The Others

di The_Gabs
(/viewuser.php?uid=1010284)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1x1 Gli Altri ***
Capitolo 2: *** 1x2 Adattamento ***
Capitolo 3: *** 1x3 Prova di coraggio ***



Capitolo 1
*** 1x1 Gli Altri ***


1x1 Gli Altri

Luogo sconosciuto, 1972
Due giovani fuggono disperatamente lungo il corridoio asettico dell’edificio.
Niente sembra esistere al di fuori dei loro passi urgenti e frettolosi, ansiosi, rapidi. La luce bluastra, cadaverica, li segue silenziosa fino al loro obiettivo, una grande apertura nel muro, dalla quale i rifiuti vengono espulsi dall’edificio.
I due ragazzi si fermano, aprono la grata di metallo e scrutano nel buio. Non vi è posto per entrambi.
Altri passi, altrettanto urgenti, si avvicinano alle loro spalle.
I due ragazzi si guardano:
«Vai prima tu» dice il più giovane, un ragazzino dai lineamenti morbidi e dai grandi occhi neri, un nero liquido, dolce e indagatore.
L’altro, più alto, più anziano e più avvenente, non è uno sprovveduto. Ha sentito i passi avvicinarsi.
«No, Charlie. Sono più alto e ho le spalle più larghe. Se rimango incastrato siamo fregati entrambi.»
«È una scusa idiota»
«Muoviti!»
«No, Erik…!»
Ma quest’ultimo ha già afferrato il gracile amico per le gambe, tentando di gettarlo nello scarico rifiuti.
Charlie si dimena, Erik impreca.
«Sei uno stupido, ti vuoi muovere? Così prenderanno entrambi!»
«Vai prima tu! Lasciami andare!»
«Eccoli!»
Alcuni uomini in nero hanno avvistato i due ragazzi e corrono verso di loro, sfoderando le pistole.
Erik affonda il suo penetrante sguardo algido sulla squadra in nero e comincia a sudare freddo.
«Muovi quel culo, Charlie! Su, su!»
Charlie è dentro, tenuto saldo soltanto dalla presa dell’amico.
Le ombre degli uomini in nero si fanno sempre più vicine.
«No! Erik!» geme il ragazzo. «Fermi! Lasciateci in pace! Erik! Erik!»
Erik tenta di divincolarsi dalla presa di due uomini, ma un terzo lo calma, sparando un colpo di pistola. Una siringa affonda nella gamba di Erik, che mugugna, continuando però a divincolarsi.
«Scappa, Charlie!»
Non vi è molto tempo: gli occhi di ghiaccio incontrano quelli neri, atterriti.
«Ti voglio bene, amico.»
«Erik!». È l’ultimo grido disperato di Charlie, che scivola giù, lungo il tubo, lontano dal pericolo.
L’apertura che dà sul corridoio si allontana sempre di più, e anche Erik…

New York, 2012
In un malfamato pub del Bronx, alcuni bikers portano scompiglio, inneggiando i loro cori e facendo baldoria. La birra scorre a fiumi.
«Ehi, Stan! Dammene un’altra!» urla uno di loro, rivolto al barista.
Con l’aria di uno che sta per essere crocifisso, l’uomo si inumidisce le labbra, deglutisce, non dice nulla.
«Ehi, dico a te!»
Stavolta il barista sembra prendere coraggio: «Ehm… mi dispiace, non posso servirvene altre, signore. È già la decima.»
«I miei cazzo di soldi però ti piacciono!» sbraita il centauro.
«V-veramente… non… non mi ha ancora pagato le ultime tre.»
Alcuni uomini accanto a quello che sembra essere il capo si guardano, a metà tra il divertito e l’intimorito.
Cala un silenzio di tomba e il boss si avvicina al barista, tirando spallate violente agli altri tre avventori del pub.
Due di loro si spostano senza fiatare; il terzo si fa da parte, continuando tranquillamente a fumare il suo sigaro, il volto nascosto dalla penombra di un cappello da cowboy che lo oscura al resto del mondo.
Il capo centauro nel mentre raggiunge il barista: «Dammi una cazzo di birra, se vuoi tornare a casa senza costole rotte, frocetto.»
L’uomo sembra rassegnarsi e allunga un braccio per prendere un nuovo boccale da dietro il bancone, poi sembra ripensarci: «No, signore. Mi scusi, ma davvero, è meglio se…»
Il boss afferra immediatamente il barista per il collo e lo trae a sé, alitandogli in faccia. Il barista impallidisce seduta stante.
«Vuoi scherzare?»
«Lascialo stare, te la offro io la birra» annuncia l’uomo con il cappello, avvolto dal fumo del suo sigaro.
Il centauro si gira.
«E tu chi cazzo sei?»
«Uno che vuole offrirti l’undicesima birra» risponde tranquillamente l’uomo. «A patto che lasci andare il nostro Stan.»
Il centauro guarda i compagni, poi il barista, e infine sembra indagare a fondo sull’uomo misterioso.
«Dimmi… chi è, il tuo ragazzo?» ridacchia il boss, rivolto al barista, che non osa muoversi, sempre avvolto nella presa stritolatrice dell’uomo.
«Vuoi la birra, sì o no?» insiste il misterioso avventore. «O preferisci quattro calci nel culo?»
Un borbottio agitato si solleva dal resto della squadriglia di bikers.
«Tu sei fuori!» borbottò uno.
Il capo lascia andare immediatamente il barista, si volge verso l’altro uomo e afferra un coltello a serramanico dalla tasca dei jeans. «Vieni, voglio proprio vedere come me li dai, questi calci nel culo.»
L’avventore con il cappello da cowboy sospira, scuotendo la testa: afferra il tagliasigari, recide l’estremità incandescente del sigaro e ne ripone la parte buona in un cofanetto di latta, per poi riporlo accuratamente nel taschino del cappotto di pelle.
Nel frattempo, fuori dal locale, un vecchio furgone nero parcheggia nel piazzale.
L’uomo che ne esce è vestito di tutto punto, con giacca e cravatta e mocassini tirati a lucido. Due agenti in nero lo seguono a ruota fuori dal furgone, armi in pugno.
Improvvisamente, un tizio viene catapultato fuori dalla finestra del pub, disegna un arco in aria, tra schegge di vetro e sangue, e atterra esattamente di fronte al trio.
I due agenti alzano le armi, ma il signore in giacca e cravatta fa segno a entrambi di abassare le pistole. Dopodiché ordina ai due di precederlo all’interno del locale e la scena che si para di fronte a loro è assolutamente irreale: una decina di uomini è a terra, chi privo di sensi, chi semplicemente in silenzio, tramortito o spaventato, non tutti scioccati quanto il barista (nascosto dietro il bancone), ma tutti laceri e feriti da quelli che sembrano profondi tagli.
Un colosso d’uomo giace sul pavimento, riverso a pancia in su, gli occhi vitrei spalancati a fissare il vuoto, annegato in una pozza di sangue.
Sopra di lui, a gambe incrociate, siede un uomo sulla trentina, scarmigliato, lurido, insanguinato. Ma sembra star bene. Sta fumando un sigaro.
Gli agenti alzano per la seconda volta le armi e per la seconda volta il loro capo ordina loro di metterle giù.
«Cappello da cowboy, sigaro di bassa qualità – a giudicare dall’odore – inconfondibili basette e… una scia di morte famigerata. Buonasera, signor Howlett Logan.»
«Io gli avevo detto di prendere la birra» commenta il misterioso uomo, facendo spallucce con aria di sufficienza, ma senza staccare mai lo sguardo vigile dal signore ben vestito.
Quest’ultimo abbozza un sorriso e si avvicina a Logan Howlett, scansando con disgusto la pozza di sangue che si allarga sempre più sul pavimento.
«Bentch. Alfred Bentch. La sto cercando da un po’ di tempo» e gli tende una mano.
«Non è il mio tipo» bofonchia Logan, alzandosi dal cadavere e spazzolandosi la giacca.
«Non la voglio io, ma il mio capo» si corregge il signor Bentch. «Ci sarebbe un nuovo “obiettivo” sulla lista. Le andrebbero bene diecimila, stavolta? Sono duemila in più rispetto alla scorsa caccia.»
«Mi offrite un cognac, prima?»
«Molto volentieri.»
«Allora vada per diecimila.»

Westchester, Istituto Xavier
La scena si fa buia per qualche istante. Poi qualcosa sembra schiarire le tenebre. Una tenue luce bluastra, asettica.
“Charlie”. Qualcuno lo sta chiamando. Charlie lo avverte, ma non può muoversi.
“Charlie, aiutami” ripete la voce. “Charlie, perché non sei tornato a prendermi?”
“Volevo tornare. Voglio tornare” afferma Charlie. “Dimmi dove sei, Erik.”
“Ho paura”. Questo è tutto ciò che la voce può rispondergli. “Ho paura”.
«Charlie, sei qui?»
Charles Xavier apre gli occhi.
Qualcuno ha bussato alla porta dello studio ed è entrato nella sua stanza. I sensi del professore tornano acuti e vigili, ma l’eco di quella voce rimbomba ancora nella sua testa.
«Charlie, tutto bene?»
Una donna dall’aria materna e dai morbidi boccoli castani gli si para di fronte, scrutandolo in volto: «Tesoro, va tutto bene?»
Xavier non risponde immediatamente. La voce nella sua testa sta svanendo.
«Charles?»
«Sì. Sì, Moira» l’uomo abbozza un sorriso alla moglie. «Certo, sono solo un po’ stanco.»
Moira Kinross non sembra convinta, ma non indaga oltre, afferra i manici della sedia a rotelle del marito e comincia a guidarlo fuori dal suo studio, immergendolo nel caos dei corridoi dell’istituto.
Bambini e adolescenti corrono su e giù per il corridoio, uno di loro rischia anche di investirlo, ma il bimbo esplode in tanti piccoli granuli e si riforma subito dopo alle spalle della coppia.
«Ehi, Rickles! Se ti rivedo correre così nei corridoi ti sospendo! Intesi?» lo ammonisce Moira.
«Scusi, signora Kinross!»
Xavier sorride, divertito.
«Che c’è di così divertente?» chiede la donna, continuando a guidare la carrozzina del marito infermo lungo il corridoio.
«Niente» ridacchia l’uomo. «Stavo solo pensando a quanto siano fortunati questi ragazzi.»
«Non festeggiare, Charlie. Ce ne sono ancora pochi al sicuro, e molti ancora là fuori alla mercé dei pregiudizi.»
L’uomo rimane in silenzio, lasciandosi trasportare fino all’aula di lezione.
«Questa scuola necessita di fondi, lo sai» prosegue la Kinross. «E una cena di beneficenza non è proprio il tipo di evento che un istituto atto a raggruppare giovani mutanti con poteri assurdi e fuori da ogni controllo potrebbe pubblicizzare. Non ancora, almeno. La gente non si fida di noi.»
«Noi? Tu non sei una mutante» le ricorda Xavier.
«Ah, no? Pensi che la pazienza di sopportare un branco di bambini esplosivi, con turbe psichiche, magari anche acuminati non faccia parte di una super calma o roba simile?»
Xavier scoppia a ridere: «Probabilmente hai ragione, tesoro. E comunque mi hai frainteso, prima.»
La donna si arresta di fronte alla porta dell’aula dove il professore avrebbe tenuto la sua lezione.
«Che cosa avrei frainteso?»
«Il motivo per cui questi ragazzi sono fortunati» spiega Xavier. «Sono fortunati ad avere un’insegnante premurosa come te.»
Moira scuote la testa, imbarazzata, poi stampa un bacio appassionato sulle labbra del marito, chinandosi per trovarsi alla sua solita altezza.
I due rimangono vicini.
«Tu meritavi una vita diversa da questa. Un uomo diverso» le sussurra Charles.
«Forse hai ragione» controbatte la donna. «Forse ho commesso un errore con queste scelte. Ma questo errore mi rende felice ogni giorno.»
Xavier china la testa.
«Smettila di crearti complessi adolescenziali. Ce ne sono fin troppi, in questo posto» ammette la donna, aprendo la porta dell’aula e lasciando che il marito entri da solo, spostandosi grazie alle maniglie sulle ruote.
L’aula è già gremita.
«Buongiorno, ragazzi» saluta Charles Xavier.
«Buongiorno, professore» rispondono in coro i giovani. Non vi sono bambini, però. Quello è il dipartimento Gamma, che comprende alcuni dei ragazzi più anziani della scuola, oscillanti dai diciassette ai diciotto anni.
Alcuni salutano anche Moira Kinross.
«Salve, ragazzi. Buona lezione. Mi raccomando, non stressatemelo che poi devo sorbirmelo io!»
Risata generale.
Dalle spalle di Moira appare una ragazza dalla bellezza mozzafiato, dal carnato niveo e dal corpo slanciato, con un volto vagamente chiazzato di lentiggini, un volto incorniciato da una chioma di capelli rosso fuoco.
La ragazza ha il fiatone. Deve aver corso.
«Scusi il ritardo, professore…»
«Non preoccuparti, mia cara» le sorride Xavier, incitandola a prendere posto in aula.
«Signorina Grey, le sembra l’orario più consono per arrivare a lezione?» ribatte però Moira.
«Mi scusi, signora Kinross. Ho avuto un contrattempo…»
«Beh, visto che un contrattempo l’ha fatta arrivare in ritardo, un contrattempo la terrà di più a fine lezione» dice Moira, inarcando un sopracciglio. «Sarà lei ad accompagnare il professore nei suoi alloggi, dopo lezione. Che ne dice?»
Jean Grey non sembra averla neanche udita. Prende posto in silenzio accanto ai suoi amici e tace.
«Moira, può bastare. Adesso penso io a loro» Xavier la esorta ad andarsene, a metà tra il divertito e lo spazientito.
La donna si chiude la porta alle spalle e la lezione comincia. Xavier comincia ad elargire le sue nozioni di anatomia e neuroscienza, una lezione che osa affrontare soltanto con i ragazzi più grandi.
Jean Grey prende tranquillamente appunti, ma a un certo punto le voci nella sua testa, quelle che l’hanno perseguitata fino a pochi minuti prima, ritornano più forti che mai.
Jean tenta di ignorarle e torna a prendere appunti, ma poi ecco una nuova crisi e un filo di pensieri sembra sfuggirle dalla testa, trapanandole il cervello e fuggendo via, lontano. Le sembra di essere sospesa davanti a un grande schermo. Al di là dello schermo vi è qualcuno… sembrano due ragazzi. È buio, attorno a loro.

