Spooky Madness

di koopafreak
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Clinker ***
Capitolo 2: *** Train Wreck ***
Capitolo 3: *** Noodlin' ***
Capitolo 4: *** Groovy ***
Capitolo 5: *** On the nose ***
Capitolo 6: *** Turnaround ***
Capitolo 7: *** Ensemble ***
Capitolo 8: *** Changes ***



Capitolo 1
*** Clinker ***


k

Personaggi: Luigi (menzionato), Mario (menzionato), Pauline (menzionata), Peach (menzionata), Bowser Jr. (menzionato), Ludwig von Koopa (menzionato), OC.
Genere: Introspettivo, Mistero, Soprannaturale.
Pairing: Het.
Note: Nessuna.



Clinker



'Se le impastano insieme e le dividono in due parti uguali, ne fanno due normali'.

Magari chi aveva bisbigliato quella frase, nella vana certezza che lei non avesse sentito, per “normali” intendeva identiche o alla pari, cioè più simili come due gemelle di regola dovrebbero essere e non perché lei era taciturna, maldestra e talmente chiusa e schiva da rasentare il limite umano concesso: una stramba, insomma, come la reputavano i compagni di scuola a Brooklyn. La sua era una qualifica che le avevano affibbiato già da piccolina e che non si era più scollata di dosso, nemmeno nel Regno dei Funghi.

Lucilla aveva concluso che, prima di assumere forma fisica, tutta la dose di prodigiosità destinata a entrambe da ereditare si era invece incanalata su sua sorella. Gloria era forte, molto più forte di qualunque altro coetaneo o coetanea, tanto che nella loro vera casa, in mezzo ai toad, era considerata la degna figlia di Mario e prossimo paladino del reame. Lucilla invece era malata un giorno sì e uno no e, al contrario della gemella, non sapeva fare un accidenti di speciale. Lei non era apparentemente alcunché di speciale, sia per gli standard dei sudditi della regina Peach che per quelli umani.

In compenso era cinica, sarcastica e caustica, perché si sa che l'arma di difesa più raffinata, in mancanza dei muscoli, è l'ironia. Il tempo bloccata a letto, nelle catene della sua salute trabicolante, non era stato buttato nell'autocommiserazione e nell'inerzia (magari giusto un pochino), ma validamente speso col naso in ogni libro capitatole tra le mani. Il bottino delle sue scorribande letterarie era consistito in una proprietà linguistica spiccata per la sua età e un acuto spirito di analisi: doti che, sfortunatamente, saltano meno all'attenzione in confronto a traguardi più eclatanti, come divenire la punta di diamante della squadra di pallavolo o stendere da sola il bullo più temuto della scuola, nonostante lo svantaggio fisico e il sole negli occhi.

Le già penose capacità di socializzazione di Lucilla avevano finito per atrofizzarsi col passaggio dalle elementari alle medie, agevolandole la ritirata nelle retrovie della classe sino a mimetizzarsi con la parete. I gradassi non la toccavano solo perché per Gloria vigeva una sorta di rispetto misto a timore e ammirazione, e mettersi contro di lei significava automaticamente inimicarsi anche l'ampia cerchia di amici di quest'ultima. Fino a poco tempo prima le sorelle avevano condiviso la stessa ombra: dove c'era Gloria, coraggiosa e peperina, lì c'era anche Lucilla, fragile e timida, dietro la sagoma protettiva dell'altra. Poi, compiuti dodici anni, Lucilla aveva espresso il desiderio di una camera tutta per sé e la soffitta era stata ripulita e trasformata in un ambiente più confortevole con un letto, una libreria, due finestre che davano rispettivamente sul fronte e sul retro della casa e un lucernario da cui poteva sbirciare le stelle.

Pauline, rassicurata che la salute della figlia si fosse relativamente stabilizzata, si era dedicata a una fiorente carriera di agente immobiliare a Brooklyn e ne ricavava molta soddisfazione, avendo abbandonato il mondo del teatro per stare sempre accanto alla cagionevole Lucilla nei suoi primi, critici anni di vita. Prevalentemente era loro padre a occuparsi della casa, quando non era richiesto altrove a salvare città o reami interi in giro per il globo. Andava molto fiero della sua cucina ed era ben deciso a rendere partecipi le figlie del patrimonio culinario tramandato dai loro nonni. Purtroppo anche l'attitudine gastronomica doveva aver saltato una generazione, cioè mezza, visto che Gloria, proprio come Mario, privilegiava del dono straordinario (e sovente irritante) di essere brava in qualunque cosa.

La regina Peach invitava volentieri la famiglia del paladino al suo castello splendente e qualche volta c'erano anche alcuni dei figli a scorrazzare lì in giro. Ludwig deteneva l'autorità assoluta e tutti i fratelli rispondevano ai suoi richiami, sebbene non fosse colui designato al trono: i genitori avevano congiuntamente stabilito che il più giovane degli eredi Toadstool Koopa avrebbe governato entrambi i reami. Bowser Jr. pareva beatamente ignaro del peso degli oneri che lo attendevano dietro l'angolo, svignandosela dai precettori a ogni occasione e con la testa da diciassettenne persa dietro svaghi e ghiribizzi. Non era raro scorgere Ludwig trascinarlo per i corridoi, stringendo tra le grinfie una delle corna ai lati della criniera scarlatta come una mamma che tira un bambino disubbidiente per un orecchio.

La verità era che i fratelli più grandi si fossero resi fonte di guai un po' troppo spesso per i gusti del popolo di Peach, ai tempi dei rapimenti con cadenza quasi mensile, e il Regno dei Funghi covava maggiori speranze nel più giovane della discendenza per redimersi della cattiva fama consolidatasi in anni. Tuttavia i sovrani non avevano scartato in origine l'idea di proporre Ludwig in linea di successione, istruito e promettente, ma il maggiore aveva abdicato in favore dell'ultimogenito.

« Mio fratello fa ancora in tempo a scrollarsi la pessima reputazione che ci siamo costruiti agli occhi dei sudditi di nostra madre » le aveva confidato senza traccia di risentimento, quando lei si era fatta timorosamente avanti per scoprire la ragione dietro l'impensabile rifiuto. Lucilla si rattrappì nella sua felpa oversize avvertendo le guance avvampare, come le capitava ogni volta che la mente volgeva al principe koopa. Oltre che affascinante, era anche di animo davvero generoso.

La bambina custodiva con gelosia il ricordo di lui che le aveva detto, esattamente un anno prima, mentre lei se ne stava come al solito rannicchiata in disparte in compagnia di un libro e sua sorella era presa da un incontro di basket con Larry e Roy, che trovasse carino il suo nome. Era stato un complimento inaspettato, dal suono baritonale ma dolce, accompagnato dall'accenno di un sorriso sui lineamenti perennemente seriosi. Quando Ludwig le aveva parlato, una scossa le aveva pervaso il corpo gracilino: si era sentita rinata, felice come mai prima di allora dopo un lungo sonno senza sogni, dove i giorni si alternavano incolori e lei si limitava a sopravvivere nel proprio distacco dietro un muro gelido da cui era improvvisamente filtrato uno spiraglio di sole.

Ludwig aveva inoltre apprezzato il suo interesse per la lettura, asserendo che avrebbe gradito altrettanta passione nell'autoarricchimento da parte del fratellino, e Lucilla aveva praticamente sguazzato in brodo di giuggiole. Dunque la brevissima conversazione si era conclusa lì, perché il koopa era sempre stato un tipo verbalmente oculato, ma, qualche mattina dopo in cui la ragazzina si era ritrovata di nuovo allettata, con spasmi di tosse che la squassavano e la spossavano, il postino aveva bussato alla porta per riferire che il principe Ludwig von Toadstool Koopa le avesse intestato l'abbonamento permanente alla biblioteca di Fungopoli e che, da quel momento, lei poteva ordinare i libri che voleva e farseli recapitare direttamente a casa. Alcuni cavalieri si presentavano anche con guscio puntuto e artigli al posto del destriero e armatura scintillante.

Tuttavia, le romanticherie erano state temporaneamente surclassate nelle priorità di Lucilla, perché un grande mistero era sul punto di essere risolto quella sera stessa: zio Luigi. Anche lui era uno strambo e, nella loro mutua stramberia, questi e Lucilla avevano stabilito una certa intesa. Lo zio era il tipo più interessante che la nipote conosceva (escludendo il principe Ludwig), ma, purtroppo, non faceva loro visita molto spesso: due volte l'anno per la precisione, una per il compleanno delle bambine e l'altra per il proprio e del fratello. Ogni tanto telefonava e non sempre rispondeva quando lo cercavano. La sua latitanza dalla vita familiare era motivo di profondo turbamento per loro padre che non era mai riuscito a convincerlo a farsi vivo più spesso. Anzi, a volte l'insistenza di quest'ultimo sfociava nella collera di fronte al puntuale declinare dello zio che, al contrario, non si scomponeva di un millimetro e, se gli animi iniziavano a scaldarsi, toglieva garbatamente il disturbo per ripresentarsi in seguito come se nulla fosse accaduto.

Suo zio parlava con gli spettri e per questo si faceva chiamare “fantasmologo”, che non era un'attività universalmente riconosciuta essendo lui il primo e unico pioniere: li ascoltava e li aiutava a venire a patti con la loro condizione e a risolvere le loro faccende in sospeso, affinché potessero trovare la pace dopo il Game Over. Lucilla amava le storie che le raccontava, così diverse dai soliti resoconti trasudanti di vittorie e autocelebrazione del padre ogni volta che questi faceva ritorno da un'impresa: storie commoventi e tormentate che potevano tuttavia concludersi con un sorriso, uniche fra loro, con protagonisti che non avevano alcun dono speciale, eppure la loro avventura non era meno degna di essere riferita. Secondo i genitori, Luigi era ossessionato dalla sua vocazione, siccome il suo non si definiva effettivamente un lavoro, errando per il mondo alla costante ricerca di spiritelli smarriti, tanto da dimenticarsi coloro che lo avevano caro. Di lui non si accennava quasi mai per evitare che Mario si rabbuiasse e persino loro madre ci andava cauta sull'argomento.

Pauline si raccomandava con le bambine di essere estremamente gentili con lo zio, ribadendo che fossero ormai le sole capaci di convincerlo a riallacciare i rapporti coi vivi. In particolar modo, era Lucilla quella con cui si era creato un legame ancor prima che lei nascesse. Era stato Luigi infatti a sceglierle il nome: la mia lucciola, la mia lucetta la chiamava con tenerezza. Mario aveva deciso per Gloria e Pauline aveva invece ceduto il privilegio al cognato, pur di riavvicinarlo alla famiglia, ignorando i rimbrotti del marito. Quando i dottori avevano concordato che Lucilla fosse finalmente fuori pericolo, dopo giorni interminabili di accertamenti, i Mario avevano fatto ritorno a casa con un fagottino rosa ciascuno e, poggiati alla porta, giacevano due bellissimi fasci di ginestre bianche invece dei classici bouquet per bebè. « Figurati se lui non doveva distinguersi » aveva commentato asciutto loro padre.

Ad ogni modo, Lucilla aveva intuito che vi fosse qualcos'altro sotto, sorvolando sul chiodo fisso per la fantasmologia. Vi aveva ponderato scrupolosamente, aveva spigolato informazioni in ogni singolo manuale sull'occulto imprestato dalla biblioteca, oltre ad aver fatto ricerca online, e aveva maturato la certezza di aver scovato infine il terribile segreto: suo zio era un vampiro.

Era un sospetto che la piccola serbava quietamente da diverso tempo, avendo sommato uno ad uno i campanelli di allarme intercettati: Luigi non si presentava mai prima del tramonto, come se rifuggisse la luce del sole; sebbene lui e suo padre fossero gemelli, adesso Mario sembrava salito di grado a fratello maggiore mentre lo zio non aveva neppure un accenno di ruga in faccia; inoltre quest'ultimo condivideva la medesima sobrietà di un becchino nel vestire, a conferma della norma secondo cui i vampiri non indossavano colori appariscenti per agevolare la caccia notturna e, in secondo luogo, il nero donava charme per irretire le vittime.

Per nascondere il pallore della pelle e i denti da ematofago bastavano del trucco da attore e una protesi, e che lo zio ingerisse il loro stesso pasto poteva trovare spiegazione nel fatto che non stava scritto da nessuna parte che un alimento diverso dal sangue fosse letale per i vampiri; sicuramente non adatto, ma nemmeno letale. Magari gli avrebbe causato un tremendo mal di stomaco e lo avrebbe costretto a vomitare una volta fuori dal loro campo visivo, di fatti lo zio non si fermava mai per molto dopo aver cenato insieme. La mente della bambina delineò ubbidiente l'immagine di Luigi avvinghiato al vaso sanitario in bagno, come in preda a una delle peggiori sbornie mai prese.

Sull'altro piatto della bilancia, un paio di fatti remavano contro la teoria appena esposta: a dispetto delle credenze più antiche, lo zio si rifletteva negli specchi esattamente come un qualsiasi comune mortale e poteva varcare con disinvoltura la soglia di casa senza che nessuno gli esprimesse vocalmente il permesso di entrare. Secondo i dati raccolti, ai vampiri è concesso di introdursi in un dominio altrui a patto che il padrone abbia prima scandito il benvenuto, altrimenti l'aura vitale degli abitanti passati e presenti a impregnare la dimora avrebbe corroso il guscio di carne, rivelando la loro vera natura. Nell'ultima visita da parte di Luigi, la nipote gli aveva aperto la porta per testare il principio, scansandosi senza emettere un fiato e l'ospite aveva attraversato illeso l'ingresso e di conseguenza smentito quella che era soltanto una diceria folcloristica. In merito al discorso del riflesso, anche in tal caso poteva trattarsi di una banale leggenda stokeriana imbevuta di superstizioni religiose, proprio come con l'aglio e coi crocifissi assolutamente sopravvalutati.

Tuttavia, un ulteriore dettaglio a conferma dell'idea di Lucilla si era aggiunto a spronare la piccola nella sua missione di smascheramento: le impronte dello zio, o meglio, quelle che non c'erano. Luigi aveva spiegato loro che, a causa degli impegni assolvibili solo di notte, il suo orologio biologico si era ormai invertito, ovvero che il tramonto per lui corrispondeva all'alba e vice versa. Per tale ragione a casa si posticipava la cena così da permettergli di protrarre la permanenza e lo zio levava le tende quando fuori era calata notte fonda. Per non infastidire i vicini Luigi si premurava di parcheggiare la moto poco lontano, al limitare del bosco, e la mattina dopo Lucilla aveva seguito le orme di quest'ultimo sul sentiero che si biforcava dalla strada principale e che conduceva nella foresta. Quasi non si sorprese nell'attimo in cui si interruppero bruscamente, come se il piede che Luigi aveva sollevato non avesse più toccato terra. Ovviamente non si era vista neanche mezza traccia di pneumatici in giro e Lucilla aveva dunque compreso di trovarsi nel punto preciso, godendo della presenza ingombrante degli alberi per passare inosservato, dove lo zio aveva abbandonato le spoglie umane per trasformarsi in un bellissimo pipistrello.

Malgrado la bambina sentisse che i tasselli coincidevano, gli indizi elencati non erano certo abbastanza per convincere almeno un goomba tendenzialmente credulone, figurarsi gli scettici più incalliti. Serviva una prova così schiacciante da sgominare ogni obiezione, ed ecco perché Lucilla aveva aspettato ancora, altri mesi di segreti e progetti, fino alla sera del suo tredicesimo compleanno.

Avrebbe dimostrato a tutti la verità che avevano avuto sotto il naso senza nemmeno immaginare.

Avrebbe dimostrato a se stessa di non essersi sbagliata.


Nota d'autrice:

E fu così che, dagli accordi stridenti e dalle languide stonature della Danse Macabre, siamo passati al ritmo sbrigliato e saltellante dello swing. Il titolo che ho preso in prestito per questa fanfiction appartiene a una canzone composta dai Big Bad Voodoo Daddy. Quando la ascolto mi ispira l'immagine di una festa gigantesca dentro una casa infestata.


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Capitolo 2
*** Train Wreck ***


k

Personaggi: Luigi, Re Boo, Mario (menzionato), Pauline (menzionata), Daisy (menzionata), Bowser (menzionato), Peach (menzionata), Altri personaggi (menzionati), OC.
Genere: Introspettivo, Mistero.
Pairing: Het, Shonen-ai, Crack pairing.
Note: Tematiche delicate.



Train Wreck



Due ore! Ben due ore di ritardo, il galantuomo, e senza nemmeno scomodarsi di avvertire. Le verdure erano così ansiose di cuocere che stavano ormai considerando l'idea di darsi fuoco per protesta. Il rispetto per gli impegni altrui dov'è andato a finire? Domani le bambine hanno scuola e Pauline deve alzarsi presto. Le scuse sono irrisorie. Può il signore condividere con noialtri umili mortali, invece, l'avvincente ragione di sì tanta tardanza? Un eccitante colloquio riguardo l'influenza dello stile galante sulla sinfonia mozartiana? Oserei dire un autentico spasso. Con chi, di grazia? Una recente amicizia? Non lesiniamo sui particolari, sia mai. La signorina Melody Pianissima? Questo è interessante. Dove vi sareste conosciuti? In un cimitero?...

Il tono plumbeo nel ripetere la risposta conclusiva aveva espresso in maniera nitida l'estinzione ineluttabile e definitiva delle speranze di Mario in una rinata, sana frequentazione di persone vive da parte del fratello. « Fammi indovinare: davanti al suo loculo? » aveva chiesto poi con malcelato sarcasmo, tornando ai fornelli per provvedere alla cena e senza attendere la replica che gli era giunta con altrettanta pacatezza delle precedenti.

« Attualmente risiede in una cripta. Gli spazi ristretti la snervano. »

Lucilla aveva sorriso tra sé. Il solito zio Luigi. Francamente non le pareva il tipo che si sarebbe accompagnato a una donna, per quanto le voci sugli antichi bollori per la regina di Sarasaland ronzassero ancora nel cicaleccio quotidiano, ma aveva tenuto per sé tali osservazioni. Si accovacciò dietro i cespugli, cercando di occupare il più piccolo spazio possibile mentre avvertiva i passi dello zio procedere flemmatici sul sentiero principale. Le orecchiette triangolari sul capo si appiattirono e la coda di volpe le si avvolse intorno a una gamba. Le vertigini le avevano quasi giocato un brutto scherzo quando si era librata silenziosa dalla finestra sul retro.

« Buon compleanno, mie principesse. » Luigi aveva disteso le labbra in uno dei suoi sporadici sorrisi e porto alle nipoti un sacchetto di raso ciascuno del loro colore preferito: un bello scarlatto vibrante per Gloria e un acquoso verde coccodrillo (più comunemente noto come “verde pino silvestre”) per lei. Le piacevano i doni dello zio, mentre Gloria si sforzava sempre di non storcere il naso. 'Mi raccomando, bambine', aveva l'abitudine di dire la mamma, 'quando vi portano un regalo, apritelo con premura davanti a chi ve lo ha dato e dimostrate il vostro piacere. Nel caso non vi piacesse mostratevi contente lo stesso, perché hanno speso del tempo nel cercare una cosa a voi gradita'.

« Un cellulare nuovo mi avrebbe fatto veramente comodo » aveva commentato la sorella una volta fuori dalla portata d'orecchio dello zio, rigirandosi tra le mani il rompicapo cinese sotto uno sguardo scettico e rimpiangendo la serata mancata coi compagni di classe al Brooklyn Bowl. Lucilla aveva ricevuto un caleidoscopio antico in ottone da aggiungere alla sua collezione, decorato con intagli floreali e una corolla di perline in turchese alle estremità: il venticinquesimo pezzo, per l'esattezza, di cui tredici, incluso il più recente, da parte di zio Luigi. Gloria, assai meno entusiasta della peculiarità degli omaggi, già da parecchio le aveva ceduto disinteressata i diritti sui rompicapo accumulati, così Lucilla finiva per rimediare due regali di compleanno dalla stessa persona. Sia i giochi di ingegno che i caleidoscopi e i taumascopi costituivano un ottimo diversivo nelle giornate storte (i primi le rendevano meno tediose e i secondi le tingevano di bellezza), e a ogni ricorrenza aumentavano l'elaboratezza dei disegni di luce e di ragionamento.

La ragazzina estrasse la videocamera a infrarossi regalatale su richiesta, preparandosi a immortalare la scena tanto attesa: il momento esatto in cui l'enigmatico Luigi Mario, il primo vampiro presto documentato nella storia, si tramutava in uno dei più incompresi fra gli animali notturni meno amati. Si era beccata un rimprovero da parte dei genitori per aver convinto i nonni a procurarle un apparecchio così costoso, parandosi dietro l'amore sconfinato per lei, la più fragile, la più bisognosa di stimoli, ma il fine giustifica i mezzi. Udì lo zio camminarle davanti, a meno di una decina di metri, e spinse delicatamente l'obbiettivo tra il fogliame per i suoi scopi spionistici.

Sebbene Luigi insistesse sul dover attenersi a orari rigorosi che non gli concedevano nemmeno qualche ora in più in famiglia, non le trasmise tanta urgenza di tornarsene chissà dove; al contrario, restò a lungo immobile dandole le spalle, forse smarrito in antiche nostalgie rianimate, a osservare la Fungopoli dormiente, il punto di partenza delle sue avventure, il bello ovile, piena di affetti e ricordi. Era talmente assorto da suscitarle l'impressione che nemmeno respirasse.

Infine, lo zio fece per ripiegare verso il cuore del bosco e Lucilla aumentò la distanza focale, pronta a catturare l'istante clou della metamorfosi, quando l'attore ignaro si voltò di scatto nella direzione del riparo, scuotendola dalla punta dei capelli a quella dei piedi in un fremito di spavento. « Chi è là? » La voce di Luigi fendette accusatoria il silenzio.

Il sangue dell'appostata si gelò nelle vene e non solo per essere stata scoperta: gli occhi dello zio nell'immagine in toni di verde non avevano il tipico riflesso di luce “viva”, anzi non vi era alcuna vita in essi. Erano due fosche cavità dove, al loro centro, sospesa nel vuoto, dimorava una radianza sinistra della grandezza di una pupilla.

« So che sei lì nascosto. » Luigi serrò i lineamenti in un'espressione guardinga, fissando ostinatamente il cespuglio a schermare la bimba rannicchiata.

Sebbene Lucilla si fosse ripromessa di mantenere calma e lucidità in qualsiasi circostanza, lo sguardo spettrale puntato dritto addosso scrollò il suo istinto di sopravvivenza e la ragazzina combatté con la tentazione di volar via in ritirata, realizzando di aver sottovalutato la superiorità percettiva del vampiro che mosse un passo verso di lei.

Quanto filmato era sufficiente a provare che il protagonista non era per niente umano e, se questi si fosse accorto di essere stato incastrato, avrebbe per prima cosa fatto sparire la telecamera, ben più attendibile di una bambina malaticcia e patita dell'occulto nei panni di testimone oculare. Lucilla si trovò di fronte a un bivio: togliere l'oggetto dalla vista e risparmiare allo zio il disturbo di venire a prenderla, consegnandosi spontaneamente e simulando inconsapevolezza dell'effettiva realtà, oppure giocare un'ultima carta. Determinata a perseguire la sua missione sino all'ultimo incriminante secondo registrabile, lasciò che la coda volpina del power-up spuntasse dal riparo, sfiorando languida gli steli d'erba.

Nonostante il buio pesto sotto la cupola frondosa, Luigi parve distinguerla e si arrestò incerto.

