The Dark Angels

di Niacchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 0 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 0 ***



 
“Chi sei tu, che nel buio della notte
Osi inciampare nei miei pensieri più profondi?”
-Shakespeare
 
Correvo a piedi nudi in uno splendido prato con fiori di ogni tipo che mi solleticavano le dita. Una leggera brezza estiva mi arruffava i capelli bianchi quasi come il latte e il vestito leggero ricamato con fili d'oro e d'argento svolazzava e si avvolgeva fra le mie cosce, mi voltai indietro scorgendo una figura poco più alta di me, ma dal fisico robusto. Sorrisi mentre gridai: “Sei troppo lento, Raziel!”
Lui mi sorrise, mostrando le fossette che mi facevano impazzire agli angoli della bocca, allungò un braccio cerando di afferrarmi, ma ero troppo distante per essere presa. Almeno così pensavo. 
Raziel, con gli occhi verdi come il prato sotto i nostri piedi che s’illuminavano di una strana luce, spiegò le ali chiuse dietro alla sua schiena. Era sempre uno spettacolo meraviglioso vedere le sue ali in tutta la loro sontuosità, non ne avevo mai viste di così grandi, erano rosse come la corona di rubini sopra la mia nuca ed erano così robuste che inquietavo terrore, ma solo io sapevo quanto fossero morbide al tatto... quelle ali erano così affascinanti, o forse era tutta la persona di Raziel in sé ad esserlo. 
In meno di un secondo colmò la distanza fra noi, mi strinse i polsi con una mano e con un ghigno soddisfatto, disse: “Presa”.
Grugnii infastidita e cercai di liberarmi dalla sua presa, mentre lui si avvicinava sempre di più facendo aderire i nostri petti.
“Hai barato!” esclamai, spiegando a mia volta le ali nero corvino con qualche piuma dorata all’estremità e poco più piccole delle sue, avvolte mi chiedevo come facessi suscitare terrore ai miei stessi simili.
Lui ghignò di nuovo e mi spinse per terra mettendosi sopra di me, tenendomi i polsi bloccati sopra la mia testa. 
“No, avevamo detto niente regole” soffiò sul mio orecchio facendomi rabbrividire.
Sì, Raziel incuteva molto più terrore di me e quell'alone di mistero che lo circondava era così dannatamente attraente.
Sbuffai e cercai per l'ennesima volta di liberarmi, lui sorrise di nuovo e si avvicinò così tanto al mio viso che i nostri nasi si sfiorarono, i suoi riccioli mi solleticarono le guance e il collo, e le nostre bocche si toccarono appena. Tutto ciò mi fece stringere lo stomaco in una morsa e un brivido mi percorse la schiena a contatto con l'erba fresca, il cuore mi batteva all'impazzata nella cassa toracica.
“Raziel, lasciami... ” mormorai con un filo di voce, che risultò davvero poco convincente persino alle mie orecchie. Non volevo che si allontanasse da me, io avrei voluto passare l'eternità avvinghiata al suo corpo. 
“Sei davvero molto convincente” affermò sarcastico lui, mentre con la mano libera mi accarezzava la coscia nuda, provocandomi altri brividi per tutto il corpo.
“Il tuo corpo mi dice tutt'altro” sussurrò contro il mio collo mordendolo poi, mentre con la mano mi stringeva la coscia ed io la avvicinai al suo fianco, mordendomi il labbro inferiore per trattenere un gemito. Non volevo dargli troppe soddisfazioni. 
Lui mi lasciò i polsi, accarezzando l'avambraccio delicatamente e proseguendo poi verso le mie guance arrossate. Gli cinsi i fianchi con le mani, mentre i nostri occhi s’incontravano e per l'ennesima volta rimasi sconcertata dal colore delle sue iridi, illuminate dai raggi del sole sopra le nostre teste, così profonde che nascondevano chissà quali segreti. Raziel mi sorrise di nuovo, facendo salire una mano sotto il mio vestito e accarezzandomi il ventre sodo. Mi morsi il labbro e pronunciai con voce rauca il suo nome, in quel momento mi parve di vedere il suo corpo essere scosso da un fremito, ma un secondo dopo era tornato come sempre: imperturbabile. 
Sospirò e lentamente si avvicinò alle mie labbra sfiorandole, lasciandomi un tenero bacio, e mi abbandonai alle emozioni che mi travolsero in pieno.
Mi sconvolse quando velocemente si allontanò dal mio corpo e si distese al mio fianco come se non fosse successo nulla. 
Era sempre così con Raziel.
Scossi la testa e mi concentrai per far tornare il cuore a battere alla normalità. Lo sorpresi ad osservarmi e sorrisi estasiata, la sua compagnia rischiarava la mia anima. 
“Sei bellissima, Lucifer” disse mentre si girava su un fianco e con le dita mi accarezzava il collo, fino a farle scorrere sul mio petto. 
Arrossii imbarazzata, un'altra strana emozione che Raziel mi provocava, ma subito dopo sentii una strana fitta all'altezza del cuore.
“Ma cosa…” alzai la testa e vidi la mano di Raziel conficcarsi nel mio petto e il sangue sporcarmi la veste. Un grido di paura mi uscì dalle labbra, Raziel mi aveva ingannato? 
Mi girai a guardarlo e incrociai i suoi occhi verdi con una strana ombra che li oscurava, erano freddi e vuoti come il ghiaccio. 
Gridai di nuovo, ma questa volta la rabbia invase il mio corpo e gli afferrai il braccio con le mani conficcandogli le unghie nella carne. Non si scompose nemmeno. Era più forte di me. Era l’unico a essere più forte di me.
Raziel scoppiò a ridere e con voce sprezzante disse: “È stato fin troppo facile”.
Il mio cuore si frantumò in mille pezzi, la vista mi si annebbiò e tutto divenne buio mentre sentivo il sangue colarmi lungo il petto, e l'ultima cosa che udii fu la sua risata grave...
 
Mi svegliai di soprassalto, la puzza di zolfo m’invase le narici, dandomi il volta stomaco. 
Un'altra volta questo dannato sogno pensai mentre mi asciugavo la fronte in perlata di sudore. Avevo la gola secca e mi sentivo soffocare dal caldo dell’Inferno, come non mi succedeva da secoli.
Ansimai, mentre scostavo le coperte di seta cremisi e posavo i piedi nudi sul freddo pavimento di onice silicea, tutta la casa ne era rivestita per mantenere l'ambiente a una temperatura più sostenibile, bevvi un sorso d'acqua fresca mentre uno dei miei segugi infernali mi leccava le dita dei piedi, facendomi sorridere per il solletico. Ero io a essere troppo accaldata e non la casa.
“Basta Arthur, mi fai il solletico” dissi scostando il piede e buttandomi di nuovo sul letto. 
Raziel... il suo nome fu peggiore di un pugno allo stomaco e ne avevo ricevuti abbastanza da conoscere alla perfezione il dolere che si provava. 
La rabbia iniziò ad accrescere nel mio corpo, gridai presa dalla collera e tirai un pugno alla testiera del letto, facendolo tremare. Arthur abbaiò e si strofinò tra le mie caviglie cercando di calmarmi.
Dopo secoli ancora desideravo la vendetta.
E non era mai un bene far arrabbiare Lucifer, il Principe degli Inferi.
 
L’angolo dell’autrice
Salve,
avevo scritto questa storia parecchio tempo fa,
ma solo adesso mi sono decisa a pubblicarla.
Questo è solo il prologo perciò è così breve, gli altri capitoli saranno più lunghi giuro.
Mi farebbe davvero tanto piacere sapere cosa ne pensate
quindi magari lasciate anche una piccola piccola recensione pls.
Grazie in anticipo a tutti.
Un’ultima cosa, penso di pubblicare un capitolo a settimana perché ne ho già alcuni pronti,
vi terrò aggiornati insomma.
Baci e buona serata.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 
“Né di questo né di quell’altro mondo m’importa. Sia quel che sia.”
 -Amleto, Shakespeare
 
Sbuffai irritata, mentre camminavo per le strade di Londra a passo veloce, non sapevo dove mi trovavo e non avevo la più pallida idea di dove si trovasse la mia casa per questo periodo.
Enlil, il mio adorato fratellone, mi aveva inviato l'indirizzo su uno di questi aggeggi umani, chiamati cellulari, e non avevo idea di come funzionasse era totalmente diverso dall’ultima volta che ne avevo usato uno. Gran parte degli abitanti del mondo al piano inferiore, tra cui me, si scambiava messaggi tramite i famigli o attraverso qualche demone inferiore, diciamo che preferivamo i metodi antichi. Soprattutto lo Zio Satana.
Camminando mi ritornò in mente la conversazione che avevo avuto neanche poche ore fa con lo Zio:
 
“Lucifer!” aveva invocato il mio nome, con la sua voce vigorosa lo Zio, tanto che aveva rimbombato in tutto il grande salone fatto d’opale con sfumature tra il blu e il rosso e il pavimento fatto d’onice a scacchi rosso e nero.
Sbuffando mi ero voltata verso di lui mentre mi stavo limando le unghie: “Che c’è, non vedi che sono impegnata?” Non mi ero preoccupata di essere cortese come tutti gli altri, e neanche mi ero curata dello sguardo di rimprovero che mi aveva rivolto. Non mi era importato niente. Mai.
“Ho un compito per te” aveva detto alzando gli occhi al cielo esasperato, ormai anche lui si era arreso al mio caratteraccio.
Sentendo quelle parole, avevo buttato la limetta per terra alzandomi di scatto dalla sedia e mi ero leccata le labbra mentre un brivido di eccitazione mi aveva attraversato la schiena.
“E quale sarebbe, Zietto?” avevo domandato con un ghigno sulle labbra, avvicinandomi al suo trono d’ossidiana nera.
 
