gli occhi!» chiede Moira. Il ragazzo si rialza
ma Dullen lo fredda
con un altro colpo di pistola.
«Un
proiettile normale sì. Ma questo è al
quarzo-rubino. L’unico materiale in grado
di arrestare il potere di Summers. Pace all’anima
sua.»
«Come
facevi a saperlo?» chiede però l’agente
Wang, sorpreso. «Sono settimane che
cerchiamo di scoprire un qualsiasi punto debole di quei due!»
e indica i
cadaveri nel prato dei due Summers.
Dullen
ammutolisce, rendendosi conto di aver osato troppo.
«Sì,
credo che dovrà darci un bel po’ di spiegazioni,
agente Dullen» aggiunge
Xavier. «Può bastare Jean.»
La
realtà sembra crollare su se stessa come se
l’intero pianeta fosse in preda a
un apocalittico terremoto.
L’agente
Wang e l’agente Dullen urlano, atterriti; Norman Pierce
rimane impassibile,
perso nel suo altro modo.
Il
freddo e metallico Cerebro prende forma attorno a tutti loro; Wang e
Dullen
cadono a terra, in preda al terrore più puro, mentre i
fratelli Summers sbucano
alle spalle della dottoressa Kinross.
«Le
mie
scuse, agente Wang, ma ho preferito non dirvi nulla per non far
insospettire il
signor Dullen» si scusa il professor Xavier, mentre Alex
aiuta il poliziotto a
rialzarsi.
Senza
aspettare neanche un attimo, l’agente Dullen scatta in avanti
e corre via, ma
all’ingresso di Cerebro vi è Hank McCoy,
affiancato dalla sua accattivante
assistente, da Edward Nosley e dall’agente Pierce, ancora
impassibile.
«Voi…
siete dei mostri!» grida Dullen, forse solo per sfogarsi,
rendendosi conto di
essere in trappola.
«E
tu
sei in arresto, Theodore» afferma Nosley, risoluto.
«Per omicidio
preterintenzionale, occultamento di prove e ostacolo alle
indagini.»
«No!
Non è vero!» grida il poliziotto, indietreggiando.
Ormai è in trappola: di
fronte a lui l’ira del suo capo e la galera che lo attende;
dietro di sé un
gruppo di pericolosi mutanti che lui reputa psicopatici.
«Alfred
Bentch» nomina Hank McCoy, impettito, gambe divaricate e mani
dietro la
schiena. «È lui il tuo capo, sappiamo tutto.
Nessuno poteva sapere del
quarzo-rubino, se non qualcuno che avesse parlato direttamente con
Robert
Lance. E visto che la polizia non ha potuto parlarci a causa della sua
improvvisa morte, è strano che tu conosca questo
particolare. Perché tu ci
avevi già parlato prima. E lo hai eliminato
affinché tu avessi un’arma per
avvicinarti ai Summers che il resto della polizia non avesse.»
«Voi
non avete prove! Queste sono tutte false accuse!»
«Sì,
le
prove le abbiamo. Non preoccuparti, tesoro» ridacchia
Elisabeth Braddock,
tirando fuori alcune foto dalla valigetta. «Sono
già state inviate anche alla
polizia. Sanno tutto, ormai.»
«Le
indagini sulla morte dei coniugi Summers
proseguirà» afferma Nosley. «Senza di
te.»
Dullen
scoppia in lacrime, crollando di nuovo in ginocchio.
Scott
e
Alex si guardano e sorridono, facendosi coraggio a vicenda. Finalmente
sono al
sicuro.
Westchester,
Istituto Xavier, mattino seguente
Nell’ufficio
di Xavier, il professore ha convocato Jean e i fratelli Summers.
I
tre
ragazzi siedono di fronte all’uomo, in attesa.
«Ho
appena ricevuto notizie da Nosley» afferma Xavier,
giocherellando con una
stilografica. «Dullen ha confessato. Lavorava per conto di un
certo Bentch, di
cui ora si seguono le tracce. Sembra essere strettamente collegato ai
vostri
genitori.»
Scott
e
Alex si guardano per pochi attimi.
«Quindi
non siamo più ricercati?» chiede Alex.
«Purtroppo,
non è così» spiega il professore,
abbozzando un sorriso di compassione. «Non
posso sapere se i mandanti dell’omicidio dei vostri genitori
siano ancora sulle
vostre tracce. Per cui reputo sia meglio se restiate qui.»
«Sì,
per favore» ammette Scott, chinando la testa, imbarazzato.
Sia
Xavier che Alex sono sorpresi dall’affermazione del giovane
Scott.
«Non
è
mia intenzione né dividervi, né
cacciarvi» aggiunge Xavier, sorridendo. «Spero
che il vostro soggiorno qui vi aiuterà a crescere e a
trovare quello che
cercate.»
«Intanto,
un paio di occhiali più funzionali, forse»
ridacchia Jean, notando gli occhiali
storti e scocciati di Scott, che sorride, se possibile ancora
più imbarazzato.
«C’è
soltanto una cosa che non capisco, professore» chiede Alex,
allungando un
braccio per passarlo attorno alle spalle del fratello.
«Perché non ha detto
alla polizia che siamo mutanti?»
«Perché
noi non esistiamo» spiega Jean, anticipando il professore.
Alex la guarda,
sorpreso.
«Noi
qui possiamo vivere in pace, senza il giudizio del mondo esterno. Non
potremmo
condurre una vita tranquilla se la gente sapesse…»
«Cioè,
mi state dicendo che la gente non sa che questa è una scuola
per mutanti?»
domanda Alex, spostando lo sguardo da Jean al professore, sconcertato.
«No,
Alex» ammette Charles. «Questa è la
condizione per vivere in tutta serenità.
Almeno fin quando i tempi non saranno più maturi. Il mondo
non è pronto ad
accoglierci. Se avessi rivelato alla polizia che siete dei mutanti,
probabilmente avrebbero incolpato subito voi dell’omicidio
dei vostri genitori,
senza neanche concentrarsi sulle indagini.»
«Ma
come potevano sospettare di noi?» si agita Alex, alzandosi in
piedi. «Noi
eravamo i loro fi…»
«Non
importa cosa eravate» lo interrompe Xavier.
«Importa cosa siete. Mutanti. E non
avrete mai vita facile. Questo purtroppo è un dato di
fatto.»
Alex,
Scott e Jean non osano controbattere. Sanno che il professore ha
ragione. Lo
sanno perché lo hanno sperimentato. Lo hanno vissuto sulla
propria pelle, nella
propria infanzia.
«Ma
finché rimarrete in questa scuola, io vi giuro che
farò l’impossibile per
proteggervi» ammette Xavier, abbracciandoli con uno sguardo
amorevole. Scott
rabbrividisce: l’ultimo ad averlo guardato così
è stato suo padre.
New
York, ufficio di Hank McCoy
Qualcuno
bussa alla porta dell’ufficio.
«Venga,
signorina Braddock» Hank esorta la donna a entrare, mentre
ella fa capolino nello
studio.
Ha
un
aspetto orribile: i suoi capelli sono scarmigliati, il suo volto
emaciato, i
suoi occhi contornati da un alone violaceo, come se non dormisse da
giorni.
«Buongiorno,
signor McCoy» Elisabeth abbozza un sorriso stirato,
trattenendo a stento uno
sbadiglio. «Queste sono le pratiche della Acriculture
Financial Incorporated
che mi aveva chiesto. Le ho già sezionate
stanotte.»
«Ottimo
lavoro, Braddock» Hank è sinceramente colpito.
Prende i documenti dalla mano
della segretaria e la scruta con aria eloquente.
«C’è
qualche problema, signore?» chiede la donna, imbarazzata.
Hank
riordina i fogli e li sistema nel secondo cassetto della scrivania,
senza
togliere gli occhi di dosso alla giovane: «Sì,
c’è qualche problema.»
