Last Hope

di Lodd Fantasy Factory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sopravvissuti ***
Capitolo 2: *** - II - Nessuna via di fuga ***
Capitolo 3: *** - III - Nella morsa di Dragomir ***
Capitolo 4: *** IV - Fra passato e futuro ***



Capitolo 1
*** Sopravvissuti ***



LAST HOPE in PDF!
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Caro lettore, benvenuto.

 

Questo è il primo episodio di “Last Hope”. L'introduzione ha lo scopo di segnalarti il tuo potere in questa storia. I lettori, quando arrivano a fine capitolo, traggono sempre delle conclusioni – spesso non rispecchiate nelle vicende successive – e s'immaginano cosa potrebbe accadere in seguito. Ora, hai il potere di correggere il corso di questa narrazione, esprimendo il tuo parere (in aggiunta alla recensione) su cosa potrebbe o dovrebbe accadere nel prossimo capitolo. Ovviamente, occorre rimanere legati al filo narrativo degli avvenimenti.

Questa vuole essere una sfida, ed un modo divertente per modificare un'avventura che ha già un percorso prestabilito dall'autore, ma che con il tuo intervento potrebbe subire delle deviazioni interessanti.

Buona lettura.

 

Lodd Fantasy Factory.

 

 

 

- Sopravvissuti -

 

 

«Vennero esattamente quando era stato predetto, puntuali come solo la morte sa essere. Che ci crediate o meno, la gente li accolse più come salvatori, che come distruttori. All'epoca potevamo solo essere salvati da noi stessi, piuttosto che annientati... giunsero per graziarci dal nostro stesso destino. La domanda sorge spontanea: perché, se erano venuti per redimerci, ora siamo in questo scomodo e putrido buco di fogna a parlarne?» raccontò l'uomo fra gli aspri sbuffi di fumo. Ingurgitò l'ultimo dito di una vecchia bottiglia di Jack, e riprese:

«Non mi guardate con quella faccia... Non giudicatemi: ancora qualche anno ed apprezzerete questa roba! Volete sapere perché amo l'alcol? Non scade mai, e non diventa stagnante come l'acqua. È la mia ultima, sacra risorsa!» aggiunse strizzando l'occhio.

Posizionò la bottiglia di vetro sotto un piccolo foro presente sul malconcio soffitto, da cui stava gocciolando dell'acqua piovana. Quel mucchio di ragazzini pendeva già dalle sue labbra. I poveri bastardi erano sopravvissuti in quegli anni per puro miracolo; fare ingestione di storie era l'unica razione in grado di riempire i loro vuoti stomaci, o perlomeno capace di ingannarli.

Odiava averli attorno, con i loro volti sporchi e quegli sguardi pieni di speranze, che adulavano la sua figura come la statua di un antico eroe; ma i piedistalli non esistevano più in quel mondo: gli eroi giacevano in fosse comuni, a far compagnia al letame. Fargli credere di esserlo, o ancor peggio diventarlo lo avrebbe portato presto a far compagnia ai vermi.

Era ormai un mondo dove un uomo poteva vantarsi unicamente di essere l'eroe di se stesso, se era abbastanza fortunato.

«Dove eravamo rimasti... Ah, già... siamo qui perché, nonostante tutti i dogmi dell'epoca, nessuno di noi era disposto a crepare tanto facilmente. Siamo una razza infame, dopotutto: se avessero voluto prendersi la nostra pelle, benché la dilaniante guerra che avevamo iniziato ci avesse dimezzati, si sarebbero dovuti dare da fare. Insomma, non si vede uno spettacolo senza pagare il biglietto!» spiegò. Si accorse da subito dei tanti volti perplessi. «Uhm, forse siete troppo giovani per capire. Ad ogni modo, imbracciammo le armi e lottammo contro il nostro nuovo nemico comune; quell'evento unificò la nostra razza come mai era accaduto in tutta la nostra esistenza. Tenemmo testa agli Dei della Decadenza... fu un'ardua lotta»

«Una battaglia non ancora terminata: le storie si raccontano quando si sono concluse, Dwayne» esordì freddamente Lloyd. «Andate a dormire. Partiremo prima dell'alba!» richiamò l'ordine, invitando i ragazzi a rompere le righe.

«Mi divertivo soltanto a spaventarli un po'. Ti prego, non iniziare con la tua solita menata sul rimanere sempre vigili, sul non abbassare mai la guardia... e tutto il resto» disse divertito, riducendo al minimo la luminosità della lanterna, fino a far calare le tenebre agli angoli della stanza.

Lloyd si accostò all'unica finestra, tappezzata di storici giornali, tant'è che sopra si potevano ancora leggere alcuni articoli inerenti la cruenta guerra che nel 2016 aveva sconvolto il mondo conosciuto. Infilò una mano nella tasca dei malandati jeans, scuri più per lo sporco che per il loro colore originario.

«Deduco si tratti di una cosa seria, se trovi la pazienza di non rispondere alle mie provocazioni. Avanti, che succede? Sputa il rospo, così ce lo mangiamo!» esclamò Dwayne mentre accendeva la vecchia pipa con un fiammifero, il penultimo della scatola.

«Luna. Avrebbe dovuto essere qui tre ore fa, prima del tramonto» rivelò dopo essersi schiarito la voce. «Fra meno di sei ore il sole sorgerà, e questo gruppo dovrà obbligatoriamente muoversi verso nord. Hubert ci attenderà ai piedi delle montagne. Oltre il valico dicono si trovi una piccola città che è stata risparmiata dalle bombe»

«Bisognerebbe accertarsi che sia stata risparmiata anche da loro... Trovo che sia una cazzata continuare a spostarci: bisogna combatterli, in un modo o nell'altro» replicò dopo un grosso sbuffo di fumo.

«Capisco il fatto che tu non riesca a fidarti... ma laggiù potrebbe essere sicuro. Ho sentito che c'è un lago nelle vicinanze, forse l'unico posto che potre- »

«Taglia corto, biondo» lo interruppe grattandosi l'ispida barba scura. Un riflesso di luce donava vitalità ai suoi occhi castani, specchio della sua bruna carnagione.

«So che ci sono poche possibilità, che significherebbe mettere a repentaglio le vite di tutti coloro che guidiamo, e che va contro gli ordini... e so anche che tu vorresti tornare indietro quanto me, altrimenti non avresti tenuto pronti i tuoi effetti. Fossimo da soli, come all'epoca, saremmo entrambi tornati indietro a controllare. Facciamo scegliere ad un-»

«Metti via quella vecchia moneta, Lloyd. Odio far prendere le decisioni ad uno stupido testa o croce. Poi, dovresti sapere che quando quello spicciolo sarà in aria potremmo scoprire brutte cose, come il non aver voglia di rischiare il culo per qualcuno a cui teniamo. Inoltre, non ho la minima intenzione di restare a fare da balia a questi mocciosi: preferisco cento volte crepare da solo là fuori, piuttosto che diventare il loro eroe del giorno!» rispose Dwayne. Si tirò su strisciando contro il muro. «E poi... la mia roba è già pronta. Ci vediamo a nord, biondo!» aggiunse, dopo aver raccattato la vecchia bottiglia di jack con tre dita di acqua, un lurido zaino – usato perlopiù a mo' di faretra – ed un arco artigianale.