Il timer della videocamera scandì secondi carichi di tensione nella quiete anomala creatasi tutt'intorno, senza nemmeno i suoni della natura a occultare il respiro della ragazzina che trattenne il fiato per quella che le sembrò un'eternità, finché lo zio non si decise a non importunare una povera bestiola che probabilmente stava consumando il suo pasto.

Il sollievo della vittoria aveva acuito persino il profumo erboso dell'aria che Lucilla aveva ricominciato a inalare. Non si era mai accorta prima di quanto le piacesse quell'odore.

Luigi si gettò un'ultima occhiata addietro, indirizzando un saluto silente alla sua vecchia casa e, sicuro della segretezza fornita dalle tenebre, ricondusse lo sguardo avanti in segno di concentrazione e qualcosa che la ragazzina non aveva previsto accadde: si alzò dapprima un vento gelido che le condensò il respiro e che le punse la pelle scoperta, poi lo zio non si trasformò, ma disparve. Un varco gli si era aperto di fronte e questi lo aveva attraversato a gamba tesa. « Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente » citò tra sé i tetri versi prima di essere inghiottito dal nulla cosmico che nemmeno gli infrarossi riuscivano a dissipare.

No, non puoi farmi questo! Lucilla balzò in piedi furibonda. L'ingrato le aveva dato a malapena un assaggio delle novità promesse da mesi e aveva osato mollarla con un pugno di micragnose briciole. La frustrazione e la stizza quasi le fecero soffiare vapore dalle orecchie. Era stato spaventoso e inebriante allo stesso tempo. Il brivido dell'ignoto, i sussulti di paura, l'adrenalina del rischio, l'esaltazione del successo: ecco cosa provava suo padre in ogni avventura. Adesso la sua, invece, le era appena scivolata via dalle mani come un'ennesima beffa da parte del destino che con lei doveva essersela risa di gusto sin dall'inizio.

Il terrore di ciò che l'avrebbe accolta dall'altra parte del portale era forte, ma, rispetto a quello che l'aspettava una volta che la salute avesse fatto di nuovo cilecca, ferma per giorni e giorni a letto, inutile e compatita, a maledirsi fino all'ultimo respiro per non aver colto al volo forse l'unica occasione di rivalsa nella sua vita, fu nettamente più straziante.

La spaccatura dimensionale cominciò a restringersi e Lucilla lasciò cadere sull'erba la videocamera che avrebbe recuperato al ritorno (se fosse mai tornata) e, grazie all'agilità maggiore garantita dal power-up, coprì la distanza con un singolo e sgraziato tuffo in avanti per precipitarvisi a occhi chiusi.


La testata contro il fondoschiena dello zio fu clamorosa, sbalzandolo malamente in avanti con un grido di sorpresa, susseguito da un altro la cui voce suonò completamente estranea alla ragazzina che atterrò su un tappeto. La tuta kitsune si dissolse a causa dell'impatto, lasciando il posto a jeans, felpa e scarpe da ginnastica. Raddrizzando gli occhiali sbilenchi l'intrusa sollevò lo sguardo e mise a fuoco un groviglio di braccia e gambe che le ricordò un grosso scarafaggio ribaltato. A giudicare dalla quantità di arti ad agitarsi, qualcuno aveva atteso il ritorno di Luigi al tepore soffuso del caminetto acceso, sulla costosa poltrona imbottita che, oltre al secondo individuo, aveva attutito la caduta.

Il primo arrivato si rimosse dalla posizione compromettente tra le gambe dell'altro tizio e rotolò di lato, finendo col posteriore sul pavimento. L'espressione stupita sui suoi lineamenti si tramutò in una di panico non appena si avvide dell'identità dell'attentatore. Tuttavia, Lucilla prestò maggior considerazione alla faccia dello sconosciuto, innaturalmente tonda e di un bianco vinilico. Il cuore della ragazzina mancò un battito, incontrando le pupille fosforiche e sospese nelle scure cavità orbitali che la inchiodarono sul posto, scintillanti come punte di proiettili in fondo alle canne di un fucile. In quegli occhi diabolici non dimorò solo sorpresa nel vederla, ma anche qualcos'altro che la fece rabbrividire, avvertendosi oggetto di un'importante decisione che dietro di essi si stava valutando.

Luigi ignorò vesti e capigliatura in disordine e le si chinò davanti per controllare che non si fosse fatta male, manifestando tanta agitazione addosso quanta lei mai gliene aveva vista prima. « Lucetta mia, stai avendo il più pazzesco dei sogni. » La aiutò a rialzarsi, carezzandole il viso e cingendole una mano per condurla indietro nel gorgo che cominciò a spalancarsi nuovamente, simile un buco nero in miniatura.

Suo zio fece per portarla via, ma lei non poté trattenersi dall'incrociare ancora lo sguardo feroce del tipo che pareva spuntato fuori da un museo del Settecento. Gli occhi bui non l'avevano abbandonata un attimo.

Rammemorandosi di tutte le storie che suo padre aveva raccontato a lei e a sua sorella, nelle notti in campeggio davanti al fuoco, un nome le affiorò senza indugio alle labbra. Il resto del suo aspetto non coincideva con l'immagine nella mente della ragazzina, ma la faccia e lo sguardo erano inconfondibili. « Tu sei Re Boo! » esclamò sbigottita.

Il tempo nella stanza si cristallizzò. Suo zio si bloccò come di sale e persino lo spettro famigerato, che già non aveva manifestato chissà quale vivacità, prese a somigliare alla statua di Abraham Lincoln. Il portale cessò di espandersi oltre il diametro di un oblò, poi si richiuse rinvigorendo la danza del fuoco a causa dello spostamento d'aria. Trascorse qualche secondo di silenzio assordante prima di una reazione.

Le labbra del fantasma si distesero in un sorriso di denti aguzzi che le rievocò l'immagine di una tagliola appena scattata. « Enchanté. » Si erse e compì un inchino teatrale, ruotando il polso con eleganza. « Onorato che la mia reputazione ancora mi preceda, dopo tanti anni di ritiro dall'attività di antagonista conclamato. »

Luigi gli indirizzò un'occhiata quasi implorante, ma il sovrano non vi diede peso: la frittata era fatta. « Ebbene, una sedia e qualcosa da bere per la nostra ospite. » Re Boo si voltò in direzione della cucina dove un altro fantasma stava sbirciando timidamente da dietro lo stipite. Fu allora che Lucilla si accorse che la conformazione interna della casetta era identica a quella dove ora viveva la sua famiglia, sebbene lo stile fosse decisamente più antico e raffinato.

Il secondo spiritello sfrecciò solerte e le sistemò dietro il mobile, fluttuandosene via di tutta fretta. Un po' a disagio, Lucilla lo occupò unendo le ginocchia e abbassandosi il cappuccio. « Mi spiace di essere piombata qui senza essere stata invitata. »

« Hai ereditato l'irrefrenabile curiosità di tuo zio. » Il sovrano si riaccomodò languido sulla poltrona come fosse un trono, padrone della situazione. Non le sembrò contrariato della sua invadenza, né allarmato come Luigi, semmai circospetto, intento a studiarla con molta attenzione. « In effetti, denoto una certa somiglianza ora che vi ho davanti così vicini. »

Lucilla si era sentita paragonare assai più spesso allo zio piuttosto che al padre, non solo per una questione fisica. « Me lo dicono in tanti. »

« Ad ogni modo, ma chère, non hai motivo alcuno di temermi. Come ho già accennato poco fa, non sono più dedito al Male in tutte le sue sfumature né alla persecuzione di idraulici partenopei sulla faccia di questo mondo » la rassicurò lo spettro, giungendo le mani guantate sul grembo e intrecciando le dita. « Quando la Terra Oscura e il Regno dei Funghi si sono congiunti sotto un'unica effige, il mio vincolo di vassallaggio nei confronti di re Bowser è stato sciolto definitivamente e da allora, grazie soprattutto all'assistenza del tuo prodigo zio, sono riuscito a imbarcarmi in un impegnativo percorso di riabilitazione per lasciarmi addietro le dannose abitudini di una lunga carriera da cattivo. »

« È vero » garantì Luigi, appoggiandole un palmo sulla spalla. « Ciò che ti ha raccontato tuo padre fa parte di un capitolo chiuso nel passato. Adesso Re Boo è un mio caro amico e non farebbe nulla per nuocere te o chiunque altro. »

« Ogni tanto mi concedo lo sfizio di atterrire qualche avventore nelle mie dimore infestate » ammise il fantasma col ghigno giocoso di un bambino che confessa una marachella. « Dopotutto, resto pur sempre un boo. » Alzò una mano in segno di resa.

Lucilla nutrì dei dubbi sulla conversione dello spettro più potente mai esistito e si chiese se suo zio non fosse tenuto prigioniero o magari la sua volontà era stata soggiogata. « Non ti manca essere un cattivo? »

« Io sono un cattivo, e questo è bello. Non sarò mai buono, e non è brutto. Non vorrei essere nessun altro a parte me. » Re Boo recitò il mantra che lei aveva udito proferire una volta dal burbero marito della regina Peach. « La Anonima Cattivi non ha preso bene la mia decisione, ma il loro caffè annacquato non lo rimpiango di certo » aggiunse con indifferenza. « Suppongo che rimarrà sempre una radice malvagia in me, ma non sarà essa a governare le mie azioni d'ora in avanti. »

Dunque non ha ripudiato il suo ruolo, semplicemente ha smesso di metterlo in pratica. Lucilla annuì, nient'affatto convinta, ma si impose di stare al gioco, ansiosa di dare voce alla scarica di domande che serbava dentro di lei. Il domestico fece ritorno con un bicchiere di limoaranciata alla menta con ghiaccio, preparata con agrumi freschi: la sua bevanda preferita. Quando il boo staccò gli occhi da terra per rispondere al ringraziamento nell'accettare la delizia, la ragazzina realizzò che si trattasse di una femmina. « Come ti chiami? » le chiese amichevolmente.

La fantasmina batté le palpebre e tartagliò qualche flebile sillaba, intimidita dall'essere appena divenuta il bersaglio degli sguardi collettivi.

« Ci ha permesso di battezzarla Ombretta, siccome non ha ricordi della sua identità precedente. » Si intromise Luigi prima che la poverina si squagliasse di imbarazzo. « Lei è la nostra governante. »

Essendole stata rammentata la sua posizione, la boo cercò di darsi un contegno di fronte all'ospite importante: irrigidì l'espressione, giunse le zampette e gonfiò il petto per assumere un tono professionale, arricciando la codina all'insù. L'effetto fu quello di rendersi ancor più adorabile e Lucilla dovette sforzarsi di reprimere l'impulso di strizzarla tra le braccia, considerandola l'anello di congiunzione tra una foca di peluche e un marshmallow. Fu il turno delle presentazioni anche per Poltercucciolo che, destatosi dal sonnellino dopo aver intercettato l'odore di una nuova presenza, si precipitò giù dalla camera al piano di sopra per porgere i suoi sentiti omaggi con una dose generosa di leccate in faccia. Lucilla drizzò le orecchie quando lo zio lo definì “il nostro cane”, ma fu attenta a non lasciar trasparire interesse.

L'atmosfera si era sensibilmente rilassata e la situazione le divenne più chiara. Luigi non le sembrava condizionato in alcun modo dal fantasma e quella in cui lei si era introdotta di sua iniziativa non era una prigione o un covo segreto dove ordire trame e insidie, ma la casa dello zio che sinallora aveva fatto credere alla famiglia di vivere da girovago senza dimora fissa. La ragazzina consegnò il bicchiere vuoto alla boo e pensò a una carineria da dire per compiacere il sovrano, i cui favori preferiva ingraziarsi. Vi era inoltre l'obbligo morale di rimediare alla brusca entrata in scena. « Mi hanno riferito cose spaventose su di lei... voi... Sire. »

« Puoi continuare a darmi del tu. » Re Boo parve gradire, accettando l'elogio con un guizzo divertito ad accendergli per un istante le pupille spettrali. « E sono tutte vere, signorina. »

La virtù della discrezione venne momentaneamente accantonata da una galoppante curiosità: la stessa che aveva spinto Lucilla a infilarsi nel portale con la grazia di un ariete da sfondamento. « È vero anche che divori i bambini che la sera non vanno a dormire presto? »

Gli occhi del fantasma lampeggiarono di nuovo. « Solo nei week-end. Il resto della settimana mi piace tenermi leggero. »

« E che di notte ti nascondi sotto i letti per terrorizzare quelli che sono stati cattivi? »

« Dico, hai idea di quanto sia poco igienico? Si contano sulle dita di una mano ormai le case dove si ricordano di pulire regolarmente lì sotto e sfido chiunque a non schifarsi su un tappeto di lanugine. »

« E che ti diverti a spaiare i calzini nella lavatrice? »

Re Boo aggrottò appena le arcate sopraccigliari glabre. « Questa mi è nuova » commentò perplesso, chiedendosi cosa avrebbe dovuto farsene dopo di tutti gli indumenti vedovi. « C'è altro per cui qualche genitore squinternato ha deciso di incriminarmi? »

« Sì, ma prima vorrei regolare i conti con zio Luigi. » La bambina si alzò in piedi per piantarsi esattamente davanti al soggetto in questione. Le iridi cerulee della fresca generazione Mario si scontrarono con pari forza con quelle della precedente. « Voglio la verità. »

L'altro non rispose subito. « Non ti piacerebbe. »

« So che tu non sia chi vuoi farci credere di essere. Sono pronta a qualsiasi delucidazione a partire da qui. »

Si protrasse una pausa in cui la maschera di Luigi vacillò e le sue labbra si serrarono in una linea.

« Intendi tenermi rinchiusa per sempre, ora che sono davvero entrata nella tua vita? » volle appurare Lucilla.

« Certo che no! » Lo zio le parve genuinamente inorridito all'idea e ciò la tranquillizzò in parte.

« Allora prometto di non farmi scappare detto nulla su cosa ho visto stasera, se sarai finalmente onesto con me. Puoi cominciare spiegandomi perché non invecchi come papà e tutti gli altri. »

« Dieta vegana ed esercizio regolare. »

« Non ti ho investito per sciropparmi altre balle. »

« Una fisioterapia sperimentale che... »

« Dovevo colpirti più forte. »

« La verità che cerchi è proprio intorno a te, ma chère. » Intervenne pacato Re Boo, ponendo fine all'inconcludente botta e risposta.

Luigi gli rivolse un'espressione tradita che probabilmente era già stata testimoniata sul volto di Giulio Cesare, un nanosecondo a separarlo dalle pugnalate inflitte dal figliastro Bruto.

« Non fare quella faccia. Non v'è ormai messinscena che regga e la tua sveglia nipotina aveva capito quanto basta ancor prima di renderci visita » replicò lo spettro, stringendosi una tempia con due dita e squadrandolo scettico di sbieco. « O contavi sul serio di riuscire a spacciarle gli ultimi eventi come un'illusione onirica? »

Lucilla spostò lo sguardo sui tre astanti, dal lugubre monarca sulla poltrona alla tenera Ombretta, che fissò in basso intimorita nel trovarsi coinvolta in circostanze tanto delicate, e infine su Poltercucciolo che inclinò il musetto, confuso dal pesante silenzio calato nella stanza. « Sei morto. » La voce le tremò, dirigendo di nuovo l'attenzione sullo zio.

Luigi si chinò per portare gli occhi di entrambi alla medesima altezza, stringendole piano le spalle. « È stata una fase di transizione, una metamorfosi. Non ho mai lasciato questo mondo e non progetto di trasmigrare in alcun dove, almeno finché ci sarete tutti voi. » Tentò di addolcire la pillola il più possibile, quasi fosse una cosa bella quello che gli era successo.

« Sei un fantasma e non ci hai detto niente! » Lucilla incrociò offesa le braccia.

« È stata la scelta migliore. Tuo padre, specialmente, non lo avrebbe sopportato. Non piangere... »

« Perché dovrei? È il giorno più elettrizzante della mia vita. » Lo spiazzò la nipotina, studiandolo come se lui fosse l'ottava meraviglia sotto le luci della ribalta. « Avevo capito che eri strambo, d'altronde ne serve uno per riconoscerne un altro, ma che tu fossi un fantasma va oltre ogni mia previsione. » Gli stropicciò i baffi, trattenendosi dal ridere allo sguardo disorientato in risposta.

Luigi batté le palpebre e domò infine lo stupore, disarmato dinnanzi la spavalderia della bambina, scuotendo il capo e ridacchiando sommessamente. Erano anni che una risata sincera non gli vibrava in gola. Se avesse potuto, forse avrebbe addirittura pianto qualche lacrima, mentre emozioni che aveva soffocato in profondità tanto a lungo gli affioravano in viso. « Ricordo quali appellativi mi rappresentavano una volta: perdente, eterno secondo, imbranato. Strambo è un salto di qualità che non mi dispiace. »

Lucilla distolse un attimo lo sguardo, esitante. « Tutte le storie che mi hai raccontato, sono vere? »

« Ognuna di esse è accaduta e mi è stata affidata. »

« Quindi sei un fantasma che aiuta altri fantasmi a raggiungere il Mondodisù? Pensavo si rivolgessero a qualcuno ancora vivo, o almeno così fanno nei film. »

« Li aiuto a ritrovare pace con se stessi. Alcuni di noi sono felici in questa dimensione, altri invece hanno bisogno di una mano per capire dove andare » rispose il professionista, accogliendo la curiosità della ragazzina con un sorriso. « Un individuo che non ha ancora affrontato tale percorso non comprenderebbe. »

Lucilla notò solamente allora il dipinto a carboncino affisso sopra il camino, alle spalle dello zio, raffigurante quest'ultimo seduto su una balaustra gotica, con un braccio adagiato sul dorso ingobbito di una grottesca gargolla dalle fauci spalancate, immerso nelle ombre notturne e in pensieri tortuosi che gli indurivano i lineamenti. L'esecutore aveva impresso un lavoro da certosino, avvolgendo il soggetto in un'aura di solenne malinconia che ne rivelava l'animo tormentato e sfuggente, chiuso in segreti inarrivabili. In basso a destra era visibile la firma barocca e arzigogolata dell'artista, attualmente accomodato a non più di un metro da lei, sulla poltrona poggiante su quattro zampe leonine. Non serviva essere nati con una generosa dote di intuizione per tirare le somme. « Voi vivete insieme? » domandò simulando nonchalance e alternando lo sguardo dall'uno all'altro.

Ottenne due reazioni opposte: suo zio era tremendamente in imbarazzo, mentre Re Boo sembrava tremendamente divertito. Lucilla era sempre stata un tipino diretto (qualità considerata sia un pregio che un difetto) e le sue domande mirate avevano l'effetto di pallottole vaganti a distanza ravvicinata su Luigi, il quale si rialzò e deviò l'impegno della conversazione nel ricomporsi con cura felina.

« Non è inconsueto per dei fantasmi condividere lo stesso alloggio » bofonchiò impacciato raddrizzando i polsini della camicia, sotto la giacca. Ora sì che somigliava al vecchio Luigi tanto rimpianto dai suoi genitori.

Re Boo le strizzò un occhio e lei si morse un labbro per reprimere un risolino.

« Sono felice che tu non stia da solo » affermò entusiasta, suscitando ulteriore disagio nell'ex paladino che per un istante perse consistenza, sfarfallando comicamente alla maniera di una lampadina sul punto di fulminarsi. « Mamma e papà sono convinti che tu non voglia saperne di farti una famiglia tutta tua e che abbia deciso di vivere da eremita in mezzo ai boo, e mi riempe di gioia scoprire che si siano sbagliati per tutto questo tempo. » Si rivolse poi al monarca silente che ricambiò lo sguardo con un ghigno sornione: « Grazie per esserti preso cura di lui ». La ragione dietro la condotta dello spettro temuto e temibile le era divenuta infine palese, a ricordarle il caso di re Bowser che aveva scelto di ridimensionarsi con le sue manie di onnipotenza per la serenità della regina.

« Dopo i lunghi trascorsi insieme, giammai avrei potuto lasciare il mio più valido opponente a un solitario destino. Sarebbe stata un'esistenza terribilmente monocorde per entrambi, c'est ça? » Indirizzò al menzionato opponente un'occhiata furbetta che quasi strappò a Lucilla uno squittio da fangirl e che riscosse un flebile e stentatissimo “non davanti a mia nipote” dal fronte opposto. « Tuo padre ti avrà di certo raccontato delle nostre antiche battaglie. »

La piccola annuì. La stravaganza del sovrano la intrigava e interagire con lui era un'esperienza da brivido e al contempo ammaliante: la soggezione della falena vicina alle mandibole del ragno ormai sazio, consapevole del potere che le stava dinnanzi, assopito ma vigile, godendo di un'insolita posizione di immunità nella gerarchia primordiale. « Siete come Louis e Lestat » aggiunse, arrecando un'ennesima ondata di imbarazzo allo zio che parve sul punto di sfumare in uno sbuffo ectoplasmatico.

« Personalmente mi reputo più affascinante di un belloccio da romanzo partorito dalla mente di una scrittrice annoiata. Inoltre, se per crudeltà del fato fossi vampiro, mi riterrei profondamente oltraggiato dal modo in cui la letteratura moderna ci ha ridotti all'arido immaginario di pubescenti trasognati » replicò Re Boo, portandosi un palmo sul torace come per contenere una pena a gravargli il cuore che più non possedeva. « Non mi trovi terrifico come tuo padre ti avrà senz'altro descritto? »

« Sì, ma allo stesso tempo magnetico. Sei... Non saprei definirlo... »

« Fa-boo-lous » esordì civettuolo il fantasma accavallando le gambe.

Lucilla scoppiò a ridere, inevitabilmente conquistata.

« Mi piace tua nipote » sentenziò il lugubre sovrano, cingendosi il mento tra l'indice e il pollice. « Peccato che debba già salutarci. »

« Ma sono appena arrivata! » obiettò Lucilla.

« Ma è appena arrivata! » contribuì in sincrono Ombretta, rispuntando dalla cucina col vassoio stracolmo di biscottini al burro.

Persino Poltercucciolo uggiolò per manifestare disappunto.

« Sono d'accordo con Re Boo. Se siamo fortunati, a casa non si sono ancora accorti della tua assenza. » Luigi le si chinò di nuovo davanti, fissandola con serietà mortale. « Stasera ti ho fatto carico di un fardello troppo grande per te, ma, Lucetta mia, ti prego di non confidare a nessuno quanto sai adesso. Mario ne sarebbe devastato e imputerebbe la colpa all'unico con cui ho invece un debito di gratitudine insanabile. »

« Non potresti provare a spiegargli come hai fatto con me? »

L'altro scosse la testa. « Si sentirebbe responsabile e ne sarebbe tormentato per sempre. Non tutte le avventure si concludono con un lieto fine, così per me è stato. »

Lucilla comprese che si riferisse alla sua ultima impresa, il salvataggio dell'allora principessa Daisy, dalla quale aveva fatto ritorno incredibilmente cambiato. « Croce sul cuore, che io possa morire! » promise decisa, compiendo il gesto del giuramento sul petto. « Mi rifiuto però di restare tagliata fuori come gli altri. Voglio trascorrere più tempo insieme a te, me lo devi. »

Lo zio si girò combattuto in direzione del sovrano che non si oppose alla richiesta. « Nei miei primi anni da novellino usavo questo per spostarmi. » Estrasse dal taschino della giacca raffinata il medaglione d'argento che aveva custodito in ricordo e glielo donò sul palmo della mano. Le espose il funzionamento, raccomandandosi di ricorrervi soltanto nel caso in cui fosse stata assolutamente certa di non tradirsi a occhi indiscreti.

