Immortal Love

di Gloria Gerald
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tornare a vivere ***
Capitolo 2: *** Dolore ***
Capitolo 3: *** Emozioni ***
Capitolo 4: *** Il trionfo dell'amore ***
Capitolo 5: *** Matrimonio in vista ***
Capitolo 6: *** Il giorno più bello ***
Capitolo 7: *** Una difficile separazione ***
Capitolo 8: *** Il tormento dell'anima ***
Capitolo 9: *** L'attesa infinita ***
Capitolo 10: *** Tempesta d'amore ***
Capitolo 11: *** Una decisione importante ***
Capitolo 12: *** Un fulmine a ciel sereno ***
Capitolo 13: *** La gelosia di Abel ***
Capitolo 14: *** La quiete dopo la tempesta ***
Capitolo 15: *** Addio Inghilterra ***
Capitolo 16: *** Il lungo viaggio ***
Capitolo 17: *** Finalmente a casa ***
Capitolo 18: *** L'inferno nell' anima ***
Capitolo 19: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 20: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 21: *** Incomprensioni ***



Capitolo 1
*** Tornare a vivere ***


Ciao a tutti! Sono una fan sfegatata della coppia Abel-Georgie e aver trovato questo sito con tutte queste splendide fanfic su di loro mi ha resa entusiasta. Ispirata un po' dalle storie che ho letto qui e un po' dalla mia fantasia, ho provato a scrivere qualcosa anche io. E' un modo il mio per omaggiare una coppia che secondo me meritava molto di più di quello che ha avuto (anche se indubbiamente loro rappresentano l'amore epico, quello con la A maiuscola). Ma non riesco ancora a farmi una ragione che Abel sia morto. Per me Georgie non può essere assolutamente di nessun altro se non di Abel. Quindi ho voluto dar loro una chance in più.
Spero che vi possa piacere. Siate clementi!!!! 




Capitolo 1 - Tornare a vivere


Il cielo sopra Londra era scuro e minaccioso in quel tardo pomeriggio. Dai vetri filtrava poca luce e la stanza stava via via diventando sempre più buia.
- E’ meglio accendere qualche candela – pensò Georgie. Si alzò dalla sedia su cui aveva passato gli ultimi due giorni e si avviò versò il comò per prendere una scatola di fiammiferi.
Appena le candele furono accese la stanza si illuminò di una luce calda e fioca.
Georgie si guardò allo specchio davanti a lei e vide il suo viso pallido, segnato da profonde occhiaie, ma non ci fece nemmeno caso, troppe erano le preoccupazioni e le paure che la tormentavano per pensare al suo aspetto.
Tornò a voltarsi verso il grande letto posto al centro della stanza e i suoi occhi si velarono dalle lacrime. Abel giaceva privo di sensi, il respiro regolare, con il torace avvolto in un’ampia fasciatura. E tornò a pensare a quanto era accaduto due giorni prima.
Sarebbe mai riuscita a dimenticare? Sarebbe mai riuscita a togliersi dalla mente l’immagine di Abel che si accasciava al suolo sotto quei maledetti colpi di pistola? Aveva davvero pensato di averlo perso. Si sentì lacerare l'anima, come avrebbe fatto senza di lui? Non poteva lasciarla lì da sola.
Vederlo esanime, con la camicia macchiata di sangue, gli occhi chiusi, i capelli scomposti che ricadevano sul volto pallido, l'aveva distrutta. Il suo Abel, il suo unico amore...
Gli corse incontro disperata. Urlò tutto il dolore che aveva dentro e lo abbracciò stretto, incurante del sangue che le macchiava il vestito, incurante degli occhi dei curiosi puntati su di lei.
Con Abel aveva perso tutto, compresa la voglia di vivere e di andare avanti.
Quando arrivò il medico che doveva accertarne la morte, Georgie non voleva nemmeno permettergli di toccarlo. Suo padre e Dick dovettero portarla via di peso, mentre lei continuava a piangere disperata e ad urlare il nome di Abel.
Persa in quel terribile ricordo Georgie rabbrividì. Fu veramente il momento più brutto della sua vita. E proprio quando pensava che ormai non ci fosse più nulla da fare, la voce stupita del medico la ridestò da quel dolore lancinante - Respira ancora, c'è battito!
E tutto cambiò in un battito di ciglia. Lei rimase paralizzata per l'incredulità. Temeva di aver capito male. Il medico si affrettò ad urlare - Presto bisogna portarlo in ospedale, forse abbiamo una possibilità.
Georgie si aggrappò a quell'esile filo con tutta se stessa e pregò perchè lui potesse farcela.
Abel venne operato poco dopo. In quel grigio corridoio di ospedale suo padre le era vicino e la sosteneva con il suo abbraccio, mentre Emma, Dick, Catherine e i suoi genitori e anche la piccola Joy rimasero lì tutto il tempo per farle compagnia e per avere notizie di Abel.
Fu un miracolo, come disse il medico. Abel riuscì a superare quel delicato intervento ed ora era lì con lei. Immobile da due giorni in quel letto a casa di suo padre, mentre lei non aveva smesso nemmeno un istante di stargli accanto, parlandogli, tenendogli la mano, pulendogli le ferite, prendendosi cura di lui in tutto e per tutto.
Sia suo padre che Emma erano molto preoccupati per lei, perchè aveva passato le ultime 48 ore senza chiudere occhio e senza mangiare. Ma come avrebbe potuto?
Non voleva lasciarlo nemmeno per un istante, non aveva altro pensiero che per lui. La fame e la stanchezza avrebbero potuto aspettare. Quello che davvero contava ora era riavere Abel con lei. Avrebbe dato qualunque cosa per rivedere i suoi occhi, il suo sorriso, risentire la sua voce.
Non poteva abbandonarlo, doveva rimanere lì con lui finchè non si sarebbe svegliato.
Sorrise sommessamente mentre si trovava a guardarlo persa nei suoi pensieri. Era incredibile. Abel era stato in prigione, rinchiuso in quell'orribile cella, sottoposto sicuramente a torture, era stato ferito gravemente, aveva subito un delicato intervento e ora giaceva privo di sensi in quel letto, eppure era bellissimo.
Non riusciva a staccare neppure per un attimo gli occhi da lui. Era completamente rapita da lui.
Ma come aveva fatto a non accorgersene prima? Come aveva potuto non rendersi conto di quello che Abel rappresentava per lei?
Ora era certa solo di una cosa. Lo amava. Lo amava disperatamente, con tutto il cuore.
E aveva capito che tutto quell'amore non poteva essere nato in lei solo in tempi recenti. Forse lo amava da sempre, semplicemente non lo sapeva.
Forse crederlo suo fratello l'aveva indotta a pensare che quell'amore fosse fraterno e non si era accorta che invece era qualcosa di diverso.
I sentimenti erano affiorati prepotentemente solo quando aveva creduto di perderlo per sempre, solo nel momento in cui lui non era più al suo fianco, pronto a proteggerla, a consolarla, ad amarla, come aveva fatto per una vita intera. Quel vuoto accanto a lei era diventato insopportabile, la paura di non poterlo più rivedere le aveva dato una scossa e solo in quel momento raggiunse la lucidità che le permise di dare un nome a quel sentimento che le stava lacerando il cuore.
Amore. Amore non fraterno, non platonico, ma amore passionale, disperato, bisognoso, prepotente, reale.... lo stesso tipo di amore che Abel provava per lei da sempre.
Il rumore della pioggia che batteva contro i vetri la destò da quei pensieri. Guardò fuori e vide il cielo sempre più scuro, i rami degli alberi si agitavano scomposti al vento che stava crescendo sempre più e aveva iniziato a piovere a dirotto. - Sta arrivando il temporale - mormorò avvicinandosi alla finestra.
- E' così che mi sento dentro - pensò - agitata come questi rami spazzati dal vento.
Era strana la contrapposizione che si venne a creare. Fuori la tempesta e dentro a quella stanza la calma più assoluta: la luce fioca delle candele e il respiro regolare di Abel che dormiva. Stare lì dentro al sicuro la faceva sentire meglio. Stargli accanto, anche se non poteva comunicare con lui, la faceva sentire a casa.
Tornò a sedersi sulla sedia posta accanto al letto e gli accarezzò il viso rilassato, togliendogli dolcemente i capelli che ricadevano sugli occhi chiusi.
Poi si spostò dalla sedia al letto, per potergli stare ancora più vicina e sorrise dolcemente - Ti prego apri gli occhi, torna da me amore mio.
Sperava che lui la sentisse e che rispondesse a quel richiamo, ma non successe nulla, Abel continuò a dormire.
Sapeva che ci voleva qualche giorno. Il dottore era stato chiaro nel dire che Abel era sopravvissuto per miracolo e che necessitava di molto riposo e di tempo per riprendere i sensi.
Sospirò pesantemente, arresa a quell'attesa. Sapeva che doveva già ritenersi fortunata perchè lui era vivo. Ora doveva solo pazientare per riaverlo con lei totalmente.
Era solo che a volte le sembrava che il tempo non passasse mai. Erano trascorsi solo due giorni, ma a lei sembrava molto di più e la cosa peggiore era non sapere quanto ci sarebbe voluto ancora.
Non voleva altro che vedergli aprire gli occhi. Era come attendere un perdono divino, ma a volte le sembrava che quel perdono non sarebbe mai arrivato.
Scosse la testa, non doveva pensare certe cose. Doveva essere forte e paziente. Lamentarsi e commiserarsi non sarebbe servito a niente. Doveva reagire, prendersi cura di lui e aspettarlo, finchè non sarebbe stato pronto a risvegliarsi, a tornare da lei.
Si alzò e si avvicinò al comodino. Bagnò una garza con dell'acqua e la passò sulle labbra di Abel per farlo bere.
Quelle labbra.... come poteva non ripensare a come l'avevano baciata? Come poteva dimenticare le dolci parole che le avevano detto?
Lo shock del primo bacio tra loro, a casa dello zio Kevin, quando lei non solo aveva dovuto superare la rivelazione di essere stata adottata, ma aveva scoperto che Abel la amava. Era stato molto dolce con lei, ma quel bacio l'aveva confusa. Non sapeva che fare. Il ragazzo che credeva suo fratello le stava dichiarando un amore che lei non era pronta ad accettare. Era troppo presto e l'unica soluzione che le parve possibile fu scappare, lontano da tutto, lontano da lui.
Sorrise tra sè. Ripensando a quel giorno capì che quella confusione era stata generata da ciò che Abel le ispirava: amore, passione. Ma non poteva ancora rendersene conto. Non aveva ancora compreso a fondo quelle emozioni che solo lui sapeva suscitare in lei.
Ma fu conscia di quell'amore quando Abel venne incarcerato. Quanta disperazione, quanta nostalgia aveva provato. Se non fosse stato per l'aiuto di Maria, si sarebbe dannata giorno e notte per non avergli potuto dire almeno una volta di amarlo.
Torno a sedersi sulla sedia, si appoggiò allo schienale, chiuse gli occhi e tornò col pensiero a quel giorno in cui era entrata in quella cella.
Aveva ancora chiara nella mente l'immagine di lui incatenato a quel muro, tra il buio e l'umidità di quell'orrenda prigione.
Sentiva il bisogno di stringerlo a sè, non solo per essere rincuorata da lui, ma per aiutarlo, per fargli sentire il suo calore, per dirgli che non era solo.
Come si può ridurre un uomo a quello stato di miseria e solitudine? Il suo Abel, il suo adorato Abel, solo in quella stanza, abbandonato alle sue paure, senza un gesto di affetto, senza una presenza che lo rassicurasse.
Che bell'effetto le aveva fatto poterlo toccare ancora, potergli parlare, poter sentire la sua voce.
Non avrebbe mai più dimenticato quel giorno e le emozioni che visse là dentro. Non importava che si trattasse di un luogo squallido, non le importava di niente.
Quello che contava era avergli aperto il suo cuore, avergli detto quanto lui fosse importante per lei, averlo baciato di nuovo.
NOn avrebbe potuto dimenticare mai la sensazione di sentirsi stretta a lui in quell'abbraccio.
NOn avrebbe potuto dimenticare di aver fatto l'amore con lui. La sua prima volta. NOn era nè spaventata, nè preoccupata. Era con Abel e sapeva che non sarebbe potuto succederle nulla di male.
Si era abbandonata completamente a lui, facendosi amare ed amandolo a sua volta. Avvolta da quel meraviglioso calore che la pelle di Abel le trasmetteva.
Si era finalmente resa conto del significato più profondo delle parole di Emma. Comprese appieno che cosa vuol dire amare e visse quell'unione come l'esperienza più sensazionale della sua vita. Essere una cosa sola con lui l'aveva fatta sentire completa, felice. L'intimità che avevano condiviso li aveva segnati per sempre. Si appartenevano e nessuno avrebbe mai potuto spezzare quel legame.
Aveva capito che quello che era successo tra di loro era scritto nel loro destino. Si conoscevano da una vita, si amavano da una vita e mai lei avrebbe potuto condividere un'esperienza simile con un altro uomo. Mai.
Ecco perchè con Lowell non aveva funzionato. Con lui non c'era quella confidenza, quella serenità. Non c'erano quelle emozioni forti, devastanti, celestiali che solo Abel poteva farle provare. Era felice di non essere riuscita a concedersi a Lowell. Non avrebbe mai potuto, non sarebbe mai stato lo stesso. Lei era di Abel e solo di Abel.
Riaprì gli occhi e vide che non era cambiato nulla. Lui continuava a dormire. Se non altro le sembrava rilassato e sereno.
Dentro di lei maturò la convinzione che lui avvertisse la sua presenza.
Si inginocchiò accanto al letto, prese la sua mano inerme tra le sue. La baciò con dolcezza e gli disse - Sono qui Abel e ci rimarrò per sempre. NOn ti lascerò mai più.
Il temporale fuori aveva preso a farsi più intenso.
Georgie rimase lì, in ginocchio accanto al suo Abel. Si sentiva più rilassata ora. Forse pensare a ciò che di bello avevano insieme le dava sicurezza ed ottimismo.
Da quel giorno in cui avevano fatto l'amore nella cella, Georgie costudiva un dolce segreto. Quando lui venne colpito dagli spari e si accasciò al suolo, lei gli corse incontro, lo abbracciò e gli disse di aspettare un bambino. Le parve chiaramente di vederlo sorridere prima di perdere i sensi, ma chissà se aveva capito davvero.
- Vedi Abel, hai un'altra buona ragione per svegliarti. Non ci sono solo io ad aspettarti, ma anche il nostro bambino.
Sentì gli occhi pizzicarle. Ogni volta che pensava alla creatura che portava in grembo si emozionava. Non sapeva se quel giorno Abel avesse sentito quando lei gli parlò del bambino, ma di sicuro ora glielo avrebbe ridetto. Sperava tanto di renderlo felice con questa notizia. Non vedeva l'ora di potergli parlare di nuovo.
Presa da queste considerazioni, Georgie non si accorse che stava chiudendo gli occhi. Si arrese al sonno. Era esausta.
Rimase addormentata lì. Inginocchiata accanto al letto di Abel, con la mano di lui stretta tra le sue e la guancia appoggiata a quell'intreccio di mani che le fecero da cuscino.
Mentre fuori la tempesta imperversava, dentro la stanza regnava la quiete che accompagnava il sonno dei due ragazzi.


Il temporale della notte aveva lasciato spazio ad un cielo azzurro e limpido e il sole era tornato a riscaldare la vecchia Londra.
I raggi luminosi attraversarono i vetri della stanza di casa Gerald, riportando la luce.
Georgie dormiva ancora in quella scomoda posizione, ma aveva talmente bisogno di riposarsi che poco importava. Era ancora tra le braccia di Morfeo, abbandonata al sonno più profondo quando qualcosa la riportò alla realtà e si svegliò.
Sentì una mano che le stava accarezzando dolcemente la guancia e i capelli e pigramente aprì gli occhi. La luce calda che illuminava la stanza dapprima le diede fastidio, ma subito dopo si abituò.
Non aveva ancora alzato la testa, stava pian piano riprendendo lucidità quando sbarrò gli occhi per lo stupore e per aver realizzato una cosa molto importante.
Una mano la stava accarezzando..... ma allora.....
Di scatto tirò su la testa e guardò verso la figura di Abel che giaceva sul letto.
Georgie non seppe dire quello che provò in quell'istante, ma fu qualcosa di molto, molto forte. Come la scarica elettrica di un fulmine.
Rimase così per qualche istante, immobile, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta.... avrebbe voluto parlare ma la voce le si spezzò in gola.
Abel aveva la testa abbandonata sul cuscino, rivolta verso di lei. La stava guardando. Con quei meravigliosi occhi blu come il mare in tempesta. Occhi che erano particolarmente brillanti in quel momento. Le sue labbra erano appena incurvate in un dolce sorriso.
Si era svegliato! Finalmente!
- Georgie - sussurrò. - Georgie sei proprio tu? Dimmi che non sto sognando, ti prego.
AVrebbe voluto alzarsi da quel letto per abbracciarla e tenerla stretta a sè, ma non riusciva a muoversi. Avvertiva un forte bruciore nel petto e si sentiva debole.
Improvvisamente Abel si ricordò quello che era successo e il suo volto si oscurò per un attimo.
Georgie sentì le lacrime rigarle le guance e la vista le si appannò. Rispose con la voce rotta dall'emozione - No Abel, non è un sogno! Sei vivo, sei qui con me e non mi lascerai mai più!
Come avrebbe voluto abbracciarlo, ma sapeva che le ferite erano ancora aperte e non voleva recargli dolore. 
Si alzò dal pavimento e si sedette accanto a lui sul letto.
- Tu non hai idea di quanto mi hai fatto preoccupare - disse tra le lacrime che incominciarono copiose a scenderle dagli occhi. - Ho temuto di perderti Abel. Ho temuto che non ti avrei più potuto riabbracciare!!!
Si abbandonò ai singhiozzi. Sentiva il bisogno di quel pianto liberatorio.
Abel provò una fitta al cuore. Non sopportava di vederla così. - Non piangere Georgie, sono qui. - e allungò un braccio per afferarle la mano.
- Basta lacrime, voglio vedere un tuo sorriso. Per mei sei sempre meravigliosa, ma quando ridi sei ancora più bella. QUindi fai un favore ad un moribondo e smettila di piangere! - Disse lui strizzandole l'occhio.
Era incredibile il suo Abel. Era appena scampato alla morte, ma pensava solo a lei, non voleva vederla piangere e cercava di farla ridere.
Georgie si lasciò scappare una piccola risata tra le lacrime e abbozzò un sorriso.
- Ti amo - gli disse asciugandosi gli occhi - Ti amo da morire.
Poi scese sul suo viso, gli scostò i capelli dagli occhi e lo baciò dolcemente sulle labbra. Abel rispose a quel bacio con tutto se stesso.
Un turbinio di emozioni attraversò entrambi. Amore, dolcezza, passione.... lasciarono andare una volta per tutta la frustrazione, il dolore e la paura.
Ora erano isieme, bisognosi uno dell'altra e la consapevolezza del sentimento che li univa li aveva riportati alla felicità. Era come tornare a vivere una seconda volta!
Si staccarono per un attimo e si guardarono intensamente negli occhi.
Dio com'era bella, pensò Abel mentre il cuore prendeva a martellargli forte nel petto. Eccome se era vivo! Solo lei sapeva fargli provare quelle intense emozioni.
E capì in quell'istante che se non era morto era solo perchè non avrebbe potuto staccarsi da lei. Era come già le aveva detto, sarebbe sempre tornato da lei.
- Ti amo anche io Georgie. Ti amo disperatamente!
Si baciarono ancora e poi sorrisero felici, mentre restarono fermi lì, con le fronti unite, respirando i loro stessi respiri.
Quel mattino entrambi tornarono alla vita, decisi a non separarsi mai più e consapevoli come non mai della forza del loro amore, un amore unico che poteva combattere tutte le avversità, anche la morte.

TBC
    


 

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Capitolo 2
*** Dolore ***


Capitolo 2 –  Dolore
 
 
Erano passate due settimane dal risveglio di Abel. Le ferite si stavano rimarginando e pian piano lui sentiva che stava recuperando le forze. Il suo corpo stava sicuramente meglio, ma era il suo animo ad avere le ferite peggiori.
Stava sdraiato in quel letto, solo, guardando il soffitto con lo sguardo vuoto, gli occhi persi nei suoi pensieri tristi.
Aveva appreso che Georgie gli aveva mentito quel giorno nella cella. Arthur non era a casa che lo aspettava, non stava meglio. Arthur era morto cadendo nel Tamigi lo stesso giorno della sua liberazione.
Il dolore che stava provando gli stava spezzando il cuore. Si sentiva così in colpa. Pensava che se non fosse mai partito per Londra, Arthur sarebbe rimasto in Australia ed ora sarebbe vivo.
Si sentiva egoista, irresponsabile. Non aveva mai preso davvero in considerazione i sentimenti di Arthur. Aveva solo e sempre pensato a se stesso. Si era concentrato su Georgie e non si era mai posto il problema di quello che Arthur provasse.
Arthur, il suo amato fratello, sangue del suo sangue, non c’era più. Aveva perso la vita in modo assurdo.
Aveva raggiunto lui e Georgie in Inghilterra con la speranza di rimettere insieme la sua amata famiglia, e invece era caduto in una trappola crudele, vittima di un pazzo che lo aveva fatto soffrire ed impazzire.
Ripensando a quei momenti dolorosi, Abel iniziò a piangere silenziosamente.
Voltò la testa di lato, come per nascondere quelle lacrime. Non voleva dimostrare il suo dolore, la sua debolezza. Anche in quel momento in cui non c’era nessuno in quella stanza, nemmeno Georgie, cercava di soffocare la sua angoscia.
Georgie, la sua Georgie. Gli aveva mentito, ma lui non ce l’aveva con lei. Aveva capito perfettamente le sue ragioni e non volle farla sentire in colpa. Ma sapeva che lei era triste perché lo vedeva infelice. Lui stava facendo di tutto per non far trapelare il dolore che lo attanagliava, ma lei lo sentiva. Riusciva a sentirlo comunque. Poco serviva negare con lei. Lei sapeva. Lei lo capiva. Del resto anche lei amava Arthur e anche lei soffriva per quella perdita.
Non voleva farla preoccupare, ma non riusciva ancora a dimostrarsi sereno con lei. Non riusciva a sorriderle, a parlarle come se nulla fosse. Quindi decise di evitarla, anche se dentro di sé sapeva come ciò fosse ingiusto.
Sentiva quel peso sul cuore, quel rimorso e non aveva voglia di niente. Voleva solo restare lì da solo, a piangere in silenzio la morte di suo fratello.
Almeno così aveva l’occasione di ricordarlo e di soffrire per lui. Non come aveva fatto con sua madre, che era morta senza averlo accanto. Nemmeno una degna sepoltura era riuscito a darle, perché lui non c’era, se n’era andato senza pensare a chi restava. Il suo solito egoismo, la sua insensibilità.
E chi si era fatto carico di tutto? Chi si era portato tutto il fardello da solo? Arthur, come sempre Arthur. Sempre gentile, disponibile, generoso. Si faceva carico dei doveri altrui senza mai farlo pesare. E così finiva per mettere da parte i suoi sentimenti e le sue necessità per far posto agli altri.
Viveva la sua vita in punta di piedi, ma c’era sempre per tutti, solido come una roccia, nei momenti di bisogno.
Si volevano bene, andavano d’accordo, ma si erano anche scontrati aspramente. Per lei. Per l’amore che entrambi provavano.
Lo aveva detestato quando aveva capito che anche lui era innamorato di Georgie. Era troppo geloso e possessivo per permettere a qualcun altro di avvicinarsi a lei. E mai avrebbe pensato che Arthur avrebbe potuto essere suo rivale.
Sì lo aveva detestato, perché Arthur non aveva mai dimostrato apertamente i suoi sentimenti per lei come faceva lui, perché come al solito si teneva tutto dentro. Ma Arthur soffriva anche se non lo diceva, era ovvio che anche lui soffrisse per quell’amore che doveva essere taciuto.
Quanta rabbia aveva provato! Lui amava suo fratello e mai avrebbe voluto essere geloso di lui.
Mai avrebbe voluto abbandonarlo. Era solo colpa sua se Arthur si era cacciato nei pasticci!
Maledizione! Chissà quanto aveva sofferto. Non avrebbe dovuto lasciarlo solo! Non avrebbe dovuto!  E ora Arthur non c’era più. Perché era successo, perché!
Si sedette sul letto e appoggiò la testa tra le mani. Pianse ancora. Pianse il suo dolore, senza fermarsi. Doveva sfogare la sua angoscia. Non ce la faceva più!
Come avrebbe fatto ad andare avanti ora sapendo che suo fratello era morto?
Aveva Georgie, certo, finalmente l’aveva ritrovata dopo tanta sofferenza. Finalmente sembrava che tutto potesse andare per il meglio, che potessero avere una vita insieme. E proprio quando credeva di aver trovato la felicità, un altro colpo al cuore.
Si sentiva tremendamente in colpa, anche essere felice gli sembrava sbagliato. Come avrebbe potuto continuare a vivere tranquillamente sapendo quello che Arthur aveva dovuto passare? Come poteva dimenticare e abbandonarsi all’amore?
Arthur aveva perso la vita, mentre lui era vivo. Aveva qualcuno che lo amava. Tutto questo, assurdamente, gli parve ingiusto. Era come se la morte di Arthur avesse condizionato la sua vita, le sue scelte.
Pensava di non meritarsi la felicità. Non dopo quello che era successo. L’unica cosa che poteva fare era piangere per suo fratello e soffrire. Questa volta non poteva essere egoista. Non poteva continuare come se nulla fosse. La morte di Arthur lo aveva segnato profondamente e l’unica cosa che riusciva a provare era un dolore atroce.
 
Georgie era nella sua stanza. Dalla finestra riusciva a vedere il vento che spazzava le foglie cadute nel cortile, ma i suoi pensieri erano altrove.
Non riusciva a smettere di pensare ad Abel e, ovviamente, anche al povero Arthur.
Sapeva cosa stava passando Abel. Lo aveva provato anche lei. Ed era molto preoccupata.
Abel non era il tipo di persona che ammetteva le sue debolezze, specialmente con lei. Voleva sempre apparire forte. Ma questa volta il dolore era troppo grande per poterlo reggere.
E ciò che la spaventava era il fatto che se Abel non avesse provato a parlarne con qualcuno, a sfogare quel terribile peso, presto si sarebbe perso in un vortice scuro, fatto di solitudine e depressione.
Sapeva benissimo quanto i due fratelli fossero legati e si volessero bene. Abel aveva rischiato la sua vita per salvarlo. E tutto questo era andato invano. Tutte le angherie che aveva dovuto subire non erano servite a nulla, perché Arthur era morto.
Era troppo anche per Abel. Non poteva farcela da solo. Aveva davvero paura di perderlo questa volta, anche perché lo conosceva abbastanza bene da sapere che in momenti così difficili Abel non la voleva accanto. Ma da solo non ne sarebbe uscito.
- Ma perché non si riesce mai ad essere felici? Ma perché per una volta le cose non vanno come devono andare? – singhiozzò Georgie fra le lacrime.
- Pensavo di aver toccato il fondo quando ho rischiato di perderlo per sempre il giorno dell’esecuzione. E speravo di aver trovato un po’ di quiete dopo il suo risveglio. E invece ora devo vederlo soffrire così. Dio perché sta succedendo proprio a noi? Quando ci meriteremo un po’ di felicità?
Georgie non riusciva a darsi pace, perché non voleva vedere Abel in quello stato. Si sentiva anche in colpa per avergli mentito quel giorno in prigione. Ma che avrebbe dovuto fare? Infliggergli anche quel dolore dopo tutto quello che già stava passando in carcere? Proprio non se l’era sentita.
E poi vedere Abel soffrire così aveva fatto riaffiorare anche la sua di tristezza. Erano successe tante cose dal giorno che Arthur cadde nel Tamigi che si rese conto che non aveva nemmeno avuto il tempo di piangerlo in maniera appropriata.
Si sentiva in colpa per quello che era successo. Possibile che non avesse potuto impedire quell’incidente? Eppure sapeva che Arthur non stava bene. Perché non aveva fatto qualcosa in più per proteggerlo?
Pianse disperatamente aggrappata alle tende. Soffriva per Abel e soffriva per Arthur. E si sentì nuovamente sola. Sentì che l’equilibrio che aveva appena ritrovato la stava abbandonando. Il suo mondo si stava ancora una volta infrangendo sotto i suoi piedi. E temeva che non avrebbe più potuto arrestare la sua caduta in quel dolore insopportabile.
Improvvisamente sentì bussare alla porta. Cercò di calmarsi, asciugandosi le lacrime col dorso della mano e inspirando profondamente.
- Chi è? – chiese con la voce ancora rotta dal pianto.
- Georgie sono papà. Posso entrare?
In un attimo il conte Gerald fu nella stanza e la vide vicino alla finestra, con il viso segnato dalla disperazione e gli occhi rossi.
Le si avvicinò senza dire nulla e l’abbracciò. Georgie non seppe trattenersi. Avvolta dal calore di quell’abbraccio riprese a piangere. Suo padre si limitò ad accarezzarle la testa e a starle vicino finchè non si fosse calmata. Aveva compreso l’angoscia di suo figlia e sapeva che non poteva far altro che farla sfogare, cercando di farle capire che lui le voleva bene e che ci sarebbe sempre stato per lei.
Quasi un’ora più tardi, Georgie e suo padre sedettero sul letto di lei, sorseggiando una tazza di thé.
Finalmente si era calmata ed era pronta a parlare con suo padre.
Gli spiegò come si sentiva, quali fossero le sue paure per lei e per Abel, gli rivelò il senso di colpa che aveva dentro e gli disse che temeva che non sarebbe mai stata felice nella vita, né lei né le persone che amava.
- Ascoltami bene Georgie – iniziò il conte Gerald – Io so che hai vissuto momenti difficili e so che hai sofferto. Capisco le tue paure e capisco anche il tuo dolore per la perdita di Arthur. Però so che sei forte. So che ce la puoi fare. Non devi abbatterti e anche se hai paura che lui ti scacci, tu devi andare da Abel e stargli vicino come ora io lo sono con te. Se lo ami non puoi lasciarlo solo, anche se lui non desidera persone attorno.
- Ma papà, come faccio? Lo vedo come mi tratta in questi giorni. E’ freddo con me. Non mi vuole.
Se ora andassi da lui rischierei solo di farmi sbattere la porta in faccia. Non voglio che si arrabbi con me e che mi dica cose cattive. E so che in questo momento sarebbe capace di farlo se io insistessi. Sarò una codarda, ma ho paura. Ho paura di sentirlo freddo e distante. Che faccio se mi dice di andarmene?
- Te ne andrai semplicemente. E ritornerai il giorno dopo. E quello dopo ancora, finchè non si sarà stancato di mandarti via e finchè capirà che tu per lui ci sarai sempre. Anche quando si comporta in modo ingiusto nei tuoi confronti. Perché sai figlia mia, è facile amare quando le cose vanno bene. Ma è più difficile amare nelle avversità. E credimi, il vero amore si dimostra sia nella buona che nella cattiva sorte.
Georgie ascoltava le parole di suo padre con estrema attenzione e in effetti lui aveva ragione. Starsene lì a disperarsi senza provare a fare nulla non aveva senso. E poi Abel aveva troppo bisogno di lei, anche se non se ne rendeva conto.
Sicuramente entrambi si sentivano in colpa per la perdita di Arthur e magari parlarne insieme, sfogarsi insieme, avrebbe potuto rendere la cosa più sopportabile.
Improvvisamente si sentì meglio. Suo padre l’aveva rincuorata.
- Grazie papà. Hai ragione tu. Devo tentare e non scoraggiarmi.
Si alzò e lo abbracciò forte – E grazie per essermi stato vicino. Stavo molto male, mi sono sentita sola. Tu mi hai fatto capire che non sono sola e che mi vuoi bene. E te ne voglio anche io, tanto!
Il conte Gerald sorrise alla figlia – Per te ci sarò sempre piccola mia. Non dubitare mai del mio amore. – La baciò sulla fronte e continuò – Però adesso vai, perché c’è qualcuno che ha bisogno di te. E mi raccomando. Non rinunciare al primo tentativo. Direi che lui vale molto di più, giusto?
- Sì papà, giustissimo. Non getterò la spugna tanto facilmente!
Georgie si fermò nel corridoio, di fronte alla porta della stanza di Abel. Le parole di suo padre le avevano dato coraggio, ma era comunque agitata. Sapeva che non sarebbe stata una cosa facile. Comunque trovò la forza per provarci e bussò.
- Voglio restare da solo – urlò Abel da dentro.
- Incominciamo bene – pensò Georgie mentre sentiva il cuore batterle all’impazzata nel petto. – Se questo è il suo umore non posso certo aspettarmi nulla di buono.
Tuttavia entrò lo stesso, incurante delle sue parole e del modo in cui le aveva pronunciate.
- Ho detto che voglio restare da solo – tuonò Abel alzandosi dal letto e voltandosi verso la porta.
Il suo sguardo era tetro, pieno di rabbia ma appena la vide si addolcì un poco.
- Sei tu – mormorò.
- Sì Abel sono io – resse il suo sguardo e continuò decisa – Forse avresti preferito che me ne fossi rimasta alla larga e forse mi sarei risparmiata i tuoi toni rabbiosi e un sacco di brutte parole che con molta probabilità adesso mi urlerai addosso. Ma non ce la facevo più. Non ne potevo più di saperti qui da solo a soffrire. Non ce la facevo a lasciarti ancora da solo. Già mi detesto per non essere venuta da te prima. Ora puoi anche dirmi di andarmene, puoi essere freddo e scostante quanto ti pare, ma sappi che non me ne andrò. Io resto qui Abel. Io voglio che tu sappia che ti capisco e che ci sono per te.
- Georgie è troppo complicato questa volta. Troppo dura anche per me. Come faccio a far finta di niente? Sono devastato Georgie e credo che non mi riprenderò più. Non ti merito. Non posso infliggerti anche questo. Non posso scaricarti addosso il mio dolore. E non voglio trattarti male perché non lo meriti. Tu devi pretendere di meglio. Tu puoi essere felice. Credevamo di avercela fatta, ma purtroppo non ci siamo riusciti. La morte di Arthur mi ha segnato per sempre. Sono diverso ora Georgie. Sono diventato qualcuno che non ti piacerebbe, che non potrebbe renderti felice. Tu puoi avere di più. Ti lascio libera dalla mia presa Georgie. Ti chiedo solo di rispettare questa mia volontà e di andartene. Voglio restare solo e convivere con questa cosa terribile che mi porto dentro. Non ti chiedo altro -.
Georgie sapeva che sarebbe stata dura, era pronta a questo, ma quelle parole l’avevano comunque ferita nel profondo. Lei non voleva essere lasciata libera! Non voleva andarsene! Non voleva lasciarlo solo a soffrire sapendo che quel dolore lo avrebbe torturato per tutta la vita! Ma come poteva chiederle una cosa simile?
Le salirono le lacrime, ma non voleva piangere, non voleva dargli questa soddisfazione, anche se lui era conscio di averla ferita.
- Ti chiedo solo una cosa Abel. Voglio sapere se era vero che mi amavi. Se eri sincero quando dicevi che mi volevi tutta per te, che saresti morto per me, che non potevi amare nessun’altra se non me. Ti prego rispondimi.
Abel la guardò con un’espressione che era un misto di tenerezza e tristezza. – Certo che era vero Georgie. Era tutto vero. Ti amo da quando mio padre ti ha portato nella nostra casa ed eri solo un fagotto. Ti ho amato anche quando te ne sei andata da me per raggiungere un altro uomo. E ti amo anche ora che soffro e che ti chiedo di andartene. Non posso prescindere dall’amore che provo per te Georgie. Sei la linfa vitale della mia esistenza. E lasciarti è la cosa più dura per me, ma non posso fare diversamente. Sono troppo infelice. Ti causerei solo sofferenza.
- Bugiardo! – tuonò Georgie – Sei solo un bugiardo ed un codardo. Non ci credo che mi ami così tanto come dici. Non è possibile!
- Georgie…. Ma che stai dicendo? – balbettò Abel, sconvolto e colpito dalla sua reazione.
- Se tu mi amassi non mi lasceresti andare. Non mi chiederesti di voltarti le spalle in un momento così delicato. Io capisco il tuo dolore Abel, nessuno può capirti meglio di me. Ma non serve a niente ridursi in questo stato. Arthur non tornerà in vita se tu passerai il resto della tua esistenza ridotto come un miserabile dal senso di colpa. Vuoi capirlo o no? Tu devi andare avanti Abel. Tu sei vivo dannazione! E anche io lo sono! Non voglio perderti. Non voglio vederti in questo stato.
Era riuscita a dirgli quello che pensava. Le sue parole arrivavano direttamente dal cuore e sperava che Abel lo capisse. Era come un fiume in piena, non poteva fermarsi, non prima di avergli detto tutto.
- Io posso dire di amarti veramente, perché ti metto al primo posto. Perché anche se sono devastata dal dolore come lo sei tu, non scelgo di passare il resto della mia vita a soffrire in solitudine, di abbandonarmi all’angoscia e all’apatia. Io non scelgo la morte Abel. Io scelgo la vita e soprattutto scelgo noi!
Per me sarebbe più facile lasciarmi ferire dalle tue parole e dalla tua crudeltà e scappare via da questa stanza in lacrime, senza tornare da te mai più. Sarebbe molto più facile. Sostenere le tue parole con il rischio di farmene dire altre peggiori è molto più difficile. Ma lo faccio comunque perché ti amo. E non è un amore detto tanto per dire. E’ un amore vero, sincero e forte. -
Fece un ampio respiro, cercando di calmarsi un po’ e riprese a parlare – Vedi Abel, io credo che ci siano vari tipi di amore. C’è l’amore che resiste solo se tutte le condizioni attorno sono favorevoli. E poi c’è l’amore che resiste in ogni caso. Beh io provo per te il secondo tipo di amore, quello che non si ferma davanti agli ostacoli. Ma temo che, nonostante tu dica di amarmi da sempre, il tipo di amore che provi per me è il primo. Quello che dura solo se ha vita facile.
Forse non ho passato una vita intera a struggermi per te. Forse ho anche sbagliato quando sono partita dall’Australia per andare da Lowell, perché non ero davvero innamorata di lui e quel gesto è stato avventato. Forse ti ho fatto soffrire perché ti ho rifiutato e mi sono accorta dei miei sentimenti solo quando ho rischiato di perderti. E’ così. Sono stata ingrata e ho fatto degli sbagli. Ma ora sono consapevole di quello che provo e sono fiera del mio amore. Perché è l’amore che non ha paura e che non ti abbandona. Tu puoi dire la stessa cosa del tuo Abel? –
Finì di pronunciare quelle parole guardandolo dritto negli occhi. Abel stava di fronte a lei. Era paralizzato. Quel discorso lo aveva scosso profondamente. La fissava con stupore e non seppe cosa dire per un istante.
Georgie sentì l’amarezza pervaderle l’anima e convenne con se stessa che aveva detto proprio tutto. Le conveniva andarsene ora. Era meglio lasciarlo riflettere.
Si voltò e fece per andarsene, ma improvvisamente si sentì trattenere per la mano. Si voltò sorpresa e vide Abel accanto a lei che la sovrastava guardandola intensamente, severo, quasi rabbioso.
- Non pensare nemmeno per un attimo che io non ti ami abbastanza Georgie! – le disse con voce ferma e decisa.
- Certo che sono fiero dell’amore che provo per te. E’ tutto quello che ho… è tutto quello che sono.
Georgie si emozionò e rispose – E allora non chiedermi di lasciarti Abel. Se davvero mi ami così tanto chiedimi di restare con te. Di aiutarti a sopportare il tuo dolore. Non mi importa di quanto sia duro sopportare la tua rabbia e la tua frustrazione. Lo so che sei arrabbiato e che ti senti in colpa. E se vuoi sfogarti con me lo puoi fare. Puoi urlare, dire cose spiacevoli, piangere, fare quello che vuoi. Lo posso sopportare. L’importante è che ti faccia sentire meglio. Io non ho paura di te Abel, né del tuo dolore. Posso sorreggerti e aiutarti. Non puoi farcela da solo. Devi permettermi di starti accanto.
Non perdere la speranza. Fai come ho fatto io, scegli la vita Abel. Tu meriti di andare avanti. Non farai un torto ad Arthur se proverai ad essere felice. Sono sicuro che anche lui lo vorrebbe.
Per la prima volta negli ultimi giorni, Abel vide finalmente la luce. Le parole di Georgie avevano un senso. Forse poteva riuscirci a superare quella situazione. Forse aveva il diritto di continuare a vivere, nonostante Arthur non ci fosse più e lui si sentisse responsabile di questo.
Non disse nulla, semplicemente si abbandonò all’abbraccio di Georgie e pianse tutte le lacrime che aveva in corpo. Il muro era crollato finalmente.
Abel sentiva crescere dentro di sé una consapevolezza: doveva vincere quel dolore e continuare il suo cammino insieme a lei, che ormai non era più semplicemente la ragazza di cui era perdutamente innamorato. Era la sua salvezza, la sua forza, la sua stessa vita.
La strinse a sé più forte che potè. Non l’avrebbe lasciata, non l’avrebbe lasciata andare mai più.
Era con lei e solo con lei che voleva sconfiggere quel terribile, atroce, lancinante dolore che gli lacerava l’anima. 


TBC....

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Capitolo 3
*** Emozioni ***


Capitolo 3 – Emozioni  
 

 
 
Il sole del mattino filtrava attraverso le tende della stanza e svegliò Abel che per un attimo aveva dimenticato dove si trovava.
Aveva dormito profondamente per tutta la notte, dopo aver sfogato il suo dolore e le sue lacrime con Georgie. Era stata una serata intensa e strana, ma era servita ad entrambi per mettere dietro alle spalle le ombre del passato. 
Quel sonno ristoratore era proprio quello che ci voleva. Aveva dormito come un bambino e si sentiva incredibilmente bene.
Si stirò appena, ma non volle muoversi troppo. Aveva paura di svegliarla.
Lui e Georgie avevano finito per addormentarsi insieme, dopo aver pianto e dopo aver parlato per ore ed ore.
Sentiva il suo calore accanto a sé e pensò che gli piaceva proprio tanto dormire con lei tra le sue braccia.
Non era successo nulla tra loro quella notte, ma non importava. Era comunque bello risvegliarsi al mattino ed averla lì con sé. Lo faceva sentire bene.
Iniziò lentamente ad accarezzarle la schiena e voltò la testa per inspirare il profumo dei suoi capelli.
Sapevano di rosa. Lei sapeva di rosa. Era deliziosa.
Mentre compieva quei gesti affettuosi tornò col pensiero a quando lei venne a trovarlo in carcere.
Gli sembrava tutto così lontano, ma aveva ancora bene impresso nella memoria quello che era accaduto tra loro.
Non lo avrebbe mai dimenticato. Mai.
Tutto si sarebbe aspettato, tranne che vederla varcare la porta di quella cella, bella come il sole, a portare luce alla sua triste condizione di prigioniero.
E nella sua testa continuavano ad echeggiare le parole che lei gli aveva detto in preda alla disperazione: “Se ti perdessi non potrei più vivere… Se non posso più vivere insieme a te, allora preferisco morire anch’io!...... Non voglio separarmi da te Abel. E’ per questo che sono qui”.
Non le avrebbe mai dimenticate quelle parole. Non avrebbe mai dimenticato le sensazioni che aveva provato. Era come se il suo cuore avesse smesso di battere per un attimo.  Il tempo si era fermato.
La sua Georgie lo amava. Non voleva vivere senza di lui.
Aveva sentito un dolce calore pervadergli il corpo. Dal cuore si era irradiato dappertutto.
Lei aveva riacceso la speranza in lui e tutto l’amore che provava per lei era sgorgato prepotentemente dal suo cuore.
Non si sarebbe più potuto fermare. Aveva il disperato bisogno di stringerla a sé. Di baciarla. Di amarla. Era il sogno di una vita intera che finalmente si stava realizzando.
Non avrebbe più voluto lasciarla andare. Separarsi da lei qualche ora più tardi fu la cosa più difficile che avesse mai dovuto fare.
Pensare a quei momenti ancora lo emozionava e si sentì gli occhi lucidi. Dio quanto la amava! La amava da morire! Lei era tutto per lui. Era il suo stesso respiro, la sua stessa vita.
E ripensò a come era stato sciocco il giorno prima, quando le chiese di lasciarlo. Ma dove aveva la testa? Come avrebbe fatto senza di lei?
No, non poteva più farne a meno. E prese coscenza del fatto che non erano solo più il suo cuore e la sua anima a desiderarla. Ma anche il suo corpo. Ora più che mai.
Da quel giorno in prigione, Abel non l’aveva più toccata.
Si erano abbracciati e baciati, è vero, ma non avevano più avuto intimità.
Prima lui era stato impossibilitato dalle ferite e poi negli ultimi giorni si era isolato dal mondo a causa della notizia della morte di Arthur.
Ma ora stava meglio e inesorabilmente sentiva il bisogno di amarla. Non sapeva quanto avrebbe potuto resistere ancora senza toccarla.
Georgie era immobile tra le braccia di Abel. Aveva la testa appoggiata al suo torace ed era dolcemente cullata dal battito del suo cuore.
Non voleva muoversi. Non voleva far capire ad Abel che era sveglia. Lui le accarezzava la schiena ed aveva immerso il viso nei suoi capelli e a lei piaceva sentirlo così vicino.
Quei suoi delicati movimenti, la sua presenza, il calore che le trasmetteva la facevano sentire così bene. Era rilassata e voleva godersi quei momenti.
Non poteva negare che quella vicinanza le provocasse emozioni fortissime.
Sentiva le farfalle nello stomaco e i brividi percorrerle tutto il corpo. Era come sospesa.
Era incredibile come lui la facesse sentire viva. Ogni suo tocco le provocava una scarica elettrica.
Sapeva scatenare in lei qualcosa di veramente travolgente.
E pensò che le mancava tanto stare davvero con lui. Fare l’amore con lui.
Un’esperienza così sensazionale non l’aveva mai vissuta prima e avrebbe voluto viverla ancora. Abbandonarsi alla passione di Abel e lasciare che quella stessa passione diventasse la sua per ricambiarlo totalmente. Con trasporto. Con ardore.
Il solo pensiero la fece avvampare! – Ma che sto pensando? Mamma mia, sto diventando una svergognata! – e poi il suo volto si illuminò con un pigro sorriso - ….. però è così bello che non mi sembra una cosa sporca desiderarlo. Lo amo così tanto! -.
 Il cuore prese a batterle più velocemente e le venne paura che Abel potesse intuire che fosse sveglia. Era bello stare così, voleva goderselo ancora un po’.
Rimasero in silenzio, appagati da quella quiete, avvolti nel loro abbraccio, finchè Georgie decise, sebbene a malincuore, che era ora di alzarsi. Perciò si stiracchiò pigramente e sbadigliò.
- Buongiorno piccola! Dormito bene? – domandò con un sorriso smagliante Abel.
Lei si alzò sui gomiti, ricambiò il sorriso, gli diede un veloce bacio sulle labbra e rispose – Benissimo. Era tanto che non riposavo così beatamente - .
- Me ne sono accorto – la schernì lui – hai russato tutta la notte! Sembrava di dormire con un orso!
- Non è vero! – urlò lei risentita, sedendosi di scatto sul letto – Io non russo! Vorrà dire che d’ora in poi ti risparmierò il supplizio di dividere il letto con me – e dopo aver sentenziato la sua frase di sdegno, mise il broncio come una bambina viziata.
Abel ridacchiò felice e poi l’avvolse nel suo abbraccio e la tirò di nuovo giù sul materasso con sé.
- Ma come è permalosa la mia orsacchiotta!
- Abel smettila! Non sono permalosa. Il fatto è che non russo. Non puoi dormire con una ragazza e dirle che russa come un orso. E non chiamarmi orsacchiotta!  - continuò lei con tono offeso.
Abel si divertiva a stuzzicarla e lei ci cascava sempre. A volte era ancora una bambina e lui l’adorava per questo. Non mollò la presa su di lei, anzi la strinse ancora di più e l’avvicinò a sé, sussurrandole nell’orecchio con voce calda e suadente – Lo sai che mi piace prenderti in giro, scemotta. E’ ovvio che non russi e dormire con te non è assolutamente un supplizio, quindi fammi un favore, resta qui con me anche stanotte -.
Georgie si girò di scatto stupita e incontrò i suoi bellissimi occhi blu.
Si sentì mancare. Oddio come la stava guardando. In maniera molto intensa. Anche senza parole, con quegli occhi riusciva a dirle tutto. Le trasmetteva delle emozioni molto forti.
Se non fossero stati sdraiati su quel letto, era convinta che le gambe le avrebbero ceduto. Come riusciva a farle quell’effetto?
Arrossì leggermente e tolse lo sguardo. Aveva compreso che cosa intendeva Abel e si sentì lusingata e a disagio allo stesso tempo. Il cuore iniziò a martellarle nel petto e si sentì sciogliere tra le sue braccia. Non riuscì a dirgli nulla. Riuscì solo a rialzare lo sguardo, ma non ebbe tempo di incontrare i suoi occhi perché lui era già sceso sulle sue labbra per baciarla. Un bacio molto dolce all’inizio, che poi divenne più profondo poco dopo.
Si staccarono e lui le sorrise – Dai, scendiamo a fare colazione. Non so tu Georgie, ma io ho una fame da lupo! – finì la frase strizzandole l’occhio e poi si alzò, lasciandola lì sul letto ancora senza parole. Era completamente stordita…. Le sue parole, il suo abbraccio e quel bacio erano riusciti a stordirla.
Nessuno era in grado di ridurla in quelle condizioni. Solo lui ci riusciva. E sorrise tra sé, conscia di quanto era fortunata ad avere un ragazzo come lui accanto.
 
La giornata era trascorsa in serenità. Emma e Dick passarono per un saluto e finirono per fermarsi  tutto il pomeriggio.
Emma aveva portato dei disegni di vestiti alla moda e Georgie li guardava entusiasta, cercando di scegliere quello che avrebbe cucito per primo. Sembrava una bambina il giorno di Natale, eccitata ed indecisa su quale regalo scartare per primo.
In disparte, Abel l’ammirava. Era bellissima quando si comportava così. Aveva un che di ingenuo e affascinante allo stesso tempo. La stava guardando con gli occhi che brillavano, incantato da lei, completamente innamorato di lei e felice nel vederla così lieta e spensierata.
- Se non me ne vado da qui rischio di non riuscirmi a staccare più da questa splendida visione – pensò tra sé e sé Abel. E sorridendo si voltò verso Dick che stava un po’ più indietro, appoggiato al muro,  anche lui deliziato dalla vista di Emma e Georgie in preda all’euforia per quei disegni.
Lasciando le signore al loro cicaleccio, Abel e Dick uscirono in giardino a fare una passeggiata e  due chiacchiere tra uomini.
Era piacevole potersi godere una giornata tranquilla in compagnia degli amici. Era fin troppo tempo che non si rilassavano senza avere problemi.
Tutto era tornato alla normalità finalmente. Abel e Georgie avevano proprio bisogno di un po’ di serenità, dopo tutto quello che era capitato.
 