Mai avrei pensato che Zio Satana mi mandasse sul mondo al pieno di mezzo per aiutare Enlil nel suo compito, io avevo già i miei doveri cui badare, non mi potevo occupare anche di questa sciocchezza! Appena avrei trovato quel dannato, l’avrei rispedito a calci nell’Inferno e incatenato per l’eternità alle pendici del Tartaro con le arpie a rosicchiargli il fegato.
Sbuffai di nuovo, mentre giravo in vicolo meno affollato, anzi era stranamente troppo silenzioso e vuoto per essere una via della caotica Londra.
“Lucy sai in quale luogo stiamo andando, vero?” mi domandò una voce fioca da sopra la mia spalla.
Scossi la testa e alzai gli occhi al cielo irritata: “Non osare più chiamarmi con quel nomignolo Lily, altrimenti ti do in pasto al troll a guardia del primo girone”.
“Sei proprio una stronza!” esclamò Lily, tirandomi una ciocca di capelli bianchi.
Sgranai gli occhi sorpresa da quel gesto, quella maledetta fata mi faceva imbestialire perché diavolo me l’ero portata dietro?
Le lanciai un’occhiataccia, mentre lei impaurita mi lasciava andare i capelli e si librava in volo davanti ai miei occhi, con le sue alette trasparenti con qualche venatura dorata.
“Dovresti cambiare il colore delle tue iridi per mescolarti di più con gli umani, quei tuoi occhi spaventano ogni passante, Lucy” affermò con le mani sui fianchi la fatina di si e no quindici centimetri e dalla pelle perlacea, mentre mi scrutava con i suoi occhi lilla come i suoi capelli.
Aveva davvero una boccaccia e anche molto coraggio a parlarmi in questo modo o forse era solo stupida?
Scossi la testa irritata, era normale che i miei occhi incutessero terrore, io ero pur sempre Lucifero ma Lily questa volta aveva ragione. Gli occhi rossi su questa terra non erano normali ed io dovevo esserlo il più possibile per confondermi tra questa gente.
“Senti Lily, dopo che avremmo trovato la casa di Enlil, penseremo a queste sciocchezze e magari andremo a gare un po’ di compere, ma per adesso sta zitta, altrimenti ti do davvero in pasto al troll”.
Lily mi guardò sconcertata e irritata allo stesso tempo, e indicandomi con un ditino strillò: “Allora avevo ragione tu non hai la più pallida idea di dove stiamo andando!”
Mi girai dandole le spalle, lasciandola brontolare e insultarmi da sola, avevo la strana sensazione di essere osservata ed io raramente mi sbagliavo.
Scrutai attentamente il vicolo in cui mi trovavo, qualcosa mi diceva che non ero più sola. Feci cenno a Lily di ammutolirsi e lei stranamente mi diede ascolto, anche lei doveva aver avvertito il pericolo. Con i sensi in allerta e pronta ad attaccare, continuavo a scrutare la stradina buia, sperando che chiunque fosse, facesse la prima mossa. E così fu.
Un gancio destro stava per colpirmi il viso, tempestivamente lo parai e cercai di contrattaccare con un calcio allo stomaco, ma lo sconosciuto non era uno sprovveduto e si scanso velocemente di lato schivandolo. Se l’avessi colpito, sicuramente sarebbe svenuto adesso.
Sbuffai, non mi andava per niente di combattere appena arrivata sulla terra.
Inclinai la testa di lato e lo squadrai con un ghigno sul volto, il ragazzo era davvero carino, ma non il mio tipo. Peccato, avevo pensato di risparmiarlo. Dimostrava si e no diciotto anni e aveva i capelli biondo cenere rasati ai lati e un ciuffo corto al centro, gli occhi color del mare e un fisico scolpito tanto che la t-shirt gli stringeva i bicipiti e faceva notare i pettorali sodi.
Mi leccai le labbra, sorridendo astuta e dissi con voce roca: “Sarebbe davvero un peccato ucciderti, ma forse farò uno strappo alle regole e se te ne andrai senza mai guardarti indietro ti lascerò vivere, cacciatore”.
Il ragazzo ricambiò il sorriso e sfrontato replicò: “Non mi lascerai mai scappare un demone come te, ti ucciderò”
Io davvero ci provavo a essere gentile, ma questi cacciatori erano sempre così egocentrici e sicuramente quello di fronte a me peccava anche di stoltezza se non aveva capito chi ero.
Sbuffai di nuovo, non mi andava di sporcarmi le mani.
“Che c’è stai tremando dalla paura, demone” domandò ironico il cacciatore, guardandomi dall’alto in basso.
Inclinai la testa di lato e lo guardai torva, adesso mi stava facendo davvero arrabbiare.
“Tu non sai contro chi ti stai mettendo, ragazzino” dissi sprezzante, mentre mi scostavo i capelli dalla spalla.
“Siccome oggi mi sento clemente ti do un’ultima possibilità di andartene per la tua strada con tutti gli arti attaccati al corpo e soprattutto con ancora un cuore ti che batte nel petto”.
Il cacciatore scoppiò a ridere, innervosendomi ancora di più, strinsi i pugni tanto che le nocche mi divennero bianche, ma cercai di calmarmi. Non volevo farlo appezzi.
“Non ho paura di te, puttanella” si slanciò verso di me caricando un pugno.
Eh no, adesso mi aveva fatto davvero incazzare nessuno poteva permettersi chiamarmi in quel modo. Mi piegai sulle ginocchia e schivai il colpo, il cacciatore si sbilanciò in avanti e cogliendo quel momento allungai la gamba facendolo cadere in avanti. Tossì la polvere che gli era finita in bocca e rapidamente si rialzò in piedi, ma non gli diedi neanche il tempo di provare ad attaccarmi di nuovo che gli sverrai un calcio sullo stomaco, facendolo sbattere contro il muro.
Si accasciò a terra e un rivolo di sangue gli uscì dalle labbra fine, sorrisi beffarda: “Adesso non ridi più, cacciatore”.
Lo afferrai per il collo e lo alzai da terra mantenendolo contro il muro di mattoni, glielo strinsi fino a conficcargli le unghie nella carne. Lui sgranò gli occhi e mi afferrò il braccio con le sue mani cercando di allontanarsi da me. Ma io ero più forte.
Ghignai e avvicinai la mano libera al suo petto, nel punto preciso dove si trovava il cuore: “Ti avevo avvisato, avresti dovuto ascoltarmi e andartene”.
Infilai le unghie nella sua carne e lui sussultò, soffocando un urlo. Un liquido caldo e denso mi bagnò la mano, mentre gli occhi del cacciatore diventavano man mano più vuoti.
“Prima che tu muoia ti dirò chi ti ha ucciso” dissi incrociando i miei occhi dello stesso colore del suo sangue, con i suoi sempre più vitrei.
“Il mio nome è Lucifero, il Principe degli Inferi” continuai, guardando i suoi occhi sgranarsi e non potei fare a meno di sorridere soddisfatta, strappandogli il cuore dal petto.
Lasciai cadere il suo corpo privo di vita sull’asfalto e gettai il cuore al suo fianco, scoppiai a ridere pulendomi la mano sui jeans neri che indossavo. Quel cacciatore aveva davvero creduto di poter sconfiggere me, scossi la testa gli umani erano davvero esilaranti. Dovevo ammettere che però aveva una bella presa ammisi a me stessa guardandomi i segni rossi sul polso, alzai le spalle non curante e proseguii per la mia strada, mentre Lily continuava a guardarmi inorridita.
“Che c’è?” le domandai infastidita, uscendo finalmente da quel vicolo e imboccando una strada molto più affollata che dava sul Tamigi.
Lily si sedé sulla mia spalla e mi lanciò un altro sguardo disgustato, prima di parlare: “Non potevi evitare di ucciderlo e tramortirlo soltanto”.
Scrollai le spalle e sbuffai: “Non sarebbe stato uguale e non mi sarei divertita allo stesso modo, era tanto che non uccidevo qualcuno”.
Un sorriso cupo mi spuntò sulle labbra e guardandomi intorno, notai vari umani che si giravano a guardarmi a bocca aperta, sia uomini sia donne.
“Adesso sta zitta che la gente potrebbe prendermi per una pazza che parla da sola” aggiunsi guadandola male, gli umani non potevano vedere le fate ed io già attiravo l’attenzione senza bisogno di parlare con una fata invisibile.
Lily annuì ed io cercai in tutti i modi di scorgere la via in cui avrei dovuto trovare la mia nuova casa. Quando per sbaglio non incrociai lo sguardo con un paio di occhi verdi con il prato dei giardini dell’Eden, il mio cuore ebbe un sussulto e nella mia mente si formò un solo pensiero: Raziel…
Scossi la testa, riprendendomi, non poteva essere lui. Raziel non poteva esistere ancora.
 
Ero arrivata circa un’ora fa a casa di Enlil, dopo aver girato Londra per due volte, mentre il sole tramontava e le tenebre prendevano il suo posto, mi ero decisa a salire sopra un tetto e volare sulla città individuando subito la casa dalle varie descrizione che mi aveva fatto mio fratello. Fortunatamente non mi ero imbattuta in nessun altro cacciatore. Enlil aveva scelto come casa un attico a due piani nella zona di Neo Bankside, vicino al Globe Theatre, in altre parole il teatro del mio drammaturgo preferito, Shakespeare. Come potevo non amare mio fratello, sapevo che aveva preferito quella casa apposta per me, per farmi sentire a casa.
Normalmente nella mia vera casa, quando non avevo troppi impegni, amavo circondarmi di letterati di ogni tipo e artisti, questa cosa non andava tanto giù allo Zio, ma non m’importava più di tanto.
L’attico era al sedicesimo e diciassettesimo piano di un grattacielo molto moderno, le pareti erano quasi tutte a vetri tranne che per quelle delle due stanze da letto e dei quattro bagni che erano in rame antico verde acqua; vi erano tre salotti enormi, due al primo piano e uno al secondo, arredati con soffici divani di stoffa grigia e blu con vari cuscini, tavoli in legno battuto vintage e in alluminio, e alcuni quadri d’autore erano appesi alle pareti portanti. Una cucina gigantesca attrezzata con elettrodomestici ultramoderni, questi si che li sapevo usare. Era perfetta per me. Amavo cucinare, poteva sembrare strano, ma molti demoni adoravano praticare vari hobby “umani”.
Salii le scale sorseggiando un succo di mirtillo, trascinandomi dietro una busta con alcune cose per il giardinaggio, altro mio hobby, prima di arrivare a casa alla fine Lily mi aveva convinto a fare un po’ di compere e mi ero lasciata prendere un po’ troppo la mano. Enlil non ne sarebbe stato molto contento. Da quando ero arrivata ancora non l’avevo né visto né sentito, probabilmente era a fare qualche ricerca. Uscii nell’ampia terrazza coperta da una tenda panna e arredata anch’essa con comodi divanetti in vimini, bevvi un altro sorso di succo e poi lo posai sul tavolo di vetro al centro. Portandomi le mani sui fianchi ammirai il panorama che si presentava, una vista spettacolare del Tamigi al chiaro di luna e nessuna nube copriva la luna piena alta in cielo. Un leggero venticello fresco mi scompigliò i capelli e mi fece rabbrividire, mi ero dimenticata di mettermi qualcosa addosso. Abituata alle alte temperature dell’Inferno, ero uscita sulla terrazza in mutande e canottiera, ma poco importava di certo non mi sarei ammalata come un comune umano. M’inchinai davanti ai vasi vuoti intorno al cornicione meditando sulla missione che dovevo svolgere, ma il pensiero di quegli occhi che avevo incrociato oggi per strada non faceva altro che tornarmi in mente, erano identici ai suoi. Possibile che si trattasse di un suo discendente, pensavo di averli uccisi tutti…
Scossi la testa non poteva essere ed io dovevo concentrarmi su cose ben più importanti, con i pensieri in subbuglio, la voce di qualche ragazzo ubriaco che faceva eco tra i vari palazzi e la musica in lontananza di qualche pub continuai a piantare i vari fiori che avevo comprato.
“Sono le tre del mattino e tu sei qui a fare giardinaggio?” la voce acuta di Lily, mi scostò dai miei pensieri.
Cercai in tutti i modi di ignorare quella maledetta fata impicciona, ma lei continuava a parlare e parlare, e quel continuo rumore di battere le ali mi dava alla testa tanto da farmi innervosire.
“Fare giardinaggio mi rilassa e riesco a pensare meglio, inoltre se non te ne fossi accorta per me, non c’è molta differenza tra notte e giorno, sai da dove veniamo è sempre buio”
Lei alzò agli occhi al cielo, gesto che mi fece davvero irritare, se non si fosse trattato di lei l’avrei già fatta fuori, ma lasciai correre anche questa volta.
“Domani dovrai affrontare una giornata davvero pesante, qualche ora di sonno ti farebbe bene, Lucy” mi rimproverò lei, mettendosi davanti ai miei occhi con le mani sui fianchi.
 “Aspetterò che torni, Enlil e poi forse andrò a dormire” dissi, facendole segno di lasciarmi sola.
“Quanto sei testarda!”. Ovviamente non aveva ascoltato il mio suggerimento e continuava imperterrita a innervosirmi.
“Davvero, non riesco a comprendere perché ti ostini a non seguire i miei consigli, anche se sei un demone dormire ti fa bene e tu non dormi da giorni” disse agitando furiosamente le mani in aria.
“Io invece, non capisco perché ti ostini a rompermi le palle” replicai sprezzante, finendo di interrare una pianta di lavanda.
“Sorvolerò su queste tue parole offensive, come sempre, veramente Lucy, ormai tu devi superare questa cosa…”
Pregai con tutta me stessa che non finisse la frase perché altrimenti giurai che questa volta l’avrei ammazzata, ma come sapevo bene ormai, Nessuno ascoltava più le mie preghiere.
“Raziel non esiste più, Lucy, tutto questo rancore che ti porti dentro da secoli è ora che tu te lo lasci dietro le spalle e che finalmente dimentichi…”.
Non le diedi il tempo di finire di parlare, la mia pazienza aveva un limite e questa era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Scattai in piedi e afferrai il suo corpicino nella mia mano, stringendolo con forza e guardandola con la rabbia che mi scorreva nelle vene, risvegliando in me istinti sopiti da anni. Spiegai le mie ali nere come le notti più oscure con le piume all’estremità d’oro, la luna le illuminava ma esse non risplendevano più come una volta perché io non ero più io.
“Che cosa dovrei dimenticare, Lily? Dovrei dimenticare che Raziel, quel vile bastardo, mi ha quasi strappato il cuore dal petto, letteralmente, oppure che mi ha tradito, che ha tradito il nostro patto?” sputai fuori tutte quelle parole che mi tenevo nella gola da davvero troppo tempo, ma non era ancora abbastanza, non avevo ancora finito di sfogarmi.
Più Lily si dimenava nella mia mano, più io stringevo la presa su di lei, vidi le lacrime rigarle le guance opalescenti e la sentii chiedermi perdono, ma era troppo tardi. Tutti chiedevano perdono sempre troppo tardi.
“E no, mia cara Lily, lui esiste ancora ed io lo so, lo sento. Cerco di far finta che questo mio presentimento sia solo una paranoia, ma nel profondo so che Raziel esiste, che la sua anima è qui da qualche parte e so anche che la mia reclama, ancora dopo millenni, vendetta”.
Il mio cuore batteva all’impazzata contro la mia cassa toracica, quasi da farmi male, avevo il fiato corto dalla rabbia, mentre davanti ai miei occhi vedevo passare tutti i giorni che avevo trascorso con Raziel, le giornate passate a rincorrerci sull’erba, quelle trascorse a parlare, a leggere e quelle a rigirarci nudi fra le lenzuola. Lo rividi mentre scriveva quel suo dannato libro, ma soprattutto lo rividi mentre infilava la mano nel mio petto con gli occhi che sfavillavano di un bagliore differente dal Bene … il Male.
“Lily tu non sai niente di ciò che Raziel mi ha fatto e ha fatto a tutti noi, tu sei nata secoli dopo e non hai vissuto la distruzione cui hanno portato le sue scelte”.
Lily annuì vigorosamente, mentre le lacrime ancora le scendevano sul viso, nei suoi occhi leggevo la paura, ma anche compassione. Provava compassione per me?
Allentai la presa sul suo corpo, rendendomi conto solo in quel momento di quanto la stessi stringendo forte, respirava appena. La lasciai subito andare, indietreggiando sconvolta, Lily si strinse le braccia al petto guardandomi terrorizzata. Il mondo mi cadde addosso, mentre il senso di colpa occupava il posto dell’ira e iniziava a pesare sul mio petto, che cosa avevo fatto? Mi ero lasciata trasportare dalla rabbia e avevo quasi ucciso la mia unica amica.
Il mio corpo era scosso dai tremiti, mentre con voce flebile dissi: “Lily, perdonami… io…”.
Come sapevo bene però, si chiede perdono sempre troppo tardi.
La vidi scappare come un lampo all’interno della casa, le mie gambe vacillarono e sarei caduta per terra se non fosse che due braccia che conoscevo fin troppo bene, mi afferrarono per la vita e mi strinsero a sé per un abbraccio.
“Che combini sorellina?”
“Enlil …” piagnucolai, girandomi, affondando la testa sul suo petto coperto da una t-shirt nera aderente e stringendogli con forza le braccia intorno ai fianchi.
“Vorrei dimenticare tutto e vivere di nuovo”.
 