Uscì dall'agglomerato di rovine con indosso un vecchio cappotto. Era notte, ma la soffocante umidità estiva non aveva mollato per un attimo la presa. La pioggia aveva ridotto la strada disastrata ad un pantano impraticabile, costringendolo a deviazioni improvvise. Inizialmente si beò di quelle gocce fresche, con la lingua di fuori, poiché non parevano acide come al solito; era inoltre certo che in molti avrebbero approfittato dell'acquazzone per lavarsi di dosso lo sporco di settimane, una mossa che Dwayne reputava poco saggia. Più di una volta era sfuggito a quelle cose grazie allo spesso strato di sporcizia che lo ricopriva, oltre che alla puzza: entrambe contribuivano ad occultare il naturale odore della loro pelle, rendendo l'olfatto di chi li cacciava meno efficace.

Scivolò nelle tenebre con la consueta agilità che aveva acquisito in tutti quei lunghi anni di sopravvivenza. Evitò la strada, ed allo stesso tempo si tenne alla larga dal percorso che avevano seguito per arrivare sin dove si erano fermati per la notte: se il gruppo di Luna era stato bloccato, chi vi fosse riuscito avrebbe sicuramente fiutato la pista per il prossimo accampamento.

L'atroce pensiero non lo abbandonò sin dalla sua partenza, e crebbe come una nenia assordante nella sua testa man mano che consumava la distanza che lo separava dal checkpoint presidiato dalla donna. Realizzò che, al di là delle cause del mancato arrivo dell'ultimo gruppo, fosse opportuno cancellare le tracce, prima di portare il nemico sin dentro l'ultimo baluardo della resistenza.

Si fermò per collegare la corda all'altra estremità dell'arco, quindi si acquattò fra la spoglia vegetazione, sfruttando le zone più riparate per rimanere nascosto e muoversi furtivamente. Fece un rapido calcolo mentale: aveva con sé solo quattro frecce, una manciata di pietre, tre dita di acqua al sapore di whisky, un bengala, un rotolo di bende quasi finito, la pipa, un pugno di tabacco e un solo cerino.

«Poteva andarmi peggio!» mormorò, spuntando via un filo d'erba che aveva utilizzato per compensare la penuria di sigarette. Lo faceva per ammansire il vizio, ingannandolo con i gesti tipici dell'abitudine: una strategia che gli aveva impedito di impazzire, da quando i tabacchini avevano chiuso per sempre.

Pensò cinicamente che nel peggiore dei casi avrebbe raccolto dai cadaveri qualche razione, dell'alcol e, con un pizzico fortuna, anche del tabacco.

La grotta sotto la galleria dove Luna ed i suoi si erano accampati distava ormai poco, trovandosi esattamente sul fianco della collina che stava percorrendo.

Strinse le cinghie dello zaino.

Dwayne era pronto a fare ciò che sapeva fare meglio: sopravvivere.

 

 

 

Continua...

 



*Note dell'autore*

Ogni lettore può contibuire al seguito della storia con le proprie considerazioni. Le potrete lasciare qui sotto, insieme alla recensione. L'idea mi stuzzicava parecchio, anche per vedere quanti di voi sono in grado di avere la mia stessa visione delle vicende, e quante volte mi toccherà dover affrontare dei cambiamenti di trama per rientrare nelle vostre richieste o supposizioni. Quando volete suggerire quello che "potrebbe accadere" inserite prima del commento un: "Secondo me..."

 

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Capitolo 2
*** - II - Nessuna via di fuga ***



 
LAST HOPE - II - NESSUNA VIA DI FUGA (PDF)
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Caro lettore, benvenuto.

 

Questo è il secondo episodio di “Last Hope”.
L'introduzione ha lo scopo di segnalarti il tuo potere in questa storia. I lettori, quando arrivano a fine capitolo, traggono sempre delle conclusioni – spesso non rispecchiate nelle vicende successive – e s'immaginano cosa potrebbe accadere in seguito. Ora, hai il potere di correggere il corso di questa narrazione, esprimendo il tuo parere (in aggiunta alla recensione) su cosa potrebbe o dovrebbe accadere nel prossimo capitolo. Ovviamente, occorre rimanere legati al filo narrativo degli avvenimenti.

Questa vuole essere una sfida, ed un modo divertente per modificare un'avventura che ha già un percorso prestabilito dall'autore, ma che con il tuo intervento potrebbe subire delle deviazioni interessanti.

Buona lettura.

 

Lodd Fantasy Factory.



 

 

 

- Nessuna via di fuga -

 

 

 

La notte aveva inghiottito ogni cosa, asservendo il mondo sotto il suo impenetrabile manto. Non una stella, o la luna stessa avevano il coraggio di aprirsi un varco fra le dense coltri cariche di pioggia. Neanche i fulmini osavano opporsi all'imperante volontà delle tenebre, mentre i tuoni componevano un sottofondo incalzante, come una marcia di guerra.

Dwayne si muoveva mnemonicamente, sfruttando una delle estremità dell'arco per tastare la via davanti a sé. Conosceva bene il territorio circostante: aveva avuto modo d'ispezionarlo qualche giorno prima, con la truppa d'esplorazione, proprio insieme a Luna. Sfruttava gli alberi, le pareti rocciose ed i campi aperti per determinare – in realtà, ipotizzare – la propria posizione, benché il maltempo rendesse quel lavoro maledettamente difficile.

Poi, sulla sommità di una collina, individuò l'immensa sagoma della rovere che si avvitava su se stessa, inchinandosi verso sud all'impeto degli aridi venti. Quell'albero non fioriva più da anni.

«Lo spaventapasseri...», rifletté in poco più che un sussurro, sovrappensiero.

Era stata Luna ad affibbiargli quel nome, sin dal primo momento in cui l'aveva visto. Scosse il capo, in collera con se stesso.

Lo stava facendo di nuovo: rimuginava sui propri compagni come se fossero già parte dei ricordi, e non come reali persone con le quali condividere il presente, o magari l'incerto futuro. Dentro, si era già rassegnato all'idea di ritrovarsi davanti ad una bolgia di cadaveri, all'ennesimo massacro senza via di fuga.

Uno più, uno meno: che differenza fa?”.