In una zona periferica di New York, un giovane di circa diciotto anni si sta nascondendo in uno scantinato. Sente dei rumori al di là della porta. Il ragazzo deglutisce, ma anche quel rumore potrebbe essere udito da chiunque sia nell’altra stanza. È buio nello scantinato, ma il giovane indossa comunque un paio di occhiali da sole.
Cerca di prendere coraggio e grida: «A-Alex, sei tu?»
Nessuna risposta.
Sente però dei passi dietro la porta, proprio a pochi metri da lui.
Istintivamente, una mano del giovane corre agli occhiali mentre l’altra si accinge a spalancare la porta. Pochi attimi di suspence, prima che la porta si apra, lasciando entrare un altro ragazzo, che grida, scoppiando poi a ridere.
Anche il ragazzo con gli occhiali grida, ma poi s’incupisce.
«Sei uno stronzo!»
L’altro ragazzo, più grande del primo di qualche anno, scoppia a ridere: «Dai, Scott, era uno scherzo!»
«Sei comunque un idiota» ribatte Scott, digrignando i denti. «Stavo per farti fritto» e indicò gli occhiali.
«Te li stavi per togliere?» chiede l’altro, un po’ sorpreso. «Dai, ma chi pensavi che ci fosse? Non avevi capito che ero io?»
«Non mi hai risposto» mugugna Scott, quasi in lacrime. «Cazzo, Alex, non mi hai risposto! Hai detto che tornavi tra una mezz’ora sicché ho pensato… ho pensato che…»
A quel punto, il giovane più grande si avvicina all’altro e lo afferra per le spalle, scrollandolo: «Ehi, ascoltami. Ehi, fratellino, ascoltami bene. Siamo al sicuro ora. Nessuno ci farà del male. Nessuno ti farà del male. Ci sono io a proteggerti, hai capito bene?»
Scott annuisce. Alex non può guardare il fratello negli occhi, ma può immaginare il suo sguardo. Alcune lacrime sbucano da dietro le lenti scure e solcano il volto del giovanotto.
Alex lo prende a sé e gli scompiglia i capelli: «D’accordo, cretinetto. Forse ho esagerato. Ma tu asciugati quelle lacrime e prepara le tue cose. Ce ne andiamo.»
Scott geme: «Ancora?»
«Ormai ci siamo» ribatte Alex, stiracchiandosi e guardando il loro nascondiglio. «Ci basta raggiungere la stazione più vicina e arriveremo dal dottor Lance in un battibaleno!»
Scott non sembra convinto. Il ragazzo indugia, pensieroso.
«Ti fidi di me?» chiede Alex, senza lasciare andare il fratello minore. «Il dottor Lance saprà cosa fare. Dopotutto è lui che ti ha dato il quarzo-rubino, no? Stavolta ci aiuterà ancora. Ma tu devi fidarti.»
Scott annuisce.
Alcuni spari lacerano il silenzio. Entrambi i ragazzi sobbalzano.
«Che diavolo…?!» impreca Alex, voltandosi verso la porta.
«Per di qua!». È la voce di un uomo.
«Ci hanno trovato!» Scott è atterrito. «Ci hanno trovato, Alex, ci hanno trovato!»
«Stai dietro di me» lo avverte Alex. I suoi occhi sono fiammeggianti.

La fiamma di un clipper d’argento accende la sigaretta dell’uomo seduto su una bella poltrona rosso sangue. L’uomo in questione – ben tarchiato e dai corti capelli brizzolati – si trova in quello che sembra essere uno studio e scruta pensieroso oltre la vetrata, ammirando il paesaggio urbano, forse senza neanche vederlo. Sembra preoccupato.
Si alza, fa il giro della scrivania e poi si sofferma, sospirando. Infine sembra prendere una decisione: afferra il telefono dal tavolo, digita un numero e attende.
Dall’altra parte della cornetta vi è il professor Charles Xavier.
«Pronto?»
«Charles, buongiorno. Spero di non disturbarti». La voce dell’uomo è profonda e possente. Salda.
«Hank! Che piace sentirti! È un po’ che non ti fai vivo. Spero sia tutto apposto». Il professore capisce immediatamente che qualcosa non va, ma aspetta che sia il suo interlocutore a fare il primo passo.
«Sai, Charles, queste giornate mi distruggono. Non manca molto alle candidature e ho i nervi a fior di pelle. Ma non è questo che mi preoccupa.»
«Sono tutt’orecchi, amico mio»
«Si tratta dei coniugi Summers.»
Xavier controlla che nel suo studio non ci sia nessuno: «Ci sono novità sull’omicidio?»
«No, magari. Pagherei sangue purché la polizia chiudesse quel dannato caso» la voce di Hank è palesemente amareggiata.
«No, quel che mi preoccupa sono i due figli di Jonathan. Quelli che mi hai detto di rintracciare e di sorvegliare» prosegue Hank, giocherellando con una penna sul tavolo. «L’ultima volta che mi hanno portato loro notizie i due si stavano dirigendo a casa del dottor Robert Lance che, ironia della sorte, è stato assassinato stanotte.»
«Ho sentito parlare di Lance. Una mente geniale, a quanto dicono» commenta il professore, mortificato.
«Sì, beh, la sua mente geniale non gli ha permesso di salvarsi da un colpo di arma da fuoco sparato a bruciapelo, proprio in mezzo agli occhi. Puoi immaginare la stampa quanto farà circolare questa notizia.»
«E i ragazzi?» chiede il professor Xavier, trepidante. «Stanno bene?»
«Non lo so. Non sono mai arrivati a casa sua. Posso immaginare il perché... e puoi anche tu.»
«La Circle?» chiede Xavier, anche se già conosce la risposta.
Hank annuisce, poi, ricordando di essere al telefono, aggiunge: «Sì.»
«Allora devo trovarli» conclude tranquillamente il professore. «Grazie dell’aiuto, Hank. Da qui in avanti me ne occupo io.»
«D’accordo, Charles. Tienimi al corrente di eventuali aggiornamenti» si congeda Hank, prima di aggiungere: «Però… Charles, stai attento. La tua ricerca sta diventando pericolosa.»
«Lo è sempre stata» risponde Xavier. «Ma nessun altro aiuterà quei due ragazzi. E loro due ancora non lo sanno.»
«D’accordo. Buona giornata, Charles.»
«A te, signor Senatore»
Hank sorride, suo malgrado: «Tu corri troppo, Charles! In senso figurato ovviamente.»
«Passa qui a scuola quando più ti aggrada, amico mio.»
«Lo farò senz’altro.»
E la conversazione si chiude.
Hank chiama la segretaria tramite il citofono: «Venga subito qui. Ho del lavoro per lei.»
Una donna molto carina, dallo sguardo accattivante e dai lunghi capelli neri entra nella stanza: «Mi dica, signor McCoy.»
«Disdica i miei appuntamenti per questo pomeriggio, signorina Braddock. Si armi di telefono e di tanta pazienza e si prepari a tartassare la polizia. Voglio sapere cosa sta succedendo con le indagini dei Summers. Voglio sapere tutto quello che c’è da sapere.»
«D’accordo, signore» risponde la donna, vagamente incuriosita. «Devo ricorrere a… ehm… qualcosa di particolare?»
«Sì, se necessario» ammette Hank. «Ma stia attenta. Non potrò proteggerla se si lascia beccare.»
«Lasci fare a me» detto questo, Elisabeth Braddock esce dalla stanza, ma non prima di aver fatto l’occhiolino al suo capo.

Nel mentre, Charles Xavier fa visita a Jean Grey.
La porta della camera della ragazza è accostata.
“Jean, disturbo?” l’uomo sfiora soltanto la mente della ragazza.
“Professore! Cosa ci fa qui?” la ragazza è sorpresa.
Poco dopo la porta viene aperta e la giovane aiuta il professore ad entrare nel dormitorio.
«Come prosegue lo studio, Jean?» chiede Charles, sorridendo alla ragazza che, imbarazzata, tenta di ripulire un po’ il caos all’interno della camera.
«Bene! Cioè, oggi non ho studiato molto, per la verità» ammette Jean, impacciata.
«Non ne hai bisogno» le sussurra il professore, divertito. «Sei fin troppo intelligente.»
Jean sorride, arrossendo violentemente.
«Melanie e Paige non ci sono?» chiede il professore, notando i letti vuoti delle compagne di Jean.
«No, sono in biblioteca. Almeno credo» risponde quest’ultima, grattandosi la fronte.
«Tu non avevi voglia di andare con loro?»
La ragazza fa spallucce: «Non molta, per la verità. Non ho comunque nulla da fare.»
«È proprio quello che speravo tu dicessi» ammette l’uomo. «Così magari puoi aiutarmi in una piccola faccenda.»
La curiosità di Jean è stata scatenata all’istante: «Di cosa si tratta?»
Xavier sorride, strizzando gli occhi: «Che ne dici di aiutarmi a salvare due giovanotti?»
La scena cambia repentinamente: Jean e Xavier stanno attraversando un’enorme sala su pianta sferica. Una lunga passeggiata conduce i due ad un piedistallo sul quale riposa un casco metallico, agganciato al pavimento da tre cavi.
«Questo è Cerebro, Jean» spiega il professore, mentre la ragazza, allibita, lo sospinge verso il piedistallo.
Jean sapeva dell’esistenza della stanza, ma non vi era mai entrata prima d’ora.
«Qui posso distaccarmi da tutto ciò che di impuro c’è nel mondo esterno e concentrarmi per ampliare i miei poteri mentali» continua il professore, indossando il casco metallico. «E puoi farlo anche tu.»
Jean si volta verso il professore, che le tende una mano.
«Insieme, la nostra telepatia è molto potente. Ampliata ulteriormente da Cerebro, mi aiuterà a trovare due ragazzi come te che, soli e spaventati, rischiano di andare incontro a morte certa. Aiutami a trovarli, Jean.»
La ragazza non ci pensa due volte: «Okay, professore» e restituisce la presa.
Entrambi rimangono in silenzio, fin quando la realtà non crolla come un castello di carte. E tutto si fa distorto e fantasmagoricamente surreale.
In un iniziale caos di voci, pensieri, sogni, aspirazioni e vite che pullulano come insetti attorno a lei, Jean viene guidata dal professor Xavier verso due voci in particolare.
E Jean riesce finalmente a vederli: gli stessi ragazzi di cui ha avvertito la presenza quella stessa mattina.
«Ce n’è uno dietro la colonna, Alex!» grida uno dei due.
L’altro lancia un concentrato di energia calda verso un uomo in ombra, che cade a terra, privo di sensi.
Un secondo uomo afferra il ragazzo più giovane da dietro, ma quello che sicuramente dev’essere suo fratello si precipita verso di lui in un lampo di luce e afferra l’uomo per la gola, prendendo letteralmente fuoco.
La creatura brillante salva il fratello e colpisce con un raggio anche altri due agenti armati che entrano prepotentemente in quello che sembra essere uno scantinato.
«Adesso mi avete stancato, piccoli sudici mutanti!» grida un uomo, entrando nella stanza e scavalcando i corpi inerti dei due colleghi.
«Corri, Scott!» grida la figura incandescente, che in uno scoppio di luce si avventa sul nuovo arrivato, tentando di colpirlo il più forte possibile.
Ma premendo il tasto di un minuscolo attrezzo elettronico, l’uomo riesce a creare un campo energetico attorno a sé che respinge con violenza l’urto con il mutante.
Alex batte violentemente la testa contro il muro dello scantinato e rovina a terra, facendo affievolire le proprie fiamme.
«Alex!» grida l’altro ragazzo.
«Adesso tocca a te, marmocchio!»
Ma senza pensarci due volte, il ragazzo si toglie gli occhiali da sole dal volto e un enorme luce accecante riempie la stanza.
Uno scoppio, un boato gemente che confonde ogni cosa. Jean e Xavier sono costretti ad allontanarsi.
Improvvisamente, il silenzio assoluto di Cerebro torna ad accoglierli, come se nulla di quello che avessero visto fosse successo.
«Chi erano, professore?» chiede subito Jean.
«Due amici che hanno bisogno di aiuto» risponde Xavier, togliendosi il casco e riponendolo sul piedistallo. «Ho capito dove sono. Jean, devi farmi un favore: corri dalla signorina Kinross. Dille di telefonare al signor McCoy. Hank McCoy. Corri come il vento, Jean.»

Città del Messico, officina meccanica di una baraccopoli
Un uomo grasso, sudicio e dall’aspetto sgradevole sta aspettando che il meccanico finisca di riparare la guarnizione di testa della sua vecchia auto.
«Non preoccuparti di fare un bel lavoro, Jorgen» annuncia l’uomo, impaziente. «Tanto è rubata. Domani Di Mauro la venderà a qualche americano del cazzo.»
«Stia tranquillo» risponde il meccanico, tendendo una mano a qualcuno accanto a lui: «Ororo, passami una chiave più grande.»
Una ragazzina dal carnato scuro, lurida e dagli insoliti capelli bianchi, lunghi e lisci come fili di una ragnatela, si appresta a passare l’attrezzatura al suo capo.
«Però, Jorgen! Ti tratti bene, eh?» ridacchia il cliente. «Che fai, metti le puttanelle a aiutarti in officina? Non è un po’ piccola per scoparci?»
Jorgen chiude subito il cofano della macchina e si spazzola le mani: «Può andarsene, signore. Non permetto a nessuno di offendere i miei assistenti. Se ne vada.»
«Cosa? Ma che cazzo stai dicendo, Jorgen?!» l’uomo sembra sinceramente sorpreso. «Ma per la puttanella? Stai scherzando!»
«La ragazza è un ottimo meccanico e non ti permetto di trattarla così. Vattene.»
«Ma chi ti credi di essere, pezzo di stronzo?» ringhia l’uomo tirando fuori una pistola dall’interno della giacca.
Sorpreso, Jorgen alza le mani, ma la ragazzina è più veloce, si para di fronte all’uomo e lo avvolge in una scarica elettrica che fonde la pistola e brucia gravemente la mano dell’uomo, che urla, straziato.
«Questa… me la paghi! Stronzo! Tu e la tua puttana! Quella puttana malata! Siete tutti malati! Siete dei mostri! Me la pagate!» ringhia l’uomo, fuggendo a piedi.
«Ororo, non dovevi» la ammonisce il meccanico.
«Figurati, l’ho fatto volentieri» ridacchia la ragazza, raccogliendo la pistola fusa da terra e guardandola, compiaciuta. Neanche il tempo di sorridere che l’uomo le tira un ceffone che la fa rimanere a bocca spalancata.
«Non dovevi farlo, Ororo» ripete l’uomo, stavolta in tono più freddo. «Non devi usare i tuoi poteri, lo sai. Quell’uomo può dirlo a chiunque, adesso. Se ti rivedo usare i poteri in pubblico, ti tolgo la razione di pasto per una settimana. Intesi?»
La ragazzina sembra sul punto di scoppiare a piangere, ma si riprende quasi subito, assume un cipiglio caparbio e se ne va, pronta ad occuparsi di una nuova macchina.
Da lontano, seduto sul tetto di una baracca, Logan Howlett assiste all’intera scena con un binocolo.
«Che lavoro del cazzo…» borbotta, stringendo in mano il documento d’identità di Ororo Munroe, la sua prossima vittima.

Westchester, Istituto Xavier
Un elicottero privato atterra nel grande parco verde all’esterno dell’accademia.
Ad attenderlo, sulla soglia dei cancelli, vi sono Charles Xavier, Moira Kinross e la giovane Jean Grey.
Dall’elicottero escono Hank McCoy e la sua assistente, Elisabeth Braddock: assieme a loro, vi sono i fratelli Summers, logori, affamati, stremati.
Giungono davanti al cancello dell’istituto al limite delle loro forze. Xavier li invita ad entrare.