Elisabeth
scuote il capo, già capendo dove il suo capo vuole andare a
parare.
«Stavolta
ha dovuto usare i suoi poteri più a lungo»
commenta Hank. «Come sta, l’agente
Pierce?»
Elisabeth
inarca un sopracciglio: «Non bene, poverino. Non ricorda
niente degli ultimi
due giorni. Ma credo che la cosa che gli vada meno a genio sia il fatto
che
l’abbia abbindolato come un idiota. Credeva davvero che
potesse piacermi un
tipo come lui.»
«Voi
donne siete tremende» scoppia a ridere Hank, scuotendo la
testa e inforcando
gli occhiali da vista, pronto a lavorare. Prima però assume
di nuovo il suo
sguardo severo: «Rimane comunque il fatto che il suo potere
le ha dato del filo
da torcere, stavolta.»
«Non
più del solito» risponde Elisabeth, evasiva.
«E
invece sì. È proprio questo il punto»
la interrompe Hank, agitato. «Signorina
Braddock, stia attenta ai suoi poteri. I poteri della mente sono
pericolosi. Se
ci dovesse essere qualsiasi tipo di problema parli con il professor
Xavier.
Saprà aiutarla.»
«Me
lo
ha detto mille volte, signore» sorride Elisabeth.
«Non si preoccupi, sto bene.
La ringrazio comunque per l’interessamento.»
«Mi
preoccupo solo dei miei colleghi più fidati» le
risponde Hank, sorridendole.
«Senza di lei, la polizia non avrebbe mai incastrato
l’agente Dullen. I Summers
le sono debitori.»
Elisabeth
arrossisce, dopodiché fa per congedarsi, apprestandosi a
lasciare lo studio.
«Signorina
Braddock» la richiama Hank. La donna si volta. «La
prego, non usi più il suo
potere. Al contrario del mio, il suo sfugge sempre più al
suo controllo. È
pericoloso. Non lo usi mai più.»
Elisabeth
sembra esitare, poi sorride: «D’accordo, signor
McCoy. Starò attenta.»
«Un’ultima
cosa, Braddock» aggiunge poi Hank. «Mi lasci le
pratiche sulla scrivania. Le
finisco io.»
«Come?»
«Può
andare a riposare. Ha la settimana libera.»
Elisabeth
sfoggia un ampio sorriso di gratitudine, dopodiché esce
dall’ufficio.
Città
del Messico, casa di Jorgen Muraz
Logan,
Tempesta e Jorgen si trovano nella piccola e lurida cucina della casa
di
quest’ultimo.
La
stanza è buia, fetida, lugubre. La tenue luce aranciata
della lampadina non
basta ad illuminare l’ambiente a dovere. Jorgen sta
passeggiando avanti e
indietro; Logan è poggiato al frigorifero; Tempesta osserva
entrambi dalla sua
sedia, al di là del piccolo tavolo sghembo.
«Fammi
capire bene…» Logan sembra riepilogare un lungo
discorso. Sorseggia la sua
birra e scruta insistentemente Jorgen. «Qualcuno spera di
ottenere i poteri
della ragazza per manipolare il tempo atmosferico?»
«Già»
afferma Jorgen.
«Porca
puttana» esclama Logan spostando lo sguardo contrito su Ororo
Munroe. «Credevo
che la tua fosse semplice elettrocinesi.»
«No,
i
miei abra kadabra sono più teatrali» commenta la
ragazza, masticando
sonoramente un chewing gum.
«Ororo
prende sempre tutto alla leggera» contesta Jorgen, gettando
uno sguardo severo
alla giovane. «Ma non si rende conto dei pericoli. E adesso
ci si mette anche
Di Mauro…»
Logan
finisce la birra e lancia la bottiglia vuota fuori dalla piccola
finestra, nel
terreno rovente della baraccopoli.
«E
questo Di Mauro… chi è?»
«È
il
padrone di questo posto» spiega Tempesta. «Un
coglione che ha avuto fortuna
solo per i soldi che ha. Vorrebbe avermi come fenomeno da baraccone,
forse per
esibirmi, chissà.»
«Quello
che vuole è il tuo corpo, Ororo!» ringhia Jorgen,
sbattendo i pugni sul tavolo.
«Vuole fare di te una prostituta! Ecco quello che vuole! E se
davvero hanno
mandato te a ucciderla…» l’uomo si volta
verso Logan. «Significa che Di Mauro
ha svelato la tua posizione a qualcuno che vuole sfruttare i tuoi
poteri! Se
resti qui, morirai!»
Tempesta
si volta dall’altra parte, incapace di sostenere lo sguardo
del vecchio
meccanico. Comprende la situazione, sa quanto egli tenga a lei. Sa di
essere in
pericolo di morte.
«E
cosa
dovrei fare?» mormora Tempesta. «Andarmene di nuovo
e lasciarti qui?»
«Sì,
Ororo» afferma Jorgen, con dolcezza. «Non posso
permettere che tu muoia.»
«Quando
avete finito di farmi scendere i coglioni a terra, muovete i vostri
culi» li
interrompe Logan, stiracchiandosi e aprendo il frigo.
«Posso?»
chiede l’uomo, afferrando un’altra birra e
stappandola con un artiglio, senza
neanche attendere la risposta del proprietario.
Quest’ultimo,
dal canto suo, non si dà neanche la pena di rispondere:
«Cosa dovremo fare?»
«Preparare
le valigie» spiega Logan, guardandoli entrambi. «Ce
ne andiamo da qui.
Stanotte.»
Da
qualche altra parte, sempre all’interno della baraccopoli,
Paulo di Mauro
riceve la visita di un suo scagnozzo: «Capo, la Munroe
sta per lasciare il
paese.»
Il
boss
della baraccopoli non batte ciglio.
«Eliminatela.
È una mutante. Questo cambia tutto. Il nostro paese non ha
bisogno di quei
mostri. Eliminatela subito.»
CONTINUA…
Cast
principale:
Logan
Howlett
Jean
Grey
Scott
Summers
Alex
Summers
Ororo
Munroe/Tempesta
Charles
Xavier
Moira
Kinross
Hank
McCoy
Elisabeth
Braddock
(Erik
LenSherr/Magneto non compare nell’episodio)
Personaggi
secondari:
Jorgen
Muraz
Paulo di Mauro
Edward Nosley
Norman
Pierce
Theodore
Dullen
Tony
Wang
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** 1x3 Prova di coraggio ***
1x3 Prova di coraggio
Westchester, Istituto Xavier
Moira Kinross sta tenendo
una
delle sue lezioni nell’aula F. Oltre a Jean Grey e Scott
Summers, è presente
un’altra ventina di studenti, tutti in età media
tra i diciassette e i
diciannove anni.
Uno di loro, Terence
Coleman, sta
chiacchierando con i suoi amici, senza ascoltare una benché
minima parola della
lezione della signora Kinross.
Terence scrive qualcosa su
un
biglietto, dopodiché con un gesto della mano lo fa sparire.
Inaspettatamente,
il biglietto compare sul banco di Jean, due file più avanti.
Conoscendo il potere di
Terence,
Jean si volta verso il ragazzo e lo guarda, incuriosita, ma lui fa
cenno di
aprire il biglietto.
La ragazza obbedisce e
legge le
seguenti parole:
“Preferirei
essere tra le tue
braccia e tra le tue labbra anziché in quest’aula.
Ogni giorno mi togli il
fiato”.
Jean scuote la testa,
spazientita,
ma si lascia sfuggire anche un sorriso divertito. Conosce bene gli
intenti di
Terence.
Scott Summers, seduto
accanto a
lei, si avvicina alla ragazza e le sussurra, in tono concitato per non
farsi
sentire dalla signora Kinross: «Cosa succede?
Perché ridi?»