Era divenuto il suo macabro mantra. L'aveva portato a chiudersi in un irritante cinismo, trasformandolo in un uomo scrupoloso, quando si trattava di decidere dalla propria sorte. Troppi erano stati gli amici abbandonati alle spalle, il sangue visto scorrere sotto i suoi occhi, le cocenti volte in cui non era intervenuto, pari almeno a quelle in cui gli era stato impedito di farlo.

Raggiunse l'albero cautamente, con piccoli passi, tendendo gli orecchi a captare il minimo rumore. Tutto appariva lugubremente tranquillo. Una volta guadagnata la vetta, si sporse per guardare di sotto: un ponticello ferroviario ancora intatto, segnalato da una manciata di faretti rossi ad energia solare, collegava due profonde ma minuscole gallerie. Era difficile da sentire, con i tuoni e la pioggia, ma sotto di esso, sul fondo del burrone, doveva scorrere un fiumiciattolo.

Non distinse alcun dettaglio utile, e nemmeno il calore di una luce: se da una parte lo reputò un fattore positivo, in grado di esaltare la capacità di mimetizzazione dei loro, dall'altra poteva significare che l'illuminazione non fosse più necessaria a nessun uomo.

Il rifugio si trovava venti metri sotto l'ingresso del tunnel, raggiungibile unicamente per mezzo di uno stretto e scosceso sentiero. Poteva passare una persona alla volta, una coppia al massimo, in caso di arrampicatori esperti dotati di poco carico.

Sino a qualche giorno prima, lo aveva definito un luogo indubbiamente sicuro, e così ancora gli pareva: si trovava al chiuso, e ciò consentiva di usufruire delle luci, qualora si fossero tappati gli ingressi; ed inoltre al suo interno scorreva un avaro rivolo d'acqua incontaminata che, non avendo apparentemente contatti con l'ambiente esterno, preservava la sua originaria purezza. Con un buon numero di soldati, era un posto semplice da presidiare. Aveva solo due punti di accesso, parecchio distanti l'uno dall'altro.

Ma con pochi uomini ed un pugno di civili, per quanto più semplici da nascondere, quell'improvvisata trincea non appariva più tanto affidabile, bensì un fin troppo facile bersaglio. Se solo il nemico ne avesse captato l'odore, o udito i movimenti, Luna ed i suoi non avrebbero avuto scampo.

«Una trappola per topi...», mormorò Dwayne, strizzando gli occhi. Per quanto si sforzasse, gli era impossibile distinguere qualcosa di concreto, senza avvicinarsi.

Il peso dell'intera giornata, aggravato dall'estenuante marcia forzata, ed il suo stomaco vuoto, si fecero sentire quando ebbe occasione di fermarsi. Represse col dorso della mano un largo sbadiglio, tanto da lacrimare. Era stata una delle decisioni più sciocche che avesse mai preso in vita sua; rispose alle autocritiche appellandosi al suo stesso mantra. Dopotutto, la vita era breve, e la morte poteva effettivamente essere la via più rapida ed efficace per raggiungere al più presto la pace, o perlomeno un luogo più ospitale.

Amava credere che, alla fine di tutto, quando il gelo avrebbe intorpidito i suoi muscoli, spezzato il suo fiato e compromesso la lucidità mentale, si sarebbe ritrovato sulla riva di un immenso oceano di smeraldo, con i piedi a mollo sotto la fresca sabbia bianca. Una birra gelata nella mano, e sigarette a non finire.

Non c'era niente di religioso nella sua banale visione: detestava l'idea che quell'unico, celebre Dio avesse potuto scegliere un modo tanto cruento per porre fine alla vita sul pianeta. Gli piaceva credere che quelle bestie fossero venute fuori da sotto terra, o che si trattasse di qualche stramba razza aliena. Degna delle migliori pellicole cinematografiche. Era più logico, e forse meno drammatico.

Era una magra consolazione.

Poi, un tonfo sordo lo richiamò alla sua putrida realtà. Ne seguì un altro, ed uno ancora. Qualcosa si agitava goffamente alle sue spalle, oltre il grande rovere. Dal suono, pareva che sbattesse contro il tronco del moribondo albero.

Deglutì.

Si volse lentamente.

La mano destra era già corsa ad una delle rudimentali frecce che aveva sul fianco, afferrandola come fosse un pugnale. Era pronto per un silenzioso scontro ravvicinato, così come ad una rapida fuga: se il nemico era già sulle tracce, l'avrebbe perlomeno condotto sulla via errata, sacrificandosi per i suoi compagni.

Lloyd avrebbe avuto tutto il tempo di rimettersi in marcia, e portare il resto del gruppo a destinazione.

Protetto parzialmente dalla pioggia dai robusti rami, Dwayne indagò con lo sguardo fra le tenebre per pochi secondi ancora, rimanendo ad ascoltare l'irregolare picchiettio. Pareva giungere sempre dallo stesso punto.

Avvertì poi degli sbuffi ferini, dei passetti.

Prese coraggio e, con l'arco posto a guardia del corpo, si sporse abbastanza da intravedere cosa si trovasse dall'altra parte: due feroci occhi selvaggi scintillarono per un attimo nell'oscurità, prima che la creatura arretrasse, dando prova di averlo individuato. Fra le fauci stringeva affannatamente uno stivale, che era riuscita a sfilare con poca fatica dal corpo che oscillava contro la base del rovere.

Era un uomo impiccato.

Dal suo penzolante piede nudo gocciolava un rivolo di sangue. L'odore della carcassa era stato coperto da quello della pioggia, benché la creatura fosse riuscita a scovarla ugualmente. Ciò stava a significare che presto anche loro sarebbero stati in grado di avvertirlo.

La belva ringhiò, mostrando i denti per far intendere a Dwayne che si stava ponendo fra lei e la sua preda. Sollevò le lunghe e scure orecchie, rizzò la coda e si acquattò per studiarlo meglio; quindi avanzò minacciosa, prendendo a girargli attorno in cerca del momento propizio per assalirlo.

Entrambi, in realtà, avvertivano una discreta paura: erano consapevoli che nessuno di loro poteva definirsi peggiore di quelle entità che si aggiravano per il mondo, giustiziando qualsiasi cosa avesse vita. Più stavano allo scoperto, fermi a guardarsi, più aumentavano le possibilità di essere individuati e sterminati.

Loro, gli Dei della Decadenza, non dormivano mai: si fermavano unicamente per contare i cadaveri e rinforzare le proprie fila. Sembrava quasi che depennassero i nomi di tutti gli esseri viventi da un'infinita lista. Cosa sarebbe accaduto, qualora non vi fosse più stato nessuno da eliminare? Nel caso in cui ogni essere umano si fosse arreso al tragico destino dell'estinzione?