Da qualche parte, in una camera di isolamento, avvolto nel bianco immacolato più puro, un ormai anziano Erik sta leggendo un libro:
“Dal diario personale del dottor Oswald Gibbs,
curioso come questa realtà riesca a sfuggire così facilmente da ogni logica. Viviamo in un mondo in cui apparire è vivere. Un incessante bisogno ossessivo di essere qui e ora, immerso in un quadro armonioso ed effimero, così facile da rompere. Apparire è vivere, ma vivere senza apparire è soltanto sussistere. Uomini, donne, adulti, bambini, ricchi, poveri: questa patogenica ossessione psicosociale agisce a tutti i livelli della società e sembra caratterizzare in particolar modo l’uomo del ventunesimo secolo. A beneficio delle propagande xenofobe che stanno dilagando in tutto il paese, credevo che tale realtà, questa ricerca costante di un nostro posto nel mondo che ci circonda, fosse capibile solo da noi “Normo”, ma a una ben più approfondita analisi, mi chiedo se invece non siano loro a comprendere meglio questa ricerca. Loro, gli “Altri”…"

CONTINUA...

Cast principale:
Logan Howlett
Jean Grey
Scott Summers
Alex Summers
Ororo Munroe/Tempesta
Charles Xavier
Moira Kinross
Erik LenSherr/Magneto
Hank McCoy
Elisabeth Braddock

Personaggi secondari:
Alfred Bentch
Jorgen Muraz
Benjamin Rickles

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1x2 Adattamento ***


1x2 Adattamento
 
New York, Mallet Cafè
Nel piccolo bar di periferia, un uomo in divisa da poliziotto sta sorseggiando una birra al bancone. Vi è una leggera musica swing di sottofondo.
La porta del locale si apre e un paio di gambe ben tornite, adagiate su alti tacchi a spillo, si avvicinano all’uomo.
«Buonasera, signorina, cosa posso offrirle?» chiede il barista.
«Uno scotch, per favore» risponde Elisabeth Braddock, sedendosi accanto al poliziotto.
Quest’ultimo la guarda di sottecchi, indugiando sulle cosce, risalendo con lo sguardo fino alla scollatura della camicetta. Deglutisce.
Elisabeth sembra accorgersi dell’uomo soltanto in quel momento. Sorride, vagamente sorpresa: «Ci conosciamo, per caso?»
Il poliziotto sembra ricomporsi improvvisamente. Schiarendosi la gola, ammette: «No, non credo.»
«Ma sì, io la conosco!» insiste Elisabeth, deliziata. «Lei è Norman Pierce! Ha sventato una rapina in banca la scorsa settimana, non è vero?»
Adesso è l’uomo ad apparire attonito: «S-sì, sono io.»
«Oh, mio dio, lei ha salvato mia sorella, lo sa?» miagola la donna, abbracciando l’agente. «Era una degli ostaggi dei banditi. Non fosse stato per lei, mia sorella sarebbe sicuramente morta!»
«Ho fatto solo il mio dovere» sorride Pierce, gonfiando arditamente il petto.
«Ecco il suo scotch, signorina» s’intromette il barista, dando un piccolo bicchiere alla donna, che gli sorride in risposta.
«Ci va giù pesante, eh?» ridacchia il poliziotto. «Non è un po’ forte, per una donna?»
«Non mi giudichi male» ammicca Elisabeth, sorridendo imbarazzata. «Mi piace il divertimento, tutto qui. Ma spesso agli uomini non piace la mia libertà.»
«Forse perché non ha ancora trovato l’uomo giusto» spiega l’agente Pierce, dopo un attimo di esitazione.
La donna lo guarda, stupita, poi sorride, forse ancora più imbarazzata di prima.
«Che ne dice di fare una passeggiata, signorina… signorina?» chiede l’uomo, incuriosito.
«Braddock. Elisabeth Braddock. Chiamami pure Liz.» si presenta la donna, stringendo la mano all’agente. «È un invito, il suo?»
Il poliziotto scoppia a ridere: «Potrebbe esserlo, certo!»
«Beh, in questo caso accetto molto volentieri!»
Entrambi si alzano dal bancone e si avviano all’uscita del bar.
 
Westchester, Istituto Xavier, la mattina seguente
Moira Kinross sta tenendo una lezione con il dipartimento gamma. L’aula è gremita di studenti che borbottano incuriositi. Oggetto delle loro attenzioni è il nuovo compagno di classe, che si erge accanto alla signorina Kinross, imbarazzato.
«Questo è Scott Summers, il vostro nuovo compagno di classe» annuncia Moira. «Frequenterà momentaneamente le lezioni con questo dipartimento e rimarrà nel nostro istituto. Confido nella vostra buona accoglienza».
Il suo occhio casca in particolar modo su un gruppetto di ragazzi che stanno ridacchiando malignamente.
Jean Grey, seduta in penultima fila, studia attentamente il profilo del loro nuovo compagno.
“Carino” è la prima cosa che le viene in mente. In effetti, Scott Summers ha dei lineamenti molto equilibrati, spalle larghe, capelli sbarazzini color castagna. Decisamente il suo tipo. Jean mordicchia una matita, sovrappensiero. Infastidita vagamente dal fatto di non poterlo vedere dritto negli occhi.
«Perché indossa gli occhiali?» chiede un altro ragazzo, poco lontano da Jean. La domanda suscita qualche risatina di scherno qua e là.
Scott è in evidente imbarazzato. Jean se ne accorge; o meglio, lo avverte. Non ha certo bisogno della telepatia per accorgersene. E anche la signorina Kinross deve essersene resa conto, perché dopo pochi attimi, decide di dire la verità: «Il potere mutante del signor Summers consiste nella produzione di raggi ottici, che con la loro potenza da oltre quattrocentocinquanta gigawatt sono in grado di disintegrare qualsiasi cosa nel raggio di chilometri.»
La classe non prende bene la notizia. Il brusio aumenta, incontrollabile. Jean rimane in silenzio, continuando a studiare attentamente il disagio del povero Summers.
«Fortunatamente» Moira alza di poco la voce. «Queste lenti particolari bloccano l’assorbimento di energia dall’ambiente circostante, per cui siamo tutti al sicuro, almeno fin quando li indossa. Prego, vada a sedersi dove preferisce, signor Summers.»
Scott annuisce e si dirige verso la classe, quasi come se si stesse incamminando verso un patibolo.
Il posto davanti a Jean Grey è vuoto. Jean non è in grado di capire se lui la stia guardando, attraverso le lenti rubine, ma è convinta di sì poiché avverte lo sguardo insistente del giovane, prima che prenda posto a sedere.
Adesso tutto ciò che Jean può vedere è la sua nuca castana e le sue larghe spalle. E anche i suoi pensieri oscuri e carichi di terrore.
 
Nell’ufficio del professor Xavier, Charles e il giovane Alex Summers stanno discutendo riguardo alla morte del dottor Lance. Xavier è come sempre seduto sulla sua sedia a rotelle, dietro la scrivania; Alex invece è in piedi, a ridosso della parete d’entrata.
«Era un bravo dottore» mormora Alex, scuotendo la testa.
«Era un brav’uomo» lo corregge Xavier, annuendo. «Il dottor Lance è stato uno dei primi dottori, e purtroppo anche uno degli ultimi, a somministrare vaccini e diagnosi pediatriche ai bambini mutanti. Nessun altro medico ha mai voluto avere niente a che fare con noi.»
Alex sbuffa, grattandosi il capo: «Perché è stato ucciso? Che cosa ha fatto?»
«Per lo stesso motivo per cui sono stati uccisi i vostri genitori, molto probabilmente» afferma il professore, scrutando il giovane con compassione.
Alex comincia a passeggiare nervosamente avanti e indietro: «È stato orribile». Xavier non lo interrompe, sa che il ragazzo sta per sfogarsi.
«Non c’era niente che non andasse, quel giorno. Andava tutto bene» Alex sembra quasi in trance, la sua voce si fa sempre più flebile. «Quando abbiamo salutato mamma e papà al gate non credevamo potesse essere l’ultima volta in cui li avremmo visti. Mamma si è premurata di dirmi di non far saltare in aria la casa, altrimenti sarei stato in punizione per più di un mese, al suo ritorno.»
Xavier non osa dire nulla. Chiude semplicemente gli occhi, nel rispetto delle lacrime che Alex sta cercando di nascondere.
«Papà invece ha permesso a Scott di invitare qualche ragazza a casa e di organizzare anche qualche festino, a patto che la mamma non lo venisse a sapere» Alex scoppia in una risata isterica, prima di lasciarsi andare ad un pianto silenzioso.
«Conoscevo tuo padre» esordisce Xavier, in tono concitato. «Era un uomo eccezionale. Un uomo d’onore che più volte ho avuto la fortuna di incontrare. Non so se l’incidente aereo sia stato frutto di un attentato o se sia dovuto a un tragico scherzo del destino, ma…»
«È stato qualcuno!» ringhia Alex, interrompendo il professore. «Io ero là! Scott era là! Abbiamo visto l’esplosione dalla vetrata dell’aeroporto. L’aereo è esploso di punto in bianco! È stata una bomba, o… o…»
«O un mutante» asserisce Xavier.
Una breve pausa riempie la mente di entrambi i presenti con una ridda di pensieri disparati che difficilmente riescono a imbrigliare in ragionamenti sensati.
Alex tenta di darsi un contegno e si asciuga le lacrime dal volto: «Quindi… questa è una scuola?». Tira su col naso. «Non ho mai sentito parlare di lei, da mio padre. Che cosa fa? Insegna? È un collegio?»
«Preferisco chiamarla casa» commenta Xavier, sorridendogli. «È un antico maniero dismesso che io e mia moglie abbiamo deciso di rendere abitabile per tutti i ragazzi mutanti, sperando che le loro vite possano essere indirizzate verso un futuro migliore. Sai meglio di me quanto i ragazzi di oggi possano non avere vita facile, in un contesto scolastico con i “Normo”.»
Alex annuisce: «Sì, Scott si lamentava sempre dei suoi compagni. A tal punto da costringere mamma e papà a iscriverlo a una scuola privata» inspirò e decise di mettersi a sedere sulla poltrona, proprio di fronte alla scrivania e al professor Xavier. «Per me è stato anche peggio. I miei anni di liceo ho dovuto viverli tutti, dal primo all’ultimo.»
«Qui Scott sarà al sicuro, Alex. Su questo non devi dubitare» dice Charles. «Tutti coloro che giungono qui hanno avuto un passato difficile e questo li conduce tutti al solito livello. Poi vi sono anche dei ragazzi che tentano di disturbare questa quiete, ma credo faccia parte del gioco. Qui i ragazzi possono anche litigare. Possono fare amicizia, amare, tradire, giocare, parlare, conoscersi, offendersi. Possono fare tutto ciò che li faccia sentire “normali”, ma nel frattempo sviluppare anche i loro poteri in un contesto di quotidianità.»
Alex annuisce, rincuorato.                                                                                             
«Tu, però… non sei in età di apprendimento, Alex. Hai venticinque anni e la mia scuola accoglie i ragazzi in età da studio. Confido tu lo sappia» aggiunge Xavier, in tono pacato e naturale.
Alex annuisce per la seconda volta, chinando il capo: «Io non ho un posto dove andare, professore…»
Xavier rimugina sui fatti, osservando attentamente quel ragazzo distrutto: «Sarò sincero con te, Alex. Alla luce dei fatti recenti che hanno colpito te, Scott e i vostri genitori, tenervi assieme sotto lo stesso tetto è la cosa più pericolosa che possa fare. Se qualcuno volesse avvicinarsi a te o a tuo fratello, questo sarebbe un aiuto non indifferente. In aggiunta, ha un peso notevole anche la pericolosità del tuo potere. Difficilmente ho avuto nel mio istituto un mutante pericoloso, e il tuo immagazzinamento e rilascio di raggi solari è un potere che rischia di mettere in pericolo tutta la scuola.»
Alex rimane a testa bassa, ascoltando attentamente le parole del professore.
«Ciò nonostante…» prosegue Xavier. «La tua età sviluppata ti consente di padroneggiare il tuo potere molto meglio di quanto non sappiano fare altri mutanti più giovani e inesperti che vivono qui. Venire meno alla richiesta di aiuto di un giovane mutante e lasciarlo da solo in un mondo così pericoloso entra in contrasto con la mia etica più profonda. Quindi puoi restare.»
Sorpreso, Alex Summers alza lo sguardo, fissando l’uomo calvo di fronte a lui. Non ha le parole di dire nulla.
«Dovremo trovarti un alloggio, ma non sarà un problema. Dovremo trovarti una mansione, questo sì. A tal proposito, vorrei presentarti ad una persona che hai già avuto modo di conoscere molto vagamente.»
 