L’angolo dell’autrice
Salve a tutti,
questo è il primo capitolo della storia ed è diciamo
un’introduzione e più che altro viene presentata la protagonista.
Vengono presentati alcuni argomenti chiave che però verranno approfonditi nel corso della storia,
come del resto anche tutti gli altri personaggi.
Il secondo capitolo penso di pubblicarlo la prossima settimana,
detto sarei davvero felice di conoscere le vostre prime impressioni sulla storia,
mi farebbe davvero tanto ma tanto piacere.
Grazie mille in anticipo.
Baci, G.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***



“A volte è come se il dolore mi divorasse vivo.
 Ho sempre pensato che i momenti più duri sarebbero stati legati ai ricordi,
ma non è così. La cosa più dura è sentire la mancanza”
-Il mio cuore e altri buchi neri, Jasmine Warga
 
 
 
Fissai il soffitto, non avevo chiuso occhio né per quelle poche ore rimaste né dopo che Enlil era riuscito a calmarmi e aveva cercato di chiarire le cose tra me e Lily.
Quest’ultima non mi aveva più rivolto la parola in seguito alla nostra lite e non mi era neppure venuta a “svegliare” urlando con la sua voce stridula che stavo facendo tardi, come suo solito.
Scossi la testa alzandomi a sedere, mi sarei fatta perdonare, glielo dovevo.
Strascicai fuori dal letto matrimoniale guardandomi intorno e sospirai, dovevo ancora sistemare tutte le mie cose nell’armadio di legno scuro con la cabina nella mia nuova stanza e i libri nella grande libreria affianco alla finestra. Non sapevo per quanto mi sarei dovuta fermare in questo mondo, ma speravo il minor tempo possibile. Mi chiusi nel bagno che era collegato alla mia stanza, un’enorme vasca da bagno antica era posta vicino alla finestra, dai cui si poteva ammirare anche da lì il Tamigi, dall’altro lato c’era la doccia anch’essa molto spaziosa e i sanitari di fianco. M’infilai sotto il getto dell’acqua calda, ascoltando la musica ad alto volume dal cellulare e sbattei la testa sul freddo marmo azzurro, imprecando.
Odiavo lasciarmi trasportare dalle emozioni, non mi potevo permettere debolezze simili ma ciò che odiavo di più era il non sentir più niente, né sensi di colpa né rabbia. La mia anima era tornata a essere priva di sentimenti, vuota.
Ogni volta che le mie emozioni negative scomparivano, lasciando il posto a un peso opprimente sul mio petto, mi sembrava di morire. Ogni volta era come se lui mi uccidesse ancora e ancora.
Mi accasciai sul piano della doccia, stringendomi le ginocchia al petto mentre l’acqua bollente mi cadeva sulla schiena, arrossando la mia pelle bianca.
Secondo mio fratello, il problema era che mi sfogavo raramente, lasciavo che la rabbia e il rancore mi consumassero l’anima finché poi non riuscivo più a trattenerle e mi sfogavo sugli altri. Succedeva spesso che me la prendessi con chi mi stava intorno, per questo molti avevano paura di me ed evitavano di contraddirmi, ma per lo stesso motivo avevo molti nemici. Avvolte io stessa, stentavo a riconoscermi, chi ero io? Ero un angelo o un demone… o entrambi? Quando ero cambiata, quando ero diventata così?
Diedi un pugno al pavimento mordendomi il labbro, mi ponevo sempre le solite domande e mai una volta che riuscissi a trovare una sola risposta.
Sentii bussare alla porta e scattai in piedi, sbattendo la schiena contro il pomello della doccia, grugnii per il lieve dolore che avevo provato.
“Lucy, sbrigati che siamo già in ritardo!” esclamò Enlil dall’altra parte della porta con la sua voce bassa.
Sbuffai e uscii mal volentieri dalla doccia, mi asciugai in fretta con un asciugamano e uscii dal bagno, afferrai una gonna scozzese sul blu a pieghe ad alta vita, una maglietta senza maniche nera corta da una scatola e li indossai. Tornai in bagno e velocemente asciugai un po’ i capelli, lasciandoli però umidi, mi avvicinai al lavandino di marmo bianco con una grande cassettiera di fianco e uno specchio ben illuminato sopra di esso. Mi concentrai sui miei occhi, chiusi le palpebre e visualizzai un paio d’iridi azzurre nella mia mente, li riaprii qualche secondo dopo e i miei occhi cremisi erano scomparsi, lasciando il posto a un paio di iridi di un celeste innaturale, era il meglio che ero riuscita ad ottenere. Tracciai una spessa linea di eyeliner nero, completando il tutto con molto mascara.
Mi diedi un’ultima occhiata allo specchio, controllando che il tatuaggio dietro alla mia schiena fosse ben coperto e velocemente infilai le parigine nere e gli stivali del medesimo colore. Presi lo zaino rosso che probabilmente Enlil aveva posato sul mio letto, con alcuni quaderni dentro e un astuccio, m’infilai il giubbotto di jeans e prima di uscire dalla mia stanza afferrai il bracciale e l’anello fatti di un materiale molto simile al diamante nero terrestre, ma molto più resistente. Quelle erano le mie armi.
Scesi velocemente le scale e bevvi tutto d’un fiato il bicchiere stracolmo di latte freddo e afferrai il toast coperto di marmellata alle fragole dal tavolo della cucina.
“Sono pronta!” esclamai, dando un morso al toast.
“Era ora, siamo in ritardo” replicò Enlil, mentre usciva dalla sua stanza con uno zaino uguale al mio in spalla. Portava un paio di jeans che gli fasciavano aderenti le lunghe gambe e una camicia nera con i primi bottoni lasciati aperti, che faceva notare la sua pelle chiara e gli stringeva leggermente le braccia magre e faceva risaltare la poca muscolatura.
Gli feci un sorriso per scusarmi e lui alzò gli occhi al cielo, dandomi una leggera spinta sulla schiena incitandomi ad uscire.
“Non capisco proprio perché dobbiamo frequentare una scuola umana, infondo noi sappiamo tutto” brontolai, dando un altro morso al mio toast.
“Perché così daremo meno nell’occhio e perché in quella scuola succedo cose davvero molto interessanti su cui indagare” mi rispose e un sorriso obliquo gli increspò le labbra, contagiando anche me.
“Capisco”.
 Mi leccai le labbra e lancia un’ultima occhiata all’appartamento prima che Enlil chiudesse la porta, Lily era seduta su un cuscino sopra al divano in salotto, mentre svogliatamente faceva zapping tra i vari programmi che trasmettevano alla tv. Non si girò nemmeno una volta a guardarci.
“Ah, mi ero quasi dimenticato, questo è il tuo documento umano, me l’ha mandato ieri lo zio con un emissario” affermò Enlil, porgendomi una scheda di plastica rigida, su cui c’era scritto:
“Nome e Cognome: Lucy Underworld
Luogo di nascita: Londra
Data di nascita: 31/12/1994
Professione: studentessa”
 
“Certo che lo Zio ha davvero molta fantasia” commentai ironica, rileggendo la mia carta d’identità, sentendo mio fratello ridacchiare alle mie spalle.
Sussultammo udendo un tuono in lontananza, ci guardammo negli occhi per una frazione di secondi e poi scoppiammo a ridere.
“Qualcuno è permaloso”
Sentii gli occhi di Enlil addosso e alzai un sopracciglio, guardandolo confusa.
“La gonna non ti pare sia troppo corta” disse calmo, mentre ci avviavamo verso l’ascensore.
Per poco non mi piegai di nuovo in due dalle risate, era sempre stato un fratello iperprotettivo nei miei confronti.
“Non essere geloso, fratellone, so badare a me stessa” ammiccai verso di lui, che mi diede uno schiaffo affettuoso sul didietro, facendomi scoppiare a ridere.
 