«Oh, ma
niente!» risponde Jean,
evasiva. «È solo quell’idiota di
Terence».
Scott si volta indietro,
verso la
fila di Coleman e dei suoi compagni; quest’ultimo gli
risponde con un
occhiolino strafottente. Scott decide di ignorarlo, trattenendosi dal
togliersi
gli occhiali.
«Che
cos’ha fatto?» chiede a Jean.
«Nulla di
preoccupante. Siamo
usciti due volte, qualche mese fa» spiega Jean, mostrando il
foglio a Scott.
«Da allora Terence non fa altro che perseguitarmi, sperando
in un terzo
appuntamento.»
«Oh,
capito» commenta Scott,
accigliato, leggendo le parole sul biglietto e alzando gli occhi
sull’amica.
«Beh, sarà difficile che smetta se continui a
sfoggiare quel sorrisetto
complice.»
Jean si volta verso Scott,
scura
in volto: «Cosa vorresti insinuare?»
«Che
così sembra che tu gli dia
spago»
«Io non gli do
spago!»
«Vuoi riuscirci o
no?»
«Io…
beh… ma che t’importa?»
«Quando il signor
Summers e la
signorina Grey avranno finito di scambiarsi i loro
convenevoli…!» interviene
Moira, alzando la voce. «Saranno così cortesi da
ripetermi in sintesi la
struttura della camera di Pall?»
Sia Jean che Scott alzano
lo
sguardo sull’insegnante, disorientati.
Cala il silenzio.
«Non sapete
dirlo?» incalza Moira.
«No? Eppure è alla base della costruzione della
nostra Cerebro. Ne abbiamo
parlato per almeno mezz’ora.»
Jean e Scott non rispondono.
«Signorina Grey,
se vuole
continuare a mantenere il ruolo di coordinatrice di dipartimento le
consiglio
vivamente di fare più attenzione durante le lezioni su
Cerebro, specialmente se
sta valutando seriamente l’ipotesi di intraprendere il ramo
della medicina. Non
diventerà dottoressa scambiandosi bigliettini con i compagni
di classe, sa?»
«Mi scusi,
signora Kinross»
mormora Jean, rossa in volto più dei suoi capelli. Non
è abituata ad essere
sgridata.
«E lei, signor
Summers» continua
Moira, implacabile. «Se pensa che essere l’ultimo
arrivato le possa dare una
situazione di vantaggio o di prestigio, si sbaglia di grosso. Veda di
non
distrarre nessun altro, o la butto fuori. Non mi aspetto certo che
impari a
memoria le tecniche di difesa strutturale della camera, anche
perché comunque
nessuno riuscirebbe a forzarla senza il permesso del professor Xavier,
ma avere
qualche nozione di base potrebbe giovarle comunque.»
«Ma noi non
stavamo…!»
«Non stavate
attenti» Moira taglia
corto.
Dopodiché la
lezione riprende.
Jean rimane concentrata sul
libro,
ma Scott si rivolta indietro verso Terence, che sorride con astuzia.
Istituto Xavier, alloggio
dei
fratelli Summers
Alex sta bevendo una coca,
steso
sul letto, e sta guardando un poliziesco alla TV. Attorno a lui vi
è il caos
più totale.
Lattine accartocciate sul
pavimento, indumenti sporchi negli angoli più disparati
della camera, briciole
ovunque, e anche un discreto strato di polvere sulle superfici
più alte.
La porta della stanza si
spalanca
di botto e Alex alza la testa per vedere chi sia. È Scott.
«Ehi,
scemotto» lo saluta. «Non
sei a studiare, giocare, o fare quello che fanno… boh, tutti
gli altri?»
«Non ho voglia di
studiare»
brontola Scott, lanciando lo zaino sul letto e togliendosi le scarpe.
Accigliato, raccatta due lattine da terra e le getta nel cestino:
«Non potresti
essere un po’ più ordinato?»
Alex lo ignora. Anzi,
scoppia a
ridere a una battuta che probabilmente è stata fatta in TV.
«Questo telefilm
è una figata» ridacchia
Alex. «La vita del poliziotto deve essere veramente dura, ma
questi stereotipi
sono intramontabili!»
«Ehi, ti ho
chiesto una cosa,
cazzo!» urla Scott. «Almeno tu che sei mio fratello
vuoi ascoltarmi per una
fottutissimo volta?!»
A quel punto, Alex si volta
verso
Scott, poggiando il toast che stava mangiando proprio in quel momento.
Si rende
conto che suo fratello è molto arrabbiato.
«Che è
successo?» chiede Alex,
ancora con il boccone in bocca. «Tutto bene?»
Scott, tuttavia, si
è già calmato.
Si lascia cadere sul suo letto, poco distante da quello del fratello e
sospira.
Il giovane si toglie gli
occhiali
per massaggiarsi gli occhi, rigorosamente chiusi, dopodiché
li inforca
nuovamente.
«Tranquillo, non
ti ammazzo»
bofonchia Scott, vedendo il fratello sul chi va là.
«Anche se senza di te
sicuramente questa camera sarebbe più in ordine.»
«Perché
oggi sei così
amorevolmente simpatico?» domanda Alex.
«Dì, hai le tue cose?»
«Ma smettila, non
ti ci mettere
anche tu» brontola Scott, lanciandogli una lattina.
«Probabilmente, se fossi
donna sarei così sfortunata che avrei anche le mestruazioni
laser. Il lato
positivo è che almeno potrei far fuori un bel po’
di idioti.»
«Ehi, ehi, sento
dell’astio!»
ridacchia Alex, accendendosi una sigaretta.
Scott lo osserva rabbuiato:
«Sai
che non ci è permesso fumare all’interno
dell’istituto.»
«Chi è
che ti da noia?» domanda
Alex, imperterrito, alzandosi dal letto e sedendosi sul davanzale della
finestra che si affaccia sul parco.
«Nessuno mi da
noia» spiega Scott,
grattandosi la testa, imbarazzato. «O meglio, nessuno mi dice
nulla. Tanto ci
sono altri bell’imbusti senza cervello da prendere come
esempio, a quanto
pare.»
«Aspetta,
aspetta, aspetta!
Fermati un attimo!» Alex alza le braccia, sgranando gli
occhi. «C’è una donna?»
«Che?»
«C’è
una donna di mezzo, giusto?
Hai adocchiato qualcuna?!»
«Ma che
stai…» tenta di ribattere
debolmente Scott, ma niente riesce a frenare la contentezza del
fratello
maggiore, che lancia un lungo fischio di giubilo, addirittura
avvampando di energia
solare per pochi istanti.
«Fermati! Vuoi
dar fuoco a tutta
la scuola?!» lo brontola Scott, ancora più
immusonito.
Ma Alex non sembra
badargli: «E
chi è?» gli chiede invece. «È
carina? Com’è messa a tette?»
«Falla
finita» ribatte Scott,
esasperato. «Tanto è inutile. Ha già
qualcuno per la testa.»
«Oh, beh, ci sono
tanti modi per
ovviare a questo problema» spiega Alex, spegnendo la
sigaretta e gettandosi di
nuovo sul letto, accanto al fratello. «Dimentica subito gli
insegnamenti della
mamma. Fiori, cioccolatini e poesie di porteranno soltanto a
masturbarti
ossessivamente, crogiolandoti nel ricordo di quella figa che non te
l’ha mai
data.»
«Sei un poeta,
Alex» dice Scott,
in tono piatto.
«Non importa
quanto bello, brutto,
alto o basso tu sia» prosegue l’altro.
«Devi riuscire a coinvolgerla
mentalmente. Se il suo cervello sarà tuo, allora anche il
suo corpo sarà tuo. È
molto semplice!»
«Semplicissimo»
«Devi fare
qualcosa per attirare
la su attenzione» consiglia Alex, quasi come se fosse un
coach di una squadra
di football e si stesse preparando all’arringa pre-partita.