New York, ufficio di Hank McCoy
Hank sta parlando con alcuni poliziotti quando qualcuno bussa alla porta. È Elisabeth.
«Signore, mi scusi, vi sono il professor Xavier e uno dei ragazzi Summers. Li faccio entrare?»
Sorpreso, Hank annuisce, facendo cenno con la mano alla segretaria di lasciarli passare.
Il professor Xavier e Alex entrano nell’ufficio.
«Charles!» Hank si alza dalla sedia e va incontro al professore a braccia spalancate. «Che piacere vederti.»
«Buongiorno, Hank. Il piacere è mio. Credo di essere arrivato al momento sbagliato, però» Xavier adocchia la polizia.
«Oh, no! Assolutamente no!» si affretta a dire Hank. «Charles, questo è Edward Nosley, capo della polizia di New York. E questi sono i suoi agenti Tony Wang, Norman Pierce e Theodore Dullen.»
Xavier si presenta cordialmente al capo della polizia e agli altri tre agenti.
«Buongiorno anche a lei, Summers» aggiunge poi Hank, stringendo la mano ad Alex.
«Buongiorno, signor McCoy» saluta il ragazzo, rispondendo alla stretta stritolatrice e possente dell’uomo. Alex nota che le mani del concorrente al Senato sono enormi, troppo enormi, decisamente sproporzionate in confronto al resto del corpo, sebbene la robustezza eccessiva dell’uomo consenta di nascondere un po’ questa anomalia.
«Non poteva arrivare in un momento più opportuno» spiega Hank, indicandogli una sedia vuota lì vicino. «Alex, questi sono alcuni degli agenti che attualmente stanno seguendo il caso della morte dei tuoi genitori.»
«E così tu sei il giovane Alex» commenta Nosley, studiando il ragazzo. «Non ho mai avuto modo di conoscere né te né tuo fratello, durante gli interrogatori.»
«È lei che dirige il caso?» chiede Alex, senza troppi giri di parole.
«Sì, sì. L’agente Dullen, tuttavia, ha indagato a fondo, forse meglio di me» ammette Nosley. «Sai, il tempo è quello che è. Devo avere occhi e orecchie dappertutto, essendo il pezzo grosso. Specialmente in una città come New York. Sai, con tutti questi mutanti a giro che fanno i pazzi… senza offesa per lei, professore» si affretta ad aggiungere l’uomo, ricordandosi della presenza di Xavier.
Quest’ultimo alza le mani, come in segno di resa: «Ben lungi da me l’offendermi. Io non ho molto tempo per fare il pazzo.»
Hank e i poliziotti ridacchiano. Anche Alex abbozza un sorriso forzato, ma dalle parole di quel tronfio di Nosley gli è chiaro che nessuno deve avere detto alla polizia che i figli dei coniugi Summers sono mutanti.
«Nosley mi stava spiegando che la scatola nera dell’aereo è stata ripassata al setaccio dagli inquirenti» prende parola Hank, schiarendosi la gola.
«Sì, appunto» conferma il capo della polizia. «L’esplosione sembra avvenire di punto in bianco; non ci sono segnali di panico, tra i passeggeri. Quindi non è stato un attentatore, molto probabilmente.»
«Difficile anche l’ipotesi della bomba» s’inserisce l’agente Dullen. «Su quell’aereo viaggiava l’attrice Charlotte Greer, purtroppo tra le vittime. Per questo i passeggeri erano stati perquisiti a fondo. Nessuno avrebbe potuto inserire una bomba sull’aereo.»
«Rimane la pista dei mutanti» dice Nosley. Poi vedendo l’espressione esasperata di Hank, si affretta ad aggiungere: «Mi spiace, signor McCoy, ma non vedo altro possibilità. Professor Xavier, so che lei crede che tutti quelli come voi siano buoni, ma ci sono tanti pazzi scellerati, in giro.»
«Ne sono consapevole» ammette il professore. «Non dubito della bontà di tutti i mutanti meno di quanto non dubiti dell’intelligenza di tutti i normo.»
Alex ed Hank hanno colto l’umorismo.
Nosley invece sembra spiazzato: «Sì, bene… allora batteremo quella pista. Con permesso…»
Il capo della polizia e i tre agenti escono dall’ufficio.
«Che razza di idiota» commenta subito Alex, disgustato da Edward Nosley. «Ma cosa pensa che siamo, mostri?»
«Sì, Alex. È proprio ciò che pensa» conferma Xavier, del tutto sincero.
«Tranquilli, presto non riderà più, ve lo assicuro» ridacchia Hank, tornando dietro alla sua scrivania e inforcando un paio di occhiali da vista. «Ho qualcuno all’interno della polizia che presto confermerà la mia ipotesi, ovvero che qualcuno sta volutamente rallentando le indagini.»
Alex rimane colpito, ma Xavier sembra più che altro soddisfatto.
«Che cosa te lo fa pensare, Hank?» chiede il professore.
«A me niente» Hank alza le spalle, in tono disinvolto. «Ma mi fido dell’infiltrato.»
 
Città del Messico, officina meccanica di una baraccopoli
La giovane Ororo Munroe è sdraiata sotto una vecchia cadillac verde acido, stesa tra polvere e residui di olio motore. Sta armeggiando probabilmente alla marmitta.
Dietro un trattore malandato, avvolto dalle erbacce da chissà quanti anni, Logan Howlett spia la ragazzina.
«Ororo, passo un attimo dal signore Hernandez. Non ci metterò molto.»
È la voce di Jorgen Muraz, il vecchio meccanico. Logan non riesce a vederlo da nessuna parte, dalla sua angolazione, perciò deduce che si trovi all’ingresso del retro dell’officina, vicino la porta che dà sulle scale degli uffici.
«Smettila di chiamarmi con quello stupido nome, cazzo!» sbotta la ragazza, uscendo da sotto l’auto per cambiare attrezzi da lavoro.
«E tu modera i termini, signorina» ribatte Jorgen. «E non aprire a nessuno.»
«E non usare i tuoi poteri» commentano in coro sia Jorgen che la giovane, che lo anticipa.
«Lo so, lo so! Stai diventando prevedibile» commenta Ororo, afferrando una vecchia chiave inglese e tornando sotto l’auto.
«Sarà perché sto invecchiando» ridacchia il meccanico, dopodiché se ne va.
Silenzioso come un gatto, Logan striscia sul suolo ricoperto di pagliericcio, sperando di fare il meno rumore possibile; lascia il suo nascondiglio dietro il trattore e s’insinua sopra una vecchia mustang corrosa dalla ruggine.
Nell’officina regna il silenzio, rotto solo dal tintinnio degli attrezzi utilizzati da Ororo.
Silenziosamente, Logan stringe una mano a pugno e le carni tra una nocca e l’altra si lacerano, facendo fuoriuscire lentamente uno, due, tre lunghi artigli lucenti, spessi cinque centimetri e lunghi almeno venti.
Ororo non sembra essersene neanche accorta. Continua tranquillamente ad armeggiare al di sotto dell’auto, come se nulla fosse. Non sa che tra pochi istanti morirà dissanguata.
“È soltanto una ragazzina” pensa Logan, lì per lì. “Ha appena compiuto sedici anni. Che razza di male può aver fatto?”
“I soldi sono soldi” s’insinua però un’altra voce, all’interno della sua testa.
L’attimo di esitazione basta per far fallire il piano.
Più agile di una scimmia, la ragazza scivola sotto la macchina, per poi alzarsi dall’altro lato e colpire Logan con una violenta scarica elettrica che lo fa volare dall’altra parte dell’officina.
Logan sente il suo corpo bruciare e abbandonarsi agli impulsi nervosi, scioccato dalla scarica ricevuta.
Tuttavia si rialza quasi immediatamente.
«Però, non credevo facesse così male» commenta l’uomo, spazzolandosi i jeans e tossendo. I suoi artigli, su entrambe le mani, sono ancora sfoderati.
«Sei una strana bestia» commenta Ororo, senza osare avvicinarsi. «Ma cacci veramente da schifo. È la quarta volta che provi ad avvicinarti all’officina. Sei proprio un inetto.»
Logan abbozza un sorriso beffardo: «Allora ti sei già accorta di me.»
«Per le tracce e il tanfo che lasci anche un morto si accorgerebbe di te» la ragazza allunga le mani per elettrizzare nuovamente l’avversario, ma stavolta Logan è pronto: scatta in avanti, usa la mustang come trampolino e si getta ad artigli sfoderati sulla ragazzina, che scarta a sua volta di lato e con uno strano gesto della mano crea una corrente ventosa che sbilancia l’uomo bestia, facendolo cozzare di nuovo contro la parete. Logan usa i suoi stessi artigli per reggersi alla parete, dopodiché, con un salto all’indietro, atterra proprio alle spalle della ragazza che, sorpresa, rimane paralizzata. Gli artigli di Logan scorrono sulla sua gola, mentre con l’altra mano l’uomo le regge i polsi, bloccati dietro la schiena.
«Allora, Ororo, per quale motivo di vogliono morta?» chiede Logan, sussurrandole all’orecchio. «Che cosa può aver mai fatto una ragazzina di sedici anni così tenera e indifesa?»
«Se riusi un’altra volta quel nome ti prendo a calci nei coglioni» sputa la ragazza, elettrizzando le mani; non osa però colpire un’altra volta l’uomo.
«Ororo non è il tuo nome?» ridacchia Logan, senza lasciarla andare. «Come dovrei chiamarti?»
Mentre gli artigli si avvicinano alla sua gola, la ragazza si libera fulmineamente dalla presa dell’uomo, gira su se stessa e colpisce il sicario con un’altra scarica, lanciandolo sul trattore.
«Però, te la cavi bene.»
«E non hai ancora visto nulla» ringhia la giovane, spalancando le braccia e sollevandosi da terra, come un terribile angelo della morte dal carnato scuro, pronto a uccidere.
I suoi occhi diventano completamente bianchi e il sole sparisce dal cielo di Città del Messico.
Esterrefatto, Logan scruta fuori dall’officina, dove pochi attimi prima il sole ardeva violentemente; adesso però attorno a loro vi sono soltanto nere nuvole temporalesche.
Un fulmine colpisce l’officina, entrando dalla finestra. Logan non fa in tempo a scansarlo che una seconda scossa lo atterra; una terza lo sbalza fuori dall’officina e una quarta lo scaraventa giù dalla valle, sul fondo lurido della baraccopoli.
Dopo un volo di almeno venti metri, Logan si rialza, tossendo e sputando sangue e alza gli occhi sulle case soprastanti. Troppe persone stanno accorrendo nella baraccopoli. L’uomo decide di ripiegare e riprovarci in seguito. È la prima volta che sottovaluta una delle sue vittime. Nessuno l’ha mai fatto ripiegare, men che mai un’adolescente di sedici anni.
Avrebbe potuto ucciderla, però… se solo avesse voluto farlo.
 
New York, centrale di polizia
L’ufficio è buio.        
La porta si apre lentamente, cigolando. Una figura scivola dentro, chiudendosi la porta alle spalle. È l’agente Norman Pierce.
Con una torcia, l’uomo comincia a rufolare ovunque: negli armadi, all’interno della credenza, nei cassetti della scrivania. Nell’ultimo cassetto di un vecchio comò trova alcuni documenti spillati insieme, sigillati all’interno di una grande busta gialla.
Pierce studia a fondo la busta e il suo contenuto: i suoi occhi brillano di un inquietante luce purpurea…
 
A svariati chilometri di distanza, nell’ufficio di Hank McCoy, gli occhi di Elisabeth Braddock brillano della stessa luce violacea. Le immagini dei documenti si travasano dal cervello di Pierce al suo, dopodiché la donna interrompe il collegamento.
Elisabeth sembra tornare in sé. La segretaria è sdraiata sulla poltrona del suo capo. Quest’ultimo si trova accanto a lei, in attesa.
«Allora?» chiede Hank in maniera urgente.
«Missione completata» è la risposta di Elisabeth. «So chi sta intralciando le indagini.»
 
Città del Messico, baraccopoli
Alcuni uomini, armati di fucili d’assalto e di fucili di precisione, sorvegliano la baraccopoli da lontano, posizionandosi in punti strategici, dai quali possono osservare i due bersagli.
Ororo Munroe è seduta sul tetto dell’officina e scruta la valle, inondata di luce aranciata, mentre gli ultimi raggi di sole affondano all’orizzonte. Logan Howlett gli si avvicina.
«Mi hai fatto fare un brutto volo, ragazzina» esordisce l’uomo, rimanendo in piedi alle sue spalle. Stavolta gli artigli sono riposti con cura all’interno del suo corpo. «E rivoglio il mio portafoglio.»
«Allora te ne sei accorto» ridacchia la ragazza.
«Certo, devo pur comprare i miei sigari, da qualche parte, no?»
Senza chiedere il permesso, Logan si accuccia al fianco della ragazza, scrutando anch’egli l’orizzonte infuocato.
«Perché ti vogliono morta, Ororo?» chiede l’uomo.
«Smettila di chiamarmi con quel ridicolo nome» taglia corto lei, stringendo le mani a pugni.
«E come dovrei chiamarti? Tuono Nero? Fulmine dal pelo bianco?» la deride l’uomo.
«Tempesta andrà bene» lo interrompe lei, sorridendo a sua volta. Poi si volta a guardarlo: «La domanda non è perché mi vogliono morta. La domanda è: perché tu non mi hai uccisa?»
Logan sospira, sovrappensiero. Poi avverte qualcosa. Tende al massimo i suoi sensi animaleschi, scrutando l’orizzonte con la massima urgenza.
«Abbiamo visite. Sei piuttosto famosa, ragazzina.»
«Ah, meno male. Credevo che pisciare in un bagno comunicante con altre otto famiglie non fosse un atteggiamento da personaggio famoso» replica Tempesta, ma non fa neanche in tempo a finire la frase, che Logan la getta a terra.
Un proiettile sibila furiosamente sopra di loro, mancandoli entrambi.
I due mutanti cadono dal tetto, atterrando nel sabbione polveroso dell’ingresso dell’officina.
Altri spari nell’aria e altri proiettili che colpiscono superfici molto vicino a loro.
«Figli di puttana!» impreca la ragazzina, stringendosi una spalla; un proiettile l’ha colpita di striscio.
«Nasconditi, mi sei di intralcio.» E senza troppi complimenti, Logan la scaraventa dietro al trattore contro il quale poco prima ella stessa aveva scaraventato lui.
Logan ha intravisto due sicari sopra il tetto di fronte a quello dell’officina: sono i più vicini.
Prende la rincorsa, sfodera gli artigli e sfrutta un auto per saltare sul basso tetto dell’edificio fatiscente, trovandosi faccia a faccia con due latinoamericani armati di mitra.
Nessuno dei due ha il tempo di prendere la mira. Meno di due secondi dopo sono entrambi a terra, con la gola squartata.
Qualcun altro continua a sparare sull’officina e Logan segue con lo sguardo il fuoco dei proiettili.
Salta sul tetto accanto e poi su quello dopo ancora, uccide un uomo appostato su un balcone, afferra il suo mitra e scarica i proiettili addosso ad altri due sicari poco lontani, freddandoli entrambi.
Uno strano rumore sopraggiunge dall’officina  e voltandosi Logan si rende conto che anche Tempesta è alle prese con alcuni di loro.
Ma quei pochi secondi sono fatali: qualcuno lo afferra da dietro, pugnalandolo ai reni. Logan urla, cercando di liberarsi dalla presa dell’uomo, ma poco dopo una violenta scarica elettrica fa volare via l’assassino, che prende fuoco ancora a mezz’aria.
Gli ultimi due sicari sono proprio di fronte all’officina. Jorgen, il proprietario del cantiere, dev’essere appena tornato a casa. Ha la busta della spesa a terra, le mani alzate e due sicari di fronte, pronti a ucciderlo.
Logan arranca, ma ben presto è di nuovo in piedi; prende di nuovo la rincorsa e si getta a capofitto giù dal tetto, atterrando su un vecchio furgone e usandolo per piombare dall’alto su uno dei due sicari, artigliandolo alla testa.
Tempesta fulmina immediatamente l’altro, salvando il vecchio meccanico, che cade in ginocchio.
«Ma che… ma che…»
«Jorgen! Come stai?» chiede subito la ragazza, chinandosi accanto a lui.
Jorgen scruta uno dei due uomini a terra, riconoscendolo all’istante: «Gli uomini di Di Mauro» poi osserva Logan, atterrito.
«Chi sei? Cosa vuoi dalla mia bambina?»
«Mi hanno mandato ad ucciderla» ammette Logan, ringhiando furiosamente contro l’uomo, prima di tendergli la mano. «Quindi ora mi dirai chi è questo Di Mauro e perché la vogliono morta.»
 