Avevamo varcato l’ingresso del grosso edificio color panna solo da pochi minuti e già gli occhi di gran parte degli studenti erano puntati addosso a noi.
Non potevo biasimarli. Io e Enlil insieme avevamo sempre attirato molto l’attenzione, eravamo fratelli gemelli, perciò identici. Agli occhi di questi umani potevamo avere massimo diciotto anni ma irrealtà sulle nostre spalle pesavano più anni di qualunque essere umano su questo pianeta. Eravamo entrambi molto alti, io raggiungevo quasi il metro e ottanta mentre Enlil mi sovrastava di ben dieci centimetri. Entrambi eravamo molto magri, il fisico tonificato dai duri allenamenti cui ci sottoponevamo e dalle guerre che avevamo combattuto. La nostra pelle era bianca quasi quanto la porcellana e anche se avessimo passato una giornata sotto il sole, non si sarebbe abbronzata per niente. I nostri capelli erano del medesimo colore: bianchi come la luna piena che risplendeva la notte, erano leggermente mossi e mentre i miei erano lunghi quasi fino al sedere con la riga in mezzo, quelli di Enlil erano corti con la riga a sinistra, mentre qualche ciuffo ondulato gli copriva la fronte e le nostre iridi erano dello stesso colore scarlatto, ma entrambi in questo momento le avevamo azzurre. Anche le nostre labbra erano identiche la stessa tonalità di rosa le colorava e carnose al punto giusto.
Potevo leggere negli occhi stupiti di questi giovani umani che noi eravamo perfetti come degli angeli, ma quello che loro non potevano sapere era che noi eravamo angeli caduti.
Enlil teneva un braccio sulle mie spalle mentre camminavamo con aria sfacciata al centro del corridoio e con un ghigno soddisfatto sulle labbra, sentivo già i mormorii di alcuni gruppetti intorno a noi.
Alcuni si domandavano se noi due stessimo insieme e altri rispondevano che forse eravamo gemelli per la nostra somiglianza, alcune ragazze avevano iniziato fissare intensamente Enlil, e alcuni ragazzi facevano altrettanto con me.
Iniziai a guardarmi intorno, scorgendo le loro anime. Gran parte di loro sarebbe sicuramente finita all’Inferno se non avessero iniziato a percorrere la giusta via. M’immaginai la loro espressione stupefatta quando sarebbero morti e ad accoglierli avrebbero trovato me sulle sponde dello Stige. Sussurrai subito ad Enlil la mia fantasia e lui scoppiò a ridere, sovrastando i brusii che ci circondavano con la sua risata roca e allegra. Sorpresi un gruppo di ragazze a lanciargli delle occhiate che mi fecero rabbrividire, sembravano dei leoni che esaminavano la loro preda. Afferrai la mano di mio fratello e lo trascinai ai nostri armadietti, lui non era il solo a essere geloso. Non avrei permesso a nessuna umana di portarmi via il mio amato fratello. Lui era mio ed era l’unica persona che mi rimaneva.
“La mia sorellina è gelosa” rise, tirandomi verso di lui e lasciandomi un bacio sui capelli.
Non risposi e scrollai le spalle, Enlil alzò gli occhi al cielo e posò le sue cose nell’armadietto, mentre io facevo altrettanto copiando attentamente i suoi gesti. Io non avevo mai frequentato una scuola umana, mentre lui sì. Capitava spesso che lo Zio gli affidasse particolari missioni nel mondo di mezzo, essendo anche lui un Principe degli Inferi, e avvolte stava via per parecchio tempo. Io però, sapevo che Enlil non rifiutava mai un incarico nel mondo degli umani perché ne era segretamente affascinato e una parte di me voleva odiarlo per questo perché mi lasciava sempre da sola con me stessa, ma non ci sarei mai riuscita.
“Frequenteremo tutte le lezioni insieme, tranne quelle di biologia e fisica avanzata” disse, mentre mi porgeva un foglietto bianco con scritti gli orari delle lezioni, le classi in cui si svolgevano e una mappa della scuola.
“Cosa, perché non frequentiamo tutte le lezioni insieme?” domandai, guardandolo confusa e aggrottando la fronte.
“Perché a me non va di sorbirmi i corsi di letteratura avanzata e di arte, ai quali tu sei scritta e penso che per te la cosa sia la stessa per i corsi di fisica e biologia”
Mi morsi l’interno guancia indispettita, aveva ragione quel tipo di argomenti li trovavo noiosi e inutili, ma a lui piacevano. Guardai il mio orario e con gli occhi che mi luccicavano notai che avevo solo due ore a settimana di matematica, alzai lo sguardo e notai Enlil che mi fissava aspettandosi qualcosa.
“Che c’è?”
“Non dovresti dirmi qualcosa?”
Alzai gli occhi al cielo e sbuffando dissi: “Grazie fratellone”.
Lui annuì soddisfatto e mettendomi un braccio intorno alle spalle, ci avviammo all’aula di filosofia.
Entrammo nell’aula e gli occhi di tutti i presenti si posarono su di noi e nella stanza calò il silenzio, entrambi sorridemmo soddisfatti e la professoressa ci domandò: “Siete nuovi?”
Noi annuimmo e ci girammo verso la donna sulla trentina che ci guardava, portava i capelli scuri tagliati molto corti e un paio di occhiali dalla montatura nera sul naso, i suoi occhi erano scuri come i capelli. Non era molto alta e non aveva un fisico perfetto, ma qualcosa mi diceva che era una brava persona. Inclinai la testa di lato e la osservai meglio, la sua anima, un’aura intoro la sua figura, era quasi completamente pura, ne rimasi stupefatta. Ormai gli umani con un’anima così bella si potevano contare sulle dita.
“Allora benvenuti nella mia aula, io sono Miss Alex, l’insegnate di filosofia e storia” esclamò entusiasta, giungendo le mani davanti al petto.
“Presentatevi alla classe, sapete è molto raro avere nuovi studenti in questa scuola per questo gli alunni si conoscono un po’ tutti” aggiunse, facendo cenno di rivolgersi alla classe.
Sbuffai beccandomi un’occhiataccia da parte di Enlil, odiavo questo genere di cose non potevo farci niente.
“Io sono En Underworld”. Enlil si presentò per primo e quasi non scoppiai a ridere per il suo nome, lo Zio doveva essersi preso la rivincita per quella volta, sghignazzai guardando con la coda dell’occhio la sua espressione seccata.
Volsi lo sguardo alla classe, che mi stava fissando curiosa di sapere il mio nome, li esaminai uno per uno.
“Io sono…” le parole mi morirono in gola quando incrociai un paio d’iridi verdi luminose e misteriose allo stesso tempo, incorniciate da lunghe e folte ciglia, che mi guardavano con circospezione come se volessero leggermi l’anima.
Non avevo dubbi erano gli occhi che avevo incrociato il giorno prima, erano gli occhi di Raziel, erano i suoi. Il mio cuore ebbe un sussulto e indietreggiai improvvisamente terrorizzata.
Era venuto per finire ciò che aveva iniziato secoli orsono?
Sentii la voce della professoressa in lontananza che mi chiedeva se mi sentivo male e avvertii Enlil afferrarmi il braccio e scuotermi leggermente guardandomi preoccupato. Scossi la testa e ripresi a respirare normalmente.
“Sto bene…” dissi in un sussurro, sbattendo un paio di volte le palpebre sperando di essermi immaginata tutto, ma non fu così. Quegli occhi mi stavano ancora fissando.
“Sicura, sei molto pallida” affermò la professoressa in tono preoccupato, avvicinandosi. Non potei fare a mano di sorridere, aveva un’anima così pura.
Annuii mentre Enlil si affrettava a inventare una scusa al mio posto: “Sta notte abbiamo fatto tardi per il trasloco e beh siamo abbastanza stanchi”.
“Si… Ho avuto un capogiro” aggiunsi, guardandomi le scarpe fingendomi intimidita.
Miss Alex annuì comprensiva e m’incitò a continuare, le annuii sorridente e cercai di non incrociare di nuovo quegli occhi.
“Scusate, io sono Lucy Underworld” mi presentai, sorridendo angelica alla classe.
“Che cognome singolare…” commentò in un bisbiglio una voce maschile dal fondo della classe, probabilmente solo io ed Enlil la udimmo per via dei nostri sensi amplificati. Deglutii e cercando chi avesse parlato.
“Quindi siete fratelli?” domandò una voce acuta da uno dei banchi.
“Emily, non avevo dato il permesso di fare domande!” la rimproverò la professoressa, ma la ragazza sembrava non conoscere le buone maniere, poiché parlò nuovamente senza permesso: “Prof, siamo tutti curiosi di sapere più cose sui nuovi arrivati, come ha detto anche lei, è raro vedere nuovi studenti da queste parti”.
Guardai la ragazza che aveva una voce tanto acuta darmi davvero ai nervi, aveva i capelli biondi palesemente tinti e gli occhi di un celeste molto chiaro, era truccata con un ombretto turchese, una linea fina di eyeliner e sulle labbra portava un rossetto rosa chiaro. Io sapevo fare di meglio.
L’anima di quella ragazza era quasi nera come la pece, brutto segno signorina io starei attentata.
Notai che non la smetteva di lanciare occhiate maliziose a mio fratello e la cosa cominciava a darmi fastidio, strinsi i pugni e ispirai ed espirai. Non potevo fare una scenata di fronte a tutte quelle persone e soprattutto non dopo la figuraccia che avevo appena fatto.
Mi morsi il labbro irrequieta e notai vari sguardi davvero poco carini che mi lanciarono alcuni ragazzi, mi avvicinai a mio fratello e gli afferrai il mignolo con la mano, stringendolo leggermente. Lui mi rivolse un sorriso e mi accarezzo delicatamente la mano tranquillizzandomi. Gli umani non mi piacevano per niente.
Miss Alex sospirò e ci ricolse un sorriso tirato: “Non vi dispiace rispondere alle loro domande, così la classe avrà la possibilità di conoscervi meglio”.
“Certo, non ci sono problemi, mi pare normale essere curiosi” replicò Enlil sorridendo, e giurerei di aver sentito qualche ragazza sospirare.
Lo guardai male e gli strattonai la mano, lui calmo mi rivolse un sorriso furbo e mi fece l’occhiolino.
“Siete molto legati” commentò Miss Alex, guardandoci.
“Sì, ne abbiamo passate tante insieme” replicai senza pensarci, mordendomi il labbro subito dopo, perché non imparavo a controllare la mia boccaccia?
“Oh”
“Allora siete fratelli o no?” s’intromise spazientita Emily.
La guardai male e desiderai darle un pugno sul mento, ma mi trattenni.
“Siamo gemelli” rispose Enlil stranamente troppo calmo per i miei gusti, ma poi mi decisi a seppellire dentro di me la rabbia e di tirar fuori di nuovo quell’atteggiamento distaccato e arrogante.
Mi spostai con una mano i capelli dalla spalla e ghignando dissi: “Mi sembra abbastanza palese”. Emily mi scoccò un’occhiataccia, mi sa che stavo per farmi un’altra nemica.
“Abbiamo lo stesso cognome e siamo identici, stesso colore di occhi, stesso colore di capelli e sottolineerei che sono naturali” aggiunsi inclinando la testa di lato e sorridendo ostile.
Alcuni compagni iniziarono a ridere sotto i baffi, mentre Emily diventava rossa per la vergogna e lanciava occhiatacce in giro per la classe.
“Lucy!” mi richiamò Enlil fra i denti, facendomi capire dal suo sguardo che mi ero comportata male, sbattei le ciglia qualche volta e poi alzai le spalle con non curanza, mentre lui alzava gli occhi al cielo per l’ennesima volta.
“Beh qualcuno ha qualche altra domanda?” chiese Miss Alex, sbattendo la mano sulla cattedra per richiamare l’attenzione.
Un braccio tatuato si alzò da uno dei banchi infondo, deglutii a fatica mentre facevo scendere lo sguardo dal suo braccio al suo viso. Alcune ciocche di capelli castani erano tirate indietro con poco gel creando un ciuffo sul davanti, mentre gli altri erano lasciati liberi di formare i ricci vicino alle tempie. Il viso era squadrato, la mascella ben definita e aveva un accenno di barba sopra la bocca carnosa incurvata in ghigno, che lascava trapelare arroganza e una gran quantità di sicurezza.
Alla fine incrociai, di nuovo, i suoi occhi verdi come i freschi prati bagnati di rugiada e illuminati dalle prime luci del sole.
Sospirai e scrollai le spalle mentre aspettavo che mi saltasse alla gola per uccidermi proprio come avrebbe dovuto fare Raziel, ma non accadde. Almeno non ancora.
“Allora parla, Harry” lo esortò la professoressa e il ragazzo annuì.
“Volevo sapere che cosa fanno nel tempo libero i nostri nuovi compagni” la sua voce mi fece tremare, era così roca e profonda, proprio come la sua.
Subito dopo un brivido mi corse la spina dorsale, e un brutto presentimento iniziò a pesarmi sulle spalle.
Guardai la sua anima e ciò che vidi, non mi piacque per niente, era di un viola intenso che metteva i brividi. Guardai con la coda dell’occhio Enlil che si affrettava a rispondere sempre con la sua solita fermezza: “Andiamo in palestra insieme quasi tutti i pomeriggi oppure andiamo a correre e ci occupiamo insieme del giardino. Io inoltre, amo le scienze e quando ho tempo libero studio biologia, poi esco davvero molto spesso, infatti, la mia sorellina si lamenta sempre e quando sto in casa gioco alla Playstation” rise, ammiccando verso di me ed io alzai gli occhi al cielo quello che aveva detto era tutto vero, tralasciando qualche dettaglio.
“Mentre Lucy è totalmente il contrario di me, preferisce stare rintanata nella sua stanza a leggere, ama la letteratura, sta spesso sui fornelli e ama l’arte, la nostra casa è piena di quadri e libri in sostanza, ah e non dimentichiamo il suo hobby preferito, prosciugare il conto in banca” continuò mettendomi un braccio intorno alle spalle e la classe scoppiò a ridere.
Alzai di nuovo gli occhi al cielo, come se noi avessimo un conto in banca, i nostri soldi erano illimitati.
Guardai un’ultima volta nella direzione di Harry e notai che il suo ghigno non era sparito, non aveva creduto alle sue parole, quel presentimento riaffiorò all’istante e guardai Enlil cercando di capire se non stessi impazzando, ma dal rapido scambio di sguardi che seguì intuii che anche lui aveva avuto la stessa sensazione.
Harry era un cacciatore.
 