 
Quella stessa sera Georgie era salita in camera di Abel per cambiargli la fasciatura e disinfettargli le ferite, che ormai erano quasi guarite.
- Penso che a breve non avrai più bisogno di queste bende. La pelle ormai è quasi totalmente rimarginata e mi sembra di vedere che sei completamente indipendente nei movimenti – esclamò Georgie soddisfatta nel vedere che Abel ormai aveva recuperato benissimo.
- Sì, non sento più dolore e credo di poter dire di essere stato davvero fortunato – rispose Abel mentre guardava Georgie prendersi cura di lui.
Era bello quando lei faceva così. Gli piaceva, si sentiva coccolato. E non poteva nascondere di apprezzare il modo gentile in cui gli puliva le ferite, gli spalmava la pomata e poi lo rifasciava con bende nuove. Era una serie infinita di gentili carezze e non sapeva se avrebbe resistito ancora a lungo all’impulso di tirarla a sé e stringerla forte.
- Non sei stato solo fortunato Abel. Sei stato miracolato. Ero convinta che i proiettili ti avessero colpito il cuore. Pensavo che fossi morto. Non ti dico quanto è stato orribile. Credo che non smetterò mai di ringraziare il Signore per averti lasciato qui con me. Non voglio nemmeno pensare a cosa avrei fatto se…. – non riuscì a finire la frase, perché il solo pensiero di perderlo la faceva piangere. Non riuscì a trattenere qualche lacrima, era più forte di lei.
Abel si intenerì a quella reazione. Non voleva che lei piangesse, ma sapere quanto ci tenesse a lui lo rendeva felice, gli scaldava il cuore.
Georgie aveva appena finito di fermare il bendaggio e lui le sollevò il mento affinchè lo guardasse negli occhi. Poi le prese dolcemente il viso tra le mani e le asciugò le lacrime con i pollici, sorridendole teneramente.
- Non voglio vederti triste. Sono qui. Sono tornato da te come ti avevo promesso. Non pensare più alle cose spiacevoli. Lasciamoci il passato alle spalle e viviamoci il presente – terminò quella frase avvicinandosi a lei e baciandola dolcemente. Fu un bacio a fior di labbra, lento, delicato.
Si staccarono, entrambi provati dalle emozioni che stavano vivendo in quell’istante. Rimasero in silenzio, le fronti che si toccavano, gli occhi abbassati.
Abel la tirò ancora più vicina a sé e l’abbracciò. Riprese a baciarla. Questa volta con passione.
Georgie si sentì come in un vortice e il cuore iniziò a batterle prepotentemente.
Essere di nuovo a stretto contatto con lui la faceva tremare per l’emozione.
Il calore del suo corpo, la stretta delle sue braccia, il sapore delle sue labbra, il suo profumo….. non sapeva resistergli, era bellissimo lasciarsi amare da lui.
Le era mancato essergli così vicina. Anche quando lui era in carcere, dopo il giorno che lei lo andò a trovare, Georgie aveva pensato tanto a quello che era accaduto tra loro in quella cella. A dire il vero ci aveva pensato giorno e notte, in ogni momento. Sentiva il bisogno di essere sua e non averlo al suo fianco le dava molta malinconia. Quanto aveva sofferto la sua lontananza in quei giorni!
Si era ripromessa che se lo avesse riavuto con sé non lo avrebbe lasciato mai più.
Ed ora finalmente erano soli e tra loro stava scattando qualcosa di travolgente che presto non avrebbero più saputo controllare.
Quanto le piaceva stare così con Abel. Era stupendo.
Ma poi le venne alla mente qualcosa di molto importante che era giunta l’ora di affrontare insieme. Qualcosa che non doveva assolutamente più rimandare.
Anche se a malavoglia, cercò di staccarsi da lui.
- Abel ti devo dire una cosa molto importante – sussurrò lei facendo un respiro profondo per cercare di calmarsi.
- Scusami Georgie, forse ho esagerato….. è solo che quando ti sono vicino non riesco proprio a controllarmi. Sono stato troppo irruento. Lo capisco se non te la senti. Io….. io ti rispetto, non voglio metterti fretta. Scusami… - disse lui, preoccupato di aver accelerato troppo le cose.
Georgie gli sorrise timidamente – No Abel, non è per quello. E’ che è da molto tempo che devo dirti una cosa. Non ci sono riuscita fino ad ora, perché ho voluto che ti rimettessi e che cercassi di superare la cosa di Arthur. Ma ora non posso più rimandare -.
Abel la guardò preoccupato. Temeva che ci fosse qualcosa di molto serio. E aveva paura di soffrire ancora a causa di qualche brutta notizia.
- Georgie ti prego. Dimmi che non è nulla di grave. Mi fai preoccupare – disse turbato lui.
Lei gli sorrise e gli accarezzò la guancia – No Abel. Niente di grave. E’ che…. Beh… - voleva usare le parole giuste, ma non sapeva come dirglielo.
Lui continuava a guardarla evidentemente agitato. Non poteva più tenerlo sulla corda così e si decise a parlare.
- Abel, io…. aspetto un bambino -.
Ecco lo aveva detto. Ora era lei quella preoccupata. Lo fissava visibilmente tesa. Che le avrebbe detto lui?
Abel rimase pietrificato.
Georgie era sicura che lui non stesse nemmeno respirando in quell’istante.
- Ti prego, dì qualcosa  - pensò Georgie mentre sentiva l’ansia crescere dentro di sé.
Ma Abel era come in un mondo tutto suo. Incredulo per quel che lei gli aveva appena confidato.
Per lui quella notizia era qualcosa di molto forte, qualcosa di non pianificato, qualcosa che gli avrebbe cambiato la vita per sempre.
Rimasero come sospesi nel tempo, muti, immobili, forse entrambi in attesa che uno dei due rompesse il silenzio e quella strana atmosfera che si era venuta a creare tra loro.  


TBC...
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 4
*** Il trionfo dell'amore ***


Capitolo 4 – Il trionfo dell’amore  


 Dopo un attimo che era sembrato un eternità, Abel riprese a muoversi. Sbatté le palpebre e ricominciò a respirare. Avrebbe voluto parlarle, dirle qualcosa, ma stava provando un’emozione troppo forte per le parole.
Si rese conto che Georgie era in attesa che lui dicesse qualcosa. Gli sembrava addirittura spaventata dalla sua reazione e non seppe più trattenersi.
La prese all’improvviso e la strinse forte. La sua Georgie. Il suo amore.
La sentì rilassarsi tra le sue braccia e il cuore gli scoppiò nel petto per la tenerezza. Si rese conto della tensione che lei doveva aver provato nell’attendere una sua risposta. E poi pensò a quanto doveva essersi sentita sola e forse in panico quando capì di essere incinta. Proprio mentre lui era ancora in carcere, in attesa di esecuzione. – Quanto hai dovuto soffrire piccola mia? – si domandò tacitamente Abel.
Allentò quell’abbraccio per guardarla negli occhi. Le prese il viso tra le mani. Si perse nel suo volto, nella sua espressione.
Ripensò a quando erano bambini, a come erano uniti ed affiatati, e poi a quando diventarono più grandi e lui si rese conto che il sentimento che provava per quella ragazzina bionda che si stava apprestando a diventare una bellissima donna non era più affetto fraterno, ma amore.


Quanto aveva sofferto per lei. Non poterle rivelare la verità, tenersi dentro le sue emozioni e poi vederla innamorarsi di Lowell che era arrivato all’improvviso per portarsela via. Quanta gelosia aveva provato. Ma chi era quel damerino inglese che pretendeva di amarla? Lui non la conosceva davvero. Non l’aveva vista in fasce, non l’aveva vista bambina, non l’aveva vista crescere. Non sapeva nulla di lei, eppure pensava di poterla avere per sé.
Ma non poteva amarla davvero. Non come lui almeno. Lui la amava da che aveva memoria. Amava tutto di lei. Tutto. Avrebbe dato la vita per lei. Avrebbe fatto qualunque cosa. Per un suo sorriso, per il suo bene, perché vederla felice gli riscaldava il cuore.
L’aveva aiutata a fuggire con Lowell solo perché era quello che lei voleva. Dio solo sapeva quanto lui avesse sofferto in quella situazione. Lasciarla andare era stato terribile. Saperla con un altro gli aveva devastato l’anima. Quante volte la sera prima di addormentarsi si tormentava pensando a lei. Chiedendosi se si trovava tra le braccia di lui. Morendo di gelosia. Soffocando tutto il dolore dentro al cuore. Eppure si era reso disponibile ad aiutarla, perché la voleva felice. E se per lei essere felice voleva dire stare con Lowell, lui lo avrebbe accettato, anche se questo lo faceva morire dentro. Lei veniva prima di tutto. Prima anche di se stesso.
No, né Lowell, né nessun’altro poteva amarla come la amava lui.
Ed ora dopo tante peripezie, lei era finalmente sua. E aspettava un figlio da lui.
Abel non riusciva ancora a realizzare che era tutto vero. Gli sembrava impossibile. Troppo bello, troppo perfetto.
Continuava a guardarla con un’espressione intensa. Era emozionato e felice. E non era ancora riuscito a parlare per l’immensa gioia che stava provando.
Si inginocchiò davanti a lei, posò la testa sul suo grembo e la strinse ancora ma questa volta in maniera più lieve.
Abel aveva gli occhi lucidi e sentiva il cuore in gola. La guardò con venerazione, un sorriso sereno sul volto e finalmente ritrovò la voce – Grazie amore mio. Grazie infinite. Vorrei dirti tante cose, ma sono frastornato dalla gioia. Riesco solo a dirti che ti amo e che mi hai reso un uomo felice – e dopo aver pronunciato queste parole, le baciò la pancia.
Si rialzò e continuò a guardarla in preda all’emozione più forte che avesse mai provato. Georgie non aveva mai visto Abel così. Era emozionato, felice, intenerito. E tirò un sospiro di sollievo.
Quei momenti di silenzio l’avevano spaventata a morte, ma non poteva nemmeno pensare per un istante che il suo Abel non sarebbe stato felice per la notizia. Lo conosceva troppo bene.
Si sentiva al culmine della felicità anche lei. Non poteva pretendere una risposta più bella di quella che lui le stava dando. Le stava comunicando la sua gioia e il suo amore con tutto se stesso e lei si sentì pervadere da una dolce serenità, mentre il suo cuore stava scoppiando di amore per lui.
- Mi dispiace di non esserti stato vicino quando lo hai scoperto – continuò lui - Ti sei tenuta questo segreto dentro e hai lottato per la mia liberazione. Hai fatto tutto da sola. – Abel la guardava con ammirazione mentre pronunciava queste parole – Georgie ormai non sei più una bambina. Sei diventata una donna. Una donna forte. Sono così fiero di te. E ti sono grato. Per avermi salvato, per avermi curato, per avermi consolato ed ora per darmi questo bambino che per me è il dono più grande - .
Abel era vinto dall’emozione. L’abbracciò ancora. La strinse forte a sé, per farle sentire la sua presenza, il suo amore. – Georgie non sei più sola. Ora sono con te. Saremo una famiglia – le disse mentre assaporava la gioia di tenerla fra le braccia.
Georgie avrebbe voluto parlargli, ma la gioia le toglieva la voce. Riusciva solo a guardarlo con gli occhi lucidi e a sorridergli. Ma anche così gli aveva trasmesso tutto.
Si staccarono un momento e, mentre lui le sistemava un ricciolo dietro all’orecchio, aggiunse – Ero abituato ad essere il più grande, quello che doveva proteggerti, prendersi cura di te. Ora non solo mi hai dimostrato che sai badare benissimo a te stessa, ma sei stata tu a proteggermi e a prenderti cura di me. Una volta ero il tuo eroe, il fratellone pronto a venire in tuo aiuto. E adesso invece hai visto le mie debolezze e sei stata tu a venirmi in aiuto -.
Georgie fu colpita dalle sue parole e replicò – Diciamo che finalmente ho avuto l’occasione di ricambiare. Per tutte le volte che mi hai protetta in passato, oggi sono io che riesco a fare qualcosa per te. E ne sono felice. E’ così che deve essere. Si sta insieme anche per questo, per non essere soli a superare le difficoltà-
Abel le sorrise e lei proseguì – Io voglio che sia così la nostra vita. Insieme, fianco a fianco, a sostenerci. Sarò sempre la tua piccolina e avrò spesso bisogno della tua protezione. Non smetterai mai di essere il mio eroe. Ma voglio che tu sappia che io ci sono. E quando sarai tu ad avere bisogno, io farò di tutto per aiutarti. Come tu hai sempre fatto con me e come sono sicura che continuerai a fare. E poi – aggiunse con un pizzico di imbarazzo – sono felice che anche tu voglia questo bambino come lo voglio io. Sapevo che ti avrebbe fatto piacere, ma non ti nascondo che ho anche avuto il timore che non fosse così – continuò guardandolo con gli occhi lucidi – Il fatto è che mentre tu non c’eri e ti sapevo in quell’orribile prigione a sopportare le cose più atroci, avere questo bambino dentro di me che era parte di te mi ha aiutato ad andare avanti. Era come averti con me -.
Georgie sentiva che stava per piangere dall’emozione, ma si trattenne per finire la frase – Quando ami una persona così tanto come io amo te, portare in grembo suo figlio è la cosa più bella. Sai che in qualche modo quella persona è dentro di te. Ed è così che mi sentivo io. Mi mancavi tantissimo ed ero preoccupata per te, ma questo bambino mi ricordava che dovevo lottare ed andare avanti. Ti sentivo vicino, mi bastava toccarmi la pancia ed era come se tu fossi qui al mio fianco -.
Abel si sentiva felice come non mai. Pensò che se fosse morto in quel momento poco gli sarebbe importato, perché aveva avuto tutto. La sua Georgie lo amava. Aspettavano un bambino. Non poteva chiedere nulla di più.
- Ci ho messo un po’ a capirlo – continuò Georgie – e so che ti ho fatto soffrire in passato. Credimi Abel, non volevo, ma non sono riuscita a comportarmi diversamente. Non riuscivo a ricambiare il tuo amore, quel tipo di amore. Per me eri mio fratello. Ho dovuto abituarmi all’idea e capire che anche io ti amavo non come fa una sorella. E’ stata solo questione di tempo. Spero che potrai perdonarmi se ti ho causato sofferenza. Ora sono solo tua. Non c’è nessun’altro. Ci sei solo tu per me e sarà così per sempre. Ora voglio essere felice con te e renderti felice. Io ti amo come non ho mai amato nessuno. Ed è un sentimento così forte che a volte mi lascia senza fiato -.
Abel si sentì pervadere da qualcosa di forte, di intenso, a cui non sapeva dare un nome. Georgie riusciva a farlo sentire come nessun’altra ragazza aveva mai fatto prima. Non riusciva nemmeno a fare il paragone. Nessuna era alla sua altezza. Si conoscevano da sempre, erano molto in confidenza, ma tra loro era sempre stato speciale. Riusciva a provare emozioni talmente intense con lei che lo lasciavano stordito e barcollante. E capì che non è da tutti provare quel tipo di amore e condividere quel tipo di esperienza. Era felice, felice come non mai.
Non aggiunse altro e la baciò. Georgie rispose a quel bacio con tutta se stessa. Lo abbracciò e si abbandonò completamente a lui.

Era scattato qualcosa tra loro. Non c’era più bisogno di parlare. Le parole necessarie erano state già dette tutte.
Ora tra loro erano tornate la stessa intesa, le stesse emozioni, la stessa atmosfera che avevano condiviso in quella buia cella del carcere.
Tutto avvenne in modo naturale. Si abbandonarono all’amore, senza remore.
Il bacio divenne sempre più profondo, più appassionato. Entrambi sentirono il sangue scorrere nelle vene. Si sentirono vivi più che mai.
Gentilmente Abel iniziò a spogliarla. Lentamente aprì i bottoni del suo vestito, mentre le baciava dolcemente il collo. Fece scivolare via l’abito e passò ad accarezzarle le spalle, pronto ad abbassare la sottoveste.
Georgie sentiva le mani di lui scorrere sulla sua pelle, delicate come le ali di una farfalla. L’aveva attirata a sé e lei tremò al dolce contatto con il suo torace. Dopo che lei gli aveva medicato le ferite, Abel non aveva più indossato la camicia, ma lei non ci aveva nemmeno fatto caso, troppo presa dalla rivelazione che doveva fargli sul bambino. Ma ora che lui l’aveva stretta a sé semi-svestita, Georgie sentì il calore del petto di Abel contro di sé. E i suoi sensi si risvegliarono.
Le piaceva che lui l’abbracciasse mentre lentamente si toglievano i vestiti a vicenda.
Lo accarezzava e sentiva sotto le sue mani i muscoli delle braccia di Abel che si tendevano mentre la stringeva forte, mentre le abbassava la sottoveste e poi la biancheria intima.
Sentiva che tutte le sue difese la stavano lasciando. Era abbandonata a lui e si sentiva viva più che mai.
Le candele intorno a loro stavano pian piano consumandosi, illuminando la stanza con una luce bassa e molto calda.
Presto furono nudi e Abel la portò con sé sul letto, facendola stendere sul materasso.
La guardò per un momento intensamente negli occhi e le disse – Ti amo -.
- Ti amo anch’io – rispose prontamente Georgie.
Poi Abel riprese a baciarla, mentre la tirò sotto di sé per stringerla tra le sue braccia.
Georgie provò ancora quella bellissima sensazione. Il suo dolce calore la stava avvolgendo di nuovo.
E nuovamente perse coscienza della realtà. Era entrata in un mondo tutto suo.
Non era più in una camera da letto a Londra, ma in un prato fiorito della sua amata Australia. Abel era il suo sole e lei non voleva altro che abbandonarsi completamente a quella dolce, meravigliosa sensazione che solo lui le poteva dare.

Ogni bacio, ogni carezza, ogni sussurro era un inno alla vita. Stare tra le sue braccia così era una perfetta, dolcissima perdizione.
Sentirlo lentamente, gentilmente entrare dentro di lei era la realizzazione della perfezione. Non c’era niente di più perfetto che essere così, uniti, una cosa sola. Amarsi senza pensare, senza vergogna, senza limiti. Stringersi forte e baciarsi appassionatamente, mentre non si sa dove inizia uno e finisce l’altra.
Insieme, uniti, per sempre.
Abel era stordito da lei. Era perso in lei.
La stava amando con passione, con dolcezza e sentiva il cuore martellargli nel petto con una violenza inaudita. Il contatto con la sua pelle era erotico e dolce allo stesso tempo. Il calore che lei  gli diffondeva lo faceva sentire avvolto in un delizioso vortice di passione.
Il suo profumo di rosa lo pervadeva, i suoi morbidi capelli lo accarezzavano. Ogni parte di lei risvegliava in lui un istinto primordiale che poteva sfogare solo con lei. Mai nessuna donna prima lo aveva fatto sentire così.
Per lui Georgie era passione allo stato puro mescolata con una dolcezza infinita. Amarla era la cosa più bella, intensa e sconvolgente che avesse mai provato.
Era gentile e delicato con lei, ma allo stesso tempo si sentiva senza freni, senza paure, senza dubbi.
Con lei tutto era speciale. Lei era la donna che amava e questo faceva la differenza.
Era la sua piccola Georgie e non avrebbe mai potuto farle del male. Voleva solo comunicarle quanto amore provava per lei.
La accarezzava, la baciava e mentre si amavano così intensamente la guardava negli occhi con uno sguardo pieno di venerazione e di tenerezza.
Era così maledettamente bella. Lo era sempre stata, ma quando era tra le sue braccia lo era ancora di più. Si sentì l’uomo più fortunato del mondo e continuò ad amarla così senza tregua.
Le candele si consumarono e nella stanza calò il buio. Dalla finestra filtrava la luce argentea della luna e in quella magica atmosfera continuarono la loro danza d’amore, troppo felici per smettere di sorridersi ed accarezzarsi a vicenda, troppo bisognosi uno dell’altra per separarsi da quel tenero abbraccio, da quell'appagante unione.
Dopo un numero imprecisato di ore, si ritrovarono ancora uno tra le braccia dell’altra, appagati, assopiti, sereni come mai prima.
Georgie aveva gli occhi chiusi, la testa appoggiata al torace di Abel e ascoltava il battito regolare del suo cuore come una dolce melodia. Abel guardava il soffitto, assorto beatamente nei suoi pensieri, accarezzando pigramente la spalla di Georgie.
Era tornata la quiete dopo quella lunga tempesta d’amore ed entrambi sentirono il bisogno di godersi quel momento di riposo. Era bello stare così, immobili, nudi e abbracciati. Avrebbero voluto fermare il tempo.
Poi Abel ruppe quel silenzio – Georgie devo dirti una cosa, una cosa molto importante -.
Georgie aprì gli occhi al suono della sua voce e pigramente rispose – Uhmm, dimmi tutto -.
Abel riprese con tono titubante – Forse non è così che dovrei dirtelo. Non è così che si conviene, ma è una cosa che mi sento dentro e devo dirtela ora. Non mi importa niente della buona creanza -.
Georgie riprese lucidità velocemente. Quelle parole non le comprendeva, ma aveva capito che Abel voleva dirle qualcosa di molto serio, quindi restò immobile, sempre con la testa appoggiata al suo torace, ma era ben attenta.
Lui rimase steso con lei tra le braccia, ma non era più rilassato come pochi attimi prima. Sospirò e continuò – Insomma, siamo io e te. Voglio dire….. tra noi non ci sono mai state formalità. Ci conosciamo troppo bene per queste cose. Quindi voglio semplicemente dirti quello che ho nel cuore ora e non voglio preoccuparmi della forma -.
Georgie continuava a non capire, ma rimase in silenzio in attesa che Abel continuasse.
Lui, dal canto suo, si sentiva un po’ nervoso, ma sapeva che doveva parlare – Georgie io…. io ti amo e tu lo sai. Tu mi rendi un uomo felice e io voglio stare con te per sempre. Voglio continuare ad amarti come abbiamo fatto ora. Senza vergogna, senza dovermi nascondere. E poi c’è un bambino in arrivo e io voglio che lui abbia una famiglia …. Beh quindi, insomma.. – Abel sentì l’emozione crescergli nel cuore e un nodo formarsi in gola ma proseguì – Georgie forse non è così che si fa, forse questa cosa che sto per dirti non la si dovrebbe dire quando si è completamente nudi in un letto, ma …. Ma non riesco a pensare ad altro - .
Georgie si alzò su un braccio e lo guardò, cercando di capire che cosa lui avesse in mente.
Abel incontrò i suoi occhi nonostante l’oscurità della stanza. Provò un po’ di imbarazzo, ma nel vederla così nuda, illuminata dalla bianca luce della luna, con le lenzuola raccolte sui suoi fianchi, i capelli che ricadevano con una cascata di riccioli scomposti sulle spalle e sul seno, l’espressione del volto tipica di chi non sta capendo nulla, non ebbe più esitazione e le domandò con voce dolce – Georgie, vuoi rendermi l’uomo più felice del mondo e diventare mia moglie? -.
Georgie sentì un colpo al cuore. Spalancò quei splendidi occhi verdi e lo guardò con stupore, non riuscendo a pronunciare una sillaba.
Lui proseguì leggermente allarmato – Senti Georgie, forse avrei dovuto chiedertelo in modo più romantico. Magari avrei dovuto inginocchiarmi davanti a te e chiederti la mano con tanto di anello. E invece siamo qui in un letto, non ho nessun gioiello da darti….. ma ho il mio cuore e il mio amore. Vorrei ricominciare con te. E lo vorrei fare in modo ufficiale. Vorrei poter dormire con te senza doverlo nascondere, come se fossimo colpevoli di qualcosa. Voglio amarti alla luce del sole. Ti voglio in tutto e per tutto, quindi te lo richiedo: vuoi sposarmi Georgie? -.
Georgie sentì il sangue scorrerle nelle vene e il cuore battere all’impazzata. Era felice, quel tipo di felicità che ti fa urlare. Sentì le guance che arrossivano e gli occhi inumidirsi.
- Certo che lo voglio! – esclamò improvvisamente lei e gli balzò addosso cingendogli il collo con le braccia.
Abel non seppe trattenere l’impeto di quell’abbraccio e ricadde all’indietro sul cuscino, trascinandola giù con sé.
- Lo voglio, lo voglio, lo voglio – ripetè lei in preda alla gioia più grande che avesse mai provato e dopo queste parole gli stampò tre rapidi baci sulle labbra.
Abel ridacchiò contento di quella risposta, mentre lei prese a dargli tanti baci sulle guance, la fronte, il naso e poi ancora le labbra, fino a tempestarlo dolcemente.
- Non potevo sperare in miglior risposta – riuscì a dire lui ridendo tra un bacio e l’altro, completamente schiacciato sul materasso dal dolce peso di lei.
Georgie si fermò un attimo, cercando di lasciar scorrere l’euforia – Abel scusa se la mia reazione non è stata seria e composta, ma lo sai come sono fatta. Quando sono felice non riesco proprio a nasconderlo. E ora sono al culmine della felicità grazie a te -.
Abel le sorrise e le chiese – Allora sei felice di diventare mia moglie? Non ti dispiace che non abbia pianificato la cosa e non abbia un anello con me? -.
Georgie spalancò gli occhi per lo stupore e rispose – Abel ma che razza di domanda mi fai? Mi conosci o no? Pensi davvero che mi interessi un gioiello? Credi che per me quello sia davvero importante? Non me ne faccio niente di anelli e proposte di matrimonio in grande stile. A me basta il tuo amore. E il fatto che tu me lo abbia chiesto all’improvviso senza pianificare nulla mi piace ancora di più. Ho sempre amato questo lato di te. Sai essere imprevedibile a volte e vivi di istinto. E così che ti voglio. A me non interessano le cose superflue, a me interessa la sostanza. E la sostanza è che ci amiamo e che vogliamo sposarci. Il resto non conta -.
Abel le sorrise rincuorato. Quella ragazza era incredibile sotto tutti i punti di vista.
Non riuscirono a soffocare oltre la gioia che stavano provando in quel momento e presto cedettero ancora una volta alla passione, facendo l’amore ancora e poi ancora e un’altra volta ancora.
Quella era la loro notte. Tutto il resto del mondo era chiuso al di fuori della porta di quella stanza. Lì dentro c’erano loro due e solo questo contava. Avevano superato grandi difficoltà e si erano ritrovati uniti più che mai. Non dovevano far altro che abbandonarsi ai loro sentimenti ed assaporarne la gioia. Quella notte non era solo una notte di passione. Era il trionfo del loro amore.
Continuarono così ancora finchè non si arresero alla stanchezza, addormentandosi sereni e appagati in un profondo sonno ristoratore.
Dalla finestra della camera si intravedevano i primi deboli raggi di sole.
Stava albeggiando, ma a Georgie ed Abel non importava. Avevano bisogno di riposare ancora un po’.
Quel giorno sarebbe stato un grande giorno. Avevano buone notizie da dare ai loro cari e soprattutto avevano un matrimonio da organizzare.

 
TBC…….. 

 

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Capitolo 5
*** Matrimonio in vista ***


Capitolo 5 – Matrimonio in vista  
 
 Abel venne svegliato dai raggi di sole che illuminavano pienamente la stanza. Filtrava una calda luce dall’esterno e capì che ormai era mattina inoltrata.
Stretta tra le sue braccia dormiva serenamente Georgie. Sentire il suo dolce calore gli mise subito il buonumore e sorrise soddisfatto, ritornando con la mente alla notte appena trascorsa.
Era stato bellissimo. Si sentiva al settimo cielo. Si erano amati molto intensamente ed era stato semplicemente perfetto. Ora che l’aveva di nuovo con sé non l’ avrebbe più lasciata andare. Ora era sua e presto avrebbe avuto un figlio da lui.
Questo pensiero lo riempì di gioia e non potè trattenersi dallo stringerla ancora più stretta a sé. Georgie si mosse in quell’abbraccio, ancora addormentata, e si accoccolò meglio tra le sue braccia.
Dormiva un sonno profondo e sereno, consapevole di essere nel luogo più sicuro del mondo. Era stretta al suo Abel e non c’era nulla di più bello e rassicurante per lei di questo.
Abel le accarezzò dolcemente i capelli e le diede un bacio sulla fronte.
A quel contatto Georgie si svegliò. Non aveva ancora acquistato pienamente lucidità ma sapeva perfettamente dove si trovava e soprattutto con chi. Sentiva il calore del suo corpo avvolgerla completamente, sentiva il profumo della sua pelle invaderle le narici, il suo respiro caldo tra i capelli.
Sollevò il viso, aprì gli occhi e incontrò il suo sguardo adorante.
Com’era bello. Anche così, appena sveglio, era bellissimo. I capelli neri che ricadevano scomposti sulla fronte, gli occhi blu come il mare che la guardavano teneramente, le sue morbidissime labbra che le sorridevano.
Non seppe trattenersi e lo baciò. Poi incrociò il suo sguardo e gli sorrise.
- Buongiorno amore mio – disse lei con un sussurro.
- Ciao – rispose lui mentre riprese ad accarezzarle i riccioli biondi – Come stai? – chiese lui.
- Benissimo. Sto benissimo. Sono felice – rispose Georgie mentre lo guardava con una luce particolare negli occhi.
- Anche io sai. Non penso di essere mai stato così felice. Questa notte è stata meravigliosa. E poi è così bello averti qua ora. Non voglio lasciarti andare. Vorrei solo rimanere chiuso qui dentro per tutta la giornata e tenerti stretta tra le mie braccia. Prendimi per pazzo, ma ho quasi paura che se ti lascio andare potrei perderti – Abel pronunciò queste parole mentre prese a baciarle lentamente il collo.
- Mmmm Abel, se fai così però finiremo sul serio col non uscire più da questa stanza e mi sa che faremo insospettire tutti quanti – rispose Georgie, mentre sentiva che si stava lasciando andare un’altra volta a lui.
Abel cercò di trattenersi, ma con molta fatica – Hai ragione Georgie. Vorrei solo restarmene qui con te, ma….beh oggi abbiamo un compito importante. Ci sono grandi notizie da dare -.
Georgie incontrò il suo sguardo e sorrise – Esatto. Dobbiamo dirlo a tutti! -.
Abel sospirò e, cercando di racimolare più forza di volontà che potè, si staccò controvoglia da lei e continuò – Prima di tutto Georgie devo parlare a quattrocchi con tuo padre. Voglio chiedergli la tua mano. Voglio il suo permesso. Per me è molto importante. E poi voglio dirgli del bambino -.
Georgie sedette sul letto e coprì la propria nudità con il lenzuolo e guardandolo seriamente replicò –Abel non sei obbligato a parlargli del bambino. Possiamo sempre dirlo dopo che saremo sposati. Sarebbe più facile -.
- No Georgie, non voglio mentirgli. E’ giusto che sappia. Lui mi ha aiutato molto, mi ha accolto a braccia aperte e si merita il mio rispetto. Voglio che sappia tutto e che capisca che quello che è successo tra noi è frutto dell’amore. Non voglio che pensi nemmeno per un attimo che mi sono approfittato di te e di lui. Voglio che capisca che ti amo e che ho intenzioni serie. Non ti nego che questa cosa un po’ mi preoccupa, ma la voglio fare perché lui merita la mia onestà. Non ti preoccupare per me Georgie, se mi colpirà con un pugno me lo prenderò senza dire una parola. Sei la sua unica figlia e capirò se si arrabbierà perché ti ho toccato. L’importante è che capisca che ti amo e che per te e nostro figlio io ci sono -.
Georgie sorrise intenerita a quelle parole e cercò di rassicurarlo – Innanzitutto papà ti vuole bene e non ti colpirebbe mai. Sa che mi ami e secondo me non dirà nulla sul fatto che sono incinta. Sa che di te si può fidare. Ormai per lui sei come un figlio -.
Abel sospirò, sperando che le parole di Georgie corrispondessero al vero.
Rispettava e stimava molto il conte Gerald. Voleva fare tutto per bene e non sbagliare. Voleva meritarsi la sua fiducia e voleva fargli capire le sue intenzioni.
Speriamo Georgie – rispose Abel – Speriamo davvero che sia come dici tu – e dopo un profondo sospiro continuò – E comunque tra poco lo scopriremo -.
 

La colazione si svolse in un insolito silenzio quel mattino.
Il conte Gerald continuava a spostare lo sguardo da Georgie ad Abel e poi da Abel a Georgie, rendendosi conto che c’era qualcosa di strano e cercando di capire di che cosa si trattasse.
Georgie era semplicemente raggiante. Bella come quella mattina non l’aveva mai vista. Aveva un’espressione felice e gli sembrava che, nonostante la calma apparente che sua figlia voleva ostentare in quel momento, in realtà dentro celasse un uragano di energia positiva.
Abel invece era visibilmente agitato, anche se faceva di tutto per nasconderlo. Ormai il conte aveva imparato a conoscerlo e aveva notato il modo in cui Abel era solito guardare Georgie la mattina mentre facevano colazione. Lo aveva sorpreso più volte a sbirciarla di sottecchi, con lo sguardo sognante. Si capiva che quel ragazzo la amava dal modo in cui si perdeva a guardarla mentre lei compieva un banale atto quotidiano. Ovviamente il conte aveva sempre finto di non accorgersene per non metterlo in imbarazzo, ma non gli era mai sfuggito nulla.
Quella mattina invece Abel era diverso. Mangiava in silenzio, assorto nei suoi pensieri, con lo sguardo fisso nel piatto, senza concedersi alcuna distrazione. Era come se qualcosa lo preoccupasse, ma non riusciva a capire cosa.
Finito di mangiare, Georgie con una scusa si congedò da loro, mentre Abel si fece forza e chiese al conte se aveva un po’ di tempo per lui. Il padre di Georgie rimase colpito dall’espressione seria del ragazzo e si rese conto che doveva trattarsi di qualcosa di molto importante.
Forse avrebbe avuto modo di capire il perché dello strano comportamento di Abel e Georgie a tavola pochi minuti prima e, accondiscendendo alla richiesta, mise un braccio sulla spalla di Abel e lo condusse lungo il corridoio fino al suo studio, per avere un po’ di tranquillità.
Poco dopo il conte Gerald chiuse la porta e si rivolse ad Abel – Dimmi tutto figliolo. Hai detto che volevi parlarmi. Spero che vada tutto bene. C’è qualche problema? -.
Abel deglutì e cercò di calmarsi. Il conte si era dimostrato sempre leale e disponibile con lui. Lo aveva accolto in casa sua, lo aveva aiutato quando si era sostituito ad Arthur e poi ancora dopo quando aveva cercato di evitargli l’esecuzione, salvandogli la vita. Era una persona fidata, un amico vero, una persona che stimava e sentiva il bisogno di essere onesto con lui. Lo rispettava molto e sperava di essere ben accetto, sia come futuro marito di sua figlia che come padre di suo nipote.
Il grande timore di Abel era che il conte volesse qualcosa di più per Georgie. Qualcuno alla sua altezza, qualcuno di sangue blu. Lui invece non era nobile, era un ragazzo semplice, cresciuto modestamente in una casa di contadini.
Avrebbe mai il conte permesso che la sua amata figlia appena ritrovata si sposasse con un ragazzo come lui? Che cosa avrebbe mai pensato la nobiltà londinese di quell’unione? Il conte aveva appena riacquistato il rispetto di quella gente e ora avrebbe permesso a sua figlia di legarsi ad un uomo qualunque? E se poi si fosse saputo della gravidanza, che avrebbero detto? Si sarebbe sicuramente gridato allo scandalo. E sia il conte che Georgie avrebbero potuto perdere credibilità e vedere infangato il loro buon nome. E lui questo non lo voleva. Chiedeva solo di poter amare la sua Georgie senza fare del male a nessuno.
- Ho bisogno di chiedervi una cosa molto importante conte – disse Abel guardando il conte dritto negli occhi – e non vi nego che ho un po’ timore della vostra risposta – aggiunse con espressione turbata, ma con lo sguardo sempre alto e fisso su di lui.
Il conte si stupì di quelle parole e non seppe cosa aspettarsi da quel colloquio.
- Abel mi stai facendo preoccupare. Spero che non sia nulla di grave – disse con aria interrogativa.
Abel fece un bel respiro per calmarsi e continuò – Conte Gerald io amo vostra figlia. La amo da sempre. E non è un sentimento passeggero, è qualcosa di profondo. Io quella ragazza la conosco come le mie tasche. Sono cresciuto con lei e so tutto di lei. E posso affermarvi con certezza che la amo in tutto e per tutto. Amo ogni singolo, piccolo particolare. Ogni pregio e ogni difetto. Lei è la mia vita. Senza di lei non avrei più senso – finì la frase e sentì l’emozione salirgli dal cuore e rompergli la voce.
Continuò il suo discorso, anche se un leggero velo di lacrime gli appannò la vista – Darei qualunque cosa per Georgie. Darei la mia vita senza esitare un istante. L’ho amata e protetta da quando siamo bambini e lo continuerò a fare. Lei è la mia priorità. Lo è sempre stata e sempre lo sarà. E ora so che anche lei mi ama. Pensavo che non sarebbe mai accaduto e invece è successo. Ricambia il mio amore e io a volte ancora mi chiedo se è tutto un sogno, perché è troppo bello per essere vero -.
Abel si interruppe un attimo attendendo una qualche reazione dal padre di Georgie, cosa che però non avvenne. Il conte era fermo davanti a lui e lo fissava seriamente, ascoltando con molta attenzione quello che lui aveva da dire. Così si fece animo e andò avanti.
- Conte, io oggi sono qui perché voglio chiedervi la mano di Georgie. Ieri sera le ho fatto la proposta e lei ha accettato con molto entusiasmo, ma ora ho bisogno della vostra benedizione. Siete suo padre e so quanto l’avete cercata in questi anni e quanto l’amate. E so quanto vi stia a cuore il suo futuro, quanto sia importante per voi che lei sia felice e che sposi la persona giusta -.
L’espressione di Abel si fece triste e abbassò lo sguardo, proseguendo – Vedete io non sono uno stupido. So benissimo di non essere la persona più adatta per sposare la figlia di un conte. Sono il figlio di un contadino. Ho fatto il marinaio. Vivo una vita semplice. Non ho un titolo nobiliare, non ho grandi proprietà e molte ricchezze da offrire a vostra figlia. Ma ho tutto il mio amore, tutta la mia devozione e penso di conoscerla abbastanza bene da sapere quello che la può fare felice. Se Georgie fosse cresciuta con voi qui in Inghilterra, io non avrei speranze. Ma lei è cresciuta con me  in una fattoria, tra campi, prati e greggi di pecore. Si divertiva a correre scalza sull’erba e a pescare al ruscello. Ama la libertà ed è selvaggia e passionale come lo sono io. Ecco perché credo di saperla rendere felice. Perché siamo molto simili, siamo una cosa sola. E vi posso assicurare che la amo e la rispetto come pochi saprebbero fare. Vi prego, non chiedo altro che il vostro consenso. Per me è molto importante -.
Il conte ascoltò ogni singola parola e appena Abel concluse, tirò un profondo sospiro.
- Era questo che ti preoccupava prima durante la colazione? – chiese il conte a quel punto.
Abel si stupì di quella domanda e disse un po’ incerto – Perché me lo chiedete? -.
Il conte rise e gli rispose – Perché stamattina ti ho visto un po’ turbato e quando mi hai detto che volevi parlarmi temevo che fosse successo qualcosa di brutto. Ma invece posso constatare con gioia che avevi da darmi una lieta notizia -.
Abel si sentì più leggero a quelle parole e sorrise imbarazzato.
Il conte proseguì – Vedi Abel, neppure io sono uno stupido. Avevo perfettamente capito che tu e Geogie eravate innamorati -.
Abel trasalì e lo guardò stupito.
- Si vede da come la guardi che la ami molto. E ho capito i sentimenti di Georgie per te quando ti abbiamo aiutato a far fuggire Arthur da Irvin e tu ti sei sostituito a lui. Era molto preoccupata per te e molto triste. Per non parlare di quando ti hanno incarcerato. Avevo capito che quello che la legava a te non era amicizia o un sentimento fraterno. Era amore. La mia bambina era cresciuta e si era innamorata sul serio. Quindi ora non mi stupisco se tu mi chiedi la sua mano. Anzi, sarò sincero con te, ne sono onorato. Sai Abel, tu non mi devi chiedere nessun permesso. Sei tu che hai vissuto con lei, che l’hai amata e protetta e che la conosci. Non devi chiedere niente a nessuno. Direi che è tua di diritto. Io la conosco solo da pochi mesi, anche se è sangue del mio sangue. So che posso fidarmi di te, so che la ami e che la farai felice. Quindi io non posso far altro che essere felice con voi e darvi la mia benedizione per questo matrimonio -.
Abel gli sorrise commosso, sussurrando – Grazie mille. Io sono onorato di aver ricevuto il vostro consenso -.
Il conte fu molto colpito da quelle parole e mise entrambe le mani sulle spalle di Abel, dicendogli mentre lo fissava dritto negli occhi – Figliolo voglio che tu sappia che non me ne importa nulla se non sei nobile. Non è questo che cerco per mia figlia. Io voglio solo il suo bene e so che con te è al sicuro. So che vivrà un grande amore e questo è quello che conta -.
Abel sorrise a quelle parole, ma replicò serio – E non vi importa quello che penseranno gli altri nobili? Che diranno quando sapranno che la figlia del conte Gerald sposa un uomo comune? So cosa pensano di quelli come me. Quando mi è capitato di aver a che fare con persone nobili ho sempre subito il loro sguardo altezzoso e l’espressione tipica di chi ti considera inferiore. Sono povero, senza titolo, sono cresciuto in Australia, lontano dai lussi di Londra. So che pensano che sono un selvaggio, uno a cui nessuno di loro affiderebbe mai la propria figlia. Mi disprezzerebbero senza ombra di dubbio. Voi siete stato il primo a non farmi sentire così. Vi stimo molto conte. E’ per questo che non voglio gettare vergogna su di voi o su Georgie. Voglio essere sicuro che non vi pentirete mai della vostra decisione -.
Abel rimase in attesa di una risposta, ma non si sarebbe mai immaginato di riceverla con tanto trasporto e tanta veemenza.
Le mani che il conte aveva appoggiato sulle sue spalle improvvisamente rafforzarono la presa. Il conte spalancò gli occhi e alzò la voce – Non dire assurdità Abel. Tu pensi che potrei vergognarmi di te? Pensi davvero che mi interessi il rispetto di quella gente? -.
Fece una breve pausa, cercando di calmarsi e togliendo le mani da addosso ad Abel. Riprese a parlare, ma in toni più pacati – Sai figliolo, una volta forse mi sarebbe importato di essere ben accetto da quelle persone. Ma poi ho subito un torto da parte di tutti loro. Quando Dangering mi incolpò ingiustamente del complotto ai danni della Regina, nessuno di loro ebbe dubbi su di me. Per tutti ero un traditore, un assassino. Nessuna di quelle persone, che per anni si erano dichiarate amiche, aveva speso una parola per me. Io e la mia Sofia cademmo in disgrazia da un giorno all’altro. Io venni incarcerato e lei isolata da tutti. Più nessuno voleva saperne di noi. Ho dovuto patire le pene dell’inferno quando venni deportato in Australia. Ho subito le umiliazioni peggiori pur essendo innocente e la cosa che più mi ferì fu la sofferenza di mia moglie. Sofia rimase sola con una bimba in fasce. Cercò di scappare da quell’inferno, ma riuscì solo a mettere in salvo la piccola Georgie, mentre lei trovò la morte. E tutto per colpa di Dangering e di quella gente che ci aveva voltato le spalle. Ci avevano giudicato senza sapere se davvero ero colpevole. Ora sono tornati a sorridermi e a fingersi amici, ma non mi fido più di loro e non mi importa più di quello che pensano. Che prezzo ho dovuto pagare? Ho perso mia moglie e ho passato la vita a cercare mia figlia. Pensano di avermi restituito l’onore solo perché sono riuscito a dimostrare di essere innocente. Ma in realtà non mi hanno restituito niente, perché le persone care della mia famiglia le avevo perdute. Quindi credimi figliolo. Di quello che pensano loro non mi importa proprio nulla. Sono fiero della persona che sposerà mia figlia. Il resto non conta -.
Finì il suo discorso visibilmente emozionato e Abel capì che il conte era veramente una persona speciale. Lo guardò con ammirazione e gli disse – Ho sempre pensato che Georgie fosse una ragazza straordinaria e ora so a chi assomiglia. Vi ringrazio ancora e vi rinnovo la mia stima. Siete davvero una uomo incredibile conte Gerald. Avrete sempre la mia fedeltà e il mio rispetto -.
Il conte sorrise ad Abel, onorato per quelle parole. Gli diede una pacca sulle spalle e aggiunse – Grazie Abel. La stima è reciproca. Ma ora perché non andiamo dalla nostra Georgie? -.
Ma Abel non aveva ancora finito e disse – Conte ci sarebbe ancora un’ultima cosa -.
- Bene, allora dimmi subito figliolo, perché ho voglia di correre da mia figlia e congratularmi – rispose il conte con un sorriso raggiante sul volto.
Abel sapeva di essere arrivato al punto dolente, ma era rinfrancato dalle parole che gli erano state dette poco prima, quindi trovò il coraggio di continuare – Sono felice che abbiate capito il sentimento che mi lega a Georgie. Quindi spero che possiate anche comprendere la disperazione che abbiamo provato quando ero incarcerato in attesa di essere fucilato. Sono stati momenti terribili. Ero sicuro che non avrei mai più rivisto la mia Georgie. Mi sentivo a pezzi. Finchè un giorno lei non è venuta a farmi visita in quella cella. Non so come spiegarlo a parole. Ma è stata un’emozione fortissima, di un’intensità tale da farmi dimenticare dove mi trovavo. E’ stato lì che vostra figlia mi disse di amarmi -.
Abel si interruppe un attimo, in preda ad un evidente imbarazzo, ma sapeva di dover finire quel discorso.
- Conte io non avevo nessuna intenzione di mancare di rispetto a Georgie e nemmeno a voi. Ma era da troppo tempo che aspettavo quelle parole da vostra figlia. Era da troppo tempo che la amavo disperatamente. E credevo che presto sarei morto. Non ho più pensato a nulla, se non a lei, la mia Georgie, la mia vita -.  
Abel si fermò un istante e lo fissò dritto negli occhi – E ora Georgie aspetta un bambino -.
Il conte spalancò gli occhi per la sorpresa, ma non disse nulla e Abel continuò – Non ho chiesto a Georgie di sposarmi perché è incinta. Lo avrei fatto comunque. E’ una cosa che desidero da sempre. L’avrei voluta in moglie comunque. Però è giusto che sappiate che è successa questa cosa tra noi e che ora lei porta in grembo mio figlio. La amo ancora di più, per quanto sia possibile aumentare un amore che è già immenso. E già sento di amare questo bambino, che per me è un dono del cielo. Voglio solo che sappiate che mi prenderò cura di lei e che quello che è successo è stato dettato dall’amore -.
Il conte esplose in una risata cristallina, dicendo – Ora ho compreso appieno la tua preoccupazione di stamattina. Non temere Abel, non ce l’ho con te. Non mi devi troppe spiegazioni. Te l’ho già detto, vedo quanto vi amate e so che di te mi posso fidare -.
E poi preso da affetto paterno si avvicinò ad Abel e lo abbracciò – Oggi mi hai dato solo belle notizie, figliolo. Vedrò mia figlia sposarsi e sarò presto nonno. Non potevo chiedere di meglio -.
Abel si commosse e il conte proseguì – Voglio chiederti una cortesia. Hai già dato l’anello di fidanzamento a mia figlia? -.
Abel venne colto da un po’ di imbarazzo e ad occhi bassi rispose – No, non ancora, ma voglio rimediare…. – non riuscì a finire la frase, che il conte lo interruppe – Abel stai tranquillo, non volevo metterti a disagio. E’ solo che magari potresti accettare una mia richiesta. Mi faresti molto felice -. E si diresse verso la scrivania posta di fronte ad una grande finestra di quello studio. Aprì un cassetto e tirò fuori una piccola scatola di velluto blu.
Si portò innanzi ad Abel e la aprì, mostrandogli un bellissimo anello di diamanti. Abel rimase affascinato da quel gioiello e disse – E’ stupendo -.
- Vedi Abel – spiegò il conte – chiesi la mano della mia Sofia con questo anello. Lei non se ne separava mai. Dovette venderlo quando cademmo in disgrazia. Sapevo quanto ci teneva a questo gioiello e quanto le costò privarsene. Era il simbolo del nostro amore. Quando feci ritorno a Londra riuscii a trovare chi lo aveva acquistato e lo ricomprai. Mi ripromisi che lo avrei dato a Georgie, se fossi mai riuscito a ritrovarla un giorno. E questa mi sembra un’ottima occasione per darglielo -.
Si abbracciarono ancora e Abel prese la scatola con l’anello, estremamente riconoscente al conte Gerald per quel dono.
Dopodichè il conte esclamò – Bene ragazzo, adesso basta con le confessioni e le paure. Questo è un gran giorno e voglio festeggiare. Andiamo dalla mia bambina ora. Voglio congratularmi con lei e abbracciarla! -.
 

Quel pomeriggio il conte Gerald invitò presso la sua residenza tutte le persone care a Georgie ed Abel per un thè tra amici. Voleva annunciare a tutti la grande notizia e brindare ai futuri sposi.
Non potevano mancare gli inseparabili Emma e Dick, il fidato conte Wilson, Catherine e i suoi genitori con tanto di Junior al seguito e poi la piccola Joy e anche il signor Allen. Venne anche Maria. Ultimamente la ragazza non si era fatta molto vedere, a causa dello scandalo che aveva coinvolto la sua famiglia. Come fu per il conte Gerald in passato, ora toccava a lei la triste realtà di essere ignorata da tutti. Stare in pubblico le procurava solo vergogna e amarezza. Era meglio la quiete di una casa in campagna appena fuori Londra, lontano da tutto e da tutti.
Ma a Georgie non aveva saputo dire di no. Con lei e con i suoi amici non si sentiva in imbarazzo. Loro non la giudicavano, anzi cercavano di capirla.
Era triste Maria. Non solo perché era stata bandita dall’alta società londinese. Soffriva per la perdita del suo amato Cain.
Quello che inizialmente le era sembrato un ragazzo carino e che voleva come fidanzato per capriccio, finì per rubarle il cuore. Ed ora non c’era più. E lei odiava la sua famiglia per il male che gli aveva fatto. E si sentiva terribilmente in colpa per non aver capito quello che stava davvero succedendo.
Tuttavia quel giorno accettò l’invito a casa Gerald e tentò di sorridere alla buona notizia che il conte aveva dato.
- Almeno Abel e Georgie potranno essere felici – pensò tra sé e sé, mentre intorno a lei era scoppiata un’incontenibile allegria alla notizia di quel fidanzamento.
Erano tutti davvero molto contenti. Pensavano che quei due ragazzi si meritassero un po’ di serenità dopo tutto quello che avevano dovuto passare.
Emma in particolare era emozionata. Continuava a piangere dalla gioia e Georgie cercava senza successo di calmarla.
Dick se ne stava in un angolo a guardare la scena divertito, scuotendo la testa per la comicità di quel momento. Poi si rivolse ad Abel con un largo sorriso sul volto – Amico mio, le donne sono proprio strane, ma queste due davanti noi in quanto a stravaganza le battono tutte! -.
Abel ridacchiò a quelle parole e convenne con Dick che in effetti Georgie ed Emma non erano facili da interpretare, soprattutto quando erano insieme.
- Non capite niente voi! – replicò Emma stizzita per le prese in giro dei due ragazzi, mentre cercava di asciugarsi le lacrime – Siete insensibili e non comprendete quando una persona si commuove. Georgie è mia amica e presto sarà sposa e poi anche mamma. Ma come faccio a non gioire per lei, me lo dite? – e finì la frase ricominciando a piangere a dirotto.
Dick era incredulo e rispose – Ma tesoro mio, tu puoi gioire quanto vuoi per Georgie, ma in questo momento stai piangendo come una fontana. L’ultimo pensiero che si ha guardandoti è che tu sia felice! -.
Risero tutti e quattro a quella constatazione e Georgie ed Emma si abbracciarono affettuosamente.
- Sono uomini Emma – disse Georgie all’amica strizzandole l’occhio – non capiscono proprio niente di emozioni femminili. Lasciali dire. Io so che sei felice per me, anche se piangi senza sosta -
Poco dopo Emma riuscì a calmarsi e volle parlare con Georgie in disparte.
- Allora, raccontami tutto per bene. Sai già che vestito vuoi indossare per il grande giorno? – chiese Emma al culmine della felicità per Georgie.
- Non lo so ancora. Quando ero con Lowell parlavamo di matrimonio e avevo pensato al vestito che avrei voluto indossare. Lo avevo immaginato nella mia mente e promisi a me stessa che avrei comprato la stoffa e lo avrei cucito con le mie mani. Ma ora se ripenso a quell’abito non mi ci vedo più dentro. E’ come se non mi rappresentasse veramente. Non sarei io con quel tipo di vestito addosso. Ora vorrei qualcosa di mio. Qualcosa che mi faccia sentire la Georgie che sono davvero. La Georgie che Abel conosce ed ama. Voglio un vestito che possa piacere anche a lui. Questa volta non è un fuoco di paglia come con Lowell, questa volta è vero amore e il matrimonio non è solo un’idea ma una realtà. Ho bisogno di un vestito che sia all’altezza di quel giorno. Non deve essere necessariamente sfarzoso. Io e Abel siamo persone semplici. Ma a volte è proprio nella semplicità che si trova l’eleganza e la bellezza, non credi Emma? – e mentre pronunciò queste parole chiuse gli occhi e iniziò a pensare al vestito perfetto.
Emma sorrise e le rispose – Oh sì Georgie! Hai proprio ragione! E scommetto che stai già visualizzando nella tua bella testolina l’abito che vorrai indossare -.
Georgie aprì gli occhi, le sorrise e disse – Mi sa proprio di sì! -.
Emma la abbracciò con entusiasmo e disse -  Georgie metti su carta quel modello e dammi poi il disegno. Voglio cucirlo io per te. Sarà il mio regalo di nozze. Vorrei donarti qualcosa che sia all’altezza di una contessa, ma purtroppo sai che io e Dick non siamo molto abbienti -.
Georgie trasalì a quella frase e si affrettò a parlare – Emma non dire stupidaggini! Non voglio nessun regalo costoso! E poi non sono una contessa. Sono Georgie. Sono esattamente come te. Non amo i lussi, gli sfarzi e le cose costose. Il nostro sarà un matrimonio semplice e per pochi intimi. Quindi non dire più sciocchezze per favore! -.
Emma si commosse alle parole di Georgie, ma era determinata a fare un bel regalo alla sua amica – Georgie non me ne frega niente se sei o non sei una contessa. Io voglio farti un regalo speciale, perché sei un’amica speciale e ti voglio bene. Non posso spendere molti soldi, ma posso permettermi una bella stoffa e cucirti il vestito con le mie mani. Ci tengo davvero. Quindi disegna quell’abito e lascia che sia io a realizzarlo per te -.
Georgie apprezzò molto il gesto dell’amica e la abbracciò forte, ringraziandola ripetutamente, stavolta lei stessa travolta dalle lacrime.
 