« Quando posso tornare? » chiese trepidante Lucilla.

« Dovrai avere pazienza e dosare bene le visite » le consigliò Luigi, appellandosi alla sua assennatezza. « Se sparissi troppo spesso, qualcuno comincerebbe a porsi delle domande. »

La nipote fece cenno di aver recepito, chiudendo il gingillo prezioso per nasconderselo addosso.

« Se almeno uno di noi due sarà qui nei paraggi, ti apriremo la porta. »

Il gorgo si espanse dietro di lei, facendo oscillare il lampadario centrale. « À bientôt, ma petite luciole. »


Si ritrovò esattamente nella propria cameretta, sdraiata sul letto e con lo sguardo rivolto verso il soffitto, accanto alla finestra ancora spalancata. Nella casa regnava la quiete indisturbata del riposo notturno a suggerire che nessuno aveva preso nota della recente evasione. Se non percepisse il peso del ciondolo in tasca, potrebbe perfino giurare che si fosse trattato di un sogno straordinario, il più avvincente e realistico mai generato prima dalla sua mente.

Tirò fuori il medaglione lucido e lo rimirò a lungo nel suo languido dondolio ipnotico.

Mio padre è l'eroe di un regno in un'altra dimensione, mio zio è un fantasmologo fantasma e io nei temi sulla famiglia dovevo scrivere che uno è idraulico e l'altro disoccupato, considerò amaramente tra sé.


Nota d'autrice:

Sì, adoro da matti la battuta di Re Boo.


Louis de Pointe du Lac, Lestat de Lioncourt [Cronache dei vampiri] © Anne Rice
Anonima Cattivi [Ralph Spaccatutto] © Disney

Ombretta (aka Oriella) © Lulumiao/koopafreak


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Capitolo 3
*** Noodlin' ***


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Personaggi: Luigi, Re Boo, Mario (menzionato), Pauline (menzionata), Ludwig von Koopa (menzionato), Altri personaggi (menzionati), OC.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale.
Pairing: Het, Shonen-ai, Crack pairing.
Note: Tematiche delicate.



Noodlin'



Lucilla depose lo sguardo afflitto su quello che, molto probabilmente, era il vassoio di cupcake più squallido di tutto il cosmo esplorato. « Perché i tuoi sono così fantastici? » Spostò l'attenzione sull'ineccepibile modello di paragone, disposto sulla tavola esattamente accanto. Al contrario dei frutti dei suoi sforzi, le tortine preparate da Ombretta erano la rappresentazione concreta della perfezione, lucide e appetitose dal non poter resistervi almeno un morso, con una spolverata di confettini colorati come ultimo tocco di sontuosità. « E perché i miei fanno così schifo?! » La ragazzina diede voce all'onta della disfatta, indicando con un gesto esasperato la sua minuta orda di zombie che, maldestramente ricoperti di zuccherini variopinti e impantanati nella glassa grumosa, le sembravano addirittura reduci da un raid militare, crivellati di schegge e pallottole.

« Magari non sono bellissimi al di fuori » sdrammatizzò la fantasmina, « ma dentro sono ancora buoni ».

« Preferisco fare harakiri per redimermi dal disonore, piuttosto che presentarmi con questi sgorbi. Non li propinerei nemmeno alla mensa delle carceri. » Lucilla era consapevole che, se lo avesse chiesto, Ombretta sarebbe stata più che disponibile a darle i suoi dolcetti per il compleanno di Ludwig, ma i complimenti che la bimba smaniava di riscattare dal principe non sarebbero stati diretti a lei.

« Possiamo provare di nuovo » si offrì volenterosa Ombretta, la cui pazienza non pareva mai esaurirsi di fronte ad apprendisti scadenti. Era anche per tale qualità, oltre che per l'indiscutibile talento, che Lucilla l'aveva implorata di diventare sua mentore culinaria per adempiere alla disperata missione di omaggiare il primogenito Toadstool Koopa con un dolce preparato personalmente, senza intossicarlo.

« Questa è già la seconda volta. Anzi, la terza, se contiamo pure quando ho scambiato lo zucchero con il sale. » La cuoca in erba scosse mestamente la testa, rassegnata. « Significa che devo appendere il grembiule al chiodo e finirla di vilipendere la memoria della pasticceria. Mi limiterò a fargli gli auguri. Almeno quelli non lo spediranno dritto all'ospedale. » Uscì dalla scena del crimine, per inciso la cucina, e si abbandonò scomposta sulla poltroncina solita essere occupata dallo zio o dal sovrano. Poltercucciolo le saltò accanto scodinzolante e adagiò il musetto all'insù sul suo grembo, avanzando richiesta per una dose abbondante di coccole.

« Non siate troppo severa con voi stessa. » Ombretta asciugò con un panno le teglie e gli stampini appena sciacquati. Nonostante le pacifiche proteste di Lucilla che provava tuttora un po' di imbarazzo che qualcuno le si rivolgesse con tanta importanza, specie da colei considerata un'amica, la boo perseverava nel trattare in tutto e per tutto la bambina come una piccola nobile. « Il principe compirà gli anni domani, avete ancora tutto il tempo di fare un ultimo tentativo. » Le indirizzò un sorriso di incoraggiamento, fluttuandole a fianco.

« Se desse una sbirciata allo scempio nella pattumiera, mi ringrazierebbe di aver cambiato idea. » Da quando la salute di Lucilla aveva accusato meno acciacchi del solito nei tempi recenti, la casa nel Regno dei Funghi si svuotava sempre più spesso: i servigi di suo padre erano richiesti sia in veste di idraulico che di eroe quasi tutti i giorni; Pauline aveva prolungato l'orario lavorativo e traeva soddisfazioni sempre maggiori dalla carriera di agente immobiliare (l'esperienza teatrale le aveva lasciato un grande charme che non falliva di conquistare i clienti); Gloria, infine, si dedicava alle amicizie di Brooklyn e stava fuori pomeriggi interi. Così la sorella poteva sgattaiolare via qualche oretta nella massima discrezione.

« Avete comunque fatto passi avanti dal punto di partenza. » Le consolazioni benevole giovarono poco al bruciore della sconfitta. « A mio umile avviso, se posso permettermi, non vorrei peccare di insolenza, dovreste concedervi almeno un'ultima possibilità. »

« Per favore, non essere tanto ossequiosa quando parli con me. Non ce n'è bisogno. » Il malumore per il dono fallito le indurì la voce e Lucilla se ne pentì subito dopo, testimoniando l'effetto mortificante che ebbe sulla boo.

« Mi dispiace, non volevo, chiedo venia, non fateci caso... » bofonchiò Ombretta, parandosi il volto con le braccine.

Era già capitato alla bambina, in maniera del tutto involontaria, di intaccare l'estrema sensibilità della governante, a cui era sufficiente uno sguardo male interpretato o una parola pronunciata equivocamente per avvilirsi senza difesa alcuna. Quando Ombretta soccombeva alla propria fragilità, persino l'interlocutore che le porgeva le scuse per il malinteso la faceva sprofondare ulteriormente nei sensi di colpa e Lucilla intavolò svelta un argomento per distoglierla dall'autoafflizione. « Quando tornano zio Luigi e Re Boo? » Purtroppo quel giorno i padroni di casa avevano dovuto recarsi altrove dopo l'arrivo della nipotina, con la garanzia di ricomparire nel giro di poche ore. « Mi sarebbe piaciuto accompagnarli. »

« Non si tratterranno a lungo. La loro è solamente una visita di cortesia, perché Sua Tenebrosità non mancherebbe mai a un gala indetto da uno dei suoi cortigiani. » Ombretta si ricompose pian piano e si accinse a lucidare l'argenteria esposta nelle vetrine in cristallo e legno massello di ciliegio: un'attività che abitualmente l'aiutava a calmarsi i nervi. « Lady Bow ovviamente ha esteso l'invito a padron Luigi, sperando di entrare nelle grazie del re attraverso l'attuale preferito del nostro sovrano. »

« Lady Bow? » Quel nome non era nuovo a Lucilla, ma le sfuggiva in quale avventura di suo padre lo avesse udito, tanto tempo addietro.

« Una dei boo più influenti nella società dei non-vivi, dopo il nostro re ovviamente. »

« Quindi è risaputo fra i boo che mio zio sia un fantasma? »

« Solo tra i più devoti alla corona, quindi pochissimi oltre me, e la splendida Lady Bow non è inclusa. » Una punta di sarcasmo trapelò dalle parole dalla fantasmina a rivelare un'inaspettata antipatia per la dama ectoplasmatica, essendo Ombretta molto gelosa della sua posizione di prestigio, a stretto contatto col sovrano e confidente più affezionata del prediletto di questi.

Tuttavia, Lucilla sospettava che la dolce spiritella non nutrisse soltanto un curioso senso di appartenenza allo zio che l'aveva riparata sotto la propria ala, ma che in fondo vi fosse anche qualcosa di tenero, purtroppo incompreso o non corrisposto.

« Padron Luigi è diventato talmente bravo nel camuffamento da ingannare persino gli occhi di un boo. Finora voi siete stata l'unica a smascherare il segreto, d'altronde buon sangue non mente. »

La ragazzina intuì che l'altra non si riferisse a suo padre. « Non ti senti mai sola? » Ombretta le aveva già raccontato che, molto spesso, Luigi e Re Boo si assentavano anche giorni interi. La casa non era poi così piccola, ma a trascorrerci dentro tutto il tempo c'era da uscirne matti, a meno che, esattamente come nel caso della sfortunata Ombretta, non si fosse affetti da una grave agorafobia: per la fantasmina era impensabile varcare la soglia, all'aria aperta, senza precipitare in terribili attacchi di panico che la sfinivano e le squassavano il corpicino gommoso in preda ai brividi, togliendole addirittura la forza di fluttuare. Lucilla aveva assistito a una e si era impietosita enormemente per la condizione dell'amica, la quale manteneva i contatti col mondo esterno grazie alla televisione e alle riviste che si faceva consegnare, insieme a tutto ciò che le occorreva per la casa e per soddisfare i desideri culinari dei padroni. Curare il giardino e portare a passeggio Poltercucciolo erano le uniche incombenze destinate a Luigi e, in sua assenza, se ne occupavano altri domestici allertati da Ombretta.

Quest'ultima si soffermò a riflettere, sospendendo per un momento l'opera di lucidatura, come se non si fosse posta prima la domanda. « A volte. »

« Perché non ci sono altri boo qui? »

« La dimora è così piccina che staremmo strettini » fu la pacata risposta. « Sua Opulenza dispone di decine di magioni e castelli assai più sfarzosi sparsi per il mondo, ma padron Luigi predilige una sistemazione più intima e modesta. » Quando un palazzo stuzzicava il suo gusto estetico, se non era già stato abbandonato e rivendicato dall'oscurità, il monarca non doveva fare altro che inviare una manciata di sottoposti a eseguire qualche trucchetto affinché si diffondessero voci terrificanti sul luogo e gli inquilini sgraditi si defilassero. A volte la superstizione lo aveva addirittura anticipato sul lavoro sporco e Re Boo aveva preso possesso indisturbato di manieri e fortezze erroneamente ritenuti infestati ancor prima che lo fossero.

« Hai mai pensato di trasferirti altrove? Lavorare in una casa più grande, magari? »

Ombretta si girò a guardarla, stupita. « Io non voglio andarmene. Sono felice qui. Questa è anche casa mia. Padron Luigi mi ha accolta e sempre trattata come se fossi parte della sua famiglia. »

« Ma potresti, che so, fartene una tutta tua, conoscere altri amici, aprire un'attività... »

« Per ora ho tutto quello che mi serve proprio qui » le rispose gioviale la fantasmina, tornando alle proprie mansioni. « Non immaginate quanti boo siano disposti a fare carte false per stare al mio posto » aggiunse poi con una nota di orgoglio.

La bambina non si diede per vinta. « Non senti mai il bisogno di una passeggiata? »

« Oh, no. » Lo spiritello si immobilizzò e la sua voce divenne un sussurro a malapena udibile, quasi un gemito di paura. « Ci sono cose spaventose là fuori. » Restò pietrificato come in trance, con gli occhi vitrei e incollati sul riflesso distorto della coppa tra le sue mani, intrappolato dietro le claustrofobiche barriere mentali erette in seguito a chissà quale orribile trauma che doveva aver sofferto nella vita precedente.

« Avrei un'altra domanda da porti. » Lucilla tentò di scuotere l'amica dall'intorpidimento, approfittando della temporanea assenza dei padroni di casa per soddisfare qualche interrogativo a frullarle nel cervello dal primo giorno in cui vi aveva messo piede. « Zio Luigi e Re Boo stanno insieme? »

Ombretta ripiombò nella realtà e quasi si fece sfuggire di mano il calice, riacchiappandolo goffamente al volo dopo qualche improvvisato numero da giocoliere. Lo ripose con garbo nell'argentiera e si schiarì la gola, un gesto finalizzato a guadagnare tempo che per insorgenza di raucedine, prima di rispondere col tono più neutro che riuscì a modulare: « Sua Intangibilità ha scelto padron Luigi come principe consorte e compagno di eternità, ma padron Luigi non ha ancora accettato, almeno formalmente, la sua corte ».

« Lo sta corteggiando? » L'anima di fangirl in Lucilla mandò uno squittio interiore così acuto da far incrinare tutti i vetri dell'abitazione.

« Sì. » Ombretta provò a camuffare il proprio disagio dietro una facciata di compostezza, fallendo miseramente.

« Avrei giurato che già fossero una coppia. Non li ho visti quasi mai l'uno lontano dall'altro. »

« Sono comunque molto legati. Dal primo giorno dopo la sua dipartita, padron Luigi e Sua Perpetuità sono diventati inseparabili. »

Lucilla le aveva chiesto tempo addietro delucidazioni sul tragico Game Over di Luigi, ma l'amica aveva saputo fornirle solo vaghi dettagli di una delle avventure più grandiose e purtroppo mai celebrata, essendone pure Ombretta quasi completamente all'oscuro, siccome lo zio aveva proibito ogni riferimento al riguardo, specie a colei che doveva essere stata la causa della sciagura, dal cuore arido e crudele come il regno che la custodiva al suo centro. « E come funziona dopo? » La fame di risposte si fece accecante. « Se zio Luigi accettasse, diverrebbe anche lui un re? C'è un limite di tempo entro il quale si deve dare una risposta? Potranno formare una famiglia tutta loro? Posso essere la damigella d'onore anche se tecnicamente non sono un boo? » Saltellò sulla poltroncina, eccitata quanto un bambino la notte di Natale.

« Avevi detto una domanda. » Ombretta si voltò di nuovo e rimpianse immediatamente l'errore, trovandosi fisse addosso a mo' di laser da puntamento due pupille a forma di cuoricino che palpitavano brama di risposte.

« Ma sono troppo curiosa! » La bambina giunse le mani e si sporse con espressione adorante verso di lei. « Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego. »

Una pausa e un sospiro. « Fra i boo le cose funzionano diversamente dai vivi. Non abbiamo scadenze a cui attenerci, essendo il nostro tempo già scaduto in partenza. Lo stallo tra il nostro sovrano e padron Luigi potrebbe protrarsi anche per anni, decenni o secoli interi, a meno che uno dei due non decida altrimenti: che Sua Tenebrosità ritiri la promessa o che padron Luigi la accetti o la rifiuti. E, sì, nel caso in cui padron Luigi acconsenta all'unione, acquisirà anch'egli i medesimi poteri e la carica di re a tutti gli effetti: così ha affermato il nostro sovrano quando ha pronunciato il suo voto. »

Lucilla ritrasse nella mente la scena esatta, lì, in mezzo sala soffusa, davanti alla danza del fuoco nel caminetto, il monarca chino su un ginocchio a stringere la mano dello zio mentre scandiva il giuramento solenne di un connubio eterno. Si concesse il lusso di infiocchettarla un pochino, con Luigi che si portava l'altra mano al petto e gli occhi cavernosi dello spettro re meno terribili e più sbrilluccicanti, simili a quelli del classico principe azzurro.

« Se lo desiderano, potranno adottare dei giovani boo da crescere come loro figli » aggiunse la fantasmina.

Lo zio l'aveva informata che ai boo, ormai privi della linfa vitale, fosse preclusa la possibilità di donare a loro volta la vita e che, quando una coppia stabile desiderava fondare un nucleo familiare, non potevano fare altro che attendere. Questo era uno dei misteri più strabilianti del quale nemmeno l'esperto Re Boo era stato capace di svelare il meccanismo logico: in parole povere, nell'attimo in cui una piccola vita spirava, da qualche parte nel mondo o nell'universo, la sua anima automaticamente si staccava dal corpo catalizzatore e si spostava alla ricerca del luogo dove era tanto attesa per reclamare una seconda chance. Nessun baby boo aveva la più pallida idea del modo in cui era riuscito a trovare da solo i genitori adottivi. Loro sapevano che dovevano essere là e basta. Forse le loro anime vagavano senza meta finché non incontravano per caso dei boo ansiosi di amarli, oppure esisteva davvero un disegno superiore, un filo del destino che, dal primo istante post mortem, li aveva legati alla nuova famiglia?

Lucilla immaginò un'altra tenera presenza per le stanze che, invece di zio, si riferiva a Luigi come papà. Un'ombra di gelosia oscurò il grazioso quadretto, sorta dalla realizzazione che, in tal caso, la bambina non sarebbe più stata la prediletta, l'unico oggetto delle premure e delle attenzioni generali in quell'angolino segreto. Seppur cosciente di aver concepito un pensiero egoisticamente sbagliato, Lucilla si chiese se lo zio avrebbe continuato a dedicarle tutto il tempo che poteva regalarle per impartirle lezioni di piano o di tedesco, a ripeterle a ogni sua visita quanto fosse felice di rivederla, a farla sentire la principessa di casa. Persino l'insondabile Re Boo le riservava considerazione, condividendo con lei qualche pettegolezzo di corte o una buffa storiella sugli scherzi con cui si dilettava a scombussolare i vivi. Le aveva confidato che gli esorcismi lo divertivano enormemente; li trovava rinvigorenti.

« E non esiste regola scritta che escluda un vivente dal prendere parte a una cerimonia di unione fra boo, che io sappia » concluse Ombretta, sollevata di aver adempiuto all'onere di oracolo a quesiti non troppo scomodi.

« Ultimissima domanda! » Lucilla sollevò un indice.

« Oh, cielo. » La boo era sicura che questa si sarebbe rivelata la più ardua.

« Come funziona tra due boo? In intimità intendo. Siete composti solamente da una patina di ectoplasma insensibile. » Le giunse un'occhiata titubante alla prospettiva di affrontare il temutissimo Discorso. « A scuola studiamo anche biologia, non sono una sprovveduta. »

Ombretta fu molto tentata di avvalersi della facoltà di non rispondere e passare dunque la palla al suo protettore, certamente più obbligato di lei a fornire illuminazioni di tale spessore, ma stabilì infine di immolarsi e risparmiargli l'imbarazzo, specialmente perché l'argomento in questione lo sfiorava di persona. Chiuse la vetrina e si rivolse alla sua apprendista con la massima serietà: « Ormai liberi dal sottostare agli impulsi di un corpo vivo, i boo orientano la loro attrazione da un punto di vista intellettuale ed empatico ». Lasciò scorrere un attimo di quiete per scegliere le parole adatte, stropicciandosi nervosamente le manine. « Tuttavia, anche per noi è possibile scendere in quella che si definisce intimità, quando, nel gesto più alto di fiducia e devozione, permettiamo alle nostre anime di toccarsi. Questo contatto suggella l'unione indissolubile di due identità che si completano l'un l'altra, prendendo qualcosa dal partner e donando a nostra volta qualcosa: ricordi, segreti o conoscenze, a volte un brandello di personalità. Nel momento in cui le essenze più pure di due boo si incontrano, può nascere persino una nuova identità, formata dalla interazione delle due psiche. »

Era un discorso molto complicato, ma al contempo affascinante: al posto dei gameti, i boo si scambiavano frammenti della loro anima. « Può capitare che lo scambio non sia sempre equivalente? Che un boo riesca a influenzare l'altro maggiormente? »

« Ciò dipende da quanto entrambi siano disposti a esporsi e se una delle due personalità tende a essere dominante nel rapporto. Possiamo scegliere in che misura estendere il contatto. Generalmente, ogni boo preferisce preservare la propria individualità e nessuno finora ha sperimentato una fusione completa. »

Per un istante Lucilla temette per l'integrità dello zio, poi rievocò alla memoria il voto del sovrano spettrale, con la promessa di elargirgli poteri pari ai suoi, implicando non solo gli onori di una corona, ma anche le capacità soprannaturali affinate in secoli di esistenza. Se Luigi avesse accettato la proposta, per la prima volta nella storia sarebbero stati due re a governare un popolo, uniti e alla stessa stregua. L'idea non suonava affatto male. Con lo zio al trono, i rapporti fra i vivi e gli schivi non-vivi avrebbero certamente trovato una svolta positiva e le ostilità sarebbero cessate.

Giudicando la circostanza da un'angolazione meno rosea, assumere un tale impegno per Luigi significava restare un fantasma per lungo tempo a venire, forse addirittura per sempre. Avrebbe portato nel cuore ogni singolo lutto delle persone a lui più care.

La proposta di Re Boo valeva davvero un prezzo tanto doloroso? O meglio, Luigi teneva talmente al proprio amico e forse compagno da accettarlo?

Lucilla aveva osservato il loro modo di interagire e notato che nessuno dei due si sperticava in esternazioni di affetto, tuttavia si percepiva un equilibrio consolidato nel loro rapporto, come amici di vecchia data che si conoscevano a menadito. Spesso era Re Boo a creare increspature nella cullante armonia, combinando qualche scherzetto per incassare un'occhiata di rimprovero dall'ex paladino, accolta dal sorrisone compiaciuto di chi adora ricevere attenzioni ed è pronto a rifarlo. Per essere un trecentenne conclamato, il fantasma manifestava un atteggiamento tutt'altro che flaccido o ingessato: se vi era la possibilità di procurarsi divertimento, non ci pensava due volte ad approfittarsene e toccava a Luigi calarsi nel ruolo del Grillo Parlante.

La bambina aveva colto inoltre che lo zio non avesse acquisito disinvoltura nelle sembianze di boo, prediligendo costantemente il suo aspetto antropomorfo e mutando l'ectoplasma per copiare persino i colori. Anche quando era stata lei a chiedergli di rivelarsi nei panni di marshmallow fluttuante, Luigi si era rifiutato con garbo ma fermamente, confessando di non essercisi ancora abituato. Tale disagio non aveva offeso il monarca, il quale non si poneva il minimo dubbio a sfilare fiero della sua buffa rotondità, anzi, vi incuteva con naturalezza pari timore. Persino il modo di incedere lo distingueva: mentre i boo più piccoli si spostavano agili e scattanti, indaffarati nelle loro faccende, lui levitava languido, agitando pigramente la coda come se tutto gli scivolasse addosso, senza alcuna fretta di agire, con lo sguardo fisso dinnanzi e i denti aguzzi pronti a essere sguainati in un ghigno ammaliante e feroce. Le ricordava un grosso squalo bianco.

Il pensiero di poter avvicinarsi incolume a un personaggio tanto temibile la riempiva di un orgoglio intimo, facendola sentire così speciale: la sola persona viva onorata del segreto che avrebbe potuto cambiare il futuro fra la dimensione degli spettri e quella dei respiranti.