L’angolino dell’autrice
Salve a tutti,
come state? Spero bene J
Comunque questo è il secondo capitolo della mia storia
e fa il suo ingresso il secondo protagonista della storia,
Harry Styles!
Beh, sinceramente non so che altro dire e
ringrazio tutti coloro che hanno messo tra le seguite/preferite/ricordate la storia,
Grazie di cuore e se vi va fatemi sapere che ne pensate della storia con una recensione!
Il vostro parere è importante!
Baci G.
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 

“‘Cause, darling,
I’m a nightmare dressed like a daydream.”
-Blank Space, Taylor Swift
 
In seguito quel che rimaneva dell’ora passò tranquillamente, con l’unica pecca che fui costretta a sedermi davanti al cacciatore, mentre Enlil era alla sua destra, e passare l’intera lezione con i suoi occhi puntati sulla mia schiena non fu molto rilassante.
Sudavo freddo e non per paura che lui potesse farmi del male, ero sicura di poterlo fare fuori, ma per paura che facesse qualcosa per indurmi ad attaccarlo e infrangere così le Regole, non ero molto brava a trattenermi.
Appena suonò la campanella scappai letteralmente fuori dalla classe, senza aspettare Enlil, che mi raggiunse in batter d’occhio vicino ai nostri armadietti. Mi appoggiai con la spalla sull’armadietto e cercai di calmarmi dall’affanno.  
“È un cacciatore” esordì Enlil, guardando dietro le mie spalle. Lentamente mi girai a guardare il punto che lui fissava. Il cacciatore era lì, vicino a un armadietto mentre afferrava un libro e ricambiava i saluti di vari studenti finché un ragazzo più basso di lui gli diede una pacca sulla spalla, che lui ricambiò subito e insieme si avviarono verso un’aula.
Anche visto da così lontano era bello da mozzare il fiato, era alto quanto Enlil e con un fisico tonico e snello, probabilmente dovuto ai duri allenamenti cui si sottoponevano tutti i cacciatori, messo in risalto dai jeans neri aderenti e dalla camicia dello stesso colore chiusa fino al collo, cui era annodata con un nodo lento una cravatta a righe rosse e nere. Le maniche erano arrotolate fino ai gomiti, mostrando gli avambracci muscolosi, di cui uno di essi era coperto di tatuaggi.
Era davvero un bellissimo esemplare di essere umano, proprio come la gran parte dei cacciatori.
“È Raziel…” dissi senza rendermene conto, come se fossi in una sorta di trans.
“Non metterti a sparare cazzate, Raziel non esiste più” ringhiò Enlil arrabbiato, sbattendo l’anta dell’armadietto dopo aver afferrato un libro.
Sussultai e mi girai di scattò verso di lui, guardandolo di traverso: “Che diavolo ti prende!”
“Che cazzo prende a te!” replicò afferrandomi il braccio e trascinandomi verso l’aula dove si sarebbe tenuta l’ora d’inglese.
“Quello è un cacciatore e l’ho visto più volte all’opera, è senza pietà, e tu devi stargli lontana”.
Lo guardai con la coda dell’occhio rimanendo in silenzio, aveva il viso contratto in smorfia di rabbia e… e preoccupazione, pensava davvero che potessi avvicinami a un cacciatore senza l’intento di ucciderlo, a meno che…
“Enlil, hai visto qualcosa nel futuro che mi riguarda?” domandai stringendo una mano intorno al suo braccio, ma non ottenni nessuna risposta solo una sua occhiata fugace, che mi bastò. Non feci più nessuna domanda.
 