Era sera inoltrata ormai e tutti gli amici se ne erano andati. Anche il conte si era ritirato in camera sua, ancora al settimo cielo per le belle notizie che aveva ricevuto quel giorno.
Georgie ed Abel erano ancora nel salone a piano terra, avevano appena finito di riordinare e si apprestavano ad andare a dormire, non prima però di essersi scambiati qualche effusione sul grande divano di velluto.
- Sono stanchissima. E’ stata una giornata bella ma impegnativa. Troppe emozioni tutte insieme. Ho davvero bisogno di una bella dormita – disse Georgie tra gli sbadigli.
Anche Abel era stanco, ma non aveva ancora finito con lei. Gli mancava un’ultima cosa per rendere quella giornata davvero meravigliosa.
- Dai Georgie, non arrenderti subito al sonno. Abbiamo una serata stupenda. L’aria è tiepida, c’è la luna piena e stanno sbocciando le rose. Prima di ritirarci potremmo farci una romantica passeggiata in giardino sotto le stelle. Ti prometto che non ci metteremo molto – Abel la guardava supplichevole, sperando di essere stato convincente.
Georgie era davvero molto stanca, ma l’idea che Abel aveva avuto non era malvagia e poi non sapeva dirgli di no quando la guardava così. E finì per acconsentire.
- Non hai avuto una cattiva idea Abel. In effetti la serata è proprio stupenda. C’è un chiaro di luna bellissimo e poi il giardino è pervaso dal profumo di rose. Si sta davvero bene -.
Abel era contento che lei non si fosse pentita di quella passeggiata e le passò un braccio attorno alla vita, stringendola a sé mentre continuavano a camminare nel vialetto tra i fiori.
Arrivarono davanti alla grande fontana sul retro della casa e si sedettero sulla panchina di pietra posta nelle vicinanze.
C’era un’atmosfera bellissima. La luna illuminava il giardino con la sua luce di perla, soffiava una leggera brezza primaverile che portava con sé il profumo intenso dei fiori sparsi intorno a loro e regnava una rilassante quiete, dolcemente rallegrata dal rumore dell’acqua di quella fontana e dal canto dei grilli.
- Sai Georgie, tuo padre mi ha confidato che questo era l’angolo del giardino che tua madre preferiva. Amava venire qui a leggere o a ricamare e quando era incinta di te se ne stava su questa panchina a guardare i getti d’acqua della fontana, mentre pensava a come saresti potuta essere, se fossi stata un maschio o una femmina e a che nome darti. E aveva ragione. Trovo che sia un posto molto bello questo – disse Abel sorridendole teneramente.
Georgie si emozionò a quel racconto. Quanto aveva pensato alla sua vera madre e quanto le mancava a volte. Una lacrima le scese giù lungo la guancia e lei non fu capace di trattenerla.
Abel la notò e le accarezzò dolcemente il viso, asciugandole gentilmente la lacrima con le dita.
- Hey piccola non fare così. Non volevo farti piangere. Oggi deve essere un giorno pieno di allegria e non voglio vederti triste – disse lui con voce pacata, mentre continuava ad accarezzarle la guancia.
Georgie prese la mano che Abel aveva posato sul suo viso e la baciò amorevolmente, replicando con un triste sorriso – Non mi hai fatto piangere e, credimi, sono tanto felice. E’ solo che se ripenso alla mia mamma divento un po’ triste perché mi manca. Non l’ho mai conosciuta e a volte mi chiedo come sarebbe stato averla accanto. Di lei ho solo questo braccialetto che porto sempre con me e nient’altro. Ora grazie ai racconti di papà ho l’occasione di conoscerla meglio, ma non sai cosa darei per poterla abbracciare almeno una volta -.
Abel si sentì stringere il cuore per la tenerezza. Non voleva vederla così. Sembrava così piccola e indifesa in quel momento. Le riprese il viso con entrambe le mani e le sorrise, dicendo – Sono sicuro che lei ti sta guardando da lassù Georgie. Anche se non l’hai mai conosciuta sai che ti ha amato moltissimo. Continuerà a proteggerti e non ti lascerà mai sola. Ora scaccia quell’espressione malinconica e fammi un bel sorriso -.
Georgie si sentì rinfrancata da quelle parole e gli sorrise.
Abel sospirò sollevato – Bene piccola mia, è così che ti voglio. Non sono venuto fino a qui per vederti triste. Sinceramente speravo di vederti contenta dopo questa passeggiata sotto la luna -.
- Che intendi dire? – chiese Georgie senza capire dove Abel volesse andare a parare.
Abel si alzò dalla panchina e si mise davanti a Georgie che rimase seduta, fissandolo con aria interrogativa.
Abel continuò il suo discorso – Intendo dire che con te ho un discorso in sospeso, mia cara -.
Georgie stava davvero non capendo più nulla – Abel non riesco davvero a capire a cosa ti riferisci – disse guardandolo dubbiosa.
Abel le sorrise e proseguì – Mi riferisco al fatto che ho chiesto ad una meravigliosa ragazza di sposarmi perché la amo da impazzire. Ma non l’ho fatto in maniera adeguata. Credo che lei meriti molto di più. E quindi sono qui per rimediare -.
Georgie era senza parole. Ma che intenzioni aveva Abel? Sentì il cuore batterle forte. Dopo una giornata così piena di emozioni, quello era il degno finale. Abel sapeva davvero sorprenderla sempre.
Abel la guardò intensamente e le disse – Georgie io ti amo. Ti amo da sempre. Voglio vivere con te una vita fatta di momenti speciali e di tanta felicità. Voglio starti vicino e godere della tua compagnia. Voglio essere tutto per te. L’amico fidato, il marito devoto, l’amante passionale, il padre premuroso. Non voglio farti mancare nulla. Voglio condividere con te la gioia del figlio che sta arrivando e voglio stare sempre con te, invecchiare con te. Non voglio perdermi niente. Voglio solo avere il privilegio di poterti amare senza paura. Voglio voltarmi e vederti al mio fianco. Voglio ammirare la tua bellezza, ridere per la tua allegria, asciugarti le lacrime quando sarà il caso. Voglio averti per sempre e non lasciarti mai più, perché per me tu sei la cosa migliore che mi sia mai successa. Sei la cosa più importante. Sei la mia stessa vita – e pronunciate queste parole si inginocchiò davanti a lei, prendendo dalla tasca una piccola scatola blu e rivelando al suo interno un anello di diamanti.
Georgie ammirò quel gioiello e spalancò gli occhi per la sua bellezza. Rimase senza parole.
Abel le aveva appena detto parole stupende e ora le stava dando un anello meraviglioso, simbolo del loro amore.
Abel si schiarì la voce e proseguì – Georgie Gerald, te lo chiedo per la terza volta in effetti ma questa volta lo faccio per bene… vuoi rendermi l’uomo più felice del mondo, accettare questo anello e diventare mia moglie? -.
Georgie era emozionata. Gli aveva già detto di sì la sera prima dopo che lui glielo aveva chiesto ben due volte, e ora le rifaceva ancora quella domanda. Ma nonostante tutto era come se fosse la prima volta. Sentiva solo che il cuore le galoppava nel petto all’impazzata e che gli occhi si inumidivano per le lacrime.
Sospirò in preda all’emozione e rispose – E io Abel Buttman ti rispondo per la terza volta. E ti rispondo sempre sì. Sì. Sì. Sì. Certo che è sì. E se me lo chiedessi mille volte ti direi sempre e ancora sì. Perché anche se sei un incredibile testardo, perché anche se non mi ascolti quando parlo e ti ostini a volermi dare un gioiello che non ti ho chiesto, io ti amo da morire e ti voglio con me. Non potrei mai vivere senza di te -.
Abel sorrise e le infilò l’anello al dito. Georgie lo guardò meravigliata – E’ bellissimo -.
Allora Abel le spiegò la storia di quell’anello – Me lo ha voluto dare tuo padre. Ci teneva molto. E’ l’anello con cui si fidanzò con tua madre. Ha voluto regalarcelo perché crede che sia giusto che ora appartenga a te. E’ un ricordo di tua madre. E io sono lusingato di potertelo dare come anello per il nostro fidanzamento -.
Georgie fu molto felice – Allora è ancora più bello. Ha una doppia valenza, simboleggia il nostro amore e ogni volta che lo guarderò non solo penserò a questa serata, ma anche a mia madre che veglia su di noi e benedice il nostro matrimonio -.
Abel la prese tra le sue braccia e la baciò dolcemente – E’ giusto che una contessa abbia il suo anello di fidanzamento. Ora appartieni alla nobiltà inglese, non devi dimenticartene  - aggiunse lui serio.
Georgie gli diede un leggero pugno sulla testa e replicò – Ma allora non vuoi capire! A me di quello che è conveniente fare o non fare in certi ambienti non interessa. L’anello è stupendo e ha un valore affettivo per me, quindi lo accetto di buon grado. Ma sia ben chiaro che non pretendevo niente da te. Un gioiello non rende un amore più forte. Solo il cuore lo può fare. Tutto il resto è in più, non è fondamentale – e aggiunse guardandolo dritto negli occhi – e poi voglio che ti sia ben chiara una cosa. Io non appartengo alla nobiltà inglese. Non ho nulla da spartire con quella gente – e subito dopo lo baciò.
Abel sorrise soddisfatto e disse – Ah no? Non appartieni a loro? E sentiamo allora, a chi apparterresti tu? -.
Georgie lo guardò in maniera molto intensa, con gli occhi che brillavano di una luce particolare e con voce dolce gli rispose – Appartengo solo al mio Abel. E a nessun’altro -.
Abel rimase piacevolmente stupito da quella affermazione. Le accarezzò il volto teneramente. Non seppe trattenersi oltre e la baciò. Fu un bacio lungo. Dapprima lento, ma si trasformò man mano, diventando sempre più profondo, più appassionato.
Rimasero un po’ così, seduti ed abbracciati su quella panchina al chiaro di luna. In silenzio, col rumore di quella fontana che accompagnava le loro effusioni d’amore.
Finchè vinti dalla stanchezza non si rialzarono e mano nella mano percorsero lentamente il vialetto che li riportava verso la grande casa.
 
 
TBC…. 

 

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Capitolo 6
*** Il giorno più bello ***


Capitolo 6 –  Il giorno più bello   
 


"GEORGIE & ABEL WEDDING TRIBUTE"



Nella piccola chiesa di campagna appena fuori da Londra, Abel attendeva la sua Georgie all’altare, circondato da un piccolo gruppo di amici sorridenti ed emozionati.
Il grande giorno era arrivato. E lui stentava a crederci.
Non gli interessavano i particolari, gli interessava la sostanza. Non si era preoccupato più di tanto dei preparativi. Aveva lasciato fare tutto a Georgie ed Emma. A lui importava solo che quel giorno lei sarebbe diventata sua per sempre.
Ci pensava già da bambino. E poi ci pensò più seriamente crescendo. E ci ripensò intensamente quando lasciò l’Australia per un anno per navigare e stare lontano da lei. Non poterle dire quanto l’amava, non poterlo gridare al mondo lo stava logorando e aveva preferito andarsene. Ma anche così, su una nave in mezzo all’oceano, il suo pensiero correva a lei. Il suo cuore batteva per lei. E sognava. Sognava che un giorno l’avrebbe fatta sua e si sarebbero sposati. E ogni volta che faceva quel pensiero, un po’ di tristezza gli invadeva il cuore, perché temeva che non sarebbe mai riuscito a realizzare quel desiderio.
E invece quel giorno, finalmente, dopo tante pene, era lì che l’aspettava in quella chiesa. E sentiva le gambe tremare per l’emozione e il cuore battere forte nell’attesa. Aveva così voglia di vederla, ma cercò di controllare la frenesia. L’aveva aspettata tutta la vita, qualche attimo in più non avrebbe fatto differenza.
E mentre stava in piedi di fronte a quell’altare con lo sguardo rivolto verso la porta di ingresso della chiesa, ebbe la consapevolezza di amarla più di qualunque altra cosa al mondo. Il suo amore per Georgie era nato quando lei ancora in fasce venne portata a casa da suo padre ed era cresciuto man mano ogni giorno che passava. Non c’era un perché preciso, l’amava e basta. Era naturale e spontaneo. Amarla per lui era necessario come respirare.
E oggi lei si sarebbe finalmente legata a lui per sempre davanti agli uomini e davanti a Dio.
No. Non aveva importanza se era emozionato e se ogni minuto che passava sembrava eterno. L’avrebbe aspettata finchè non fosse stata pronta ad entrare e andare da lui.
E improvvisamente lei apparve sulla porta di quella chiesa, con affianco suo padre.
Un angelo. Abel credette per un attimo che un angelo fosse apparso lì dinanzi a lui.
Era bellissima, semplicemente bellissima. Lo aveva lasciato senza parole. Non riusciva a far altro che guardarla avanzare lentamente al braccio di suo padre, mentre un dolce sorriso le illuminava il volto.
Era come se risplendesse di luce propria. I capelli biondissimi le ricadevano accuratamente acconciati sulle spalle, coperti da un leggero velo bianco, fermato sul capo da un piccolo diadema.
La spalla destra era avvolta da un grappolo di rose in raso bianco, attaccato ad un corpetto della medesima stoffa che le aderiva al busto, rivelando castamente la pienezza dei suoi seni. L’altra spalla era nuda, coperta appena dalla trasparenza perlacea del velo.
Appena sotto la vita, l’abito proseguiva, aprendosi in un’ampia gonna che riprendeva la particolarità della spallina, disegnando morbide rose di raso fino a terra, per lasciar spazio infine ad un vaporoso pizzo in candido tulle.
La sua figura gentile ed esile avvolta in quell’abito meraviglioso era una gioia per gli occhi. La gravidanza non si notava ancora e lei era splendida.
Emma si commosse nel vederla così bella nell’abito che aveva cucito per lei. – Sembra una principessa – pensò mentre si asciugava una lacrima.
Abel era incantato, la guardava in adorazione senza curarsi di quello che avveniva attorno a lui. Se fosse crollata la chiesa probabilmente non se ne sarebbe nemmeno accorto, troppo preso dalla sua sposa, troppo perso nella sua bellezza.
Georgie avanzava lungo la piccola navata della chiesa, guardando il ragazzo che la stava aspettando all’altare.
Il suo Abel, con cui era cresciuta nelle verdi praterie australiane. Ripensò a quando erano bambini e giocavano allegri all’aria aperta. E poi a quando si ritrovarono adolescenti, vivendo i primi turbamenti.
Lui era il suo passato e sarebbe stato il suo futuro. Rappresentava tutto per lei. Era il suo porto sicuro. Il braccio pronto ad alzarla quando cadeva. La spalla pronta a consolarla quando piangeva. L’abbraccio pronto a riscaldarla quando aveva freddo. Lui era parte di lei. Non avrebbe mai potuto amare qualcun’ altro. Non avrebbe mai potuto sposare qualcun’ altro. Lui era scritto nel suo destino.
Continuava a guardarlo davanti a sé, mentre la aspettava emozionato a quell’altare.
Era bellissimo e lei si rese conto che nonostante lo conoscesse da sempre, quel giorno era come se lo vedesse per la prima volta, come se fosse stata folgorata da un colpo di fulmine. Si sentiva attratta da lui come da una calamita e non poteva fare a meno di guardarlo innamorata come non mai e  di sorridergli.
Sentiva i suoi occhi su di sè. Uno sguardo intenso che l’aveva catturata completamente. In quel preciso momento tra loro scattò qualcosa di particolare. Esistevano solo loro due, tutte le altre persone erano scomparse. I muri di quella chiesa erano scomparsi.
Era come se stessero sospesi in aria, avvolti da una luce bianchissima. E l’unica cosa che contava erano loro due che si stavano guardando intensamente, che si stavano per incontrare e giurarsi eterno amore.
Vennero riportati alla realtà dalle note di un vecchio pianoforte suonato da un giovane. E si resero conto che non era un sogno. Era tutto vero. Stavano per sposarsi.
Georgie continuava ad incedere verso Abel accompagnata da quella dolce melodia, resa ancora più bella dalle parole:
 

“I just love you,
I don’t know why,
I just do….”

 
Finalmente furono uno di fronte all’altra, mentre il vecchio parroco di quella chiesa li guardava sorridendo.
- Sei bellissima – le disse Abel adorandola con gli occhi.
- Grazie – rispose lei lusingata per quel complimento, mentre sentì le guance arrossire leggermente.
Il conte Gerald commosso baciò sua figlia sulla fronte e si rivolse ad Abel con un sussurro – Abbi cura di lei - .
E dopo una leggera pacca sulla spalla, il conte lasciò l’altare per sedersi insieme agli altri nei banchi della chiesa.
Georgie ed Abel si sorrisero e si rivolsero al parroco, serenamente pronti ad unirsi in matrimonio.
La cerimonia fu semplice, ma commovente.
Il conte Gerald guardò la sua bambina mentre pronunciava la promessa e il suo pensiero volò alla moglie. Ricordò con nostalgia il giorno in cui sposò Sofia e la breve vita felice che avevano condiviso. E ripensò a quando nacque Georgie, alla gioia che avevano provato. E poi ripensò con tristezza alla morte di sua moglie e al dolore provato per la perdita della sua bambina. Quanto l’aveva cercata, senza sapere se fosse ancora viva, senza sapere dove poteva essere. E poi finalmente avvenne il miracolo. Riabbracciò la sua bambina che nel frattempo era cresciuta. Si era perso tutto di lei, ma ora aveva intenzione di starle accanto per sempre.
- Sofia, la nostra piccola è cresciuta – pensò vinto dall’emozione – e ha trovato l’amore. Vegliala dal cielo e fa che possa essere sempre felice -.
Anche Emma era commossa. Guardava la sua amica e non riusciva a trattenere le lacrime. Era bellissima Georgie quel giorno e lo era anche Abel. Erano davvero una coppia perfetta.
- Com’è cambiata da quando l’ho incontrata la prima volta – pensò Emma – Era una ragazzina ed ora è una donna -.
Si erano piaciute subito ed erano diventate buone amiche, accomunate dalla passione per il cucito.
A Emma piaceva la personalità di Georgie. Era una ragazza semplice, allegra, molto dolce. Quel tipo di persona che ami avere accanto, perché ti basta guardarla per essere di buon’umore.
Non aveva mai capito che cosa accomunasse Georgie a Lowell. Quando li aveva visti la prima volta si era subito resa conto che non avrebbero mai veramente funzionato insieme. Erano troppo diversi.
Georgie era spontanea, passionale, sempre positiva, molto socievole, mentre Lowell non sapeva lasciarsi andare come lei. Erano cresciuti in ambienti diversi, con caratteri diversi e non era facile superare quella differenza fra loro. Georgie poteva essere infatuata di lui, ma amarlo davvero era tutta un’altra cosa. Lei aveva bisogno di un ragazzo diverso al suo fianco. Aveva bisogno di qualcuno che le sapesse tenere testa.
E Abel era decisamente la persona giusta. Appena lo aveva visto aveva capito quanto lui l’amasse e si rese conto che sarebbe stata questione di tempo perchè Georgie capitolasse. E così fu.
Ed ora erano lì a quell’altare, bellissimi e felicissimi, mentre realizzavano il sogno più bello.
- Vi dichiaro marito e moglie – le parole del parroco risuonarono nella piccola chiesa, risvegliando tutti dai loro pensieri e dalle loro emozioni.
Georgie ed Abel erano marito e moglie. Dopo varie vicissitudini, erano finalmente uniti in matrimonio.
Abel prese Georgie per mano e si rese conto che stava tremando. L’emozione lo aveva travolto completamente. Georgie capì e gli sorrise teneramente avvicinandosi a lui e baciandolo con una dolcezza infinita.
- Ti amo – le disse lei con gli occhi lucidi.
- Ti amo anche io Georgie – rispose lui con un sussurro -  Ti amo più della mia stessa vita -.
Uscirono dalla chiesa mentre le campane iniziarono a suonare a festa. Gli amici si riunirono attorno a loro applaudendoli e felicitandosi.
La giornata era bellissima. Il sole risplendeva nel cielo color zaffiro e il verde della campagna inglese faceva da cornice.
Sulle loro teste volava frenetico Deegeery Doo, gridando a pieni polmoni “Geeoorgieee, ti amo Geeorgiieeee -.
Tutti risero a quella scena, mentre Georgie si rivolse dolcemente ad Abel dicendogli – E dove lo trovo io un altro uomo che insegna ad un pappagallo il mio nome per conquistarmi? -.
Abel le accarezzò la guancia teneramente, perso nella bellezza del suo volto – Farei questo e altro per te. Tu chiedimi qualunque cosa e io te la darò. Vivo per te amore mio. Voglio solo renderti felice -.
Dette queste parole si avvicinarono ancora uno all’altra e si baciarono nuovamente, completamente incuranti delle persone attorno a loro.
- Va bene che oggi vi siete sposati – disse Dick ad alta voce – ma adesso basta baci. Perché non rendiamo onore al banchetto nuziale invece? Tutto questo romanticismo mi ha fatto venire fame! -.
Tutti risero, compresi gli sposi, mentre Emma diede un pizzicotto a suo marito rimproverandolo – Dick sei un insensibile zoticone! Possibile che tu debba rovinare sempre tutto? -.
Georgie calmò l’amica e si pronunciò in favore del povero Dick – No Emma, tuo marito ha ragione. Oggi si deve festeggiare. Quindi mangiate e bevete a volontà. Il romanticismo lo lasceremo a dopo – e finì la frase facendo l’occhiolino a Dick.
Fu un giorno di gioia.
Tutte le nubi del passato vennero lasciate alle spalle. Era giunta l’ora di accantonare dolori e preoccupazioni e viversi il momento con spensieratezza ed allegria.
Georgie era contenta. Aveva ritrovato suo padre ed ora stava festeggiando con gli amici più cari il matrimonio con Abel.
Per un attimo il suo pensiero volò ad Arthur – Chissà cosa direbbe se ci vedesse oggi. Sarebbe felice per noi? – si interrogò mentre guardava il suo Abel divertirsi con gli altri.
- Penso di sì – continuò lei fra sé e sé – Arthur è sempre stato una persona generosa e altruista. Se ci avesse saputo felici insieme non si sarebbe mai opposto -.
Quanto le mancava Arthur, soprattutto in quell’occasione in cui è bello avere attorno le persone amate. Arthur faceva parte della sua famiglia e non averlo lì con loro le sembrava così strano e così ingiusto.
Ed era certa che anche Abel sentisse terribilmente dentro di sé la mancanza del fratello, ma non voleva esternarlo per non rovinare la gioia di quel momento.
- Arthur è con noi comunque – mormorò Georgie – di sicuro ci starà guardando da lassù e sono certa che è felice per noi -.
Pensò anche alla sua vera madre che non aveva mai conosciuto e ai suoi genitori adottivi che l’avevano cresciuta e amata come una vera figlia.
Avrebbe tanto voluto che tutte queste persone a lei care potessero essere lì con loro a festeggiare e si rese conto che lei e Abel avevano dovuto subire tante perdite dolorose nella loro vita.
Ma questo non doveva impedire loro di continuare ad andare avanti.
In fondo avevano anche tante cose belle per cui essere grati. Innanzitutto lei aveva ritrovato suo padre dopo tanti anni e aveva finalmente la possibilità di vivere con lui. E poi c’era il loro bambino in arrivo. Quello era in assoluto il dono più bello. Grazie a quella piccola vita che pulsava nel suo grembo, Georgie sapeva che lei e Abel avrebbero avuto un futuro felice. Non avevano bisogno di altro.
- Georgie che fai lì in disparte – chiese all’improvviso Catherine facendola trasalire – è la tua festa, unisciti a noi e divertiti -.
- Hai ragione Catherine – disse sorridendo Georgie – oggi bisogna lasciarsi andare all’allegria -.
E prendendo sottobraccio la piccola amica, raggiunse gli altri e si unì ai festeggiamenti.
 
Ritornarono a Londra a sera inoltrata dopo aver trascorso l’intera giornata in allegria.
Abel e Georgie vennero accompagnati alla residenza del conte Gerald da una bellissima carrozza bianca che il conte aveva fatto trovare pronta appositamente per loro, mentre gli altri invitati sarebbero rincasati insieme su calessi più modesti.
- E’ stata una giornata meravigliosa – esclamò Georgie abbandonandosi alla spalla di Abel mentre guardava Londra avvolta dal buio della notte dal finestrino di quella carrozza.
Abel la abbracciò stretta e le baciò la fronte – Sei felice? – le chiese dolcemente.
- Sì Abel, lo sono tanto. Anche se non ti nascondo che ho i piedi a pezzi. Era da parecchio che non ballavo così tanto – rispose Georgie accoccolandosi in quel caldo abbraccio.
- Sei sicura che sia solo stanchezza? Come ti senti? Lo sai che nelle tue condizioni non dovresti esagerare – disse Abel un po’ allarmato – forse ho sbagliato a lasciarti stancare troppo. Avrei dovuto stare più attento. Georgie aspetti un bambino, non devi dimenticartene. Devi stare più a riposo, sia per te che per lui – proseguì lui serio.
Georgie si tirò su da quella comoda posizione per guardarlo negli occhi e rassicurarlo – Abel sto bene. Non devi preoccuparti – disse accarezzandogli teneramente il viso.
- Sono solo un po’ stanca. E’ stato tutto molto bello, ma la giornata è stata lunga e ricca di emozioni. Ma non devi davvero allarmarti di nulla. Non ho esagerato. Sono stata attenta. Stai tranquillo – e finì quella frase avvicinandosi di più a lui e posandogli un leggero bacio sulle labbra.
Abel le sorrise rincuorato e la riprese tra le braccia.
Poco dopo giunsero a casa, dove trovarono un biglietto del conte Gerald che li informava che aveva fatto preparare per loro una camera nuova, molto più grande di quelle in cui avevano dormito le sere precedenti.
Salirono rapidamente le scale incuriositi. Volevano vedere la loro nuova stanza.
Aprirono la porta e rimasero senza parole.
Quella camera in effetti era molto grande e al suo centro si ergeva un enorme letto a baldacchino.
Su un tavolo poco distante un grande vaso di rose bianche emanava un delicato profumo e per tutta la stanza erano sparsi candelabri d’argento che illuminavano con una luce calda le pareti e i tendoni bianchi alle finestre.
- Che bello – disse Georgie in preda all’entusiasmo – Questa sì che è la camera perfetta per la prima notte di nozze – aggiunse guardando Abel sorridente.
Non seppe resistere oltre e si mosse per entrare, ma Abel la trattenne prendendola per un braccio e stringendola a sé, avvolgendole la vita con le sue mani forti.
- Non osare ad entrare lì dentro così – disse lui divertito.
Georgie lo guardò stupita, non capendo che cosa lui volesse dire – Ma così come? – chiese lei – Che intendi dire? -.
Abel ridacchiò e le disse – Lo sposo deve varcare la porta della camera da letto con la sposa in braccio. Porta sfortuna fare diversamente -.
Georgie gli sorrise e rispose – E’ vero, hai ragione! – e saltellandogli intorno aggiunse – allora che aspetti a prendermi? Non vorrai passare la notte qui in questo corridoio spero! Dai Abel, sollevami -.
Abel si mise a ridere divertito. Era ancora una bambina per certi aspetti – Va bene, va bene. Ora ti prendo – e piegandosi leggermente la sollevò tra le braccia.
I loro sguardi si incrociarono e restarono fermi un istante, persi nei loro occhi. L’ilarità di pochi attimi prima era svanita. Ora erano seri.
Avvicinarono i loro volti e si baciarono. Un bacio dolce, ma allo stesso tempo bisognoso.
Poi si staccarono e si guardarono ancora, restando in silenzio.
Abel ruppe quella strana atmosfera sorridendo sornione e lanciandole uno sguardo malizioso – Sei sempre molto stanca? – le chiese a bassa voce.
Georgie capì dove lui volesse andare a parare e arrossì leggermente, lasciandosi sfuggire un sorriso lusingato – Perché me lo chiedi? – domandò lei.
Lui si lasciò scappare una risata e disse – Perché è la nostra prima notte di nozze. E abbiamo una camera meravigliosa che ci aspetta. E perché – continuò lui sempre più malizioso – è da quando ti ho chiesto in moglie che non facciamo più l’amore e, credimi tesoro mio, sto per impazzire -.
Georgie gli sorrise e disse – Direi che mi sento in perfetta forma, quindi se vogliamo salvarti dalla pazzia ti suggerirei di varcare quella soglia. Il resto lo sai…. Giusto? -.
- Non posso pretendere risposta migliore – disse lui guardandola felice.
E obbedendo alla sua richiesta, entrò in quella stanza tenendola dolcemente tra le braccia e chiudendo con un calcio la porta dietro di sé non appena furono dentro.
Quello non era un giorno come tanti, era il giorno più bello. E quella era la loro notte di nozze e intendevano onorarla.
Avevano già fatto l’amore in precedenza, ma quella volta sarebbe stata speciale, perché si sarebbero amati come mai prima. Come marito e moglie.
 
 

Quando ti chiedi cos'è l'amore,
immagina due mani ardenti 
che si incontrano, 
due sguardi perduti l'uno nell'altro, 
due cuori che tremano 
di fronte all'immensità di un sentimento, 
e poche parole 
per rendere eterno un istante.

~ Alan Douar ~

 

TBC……. 
 

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Capitolo 7
*** Una difficile separazione ***


 Capitolo 7 – Una difficile separazione


 
Era trascorsa una settimana dal loro matrimonio e Abel e Georgie avevano passato quei giorni felicemente, amandosi come non mai.
Abel aveva ripreso ad andare assiduamente dal signor Allen. Ormai stava diventando sempre più bravo e molti dei suoi progetti erano pronti da realizzare. Il signor Allen era entusiasta e aveva proposto ad Abel di aprire un suo studio a Sidney in collaborazione con lui a Londra, di modo che quando se ne sarebbe tornato in Australia avrebbe potuto continuare a progettare navi.
- Sai figliolo, sei molto bravo a disegnare navi e mi dispiacerebbe davvero tanto se tu tornassi nella tua terra perdendo l’occasione di lavorare per me – aveva esordito quel pomeriggio il signor Allen – Che ne diresti di collaborare a distanza? -.
- Che cosa intendete? – chiese interessato Abel.
- Visto che in Australia la manodopera costa meno rispetto all’Inghilterra, potremmo diventare soci. Tu progetteresti le navi più grandi in Australia e le faresti costruire laggiù, mentre qui io mi dedicherei a quelle di stazza minore. Potrei venire a fare dei sopralluoghi una volta all’anno e tu mi terresti informato dell’attività. Ormai i viaggi tra l’Inghilterra e l’Australia sono sempre più frequenti. Vengono trasportate ogni mese ingenti quantità di merci e di persone. Molti lasciano il vecchio continente per iniziare una nuova vita laggiù. Potrebbe essere un vero affare se ci buttassimo in quest’impresa. Con le tue capacità e la mia esperienza potremmo realizzare grandi cose insieme. Pensaci figliolo e fammi sapere se l’idea ti interessa -.
Abel era entusiasta di questo progetto lavorativo. Ringraziò il signor Allen per l’offerta e gli promise che gli avrebbe dato una risposta in breve tempo. Non vedeva l’ora di dirlo a Georgie.
Londra si stava illuminando con le prime luci della sera. Era tempo di tornare a casa.
Scese di corsa le scale dello stabile in cui aveva il suo studio e si precipitò in strada per far ritorno alla residenza del conte Gerald.
C’erano molte persone che rincasavano dopo una dura giornata di lavoro e ad Abel piaceva quell’atmosfera. Il cielo ormai si stava scurendo, mentre le strade venivano pian piano illuminate dalle calde luci dei lampioni.
Improvvisamente sentì chiamare il suo nome tra la folla. Era Dick che stava tornando dalla sua Emma dopo aver passato la giornata al lavoro. Accanto a lui vi era un ragazzo, un suo collega.
- Ciao Abel, allora come procede la vita matrimoniale? – chiese Dick all’amico strizzandogli l’occhio – E come sta Georgie? -.
Abel sorrise imbarazzato – La vita matrimoniale è una vera meraviglia e Georgie sta bene. Credo proprio di poter dire che non siamo mai stati così felici come ora -.
- Non ti far ingannare dalle donne amico – scherzò Dick dandogli una pacca sulla spalla – all’inizio del matrimonio le mogli fanno sempre le carine, così poi ti tengono in pugno per tutta la vita! -.
- Beh se è per questo caro Dick – disse Abel sorridendo – Georgie mi tiene in pugno da quando siamo bambini. Il matrimonio non cambierà le cose. Mi sono fregato da solo. Ma che ci posso fare? Per quella ragazza farei di tutto. Ormai ho perso le speranze di potermi salvare! -.
Mentre scambiava battute con Dick, Abel notò che l’amico che stava al suo fianco lo fissava insistentemente. E non riusciva a capire il perché, finchè questo gli parlò – Vedo che stai meglio ora. Ti trovo decisamente in forma. E’ da tanto che sei tornato a Londra? -.
Abel non capì il senso di quelle domande. – Scusa ma ci conosciamo? – chiese al giovane.
Dick si intromise – Scusate non ho nemmeno fatto le presentazioni. Abel lui è il mio collega di lavoro, Paul. E Paul, lui è un mio caro amico, si chiama Abel -.
Paul continuò a guardare Abel e ridendo gli disse – Ah ma allora ce l’hai un nome. Ti chiami Abel. Te ne sei ricordato improvvisamente? -.
Abel continuava a non capire. – Scusami Paul, ma temo di non comprendere. Io non ti conosco e tu mi parli come se ci fossimo già visti -.
Paul rimase sorpreso e guardò Abel e Dick con un’espressione interrogativa.
- Scusa ma non ci siamo incontrati al convento delle monache di Telford una decina di giorni fa? – chiese Paul – Sono sicuro che fossi tu. Abbiamo anche parlato per un po’. Non mi dirai che te ne sei dimenticato? -.
Abel e Dick si guardarono senza capire e Abel disse – Mi spiace ma non ero io la persona di cui stai parlando. Non ho mai lasciato Londra dacchè sono arrivato qui dall’Australia. Non so nemmeno dov’è Telford. Ti stai confondendo con qualcun altro -.
Paul si fregò gli occhi incredulo – Amico, se non sei tu il ragazzo che ho incontrato al convento allora forse era il tuo gemello, perché ti giuro che era identico a te. Hai un fratello gemello per caso? -.
Abel spalancò gli occhi e pensò – Non starà mica parlando di…. No, non può essere -.
- Abel ha un fratello. Non sono gemelli, ma in effetti si assomigliano parecchio – disse Dick al suo amico.
Abel tagliò corto quel discorso – Mio fratello è morto. Quindi non può essere lui. Ti starai confondendo -.
Paul era sicuro di quel che aveva visto e continuò – Se non eri tu e nemmeno tuo fratello, allora hai un sosia qui in Inghilterra, perché ti posso assicurare che quel ragazzo era identico a te. So quello che dico, non ero sbronzo. Ero in quel convento quella sera e mi sono fermato a fare due chiacchiere con un tizio che stava mangiando la cena in un tavolo accanto al mio. Mi ricordo tutto perfettamente. Era in compagnia di un uomo di mezza età. E la prima cosa che ho notato era il suo pallore. Era come se si fosse ripreso da poco da una malattia debilitante. E poi era molto confuso e si ricordava poco della sua vita. Non sapeva nemmeno il suo nome -.
Abel e Dick si guardarono ed entrambi pensarono che in effetti poteva proprio trattarsi di Arthur.
Paul aggiunse – Quando ti ho visto poco fa ho pensato che dovevi esserti ripreso molto bene, perchè a differenza del ragazzo di quella sera ti vedo in ottima forma. Credimi, avresti ingannato chiunque. Gli assomigli davvero in maniera impressionante -.
Abel non avrebbe voluto avere speranze e credere a quel racconto, ma c’era qualcosa nella descrizione fatta da quel ragazzo che lo aveva colpito. Sembrava che parlasse proprio di Arthur.
Così si fece spiegare tutto.
A Telford, una cittadina a nord di Londra, c’era un convento di monache dove spesso viandanti e vagabondi si fermavano per trovare ristoro durante il loro viaggio. Alcuni per una notte o due, altri per più tempo.
 Paul raccontò tutto nei minimi particolari ad Abel, continuando a giurare che la persona con cui aveva parlato era identica a lui.
– Possibile che si sbagli? – pensò Abel – Sembra così sicuro di quello che dice -.
Poco dopo Paul si congedò da loro, perché si stava facendo tardi e doveva rincasare.
Abel rimase solo con Dick, che gli mise una mano sulla spalla per dargli forza.
- Non sarebbe del tutto impossibile – iniziò Dick – del resto non abbiamo mai ritrovato il corpo di Arthur. E se fosse davvero vivo e per qualche strana ragione si trovasse a Telford o fosse comunque passato di lì? Non ti sembra Abel che valga la pena di tentare? Magari potresti ritrovare tuo fratello-
Abel voleva crederci con tutto sé stesso, ma aveva anche tanta paura di sperare.
- E se poi si rivelasse tutto inutile? – chiese Abel con gli occhi lucidi – se poi non riuscissi a trovare Arthur o se scoprissi che non si trattava di lui? Che cosa farei Dick? Ho già sofferto tanto, non sopporterei un’altra delusione -.
Dick sospirò triste e gli mise una mano sulla spalla – Ti posso capire Abel. Hai sicuramente ragione. Ma credi che sia saggio non tentarci nemmeno? Non rimpiangeresti tutta la vita di non averci almeno provato? Sei sicuro che il dubbio non ti logorerebbe? -.
Dick aveva ragione. Provarci faceva paura, ma gettare la spugna lo avrebbe davvero fatto sentire meglio? Era suo fratello. Non poteva fingere di non aver avuto quelle informazioni. Doveva rischiare.
Guardò Dick dritto negli occhi e disse – Hai ragione tu. Devo tentare. Torniamo dal conte Gerald e da Georgie ora. Devo spiegare loro quello che è appena successo -.
 

Georgie era a casa, seduta comodamente sulla poltrona del salone al piano terra, che cuciva un nuovo abito.
Era di ottimo umore. La settimana appena trascorsa era stata semplicemente perfetta. Lei e Abel erano davvero felici insieme e non avevano fatto altro che godersi il loro matrimonio, parlare del bambino in arrivo e progettare il loro futuro insieme.
Era anche contenta che Abel avesse ripreso l’attività dal signor Allen a tempo pieno. Si vedeva quanto gli piaceva quel lavoro e quanto fosse soddisfatto di essere tornato all’opera. E lei non poteva far altro che gioire per lui ed essere orgogliosa di lui.
In quanto a sé, aveva ripreso a cucire. Emma le aveva portato a casa un sacco di lavoro e lei ne era ben lieta. Amava realizzare quegli abiti stupendi. Per lei era una bella soddisfazione. E poi così poteva occupare il tempo in attesa che Abel rincasasse alla sera.
Anche perché una volta che lui ritornava, consumavano una veloce cena con suo padre e poi si ritiravano presto nella loro camera. In effetti era il momento della giornata che entrambi preferivano.
Georgie arrossì a quel pensiero. E si fermò un attimo a pensare con aria sognante a quanti momenti felici avevano trascorso in quella stanza. E subito convenne, ridacchiando tra sé e sé, che non vedeva l’ora, anche quella sera, di andare a dormire. – Beh … forse “dormire” non è la parola più esatta – pensò imbarazzata mentre riprese a cucire.
Improvvisamente si rese conto di quanto fosse tardi e subito si preoccupò per Abel.
- Chissà perché non è ancora tornato – disse a bassa voce guardando fuori dalla finestra – Speriamo che non sia successo nulla -. Rabbrividì a quel pensiero.
Dopo tutto quello che aveva passato con Abel, l’idea che lui potesse trovarsi in pericolo la terrorizzava. Non voleva nemmeno pensarci, ma quel ritardo la preoccupava e non riusciva a trovare pace.
Improvvisamente lo vide. Era in strada con Dick.
- Meno male – pensò tirando un sospiro di sollievo – Deve aver incontrato Dick e avranno perso la cognizione del tempo -.
Aprì la porta di casa e li attese sull’uscio.
Abel e Dick salirono i pochi gradini davanti all’ingresso ed entrarono. Georgie notò subito che entrambi erano strani. Dick non aveva la sua solita euforia e Abel le sembrava freddo, con la testa altrove.
- Ragazzi è successo qualcosa? – chiese lei guardandoli un po’ preoccupata.
Abel si andò a sedere nel salone e attese che lei lo raggiungesse. Georgie guardò con aria interrogativa Dick che le mise una mano sulla spalla e gentilmente le disse – Vieni Georgie. Ti dobbiamo raccontare una cosa -.
Lei seguì Dick nel salone e si sedette accanto ad Abel. Era visibilmente agitata e continuava a spostare lo sguardo da Abel a Dick.
Nel frattempo arrivò il conte Gerald accompagnato dal conte Wilson e Dick esclamò – Buonasera conte. Unitevi a noi. Io e Abel dobbiamo parlarvi di una cosa molto importante -.
- Perché sento che non sarà una bella notizia? – chiese turbata Georgie guardando Abel.
Abel la guardò dolcemente e le sorrise – Non dire così. E’ solo che c’è una grossa novità e dovete saperla entrambi -.
 

 - Cosa?? – esclamò Georgie – Ma siete davvero sicuri che si possa trattare di Arthur? -.
Abel sospirò e scosse la testa – Non lo so Georgie. Anche io nutro dei dubbi e non voglio illudermi, ma non ho altra alternativa che raggiungere quel convento e costatare io stesso se quel ragazzo ha detto il vero -.
- Il mio amico Paul ne è sicuro – disse Dick a quel punto – Ha giurato e spergiurato che quel ragazzo era uguale ad Abel. E quanti ragazzi ci possono essere che gli assomigliano così tanto? Non abbiamo mai ritrovato il corpo di Arthur e io l’ho cercato per giorni e ho fatto domande a chiunque. Magari c’è una possibilità che Arthur si sia salvato -.
- E allora perché non è venuto a cercarci? – chiese Georgie.
Il conte Gerald, che aveva ascoltato la storia filo e per segno, esordì – Georgie noi non sappiamo come potrebbe stare Arthur in questo momento. Se ipoteticamente fosse vivo, magari non è in sé. Ha subito sevizie di ogni tipo ed è stato drogato a lungo. Non sappiamo come può reagire la mente di una persona in quelle condizioni – e dopo un lungo sospiro aggiunse – Forse Abel dovresti tentare. Magari a Telford potresti scoprire qualcosa di interessante -.
Abel concordò con il conte Gerald e chiese maggiori informazioni su come raggiungere la cittadina.
Telford distava da Londra ben 150 miglia e il convento delle suore si trovava lungo una stradina di campagna al di fuori della città.
- Ma quanto ci vorrà per raggiungere Telford ? – chiese Georgie.
Il conte Gerald pensò tra sé e sé e rispose – Dipende dal tempo. Se le condizioni climatiche saranno favorevoli direi che in due, massimo tre giorni ci si possa arrivare -.
Georgie guardò Abel e gli chiese – Quando partiamo? -.
Lui la guardò stupito e rispose – Georgie tu non vieni. Non mi sembra che sia opportuno per una ragazza intraprendere un viaggio così lungo, perdipiù ora che sei incinta. Tu hai bisogno di riposo e tranquillità -.
Georgie trasalì all’idea e urlò – Non puoi lasciarmi qui! Non puoi andartene! -.
Sentì le lacrime salirle agli occhi, cercò di calmarsi e continuò con tono più pacato – Abel è un lungo viaggio, tu nemmeno conosci la strada, potrebbe essere pericoloso. Non me la sento di lasciarti andare così. Ho troppo timore che ti possa succedere qualcosa -.
Abel la guardò dolcemente e le sorrise. Le asciugò le lacrime con una carezza e le parlò teneramente – Georgie non devi preoccuparti. Non mi capiterà nulla. Starò attento. Devo farlo per Arthur, ma non farò passi falsi. Ho troppa voglia di tornare da te per commettere delle imprudenze. Lo sai che so badare a me stesso -.
Georgie si sentì vincere dalla tristezza e dalla paura e si lasciò andare ad un pianto a dirotto – No Abel, ti prego non farlo di nuovo. Non abbandonarmi. L’ultima volta che te ne sei andato via da me ho rischiato di vederti morire. Io non ce la faccio un’altra volta – gli prese una mano tra le sue implorandolo – Non andare Abel. Ti prego, fallo per me -.
Abel sentì una morsa al cuore. Vederla così gli faceva troppo male. Capiva le sue paure e non voleva causarle sofferenza. Ma doveva farlo per Arthur. Non poteva rinunciare anche se vi era solo una minima possibilità. Si sarebbe dannato per tutta la vita.
Si fece coraggio e le parlò dolcemente – Georgie non fare la bambina. Lo sai benissimo che non ti lascerei per nessuna ragione al mondo. Ma questa è un’emergenza. E’ per il nostro Arthur. Non vorresti ritrovarlo anche tu? -.
Georgie abbassò lo sguardo. Anche lei voleva disperatamente che Arthur fosse vivo e che fosse a Telford, ma a quale prezzo? Separarsi da Abel era troppo doloroso e difficile per lei. E poi aveva maledettamente paura che potesse succedergli qualcosa. Non ce la faceva a lasciarlo andare.
- Abel – singhiozzò disperata – certo che vorrei ritrovare Arthur, ma non posso stare senza di te. Ho troppa paura di perderti ancora. Non adesso che siamo finalmente felici – e dette queste parole riprese a piangere senza sosta.
- Lo accompagno io – disse una voce alle loro spalle.
Era il conte Wilson che aveva assistito alla scena. Si mosse verso di loro e andò a mettersi davanti a Georgie piangente, posandole una mano sulla spalla e dicendole – Conosco bene quella strada. Non è delle migliori, ma se non piove in due giorni saremo al convento. Una volta lì faremo le ricerche del caso e poi torneremo da te contessina. Non lo lascerò solo un istante. Non gli succederà nulla, te lo prometto -
Georgie si asciugò le lacrime e cercò di abbozzare un sorriso per ringraziare il conte dell’offerta, ma continuò a nutrire dei dubbi – E se invece venisse a piovere, quanto ci vorrà? E quanto saranno lunghe le ricerche? Chi ci dice che sia davvero Arthur quel ragazzo? E se anche lo fosse, che farete se non fosse più là? -.
Il conte Wilson sospirò. Capiva le paure di Georgie, ma capiva anche il sentimento di Abel. Si sentiva responsabile per suo fratello e voleva tentare il tutto per tutto.
Così sorrise a Georgie e le disse – Contessina, nessuno ci dice che Arthur sia là o che sia ancora vivo, ma credo che si debba tentare. Se io fossi Abel ci proverei. Preferisco ricevere una delusione, ma sapere di aver fatto tutto il possibile per mio fratello che gettare la spugna e vivere nel rimorso -.
Georgie lo guardò annuendo. Quello che il conte stava dicendo aveva un senso.
- Comunque ti capisco – proseguì il conte Wilson – E’ normale che tu abbia paura dopo tutto quello che è successo. Ed è normale che tu non voglia passare troppo tempo lontano da tuo marito. Purtroppo è il prezzo da pagare. Se dovesse piovere potrebbe volerci un giorno in più e non so quanto saranno lunghe le ricerche. Ma di sicuro non ci fermeremmo più del dovuto se dovessimo capire che è tutto inutile. Secondo me tra due settimane dovremmo essere di ritorno -.
Georgie sentì una fitta al cuore. Due settimane. Forse non erano tanto tempo, ma per lei erano un’eternità.
- E se avrete degli intoppi? E se le settimane diventassero tre o quattro? Chi ci dirà quanto vi dovrete effettivamente fermare? Chi ci informerà se vi succederà qualcosa? – chiese Georgie agitata e mettendosi una mano alla bocca proseguì – Per me sarà un salto nel buio. Saprò quando partirete, ma non saprò né cosa farete, né quando vi rivedrò. E io ho troppo bisogno di Abel! -.
Abel la prese tra le braccia e la strinse forte più che potè – Georgie, amore mio, anche io ho bisogno di te e, credimi, doverti lasciare mi lacera il cuore. Ma lo devo fare. E’ per Arthur. Forse lui ora ha ancora più bisogno di me. Forse non è morto Georgie – e guardandola intensamente continuò – E tu lo sai che vorrebbe dire per me se lo ritrovassi vivo, vero? -.
Georgie ricambiò quello sguardo intenso. Sapeva cosa significava per Abel. Anche se aveva ripreso la sua vita, lui portava un macigno dentro di sé. Non era riuscito a perdonarsi la morte di Arthur. Poterlo riabbracciare sarebbe stato come rinascere a nuova vita.
Georgie capì che non poteva essere egoista. Doveva arrendersi e lasciarlo andare, sperando che tutto andasse per il meglio.
Annuì e rispose – Va bene Abel. Vai. Ma stai attento e torna da me il prima possibile. Io resterò qui a pregare e ad attenderti – e rivolgendosi al conte Wilson aggiunse – Non lo lasciate mai. Nemmeno un istante. Riportatemelo sano e salvo – e sorridendo finì la frase – E ovviamente riportatemi anche  Arthur! -.
Abel la abbracciò e le baciò la fronte – Vedrai che presto saremo di nuovo insieme. Andrà tutto bene -.
Il conte Wilson li interruppe – Ragazzo quando vuoi partire? -.
Abel lo guardò serio, mentre stringeva forte Georgie tra le sue braccia – Domattina. Partiamo domattina. Prima arriviamo e meglio è -.
Il conte Wilson annuì e rispose – Sì Abel, credo che sia la cosa migliore. A domani allora. Partiremo prima dell’alba -.
 

Georgie guardava attraverso i vetri della finestra della sua camera la pioggia che incessante batteva il terreno del giardino. La primavera che aveva addolcito e riscaldato Londra in quel periodo sembrava essere scomparsa, vinta dalla pioggia e dal freddo.
- Si è messo anche a piovere – pensò preoccupata – Ci vorrà molto di più per arrivare a Telford ora. E’ partito da poche ore e io già impazzisco per quanto mi manca. Come farò a resistere fino al suo ritorno? -.
Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi e le lasciò andare. Aveva bisogno di piangere.
Lasciò la finestra e si avvicinò al letto. Vi si buttò sopra e abbracciò il cuscino di Abel, respirando il suo odore.
Era triste. Molto triste. E si sentiva terribilmente sola.
Abbracciata a quel cuscino le sembrava di poter avvertire ancora il suo calore. Quanto le mancava il suo calore. Come avrebbe fatto senza di lui? Si rese conto in quel momento di quanto fosse legata ad Abel. Legata in maniera profonda. Quasi vitale.
Essere sola in quella stanza la faceva sentire ancora più male. Avevano condiviso momenti bellissimi tra quelle mura e ora che lui non c’era le sembrava che la camera fosse grigia e vuota.
Chiuse gli occhi e ripensò alla notte appena trascorsa. Non avevano dormito. Avevano fatto l’amore fino alla partenza di Abel. Sapevano che avrebbero dovuto passare separati un periodo di lunghezza imprecisata e così lasciarono il sonno da parte e si lasciarono andare all’amore.
Non fu come le altre volte. C’era disperazione in loro e tanta tristezza. A Georgie sembrò quasi come quando si erano amati nella cella della prigione. Erano felici per la gioia di quel momento, ma disperati per l’ignoto che li attendeva e tristi per la consapevolezza di doversi separare.
- Non voglio ripensare a come mi sentivo allora – pensò Georgie – Ora è diverso. Siamo lontani, ma Abel non corre nessun pericolo. C’è il conte Wilson con lui. Andrà tutto bene. Non devo avere paura -.
E dopo aver fatto un sospiro, si abbandonò al sonno, mentre abbracciata a quel cuscino sognava il suo Abel.
 

- Maledizione anche alla pioggia! Siamo stati sfortunati – disse il conte Wilson rivolto ad Abel mentre stavano cavalcando sotto l’acqua alla volta di Telford – Ci vorrà un po’ di tempo in più prima di poter arrivare a quel convento -.
- Andiamo finchè possiamo. Non saranno due gocce d’acqua a spaventarmi – urlò Abel mentre il vento e la pioggia gli sferzavano il volto.
- Abel è inutile proseguire così, tra poco si scatenerà un temporale. Ci conviene trovare un riparo finchè non spiove – rispose il conte Wilson.
Abel non voleva fermarsi così presto. Erano in viaggio da poche ore e non voleva perdere tempo – Conte non possiamo già arrenderci. Dobbiamo arrivare a quel convento il prima possibile, avremo più possibilità di trovare Arthur o di parlare con qualcuno che lo abbia visto. E poi – aggiunse con un’espressione triste – Ho promesso a Georgie che sarei tornato da lei il prima possibile. Non possiamo fermarci già ora. Voglio arrivare in quella cittadina al più presto -.
Il conte sospirò sconsolato – Ah, voi giovani siete incauti e testardi! -.
Abel sorrise e rispose – Non sono testardo, sono solo innamorato… -.
- Ecco, è ancora peggio. Sei tanto preso dall’amore che non ragioni più! Mi chiedo dove avete la testa voi ragazzi – borbottò il conte mentre si arrendeva a proseguire quel viaggio sotto il diluvio.
 