Dwayne aveva intenzione di scoprirlo a distanza di qualche annetto, quando non sarebbe più stato in grado di sostenere quella ripugnante vita, se vivere poteva essere ancora definito. Solo allora avrebbe gettato la spugna. Non era neanche disposto a lasciarsi portare via il cadavere da sotto il naso; o perlomeno, non prima di averlo ispezionato.

Balzò verso il coyote con le braccia aperte, per apparire più grande, ringhiando a sua volta. Pestò i piedi a terra per infastidire l'animale, agitando gli arti, la testa e l'arco in modo convulso ed innaturale.

Sarebbe indubbiamente parso un idiota agli occhi di un essere umano; ma, per sua fortuna, l'unico presente nelle vicinanze sembrava essere trapassato da qualche ora. La stramba tattica, però, funzionò: la belva arretrò, sino a svanire nell'ombra.

Sarebbe tornata, ed avrebbe avuto ciò che stava cercando.

Certo, se solo ne avesse avuto il tempo, Dwayne avrebbe teso un agguato al coyote, e poi l'avrebbe portato dal resto del gruppo: il cibo scarseggiava, e bisognava accontentarsi di quel poco che il mondo poteva ancora offrire.

Era almeno da due settimane che non mangiava della carne.

Dopo essersi assicurato che attorno non vi fosse nessuno, si accostò all'impiccato. Lo tirò giù facilmente: pesava una cinquantina di chili, nonostante avesse un'altezza media. Riconobbe da subito che non si trattasse di uno dei suoi, poiché era sprovvisto della consueta fascia nera che tenevano legata al polso.

Chi era allora?

La domanda aveva iniziato a tormentarlo, da quando si era reso chiaro che fosse semplicemente un ragazzo. I vestiti erano laceri, luridi di sangue e troppo larghi per la sua corporatura. Il fetore che emanava, che Dwayne avvertì solo quando gli fu a pochi centimetri, sembrava non gli appartenesse, ma che fosse anzitempo sui suoi abiti. Sembrava una tenuta militare.

La morte era sopraggiunta probabilmente per il collo spezzato, ma la natura non lo aveva di certo risparmiato. I corvi si erano cibati di lui, strappando avidamente la carne dalle ossa.

«Un monito...», mormorò facendo scorrere le dita sul corpo del defunto, avvertendo con i polpastrelli il sottile incavo lasciato delle incisioni apposte sul suo petto, proprio nel punto dove la maglia presentava un grosso squarcio.

Non sembrava un semplice sfogo di rabbia, e tanto meno opera degli animali. Senza luce, gli ci volle qualche minuto per comprendere appieno il senso del messaggio lasciato sul cadavere: “Traditori”, recitava.

Un brivido gli corse lungo la schiena.

Frugò in fretta e furia le sue tasche, ritrovandovi solo tre proiettili calibro 22 Magnum. L'ultima volta che ne aveva visti di simili, circa due anni prima, metà della resistenza venne massacrata, e la restante si ritrovò costretta a dividersi, per salvarsi la pelle.

Non c'era la minima traccia dell'arma nei dintorni, dunque Dwayne si infilò le cartucce in un taschino interno del cappotto.

Recuperò l'arco, la freccia e tutte le sue crescenti congetture, e si precipitò giù per la collina. Il suo passo non era più cauto, bensì svelto ed avventato. Scivolò più di una volta, inzuppandosi di acqua e di fango, pur di raggiungere al più presto il sentiero che conduceva all'ingresso.

La strettoia era diventata impervia, ora che le precipitazioni si erano fatte più insistenti sul già precario terreno battuto. Dwayne si aggrappò alla roccia come se stesse attraversando un fiume contro corrente, sinché riuscì a raggiungere la grotta; lì, la pioggia era meno forte, ed il silenzio assordante.

Non sembravano esserci segni di scontro.

Avrebbe voluto gridare il nome di Luna, e rassicurarsi nel sentire la sua voce in risposta; ma sapeva che sarebbe stata una pessima strategia. Aveva già provocato parecchio rumore e, chiunque si fosse trovato dentro al rifugio, si doveva essere già accorto della sua presenza.

Incoccò una freccia, tendendo sofficemente la corda. A tale distanza, la lieve pressione esercitata sarebbe stata sufficiente a perforare il torace di un uomo, pur risparmiandogli la più classica posa da tiro.

Come aveva sospettato, un blando ma pesante groviglio di teli componeva una sorta di porta d'ingresso. Dovette infilarci prima le braccia, quindi fare forza con la spalla per riuscire ad entrare.

Dentro regnava l'oscurità più assoluta.

Il tambureggiare della pioggia all'esterno generava strani echi. In un mondo tanto crudele, la paura del buio poteva dirsi più che giustificata.

Frugò alla cieca sulla sua sinistra, dove trovò esattamente quel che stava cercando: una lanterna.

Sono ancora qui!”, pensò, riuscendo ad accendere l'arnese: l'energia solare doveva aver ricaricato le batterie. La sollevò alta per esaminare meglio la grotta. Sgranò gli occhi.

In una pozza di sangue, giacevano almeno dieci individui, tutti rigorosamente in tenuta mimetica. I loro abiti erano crivellati di fori di proiettile, ed alcuni presentavano profonde escoriazioni o mutilazioni causate dal taglio di un'arma bianca. I pezzi di carne parevano quasi galleggiare in quel liquido grumoso. Avrebbe voluto gettarsi subito sui corpi ma, dopo aver constatato che non si trattasse dei suoi, passò oltre. L'acqua era stata contaminata dal sangue.

Ritrovò buona parte dei membri della squadra di Luna parecchi metri più avanti, accasciati contro le pareti rocciose, abbattuti singolarmente o a coppie, collegati per mezzo di una scia di sangue che proseguiva sin verso il fondo della galleria, rendendo evidente che qualcuno fosse stato trascinato. Erano morti in seguito ad uno scontro corpo a corpo, segno che le munizioni si fossero esaurite nel bel mezzo del fuoco incrociato. La sparatoria era cessata una manciata di ore prima del suo arrivo.

I passi di Dwayne rimbombarono nel silenzio, mentre la lanterna gli mostrava la via, sino a rivelargli l'accesso posteriore.

«Luna!», chiamò a gran voce, più volte.

Non giunse risposta.

I teli, però, vennero scossi all'improvviso; ma, prima che chiunque vi fosse dietro si rendesse visibile, Dwayne menò l'arco all'altezza della testa, tramortendolo. Tirandosi dietro la copertura, collassò ai suoi piedi un tizio di media statura, con indosso un'orribile maschera caprina. Gli abiti militari misero subito in chiaro a quale fazione appartenesse. Un grosso machete insanguinato rotolò sino agli stivali fangosi del sopravvissuto.