Fino all’ora di pranzo tutto trascorse tranquillo, con Enlil avevamo individuato altri tre o quattro cacciatori, ma nessuno mi intimoriva come Harry.
Eravamo seduti nel giardino interno alla scuola e non avevo toccato ancora cibo, l’ansia mi stava divorando e avevo lo stomaco chiuso, mentre Enlil si era già spazzolato due piatti di pasta al forno.
“Non mangi?” mi chiese Enlil con un sopracciglio alzato.
Scossi la testa e allontanai il vassoio da me: “Ho lo stomaco chiuso”.
“Dai non preoccuparti per quei cacciatori, ce la caveremo come sempre” replicò bevendo un sorso d’acqua dalla bottiglietta.
Sbuffai e non replicai, notando un gruppo di tre ragazzi che si avvicinava, sperai che non ci rompessero le scatole. Avevo già i nervi a fior di pelle.
Erano due ragazze e un ragazzo, che ci fissavano intimiditi, Enlil gli sorrise cordialmente mentre io continuavo semplicemente a osservarli.
“Vi serve qualcosa?” chiese mio fratello garbato.
La ragazza minuta dai capelli rossi e ricci, con gli occhi leggermente a mandorla marroni si fece avanti: “Pensavamo che essendo nuovi di qui vi potesse servire una mano”.
Diedi una sbirciata alla sua anima e notai che era un semplice essere umano, una sensazione di sollievo m’invase il petto. Continua a esaminarla attentamente, portava una minigonna di jeans scura e una camicetta celeste con i primi bottoni sbottonati da cui s’intravedeva il reggiseno di pizzo blu, portava sicuramente una terza o forse una quarta… mi morsi l’interno guancia gelosa, io portavo una seconda scarsa.
“Non abbiamo bisogno di nessun aiuto” risposi seccata, torturando il cibo con la forchetta.
La rossa sobbalzò e la ragazza mora alle sue spalle mi guardò accigliata afferrando il braccio dell’amica, ma mentre stavano per andarsene Enlil le fermò.
“Scusate mia sorella, non voleva. È che siamo sempre stati solo noi due e non ha mai avuto tanti amici, quindi non è brava a interagire con gli sconosciuti, un po’ mi prendo la colpa l’ho sempre protetta troppo”.
Lo guardai indignata, mentre l’altra ragazza si metteva di fronte a noi con le mani sui fianchi, era più alta dell’amica, ma non mi superava, era snella e aveva i capelli lisci e castani, gli occhi grandi e blu come le profondità dell’oceano, degli occhi davvero magnetici.
Era vestita in modo molto semplice, portava un normale paio di jeans e una felpa blu scuro, che non sembrava sua.
“Dovresti imparare le buone maniere a tua sorella” disse guardando Enlil negli occhi, senza la minima traccia di paura nel suo sguardo.
Scattai in piedi, come si permetteva di darmi della maleducata!
“Brutta stronza…”, Enlil mi afferrò per il braccio e con uno strattone mi fece tornare seduta, lo guardai sbalordita, ma era impazzito?
“Lucy, sta zitta” ringhiò stringendomi il braccio, facendomi quasi male e poi con un sorriso si rivolse alla ragazza di fronte a noi: “Hai ragione, scusatela. Se volete potete accomodarvi con noi”.
Se non fossimo stati in luogo pieno di studenti e non avessi già attirato abbastanza l’attenzione, gli avrei spaccato il setto nasale, feci per andarmene ma lui mi tenne il braccio stretto intimandomi con lo sguardo di rimanere seduta. I tre ragazzi si sedettero vicino a noi, ed io lanciai un’occhiataccia ad Enlil che mi mollò subito il braccio.
Iniziarono a chiacchierare come se fossero vecchi amici, io non aprii bocca nemmeno una volta continuavo a guardare fissa il mio piatto, lo stomaco brontolò e mi costrinsi a mangiare l’unica cosa invitante sul vassoio; la frutta che avevo preso alla mensa sembrava buona ed io amavo la frutta.
Addentai la mela, mentre guardavo mio fratello, non potevo crederci che mi avesse umiliato in quel modo davanti a quei semplici umani. Sentendosi osservato Enlil si girò e mi guardò, strinsi gli occhi e gli rivolsi uno sguardo offeso, lui sospirò e riprese a parlare con la ragazza castana. Mi stava ignorando? Che bastardo.
“Lucy, giusto? Io sono Louis” disse il ragazzo seduto alla mia sinistra porgendomi la mano.
Guardai prima la sua mano, poi i suoi occhi azzurri e infine di nuovo la sua mano, lui sembrò capire e la ritirò subito.
“Abbiamo sentito che hai fatto stare zitta Emily” aggiunse, sorridendo divertito.
Inclinai la testa di lato, non capendo cosa ci fosse di divertente: “Sì”.
“Beh, ti sei fatta nemica la ragazza più popolare della scuola. Comunque io sono Abby” commentò la ragazza castana, sorridendomi gentilmente.
“Okay.” Non m’interessava più di tanto avevo nemici più pericolosi.
 “Renderà il tuo ultimo anno di liceo un inferno, io sono Su” aggiunse la rossa. Un ghigno m’increspò le labbra, io all’inferno ci vivevo.
“So difendermi” risposi, alzando le spalle mentre la campanella segnava la fine dalla pausa pranzo.
Ci alzammo da terra ed io seguii mio fratello per buttare i rifiuti nella pattumiera, gli sfiorai la spalla con la mia e lo guardai in cagnesco: “Non ti azzardare mai più a fare una cosa del genere, altrimenti…”.
“Altrimenti che fai mi spedisci a marcire nelle profondità del Tartaro?” replicò lui in tono ironico, facendomi innervosire.
“Ehi ragazzi, allora domani pranziamo insieme, siete i benvenuti al nostro tavolo” ci informò Su sorridendo gentilmente. Enlil ricambiò il sorriso e annuì, io la ignorai troppo concentrata a guardare male mio fratello.
“Ci vediamo a qualche lezione” salutò Louis, avviandosi con Su all’interno della scuola.
Vidi Abby e Enlil guardarsi negli occhi davvero troppo intensamente, che diamine stava succedendo? Mio fratello continuava a ignorarmi, faceva così solo quando era arrabbiato con me, che avevo fatto sta volta?
“En, allora andiamo?” chiese la castana, facendogli segno di seguirla.
“Dove vai?” domandai stringendo le cinghie dello zaino fino a farmi diventare nocchie bianche.
“Adesso io ho biologia e tu hai letteratura, Abby ed io frequentiamo la stessa lezione” replicò lui sorridendo alla ragazza. Non mi aveva degnato di uno sguardo.
“Che cazzo ti ho fatto?” quasi urlai fuori di me, non potevo sopportare che lui m’ignorasse per una stupida umana.
“Anzi non mi rivolgere più la parola stronzo e vai a farti fottere!” aggiunsi sbattendo il piede per terra con troppa forza da creare delle piccole crepe sul pavimento.
Girai i tacchi e me ne andai a passo spedito, lasciandolo là che mi fissava insieme alla sua nuova amica. Fanculo, mi ero di nuovo lasciata prendere dalla rabbia, ma non potevo farci niente odiavo quando Enlil si comportava così. Soprattutto m’infastidiva che lui preferisse un’umana a me, sua sorella gemella, quella con cui ha combattuto a fianco a fianco fin dalla nascita. Mi morsi il labbro, mentre, camminando, rovistavo nello zaino alla ricerca dell’orario con la mappa della scuola, non sapevo dove si trovasse quella fottuta aula.
Quando lo trovai per poco non saltai dalla gioia, lessi velocemente dove si trovava la mia aula per quelle due ore e la raggiunsi in breve tempo. Spalancai la porta ed entrai ad ampie falcate, mi scostai i capelli dalla spalla e mi fermai vicino alla cattedra.
“Scusi non riuscivo a trovare l’aula, sono nuova” mi giustificai per il ritardo.
La stanza si riempì di brusii, le voci correvano velocemente in quella scuola sembravano tutti sapere bene chi ero per via della faccenda di Emily, sorrisi entusiasta. La professoressa abbastanza in sovrappeso, seduta davanti alla cattedra sbatté la mano sul tavolo per riportare il silenzio nella classe.
Si girò verso di me e mi scrutò da sotto gli occhiali con i suoi occhi verde chiaro e si presentò: “Io sono Miss Valéry, l’insegnante di letteratura avanzata e tu sei?”
“Lucy. Lucy Underworld”.
Tra le insegnanti di quella scuola andava di moda portare i capelli corti? Riflettei trattenendo una risata, anche Miss Valéry come Miss Alex portava i capelli ricci tagliati a caschetto anche se poco più lunghi, ma lei non aveva un’anima pura come l’insegnate di filosofia.
“Bene, Signorina Underworld, per sua grande fortuna si è aggiudicata il posto vicino a Styles”. Mi girai a guardare il posto che mi aveva indicato e sgranai gli occhi, già ero proprio fortunata. Strinsi le cinghie dello zaino e mi avvicinai al mio nuovo banco, dove il mio compagno mi aspettava con un ghigno stampato in faccia. Gli avrei volentieri spaccato quel bel viso a suon di pugni.
Buttai lo zaino e mi sedetti composta sulla sedia, spostandomi i capelli dietro le spalle cercando di ignorare il meraviglioso ragazzo dagli occhi verdi seduto al mio fianco.
Presi un quaderno dello zaino e feci finta di prestare attenzione, se solo la professoressa avesse saputo che con gran parte dei poeti che lei ammirava, io ci bevevo un thè insieme. Sbuffai stare in questo mondo si proiettava essere piuttosto noioso, volevo tornare a casa mia, alla mia normale routine.
“Nervosa, bambolina?” mi girai di scatto verso il cacciatore al mio fianco e il mio cuore perse un battito. Se ne stava lì con la guancia appoggiata al palmo della mano mentre si rigirava una mia ciocca di capelli tra le dita e mi guardava intensamente.
Scossi la testa, dovevo riprendermi. Gli levai i capelli dalle dita e lo guardai alzando un sopracciglio: “Come scusa?”
“Ho detto, nervosa bambolina?” rispose lui, con un ghigno sfacciato sul volto. Quanto avrei voluto… ah dovevo controllarmi, inclinai la testa di lato e seccata replicai: “Avevo sentito, ma primo non chiamarmi mai più bambolina, secondo non toccare mai più i miei capelli e terzo non rivolgermi più la parola”.
“Oh, sei proprio irascibile” ridacchiò lui, continuando a guardarmi.
Feci appello a tutta la mia forza di volontà per ignorarlo, non dovevo cadere nella sua trappola. Lui era un cacciatore ed io un demone. Lui era stato creato per uccidermi.
“Appena Emily lo verrà a sapere, te la farà pagare” sussurrò la ragazza bionda seduta di fronte a me, guardandomi turbata da sotto gli occhiali.
Ma che diavolo aveva di strano ‘sta gente? La guardai perplessa e poi alzai le spalle, questa Emily non mi faceva paura.
“Non m’interessa”
“Hai appena toccato la sua proprietà privata” aggiunse indicandomi Harry al mio fianco e tornando poi, a prestare attenzione alla lezione.
Guardai il cacciatore accigliata e lui alzo le spalle svogliatamente.
 “Mi considera di sua proprietà, è una lunga storia” spiegò lui, prima di concentrarsi veramente sulla lezione con mio grande stupore.
Per le due ore che seguirono, Harry non faceva altro che prendere appunti su appunti, aveva riempito quasi tre pagine sulla biografia di Milton.
Il ragazzo sembrava seriamente interessato all’argomento che Miss Valéry stava spiegando con tanta passione.
Mentre scriveva notai il tatuaggio sulla sua mano sinistra, due segmenti neri di diversa misura che s’intersecavano formando una croce latina attraversata da altri due segmenti rossi molto più fini e che uscivano di poco da quelli neri, due ali d’angelo nere partivano dal punto di intersezione dei due segmenti e arrivavano fino alla fine della croce.
Harry non era un semplice cacciatore, apparteneva Sommo Ordine. L’ordine che discendeva dai templari e che era addestrato a uccidere gli Antichi. Gli Antichi come me. Merda.
La campanella suonò e segnò così la fine della mia prima giornata scolastica, raccolsi tutte le mie cose e uscii a passo veloce dall’aula. Mi diressi al mio armadietto per posare i libri che non mi sarebbero serviti e vidi Enlil che mi aspettava spazientito vicino a esso. Lo ignorai e presi il giubbotto di jeans dall’armadietto, lo guardai con la coda dell’occhio e lo osservai spostare il peso da una gamba all’altra nervosamente, mentre si guardava intorno preoccupato come se stesse aspettando qualcuno.
Probabilmente attendeva Abby.
Sbattei l’anta dell’armadietto, avviandomi verso l’uscita senza preoccuparmi se lui mi seguisse o no, potevo benissimo tornare a casa da sola.
Sentii un tuonò in lontananza, questa volta non si trattava dello Zio, stava per scoppiare un temporale con i fiocchi. Perfetto.
Mi guardai intorno gli studenti erano quasi tutti usciti di corsa dalla scuola per paura di prendere la pioggia, a me i temporali non dispiacevano affatto. Da dove venivo, non si vedevano mai e la pioggia era una delle poche cose che mi mancava dei giorni passati nell’Eden.
Non mi voltai a guardarmi le spalle, avvertendo una presenza dietro di me pensando che si trattasse di Enlil. Grande errore. Neanche un secondo dopo ero bloccata con il viso e il petto premuti contro i freddi armadietti di metallo, le braccia tenute strette dietro la schiena da una presa solda. Grugnii irritata cercando di liberarmi, ma dov’era Enlil quando serviva?
Più mi muovevo però, più la presa sui miei polsi aumentava e più ero schiacciata contro gli armadietti.
Imprecai, quando vidi il tatuaggio sulla mano sinistra appoggiata di fianco al mio viso. Ero nei guai.
“So benissimo chi sei, bambolina” sussurrò al mio orecchio con voce rauca.
I suoi capelli mi solleticarono il collo e il suo profumo m’invase le narici, era una fragranza che non riuscivo a riconoscere abituata com’ero all’odore nauseate di zolfo, ma era tremendamente buona. Eravamo troppo vicini, sentivo il suo corpo premuto contro il mio e un brivido di eccitazione mi corse lungo la schiena. Maledizione, dovevo togliermi dalla testa quelle fantasie davvero poco caste! Uno strano calore m’invase il corpo e avvertivo le guance avvampare. Che diamine mi prendeva? Non stavo mica provando imbarazzando?
“Wow, allora sei più intelligente di quello che sembra” replicai sarcastica, cercando di nuovo di liberarmi.
Mi tirò per i polsi facendomi distanziare qualche centimetro dagli armadietti e dopo mi ci sbatté contro con violenza. Mi morsi il labbro trattenendo un gemito di dolore, era davvero forte.
“Non sto più scherzando, demone, questo era un avvertimento” sussurrò, tirandomi i capelli con la mano libera.
La rabbia iniziò a ribollirmi nel sangue, strinsi i denti cercando di trattenermi mentre sentivo una vocina nella mia testa che mi mormorava di farso a pezzi. Brutto segno.
“Tu, non sai contro chi ti stai mettendo, bastardo” ringhiai a denti stretti, stringendo i pugni.
La sua presa aumentò e voltandomi, incrociai il suo sguardo sicuro, un ghigno gli arricciava le labbra carnose: “Oh si che lo so, tu sei un Antico, anche se non ho mai visto un’esemplare femmina, lo percepisco. Tu, non sei un comune demone”.
Sogghignai, io ero l’unico demone antico femmina di tutto l’Inferno e il cacciatore di fronte a me non aveva idea di chi io fossi veramente. Poteva cercarmi in tutti i libri sui demoni che le biblioteche dei cacciatori possedevano, ma non mi avrebbe mai trovato; nessuno aveva mai scritto o immaginato che Lucifero fosse una donna, gli esseri umani erano troppo sicuri della superiorità dell’uomo, ma nel nostro mondo non esistevano distinzioni di sesso, ma solo tra forti e deboli, ed io ero la più forte.
“Tu non hai la minima idea di chi io sia veramente”.
Vidi il suo sguardo sicuro vacillare e sorrisi entusiasta. Subito si riprese, ma il suo ghigno era sparito: “Non m’interessa chi tu sia veramente, a me basta sapere che tu sei un demone e appena farai un passo falso… ti ucciderò”
Ci girammo di scatto verso il corridoio, dei passi spediti rimbombavano in lontananza, mi lasciò i polsi e si avviò verso l’uscita della scuola.
Si girò un’ultima volta e incrociò i suoi occhi con i miei, fui scossa da un tremito di sgomento, nei suoi occhi non c’era traccia di emozioni.
“Terrò d’occhio sia te che tuo fratello” disse prima di sparire oltre le porte di vetro.
Mi toccai i polsi doloranti e raccolsi lo zaino che mi era scivolato dalla spalla, imprecai e mi avviai verso l’uscita.
“Cazzo, ti ha fatto qualcosa?” strillò mio fratello dietro di me, correndomi incontro.
Scossi la testa, senza aprire bocca, un brutto presentimento mi fece accapponare la pelle, non ci avrebbe tenuto d’occhio solo a scuola. Come avremmo fatto con la missione?
Abbassai lo sguardo ai miei polsi, erano arrossati e notai piccoli tagli su uno di essi, mi aveva infilato le unghie nella carne? Non me n’ero nemmeno accorta.
Enlil mi prese le mani tra le sue e con i pollici me le accarezzò delicatamente.
“Lo sapevo che sarebbe successo e ti stavo per raggiungere, ma la preside mi ha fermato e…” cercò di scusarsi, ma con gesto fulmineo mi divincolai dalla sua presa e indietreggiai, ero ancora arrabbiata con lui e non poteva importarmene di meno di quelle ferite, si sarebbero rimarginate in massimo due minuti senza lasciare il minimo segno e anche il problema del cacciatore era passato in secondo piano in quel momento, ero abituata alle minacce e non avevo paura.
“Ti ho detto di non rivolgermi la parola, torna da quella tua stupida amichetta” mormorai irritata, sistemandomi lo zaino sulla schiena.
“Sei ancora arrabbiata?” domandò lui, affiancandomi.
Non risposi e lo sentii sospirare sconsolato, il guaio l’aveva fatto lui e adesso doveva risolverlo.
Ci incamminammo in silenzio verso casa, la pioggia ci bagnava i vestiti e il viso, ma noi non importava. La gente attorno correva in cerca di un riparo o si affrettava ad aprire gli ombrelli, le macchine sfrecciavano senza sosta di fianco a noi e in quel momento pensai che dovessimo assolutamente comprarci una macchina.
 