Erano trascorsi due giorni dalla partenza di Abel e Georgie non riusciva a stare tranquilla.
Il tempo non era migliorato, continuava a piovere, e lei aveva passato le sue giornate chiusa in camera a cucire. Non aveva molta voglia di avere persone intorno.
Le mancava Abel e non era certa che sarebbe riuscita a rivederlo tanto presto. La cosa che più la faceva stare male era non potere avere sue notizie. Non era neppure certa che fosse riuscito ad arrivare a Telford. Il maltempo di sicuro aveva condizionato il loro cammino. Chissà dove si trovava.
Sospirò tristemente e interruppe il lavoro di cucito per guardare fuori dalla finestra.
Improvvisamente sentì bussare alla porta. Era suo padre.
- Posso entrare? – chiese il conte.
Georgie si sforzò di sorridere e rispose – Certo. Entra pure -.
Il conte Gerald si andò a sedere accanto a lei e le chiese – Come stai Georgie? Ti vedo molto triste e mi sembra anche che tu non abbia mangiato molto. Non voglio starti troppo addosso, ma lo sai che ti voglio bene e mi preoccupo per te -.
Georgie lo guardò con le lacrime agli occhi e rispose – Oh papà, scusami se ti do tante preoccupazioni. Non vorrei credimi. E’ solo che sono preoccupata per Abel. Non avere sue notizie, non sapere dove si trovi ora e non avere la minima idea di quando farà ritorno a casa mi rende terribilmente agitata. Senza contare che ho il terrore che gli possa capitare qualcosa. Abbiamo superato da troppo poco tempo lo shock di quello che gli poteva capitare quel giorno. Se chiudo gli occhi vedo ancora Dangering che gli spara e lui che cade a terra. Ed ora ho il timore che ogni qual volta che si allontana da me gli possa succedere qualcosa di brutto -.
Il conte le strinse la mano e cercò di rassicurarla – Non devi dire così. Quello che è successo è stato terribile, ma è andata bene. Abel ce l’ha fatta. Non capiterà mai più una cosa simile. Questo viaggio è per una buona causa. E non è solo, ricordati che Wilson è andato con lui. Vedrai che andrà tutto per il meglio e presto sarà di nuovo a casa da te -.
Georgie si asciugò le lacrime e prese a dire – Vedi papà, non ho paura solo per la sua incolumità fisica. Ci sono altre insidie che mi spaventano ancora di più -.
- Che intendi dire Georgie? – chiese il conte con aria interrogativa.
Georgie si fece forza e spiegò – Abel ha sofferto davvero tanto per la perdita di Arthur. Si sente responsabile e non si da pace. Aveva un profondo senso di colpa già prima di sostituirsi a lui alla residenza del duca Dangering e le cose sono peggiorate quando gli ho rivelato che Arthur era caduto nel Tamigi – Georgie si intristì a quel ricordo e con la voce rotta dall’emozione proseguì – Ha passato dei momenti terribili. Ha cercato di allontanarmi da lui. Voleva farla finita con tutto e si è convinto che non meritava di essere felice. Ho dovuto lottare per fargli acquistare di nuovo lucidità. Abbiamo passato una notte intera a parlare e a piangere e pian piano ha reagito. L’ho rivisto sorridere di nuovo quando gli ho detto di aspettare un bambino. Quello gli ha dato tanta forza. E ora so che quando mi è accanto è felice. Lo vedevo in questi ultimi giorni, mi sembrava di nuovo l’Abel di sempre. Ci stavamo godendo il nostro matrimonio, avevamo progetti per il bambino e aveva ricominciato ad andare dal signor Allen. Ce la potevamo fare questa volta. Quel macigno che si porta dentro poteva essere rimosso una volta per tutte. E invece la rivelazione fatta da quel tale e questo viaggio lo hanno fatto di nuovo precipitare nell’angoscia -.
Il conte Gerald ascoltò sua figlia attentamente, annuendo ad ogni parola.
- Lo conosco Abel – proseguì Georgie – Anche se non vuole ammetterlo, in lui è rinata la speranza di poter trovare Arthur vivo. Ci si sta aggrappando con tutto se stesso. Se lo ritrovasse riuscirebbe a perdonarsi e a vivere serenamente. Ed è quello che spero vivamente sia per Abel che per Arthur. Ma quello che invece temo – si fermò un attimo rabbrividendo al solo pensiero – è che questo viaggio non porti le notizie sperate. Ho il timore che Abel senta il mondo crollargli addosso. Questa volta sarebbe solo. Non ci sono io con lui a dargli forza. E ho tanta paura che il dolore che prova lo possa schiacciare un’altra volta -.
Georgie iniziò a singhiozzare – Abel è un ragazzo impulsivo. Vive di istinto. Ho paura che possa commettere qualche sciocchezza. Sta soffrendo tanto, un’ulteriore delusione potrebbe farlo ripiombare nella depressione. Ho tanta paura papà -.
Il conte Gerald abbracciò sua figlia e cercò di consolarla – Non devi nemmeno pensarlo Georgie. Ascolta, io non conosco bene Abel come lo conosci tu, ma penso di aver capito una cosa di lui. Ha un grande senso di responsabilità e un grande cuore. Lo vedo da come si comporta con te e dalle premure che ha per il bambino che porti in grembo. E lo vedo anche da questa vicenda che riguarda Arthur. Lui vuole essere di aiuto. Sente che deve essere lui a prendersi cura di voi. Secondo me questa consapevolezza gli darà la forza di sopportare il dolore e un’eventuale delusione. Abbi fiducia in lui figliola e poi – aggiunse il conte guardando sua figlia negli occhi – ora non è più un ragazzo, è un uomo. E’ bello che tu ci sia per lui nei momenti difficili, ma deve anche imparare a lottare da solo. E lui lo può fare. Sarà un’occasione per confrontarsi con i suoi fantasmi e uscirne vincente. Devi solo dargli fiducia e credere in lui -.
Georgie si sentì rincuorata dalle parole di suo padre. Forse era vero, lei stava sottovalutando Abel. Lui era forte e perfettamente in grado di vincere la sua battaglia con il senso di colpa.
Sospirò tra le braccia di suo padre. Si sentiva più leggera dopo quel discorso. Ora le restava solo una cosa da fare: attendere il ritorno di Abel e vincere il dolore provocato dalla sua assenza. Le mancava moltissimo e avrebbe contato i minuti che la separavano da lui.
 

Nel frattempo Abel ed il conte Wilson erano quasi arrivati al convento di Telford.
- Ragazzo ricordami che non devo offrirmi mai più di accompagnarti in un viaggio – borbottò il conte mentre cercava di tenere il passo di Abel.
Abel sorrise a quelle parole e replicò – Avanti conte non lamentatevi! Non è colpa mia se in Inghilterra piove sempre. Se avessimo ascoltato il vostro consiglio saremmo ancora fermi nelle campagne intorno a Londra ad aspettare che spiova -.
- E magari a quest’ora le mie povere ossa non sarebbero inzuppate di acqua. Senza contare che siamo andati troppo veloci. Questi poveri cavalli non ce la fanno più – rispose il conte.
- I cavalli stanno benissimo e comunque ora avranno modo di riposare. Se non sbaglio quello lassù è il convento, vero? – chiese Abel.
Erano finalmente arrivati. Dopo tre giorni passati a viaggiare sotto la pioggia incessante, avevano fatto il loro arrivo a Telford.
Il convento si ergeva su una collinetta poco distante da loro e Abel lo guardò chiedendosi se tra quelle mura avrebbe trovato le risposte alle sue domande.
- Sì Abel, il convento è quello. Ci siamo finalmente! – disse il conte Wilson – E non ti nascondo che il mio primo pensiero non va ad Arthur. Non prendermi per egoista, ma dopo il nostro orribile viaggio ho solo voglia di mettere qualcosa sotto i denti e di infilarmi in un letto caldo -.
 Abel invece era troppo agitato per sentire freddo, fame e stanchezza. Era ansioso di scoprire qualcosa in più su Arthur. Era ansioso di scoprire se quel barlume di speranza che gli si era acceso nel cuore aveva un fondamento.
Aveva trascorso gli ultimi tre giorni alle intemperie, ma era andato avanti comunque. Lo aveva fatto per Arthur. E sempre per lui aveva lasciato la sua Georgie. Ora lei era a Londra, lontano da lui e gli mancava tantissimo. Chissà cosa stava facendo e se pensava a lui come lui pensava a lei.
Aveva dovuto stringere i denti, fare delle rinunce e farsi coraggio. Aveva superato gli ostacoli di quel viaggio ed ora era lì, davanti a quel convento, speranzoso che tutto quello che aveva fatto non andasse invano.
 Scesero dai cavalli e proseguirono a piedi per il breve tragitto che li separava da quell’edificio.
Giunti dinanzi al portone, Abel tirò un sospiro per calmarsi e bussò.
Dopo poco una suora aprì e con un sorriso luminoso li salutò – Buonasera signori. Benvenuti -.
La sorella li guardò entrambi, ma non appena posò gli occhi su Abel ebbe un sussulto e lo fissò meglio. Quindi gli chiese – Ma sbaglio o noi ci siamo già visti? Non siete stato nostro ospite poco tempo fa? -.
Abel rimase sorpreso da quella domanda e si voltò verso il conte Wilson che a sua volta lo stava guardando. Si intesero immediatamente.
Chissà, forse quel viaggio avrebbe dato delle risposte. 


TBC...

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Capitolo 8
*** Il tormento dell'anima ***


Capitolo 8 – Il tormento dell’anima
 
 
Abel tornò a guardare la suora che gli aveva posto quella domanda e sentì la speranza farsi largo nel suo cuore. Anche lei lo aveva confuso con quel ragazzo di cui gli aveva parlato Paul. Allora forse non era solo una coincidenza. Forse si trattava proprio di Arthur.
Prese coraggio e disse – Sorella, non sono la persona che credete, ma sto cercando il ragazzo con cui mi avete confuso. Forse si tratta di mio fratello e sono venuto fino a qui da Londra per avere notizie di lui -.
La monaca annuì e li fece entrare – Venite signori, mi spiegherete tutto con calma davanti ad un pasto caldo. Siete bagnati ed infreddoliti, avete bisogno di ristorarvi -.
Poco dopo Abel e il conte Wilson ebbero modo di asciugarsi e cambiarsi d’abito. Vennero fatti accomodare in una sala adibita a mensa, dove i viaggiatori di passaggio potevano cenare.
La suora che li aveva accolti aveva chiamato le altre sorelle che abitavano quel convento e che dedicavano la loro vita ad accogliere i passanti, i vagabondi ed i poveri che avevano bisogno di un rifugio momentaneo. Si radunarono tutte attorno al tavolo dove Abel ed il conte Wilson stavano consumando la loro cena, in modo tale da poter sentire la storia che Abel aveva da raccontare e vedere se qualcuna di loro poteva aiutarlo, ricordando qualche particolare su quel giovane che poche settimane prima aveva soggiornato da loro e che assomigliava ad Abel in maniera sorprendente.
Ascoltarono tutte con interesse le parole di Abel e cercarono di aiutarlo come poterono.
Alcune di loro si ricordavano di quel ragazzo. – Sì me lo ricordo – disse una di loro – Era un ragazzo giovane, piuttosto taciturno. Mi aveva colpito questo fatto. Parlava pochissimo ed era spesso pensieroso. Sembrava perso in un mondo tutto suo -.
- A me è rimasto impresso il suo aspetto sciupato – aggiunse un’altra suora – Mi ricordo i suoi lineamenti, molto belli a dire il vero. Ma era pallido, con profonde occhiaie e  aveva l’aria stanca -.
Un’altra sorella aggiunse un particolare – Io ricordo che era accompagnato da un uomo robusto, di mezza età. Mi sembrava una persona gentile -.
Tutto combaciava con quello che Paul aveva raccontato e tutto sembrava portare ad Arthur. Ma chissà chi era l’uomo in sua compagnia. Arthur di sicuro non aveva potuto stringere amicizie appena giunto a Londra, perché era stato preso subito da Irvin e il duca Dangering. Chi poteva essere la persona che era con lui?
- Non sapete il nome di questo ragazzo o dell’uomo che lo accompagnava? Avete un registro su cui annotare i nomi dei vostri ospiti? – chiese Abel a quel punto.
La madre superiora che era lì con loro gli rispose – Noi non chiediamo il nome a nessuno e non registriamo niente. Siamo qui per aiutare persone di passaggio e non vogliamo sapere i dettagli. Sappiamo che chi alloggia da noi può essere un vagabondo o un fuggitivo. Non vogliamo che nessuno possa avere il timore di fornire troppe spiegazioni. Siamo qui per fare del bene ai bisognosi. Chi sono e cosa hanno fatto nella loro vita non ci interessa. Per noi sono tutti figli di Dio, non ci interessa sapere altro -.
Abel annuì, ma si sentì deluso. La descrizione fatta da quelle suore lo faceva pensare ad Arthur, ma non c’era niente di certo. Nemmeno un nome. Queste informazioni potevano dargli un filo di speranza, ma da sole non bastavano.
- Quanto si è fermato qui quel ragazzo? – chiese il Conte Wilson che aveva capito l’amarezza che stava provando Abel.
Le suore non ricordavano con esattezza, ma mettendo insieme i ricordi di ciascuna, venne fuori che quei due uomini si erano fermati al convento due o tre giorni al massimo. E ormai erano andati via, senza lasciare traccia di loro. Non si sapevano i loro nomi, né da dove venivano, né dove erano diretti.
- Potete raggiungere Telford – esordì a quel punto una delle monache – Dista a poche miglia da qui. Sono sicura che magari laggiù potreste avere qualche informazione in più. Magari qualcuno li ha visti -.
- Sì è vero – aggiunse un’altra sorella – Sono certa che durante il giorno quei due uomini uscivano dal convento per recarsi a fare compere. Me lo ricordo bene. Me ne aveva parlato l’uomo più anziano. Aveva detto che avevano bisogno di fare delle compere. Potreste provare a Telford e anche in due villaggi poco distanti da qui -.
Il conte Wilson mise la mano sulla spalla di Abel e cercò di rincuorarlo – Coraggio ragazzo. Lo sapevamo che avremmo dovuto fare delle ricerche. Ci vorrà qualche giorno ma riusciremo ad avere qualche informazione. Domani andremo a Telford e setacceremo la cittadina. Ci sarà pure qualche commerciante che li avrà incontrati. Non perdere la speranza -.
Abel annuì e si sforzò di accennare un sorriso. Era grato al conte Wilson per l’aiuto che gli stava offrendo e per la forza che cercava di dargli. Ma si stava rendendo conto che non sarebbe stato facile. Cercare Arthur in quella cittadina, se di lui si poteva trattare, non era cosa agevole. E iniziò a pensare che quella missione sarebbe stata il suo ennesimo fallimento nei confronti Arthur.
 
 
Georgie era stesa sul letto, lo sguardo assente, perso nel soffitto. La sua mente vagava. Pensava ad Abel. Dove poteva essere? Aveva trovato Arthur?
Tutti interrogativi che non trovavano risposta. Non sapeva nulla e doveva solo aspettare. Ma quell’attesa la stava logorando.
Volse lo sguardo alla finestra, ormai era buio e tristemente sospirò. Era proprio verso quell’ora che la malinconia si faceva prepotentemente strada nel suo cuore. Sentiva disperatamente la mancanza di Abel. Le mancava tutto di lui. Il suo sguardo. Il suo sorriso. La sua voce. Il suo caldo abbraccio.
Era già stata separata da Abel in precedenza e anche per lunghi periodi. E le era sempre mancato, ma mai come ora si sentiva persa.
Ora era completamente diverso. Lui era tutto per lei. Tutto. Il dolce ricordo di infanzia. La persona di cui fidarsi. Un marito premuroso. Un amante appassionato. Il padre del figlio che stava aspettando.
Si rese conto di essere legata a lui da qualcosa di molto profondo. Non avrebbe più potuto farne a meno e quel distacco forzato che aveva dovuto subire le lacerava l’anima.
Nemmeno l’idea di poter ritrovare Arthur vivo le era ormai di conforto. Voleva molto bene ad Arthur e voleva con tutte le sue forze riaverlo con sé e con Abel, ma in quel momento sentiva solo il bisogno di riabbracciare suo marito. Aveva tanto bisogno di lui e non riusciva a pensare ad altro.
- Sono diventata egoista – pensò tra sé e sé – Ma sto male senza di lui. Ho bisogno che torni da me -
A questo pensiero seguirono le lacrime, calde ed abbondanti che le scorrevano sul volto triste e che le permettevano di alleviare un po’ quel peso che portava sul cuore.
Improvvisamente sentì bussare alla porta. Cercò di ricomporsi, asciugandosi gli occhi e risedendosi sul letto.
- Avanti – disse cercando di mascherare al meglio la voce rotta da quel pianto.
Sull’uscio fece capolino suo padre. La guardò per un attimo e capì immediatamente che aveva appena pianto. Gli faceva male vederla così. Sapeva perfettamente quanto Georgie stesse soffrendo per la partenza di Abel e capiva anche la sua preoccupazione. Avrebbe voluto aiutarla, vederla reagire. Invece, nonostante tutto l’impegno che ci aveva messo, sapeva che Georgie non riusciva a distrarsi e a sentirsi meglio. E questo lo deprimeva. Era suo padre, voleva fare qualcosa di più per lei, ma non ci riusciva. Era come se Georgie si fosse costruita un muro intorno e lì stesse soffrendo in silenzio, in attesa che Abel facesse ritorno da lei.
Cercò di non far capire a Georgie la sua preoccupazione. Non sarebbe servito a nulla, solo ad amareggiarla di più forse, con il risultato che lei si sarebbe chiusa ancora di più.
Facendo finta di nulla le sorrise e con tono gentile le disse – Tesoro è pronta la cena -.
Georgie abbassò la testa e rispose - Grazie papà, ma non ho fame. Preferisco restare qui. Magari mi metto a letto e cerco di riposare un po’. Sono piuttosto stanca, stanotte non ho dormito bene -.
Il conte si allarmò a quelle parole e le chiese – Ma perché non me ne hai parlato prima? Cosa hai avuto? Sei stata poco bene? -.
Georgie gli fece un timido sorriso. Sapeva che suo padre le voleva bene e che si stava preoccupando per lei. Non voleva farlo stare male e cercò di rassicurarlo – No papà, tutto bene, non ti devi preoccupare. Ho solo fatto degli incubi. Sai… su Abel. Ho sempre il timore che possa succedergli qualcosa e così finisco per sognarmelo anche di notte -.
Il conte si decise ad entrare e si avvicinò al letto e le parlò – Georgie non puoi continuare così. Ti preoccupi troppo e non va bene. Ricordati che sei incinta. Devi pensare anche al bene del tuo bambino. Stai mangiando poco e ora scopro che dormi male. Non voglio assillarti con le mie preoccupazioni, ma devi pensare anche alla tua salute e a quella di tuo figlio. Te l’ho già detto tante volte e non mi stancherò mai di ripetertelo. Abel tornerà sano e salvo. Non devi agitarti -.
Georgie avrebbe voluto tanto fare come diceva suo padre, ma c’era qualcosa dentro di lei che non le permetteva di essere serena.
- Vedi papà – disse ad un certo punto Georgie guardandolo negli occhi – Il fatto è che ero appena riuscita a riaverlo con me. In qualche modo l’ho strappato alla morte e l’ho tenuto qui con me. Eravamo felici e tutto sembrava andare per il meglio. Ed ora l’ho perso di nuovo -.
Le lacrime ricominciarono a sgorgarle copiose e lei non fece nulla per trattenerle e tra i singhiozzi continuò – Ogni volta che mi addormento rivedo quella scena. Lui che viene colpito dai proiettili e cade a terra come morto – si interruppe un secondo, fissando il vuoto, persa nel suo dolore – E ogni volta sogno che corro da lui per prenderlo tra le mie braccia e cercare di rianimarlo. Ma lui non ce la fa e muore mentre lo stringo forte -.
Rialzò gli occhi per guardare suo padre e continuò – Non riesco a smettere di fare quest’incubo. E mi sveglio sudata mentre urlo il suo nome. E quando mi giro per vedere se lui è nel letto accanto a me che dorme, vedo il suo posto vuoto e mi sento morire. Lo so che può sembrare stupido, ma la lontananza da lui fa riaffiorare alla mente vecchi ricordi e vecchie paure. E così inizio a pensare che potrebbe trovarsi in pericolo. Che potrebbe succedergli qualcosa e che potrebbe non fare più ritorno da me. E mi sento così angosciata che non riesco a pensare ad altro -.
Vinta dai singhiozzi e dal dolore, Georgie si lasciò andare tra le braccia di suo padre, piangendo disperatamente, mentre lui la accarezzava dolcemente, cercando come poteva di rassicurarla.
Il conte Gerald comprendeva le paure di sua figlia, ma non poteva permetterle di ridursi in quello stato. Soprattutto ora che era incinta. Era suo padre e doveva cercare di far qualcosa per lei.  
 
 
Abel e il conte Wilson avevano passato gli ultimi quindici giorni a setacciare Telford e i villaggi intorno.
Nuove notizie non erano giunte. Perlomeno nulla di particolarmente interessante.
Erano entrati in tutte le botteghe di Telford e in tutti gli studi medici presenti nella città, avevano parlato con tante persone e alcuni avevano un vago ricordo di un ragazzo che assomigliava molto ad Abel. Ma non avevano fornito notizie certe e, dopo tanto vagare, Abel ed il conte Wilson si ritrovarono incredibilmente stanchi e con un pugno di mosche in mano.
Il morale di Abel era a terra. Gli ultimi giorni lo avevano logorato nel corpo e nell’anima. Era esausto, aveva dormito poco e aveva camminato tanto, chiedendo in giro se qualcuno poteva aver visto Arthur, fornendo informazioni e particolari che potevano essere utili alla sua identificazione.
E la mancanza di notizie certe lo stava abbattendo sempre di più. La speranza che aveva sentito riaccendersi nel suo cuore ormai si stava spegnendo, lasciando tanta amarezza e frustrazione.
- Proviamo ancora qui – disse ad un certo punto il conte Wilson, risvegliandolo dai suoi pensieri.
Si trovavano davanti ad una piccola bottega. C’era un cartello all’ingresso. Si trattava di uno speziale.
- Costa poco fare un ultimo tentativo – aggiunse il conte – Se anche qui non combineremo nulla, direi che potremo tornare al convento. Siamo stanchi e continuare così non ha senso. Sta tramontando il sole inoltre, non abbiamo più molto tempo -.
Sinceramente Abel aveva perso la voglia di fare ricerche, tanto sapeva che non avrebbero portato a nulla. Ma il conte Wilson aveva ragione, era l’ultimo tentativo della giornata. Forse conveniva provare.
Entrarono nella piccola bottega.  Alle pareti erano posti degli scaffali pieni di ampolle contenenti erbe essicate. Di fronte a loro vi era un bancone di legno, su cui era appoggiata una bilancia.
Non vedendo nessuno, il conte Wilson si schiarì la voce e chiese – C’è qualcuno? -.
Da una porticina dietro al bancone spuntò un uomo di mezza età con la barba e gli occhiali. Appena li vide sorrise e si avvicinò a loro.
- Buonasera signori, in cosa posso esservi utile? -.
Il conte Wilson notò che l’uomo continuava a guardare Abel in maniera piuttosto insistente e lo prese come un buon segno – Forse sta scambiando Abel per il ragazzo che stiamo cercando. Magari è stato qui e quest’uomo può esserci utile – pensò ottimista tra sé e sé.
- Ecco vede – iniziò allora il conte – Stiamo cercando una persona che dovrebbe essere stata qui a Telford alcune settimane fa e stiamo chiedendo in giro se qualcuno l’ha per caso vista -.
Lo speziale sistemò bene gli occhiali e ascoltò il conte attentamente.
- Si tratta di un giovane – proseguì Wilson –  Che assomiglia molto al ragazzo che è qui con me. Sembrerebbe che fosse insieme ad un uomo di mezz’età, piuttosto robusto. Vorrei fornirvi qualche informazione in più, ma purtroppo ne abbiamo poche. Sappiamo che erano alloggiati al convento delle monache che è appena fuori città e che si sono fermati un paio di giorni per fare alcune compere. Così ci chiedevamo se per caso erano passati qui nella vostra bottega -.
Lo speziale annuì e chiese – E come mai cercate questo ragazzo? -.
Abel si fece avanti e rispose – Non ne siamo sicuri, ma potrebbe trattarsi di mio fratello che è scomparso da Londra quasi due mesi fa. In più persone riferiscono di aver visto da queste parti un ragazzo che mi assomiglia e così ho pensato di fare un tentativo. Non so se sia vivo o morto, ma questa notizia mi ha ridato un po’ di speranza. Se dovesse essere lui non ho idea in che stato si trovi. Potrebbe stare male. Purtroppo ha dovuto subire delle sevizie atroci e so per certo che lo hanno drogato -.
Lo speziale rimase colpito dalle parole di Abel e comprese quanto quel ragazzo fosse preoccupato, così decise di rendersi utile, per quanto possibile – Vedete, in effetti alcune settimane fa sono passate nella mia bottega due persone che corrispondono alla descrizione che mi avete fatto – disse.
Abel ed il conte Wilson spalancarono gli occhi e si fecero molto attenti. Forse quell’uomo poteva dir loro qualcosa in più.
- Mi ricordo molto bene di quel giovane. E devo essere sincero che quando vi ho visto entrare vi ho scambiato per lui – disse rivolto ad Abel.
Lo speziale fece una pausa, cercando di ricordare più dettagli possibili e poi riprese il suo racconto – Se non ricordo male necessitavano di alcune erbe per favorire il sonno. Io ho parlato con l’uomo più anziano e non direttamente con il ragazzo. Lui se ne stava in disparte, con lo sguardo perso. Sembrava pensieroso e piuttosto triste a dire il vero -.
- Per caso avete compreso i loro nomi? – chiese Abel a quel punto.
Lo speziale ci pensò bene, ma scosse il capo dicendo – No, direi che non si sono chiamati per nome. Anche perché il giovane è praticamente rimasto muto per tutto il tempo che si sono fermati qui. Però ricordo bene un altro particolare – disse a quel punto l’uomo.
Il conte ed Abel si guardarono con aria interrogativa e poi tornarono a fissare lo speziale.
- Sì – aggiunse – Mi ricordo che l’uomo più anziano mi disse che quelle erbe servivano a suo figlio che non riusciva a dormire la notte per i continui incubi e che il dottore che lo aveva in cura gliele aveva consigliate. E poi si voltò a guardare il ragazzo con aria preoccupata e aggiunse che sperava vivamente che facessero effetto perché aveva bisogno di recuperare le forze - .
- Cosa? – urlò Abel sconvolto – Suo figlio? Ne siete sicuro? Quell’uomo è il padre del ragazzo? -.
Lo speziale annuì e rispose – Sì, è così che mi ha detto. Me lo ricordo bene -.
Abel sentì il mondo crollargli sulle spalle. Se quel ragazzo era figlio di quell’uomo, allora non poteva essere Arthur.
Aveva passato gli ultimi giorni a cercare una persona che non era Arthur. Era a pezzi, tutto il corpo gli doleva per quanto aveva dovuto cavalcare e camminare e ora aveva la certezza che tutta quella fatica non era servita a nulla. Stava inseguendo qualcuno che non era suo fratello. Era come pensava, aveva fallito ancora e si sentì precipitare nel baratro della delusione e questa volta non sarebbe stato facile uscirne.
Il conte Wilson capì immediatamente l’amarezza che stava provando Abel e così si affrettò a congedarsi – Vi ringraziamo molto per le informazioni che ci avete fornito. E scusate per il disturbo -.
Uscirono da quella bottega. Abel aveva lo sguardo fisso al suolo e non aveva più pronunciato parola.
- Coraggio figliolo – esordì il conte rompendo quel silenzio – Non abbatterti. Magari quell’uomo ha detto che il ragazzo era suo figlio, ma non è detto che sia vero. Pensa invece a quanti elementi positivi abbiamo dalla nostra. Il giovane ti assomiglia molto e ha un aspetto sciupato. Tutto combacia. Potrebbe davvero essere Arthur - .
Abel arrestò immediatamente il suo cammino e alzò lo sguardo per rivolgerlo al conte Wilson. Era serio, ferito e disse con voce rabbiosa – Adesso basta! Non ce la faccio più! -.
Il conte rimase sbalordito da quella reazione. Sapeva che Abel stava soffrendo ma non si aspettava tanta rabbia.
- Non posso aggrapparmi ad una fantasia – continuò Abel con voce meno aggressiva e con gli occhi che si stavano inumidendo – Non posso continuare ad illudermi. Sono stufo dei “forse” e dei “chissà”. Ho bisogno di certezze e l’unica certezza che abbiamo è che quell’uomo e quel ragazzo sono padre e figlio. Quindi non si tratta di Arthur. Devo farmene una ragione -.
Abel fece un profondo sospiro per ritrovare il controllo e continuò – E’ stata una pazzia intraprendere questo viaggio. Dovevo aspettarmelo che le possibilità di ritrovare realmente mio fratello erano poche, ma ho voluto ugualmente tentare e ho fallito. Sono stato ingenuo del resto. Quante possibilità ci sono di sopravvivere ad una caduta nel Tamigi? Soprattutto quando si è sotto effetto della droga? Siamo onesti nella risposta: praticamente nessuna. Ho voluto sperare perché non so rassegnarmi alla sua morte, ma ora devo essere abbastanza maturo da accettarlo. Non può bastarmi sapere che in giro, da qualche parte qui in Inghilterra, c’è un ragazzo che mi assomiglia per sperare che si tratti di Arthur. Si è trattato solo di una banale, stupidissima coincidenza che il destino crudele mi ha riservato. E io ho abboccato. Ma adesso basta. Non posso continuare così. Devo accettare di aver perso mio fratello e cercare di andare avanti. Ho trascurato Georgie per inseguire una fantasia e ora mi sento malissimo. Lei mi manca da morire e sono in pensiero per lei. E’ incinta. Potrebbe non star bene e aver bisogno di me e io dove sono? Qui a ricevere l’ennesima delusione -.
Il conte Wilson si sentì stringere il cuore per lo stato in cui era Abel. Era visibilmente devastato e pieno di sensi di colpa per il fratello morto e la moglie lontana. Si sentiva in colpa per tutto e non era giusto, perché in realtà si era dato molto da fare e si era assunto un sacco di responsabilità. Solo che non riusciva a capirlo, troppo preso dall’addossarsi tutte le colpe, come se tutto fosse dipeso da lui, anziché dalla sorte avversa.
- Non devi abbatterti o darti colpe che non hai. Non è colpa tua se le ricerche di Arthur sono state vane e secondo me hai fatto la scelta giusta a tentare. So che Georgie ti manca e che vorresti essere lì con lei. Ma è stato necessario – disse il conte.
Abel scosse la testa. Apprezzò il tentativo del suo compagno di viaggio di tirargli su il morale, ma non serviva a nulla. Aveva le idee ben chiare ormai.
- Non è vero che è stato necessario. Infatti non porto a casa un bel niente, né Arthur né notizie positive. E ho pagato a caro prezzo questa mia decisione. Ora sono lontano da Georgie e so che lei sta soffrendo per la mia lontananza. Non ho dimenticato il suo sguardo mentre mi implorava di non partire e di non lasciarla. Piangeva e singhiozzava chiedendomi di restare con lei e io non le ho dato retta. Sono stato senza cuore e non è servito a nulla. Non ci facciamo più niente qui. Devo ritornare da lei e riprendere il contatto con la realtà. Andiamocene da qui il prima possibile, non ce la faccio più – disse Abel.
Il conte Wilson annuì e rispose – Va bene figliolo, domattina partiremo alla volta di Londra -.
Proseguirono il loro cammino verso il convento in silenzio. Il cielo si stava oscurando un’altra volta e si stava alzando un vento freddo e tagliente.
- Non ne posso più di questo clima. Tornerei in Australia già solo per questo – pensò Abel, mentre ricordava la sua terra con immensa nostalgia.
Arrivarono al convento che ormai era buio ed il vento soffiava sempre più forte.
- Ora ragazzo abbiamo bisogno di una cena calda e di una bella dormita – disse il conte.
- Non ho fame – rispose Abel – Me ne andrò dritto a letto.
Il conte era preoccupato. Abel era visibilmente sciupato dopo quei giorni di ricerca e aveva bisogno di recuperare le forze, così disse – Non voglio insistere, ma non è saggio che tu vada a letto senza mangiare. Domani partiremo e ci aspetta un lungo viaggio che non sarà esattamente una passeggiata. Hai bisogno di essere in forma. Devi mangiare qualcosa, anche se non ti va -.
Abel scosse la testa – Scusatemi conte, non voglio essere sgarbato, ma ho lo stomaco chiuso, non riuscirei a buttare giù nemmeno un boccone. Sono certo che mi basterà una notte di sonno per essere in forma -. E dette queste parole, Abel salì le scale che lo portavano alla sua stanza, lasciando il conte Wilson perplesso a pianoterra.
Dormire sarebbe stato quello di cui Abel aveva bisogno in quel momento. Ma non ci riusciva.
Continuava a rigirarsi nel letto, agitato dalle emozioni negative che stava provando.
Il suo pensiero era tornato ad Arthur e non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Dopo quei giorni di speranza, ora era ripiombato nella consapevolezza che Arthur era morto. E lui non riusciva a sopportarlo.
Pianse in silenzio e il suo pensiero volò alla madre. Non le era stato vicino mentre lei moriva. L’aveva abbandonata proprio come aveva fatto con Arthur. E ora si stava chiedendo cosa lei provava guardandolo da lassù. Lo stava giudicando per non aver saputo proteggere suo fratello?
Era insopportabile quel peso sul cuore. Non ce la faceva a reggere.
- Madre perdonami! – disse così tra le lacrime – Ho fallito. Tuo figlio è un fallimento. Sono stato egoista come sempre e ho lasciato indietro le persone che mi hanno voluto bene senza preoccuparmi di loro. Non ti ho nemmeno salutato quando sono partito e ora ho il rimorso di non esserti stato accanto mentre morivi. Meno male che avevi Arthur con te. Lui sì che era un angelo. Non come me che non mi sono mai preoccupato degli altri. E ora, a causa del mio egoismo, ho perso anche lui. E non c’era nessuno al suo fianco mentre annegava tra le gelide acque del fiume. Io ci ho provato a salvarlo, ma ormai era tardi, gli avevano fatto troppo male. E ora sto facendo soffrire anche Georgie, l’ho lasciata sola mentre aspetta il mio bambino. E l’ho fatto per il mio egoismo. Se avessi trovato Arthur avrei alleviato il mio senso di colpa e non ho pensato a lei, che è la mia vita -.
Mentre pronunciava quelle parole, perso in quella preghiera disperata alla madre, Abel esplose in un pianto senza freni. Scosso dai singhiozzi e dal dolore proseguì il suo monologo – Madre, come posso rimediare alla mia incapacità? Sono stato un pessimo figlio e un pessimo fratello. Sarò in grado almeno di essere un buon padre? Che cosa insegnerò al mio bambino? Egoismo e irrequietezza? Ti prego dammi la forza di cambiare e di superare questo dolore. Sto male e sono tormentato nel profondo dell’anima. Ho tanto bisogno del tuo perdono e di quello di Arthur -.
Pianse ancora senza sosta fino a rimanere svuotato di tutto, di lacrime e di sentimenti. Si stese sul letto, abbandonandosi al dolore.
- Perchè è così difficile? – si chiese a quel punto – Perché non so sopportare il dolore? Come posso fare a sentirmi meglio? -.
E poi gli tornarono in mente le parole di un vecchio marinaio che aveva conosciuto quando si imbarcò anni prima. Era un uomo solo, che aveva sofferto molto nella sua vita, e che ripeteva sempre la stessa frase – Quando sei stanco di soffrire trova rifugio nell’alcol. Non cancella i problemi, ma almeno ti aiuta a sopportarli -.
Forse non era il consiglio migliore del mondo, ma in quel momento Abel si rese conto che aveva bisogno di bere e di stordirsi. Almeno per un po’ avrebbe smesso di soffrire e magari, passata la sbornia, si sarebbe trovato meno distrutto per quel dolore che lo stava tormentando da tempo ormai.
Decise che quella era le cosa che più gli serviva e si precipitò fuori dal convento. Corse lungo la stradina che portava a Telford. Poco distante vi era una taverna e lì avrebbe potuto annegare i suoi dispiaceri. Faceva molto freddo. Il cielo era nero e tirava un vento fortissimo che gli tagliava il viso con il suo gelo. Iniziava anche a piovere, ma non gli importava. Doveva assolutamente bere.
Appena arrivato alla taverna, si affrettò ad aprire la porta e ad entrare. L’atmosfera là dentro era completamente diversa da quella esterna. Lo accolse un dolce tepore e si guardò intorno.
La stanza era piena di fumo e ai tavoli vi erano solo uomini sbronzi che russavano o che gridavano tra loro, litigando per una donna o per qualche altro insulso motivo. Poco più distante, ad un altro tavolo, vi erano due uomini robusti e muscolosi che si giocavano bottiglie di vino a braccio di ferro, mentre alcune donne dall’aria piuttosto lasciva giravano tra quei tavoli in cerca di compagnia.
Abel non si fece distrarre da quelle persone e si fece largo per arrivare al bancone, dove un vecchio stava pulendo alcuni bicchieri.
- Dammi un whisky per favore – disse Abel posando una moneta sul tavolo e porgendola all’uomo davanti a lui.
Poco dopo il vecchio versò una generosa dose di whisky in un bicchiere e la porse ad Abel, riprendendo subito dopo il lavoro che aveva appena interrotto.
Abel non ci pensò su due volte. Prese il bicchiere e se lo portò alle labbra, reclinando indietro la testa e bevendo tutto di un fiato.
La prima reazione fu quella di chiudere gli occhi e subito dopo seguì una smorfia di dolore.
Quel liquido era come fuoco. Gli aveva bruciato la gola per la sua intensità e ora che era giunto nel suo stomaco vuoto era come una lama tagliente.
Cercò di far passare quella sensazione stordente, sbattendo le palpebre e respirando profondamente, anche se il suo alito era caldo per l’alcol e ad ogni respiro sentiva ancora quel bruciore in bocca.
Di sicuro quel bicchiere gli aveva procurato una scossa intensa, ma da solo non bastava. Si sentiva ancora lucido e, nonostante il bruciore che sentiva dentro, decise che avrebbe continuato.
- Dammene un altro – disse al locandiere.
L’uomo lo guardò pigramente mentre asciugava i bicchieri e rispose – Dovrai aspettare un momento. Ho finito la bottiglia e devo prenderne un’altra sul retro -.
- E allora che cosa aspetti? Vai a prenderla – disse Abel in tono poco garbato.
Il vecchio sbuffò e si diresse verso il retrobottega per prendere un’altra bottiglia di whisky.
Abel attendeva seduto al bancone, mentre batteva spazientito le dita sul tavolo in attesa di poter bere un altro bicchiere.
- Ciao straniero – disse una voce femminile alle sue spalle.
Abel si voltò con poco interesse, notando una donna dall’aspetto piuttosto discinto che lo fissava, sorridendogli maliziosa. Si avvicinò di più a lui e aggiunse – Vedo che hai voglia di bere. Potrei farti compagnia. Stasera anche io ho la gola secca -.
Abel non aveva voglia di avere nessuno intorno, tantomeno quella donna volgare.
- Scusa ma bevo da solo. Non sono di compagnia stasera – replico lui gelido, mentre tornava a voltarsi, girandole le spalle.
Ma la donna non si arrese e si sedette sullo sgabello accanto al suo.
Abel le lanciò uno sguardo scocciato e non disse nulla, ma lei ebbe il coraggio di continuare – Ma come siamo antipatici! – disse lei ammiccando – Non ci si comporta così con una signora che ti offre la sua compagnia, sai? Se ti lasciassi andare un po’ scopriresti che non sono affatto male e magari potremmo divertirci insieme -.
Abel tornò a guardarla e le rispose – Forse non sono stato abbastanza chiaro nel dirti di lasciarmi in pace. Voglio stare solo -.
- Oh avanti, ma che ci guadagni a stare solo? – disse lei – Offrimi da bere e facciamoci due chiacchiere. Sei un tipo interessante, sai? Da dove vieni? Non ti ho mai visto qui -.
Abel sbuffò spazientito e replicò – Senti, non ho voglia di parlare con te. Vai a cercartene un altro -.
La donna, nonostante quella rispostaccia, non si rassegnò e proseguì – E perché mai dovrei cercarne un altro se mi piaci tu? – e nel dire questo accavallò le gambe, tirando su la veste rossa che indossava e scoprendo un polpaccio.
Abel comprese le sue intenzioni e scosse la testa – Proprio non vuoi capire che con me non funzionano le tue moine -.
Lei di tutta risposta sorrise maliziosa socchiudendo gli occhi e alzando ancora di più la gonna, scoprendo il ginocchio e lasciando intravedere una giarrettiera di pizzo a metà coscia – Non mi sembri il tipo di uomo a cui non piacciono le donne. E non mi venire a dire che un ragazzo giovane come te non ha voglia di divertirsi un po’. Se non sbaglio sei qui da solo e magari stai facendo un lungo viaggio. Ci vuole un po’ di distrazione, no? -.
- Senti, io non ho bisogno di nessuna distrazione – rispose Abel – Ho una moglie che amo ed è con lei che mi interessa stare. Non cerco squallide avventure -.
La donna aggrottò le sopracciglia e disse – E dov’è questa mogliettina? Qui in giro non la vedo -.
Abel sbuffò e rispose – E’ a Londra e sto per tornare da lei -.
La donna rise sguaiatamente e tornò a farsi maliziosa. Si avvicinò sempre di più ad Abel, mostrandogli la profonda scollatura del suo vestito e con voce suadente gli sussurrò all’orecchio – Tua moglie è lontana e non può sapere che cosa stai facendo ora. Non pensare a lei per un paio d’ore. Offrimi da bere e poi prendiamo una stanza al piano superiore. Sono sicura che non te ne pentiresti affatto. Nessuno si è mai lamentato dei miei…. servigi. Lei non lo saprà mai. Sarà il nostro piccolo segreto, tesoro -.
Abel sentì il profumo nauseabondo di quella donna invadergli le narici. Non seppe dire se la nausea che stava provando era data da quel profumo o dalle sue squallide parole. Non potè fare a meno di pensare alla sua Georgie e alla sua delicatezza, alla sua dolcezza. Ma come poteva quella sgualdrina solo osare di proporgli una cosa del genere? Tradire il suo amore? Mai al mondo. Si sdegnò per quella proposta e rispose con tono molto severo – Vattene. Non osare dire nulla di più. Non sai quello che dici. Non tradirei mai mia moglie. Non sei degna nemmeno di menzionarla -.
La donna, che fino a quel momento incassò ogni risposta scocciata di Abel con un sorriso e senza arrendersi, si sentì insultata, come se lui l’avesse appena schiaffeggiata e spense il suo sorriso, trasformandolo in una smorfia indignata.
- Guai a toccare la moglie! Certo, li conosco i tipi come te – disse lei arrabbiata – Sei tanto innamorato della tua bella, ma non sei con lei. Come mai l’hai lasciata a Londra se la ami così tanto? - .
Abel si voltò di scatto e la fulminò con uno sguardo pieno d’ira. Non seppe trattenersi e le rispose
– Ma cosa vuoi saperne tu? Sono dovuto venire fino a qui perché avevo una cosa molto importante da fare e non ho proprio potuto portarla con me, altrimenti lo avrei fatto più che volentieri. E ora che ho concluso qui, me ne ritorno da lei domani -.
La donna tornò a farsi maliziosa e sorridendogli disse – Ma se la ami così tanto perché aspettare domani? Se qui hai finito potevi partire, invece sei venuto in un posto come questo a bere. E non dirmi che sei tanto ingenuo da non sapere che in certe taverne gli uomini ci vengono per trovare compagnia. Non mi sembri uno sprovveduto, te lo dovevi aspettare che una donna ti abbordasse. E, non per vantarmi, ma sei stato fortunato che una del mio livello ti venisse a cercare. Sono la più richiesta qui dentro. E poi – aggiunse accarezzando il braccio di Abel – Tu sei molto carino. Potrei addirittura non farti pagare nulla -.
Abel rimase stupito. Non aveva nemmeno fatto caso alla proposta indecente che quella donna gli aveva appena fatto. Ma fu colpito dalle sue parole. Poteva sembrare assurdo, ma quella tizia aveva ragione. Che ci faceva lui ancora lì? Ormai aveva fatto ciò che doveva, non aveva più senso restare. E comprese che andare a quella taverna per sbronzarsi era stata una mossa molto stupida. Non poteva più perdere tempo, doveva andarsene.
Mentre realizzava queste cose nella sua mente, si avvicinò al bancone il vecchio con la bottiglia di whisky che lui aveva chiesto poco prima.
- Ci ho messo un po’ perché non riuscivo a trovare la cassa con le bottiglie nuove – disse l’uomo mentre gliene versava un’altra abbondante dose.
Abel guardò quel bicchiere e capì che poteva farne benissimo a meno. Sbronzarsi non aveva senso e non avrebbe cancellato il dolore per la perdita di Arthur. E invece di perdere tempo per starsene lì dentro a quel postaccio mal frequentato a bere, doveva tornare da Georgie e dal suo bambino.
Sorrise sereno e prese il bicchiere in mano, poi si rivolse alla donna che lo aveva importunato, questa volta con voce più gentile e le disse – Che tu ci creda o no, io amo mia moglie e per me non c’è altra donna al mondo che possa reggere il suo confronto. Non sono qui perché sono in cerca di avventure. Ho avuto una giornataccia e ho pensato che avrei risolto i miei problemi con una bella bevuta, ma sbagliavo. Ti devo ringraziare, perché mi hai aperto gli occhi. Stare qui a piangere non serve a niente. Devo tornare da mia moglie. Mi manca molto e so che anche io le manco – e finì la frase porgendole il bicchiere – A me questo whisky non va più. Permettimi di offrirtelo per ringraziarti per avermi svegliato dal mio torpore -.
La donna lo guardò perplessa, ma accetto il bicchiere.
Abel pagò il conto e si congedò da lei. La donna lo guardò mentre usciva dalla taverna e disse tra sé e sé – Quello è tutto matto – e poi, mentre sorseggiava il suo whisky, si guardò intorno, alla ricerca di qualche altro uomo da ghermire.
Appena fuori da quel postaccio, Abel respirò a pieni polmoni l’aria fresca. Tutto quel fumo lo stava soffocando e aveva bisogno di tornare a respirare.
Iniziò a correre lungo la strada che conduceva al convento. Non aveva altro tempo da perdere. Doveva partire al più presto.
Il bicchiere che aveva scolato non lo aveva fatto ubriacare per fortuna, ma lo aveva riscaldato e il vento gli sembrò meno freddo. Ormai stava piovendo a dirotto e in lontananza si vedevano dei lampi. Stava per arrivare un bel temporale.
Giunse al convento e, appena entrato al suo interno, corse su lungo le scale che portavano alle camere da letto.
Arrivò trafelato davanti alla porta della stanza del conte Wilson e bussò forte.
Non ottenne risposta e pensò che il conte con ogni probabilità stava dormendo pesantemente.
Non si perse d’animo e riprese a bussare più forte, chiamandolo ad alta voce – Conte! Conte, svegliatevi presto! -.
Poco dopo la porta si aprì e comparve il conte con gli occhi aperti a fatica e la faccia ancora addormentata.
- Ma che c’è? – domandò tra gli sbadigli.
Poi si sfregò gli occhi per bene e la vista tornò ad essere più nitida. Davanti a lui c’era Abel. Era bagnato e trafelato. E sembrava agitato.
- E’ successo qualcosa figliolo? – chiese il conte Wilson allarmato.
Abel gli sorrise, gli mise una mano sulla spalla e disse – Dobbiamo partire. Sono stufo di lamentarmi e di soffrire. Dobbiamo tornare a Londra. Devo rivedere la mia Georgie -.
Il conte aggrottò la fronte, non capendo il senso di quelle parole.
- Certo Abel. Ne abbiamo già parlato di questo e infatti domattina partiremo. Non vedo perché devi piombare qui a quest’ora a dirmi queste cose – disse il conte e aggiunse – Sei tutto bagnato e infreddolito. Ma dove sei stato, benedetto figliolo? -.
Abel sorrise e rispose – Diciamo che avevo bisogno d’aria per schiarirmi un po’ le idee – e rifacendosi serio proseguì – Quello che voi non capite è che non possiamo aspettare domani. Dobbiamo tornare a Londra ora -.
- Cosaaa??? – disse il conte sperando di aver capito male – Sei forse impazzito? -.
Abel scosse la testa e provò a spiegare – Lo so che vi sembra assurdo, ma non posso restare qui un minuto di più. Georgie ha bisogno di me. Devo tornare. Non possiamo sprecare una notte. Avremo tempo a dormire quando saremo arrivati a casa. Ora dobbiamo guadagnare tempo -.
Il conte si buttò una mano in fronte e sospirò disperato – Abel tu vuoi farmi impazzire. Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Io capisco che tu sia innamorato e che abbia voglia di fare ritorno, ma non ha senso partire di notte, è troppo pericoloso. Innanzitutto la strada è buia e avremmo difficoltà a vedere dove andiamo. Poi devi contare che a quest’ora non è sicuro essere in giro. Potremmo incontrare briganti malintenzionati, pronti ad uccidere per rubare un misero penny e non mi sembra il caso di correre il rischio. E da ultimo ti vorrei ricordare che sta piovendo e che, se quelli che sento ora sono tuoni, si sta pure scatenando un temporale coi fiocchi. Vuoi che i cavalli si spaventino e ci gettino a terra? Ti rendi conto che ci potremmo fare del male? Cerca di ragionare e di avere pazienza. Domani partiremo presto, prima dell’alba, ma ora tornatene a letto e cerca di riposare -.
Abel capiva che le parole del conte erano giuste, ma lui non aveva paura di niente, aveva solo un obiettivo, tornare dalla sua Georgie il prima possibile.
- Conte io non ho paura. Fidatevi di me, ce la possiamo fare. Non saranno due gocce d’acqua e un po’ di buio a fermarmi. Dobbiamo assolutamente partire – disse Abel cercando di convincere il suo compagno di viaggio.
Il conte sbuffò e rispose ad Abel in maniera severa, con un tono di voce alterato e deciso – Adesso basta! Si fa come dico io. Partiremo domani. Non fare il bambino, sei un uomo ormai. Ti ho sempre capito e sostenuto, ma ora non ragioni e non ti lascerò commettere una sciocchezza simile. Ho promesso a Georgie che ti sarei stato vicino e che non avrei permesso che ti accadesse nulla di male. E ho intenzione di tener fede al patto. Quindi ora smettila con le stupidaggini e usa la testa. Si parte domani e non ho più intenzione di fare parole su questo argomento -.
Abel si stupì di quella reazione e non osò obiettare. Non aveva mai visto il conte così. Di sicuro era un uomo saggio e le sue parole erano giuste. Solo che ormai per lui la lontananza da Georgie era diventata insostenibile.
Abel annuì a quel rimprovero e sussurrò – Va bene – e si voltò per far ritorno a testa bassa nella sua stanza.
Il conte chiuse la porta e sospirò. Era dispiaciuto per aver parlato ad Abel in quel modo. Capiva i suoi sentimenti e si rendeva conto che era giovane ed impulsivo. Pensava di poter essere invincibile e non ponderava le scelte. Toccava a lui usare il buon senso e cercare di calmarlo. Non poteva certo permettergli di commettere sciocchezze.
Nel frattempo Abel entrò nella sua stanza. Velocemente raccolse le sue cose e le infilò nel suo sacco, per poi metterselo in spalla.
Rapidamente scese le scale ed uscì dal convento per dirigersi verso la stalla.
Bussò alla porta e gli venne ad aprire un ragazzino. Il giovane era stato portato davanti alla porta del convento che era ancora in fasce e lì venne accolto con amore dalle monache che lo avevano cresciuto. Ora si occupava dei cavalli delle suore e di quelli dei passanti.
- Di cosa avete bisogno signore? – chiese il bambino ad Abel.
Abel gli sorrise e rispose – Dovresti preparare il mio cavallo se non ti dispiace. Sono in partenza -.
Il ragazzo si stupì a quelle parole e gli disse – A quest’ora e con questo tempo? Siete forse impazzito? -.
Abel ridacchiò – Non sei l’unico a pensarlo ragazzo, ma purtroppo non ho scelta. Non posso più aspettare. Mi serve il cavallo ora -.
Il giovane si affrettò a sellare il cavallo di Abel e glielo portò.
- Dovresti farmi ancora un favore – disse Abel salendo in sella – Domattina l’uomo che è con me, il conte Wilson, partirà per Londra e si aspetterà che ci sia anche io. Dovresti dirgli che io sono partito stasera e che mi dispiace di avergli mentito, ma che avevo le mie buone ragioni -  e dicendo queste parole lanciò una moneta al ragazzo.
- Questi sono per il tuo servizio. Ti auguro buona fortuna – aggiunse Abel.
Il ragazzo sorrise nel vedere la sterlina che Abel gli aveva lanciato e lo guardò pieno di riconoscenza, dicendogli – No signore. Buona fortuna la auguro io a voi. Credetemi, ne avrete bisogno! -.
Dopo quelle parole Abel voltò il cavallo e prese a galoppare sotto la pioggia incessante.
Faceva freddo, la strada era fangosa e scivolosa e il buio non gli permetteva di vedere bene. Ma non aveva importanza. Non aveva paura. Era un marinaio lui, aveva visto di peggio in mezzo al mare.
E poi il suo pensiero non era concentrato sulle difficoltà che stava incontrando, ma sulla sua Georgie.
Pensò a lei e sentì una morsa al cuore. Quanto gli mancava! Rivide il suo dolce viso e sorrise felice, mentre il vento gli sferzava il volto.
- Amore manca poco – disse fra sé e sé Abel con rinnovata fiducia – Sto tornando da te Georgie -.
E dette queste parole, spronò il cavallo in quella folle corsa verso Londra, mentre il buio della notte e il gelo della tempesta lo inghiottivano nei loro meandri. 