«Che disdetta...», disse una voce rauca alle sue spalle.

Dwayne non fece in tempo a voltarsi, che avvertì un forte dolore alla testa e, sbandando, non poté far altro che lasciarsi cadere. Qualcuno stava entrando dal foro nella roccia.

«Sembra che tu sia rimasto da solo...», lo stuzzicò, divertito.

La vista gli si annebbiò, e ciò gli impedì d'identificare colui che aveva preso parola, benché la lanterna lo illuminasse distintamente. Riuscì a scorgere solo un lungo cappotto di pelle, dei larghi anfibi, ed una sagoma indefinita. Presto, mise a fuoco un mucchio di altri stivali insanguinati, ed udì i loro passi alle sue spalle, e tutto attorno.

Poi, gli pizzicò il naso un odore che non avrebbe mai dimenticato: era la più nauseante acqua di colonia al mondo; eppure, l'unica capace di far passare inosservato un uomo ai sensi degli Dei della Decadenza. Conosceva solo una persona che sapeva distillarla; e da quel che sapeva, doveva essere bella che morta da due annetti buoni, in quello stesso maledetto giorno in cui Dwayne aveva perso parecchi amici.

«Dragomir...? Gran figlio di puttana...», mugolò a denti stretti prima di svenire.

«Anche per me è un piacere rivederti, Dwayne...»

 

 

 

 

Continua...


Ringrazio l'utente:
Koishan Sakural
Il suo commento ha deviato il corso della narrazione!


 

 

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Capitolo 3
*** - III - Nella morsa di Dragomir ***



LAST HOPE in PDF!
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Caro lettore, benvenuto.

Questo è il terzo episodio di “Last Hope”. L'introduzione ha lo scopo di segnalare il tuo potere in questa storia. I lettori, quando arrivano a fine capitolo, traggono sempre delle conclusioni – spesso non rispecchiate nelle vicende successive – e s'immaginano cosa potrebbe accadere in seguito. Ora, hai il potere di correggere il corso di questa narrazione, esprimendo il tuo parere (in aggiunta alla recensione) su cosa potrebbe o dovrebbe accadere nel prossimo capitolo. Ovviamente, occorre rimanere legati al filo narrativo degli avvenimenti.

Questa vuole essere una sfida, ed un modo divertente per modificare un'avventura che ha già un percorso prestabilito dall'autore, ma che con il tuo intervento potrebbe subire delle deviazioni interessanti.

Buona lettura.

Lodd Fantasy Factory.

 

- Nella morsa di Dragomir -

 

L'odore di gomme bruciate gli era rimasto in gola, come un boccone avvelenato. Il torrido calore non aveva di certo contribuito a migliorare il sapore che gli pungeva la lingua. Dwayne non l'avrebbe mai detto, ma lo spazzolino e il dentifricio cominciavano a mancargli.

«Gomma?» lo invitò Robert, aprendo il beccuccio di un tubetto di metallo. «Air Fresh!» aggiunse poi, strizzando l'occhio celeste, come se fosse appena uscito da una pubblicità.

«Dove hai preso questa roba? Sarà scaduta da almeno tre anni!» rispose Dwayne, dopo averla masticata per pochi secondi. Sapeva di muffa e acido, oltre ad essere dura come un sasso. La sputò sul cofano dell'auto.

«Due e mezzo, per la verità... ci sei andato vicino!» ribatté l'amico, tirando sugli occhi la visiera del cappello. Si sdraiò sul tettuccio della macchina, sotto il sole cocente. Gli pareva di essere una bistecca sulla brace. «Con tutti gli additivi chimici che hanno dentro, queste cose impiegheranno un decennio a scadere. Tutta una farsa, credimi».

«Se lo dici tu. Diamine, ucciderei per un panino del Mc Donald!» mormorò.

«A proposito di additivi chimici, eh!» commentò Robert, prima di simulare un intermezzo comico di batteria.

«Tirati su» disse Dwayne, facendosi serio, dopo aver guardato attraverso il binocolo. Lo passò al compagno, indicandogli la zona. «Abbiamo compagnia».

 

L'aria era elettrica, carica di tensione, come se una sorta di campo elettromagnetico si stesse espandendo tutto intorno. Dwayne penzolava come un salame. Il sangue gli pulsava nelle tempie come un culo troppo largo contenuto in un paio di leggins troppo stretti. Aveva ormai perso sensibilità nelle gambe, mentre avvertiva le braccia come pesanti macigni. Il suo stomaco era vuoto, ma si stringeva come nell'atto di buttare fuori qualcosa che non c'era. Rinvenendo, l'uomo convenne che fosse un peccato: trattenere il conato gli avrebbe quantomeno dato per qualche istante una vaga sensazione di sazietà.

Credette di starsi per ritrovare con gli occhi fuori dalle orbite per la pressione sanguigna, ma purtroppo era consapevole che, prima ancora di assistere ad un tale cruento spettacolo, sarebbe svenuto. Sarebbe crepato senza neanche rendersene conto.

Una fine indegna.

Quando la vista smise di confondere le immagini, individuò il profilo di Dragomir nascosto nella penombra. Aveva un'aria servile. Il figlio di buona cagna – come lo avrebbe definito Dwayne, o la sfilza di barboncini che avevano ripassato la madre – sembrava averla scampata bene. Era come uno dei più improbabili cattivi dei film horror anni ottanta. Potevi scaricargli addosso un caricatore, dargli fuoco o tagliarlo a metà con un'ascia ma, al primo cambio scena, il bastardo era di nuovo alle calcagna dello sfortunato protagonista di turno.

Dwayne avrebbe potuto continuare con le proprie futili congetture in eterno, anche perché era l'unica cosa che gli riusciva bene, date le circostanze: la bocca era tanto gonfia da rendergli difficile anche la sola respirazione.

Dragomir però si accorse di poterlo strapazzare ancora un po'.

«Ve lo consegnerò non appena mi avrà detto dove sono gli altri. Saranno nascosti nelle vicinanze. Con permesso, Signore» disse con tono servile, con un leggero accento tipico dell'Europa dell'est, prima di esibirsi in un notevole inchino, tale che avrebbe anche potuto leccarsi le scarpe. Qualcosa d'informe, come una nube d'ombra, lo oscurò per una frazione di secondo, prima di dissiparsi nel nulla fra una miriade di scintille. La tensione elettrica venne meno.

«Ci sai fare con gli inchini. Maestranza appresa durante le fredde notti trascorse sui marciapiedi al chiarore delle stelle?»

«Dwayne-Dwayne-Dwayne» cantilenò Dragomir, facendosi vicino, sino a flettersi sulle ginocchia, per averlo davanti agli occhi. «C'è chi sopravvive, e chi giace appeso a testa in giù, legato ad una corda che pende da un arco di roccia poco stabile. Ho scelto di essere un vincente. Sei rosso per l'emozione? Dai! Sei mio ospite».