«Devi imporre la
tua presenza. Qualcosa che attiri la sua attenzione su di te. Devi
entrarle
nella testa. Così poi potrai anche entrarle
nella…»
«Sì,
okay, Alex, basta!» lo mette
a tacere Scott. «Sono già abbastanza incazzato
senza che tu mi dia i tuoi
stupidi consigli!»
«Stupidi
consigli?» ribatte Alex,
bofonchiando. «Ah! Vedremo! Tu prova a seguire il mio
consiglio, poi ne
riparleremo.»
«Non credo che lo
farò» ammette
Scott, afferrando le cuffie dal comò e collegandole al
cellulare.
«Allora rimani
nell’ombra, mentre
altri si pastrugnano la tua amata» conclude Alex, facendo
spallucce. «Vado al
bagno!» annuncia, con un rutto.
Rimasto solo, Scott
comincia a
rimuginare. Qualcosa per attirare la sua attenzione. Qualcosa per
attirare la
sua attenzione…
Città del
Messico, paese
periferico di Las Vargas
Logan, Tempesta e Jorgen
sono da
poco arrivati al villaggio di Las Vargas, ormai assorbito dalla
dilagante
periferia di Città del Messico.
Vi è un caos
degno di una
metropoli, per le strade del paese, animate di venditori ambulanti,
mercanti,
taxista, cittadini intenti a far compere, bambini intenti a rubare.
La giovane Tempesta fatica
a
mantenere il passo di Logan e Jorgen.
«Ehi, fottuta
bestia! Quando è
stato deciso che io dovessi portare anche il tuo zaino?» si
lamenta la ragazza,
spostandosi dal volto i lunghi capelli albini, madidi di sudore.
«Quando ho deciso
di non sgozzarti
e di pararti il culo» mormora Logan, aiutando il vecchio
Jorgen ad attraversare
la strada trafficata. I tre passano attraverso il traffico, in
direzione della
stazione per la frontiera.
«Ho alcuni amici,
alla frontiera»
spiega Jorgen. «Non avranno problemi a fornirci un visto
falso per me e per
Ororo.»
«Ecco, almeno mi
evito la galera.
Un’altra volta» brontola Tempesta, sempre al
seguito dei due. «Adesso possiamo
riposarci?»
«No, non ci
fermiamo» ordina
Logan, guardandosi intorno, innervosito.
«Che problema
c’è? Nessuno oserà
attaccarci in mezzo alla folla, no?» chiede Jorgen, forse
più per rassicurare
se stesso che non per esporre una domanda.
«Non
saprei» ammette Logan. «Ma
sicuramente se volessero attaccarci passerebbero inosservati, in tutto
questo
casino.»
«Porca
troia» impreca Tempesta.
«Ho capito, non ci fermiamo. Fanculo».
I tre si rimettono in
marcia.
A pochi metri di distanza,
dall’altro lato della strada, una misteriosa figura, avvolta
in un lungo
impermeabile color castagna, dal volto nascosto dietro a un grosso paio
di
occhiali scuri e a un grande cappello, li osserva incuriosito.
Ha un’auricolare,
all’orecchio.
«Non perderli di
vista, Calibano.
Non devono lasciare il paese. Uccidili se necessario.»
«Con piacere,
signor Di Mauro»
risponde il mutante, con un’orrenda voce sibilante.
Westchester, Istituto Xavier
Scott si trova nel
corridoio che
conduce a Cerebro, il grande portone circolare nascosto dietro alla
finta
parete dove si trova un grande quadro dei cavalieri della Tavola
Rotonda.
Scott guarda assorto la
parete,
preoccupato.
«Scott?»
Il ragazzo si gira,
sorpreso nel
sentir pronunciare il suo nome. È Jean.
Scott sorride, imbarazzato.
Quel
pomeriggio la ragazza è, se possibile, più carina
del solito. Indossa una
maglietta gialla, molto attillata, jeans bianchi e ha i capelli ramati
raccolti
in una coda. Lo fissa con gentilezza, bloccandolo con i suoi grandi
occhi
verdi.
«Oh, ciao,
Jean» mormora lui,
arrossendo.
«Che ci fai
quaggiù tutto da
solo?» chiede la ragazza.
«Potrei chiederti
la stessa cosa»
ridacchia Scott, suscitando una risata in Jean, che risponde:
«Touché».
I due si guardano in
silenzio per
qualche momento.
«Io stavo
cercando il professor
Xavier» mente Scott, guardandosi intorno in modo vago.
«Ma non l’ho trovato.
Credo che tornerò agli alloggi.»
«Capito»
annuisce Jean. «Io invece
ho dato appuntamento qui a Terence.»
Le parole non arrivano
subito al
cervello di Scott. Quando questi si rende conto di ciò che
ha detto la ragazza,
ammutolisce.
«Ah…»
Jean sfoggia
un’espressione
piuttosto strana, che Scott non riesce e non vuole decifrare.
«Allora vuoi
uscirci». Non è una
domanda. Per Scott, è una constatazione.
Jean arrossisce:
«B-beh, perché
non dovrei. Lo conosco da un bel po’, è
carino»
«Ah,
già è carino» la schernisce
Scott, sogghignando. «Allora è tutto apposto, che
stupido che sono!»
«Ma si
può sapere cosa ti prende?»
«Niente, anzi
è meglio se me ne
vado, almeno ti lascio da sola con quel deficiente.»
Jean si infiamma:
«Non so che
problemi hai, Summers, ma puoi rimanere tranquillamente. Me ne vado io!
Almeno
non ti impongo la mia presenza!»
Detto questo, Jean gira i
tacchi e
si allontana.
Rimasto solo, Scott stringe
i
pugni, mentre una voce nella sua testa gli grida “fermala!
Fermala!”
Sembra esitare, fin quando
dal
corridoio non fa capolino Terence Coleman.
«Summers?»
sembra sorpreso. «Che
ci fai come un cretino tutto solo? Senti, hai mica visto
Jean?»
Scott rimane in silenzio.
«Okay, grazie
comunque!» così
Terence fa per andarsene.
Scott digrigna i denti,
poi,
sempre più risoluto richiama il ragazzo.
«Ehi,
Coleman!»
«Che vuoi,
Summers? Sono parecchio
impegnato, adesso» spiega quest’ultimo.
«Ho visto Jean in
camera sua»
racconta Scott, sperando che il suo tono risulti più
disinvolto possibile. «Ha
detto che non ha voglia di incontrare un idiota come te»
Dopo un breve attimo di
esitazione, Terence si riprende: «Ehi, ma come ti permetti,
quattr’occhi?»
«Stai fermo dove
sei o ti faccio
saltare in aria» lo minaccia Scott, portando la mano agli
occhiali.
Terence si blocca
istintivamente,
preoccupato.
«Guarda che mi
sono accorto che ti
piace la
Grey»
commenta Terence, sempre più incupito. «Quindi
vedi di levarti da qui e non
fare stronzate. Lei è mia, ho un appuntamento con lei
perché lei ha scelto me.
Puoi far saltare in aria tutte le persone che vuoi, questo non cambia
nulla,
Summers.»
«Perché
non sa che razza di idiota
sei» controbatte Scott, sfidandolo.
Terence scoppia a ridere:
«Avanti,
Summers, non essere ridicolo. Cosa speri di fare?»
Scott non osa rispondere.
Non si
muove.
Quando Terence vede che il
ragazzo
non cede, decide di sfoggiare il suo sorriso più snervante:
«D’accordo,
facciamo così. Sfidiamoci. Chi vince ottiene Jean. Che ne
dici?»
Scott deglutisce,
innervosito. Sa
che Jean non approverebbe.
«No?»
insiste Terence. «Allora
adesso fai l’uomo e lasciami andare. E accetta la
sconfitta.»