TBC...

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Capitolo 9
*** L'attesa infinita ***


Capitolo 9 – L’attesa infinita
 
 
 
Georgie si svegliò per l’odore invitante che stava aleggiando per tutta la casa. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma al suo olfatto non sfuggì il delizioso profumino che saliva dal piano sottostante.
- Mmmm, questa è una torta – disse pigra mentre si girava nel letto avvolta dalle coperte.
L’odore invitante non solo risvegliò lei dal sonno, ma anche il suo appetito, che sembrava ormai sopito dopo la partenza di Abel.
Aprì gli occhi e sorrise – E’ un’idea di papà per farmi venire l’acquolina in bocca nella speranza di farmi mangiare qualcosa – pensò intenerita tra sé e sé.
Il padre era preoccupato per lei. Nelle ultime settimane aveva mangiato veramente poco e il suo aspetto era sciupato. La preoccupazione per Abel e le nausee mattutine avevano fatto sì che il suo stomaco si chiudesse, ma suo padre temeva per la sua salute e per quella del suo bambino.
E quella torta era un gesto semplice, ma dal significato enorme per lei.
- Questo sì che è un dolce modo di svegliarsi – mormorò Georgie soddisfatta e sorridente.
Si alzò dal letto, decisa a scendere nel salone da pranzo in breve tempo ed onorare la colazione che suo padre le aveva fatto preparare.
Negli ultimi tempi non gli aveva fatto molta compagnia a tavola, anzi a dire il vero non gli aveva fatto compagnia per nulla, per via della sua inconsolabile tristezza e della sua scelta di rimanere per la maggior parte del tempo chiusa nella sua stanza, in attesa del ritorno di Abel.
Quel giorno però si rese conto che tutto ciò non aveva senso. Non poteva non sentire la mancanza di suo marito e nemmeno impedire di essere preoccupata per lui, ma non poteva rinchiudersi in un mondo tutto suo e non permettere alle persone che la amavano di starle vicino. Non poteva far preoccupare tutti con il suo comportamento insensato. Era decisa a rimediare a tutto questo.
In un lampo si vestì e si pettinò e uscì dalla sua camera. Scese le scale velocemente ed arrivò nel salone da pranzo in un attimo.
La tavola era imbandita con ogni ben di Dio. Al centro vi era una grossa torta di frutta appena sfornata e le si illuminò il viso.
Suo padre era alla finestra che guardava fuori pensieroso. Le dava le spalle e nemmeno si accorse della sua presenza.
Georgie sorrise ed esclamò – Ma tu sei proprio deciso a farmi ingrassare! -.
Il conte Gerald si voltò sorpreso. Non l’aveva sentita arrivare.
Sinceramente ci sperava, ma non osava farlo più di tanto per paura di rimanere ancora deluso. Era preoccupato per Georgie. Mangiava poco e dormiva male e sapeva che tutto questo non le avrebbe fatto bene. Così, dopo aver insistito innumerevoli volte nel dirle che doveva mangiare qualcosa per il suo bene e per quello del bambino, aveva provato con la tentazione. Aveva chiesto alla governante di cucinare pietanze che Georgie adorava, nella speranza di ottenere un risultato migliore dei precedenti. E nel vederla lì nel salone con un bellissimo sorriso in volto, pensò di esserci riuscito.
- Diciamo che è quello che una donna incinta dovrebbe fare – rispose lui, ricambiando il sorriso.
Georgie rise a quelle parole e disse – Hai ragione, invece io direi che sono dimagrita. Faccio sempre le cose al contrario degli altri. Ma oggi con questo profumino delizioso che aleggia per casa e questa splendida tavola imbandita direi che non posso rifiutarmi di onorare la tua cucina. Anzi, direi che abbiamo già parlato troppo. Che ne dici di sederci a tavola e iniziare la nostra colazione? -.
Il conte Gerald era felice per le parole della figlia e decise che non l’avrebbe di certo fatta aspettare. Si sedettero subito e si misero a mangiare.
Georgie sembrava una bambina. Voleva assaggiare tutto.
Ogni cosa che metteva in bocca aveva un buon sapore e la portava a provare qualcos’altro. Forse le nausee avevano deciso di lasciarla in pace per un po’, forse aveva deciso di reagire alla preoccupazione che provava per la lontananza da Abel, il fatto era che stava mangiando e con gusto per di più.
Il padre la guardava stupito e felice. Era da tanto tempo ormai che non aveva più fatto un pasto in compagnia di sua figlia. Vederla così serena e golosa per lui era un sollievo.
- Se vuoi posso dire alla governante di preparare una torta diversa ogni mattina – disse il conte sorridendole con gli occhi che brillavano.
Georgie lo guardò mentre aveva ancora la bocca piena di torta e cercò di rispondere – E come si fa a rifiutare un’offerta così allettante? – .
Ridacchiarono e continuarono la loro colazione, parlando del futuro, del bimbo in arrivo e di tante altre cose.
Georgie si sentiva bene, era felice di provare quella sensazione. Si sentiva stranamente ottimista e non sapeva perché. Nulla era cambiato, di Abel e Arthur non aveva alcuna notizia, ma si sentiva più energica, più forte. Decise che era arrivato il momento di reagire e di ricominciare a vivere normalmente, permettendo alle persone a lei care di starle accanto.
Passò l’intera mattinata in compagnia del padre e dopo pranzo decise di dedicarsi al cucito. Si sedette accanto alla finestra nel salone a piano terra e si dedicò completamente a quell’attività, senza lasciare che la sua mente venisse turbata da brutti pensieri.
Era presa dal suo lavoro, quando improvvisamente il nitrito di un cavallo la destò.
Alzò la testa e guardò fuori, incuriosita. Notò una carrozza ferma davanti al cancello di casa. Si aprì la porta e scese una ragazza.
Non capendo di chi si trattasse, Georgie si alzò in piedi e si avvicinò ai vetri per meglio vedere quella persona. La ragazza imboccò il vialetto che portava alla porta di ingresso di casa e, mentre si avvicinava con passo veloce, Georgie riconobbe che si trattava di Maria.
Georgie corse all’ingresso per accogliere l’amica. Appena aprì la porta la vide e non potè fare a meno di regalarle uno splendido sorriso.
Maria aveva conservato il suo bell’aspetto, ma aveva perso il brio di un tempo. I suoi occhi non riuscivano a nascondere quel velo di tristezza che le pesava sul cuore. Il dolore e la vergogna che si portava dentro a cause delle malefatte di suo padre e di suo fratello le avevano tolto la felicità e l’avevano fatta maturare troppo in fretta.
La ragazzina viziata ma dal cuore d’oro era scomparsa e aveva fatto posto ad una donna delusa e amareggiata, che aveva dovuto lasciare tutto ciò che aveva di più caro per sfuggire alla vergogna.
- Oh Maria! Ma che piacere vederti! – esclamò Georgie sinceramente entusiasta per quella visita inaspettata – Avanti entra, avevo proprio bisogno della compagnia di una cara amica! -.
Maria sorrise, felice per quell’accoglienza così calorosa. Da tempo si sentiva esclusa ed evitata da tutti. La vergogna che era piombata sulla sua famiglia aveva finito per schiacciarla e privarla della serenità di un tempo. Le cose erano più difficili ora e lei, così giovane ed ingenua, si era trovata sola ad affrontare le difficoltà di una vita troppo dura, di una realtà che non le apparteneva.
Ma Georgie non era mai cambiata, le aveva sempre regalato un sorriso e offerto una spalla su cui piangere. L’aveva fatta sentire meno sola e di questo le era grata.
Felici di poter trascorrere qualche ora insieme, Georgie e Maria si accomodarono nel salone per fare quattro chiacchiere.
- Tuo padre è passato ieri da me – esordì Maria – Mi ha raccontato quello che è successo e mi ha detto che è molto preoccupato per te. Così ho deciso di tornare a Londra per vederti. Sai che non amo stare in città dopo lo scandalo che ci ha coinvolti, ma volevo constatare di persona come stavi -.
Georgie sorrise intenerita a quelle parole. Maria era molto cara e anche suo padre lo era. Stava cercando in ogni modo di tirarle su il morale, cercando di starle vicino e di circondarla di persone a lei care. E Maria era senza dubbio una di queste persone.
Georgie le raccontò tutto per filo e per segno e spiegò all’amica quanto era in pensiero per il suo Abel e quanto le mancava.
- Non mi piace essere lontana da lui – disse Georgie – Soprattutto dopo quello che è successo in quella cella quando Abel… - Georgie si fermò e si trovò in imbarazzo. Ricordare quel fatto era doloroso per lei, ma sapeva anche che non era facile nemmeno per Maria. Tuttavia trovò la forza di proseguire – Beh, sai che intendo. Quando Abel ha ucciso tuo fratello e tutto ciò che ne è seguito. E’ stato orribile. E da allora ho il terrore di separami da lui, perché temo che possa capitare ancora qualcosa di brutto. Non ce la farei… non ne avrei la forza – cercò di finire la frase, ma la voce le si spezzò in gola e le lacrime le salirono agli occhi. Tutto le tornò alla mente. Abel in carcere, la sua condanna a morte, quegli spari… Il solo pensiero la face rabbrividire e cercò di togliersi quell’immagine dalla testa.
- Mi sono ripromessa di essere forte. E da oggi ho intenzione di mantenere la parola, ma non ti nascondo che questa preoccupazione è sempre con me. Ecco perché mio padre è così preoccupato. Sa perfettamente quanto sto soffrendo e vuole solo aiutarmi e proteggermi – e appoggiando delicatamente una mano sul suo ventre, proseguì – Anche per il bambino, perché sa che questo mio stato d’animo non fa bene neanche a lui -.
Maria annuì, comprendendo appieno le paure di Georgie e mettendole una mano sulla sua, le rispose – Ti capisco amica mia, ma devi essere forte. Sono sicura che andrà tutto bene e che presto Abel sarà qui da te. Ora hai il dovere di reagire, per te stessa e per la creatura che è dentro di te. Prima di tutto devi essere una madre Georgie e devi pensare al benessere del tuo piccolo. Non abbandonarti all’ansia, non serve a nulla. Reagisci e non perdere la speranza, vedrai che andrà tutto bene -.
Georgie si commosse a quelle parole. Maria stava dicendo una cosa giustissima. Ormai lei era una mamma e doveva pensare al suo bambino. Si emozionò a quell’idea e abbracciò Maria, grata per le sue parole.
Entrambe si commossero per quel momento di intimità tra donne e di sostegno tra amiche e lasciarono scendere qualche lacrima, salvo poi ridere per la loro propensione al facile pianto.
Ripresero a parlare davanti ad una tazza di thè e ad un bel piatto di pasticcini. E inevitabilmente finirono per affrontare la questione Arthur.
- Pensi che ci siano buone possibilità che il ragazzo in questione sia proprio Cai…ehm…Arthur? – chiese Maria con un filo di voce e gli occhi bassi.
Georgie comprese il suo stato d’animo e si emozionò. Le sorrise e l’abbracciò forte, sussurrando – Dobbiamo crederci! - .
Maria si scostò da lei, asciugandosi le lacrime e continuò con voce tremante – Sai, ci spero tanto. Pregherò ogni notte affinchè tutto vada per il meglio e Abel riporti Arthur a Londra sano e salvo. Voglio credere che sia vivo, che non sia mai annegato nel Tamigi. So che è una flebile speranza, ma mi ci voglio aggrappare con tutta me stessa -.
Georgie annuì, comprendendo perfettamente il suo stato d’animo. – Non voglio nemmeno pensare che quel ragazzo non sia il nostro Arthur. Dobbiamo tutti pregare che sia vivo e che torni da noi -.
Maria sorrise a quelle parole e proseguì – Oh Georgie! Spero davvero che sia così. Non riesco a darmi pace per quel che è successo. Arthur è una vittima innocente di Irvin e di mio padre. Ha sofferto tanto per tutte le crudeltà che gli hanno inflitto. Non si merita anche di essere morto così. Non sarebbe giusto! - .
Maria non seppe trattenere le lacrime e la disperazione a quelle parole. Si abbandonò per un attimo allo sconforto e poi riprese – Mi sento così in colpa Georgie… Non so come ho potuto essere così cieca. E’ anche colpa mia se Arthur ha sofferto tanto -.
Georgie non comprese quelle parole e, mettendo una mano sulla spalla all’amica, esordì – Ma cosa stai dicendo Maria? Tu colpevole? E’ di cosa? Sei solo una vittima, proprio come Arthur. Non devi dannarti l’anima per colpe che non hai! -.
Maria scosse la testa vigorosamente e rispose – No Georgie, apprezzo il tuo tentativo di consolarmi, ma non posso negare le mie responsabilità. Solo una stupida non si sarebbe accorta che c’era qualcosa che non andava. Sono stata ingenua e superficiale. Mi bastava avere un bel ragazzo accanto e pavoneggiarmi che fosse il mio fidanzato, ma non mi sono mai posta la domanda del perché questo ragazzo misterioso fosse arrivato nella mia casa. Non mi sono mai soffermata sul suo sguardo triste e amareggiato. Sono stata egoista. Avrei potuto capire e aiutarlo a fuggire. Invece mi sono limitata ad accettare la cosa e a mettermi in mostra con lui alle feste. Ho sbagliato e non posso che ammettere di avere anche io delle colpe. Spero vivamente che Abel trovi Arthur sano e salvo, non solo perché lui si merita di vivere e di avere una seconda possibilità, ma anche perché così potrò alleggerire il mio rimorso -.
Georgie sentì una pena sul cuore nel guardare Maria così affranta e cercò in qualche modo ti tirarla su – Ti senti in colpa perché gli volevi bene, ma credimi non hai nulla da rimproverarti. Forse sei stata ingenua e ti sei fidata di tuo padre e di tuo fratello, ma chi può darti torto? E’ normale avere fiducia dei propri cari. Non avresti mai potuto immaginare quello che tramavano nell’ombra. Erano la tua famiglia e tu, ignara di tutto, li amavi. Non dannarti per questo. Non sei tu che hai commesso quelle azioni terribili e non è giusto che sia tu ad avere i sensi di colpa. E non meriti neppure tutto quello che ti è successo dopo che sono venuti alla luce tutti gli intrighi di tuo padre. Sei una persona meravigliosa Maria ed è assurdo che tu debba pagare le malefatte della tua famiglia -.
Maria guardò Georgie sconsolata e le rispose – E’ così che vanno le cose Georgie. Le regole dell’alta società sono dure, ma ben chiare. E ora sulle mie spalle pesa tutta la vergogna che mio padre e mio fratello hanno gettato sulla nostra famiglia. Sono sola ora, tutti mi hanno girato le spalle, ma anche se soffro per tutto quello che è successo devo dirti che ora ho imparato a non farci più caso. Meglio soli che con falsi amici. Non riesco solo a darmi pace per il povero Arthur - .
Georgie sollevò il mento di Maria, affinchè la guardasse negli occhi, e disse – Mi sa che non è solo senso di colpa quello che provi…-.
Maria la guardò interrogativa e rispose – Non capisco quello che vorresti dire Georgie! -.
Georgie si lasciò sfuggire una risatina e spiegò – Quello che intendo dire è che secondo me tu sei innamorata di Arthur -.
Maria spalancò gli occhi di colpo e arrossì, abbassando subito la testa. – Ma no… che dici – sussurrò intimidita.
- Avanti! Non c’è niente di male in tutto questo! Anzi, è una cosa bellissima. Saresti una fidanzata perfetta per Arthur. Lui di altro non necessita che di una ragazza che lo ami davvero – disse Georgie.
- Eh già – sospirò sconsolata Maria – Solo che voleva che quella ragazza fossi tu e non io -.
Georgie rimase stupita da quelle parole. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva cosa.
Maria sorrise e si affrettò a dire qualcosa per togliere Georgie dall’evidente imbarazzo – Non devi imbarazzarti. Ho compreso che Arthur per te nutriva un sentimento sincero. Hai fatto centro nel cuore di entrambi i fratelli, ma è normale del resto. Sei una persona stupenda e sfido chiunque a non innamorarsi di te. Indipendente da quello che provo, credo che Arthur non potrebbe mai guardarmi con gli stessi occhi con cui guardava te -.
- Non essere sciocca Maria – rispose Georgie – Ormai io sono solo di Abel. Siamo sposati, aspettiamo un bambino e per me Arthur è solo un caro fratello e nulla più. Sono sicura che anche lui prova per me qualcosa di diverso ora. Tante cose sono successe e tante cose sono cambiate. Non credo che sia così impossibile che tu ed Arthur … - ma Georgie non riuscì a finire la frase che Maria la fermò, dicendo – Non dirlo Georgie! Non oso nemmeno pensarci. Sarebbe bello, ma ora come ora non ho nessuna certezza. Non so nemmeno se sia ancora vivo – e nel dire questa frase, Maria assunse un’espressione triste e addolorata.
Georgie le strinse la mano e la confortò – Non essere pessimista. Sii forte e credici. Non devi mollare mai Maria e tutto il resto verrà da sé, vedrai -.
Maria sorrise, senza celare qualche lacrima e annuì speranzosa.
Finirono il loro thè chiacchierando ancora un po’, finchè Maria si congedò per rientrare nella sua casa di campagna.
Georgie rimase sola e pensò a Maria con tristezza. Quella povera ragazza era sola e soffriva. Non meritava tanto dolore e pregò ancora che Arthur tornasse a casa, anche per la povera Maria.
Mentre faceva quel pensiero, Georgie venne svegliata dalle sue riflessioni da qualcuno che bussava insistemente alla porta. Ma chi poteva mai essere?
Si affrettò a raggiungere l’ingresso e aprì. Era Emma. Nell’ultima settimana non si erano viste ed ora era felicissima che fosse lì con lei.
- Oh Emma, ma che bello vederti! Oggi è la giornata delle belle sorprese! – esclamò Georgie abbracciando l’amica.
- Ti vedo bene, mia cara Georgie! Ma quale sorpresa hai già ricevuto oggi? – chiese Emma.
- Prima è passata di qui Maria e ora ci sei tu. E’ la giornata delle amiche oggi e non posso essere più felice di così per questo – rispose Georgie facendo entrare in casa l’amica.
- Beh sai, ero preoccupata per te – aggiunse Emma – Ieri tuo padre è venuto a farmi visita, dicendo che ultimamente ti ha vista un po’ amareggiata e così ho pensato di venire a trovarti per vedere come stavi -.
Georgie si stupì ed esclamò – Mio padre ieri è andato da tutte le mie amiche per allarmarle! Anche Maria è venuta qui per la stessa ragione. Comunque sto bene, non dovete preoccuparvi per me -.
Emma fece un sospiro di sollievo e disse – Meglio così. Ieri tuo padre era piuttosto teso e mi ha fatto prendere un colpo -.
Georgie rise a quelle parole e cercò di giustificare il genitore – E’ preoccupato per me, povero papà, e sta cercando di fare di tutto per farmi sentire meglio. E devo dire che ci sta riuscendo. Mi fa piacere essere coccolata da tutti voi. Grazie per esserci nei momenti di difficoltà - .
Emma abbracciò Georgie e aggiunse – Non dirlo nemmeno. Lo sai che per te ci sono – poi sospirò, prese l’amica per mano e la portò a sedere sul divano di fronte alla finestra – Ma oggi sono qui per tirarti su il morale, quindi non perdiamo tempo e iniziamo -.
Georgie non capì quelle parole e chiese – Cosa intendi? Che cosa dovremmo iniziare a fare? -.
Emma sorrise maliziosa e rispose – Semplice. Parliamo un po’ della causa della tua sofferenza –.
Ma vedendo che Georgie non capiva, fece un profondo sospiro sconsolata e spiegò meglio – Parliamo di Abel! Insomma, sei qui che ti preoccupi per lui, che senti la sua mancanza, quindi è meglio che ti sfoghi un po’ con me. Vedrai che starai meglio dopo -.
Georgie sospirò tristemente e iniziò – Hai ragione Emma. Sento la sua mancanza e sono in pensiero per lui. E tenermi tutto dentro non aiuta, anzi aumenta solo la mia angoscia. Ho proprio bisogno di spiegarti le mie preoccupazioni e … - ma non ebbe tempo di finire la frase che Emma la interruppe subito  - Ma non è di questo che voglio parlare! -.
Georgie la guardò stupita e rimase senza parole. Proprio non capiva che cosa intendesse la sua amica.
Emma sorrise a quell’espressione scioccata di Georgie e sorridendo proseguì – Insomma Georgie, lo so che sei triste, preoccupata, eccetera eccetera. Lo abbiamo capito tutti e tutti ti stiamo dicendo che non c’è nulla da temere, ma tanto non ci ascolti e continui sulla tua strada. Quindi è inutile tornare ai soliti discorsi – poi la guardò maliziosa e proseguì – Quello che vorrei oggi è parlare di Abel da donna a donna…o meglio, da moglie a moglie! -.
- Oh Emma, non riesco a comprendere, spiegati meglio – chiese Georgie sempre più interrogativa.
Emma non riuscì più a controllarsi e scoppiò in una risata allegra – Mamma mia, quanto sei ingenua Georgie! – cercò di ricomporsi e proseguì – Quello che voglio dirti è che dovresti smetterla di pensare ad Abel con tristezza, così facendo renderai questa separazione ancora più terribile. Cerca invece di rilassarti un momento e di pensare alle cose belle che avevi con lui. Certo, questo forse ti farà sentire ancora di più la sua mancanza, ma almeno smetterai per un attimo di pensare a tutte le tragedie che potrebbero colpirlo e ti concentrerai solo sugli aspetti positivi – e strizzando l’occhio finì la frase – E non mi dire che non pensi mai a come lo accoglierai quando farà ritorno da te! Insomma, dopo essere stati lontani dovrai essere …. ehm …. premurosa, se capisci ciò che intendo! -.
Georgie comprese al volo il concetto dell’amica e arrossì di colpo. – Emma, ma dai! Cosa vai pensando! – mormorò in preda all’imbarazzo.
- Avanti Georgie, smettila di pensare solo alle cose negative e focalizzati invece sul suo ritorno. Ma lo sai che sarà una cosa da togliere il fiato? Ci hai già pensato? Dopo questa lunga lontananza scommetto che non vi darete neppure il tempo per salutarvi che sarete già a letto a dimostrarvi l’un l’altro quanto vi siete mancati! – e dopo un sospiro aggiunse – E non ti nego che vi invidio. Ma sai quanta passione condividerete? Ahhh Georgie, sarà così romantico! -.
- Emma! Dai smettila! Non riesco a parlare di queste cose con la stessa spontaneità con cui lo fai tu – replicò Georgie sempre più intimidita.
Emma comprese quanto la sua amica fosse impacciata ma non si fermò – Avanti, siamo solo noi due. Lo sai che di me ti puoi fidare. E poi non c’è mica nulla di male se ci facciamo questo genere di confidenze. Tra amiche è lecito e sono certa che nella tua situazione questi pensieri non potranno far altro che tirarti su il morale - .
- Sì ma…. – cercò di replicare Georgie, ma senza successo perché Emma la interruppe subito – Niente ma, mia cara, rilassati e concentrati su questo. Scaccia la negatività e sii romantica. Scommetto che anche Abel ogni tanto penserà a questo. Ne sono certa. Mi sembra un tipo così passionale, così irruento. Ahh Georgie, vedrai quanto fuoco quando tornerà da te! -.
Georgie ormai non era semplicemente rossa in volto, ma paonazza. Emma aveva di sicuro ragione, ma dire ad alta voce quelle cose la faceva sentire terribilmente inappropriata.
E poi, a dire il vero, non aveva veramente mai pensato a come si sarebbero comportati al ritorno di Abel. Di sicuro non era da escludere che avrebbero avuto bisogno di intimità. In fondo ormai erano passate tre settimane e aveva tanta voglia di stare tra le sue braccia. Chissà se anche lui aveva lo stesso desiderio.
Poi di colpo Georgie trasalì e si mise le mani sul volto – Oh Emma, ci penso solo ora! – esclamò preoccupata.
- A cosa pensi solo ora? – chiese Emma.
- Al mio aspetto – spiegò meglio Georgie – Guardami, sono sciupata, smagrita, pallida. Quando Abel tornerà penserà di aver sposato un mostro. E se non … beh ecco …  se non fosse attratto da me nel vedermi così? -.
Emma scoppiò in una fragorosa risata e cercò di tranquillizzare l’amica – Non ho mai sentito una stupidaggine più grossa di questa! Abel ti adora e sono sicura che non appena varcherà l’ingresso di questa casa ti porterà di sopra e rimarrete chiusi nella vostra stanza per una settimana intera! -.
Georgie tornò a sentirsi fortemente imbarazzata – Emma, ti prego… -.
Emma tornò seria, diede una carezza all’amica e proseguì – Anche se in questo ultimo periodo non ti sei presa cura di te per nulla, resti comunque una splendida ragazza e non devi dubitare di quello che Abel prova per te. Al di là dell’attrazione fisica, che credimi, è altissima e anche un cieco lo capirebbe, lui ti ama, quindi non corri di certo il rischio che lui sia freddo con te. Stanne certa – e prendendole la mano proseguì – Questo però deve spronarti ad avere una maggior cura di te. Devi tornare a mangiare, a dormire e a farti bella. Se il tuo corpo sta bene, anche il tuo animo starà bene e tutto questo gioverà a te, al tuo bambino e a tuo marito. Quindi da te ora voglio una promessa…anzi due! -.
Georgie sorrise grata alle parole dell’amica e rispose – Va bene, dimmi che cosa vuoi che ti prometta -.
Emma la guardò negli occhi e disse – Innanzitutto voglio che tu mi prometta che da oggi in avanti scaccerai la depressione e ti dedicherai di più a te stessa e in particolar modo alla tua salute -.
Georgie annuì sorridendo e rispose – Sì, te lo prometto -.
- Bene. Così mi piaci. E poi – aggiunse – Voglio che mi prometti che mi racconterai per filo e per segno come sarà riabbracciare il tuo Abel quando farà ritorno e… non tralasciare i particolari piccanti! -.
Georgie esplose in una risata cristallina – Emma sei proprio incorreggibile! Questo non te lo prometto, ma posso dirti che seguirò il tuo consiglio e sarò….. premurosa con lui! -.
Rimasero insieme fino all’ora di cena, parlando e ridendo spensierate. Quando Emma si congedò, Georgie la abbracciò forte e le disse – Grazie di tutto. Sono fortunata ad avere un’amica come te -.
Emma le strizzò l’occhio e rispose – Vedi di mantenere le promesse che mi hai fatto e sii forte. Vedrai che presto tutto questo sarà finito e Abel sarà di nuovo con te -.
Quella sera a cena Georgie era di buon umore e fece onore alla tavola. Il conte Gerald si sentì sollevato nel vedere la figlia serena e con tanto appetito.
Mangiarono e parlarono allegramente, dimenticando tutte le preoccupazioni e godendosi quella serata di intimità familiare davanti al caminetto acceso.
 
Poco più tardi Georgie era in camera sua, al buio, davanti alla finestra. Guardava la pioggia battere incessante contro i vetri e sospirò – Qui in Inghilterra la primavera stenta ad arrivare – pensò tra sé e sé.
E il pensiero volò ad Abel. Aveva promesso di non fare più brutti pensieri, ma stava arrivando un temporale e lei si chiedeva dove lui fosse. Pensarlo chissà dove, magari sotto la pioggia, la faceva stare male. Quanto avrebbe voluto averlo lì con lei. Il tempo sembrava non passare mai. Quanto avrebbe dovuto ancora aspettare? Era una vera e propria tortura, un’attesa infinita.
Scosse la testa e cercò di farsi forza – Adesso basta. Angustiarsi non serve a nulla -.
Si voltò,  raggiunse il letto e si infilò sotto le coperte.
Aveva trascorso una bella giornata. Aveva avuto modo di vedere le sue amiche e di confidarsi con loro, aveva goduto delle attenzioni di suo padre e ora sentiva la stanchezza sopraggiungere e non voleva far altro che abbandonarsi al sonno, avvolta nel calore delle coperte.
I lampi e i tuoni illuminavano il cielo scuro della notte e il vento ululava scuotendo i rami degli alberi.
La tempesta imperversava, ma nonostante il frastuono Georgie riuscì ad addormentarsi.
Tuttavia, nonostante la stanchezza, il suo non fu un sonno profondo. Continuava ad agitarsi nel letto, turbata dal rumore dei tuoni e della pioggia. Non riusciva ad abbandonarsi alle braccia di Morfeo completamente. Quel temporale in qualche modo la teneva vigile, non permettendole di distaccarsi dalla realtà.
Fu per questo forse, che improvvisamente si destò nel buio della notte. Trasalì e si sedette sul letto, con gli occhi sgranati. Ne era certa, aveva sentito un rumore. E non era un tuono e neppure il vento.
Era come se qualcuno avesse chiuso la porta di ingresso al piano sottostante.
Certo, la confusione generata dalla tempesta e il sonno leggero potevano averle tirato un brutto scherzo. Forse quel rumore se l’era solo sognato, ma chissà perché le era sembrato così reale.
Fece un profondo sospiro e cercò di calmarsi. Ed ecco un altro rumore. Erano dei passi, ne era certa.
Durante il giorno era normale sentire rumori di quel tipo, ma di notte tutto si acquietava e nessuno aveva l’abitudine di girare per la grande casa.
Le venne il panico – O Dio, non sarà mica un ladro? – pensò impaurita.
I passi rimbombavano nel corridoio e pian piano si stavano avvicinando – E se fosse un vagabondo in cerca di riparo dal temporale? E se fosse malintenzionato? – pensò Georgie stringendosi forte nelle coperte, mentre la paura la stava paralizzando su quel letto. Era seduta immobile che fissava nel buio la porta, con il terrore che si aprisse e qualcuno entrasse per farle del male.
Non riusciva a vedere molto bene, ma non voleva neppure accendere le candele per illuminare la stanza, temendo di attirare l’attenzione dell’intruso.
Rimase ferma in attesa, mentre il cuore le scoppiava nel petto. Un brivido le scese lungo la schiena quando sentì i passi fermarsi in prossimità della porta della sua camera da letto.
- Ecco ci siamo – pensò terrorizzata – Sta per entrare. Dio mio ti prego proteggi me e il mio bambino. Dammi la forza di urlare e di difendermi -.
Non ebbe tempo di finire quelle parole che la maniglia della porta lentamente girò, provocando uno stridulo rumore.
Georgie ebbe un sussulto, ma continuò a restare immobile, fissando il buio.
Pian piano la porta si aprì e una sagoma scura si profilò nell’ingresso della sua stanza.
Era di sicuro un uomo, alto e con un mantello. La sorprese il fatto che non si muovesse. Chissà forse anche lui non riusciva a vedere bene.
Georgie stava vivendo attimi di puro terrore. Avrebbe voluto urlare, ma la paura le aveva anche tolto la voce, oltre che averle paralizzato i muscoli. Non seppe che fare e rimase in attesa.
Improvvisamente quell’uomo fece un passo in avanti e lei iniziò a tremare.
Non ebbe il tempo di pensare a come sfuggire da quella situazione che un grosso lampo illuminò a giorno il cielo scuro della notte e così pure la sua stanza, permettendole finalmente di vedere.
 
Fu un attimo.  Un istante appena e poi il lampo si esaurì, dando seguito ad un tuono assordante. La stanza tornò buia e dopo quel tuono, l’unico rumore udibile era quello della pioggia scrosciante.
Georgie era sempre immobile nel buio, seduta nel centro del suo letto, ma aveva lasciato cadere le coperte che l’avvolgevano. I suoi occhi erano sgranati e la sua bocca aperta. Era ancora paralizzata, non più per la paura, ma per lo stupore.
Si chiese se stava sognando. Se quella luce fulminea del lampo le aveva permesso davvero di vedere chi fosse entrato nella sua stanza. O se fosse stata solo un’allucinazione.
Cercò di sbattere le palpebre e di riprendere il contatto con la realtà.
L’uomo sulla porta fece un altro passo in avanti e si fermò ancora, senza proferire parola.
Georgie scese dal letto, travolta da un improvviso impeto, e si diresse al comò posto accanto al suo letto, cercando di armeggiare nel buio in cerca dei fiammiferi.
Dopo poco li trovò e con mani tremanti riuscì ad accenderne uno e prontamente portò la fiamma alla candela che aveva di fronte, riuscendo ad illuminare fiocamente la stanza.
Si voltò di nuovo a guardare quell’uomo e rimase sbalordita. Non seppe che fare e restò immobile per un attimo.
Poco dopo ritrovò la voce e, come uno sfogo liberatorio, urlò – Abel! -.
 
 
 
TBC…. 

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Capitolo 10
*** Tempesta d'amore ***


Capitolo 10 – Tempesta d’amore
 
 
 
Abel era lì davanti a lei. Immobile. Completamente bagnato e visibilmente provato dal viaggio. Era infreddolito, tremante. Il volto pallido, le occhiaie profonde, le labbra sbiancate per il freddo. Eppure i suoi occhi luccicavano di una luce calda e piena d’amore.
Georgie non seppe dire se ciò che gli bagnava le guance era pioggia o lacrime. Ma le parve di capire che Abel fosse profondamente emozionato nel rivederla, anche se non aveva la forza di muovere un dito per andare verso di lei.
Felice e commossa, sentì le lacrime scendere sul suo volto e non seppe trattenere un sorriso di gioia.
Corse verso di lui, abbracciandolo, stringendolo forte a sé e mormorò al suo orecchio – Quanto mi sei mancato, amore mio! -.
Abel trasalì al caldo contatto con il suo corpo e ritrovò la forza per reagire. Strinse le braccia attorno a lei e l’attirò ancora più vicina a sé. Il suo abbraccio era forte e saldo, come se non volesse più lasciarla andare.
Non disse nulla, ma la baciò con una passione incontenibile, stringendola ancora di più e facendo in modo che i loro due corpi aderissero completamente l’uno all’altro.
Georgie era come inebriata da quella manifestazione d’amore così irruenta e sentì a malapena la pioggia gelida che le inzuppò la camicia da notte.
Con quel caloroso abbraccio Abel la stava bagnando tutta, ma non aveva importanza, non riusciva nemmeno a sentire il freddo. Era troppo felice. Il sangue le scorreva veloce nelle vene, il cuore batteva all’impazzata nel petto e sentiva le ali di mille farfalle allo stomaco. Qualunque fosse l’effetto che Abel aveva su di lei, era qualcosa di assolutamente inebriante, sconvolgente e appagante. Lui riusciva a farle dimenticare tutto, anche il freddo.
Si staccarono solo un istante, restando con le fronti appoggiate, respirando affannosamente per quell’improvviso impeto.
- Ti sto bagnando tutta, scusami – disse Abel con un fil di voce.
Georgie cercò di riprendersi da quel turbinio di emozioni che la stava attraversando e rispose – Non mi importa nulla della camicia bagnata. Mi importa solo di te -.
Abel sorrise e non perse tempo. Slacciò il mantello, che pesante gli scivolò dalle spalle per cadere a terra. E velocemente tolse anche la camicia che indossava, restando a torso nudo.
Era impaziente. La voleva disperatamente, come mai prima.
Continuò a baciarla e gentilmente, stringendola tra le braccia, la spinse indietro, finchè non raggiunsero il letto.
In un attimo le sfilò la camicia da notte inzuppata, lasciandola completamente nuda e finì di togliersi gli ultimi indumenti che gli erano rimasti addosso.
La riprese tra le braccia e lentamente la adagiò sul letto.
Si fissarono negli occhi per un istante. Lo sguardo di lei diceva tutto, anche senza bisogno di parole. Lasciò sgorgare tutto l’amore che aveva per lui, guardandolo con una dolcezza particolare che lo colpì.
- Ti amo Abel. Non lasciarmi mai più – mormorò lei tra le lacrime.
Abel sentì il cuore stringersi nel petto a quelle parole. Quanto aveva sofferto, quanta angoscia aveva represso in tutto questo tempo la sua Georgie? Promise a se stesso che non l’avrebbe abbandonata di nuovo, non sarebbe più riuscito a separarsi da lei ancora.
- No Georgie, mai più. Te lo giuro – e così dicendo scese nuovamente su di lei per baciarla. Per dirle con i gesti del corpo quello che lei davvero rappresentava per lui.
Si fermò ancora un istante, in preda ad un improvviso tremore. Aveva le mani quasi insensibili per il freddo e sentiva ancora il gelo nelle ossa.
Georgie capì e gli accarezzò dolcemente il volto, spostando i capelli bagnati dai suoi bellissimi occhi blu.
- Abel, tesoro mio, sei completamente assiderato. Sei sicuro di stare bene? Forse hai bisogno di un bel bagno caldo – disse lei preoccupata.
Abel sorrise tremante e rispose – Sì ho tanto freddo. Ma non voglio un bagno caldo. Voglio te. Riscaldami tu, amore mio – e così dicendo si adagiò su di lei, posando la testa sul suo seno e stringendola forte a sé.
Georgie lo abbracciò intenerita e gli baciò i capelli. Allungò un braccio sul materasso e tirò le coperte sui loro corpi avvinghiati, in modo tale da ritrovare un po’ di tepore.
Bastò un attimo di quella dolce quiete e Abel sentì che il freddo stava abbandonando il suo corpo. Tornò a guardarla. Il suo sguardo era pieno di passione e non seppe più contenersi. La baciò ancora, dimentico di tutto. Voleva lei, solo lei. Era la sua stessa vita, il suo stesso respiro.
Perse completamente ogni controllo e prese ad amarla intensamente.
Fu come un incendio che imperversa indomabile tra le sterpaglie. Ogni gesto, ogni tocco, ogni sospiro era pura passione.
Si lasciarono andare come mai prima, senza remore e senza vergogna, troppo affamati l’uno dell’altra, troppo provati dalla lontananza per esitare.
Entrò in lei dolcemente e quell’unione li lasciò storditi. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che avevano fatto l’amore, troppo. Non seppero trattenersi oltre e si abbandonarono ad un dolce oblio.
Fuori il temporale imperversava indomito, spazzando la città. Ma in quella stanza l’atmosfera non era meno selvaggia.
Abel e Georgie si stavano amando con passione, con voracità, dando vita alla loro tempesta d’amore.
Il tempo si era come fermato per loro e continuarono così, sfogando tutti i sentimenti che avevano dovuto reprimere in quelle settimane di lontananza, finchè esausti non si abbandonarono uno tra le braccia dell’altra, avvolti dal calore dei loro corpi e da quelle coperte che li accoglievano come un nido d’amore.
Non solo la loro tempesta si era placata, ma anche quella che imperversava fuori. Non c’era più rumore di tuoni, ma solo il dolce suono della pioggia, ormai leggera.
Georgie si rannicchiò tra le braccia di suo marito e gli baciò dolcemente il collo.
Abel ridacchiò soddisfatto e la strinse più forte a sé, restando pigramente sdraiato con gli occhi chiusi a bearsi di quel contatto.
Dopo qualche minuto, Abel aprì gli occhi, voltò leggermente il capo e baciò i capelli di Georgie, inspirando il loro dolce profumo.
- Forse adesso mi andrebbe di fare quel bagno caldo – mormorò rompendo il silenzio – ma solo se mi farai compagnia – aggiunse malizioso.
Georgie ridacchiò a quelle parole. Gli avrebbe fatto compagnia senza ombra di dubbio. Non lo avrebbe lasciato un istante. Aveva troppo bisogno di stare con lui.
- Allora vado a preparare la vasca – disse posandogli un leggero bacio a fior di labbra – Tu resta qui ancora un po’ a riposarti. Ti chiamo io quand’è pronto -.
Abel annuì e soddisfatto restò a letto, mentre Georgie andò nella sala da bagno accanto alla loro camera.
Era bello essere tornato da lei. E che accoglienza per di più!
Il viaggio di ritorno era stato molto duro, ma tornare a casa era la cosa più bella del mondo. Adorava il modo in cui lei si stava prendendo cura di lui e si lasciò coccolare molto volentieri. Dopo tante fatiche e tanta sofferenza aveva bisogno di sua moglie e della felicità che solo lei gli sapeva donare.
Pochi istanti dopo Georgie lo chiamò e lui la raggiunse nella stanza da bagno.
La vasca era pronta ed era molto invitante. L’acqua era fumante e non c’era niente di meglio per ristorare il suo corpo infreddolito e vessato dalle intemperie di quei giorni.
Entrò nella vasca e godette subito del dolce tepore dell’acqua, sedendosi lentamente, socchiudendo gli occhi e appoggiando la testa al bordo dietro la sua schiena.
Poi tornò ad aprire gli occhi e guardò sua moglie.
Aveva avvolto il suo corpo in un telo, che le aderiva come una seconda pelle, e gli stava voltando le spalle, intenta ad aprire una piccola bottiglia contenente una qualche essenza da bagno che in un attimo profumò tutta la stanza e aiutò Abel a rilassarsi ancora di più.
La luce fioca delle candele la illuminava, creando strani giochi di luce ed ombra sui suoi capelli d’oro e sulle sue forme sinuose.
- Sei bellissima – mormorò Abel e Georgie si voltò di scatto a quelle parole, donandogli un luminoso sorriso.
Poi raggiunse la vasca e lasciò scendere qualche goccia di essenza nell’acqua calda. Dopodichè ripose la bottiglietta sulla toeletta accanto a lei e si voltò ancora verso di lui.
Scostò lentamente i lembi del telo da bagno che la stava avvolgendo e lo lasciò cadere a terra, in un mucchietto che si attorcigliò attorno alle sue caviglie.
Con molta grazia entrò nella vasca, lasciandosi scappare un gemito di soddisfazione al contatto con quell’acqua deliziosamente calda e profumata.
Abel non ce la faceva più. Dopo quella visione incantevole, sentiva nuovamente il disperato bisogno di stringerla a sé.
- Vieni qui – disse con voce roca, mentre afferrandola per il polso l’attirò a sé, abbracciandola forte e facendola aderire al suo torace.
La sentì arrendersi a quel dolce attacco, avvertì i suoi seni premere contro il suo torace, i suoi lunghi capelli ormai bagnati appiccicarsi alle sue possenti spalle e si lasciò vincere dall’urgenza di possederla ancora e amarla appassionatamente.
Si baciarono di nuovo, intensamente e profondamente.
Abel restò seduto nella vasca, mentre Georgie si accovacciò su di lui lentamente, passandogli le braccia attorno al collo e continuando quel bacio bellissimo che aveva la capacità di stordirla.
Si unirono in quella posizione e continuarono a baciarsi senza sosta, mentre Abel l’attirava a sé, facendole passare le braccia dietro la schiena e mentre lei gli accarezzava dolcemente i capelli.
Sebbene Georgie non avesse mai sperimentato quella posizione nel fare l’amore, si lasciò guidare dall’istinto e iniziò a muoversi lentamente, dando vita ad una dolce danza.
Abel si lasciò sfuggire un gemito. Era bellissimo, perfetto.
Georgie non aveva mai sperimentato niente di simile. Forse la lontananza non aveva solo prodotto effetti negativi.
Dopo quel lungo distacco forzato che avevano subito, ritrovarsi era stato semplicemente meraviglioso.
Si stavano amando senza remore, senza pudore e ormai erano arrivati ad una fase del loro rapporto molto più matura ed appagante.
Georgie si sentì diversa quella notte. Si sentì donna e comprese che solo Abel avrebbe potuto regalarle quel tipo di emozione.
Non stavano facendo l’amore tanto per fare. Stavano fondendo le loro anime, oltre che i loro corpi.
I sentimenti che entrambi stavano provando erano davvero intensi e talmente forti da lasciarli storditi.
Ma c’era qualcosa di più. L’atmosfera che si era venuta a creare e quell’intesa particolare tra loro avevano impreziosito il loro legame. C’era una forte carica erotica tra loro e la cosa non dispiacque affatto a Georgie. Anzi, era esaltata da quella sensazione. Si sentiva più matura e più moglie.
Restarono nella vasca a godersi il bagno caldo ancora per un po’, mentre consumavano la loro passione con quell’intenso amplesso.
Finirono quello che avevano iniziato nella vasca tra le coperte del letto. Si amarono ancora, senza sosta, finchè si addormentarono in un tenero abbraccio, felici e più uniti che mai.
 
Georgie venne svegliata dalla luce che filtrava dalla finestra.
Si stiracchiò pigramente e alzò lo sguardo a guardare Abel che dormiva accanto a lei. Per un attimo temette di aver sognato tutto e che in realtà Abel fosse ancora lontano. Ma per fortuna era tutto vero. Ora lui era lì con lei e nulla più li avrebbe separati.
Arrossì lievemente al ricordo della notte appena trascorsa. Aveva vissuto momenti indimenticabili e di un’ intensità incredibile. Non poteva credere di aver osato tanto con lui, ma sinceramente non ci trovava nulla di male.
- Sto diventando sempre più dissoluta – pensò ridacchiando tra sé e sé, mentre lo guardava dormire con uno sguardo adorante.
Era felice, traboccante di gioia. E solo Abel la faceva sentire così.
Improvvisamente lui aprì gli occhi e le sorrise. Sentì il cuore battere forte e contraccambiò quel bellissimo sorriso che lui le aveva appena rivolto.
Si avvicinò a lui e gli pose un tenero bacio sulle labbra, mormorando – Buongiorno amore mio -.
Abel la guardò intensamente e rispose – Buongiorno a te. Non c’è risveglio migliore di quando sei tra le mie braccia -.
Ripresero a baciarsi dolcemente e a guardarsi negli occhi con aria sognante.
Improvvisamente lui spezzò il silenzio con una battuta – Mi sa che dovrò andarmene via più sovente, se poi mi accogli come hai fatto questa notte -.
Georgie sentì le guance in fiamme e gli diede un leggero pugno sulla spalla – Smettila! Non è carino imbarazzare una signora con certe insinuazioni! – rispose divertita, sebbene in imbarazzo.
- E comunque – aggiunse con audacia – Sono disposta a comportarmi così con te tutte le volte che vuoi, ma togliti dalla testa che ti permetterò ancora di lasciarmi da sola. Tu da qui non te ne vai più senza di me, altrimenti ti verrò a cercare in capo al mondo, ci puoi giurare -.
Abel ridacchiò a quelle parole e la strinse forte a sé e poi, facendosi più serio, rispose – Stai tranquilla. Non è piaciuto neppure a me starti lontano. Ti prometto che non ti lascerò più -.
- Sarà meglio – convenne lei con un dolce sorriso.
Ripresero a coccolarsi, felici di essere insieme e di godersi quel meraviglioso risveglio.
Poco dopo Georgie si sedette, guardandolo seria e disse – Ora però dovremmo parlare -.
Abel capì ciò che intendeva Georgie e annuì, ascoltandola.
- Stanotte ero stupita e troppo felice del tuo ritorno per farti delle domande, ma ora credo che tu mi debba raccontare quello che è successo. Insomma, anche se non ne abbiamo parlato, mi sono resa conto che sei tornato da solo. Non credo che ci sia anche il conte Wilson con te e soprattutto…. ecco… mi sembra che non ci sia nemmeno Arthur. Non voglio giungere a conclusioni affrettate, ma ho il presentimento che tu non sia riuscito a trovarlo…. mi sbaglio? – disse lei, quasi temendo la sua risposta.
L’espressione sul volto di Abel si fece subito più seria e triste. Sospirando, si tirò su e la guardò dritta negli occhi.
- Non ti sbagli purtroppo Georgie – disse mestamente lui – Sono rientrato da solo stanotte. Il conte Wilson sta bene e scommetto che ora è sulla strada del ritorno che mi maledice per la mia testardaggine – si interruppe un attimo e un triste sorriso comparve per un istante sulle sue labbra – Sai ho fatto una delle mie bravate. Avevo troppa voglia di tornare da te e avevo deciso di lasciare Telford in piena notte, ma il conte si è opposto dicendomi che ero un pazzo e che non era saggio mettersi in viaggio mentre imperversava il temporale e tra le tenebre della notte. Voleva che desistessi e che partissimo all’indomani. Ma ovviamente ho fatto di testa mia. Volevo tornare da te il prima possibile e così sono partito a sua insaputa, lasciandolo al convento da solo. E sono sicuro che ora sarà molto arrabbiato con me -.
Georgie sgranò gli occhi a quella rivelazione e non seppe trattenersi dal dire – Arrabbiato con te? Oh Abel, sarà furioso con te ed ha perfettamente ragione! Ma come hai potuto fare una cosa simile? Ma lo sai a quanti pericoli saresti potuto andare incontro? Senza contare che è stato molto poco carino abbandonare così il tuo compagno di viaggio. Abel, ma perché sei così irruento e irragionevole a volte? Ho ragione a preoccuparmi per te. Ti cacci nei guai da solo! -.
Abel sorrise a quel rimprovero e replicò – Lo so che non mi sono comportato bene nei confronti del conte e sono pronto a scusarmi non appena arriverà. Ma Georgie, non ce la facevo più. Avevo troppo bisogno di te. Valeva la pena rischiare e ho preferito partire. Avrei fatto di tutto per anticipare il momento del mio ritorno da te, anche se si fosse trattato solo di qualche minuto. Non sono pentito di quello che ho fatto. Non ho paura del pericolo, se affrontarlo vuol dire tornare da te.
E poi vedi? Tutto è andato per il meglio. La fortuna aiuta gli audaci – e finì la frase strizzandole l’occhio, sia per sdrammatizzare la situazione che per intenerirla.
Georgie sospirò sconsolata – Mi arrendo! Sei una testa troppo dura, non riesco a farti ragionare! -.
Abel la prese tra le braccia e le baciò i capelli, dicendole – E dai, sii tenera con me. Se non fossi rientrato prima facendo di testa mia, non avremmo potuto trascorrere la notte meravigliosa che abbiamo appena condiviso -.
Georgie si tirò su per guardarlo dritto negli occhi – Non usare certe tattiche con me Abel Buttman – lo rimproverò dolcemente lei e poi proseguì – Per questa volta non voglio insistere perché ad essere sincera sono felicissima che tu sia tornato prima, ma non voglio più che tu metta a rischio la tua incolumità per un capriccio. Ti amo troppo per perderti -.
Abel le sorrise e l’accarezzò dolcemente il volto, replicando – Va bene amore mio, d’ora in poi sarò più prudente -.
Ripresero a parlare del viaggio e Abel le raccontò ogni particolare della estenuante ricerca del fratello, fino all’amara scoperta.
- Capisci Georgie – disse sconsolato – Quell’uomo e quel ragazzo erano padre e figlio. E’ ovvio che non si trattava del nostro Arthur. Dovevo aspettarmelo. Ho sbagliato a nutrire speranze -.
Georgie ascoltò quel racconto con attenzione e appena Abel concluse, lei disse – Ma Abel, questa non è una prova certa. Magari quell’uomo stava aiutando Arthur. Chissà, magari temeva che il duca Dangering lo stesse cercando e per proteggerlo si è finto suo padre, al fine di non rivelare la sua identità. Mi sembra strano che tutte quelle persone con cui hai parlato si ricordassero di un ragazzo così simile a te e che quel ragazzo non sia Arthur. Possibile che tu abbia un sosia che non ha nessuna parentela con te? Non riesco a crederci Abel. Secondo me non dobbiamo perdere le speranze -.
Ma Abel non le permise di proseguire il discorso, perché la interruppe bruscamente – Adesso basta Georgie! Nemmeno a me fa piacere pensare che Arthur sia morto, ma guarda in faccia la realtà e accettalo. Non c’è nessuna speranza. Siamo stati troppo ingenui a crederci. Ora basta, dobbiamo andare avanti e renderci conto che Arthur non c’è più. Non smetterò mai di soffrire per questo, ma non posso fissarmi su questa cosa e rovinare la mia vita -.
Georgie si rese conto di quanto Abel stesse soffrendo e gli mise una mano sulla spalla. Dopo un attimo di silenzio riprese a parlare, ma con voce più calma – Vedi Georgie, ho deciso di andare oltre questa questione una volta per tutte. Se fossi solo molto probabilmente passerei il resto della mia vita a dannarmi per la morte di mio fratello, ma non sono solo. Ho te e presto avrò anche un bambino. Meritate di meglio che un uomo depresso e frustrato accanto. Voglio potervi dare tutto quello di cui avete bisogno. Voglio essere una figura di riferimento per nostro figlio, voglio essere un buon padre. E voglio renderti felice, perché te lo meriti. Non voglio trascinarvi nell’oblio con me, perché sarebbe ingiusto. E se non mi lascio alle spalle la morte di Arthur, non sarò mai capace di darvi tutte queste cose. Quindi ti prego Georgie, cerca di accettare la realtà anche tu e aiutami ad essere una persona migliore. E’ tutto quello che ti chiedo -.
Georgie comprese i suoi sentimenti e il suo stato d’animo e decise che avrebbe rispettato la sua volontà.
 