«No... sia mai. L'imbarazzo» rispose con un filo di voce.

«Imbarazzo?» ripeté divertito.

«Beh, vedi... L'ultima volta... l'ultima volta che mi sono ritrovato in una situazione simile – un sessantanove, per intenderci – quella donna lo prendeva in bocca con gioia. Ammetto che mi sorprenda poco il fatto che suo figlio abbia gli stessi gusti!». Dwayne avrebbe voluto ridere, ma il dolore alla testa era eccessivo, ed il pugno che il torturatore gli sferrò alla bocca dello stomaco gli spezzò il fiato.

Perlomeno, il colpo fece sì che la corda a cui era legato gli facesse fare un giro panoramico. Altri tre uomini si godevano lo spettacolo, muniti di mazze e pistole. I suoi effetti erano stati accumulati nei pressi dell'ingresso, a cinque metri di distanza.

«Il solito Dwayne. Me ne rallegro. Luna è stata meno chiacchierona...» gli disse, schiaffeggiandolo. «Con certi elementi bisogna saper utilizzare i giusti metodi. Fuori fa piuttosto freddo, e non voglio che tu, mio ospite, possa sentirti a disagio. Ti terrò al caldo...» proseguì, prima di calare la braghetta e tirar fuori il suo membro.

Dwayne aveva visto clitoridi più grandi, ma tenne per sé quella considerazione. Si limitò a dire: «Fa proprio freddo...» prima di chiudere sia gli occhi che la bocca.

Sentì dapprima il tanfo stantio dei suoi genitali, poi il tiepido liquido che gli investiva il viso. Per quanto tentasse di spostare la testa, così da riuscire a respirare, l'essere appeso, con le narici a mo' di canale di scolo, rendeva il tutto piuttosto complicato.

«Non ridi più?» lo canzonò, prima di ordinare: «Tiratelo giù. Non voglio che svenga di nuovo».

Una coppia di energumeni lo lasciò capitombolare sulla nuda roccia. Si aprì un sopracciglio, finendo con la faccia nella pozza ancora calda. Il suo corpo riprese a formicolare, irrigidendosi appena e provocandogli delle fitte intense.

«Mettiamo in chiaro la situazione. Da qui puoi uscire in due modi: ancora vivo, seppur acciaccato, oppure in fin di vita, implorando un rapido trapasso» gli spiegò Dragomir, girandolo col piede per vederlo in faccia. Per sfortuna di Dwayne, il puzzo del suo piscio non aveva soffocato il tanfo dell'acqua di colonia che portava indosso.

«Ne hai dimenticato uno...» farfugliò il prigioniero.

«Sentiamo, dunque. Oggi sei piuttosto creativo. Sai, si dice che alcuni artisti lo fossero poco prima di crepare, come se sentissero l'inevitabile momento avvicinarsi».

«Me ne vado sulle mie gambe, con la testa dei tuoi amici in una sacca ed il tuo cadavere in spalla» rispose Dwayne.

«Questa volta ti è uscita proprio male. Dove sono gli altri? Mostramelo sulla mappa, o portami sul posto di persona. Ti lascerò andare. Dico sul serio... libero» promise Dragomir. «In alternativa, potresti sempre lavorare per me. Cibo, riposo, mezzi di trasporto e la conferma che, al termine di questo... ribaltamento politico, tu possa dirti ancora un uomo libero».

«Non sei diverso da una troia che sceglie il suo pappone. Ma verrai picchiato, se non porterai i soldi a casa. Cosa farai quando non ci sarà più nessuno da cacciare?» ringhiò Dwayne fra i rantoli di dolore. «Sarai cacciato. Tu e le tue tre palle non siete in grado di accorgervi che si tratta di uno sterminio?!».

«Evoluzione, Dwayne. Si tratta di progresso evolutivo. Guardaci: pensi che siamo all'apice della nostra progressione cellulare? Le religioni erano tutte balle. La medicina ha da sempre oppresso il processo di evoluzione della nostra specie, fermandosi ad uno standard obsoleto. Difetti di crescita – così li chiamavano – per impedirci di abbracciare la verità» spiegò Dragomir, girandogli attorno. «Ed ora che siamo ad un passo dal ghermire quel dono, l'umanità si è tirata indietro!».

«Gli Dei della Decadenza ti hanno fritto il cervello. Evoluzione? Forti della debolezza dei più religiosi, hanno cominciato a massacrare innocenti. Purghe pubbliche, davanti agli occhi di tutti. Questo è il grande concetto di evoluzione che ti hanno promesso? Sono qui per conquistarci. Per prendersi il nostro mondo. E certi coglioni come voi li stanno aiutando a sterminarci!» per quanto il sangue gli ribollisse per tutte le stupidaggini che stava ascoltando, si sforzò di apparire debole, benché la sua voce stesse dando prova della sua rinnovata facoltà di movimento ed espressione.

«Sei cieco, Dwayne» asserì Dragomir, sollevando la maglia. La parte destra del suo corpo aveva una tonalità più chiara, tendente al grigio, segnata da vene nere. Sprezzante, aggiunse: «Quell'ultima volta che ci siamo incontrati. La ricordo bene. Sarei morto, se quelli che chiami Dei della Decadenza non mi avessero ricostruito. La loro tecnologia può renderci immortali... sconfiggere lo spettro della morte, ed aprire le frontiere di una nuova epoca».

«Sei uno zombie, Dragomir. Una sorta di Frankenstein» affermò disgustato. «Che ne è stato di Luna? Se sei qui che provi a convincermi a stare dalla tua, significa che non sei riuscito a prenderla».

L'ucraino rise. Si leccò poi le labbra, infastidito.

Prima che Dragomir potesse rispondergli a tono, però, i suoi uomini vennero aggrediti alle spalle da un coyote ciascuno. Un quarto, scavalcando il prigioniero con un balzo, mirò proprio a lui, addentando il suo braccio. L'esplosione di un colpo di pistola riecheggiò all'interno della caverna, stordendo tanto gli uomini quanto gli animali.

Dwayne ne approfittò per correre verso l'uscita. Raccolse alla bene e meglio i suoi effetti e lo zaino. Dopo averli riposti nel bagaglio, si lasciò scivolare lungo il fianco scosceso della collina, mentre le voci infuriate di Dragomir lo raggiungevano dall'alto, seguite da altri due colpi di pistola.

«Prendetelo, idioti!» ordinò, dopo essersi liberato del coyote ed avergli scaricato addosso l'intero caricatore.