Lucilla si ridestò dalle sue elucubrazioni, sollevando di nuovo gli occhi su Ombretta per segnalarle un interrogativo ulteriore affiorarle alle labbra, sul punto di essere enunciato dietro una maschera di impassibilità assoluta.

Lo spiritello si sovvenne di quella sensazione che coloro ancora dotati del sistema nervoso definiscono “un brivido freddo”.

« Cosa si prova quando il contatto di anime avviene? » fu il colpo di grazia inferto al contegno vacillante della fantasmina.

« Dicono che sia molto piacevole » si limitò a rispondere questa, congedandosi con una certa urgenza per ritirarsi in cucina a controllare che le posate nel cassetto fossero disposte secondo il giusto ordine.

La ragazzina considerò l'idea di giocarsi un ultimo tentativo nell'arte spietata della pasticceria, motivata dal dovere morale di sdebitarsi con l'amica, oltre che dal desiderio di udire la voce suadente di Ludwig ricoprirla di lusinghe per avergli fatto dono dei cupcake più deliziosi che nemmeno i cuochi reali sarebbero riusciti a eguagliare... Mentre si perdeva in dolciastri romanzi mentali, con le mani a coprire le gote avvampate e un sorriso rimbambito, il portale si spalancò dall'altro lato della sala e i protagonisti della conversazione fecero infine ritorno dal ricevimento della fascinosa dama spettrale.

Fu Luigi a varcarlo per primo, coi lineamenti contratti in un accenno di broncio, e Re Boo allegramente al seguito, ignaro dello stato d'animo del fantasmologo. O forse no.

« L'amabile Lady Bow sa come trattare gli ospiti » cinguettò giulivo, intento a decantare le squisite qualità dell'anfitriona che lo aveva intrattenuto tanto soavemente col suo arguto senso dell'umorismo e una generosa degustazione di vini pregiati.

L'altro non pareva propenso a offrire un contributo all'elenco delle di lei doti, tuttavia sembrò trovare conforto non appena scorse la nipotina accoglierli con un'espressione euforica dipinta in volto. Finalmente poteva tirare un metaforico sospiro di sollievo (non essendo ormai munito di polmoni) e lasciarsi alle spalle l'eco degli incessanti cicalecci e il peso degli sguardi indagatori ad analizzare ogni singola mossa da parte sua. Poi si accorse del luccichio sinistro che lui ben conosceva negli occhi cerulei di fronte.

Lucilla si adagiò contro lo schienale soffice e giunse i polpastrelli, categoricamente risoluta a estorcere quanti più dettagli possibile sul memorabile momento della dichiarazione.


Nota d'autrice:

I regret nothing.



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Capitolo 4
*** Groovy ***


d

Personaggi: Re Boo, OC, Ludwig von Koopa (menzionato), Bowser Jr. (menzionato), Luigi (menzionato), Altri personaggi (menzionati).
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale.
Pairing: Het (unilaterale).
Note: Tematiche delicate.

 

 

Groovy

 

 

« Partiamo dalla camminata: mai scoordinata, stazione eretta e sguardo orizzontale; le braccia devono essere “attaccate” alle spalle e non sventolare con vita autonoma. Nell'incedere si eviti di ancheggiare e soprattutto di battere rumorosamente i tacchi: non siamo a una parata. Al momento di sedersi, mai abbandonarsi a peso morto neanche si avesse trainato un aratro, né allargare o stendere le gambe o accavallare la caviglia sul ginocchio: non è signorile. Mantenere sempre la schiena dritta; a nessuno piace la vista di un miserabile rattrappito su se stesso.

A smascherare il livello di autostima non è meno importante come si dà la mano, giacché questo gesto è la prima, indelebile impressione in un incontro: non sia la mano protesa un mollusco flaccido e nemmeno una tenaglia. Giammai sia essa umidiccia o appiccicosa! Nulla è più ripugnante. In tal caso è bene dimenticare ogni chance di salvezza e tentare la fortuna col prossimo interlocutore. Corrispondere categoricamente una stretta offerta, rifiutarsi è un gesto di imperdonabile villaneria. Se si indossano i guanti, rammentarsi di sfilarli prima del saluto; soltanto nella circostanza in cui gli arti siano impegnati col bottino dell'assalto al buffet possono sufficere un sorriso e un cenno del capo.

Sorridere sempre quando si viene presentati o, evento tutt'altro che raro in un gran gala, ci si presenta da soli. Il sorriso è un atteggiamento fondamentale, a prescindere dal malumore: chi ci sta di fronte non ha ragione di trovarsi un broncio puntato contro, né gli interessa conoscerla. Il sorriso deve apparire naturale e spontaneo, ma anche moderato, senza esagerare: tenere l’intera arcata dentale costantemente in vista non gioverà a un’apparenza più socievole, nonché rassicurante, agli occhi degli altri ospiti.

E, cortesia non meno gradita, non sia mai che si sbadigli mentre qualcuno ci sta rivolgendo la parola. »

Lucilla arrossì copiosamente, colta in flagrante. « Mi dispiace. »

Il fantasma riconobbe tra sé di aver ucciso per molto meno, ma sorvolò magnanimo sull'incidente di percorso, arrestando il ripetitivo incedere di fronte al focolare vuoto per studiare il faccino stanco e ostinato. « Non è certo questa l'ora più consona per le lezioni di etichetta. » I boo non avevano bisogno di dormire, ma, nella loro emulazione della quotidianità terrena, avevano conservato l'abitudine di destinare una parte della giornata al riposo, o meglio, a uno stato di torpore più affine al dormiveglia che al sonno vero e proprio: un esercizio utile al ristoro mentale, oltre che al mantenimento dell’ordine nei ritmi giornalieri. Gli spettri, tuttavia, riposavano nelle ore di luce e al momento era notte fonda: Re Boo aveva già messo in conto la resistenza fallace della giovane respirante.

La suddetta ospite si ricompose, raddrizzando la schiena contro la sedia e ricacciando indietro un secondo sbadiglio. « Non mi è rimasto molto tempo per recuperare e chi meglio di te, il più raffinato tra morituri e perpetui, può salvarmi dal fare la figura della neandertaliana a corte? » Non le era servito uno sforzo mentale per prendere atto sin dall’inizio della sensibilità del fantasma alle lusinghe.

Lungi dallo spettro deludere le aspettative in lui riposte, accettando golosamente l’ennesima carezza al suo ego senza fine. « Giammai permetterei un’onta simile, ma petite luciole. Che l’adorata nipote di Luigi corra il rischio di precipitare nel ridicolo dinnanzi mezza nobiltà mondiale? »

La timida Lucilla avvertì lo stomaco torcersi alla terrificante prospettiva. Le parve addirittura di percepire le risatine maligne e i mormorii di disprezzo malcelati dietro i ventagli di pizzo.

« Morirei due volte, piuttosto » sospirò con espressione agonizzante il monarca, schermandosi gli occhi col polso.

La ragazzina condivise il medesimo stato d’animo.

« Tua sorella è in altrettanta soggezione per il grande evento? »

Lucilla volse lo sguardo di lato. L’argomento Gloria era tra quelli che la giovane preferiva accantonare, sebbene lo zio si premurasse di ricevere regolari aggiornamenti sulle condizioni di salute della gemella, sulla sua media scolastica e, in generale, su come se la passasse. Questa era la prima volta tuttavia che Re Boo manifestava interesse per la seconda erede Mario. « Non esiste niente che possa metterla in soggezione » si limitò a rispondere, forse un po’ troppo freddamente.

A differenza della gemella, Gloria non vedeva l’ora di partecipare alla serata esclusiva, pronta al suo debutto in società nell’abito che loro madre aveva fatto appositamente confezionare per ciascuna. Quest’ultima già si immaginava la scena dei nobili impegnati ad alternare ossessivamente la lente di ingrandimento tra la signora Mario, Gloria e infine lei. E si chiederanno che cosa sia andato storto. Pauline era incantevole, sua sorella stava sbocciando nella primavera della femminilità e lei, al contrario, era un manico di scopa angoloso e costretto a puntare sulle buone maniere per tentare di riscattarsi.

Gloria era simpatica, estroversa, capace di far breccia nei cuori altrui senza il minimo sforzo e non aveva queste sciocche preoccupazioni, perché tutti quanti alla fine non potevano fare a meno di adorarla. Inoltre, il dono del bell’aspetto le garantiva altri punti a suo favore: inutile negarlo. Lucilla, l’anatroccolo iellato senza qualità e fascino, aveva soltanto il cognome paterno da sfoggiare; su tutto il resto preferiva calare un velo, no, un sipario, anzi, una saracinesca pietosa.

Ciononostante, le barriere erette intorno al cuore di Lucilla non costituivano alcun ostacolo per gli occhi diabolici del fantasma che sapevano trapassare anche il cemento armato: un tale impegno nel fare buona impressione non era certo tutto da imputare agli snob di corte. « C’è qualcuno impaziente di vederti? »

« Chiunque lì si aspetterà di vedere la famiglia Mario al completo. Non posso mancare, o metterei mio padre in cattiva luce. » E questa era la seconda ragione in ordine di importanza.

« Allora c’è qualcuno che tu sei impaziente di vedere. »

Lucilla arrossì di nuovo, abbassando lo sguardo.

Le labbra cadaveriche del fantasma si incurvarono in un ghigno volpino.

Un piccolo, tenace desiderio motivava effettivamente la ragazzina dall’andare contro la sua natura e affrontare a testa alta l’umiliazione: moriva infatti dalla voglia di rivedere il principe Ludwig, di parlargli, addirittura di chiedergli un ballo, ma in maniera scherzosa, come un pensiero buffo balenato alla mente per caso...

Chissà in quale aspetto lo avrebbe incontrato?

Re Bowser e la regina Peach avevano stabilito la regola secondo cui i Toadstool Koopa che presenziavano al medesimo evento dovevano mostrarsi o tutti draghi o tutti umani. La tradizione aveva avuto inizio dal giorno del matrimonio tra i due sovrani, quando i Koopa avevano partecipato in forma umana. Durante gli incontri politici seguenti, la regina aveva fatto sfoggio della sua maestosità draconica a fianco del consorte affinché il mondo potesse abituarsi alla duplice novità.

Per Lucilla in fin dei conti era indifferente: drago o umano, Ludwig restava l’individuo più affascinante sulla faccia dell’universo, brillante, misterioso, imprevedibile. Ogni parola che gli scivolava dalle labbra era scelta e ponderata. Lo sguardo penetrante e fiero rivelava una personalità che da sola sapeva tenere a bada gli altri sette cicloni della famiglia Toadstool Koopa e, quando eri chiamato a corrisponderlo, potevi sentirlo scorrerti dentro ad analizzare la tua essenza. Il sorriso, con un incisivo lievemente sovrapposto (la perfezione era talmente noiosa), non era mai regalato, ma custodito gelosamente per pochi fortunati; la chiostra di denti bianchi non si spalancava alle risate tonanti e tipiche del padre e dei fratelli, ma ne sgorgava un riso roco, basso e profondo.

Sarebbe stato felice di rivederla? Glielo avrebbe detto? No, perché non era da Ludwig concedersi smancerie ma, forse, le avrebbe fatto dono di un complimento per il vestito. Sul volto solitamente austero sarebbe affiorato quel sorriso morbido e affettuoso, da fratellone protettivo, che era riuscito a far breccia nella corazza della fragile Lucilla.

« C’è qualcuno che vorrei… salutare » balbettò intimidita la ragazzina.

« Un principe? » Re Boo parve genuinamente intrigato, incrociando le braccia e spostando il peso su una gamba. Gli occhi terribili l’avevano agganciata e le impedivano di indirizzare lo sguardo altrove.

Lucilla mostrò qualche tentennamento a rivelare il suo segreto più grande, ma, alla fine, lusingata dall’interesse dell’immortale, cedette e annuì.

« Ma luciole, non sarà quello scapestrato del più giovane rampollo Toadstool Koopa? » Le arcate sopraccigliari sul volto diafano si avvicinarono in un’espressione di comico disappunto.

« Junior? » Lucilla ridacchiò e scosse la testa. « Lui è solo un amico. » Il koopa dai tratti sorprendentemente simili a quelli paterni era infatti uno dei componenti della famiglia reale più legati ai Mario. Le pacifiche irruzioni nella loro dimora da parte del principe in cerca di ristoro dagli impegni reali, per scroccare una merenda e raccontare qualche storia divertente sulla vita al castello, avvenivano con cadenza settimanale. L’influenza positiva della regina Peach era evidente in particolar modo su Junior che si dimostrava sempre volenteroso di dare una mano con qualche faccenda domestica o trastullare le gemelline.

Tuttavia, senza togliere che il principino fosse relativamente delicato per gli standard koopa, la prudente Pauline era sempre stata restia a permettergli di giocare con Lucilla senza la sua supervisione, o prenderla in braccio, o toccarla. Tali precauzioni non erano state necessarie per Gloria che era perfettamente capace di tenere testa all’impetuosità dei fratelli koopa più grandi, mentre la sorella era considerata la bambolina di porcellana da maneggiare con cura, ancora meglio da guardare soltanto. « Ludwig » confessò infine quest’ultima in un sussurro tremulo, percependo le farfalle nello stomaco agitarsi al suono del nome tanto caro.

Lo spettro simulò una manifestazione di discreto stupore, in quanto già al corrente di ogni singolo dettaglio che aveva minuziosamente estorto alla succube Ombretta con cui la fanciulletta amava confidarsi. Nessuna parola veniva pronunciata dentro quella casa senza che arrivasse alle orecchie del sovrano, nessun movimento delle pedine sulla sua scacchiera poteva sfuggirgli. Se tra l’ultimo erede Toadstool Koopa e le gemelle Mario correvano soltanto quattro anni di differenza, il primogenito era ormai in età adulta e pronto per rimediarsi una consorte. Si trattava dunque di un’infatuazione sterile, destinata a rimanere sepolta nelle fantasie di un'adolescente.

« Non mi illudo certo di chissà cosa » garantì Lucilla con un sorriso appena accennato che non bastò a mitigare l’ombra soffusa della malinconia sul visino fanciullesco. « Mi piacerebbe poterlo vedere di più, ecco. Stare con lui mi fa sentire bene e mi aiuta a dimenticare per un po’ tutto il resto. » Purtroppo ciò non accadeva tanto spesso quanto la giovane desiderava. Dovevano combinarsi tre vitali condizioni affinché l’occasione si concretizzasse:

  1. La salute le consentiva di mettere piede fuori di casa;
  2. La sua famiglia aveva ricevuto l’invito al castello da parte della regina Peach, amica intima di sua madre e quel giorno libera da impegni reali;
  3. Ludwig era in visita nel Regno dei Funghi.

Il maggiore dei bowserotti non prendeva mai parte alle nostalgiche rimpatriate, limitandosi a farsi vivo il tempo necessario per porgere un saluto garbato prima di tornarsene alle sue faccende. Così, mentre gli adulti erano distratti a cianciare allegramente e Gloria dedita a fare il diavolo a quattro insieme a Junior in giro per il palazzo, Lucilla poteva sgattaiolare via per dare inizio all’inseguimento.

Ludwig prediligeva i luoghi quieti e appartati e la bambina aveva memorizzato tutti i suoi angolini favoriti nella dimora reale, dalle terrazze alla biblioteca dove la regina aveva fatto sistemare un pianoforte apposta per lui. Le discrete intrusioni di Lucilla non parevano arrecare fastidio al principe che, dopo aver badato a ben sei fratellini e una sorellina, era avvezzo alle attenzioni dei più piccoli, indipendentemente se koopa o umani. Se si stava dedicando alla lettura di qualche documento o per svago, riponeva provvisoriamente testo e occhiali per accogliere una conversazione. Se in quel momento si presentava nel suo aspetto biologico, aveva l’accortezza di assumere forma umana affinché non le si indolenzisse il collo per essere costretta a stare tutto il tempo col mento in su.

Generalmente un dialogo con Ludwig comportava un intervento minimo da parte dell’altro interlocutore, ma a Lucilla stava più che bene considerando che lei si riteneva un’ottima ascoltatrice e che con il bowserotto si poteva spaziare dagli argomenti più svariati. Senza dubbio la disponibilità del koopa nei confronti della ragazzina, oltre che da una eventuale simpatia, era motivata dall’istinto di fratello maggiore che ancora aveva il sopravvento sull’inclinazione all’isolamento. C’erano volte invece in cui le parole tra loro due non occorrevano.

Se Ludwig si era ritirato in biblioteca per dare sfogo alla sua anima musicale, Lucilla si intrufolava in punta di piedi per accomodarsi su uno dei divanetti e restava lì, zitta e felice, con un libro tra le mani e le melodie del principe ad avvolgerla. Ludwig si scioglieva della durezza esteriore che il peso dei doveri reali e familiari avevano forgiato e lasciava che la parte più profonda del suo essere, una sensibilità eccezionalmente spiccata, si sprigionasse in composizioni multiformi: infuocate, solenni, struggenti. I tasti di avorio sotto le abili dita si trasformavano in voci cantanti e infuse di affetti, desideri e impressioni che la sognante Lucilla adorava ascoltare ancora e ancora, lasciandosi trasportare in uno stato di pace, sospesa tra le note del pianoforte.

La prima volta che la ragazzina aveva sorpreso il principe a suonare, questi era stato talmente immerso nell’esecuzione che, solo al termine, ristabilito il contatto con la realtà, i sensi affilati lo allertarono infine della presenza del suo pubblico estasiato. Da allora Lucilla godeva del permesso speciale di assistere alle esibizioni future nella tranquillità della biblioteca, generosamente concesso dall'artista in persona. Se Ludwig era particolarmente di buon umore, acconsentiva su richiesta a interpretare qualche pezzo famoso o uno composto da lui stesso che più le piaceva.

Lucilla avvertì gli occhi pizzicarle per la nostalgia, considerato che fossero trascorse diverse settimane dal loro ultimo incontro, ma represse l’impulso di sfilarsi gli occhiali per stropicciarseli. « È gentile con me, e non mi ha mai fatto sentire sbagliata. »

Sarai dunque pronta a soffrire quando il principe si troverà la sua principessa, bambina mia? Mentre osservava la piccola ospite e prendeva atto compiaciuto che la maledizione d’amore dei fratelli Mario fosse stata tramandata alla generazione successiva, lo spettro re fu colto da una sensazione di déjà-vu. Più la guardava e più la somiglianza con lo zio gli diveniva innegabile, una similarità intima sotto i tratti somatici addolciti dai lineamenti materni: negli occhi di lei vedeva distintamente lo stesso struggimento, gli stessi demoni che aveva letto un tempo in quelli di Luigi. Stavano proprio lì, onnipresenti, in fondo allo sguardo di chi soffriva troppi paragoni a proprio discapito, espressi e autoinflitti.

I demoni avevano nomi: la paura di non essere amati, la gelosia perché altri sembrano più amati e la vergogna di covare gelosia.

I demoni non dormivano mai.

I demoni erano inconfessabili.

Il buon Luigi se li era portati con sé nella tomba.

E anche sulla nipotina aleggiava un’aura di morte, un profumo tenue, prossimo a estinguersi ormai, che l’accompagnava dal primo giorno di vita nei capricci di uno stato fisico precario. Il fantasma conosceva molto bene quel profumo: lo aveva assorbito con avidità al massimo della fragranza quando il suo idraulico aveva perso definitivamente la speranza nel deserto di Sarasaland.

L’esistenza di Lucilla aveva avuto inizio in salita, con grosse difficoltà respiratorie che l’avevano costretta a rimbalzare tra bronchiti e polmoniti, saltellando più volte vicino all’orlo del baratro. Metà della sua infanzia l’aveva trascorsa chiusa in casa, collezionando tante di quelle assenze da rischiare di ripetere l’anno scolastico in un paio di occasioni. Tuttavia, senza che lei nemmeno se rendesse conto, accecata dai complessi che la tormentavano, le sue condizioni stavano effettivamente migliorando. Nel giro di pochi anni avrebbe acquistato una salute di ferro, con pazienza e metodicità, grazie ai geni strabilianti della famiglia Mario che certamente l’avevano salvata. Re Boo visualizzava il futuro promettente della giovane come se gli avessero puntato un proiettore contro la parete che aveva di fronte.

« Sono pronta per continuare la lezione, mon mentor! » lo esortò quest’ultima con il quadernino in grembo e la penna sull'attenti, decisa a non perdere tempo sulla tabella di marcia per autocommiserarsi.                                                                                              

Il fantasma acconsentì paziente, riprendendo l’incedere lento e misurato da dove aveva interrotto. « Accertarsi di avere sempre l'alito a prova di dialogo ravvicinato, armandosi di mentine di cui approfittare con discrezione di tanto in tanto. »

 

Nota d’autrice:

Avevo iniziato questo capitolo con l’intenzione di approfondire le dinamiche del rapporto tra il tenero Weegee e quell’adorabile canaglia manipolatrice di Re Boo, ma, andando avanti con la stesura, la lente si è spostata di prepotenza su un certo bowserotto... Sarà per la prossima :]

Besos

 

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Capitolo 5
*** On the nose ***


nose

Personaggi: Re Boo, Luigi, Mr. L, Re Spaventù, Malberta Crisantemi, Ectopatra, Capitan Spiritato, Altri personaggi, OC.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale.
Pairing: Shonen-ai, Crack pairing.
Note: Tematiche delicate.

On the nose


« Non osar dimenticare un’altra volta a chi devi lealtà, chérie. »

Ombretta si rattrappì sotto lo sguardo tagliente, coprendosi mortificata il musetto con le braccine corte: un impulso che proprio le era impossibile sopprimere, desiderando sciogliersi come un grumo di cera.

« Soltanto io ho il potere di decidere quali segreti restano tra le pareti di questa casa. »

La fantasmina annuì, sottomessa.

« E, soprattutto, chi vi resta. »

Un singhiozzo patetico scosse il corpicino fluttuante, a conferma che l'avvertimento fosse stato recepito.

« Sarà meglio che se ne torni al lavoro, ora » le intimò con calma sibillina, ritraendo gli artigli dietro un velo di magnanimità.

L’ordine venne prontamente eseguito e il re rimase da solo con la sua irritazione. Un odioso, recidivo effetto collaterale vincolato al dono dell’immortalità era la noia. Quando il volubile Re Boo cadeva nella trappola del tedio, qualcuno finiva inevitabilmente nel mirino dei suoi tormenti. In questo caso, lo spettro non dovette nemmeno scomodarsi dalla confortevole poltroncina o richiamare la cameriera insolente per stringere tra le grinfie la prossima vittima: gli bastò sfilarsi la spilla preziosa dallo jabot e aprirla, rivelando così il prigioniero nella piccola cornice all'interno.

« Mr. L » pronunciò allegro il nome ormai obliterato dalle pagine di storia del Regno dei Funghi. « Quoi de neuf nel tuo limbo buio e desolato? » Si adagiò contro il morbido schienale e distese le gambe sul poggiapiedi, adocchiando soddisfatto i resti piagnucolanti del baldo e arrogante alter-ego reciso dall’anima di Luigi. « Pauvre petit Monsieur L, che non ha nessuno che si preoccupa per lui. In tutti questi anni mai ho sentito una voce chiedersi “Che fine avrà fatto quel Mr. L? Sembrava un tipo in gamba”. »

Il condannato dovette schermarsi gli occhi, battendo più volte le palpebre per difendersi dalla luce bruciante dopo tanto tempo nelle tenebre. « Farò tutto quello che vuoi » gemette colui che un tempo ostentava la forza di ribaltare l’ordine del cosmo, stremato da anni di totale deprivazione sensoriale che gli avevano impresso cicatrici irreversibili sulla sua integrità mentale. « Sarò tutto quello che vuoi. »

Re Boo storse la bocca seccato, concludendo che persino stavolta la musica non si sarebbe distinta dalla solita litania di suppliche e lamenti. Lo spettro fece per riporre deluso il monile.