«Va bene, accetto
la sfida» si
affretta a dire Scott, abbassando la mano dagli occhiali.
«Sei mai entrato in
Cerebro?»
La scena è
completamente buia. Non
esiste più niente. O forse niente è mai esistito.
A un certo punto compare un
albero
e sotto di esso una panchina, poi due ragazzini; tutt’attorno
a loro vi è un
enorme parco verdeggiante.
«Perché
stamani non sei venuto a
scuola?» chiede uno dei due ragazzini all’altro.
Il più alto dei
due gli risponde:
«Non credo continuerò a frequentare quella classe.
Mia madre dice che quelli
come noi non meritano più di stare in una classe di biondi.
I soldati hanno
portato via anche mio zio, pochi giorni fa. Mia madre dice che noi
saremo i
prossimi.»
«Nessuno ti
porterà via, Erik»
commenta aspramente Charles Xavier.
«E chi ha detto
che ho intenzione
di andarmene?» ridacchia l’altro ragazzino.
«Che ci provino pure. Non ho paura
di ucciderli. Se si avvicinano a casa mia li ammazzo tutti. Li ammazzo
con le
mie mani.»
«Non ce la
faresti mai» risponde
Charlie. «E poi non è una cosa carina da
dire.»
«No, ma
è la cosa giusta da fare»
taglia corto Erik, stringendo la mano a pugno. Uno spillo si alza da
terra e
fluttua proprio davanti il volto del ragazzo.
Istituto Xavier, ufficio
del
preside
Charles Xavier apre gli
occhi.
Sente la sua stessa fronte madida di sudore.
Il sole sta tramontando,
oltre il
parco dell’istituto, gettando i suoi ultimi bagliori
aranciati sulla scuola,
illuminando le aule di una luce morente.
Moira sta trascrivendo
alcuni
documenti, seduta alla scrivania del marito.
«Accidenti, Hank
dovrà portarci a
cena fuori non so quante volte, non appena questa campagna elettorale
sarà
finita. Queste scartoffie da promoter e sponsor sono
interminabili» commenta la
donna.
Quando però il
marito non le
risponde, ella alza lo sguardo: «Che succede?»
Xavier rimane impassibile.
Non ha
voglia di parlare, ma proietta i suoi pensieri nella mente della moglie.
«Erik?»
esclama Moira. «Ancora?»
«Ancora»
sospira l’uomo,
preoccupato.
Moira si alza, attornia la
scrivania e si avvicina a Charles, ponendogli la mano su una spalla.
«Che cosa credi
che possa
significare?»
Xavier scuote la testa
calva,
disorientato: «Non lo so, ma quello che so è che
Erik LenSherr è in pericolo.»
Moira guarda il marito con
un
misto di tristezza e compassione: «Ma, Charles…
Erik è morto.»
Xavier alza lo sguardo
sulla
moglie: «No, Moira. Erik è vivo. Sento il suo
potere. Erik LenSherr è ancora
vivo.»
Moira e Charles si
guardano, in
silenzio. Non c’è bisogno di parole. Gli anni
della gioventù in cui Charles
Xavier, Erik LenSherr e Moira Kinross giocavano tutti e tre insieme al
parco
sembrano riaffiorare con prepotenza nella mente dei due coniugi.
A un certo punto Xavier
geme. Un
coltello sembra penetrargli nella testa.
«Argh!»
«Charles!»
esclama Moira. «Che
succede?»
Xavier si massaggia le
tempie,
lacrimando dal dolore: «Cerebro. Qualcuno sta violando
Cerebro…»
La scena si sposta nel
corridoio
che porta a Cerebro.
Alex e Moira camminano
fianco a
fianco. Alex conduce la sedia a rotelle del professor Xavier.
«Lei è
sicuro che sia mio
fratello?» chiede Alex, nervoso. «Perché
mai avrebbe dovuto violare Cerebro?»
«Non lo so, ma
è la mente di tuo
fratello che avverto. Ne sono sicuro» afferma Xavier.
«Stupido
ragazzo» commenta Moira,
ansiosa. «Se la stanza non verrà liberata dagli
intrusi il prima possibile,
finirà per uccidere i suoi stessi ospiti.»
«Uccidere?!»
Alex è incredulo.
«State scherzando?!»
I tre si arrestano di
fronte la
parete con il quadro dei cavalieri della Tavola Rotonda.
«Cerebro
è un prototipo che vanta
un primato di connessione mentale in tutto il mondo» spiega
il professore. «È
il fiore all’occhiello di questa scuola e deve essere
custodito come un tesoro
di inestimabile valore. Io stesso ho ideato le trappole della stanza,
per far
sì che essa possa difendersi da sola, qualora né
io né Moira fossimo nei
paraggi.»
Qualcuno corre attraverso
il
corridoio: «Professore! Professor Xavier!»
È Jean Grey.
«Jean?»
Alex è incuriosito nel
vederla lì. Xavier invece non batte ciglio: «Hai
sentito anche tu?»
«Sì,
professore» afferma la
ragazza, ansimando e reggendosi un fianco. Evidentemente deve aver
attraversato
mezza scuola a corsa, pur di raggiungerli. «Sono Scott e
Terence. Quei due
idioti.»
«Jean, che cosa
sta succedendo?!»
chiede Moira, sempre più spazientita. «Si
può sapere cosa state combinando?»
«Inutile che se
la prenda con me!»
grida Jean, altrettanto alterata. «Non è colpa mia
se gli uomini sono dei
completi imbecilli!»
A quel punto, Alex sembra
comprendere tutta la situazione.
La sua espressione di
sorpresa,
però, dura poco; sostituita subito dopo da una nuova ondata
di preoccupazione.
«Che razza di
idiota che sono. A
volte do dei consigli veramente stupidi…»
«Non
c’è tempo» Xavier li mette a
tacere tutti, premendo un tasto sotto il bracciolo della sua sedia.
«Cerebro
sta continuando a difendersi. E quei due ragazzi moriranno se no ci
sbrighiamo.
Il quadro si sposta di
lato,
lasciando scoperto un pannello di sicurezza. Moira si avvicina e digita
un
codice.
A quel punto
l’intera parete si fa
da parte, mostrando la grande porta circolare di Cerebro.
Il gruppo fa per entrare,
ma
Xavier li ferma: «No. Entreremo soltanto io e Jean. Le vostre
menti non sono
abbastanza allenate per sopportare un tal peso.»
Alex si fa da parte,
incerto.
Anche Moira si arresta, ma
fissa
insistentemente il marito: «Charles, stai attento.»
Jean e il professore
entrano nella
stanza, che si richiude alle loro spalle.
Al di là di
essa, regna il
silenzio più assoluto. Non sembra che successo assolutamente
nulla.
Tuttavia, in fondo alla
pedana,
Terence Coleman e Scott Summers sono immobili, bloccati a
mezz’aria, i volti
contorti in strane espressioni di dolore, la bocca schiumante di saliva
e gli
occhi sbarrati.
Jean conduce Xavier al
casco di
Cerebro. Il silenzio regna ancora sovrano. I ragazzi, in preda alle
allucinazioni mentali di Cerebro, sembra quasi non respirare.
«Jean, io entro
nelle loro teste»
spiega Xavier, afferrando il casco e infilandoselo sul cranio.
«Non appena
avvertirai la presenza mentale di tutti e tre e sentirai allentare la
presa di
Cerebro, tiraci fuori.»
«D’accordo,
professore» Jean
annuisce, risoluta.
«Ah, stai
attenta» aggiunge
Xavier. «Cerebro, a quel punto, potrebbe rivolgere la sua
attenzione su di te.»
Jean sbatte le palpebre,
cercando
di mantenere la calma.
Xavier chiude gli occhi e
si
immerge in Cerebro.
Il caos esplode attorno a
lui.
Vi sono fiamme e boati
ovunque.