Westchester, Istituto Xavier
Un’esplosione devasta la scuola di Xavier. L’ala est, dove vi è la biblioteca, crolla su se stessa.
Scott Summers scoppia a ridere, voltandosi verso l’ingresso principale e prendendo di mira ogni mutante che gli capita a tiro.
Alex corre verso il fratello, cercando di farlo ragionare: «Scott! Fratellino, sono io! Non era questo che intendevo quando ti dicevo di non aver paura dei tuoi poteri! Il professor Xavier ci ha accolto qui e non merita tutto questo!»
Scott sembra ponderare per un po’ le parole del fratello, prima di alzare gli occhiali e centrarlo in pieno con un colpo laser degli occhi. Alex cade a terra, morto, il ventre in fiamme e gli occhi spalancanti verso il cielo plumbeo.
«Ci ucciderà tutti» mormora Xavier, nascosto dietro la parete del mausoleo nel parco. Assieme a lui vi sono Moira e Jean. Giungono sul posto anche gli agenti Pierce, Dullen e Wang.
«Siete riusciti ad arrivare, allora!» esclama Moira.
«Voi mutanti siete tutti così pericolosi?» ironizza Wang, nascondendosi accanto al professore ed estraendo la pistola.
«Alex Summers è morto» annuncia immediatamente Moira, mentre Scott continua a distruggere la scuola con i suoi laser.
I poliziotti ammutoliscono.
«Porca puttana» commenta Dullen. «Non credevo potesse arrivare a uccidere il fratello.»
«Ma cosa ha scatenato questa sua ira?» chiede Wang, mentre l’agente Pierce avvicina a sé Jean, salvandola da un raggio che fa saltare in aria parte della fontana del mausoleo, e che l’avrebbe sicuramente uccisa.
«Nessuno lo sa. E non sappiamo cosa fare» afferma Xavier, chiudendo gli occhi. «Moriremo tutti.»
«Non si preoccupi, professore» si fa avanti Dullen. «Non siamo arrivati del tutto sprovveduti. Tutti dietro di me!»
L’agente si affaccia dall’angolo del mausoleo e prende bene la mira.
Spara. Un proiettile colpisce Scott in pieno volto. Il ragazzo cade a terra.
«Come hai fatto a colpirlo? I proiettili dovrebbero distruggersi prima di arrivare a contatto con gli occhi!» chiede Moira. Il ragazzo si rialza ma Dullen lo fredda con un altro colpo di pistola.
«Un proiettile normale sì. Ma questo è al quarzo-rubino. L’unico materiale in grado di arrestare il potere di Summers. Pace all’anima sua.»
«Come facevi a saperlo?» chiede però l’agente Wang, sorpreso. «Sono settimane che cerchiamo di scoprire un qualsiasi punto debole di quei due!» e indica i cadaveri nel prato dei due Summers.
Dullen ammutolisce, rendendosi conto di aver osato troppo.
«Sì, credo che dovrà darci un bel po’ di spiegazioni, agente Dullen» aggiunge Xavier. «Può bastare Jean.»
La realtà sembra crollare su se stessa come se l’intero pianeta fosse in preda a un apocalittico terremoto.
L’agente Wang e l’agente Dullen urlano, atterriti; Norman Pierce rimane impassibile, perso nel suo altro modo.
Il freddo e metallico Cerebro prende forma attorno a tutti loro; Wang e Dullen cadono a terra, in preda al terrore più puro, mentre i fratelli Summers sbucano alle spalle della dottoressa Kinross.
«Le mie scuse, agente Wang, ma ho preferito non dirvi nulla per non far insospettire il signor Dullen» si scusa il professor Xavier, mentre Alex aiuta il poliziotto a rialzarsi.
Senza aspettare neanche un attimo, l’agente Dullen scatta in avanti e corre via, ma all’ingresso di Cerebro vi è Hank McCoy, affiancato dalla sua accattivante assistente, da Edward Nosley e dall’agente Pierce, ancora impassibile.
«Voi… siete dei mostri!» grida Dullen, forse solo per sfogarsi, rendendosi conto di essere in trappola.
«E tu sei in arresto, Theodore» afferma Nosley, risoluto. «Per omicidio preterintenzionale, occultamento di prove e ostacolo alle indagini.»
«No! Non è vero!» grida il poliziotto, indietreggiando. Ormai è in trappola: di fronte a lui l’ira del suo capo e la galera che lo attende; dietro di sé un gruppo di pericolosi mutanti che lui reputa psicopatici.
«Alfred Bentch» nomina Hank McCoy, impettito, gambe divaricate e mani dietro la schiena. «È lui il tuo capo, sappiamo tutto. Nessuno poteva sapere del quarzo-rubino, se non qualcuno che avesse parlato direttamente con Robert Lance. E visto che la polizia non ha potuto parlarci a causa della sua improvvisa morte, è strano che tu conosca questo particolare. Perché tu ci avevi già parlato prima. E lo hai eliminato affinché tu avessi un’arma per avvicinarti ai Summers che il resto della polizia non avesse.»
«Voi non avete prove! Queste sono tutte false accuse!»
«Sì, le prove le abbiamo. Non preoccuparti, tesoro» ridacchia Elisabeth Braddock, tirando fuori alcune foto dalla valigetta. «Sono già state inviate anche alla polizia. Sanno tutto, ormai.»
«Le indagini sulla morte dei coniugi Summers proseguirà» afferma Nosley. «Senza di te.»
Dullen scoppia in lacrime, crollando di nuovo in ginocchio.
Scott e Alex si guardano e sorridono, facendosi coraggio a vicenda. Finalmente sono al sicuro.
 
Westchester, Istituto Xavier, mattino seguente
Nell’ufficio di Xavier, il professore ha convocato Jean e i fratelli Summers.
I tre ragazzi siedono di fronte all’uomo, in attesa.
«Ho appena ricevuto notizie da Nosley» afferma Xavier, giocherellando con una stilografica. «Dullen ha confessato. Lavorava per conto di un certo Bentch, di cui ora si seguono le tracce. Sembra essere strettamente collegato ai vostri genitori.»
Scott e Alex si guardano per pochi attimi.
«Quindi non siamo più ricercati?» chiede Alex.
«Purtroppo, non è così» spiega il professore, abbozzando un sorriso di compassione. «Non posso sapere se i mandanti dell’omicidio dei vostri genitori siano ancora sulle vostre tracce. Per cui reputo sia meglio se restiate qui.»
«Sì, per favore» ammette Scott, chinando la testa, imbarazzato.
Sia Xavier che Alex sono sorpresi dall’affermazione del giovane Scott.
«Non è mia intenzione né dividervi, né cacciarvi» aggiunge Xavier, sorridendo. «Spero che il vostro soggiorno qui vi aiuterà a crescere e a trovare quello che cercate.»
«Intanto, un paio di occhiali più funzionali, forse» ridacchia Jean, notando gli occhiali storti e scocciati di Scott, che sorride, se possibile ancora più imbarazzato.
«C’è soltanto una cosa che non capisco, professore» chiede Alex, allungando un braccio per passarlo attorno alle spalle del fratello. «Perché non ha detto alla polizia che siamo mutanti?»
«Perché noi non esistiamo» spiega Jean, anticipando il professore. Alex la guarda, sorpreso.
«Noi qui possiamo vivere in pace, senza il giudizio del mondo esterno. Non potremmo condurre una vita tranquilla se la gente sapesse…»
«Cioè, mi state dicendo che la gente non sa che questa è una scuola per mutanti?» domanda Alex, spostando lo sguardo da Jean al professore, sconcertato.
«No, Alex» ammette Charles. «Questa è la condizione per vivere in tutta serenità. Almeno fin quando i tempi non saranno più maturi. Il mondo non è pronto ad accoglierci. Se avessi rivelato alla polizia che siete dei mutanti, probabilmente avrebbero incolpato subito voi dell’omicidio dei vostri genitori, senza neanche concentrarsi sulle indagini.»
«Ma come potevano sospettare di noi?» si agita Alex, alzandosi in piedi. «Noi eravamo i loro fi…»
«Non importa cosa eravate» lo interrompe Xavier. «Importa cosa siete. Mutanti. E non avrete mai vita facile. Questo purtroppo è un dato di fatto.»
Alex, Scott e Jean non osano controbattere. Sanno che il professore ha ragione. Lo sanno perché lo hanno sperimentato. Lo hanno vissuto sulla propria pelle, nella propria infanzia.
«Ma finché rimarrete in questa scuola, io vi giuro che farò l’impossibile per proteggervi» ammette Xavier, abbracciandoli con uno sguardo amorevole. Scott rabbrividisce: l’ultimo ad averlo guardato così è stato suo padre.
 
New York, ufficio di Hank McCoy
Qualcuno bussa alla porta dell’ufficio.
«Venga, signorina Braddock» Hank esorta la donna a entrare, mentre ella fa capolino nello studio.
Ha un aspetto orribile: i suoi capelli sono scarmigliati, il suo volto emaciato, i suoi occhi contornati da un alone violaceo, come se non dormisse da giorni.
«Buongiorno, signor McCoy» Elisabeth abbozza un sorriso stirato, trattenendo a stento uno sbadiglio. «Queste sono le pratiche della Acriculture Financial Incorporated che mi aveva chiesto. Le ho già sezionate stanotte.»
«Ottimo lavoro, Braddock» Hank è sinceramente colpito. Prende i documenti dalla mano della segretaria e la scruta con aria eloquente.
«C’è qualche problema, signore?» chiede la donna, imbarazzata.
Hank riordina i fogli e li sistema nel secondo cassetto della scrivania, senza togliere gli occhi di dosso alla giovane: «Sì, c’è qualche problema.»
Elisabeth scuote il capo, già capendo dove il suo capo vuole andare a parare.
«Stavolta ha dovuto usare i suoi poteri più a lungo» commenta Hank. «Come sta, l’agente Pierce?»
Elisabeth inarca un sopracciglio: «Non bene, poverino. Non ricorda niente degli ultimi due giorni. Ma credo che la cosa che gli vada meno a genio sia il fatto che l’abbia abbindolato come un idiota. Credeva davvero che potesse piacermi un tipo come lui.»
«Voi donne siete tremende» scoppia a ridere Hank, scuotendo la testa e inforcando gli occhiali da vista, pronto a lavorare. Prima però assume di nuovo il suo sguardo severo: «Rimane comunque il fatto che il suo potere le ha dato del filo da torcere, stavolta.»
«Non più del solito» risponde Elisabeth, evasiva.
«E invece sì. È proprio questo il punto» la interrompe Hank, agitato. «Signorina Braddock, stia attenta ai suoi poteri. I poteri della mente sono pericolosi. Se ci dovesse essere qualsiasi tipo di problema parli con il professor Xavier. Saprà aiutarla.»
«Me lo ha detto mille volte, signore» sorride Elisabeth. «Non si preoccupi, sto bene. La ringrazio comunque per l’interessamento.»
«Mi preoccupo solo dei miei colleghi più fidati» le risponde Hank, sorridendole. «Senza di lei, la polizia non avrebbe mai incastrato l’agente Dullen. I Summers le sono debitori.»
Elisabeth arrossisce, dopodiché fa per congedarsi, apprestandosi a lasciare lo studio.
«Signorina Braddock» la richiama Hank. La donna si volta. «La prego, non usi più il suo potere. Al contrario del mio, il suo sfugge sempre più al suo controllo. È pericoloso. Non lo usi mai più.»
Elisabeth sembra esitare, poi sorride: «D’accordo, signor McCoy. Starò attenta.»
«Un’ultima cosa, Braddock» aggiunge poi Hank. «Mi lasci le pratiche sulla scrivania. Le finisco io.»
«Come?»
«Può andare a riposare. Ha la settimana libera.»
Elisabeth sfoggia un ampio sorriso di gratitudine, dopodiché esce dall’ufficio.
 
Città del Messico, casa di Jorgen Muraz
Logan, Tempesta e Jorgen si trovano nella piccola e lurida cucina della casa di quest’ultimo.
La stanza è buia, fetida, lugubre. La tenue luce aranciata della lampadina non basta ad illuminare l’ambiente a dovere. Jorgen sta passeggiando avanti e indietro; Logan è poggiato al frigorifero; Tempesta osserva entrambi dalla sua sedia, al di là del piccolo tavolo sghembo.
«Fammi capire bene…» Logan sembra riepilogare un lungo discorso. Sorseggia la sua birra e scruta insistentemente Jorgen. «Qualcuno spera di ottenere i poteri della ragazza per manipolare il tempo atmosferico?»
«Già» afferma Jorgen.
«Porca puttana» esclama Logan spostando lo sguardo contrito su Ororo Munroe. «Credevo che la tua fosse semplice elettrocinesi.»
«No, i miei abra kadabra sono più teatrali» commenta la ragazza, masticando sonoramente un chewing gum.
«Ororo prende sempre tutto alla leggera» contesta Jorgen, gettando uno sguardo severo alla giovane. «Ma non si rende conto dei pericoli. E adesso ci si mette anche Di Mauro…»
Logan finisce la birra e lancia la bottiglia vuota fuori dalla piccola finestra, nel terreno rovente della baraccopoli.
«E questo Di Mauro… chi è?»
«È il padrone di questo posto» spiega Tempesta. «Un coglione che ha avuto fortuna solo per i soldi che ha. Vorrebbe avermi come fenomeno da baraccone, forse per esibirmi, chissà.»
«Quello che vuole è il tuo corpo, Ororo!» ringhia Jorgen, sbattendo i pugni sul tavolo. «Vuole fare di te una prostituta! Ecco quello che vuole! E se davvero hanno mandato te a ucciderla…» l’uomo si volta verso Logan. «Significa che Di Mauro ha svelato la tua posizione a qualcuno che vuole sfruttare i tuoi poteri! Se resti qui, morirai!»
Tempesta si volta dall’altra parte, incapace di sostenere lo sguardo del vecchio meccanico. Comprende la situazione, sa quanto egli tenga a lei. Sa di essere in pericolo di morte.
«E cosa dovrei fare?» mormora Tempesta. «Andarmene di nuovo e lasciarti qui?»
«Sì, Ororo» afferma Jorgen, con dolcezza. «Non posso permettere che tu muoia.»
«Quando avete finito di farmi scendere i coglioni a terra, muovete i vostri culi» li interrompe Logan, stiracchiandosi e aprendo il frigo.
«Posso?» chiede l’uomo, afferrando un’altra birra e stappandola con un artiglio, senza neanche attendere la risposta del proprietario.
Quest’ultimo, dal canto suo, non si dà neanche la pena di rispondere: «Cosa dovremo fare?»
«Preparare le valigie» spiega Logan, guardandoli entrambi. «Ce ne andiamo da qui. Stanotte.»
 
Da qualche altra parte, sempre all’interno della baraccopoli, Paulo di Mauro riceve la visita di un suo scagnozzo: «Capo, la Munroe sta per lasciare il paese.»
Il boss della baraccopoli non batte ciglio.
«Eliminatela. È una mutante. Questo cambia tutto. Il nostro paese non ha bisogno di quei mostri. Eliminatela subito.»
 