Poco più tardi Abel e Georgie scesero a far colazione, facendo una bella sorpresa al conte Gerald, che ignorava il ritorno di Abel.
Il padre di Georgie accolse il genero con calore ed affetto. Anche se aveva passato le ultime settimane a rincuorare sua figlia e a rassicurarla sulla sorte del marito, riaverlo a casa era un bel sollievo.
Ma dopo il momento di gioia, era giunto anche il momento di raccontare al conte l’amaro esito delle ricerche di Arthur.
Il padre di Georgie ascoltò in silenzio le parole di Abel, leggendo sul volto del ragazzo una grande, inconsolabile tristezza. Dopo quel lungo viaggio e dopo tanti sacrifici, Arthur non era stato trovato e ormai tutto lasciava intendere che non fosse più in vita.
- Quindi ormai ho deciso di non nutrire più speranze – concluse Abel mestamente – E’ ora di accettare la perdita di mio fratello e voltare pagina. Non posso fare più niente per riportarlo da noi e l’unica cosa saggia da fare è cercare di accantonare il rimorso e dedicarmi totalmente a quelle che sono le mie priorità, vale a dire Georgie e il nostro bambino -.
Il conte era molto dispiaciuto per Abel. Avvertiva tutto il dolore che il ragazzo si stava portando dentro, ma apprezzava la sua forza e le sue motivazioni per andare avanti e non potè far altro che condividere il suo pensiero, ammirandolo per la sua saggezza.
- Bravo Abel – esordì – Sei un ragazzo forte e maturo. Non potrei essere più d’accordo. E’ terribile aver perso così Arthur. Ho sperato tanto che potessi trovarlo e portarlo da noi, ma credo che ormai tu abbia preso la giusta decisione. Devi andare avanti per la tua famiglia. Vedrai che riuscirai a superare le difficoltà e potrai essere di nuovo felice con le persone che ti sono care. Te lo meriti -.
Abel sorrise a quelle parole di sostegno e strinse a sé Georgie, ben consapevole del fatto che ora solo lei avrebbe davvero contato nella sua vita. Lei e il bambino che stava aspettando, ovviamente.
Trascorsero il resto della giornata in tranquillità, chiacchierando sul divano del salone a piano terra.
Abel non si era ancora ripreso del tutto, portava ancora in corpo la stanchezza per il viaggio di ritorno. Era stanco e si sentiva debole.
 
Quando fu ora di cena, il conte chiamò i ragazzi, affinchè lo raggiungessero a tavola.
E fu in quel momento che il cuore di Georgie ebbe un sussulto.
Abel si alzò dal divano per raggiungere la sala da pranzo, ma dopo un passo perse l’equilibrio e cadde a terra.
Georgie lanciò un urlo di terrore e si inginocchiò accanto al corpo di Abel, cercando di metterlo nella posizione supina per guardarlo in volto.
Dopo un enorme sforzo riuscì a girarlo e vide il suo viso pallido e sudato. Presa dal panico, lo accarezzò per cercare di rianimarlo e notò che stava scottando.
- Papà, papà, presto corri! – urlò lei disperata.
Il conte sopraggiunse e nel vedere la scena si preoccupò. – Ma cosa è successo? – domandò alla figlia.
- Non lo so. Si è alzato dal divano ed è svenuto – disse lei tra le lacrime – La sua fronte scotta ed è pallidissimo. Papà aiutalo, ti prego! -.
La governante, sentendo le urla sopraggiungere dal salone, si affacciò sulla porta e vide il corpo di Abel steso a terra.
- Oh mio Dio! – urlò – Ma che sta succedendo? -.
Il conte Gerald cercò di recuperare un po’ di lucidità in tutto quel caos e rispose alla donna – Il ragazzo sta male. Andate subito a chiamare il dottore! - .
Poi si rivolse a Georgie, che era palesemente spaventata, cercando di tranquillizzarla – Stai tranquilla bambina mia. Vedrai che il dottore sarà qui in un attimo -.
 
- E’ stato solo un colpo di freddo – disse il dottore mentre riponeva nella borsa i suoi attrezzi – Evidentemente la pioggia a cui è stato esposto per lungo tempo lo ha debilitato -.
Georgie fece un sospiro di sollievo, mentre copriva con le lenzuola Abel che si era nel frattempo ripreso.
- E a che cosa si deve lo svenimento, dottore? – chiese lei.
Il dottore sistemò gli occhiali sul naso e rispose – Molto probabilmente alla febbre. Ora è piuttosto alta e deve aver causato un indebolimento generale. Ma direi che ora le cose vanno meglio, quindi l’unica cosa da fare è riposare, stare al caldo e mangiare -.
- Lo sapevo che non c’era niente di cui preoccuparsi. Mia moglie tende ad esagerare – bofonchiò Abel dal letto.
Il dottore lo guardò serio e con una punta di severità rispose – Vostra moglie ha fatto bene a chiamarmi. Siete stato fortunato a non prendervi una polmonite! Questa volta ve la siete cavata con un po’ di febbre, ma non osate più sfidare la sorte così. La salute è un bene prezioso e va tutelato. Cavalcare per tre giorni sotto la pioggia, senza dormire né mangiare è da folli, figliolo. Non fate più bravate di questo genere -.
Abel incassò il rimprovero senza controbattere, mentre Georgie gli passò una mano sulla fronte e gli sussurrò – Ora farai tutto quello che ti dirò io e non osare protestare. Voglio che tu te ne stia a letto a riposarti e non ti alzerai finchè la febbre non sarà scomparsa -.
Abel sbuffò contrariato. Non amava stare a letto ad oziare e tantomeno voleva essere malato. Ma in effetti si sentiva debole e forse, per una volta, decise che avrebbe ascoltato i consigli di chi gli voleva bene. E poi, nonostante la febbre, era bello essere curati da Georgie.
 
Con un po’ di riposo, un pasto caldo e le coccole di sua moglie, Abel si sentì subito meglio già poche ore dopo la visita del dottore.
- Sento che la febbre è già scesa – mormorò Abel mentre Georgie lo stringeva tra le sue braccia, accarezzandogli dolcemente i capelli – Non c’è più bisogno di fare il malato – aggiunse mentre si appoggiava sui gomiti cercando lo sguardo di lei.
Georgie sorrise e rispose – Tanto non ti lascio alzare. Anche se stai meglio, voglio che resti a letto -.
Abel sorrise malizioso, si avvicinò al suo volto e sussurrò – E chi vuole uscire da questo letto. Intendevo che potremmo dedicarci ad altre… attività -, ma non fece in tempo a finire la frase che sia lui che Georgie vennero distratti da un rumore proveniente dal corridoio.
Qualcuno stava salendo le scale velocemente, urlando a squarciagola degli improperi.
- Ma chi diavolo… - Abel non riuscì a finire di parlare che la porta della loro stanza si spalancò di colpo, lasciando i due ragazzi a bocca aperta per quella inaspettata manifestazione di irruenza.
In un lampo, un uomo entrò dentro, ansimante e rosso in volto.
- Conte Wilson! – esclamò Georgie sedendosi di scatto sul letto.
Il Conte era tornato, trafelato, stanco e di pessimo umore.
- Dannato ragazzo! – tuonò, rivolgendosi ad Abel – Hai osato disobbedire ai miei ordini! -.
Abel non si sarebbe mai aspettato una simile reazione dal Conte. Sapeva che avrebbe dovuto fare i conti con lui una volta tornato, ma non credeva di aver suscitato in lui una tale ira.
Lentamente si mise a sedere, anche se la testa gli girava ancora un po’. Guardò il Conte timoroso e con un po’ di imbarazzo. Sapeva di non essere stato leale con lui e non ne andava certo fiero. Ora doveva trovare il modo più appropriato di scusarsi con lui, anche se si rendeva perfettamente conto che non era una facile impresa, visto anche il modo in cui il Conte lo aveva affrontato.
- Conte avete ragione, ma vedete io… - cercò di spiegare Abel.
- Non ci sono giustificazioni al tuo comportamento! Sei stato sleale e completamente folle – gridò il Conte fuori di sé – Non si abbandona un compagno di viaggio così! Io ti sono stato amico e ti ho supportato nella tua impresa e tu mi hai ripagato con le menzogne, andandotene via in piena notte! -.
Abel sentì tutto il peso di quelle parole e non seppe come placare la rabbia, del tutto giustificata peraltro, del Conte.
- Senza contare quanto sono stato preoccupato per te! – aggiunse Wilson – Poteva succederti qualunque cosa. Ma ti sei almeno reso conto di quanto sei stato incosciente? -.
Georgie comprese l’ira del Conte, ma capì anche lo stato d’animo di Abel, così decise di intervenire per portare un po’ di pace tra i due – Avete completamente ragione Conte Wilson. Abbiamo già tutti rimproverato abbondantemente Abel per il suo gesto. E’ che lui è fatto così. Non lo fa per cattiveria, ma è parte del suo carattere. Quando si mette in testa una cosa la fa, nonostante tutto e tutti. E’ testardo e irruento, ma credetemi, è sempre mosso da buone intenzioni. Voleva semplicemente ritornare da me. E non vi nego che mi ha fatto molto felice -.
Il Conte sospirò, ammansito dalle parole di Georgie, ma cercò di spiegarsi meglio – Vedi contessina, io capisco le sue motivazioni e capisco che ne avete passate tante. Ma il suo gesto è stato folle e senza senso. Mi sono personalmente preso l’impegno di accompagnarlo nel suo viaggio e di stargli vicino affinchè non gli accadesse nulla. Era una promessa che avevo fatto a te e a tuo padre e io sono il tipo che mantiene sempre le sue promesse – e poi lanciando uno sguardo severo ad Abel, proseguì – Ma se questo testardo figliolo disobbedisce ai miei ordini e fugge nel bel mezzo della notte per gettarsi in un pericoloso viaggio verso l’ignoto, mi spieghi io come faccio a mantenere fede alla mia promessa? Mi sono sentito preso in giro e questo non mi piace. E mi sono preoccupato molto. Non voglio che essere trattato così, non è corretto. E Abel mi sembra in generale essere una persona corretta, ma con me si è comportato molto male -.
Abel si fece coraggio e cercò di prendere parola. Il Conte aveva ragione e ora doveva scusarsi con lui – E’ vero. E’ stato un pessimo comportamento e voi di certo non lo meritavate. Siete stato un ottimo compagno di viaggio, un amico leale e sempre presente. Mi dispiace davvero molto di avervi lasciato al convento. Non vi mentirò mai più, ve lo giuro Conte. Vi chiedo solo di perdonarmi per questa volta -.
Il Conte sbuffò e lasciò defluire tutta la rabbia – Va bene, ma solo per questa volta. Sappi che non tollererò mai più una presa in giro come questa – e poi aggiunse – Senza contare che potevi ammalarti seriamente, visto il tempaccio in cui sei incorso nel tuo viaggio di ritorno. E conoscendoti, ero sicuro che non ti saresti fermato in attesa che spiovesse. Ti rendi conto che in fondo sono arrivato solo un giorno dopo di te? Se fossi stato più saggio e meno irruento, avremmo potuto far ritorno insieme e con meno rischi. E ora non avresti la febbre. Tutto questo per arrivare con un giorno di anticipo… Lasciatelo dire figliolo, è stato proprio assurdo! -.
- No invece! – rispose Abel – Mi dispiace di avervi disobbedito. E mi dispiace di avervi deluso. Ma sono felice di essere tornato prima da Georgie. Non mi importa niente dei pericoli e della febbre. Ne è valsa la pena. Fosse stato per arrivare qui solo un minuto prima di voi, ne sarebbe comunque valsa la pena – e rivolgendo il suo sguardo adorante a Georgie, concluse – Per lei farei qualunque cosa Conte -.
Georgie si commosse a quelle parole e i suoi occhi brillarono per le lacrime – Oh Abel… - disse con estrema dolcezza.
Il Conte Wilson si imbarazzò per quella loro manifestazione d’amore e si rese conto di essere di troppo. Era ora di lasciarli soli. Si voltò per uscire dalla stanza e sulla porta vide il padre di Georgie che osservava la scena divertito.
- Ah benedetti ragazzi – disse Wilson scuotendo la testa.
Il Conte Gerald ridacchiò e rispose – Lasciali stare amico mio! Sono giovani e innamorati -.
Wilson si avvicinò al padre di Georgie, mettendogli una mano sulla spalla e ridendo, rispose – Pessima combinazione, pessima combinazione! -.
Uscirono da quella camera, chiudendo la porta dietro di loro e lasciando Abel e Georgie da soli.
- Sei testardo e fuori da ogni controllo, ma ti amo – sussurrò Georgie al marito.
Lui le sorrise e la baciò. Si strinsero in un tenero abbraccio, addormentandosi esausti ma felici per essere, finalmente, di nuovo insieme.  
 
 
TBC…… 

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Capitolo 11
*** Una decisione importante ***


Capitolo 11 – Una decisione importante
 

 
 
 
Georgie si svegliò con il sorriso. Aveva ancora gli occhi chiusi ma sapeva di non essere sola. Finalmente il suo Abel aveva fatto ritorno a casa e dopo una giornata ricca di emozioni, erano riusciti ad addormentarsi uno nelle braccia dell’altra e a trascorrere una notte di riposo.
Il dolce tepore delle coperte era delizioso e poteva sentire il profumo di Abel nelle lenzuola. Era così bello avvertire la sua presenza.
Ancora in dormiveglia, allungò un braccio per poterlo toccare, ma la delusione di constatare che l’altra parte del letto fosse vuota le fece alzare la testa e aprire gli occhi, per capire dove Abel fosse.
Con espressione interrogativa, si guardò intorno, delusa e preoccupata, finchè il suo sguardo non si posò sulla sua figura. E improvvisamente il sorriso tornò sulle labbra di Georgie e la preoccupazione svanì.
Il suo Abel si era già alzato, era alla finestra che contemplava la splendida giornata primaverile che finalmente aveva deciso di riscaldare Londra dopo tutti quei giorni di pioggia. Le stava dando le spalle e forse non si era ancora accorto del suo risveglio.
Georgie scostò lentamente le coperte che la avvolgevano e scese dal letto in punta di piedi, facendo attenzione a non fare il minimo rumore.
Si avvicinò ad Abel, che era assorto nei suoi pensieri ed intento a guardare fuori dalla vetrata.
Giunta a pochi centimetri dalle sue spalle, fece un piccolo salto e gli avvolse le braccia intorno al collo, posandogli un dolce bacio tra l’orecchio e la guancia.
Abel fece un sussulto. Non si era accorto che la sua Georgie si fosse alzata.
- Buongiorno – disse lei con uno splendido sorriso.
Abel si girò verso di lei, contraccambiando il sorriso e si abbassò a darle un lieve bacio a fior di labbra – Buongiorno a te! Non mi ero accorto che ti fossi svegliata -.
Georgie ridacchiò e rispose – Eri talmente pensieroso che non ti saresti accorto nemmeno di una cannonata! -.
- No, ma che dici… - balbettò Abel.
- E invece sì – insistette lei – Eri con la testa da un’altra parte…. Mi dici dove? -.
Abel abbassò lo sguardo per un istante e proseguì – No, niente di che, sul serio. Stavo solo ammirando il giardino di tuo padre – e così dicendo tornò a guardare fuori dalla finestra – Guardalo Georgie, è splendido. In una giornata come questa ti puoi rendere conto di particolari che normalmente non noteresti nemmeno. Guarda che colore meraviglioso hanno quelle rose. E guarda le farfalle. Non le avevo ancora viste qui in Inghilterra -.
Georgie annuì sorridendo – Sì, è tutto più bello quando risplende il sole -.
- Esatto. Piove talmente tanto qui a Londra che quando c’è il sole sembra di stare in un posto diverso. Guarda anche il cielo. E’ limpido e di un azzurro così intenso da togliere il fiato – continuò Abel.
E poi con una nota di tristezza nella voce, disse – Quando il tempo è così piacevole e il paesaggio così ricco di colori, mi sembra di essere in Australia. Dio quanto mi manca! -.
Georgie si avvicinò a lui e disse – Ecco perché eri così assorto nei tuoi pensieri. Pensavi all’Australia! – e prendendogli una mano, chiese – Ti manca molto, vero Abel? -.
Abel sorrise ed annuì – Sì. Mi manca tantissimo. Guardando il giardino di tuo padre, non posso fare a meno di pensare ai prati fioriti della nostra terra e a tutto quello che vi ho lasciato. La nostra fattoria, le nostre praterie, il mare color del cielo…. Sì, ci penso sempre e ogni volta ho una fitta al cuore -.
- Ti capisco, sai Abel – disse tristemente Georgie – Manca tantissimo anche a me. Spesso mi capita di sognare di essere tornata a casa e di rivedere la nostra casa, lo zio Kevin, Lup e improvvisamente mi sento felice. Risvegliarmi e rendermi conto di essere così lontano dalla mia Australia mi rende sempre molto triste. Ho tanta nostalgia -.
Abel si voltò di scatto a guardarla, sgranando gli occhi. Poi la afferrò improvvisamente per le spalle, dicendole con un largo sorriso sul volto – E allora torniamo a casa, Georgie! -.
Georgie lo guardò stupita per quella reazione – Coosaa? – rispose incredula.
- Sì Georgie, torniamo a casa! – continuò lui euforico – Cosa ci tiene ancora qui? Ormai non abbiamo più nulla da fare in Inghilterra. E’ assurdo rimanere qui ed essere infelici. Riprendiamoci la nostra vita e torniamo in Australia. E poi sarei felicissimo se nostro figlio potesse nascere nella terra che ci ha visto crescere e che ci ha regalato un’infanzia meravigliosa. Non vorresti anche tu farlo nascere nella nostra fattoria? Vederlo crescere dove noi siamo cresciuti? -.
Georgie si commosse a quel pensiero ed annuì, ma dovette placare l’entusiasmo di Abel, suo malgrado – Lo sai che mi piacerebbe tantissimo, ma non è possibile, non ora almeno -.
Abel divenne subito serio e le chiese – E perché? Cosa ti lega ancora a questo posto? -.
- Ma Abel, qui c’è mio padre. Ci siamo appena ritrovati e lasciarlo ora non sarebbe corretto – si giustificò lei ed aggiunse – Senza contare che gli ho promesso che avrei fatto nascere il bambino qui. Ci tiene moltissimo. Non ha avuto modo di poter crescere sua figlia, ma almeno vorrebbe conoscere suo nipote. Come faccio a negargli questa gioia? -.
Abel lasciò la presa ed annuì – E’ vero. Che stupido sono stato. Ma come ho fatto a non pensare al Conte Gerald? – tornò a guardare fuori con aria triste – Hai ragione tu Georgie. L’Australia dovrà aspettare -.
Georgie tuttavia rimase turbata dal comportamento di Abel. Era come se quell’euforia per tornare a casa non fosse dettata dalla semplice nostalgia. C’era qualcosa di più e lei voleva scoprire di cosa si trattasse, quindi gli chiese – Abel, ma che c’è? -.
Abel si voltò a guardarla con aria interrogativa – Che intendi dire? Non c’è nulla. E’ solo che mi ero fatto prendere dall’entusiasmo e non avevo più pensato a tuo padre -.
- No Abel, non ti credo. Non mi venire a dire che eri così felice solo perché ti manca l’Australia o perché volevi far nascere nostro figlio nella nostra casa. Secondo me c’è di più. Avanti, con me puoi parlare – disse lei.
Abel si irrigidì. Non gli piaceva essere messo con le spalle al muro. – Ti ho detto che non c’è altro – rispose freddo.
Georgie era determinata ad andare a fondo alla questione e continuò – Ti conosco troppo bene e non la bevo. C’è dell’altro e voglio sapere di cosa si tratta – si avvicinò a lui e gli accarezzò la guancia – A me puoi dire tutto. Non tagliarmi fuori dai tuoi pensieri Abel, ti prego -.
Abel sospirò e decise di dirle quello che provava – Va bene Georgie, hai vinto tu – deglutì e proseguì – Sai che voglio voltare pagina e dedicarmi a te e al bambino. Voglio lasciarmi la morte di Arthur alle spalle e questa volta sono determinato a farlo, ma non ti nascondo che restare qui mi complica molto le cose -.
Tornò a guardare fuori dalla finestra e continuò con un filo di amarezza nella voce – Continuo a ripetermi di smettere di cercarlo, ma poi non lo faccio mai. Cammino per strada e guardo la gente, sperando di incontrare il suo volto tra la folla. Mi dico che non ha senso, ma poi spero che magari sia ancora vivo, che stia vagando per Londra in cerca di noi. Senza contare quante volte mi sono recato sulle rive del Tamigi a chiedere alla gente che abita lì se si ha notizia del ritrovamento del corpo di un giovane. E’ più forte di me. Non averlo ritrovato mi tortura. E finchè resterò qui, continuerò a cercarlo, pur sapendo che è morto. Mi sarebbe di sollievo anche ritrovare il suo cadavere ormai, almeno mi metterei l’anima in pace – smise per un attimo di parlare, cercando di trattenere le lacrime. Dopo pochi istanti di silenzio, riprese a parlare – Se ce ne andassimo mi sentirei più leggero. Libero da questo peso. Certo, tornare in Australia non sarebbe facile comunque, perché là ci sono tanti bei ricordi che me lo rifarebbero tornare alla mente. Ma riuscirei a conviverci. Riuscirei ad accettare la sua morte e finalmente smetterei di cercarlo. Più resto qui, invece, più il bisogno di trovarlo mi divora. Non ho più speranze che sia vivo, ma non mi rassegno a non trovare il suo corpo. Setaccerei il Tamigi io stesso, se solo potessi. Sai, è brutto non avere una tomba su cui piangere un proprio caro. Mi sembra di mancargli di rispetto. E’ tutto così assurdo… - e non riuscì a finire la frase, perché Georgie lo circondò con il suo abbraccio.
- Scusami Georgie – disse mentre l’attirava a sé – Ho promesso che sarei andato avanti e non volevo parlarne. E’ stato solo un momento di debolezza -.
Georgie si scostò da lui e prese il suo viso tra le mani e disse – Ma che stai dicendo? A me devi dire tutto! -.
Lo guardò intensamente e si rese conto di quante responsabilità Abel si stesse facendo carico.
- Non avevo mai pensato a questo – disse lei – Ma hai ragione. Restare qui è durissimo per te. Non sarai mai realmente libero dai fantasmi del passato, finchè rimarrai in questa città -.
Abel le sorrise e le baciò le mani – Quello che non ti distrugge ti rafforza, amore mio. Riuscirò a superare anche questa cosa. Non voglio scaricarti le mie preoccupazioni addosso, non sarebbe corretto. E’ il mio solito egoismo. Non penso mai agli altri. Ora devo solo pensare al bene tuo, del bambino e di tuo padre anche. Aspetterò il momento giusto per tornare a casa. So che potrò farcela. Non ti preoccupare e, soprattutto, non parliamone più -.
Ma Georgie non era dello stesso avviso e disse – No Abel. Parliamone invece. Tu non sei egoista. Semmai sono io ad esserlo. Non ho tenuto conto dei tuoi sentimenti. Siamo sposati, siamo una famiglia e non è giusto che solo tu ti prenda cura di me. Anche io devo prendermi cura di te -.
- Ma tu già lo fai Georgie! – rispose prontamente Abel.
- Può darsi, ma non lo faccio abbastanza – proseguì lei – Tu e il bambino siete le mie priorità ora ed è per il vostro bene che devo agire, quindi… – si interruppe per fare un profondo respiro - …. Quindi ho preso la mia decisione Abel. Si torna a casa! -.
Abel la guardò stupito senza sapere che dire. Poi cercò di parlare – Ma…. Georgie…ma tuo padre? Gli daremo una profonda delusione. Sinceramente non me la sento -.
Georgie scosse la testa e proseguì – Abel ho deciso. Faremo così. Sono certa che papà capirà. In fondo lo ha sempre saputo che io non appartengo a questa città. Sapeva che sarei tornata in Australia comunque. Non devi preoccuparti Abel, ormai ho preso la mia decisione e so che è quella giusta -.
Abel non sapeva cosa rispondere. Era felicissimo di far ritorno a casa, ma al contempo non voleva dare un dispiacere al conte Gerald.
- Gli parlerò dopo la colazione – esordì Georgie – E sono certa che comprenderà le nostre motivazioni. E mentre io sarò con lui, tu andrai al porto per sapere quando partirà la prima nave per l’Australia -.
Abel sentì una gioia incontenibile espandersi nel petto e sorrise, ma poi chiese – Georgie sei proprio sicura? -.
Georgie lo guardò dritta negli occhi, annuì e sorrise – Sì Abel, sicurissima. Faccio sul serio questa volta. Si torna a casa! -.
 
Dopo colazione, Abel uscì con la scusa di doversi recare dal signor Allen e Georgie e suo padre ebbero finalmente un momento di tranquillità per parlare.
- Che cos’è che mi devi dire con tanta urgenza, tesoro? – chiese il conte mentre seguiva Georgie in giardino.
Prima di colazione, sua figlia lo aveva avvicinato perché aveva bisogno di un po’ di tempo per parlare con lui. Sembrava una cosa seria e il conte si rese disponibile subito dopo aver mangiato.
Georgie aveva voglia di camminare all’aperto e così presero un vialetto tra le aiuole fiorite del giardino di casa.
- Georgie mi fai preoccupare, mi puoi dire ora che c’è? – chiese il conte.
- Sai papà, quando vedo il tuo giardino così bello sotto i raggi del sole, non posso fare a meno di sentirmi felice – esordì Georgie – Mi fa sentire bene poter camminare tra l’erba e i fiori sotto un cielo così sereno -.
- Sì Georgie, anche a me il bel tempo fa lo stesso effetto – disse il conte confuso – Ma non mi vorrai mica dire che avevi bisogno di parlarmi in privato per dirmi quanto ti piace stare nel mio giardino nelle giornate di sole, vero? -.
Georgie si voltò a guardare il padre e sorrise – No papà, non è per questo che ti devo parlare – poi prese la sua mano e lo condusse ad una panchina lì vicino – Vieni papà, sediamoci -.
Il conte ebbe l’impressione che Georgie stesse per dargli una brutta notizia, ma non riusciva a capire bene quale.
Si sedettero e Georgie proseguì il suo discorso – Il fatto è che quando vedo queste bellissime giornate di sole e sto nel tuo giardino, non posso fare a meno di pensare alla mia casa -.
Il conte aggrottò le sopracciglia, cercando di capire cosa volesse dire sua figlia.
- Intendo dire che questi colori e questo tepore mi riportano all’Australia. Alla terra che sento mia, a cui appartengo da sempre. Ed è inevitabile farmi assalire dalla nostalgia, perché so di essere così lontana da lei. E non basta un po’ di sole a placare la mia tristezza, perché so che da un momento all’altro tornerà a piovere e ripiomberò nel grigiore che quest’Inghilterra sembra portare sempre con sé. E allora la mia nostalgia diventa sempre più forte, fino ad essere insostenibile -.
Il conte guardò sua figlia dritta negli occhi e comprese il significato di quelle parole.
- Vuoi lasciarmi, vero? – chiese lui.
- No papà – rispose Georgie con le lacrime agli occhi – Non vorrei, ma devo -.
Il conte sospirò mestamente, senza sapere che dire. Poi cercò nuovamente lo sguardo della figlia, chiedendole – C’è qualcosa che posso fare per farti cambiare idea? -.
Georgie sorrise e scosse la testa – No papà, non c’è nulla che puoi fare e credimi, mi dispiace tanto -.
Georgie cercò di calmarsi. Dare la brutta notizia a suo padre non era facile, ma era necessario. Dopo un profondo respiro, continuò il suo discorso – Vedi papà, l’Australia mi manca davvero tanto. Più sto qui e più mi rendo conto di quanto vorrei tornare a casa. Non importa che io sia di sangue nobile, di fatto sono una contadina. Non amo il grigiore di Londra e neppure le regole dell’alta società. Non sono fatta per indossare abiti eleganti ed andare alle feste, preferisco correre scalza nei prati e mungere le pecore. Ci sono cose che hai dentro, che fanno parte di te e che non puoi cambiare. E poi c’è mio figlio. Vorrei che nascesse dove io sento di essere a casa. Che anche lui  possa crescere sotto il cielo azzurro e tra i prati verdi. Vorrei che mettesse radici nei luoghi che mi hanno dato tanta serenità, affinchè anche lui possa essere felice come lo sono stata io -.
Il conte annuì, comprendendo i sentimenti della figlia.
- E poi papà c’è Abel – continuò lei – Stamattina abbiamo parlato e ho scoperto che non riesce ad essere completamente felice qui. E’ ossessionato dal non aver ritrovato il corpo di Arthur nel Tamigi e non si dà pace. Finchè resterà a Londra continuerà a cercare Arthur sia tra i vivi che tra i morti e temo che quest’ossessione lo porterà all’esasperazione. Non lo biasimo per questo. Erano così legati che riesco a capire il suo stato d’animo. Solo se ce ne andremo da qui riuscirà a smettere di cercare il fratello. Ha bisogno di una nuova vita e io ho intenzione di dargliela. E’ un nuovo inizio per noi e credo che sia giusto non rimandare più -.
Georgie accarezzò il volto triste del padre e proseguì – E’ per questo che ho deciso di partire, anche se so che ti darò un dolore… anche se so che non manterrò la promessa di far nascere tra le mura di questa casa tuo nipote. Ma ho le mie buone ragioni. Abel è mio marito e lo faccio per lui e per il bene della nostra famiglia – poi prese una mano del padre e la strinse tra le sue, continuando – Ti prego papà, dimmi che mi capisci e che mi perdoni -.
Il conte si commosse a quelle parole e strinse sua figlia forte tra le braccia – Oh bambina mia, non devi dirlo nemmeno! Non hai nulla da farti perdonare. Io ti capisco. Non è colpa di nessuno se le nostre vite sono così lontane. Tu devi tornare in Australia. Sarete più felici laggiù. Sarei un insensibile egoista se non ti lasciassi andare -.
Dopo aver proferito queste parole il conte ebbe un sussulto e si fermò a pensare.
- Papà che ti succede? – chiese Georgie preoccupata – Stai bene? A che stai pensando? -.
Il conte tornò a guardarla sorridendo ed esclamò – Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima? -.
Georgie non comprese quelle parole e guardò suo padre con aria interrogativa.
- Dimmi Georgie, è così bella l’Australia? – chiese il conte e proseguì con il suo discorso – Quando sono stato deportato laggiù non ho visto i prati verdi di cui mi parli tu. Ero incatenato e non facevo altro che lavorare. La mia vita si svolgeva tra la cella di una prigione e il duro lavoro. Non avevo nemmeno il tempo di fermarmi a guardare il cielo -.
Il volto del conte si rabbuiò a quei tristi ricordi, ma cercò di scacciarli velocemente dalla testa.
- Oh papà, quello che tu hai vissuto è terribile, ma non è l’Australia quella. Quello è un incubo. La mia Australia invece è bellissima papà. E’ un posto incantato, ideale per crescere un bambino – disse Georgie cercando di risollevare il morale del padre.
Il conte le sorrise e rispose – Ne sono certo, si capisce che è un bel posto dall’amore con cui ne parli. Ed è per questo che – continuò il conte con un largo sorriso sul volto – Non mi dispiacerebbe venirci a vivere! -.
Georgie guardò suo padre con stupore – Davvero papà? E…e …. Tutto questo? Sì insomma, la casa, gli amici, i tuoi possedimenti…. -.
- Beh, gli amici sono l’ultimo dei miei problemi, cara la mia Georgie. Quelli fidati sono molto pochi. Gli altri sono dei voltafaccia che non hanno esitato a girarmi le spalle quando ero ingiustamente nei guai. Chi veramente mi è rimasto fedele capirà la mia decisione. Tutti sanno quanto ti ho cercata e quanto ero disperato di non averti con me. Credo che chiunque mi conosca bene davvero troverà questa mia decisione più che sensata. Mia moglie è morta, mia figlia ha una vita sua in Australia. Non ho più nulla che mi lega a questo posto. E per quanto riguarda i miei possedimenti e questa casa, a cui sono affezionato, ci devo pensare – disse il conte.
- Sai, dovrò organizzarmi. Ci sono case e terreni che potrei vendere – proseguì il conte guardandosi attorno – E potrei lasciare questa casa a Wilson, affinchè ne abbia cura. Lui è in assoluto la persona che mi è stata più vicina ed è l’unico a cui affiderei questo posto -.
Georgie sorrise emozionata e felice – Oh papà, sarebbe bellissimo! Se tu venissi con noi sarebbe davvero stupendo! -.
Il conte strinse a sé la figlia e sorrise – Sì Georgie, sarebbe stupendo! Voi potreste partire subito. Per te è meglio viaggiare finchè la gravidanza non è in stato avanzato. Io potrei raggiungervi tra un paio di mesi, così avrei tempo per sistemare i miei affari qui ed arrivare in Australia in tempo per la nascita di mio nipote -.
- Oh papà, è perfetto! – esclamò in preda all’euforia Georgie – Non sai quanto mi rendi felice! Non vedo l’ora di dirlo ad Abel. Anche lui si sentiva in colpa a lasciarti qui da solo! -.
Così dicendo, Georgie ed il padre fecero ritorno verso casa abbracciati e felici, consapevoli che questa volta il destino avverso non si sarebbe più messo tra loro.
 
 
- Georgie sei qui? – urlò Abel rientrando in casa.
Guardò nella sala da pranzo e nel salotto a piano terra, ma di Georgie e del conte Gerald nessuna traccia. – Georgieee??? Dove sei? – continuò a chiedere ad alta voce, aggirandosi per la casa.
Improvvisamente sentì il rumore della porta di ingresso che si chiudeva e voltandosi ebbe modo di vedere Georgie che gli correva incontro illuminata da uno splendido sorriso.
- Siamo qui Abel! – disse lei saltandogli al collo e stringendolo forte a sé.
Abel accettò felice quella manifestazione d’affetto e le strinse le braccia attorno al corpo, beandosi del suo dolce profumo che gli invadeva le narici.
- Eccoti qui finalmente – sussurrò lui, intenerito dalla serenità che Georgie gli stava manifestando. E posandola a terra, disse – Mi sembri di ottimo umore -.
Georgie era fuori di sé dalla gioia e prese le mani di Abel tra le sue, stringendole forte.
- Oh Abel, sono felicissima – cinguettò lei - Ho una bella notizia da darti! -.
Nel frattempo il conte Gerald aveva fatto capolino nel salone, ridacchiando per l’atteggiamento di Georgie. Sembrava una bambina, anche se di fatto era una donna e stava per diventare madre.
Abel rise a sua volta nel vedere Georgie così entusiasta. Gli sembrava la Georgie dell’Australia. Felice e spensierata come era da tempo che non la vedeva.
- Allora piccola – disse Abel – Vuoi dirmi cos’è che ti rende così felice? -.
Georgie cercò di calmarsi un poco e rispose a suo marito – Papà è d’accordo con noi. Non ha nessun problema se facciamo ritorno in Australia ora -.
Abel si sentì sollevato. Si sentiva molto in colpa e temeva di dare un grosso dispiacere al conte Gerald. Gli rivolse uno sguardo felice e poi tornò a parlare con Georgie – Davvero? Ne sono contento – e poi aggiunse rivolgendosi al conte – Ma siete sicuro che rimanere qui da solo non vi causerà nessun problema? -.
Ma Georgie non diede il tempo a suo padre di rispondere che disse ad Abel – Oh ma Abel, la cosa bella è che papà verrà in Australia anche lui! Capisci? Potremo vivere insieme per sempre! -.
Abel sgranò gli occhi per la sorpresa ed esclamò – Ma è una bellissima notizia! -.
Il conte si avvicinò ai due ridacchiando – Eh sì Abel. E’ proprio una bella notizia. La miglior decisione che abbia mai preso! -.
- Devo essere sincero con voi, conte – disse Abel – Non ero contento di lasciarvi qui. So quanto bene volete a Georgie e quanto avreste voluto esserci alla nascita del bambino. L’idea di tornare a casa mi ha reso molto felice, ma non mi sembrava corretto separarvi da vostra figlia proprio ora. E’ bellissimo che vogliate lasciare l’Inghilterra per stare con noi. Non avrei osato sperarci -.
- Sai Abel – proseguì il conte – Ho capito che per me mia figlia è tutto quello che ho. Qui possiedo solo beni materiali, ma non ho legami veri e propri. L’unico affetto autentico è Georgie. Tenerla qui solo per rendermi felice non avrebbe senso. Lei appartiene all’Australia ed è giusto che vi faccia ritorno. Io la seguirò ovunque perché è la mia famiglia. Ho già perso tante cose di lei in passato, ora voglio recuperare tutto -.
Georgie ascoltava suo padre con gli occhi lucidi. Era felice di non doversi separare da lui ed era entusiasta di poter ricominciare la sua nuova vita nella sua terra insieme alle persone che per lei rappresentavano tutto.
- Manca solo Arthur – pensò con un filo di amarezza lei, ma volle scacciare subito quel triste ricordo. Quella era una giornata in cui si doveva essere felici, pensare alle cose brutte non aveva senso.
- Ho pensato che sarebbe più opportuno che voi partiste subito. Per Georgie è meglio viaggiare ora che la gravidanza non si nota ancora. Io devo sistemare un paio di cose qui a Londra, ma direi che riuscirò a partire tra un mese e mezzo, due al massimo, così non mi perderò la nascita di mio nipote – disse il conte ad Abel, che annuì condividendo il pensiero di suo suocero.
- A proposito Abel – li interruppe Georgie – Sei andato al porto? Hai notizia di quando salperà la prossima nave per Sidney? -.
- Beh, è partita una nave proprio ieri – spiegò Abel sedendosi sul divano del salotto – Ma al porto mi hanno assicurato che dovrebbe partirne un’altra tra due settimane e sarà necessario acquistare i biglietti il prima possibile -.
A Georgie sembrava un’ottima tempistica. Avrebbero avuto il tempo di preparare le loro cose con calma e di salutare gli amici più cari che erano stati loro vicini da quando erano arrivati a Londra.
- Caspita – disse Georgie con un velo di tristezza – Dovrò dire addio a tante persone care, a cui voglio bene davvero. Senza i miei amici non so come avrei fatto qui. Catherine e i suoi genitori, Emma e Dick e…. Maria! – concluse Georgie sgranando gli occhi.
- Maria! – disse guardando Abel preoccupata – Oh cielo! Dovrò comunicarle le cattive notizie su Arthur! Me ne ero completamente dimenticata -.
Georgie non sapeva come affrontare la povera Maria. Era già così triste e depressa. Darle la brutta notizie era veramente troppo. Quella ragazza non si meritava tutta quella sfortuna. Senza contare che con la sua partenza, Maria sarebbe rimasta davvero sola. Quello era un compito davvero ingrato per Georgie.
- Pazienza – sospirò mestamente – Dovrò incontrarla comunque e parlarle. Non posso tirarmi indietro. Povera Maria …. -.
Il conte Gerald si avvicinò alla figlia e le mise una mano sulla spalla – Avanti figliola, non avere quell’aria triste. Vedrai che prima o poi anche per Maria andrà meglio. Ora però basta con il broncio. Eri felice e voglio vederti tornare a sorridere -.
Georgie guardò il padre con affetto e fece un sorriso. In effetti aveva tante cose per cui essere grata. Avrebbe lasciato la tristezza a dopo. Ora voleva solo festeggiare.
- Ragazzi – disse il conte a quel punto – Qui ci vuole un brindisi alla nostra importante decisione. Che sia l’inizio di una nuova vita piena di gioia! Venite con me, vale la pena stappare una bottiglia di buon vino -.
Mentre brindavano al futuro, Georgie e Abel non poterono fare a meno di guardarsi e sorridere.
- Si torna a casa – pensarono entrambi. Per un nuovo inizio. Per vivere finalmente sereni e mettere le radici per la loro nuova famiglia nella terra che tanto amavano.
 
 
 
TBC…. 

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Capitolo 12
*** Un fulmine a ciel sereno ***


Capitolo 12 – Un fulmine a ciel sereno
 

 
 
 
Georgie finì di sistemarsi i capelli, rivolgendo uno sguardo apprezzativo allo specchio posto di fronte a sé, sistemò le gonne per bene e uscì dalla stanza da letto, senza prima soffermarsi sulla figura di Abel che dormiva beatamente.
Stava ancora recuperando le forze perse nel viaggio di ritorno da Telford. Nonostante fosse trascorsa più di una settimana ormai, era ovvio che si sentisse ancora spossato e Georgie non voleva mai disturbarlo quando lo vedeva dormire così profondamente.
Avevano molte cose da preparare, la loro partenza ormai era imminente, ma sinceramente preferiva lasciarlo riposare ed occuparsi lei dei bagagli.
Sorrise intenerita ed uscì in silenzio dalla loro camera.
- Buongiorno figliola – disse il conte Gerald nel vederla scendere in sala da pranzo – Passata bene la notte?
- Splendidamente papà, grazie – rispose Georgie raggiante mentre si sedeva a tavola per colazione.
Il conte la guardò stupito. Georgie si stava rimpinzando velocemente e la cosa non era da lei.
- Quanta fretta – disse lui esterefatto – Guarda che nessuno ti porta via il piatto. Puoi mangiare con calma -.
Georgie sorrise alla battuta del padre e bevendo un po’ di thé caldo per deglutire più facilmente la fetta di torta che aveva appena ingurgitato, rispose – Lo so papà. È solo che sono di corsa stamattina. Devo vedermi con Emma, perché voleva che la aiutassi a finire di ricamare il corredino che ha preparato per il bambino e sono già in ritardo -.
- Ma non doveva venire anche Abel con te? – chiese il conte.
Georgie annuì e spiegò – Sì, ma sta dormendo così bene che mi dispiace svegliarlo. Voglio che si riposi dopo tutto quello che ha passato. Tanto si annoierebbe a guardare due ragazze che cuciono e parlottano tra loro. Conto di essere a casa entro pranzo, così potremmo iniziare a preparare i bagagli. Ecco perché ho tanta fretta. Prima parto e prima torno da lui -.
Il conte ascoltò le parole della figlia, ma non era convinto che fosse una buona idea la sua – Mmm. Sei sicura che Abel non si offenda per averlo lasciato indietro? Sono sicuro che ci tiene ad accompagnarti da Emma -.
Georgie finì la colazione in fretta e furia, si alzò e indossando la mantellina che aveva appoggiato sulla sedia vuota accanto alla sua, disse al padre sorridendogli – E’ probabile, ma è qui che subentri tu, caro papà – e guardandolo con occhi teneri proseguì – Dovresti convincerlo che ho fatto bene a lasciarlo riposare. Non mi succederà niente se faccio una passeggiata in pieno giorno fino a casa di Emma, anzi mi farà bene. Rassicura Abel per favore e rassicurati anche tu. Sto bene, davvero -.
Il conte sbuffò. Quella ragazza era proprio testarda.
- E va bene – disse alla fine – Tanto non ho scelta -.
- Sei un tesoro papà – disse Georgie, ormai all’ingresso di casa, mentre chiudeva la porta alle sue spalle.
 
Abel si svegliò sereno e riposato quella mattina. Si sentiva incredibilmente bene. Era felice. Tutto sembrava ormai girare dalla parte giusta e questo gli dava un piacevole ottimismo. Non vedeva l’ora di partire e di far ritorno nella sua terra natìa. Quanto gli mancava l’Australia! Finalmente avrebbe potuto ritornare a casa e cominciare una nuova vita con la sua Georgie. Era persino troppo bello per essere vero. Ma era reale. Finalmente un po’ di felicità. Forse le cose ora andavano davvero per il verso giusto.
Facendo quella constatazione, sbadigliò pigramente, stirandosi tra le coperte.
Si rese conto di essere solo nel letto e la cosa gli dispiacque. Aveva tanta voglia di stringere Georgie a sé e di farci l’amore. Sapeva che ne avrebbe avuto tutto il tempo durante il viaggio di ritorno verso l’Australia, ma constatò in quell’istante che vi erano cose impossibili da pianificare o rimandare e il suo amore per Georgie rientrava in quel genere di cose.
Sbuffò frustrato e si sedette sul letto, cercando con lo sguardo la figura della moglie, ma rimase deluso perché la stanza era completamente vuota.
- Ma dove si è cacciata? – mormorò accigliato tra sé e sé, mentre si sfregò gli occhi in cerca di lucidità.
Poi ebbe un sussulto e sgranò gli occhi – Ma certo – urlò – Dovevamo andare da Emma e sono in ritardo. Sarà giù di sotto che mi aspetta – disse Abel balzando fuori dal letto in cerca di abiti.
In fretta e furia si vestì e poi corse fuori dalla stanza, sperando di trovare la moglie al pian terreno.
Arrivò in sala da pranzo piuttosto trafelato, guardandosi in giro. Di Georgie nessuna traccia, ma notò il conte seduto al tavolo, mentre finiva la sua colazione con calma.
- Buongiorno Abel, ben svegliato – disse il conte mentre sorseggiava il suo thè.
Abel cercò di ricomporsi e accennando un sorriso, rispose – Buongiorno a voi. Sapete per caso dove sia Georgie? – si avvicinò al tavolo e proseguì il discorso – Dovevamo andare da Emma e Dick, ma devo essermi addormentato e lei non mi ha svegliato. Non voglio farle fare tardi -.
Il conte guardò Abel e, abbozzando un sorriso, spiegò al genero dove fosse finita Georgie – Oh non preoccuparti per quello. Georgie ha preferito non svegliarti ed è andata da Emma da sola. Mi ha detto di dirti che sarebbe rientrata per pranzo -.
- Lo sapevo che se ne sarebbe andata senza svegliarmi – disse Abel in tono contrariato.
Il conte si alzò e andò verso di lui – Lo ha fatto per il tuo bene. Ha pensato che avessi bisogno di riposo – e mettendogli una mano sulla spalla, proseguì – Non preoccuparti. Sarà di ritorno a mezzogiorno. Lasciamole i suoi spazi, sono sicuro che sta bene e che non devi preoccuparti -.
- Lo so, ma ci tenevo davvero a passare la mattinata con lei – disse Abel – Se mi sbrigo riuscirò a raggiungerla -.
E così dicendo, prese al volo il mantello e uscì di corsa.
- Abel aspetta – urlò sconsolato il conte Gerald – Non fai neppure colazione? – ma si placò subito, ben conscio del fatto che ormai il genero fosse già fuori di casa.
- Benedetti ragazzi – sospirò il conte a quel punto – Non mi ascoltano mai -.
 