« Non chiuderlo! » latrò l’alter-ego. « Potrei esserti utile! »

« Ho già abbastanza comparse tra i piedi » sospirò l’aguzzino, vagamente infastidito dalla mancanza di contegno dell’interlocutore ridotto a una maschera di moccio, lacrime e bava. « E scommetto che ti ritorcerai contro di me alla prima occasione. Non vedo dunque saggezza nell’allevare una serpe in seno. »

« Uccidimi! » lo implorò il derelitto. « Non è vita, questa! Meglio farla finita. »

Le pupille fosforiche del sovrano restarono per un lungo momento sospese a contemplare il volto sfigurato dall’afflizione, così identico a quello dell’adorato Luigi. In effetti, lo scaltro boo aveva stabilito già da un po’ quale sorte riservare al sosia, al quale qualche altro annetto di “rieducazione” avrebbe giovato. « No, caro L » fece infine dopo aver lasciato scorrere una manciata di secondi per fingere di considerare la supplica, affilando le labbra in un ghigno terribile. « No, ti preferisco così. »

« Io volevo soltanto la luce » singhiozzò il condannato, incapace di sostenere oltre l’angoscia che lo divorava a corrispondere quegli occhi diabolici. « Volevo soltanto restare alla luce. »

« Sai, in fondo, ti compatisco. La tua sventura è stata venire al mondo in un corpo che già apparteneva a me. Se ti fossi chiamato Mr. M, oggi saresti in una posizione certamente meno scomoda. » Il gesto caritatevole di toglierlo di mezzo non gliel’avrebbe mai concesso. Non era diventato re dei non-morti buttando via le sue risorse, e Mr. L poteva servirgli al momento opportuno. « Oh be’, quel dommage. » Ebbe quasi richiuso il gioiello, ma esitò all’ultimo istante, l’ennesima burla crudele, permettendo a un sottilissimo spiraglio di luce di carezzare il volto cadaverico del suo prigioniero. « Per Luigi hai cessato di esistere anni or sono, tuttavia, se ti scoprisse in queste condizioni, immagino che una seconda chance te la concederebbe. » Stentò a ricacciare una risata nell’individuare un briciolo di speranza affiorare dietro la minuscola fessura. « Sappiamo entrambi però che sarebbe un atto di misericordia che da lui non meriti. » La spilla si richiuse con un leggero clic a mozzare i lamenti e fu risistemata al suo posto.

La noia si ripropose a rosicchiare tenace il cervello che il fantasma più non possedeva. Lo spettro poteva certamente trovarsi di meglio da fare, disponendo di risorse innumerevoli, ma non c’era altro luogo al momento nel quale desiderava trovarsi più che in quel salottino, ad attendere il rientro del suo prediletto. Di rado questi si attardava tanto, ma era capitato qualche volta di essersi assentato un giorno o due in più rispetto al solito. D’altronde aveva bisogno dei suoi spazi e di tempo per riflettere, e Re Boo non lo tratteneva: Luigi alla fine tornava sempre. Tuttavia, il fantasma aveva maturato l’amara certezza che tali passeggiate solitarie costituissero inoltre un’occasione per sgattaiolare nel Regno dei Funghi a dare una sbirciata al parentado dal quale tuttora egli stentava a staccarsi.

Oltre un decennio di duri progressi gettati alle piante piranha nel giro di un’unica sera, quando la sicurezza della loro dimora era stata profanata non dall’occhio indagatore di Rosalinda né da una spia ben addestrata, ma da nientedimeno che una ragazzina miope e malaticcia. Il fantasma non imputava la colpa al buon Luigi, ma a se stesso: lui si era permesso infatti di abbassare la guardia, si era stoltamente cullato nella certezza di aver scampato il peggio e così non aveva inviato i suoi messi a monitorare la situazione. Il risultato di tale leggerezza li omaggiava regolarmente della propria compagnia come se la casa ormai le appartenesse. Da quella malaugurata sera, i pellegrinaggi esistenziali del suo protégé non solo erano ricominciati, ma si stavano ripetendo con allarmante frequenza.

Lucilla aveva riaperto nello zio uno squarcio che Re Boo faticosamente stava cercando di suturare. La pulzella stava risucchiando indietro il nostalgico Luigi nel mondo luminoso che più non gli apparteneva e allontanandolo dall’incantevole oscurità ad egli destinata. Lei era il fatale inciampo di percorso, la sconfitta più bruciante incassata dal lugubre monarca ora obbligato a mandare giù il rospo ad ogni irruzione di cortesia, alla vista della faccia del suo principe accendersi come un albero di Natale non appena gli occhi speranzosi individuavano la ficcanaso. A dispetto dell’istinto naturale, il fantasma doveva stare attento a non tradirsi e far buon viso a cattivo gioco.

La sera della prima intrusione di una sfilza a seguire, quando lo sguardo della marmocchia appena materializzata e quello del monarca si erano incrociati, quest’ultimo non aveva potuto reprimere l’odio più feroce per quel rigurgito di vita palpitante che aveva osato inquinare il suo salotto; per fortuna la ragazzina non parve aver preso nota del passo falso e, in fin dei conti, Re Boo la considerava più tollerabile dei suoi coetanei volgarotti e chiassosi, anche se lo spettro talvolta fantasticava di avvinghiare le dita intorno al gracile collo…

Il flusso di pensieri venne bruscamente interrotto al rumore anelato della chiave che girava nella serratura, ad annunciare la presenza di un Luigi ancora schiavo dell’abitudine e della buona educazione di aprire una porta prima di passarci attraverso. Tanta era la gioia di Re Boo nel rivedere il suo spirito adorato che la casetta intera vibrò come scossa da un terremoto.

« Mon prince ténébreux » lo accolse giulivo fluttuandogli incontro per portare le loro fronti delicatamente a congiungersi. « Bentornato. La tua mancanza mi ha straziato. » Il sovrano abbassò le palpebre con aria beata e si tramutò in un candido persiano.

« Non mi sono reso conto di essere stato via tanto a lungo. » Luigi ricambiò il saluto cingendo il muso del micione con entrambe le mani guantate e chiuse gli occhi a sua volta. Emise un riso divertito percependo una forza sollevarlo dolcemente da terra per condurlo all’interno dell’abitazione. La porta si richiuse alle sue spalle.

« Ogni giorno senza vederti è un’agonia » sospirò il gattone facendo rombare la gola in fusa festose, girando poi su se stesso a mostrare il ventre tondeggiante mentre gli tracciava intorno languidi cerchi. « Ogni minuto una lama a lacerarmi l’anima. » Arricciò la lunga coda vaporosa e dilatò le pupille in un’espressione implorante.  « Ogni rintocco dell’orologio uno spillo nel mio povero cuore. »

Il fantasma più giovane osservò ammaliato il manto innaturalmente soffice e luminoso nel quale Re Boo sapeva mutare il proprio ectoplasma, sfoggiando una maestria ineguagliata da qualsiasi altro: comandava persino a ciascun pelo di ondulare, emulando la danza delicata di un vento leggero.

« Mi sei più caro di tutti i pipistrelli in tutte le grotte del mondo » continuò a ricoprirlo di lusinghe il sovrano. « Sei la marcia funebre delle mie esequie. » Riassunse infine la forma originale di boo, seppur dalla stazza ben maggiore rispetto a quella dei suoi sudditi, con la voluminosa corona sul capo come ornamento e simbolo del suo status, gli si parò dinnanzi e mormorò sommesso: « Senza di te, questa dimora e ogni altra mia magione sono soltanto vuote carcasse ».

Luigi increspò le labbra rosee in un sorriso intenerito e il dolore che si portava dentro si smorzò un poco al conforto che gli fosse rimasto qualcuno al mondo a riservargli tante premure, oltre al fido Poltercucciolo ai suoi piedi. « Anche tu mi sei mancato. » Fece scorrere un palmo sulla fronte glabra del suo amico e protettore prima di poggiarvi di nuovo la propria, permettendo alle loro anime di sfiorarsi ancora. La casa tremò una seconda volta.

Dopo un breve momento Luigi si ritrasse pudicamente e Re Boo, malvolentieri, lasciò che interrompesse il contatto. A stento il monarca riusciva a controllarsi quando l’anima candida e invitante del giovane si esponeva per concedergli un microscopico assaggio, una carezza, un bacino; bramava insinuarvisi fino al più intimo recesso incontaminato, esplorane ogni piega solo a lui dischiusa centimetro per centimetro, marcarla come sua e di nessun altro. Luigi era molto attento a testare le reazioni del suo spasimante, a capire fin dove spingersi per tenerlo sulla corda e ciascuna quantità di contatto elargita era accuratamente dosata: a volte veniva concessa una goccia di più, altre una di meno a sconvolgere lo struggimento famelico del re. Si trattava di una sfida e al contempo una tortura dal quale quest’ultimo disperatamente dipendeva, schiavo di una smania costante che lo distoglieva da qualsiasi altro appetito e che non gli dava pace.

« Che cosa desideri fare? » Re Boo domò i sensi in subbuglio e riacquisì aspetto antropomorfo, camminando nelle lucide scarpe in vernice mentre illustrava le opzioni ricreative della giornata: « Passeggiare nel labirinto di Meride? Esplorare i fondali del triangolo delle Bermuda? Visitare le catacombe di Parigi? ». Esattamente come Luigi aveva abbandonato la sua vecchia immagine e adottato uno stile più raffinato, il sovrano aveva deciso di rimodernare il guardaroba e passare a un look con meno fronzoli, pur mantenendo alcuni dettagli rétro come lo jabot e il panciotto. Anche l’acconciatura era stata rivista, accorciata e pettinata compostamente all’indietro. « Oppure vogliamo onorare la promessa fatta al caro vecchio Vlad di andare a prendere un tè al suo castello? Mi ha scritto righe appassionate su un concime organico di produzione locale che egli definisce portentoso. I suoi giardini sono i più rigogliosi di tutta la Romania. »

« Spaventù ci ha invitati per due calici di vino e un torneo amichevole » fu la controproposta.

L’entusiasmo di Re Boo si ridusse visibilmente, giacché quest’ultimo non nascondeva una certa intolleranza per il suddetto spostato che monarca si professava e che tuttavia mai lo era stato, né in vita né tantomeno dopo. « Bene, cedo a te il piacere del torneo mentre io mi occuperò del vino, se devo ancora assistere alla buffonata di quel mentecatto che si pavoneggia a cavallo di un’armatura vuota. Per non parlare di quando ci si mette a battibeccare. » Di fatto il destriero dello stravagante Spaventù altro non era che un involucro di ferraglia senz’anima e che tuttavia l’amorevole proprietario trattava come se fosse dotato di intelletto e senso dell’umorismo.

« Non minimizzare il caratterino di Incitatus » ridacchiò Luigi. « Spaventù mi ha raccontato che lo avrebbe nominato capitano della guardia reale, se fosse vissuto più a lungo. »

« Dubito che Spaventù abbia mai posseduto un cavallo, o una gallina. » La corona che l’impostore indossava fieramente era una copia di puro ectoplasma e il castello da egli infestato era appartenuto a un’altra dinastia reale ben più nota di quella dell’attuale abusivo. La fortezza sperduta e ormai fatiscente non aveva destato l’interesse di alcun boo sano di mente e Spaventù ne era stato il solo inquilino e padrone indiscusso per decenni, o addirittura secoli interi, che innegabilmente non avevano aiutato la sua salute psichica già sfavorita in partenza.

« Proverai a non mortificarlo come l’ultima volta? Non vorrai provocargli un’altra crisi. » L’ammonimento fu accompagnato da un’occhiata di critica.

« Mi ha accusato di essere ingiusto nei confronti di quella lattina vuota perché la stavo ignorando » obiettò stizzito il colpevole, perseguitato dal ricordo molesto di loro quattro seduti a tavola: Re Boo, Luigi, Spaventù e Incitatus, compostamente sistemato proprio accanto all’ospite meno indulgente che era stato costretto a tacere di fronte all’imperdonabile spreco di pregiatissimo vino per riempire anche il quarto calice. Spaventù aveva addirittura girato in direzione del collega la testa cigolante del rispettabile equino per agevolare la conversazione. « Mi vergogno che venga associato alla mia corte. È quasi imbarazzante quanto quel troglodita di Ug che da morto si è convinto di essere lo stesso dinosauro che lo ha divorato. »

« È eccentrico, ma innocuo. » Luigi si era incaponito nell’impresa di convincere Spaventù a trasferirsi in un rifugio più dignitoso, tuttavia il re travicello sembrava inamovibile. Né la garanzia di uno stile di vita migliore né quella di nuove amicizie e cavalieri da sfidare avevano avuto successo, ma il fantasmologo era ben deciso a non lasciare lo spettro testardo nell’autoesilio. « Gli occorre solo un ambiente più sano e stimolante » insistette con convinzione, sostenendo lo sguardo penetrante del monarca.

A dispetto delle antipatie, lungi da Re Boo rifiutarsi di assecondare i buoni propositi del suo prediletto che tanto si prodigava per la comunità dei non-vivi, dalla quale era sempre più amato e benvoluto, esattamente come si era prodigato in passato per quella dei vivi senza ricevere la meritata considerazione. Se poi ciò lo aiutava a tenere mente e cuore lontani dalla famiglia, meglio ancora. « Vorresti salvarli proprio tutti. » Gli cinse piano il mento tra l’indice e il pollice per affondare le pupille luccicanti negli occhi cerulei: una imitazione di ectoplasma modellata a soffocare dietro di essa la luce dell’anima valorosa del giovane. « Ti avverto però, mon précieux, di non riporre troppe speranze in alcuni, perché per loro potrebbe già esser tardi. »

« Non è mai troppo tardi » rispose determinato Luigi stringendo la mano nella sua. I lineamenti erano distesi in un’espressione serena e fiduciosa. « E se non posso aiutarli a riscattarsi, posso almeno intervenire affinché non rimangano abbandonati a se stessi. » Neppure la morte aveva potuto estinguere la scintilla di bontà che ardeva tenace nel profondo dell’ex paladino del Regno dei Funghi, grazie ai cui sforzi un numero di spiriti in costante aumento preferiva unirsi alle schiere di Re Boo. Si era sparsa ormai la voce tra i fantasmi del nuovo favorito del sovrano, dedito ad assistere i più deboli e in difficoltà, e il suo mecenate si accaparrava di giorno in giorno prestigio e possedimenti in ogni dove.

Il lugubre signore tentennò in preda a un'emozione e una commozione quali di rado aveva provato (cioè ogni volta che il timido Luigi lo sorprendeva con una tenerezza) e dovette soffocare l’impulso di guardarsi imbambolato la mano stretta; fu grato di non avere più una goccia di sangue in corpo a confluirgli nelle guance. Un sorriso sghembo gli sollevò il lato sinistro del labbro. « Considerato che non vi sia modo di depennare questa mission de sauvetage dall’agenda di oggi, penso che mi avvantaggerò con il vino. » Schioccò le dita e Ombretta fu rapida a consegnargliene una coppa che venne svuotata in un solo glug. « Naturalmente starà a noi fornire bottiglie e calici anche stavolta, immagino. »

« Portiamoci Poltercucciolo » suggerì il fantasma più giovane, udendo gli uggiolii affranti del canide che mal tollerava la solitudine. « Non credo che a Spaventù darà fastidio. »

« Dovremmo preoccuparci piuttosto di ricevere l’autorizzazione dal capitano della guardia reale. »

« Poltercucciolo è ben addestrato e conosce le buone maniere. » Se Luigi aveva seriamente colto il sarcasmo di Re Boo, non concesse a questi la soddisfazione. Si chinò su un ginocchio per vezzeggiare con vocina infantile il fedele cagnolino che reagì estasiato alle coccole. « Incitatus lo accetterebbe di sicuro, anzi, rimarrebbe talmente impressionato da nominarlo tenente. »

 

I resti smembrati del temerario Incitatus giacevano sparsi per la spoglia sala, insieme all’armatura che Spaventù aveva l’abitudine di indossare prima di scagliarsi in battaglia; alcune piastre si erano ammaccate e deformate a causa degli urti subiti. Tracce del brutale scontro consumatosi di recente erano visibili ovunque sulle pareti e sul pavimento: vetri in frantumi, tessuti dilaniati e mobilia distrutta.

Per la prima volta in morte sua, il docile canide ringhiò.

« Spero non vi dispiaccia, Sire. » Le labbra vermiglie della dama spettrale si arcuarono in un sorriso malizioso che, abbinato agli occhi di ambra infuocata, divenne assolutamente terrificante. « Le vostre visite si sono talmente diradate, e noi non vedevamo l’ora di fare la conoscenza del nuovo arrivato del quale siete così geloso. » Accoccolato tra un braccio esangue e il seducente décolleté stava un Poltermicio a tre code, intento a ricambiare l’ostilità del cucciolo con gelida imperturbabilità e una parvenza di vago disgusto.

« D’altronde, sembra che ormai preferiate la compagnia dei reietti alla nostra » aggiunse l’unico elemento maschile del trio di intrusi, rivolgendo uno sguardo di disprezzo al misero Spaventù ormai regredito alla condizione originaria di boo per via dello choc e rintanato tremante dietro un tavolo ribaltato e rosicchiato dai tarli.

« Sono stato molto impegnato » rispose atono il monarca, permettendo infine al portale alle sue spalle di richiudersi con un sibilo sottile. La fuga non era un’opzione da calcolare.

« Chiaro » fece la seconda donna, rivolgendo un’occhiata eloquente all’accompagnatore del signore oscuro.

« Visto che siamo in sede di presentazioni… » Re Boo ruotò elegantemente il polso in direzione del suo prediletto. « Vi trovate al cospetto di Luigi Mario, cavaliere del Regno dei Funghi… »

« Il cacciatore di fantasmi?! » proruppe incredulo il grosso spettro selachimorfo con file di denti taglienti e minutamente seghettati. L’orbita destra, quella scoperta dalla benda, si accese come un tizzone ardente.

« Ex cacciatore di fantasmi » lo corresse il sovrano, indurendo lo sguardo per essere stato interrotto.

« Curioso che un sacco di carne che ci odiava tanto ora razzoli in mezzo a noi così volentieri » commentò l’altro con sospetto, tratto in inganno dall’abilità di Luigi di simulare aspetto vivo, prima di identificarsi con un abbozzo di inchino, senza recidere il contatto visivo. « Capitan Giacomo Sperone, Terrore dei sette mari e mezzo, Diavolo degli abissi, ormai noto con il nome di Spiritato, per ovvi motivi. » L’uncino che aveva al posto di una pinna pettorale luccicò sinistramente alla luce soffusa delle torce.

« Molti hanno incontrato il Game Over per sua mano » precisò Re Boo.

« Ectopatra Serpentiti VII » si presentò la donna in vesti esotiche, senza chinarsi. « Detta anche la Velenosa o l’Incantatrice delle sabbie, ultima Regina della XVIII dinastia sarasiana. » Avvolto intorno al capo aveva un sinuoso diadema a forma di cobra a testimoniare la carica dichiarata.

« Moltissimi hanno incontrato il Game Over per sua mano. »

Lo spettro ignoto levitò adagio dinnanzi a Luigi, senza degnare di considerazione il ringhio di avvertimento da parte di Poltercucciolo, e distese con grazia un arto cadaverico. « Contessa Malberta Crisantemi » disse soltanto con voce bassa e carezzevole come le fusa di un felino. Il Poltermicio era intento a scrutare il giovane coi suoi occhi glaciali, immobile nella presa della padrona.

« Innumerevoli hanno incontrato il Game Over per sua mano. »

Luigi, aggrappato al proprio autocontrollo a dispetto della tensione circostante, corrispose lo sguardo inquisitore della dama ed eseguì una composta riverenza, avvicinando alle labbra il dorso della mano offerta per sfiorarlo appena. Con un guizzo repentino, il gatto mosse una zampa artigliata e incise tre solchi profondi sul volto del giovane che trasalì, caduto nel tranello: sebbene questi si coprì prontamente la faccia con un palmo, l’assenza di una singola stilla di sangue versata era incontrovertibile. Poltercucciolo scattò adirato, ma la donna scivolò via per ristabilire le distanze, facendo scorrere il bordo dell’abito sul pavimento.

« È un nostro simile! » esclamò Capitan Spiritato, onestamente stupito, poi, compreso infine di essere stato regalmente preso per i fondelli, si alterò. « Che scherzo è questo? »

Re Boo avanzò di un passo verso i tre intrusi che si erano compattati in un punto dello squallido salone. « Mi costringi a scusarmi per la tua condotta, astuta Malberta. » Le pupille iridescenti baluginarono minacciose nelle fosche cavità orbitali.

Il sorriso sul volto della dama era svanito e i lineamenti spigolosi irrigiditi in un ritratto di risentito contegno. « Perché tenerci all’oscuro dell’identità del vostro favorito? Noi, i più vicini alla corona, non abbiamo forse diritto di sapere per primi a chi avete concesso tale importanza, anziché racimolare i pettegolezzi di corte? » Il Poltermicio saltò a terra per leccarsi le unghie che un minuto prima aveva piantato in faccia al giovane deceduto, ignorando con sdegno i latrati iracondi di Poltercucciolo paratosi di fronte al suo padrone.

« Mia cara, preferisco tenere le faccende private alla portata di meno orecchie possibile. Ad ogni modo, a tempo debito, avrei permesso alla notizia di circolare liberamente e organizzato questo incontro in una sede appropriata » garantì lo spettro re. « Luigi si sta ancora accostumando al nostro stile di vita. »

« Sua Misteriosità desiderava solamente godersi un po’ di intimità col nuovo gioiellino » ridacchiò la bella Ectopatra con tono suadente, incrociando le braccia adornate da vistosi bracciali. « Riconosco che ha buon gusto. » La spettrale regina e probabile antenata di Daisy sembrava l’unica positivamente intrigata dall’inaspettato risvolto, come una casalinga alla visione del suo dating-show preferito.

« Tanto disturbo per il nuovo trastullo del re? » sbuffò il gigantesco squalo, irritato per aver involontariamente recitato la parte del paparazzo della situazione. « Mi sarei volentieri risparmiato l’attesa in questa sudicia topaia. »

« Sbagli, Capitano. » Sebbene il tono di voce fosse rimasto subdolamente piatto, gli occhi del lugubre sovrano ribollivano intimidatori. « Luigi è molto di più e, d’ora in avanti, ti rivolgerai a lui per nome, col garbo che gli si conviene. »

« Il mio garbo, come il mio rispetto, non sono privilegi vincolati al talamo reale, Maestade. Se li vuole, » si rivolse al diretto interessato, « se li deve guadagnare ». Spiritato drizzò la schiena con fierezza. « Non tratterò coi guanti di velluto l’ultimo arrivato solo perché è entrato nelle grazie del re, men che meno un novellino fresco di dipartita che fino a pochi anni fa si fregiava del titolo di cacciatore di fantasmi. Buffa la sorte, no? »

Luigi si interpose, affiancandosi nuovamente al suo protettore. « Faccio ammenda ogni giorno per i torti del passato. Non potrò mai cancellare quello che ho fatto, e comprendo la vostra diffidenza. » Gettò infine la maschera: le unghiate inflitte dal Poltermicio si rimarginarono all’istante, il naturale pallore dell’ectoplasma affiorò a coprire ogni centimetro di pelle, baffi e capelli e i falsi bulbi oculari si smaterializzarono, rimpiazzati da finestre luminose. « Intendo meritarmi la vostra fiducia dimostrandovi di non essere più colui che un tempo terrorizzava la comunità fantasma. »

« Bando alle ciance! » Spiritato si spazientì e rivendicò il degno scontro che era venuto a cercare. « Se quanto detto dal nostro sovrano corrisponde a verità, se sei davvero un pretendente al trono… » Puntò l’uncino affilato contro l’avversario, lanciando ufficialmente la sfida. « Allora provami sul campo di esserne all’altezza! »

« Come siete ruvido, Capitano » sospirò l’avvenente sarasiana, avvezza al temperamento ruggente del collega. A differenza dei due compagni, la placida Ectopatra era stata mossa da semplice curiosità e non sembrava interessata alla battaglia.