CONTINUA…
 
Cast principale:
Logan Howlett
Jean Grey                              
Scott Summers
Alex Summers
Ororo Munroe/Tempesta
Charles Xavier
Moira Kinross
Hank McCoy                             
Elisabeth Braddock
                   
(Erik LenSherr/Magneto non compare nell’episodio)
 
Personaggi secondari:
Jorgen Muraz
Paulo di Mauro
Edward Nosley        
Norman Pierce
Theodore Dullen
Tony Wang

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 1x3 Prova di coraggio ***


1x3 Prova di coraggio
 
Westchester, Istituto Xavier
Moira Kinross sta tenendo una delle sue lezioni nell’aula F. Oltre a Jean Grey e Scott Summers, è presente un’altra ventina di studenti, tutti in età media tra i diciassette e i diciannove anni.
Uno di loro, Terence Coleman, sta chiacchierando con i suoi amici, senza ascoltare una benché minima parola della lezione della signora Kinross.
Terence scrive qualcosa su un biglietto, dopodiché con un gesto della mano lo fa sparire. Inaspettatamente, il biglietto compare sul banco di Jean, due file più avanti.
Conoscendo il potere di Terence, Jean si volta verso il ragazzo e lo guarda, incuriosita, ma lui fa cenno di aprire il biglietto.
La ragazza obbedisce e legge le seguenti parole:
“Preferirei essere tra le tue braccia e tra le tue labbra anziché in quest’aula. Ogni giorno mi togli il fiato”.
Jean scuote la testa, spazientita, ma si lascia sfuggire anche un sorriso divertito. Conosce bene gli intenti di Terence.
Scott Summers, seduto accanto a lei, si avvicina alla ragazza e le sussurra, in tono concitato per non farsi sentire dalla signora Kinross: «Cosa succede? Perché ridi?»
«Oh, ma niente!» risponde Jean, evasiva. «È solo quell’idiota di Terence».
Scott si volta indietro, verso la fila di Coleman e dei suoi compagni; quest’ultimo gli risponde con un occhiolino strafottente. Scott decide di ignorarlo, trattenendosi dal togliersi gli occhiali.
«Che cos’ha fatto?» chiede a Jean.
«Nulla di preoccupante. Siamo usciti due volte, qualche mese fa» spiega Jean, mostrando il foglio a Scott. «Da allora Terence non fa altro che perseguitarmi, sperando in un terzo appuntamento.»
«Oh, capito» commenta Scott, accigliato, leggendo le parole sul biglietto e alzando gli occhi sull’amica. «Beh, sarà difficile che smetta se continui a sfoggiare quel sorrisetto complice.»
Jean si volta verso Scott, scura in volto: «Cosa vorresti insinuare?»
«Che così sembra che tu gli dia spago»
«Io non gli do spago!»
«Vuoi riuscirci o no?»
«Io… beh… ma che t’importa?»
«Quando il signor Summers e la signorina Grey avranno finito di scambiarsi i loro convenevoli…!» interviene Moira, alzando la voce. «Saranno così cortesi da ripetermi in sintesi la struttura della camera di Pall?»
Sia Jean che Scott alzano lo sguardo sull’insegnante, disorientati.
Cala il silenzio.
«Non sapete dirlo?» incalza Moira. «No? Eppure è alla base della costruzione della nostra Cerebro. Ne abbiamo parlato per almeno mezz’ora.»
Jean e Scott non rispondono.
«Signorina Grey, se vuole continuare a mantenere il ruolo di coordinatrice di dipartimento le consiglio vivamente di fare più attenzione durante le lezioni su Cerebro, specialmente se sta valutando seriamente l’ipotesi di intraprendere il ramo della medicina. Non diventerà dottoressa scambiandosi bigliettini con i compagni di classe, sa?»
«Mi scusi, signora Kinross» mormora Jean, rossa in volto più dei suoi capelli. Non è abituata ad essere sgridata.
«E lei, signor Summers» continua Moira, implacabile. «Se pensa che essere l’ultimo arrivato le possa dare una situazione di vantaggio o di prestigio, si sbaglia di grosso. Veda di non distrarre nessun altro, o la butto fuori. Non mi aspetto certo che impari a memoria le tecniche di difesa strutturale della camera, anche perché comunque nessuno riuscirebbe a forzarla senza il permesso del professor Xavier, ma avere qualche nozione di base potrebbe giovarle comunque.»
«Ma noi non stavamo…!»
«Non stavate attenti» Moira taglia corto.
Dopodiché la lezione riprende.
Jean rimane concentrata sul libro, ma Scott si rivolta indietro verso Terence, che sorride con astuzia.
 
Istituto Xavier, alloggio dei fratelli Summers
Alex sta bevendo una coca, steso sul letto, e sta guardando un poliziesco alla TV. Attorno a lui vi è il caos più totale.
Lattine accartocciate sul pavimento, indumenti sporchi negli angoli più disparati della camera, briciole ovunque, e anche un discreto strato di polvere sulle superfici più alte.
La porta della stanza si spalanca di botto e Alex alza la testa per vedere chi sia. È Scott.
«Ehi, scemotto» lo saluta. «Non sei a studiare, giocare, o fare quello che fanno… boh, tutti gli altri?»
«Non ho voglia di studiare» brontola Scott, lanciando lo zaino sul letto e togliendosi le scarpe. Accigliato, raccatta due lattine da terra e le getta nel cestino: «Non potresti essere un po’ più ordinato?»
Alex lo ignora. Anzi, scoppia a ridere a una battuta che probabilmente è stata fatta in TV.
«Questo telefilm è una figata» ridacchia Alex. «La vita del poliziotto deve essere veramente dura, ma questi stereotipi sono intramontabili!»
«Ehi, ti ho chiesto una cosa, cazzo!» urla Scott. «Almeno tu che sei mio fratello vuoi ascoltarmi per una fottutissimo volta?!»
A quel punto, Alex si volta verso Scott, poggiando il toast che stava mangiando proprio in quel momento. Si rende conto che suo fratello è molto arrabbiato.
«Che è successo?» chiede Alex, ancora con il boccone in bocca. «Tutto bene?»
Scott, tuttavia, si è già calmato. Si lascia cadere sul suo letto, poco distante da quello del fratello e sospira.
Il giovane si toglie gli occhiali per massaggiarsi gli occhi, rigorosamente chiusi, dopodiché li inforca nuovamente.
«Tranquillo, non ti ammazzo» bofonchia Scott, vedendo il fratello sul chi va là. «Anche se senza di te sicuramente questa camera sarebbe più in ordine.»
«Perché oggi sei così amorevolmente simpatico?» domanda Alex. «Dì, hai le tue cose?»
«Ma smettila, non ti ci mettere anche tu» brontola Scott, lanciandogli una lattina. «Probabilmente, se fossi donna sarei così sfortunata che avrei anche le mestruazioni laser. Il lato positivo è che almeno potrei far fuori un bel po’ di idioti.»
«Ehi, ehi, sento dell’astio!» ridacchia Alex, accendendosi una sigaretta.
Scott lo osserva rabbuiato: «Sai che non ci è permesso fumare all’interno dell’istituto.»
«Chi è che ti da noia?» domanda Alex, imperterrito, alzandosi dal letto e sedendosi sul davanzale della finestra che si affaccia sul parco.
«Nessuno mi da noia» spiega Scott, grattandosi la testa, imbarazzato. «O meglio, nessuno mi dice nulla. Tanto ci sono altri bell’imbusti senza cervello da prendere come esempio, a quanto pare.»
«Aspetta, aspetta, aspetta! Fermati un attimo!» Alex alza le braccia, sgranando gli occhi. «C’è una donna?»
«Che?»
«C’è una donna di mezzo, giusto? Hai adocchiato qualcuna?!»
«Ma che stai…» tenta di ribattere debolmente Scott, ma niente riesce a frenare la contentezza del fratello maggiore, che lancia un lungo fischio di giubilo, addirittura avvampando di energia solare per pochi istanti.
«Fermati! Vuoi dar fuoco a tutta la scuola?!» lo brontola Scott, ancora più immusonito.
Ma Alex non sembra badargli: «E chi è?» gli chiede invece. «È carina? Com’è messa a tette?»
«Falla finita» ribatte Scott, esasperato. «Tanto è inutile. Ha già qualcuno per la testa.»
«Oh, beh, ci sono tanti modi per ovviare a questo problema» spiega Alex, spegnendo la sigaretta e gettandosi di nuovo sul letto, accanto al fratello. «Dimentica subito gli insegnamenti della mamma. Fiori, cioccolatini e poesie di porteranno soltanto a masturbarti ossessivamente, crogiolandoti nel ricordo di quella figa che non te l’ha mai data.»
«Sei un poeta, Alex» dice Scott, in tono piatto.
«Non importa quanto bello, brutto, alto o basso tu sia» prosegue l’altro. «Devi riuscire a coinvolgerla mentalmente. Se il suo cervello sarà tuo, allora anche il suo corpo sarà tuo. È molto semplice!»
«Semplicissimo»
«Devi fare qualcosa per attirare la su attenzione» consiglia Alex, quasi come se fosse un coach di una squadra di football e si stesse preparando all’arringa pre-partita. «Devi imporre la tua presenza. Qualcosa che attiri la sua attenzione su di te. Devi entrarle nella testa. Così poi potrai anche entrarle nella…»
«Sì, okay, Alex, basta!» lo mette a tacere Scott. «Sono già abbastanza incazzato senza che tu mi dia i tuoi stupidi consigli!»
«Stupidi consigli?» ribatte Alex, bofonchiando. «Ah! Vedremo! Tu prova a seguire il mio consiglio, poi ne riparleremo.»
«Non credo che lo farò» ammette Scott, afferrando le cuffie dal comò e collegandole al cellulare.
«Allora rimani nell’ombra, mentre altri si pastrugnano la tua amata» conclude Alex, facendo spallucce. «Vado al bagno!» annuncia, con un rutto.
Rimasto solo, Scott comincia a rimuginare. Qualcosa per attirare la sua attenzione. Qualcosa per attirare la sua attenzione…
 
Città del Messico, paese periferico di Las Vargas
Logan, Tempesta e Jorgen sono da poco arrivati al villaggio di Las Vargas, ormai assorbito dalla dilagante periferia di Città del Messico.
Vi è un caos degno di una metropoli, per le strade del paese, animate di venditori ambulanti, mercanti, taxista, cittadini intenti a far compere, bambini intenti a rubare.
La giovane Tempesta fatica a mantenere il passo di Logan e Jorgen.
«Ehi, fottuta bestia! Quando è stato deciso che io dovessi portare anche il tuo zaino?» si lamenta la ragazza, spostandosi dal volto i lunghi capelli albini, madidi di sudore.
«Quando ho deciso di non sgozzarti e di pararti il culo» mormora Logan, aiutando il vecchio Jorgen ad attraversare la strada trafficata. I tre passano attraverso il traffico, in direzione della stazione per la frontiera.
«Ho alcuni amici, alla frontiera» spiega Jorgen. «Non avranno problemi a fornirci un visto falso per me e per Ororo.»
«Ecco, almeno mi evito la galera. Un’altra volta» brontola Tempesta, sempre al seguito dei due. «Adesso possiamo riposarci?»
«No, non ci fermiamo» ordina Logan, guardandosi intorno, innervosito.
«Che problema c’è? Nessuno oserà attaccarci in mezzo alla folla, no?» chiede Jorgen, forse più per rassicurare se stesso che non per esporre una domanda.
«Non saprei» ammette Logan. «Ma sicuramente se volessero attaccarci passerebbero inosservati, in tutto questo casino.»
«Porca troia» impreca Tempesta. «Ho capito, non ci fermiamo. Fanculo».
I tre si rimettono in marcia.
A pochi metri di distanza, dall’altro lato della strada, una misteriosa figura, avvolta in un lungo impermeabile color castagna, dal volto nascosto dietro a un grosso paio di occhiali scuri e a un grande cappello, li osserva incuriosito.
Ha un’auricolare, all’orecchio.
«Non perderli di vista, Calibano. Non devono lasciare il paese. Uccidili se necessario.»
«Con piacere, signor Di Mauro» risponde il mutante, con un’orrenda voce sibilante.
 
Westchester, Istituto Xavier
Scott si trova nel corridoio che conduce a Cerebro, il grande portone circolare nascosto dietro alla finta parete dove si trova un grande quadro dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Scott guarda assorto la parete, preoccupato.
«Scott?»
Il ragazzo si gira, sorpreso nel sentir pronunciare il suo nome. È Jean.
Scott sorride, imbarazzato. Quel pomeriggio la ragazza è, se possibile, più carina del solito. Indossa una maglietta gialla, molto attillata, jeans bianchi e ha i capelli ramati raccolti in una coda. Lo fissa con gentilezza, bloccandolo con i suoi grandi occhi verdi.
«Oh, ciao, Jean» mormora lui, arrossendo.
«Che ci fai quaggiù tutto da solo?» chiede la ragazza.
«Potrei chiederti la stessa cosa» ridacchia Scott, suscitando una risata in Jean, che risponde: «Touché».
I due si guardano in silenzio per qualche momento.
«Io stavo cercando il professor Xavier» mente Scott, guardandosi intorno in modo vago. «Ma non l’ho trovato. Credo che tornerò agli alloggi.»
«Capito» annuisce Jean. «Io invece ho dato appuntamento qui a Terence.»
Le parole non arrivano subito al cervello di Scott. Quando questi si rende conto di ciò che ha detto la ragazza, ammutolisce.
«Ah…»
Jean sfoggia un’espressione piuttosto strana, che Scott non riesce e non vuole decifrare.
«Allora vuoi uscirci». Non è una domanda. Per Scott, è una constatazione.
Jean arrossisce: «B-beh, perché non dovrei. Lo conosco da un bel po’, è carino»
«Ah, già è carino» la schernisce Scott, sogghignando. «Allora è tutto apposto, che stupido che sono!»
«Ma si può sapere cosa ti prende?»
«Niente, anzi è meglio se me ne vado, almeno ti lascio da sola con quel deficiente.»
Jean si infiamma: «Non so che problemi hai, Summers, ma puoi rimanere tranquillamente. Me ne vado io! Almeno non ti impongo la mia presenza!»
Detto questo, Jean gira i tacchi e si allontana.
Rimasto solo, Scott stringe i pugni, mentre una voce nella sua testa gli grida “fermala! Fermala!”
Sembra esitare, fin quando dal corridoio non fa capolino Terence Coleman.
«Summers?» sembra sorpreso. «Che ci fai come un cretino tutto solo? Senti, hai mica visto Jean?»
Scott rimane in silenzio.
«Okay, grazie comunque!» così Terence fa per andarsene.
Scott digrigna i denti, poi, sempre più risoluto richiama il ragazzo.
«Ehi, Coleman!»
«Che vuoi, Summers? Sono parecchio impegnato, adesso» spiega quest’ultimo.
«Ho visto Jean in camera sua» racconta Scott, sperando che il suo tono risulti più disinvolto possibile. «Ha detto che non ha voglia di incontrare un idiota come te»
Dopo un breve attimo di esitazione, Terence si riprende: «Ehi, ma come ti permetti, quattr’occhi?»
«Stai fermo dove sei o ti faccio saltare in aria» lo minaccia Scott, portando la mano agli occhiali.
Terence si blocca istintivamente, preoccupato.
«Guarda che mi sono accorto che ti piace la Grey» commenta Terence, sempre più incupito. «Quindi vedi di levarti da qui e non fare stronzate. Lei è mia, ho un appuntamento con lei perché lei ha scelto me. Puoi far saltare in aria tutte le persone che vuoi, questo non cambia nulla, Summers.»
«Perché non sa che razza di idiota sei» controbatte Scott, sfidandolo.
Terence scoppia a ridere: «Avanti, Summers, non essere ridicolo. Cosa speri di fare?»
Scott non osa rispondere. Non si muove.
Quando Terence vede che il ragazzo non cede, decide di sfoggiare il suo sorriso più snervante: «D’accordo, facciamo così. Sfidiamoci. Chi vince ottiene Jean. Che ne dici?»
Scott deglutisce, innervosito. Sa che Jean non approverebbe.
«No?» insiste Terence. «Allora adesso fai l’uomo e lasciami andare. E accetta la sconfitta.»
«Va bene, accetto la sfida» si affretta a dire Scott, abbassando la mano dagli occhiali. «Sei mai entrato in Cerebro?»
 