Lingue di fuoco blu attorcigliano immediatamente le caviglie di Xavier
che
riesce a liberarsene, respingendole con la mente.
Non appena è
libero, un enorme
artiglio sembra aggrapparsi alla sua testa, cercando di asportargliela
di
forza, ma Xavier sa che è soltanto un’illusione di
Cerebro e resiste.
Non altrettanto fortunati
sono
stati Scott e Terence.
Il primo sta tentando di
liberarsi
da alcuni fili spinati che si stanno attorcigliando attorno e dentro al
suo
corpo. Alcuni cavi lo perforano dalla bocca, dagli occhi. Il ragazzo si
è tolto
gli occhiali: evidentemente ha provatoad usare il suo potere, senza
risultato.
“Inutile”
pensa Xavier. “Tutto
questo non sta accadendo”.
Terence invece è
interamente
avvolto dalle fiamme e sta fuggendo, inseguito da alcune bestie
inferocite,
simili a polipi giganti, ma piumati.
Xavier fa per avvicinarsi
ai due,
ma il pavimento sembra crollare e il professore cade in una voragine
senza fondo,
sentendo il suo stomaco torcersi e il cuore salirgli in gola.
“Avrei dovuto
orchestrare qualcosa
di meno complesso” pensa l’uomo.
Non
c’è modo di arrestare Cerebro.
Xavier continua a cadere, non può aggrapparsi a nulla. E
cade. Cade. Cade.
A un certo punto qualcosa
lo trae
in salvo; sembra un volatile.
Si sente artigliare il
petto e si
rende conto di essere sulla cima di un’enorme torre
tempestata da una pioggia
sferzante.
Scott e Terence sono a
terra, in
preda alle convulsioni. Accanto a loro vi è
un’aura calda e seducente.
«Jean!»
la riconosce Xavier. «Ti
avevo detto di aspettarmi fuori!»
«Lo so, ma non
potevo stare in
attesa! Mi dispiace, professore!» grida la ragazza.
La torre esplode e si
rovescia, cadendo
in un enorme vortice elettrico. I ragazzi sono i primi a scivolare via,
ma
Xavier li afferra al volo.
Dall’altra parte,
però, un’enorme
artiglio cerca di portarli via, di strapparli con forza dalla presa del
professore.
«Jean! Esci da
qui!» grida Xavier,
mentre avverte la sua pelle intorpidirsi e sciogliersi. Non deve cedere
alla
paura; è tutta un’illusione. Eppure sembra
così reale.
«Porta via Scott
e Terence! ESCI!»
Jean afferra i due ragazzi
e
sparisce nel nulla. Xavier è rimasto solo. Adesso
l’artiglio sta traendo lui a
sé.
Xavier si lascia andare e
tutto il
vortice esplode in un’enorme bolla.
Xavier avverte le
sensazioni più
disparate: sembra che della sabbia gli stia entrando dalle narici,
affogandolo,
ma a pensarci bene sembra di essere sott’acqua. No
è totalmente trafitto da
lame acuminate, che gli trapassano la pelle da parte a parte.
“Resisti”
si fa forza Xavier.
“Resisti!”
Cerebro sta gradualmente
riconoscendo il suo padrone. Le difese stanno calando.
La mente di Xavier si fa
sempre
più debole, fin quando tutto il suo mondo si chiude a
riccio, trasformandosi in
una stanza bianca.
Charles Xavier si guarda
attorno.
Ha tutta l’aria di essere la stanza di qualche sorta di
sanatorio.
Davanti a lui, avvolto in
una
camicia di forza, vi è un uomo sulla cinquantina, dai
capelli ingrigiti, ma
dagli inconfondibili occhi gelidi e strafottenti.
Erik LenSherr lo scruta,
sorridendo.
«Erik…»
sussurra Xavier, cercando
di avvicinarsi. Solo allora si rende conto che tra i due vi
è una lastra di
vetro.
«Ciao,
Charlie» mormora Erik.
«Vedo che il tempo è stato impietoso anche con
te.»
«Sei
vivo» sorride Charles,
toccando la lastra di vetro come se sperasse di affondarci dentro.
«Non lo sono mai
stato veramente»
lo corregge Erik. «Ma sì, diciamo che sono
vivo.»
«Mi
dispiace…» Xavier tocca il
vetro con la testa, chiudendo gli occhi. «Se solo avessi
saputo… se solo ti
avessi avvertito prima….»
«Le strisce blu
mi tengono
prigioniero» lo interrompe Erik. «Il magnete
imprigiona Magneto, Charlie.
Aiutami. Liberami da questo palazzo.»
«Cosa? Dove sei?
Quali strisce?
Quale magnete?» chiede Xavier, attonito. «Devi
essere più preciso, Erik. E più
veloce. Non ho molto tempo!»
«Tempo»
mormora Erik, chiudendo
gli occhi. «Anche di quello non ne ho mai avuto.»
«Erik!
Erik!» la scena si ripete
esattamente come decenni prima. Charles Xavier scivola via, lontano dal
suo
amico. Lontano dal mondo.
Quando il professore riapre
gli
occhi, si rende conto di essere caduto dalla sedia a rotelle. La
schiena è
trafitta da dolori lancinanti.
«Charles!
Charles!» grida qualcuno
attorno a lui.
Vi è Moira, e
alle sue spalle,
Xavier avverte la presenza di Alex e di Jean.
«Dove sono i
ragazzi?» mormora
Xavier. «Scott e Terence. Dove sono?»
«Sono caduti in
coma, professore»
ammette Jean. «Ma riusciremo a farli riprendere.»
Il coma. Grazie al cielo
Cerebro è
stato molto più caritatevole di quanto Xavier si fosse
aspettato.
«Magneto»
sussurra poi a Moira.
«Magneto è vivo.»
Moira sgrana gli occhi,
incredula.
Si tappa la bocca con le mani.
Xavier annuisce e scoppia a
ridere: «È vivo. E lo
troverò.»
«La smetta di
farneticare,
professore» lo interrompe Alex, issandolo di peso e
portandoselo in collo.
«Adesso usciamo da qui.»
Ma Xavier non ha pensieri
che per
altro se non Erik. Erik è vivo. È
l’unica cosa che conta veramente.
Messico, treno merci
diretto alla
frontiera statunitense
Il vecchio treno diretto
alla
frontiera è appena partito. Non è un treno da
viaggio, non dovrebbe ospitare
passeggeri, ma soltanto casse, attrezzi, cibi e merci varie. I vagoni
di coda
però ospitano tutti coloro che fuggono dal Messico, tutte
quelle anime perse
che vagano alla ricerca di speranza, confidando in un futuro migliore.
Spesso,
vi sono donne e molti bambini; più difficilmente si vedono
anziani, che
arresisi alle loro vite, non attendono altro che morire tra quelle
terre dimenticate.
Quel giorno, tuttavia, vi
sono
solo uomini.
Logan, Jorgen e Tempesta
lasciano
andare le pesanti valigie e si accovacciano a terra, prendendo un
attimo di
pausa dal loro lungo viaggio.
Tempesta poggia la testa
fuori dall’apertura
del vagone, lasciando che la forte velocità e il vento la
avvolgano
completamente. Jorgen le intima di non stare così sporta, ma
neanche prova a
trarla indietro.
Logan invece si accascia
totalmente contro la parete. Si accende un sigaro.
«Credi che ti sia
concesso fumare all’interno
del treno?» domanda Jorgen, accovacciandosi accanto al
mutante.
Logan allunga un secondo
sigaro in
direzione dell’anziano: «Non siamo proprio in prima
classe.»
Jorgen prende il sigaro
offertogli
e se lo fa accendere con lo zippo color bronzo.
Molti uomini li guardano,
seriosi.
«Allora, cosa
faremo una volta
raggiunti gli Stati Uniti?» chiede Jorgen.