« Spiritato ha ragione » convenne invece Malberta, sistemandosi la stola di pelliccia intorno alle spalle scoperte. Un’ira trattenuta saettava negli occhi ambrati. « Non accetterò a testa bassa che un ragazzino ambizioso mi calpesti, nemmeno se si tratta del favorito di Vostra Oscurità. Se costui un giorno sarà nella posizione di dare ordini, dovrà prima oltrepassare me. » Come se avesse risposto a un comando silente, l’infido Poltermicio divenne improvvisamente aggressivo: si drizzò su tutte e quattro le zampe, incurvò il dorso, puntando lo sguardo affilato sul colpevole della frustrazione nella sua amata padrona, e soffiò.

Poltercucciolo ringhiò di rimando.

L’avversario si tramutò in una pantera mostruosa, col torace tozzo e gli artigli anteriori lunghi come falcetti, e produsse un ruggito che scosse la stanza.

Il cagnolino si trovò obbligato a rivedere le sue scelte di vita, ammutolendo incerto.

I tre comandanti risero divertiti. « Un inizio promettente » schernì Spiritato. « Voglio proprio vedere se riuscirai a offrirmi un ballo più decente di quel delirante grumo di feccia là dietro. » Indicò lo sfortunato Spiritù con un cenno del capo.

Luigi serrò i pugni, avendo finalmente individuato il responsabile. « Sei stato tu? »

« Oh, mea culpa. La cosa va contro i tuoi nobilissimi ideali di recupero e reinserimento sociale delle pecorelle smarrite. » Il giovane sfrontato ridusse a piedi la distanza tra loro e il capitano fece altrettanto, nuotando adagio nell’aria, sino a incrociarsi a metà strada.

« Non c’era bisogno di infierire fino a questo punto » disse Luigi col mento in su, coperto dall’ombra imponente del carcarodonte intento a squadrarlo dall’alto scettico con l’unico occhio esposto.

« È stato lui ad attaccare per primo » furono le parole a scivolare tra le file di denti acuminati. « Mi sono semplicemente difeso. » Lo scempio tutt’intorno e il ghigno crudele stridettero orribilmente con la spiegazione.

« Allora non sareste dovuti entrare. »

La Poltersciabola si accovacciò agitando le code sinuose e fece vibrare il petto in un ringhio cupo, bramosa di conficcare di nuovo gli artigli in quel visino accigliato.

« Ci butterai fuori tu? Vorrei che ci provassi » continuò implacabile Spiritato, deciso a graffiare nervi scoperti. « Perché ti interessi tanto a quelli come lui? Sono fallimenti che non sarebbero dovuti rinascere, sgorbi, malriusciti. Ci fanno soltanto un favore a restarsene alla larga. La verità è che ti importa di loro quanto ne importa a me. Lo fai unicamente per te stesso: una recita per gratificare il tuo ego. O forse c’è qualcosa in loro, incompresi e abbandonati, che ti ricorda proprio te? Se è così, raderò al suolo questo rudere sino alle fondamenta con immenso piacere. »

Luigi avvertì un’onda di gelo pervaderlo, un furore sepolto nel profondo e ridestato sgorgò dalla voragine che si portava dentro e si espanse in ogni fibra della sua anima. Non poté contenerlo. Lo lasciò uscire. Impregnò l’aria circostante. Riempì la sala intera. Si insinuò fra le crepe nella pietra. Le torce si estinsero una dopo l'altra e l'oscurità inghiottì i presenti.

Re Boo, rimasto in secondo piano ad osservare attento l’evolvere della scena, sorrise. Schioccò le dita e fiamme bluastre comparvero al posto del fuoco naturale a rischiarare l’ambiente con la loro luce sottilissima.

L’atmosfera era radicalmente cambiata, a partire dalle espressioni dei comandanti che avevano infine rivalutato le capacità del loro opponente e assunto posizione di guardia, compresa l'inquieta Ectopatra al sentore dell’aura oscura irradiata dal giovane. Spiritato era addirittura arretrato di qualche metro per evitare di esserne investito. Malberta fu la prima a riscuotersi infuriata e con l’indice teso sibilò l’ordine al suo animaletto; curiosamente, i tratti del viso si erano affilati insieme alle unghie smaltate, svelando un aspetto stregonesco sotto la facciata di ectoplasma e make-up.

La Poltersciabola si avvicinò spavalda all’obiettivo, ma venne prontamente intercettata dal leale Poltercucciolo che si piazzò accanto al padrone, tornato in sua difesa malgrado l’apparente svantaggio fisico. Il felino indugiò un attimo, assottigliò le palpebre, seccato dal flaccido tentativo di rivalsa, e fece infine per prepararsi ad attaccare. D’improvviso, in reazione al contatto con Luigi, il corpo del canide si gonfiò e acquistò in pochi istanti la mole possente di un orso. Le tre teste zannute del Poltercerbero ringhiarono all’unisono, ribadendo il messaggio forte e chiaro.

La Poltersciabola accantonò umilmente la strategia di un assalto frontale.

« Accetto la sfida, » dichiarò calmo Luigi, la cui voce suonò distorta, grave, terribilmente simile a quella dello spettro re, « ma non qui ». Si diresse verso l’angolino nel quale Spaventù aveva trovato provvisorio rifugio e si calò su un ginocchio per constatare da vicino l’entità dei danni sofferti, mentre ciascuna testa di Poltercerbero si accertava torva che i seccatori sarebbero rimasti al loro posto per il tempo necessario.

« Incitatus… » mormorò con sguardo perso il boo, stringendo la testa metallica separata dal resto della corazza come un soldato che sorregge il corpo di un caro amico caduto sotto le armi.

« Non preoccuparti, lo faremo tornare come nuovo. » Lo consolò dolcemente. « Gli faremo forgiare un’armatura più bella e resistente, degna di un campione. Sarà l’invidia di tutti i cavalieri di corte. » Si rialzò per rivolgere un’occhiata a Re Boo che annuì in segno d’intesa, compiaciuto oltre le aspettative.

Il sovrano si preparò dunque a spostare i competitori su un campo di battaglia più adatto. Si leccò le labbra, ansioso di godersi i frutti di anni di rigoroso addestramento personalmente impartito. Gli farà bene sfogarsi un po’.


Nota d’autrice:

Nel Medioevo i cavalli venivano distinti non in razze ma in base alla loro funzione:

  • il destriero era il cavallo da guerra e da giostra (torneo medievale), adibito alla cavalleria pesante, così chiamato perché veniva condotto con la mano destra da uno scudiero affinché il cavaliere potesse inforcarlo al momento della battaglia, di mole considerevole e andatura lenta, addestrato con grande cura a sopportare il peso dell'armatura, il rumore e l’odore del sangue;
  • il corsiero era il cavallo portato alla corsa (c. da lancia) e ad andature sostenute, veniva utilizzato spesso nei tornei per la sua mole comunque considerevole e anch’esso doveva essere forte e robusto per essere adoperato in battaglia;
  • il palafreno, detto anche "cavallo da posta", era per antonomasia il cavallo adibito per i viaggi, le parate e l'uso quotidiano, in grado di percorrere lunghi percorsi con un peso moderato in groppa, veloce nel trotto per essere utilizzato anche durante per la caccia;
  • il ronzino e il somiero erano cavalli di poco pregio, resistenti e di indole tranquilla, usati per il trasporto notevole di bagagli, carri e attrezzature personali del signore.

 

Malberta Crisantemi, Poltermicio, Capitan Spiritato, Ectopatra, Re Spaventù [Luigi’s Mansion 3] © Nintendo

Poltercerbero © koopafreak

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Capitolo 6
*** Turnaround ***


kkkk

Personaggi: Re Boo, Malberta Crisantemi, Luigi (menzionato).
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale.
Pairing: Het, Shonen-ai, Crack pairing.
Note: Tematiche delicate.

 

Turnaround

 

« Decenni di assoluta e cieca devozione in cui ho privilegiato i vostri desideri sopra qualsiasi priorità, eseguito ogni vostra richiesta senza esitare, rivolto al vostro successo tutti i miei sforzi… Alla fine nulla di questo conta qualcosa? »

« Certo che contano, Malberta. Confido, infatti, che avrai maggior riguardo della fiducia in te riposta. E che non ostacolerai più il mio volere. »

« Come potete umiliarmi così? »

« Ricordare a una pedina il suo ruolo non è umiliare: è riportare l’ordine. Giacché in passato ti sei distinta per dedizione, virtù sempre più rara di questi tempi, sarò così generoso da sorvolare sul tuo recente atto di insubordinazione e concederti clemenza, a patto che, esattamente come già adempiuto da Spiritato ed Ectopatra, anche tu estenda voto di obbedienza a Luigi. »

« Non ha detto nulla di simile quando ci ha lasciati andare. »

« Una dimenticanza alla quale ho intenzione di porre rimedio qui e subito. »

« Non è il mio re. »

« Non è il tuo re, ancora. Tuttavia, dacché l’opportunità di conoscervi di persona è stata colta con anticipo, ritengo sia coerente avvantaggiarsi di conseguenza con certe formalità. »

« Non mi sottometterò a un ragazzino. »

« Si tratta di rendere ufficiale quanto già chiarito sul campo di battaglia. Per apprendere ciò che Luigi ha appreso in settimane di morte, a voi, i miei migliori comandanti, sono serviti anni. Per raggiungere quello che lui ha raggiunto in anni, a voi sono serviti secoli. Vi ha superati, vi ha schiacciati e, infine, vi ha risparmiati. »

« È dotato, lo riconosco, ma inadeguato al trono. Un idraulico e cacciatore di fantasmi è indegno di rappresentare la nostra gente. »

« Ciò che prima è stato, a me non interessa. L’ho scelto. La mia parola è legge e qualunque azione che si discosti da essa è considerata tradimento. Luigi è destinato alla grandezza. Egli è il consorte che tanto ho atteso, l’ultimo gradino per assurgere alla perfezione. »

« Che ancora disgustosamente si allieta a mescolarsi ai mortali. Come definite un simile comportamento? »

« Bravate giovanili. Chi di noi, suvvia, non si è tolto qualche capriccio nel primo periodo di eternità? Io stesso confesso di aver gradito di tanto in tanto della compagnia del dottor Guillotin, finché i suoi nervi hanno retto, e persino tu, in ossequio del vero, hai reso regolarmente visita alle consorelle della tua congrega dalla quale fosti bandita e tuttora ti diverti a perseguitare la loro tormentata discendenza. Ma ora dimmi, Malberta, da quanto tempo lo stavi tenendo d’occhio? »

« Da quando mi sono vista costretta ad abbassarmi a prestare attenzione alle voci che avevano iniziato a circolare tra le classi inferiori, come una qualunque comare di quartiere, invece di udire la verità direttamente da voi. “Non sono nient’altro che chiacchiere”, mi ripetevo all’inizio, “il mio adorato Re non mi abbandonerebbe”. Ma voi non tornavate da me. Mi avete lasciata sola. Finalmente ho scoperto per chi mi stavate trascurando, ed è stato come cadere nella morsa del veleno una seconda volta. »

« Dunque hai tramato a mia insaputa, hai studiato le sue mosse e hai convinto Spiritato ed Ectopatra a tenderci un agguato con l’intento di sfidarlo. Sebbene la vostra interferenza mi abbia irritato, poiché sai quanto io detesti qualsiasi movimento dei miei subalterni senza mio preciso comando, riconosco che tale improvvisata ha permesso a Luigi e me di avvicinarci ancor di più. Lo hai aiutato a comprendere il suo potenziale di cui siamo entrambi compiaciuti al di là delle aspettative, io specialmente. »

« Allora fate anche lui comandante, o cavaliere del reame. »

« Il suo posto è sul trono al mio fianco e, forse, un giorno, siederemo entrambi su un unico trono. »

« Che assurdità! L’età vi sta infine giocando brutti scherzi, avete perso il senno. Oppure siete voi a prendervi gioco di me per acuire questa mia tortura? Non mi avete calpestata abbastanza? »

« Non credi nell’amore, Malberta? Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarlo. »

« Voi non sapete amare. »                             

« Solo perché non ho amato qualcuno prima, non significa che non ne sia capace. »

« Siete crudele oltre ogni misura. »

« Sono certo delle mie scelte. »

« Se sposerete quell’ambizioso, commetterete un errore. »

« Per quale tragica ragione? »

« Perché siamo anime affini, noi due. Il nostro incontro non è avvenuto per caso, altro non è stato che il confluire naturale delle nostre esistenze. La prima volta che vi vidi, misi il mio cuore ai vostri piedi perché capii che a voi ero sempre stata destinata, come voi lo siete a me. Tutto ciò che di meraviglioso e terribile abbiamo condiviso in questi lunghi anni ne è la prova. Vi ho reso felice e non potete negarlo. Voi siete stato la mia notte, lo siete anche ora che mi ferite con tale indifferenza da farmi desiderare la vostra distruzione e la mia. »

« Ammetto, affezionata Malberta, che, per un breve intervallo della mia esistenza, hai saputo appagarmi, ma non è bastato. »

« Non esiste nulla che possa appagare la vostra ingordigia! Prenderete finché c’è da prendere e non vi fermerete mai, sempiternamente insoddisfatto. Questa è la vostra maledizione e di chiunque abbia la sventura di starvi intorno. »

« Ci stiamo pericolosamente allontanando dall’argomento centrale di questo incontro. »

« Scommetto che la prematura dipartita di quel giovane è opera vostra. Magari Spiritato ed Ectopatra nutrono soltanto il sospetto, ma io vi conosco. So fino a che punto sareste capace di spingervi e che sareste persino così folle da considerare amore un simile atto di egoismo. »

« Io l’ho salvato. »

« Vi siete preso anche lui. »

« Sarebbe stato un inammissibile spreco di materia prima, lasciarlo marcire in un mondo che stentava ad accorgersi della sua esistenza. Ho visto qualcosa in Luigi, qualcosa che non ho trovato in nessun altro in secoli di tediosa e desolante aspettazione. Ho fatto semplicemente ciò che era necessario e oggi, grazie anche al tuo contributo, sono più che mai consapevole di aver agito per il meglio. »

« E vi terrorizza l’idea ch’egli possa intuire che il benefattore che lo ha accolto, addestrato e istruito come un principe sia in effetti l’artefice della sua disgrazia. Ecco dunque la ragione per la quale sono stata scortata al vostro cospetto, per accertarvi che la verità non esca di qui. »

« Il buon Luigi ha ancora bisogno di tempo per disinteressarsi del principio e completare la sua rinascita. Una scelta implica una rinuncia, d’altronde. »

« Voi vi siete arrogato il diritto di scegliere per lui. »

« Un diritto derivato dall’esperienza. In cambio dei fugaci piaceri di una vita mortale, sono pronto a offrirgli potere, immortalità e un regno. Ciò fa di me un mostro? »

« Un giorno scoprirà cosa gli avete fatto e gioirò mentre vi maledirà! Ogni secondo di perpetuità gli corroderà l’anima e supplicherà i Re del Game Over di venire a prenderselo, ma non prima di avervi annientato con le sue mani. »

« Oh, certo. Un giorno, indubitabilmente, l’intera realtà dei fatti spunterà fuori. Pur tuttavia, farò sì che la rivelazione avvenga non prima che, di ciò che è stato in pre-mortem, non gli importi ormai nulla. »

« Spero che l’amore che Luigi ha avuto in vita vi si ritorca contro sino all’ultima stilla. »

« Adesso, Malberta, la mia pazienza ha toccato il limite. Giuri assoluta e imperitura fedeltà a Luigi Mario, futuro sovrano del regno fantasma, prometti di agire sempre nel suo interesse e di nuocergli mai in modo alcuno? »

« Abbiate riguardo della mia cara Poltermicia. Affidatela a un padrone degno che la tratti come l’ho trattata io. »

« Peccato. Mi saresti ancora utile. »

« Vi ho già dato tutta me stessa. Non ho più niente da darvi. »

« Sei stata una preziosa risorsa e leale confidente. Ti riserverò un posto di rilievo nella mia collezione. »

 


Nota d’autrice:

« Voi credete nel destino? Che persino i poteri del tempo possano essere alterati per un unico scopo? L’uomo più fortunato che calpesta questa terra è colui che trova il vero amore. » — Vlad III di Valacchia [Dracula di Bram Stoker (1992) de Francis Ford Coppola, tratto da Dracula (1897) de Bram Stoker].

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Capitolo 7
*** Ensemble ***


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Ensemble

 

« Piccine mie, siete stupende! » esclamò la Regina Peach con un largo sorriso a illuminarle il viso, portandosi le mani al petto.

« Voi siete straordinaria, Maestà » ricambiò prontamente Gloria con un inchino delicato come un passo di danza. Anche se l’aspetto da Koopa della sovrana era ormai noto, poterla ammirare in carne ed ossa restava uno spettacolo mozzafiato: composta e fiera come una divinità mitologica, con le lucide scaglie avorio che si tingevano di rosa a seconda della direzione in cui la luce le colpiva, Peach incantava con la naturalezza di un essere di beltà superiore, senza vanità. L’altezza imponente poteva intimorire, sebbene il fisico fosse più ridotto e armonioso rispetto a quello del consorte, tuttavia l’espressione di calda affabilità perennemente presente ad addolcire i lineamenti predatori era un magnete per chiunque incrociasse gli occhioni azzurri della sovrana, sempre pronta a scambiare una parola gentile.

Anche Lucilla si fece avanti, portandosi a fianco della sorella, per mettere in pratica le lezioni impartite da Re Boo: fece scorrere il piede destro dietro il sinistro, afferrò il bordo della gonna verde smeraldo con la punta delle dita per sollevarla dolcemente e piegò le ginocchia, tenendosi eretta. Gli occhiali le caddero sul pavimento con un ticchettio di sconfitta.

La ragazzina li raccolse all'istante e li inforcò di nuovo, senza completare la riverenza, avvertendo con mortificazione le orecchie infiammarsi di vergogna. Le parve di udire dei mormorii da un gruppetto aristocratico che aveva assistito alla sua prima papera della serata, mentre un numero sempre maggiore di pupille scrutatrici si fissava sui nuovi arrivati che stavano rubando il completo interesse della regina.

« Avete scelto voi i vostri abiti? » chiese Peach con l’immancabile sorriso cordiale, glissando sul minuscolo incidente.

« Li abbiamo disegnati insieme alla mamma! ». Gloria eseguì orgogliosa una piroetta sulla punta di un piede, mostrandosi nel vestitino svolazzante che si aprì come un papavero.

La sovrana notò con molto piacere che le piccole Mario indossassero i gioielli da lei scelti in occasione del loro ultimo compleanno: un paio di orecchini d’oro a forma di Fiore di fuoco per Gloria e un ciondolo in oro bianco a forma di Superfoglia per Lucilla, rispettivamente il power-up preferito di ciascuna. Se l’occasione fosse stata informale, Peach avrebbe cinto le bambine in un grande abbraccio di quelli che lei amava dare e, da come si stringeva le mani, si intuiva che la koopa si stesse trattenendo con impegno. Gli abbracci erano sempre stati il modo di salutare che questa preferiva, in barba all’etichetta reale, e in essi riversava senza riserve tutto l’affetto che il suo cuore immenso serbava.

Lucilla segretamente adorava gli abbracci della regina, soprattutto se in formato koopa gigante. Riceverne uno da Ludwig sarebbe stato assolutamente il massimo: il solo pensiero la mandava in visibilio, ma la faccia tosta di proporglielo non l’aveva e non l’avrebbe avuta. Stavolta, però, era ben decisa a scavalcare la timidezza e ad avere finalmente un ballo insieme. Il principe non declinava mai richiesta di un giro di danza, seppur per una questione di cortesia piuttosto che per compiacimento personale. A ogni festa si formava una fila brulicante di ammiratrici che, in aperta competizione, attendevano ciascuna il proprio turno per incollarsi beate al principe e giocarsi quella manciata di minuti per far breccia nel suo cuore irraggiungibile. ‘Dovrei farci mettere un distributore di numeri di attesa’, aveva commentato asciutto Bowser Jr. quando le aveva confidato la buffa costante.

« Madre ». Una voce femminile chiamò poco lontano. « Avete visto il mio fotografo? ». La principessa Wendy si avvicinò con espressione accigliata, ruotando il capo in direzioni diverse nel tentativo di individuare il latitante. La sua figura torreggiante si faceva largo con contegno tra la folla, ringraziando con un sorriso gentile gli ospiti che avevano l’accortezza di liberare il passaggio e ristabilire distanza di sicurezza dal carapace acuminato. La rampolla aveva l’abitudine di ingaggiare un professionista che si dedicasse esclusivamente a lei, al fine di mantenere in regolare aggiornamento i profili social dove i fan seguivano fedeli ogni novità: eventi, outfit, diete, manicure, tutorial di trucco… La vanitosa Toadstool Koopa aveva una carriera avviata di influencer, modella curvy, attivista body positive e imprenditrice che aveva lanciato la sua linea di cosmetica sostenibile e inclusiva.

« Credo che stia ancora placcando i camerieri addetti alle tartine al caviale, cara ». Era evidente che la regina aveva prediletto un look modesto affinché i riflettori restassero puntati sulla figlia adottiva: Peach indossava un paio di lunghi guanti candidi, arricchiti da ricami dorati e che le lasciavano scoperte le dita artigliate, un grande ciondolo ovale con uno zaffiro purissimo al centro, l’immancabile diadema in cima ai boccoli biondi e la fede nuziale all’anulare sinistro; Wendy splendeva letteralmente alla luce dei lampadari, sia per le scaglie color miele lustrate minuziosamente sia per la quantità di gemme che la ricoprivano, dal meraviglioso reticolato di fili di perle e pietre preziose che dal capo le scendevano lungo le guance ai cristalli disposti in graziosi disegni sulle spalle e lungo i fianchi, fissati sul suo corpo grazie a un incantesimo.

Con uno sbuffo di irritazione, la principessa smise di setacciare la sala con le iridi limpide e si concentrò sui nuovi arrivati. « Le sorelline Mario! ». Gli angoli delle labbra lucide si arricciarono in un sorriso garbato. « Gloria, potresti sfilare in passerella! » si complimentò, notando felice che la giovane amica avesse abbinato al vestito la nuance di smalto rosa cangiante perlato Fairy Floss Meringue Ethereal Bliss, uno dei fiori all’occhiello del suo brand Coo Chipoo Chi. Spostò il mirino indagatore sulla sorella e le sopracciglia si sollevarono con sorpresa. « Lucilla, ti trovo… truccata! ».