L’angolo dell’autrice
Salve a tutti!
Innanzitutto Buona Pasqua,
visto che mi trovo senza far niente ho deciso di aggiornare la storia!
Fatemi sapere che ne pensate e magari lasciatemi una recensione,
ma anche piccola piccola!
Ancora tanti auguri di Buona Pasqua
e grazie a tutti quanti hanno letto la mia storia!
Baci.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***



“La follia, mio signore, come il sole se ne va passeggiando per il mondo,
 e non c’è luogo dove non risplenda.”
-Shakespeare
 
Tornati a casa, ci chiudemmo ognuno nella propria stanza senza fiatare, ma sapevamo entrambi che presto avremmo dovuto affrontare l’oscurità insieme. Mi tolsi velocemente i vestiti bagnati e infilai la maglietta nera del concerto dei Thirty Second to Mars, legai i capelli umidi in una coda e sbuffai buttandomi sul letto.
Erano solo le cinque del pomeriggio e il sole avrebbe iniziato tramontato verso le sette e mezza, avevo tutto il tempo per rilassarmi prima di andare a caccia. Accesi la tv su un canale di musica e presi la copia dell’ultimo romanzo fantasy che stavo leggendo, avrei preferito leggere per l’ennesima volta l’Amleto di Shakespeare, ma decisi di rimanere su qualcosa di più leggero. La mia testa era già sommersa da troppi pensieri.
Iniziai a leggere le prime righe del capitolo, concentrandomi a fatica, i miei pensieri vagavano sull'evento accaduto di poco prima, qual maledetto cacciatore mi aveva sbattuto contro un cavolo di armadietto ed io glielo avevo lasciato fare. Avrei dovuto riempirlo di botte invece di lasciargli fare i suoi comodi e permettergli di minacciarmi.
Un brivido mi scosse e deglutii, il solo ricordo del suo corpo contro il mio mi faceva andare a fuoco le guance. Aveva davvero una forza pazzesca e… Dio aveva delle mani così belle! 
Per non parlare di quella bocca o di quegli occhi. Quegli occhi erano così simili ai giardini del Paradiso che ogni volta che li avevo incrociati mi era parso di correre di nuovo fra i prati perfetti dell’Eden e mi diffondevano una sensazione di profonda sicurezza che mi scaldava quasi il cuore. Mi morsi il labbro inferiore con così tanta forza che sentii il sapore del sangue, che mi stava succedendo? L’ultima volta che avevo provato sensazioni simili era stato con Raziel…
Scossi la testa, sicuramente il nervosismo che fosse un cacciatore mi aveva fatto fraintendere le mie emozioni, non poteva essere che quello che provassi fosse qualcosa di così vagamente vicino all’amore. Non poteva assolutamente essere. I demoni, come gli angeli, s’innamorano una volta sola durante la loro vita e il loro amore dura per l’eternità. Ed io già ci ero passata secoli prima…
Il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva, mi fece tornare alla realtà. Guardai l’orologio mancava ancora un’ora al crepuscolo, Enlil era uscito stranamente presto.
“Maledizione!” sbottai, schiaffeggiandomi la fronte. Mi ero completamente dimenticata che dovevo trovare il modo di farmi perdonare da Lily.
Chiusi il libro e spensi la tv, mi affacciai dalla porta il mio corridoio era vuoto e illuminato solamente dalla luce gialla-arancione del tramonto, la notte era vicina.
Scesi silenziosamente le scale, dalla stanza di Lily al primo piano si sentiva rimbombare Justin Bieber al massimo volume, brutto segno era davvero molto arrabbiata. Entrai in cucina e spalancai il frigorifero, sperando che ci fossero tutti gli ingredienti per preparare una bella cheesecake ai mirtilli, la sua torta preferita. Sorrisi, ovviamente c’era tutto, sicuramente era stato Enlil. Avrei fatto pace anche con lui appena l’avrei visto, il mio adorato fratellone non meritava di essere trattato così.
Canticchiando Sorry, cominciai a preparare la torta per la mia fatina preferita.
Alle sette precise, misi la torta decorata in frigo e corsi di sopra a cambiarmi per uscire, m’infilai un paio di pantaloni di pelle e gli stivali neri con il tacco, lasciai la maglia dei Thirty Second to Mars e m’infialai il blazer di pelle. Andai di fronte allo specchio e mi sistemai con le mani i capelli e il trucco.
Scesi giù di corsa, il sole aveva quasi lasciato il suo posto alla luna, afferrai un foglio e una matita. In fretta scrissi un biglietto a Lily, che era chiusa ancora nella sua stanza ad ascoltare il suo cantante preferito: “Cara Lily, ti ho preparato la cheesecake ai mirtilli che ti piace tanto (è in frigo) come segno di pace. Mi sono comportata malissimo, lo so, spero che tu possa perdonarmi. In questo periodo sono molto tesa e ho reagito senza pensare, so che questo non giustifica il mio orribile comportamento, ma ti prego di scusarmi. Perdonami. Tua Lucy”.
Soddisfatta, uscii da casa di corsa prendendo il cellulare, che la caccia abbia inizio.
 