Dwayne puntò d'istinto i piedi per rallentare la caduta, ritrovandosi invece a ruzzolare in malo modo. Poi, mancò l'ultimo appiglio prima del baratro e, dopo un volo di dieci metri, concluse la sua corsa con un sonoro tonfo.

 

Il fuoco nemico infuriava sopra le loro teste come una cascata di piombo rovente. La forza d'artiglieria della quale disponevano era qualcosa che entrambi avevano avuto modo di scorgere solo nei più costosi blockbuster.

Il carro armato aveva terminato i missili, ma il mitragliatore stava riversando sull'ingresso della base tutto l'arsenale. I colpi di mortaio avevano devastato le difese principali, ed ora un manipolo di soldati stava cercando copertura nei dintorni della salita che conduceva all'entrata.

Robert si sporse dalla barricata di metallo rinforzato abbastanza per poter prendere la mira. Tirò il grilletto tre volte, una per ogni bersaglio che avrebbe abbattuto. La quarta andò a vuoto: aveva terminato le munizioni.

«Sono troppi» brontolò Dwayne, passandogli l'AK47. «Dobbiamo spostarci verso l'interno. Sanno dove siamo, e se riescono a colpirci col mortaio siamo belli che fritti!».

«Se perdiamo questa posizione siamo morti comunque! Dobbiamo resistere finché il Colonnello Vice e Lloyd non avranno fatto evacuare tutti. Speriamo solo che quelle bestiacce non arrivino a supporto di quell'esaltato. Dragomir, bastardo di un traditore» affermò Robert, decidendosi a spostarsi sul lato opposto della barricata. Evitarono per un soffio l'esplosione di una granata a frammentazione, pur rimanendo feriti di striscio.

«Che ti avevo detto! Se finisci ammazzato, Luna non me lo perdonerà mai!» gli gridò Dwayne, sbattendolo contro la protezione. Gli strappò di mano l'arma e si sporse, dosando ogni singolo proiettile che stava sparando. Era facile colpire dall'alto, ma ogni volta che si sporgeva, correva il rischio di finire crivellato dal mitragliatore posizionato sul tank.

«Granata!» urlò Robert, trascinando l'amico dietro una protezione più arretrata.

Nello stesso momento, la potenza di fuoco del carro armato abbatté le postazioni dalle quali Kirkmall e Vash stavano rispondendo all'assedio con un pugno di ribelli. Un colpo di mortaio rese chiaro che nessuno di loro fosse sopravvissuto all'esplosione.

«Quanti colpi ci rimangono, Dwayne?».

«Un caricatore per l'AK. Un pugno per le pistole. Ed i coltelli» rispose, mordendosi le labbra.

«Torna indietro. Avvisali che stanno arrivando» disse Robert, fissandolo dritto negli occhi.

«Neanche per le palle» rispose caricando l'arma. In quel preciso momento udirono il rumore metallico di qualcosa che aveva sbattuto contro l'ingresso della trincea. Scorsero una granata ad un passo da loro. Dwayne, nell'ultimo gesto disperato, si buttò per circoscrivere il raggio dell'esplosione.

«No!» esclamò Robert.

La bomba, però, non esplose. Al contrario della seconda che era caduta dalla parte opposta della trincea, che aprì un varco attraverso il canale di scolo, alto mezzo metro.

«Porca merda!» rabbrividì Dwayne. «Se senti puzza è perché credo di essermi cagato addosso».

Gli spari cessarono.

«Alzati lentamente» gli consigliò Robert. Rapido recuperò la bomba. L'idiota che l'aveva lanciata, per loro fortuna, si era scordato di mollare la sicura.

«Si stanno avvicinando. Credono di averci preso» mormorò Dwayne, osservando attraverso alcuni fori di proiettile presenti nella barricata.

«Coprimi le spalle» fu tutto ciò che disse Robert, prima d'infilarsi dentro il canale di scolo, armato solo del suo pugnale e della pistola con dodici munizioni.

«Riporta il tuo culo indietro, Robert!» gli ordinò. Ma quello si avventurò lesto come un ratto giù per il canale.

Dwayne diede un secondo sguardo al campo a valle. I soldati stavano frugando fra l'attrezzatura che era rimasta incustodita, mentre alcuni cecchini sembravano tener d'occhio la sua posizione, quasi si aspettassero di vedere spuntare da un momento all'altro la sua testa nera. Il carro armato aveva avanzato di qualche metro, privando gli addetti ai mortai della copertura.

Secondo i suoi calcoli, Robert avrebbe impiegato fra i cinque ed i dieci minuti prima di fare la sua mossa.

Contò per l'ultima volta le munizioni che gli erano rimaste. Poi, uscì dal nascondiglio.

 

 

 

Continua...

 



Gli impegni mi hanno tenuto distante da questa storia. Ora che ho trovato il tempo per riprenderla, spero il capitolo di rientro possa farmi perdonare ;)

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Capitolo 4
*** IV - Fra passato e futuro ***



 

- Fra passato e futuro -

 

 

Se saltare nel vuoto fosse stata una buona idea o meno, solo Dragomir avrebbe avuto il tempo di domandarselo.

Dwayne, dopo aver ruzzolato per un tratto, era piombato nell'oscurità. Aveva già perso i sensi quando il fiume, ingrossatosi per la pioggia, aveva attutito la sua caduta. Il fondo lo aveva raschiato lo stesso, beninteso; le rocce avevano marchiato per sempre la sua schiena. Una cicatrice da aggiungere a molte altre. Il flusso dell'acqua l'aveva trascinato per un po', prima che il peso di quanto trasportava lo facesse sprofondare.

 

Il rateo di fuoco dell'Ak47 costrinse gli uomini di Dragomir a gettarsi a terra; malgrado la discreta mira, Dwayne scaricò metà del caricatore senza abbattere un singolo nemico. I cecchini dall'altra parte, invece, tempestarono la sua postazione di pallottole. Una gli bruciò ad un millimetro dal cranio, rasandolo e portandosi via un brandello di pelle. Contò ad alta voce sino a trenta, perché con l'inferno che gli stava piombando addosso non sarebbe mai riuscito a farlo a mente; quindi sporse una seconda volta il fucile d'assalto, e sparò verso i cecchini una manciata di colpi, dei quali la maggior parte si sollevò al cielo grazie al rinculo. Poi, si tuffò disperato dall'altra parte della barricata, esponendosi alla pioggia di proiettili.

Il vecchio riparo saltò per aria neanche due secondi dopo, investendo il sopravvissuto di detriti. Pensare di resistere dieci minuti, o anche solo cinque, era una completa follia. Si accucciò dietro la carcassa di un'auto ribaltata, e strisciò fino ad una posizione meno bersagliata. Un altro colpo di mortaio mandò in frantumi una zona non troppo distante da lui. Si chiese se non avessero scoperto Robert.