Quella era la prima volta nella sua breve esistenza in cui la timida Lucilla si era addentrata nell’inesplorato mondo della cosmetica ed era stata provvidenziale l’assistenza della sorella che, grazie alle generose quantità di campioncini che la principessa si premurava di far recapitare loro direttamente a casa, essendo Gloria e Pauline le modelle predilette di quest’ultima, aveva immagazzinato scorte per tre vite consecutive.

« Intendevo dire che stai benissimo! ». Si ricompose Wendy, temendo di essere sembrata scortese. « L’ombretto Sugar Cloud Chromaflake Multichrome Chromadescent sembra fatto apposta per te! ».

A Lucilla si accapponava la pelle ogniqualvolta le capitava di udire l’accozzaglia di parole con cui la rampolla Toadstool Koopa amava battezzare le sue creazioni. E pensare che, fino al giorno prima, lei e Mario si divertivano a sfogliare i cataloghi giusto per farsi due risate sulla sfilza di nomi tanto stravaganti degli stessi trucchi che ora, per ironia della sorte, la ragazzina si ritrovava spalmati in faccia. « Grazie, Principessa Wendy ».

« Ho un nuovo gloss volumizzante Charming Champagne Rosé Versailles Exquisite Glow con effetto ultra scintillante da farvi provare ». La Koopa materializzò tra gli artigli il lucidalabbra e lo porse a Gloria che accettò il regalo con entusiasmo. Commemorarono il test con un selfie, prontamente postato sui profili social reali.

« Non sarà un po’ presto per volumizzare? » bofonchiò inquieto Mario con la fronte aggrottata. La moglie gli appoggiò una mano sulla scapola per tranquillizzarlo, invitandolo con un sussurro vellutato a lasciar correre per una volta.

Passi pesanti segnalarono l’appropinquarsi del Re che si autoannunciò con una delle sue tipiche, reboanti risate. « Peach, mio angelo, ci stanno aspettando per una foto insieme ». Le iridi cremisi individuarono la famiglia della sua ex nemesi dietro la sagoma ammaliante dell’amata. « Alla buonora! » proruppe il Koopa di ottimo umore, come se la serata avesse acquisito un senso da quel preciso istante, bellamente indifferente all’attenzione che la sua naturale incapacità di essere discreto stava magnetizzando su di sé. Aumentò l’andatura per avvicinarsi sogghignante.

« Signora Mario, signorine Mario ». Moderò il volume e rivolse un cenno del capo a ciascuna, senza fretta. Depose infine lo sguardo sull’ultimo ospite e un folto sopracciglio si inarcò con sconcerto. « Vi siete portate il nonno? ».

« L’età non ha fatto sconti neppure a te, simpaticone » ribatté l’amico a braccia conserte, squadrandolo scettico. Il sovrano e il cavaliere del reame erano soliti punzecchiarsi a vicenda, ma sempre col sorriso. Da quando Luigi aveva stabilito le distanze, nei momenti più bui del fratello c’era stata anche la spalla del drago su cui piangere.

« Sei proprio tu, Mario? Ti avevo preso per un pensionato. »

« Io almeno non mi nascondo sotto tinte o incantesimi. »

« Sogna pure. Gli anni non mi sbiancano i capelli. »

« Vedo. Ti vanno tutti sul giro vita, vecchio Panzer! »

« Non è grasso » precisò solenne il Re con l’indice alzato. « È potenza ».

« Io li amo tutti, i tuoi capelli bianchi » intervenne sensuale Pauline, cingendo il mento del marito e sollevandogli dolcemente il capo brizzolato per unire le labbra in un bacino. « Ti danno uno charme irresistibile ».

« E io amo tutta la tua morbidezza ». Non fu da meno la Regina Peach, premendo la punta del muso contro la guancia del consorte. « Non esiste nulla di più comodo su cui addormentarsi ».

La progenie presente emise un verso di unanime imbarazzo alla scenetta stucchevole.

« I tuoi ragazzi? » domandò Mario che era riuscito a scorgere poco lontano il codino focoso del più giovane, accerchiato da uno squadrone di damigelle esaltate, e la criniera blu del primogenito, in disparte dalla confusione femminile dove, in occasioni analoghe, era solito trovarsi all’epicentro.

« Stasera tocca a Junior tenere a bada le piccioncine » rispose il drago strizzando un occhio.

Meglio!, esultò tra sé Lucilla trionfante. Così non dovrò fare la fila.

Il resto della stirpe Toadstool Koopa di rado partecipava agli eventi formali, ai quali l’invito ovviamente era esteso, ma la tendenza collettiva era quella di sottrarsi al tedio e alla pomposità della vita di corte. Morton Jr. e Larry, i Generali Stellati, detenevano rispettivamente l’uno le redini delle forze armate della Terra Oscura e l’altro del Regno dei Funghi ed entrambi preferivano pattugliare i confini ai balli e alle ciance con aristocratici impomatati, mentre Iggy, insofferente per indole agli obblighi sociali, si era ritirato dalla sfera politica per dedicarsi liberamente ai suoi progetti ed esprimere al meglio il suo genio e la sua passione per la tecnologia, aggiungendo anche il proprio contributo alla prosperità del reame.

Purtroppo, persino la famiglia Toadstool Koopa aveva sofferto una lacerazione, quando Ludwig aveva riunito i Bowserotti per comunicare l’intenzione di abdicare in favore del più giovane. I fratelli mezzani non avevano avanzato pretese, sia perché nessuno aspirava a fare i conti con le pressioni della corona sia per la fiducia riposta nel giudizio del più anziano, ad eccezione del terzogenito. L’orgoglioso Roy desiderava disperatamente l’occasione propizia per uscire dall’ombra del padre e del fratello maggiore e rivendicò il proprio posto nella linea di successione, ma gli altri Bowserotti non lo appoggiarono, giacché non riconoscevano in lui, impulsivo e incline alla prepotenza, l’erede al trono capace di preservare l’unità dei due regni.

L’ira e la frustrazione quasi accecarono il terzogenito e si rasentò una lotta intestina, ma in che modo gli avrebbe giovato? Se Roy avesse sfidato la gerarchia con i pugni, le possibilità di prevalere erano incerte: il Koopa ribelle era fisicamente avvantaggiato, ma il maggiore era assai più scaltro e, se provocato, anche Ludwig poteva rivelarsi una minaccia in termini di forza bruta. Inoltre, pur in caso di vittoria, Roy sapeva che non si sarebbe conquistato lo stesso il favore dei fratelli. Fu un rospo troppo grosso da mandar giù e il terzo rampollo Toadstool Koopa, ferito e risentito, intraprese l’impresa di fondare un regno tutto suo e abbandonò la patria senza lasciare tracce.

Il contraccolpo emotivo sulla famiglia fu terribile, e fu ancora peggio quando si scoprì che Lemmy, il secondogenito, silenzioso e sensibile, che si assumeva sempre il ruolo di pacificatore nei bisticci tra i Bowserotti minori, aveva lasciato il corpo della Guardia Reale per seguire il fratello nell’ignoto. La scomparsa dell’affezionato Lemmy aveva acuito il dispiacere, ma il suo gesto servì a garantire almeno il conforto che Roy avesse qualcuno pronto a difenderlo, anche dal lato più truce di sé nel quale questi rischiava di barricarsi: il più empatico dei Bowserotti lo aveva capito e non avrebbe permesso al fratello di farsi governare dall’odio. Saltuariamente la famiglia reale riceveva messaggi spediti dal secondogenito, con brevi rassicurazioni sullo stato di salute e accenni alle peripezie superate. Spesso trascorrevano settimane intere, a volte mesi, tra una missiva e l’altra e, nelle occasioni in cui erano i nervi del Re a cedere per l’apprensione, Mario era pronto a offrire la sua, di spalla.

Lucilla sapeva che la sorella aveva un debole per Roy, col quale quest’ultima adorava giocare a basket o sfidarsi sui kart. Quando la Regina aveva svelato la brutta notizia, Gloria ci era rimasta così male che si era chiusa in camera a piangere. Tra i due era nata una complicità reciproca: lui doveva averle fatto delle confidenze sulle ambizioni represse e sui livori personali e lei gli si era affezionata. Lucilla era certa addirittura che Roy le scrivesse, osservando come Gloria non osava lasciar mai il suo cellulare incustodito dal giorno in cui, guarda caso, il Koopa era sparito dalla circolazione.

« Chi sarebbero quei paesanotti? Perché sono qui? » bisbigliò con stizza una voce femminile nelle vicinanze.

Lucilla drizzò le orecchie, fingendo di non averci fatto caso, mentre gli altri chiacchieravano tra loro, ignari dei commenti.

« Abbassa il tono! » sibilò un’altra nervosamente. « Si tratta della famiglia del cavaliere del reame, Ser Mario ».

« Davvero? Quello è il famoso Mario? Me lo immaginavo più alto. »

« La moglie è una bellezza rara. Diversi mariti trascorreranno la sera a fissare quello spacco. »

« Anche la figliola è estremamente graziosa. »

« Graziosa? ». La domanda suonò così incredula da sottintendere il messaggio: “Hai proprio bisogno di un paio di occhiali, vecchia mia”.

« Non quella. L’altra col vestito rosso. »

« Oh, sì. I geni della madre sono evidenti. La sorella, invece? »

Lucilla stabilì di averne avuto abbastanza. Si voltò verso le due aristocratiche che trasalirono dietro i ventagli di pizzo, talmente ricoperte da stoffe e piume da rendere arduo determinare il loro vero aspetto. La ragazzina eseguì un inchino di saluto perfetto, che le dame corrisposero automaticamente come da bon ton, e indirizzò loro una linguaccia prima di dirigersi dritta verso l’obiettivo all’estremità dell’immenso salone, facendosi strada tra la nobiltà mondiale con passo deciso.

Ludwig era proprio là, alto e magnifico: portava una giacca blu con ricami argentati su maniche e torace e sembrava uscito da un libro di favole, in attesa della sua damigella con cui ballare. Il cuore accelerò i battiti e le gote iniziarono a bruciarle, ma l’emozione non l’avrebbe indotta a desistere. Il drago la individuò con la coda dell’occhio venirgli incontro e le rivolse un sorriso di benvenuto.

La ragazzina ricambiò euforica e quasi si trattenne dal mettersi a correre. Mi sei mancato! Mi sei mancato!

Il principe si spostò un poco di lato, scoprendo una persona prima nascosta dalla sua figura imponente.

Era una donna, della stessa età di Ludwig o forse poco più giovane, con capelli color avorio raccolti in uno chignon laterale e un lungo abito bianco, puro come un manto di neve appena caduta, che scendeva sino ai piedi, sfumando in un rosa delicato. Due alette di tulle, rosa anch’esse, le velavano graziosamente le braccia fino al gomito. Sembrava una sposina.

Lucilla continuò a sorridere soltanto perché lo sbigottimento le aveva provocato una paresi facciale. Una volta raggiunta la coppia, notò l’anello all’anulare sinistro di entrambi.

Il Koopa non perse tempo con le introduzioni: « Lucilla, ti presento Alba, amore e musa della mia vita ».

Lucilla si sentì morire dentro.

« Sei una delle figlie di Mario! » esordì la fidanzata a sorpresa. Anche la sua voce era stupenda, sicuramente allenata al canto. « Ludwig mi ha parlato tanto di te, di come apprezzi la sua musica e la sua compagnia ». Avanzò di un paio di passi, si chinò finché i loro visi furono a pochi centimetri di distanza e con aria complice le sussurrò: « Sai, lui non è bravo a esternare i sentimenti o a spiegarli con le parole, ma so che ti vuole un mondo di bene, come a una sorellina ».

Lucilla si sentì morire dentro per la seconda volta. Mantenere il sorriso e trattenere le lacrime nella gola dolorante stava diventando un’autentica tortura. Se avesse aperto bocca per rispondere, il suo autocontrollo avrebbe ceduto.

L’espressione dolce sul volto della donna lasciò pian piano spazio alla confusione.

« Lucilla! » giunse con tempismo straordinariamente opportuno la voce leonina di Bowser Jr. che si avvicinò di gran lena. Anche lui era vestito di tutto punto per l’evento, sfoggiando una regale giacca rossa e dorata. « Non vi offendete se ve la rubo per qualche minuto, vero? È il suo turno per il ballo ». Non concesse il tempo di replicare che aveva già sollevato di peso l’adolescente e compiuto una inversione a U verso l’area del salone dedicata alle danze, delimitata da una folla di aristocratiche in trepidante attesa del ritorno del loro principe da accalappiare.

« Fortuna per te che ho visto tutto, ma non ringraziarmi per averti tolto da lì. Non ringraziarmi. Nooo, davvero, non devi. Che fai, non mi ringrazi? » bisbigliò compiaciuto l’erede al trono muovendo un angolo delle labbra.

« Puoi anche mettermi giù, non ho voglia di ballare ». Lucilla, accoccolata contro il torace e il braccio destro del drago, si resse al collare borchiato mentre con la mano libera si asciugava frenetica le prime gocce tracimate lungo le guance. In quel momento desiderava unicamente scomparire dalla faccia della terra, invece di essere portata in giro come un chihuahua. Pur essendo il più giovane dei Toadstool Koopa, Junior svettava sulle teste degli invitati.

« Ci stanno ancora guardando, non vorrai tradirti proprio adesso ». Questi si fece largo tra la schiera di signorine improfumate e agguerrite che studiarono con attenzione chirurgica l’insolito bottino custodito tra i suoi muscoli.

« Si può sapere chi è? » diverse voci si interrogarono indispettite. Ma come? Loro stavano tutte aspettando il proprio turno e costei veniva addirittura prelevata apposta?

Una volta al centro della corrida, il principe permise a Lucilla di scendere, chinandosi per accompagnarla.

La ragazzina diede un’occhiata fugace tutt’intorno e la moltitudine di pupille piantate addosso le causò le vertigini. Sempre più spettatori si stavano ammassando, incuriositi dal silenzio anomalo delle pulzelle intente a scrutare torve la presenza nemica: somigliavano a una muta di cani da caccia in attesa di vedersi sciogliere il guinzaglio per saltare addosso alla povera volpe. Certamente erano scottate dalla delusione di essersi viste soffiare da sotto il naso il Principe Ludwig e, di conseguenza, la competizione per il secondo scapolo più ambito della famiglia reale era salita alle stelle.

« Balleremo un valzer lento, nulla di complicato ». Junior fece un cenno al gruppetto di toad musicisti che annuirono in sincrono. Per quella sera decise di fare uno strappo alla regola della famiglia reale sul mantenere tutti il medesimo aspetto a un evento e assunse forma umana: portava pantaloni rossi, abbinati alla giacca e infilati in stivali alti fino al ginocchio, e i capelli tirati indietro nel tipico codino. La distanza dalla sua compagna di danze si era drasticamente ridotta, ma restavano ancora diversi centimetri di differenza in statura, considerati i quattro anni di età a separarli.

Dalla calca di spettatori si levarono brusii concitati. I musicisti attaccarono con gli accordi di apertura.

Lucilla era rigida, ancora in shock per la brutta scoperta che era stata inattesa e violenta come un pugno allo stomaco. Trovarsi al centro di tanta attenzione non l’aiutava di certo. « Non so cosa devo fare » mormorò, nel panico. Sentiva la testa annebbiata, come se i suoi pensieri dovessero farsi strada attraverso un banco di nuvole. I ricordi dei video e dei tutorial che aveva studiato al computer si erano fatti remoti e fiochi.

« Non preoccuparti, » la rassicurò Junior, « condurrò io ». Le sollevò la mano sinistra e la strinse nella sua, poi sistemò la destra di lei sulla sua spalla e la sua destra sulla vita di lei, senza appoggiarla, sfiorandola soltanto e tenendo il palmo rivolto in alto per non provocarle disagio. Se possibile, gli occhioni azzurri di Lucilla divennero ancora più grandi e teneri dietro le lenti degli occhiali. Il principe avanzò di un passo e la damigella lo seguì con la scioltezza di un manichino. « Non guardare i nostri piedi » la corresse con gentilezza. « Scivola adagio dove ti porto io ». Dopo qualche resistenza iniziarono a muoversi leggiadri, disegnando cerchi sul pavimento lucido.

I movimenti ripetitivi e cullanti del valzer aiutarono Lucilla a riacquistare il controllo. Si concentrò sul viso di Bowser Jr., così simile al padre: sopracciglia spesse, naso a patata, pelle olivastra e guance paffute. Non era quello che si poteva definire un ritratto di bellezza, specialmente se il modello di confronto era Ludwig, dai lineamenti più armoniosi e dal savoir-faire ineccepibile. Anche Junior doveva essersi sorbito la sua dose di commenti e paragoni a sfavore. « Grazie per avermi aiutato ».

« Sapevo che non avresti fatto i salti di gioia, ma Ludwig ci ha fatto promettere di rendere pubblica la notizia non prima di stasera. È molto riservato su di Alba. Pensa che si frequentano da mesi e lui ce l’ha confidato giusto qualche giorno fa, quando l’ha portata al castello. »

Lucilla arrossì, abbassando il mento.

« Non fare quella faccia, era lampante che stravedessi per lui » rise Junior, ma senza cattiveria. « L’unico a non esserci arrivato è proprio Ludwig che, almeno in una cosa, si può dire che sia negato ».

« Sono contenta per lui » fece la giovane, tornando a corrispondergli lo sguardo. « Se lo merita. Quando l’ho salutato, mi è sembrato davvero felice. Non mi aspettavo la novità, ecco tutto ». La ferita era fresca e l’avrebbe afflitta chissà quanto a lungo ancora, ma Lucilla l’avrebbe accettata. Non poter essere lei la fonte della felicità del principe la avviliva, ma non per tale ragione questi doveva restarne privo.

« Tranquilla, nessuno di noi se lo aspettava. Avresti dovuto vedere Wendy come se l’è presa. Ad ogni modo, finalmente posso dire che stasera sto ballando con qualcuno con cui mi fa davvero piacere ballare insieme ». Junior non stava flirtando, voleva solo dimostrarle di apprezzare la sua compagnia. Il Koopa era molto affezionato alla famiglia Mario e, esattamente come i genitori sovrani, teneva molto alla loro amicizia. La casa del cavaliere del reame era un rifugio sicuro per il principe quando questi aveva bisogno di qualche piccolo, prezioso momento di sollievo dalla routine politica e dalle angosce personali. Quando Roy se ne era andato, i sensi di colpa avevano tormentato Junior per settimane e c’era voluto anche il conforto dei Mario a infondergli la forza necessaria per sorreggere il peso della corona e metabolizzare la perdita di due fratelli.

« E le tizie ansiose di sbranarmi? » bisbigliò cauta Lucilla, avvertendo spilli invisibili schizzarle addosso da ogni direzione.

« Sono qui per visibilità, favori e trattative matrimoniali ». Junior si era abituato fin da piccolo a dover distinguere le simpatie autentiche da quelle alimentate da mero interesse, a saper riporre la sua fiducia e le sue fragilità nelle mani di pochi fidatissimi: i genitori, i fratelli e la famiglia Mario. « Fino a ieri erano tutte alle calcagna di Ludwig ».

A Lucilla si erano drizzati i capelli a “trattative matrimoniali”, considerato che l’amico non fosse nemmeno maggiorenne, ma, d’altro canto, gli interessi del trono imponevano la garanzia della continuità della linea di sangue per assicurare la stabilità del paese. Nulla di strano dunque se giovinette di bella presenza e di famiglie bramose di titoli già gli ronzavano intorno come vespe attratte dal miele. Junior era un libro aperto per Lucilla che lo reputava dotato di grande educazione, umiltà e compassione, assai più maturo per la sua età a causa delle responsabilità che lo avevano costretto a crescere in fretta. Possibile che nessuna delle ruffiane lì intorno fosse riuscita ad apprezzarlo per la persona che era e non per la prospettiva di un matrimonio prestigioso? « Anche a me fa piacere ballare con te » gli disse con convinzione, intimamente riconoscente per averla distolta dai pensieri negativi e averle ricordato di poter contare su un valido e affezionato alleato.

Il mondo non era finito quella sera. L’addio al suo primo amore era avvenuto con più anticipo di quanto Lucilla aveva temuto, ma quest’ultima non si sarebbe arresa alla depressione. Avrebbe mantenuto la testa alta e continuato a godersi il ballo col suo migliore amico. Quando Junior prese l’iniziativa e la sollevò da terra senza ombra di sforzo per farla volteggiare come una ballerina, la ragazzina scoppiò a ridere e gli astanti applaudirono emozionati, con qualche femminile eccezione.

 

« Qualcuno si sta divertendo » osservò Mario, udendo i plausi dalla pista poco lontano. « Con chi sta ballando Junior? ».

Bowser girò il capo per sbirciare oltre le figure degli altri invitati. « Con tua figlia ».

Cavaliere e famiglia testimone rimasero a bocca aperta. Lucilla, l’introversa e ritrosa Lucilla, che ballava in mezzo a una sala piena di gente?

« Penso sia una meravigliosa occasione per cancellare una volta per tutte le divergenze tra voi due e unire le nostre famiglie » contribuì entusiasta Peach che dalla gioia si lasciò sfuggire dalle labbra un soffio di fiamme blu: una delle sue peculiarità Koopa.

I sovrani erano già stati molto chiari sull’argomento col principe erede: questi era libero di sposare chi desiderava. Il regno era talmente prospero e autonomo da potersi sradicare da tradizioni ormai antiquate.

 

Nota d’autrice:

Sorry, I have been busy being dead.

 

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Capitolo 8
*** Changes ***


kkk

 

Changes

 

Quando il cammino della combriccola di Mario e dell’immortale Farfabì si erano incrociati per la prima volta, la nimbi aveva mostrato l’atteggiamento di una giovincella capricciosa che tuttavia, nel momento in cui la sorte del mondo fu riposta nelle sue mani, rivelò infine una profonda nobiltà d’animo. In realtà Farfabì si comportava in maniera tanto puerile, nonostante secoli e secoli di esistenza nella dimensione spirituale, poiché i suoi gelosissimi genitori, i sempiterni custodi dei regni dell’Aldilà, non avevano fatto altro che trattarla come una bambina, viziandola senza riserve per tenerla appagata e al sicuro nelle rispettive dimore dei cieli e degli inferi.

Dopo il compimento dell’impresa per la salvezza universale, alla perpetua infanta fu concessa una breve visita fuori porta per avere un assaggio dell’esperienza mortale che lei, nata nimbi, mai aveva avuto prima. Granbì e Infernia strinsero dunque un accordo coi sovrani della Terra Oscura e del Regno dei Funghi: qualche ora di trastullo nel mondo terreno che l’adorata figlioletta aveva contribuito a preservare in cambio di una snellita alla lista dei precedenti criminali di Bowser, le cui furfanterie non erano trascorse inosservate dall’inflessibile regina spettrale. Farfabì celò l’aspetto di nimbi sotto spoglie umane e venne scortata dai tutori provvisori al parco dei divertimenti di Girasolandia che, con sollievo di questi ultimi, fu di estremo gradimento della bimba che rimase ammaliata dai colori e dalle luci delle giostre variegate, dalla musica disco emessa dagli altoparlanti e dai profumi e dai sapori delle leccornie in vendita nei chioschi.

Bowser e Peach cercarono di accontentare ogni richiesta, ciononostante, i capricci dell’ospite altezzosa non tardarono a susseguirsi implacabili fino a mettere a dura prova la pazienza di entrambi, ai quali non era reciprocato alcun riguardo da parte della monella, convinta di impugnare il coltello dalla parte del manico e di poter disporre di loro come fossero suoi galoppini personali.