Vagavo per le strade di Londra alla ricerca di un demone da rispedire all’Inferno, letteralmente. Questo era lo scopo principale della caccia, ma soprattutto era il motivo fondamentale per cui ero salita al mondo di mezzo. Il demone che stava cercando Enlil era un antico, in altre parole Astaroth uno dei Principi dell’Inferno, quindi si era rivelata una missione più difficile del solito da svolgere da solo, non perché il ricercato fosse più forte di mio fratello, ma perché si era scoperto essere un maestro nel nascondersi. Beh, giocava a suo favore il fatto che riuscisse a rendersi invisibile. Erano mesi che Enlil cercava di rintracciarlo e l’unica pista che aveva trovato conduceva a Londra, e Londra non era una piccola città, quindi un paio di gambe in più per perlustrarla gli facevano sicuramente comodo. Sapevo stranamente troppo poco su questo incarico. Astaroth era uno degli alleati più fidati di Zio S, con me, Enlil e Azazel, fratello gemello di Astaroth, ma cosa ancora più stramba, era il migliore amico di mio fratello perciò non riuscivo a spiegarmi come fosse riuscito a far perdere le sue tracce per così tanto tempo e in più come potesse essere che Enlil non sapesse nulla di tutto ciò. Erano così legati, ma sapevo bene che i legami si potevano spezzare facilmente.
La missione consisteva semplicemente nel trovare Astaroth e riportarlo a casa, ed era davvero fin troppo facile. Avevo la sensazione che sotto ci fosse dell’altro, qualcosa che né Enlil né Zio Satana volevano dirmi. Astaroth era solito “sparire” per lunghi periodi nel mondo di mezzo, con Enlil condivideva l’amore per questo stupido mondo e per gli umani, non riuscivo a capire perché questa volta fosse diverso, perché noi dovessimo intervenire fino a rischiare la vita. C’era sicuramente qualcosa che mi stavano nascondendo e io l’avrei scoperto.
 Il telefono mi vibrò nella tasca posteriore dei jeans facendomi sussultare, alzando gli occhi al cielo cercai di rispondere per fermare quella fastidiosa vibrazione.
“Pronto?”
“Lucy, sono Enlil, dove ti trovi?”
“Oh, fratellone! Sinceramente non ne ho la minima idea, però ho fame quindi adesso mi fermo da qualche parte a mangiare” risposi, continuando a camminare, mentre la mia pancia brontolava.
“Hai dei soldi con te, vero?” mi domandò lui, usando quel tono saccente che odiavo.
Ispirai profondamente frugandomi nelle tasche alla ricerca di qualche spiccio o della mia amata carta di credito: “Ecco… devo aver lasciato il portafoglio sul tavolo della cucina”.
“Lucy, sei nel mondo degli umani. Qui devi pagare quando vai in un ristorante o in un negozio qualsiasi e compri qualcosa” replicò lui.
Di nuovo quel tono… Espirai e ispirai di nuovo, dovevo calmarmi non volevo litigare nuovamente. Non riuscivo a capire cosa gli stava succedendo, Enlil non mi trattava mai così.
“Lo so, Enlil, ma non avevo in programma di fermarmi da qualche parte”.
“Dimmi in che locale di fermi così ti raggiungo”.
Sospirai e mi guardai intorno, un locale con l’entrata di legno bianco rovinato e con vasi colmi di rose attirò la mia attenzione, l’insegna era posta di fianco la porta e vi era scritto in maniera molto semplice The Farm Girl Cafe. Varcai la soglia e mi trovai all’interno di porticato con un rampicante che formava il tetto, affascinata, avanzai e aprii la parta bianca a vetri. Sbattendo le palpebre, entrai facendo suonare la campanella sopra la porta, e il profumo di pane tostato m’invase le narici.
“Allora?” chiese Enlil dall’altra parte del telefono riportandomi alla realtà.
“Ecco… in un locale che si chiama The Farm Girl Cafe” risposi, scuotendo la testa e vedendo arrivare in fretta un ragazzo poco più grande di me.
“Stiamo chiudendo!” esclamò fermandosi di fronte a me e squadrandomi.
Sbattei le ciglia e assunsi un’espressione dispiaciuta: “Ah… peccato, mi piaceva questo locale”.
“Mi… mi dispiace, signorina” balbettò il cameriere, arrossendo notevolmente.
“Non è che potrebbe fare uno strappo alle regole, è che sto morendo di fame e sono nuova di qui, non conosco altri locali dove andare” dissi affranta, cercando di corrompere il cameriere. Cosa che mi riuscì facilmente, visto che arrossì e si passò una mano tra i capelli facendomi cenno di seguirlo.
“Ah, senta ancora una cosa non è che mi sa dire la via di qui, così mio fratello mi viene a prendere” gli domandai, sorridendogli provocante.
“Cer-certo, in Via Portobello 56” replicò lui, evitando di incrociare i miei occhi. Che ragazzo timido. Mi leccai le labbra e dissi ad Enlil la via, mentre seguivo il cameriere dentro il locale.
Pochi minuti dopo ero seduta su un comodo divanetto davanti a un piatto di toast all’avocado e pomodoro, e a uno smoothie alla fragola, mentre aspettavo che Ed, il cameriere, mi portasse la mia insalata vegetariana e dopo la mia fetta di torta al cioccolato, con tanto di porzione gigante di frutta. L’ambiente era davvero confortevole, il mio tavolo si trovava di fronte alla cucina, un’isola azzurra dove il cuoco, un ragazzo di colore, aiutato da una ragazza bionda mi stava preparando da mangiare, affianco ad essa un paio di scale portavano al piano di sopra, dove era situato un tavolo più grande rispetto agli altri. Le pareti erano a scacchi azzurri e blu alternate da alcune semplicemente bianche.
Addentai un toast, mentre la campanella suonò avvertendoci che qualcuno era appena entrato, scrollai le spalle capendo subito che si trattava di mio fratello. Avevo riconosciuto l’energia della sua anima. Salutò con un cenno della mano i dipendenti, che lo guardarono sbalorditi, il loro sguardo in seguito si posò su di me, che gli facevo segno di venire. La nostra somiglianza metteva sempre in soggezione gli umani e non riuscivo mai a capire perché, in fondo esistevano gemelli uguali anche tra loro.
Enlil si sedé di fronte a me ed io gli sorrisi: “Vuoi?”
Senza neanche rispondere prese uno dei toast e se lo divorò in un attimo, lo guardai inclinando la test di lato sorridendo obliqua: “Pensavo non ti piacesse l’avocado”.
“Infatti è così, ma avevo una certa fame. È da ore che giro per Londra senza trovare nulla”.
Gli allungai il piatto con il resto dei toast, sapendo che non avrebbe gradito nient’altro: “Non credo che qui cucinino bistecche al sangue, accontentati di questo”.
Mentre Enlil alzava le spalle e addentava un altro toast, Ed mi posò davanti il piatto colmo di insalata e guardò incerto mio fratello, che ricambiò lo sguardo sorridendogli strafottente.
“Ed, senti non è dopo porteresti un'altra porzione di frutta e di torta per il mio fratellone” mi rivolsi a lui posando la testa sulle mani e rivolgendogli uno dei miei migliori sorrisi. Il cameriere annuì con le guance arrossate e quasi non corse via per l’imbarazzo. Enlil trattenne una risata per educazione, mentre io risi sotto i baffi. Adoravo stuzzicare i ragazzi timidi.
Mio fratello scosse la testa e mi diede un calcio sotto il tavolo, richiamando l’attenzione su di lui: “Ehi, hai trovato qualcosa?”
Scossi la testa, masticando un boccone d’insalata. Enlil sbuffò e gettò la testa all’indietro stiracchiandosi le braccia, il maglione blu notte si alzo lasciando intravedere gli addominali obliqui. Intercettai lo sguardo della biondina dietro alla cucina, che lo guardava quasi sbavando. Scrollai le spalle e mi dissi di non fare una scenata di gelosia per così poco. Mi schiarii la voce nel momento in cui Enlil ammiccò verso di lei, si girò verso di me con ancora quel sorriso attraente sulle labbra. Attirata la sua attenzione, seccata dissi: “Ho avvertito l’energia di alcuni demoni, ma erano tutti di rango troppo basso perché si tratti Astaroth, però…” mi fermai ripensando alla strana energia che avevo avvertito mentre camminavo che tuttavia era sparita all’improvviso. Enlil mi guardava corrucciato, aspettando che io continuassi.
“Però, ripensandoci ho avvertito un’anima più forte delle altre molto vicino a me, mentre camminavo in una strada affollata, ma poco dopo è scomparsa e non sono riuscita a capire da chi e da dove provenisse”.
Enlil scoppiò in una fragorosa risata che mi lasciò davvero perplessa, era impazzito?
“Quel bastardo, mi ha costretto a farti salire qua sopra, dove non sei al sicuro, perché sapeva che tu sei l’unica con una percezione così fine delle anime. L’unica in grado di trovarlo”.
Per poco non mi strozzai con l’ultima forchettata d’insalata, che diavolo stava blaterando: “Dove non sono al sicuro? Che stai dicendo, mi vuoi spiegare?”
Enlil scosse la testa e mi fece cenno con la mano di lasciar perdere, ma che diamine stava succedendo? Io ero il Principe degli Inferi e adesso mi stava tenendo all’oscuro di davvero troppe cose.
Prima che potessi aprire bocca per protestare e dirgliene quattro, arrivò la biondina con le nostre ordinazioni.
“Beh, un vero e proprio buco nell’acqua questa sera, però potremmo andare a spassarcela da qualche parte” mi disse guardando, però la cameriera, che non perse tempo e replicò: “Posso portarti da una parte a divertirti, se vuoi”
Affondai la forchetta nel bicchiere di frutta, innervosita, Enlil le sorrise e annuì: “Perché no, tanto non ho niente da fare” le strizzò l’occhio e lei gli accarezzo il braccio.
Mi morsi il labbro e scattai in piedi innervosita, la biondina mi guardò incuriosita ma tornò subito a concentrarsi su mio fratello.
“Io vado a casa, paga tu” dissi avviandomi a grandi falcante verso la porta con in mano il bicchiere di frutta.
Salutai Ed e il cuoco e uscii dal locale, l’aria fredda mi fece rabbrividire, rimasi immobile fuori dal locale mentre la rabbia abbandonava il mio corpo. Tornai a respirare normalmente e mi avviai verso casa addentando un po’ di frutta, anche se non avevo la più pallida idea di come raggiungere l’appartamento.
Guardai l’orologio sul cellulare, era quasi mezzanotte e non ero per nulla stanca, non che mi stancassi così facilmente. Continuai a camminare facendomi strada tra il flusso di ragazzi che affollava la strada. Volsi lo sguardo verso l’alto e scorsi la luna piena sopra la mia testa, non si vedeva nemmeno una stella a causa dell’inquinamento luminoso, ma la luna era sempre lì immobile che troneggiava su tutti. Volevo ammirarla il più possibile prima di ritornare sotto terra, le creazioni del Padre erano splendide, tutte tranne gli umani che rovinavano questo mondo che gli era stato donato. Tuttora avrei sacrificato la vita per difendere questa Terra, ma non l’avrei mai sacrificata per gli umani. Non più.
Tornai a guardare la strada, guardando le anime dei passanti, sfumature di bianco e nero mi passavano accanto e di fronte. Purtroppo quelle scure erano più numerose delle altre. Mi domandai se il Padre avesse calcolato anche questo nei suoi piani, se avesse pensato che un giorno le sue adorate creazioni sarebbero diventate più malvagie dei figli che gli si sono ribellati. Mi domandai se ci stesse ancora guardando dall’alto, oppure si era lasciato tutto alle spalle e aveva deciso di lasciare che ci uccidessimo avvicenda; chissà se ascoltava ancora le preghiere dei suoi fedeli.
Scrollai le spalle, pesavo troppo come sempre. Anche volendo, non sarei riuscita a fermare il flusso di pensieri che invadevano il mio cervello; avvolte, mi sembrava di diventare pazza, anche una sola parola nella mia testa diventava spunto di pensieri strani e non riuscivo a smettere di crearne degli altri finché non trovavo qualcos’altro su cui ragionare e fantasticare. Non riuscivo mai a smettere di pensare, neanche di notte. Anzi di notte il flusso di pensieri aumentava a dismisura, impedendomi di dormire e arrivando quasi ad asfissiarmi.
Tutto era iniziato subito dopo la caduta, che anche questo facesse parte del mio castigo.
La testa aveva iniziato a pulsarmi a dismisura, nella mente mi passarono le immagini degli avvenimenti di oggi, li analizzai di nuovo uno a uno, soffermandomi principalmente sull’incontro con quel cacciatore; ancora non riuscivo a capacitarmi della somiglianza con Raziel, era tutto così assurdo. Una fitta alla testa più forte del solito mi fece bloccare di colpo, qualcuno mi venne addosso e il bicchiere con la frutta mi cadde atterra. Grugnii infastidita mentre mi massaggiavo la testa con le dita, un ragazzo poco più basso di me mi mise una mano sulla spalla stringendola leggermente, disse qualcosa che non riuscii a capire bene ma che suonava come: “Vedi di stare più attenta”.
Fissai la sua mano sulla spalla, le tempie continuavano a pulsarmi e se entro tre secondi il tipo che avevo davanti non avesse tolto quella dannata mano, gli avrei spaccato il braccio, ma l’idea sembrava non sfiorarlo nemmeno.
“Hai sentito cosa ho detto, tesoro?” continuò stringendomi di nuovo la spalla e ghignando. Guardai la sua anima e un senso di profondo disgusto mi si fermò sulla bocca dello stomaco, feci scrocchiare le dita riflettendo su come atterrarlo nel minor tempo possibile. Avrei infranto due fondamentali regole:
1. Attaccare un umano in luogo pubblico;
2. Attaccare un umano.
Gli afferrai il polso con una mano e lo strinsi con forza, lui mi guardò confuso e non potei fare a meno di sorridere.
Non feci in tempo a fare altro che una mano con tatuata una croce e un paio d’ali d’angelo, che conoscevo bene, si posò sopra la mia spostandola: “Che ne dici di lasciare questa ragazza, eh?”
Il tipo non se lo fece ripetere due volte e lasciò andare la mia spalle, andandosene.
“Te l’avevo detto che ti avrei tenuta d’occhio” sussurrò severo al mio orecchio sogghignando.
Deglutii rumorosamente, merda, ero nei guai. Non solo stavo per infrangere le Regole, ma ero stata anche beccata da un cacciatore, e non un cacciatore qualsiasi che era tenuto ad uccidermi. Lui ne era anche in grado.
Incrociai i suoi occhi smeraldo, mi stava fissando e avevo come la sensazione che non vedesse l’ora di ammazzarmi.
Merda.
 
L’angolo dell’autrice
Ciao a tutti!
Eccoci al quarto capitolo, dove si scopre qualcosa sulla missione di Lucy e Enlil.
So che come trama è un po’ complicata, cioè della storia passata di Lucy e Harry si sa poco e niente,
ma non posso svelare tutto subito altrimenti non ci sarebbero altri capitoli.
Comunque evitando spoiler ecc, spero che il capitolo vi sia piaciuto,
perciò, se vi va, fatemi sapere che ne pensate!
Ringrazio comunque tutti coloro che l’hanno letta, grazie di cuore!
Un caloroso bacio e abbraccio G.
P.S. se vi passate a leggere la mia nuova storia: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3661358&i=1

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