L’anziano si volta a guardare
Tempesta, che nel frattempo ha indossato le sue cuffie
dell’Ipod, estraniandosi
dal resto del mondo.
«Niente di
diverso rispetto a ciò
che facevate in quello schifo di baraccopoli» ammette Logan.
«Ma almeno non
sarete più sotto la giurisdizione di Di Mauro».
Jorgen annuisce,
sospirando: «Sarà
dura. Non posso sperare di immergermi nuovamente nel mio lavoro.
Saranno mesi
duri. Già, lo so.»
«Sì,
lo saranno. E state pur certi
che Di Mauro continuerà a darvi la caccia.»
«Soltanto Di
Mauro?» ironizza
Jorgen, voltandosi verso Logan. «Ho sentito che voialtri non
ve la passate
tanto meglio negli Stati Uniti. Alla gente non andate a
genio.»
«I normo
ci vedono come fenomeni da baraccone» afferma Logan,
scuotendo a terra la
cenere del sigaro. «Ma in realtà, se vuoi sapere
come la penso, siete tutti
quanti gelosi delle nostre abilità. Ci vedete come dei
maghetti fantastici che
riescono a cavare conigli fuori dai cappelli.»
Jorgen
Muraz ridacchia: «Forse. Ma provo compassione per le tante
vite che sono state
spezzate. Soltanto perché mutanti.» Logan osserva
attentamente il vecchio
meccanico. Sembra sincero.
«A volte
mi domando cosa ne sarebbe stato di Ororo, se non l’avessi
trovata e accudita»
prosegue Jorgen. «E sempre più spesso mi domando
cosa ne sarà di lei dopo che
avrò smesso di farlo.»
Entrambi
gli uomini rimangono in silenzio.
«Non è
esattamente quella che si dice una ragazzina indifesa»
esordisce Logan, dopo
qualche attimo di esitazione. «Ma pur sempre una ragazzina
rimane» lo
interrompe Jorgen, guardando il volto assente di Tempesta che, a labbra
leggermente dischiuse, sembra cantare una canzone.
«Non
potrà
proteggerla per sempre» ammette Jorgen. «E dove
stiamo andando è una realtà che
non mi appartiene. Forse è un stato bene che ti abbiano
inviato a ucciderla.»
Logan
distoglie lo sguardo dal sorriso del meccanico. Gli uomini continuano a
fissarli.
«Non credo
stiano apprezzando il fumo nel vagone» commenta Jorgen.
Logan non
risponde. C’è qualcosa di profondamente scomodo in
quell’ambiente. Non vi sono
donne. Non vi sono bambini. Non vi sono anziani. Jorgen e Tempesta sono
l’unico
vecchio e l’unica adolescente presenti nel vagone.
Poi Logan
vede un uomo in particolare. Non può vederlo in volto.
Indossa un lungo
impermeabile, un cappello che gli copre parzialmente il volto, spessi
occhiali
rotondi, una sciarpa.
Logan si
guarda intorno: altri uomini li guardano.
«Merda»
sussurra.
L’uomo fa
per estrarre gli artigli, ma l’intera squadriglia del vagone
estrae le armi.
Jorgen
geme e Tempesta strilla di sorpresa, togliendosi immediatamente le
cuffie dalle
orecchie.
Più veloce
di un lampo, Logan balza in piedi, si getta selvaggiamente su un uomo,
sgozzandolo, salta indietro e ne agguanta un secondo per la gamba,
scaraventandolo addosso ad altri due compagni.
Alcuni di
loro fanno fuoco, ma Tempesta li fulmina istantaneamente. I pochi
rimasti fanno
per gettarsi dal vagone in corsa, ma Logan li trafigge, lasciandoli
accasciati
al suolo.
L’uomo in
impermeabile si avventa su Tempesta, ma Jorgen e Logan cercano di
bloccarlo.
«Chi
diavolo sei?!» grida Jorgen. Quello, per tutta risposta, si
toglie occhiali,
cappello e sciarpa, rivelando una creatura butterata da cicatrici e
scottature,
dalla pelle bianca come la neve.
«Calibano,
segugio schifoso» mormora Logan. «Da quando sei
alle dipendenze di Di Mauro?»
«Da quando
Bentch non elargisce più il compenso che mi
spetta» gracchia la creatura, con
voce disumanamente roca. «Di Mauro è un offerente
ben più consistente. Non puoi
immaginare quanto denaro io abbia preso per seguire la ragazzina fin
qui.»
Logan si
toglie la giacca e si para di fronte a Jorgen e Tempesta.
«Logan!»
esclama Calibano, divertito. «Logan! Logan! Ma che cosa stai
facendo? Davvero
sto vedendo il grande animale selvaggio Logan Howlett pararsi di fronte
un
misero vecchio e una ragazzetta? Che cosa ti è
successo?»
«Non
fraintendere, Calibano» risponde Logan, preparandosi allo
scontro. «Evito che
altri vedano quell’ammasso di merda che ti ritrovi al posto
della faccia.»
Dopodiché
si avventa su di lui. Il killer però si scansa di lato e si
catapulta addosso a
Jorgen e Tempesta. Improvvisando, Jorgen spinge via la ragazza e
ferisce
Calibano con il sigaro.
Il killer
urla di dolore, coprendosi la fronte: «Figlio di
puttana!» Afferra il meccanico
per il collo, lo solleva di peso senza problemi ed estrae
l’altra mano da sotto
l’impermeabile, mostrando un lungo guanto artigliato.
Logan
tenta di saltare addosso a Calibano, ma questo lo calcia via senza
problemi e
l’uomo cade giù dal vagone, sparendo nel deserto
sabbioso, mentre il treno
corre rapido verso la frontiera.
«No!»
Tempesta grida.
La mano di
Calibano trafigge lentamente il vecchio meccanico, che spalanca gli
occhi,
atterrito dal dolore e dalla paura.
Tempesta,
tuttavia, accumula un’enorme sfera di energia elettrostatica,
scagliandola
addosso a Calibano, che lascia andare Jorgen e cade
all’indietro.
Jorgen
stramazza al suolo, ansimante.
«Cosa credi
di fare, stronzetta?» ringhia il killer, digrignando i suoi
denti giallastri.
Senza
attendere ulteriormente, Tempesta si volta e fugge dal vagone,
arrampicandosi
sul tetto del treno. Il vento è molto forte e rischia di
spazzarla via, ma
almeno Calibano starà lontano da Jorgen, che avrà
il tempo di riprendersi.
«Dove
scappi, Ororo?» ride il killer, afferrandola per la caviglia
e cercando di
trascinarla di nuovo all’interno del vagone.
La ragazza
urla, terrorizzata. Sente la mano grinzosa afferrarla e tirarla
giù. La mano è
fredda. Fredda come la morte. A un certo punto, avverte
l’urlo di dolore di
Calibano, che lascia andare la presa.
«Non
abbiamo ancora finito, signor tintarella!» grida Logan,
balzando fuori da sotto
il vagone e artigliando Calibano al petto. Il killer tenta di liberarsi
dalla
presa, ma Logan lo scaglia sul tetto del vagone, balzandovi
anch’egli sopra.
Logan,
Tempesta e Calibano si ritrovano tutti e tre all’aperto, al
vento, mentre il
deserto sfreccia veloce attorno a loro.
«Tempesta!
Torna di sotto e assisti il vecchio!» grida Logan, alzandosi
in piedi. La
ragazza non se lo fa ripetere due volte.
«Che
dolce. Sembri quasi un uomo buono e pieno di principi,
Howlett!» sogghigna
Calibano, estraendo l’artiglio da sotto
l’impermeabile. «Ma per quanto ti
sforzi, non potrai mai essere un uomo. Chi nasce bestia, bestia
rimane!»
«Allora
immagino che, da bestia quale sia, è inutile
parlare» risponde Logan a tono,
correndo verso il killer ad artigli sfoderati.