La scena è completamente buia. Non esiste più niente. O forse niente è mai esistito.
A un certo punto compare un albero e sotto di esso una panchina, poi due ragazzini; tutt’attorno a loro vi è un enorme parco verdeggiante.
«Perché stamani non sei venuto a scuola?» chiede uno dei due ragazzini all’altro.
Il più alto dei due gli risponde: «Non credo continuerò a frequentare quella classe. Mia madre dice che quelli come noi non meritano più di stare in una classe di biondi. I soldati hanno portato via anche mio zio, pochi giorni fa. Mia madre dice che noi saremo i prossimi.»
«Nessuno ti porterà via, Erik» commenta aspramente Charles Xavier.
«E chi ha detto che ho intenzione di andarmene?» ridacchia l’altro ragazzino. «Che ci provino pure. Non ho paura di ucciderli. Se si avvicinano a casa mia li ammazzo tutti. Li ammazzo con le mie mani.»
«Non ce la faresti mai» risponde Charlie. «E poi non è una cosa carina da dire.»
«No, ma è la cosa giusta da fare» taglia corto Erik, stringendo la mano a pugno. Uno spillo si alza da terra e fluttua proprio davanti il volto del ragazzo.
 
Istituto Xavier, ufficio del preside
Charles Xavier apre gli occhi. Sente la sua stessa fronte madida di sudore.
Il sole sta tramontando, oltre il parco dell’istituto, gettando i suoi ultimi bagliori aranciati sulla scuola, illuminando le aule di una luce morente.
Moira sta trascrivendo alcuni documenti, seduta alla scrivania del marito.
«Accidenti, Hank dovrà portarci a cena fuori non so quante volte, non appena questa campagna elettorale sarà finita. Queste scartoffie da promoter e sponsor sono interminabili» commenta la donna.
Quando però il marito non le risponde, ella alza lo sguardo: «Che succede?»
Xavier rimane impassibile. Non ha voglia di parlare, ma proietta i suoi pensieri nella mente della moglie.
«Erik?» esclama Moira. «Ancora?»
«Ancora» sospira l’uomo, preoccupato.
Moira si alza, attornia la scrivania e si avvicina a Charles, ponendogli la mano su una spalla.
«Che cosa credi che possa significare?»
Xavier scuote la testa calva, disorientato: «Non lo so, ma quello che so è che Erik LenSherr è in pericolo.»
Moira guarda il marito con un misto di tristezza e compassione: «Ma, Charles… Erik è morto.»
Xavier alza lo sguardo sulla moglie: «No, Moira. Erik è vivo. Sento il suo potere. Erik LenSherr è ancora vivo.»
Moira e Charles si guardano, in silenzio. Non c’è bisogno di parole. Gli anni della gioventù in cui Charles Xavier, Erik LenSherr e Moira Kinross giocavano tutti e tre insieme al parco sembrano riaffiorare con prepotenza nella mente dei due coniugi.
A un certo punto Xavier geme. Un coltello sembra penetrargli nella testa.
«Argh!»
«Charles!» esclama Moira. «Che succede?»
Xavier si massaggia le tempie, lacrimando dal dolore: «Cerebro. Qualcuno sta violando Cerebro…»
 
La scena si sposta nel corridoio che porta a Cerebro.
Alex e Moira camminano fianco a fianco. Alex conduce la sedia a rotelle del professor Xavier.
«Lei è sicuro che sia mio fratello?» chiede Alex, nervoso. «Perché mai avrebbe dovuto violare Cerebro?»
«Non lo so, ma è la mente di tuo fratello che avverto. Ne sono sicuro» afferma Xavier.
«Stupido ragazzo» commenta Moira, ansiosa. «Se la stanza non verrà liberata dagli intrusi il prima possibile, finirà per uccidere i suoi stessi ospiti.»
«Uccidere?!» Alex è incredulo. «State scherzando?!»
I tre si arrestano di fronte la parete con il quadro dei cavalieri della Tavola Rotonda.
«Cerebro è un prototipo che vanta un primato di connessione mentale in tutto il mondo» spiega il professore. «È il fiore all’occhiello di questa scuola e deve essere custodito come un tesoro di inestimabile valore. Io stesso ho ideato le trappole della stanza, per far sì che essa possa difendersi da sola, qualora né io né Moira fossimo nei paraggi.»
Qualcuno corre attraverso il corridoio: «Professore! Professor Xavier!»
È Jean Grey.
«Jean?» Alex è incuriosito nel vederla lì. Xavier invece non batte ciglio: «Hai sentito anche tu?»
«Sì, professore» afferma la ragazza, ansimando e reggendosi un fianco. Evidentemente deve aver attraversato mezza scuola a corsa, pur di raggiungerli. «Sono Scott e Terence. Quei due idioti.»
«Jean, che cosa sta succedendo?!» chiede Moira, sempre più spazientita. «Si può sapere cosa state combinando?»
«Inutile che se la prenda con me!» grida Jean, altrettanto alterata. «Non è colpa mia se gli uomini sono dei completi imbecilli!»
A quel punto, Alex sembra comprendere tutta la situazione.
La sua espressione di sorpresa, però, dura poco; sostituita subito dopo da una nuova ondata di preoccupazione.
«Che razza di idiota che sono. A volte do dei consigli veramente stupidi…»
«Non c’è tempo» Xavier li mette a tacere tutti, premendo un tasto sotto il bracciolo della sua sedia. «Cerebro sta continuando a difendersi. E quei due ragazzi moriranno se no ci sbrighiamo.
Il quadro si sposta di lato, lasciando scoperto un pannello di sicurezza. Moira si avvicina e digita un codice.
A quel punto l’intera parete si fa da parte, mostrando la grande porta circolare di Cerebro.
Il gruppo fa per entrare, ma Xavier li ferma: «No. Entreremo soltanto io e Jean. Le vostre menti non sono abbastanza allenate per sopportare un tal peso.»
Alex si fa da parte, incerto.
Anche Moira si arresta, ma fissa insistentemente il marito: «Charles, stai attento.»
Jean e il professore entrano nella stanza, che si richiude alle loro spalle.
Al di là di essa, regna il silenzio più assoluto. Non sembra che successo assolutamente nulla.
Tuttavia, in fondo alla pedana, Terence Coleman e Scott Summers sono immobili, bloccati a mezz’aria, i volti contorti in strane espressioni di dolore, la bocca schiumante di saliva e gli occhi sbarrati.
Jean conduce Xavier al casco di Cerebro. Il silenzio regna ancora sovrano. I ragazzi, in preda alle allucinazioni mentali di Cerebro, sembra quasi non respirare.
«Jean, io entro nelle loro teste» spiega Xavier, afferrando il casco e infilandoselo sul cranio. «Non appena avvertirai la presenza mentale di tutti e tre e sentirai allentare la presa di Cerebro, tiraci fuori.»
«D’accordo, professore» Jean annuisce, risoluta.
«Ah, stai attenta» aggiunge Xavier. «Cerebro, a quel punto, potrebbe rivolgere la sua attenzione su di te.»
Jean sbatte le palpebre, cercando di mantenere la calma.
Xavier chiude gli occhi e si immerge in Cerebro.
Il caos esplode attorno a lui.
Vi sono fiamme e boati ovunque. Lingue di fuoco blu attorcigliano immediatamente le caviglie di Xavier che riesce a liberarsene, respingendole con la mente.
Non appena è libero, un enorme artiglio sembra aggrapparsi alla sua testa, cercando di asportargliela di forza, ma Xavier sa che è soltanto un’illusione di Cerebro e resiste.
Non altrettanto fortunati sono stati Scott e Terence.
Il primo sta tentando di liberarsi da alcuni fili spinati che si stanno attorcigliando attorno e dentro al suo corpo. Alcuni cavi lo perforano dalla bocca, dagli occhi. Il ragazzo si è tolto gli occhiali: evidentemente ha provatoad usare il suo potere, senza risultato.
“Inutile” pensa Xavier. “Tutto questo non sta accadendo”.
Terence invece è interamente avvolto dalle fiamme e sta fuggendo, inseguito da alcune bestie inferocite, simili a polipi giganti, ma piumati.
Xavier fa per avvicinarsi ai due, ma il pavimento sembra crollare e il professore cade in una voragine senza fondo, sentendo il suo stomaco torcersi e il cuore salirgli in gola.
“Avrei dovuto orchestrare qualcosa di meno complesso” pensa l’uomo.
Non c’è modo di arrestare Cerebro. Xavier continua a cadere, non può aggrapparsi a nulla. E cade. Cade. Cade.
A un certo punto qualcosa lo trae in salvo; sembra un volatile.
Si sente artigliare il petto e si rende conto di essere sulla cima di un’enorme torre tempestata da una pioggia sferzante.
Scott e Terence sono a terra, in preda alle convulsioni. Accanto a loro vi è un’aura calda e seducente.
«Jean!» la riconosce Xavier. «Ti avevo detto di aspettarmi fuori!»
«Lo so, ma non potevo stare in attesa! Mi dispiace, professore!» grida la ragazza.
La torre esplode e si rovescia, cadendo in un enorme vortice elettrico. I ragazzi sono i primi a scivolare via, ma Xavier li afferra al volo.
Dall’altra parte, però, un’enorme artiglio cerca di portarli via, di strapparli con forza dalla presa del professore.
«Jean! Esci da qui!» grida Xavier, mentre avverte la sua pelle intorpidirsi e sciogliersi. Non deve cedere alla paura; è tutta un’illusione. Eppure sembra così reale.
«Porta via Scott e Terence! ESCI!»
Jean afferra i due ragazzi e sparisce nel nulla. Xavier è rimasto solo. Adesso l’artiglio sta traendo lui a sé.
Xavier si lascia andare e tutto il vortice esplode in un’enorme bolla.
Xavier avverte le sensazioni più disparate: sembra che della sabbia gli stia entrando dalle narici, affogandolo, ma a pensarci bene sembra di essere sott’acqua. No è totalmente trafitto da lame acuminate, che gli trapassano la pelle da parte a parte.
“Resisti” si fa forza Xavier. “Resisti!”
Cerebro sta gradualmente riconoscendo il suo padrone. Le difese stanno calando.
La mente di Xavier si fa sempre più debole, fin quando tutto il suo mondo si chiude a riccio, trasformandosi in una stanza bianca.
Charles Xavier si guarda attorno. Ha tutta l’aria di essere la stanza di qualche sorta di sanatorio.
Davanti a lui, avvolto in una camicia di forza, vi è un uomo sulla cinquantina, dai capelli ingrigiti, ma dagli inconfondibili occhi gelidi e strafottenti.
Erik LenSherr lo scruta, sorridendo.
«Erik…» sussurra Xavier, cercando di avvicinarsi. Solo allora si rende conto che tra i due vi è una lastra di vetro.
«Ciao, Charlie» mormora Erik. «Vedo che il tempo è stato impietoso anche con te.»
«Sei vivo» sorride Charles, toccando la lastra di vetro come se sperasse di affondarci dentro.
«Non lo sono mai stato veramente» lo corregge Erik. «Ma sì, diciamo che sono vivo.»
«Mi dispiace…» Xavier tocca il vetro con la testa, chiudendo gli occhi. «Se solo avessi saputo… se solo ti avessi avvertito prima….»
«Le strisce blu mi tengono prigioniero» lo interrompe Erik. «Il magnete imprigiona Magneto, Charlie. Aiutami. Liberami da questo palazzo.»
«Cosa? Dove sei? Quali strisce? Quale magnete?» chiede Xavier, attonito. «Devi essere più preciso, Erik. E più veloce. Non ho molto tempo!»
«Tempo» mormora Erik, chiudendo gli occhi. «Anche di quello non ne ho mai avuto.»
«Erik! Erik!» la scena si ripete esattamente come decenni prima. Charles Xavier scivola via, lontano dal suo amico. Lontano dal mondo.
 
Quando il professore riapre gli occhi, si rende conto di essere caduto dalla sedia a rotelle. La schiena è trafitta da dolori lancinanti.
«Charles! Charles!» grida qualcuno attorno a lui.
Vi è Moira, e alle sue spalle, Xavier avverte la presenza di Alex e di Jean.
«Dove sono i ragazzi?» mormora Xavier. «Scott e Terence. Dove sono?»
«Sono caduti in coma, professore» ammette Jean. «Ma riusciremo a farli riprendere.»
Il coma. Grazie al cielo Cerebro è stato molto più caritatevole di quanto Xavier si fosse aspettato.
«Magneto» sussurra poi a Moira. «Magneto è vivo.»
Moira sgrana gli occhi, incredula. Si tappa la bocca con le mani.
Xavier annuisce e scoppia a ridere: «È vivo. E lo troverò.»
«La smetta di farneticare, professore» lo interrompe Alex, issandolo di peso e portandoselo in collo. «Adesso usciamo da qui.»
Ma Xavier non ha pensieri che per altro se non Erik. Erik è vivo. È l’unica cosa che conta veramente.
 