Georgie aveva attraversato la parte di giardino antistante la casa del padre e, aprendo il cancello, aveva imboccato la strada che l’avrebbe condotta a casa di Emma.
Era di ottimo umore, l’imminente partenza per l’Australia la rendeva felice. Felice di tornare a casa dopo tanto tempo, felice di poter riprendere la propria vita. Era assorta in questo pensiero e non badava a chi incontrava sulla sua via.
Aveva appena svoltato l’angolo della cinta della casa di suo padre, quando sentì una voce chiamarla alle sue spalle.
Era una voce conosciuta, che la esortava a fermarsi – Hey Georgie, che fai? Nemmeno mi vedi più ora? -.
Georgie si fermò e sgranò gli occhi, stupita nel realizzare a chi appartenesse quella voce.
Si voltò lentamente e se lo ritrovò davanti, che la guardava intensamente, con aria quasi spavalda.
- Lowell! – disse mentre lo fissava con stupore.
Lowell sorrise e la raggiunse. Ma cosa ci faceva lì sotto casa di suo padre? Che voleva da lei?
- Pensavi di esserti sbarazzata di me definitivamente? – chiese lui sarcastico.
Georgie rimase stupita da quell’atteggiamento. Si ricordava di Lowell come di una persona gentile e ora vederlo lì, evidentemente cambiato, le dava una strana sensazione, di sicuro spiacevole, un misto di pena e rabbia.
Era in imbarazzo, non sapeva che dire. Era strano come quel ragazzo, di cui una volta pensava di essere innamorata, ora le sembrasse un perfetto estraneo. Una persona con cui non era a suo agio, non più.
- Lowell, ma che ci fai qui? – gli chiese stupita.
Lowell lasciò sfuggire un risolino sarcastico e le spiegò – Girano voci che stai per tornare in Australia, mia cara - .
Georgie spalancò gli occhi, non capiva come la notizia potesse essere già corsa così velocemente.
- Che vuoi mia cara – aggiunse lui – E’ difficile mantenere un segreto nel nostro ambiente. Il mondo è più piccolo di quello che credi -.
Georgie sospirò, scuotendo la testa e disse – Io non appartengo a nessun ambiente. Sinceramente qui a Londra non mi sento parte di nulla. Sono solo una semplice ragazza australiana e nulla più -.
A quel punto Lowell rise fragorosamente e Georgie non capì quell’atteggiamento.
- Ora fai la modesta – disse lui divertito – Peccato che la nobiltà londinese non fa altro che parlare di tuo padre e della contessina Georgie. Siete molto famosi in questo periodo -.
- Può essere – rispose Georgie seria – Ma non mi interessa. Te l’ho detto e te lo ripeto. Sono una ragazza semplice, non mi sento parte della nobiltà di questa città -.
- Lasciamo perdere questo discorso – rispose Lowell a quel punto – Non sono venuto qua per discutere con te di questo. Sono venuto qua perché mi sento molto offeso con te -.
Georgie non riusciva a comprendere le parole di Lowell, ma lui non le diede il tempo di chiedere che si affrettò a precisare – Te ne saresti andata via per sempre senza salutarmi? -.
Georgie lo guardava fisso negli occhi, senza capire che cosa Lowell intendesse con quelle parole. Si erano lasciati ormai da tempo. Avevano intrapreso strade diverse. Si erano già detti addio. A Georgie quelle parole parvero senza senso.
Lowell si avvicinò ancor di più, afferrandola per un polso quasi in maniera brusca, attirandola vicino al suo viso.
- Ma come può essere finito tutto così Georgie? – chiese lui guardandola negli occhi, con una luce particolare – Mi hai abbandonato già una volta, riportandomi da Elisa. E ora vuoi partire per sempre. Ma non ci credo che non mi ami più. Per me non è mai cambiato nulla. Non voglio lasciarti partire Georgie. Ricominciamo tutto daccapo, possiamo ancora farlo -.
Georgie rimase senza parole. Ma che stava dicendo? Era forse impazzito?
Tolse gli occhi da quelli di lui e lentamente liberò il suo polso dalla sua stretta.
- Lowell, ma ti rendi conto di quello che dici? – disse lei – Lo sai che ora sono sposata e che aspetto un bambino. Ti sembra opportuno parlarmi in questo modo? -.
- Non mi importa – si affrettò a precisare lui, afferrandola per le spalle con trasporto – Posso accettarlo. Posso accettare che porti in grembo suo figlio. Ti amo troppo per avercela con te -.
Georgie non credeva alle sue orecchie. Davvero non riusciva a capire.
- Tu non puoi davvero essere felice con Abel – disse Lowell – Tu mi amavi, ricordi? Non puoi aver cancellato tutto. Sono certo che Abel è un ripiego ed ora che sei incinta ti senti in obbligo nei suoi confronti. Ma possiamo scappare e ricominciare tutto. Ora sto bene. Potrei badare a te e al bambino. Sarei disposto a crescerlo come se fosse mio. Non mi importa, davvero. Sono disposto a perdonarti. Basta che torniamo insieme. Mi manchi troppo. Voglio tornare insieme a te e sono certo che dentro al tuo cuore, tu senti le stesse cose -.
Georgie non seppe che fare. Cosa rispondere a quelle parole insensate. Ma come poteva Lowell farle una proposta di quel genere? Non sapeva se indignarsi per la sua sfrontatezza o provare tenerezza. Sapeva che non era un cattivo ragazzo. Sapeva che le sue parole in qualche modo erano lusinghiere, perché evidentemente lui provava ancora qualcosa di molto forte per lei. E se ne dispiaceva. Sentiva nel cuore una profonda tristezza, perché ormai lei non poteva più contraccambiarlo. Non ne sarebbe stata più capace. La ragazzina innamorata di lui non c’era più, era solo un lontano ricordo. Ora lei amava Abel e lo amava così intensamente che non riusciva nemmeno a pensare per un istante alla possibilità di stare con un altro uomo.
Doveva far capire a Lowell che era davvero finita. Finita per sempre. E se il suo matrimonio con Abel e il bambino che stava aspettando da lui non erano sufficienti a fargli capire questo, lo doveva fare lei con le parole. Subito. Era solo dispiaciuta di dovergli dare un dolore.
- Lowell, ti prego, smettila. Rendi tutto più difficile – bisbigliò lei.
- Ti amo Georgie – disse lui – E so che anche tu mi ami. Non può essere finita. Non puoi appartenere davvero a lui. Sono convinto che hai acconsentito a stare con lui solo per pietà. Ma in realtà non lo ami. Tu ami me Georgie. Non puoi essertelo dimenticato -.
Georgie sospirò, scuotendo la testa.
- Mi dispiace Lowell – disse, sentendo gli occhi velarsi di lacrime – Mi dispiace davvero vederti così. Ma è finita. Io amo Abel. E non per pietà come pensi tu. Lo amo intensamente, come non mi è mai successo prima -.
Lowell indietreggiò a quelle parole, quasi come se lei lo avesse schiaffeggiato. Non poteva essere. Non poteva. Se Georgie lo avesse pugnalato, di sicuro gli avrebbe fatto meno male di quelle parole.
- Ma come è possibile… - mormorò lui indignato.
- Credo di amarlo da sempre – cercò di spiegare lei – E’ solo che non lo sapevo. Non sapevo capire la vera identità del sentimento che ci lega. Abel è la mia costante. E’ così da sempre. Prima lo amavo come un fratello, ma poi ho capito che lui per me è molto di più. Solo quando ho rischiato di perderlo mi sono svegliata e improvvisamente tutto mi era chiaro. E da allora ho solo una certezza. Il mio amore incondizionato per lui. Non è riconoscenza, non è un ripiego, è semplicemente amore ed è la cosa più bella che abbia mai vissuto -.
Lowell cercò di riprendere a respirare normalmente, perché quelle parole erano come un secchio di acqua gelida che gli era stato improvvisamente scaraventato addosso, togliendogli il fiato.
- E non mi sento obbligata a stare con lui per via del bambino – concluse Georgie – Starei con lui comunque. Questo figlio è un dono del cielo e ci rende ancora più uniti, ma lo avrei sposato lo stesso, anche se non fossi rimasta incinta -.
Lowell cercò di riprendersi, di calmare l’impeto di rabbia e frustrazione che lo stava attraversando e che gli stava dilaniando il cuore. Doveva riprendere lucidità e accettare la verità che lei gli stava mettendo davanti agli occhi, anche se era una verità crudele.
Così annuì e seccamente rispose – Certo Georgie. Sei stata chiara. E per l’ennesima volta mi hai fatto soffrire. Io vengo qui per dirti che non ho smesso di amarti e tu mi allontani ancora, dicendomi cose terribili -.
- No, questo non è giusto! – disse Georgie concitatamente – Non mi piace sapere che soffri per me. Anzi, vorrei vederti felice, pronto ad iniziare una nuova vita, così come lo sono io. Quello che ti dico non sono cose terribili, ma è semplicemente la realtà dei fatti, Lowell. Una realtà che non vuoi accettare. Ma sono certa che anche tu sapevi che era questa la situazione. Semplicemente non hai voluto arrenderti. Ma ti prego, non ostinarti così. Tu meriti qualcuno che ti ami davvero e che ti renda felice. Non ostinarti con me. Non sono io quella persona -.
Lowell le lanciò un’occhiata di fuoco e rispose – E chi sarebbe? Dimmi Georgie, chi sarebbe? Elisa forse? Vorresti che fosse lei, così tu potresti lavarti la coscienza e startene tranquilla? -.
Georgie lo guardò intensamente e tra le lacrime rispose – Sì Lowell. Vorrei che fosse lei. Ma non per lavarmi la coscienza, ma perché credo che ti ami davvero tanto. Lei saprebbe renderti felice come meriti, ma non vuoi capirlo. La stai facendo soffrire, proprio come io facevo con Abel. Non allontanare chi tiene davvero a te Lowell, potresti pentirtene -.
Lowell abbassò lo sguardo e il suo pensiero volò ad Elisa. Sapeva che venendo da Georgie le stava mancando di rispetto, ma non aveva potuto farne a meno. Forse Elisa era davvero la persona per lui, colei che lo amava incondizionatamente, ma il punto non era questo. Il punto era lui e i suoi sentimenti. Avrebbe mai imparato ad amarla?
- Sai Georgie – disse lui con tono nostalgico – Con te era tutto bello, tutto nuovo. Sapevi infondere in me energia ed allegria. Eri una ventata di aria fresca. Mi hai travolto con la tua personalità e mi hai reso davvero felice. Non so se riuscirò mai a dimenticarti e ad amare Elisa. Le voglio bene, ma non mi emoziona. Perdendo te, ho perso l’opportunità di vivere la vita davvero. E ora posso solo accontentarmi di ciò che resta -.
- Mi spiace Lowell – disse Georgie mestamente – Non avrei voluto causarti questa sofferenza. Ma non posso farci niente se ora amo Abel -.
- Se non mi avessi riportato da Elisa quella notte, ora ameresti me e saremmo felici – disse lui amareggiato.
- No Lowell – rispose lei – Saresti morto se non ti avessi riportato indietro e lo sai. Ero a pezzi quando ho deciso di rinunciare a te, ma non volevo essere egoista. L’unica possibilità per curarti era tornare a casa. E ti ho lasciato andare. Pensavo che non avrei più potuto amare nessuno ed ero triste, ma poi il destino ha cambiato la mia vita. Mi ha fatto capire che cosa sia davvero l’amore. Lowell, non offenderti ti prego, ma credimi, non si può davvero chiamare amore il sentimento che ci univa. Io ero innamorata dell’idea che mi ero fatta di te. Ma poi ho capito che non ero pronta ad amarti sul serio. E questa conferma mi è arrivata nel momento preciso in cui ho sfidato tutto e tutti e sono entrata in quella maledetta prigione per andare dal mio Abel. E da allora nel mio cuore c’è stato solo posto per lui -.
- Mi arrendo Georgie – disse lui alzando le mani – E’ evidente che non riuscirò mai a farti cambiare idea -.
- Mi spiace Lowell – disse lei, provando un’infinita tenerezza per lui.
- No, non dispiacerti – rispose Lowell – Devo dimenticarti e smetterla di essere egoista. Sarebbe inutile. E’ giusto che tu viva la tua vita. E’ solo che pensavo che le cose stessero in modo diverso e così ho fatto un ultimo tentativo per riportarti da me, ma è ovvio che è invano, quindi non voglio insistere -.
Lowell si riavvicinò a lei e le sorrise – Sii felice allora e fai buon ritorno a casa. E scusa se ti ho disturbato venendo qui all’improvviso -.
- Non dirlo nemmeno. Forse è stato meglio così, almeno ci siamo chiariti. Grazie Lowell, per tutto. Sii felice anche tu. Almeno provaci, lo meriti – rispose lei guardandolo con un debole sorriso sulle labbra.
- Caspita – disse lui sentendo le lacrime salire agli occhi – E’ proprio un addio questo -.
Georgie gli sorrise emozionata, rispondendo – Sì…lo è. Questa volta lo è davvero – e così dicendo gli accarezzò il volto.
- Vieni – disse Lowell – Accompagnami alla carrozza che mi sta aspettando dietro l’angolo. Poi ti lascerò andare per sempre -.
Georgie acconsentì a questa ultima richiesta. In fondo non c’era nulla di male. Presero a camminare, mentre lui si appoggiò a lei, vinto dalla tristezza.
Voltarono l’angolo e trovarono la carrozza della famiglia Grey. Si fermarono e si guardarono un’ultima volta negli occhi.
- Addio Lowell, buona fortuna – disse Georgie.
Lowell le sorrise, le prese la mano per baciargliela e rispose – Addio. Non ti dimenticherò mai -.
Così dicendo, si congedò da lei, salendo sulla carrozza che immediatamente partì, portandolo via per sempre.
Georgie rimase immobile a vedere la carrozza sparire all’orizzonte. Era triste per lei sapere che Lowell non era felice, ma era certa che con un po’ di tempo avrebbe capito che Elisa era la donna per lui. Sospirò mestamente e riprese a camminare.
Stava facendo tardi. Doveva andare da Emma. Quell’incontro inaspettato le aveva fatto perdere tempo, ma tuttavia era contenta di aver parlato ancora una volta con Lowell. Aveva messo bene in chiaro i suoi sentimenti per Abel e si sentiva bene. Era giusto così.
Ora non avrebbe permesso più a nessuno di turbarle il buon umore che le pervadeva il cuore quella mattina. E così, riportando il sorriso sul suo viso, camminò fino a casa di Emma. Si sentiva nuovamente felice e piena di entusiasmo per il futuro.
 
Abel era uscito di corsa dalla casa del conte Gerald. Sperava di raggiungere Georgie. In fondo era uscita di casa poco prima di lui, quindi non sarebbe stato impossibile trovarla.
Era dispiaciuto che lei se ne fosse andata senza di lui, ma aveva capito le sue buone intenzioni e si intenerì. Georgie era veramente un tesoro e lui era l’uomo più fortunato del mondo ad averla accanto a sé.
Senti il cuore pieno di amore per quella ragazza e non potè fare a meno di sorridere. La amava moltissimo. Non sapeva davvero che avrebbe fatto senza di lei.
E se si era svegliato con il buon umore, ora si sentiva al settimo cielo. Aumentò la velocità, voleva assolutamente trovarla e stringerla forte a sé per dirle quanto lei significasse per lui.
Imboccò la via e prontamente girò l’angolo, sperando di non dover fare molta strada prima di incontrarla.
Ma qualcosa arrestò la sua corsa. Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, Abel sentì la gioia che lo pervadeva abbandonarlo.
Si fermò, non appena svoltato l’angolo. Rimase immobile, incredulo, con gli occhi sgranati e la bocca aperta, con una smorfia di delusione sul volto.
Davanti a lui un’immagine che non avrebbe mai pensato di poter vedere. Non ora, non più.
Georgie e Lowell stavano parlando. Erano quasi al fondo della via e non lo avevano notato. Erano presi dal loro discorso e non si guardavano attorno. Abel avrebbe voluto morire in quell’istante, fuggire via, ma non riusciva a muovere nemmeno un solo muscolo del suo corpo. Era come paralizzato. Rimase lì a guardarli, sperando di poter sentire quello che si stavano dicendo, ma le loro voci non arrivavano fino a lui.
Quando riprese lucidità, capì che non doveva assolutamente correre il rischio che quei due lo vedessero, così prontamente si nascose dietro l’angolo della cinta della casa del conte Gerald e, facendo capolino dal muro, osservò con attenzione quello che stava succedendo.
Vide l’espressione sul viso di Georgie e non riuscì a decifrarla. Ma capì che era emozionata, le sembrava quasi che stesse per piangere. Chissà, forse stava soffrendo all’idea di dover lasciare l’Inghilterra e Lowell. Forse tutto quell’entusiasmo che dimostrava per l’idea di far ritorno in Australia era solo una messinscena. Forse il suo cuore voleva rimanere lì, a Londra con Lowell.
Abel inorridì a quel pensiero e cercò di capire meglio cosa stava succedendo tra quei due.
Improvvisamente vide Lowell avvicinarsi a Georgie. Lo vide dapprima afferrarle il polso e poi stringerle le spalle. Voleva baciarla? Oh Dio, no! Non avrebbe retto a quella vista.
Ma per sua fortuna, non si baciarono. Continuavano a parlare, ma a bassa voce.
Abel notò una certa intimità tra loro e la cosa lo ferì profondamente. C’era emozione, tenerezza negli sguardi di Georgie e si dovette appoggiare al muro, per paura che le gambe gli cedessero. Perché stava succedendo tutto questo? Perché Georgie gli stava facendo questo alle sue spalle?
Poi un movimento attirò la sua attenzione. Georgie stava accarezzando il viso di Lowell.
Era troppo. Troppo. Avrebbe voluto andare là, urlarle tutto il suo ribrezzo e colpire Lowell con un pugno per rimetterlo al suo posto. Ma non ci riusciva.
Le forze lo avevano abbandonato. Sentiva solo un fortissimo dolore al petto. La delusione che provò in quell’istante gli fece salire le lacrime agli occhi.
- Perché Georgie? Perché? – mormorò pieno di rabbia in corpo.
Continuò a guardarli, nonostante avesse nausea di quell’immagine. Era dura starsene lì, ma doveva sapere quello che stava succedendo.
Erano vicini, vicinissimi e continuavano a parlare. Poi improvvisamente presero a camminare, mentre Lowell quasi si appoggiava a Georgie. E in un istante svoltarono l’angolo e scomparvero dalla sua vista.
- Se ne sono andati – pensò Abel – E lei ora è con lui -.
Sentì la testa girare e si buttò una mano alla fronte disperato.
- Ma che sta facendo Georgie? – pensò incredulo – Se ne va via con lui? -.
Inspirò profondamente l’aria. Aveva bisogno di calmarsi e di pensare con lucidità, anche se era sconvolto.
- Ma certo – esclamò improvvisamente – Mi ha mentito. Mi ha mentito fin dall’inizio. Non doveva andare da Emma, era tutta una scusa. Aveva deciso di lasciarmi a casa per incontrarsi con lui. E io stupido ci sarei cascato -.
Quell’idea era la più plausibile secondo lui, ma gli lacerava il cuore pensare che Georgie avesse potuto ingannarlo così.
Sì sedette sul marciapiede, posando la testa tra le mani per ragionare e per riprendere le forze.
La sua mente iniziò a lavorare freneticamente, intossicata dalla gelosia che prepotentemente stava prendendo il controllo su di lui.
Era troppo bello pensare che Georgie avrebbe potuto amarlo davvero. Perché era stato così ingenuo?
Era ovvio che non aveva mai dimenticato Lowell. Si era trovata costretta a lasciarlo per via della sua malattia, ma il suo cuore non aveva mai smesso di battere per lui.
- Quel giorno in cella è venuta da me solo per pietà – mormorò amareggiato tra le lacrime – Ha fatto l’amore con me perché ha voluto rendere felici le ultime ore di un condannato a morte. Pensava che non sarei sopravvissuto. Se non mi fossi salvato, ora lei starebbe con lui. Se non fosse rimasta incinta, ora non saremmo sposati -.
Tutto tornava. Ora le cose gli sembrarono più chiare. La mente di Abel era obnubilata dal rancore, ma non se ne rendeva conto. Anzi, gli sembrava di essere lucido come non mai.
- Per lei resterò sempre un fratello, un amico e nulla più – disse freddamente, riacquistando il controllo momentaneo delle sue emozioni – Sono stato proprio uno stupido. Ho dovuto sbatterci dentro per capire come stavano davvero le cose -.
Fissò il vuoto, perso nei suoi pensieri. Ed erano pensieri terribili e si sentì solo e debole.
- Sarà a casa sua ora – mormorò deluso – E staranno facendo l’amore -.
Quell’idea lo infiammò. Sentì la rabbia montargli prepotente dallo stomaco e si sfogò lanciando un pugno versò il suolo, provando un dolore atroce alla mano, che tuttavia gli parve più lieve di quello che gli stava dilaniando il cuore.
Lentamente si rimise in piedi e decise di rientrare in casa.
Aveva bisogno di riflettere con calma e di stare solo.
Aprì la porta dell’ingresso di casa, attento a non fare il minimo rumore. Il conte era nel salone, seduto sulla poltrona davanti alla finestra, intento a leggere un libro.
Abel si mosse lentamente e prese le scale che conducevano al piano superiore. Il conte non si era accorto del suo ritorno ed era meglio così. Non aveva voglia di parlare con nessuno. Non sarebbe stato gentile in quel momento e non era giusto che il conte, che gli era sempre stato amico, subisse il suo cattivo umore.
Percorse il lungo corridoio fino alla porta della sua camera. Entrò dentro e non potè fare a meno di guardare il grande letto che aveva diviso con Georgie in tutti quei giorni e i momenti che avevano vissuto.
- Hai sempre finto tutto con me – bisbigliò tra le lacrime – Perché mi hai fatto così male, Georgie, perché? -.
Quel pensiero lo fece soffrire nuovamente e la gelosia lo travolse ancora.
Si voltò di scatto e lasciò sfogare la rabbia che lo tormentava. Con un gesto improvviso, scaraventò a terra il vaso posto sul mobile accanto a lui, rompendolo in mille pezzi.
- Maledizione! – urlò distrutto dal dolore, mentre pensava al dolce viso di Georgie che gli sorrideva allegramente.
- Ora quel sorriso lo stai rivolgendo a lui – disse disperato – Mentre ti lasci amare da lui -.
- No, no, noooo! – urlò. Non poteva accettarlo, non ci riusciva. Avevano condiviso troppo cose importanti insieme. Avevano anche un figlio in arrivo. Ma come era possibile?
Si sentì malissimo pensando al bambino che doveva nascere e bisbigliò – Ma come puoi farlo Georgie? -.
In quel momento pensò che sarebbe stato meglio morire il giorno dell’esecuzione. Si sarebbe risparmiato una presa in giro crudele e l’umiliazione che ne seguiva.
- Se i proiettili di Dangering non mi hanno ucciso – disse dilaniato dalla rabbia e dal dolore – Mi hai ucciso tu oggi, Georgie, prendendoti gioco di me con il tuo amante -.
E così dicendo, si sedette sulla poltrona posta infondo alla stanza, piangendo tutto il suo dolore.
 


TBC…. 

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Capitolo 13
*** La gelosia di Abel ***


Capitolo 13 – La gelosia di Abel
 

 
 
- Oh Emma, è semplicemente stupendo – esclamò Georgie ammirando il corredo che l’amica aveva preparato per il bambino che portava in grembo.
Emma era contenta che a Georgie piacesse il suo lavoro. Ci teneva che lei avesse qualcosa di suo, in modo tale da ricordarla quando sarebbero state lontane, una volta che la sua cara amica avesse fatto ritorno in Australia.
- Se non era per il tuo aiuto non sarei riuscita a finirlo in tempo – disse Emma.
Georgie abbracciò l’amica calorosamente, dicendole – Ma ho fatto pochissimo. Era praticamente finito! Sei stata davvero brava Emma. E’ un dono meraviglioso -.
Emma sentì l’emozione prendere il sopravvento e mormorò – Almeno ti ricorderai di me quando sarai in Australia. E sarà il mio regalo per il tuo bambino, visto che quando nascerà io non ci sarò -.
Georgie si commosse a quelle parole e disse – Oh Emma, non sai quanto mi dispiace dirti addio. Sarà la cosa più difficile per me. Sei in assoluto l’amica più cara che io abbia mai avuto -.
Si abbracciarono e piansero un po’, ma cercarono di non abbandonarsi alla tristezza. Volevano vivere la loro amicizia nel modo più sereno possibile, fino alla fine.
- Dai basta con le lacrime – disse Emma – Non è da noi. Voglio ridere con te e non piangere -.
Georgie sorrise ed annuì – Sì, hai ragione. Basta piangere -.
Ripresero il loro cicaleccio femminile, mentre riponevano il corredino del bambino in una grande scatola.
E tra le chiacchiere, Georgie decise di fare una confidenza all’amica.
- Emma devo raccontarti una cosa strana che mi è successa stamattina mentre venivo da te – disse un po’ a disagio – Ho bisogno di un consiglio, come al solito -.
Emma comprese che Georgie aveva bisogno di confidarsi, così la invitò a sedersi sul vecchio divano del suo soggiorno, per un po’ di chiacchiere tra donne.
- Dimmi tutto – disse Emma fissando Georgie intensamente.
Georgie fece un bel respirò e le raccontò dell’incontro di poche ore prima con Lowell e di tutto quello che si erano detti.
- Cosa? Ha detto proprio così? – esclamò Emma stupita – Che ti amava a tal punto da voler fuggire con te anche se aspetti un figlio da Abel? -.
- Esatto – sospirò Georgie – E comprenderai il mio disagio nell’aver dovuto spegnere il suo entusiasmo. Non volevo farlo soffrire. Tra noi è finita da tempo ormai, ma voglio che lui stia bene. E invece ho dovuto parlargli chiaro e credo di averlo ferito profondamente. Mi dispiace molto. Spero davvero che possa dimenticarmi ed essere felice -.
- Mmm certo – disse Emma – Ma dimmi la verità Georgie…. rivederlo, sentire quelle parole, non ti ha turbato un po’? Non sei stata tentata nemmeno per un attimo? Voglio dire, è stato il tuo primo amore infondo e quando lo hai lasciato non lo hai fatto perché avevi smesso di amarlo, ma perché volevi che si curasse e tu sapevi che non avresti potuto dargli ciò di cui aveva bisogno. Sarebbe normale se dentro di te provassi ancora qualcosa per lui -.
Georgie sgranò gli occhi, stupita dalle parole di Emma.
- Ma che stai dicendo Emma, sei forse impazzita? – esclamò Georgie, con una punta di sdegno nella voce – Ma per chi mi hai presa? -.
Emma si sentì in imbarazzo, non voleva assolutamente offendere la sua amica – No Georgie, non prenderla per il verso sbagliato – si giustificò – Non volevo insinuare niente. Ti chiedevo solamente se per caso Lowell ha su di te ancora un certo effetto, tutto qui -.
Georgie scosse la testa e rispose – Nessun effetto Emma. Lo sai che amo Abel. Non sono il tipo di ragazza che sta con una persona se nel cuore prova ancora sentimenti per qualcun altro. Non lo farei con nessuno e tantomeno con Abel. Ci conosciamo da una vita intera, lo rispetto troppo per comportarmi così con lui. Con Lowell è semplicemente finita. Sono dispiaciuta per lui ed è stato brutto dargli una delusione, ma questo non centra con i sentimenti che provo per Abel. E’ lui l’amore della mia vita -.
- Capisco… ma allora – le chiese Emma – Non capisco perché hai voluto parlarmi di questa vicenda. Se non hai dubbi, cos’è che ti turba? -.
Georgie sospirò e spiegò all’amica la situazione – Vedi, non so come comportarmi con Abel ora. Una parte di me pensa che dovrei raccontargli tutto. Non è successo niente infondo e sarebbe corretto che lui lo sapesse, così avrà la conferma che con lui non ho segreti di nessun genere e che potrà sempre fidarsi di me -.
Emma ascoltò in silenzio, annuendo al ragionamento sensato dell’amica.
- Ma un’altra parte di me – continuò Georgie – Conosce Abel molto bene e sa che non reagirebbe nel migliore dei modi a questa rivelazione. Abel è un tesoro e mi ama così tanto che a volte mi lascia senza fiato. Però è irruento e geloso. Lo è sempre stato, anche quando credevo che fosse mio fratello. E ho ragione di credere che ora lo possa essere ancora di più, visto che sono sua moglie. Quindi ho paura di scatenare la sua ira verso Lowell. Sarebbe capace di andarlo a cercare e dargli un pugno. Cosa che ha già fatto in passato peraltro e sinceramente vorrei evitarlo. Capisci perché sono confusa? Non so che fare. Essere onesta e condividere tutto con mio marito o tenermi dentro un piccolo segreto per il quieto vivere? -.
Emma rimase per un attimo in silenzio a pensare, ma poi si rivolse all’amica con tono deciso – Diglielo. Sii onesta. Abel dovrà capire e controllarsi. Infondo potrà solo apprezzare la tua sincerità. Ora non è più un ragazzino e anche se sarà geloso dovrà imparare a contenersi. Del resto non è successo proprio nulla. Tu ti sei comportata benissimo, quindi non potrà arrabbiarsi. Credo che sia meglio così. Se un giorno dovesse venire a scoprire questo fatto, potrebbe sempre accusarti di non essere stata sincera con lui e magari nella sua testa inizierà a pensare che tu possa provare ancora qualcosa per Lowell. Diglielo e stai serena. Vedrai che non succederà nulla. Credo che Abel sia troppo felice di far ritorno a casa con te per farsi turbare da Lowell. E poi, obiettivamente, non ha nulla di cui preoccuparsi visto quanto sei innamorata di lui. Anzi, ti dirò di più, è un uomo fortunato ad averti accanto! -.
Georgie sorrise alle parole della sua amica e si sentì rincuorata.
- Oh grazie Emma – esclamò felice – Avevo proprio bisogno del tuo consiglio. Sei così saggia! -.
Emma ridacchiò, lusingata da quelle parole.
- Oh Georgie, per me è un piacere esserti d’aiuto – disse abbracciandola.
- Ora però devo andare. E’ quasi ora di pranzo – esclamò Georgie, alzandosi dal divano – Ho promesso a mio padre che sarei rincasata per mezzogiorno e non voglio fare tardi. E poi ho voglia di vedere Abel. E devo anche parlare con lui, quindi non voglio più perdere tempo -.
Si salutarono e Georgie uscì dalla casa di Emma, imboccando la via del ritorno.
Si sentiva più leggera. Aver parlato con la sua amica le aveva fatto bene. Era un buon consiglio quello che le aveva dato. Non vedeva l’ora di parlare con Abel.
Mentre camminava, strinse al petto la scatola che conteneva il corredino del suo bambino.
Era stato davvero un bel pensiero quello di Emma. Voleva assolutamente mostrarlo a suo padre e a suo marito.
Vedere quegli abitini le fece realizzare che presto sarebbe arrivato un bimbo o una bimba in carne ed ossa e che la sua vita e quella di Abel sarebbero cambiate definitivamente.
- Diventeremo genitori – pensò emozionata – Saremo felici e nessuno potrà mai separarci -.
Assorta in questi pensieri, arrivò a casa senza nemmeno quasi accorgersene.
Entrò canticchiando, di ottimo umore ed incontrò suo padre nell’ingresso.
- Rieccomi di ritorno! – cinguettò allegramente.
Il conte le rivolse un caloroso sorriso e le chiese – Allora, tutto bene dalla tua amica? -.
- Oh sì papà, tutto bene – e mostrandogli la scatola che stringeva al petto aggiunse – Il corredino che ha preparato Emma è semplicemente meraviglioso. Non vedo l’ora di fartelo vedere. Ma prima voglio mostrarlo ad Abel. Sai dov’è ora? -.
Il conte la guardò meravigliato ed esclamò – Ma io credevo che Abel fosse con te! -.
- Con me? – disse Georgie – Ma papà non ti ricordi che quando sono andata da Emma ho lasciato Abel a letto che dormiva? Dovrebbe essere a casa. Ma tu non l’hai visto? -.
- Certo che mi ricordo che lo hai lasciato a casa a riposare – rispose il padre – Ma appena sei uscita stamane, Abel è sceso nel salone e mi ha chiesto di te. Quando gli ho detto che eri andata da Emma da sola, ha deciso che ti avrebbe seguito. Ero certo che ti avesse raggiunta ed avesse passato la mattinata con te -.
- E invece io non l’ho proprio visto – disse Georgie pensierosa – Ma dove si sarà cacciato? Non vorrei che gli fosse successo qualcosa -.
Il conte abbozzò un sorriso e cercò di rassicurare la figlia – Non preoccuparti Georgie, cosa può essere successo ad un ragazzo come Abel in pieno giorno? Magari non ti ha incontrata e avrà deciso di fare qualcos’altro. Avrà semplicemente cambiato idea. Vedrai che tra poco sarà di ritorno -.
A Georgie sembrò che in effetti la cosa avesse un senso, ma non era da Abel sparire così senza avvertire.
- Magari strada facendo ha deciso di andare dal signor Allen – ipotizzò Georgie incerta – Chissà, forse non aveva voglia di passare la mattinata con me ed Emma. Forse aveva del lavoro da svolgere o doveva parlare al signor Allen dello studio che aprirà a Sydney -.
- Ma certo mia cara – disse il padre – E’ sicuramente andata così. Non preoccuparti. Vedrai che rientrerà presto. Tu piuttosto, sali in camera tua a cambiarti per il pranzo e a riporre il corredino. Lo mostrerai ad Abel nel pomeriggio -.
Georgie annuì e salì le scale, scacciando ogni preoccupazione per la momentanea sparizione di Abel e riprendendo a canticchiare.
Entrò in camera da letto e posò la scatola sul letto. Non potè fare a meno di soffermarsi un istante a pensare a questo bambino e a quanto fosse felice di condividere un’esperienza così bella con Abel.
Poi slacciò il cappello che indossava e si voltò per posarlo sul mobile accanto a lei, quando notò a terra dei cocci.
- Ma chi ha rotto il vaso che era qui? – esclamò nel vedere i pezzi taglienti sul pavimento.
- Bisogna fare attenzione – pensò tra sé e sé – Sono molto taglienti e c’è rischio di farsi male -.
Non riusciva a capire perché chi aveva rotto il vaso non avesse provveduto anche a ripulire. Ma non si soffermò più di tanto su questo punto. Decise piuttosto di raccogliere quei pericolosi cocci.
Ma prima di farlo decise che si sarebbe cambiata d’abito. Così si voltò per cercare un vestito più comodo e notò un movimento provenire dalla poltrona posta davanti alla finestra che vi era infondo alla stanza.
Quasi si spaventò. Pensava che non ci fosse nessuno in camera, non aveva notato che invece qualcuno era seduto su quella poltrona.
Ebbe un sussulto, ma subito si calmò perché riconobbe la figura di Abel.
Sorrise e gli andò in contro – Ecco dove ti eri cacciato – disse lei raggiante – Ma lo sai che mi hai fatto prendere un bello spavento? Perché non ti sei fatto vedere quando sono entrata? Ero convinta che non ci fosse nessuno. Ma lo hai rotto tu quel vaso? Bisogna assolutamente pulire perché c’è il rischio che qualcuno si faccia male -.
Disse tutte quelle parole di seguito. Aveva assolutamente voglia di stare con lui, parlare con lui e non sapeva trattenere l’entusiasmo. E quando era felice rischiava di essere logorroica.
Abel non le rispose, non voltò nemmeno la testa per guardarla.
Era una strana reazione, ma lei non ci badò. E continuò a parlargli.
- Abel devi assolutamente vedere il corredino che Emma ha preparato per il nostro bambino – cinguettò felice – E’ bellissimo! E nel guardarlo sto realizzando che presto nostro figlio sarà con noi e che potremo stringerlo tra le braccia. Ma ti rendi conto? Non riesco a pensare ad altro oggi, sono troppo felice, sento che il nostro futuro sarà radioso! -.
Era al settimo cielo e stava aprendo il suo cuore ad Abel, voleva assolutamente condividere con lui il fiume di emozioni positive che la stava attraversando e che la rendeva gioiosa e piena di ottimismo. Ma si stupì ancora una volta, perché da Abel non ottenne nessuna reazione.
Continuava a stare immobile sulla poltrona, fissando un punto indefinito fuori dalla finestra. Non si era neppure voltato a guardarla e sul suo volto era segnata un’espressione dura e distaccata.
Georgie non riuscì a capire quell’atteggiamento e cercò spiegazioni da lui.
Si avvicinò alla poltrona e posò una mano sul suo braccio – Abel ma che hai? Non stai bene forse? O c’è qualcosa che ti preoccupa. Mi sembra che tu mi stia ignorando. Ma hai sentito quello che ti ho appena detto? – chiese dolcemente, fissandolo preoccupata.
Abel ebbe un sussulto a quelle parole e al contatto della sua mano contro il suo braccio.
Voltò la testa improvvisamente, fissandola severamente e scosse il braccio, come per scacciare la sua mano.
Georgie indietreggiò a quella reazione, sgranando gli occhi per la sorpresa e per la paura. Ma che comportamento era quello? Sembrava quasi che Abel avesse ribrezzo del suo tocco. Non era possibile. Ma che stava succedendo?
Sentì una morsa allo stomaco e tutto il suo buon umore scivolò via, per lasciare spazio ad una strana angoscia che si impadronì velocemente di lei.
Dopo pochi istanti di silenzio, durante i quali lui la fissò duramente, finalmente Abel si decise a parlare.
- Certo che ti ho sentito – replicò freddamente, senza la minima emozione nella voce – Non sono sordo, Georgie -.
Georgie era come paralizzata. Il suo Abel era così strano, così freddo. La sua voce, i suoi movimenti, il suo sguardo erano così severi. Non capiva. Era abituata a sentirsi amata, adorata da lui. I suoi gesti verso di lei erano sempre caratterizzati da calore, dolcezza, amore e ora, a vederlo così, non sembrava nemmeno più lui.
Georgie si sentì improvvisamente sola, in preda al panico, di fronte ad un uomo che le sembrava di non conoscere. Un uomo che non aveva buone intenzioni per di più.
- Abel ma… - balbettò a fatica – Che sta succedendo? Mi sembri così diverso… -.
Abel la fissò e non rispose e lei si sentì sempre più piccola, sempre più fragile. Non sapeva spiegare il suo atteggiamento e aveva paura. Non aveva mai provato paura quando stava con Abel e questa nuova esperienza la stava sconvolgendo. Non lo aveva mai visto così con lei.
- Ti prego Abel, parlami – disse con le lacrime che le salivano agli occhi – Non riesco a capire … -.
Ma lui non le diede modo di finire la frase che la interruppe. Con quella voce fredda e risoluta, le disse – Georgie ti prego basta. Falla finita -.
Georgie continuava a non capire e con espressione confusa domandò – Ma farla finita con cosa? Abel ti prego spiegami, sto impazzendo -.
Abel cercò di trattenere la rabbia che gli stava montando in petto. Chiuse per un istante gli occhi, poi tornò a fissarla e, con una strana calma, disse – So tutto Georgie. Smettila con questo teatrino. Non mi incanti più -.
Georgie indietreggiò ancora di un passo. Sentì il mondo intorno a lei girare vorticosamente e perse quasi l’equilibrio. Si appoggiò ad una tenda per non cadere e tornò a fissarlo incredulo.
- Ma che stai dicendo Abel? – chiese spaventata – Non capisco le tue parole. Abel mi stai facendo paura. Ti prego, spiegami! -.
- Ma che brava la nostra Georgie! – disse sarcastico e, continuando a fissarla con rancore, continuò – Se non sapessi la verità, mi sarei lasciato abbindolare ancora una volta. Sai proprio mentire bene. Peccato che ora non sono più così ingenuo da crederti -.
Georgie continuava a non capire. Quella situazione era assurda. L’Abel che aveva davanti a sé era un estraneo. Non riusciva a comunicare con lui e a capire che cosa intendesse dire. E la cosa peggiore era che Abel era in collera con lei, come non lo aveva mai visto prima. E lei non sapeva come placarlo, cosa dirgli. Nulla aveva senso.
- Abel…io….non capisco – gli disse disperata – Non ti riconosco più. Cos’è che ti sconvolge così tanto? -.
Abel fece una secca risata sarcastica e disse – Povera piccola Georgie! Ma quanto sei spaventata! -.
Poi improvvisamente tornò a fissarla intensamente, più serio che mai, e aggiunse – Ti ho chiesto di smetterla una volta per tutte. So tutto Georgie! Tutto! E quando dico tutto, intendo che non puoi più raccontarmi menzogne. Abbi la decenza di essere leale almeno adesso -.
Georgie si portò una mano alle labbra. Continuava a non capire a cosa Abel si stesse riferendo, ma aveva paura di chiedere ancora. Temeva la sua reazione.
Abel iniziò a camminare lentamente avanti e indietro, fissandola con uno sguardo cupo, assente.
- Non sono uno stupido – riprese lui all’improvviso – Forse hai pensato che io lo fossi. Non posso darti torto. In effetti ero completamente abbindolato dalle tue moine. Ma appena ho avuto modo di realizzare come stavano veramente le cose, ho capito che cosa stava succedendo e me ne voglio tirare fuori. Non merito questo e tu lo sai. Quindi, in nome di tutti gli anni che abbiamo trascorso insieme, ti chiedo solo onestà e sincerità. Giunta a questo punto, cara mia, non puoi più continuare a mentire -.
Georgie era sempre più confusa e dentro di sé sentì un moto di coraggio ed orgoglio farsi strada tra il panico che stava provando. Doveva capire e non aver paura di parlare con lui.
Fece un profondo sospiro, lo guardò dritto negli occhi e disse – Io non voglio mentirti, non lo farei mai. Ma non capisco a cosa tu ti stia riferendo. E’ ovvio che sei ferito ed arrabbiato. Ma non so davvero che cosa posso aver fatto -.
Abel si girò di scatto e la guardò con occhi sgranati, da pazzo. Con due passi si avvicinò a lei come un leone fa con la preda. Le afferrò il bracciò con poca gentilezza e con tono grave le chiese – Cosa hai il coraggio di dire? -.
Georgie ebbe un sussulto, ma non volle dimostrarlo. Stava ritrovando fierezza e tenne testa a quello sguardo. Gli rispose, cercando di nascondere la paura – Sto dicendo che non so cosa ti ho fatto di così grave -.
- Basta! – tuonò lui, lasciando sgorgare tutta la sua ira – Ammettilo! Ammetti che cosa fai alle mie spalle! Dillo! -.
Georgie lo guardò senza capire, devastata da quel comportamento.
- Georgie ho visto tutto! Lo vuoi capire? Ti ho vista! – urlò lui in preda ad un fiume violento di rabbia e frustrazione.
Georgie scosse la testa e continuò a guardarlo.
Abel era disperato e devastato. Abbassando il tono, e con voce rotta dal dolore, disse – Eri con lui stamattina. Lo hai accarezzato. Te ne sei andata con lui. Non serve più mentire, so tutto -.
Georgie sgranò gli occhi e sussultò! Lowell! Ecco a chi si stava riferendo! Li aveva visti e aveva travisato ogni cosa! Ecco perché era così arrabbiato con lei. Ma non era come lui pensava. Doveva assolutamente spiegarglielo.
- No Abel! – si affrettò a rispondere – Non è come pensi tu. E’ stato un caso che io abbia incontrato Lowell stamani. Ti assicuro che non è successo nulla -.
Abel la guardò incredulo e disse – Hai ancora il coraggio di mentire? Speri di ingannarmi ancora inventandoti qualche scusa? Forse pensi che sono proprio uno stupido -.
Georgie corse verso di lui, aggrappandosi al suo braccio e guardandolo disperatamente – Abel ti giuro che non è successo nulla! E’ così, davvero. Te lo avrei detto non appena tornata a casa, ma tu non me ne hai dato modo. E’ venuto da me perché dice di amarmi ancora, ma io l’ho rifiutato. Gli ho detto che amo solo te. E’ vero che gli ho dato una carezza, ma era un gesto di amicizia, credimi. Gli stavo dicendo addio. Non me ne sono andata via con lui. L’ho semplicemente accompagnato alla carrozza che lo stava aspettando proprio qui dietro casa. Lui se ne è andato e io ho proseguito il mio cammino. Sono stata con Emma tutta la mattina, te lo giuro. Puoi chiederlo a lei, se non mi credi -.
Abel sorrise e scosse la testa. Guardò il pavimento e con voce amareggiata mormorò – Smettila con queste scuse patetiche. Ti sarai semplicemente messa d’accordo con Emma. Siete amiche e sono certo che ti proteggerebbe con qualunque menzogna -.
- Ma Abel come puoi credere una cosa simile! Tu mi conosci, non sarei mai capace di farti del male – disse Georgie tra le lacrime.
Abel continuò ad evitare di guardarla. Gli faceva troppo male. Si sentiva debole e disperato. Non riuscì a trattenere qualche lacrima, ma proseguì il suo discorso – E’ questo che mi ha ferito più di tutto. Pensavo di conoscerti. Credevo che fossi sincera. Vedere quella scena mi ha sconvolto, ma almeno mi ha fatto capire come stanno davvero le cose e che razza di persona tu sia, Georgie – si interruppe brevemente per un profondo sospirò e continuò – Aveva ragione mia madre nel dire che ci avresti rovinato la vita. Guarda i risultati ora -.
Se in quell’istante Georgie avesse potuto scegliere, avrebbe preferito ricevere uno schiaffo da Abel piuttosto che sentirgli pronunciare quelle parole.
Indietreggiò sconvolta, devastata da uno strano sentimento che era un misto di repulsione e delusione. Era questo che Abel, suo marito e padre del figlio che stava aspettando, pensava di lei dopo un’intera vita trascorsa insieme?
- Mi fai ribrezzo – mormorò Georgie con un filo di voce. Ora era lei a non provare più emozioni e a sentirsi fredda e distaccata.
Abel la guardò e disse – Ti faccio ribrezzo perché ho capito tutto? Perché ora non sono più un burattino nelle tue mani? -.
- Smettila! – urlò lei disperata – Come osi dirmi queste parole dopo tutto quello che ho fatto per te? Credevo di averti dimostrato in più di un’occasione di amarti! Credevo che quello che stavamo vivendo fosse speciale. Come puoi pensare che io sia l’amante di Lowell mentre sono sposata con te e porto in grembo tuo figlio? Che razza di mostro pensi che io sia? -.
Abel la guardò sconcertato e le rispose – E’ questo che mi ha sconvolto più di tutto. Come puoi stare con lui, farti amare da lui, mentre hai dei progetti con me, una vita con me? Non riuscivo a spiegarmelo, ma poi ho capito -.
Georgie lo guardò sconvolta. Non riusciva a credere alle sue orecchie. Lui si era dato una spiegazione. Trovava plausibile che lei potesse agire in quel modo.
- Vedi – proseguì lui – So che non sei cattiva. Ho capito che sei stata semplicemente vittima degli eventi. Ho ricostruito nella mia testa la situazione e ho trovato la mia risposta -.
Georgie non aveva nemmeno più la forza di starlo ad ascoltare. Era folle. Completamente folle.
- E come sarebbero andate le cose secondo te ? – chiese lei a metà tra il sarcasmo e la tristezza.
- Hai dovuto lasciare Lowell anche se lo amavi. Immagino che tu abbia sofferto molto. Ti sei trovata all’improvviso sola e senza amore. Io ti sono stato vicino in un momento delicato, in cui eri vulnerabile. Ti sei attaccata a me perché rappresentavo la tua ancora di salvezza. E poi la storia della mia incarcerazione e della condanna a morte hanno fatto il resto. Ti sei sentita di nuovo sola e la disperazione del momento ti ha fatto travisare i sentimenti che provavi per me. Probabilmente hai fatto l’amore con me in quella cella più per un moto di pietà verso un condannato a morte che non perché intendessi davvero farlo. E io ero troppo cieco per vederlo. Troppo bisognoso del tuo amore per capire la situazione. Per tua sfortuna, però, sei rimasta incinta e io sono sopravvissuto e ti sei ritrovata intrappolata in questa relazione. Mi hai sposato per dovere e questo ti fa onore, ma credo che tu abbia capito fin da subito che l’unico amore della tua vita era Lowell. Non mi è solo chiaro quando hai ripreso a vederti con lui. Forse mentre io ero a Telford. Avevi il campo libero e ne hai approfittato. E ora che abbiamo deciso di tornare in Australia, hai bisogno di vederlo e di stare con lui fino alla partenza. Sai che dovrai vivere un’intera esistenza senza l’uomo che ami e approfitti di ogni istante per stare tra le sue braccia. Stamattina mi hai lasciato dormire per mettere in atto il tuo piano e vederti con lui -.
Abel si interruppe un attimo, per asciugare una lacrima e per riprendere fiato. Trovò la forza e continuò – La cosa che più mi sconvolge è come tu sia riuscita ad essere mia moglie per tutto questo tempo. Quando facevamo l’amore sembrava che davvero fossi con me. E invece ora sono certo che con la testa pensavi a lui. Era da lui che avresti voluto essere abbracciata e baciata, non da me. Mi chiedo solo come hai potuto fingere così, ingannarmi così. Non hai mai pensato che non mi meritavo questo trattamento? -.
Georgie era sconvolta dalle parole di Abel. Nella sua follia era riuscito a darsi una spiegazione plausibile ed era agghiacciante. Secondo la sua teoria lei altro non era che una sgualdrina traditrice e bugiarda e questo la devastava.
Fece due passi per allontanarsi da lui. Sentì la testa girare vorticosamente e tutto attorno a lei si fece cupo. Sentì la nausea attanagliarla e non seppe trattenere le lacrime.
- Ti sei dato la tua spiegazione – mormorò disgustata – Tutto ha un senso ora, vero Abel? -.
Abel fissò il vuoto, ma sentì quella domanda e le rispose spaesato – Purtroppo sì Georgie, ora tutto ha un senso -.
Si voltò a fissarlo. Era arrabbiata con lui. Una collera che non aveva mai provato prima, che nemmeno avrebbe mai immaginato di saper provare.
- E nel tuo folle disegno io sono una donnaccia. Una capace di farsi mettere incinta da un uomo, sposarlo, fingere di amarlo e nel contempo essere l’amante di un altro. Una sgualdrina che sa essere tanto falsa da poter condurre una doppia vita. E’ questo che pensi di me, dunque – chiese lei con sdegno.
Abel la fissò. Aveva perfettamente compreso quanto lei fosse in collera ora. Non le rispose, né fece un cenno di assenso, ma continuò a fissarla.
- E non ti sei chiesto neppure per un istante se questa follia in realtà non corrispondesse al vero. Per te è solo plausibile la tua versione dei fatti. Qualunque cosa io dica o faccia a questo punto non ha più valore, perché ormai tu pensi che io sia una bugiarda. Secondo te lo sono stata quando ti ho detto di amarti, quando ho fatto l’amore con te, quando ti ho sposato e anche ora che nego ogni coinvolgimento sentimentale con Lowell. Se io ti giuro che tra me e lui non c’è nulla e che hai travisato ogni cosa, tu non mi credi. Ormai ci sei solo tu e la tua folle teoria. Giusto Abel? – disse lei con tono rabbioso.
- E a cosa altro dovrei credere? – rispose lui sarcastico – Alle parole di una donna che stamattina accarezzava un altro uomo e ora spera che io sia tanto stolto da prendere per vera ogni sua stupida scusa? Hai poca stima di me se pensi che io sia così ingenuo -.
Georgie lo guardò quasi con pena – Si Abel, ho poca stima di te – disse delusa – Non perché penso che tu sia un ingenuo, ma perché penso fermamente che tu sia vittima della tua folle gelosia tanto da non vedere quanto tu sia ingiusto con me in questo momento. Non ti sei posto nemmeno per un istante il dubbio che io stia dicendo la verità. Non mi conosci affatto se pensi davvero che avrei potuto mentirti per tutto questo tempo. Non mi merito tutto questo Abel -.
Abel sentì nuovamente la rabbia montare dentro di sé e non seppe far altro che rispondere in maniera rude a quelle parole.
- Smettila! – urlò – Non voglio più sentire nulla! Mi hai stufato con il tuo teatrino! Possibile che tu non abbia ancora capito che tu non hai più alcun effetto su di me? Non sono più il fantoccio innamorato che crede ad ogni singola parola tu proferisca. Non torno più indietro Georgie, non sono più disposto a farmi prendere in giro né da te, né da quel damerino viziato -.
Mentre diceva quelle parole, Abel figurò nella sua mente Georgie nuda tra le braccia di Lowell e sentì l’ira e la gelosia divampare dentro di lui e martellargli la testa fino a fargli esplodere le tempie. Non seppe trattenersi e sfogò la frustrazione verso Georgie, che ai suoi occhi era la causa del dolore che lo stava devastando.
- Dimenticati tutto Georgie – tuonò esasperato – Dimenticati ogni cosa. L’Abel che conoscevi non esiste più. Non provo più nulla per te, se non disprezzo e rancore. Non ti amo più, ho cancellato dal cuore ogni sentimento per te. Fa ciò che vuoi della tua vita ora, non mi interessa più. Mi sei totalmente indifferente. Non voglio avere più nulla a che fare con te. Puoi andare da lui ed essere la sua amante. Sei libera da ogni menzogna e da ogni costrizione. Fa ciò che più ti rende felice, ma dimenticati di me, dimentica il mio nome, perché non ci sarò più per te. Nemmeno quando lui ti farà soffrire, perché sarà così. Quel bamboccio viziato non saprà mai renderti davvero felice, ma io non asciugherò più le tue lacrime. Non saprà mai amarti come ti amavo io, ma questo ormai è un tuo problema. Io vado avanti. Ma cerca di capire bene una cosa, Georgie – e finì la frase avvicinandosi a lei con fare minaccioso – Non permetterò mai a quel damerino di crescere mio figlio. Non avrà neppure il permesso di guardarlo! Tu puoi fare le scelte che vuoi, ma scordati che mio figlio ti seguirà. E’ un Buttman e starà con suo padre. Tu lo potrai vedere se vorrai, ma mai ti permetterò di farlo vivere con Lowell, mai! Avrà mia moglie, ma non mio figlio! -.
Georgie ebbe l’impulso di schiaffeggiarlo, ma si fermò. Lo guardò dritto negli occhi e disse con tono severo – Ti meriteresti uno schiaffo per tutto il fango che stai gettando su di me, ma non lo faccio perché comunque resti il padre di mio figlio e ho ancora troppo rispetto per te per cedere alle tue basse provocazioni -.
Abel rise sarcastico e disse – Rispetto. Questa è una parola di cui nemmeno sai il significato -.
Georgie lo guardò con terrore e sussurrò – Abel, tu stai vaneggiando. Non vorrei essere in te quando finalmente capirai quanto tu sei ingiusto con me ora -.
Abel la guardò con disprezzo per un istante, poi le voltò le spalle e disse – Ora vattene -.
-Cosa? – esclamò lei stupita – E dove dovrei andare? Questa è casa di mio padre… -, ma non ebbe modo di finire il discorso che lui la interruppe.
- Lo so – disse Abel – Non ti sto chiedendo di lasciare la sua casa. Sarò io a farlo. Ma ora dammi un attimo. Ho bisogno di stare da solo. Devo calmarmi, poi raccoglierò le mie cose, parlerò con tuo padre e me ne andrò. Ma fino ad allora sparisci dalla mia vista, ti chiedo solo questo. Dopo tutto quello che mi hai fatto, direi che non ti sto chiedendo molto. Torna per l’ora di cena, non mi troverai più e sarai libera di fare ciò che vuoi -.
Georgie sentì un brivido percorrerle la schiena. Era tutto vero. Tutto orribilmente vero. Abel la credeva un’adultera e la stava ripudiando. La stava lasciando e lei si sentiva impotente. E tutto quell’ inferno per uno stupido fraintendimento. Ma a nulla valevano i suoi sforzi di spiegargli la verità, lui non le credeva.
- Abel… - mormorò Georgie tra le lacrime.
- Vattene! – urlò lui piangendo – Lasciami in pace e vattene! Ti odio, non voglio più vederti! -.
Alle parole “ti odio” Georgie non seppe più trattenersi. Esplose in un pianto a dirotto, afferrò la mantella che aveva posato poco prima sul letto ed uscì di corsa da quella stanza, lasciandolo solo con la sua folle ira.
Percorse il corridoio senza nemmeno vedere dove stava andando, perché le lacrime non le permettevano di vedere nulla.
Scese le scale di volata e per poco non rischiò di cadere. Ma non riuscì nemmeno a spaventarsi, perché era troppo sconvolta.
Corse fuori dalla casa, oltre il portone, oltre il vialetto, oltre il cancello e si trovò in strada.
Era disperata e sola. Riusciva solo a piangere e a pensare alle terribili parole che Abel le aveva rivolto. Questa volta era davvero tutto finito.
Stava male, molto male e sentiva il bisogno di trovare un rifugio. Aveva la necessità di avere accanto a sé una persona che le volesse bene, che la facesse sentire amata ed al sicuro e che la capisse.
Non ebbe dubbi su dove andare. Piangendo, riprese la sua corsa, cercando di raggiungere la sua meta in minor tempo possibile.
 