Fu il Re Koopa, assai meno incline alla sopportazione e genitore navigato, a ristabilire la disciplina:

« Sono stanco di queste lagne continue, signorinella. Noi ti stiamo facendo un favore e non siamo al tuo servizio. Non hai ancora capito che né Peach né io, specialmente io, siamo agli ordini di chicchessia, ma che siamo qui per nostra scelta e perché i tuoi hanno insistito. Per quanto mi riguarda, se godere di un misero sconticino sulla mia fedina penale vuol dire dover reggere oltre una ragazzina ingrata e insoffribile come te, preferisco portarmi tutte le colpe che ho commesso nella tomba. Una in più o in meno non mi cambia certo l'esistenza ».

Da lì in avanti la convivenza divenne decisamente più piacevole, sino al momento del saluto che avvenne con mutuo affetto (sebbene Bowser non lo avrebbe mai ammesso apertamente).

Le parole del drago si rivelarono tanto severe quanto provvidenziali e quell’evento divenne una pietra miliare nella crescita di Farfabì, che prese consapevolezza della propria condotta e che si convinse così a porre rimedio da sola a ciò che i genitori avrebbero dovuto correggerle, accecati dall’amore verso di lei per imporsi: doveva assolutamente migliorarsi, sia per la dignità sua che per quella dei sudditi che lei doveva rappresentare. Il tempo delle favole e di fantomatici principi azzurri era ufficialmente finito.

Se non fosse stata per quella memorabile giornata insieme ai sovrani Toadstool Koopa, Farfabì sarebbe rimasta chissà quanto a lungo ancora incastrata nel circolo vizioso alimentato da suo padre e sua madre, dalla loro ottusità nel vederla come un eterno pulcino. Nessuno dei due, per esempio, aveva dato la necessaria importanza alla sua scolarizzazione: quando avevano provato ad affiancarle maestri illustri, secoli addietro, la loro volontà si era subito piegata di fronte alle proteste di una ragazzina annoiata e incosciente che ancora non comprendeva il valore dell’istruzione. Non potevano fare a meno di assecondarla in tutto, persino negli sbagli. Era l’unico modo che conoscevano per dimostrarle che le volevano bene.

Al rientro dell’infanta nel regno dei cieli, i luminari snobbati erano stati da lei braccati uno a uno, placcati al volo e supplicati di riprenderla come allieva. Il perdono di molti se lo era dovuto conquistare, studiando da sola tomi su tomi nella Biblioteca Celeste per superare prove di ingresso al fine di convincerli di esser degna del privilegio delle loro lezioni, mentre altri, più indulgenti, avevano accolto con gioia la trasformazione della principessa. Quanto più Farfabì studiava e imparava, tanto più aumentava il suo interesse per ciò che ancora non conosceva. Iniziò dalle artes liberales (Filosofia, Grammatica, Dialettica, Retorica, Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia) e poi spaziò su altre discipline come Storia, Geografia, Scienze Naturali, Arte, Poesia e Letteratura. I nimbi non avevano necessità di riposare o rifocillarsi, quindi la principessa trascorreva ininterrottamente giorni, settimane, mesi su libri e manuali e alternando tra i suoi maestri, sostentata dal desiderio di recuperare il tempo perduto e di riscattarsi.

Il vetusto Granbì e l’austera Infernia non avevano idea della scintilla che aveva innescato un cambiamento di tale entità nella figlia diletta, ma lungi da entrambi distoglierla dal suo percorso di edificazione per porle la domanda. Certo era che, considerato un risultato tanto eccezionale dopo quello che doveva essere un banale viaggio di piacere, il nome di Bowser Koopa era ufficialmente cancellato dall’elenco di malfattori destinati agli orrendi domini del Mondodigiù. Per Infernia fu più facile chiudere un occhio sul protocollo per la prima occasione in milioni di anni grazie anche al notevole contributo di Peach, attivamente impegnata nella missione di redenzione del monarca della Terra Oscura.

Farfabì rivoluzionò l’approccio anche coi sudditi che la circondavano, parlandoci e ascoltando le loro storie: a volte liete, a volte tristi, altre addirittura orribili. Qualsiasi anima le chiedeva udienza, pia o dannata, Farfabì la accoglieva a cuore aperto e i loro racconti pizzicavano le corde della sua sensibilità.

In una manciata di anni una vera principessa sbocciò dalla crisalide di bimba: gentile, umile e benvoluta in egual misura da nimbi e d-moni, avendo abbandonato le cattive abitudini e affinato le virtù, tra queste l’interesse per l‘arte e la musica. Le sembianze di Farfabì erano una proiezione della sua maturità interiore e, se prima la nimbi si era presentata come un’adolescente che secoli di trattamento soffocante e premuroso da parte dei genitori avevano represso allo stadio infantile, ora aveva le fattezze di una giovane donna.

Pur essendo fortemente attratta dal mondo terreno, Farfabì doveva attenersi alle regole primordiali tra mortali e spiriti e limitarsi al ruolo di semplice osservatrice dall’interno dei confini dei regni dell’oltretomba. Un giorno però, preda di una nostalgia stuzzicata dai ricordi, la perpetua approfittò di un momento di distrazione dei sovrani divini, costantemente indaffarati a ricevere nuove anime: varcò in punta di piedi i cancelli eterei e fece ritorno al castello di un certo drago per rendere omaggio a due vecchie conoscenze.

Quando le sentinelle informarono Ludwig che una donna misteriosa era inspiegabilmente riuscita a superare la sorveglianza senza esser intercettata per bussare indisturbata alle porte della fortezza, un fulmine a ciel sereno spezzò la monotonia ripetitiva del principe. Si allontanò dalle scartoffie per andare a verificare di persona e, effettivamente, a ricambiare il suo sguardo con pari perplessità c’era proprio una damigella all’entrata della lugubre dimora. Portava un vestito candido fino alle caviglie e i capelli chiarissimi morbidamente annodati sulla nuca. La pelle rosea sembrava splendere sotto i raggi del sole di quella giornata insolitamente luminosa nella Terra Oscura.

Sulle prime la nimbi, colta alla sprovvista dal volto estraneo, temette che il castello fosse passato di proprietà, perché il drago che le aveva risposto non era Bowser, né gli somigliava molto: era di stazza meno robusta, con una vistosa chioma blu, le basette e gli incisivi superiori che sporgevano leggermente insieme ai canini acuminati. Gli si presentò con timidezza come un’amica dei sovrani, conosciuti durante l’impresa della raccolta dei Cuori Puri per contrastare la profezia nefasta della fine del mondo, e domandò molto educatamente se fossero in casa.

« Posso sapere chi li sta cercando? ». La voce cavernosa e animale del koopa vibrò come un motore al minimo, esprimendo una calma che l’imprevedibilità dell’incontro non aveva intaccato, almeno in apparenza. Ludwig rammentava quanto i genitori avevano riferito a lui e ai fratelli di tale faccenda: il padre aveva l’abitudine di porre l’attenzione sui nemici contro cui aveva combattuto, mentre la madre sulle amicizie strette e in nessuno dei due elenchi era presente una descrizione che coincidesse col profilo della forestiera.

Farfabì tentennò. Non era certa che la sua esistenza fosse ancora un mistero per i mortali, ma la perpetua scelse di non correre il rischio e mantenere discrezione. Giammai dovesse circolar voce che un nimbi aveva calpestato il mondo terreno: i genitori non glielo avrebbero perdonato, sua madre nella maniera più assoluta. « Temo di non poterlo rivelare ». Chinò il capo con umiltà, giungendo le mani. « Non intendo recarvi offesa. Ho le mie ragioni, vi prego di credermi ». A dispetto dell’assurdità della situazione, l’interlocutore non si alterò.

« Posso sapere allora dove vi siete incontrati? » domandò questi, continuando a osservarla guardingo dietro le profonde iridi scure, come se tentasse di leggerle sotto la pelle

La fanciulla scosse la testa. « Non posso precisarlo, mi dispiace ».

Sebbene esteriormente il principe non lasciasse trapelare nulla, dentro di sé si stava arrovellando sull’identità della nuova arrivata, escludendo uno a uno i suoi sospetti. Non gli sembrava una minaccia: se ella desiderava entrare nel castello, avrebbe potuto farlo con la stessa facilità con cui aveva superato le decine di sentinelle e invece si era annunciata all’ingresso. Se aveva aiutato in qualche modo i genitori nella missione dei Cuori Puri, dove potevano essersi conosciuti? Dopo un ultimo sforzo di memoria, un nome affiorò alla mente del principe, quasi sbiadito in fondo alla lunga lista di personaggi. Altruista e valorosa, l’aveva descritta Mama Peach. Una vera peste, l’aveva inquadrata suo padre.

« Non intendo rubare loro troppo tempo, vorrei soltanto salutarli ». Provò a insistere in tono quasi di supplica l’insolita ospite. Il drago le parve tutt’altro che bendisposto, restandosene piantato e indifferente dall’altra parte del pesante portone ricoperto di borchie aguzze che ricordavano il carapace del proprietario.

« I sovrani Toadstool Koopa non sono qui » rivelò pacato Ludwig, leggendo la delusione sul viso della giovane. « Sono impegnati nel Regno di Sarasaland per tutta la settimana, a fini diplomatici ».

Farfabì si sentì così sciocca da non aver considerato prima di partire la possibilità che i suoi amici avrebbero avuto da fare altrove, avendo così nutrito aspettative dolorosamente disattese. « Porgo le mie scuse per avervi importunato » fece infine, mascherando con scarso successo la tristezza dietro un sorriso tremulo che non ingannò nessuno. « Riprenderò la mia strada, ora ». La voce le si incrinò e si passò lesta una mano sugli occhi per asciugare disperatamente le prime lacrime che d’impulso erano sgorgate, sentendosi ancor più sciocca per tale perdita di contegno. Avrebbe voluto così tanto riabbracciarli, persino il tartarugone bisbetico che proprio lui le aveva dato la spinta ad elevarsi (sebbene Farfabì non lo avrebbe mai ammesso apertamente).

Il principe non aveva dubbi ormai su chi lei fosse. « Perché non entrate? ».

Gli occhioni castani batterono con sorpresa, soffermandosi sul volto del koopa ignoto.

« Mai si rifiuterà ospitalità a chi ha aiutato la famiglia reale e, se mio padre e mia madre fossero presenti, di certo vorrebbero che siate trattata col massimo riguardo ». Ludwig si presentò, compiacendosi in segreto alla tenera vista del sorriso sollevato a cacciar via l’espressione incupita, e ricevette conferma che Bowser le aveva parlato di lui e dei fratelli. Considerate le origini di Farfabì, il primogenito Toadstool Koopa non si meravigliò che sino a quel preciso momento la giovane non aveva avuto idea con chi stesse parlando.

Al fine di ridurre l’interessante dislivello in altezza, il drago roteò lo scettro tra gli artigli e assunse sembianze umane con l’outfit che solitamente prediligeva: pantaloni neri e camicia con maniche arrotolate sui gomiti. Con un cenno elegante della mano, la invitò nella fortezza. La perpetua arrossì sbalordita, avvertendo un volo di farfalle agitarsi nello stomaco di fronte allo charme del principe, al fisico piacente, alle maniere squisite. Lusingata e impreparata dinnanzi a cotanta galanteria, cercò di recuperare l’autocontrollo, drizzò le spalle e si sforzò di corrispondere lo sguardo serissimo del principe senza sciogliersi. La fanciulla accettò con un inchino cortese e Ludwig ebbe un fremito quando gli camminò accanto quasi sfiorandolo: emanava un profumo tenue e buonissimo di aria pura, erba fresca e di libri.

La accolse nella sua vita con naturalezza, come il primo raggio dell’alba che penetra discreto dalle imposte. Adorava ascoltarla e cercava continui spunti di dialogo per incoraggiarla a dischiudersi, un petalo alla volta, fino a che l’imbarazzo iniziale non si dissolse, sostituito da simpatia e calore. Gli esternò una sensibilità acutissima e delicata a ogni espressione di bellezza, di ordine e di ritmo e, come era prevedibile, essendo lei familiare anche con l’atroce Mondodigiù, le minacce della roccaforte la lasciarono impassibile. Il principe le aveva proposto un giro turistico per agevolare la conversazione e passeggiare su ponti sospesi sulla lava e la vista di twomp, categnacci, tartossi e altri brutti musi non la distrassero un istante dal dialogo.

Farfabì aveva così tanto da raccontare, non avendo affetti con cui confidarsi, pur rimanendo attenta a non toccare la sfera personale: libri che aveva letto, spettacoli che le sarebbe piaciuto guardare dal vivo, musiche che aveva ascoltato. « Mi rende felice cantare per i miei sudd… per i miei amici! » si corresse mordendosi la lingua. Capitava con crescente frequenza, quando discendeva nell’averno per portare sollievo a qualche anima tormentata, che frotte di dannati le si radunassero intorno pregandola almeno di una canzone, così da aiutarli a dimenticare per un po’ la loro miserevole condizione. Di tutti i maestri che l’avevano seguita, quelli di canto erano stati i più esigenti e bacchettoni, ma le lezioni estenuanti avevano dato ottimi frutti.

« Voi cantate? ». Ludwig era genuinamente interessato. Si arrestò lì dove erano giunti, al centro della gigantesca biblioteca, e la fissò negli occhi con un’intensità tale da farle tremare le ginocchia. « Se non sono troppo ardito, mi concedereste l’onore di un canto? ».

Sulle prime Farfabì fece la modesta, tuttavia acconsentì senza il bisogno di chiedere una seconda volta. La presenza avvenente del principe le causava uno stato di euforia tale da minarle la concentrazione e di conseguenza la qualità dell’esibizione, ma la giovane desiderava impressionarlo per ascoltare il dolce suono dei suoi complimenti. Quel pensiero le diede l’ispirazione sulla scelta del pezzo. Compì pochi passi indietro, trasse un lungo respiro di preparazione e poi intonò:

Il dolce suono mi colpì di sua voce!

Ah, quella voce m'è qui nel cor discesa

Edgardo, io ti son resa

Edgardo, ah, Edgardo mio!

Sì, ti son resa

Fuggita io son da' tuoi nemici

Ah, nemici

Un gelo mi serpeggia nel sen

Trema ogni fibra

Vacilla il piè

Presso la fonte meco t'assidi alquanto

Sì, presso tal fonte meco t'assidi

Si lasciò completamente trasportare dal sentimento del canto struggente e solo alla fine si rese conto di aver modulato gli ultimi versi con la sua vera voce di nimbi, utilizzata per comunicare nell’antica lingua del Mondodisù, l’enochiano. Si era tradita. « È arrivato per me il momento di andare ». Riassunse contegno, spaventata dalle ripercussioni di tale sconsideratezza. « Indicatemi l’uscita, per favore ».

Ludwig si riscosse dalla trance in cui la voce dell’ospite lo aveva indotto. Le ultime parole della famosa aria, distorte in un suono che corde vocali umane non avevano capacità di produrre, penetrante e sovrannaturale, gli scorrevano ancora dentro come se l'eco della voce di Farfabì si perpetuasse in vibrazioni lungo il sistema nervoso: il suono più melodioso e potente che il principe avesse mai udito prima. « Ho compreso chi foste ancor prima di farvi entrare » ammise sollevando una mano per invitarla a non cedere al panico. « Se temete che farò parola della vostra identità con qualcuno, sul mio nome prometto che rispetterò il vostro riserbo ».

« Devo comunque andare ». Farfabì notò da una finestra che i primi colori del tramonto stavano tingendo la cupola celeste: erano trascorse ore intere e lei non se n’era minimamente avveduta. Forse i genitori erano già in agguato ai cancelli eterei, furiosi e impazienti di imporle il castigo più lungo della storia. « Vi ringrazio per il tempo e per le gentili parole dedicatimi. E vi ringrazio per la vostra promessa ». Eseguì un piccolo inchino, trattenendo delicatamente la gonna candida con la punta delle dita. « Non lo dimenticherò ».

« Chiedo il permesso di poter approfondire la vostra conoscenza ». Ludwig espresse risoluto il desiderio che serbava ormai dall’intero pomeriggio. Gli occhi scuri brillarono con speranza e decisione.

La fanciulla ebbe un tuffo al cuore e, dopo attimi di muto sbigottimento, gli ricordò da dove lei provenisse.

« Non importa ». La determinazione del principe non si ridusse di un nanometro: se lui non poteva raggiungerla fisicamente, la musica avrebbe funto da ponte tra loro due, nell’attesa del ritorno di lei nella dimensione dei vivi.

Farfabì, allo stesso modo di tutti i nimbi, aveva la capacità di ascoltare le preghiere dei mortali, pertanto Ludwig avrebbe inviato i suoi componimenti fino agli estremi del Regno dei Cieli e degli Inferi. Sarebbe valsa la pena aspettarla settimane, mesi, o addirittura anni. Nel frattempo i tasti del pianoforte si sarebbero tramutati nelle corde del pensiero del principe e avrebbero dato voce all’affetto, alla nostalgia e alla passione.

La fanciulla non si lasciò certo abbindolare dall’ardire del rampollo Toadstool Koopa che magari credeva di poterla conquistare soltanto con le belle parole, seppur una parte di lei, la più fragile e romantica, che sin da bambina covava ostinata il sogno di incontrare un giorno il suo cavaliere, accolse la sfida.

Non passò molto tempo nel nebuloso Mondodisù che le prime note le solleticarono soffici le orecchie, come un sussurro, e l’esistenza della principessa cambiò irreversibilmente.

Se non scaturiva diretta dal cuore, una preghiera non giungeva all’udito celestiale dei nimbi. Ludwig riversava l’anima ammalata d’amore in ogni armonia rivolta alla sua musa. Più il tempo a separarli si dilatava e più intensi i messaggi del principe divenivano: la inebriavano di una letizia incontenibile che la faceva danzare come una ballerina, le infiammavano i sensi, la commuovevano sino a che le lacrime non le rigavano le guance, la chiamavano, la supplicavano.

Si vedevano di nascosto, senza regolarità e senza cedere all’impazienza, quando la perpetua poteva sgattaiolare via nell’assoluta certezza di non destare attenzioni pericolose. Lui la attendeva devoto e le dedicava spartiti su spartiti, abbandonandosi alla gioia più completa quando gli era finalmente concessa l’opportunità di stringerla a sé e di affondare il viso nei capelli candidi.

I genitori della nimbi non avrebbero mai approvato la relazione, poiché trasgrediva l’ordine naturale tra i loro mondi, perciò Farfabì fu costretta a mantenere il segreto e Ludwig fece altrettanto con la sua famiglia, nel timore che si sarebbe opposta in previsione delle ritorsioni da parte dei guardiani divini. Tuttavia, un’avventura così rischiosa non poteva continuare indisturbata tanto a lungo e, infine, i custodi del regno celeste e degli Inferi presero atto di cosa stava accadendo proprio sotto il loro naso.

Tentarono di porre termine alle evasioni della figlia, ma questa si ribellò con tutte le forze. Rassegnatisi che nulla avrebbe persuaso la loro bambina adorata a privarsi del suo principe, in barba alle regole universali, i sovrani perpetui convocarono al loro cospetto sia lo spasimante che i coniugi Toadstool Koopa per definire una soluzione.

La Regina Infernia propose quella più logica: « Ludwig dovrà rinunciare alla vita e raggiungere Farfabì nella dimensione dei defunti ».

La Regina Peach propose quella più umana: « Farfabì rimarrà nel mondo terreno fintanto che lo desidera e la famiglia Toadstool Koopa avrà cura di lei. Il segreto della sua identità non trapelerà al di fuori dei presenti. Inoltre Farfabì può adattare l’aspetto esteriore all’età che col tempo ci si aspetta che lei dimostri, così non nasceranno sospetti sulla sua vera natura ».

Granbì, compassionevole, acconsentì dinnanzi alle implorazioni della figlia, mentre la consorte non si contentò di una banale promessa ed esigette un giuramento dal diretto interessato: non appena si fosse venuto a sapere dell’identità di Farfabì, che un nimbi aveva lasciato la dimensione spirituale per camminare di nuovo tra i mortali, Infernia avrebbe trascinato il baldo Ludwig nelle sue lande di ombre e tormenti.

Bowser e Peach offrirono prontamente le loro anime in palio, terrorizzati di fronte al rischio di un simile destino per il figlio, ma quest’ultimo, il quale mai avrebbe permesso ai propri cari di pagare il prezzo delle scelte da lui compiute, aveva capito che, dietro tale minaccia, la temibile regina stava di fatto mettendo alla prova la sua volontà, pertanto accettò senza batter ciglio. Anche se fosse finito nell’avernale Mondodigiù, avrebbe sempre avuto Farfabì accanto.

A quelle parole anche l’irremovibile Infernia cedette e la giovane innamorata poté far ritorno felice dall’Aldilà in braccio al suo diletto.

Farfabì era rimasta profondamente colpita dai genitori di Ludwig, specie dalla madre adottiva, che non ci avevano pensato due volte a porre a repentaglio la loro salvezza eterna per proteggerlo e fu inghiottita dai sensi di colpa. Addolorata, chiese loro perdono per aver cagionato tanta pena e per non avere nulla da offrire in cambio della generosità riservatale. All’improvviso la sua risolutezza venne meno: si era appena infilata di prepotenza in un nucleo familiare la cui serenità era stata compromessa per il suo egoismo, costringendoli a convivere costantemente con la paura per l’incolumità di un figlio. Come se ciò non fosse abbastanza, Farfabì lo avrebbe derubato della possibilità di una discendenza, giacché i nimbi non possedevano l’onore di poter generare la vita.

Provò disprezzo per sé stessa. Avrebbe fatto meglio a rientrare nei domini dell’oltretomba, così da restituire a Ludwig la libertà di dimenticarla e di condurre un’esistenza senza il peso di un simile macigno. Cercò di liberarsi dall’abbraccio affettuoso del principe che, dopo aver ascoltato le ragioni per cui il viso del suo prezioso angelo si era improvvisamente rabbuiato, le depose un bacio tenero sulla fronte, lungo e confortante. Per Ludwig era lei la famiglia che questi desiderava e, dopo aver badato a ben sette fratelli più piccoli, non nutriva interesse a crescere anche dei figli.

La Regina Peach le garantì che fosse la benvenuta nella grande famiglia Toadstool Koopa che proprio Farfabì, grazie al suo sacrificio per il quale le erano eternamente debitori, aveva contribuito a preservare.

Per Re Bowser il figlio era grande abbastanza da scegliersi la sposa che il cuore gli comandava e, essendo i Koopa per indole amanti del rischio, il sovrano non era affatto stupito che Ludwig fosse andato a stuzzicare i suoceri più pericolosi su piazza.

Il patto suggellato quel giorno segnò una rinascita per l’immortale Farfabì, che stabilì di lasciarsi alle spalle il passato di nimbi e di ripartire da zero in forma umana, godendosi appieno la vita che le era stata negata in principio. Chiese a Ludwig di darle un nuovo nome che, da allora, le sarebbe appartenuto per sempre.

 

Nota d’autrice:

Non è la prima volta che decido di buttar giù qualche riga su Ludwig e le righe diventano paragrafi e i paragrafi diventano pagine. L’intenzione originaria era di fornire un veloce chiarimento sull’identità di Alba per poi passare ad altro ma, vista la lunghezza di questo excursus, ho preferito ritagliarlo in un capitolo a sé, così nel prossimo ci sarà più spazio per altri argomenti.

Grazie per aver letto fin qui :]

 

Lucia di Lammermoor [Atto III: Scena della Pazzia, "Il dolce suono”] di Gaetano Donizetti

Farfabì [Super Paper Mario] © Nintendo

Alba © koopafreak

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