Messico, treno merci diretto alla frontiera statunitense
Il vecchio treno diretto alla frontiera è appena partito. Non è un treno da viaggio, non dovrebbe ospitare passeggeri, ma soltanto casse, attrezzi, cibi e merci varie. I vagoni di coda però ospitano tutti coloro che fuggono dal Messico, tutte quelle anime perse che vagano alla ricerca di speranza, confidando in un futuro migliore. Spesso, vi sono donne e molti bambini; più difficilmente si vedono anziani, che arresisi alle loro vite, non attendono altro che morire tra quelle terre dimenticate.
Quel giorno, tuttavia, vi sono solo uomini.
Logan, Jorgen e Tempesta lasciano andare le pesanti valigie e si accovacciano a terra, prendendo un attimo di pausa dal loro lungo viaggio.
Tempesta poggia la testa fuori dall’apertura del vagone, lasciando che la forte velocità e il vento la avvolgano completamente. Jorgen le intima di non stare così sporta, ma neanche prova a trarla indietro.
Logan invece si accascia totalmente contro la parete. Si accende un sigaro.
«Credi che ti sia concesso fumare all’interno del treno?» domanda Jorgen, accovacciandosi accanto al mutante.
Logan allunga un secondo sigaro in direzione dell’anziano: «Non siamo proprio in prima classe.»
Jorgen prende il sigaro offertogli e se lo fa accendere con lo zippo color bronzo.
Molti uomini li guardano, seriosi.
«Allora, cosa faremo una volta raggiunti gli Stati Uniti?» chiede Jorgen. L’anziano si volta a guardare Tempesta, che nel frattempo ha indossato le sue cuffie dell’Ipod, estraniandosi dal resto del mondo.
«Niente di diverso rispetto a ciò che facevate in quello schifo di baraccopoli» ammette Logan. «Ma almeno non sarete più sotto la giurisdizione di Di Mauro».
Jorgen annuisce, sospirando: «Sarà dura. Non posso sperare di immergermi nuovamente nel mio lavoro. Saranno mesi duri. Già, lo so.»
«Sì, lo saranno. E state pur certi che Di Mauro continuerà a darvi la caccia.»
«Soltanto Di Mauro?» ironizza Jorgen, voltandosi verso Logan. «Ho sentito che voialtri non ve la passate tanto meglio negli Stati Uniti. Alla gente non andate a genio.»
«I normo ci vedono come fenomeni da baraccone» afferma Logan, scuotendo a terra la cenere del sigaro. «Ma in realtà, se vuoi sapere come la penso, siete tutti quanti gelosi delle nostre abilità. Ci vedete come dei maghetti fantastici che riescono a cavare conigli fuori dai cappelli.»
Jorgen Muraz ridacchia: «Forse. Ma provo compassione per le tante vite che sono state spezzate. Soltanto perché mutanti.» Logan osserva attentamente il vecchio meccanico. Sembra sincero.
«A volte mi domando cosa ne sarebbe stato di Ororo, se non l’avessi trovata e accudita» prosegue Jorgen. «E sempre più spesso mi domando cosa ne sarà di lei dopo che avrò smesso di farlo.»
Entrambi gli uomini rimangono in silenzio.
«Non è esattamente quella che si dice una ragazzina indifesa» esordisce Logan, dopo qualche attimo di esitazione. «Ma pur sempre una ragazzina rimane» lo interrompe Jorgen, guardando il volto assente di Tempesta che, a labbra leggermente dischiuse, sembra cantare una canzone.
«Non potrà proteggerla per sempre» ammette Jorgen. «E dove stiamo andando è una realtà che non mi appartiene. Forse è un stato bene che ti abbiano inviato a ucciderla.»
Logan distoglie lo sguardo dal sorriso del meccanico. Gli uomini continuano a fissarli.
«Non credo stiano apprezzando il fumo nel vagone» commenta Jorgen.
Logan non risponde. C’è qualcosa di profondamente scomodo in quell’ambiente. Non vi sono donne. Non vi sono bambini. Non vi sono anziani. Jorgen e Tempesta sono l’unico vecchio e l’unica adolescente presenti nel vagone.
Poi Logan vede un uomo in particolare. Non può vederlo in volto. Indossa un lungo impermeabile, un cappello che gli copre parzialmente il volto, spessi occhiali rotondi, una sciarpa.
Logan si guarda intorno: altri uomini li guardano.
«Merda» sussurra.
L’uomo fa per estrarre gli artigli, ma l’intera squadriglia del vagone estrae le armi.
Jorgen geme e Tempesta strilla di sorpresa, togliendosi immediatamente le cuffie dalle orecchie.
Più veloce di un lampo, Logan balza in piedi, si getta selvaggiamente su un uomo, sgozzandolo, salta indietro e ne agguanta un secondo per la gamba, scaraventandolo addosso ad altri due compagni.
Alcuni di loro fanno fuoco, ma Tempesta li fulmina istantaneamente. I pochi rimasti fanno per gettarsi dal vagone in corsa, ma Logan li trafigge, lasciandoli accasciati al suolo.
L’uomo in impermeabile si avventa su Tempesta, ma Jorgen e Logan cercano di bloccarlo.
«Chi diavolo sei?!» grida Jorgen. Quello, per tutta risposta, si toglie occhiali, cappello e sciarpa, rivelando una creatura butterata da cicatrici e scottature, dalla pelle bianca come la neve.
«Calibano, segugio schifoso» mormora Logan. «Da quando sei alle dipendenze di Di Mauro?»
«Da quando Bentch non elargisce più il compenso che mi spetta» gracchia la creatura, con voce disumanamente roca. «Di Mauro è un offerente ben più consistente. Non puoi immaginare quanto denaro io abbia preso per seguire la ragazzina fin qui.»
Logan si toglie la giacca e si para di fronte a Jorgen e Tempesta.
«Logan!» esclama Calibano, divertito. «Logan! Logan! Ma che cosa stai facendo? Davvero sto vedendo il grande animale selvaggio Logan Howlett pararsi di fronte un misero vecchio e una ragazzetta? Che cosa ti è successo?»
«Non fraintendere, Calibano» risponde Logan, preparandosi allo scontro. «Evito che altri vedano quell’ammasso di merda che ti ritrovi al posto della faccia.»
Dopodiché si avventa su di lui. Il killer però si scansa di lato e si catapulta addosso a Jorgen e Tempesta. Improvvisando, Jorgen spinge via la ragazza e ferisce Calibano con il sigaro.
Il killer urla di dolore, coprendosi la fronte: «Figlio di puttana!» Afferra il meccanico per il collo, lo solleva di peso senza problemi ed estrae l’altra mano da sotto l’impermeabile, mostrando un lungo guanto artigliato.
Logan tenta di saltare addosso a Calibano, ma questo lo calcia via senza problemi e l’uomo cade giù dal vagone, sparendo nel deserto sabbioso, mentre il treno corre rapido verso la frontiera.
«No!» Tempesta grida.
La mano di Calibano trafigge lentamente il vecchio meccanico, che spalanca gli occhi, atterrito dal dolore e dalla paura.
Tempesta, tuttavia, accumula un’enorme sfera di energia elettrostatica, scagliandola addosso a Calibano, che lascia andare Jorgen e cade all’indietro.
Jorgen stramazza al suolo, ansimante.
«Cosa credi di fare, stronzetta?» ringhia il killer, digrignando i suoi denti giallastri.
Senza attendere ulteriormente, Tempesta si volta e fugge dal vagone, arrampicandosi sul tetto del treno. Il vento è molto forte e rischia di spazzarla via, ma almeno Calibano starà lontano da Jorgen, che avrà il tempo di riprendersi.
«Dove scappi, Ororo?» ride il killer, afferrandola per la caviglia e cercando di trascinarla di nuovo all’interno del vagone.
La ragazza urla, terrorizzata. Sente la mano grinzosa afferrarla e tirarla giù. La mano è fredda. Fredda come la morte. A un certo punto, avverte l’urlo di dolore di Calibano, che lascia andare la presa.
«Non abbiamo ancora finito, signor tintarella!» grida Logan, balzando fuori da sotto il vagone e artigliando Calibano al petto. Il killer tenta di liberarsi dalla presa, ma Logan lo scaglia sul tetto del vagone, balzandovi anch’egli sopra.
Logan, Tempesta e Calibano si ritrovano tutti e tre all’aperto, al vento, mentre il deserto sfreccia veloce attorno a loro.
«Tempesta! Torna di sotto e assisti il vecchio!» grida Logan, alzandosi in piedi. La ragazza non se lo fa ripetere due volte.
«Che dolce. Sembri quasi un uomo buono e pieno di principi, Howlett!» sogghigna Calibano, estraendo l’artiglio da sotto l’impermeabile. «Ma per quanto ti sforzi, non potrai mai essere un uomo. Chi nasce bestia, bestia rimane!»
«Allora immagino che, da bestia quale sia, è inutile parlare» risponde Logan a tono, correndo verso il killer ad artigli sfoderati.
Calibano blocca l’impatto con la sua mano artigliata, mentre con l’altra agguanta Logan per il collo, sollevandolo senza difficoltà.
«Sai, è stato difficile trovare la signorina Munroe» ammette Calibano, studiando Logan con il suo sguardo da psicopatico. «Sentivo la tua puzza da oltre cento chilometri di distanza.»
«Senti anche questo, allora!». Logan tira un calcio in pieno volto a Calibano, che grida al suono scricchiolante del suo setto nasale, andato in frantumi. Caduto a terra, Logan si rialza e afferra Calibano per un braccio scaraventandolo via. Il killer oppone una fiera resistenza finché qualcosa non lo colpisce alle spalle.
Una violenta scarica elettrica di Tempesta colpisce il killer tra le scapole, mandandolo a gambe all’aria; è la distrazione perfetta di cui aveva bisogno Logan, che trafigge le gambe di Calibano con gli artigli.
Il killer grida di dolore, cercando di allontanarsi dall’uomo, trascinandosi con le braccia.
«Finito di fare lo spavaldo, stronzo?» commenta Logan, avvicinandosi a Calibano e voltandolo.
Questo sogghigna: «Uccidimi… uccidimi pure. Tanto è l’unica cosa che sai fare nella vita. Ma sappi che… qualcun altro porterà via la ragazzina. E qualcuno verrà… anche… anche per te.»
Logan sospira, fingendo apprensione: «Quel qualcuno non sarai certamente tu» detto ciò, lo scaraventa di sotto dal treno. Gridando di rabbia e dolore, Calibano sparisce in un grande polverone di sabbia e sangue.
Logan e Tempesta tornano di sotto, all’interno del vagone.
«Jorgen!» geme la ragazza, correndo dall’anziano, che respira affannosamente, immerso in una pozza di sangue.
Anche Logan si avvicina a lui: «Vecchio…»
Jorgen alza lo sguardo affaticato su Logan: «Sembra che… sembra che dovrai badare a lei… prima… prima del previsto».
«Zitto. Adesso troviamo delle bende» mormora Logan, senza avere la benché minima idea di dove poterle trovare.
«Ma per favore…» bofonchia Jorgen. «Quando… quando un’auto è vecchia basta poco per romperla. Dopodiché… anche se si aggiusta mille volte… prima o poi… prima o poi andrà rottamata.»
Tempesta lo abbraccia, tenendolo da sotto la testa, anch’essa impregnata di sangue scuro.
«Mi dispiace, Ororo» sussurra il vecchio, annaspando sempre più faticosamente alla ricerca di ossigeno. «Non… ti ho dato il lusso che… che avrei voluti darti…»
Jorgen sposta lo sguardo già spento su Logan, che annuisce: «Starà bene. Penserò io a lei.»
«Stai zitto! Non morirà!» grida Tempesta, scoppiando in lacrime.
«È già morto» sentenzia Logan, voltandosi di spalle.
A quel punto, le lacrime di Tempesta si fanno più silenziose, ma più copiose e disperate.
Mentre il treno continua a sfrecciare lungo il deserto, in direzione della frontiera, il sole svanisce di punto in bianco, lasciando il campo a enormi nuvoloni neri, più neri del demonio, carichi di una tremenda pioggia di dolore.
 
Westchester, Istituto Xavier
Nel parco dell’istituto, in una bella giornata assolata, Jean sta studiando chimica su uno dei tavolini di legno. È da sola, circondata dal profumo dei fiori e dall’aria più primaverile che autunnale.
A un certo punto una figura si para di fronte a lei. È Terence Coleman.
Scott Summers, da lontano, assiste alla scena: Jean e Terence si scambiano poche parole, prima che il ragazzo se ne vada, visibilmente avvilito.
A quel punto, Scott inspira e prende coraggio; attraversa il parco a grandi falcate e si avvicina a Jean.
«Ciao, Jean» la saluta, imbarazzato. La ragazza alza di nuovo lo sguardo, sorpresa.
«Ciao» mormora. «Allora ti sei svegliato anche tu»
«Beh, non considerando che tecnicamente non mi sono mai addormentato e che il coma è durato circa due settimane, sì, mi sono svegliato.»
Jean scuote la testa, sorridendo amaramente: «Nessuno ti ha detto di entrare in Cerebro.»
Scott non osa controbattere; ha perfettamente ragione.
«Posso sedermi?» chiede.
«Sì, puoi» annuisce Jean, senza guardarlo e continuando a leggere le sue pagine di chimica.
«Sono stato un completo idiota» ammette Scott, costernato. «Ho agito d’impulso, proprio come mio fratello, e ho fatto la figura dell’idiota.»
«Vuoi dirmi che è stato tuo fratello a dirti di entrare in Cerebro?» chiede Jean, scettica.
«Non proprio» cerca di spiegarsi Scott. «Mi ha consigliato di provare a fare qualcosa di audace, per…» ma non continua il discorso.
Jean lo scruta negli occhi, arrossendo.
«Per attirare l’attenzione degli altri ragazzi e farseli amici» mente Scott, tamburellando con le dita sul tavolo.
«Che cosa stupida» sentenzia Jean. «Questo è proprio il genere di cose che si potrebbero fare per una donna».
«B-beh, sì. Sarebbe comunque stupido!» sorride Scott, ancora più imbarazzato di prima.
«O magari qualcosa di veramente forte» lo corregge Jean. «Tutti sanno regalare cioccolatini, fiori e belle parole. Terence ne è l’esempio lampante. Meno hanno la creatività di entrare in una stanza psichica e rischiare di morire per attirare l’attenzione di una ragazza.»
Scott rimane allibito e si chiede se per caso non gli abbia appena letto nel pensiero.
«Dici che è una cosa forte, quindi?»
«Dico che è un gran modo di attirare l’attenzione» ridacchia Jean, lanciandogli scherzosamente una pallina di carta addosso. «Ma è comunque la cosa più idiota a cui abbia mai assistito!»
Entrambi scoppiano a ridere.
 
Istituto Xavier, Cerebro
Charles Xavier è completamente solo, immerso nel silenzio.
Il professore s’infila il casco mentale e chiude gli occhi, tentando di abbracciare tutti coloro che ama: vede i giovani Scott e Jean conversare piacevolmente nel parco, i libri di studio, abbandonati in un angolo; vede Alex in camera sua, intento a far finta di sparare come un vero poliziotto; vede la sua amata Moira insegnare a una classe di bambini. Poi il casco fa effetto e amplia i suoi poteri.
Vi sono così tanti mutanti al mondo che Xavier perde il conto, rischiando di essere sopraffatto dal potere di Cerebro: vede un uomo dall’aspetto selvaggio e una ragazzina di colore ma dagli arruffati capelli bianchi intenti a scrutare l’orizzonte di una pianura, di fronte a una lapide.
Infine Xavier si ritrova nella stanza bianca.
Erik LenSherr lo guarda insistentemente con il suo sguardo di ghiaccio. E Charlie ricambia lo sguardo.
 
Cast principale:
Logan Howlett
Jean Grey
Scott Summers
Alex Summers
Ororo Munroe/Tempesta
Charles Xavier                       
Moira Kinross
Erik LenSherr/Magneto
                                             
(Hank McCoy e Elisabeth Braddock non compaiono nell’episodio)
 
Personaggi secondari:
Jorgen Muraz
Calibano
Terence Coleman

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3652009