Calibano
blocca l’impatto con la sua mano artigliata, mentre con
l’altra agguanta Logan
per il collo, sollevandolo senza difficoltà.
«Sai,
è
stato difficile trovare la signorina Munroe» ammette
Calibano, studiando Logan
con il suo sguardo da psicopatico. «Sentivo la tua puzza da
oltre cento chilometri
di distanza.»
«Senti
anche questo, allora!». Logan tira un calcio in pieno volto a
Calibano, che
grida al suono scricchiolante del suo setto nasale, andato in frantumi.
Caduto
a terra, Logan si rialza e afferra Calibano per un braccio
scaraventandolo via.
Il killer oppone una fiera resistenza finché qualcosa non lo
colpisce alle
spalle.
Una
violenta scarica elettrica di Tempesta colpisce il killer tra le
scapole,
mandandolo a gambe all’aria; è la distrazione
perfetta di cui aveva bisogno
Logan, che trafigge le gambe di Calibano con gli artigli.
Il killer
grida di dolore, cercando di allontanarsi dall’uomo,
trascinandosi con le
braccia.
«Finito di
fare lo spavaldo, stronzo?» commenta Logan, avvicinandosi a
Calibano e
voltandolo.
Questo
sogghigna: «Uccidimi… uccidimi pure. Tanto
è l’unica cosa che sai fare nella
vita. Ma sappi che… qualcun altro porterà via la
ragazzina. E qualcuno verrà…
anche… anche per te.»
Logan
sospira, fingendo apprensione: «Quel qualcuno non sarai
certamente tu» detto
ciò, lo scaraventa di sotto dal treno. Gridando di rabbia e
dolore, Calibano
sparisce in un grande polverone di sabbia e sangue.
Logan e
Tempesta tornano di sotto, all’interno del vagone.
«Jorgen!»
geme la ragazza, correndo dall’anziano, che respira
affannosamente, immerso in
una pozza di sangue.
Anche
Logan si avvicina a lui: «Vecchio…»
Jorgen
alza lo sguardo affaticato su Logan: «Sembra che…
sembra che dovrai badare a
lei… prima… prima del previsto».
«Zitto.
Adesso troviamo delle bende» mormora Logan, senza avere la
benché minima idea
di dove poterle trovare.
«Ma per
favore…» bofonchia Jorgen.
«Quando… quando un’auto è
vecchia basta poco per
romperla. Dopodiché… anche se si aggiusta mille
volte… prima o poi… prima o poi
andrà rottamata.»
Tempesta
lo abbraccia, tenendolo da sotto la testa, anch’essa
impregnata di sangue
scuro.
«Mi
dispiace, Ororo» sussurra il vecchio, annaspando sempre
più faticosamente alla
ricerca di ossigeno. «Non… ti ho dato il lusso
che… che avrei voluti darti…»
Jorgen
sposta lo sguardo già spento su Logan, che annuisce:
«Starà bene. Penserò io a
lei.»
«Stai
zitto! Non morirà!» grida Tempesta, scoppiando in
lacrime.
«È
già
morto» sentenzia Logan, voltandosi di spalle.
A quel
punto, le lacrime di Tempesta si fanno più silenziose, ma
più copiose e disperate.
Mentre il
treno continua a sfrecciare lungo il deserto, in direzione della
frontiera, il
sole svanisce di punto in bianco, lasciando il campo a enormi nuvoloni
neri,
più neri del demonio, carichi di una tremenda pioggia di
dolore.
Westchester,
Istituto Xavier
Nel parco
dell’istituto, in una bella giornata assolata, Jean sta
studiando chimica su
uno dei tavolini di legno. È da sola, circondata dal profumo
dei fiori e
dall’aria più primaverile che autunnale.
A un certo
punto una figura si para di fronte a lei. È Terence Coleman.
Scott
Summers, da lontano, assiste alla scena: Jean e Terence si scambiano
poche
parole, prima che il ragazzo se ne vada, visibilmente avvilito.
A quel
punto, Scott inspira e prende coraggio; attraversa il parco a grandi
falcate e
si avvicina a Jean.
«Ciao,
Jean» la saluta, imbarazzato. La ragazza alza di nuovo lo
sguardo, sorpresa.
«Ciao»
mormora. «Allora ti sei svegliato anche tu»
«Beh, non
considerando che tecnicamente non mi sono mai addormentato e che il
coma è
durato circa due settimane, sì, mi sono svegliato.»
Jean
scuote la testa, sorridendo amaramente: «Nessuno ti ha detto
di entrare in
Cerebro.»
Scott non
osa controbattere; ha perfettamente ragione.
«Posso
sedermi?» chiede.
«Sì,
puoi»
annuisce Jean, senza guardarlo e continuando a leggere le sue pagine di
chimica.
«Sono
stato un completo idiota» ammette Scott, costernato.
«Ho agito d’impulso,
proprio come mio fratello, e ho fatto la figura
dell’idiota.»
«Vuoi
dirmi che è stato tuo fratello a dirti di entrare in
Cerebro?» chiede Jean,
scettica.
«Non
proprio» cerca di spiegarsi Scott. «Mi ha
consigliato di provare a fare
qualcosa di audace, per…» ma non continua il
discorso.
Jean lo
scruta negli occhi, arrossendo.
«Per
attirare l’attenzione degli altri ragazzi e farseli
amici» mente Scott,
tamburellando con le dita sul tavolo.
«Che cosa
stupida» sentenzia Jean. «Questo è
proprio il genere di cose che si potrebbero
fare per una donna».
«B-beh,
sì. Sarebbe comunque stupido!» sorride Scott,
ancora più imbarazzato di prima.
«O magari
qualcosa di veramente forte» lo corregge Jean.
«Tutti sanno regalare
cioccolatini, fiori e belle parole. Terence ne è
l’esempio lampante. Meno hanno
la creatività di entrare in una stanza psichica e rischiare
di morire per
attirare l’attenzione di una ragazza.»
Scott
rimane allibito e si chiede se per caso non gli abbia appena letto nel
pensiero.
«Dici che
è una cosa forte, quindi?»
«Dico che
è un gran modo di attirare l’attenzione»
ridacchia Jean, lanciandogli
scherzosamente una pallina di carta addosso. «Ma è
comunque la cosa più idiota
a cui abbia mai assistito!»
Entrambi
scoppiano a ridere.
Istituto Xavier, Cerebro
Charles Xavier è
completamente
solo, immerso nel silenzio.
Il professore
s’infila il casco
mentale e chiude gli occhi, tentando di abbracciare tutti coloro che
ama: vede
i giovani Scott e Jean conversare piacevolmente nel parco, i libri di
studio,
abbandonati in un angolo; vede Alex in camera sua, intento a far finta
di
sparare come un vero poliziotto; vede la sua amata Moira insegnare a
una classe
di bambini. Poi il casco fa effetto e amplia i suoi poteri.
Vi sono così
tanti mutanti al
mondo che Xavier perde il conto, rischiando di essere sopraffatto dal
potere di
Cerebro: vede un uomo dall’aspetto selvaggio e una ragazzina
di colore ma dagli
arruffati capelli bianchi intenti a scrutare l’orizzonte di
una pianura, di
fronte a una lapide.
Infine Xavier si ritrova
nella
stanza bianca.
Erik LenSherr lo guarda
insistentemente con il suo sguardo di ghiaccio. E Charlie ricambia lo
sguardo.
Cast
principale:
Logan Howlett
Jean
Grey
Scott
Summers
Alex
Summers
Ororo
Munroe/Tempesta
Charles
Xavier
Moira
Kinross
Erik
LenSherr/Magneto
(Hank McCoy e Elisabeth
Braddock
non compaiono nell’episodio)
Personaggi secondari:
Jorgen Muraz
Calibano
Terence Coleman
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