Sbirciò di fretta da un finestrino impolverato: per il momento li aveva trattenuti, e ciò era sufficiente. Attese di vederli di nuovo in movimento, quindi scattò da un riparo all'altro, prendendo di mira proprio il carrarmato. Due scoppi di pistola furtivi, e abbatté uno dei soldati sul fianco del mezzo. In rapida successione, sparò con l'AK verso lo scintillio di un mirino di precisione, ma andò a vuoto. Troppo lontano. Riuscì però nell'intento di far credere al nemico di non essere da solo.

Corse a ripararsi dietro una trincea di pietra, e ringraziò il suo istinto. Il boato del carrarmato fu secondo solo all'esplosione che mandò per aria le ultime difese del loro rifugio, fatta eccezione per quella dove si nascondeva Dwayne. Un braccio ed un piede s'alzarono verso il cielo di diversi metri, prima di cozzare al suolo in uno scenario raccapricciante.

«Sono fottuto» mormorò Dwayne. Bagnato di sudore e urina, tremava da capo a piedi.

«Accetteremo la vostra resa. Ma solo se verrete fuori adesso» tuonò Dragomir, ed il suo accento fu marcato dall'eco del megafono. «Fatemi risparmiare qualche munizione. Evitatevi una morte dolorosa!»

Dwayne pensò seriamente di gettare la spugna. Sarebbe servito a fargli guadagnare qualche secondo? Forse gli avrebbero sparato non appena uscito allo scoperto. Fidarsi di Dragomir è come far penzolare le tue palle cosparse di miele davanti ad un orso: una cazzo di follia, pensò Dwayne.

«A proposito di munizioni!» vociò il sopravvissuto, rivelando così la sua posizione. «Quante ve ne sono rimaste? Perché noi, qui... devo ammetterlo... cominciamo ad essere a un po' a corto».

«Abbastanza da farvi saltare il buco del culo dritto in bocca. Così, per una volta, le tue stronzate sarebbero giustificate, Dwayne. Vieni fuori, tu e chiunque sia con te!» replicò, frattanto che il carro si faceva breccia fra le macerie.

«Non ti credo. Qualche colpo di mortaio, forse. Ma il tuo bel cannone può sparare solo a salve... e la cosa ti è familiare, dico bene? Ma è anche ciò che ha consentito al mondo di sopportare un solo Dragomir»

«Ho ancora un siluro, se ci tieni a saperlo. Sprecarlo con te sarebbe stupido, ma mi riempirebbe di soddisfazione. Allora, vieni fuori?».

Dwayne tirò un sospiro rassegnato.

«Prima o poi sapevo che sarebbe arrivato questo momento...» dichiarò. Si alzò in piedi e si rese visibile, ancora imbracciando l'AK47 e la pistola. «Alcuni lo definiscono 'crescere'. Si comincia dall'ammettere a se stessi e davanti al mondo le proprie verità... o i propri gusti sessuali. Non che nutrissi dubbi a proposito, voglio essere sincero. L'importante è accettarlo!». Tutto il suo spirito venne però subito meno. Deglutì, vedendo il mezzo busto di Dragomir spuntare dal foro di accesso del carrarmato. I suoi uomini, raccolti attorno al veicolo, erano sette. Un ottavo, il cecchino principale, era posizionato su un'altura non troppo distante. Il riflesso del sole sul suo mirino lo accecò per un'istante: come aveva immaginato, era sotto tiro!

 

 

Qualsiasi cosa l'avesse tirato fuori dall'acqua, ora stava ispezionando il suo corpo di buona lena. Dwayne avvertì il proprio fisico come un solo grosso ematoma pulsante. La luce delle stelle, riapparse dopo il temporale, gli concesse di scorgere solo una sagoma indefinita. Puzzava, e di questo era più che certo.

«Chi sei...» disse, ma suonò come un'affermazione.

«Io sono» gli rispose lo sconosciuto, con un timbro che suonò a metà fra quello maschile e femminile. «Questo è tutto ciò che devi sapere. Per ora. Sei conciato male» agginse scuotendo il capo. «Farò il possibile, ma solo Dio saprà».

«Scientifico...» mormorò Dwayne. «Allora, se per una buona volta si decide a parlarti, chiedi al Grande Fratello il perché di tutta questa merda. L'audience dovrebbe essere calata, dopo lo spettacolo iniziale... perché non ci ha ancora finiti?».

Cercò di mettere a fuoco il suo salvatore, ma l'oscurità glielo impediva. Eppure, un freddo bagliore scaturiva dai suoi occhi, gelidi come l'inverno. Era come se... brillassero nelle tenebre.

«Le mie conoscenze sono limitate. La speranza in un intervento divino, ad ora, per quanto poco plausibile, è fra le poche alternative al tuo più concreto decesso» affermò senza alcuna intonazione, in modo statico. Il suo tocco, mentre il corpo di Dwayne stava reagendo al freddo surriscaldandosi, gli parve stranamente insensibile e coriaceo.

Il sopravvissuto avrebbe voluto ribattere con l'ennesima battuta di spirito, ma il dolore gliela spezzò in gola. Il suo salvatore lo stava rivoltando, eseguendo un taglio nei vestiti. Sentì caldo lungo la schiena. «Devo suturare la ferita, ma non dispongo degli strumenti adatti. È grave. Potrei cauterizzarla, ma provocherà dolore, e forse perdita di conoscenza. Sono autorizzato?».

«Autorizzato...» ripeté Dwayne con sarcasmo. “Come cazzo parli, vecchio?” avrebbe voluto far seguire alla sua espressione, prima che uno stridio assordante anticipasse una vampata di fuoco che avvolse la sua schiena, in un lampo funesto che illuminò per un istante la riva del fiume, ma obliò con acuto dolore le facoltà mentali del ferito. Gli si annebbiò la vista.

«Probabilità di sopravvivenza incrementata al 73%. Ma non sei ancora fuori pericolo» sentenziò il misterioso salvatore, che pareva più un torturatore.

Il puzzo della carne bruciata gli invase le narici e, per quanto folle, gli fece venire anche l'acquolina in bocca. La mente di Dwayne se ne andò a spasso per conto proprio in ricordi di pietanze golose di ormai perdute solennità. La carne di maiale, il coniglio, il tacchino!

Poi tornò di nuovo alla realtà, o quella che avrebbe reputato tale. Cosa aveva utilizzato per sprigionare quel fuoco, se fino all'istante prima stava tastando il suo corpo? La domanda prese a ripetersi all'infinito, incapace di darsi una risposta. L'oscurità stava avvolgendo di nuovo ogni cosa.

«Chi sei?» mugolò a denti stretti, cercando di tornare lucido.

«Sono un Emissario di quelli che voi di Terra-461 definite Dei della Decadenza.»


Continua...

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