Abel rimase in silenzio, con la testa china, cercando di trattenere le lacrime e di arginare quel dolore devastante.
L’aveva persa per sempre. Tutto quello che aveva condiviso con lei era stato solo un abbaglio. Aveva commesso il tragico errore di crederle ed ora era a pezzi.
Si sentiva solo, deluso, privo di voglia di vivere.
Se non ci fosse stato il bambino, di sicuro non avrebbe esitato a farla finita. Del resto che senso aveva continuare a vivere? Si sarebbe buttato nel Tamigi, come suo fratello, e finalmente avrebbe trovato la pace.
Ma c’era un figlio in arrivo e doveva vivere per lui. Doveva vincere anche questa battaglia, forse la più devastante, ed essere un buon padre per suo figlio, anche senza Georgie accanto a lui.
Cercò di ricomporsi e di ragionare. Forse aveva sbagliato a scacciare Georgie. Lei era incinta e mandarla via di casa, anche se solo per poche ore, non era stata una scelta saggia.
Avrebbe dovuto essere abbastanza maturo da sopportare la sua presenza ancora quel pomeriggio e, una volta fatti i bagagli, avrebbe potuto andarsene da quella casa e da lei.
- Sono stato uno stupido – mormorò tra sé e sé – La salute del bambino è la priorità. Devo andarla a riprendere e riportarla qui -.
Così deciso, uscì dalla stanza, scese le scale e si apprestò ad aprire la porta di casa, quando sentì la voce del conte Gerald alle sue spalle.
- Abel ma dove stai andando? – chiese il conte.
Abel non volle scaricargli addosso tutta la sua frustrazione, né farlo preoccupare eccessivamente. Il conte non meritava questo, era sempre stato un amico con lui e, nonostante i suoi dissapori con Georgie, lo rispettava profondamente.
Si voltò per guardarlo e cercò di non dimostrare il suo stato d’ animo fino in fondo.
- Sto andando a cercare Georgie – disse.
- Ma se è salita poco fa in camera sua per prepararsi per il pranzo – esclamò il conte – Ti stava cercando, voleva mostrarti il corredino per il bambino. Non vi siete visti? Oggi continuate a girarvi intorno senza mai incontrarvi, è bizzarro -.
Abel annuì e rispose – Ci siamo visti. Abbiamo parlato e ora lei è scappata e io devo riportarla a casa -.
- E’ scappata?? – si allarmò il conte – Ma che dici? Non capisco -.
Abel ritenne doveroso spiegare al conte Gerald la situazione. Si avvicinò a lui e disse – Abbiamo litigato poco fa. Io le ho detto di sparire dalla mia vista e lei è uscita, ma mi sono reso conto che non è corretto che il bambino ci rimetta a causa nostra. E’ incinta e devo preoccuparmi di mio figlio. Ecco perché la sto andando a cercare. La riporterò a casa, andrà tutto bene -.
Il conte rimase perplesso e temette di non capire più niente.
- Aspetta un attimo figliolo – disse il conte confuso – Spiegami bene il motivo della vostra lite e che cosa è successo. Voglio vederci chiaro in questa vicenda -.
Abel sospirò sconsolato e raccontò per filo e per segno tutta la storia.
- Capite conte – concluse amareggiato – Vostra figlia mi ha tradito. Chissà da quanto tempo conduce questa doppia vita. Io non posso far finta di nulla. Non riesco neppure più a guardarla negli occhi. Mi ha ferito profondamente -.
Il conte rimase sconcertato e mise una mano sulla spalla di Abel – Senti ragazzo, non metto in dubbio che tu mi stia dicendo la verità. Se in effetti hai visto Lowell e Georgie insieme posso anche capire che tu abbia dei sospetti e che sia geloso, ma non posso credere che mia figlia ti farebbe una cosa del genere. Ti ama, non ci sono dubbi su questo. Lo esprime ogni giorno e non solo a parole. Basta vedere come ti guarda, come si preoccupa per te. Vuole solo vederti felice, credimi. Una donna che si comporta così non può avere un amante. Lo escludo -.
- Ha ingannato tutti – rispose Abel – Anche io la vedevo così come mi raccontate voi, ma evidentemente era solo apparenza. Dentro al suo cuore continuava ad amare Lowell. Io sono solo stato uno scherzo del destino per lei. Rimanere incinta l’ha incatenata a me e per correttezza e per il bene del bambino ha deciso di sposarmi, ma non ha mai smesso di amare Lowell. Forse ci ha provato ad iniziare una nuova vita con me, ma l’amore e l’attrazione per lui hanno avuto la meglio. Forse per lei sarebbe stato meglio se il giorno dell’esecuzione io fossi morto. Si sarebbe tolta un peso -.
Il conte lo guardò severamente e disse – Abel non pensarlo neppure per un istante. Lo escludo totalmente. Tu non c’eri e non hai potuto constatarlo, ma quando eri in prigione ho temuto che Georgie si potesse ammalare. Era preoccupata per la tua vita. Soffriva disperatamente e ha fatto di tutto per liberarti. Mi sono dato così tanto da fare per te, perché speravo che lei si potesse sentire meglio. Ho subito capito che quello che provava per te non era semplice affetto fraterno, ma qualcosa di molto più profondo. E vogliamo parlare di come ti è stata vicina mentre tu lottavi in un letto tra la vita e la morte? Non si è staccata da te neppure un attimo. Non si comporta così una persona che spera di vederti morto. Senza contare come è stata male quando sei andato a Telford. Non usciva dalla sua stanza, non mangiava, dormiva appena, piangeva in continuazione. Era spaventata che ti potesse succedere qualcosa. Abel, quella ragazza ti ama. Io credo che ci sia una spiegazione a quello che hai visto stamattina. Forse dovresti crederle. Sono certo che stia dicendo la verità -.
Abel scosse la testa e disse – Non posso crederle conte. Non posso far finta di non aver visto nulla. Non riesco a dimenticare quella carezza. La loro vicinanza. C’era un’intimità che mi ha sconvolto.  E poi sono certo che quando si sono allontanati siano andati via insieme. Non posso ostinarmi a credere che lei mi ami, mentre si comporta così con un altro uomo. Devo imparare a fidarmi del mio istinto e a smetterla di credere alle favole. E’ duro da accettare, ma è così. E’ come con Arthur. Ho voluto essere ottimista e poi ho ricevuto la delusione finale, soffrendo ancora di più. E con Georgie mi sta capitando lo stesso. E’ ovvio che lei ama un altro. Voler far finta che non sia vero non è la giusta scelta. Mi porterebbe a soffrire ancora di più e io sono stanco di tutto questo dolore. Voglio solo essere lasciato in pace -.
Il conte lo guardò con una triste luce negli occhi e gli mise una mano sulla spalla – Mi dispiace figliolo. Sei un bravo ragazzo, non meriti di soffrire così. Rispetto il tuo pensiero, ma rimango certo di quello che ti ho detto. Mia figlia ti ama e non ti tradirebbe mai. Non posso obbligarti a stare con lei se non hai fiducia nel vostro amore, ma almeno ti chiedo di riportarla a casa. Sono molto preoccupato per lei -.
Abel lo guardò ed annuì – Ve la riporterò conte. State tranquillo -.
Il conte cercò di ricomporsi e pensò alle cose pratiche. Si rivolse ad Abel dicendo – Ma il problema ora è sapere dove è scappata. Spero che non le succeda niente -.
Abel rise sarcastico e rispose – Non ci vuole molto ad immaginare dove sia Georgie ora -.
Il conte lo guardò confuso e Abel divenne più esplicito – E’ sicuramente a casa di Lowell. Andrò da lui ora e cercherò di convincerla a tornare a casa da voi. Lo faccio per il bene del bambino e per rispetto a voi che ora siete preoccupato -.
Il conte sospirò sconsolato – Non sono così certo come lo sei tu che Georgie si trovi a casa di Lowell, ma se vuoi tentare fallo. Cerca solo di riportarmi la mia bambina sana e salva, ti prego -.
Abel annuì ed uscì di casa.
Decise di non prendere il cavallo, aveva bisogno di camminare, lo aiutava a stemperare la tensione.
Sentiva un peso sul cuore ed un nodo allo stomaco. La lite con Georgie lo aveva sconvolto. Non si erano mai parlati così in malo modo in passato e, anche se aveva tentato di nasconderlo, soffriva per quel litigio e soffriva per tutte le brutte parole che le aveva detto.
Ma non aveva potuto fare altrimenti, lei lo aveva ferito così tanto che non poteva trattenersi. Del resto era una normale reazione per un uomo profondamente innamorato che vede la propria moglie con il suo amante.
Era sconvolto, nauseato, distrutto. Non c’era più amore, gioia o entusiasmo in lui.
Camminava per inerzia, senza guardarsi intorno, perso nei suoi tristi pensieri e si ritrovò davanti alla dimora dei Grey senza nemmeno accorgersene.
Si fermò davanti al cancello e guardò la grande casa, che sembrava schiacciarlo con la sua imponenza.
Fissò le finestre al piano superiore e si chiese quale potesse essere la camera di Lowell.
- La sua stanza da letto è dietro una di quelle finestre – pensò Abel triste – E’ lì che lui la spoglia, la accarezza, la bacia e la fa sua…. -.
Il pensiero lo fece piangere. Dovette appoggiarsi al muro di recinzione della villa per non cadere.
Si lasciò andare ad un momento di debolezza e pianse lacrime amare, che non riuscivano a dargli nessun sollievo.
Cercò di calmarsi e di riprendere il controllo di sé. Non poteva dare soddisfazione a quel damerino. Non poteva mostrargli il suo dolore. Questo mai!
Si fece coraggio ed entrò nel giardino antistante la grande casa, arrivando fino all’ingresso.
Bussò ed attese risposta.
Improvvisamente la porta si aprì ed apparve una governate di mezza età, con l’aria educata e raffinata.
- Buongiorno signore – disse la donna rivolgendogli un sorriso – Posso esservi utile? -.
Abel sentì le ginocchia tremare e lo stomaco chiudersi. Era giunta la resa dei conti.
Avrebbe avuto la dimostrazione che la sua teoria era giusta. Che Georgie era corsa dall’uomo che amava per farsi consolare.
Guardò oltre la governante, sbirciando la parte di casa che si poteva intravedere dall’uscio.
Vide subito un grande scalone di marmo che portava al piano superiore, dove sicuramente vi erano le camere da letto.
- Sarà da qualche parte lassù – pensò Abel amareggiato – Nuda nel suo letto, mentre lui si prende ciò che doveva essere mio -.
- Signore, state bene? – chiese ancora la donna.
Abel udì quella voce che lo stava richiamando e scacciò quel terribile pensiero dalla testa, ritornando a guardare la donna di fronte a lui.
- Sì, ecco… - mormorò Abel – Sto cercando la contessa Georgie Gerald -.
La governante lo guardò con stupore e disse – Chi? Scusate, ma temo di non conoscere nessuna contessa Gerald. Forse vi siete sbagliato. La persona che state cercando non abita qui -.
Abel si affrettò a spiegare – Sì lo so che non abita qui, ma in questo momento dovrebbe essere ospite in questa casa -.
La governante scosse la testa e tornò a guardarlo sconcertata – No signore, vi posso assicurare che non vi è nessuna donna qui che corrisponde al nome che mi avete appena fatto -.
Abel si spazientì, e mettendo da parte le buone maniere, esclamò – Che c’è? Anche voi li proteggete? Siete loro complice forse? -.
La donna sussultò indignata e rispose seccamente – Ma che state blaterando? Complice? Signore voi dovete essere pazzo o ubriaco! Io sto semplicemente dicendo che in questa casa non c’è nessuna contessa Gerald – e così dicendo, fece per chiudere la porta ma Abel prontamente la fermò, mettendo una mano sull’uscio.
- Aspettate – disse lui con un certo affanno – Sentite, non volevo mancarvi di rispetto. E’ solo che sono certo che la contessa Gerald sia qui ora. Magari voi non l’avete vista entrare, ma vi assicuro che lei è qui dentro -.
La governante lo guardò stupita e disse – Io so sempre chi entra e chi esce da questa casa. E vi posso assicurare che qui dentro non c’è la persona che voi cercate -.
Abel cercò di mantenersi calmo e si spiegò meglio, abbassando il tono della voce – Cercate di capirmi, ne ho la certezza. Forse si è introdotta in questa casa senza farsene accorgere. Vedete….lei è l’amante di Lowell Grey -.
- Cooosaaaa???? – urlò la governante indignata – Ma che state cercando di insinuare? Smettetela con queste cialtronerie! Il signorino Lowell è una persona per bene, non è certo il tipo che si porta a casa le ragazze di nascosto. Non so neppure chi siete voi. Andatevene per cortesia, prima che chiami aiuto. Siete chiaramente un pazzo -.
Abel rimase di stucco per quella reazione e cercò di ribattere, ma quella governante non gli dava tregua.
- Allora? Siete ancora qui? – incalzò lei.
- Calmati Rosie, ci penso io – disse una voce proveniente dalle scale.
Abel alzò lo sguardo e lo vide. Lui, il suo nemico. L’uomo che gli aveva portato via la felicità.
La governante si voltò di scatto e cercò di spiegare – Signorino Lowell, quest’uomo sta cercando una persona che non conosco e che chiaramente non è in questa casa. Ho provato a dirgli di andarsene, ma insiste - .
Lowell scese le scale lentamente, con fare sicuro, mentre fissava Abel dritto negli occhi.
- Non ti preoccupare Rosie – continuò Lowell rivolto alla governante – Lo conosco. E’ un vecchio amico -.
Abel non accettò quella sfida e ribattè prontamente – Amicizia non è certo la parola più adatta per definire il nostro rapporto -.
Lowell gli rivolse uno sguardo di sufficienza, poi tornò a guardare la governante e disse – Un amico che non conosce le buone maniere, ma pur sempre un amico. Vai pure Rosie, a lui ci penso io -.
La governante comprese che tra i due uomini non correva buon sangue e decise di non intromettersi tra loro e si congedò.
- Qual buon vento? – chiese Lowell sarcastico.
- Hai il coraggio di prendermi in giro? – ruggì Abel, al limite della sopportazione.
Lowell lo guardò stupito e disse – Scommetto che hai parlato con Georgie e ora sei qui per… -, ma non ebbe modo di finire la frase che Abel si avventò contro di lui, afferrandolo per il bavero.
- Stai bene attento Lowell – lo minacciò Abel – Ho già sopportato abbastanza, non tollero che tu vada oltre. Ho deciso che non ti toccherò, perché non voglio sporcarmi le mani con un verme come te, ma tu mancami ancora di rispetto e non mi tratterrò oltre. Te la faccio passare io la voglia di sorridere, damerino -.
Lowell tolse le mani di Abel dal collo della sua camicia e lo fissò negli occhi – Non permetterti mai più di minacciarmi in casa mia. Non ho paura di te -.
- E invece dovresti – replicò Abel calmo.
I due si ricomposero per un attimo e Abel tornò a parlare – Non ho voglia di passare qui tutto il giorno. Falla scendere, suo padre la sta cercando -.
Lowell lo guardò con espressione attonita, senza capire. Era convinto che Abel fosse andato da lui per dirgli di stare alla larga da sua moglie. Di sicuro Georgie gli aveva raccontato del loro colloquio e ora lui stava facendo valere i propri diritti. Ma non riusciva a comprendere il senso della sua richiesta.
- Che stai dicendo, scusa? – chiese Lowell confuso.
Abel lo guardò severamente e disse – A che gioco stai giocando Lowell? Sei come lei. Mentite fino in fondo – poi tornò ad alzare la voce – Ti ho detto di farla scendere. La devo riportate a casa da suo padre. Tornerà da te in un altro momento -.
Lowell rimase a bocca aperta, incapace di parlare. Non riusciva a capire cosa Abel volesse da lui.
Abel si spazientì e sbuffò – Vuoi proprio che ti prenda a pugni? Non tollero che tu ti prenda gioco di me in questo modo. Falla scendere! – e non ottenendo nessuna risposta, proseguì – Torna su da lei, dille che si rivesta e che scenda subito. Non è per me che deve tornare a casa, ma per suo padre -.
- Ma di chi diavolo stai parlando? – balbettò Lowell in preda alla confusione.
Abel si trattenne da scagliarsi contro di lui, ma ebbe uno scatto d’ira e lo spinse da parte. Si fece largo ed entrò nella casa.
Come se sapesse dove andare, corse su per le scale. Lowell lo guardò stupito e cercò di raggiungerlo.
Arrivato in cima alle scale, lo vide aggirarsi nel corridoio, mentre, aprendo ogni porta che si trovava di fronte, urlava – Georgie vieni fuori. Lo so che sei lì. Devi tornare da tuo padre, deve parlarti! -.
Lowell pensò che fosse impazzito e cercò di gestire la situazione.
- Abel vuoi calmarti dannazione – urlò – Vuoi dirmi che stai cercando? -.
Abel si voltò di scatto. Lo fissò disperato. Lowell comprese che c’era qualcosa che non andava e che era davvero sconvolto.
Si avvicinò e con un tono di voce più calmo gli chiese ancora – Abel, che cosa stai cercando? -.
- La tua stanza da letto – mormorò lui con gli occhi lucidi.
Lowell fece pochi passi ed aprì una porta, facendo ad Abel cenno di entrare.
Abel si sentì un nodo in gola. Sapeva che lei era lì dentro. Sua moglie, la sua Georgie. Non aveva idea di come avrebbe potuto reagire nel vederla lì, ma si fece forza ed entrò.
La stanza era vuota, completamente illuminata dal sole. Il letto era stato rifatto e sembrava che nessuno ci si fosse steso sopra di recente.
Si guardò in giro e non vi erano tracce di vestiti da donna. Nulla.
Rimase attonito per un attimo, ma non si fece abbindolare da quella calma apparente.
- So che sei qui dentro – disse con tono di sfida.
Improvvisamente corse verso il letto, si abbassò, alzò le coperte e guardò che lei non si fosse nascosta là sotto. Ma ancora una volta Abel non vide nulla.
Si alzò prontamente ed aprì l’armadio, ma al suo interno vi erano solo abiti maschili e nessuna donna in cerca di nascondiglio.
Allora si avvicinò alla finestra, per vedere se qualcuno stava fuggendo dalla casa passando per il giardino, ma ancora una volta nulla.
Si voltò in preda all’agitazione, guardando ogni angolo di quella stanza, ma non c’erano tracce di Georgie.
- Me lo dici che cosa ti è preso? – chiese Lowell avvicinandosi lentamente a lui.
- Stavo cercando Georgie. Ero convinto che fosse qui – mormorò Abel.
Lowell lo guardò stupito e rispose – E perché mai dovrebbe essere qui? Ti assicuro che lei non c’è. Se vuoi ti faccio perlustrare tutta la casa -.
Abel si mise una mano alla fronte, cercando di raccogliere i pensieri e capire quello che stava accadendo.
- Ma come è possibile … - mormorò in preda al panico.
Lowell si avvicinò ancora e gli posò una mano sulla spalla.
- Dimmi cosa è successo Abel – disse in tono amichevole.
Abel lo guardò sconvolto e rispose – Vi ho visti stamattina. Eri con lei. Ho visto che ti ha accarezzato e che siete andati via insieme -.
Lowell lo ascoltò con un’espressione colpevole sul volto, ma non lo interruppe.
- Io ero nascosto dietro un muro – continuò Abel affranto – Avrei voluto prenderti a pugni, ma ero troppo sconvolto per farlo. L’ho aspettata fino al suo ritorno e ho parlato con lei. Ha cercato di negare, ma non le ho creduto. Le ho scaricato addosso tutta la mia rabbia e l’ho fatta piangere, poi le ho detto di andarsene. Ero convinta che fosse qui da te -.
- E perché mai avrebbe dovuto venire qui? – chiese Lowell.
- Semplice – rispose Abel con aria triste – Perché sei il suo amante -.
Lowell sgranò gli occhi e sussultò a quelle parole – Cosa??? – esclamò – Il suo amante? Ma cosa vai a pensare Abel! -.
Abel si accasciò al suolo, vinto dal dolore e gli disse – E che cosa dovrei pensare dopo avervi visto scambiarvi tenerezze ed andare via insieme? -.
- Non è come pensi tu Abel – incalzò Lowell prontamente – Le cose non sono andate così. Te lo giuro -.
Lowell fece una breve pausa per raccogliere le parole giuste da dire e poi riprese il discorso – Ieri sono stato invitato con Elisa ad un thè e ho sentito dire che la figlia del conte Gerald stava per tornare in Australia con il marito. Non so che mi è preso, ma mi è venuto il panico. Sapevo che lei aveva scelto te, che stavate per avere un bambino, ma l’idea che se ne sarebbe andata per sempre e in una terra così lontana per giunta mi ha fatto stare molto male. Ho capito che provo ancora dei sentimenti molto forti per lei. Sono fidanzato con Elisa, ma non sono felice con lei. Forse è colpa mia. Non ci provo nemmeno a conoscerla e la tengo a distanza, ma è più forte di me. Non faccio altro che pensare a Georgie, a quello che ho provato con lei e non riesco ad arrendermi all’idea che lei non farà mai più parte della mia vita. Così stamattina ho fatto l’ultimo tentativo e sono andato da lei. E’ stata una follia, lo so, ma dovevo provarci -.
Abel lo ascoltò con estrema attenzione, senza proferire parola.
- Così l’ho avvicinata sotto casa di suo padre – continuò Lowell – E le ho chiesto di fuggire con me. Le ho detto che la amavo troppo e che sarei stato disposto a tutto. Ma lei non ha avuto dubbi, nemmeno per un istante. E’ stata gentile, ha cercato di non essere troppo rude e di non ferirmi, ma mi ha rifiutato, senza lasciarmi una minima speranza. Mi ha detto che ti ama e che è con te che vuole stare. La carezza che tu le hai visto darmi non è stato niente di che, credimi. Direi che è stato più un gesto di compassione che un gesto d’amore. E non siamo andati via insieme. Mi ha semplicemente accompagnato alla carrozza che mi aspettava proprio dietro l’angolo. Io me ne sono tornato a casa mia e lei ha proseguito per la sua strada. Ti sarebbe bastato seguirci per appurare che sto dicendo la verità -.
Abel rimase attonito, non sapeva che replicare.
Lowell si rese conto di aver causato molti danni e cercò di scusarsi con Abel – Non sono fiero di quello che ho fatto. Georgie è tua moglie e io avrei dovuto rispettare il vostro matrimonio e non importunarla, ma è stato più forte di me. Ti chiedo scusa se ti ho mancato di rispetto. Non ho nulla contro di te Abel. So che sei un bravo ragazzo e so che ami Georgie più della tua vita. Ma sono invidioso di te -.
Abel lo guardò sorpreso ed esclamò – Invidioso di me? Dovrebbe essere il contrario! Guardati. Sei nobile, ricco, vivi in una casa da sogno, sei ambito da molte ragazze. Io sono un contadino. Sono povero e la mia casa è una piccola fattoria sperduta tra le praterie australiane. Non so nulla di galateo e di buone maniere. Cosa hai da invidiarmi? -.
Lowell sorrise tristemente e rispose – Georgie. Tu hai lei e non c’è ricchezza o grande casa che possa reggere il confronto. E sai cosa? Non capisco come faccia ad essere così innamorata di te. Non capisco perché ti ami così profondamente e ti sia così devota. L’hai trattata malissimo e ora non sai nemmeno dove sia -.
Abel scosse la testa e replicò – Lo so, hai ragione. Mi sono comportato da stupido. Non la merito. Anzi, sono certo che dopo oggi non vorrà più vedermi. Ma io ero convinto che lei mi tradisse. Dopo quello che ho visto…io… -.
Abel balbettava in preda al panico. Si rese conto del grande errore che aveva commesso e non seppe che fare.
- Potevi venire da me subito – tuonò Lowell – Potevi venir qui e chiedere spiegazioni a me. Ti avrei capito se mi avessi dato un pugno dicendomi di starmene al mio posto. Me lo sarei meritato. Ma non ti perdono di non aver concesso a lei il beneficio del dubbio. Hai subito pensato che fosse una bugiarda traditrice e ora è sola, incinta, chissà dove -.
Abel crollò sotto le dure parole di Lowell. Avrebbe voluto urlargli di tacere, ma aveva ragione. Era stato crudele con Georgie.
Prese la testa fra le mani e si disperò, mentre Lowell continuò severo – Sarai anche più forte di me Abel, ma ti assicuro che se succederà qualcosa a Georgie, io ti verrò a cercare e non avrò pietà con te -.
Lowell era molto in collera per l’atteggiamento insensato di Abel e sperava vivamente che a  Georgie non succedesse nulla. Cercò di ridare un po’ di coraggio ad Abel. Era ovvio che stava soffrendo molto e il senso di colpa lo stava schiacciando, ma quello non era il momento di piangere. Era il momento di reagire e di andare a cercare Georgie prima che calasse la sera.
- Ora ti alzi e vai a cercarla – gli urlò Lowell – E fai di tutto per ritrovarla sana e salva -.
Abel lo fissò intensamente ed annuì. Si alzò e corse fuori da quella casa. Non c’era tempo da perdere.
Doveva assolutamente riparare al danno che aveva commesso. Un danno enorme, che gli pesava sul cuore come un macigno.
Pensò a come aveva trattato Georgie, alle parole terribili che le aveva rivolto. L’aveva insultata nel peggiore dei modi, aveva cercato di ferirla, era arrivato addirittura a dirle che la odiava. Ma non era vero. La amava, la amava disperatamente. Era solo ferito ed accecato dalla gelosia. Il destino gli aveva tirato uno scherzo crudele e lui aveva abboccato.
Si rese conto della gravità della situazione. Aveva gettato tutto alle ortiche. Era certo di averla persa per sempre dopo quella lite.
Che avrebbe fatto senza di lei? Era nel panico più totale.
Sentì la terra mancargli da sotto i piedi. Stava cadendo in un baratro e non seppe trattenere la disperazione.
Che cosa aveva fatto? Come aveva potuto attaccarla in quel modo?
- Sono una persona orribile – disse piano tra sé e sé – Non merito di essere felice, non merito Georgie al mio fianco -.
Non avrebbe dovuto trattarla così, avrebbe dovuto crederle. Invece si era comportato da idiota. Era un mostro senza cuore e non poteva perdonarselo.
- E chissà ora dov’è – si chiese in preda al panico – Dove sarà andata? E se le fosse successo qualcosa? No! Non può essere… non me lo perdonerei mai! Georgie, dove sei? – e così esclamando, si lasciò andare alla disperazione.
Gli parve che il mondo fosse finito, che non ci fosse più speranza per lui. Aveva dato un calcio alla felicità e aveva fatto soffrire ingiustamente la sua Georgie. Non si meritava il suo amore, non osava neppure sperare in un perdono. Ma doveva ritrovarla e riportarla a casa. Questa era l’unica cosa certa.
Cercò di ricomporsi e di trovare lucidità. Non poteva lasciarsi andare alla disperazione, doveva pensare. Si chiese dove potesse trovarsi Georgie. Di sicuro era sconvolta quando se ne era andata, ma non era una stupida. Non si sarebbe cacciata nei guai. Avrebbe tutelato il benessere del figlio. Quindi era probabile che si trovasse in un luogo sicuro. Ma dove?
Rimase assorto nei suoi pensieri per qualche istante, cercando di trovare una risposta, poi ebbe un sussulto ed esclamò – Ma certo! -.
Forse ora gli era chiaro dove Georgie avesse potuto cercare rifugio e si diede dello stupido per non averci pensato prima.
Guardò il cielo e notò che stava per tramontare il sole. Non c’era più tempo da perdere. Doveva sbrigarsi, doveva trovare Georgie.
Era devastato, perché aveva capito di aver sbagliato e di aver ferito Georgie. Era certo di averla persa per sempre, ma ora non doveva essere egoista. Non doveva concentrarsi sul suo dolore. Doveva pensare al bene di Georgie, doveva riportarla da suo padre.
Si diede una mossa e prese a camminare velocemente, per poi incalzare l’andatura e iniziare a correre.
Nella testa aveva solo Georgie. Gli passò davanti agli occhi l’intera vita che aveva condiviso con lei, fino a quella terribile lite.
Visualizzò il volto di Georgie, mentre devastata ascoltava i suoi insulti, mentre cercava di dirgli la verità e lui non le credeva. Vide i suoi occhi pieni di lacrime e sentì una morsa al cuore.
Come aveva potuto trattarla così? Perché la gelosia riusciva a trasformarlo fino a tal punto?
Sapeva di averla ferita, ma in quel momento più che mai seppe di amarla.
- Georgie perdonami, ti prego – disse con affanno mentre si precipitava da lei, in quella folle corsa contro il tempo.
 
 
TBC……. 

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Capitolo 14
*** La quiete dopo la tempesta ***


14 – La quiete dopo la tempesta
 
-  Non puoi fargliela passare liscia! – tuonò Emma infuriata mentre sedeva attorno al tavolo della sua cucina, consumando la cena in compagnia di Georgie e Dick.
- Ma come ha potuto non crederti? Addirittura pensare che tu fossi l’amante di Lowell! Questo è un insulto bello e buono – continuò Emma.
Georgie si era rifugiata da lei dopo la lite con Abel e aveva finito per raccontarle tutto l’accaduto, tra un pianto a dirotto e un singhiozzo. Emma non aveva mai visto la sua amica in quello stato e in quel momento era molto arrabbiata con Abel, responsabile di averla ridotta così.
- Calmati amore – disse Dick cercando di placare la moglie – Non metterti in mezzo. A volte si possono commettere errori, ma sappiamo tutti che Abel adora Georgie. Si è comportato così solo per gelosia. Appena realizzerà di essere stato un idiota, tornerà ad essere il marito dolce ed innamorato che tutti conosciamo. Non giudichiamo a priori -.
Emma si alzò di scatto e rispose al marito con molto nervosismo – Difendilo, bravo! Sempre a giustificarvi tra voi… eh già, sono così gli uomini! Siete della stessa pasta, ecco perché lo proteggi – e avvicinandosi minacciosa aggiunse – Ma se tu ti azzardassi e trattarmi così, beh mio caro, non mi vedresti più! E ora Georgie deve fargliela pagare! Non si tratta così una ragazza buona come lei e così innamorata poi. Proprio non se lo merita. E’ mia amica e io non le permetterò di farsi umiliare così -.
Dick sospirò sconsolato. Sapeva benissimo quanto potesse essere terribile sua moglie quando qualcuno la faceva arrabbiare. Ed il fatto che Abel avesse trattato male la sua amica del cuore aveva acceso in lei tutto il suo animo battagliero. Ma Dick continuava a pensare che quelli non fossero affari di Emma.
- Io dico solo che non dovresti ficcare il naso nelle loro cose – disse Dick con cautela, ma convinto – Anche se Abel ha sbagliato, lui ama Georgie e la questione se la devono risolvere da soli. Tu non devi metterci il becco -.
Emma tacque per un istante, guardando il marito con aria di sfida.
- Tu credi di sapere quello che io posso o non posso fare, forse? – chiese Emma a Dick.
Dick capì che tirava una brutta aria e decise di battere in ritirata. Lui ci aveva provato a difendere l’amico e a dare un buon consiglio, ma visto che Emma era infuriata con Abel per il suo atteggiamento, forse era più giusto che lei sfogasse la sua rabbia sul diretto interessato, anziché su di lui che alla fine non c’entrava nulla.
- Fa come vuoi. Non dirò più nulla, ma non ti condivido – disse Dick mentre si alzava per sparecchiare la tavola e per andarsene da quella scomoda situazione.
- Mmm, sarà meglio – brontolò Emma con un mezzo sorriso di soddisfazione sulle labbra per aver vinto su Dick.
Poi tornò a rivolgersi a Georgie, prendendole la mano – Ora tu devi ignorarlo. Non permettergli di avvicinarti. Deve pagare! -.
Georgie sospirò desolata. Non si aspettava una reazione così calda da parte di Emma e nemmeno tanto rancore nei confronti di Abel. Si sentì in difficoltà. Sebbene fosse molto delusa da Abel, sapeva perfettamente di amarlo ancora moltissimo e le parole di Emma le sembravano troppo dure.
- Io non so cosa sia meglio, forse… - iniziò Georgie intimorita, ma l’amica la zittì subito.
- Te l’ho detto cos’è meglio, mia cara – disse Emma – Non vederlo per un po’ e non perdonarlo. Deve portarti rispetto e avere fiducia in te. Non può permettersi neanche per un istante di pensare che tu sia una sgualdrina. Chiarooo??? -.
Emma era indiavolata e Georgie rimase senza parole. Era lusingata per l’affetto e la solidarietà che l’amica le stava dimostrando, ma si sentiva a disagio. Non sapeva quale atteggiamento avrebbe dovuto avere con Abel, ma quello che Emma le stava imponendo non le andava a genio.
Dick vide Georgie spaesata e tornò in azione – Ma non vedi che così la stai spaventando? Dichiarare guerra ad Abel non è quello che vuole. Lasciala riflettere in autonomia. Lei sa cosa è meglio fare -.
Georgie guardò Dick con un’espressione di riconoscenza. In tutta quella confusione lui le era sembrato quello più saggio e sensato.
Ma Emma non apprezzò l’intervento del marito e lo zittì immediatamente – Torna in cucina e non dare più consigli -.
Dick sospirò sconsolato e tornò nell’altra stanza scuotendo la testa.
Georgie lo guardò andar via e tornò a fissare Emma. La sua amica le stava facendo paura. Era più arrabbiata di lei e questo non aveva senso. Ma sapeva che quella reazione era dovuta all’affetto sincero che Emma provava per lei. Stava solo cercando di proteggerla, anche se forse stava esagerando.
Georgie sorrise a quel pensiero e abbracciò l’amica – Grazie per prendertela tanto a cuore – sussurrò.
In quell’istante Georgie trasalì, sentendo il forte rumore di un tuono.
- Si sta scatenando un bel temporale – disse Dick guardando fuori dalla finestra – Ma per furioso che sia il maltempo, non lo sarà mai come la mia adorabile mogliettina nei confronti di quel povero sventurato di Abel -.
- Non fai ridere nessuno! – disse Emma contrariata, anche se ormai la rabbia era un po’ scemata, grazie alla dimostrazione di affetto dell’amica.
Georgie rise a quella scenetta. – Siete incredibili! Ma la volete smettere di stuzzicarvi? – disse a quel punto – Non dovete litigare per colpa mia. Io ascolto i consigli di entrambi e apprezzo il vostro interessamento alle mie sventure. Siete amici speciali -.
E mentre Georgie disse quelle parole, si udì bussare alla porta del piano terra.
Emma trasalì. – Scommettiamo che è lui? – disse maliziosa – Penserà di venire qui a chiedere scusa e riconquistarti, ma non sa che in questa casa non è il benvenuto! -.
Dick si girò a guardarla e disse – Sta iniziando a piovere, se davvero fosse Abel alla porta io non me la sento di lasciarlo fuori. Devi essere impazzita -.
- Eh no – rispose Emma – Se lo deve guadagnare il perdono. E qui stasera non entra. E’ grande e grosso, un po’ di pioggia non gli farà nulla -.
Georgie si sentì a disagio. L’idea di Abel là fuori sotto la pioggia la turbava parecchio. Si avvicinò all’amica e le toccò gentilmente il braccio, sussurrando – Forse però ha ragione Dick… lasciarlo là fuori… - ma non riuscì a terminare la frase che Emma la rassicurò – Non preoccuparti tesoro. E’ un marinaio, ha visto di peggio. E poi non dimenticarti che deve pagare per quello che ha fatto. Tu sei troppo buona. Se lo perdoni subito quello continuerà a credere di poter dire quello che vuole. Deve imparare a gestire la gelosia, cara mia. E se tu non sai come metterlo in riga, beh… ci penserò io. Del resto a cosa servono le amiche? – concluse Emma facendo l’occhiolino a Georgie, sempre meno convinta della strategia della sua amica.
.
.
Dick sospirò sconsolato e scese ad aprire la porta.
- Abel! – esclamò nel vedere l’amico sull’uscio della sua casa.
Abel era infreddolito e pallido, sembrava molto preoccupato.
- Scusa se ti disturbo a quest’ora – iniziò Abel con tono triste – ma io e Georgie abbiamo litigato e ora lei se ne è andata. Speravo fosse qui. Ti prego, dimmi che è al sicuro qui da voi… -.
Dick guardò Abel con un moto di compassione misto a paura e Abel non seppe interpretare quello sguardo.
- Sì è qui – disse a quel punto Dick.
Abel sentì un peso enorme alzarsi dal suo cuore. Sospirò sollevato e sorrise.
- Grazie Signore – esclamò felice – Ti prego Dick, fammi parlare con lei -.
Ma Dick, in evidente imbarazzo, si trovò a dover rifiutare – Abel non posso -.
Vide Abel guardarlo stupito, senza parole, e così si affrettò ad aggiungere – Se fosse per me ti farei entrare subito, ma vedi…. Beh forse non è il momento ideale. Magari lascia che Georgie trascorra la notte qui da noi. Sta bene, stai tranquillo. Magari ci dormite su una notte e poi domani si vedrà -.
Abel abbassò lo sguardo – Non vuole più vedermi, vero? – disse con la voce rotta da un pianto che stava cercando di combattere.
- Mi odia, ne sono sicuro – aggiunse tristemente – Ma la capisco, sono stato orribile oggi con lei e non se lo meritava -.
Dick si sentì a disagio. Avrebbe voluto abbracciare l’amico e farlo entrare in casa. Era sicuro che lui e Georgie avessero solo bisogno di chiarire. Ma sapeva benissimo che Emma non glielo avrebbe permesso e non aveva voglia di litigare.
- Credimi Abel – continuò Dick – sono dispiaciuto quanto te. Ma penso che forse sia meglio che tu vada a casa ora. Domani è un altro giorno e le cose andranno meglio -.
Abel lo guardò con gli occhi lucidi e con un mesto sorriso – No, preferisco restare qui fuori ad aspettarla. Anche se non saremo insieme, lei saprà che sono qui fuori e che la amo… e che mi dispiace tanto -.
Dick trasalì a quelle parole – Ma sei forse impazzito Abel? Fa freddo, piove e queste strade non sono nemmeno molto sicure di notte. Stare qui fuori impalato ad aspettarla è un’assurdità. Vattene a casa amico, almeno tu dimostra buon senso. Domani ti giuro che te la riporto io. Ma ora va -.
Abel diede una pacca sulla spalla di Dick. Sapeva benissimo che l’amico gli era solidale e che non avrebbe voluto lasciarlo fuori di casa, ma sapeva anche che non aveva diritto di piombare all’improvviso, di sera, a casa dei suoi amici, pretendendo di riconquistare la donna che amava, dopo averla trattata nei peggiori dei modi ed ingiustamente per giunta. Doveva pagare per la sua stoltezza e per quella maledetta gelosia che gli appannava la mente e lo trasformava in un mostro che non voleva essere.
- Tranquillo amico mio – disse mestamente Abel – Sono forte. Non mi succederà nulla. Preferisco restare qui fuori e aspettarla. A casa non riuscirei nemmeno a dormire. Dille solo che mi dispiace e che l’amo -.
E si voltò per uscire, lasciando Dick senza parole e fortemente preoccupato.


Emma e Georgie erano al piano di sopra in silenzio, sperando di capire quello che Dick ed Abel stavano dicendo, ma il suono della loro voce non arrivava nitidamente e le due ragazze si avvicinarono alla porta socchiusa, ma senza riuscire a carpire nemmeno una parola.
- Stasera siete tutti pazzi – esclamò Dick spalancando improvvisamente la porta per entrare nell'appartamento.
Emma e Georgie si scansarono giusto in tempo per non prendere una botta in faccia.
- Hey Dick, ma ti sembra questo il modo di entrare? - urlò Emma mentre lei e Georgie si abbracciavano per lo spavento.
Dick le guardò stupito. - E voi due cosa ci facevate dietro la porta? - ma dopo un istante comprese e sorridendo malizioso aggiunse – Curiose di sapere cosa mi ha detto Abel, giusto? -.
Emma e Georgie abbassarono lo sguardo imbarazzate, arrossendo a quella battuta.
Dick ridacchiò e aggiunse – Donne! -.
Ma poi si fece serio e disse guardando la moglie – Sarai contenta Emma. Abel è là fuori sotto la pioggia. Ha deciso che aspetterà Georgie in strada tutta la notte, perchè vuole farle capire che la ama e che è dispiaciuto -.
- Cosa? - chiese Georgie portandosi una mano alla bocca in segno di preoccupazione.
Dick annuì sconcertato – Non chiedermi che senso abbia questa cosa perchè proprio non l'ho capito. Ma credo che lui non voglia lasciarti qui stanotte e se non può stare con te, almeno sarà nelle tue vicinanze. Credo che si sia reso conto di aver commesso un madornale errore ed ora è qui per scusarsi. Non chiedermi altro, perchè trovo questo suo gesto delirante e senza senso. Ma non mi sembrava disposto ad ascoltarmi – e poi voltandosi verso sua moglie - … e considerando che in questa casa non può entrare, non ho potuto far altro che lasciargli fare quello che vuole. Spero solo non gli capiti nulla, le strade in questo quartiere non sono sicure di notte. E tutto questo è estremamente stupido. Da parte di tutti, soprattutto da parte tua Emma -.
E dicendo questo se ne andò in camera da letto
Georgie si sentì trasalire a quelle parole. Aveva lottato tanto per stare con Abel e ora, per una sciocchezza, rischiava di perderlo ancora.
Corse alla finestra per guardare nella strada e lo vide seduto sul muretto di fronte, illuminato fiocamente dalla luce di un lampione. Stava a testa bassa, sotto la pioggia battente e sentì una morsa al cuore.
Non poteva vederlo così. In fondo era venuto per scusarsi. E la lite che avevano avuto nel pomeriggio in quel momento non le sembrò nemmeno più così terribile.
- Grazie per l'ospitalità Emma – disse Georgie mentre prendeva la sua mantella – Ora devo andare da lui -.
Emma guardò la sua amica con gli occhi completamente sgranati. - Sei impazzita – disse – Non puoi uscire con questo tempo. Sei incinta e non mi sembra un comportamento saggio -.
Georgie sorrise a Emma e rispose – Non lo è nemmeno lasciare che Abel si prenda una polmonite. Credo che se ci sono dei problemi bisogna parlarne e cercare di chiarire. Ma questo che gli stiamo facendo è crudele. Lui non mi ha abbandonato alla fine e ora io non abbandonerò lui -.
Emma cercò di far ragionare l'amica – Ma Georgie...-.
Ma lei la zittì dolcemente – No Emma, ho deciso. Vado da lui. Non sono brava con i giochetti per farla pagare agli uomini. Sono un disastro. Ma forse è meglio così, perchè credo che il rispetto si ottenga in altri modi. E poi, ad essere onesta, a parte la sfuriata di oggi, Abel mi ha sempre portato rispetto. Non posso far sì che un episodio rovini tutto quello che abbiamo costruito. Emma io voglio andare da lui. Scusa se non seguirò i tuoi consigli, ma ho deciso di seguire il mio cuore -.
Emma si rese conto che Georgie stava facendo un ragionamento maturo e sensato e decise di acconsentire.
E poi infondo voleva bene ad Abel e lasciarlo fuori casa sua le sembrava un gesto esagerato. Non toccava a lei decidere che cosa era meglio fare nel rapporto tra Georgie ed Abel. Dick aveva ragione, lei doveva rimanerne fuori.
- Non dire stupidaggini – disse Emma in tono dolce – tu non vai da nessuna parte a quest'ora e con questo tempo. Facciamo salire lui. Ha aspettato abbastanza direi -.
Georgie si illuminò a quelle parole. - Davvero? - esclamò felice – Posso andare ad aprirgli? -.
Emma sorrise e rispose – Va da lui e fallo venire in casa. Io intanto gli cerco un cambio d'abiti asciutto. Lui e Dick avranno più o meno la stessa taglia. E poi gli scaldo del latte, sarà infreddolito -.
Emma non fece in tempo a finire il discorso che Georgie si precipitò giù dalle scale ed aprì l'uscio di casa.
 


Abel sentiva la pioggia gelida inzuppargli i capelli ed i vestiti, ma non gli importava. Non sentiva nemmeno l’acqua filtrare attraverso la stoffa e bagnargli la pelle. Il suo pensiero era fisso su quelle parole. Le parole crudeli e taglienti che aveva detto a Georgie poche ore prima e si sentì male.
Come aveva potuto comportarsi così? La sola idea di averla ferita gli procurava un forte dolore nell’anima. Lui, proprio lui che l’aveva sempre protetta da tutto e da tutti, che l’aveva sempre amata incondizionatamente, si trovava nell’assurda situazione di non averla saputa proteggere da se stesso e dalla sua stupida gelosia.
Ma perché il destino gli aveva tirato una scherzo così crudele? Perché era stato tanto stolto da cadere in quel tragico tranello? E soprattutto perché non le aveva creduto? Lei aveva cercato di fargli capire che stava sbagliando, ma lui era troppo accecato dal rancore e dalla gelosia. La sua brama di averla tutta per sé lo aveva portato ad allontanarla. E quella era l’ultima cosa che avrebbe voluto ed ora doveva pagare per i suoi errori.
Nel fare questi pensieri, senti le lacrime salirgli agli occhi e scendere copiose sulle guance, mentre la pioggia le nascondeva mischiandosi a loro.
Improvvisamente la porta della casa di Emma e Dick si aprì e un fascio di luce si proiettò sul lastricato della via buia.
Abel venne distolto dalle sue amare riflessioni e seguì con gli occhi la luce che si era aperta davanti a lui e la vide.
Lei era là, sull’uscio di casa che lo guardava con aria triste.
I loro sguardi si incrociarono e Abel sentì una fitta al cuore. Era una strana sensazione. Percepì nettamente l’amarezza nell’espressione di Georgie e questo gli arrecò dolore, ma al contempo, vederla lì in piedi che lo fissava, avvolta dalla calda luce domestica, gli face battere forte il cuore.
L’aveva trattata male, lei aveva pianto ed ora era triste e arrabbiata, ma restava sempre e comunque la più bella di tutte. E questo lo lasciava senza fiato.
Il suo impulso fu di alzarsi, ma non le corse incontro. Non sapeva quale reazione lei potesse avere. Con tutta probabilità lo avrebbe insultato e gli avrebbe detto di andarsene, ma lui voleva parlarle. Doveva farlo. Era determinato a scusarsi e a fare la pace. Non poteva perderla così stupidamente dopo tutto quello che avevano passato.
Prese coraggio e camminò verso di lei. Si mosse lentamente, timoroso che lei potesse scacciarlo.
La guardava intimidito e visibilmente a disagio. Si vergognava per il suo comportamento e in cuor suo sperò vivamente che lei potesse trovare la forza di perdonarlo.
Georgie fissò Abel con un’espressione triste sul volto. Non potè far a meno di notare il suo timore, probabilmente aveva realizzato quanto ingiusto fosse stato nei suoi confronti e si vergognava.
Lei avrebbe voluto essere arrabbiata e forse un po’ lo era, ma il sentimento che provava in quel momento era un’infinita tenerezza.
Abel era così mogio, così dispiaciuto, completamente bagnato sotto la pioggia e sicuramente infreddolito.
Avrebbe voluto corrergli incontro ed abbracciarlo forte, ma sapeva che sarebbe stato sbagliato.
Voleva perdonarlo, anzi, in cuor suo lo aveva già fatto, ma forse aveva ragione Emma quando diceva che avrebbe dovuto tenerlo un po’ sulle spine. Quella che avevano avuto quel giorno era stata una lite grave, lui aveva sbagliato e doveva capirlo e, soprattutto, non farlo mai più.
Quindi trattenne ogni moto di affetto nei confronti del marito e si limitò a guardarlo inespressiva mentre stava impalato sotto la pioggia davanti a lei.
- Georgie io… io non so come chiederti scusa – iniziò timoroso Abel – Oggi ho commesso l’errore più grande di tutta la mia vita e non posso perdonarmelo. Capirò se non vorrai vedermi più, ma.. ma almeno voglio che tu sappia che tutte quelle cose orribili che ti ho detto non le pensavo davvero. Io ti amo e non smetterò mai di farlo. E poi…- ma venne interrotto da Georgie che con voce molto seria gli disse - Inizia con l’entrare dentro. Il tuo discorso me lo potrai fare anche qui - .
Abel la guardò preoccupato. La sua voce, solitamente dolce ed allegra, era priva di emozioni e in quell’istante temette di averla davvero persa per sempre, ma obbedì ed entrò. Non voleva certo farla arrabbiare ancora.
Lei lo guardò severa e aggiunse – Così va meglio. Sarebbe stupido prendersi un bel malanno così -.
Abel annuì e cercò di continuare il suo discorso. – Georgie …so che ce l’hai con me e fai bene. Sì insomma, sono stato uno stupido. Mi odio per quello che ho fatto e non ti biasimo se ora vuoi farla finita con me, ma per me è importante che tu sappia che mi dispiace. Che se potessi tornare indietro cancellerei questa brutta giornata. Che so perfettamente di non meritarti e di non meritarmi il tuo amore. Non voglio farti pressioni. Ti lascerò libera di decidere cosa fare di noi. Sappi solo che ti amo e che mi scuso per tutto. Sono stato uno stupido a non crederti. Mi dispiace di averti deluso -.
Georgie inarcò un sopracciglio e chiese sarcastica – E come mai ora mi credi? Cosa ti ha fatto cambiare idea? Come mai ora non pensi più che sono una sgualdrina? -.
Abel arrossì. Si vergognò tantissimo. Aveva ragione lei ad essere infuriata. Come aveva potuto mancarle di rispetto così.
 
Trovò il coraggio di risponderle, anche se con il tono di voce un po’ abbassato per l’imbarazzo, ma non trovò il coraggio di guardarla negli occhi.
- Me lo ha detto Lowell – mormorò.
Georgie sgranò gli occhi ed esclamò – Cooosa? Lowell? Sei stato da lui? -.
Abel alzò lo sguardo e incontrò quello di lei incredulo.
- Sì – continuò – Sono andato da lui perché volevo riportarti a casa da tuo padre. Era molto preoccupato e in effetti mandarti via in quel modo, nelle tue condizioni, non è stato molto saggio da parte mia. Ero convinto che ti saresti rifugiata da lui e così sono andato a cercarti lì -.
Georgie portò una mano alla fronte sconsolata ed esclamò – Non ci posso credere. E che ti ha detto quando ti ha visto lì? – e poi guardandolo preoccupato aggiunse – E soprattutto cosa gli hai fatto? Conoscendoti so benissimo che potresti aver avuto l’audacia di tirargli un bel pugno. Dimmi che non lo hai fatto, ti prego -.
Abel tornò ad abbassare lo sguardo e continuò il suo racconto – No, anche se la tentazione è stata forte. Ma non volevo sporcarmi le mani, volevo solo riportarti a casa. Così mi sono limitato a dirgli di farti scendere, ma siccome lui non sapeva di cosa stessi parlando mi sono precipitato nella sua stanza, convinto di trovarti lì, magari nel suo letto… ma…. -.
Non ebbe la forza di continuare, perché preso dalla vergogna del suo gesto.
- Ma cosa? – disse a quel punto Georgie indignata – Non hai trovato la scena che ti aspettavi di trovare? Non hai trovato quella sgualdrina di tua moglie nuda nel letto di quello che eri certo fosse il suo amante? -.
Abel si sentì umiliato da quelle parole, ma sapeva che lei aveva ragione e trovò la forza di risponderle – Esatto. Non ti ho trovata lì e ho realizzato all’istante che ero stato uno stupido e che ti avrei persa per sempre – e poi aggiunse – Non ti merito. Non merito nulla. E’ solo che pensavo di essere stato preso in giro e ti amo così tanto che la paura di averti persa o peggio, di non averti mai avuta, mi ha completamente mandato in confusione. Non sono mai stato così male Georgie, nemmeno quando ho saputo che mi avrebbero condannato a morte. Ho meno paura di perdere la vita che di perdere te. Posso affrontare la morte, ma non un’esistenza senza te accanto. Non ora che ho assaporato la gioia di averti e di ricevere il tuo amore. Chiamala gelosia, pazzia o come vuoi tu, ma il fatto è che ho creduto così tanto nel nostro amore, che mi è bastato il minimo dubbio a gettarmi nel panico. Mi sono sentito preso in giro, forse perché di fatto so che non sono alla tua altezza. Non lo sarò mai. Sono un poveraccio, un ignorante e tu, anche se sei cresciuta in una fattoria, sei diversa. Il tuo sangue è nobile e non puoi nasconderlo. Quindi dentro di me ho sempre pensato che Lowell potesse essere più adatto a te. E non c’è voluto molto a farmi credere che tu mi tradissi con lui -.
Georgie lo stava guardando attenta e appena lui finì quell’assurdo discorso si avvicinò e disse – Ascoltami molto bene Abel, perché non ho intenzione di ripetere ancora queste parole in futuro –.
Abel annuì e la guardò preoccupato.
- Se avessi voluto Lowell sarei rimasta con lui quando ne avevo avuto l’occasione. Invece l’ho lasciato e il vero motivo per cui l’ho fatto non sono state solo le sue precarie condizioni di salute, ma anche il fatto che non me la sentivo di rischiare tanto per lui. Avevo avuto l’opportunità di trascorrere del tempo con Lowell e mi sono resa conto delle nostre differenze e ho capito anche che forse non lo amavo veramente. Che forse l’amore vero, quello di cui mi parlava Emma, io non lo provavo per lui. E allora avrebbe avuto senso mettere a repentaglio la vita di una persona che non ero nemmeno sicura di amare? E così ho deciso di riportarlo a casa da Elisa, dove avrebbe ricevuto le giuste cure e sicuramente amore incondizionato -.
Nel ricordare questi avvenimenti Georgie si emozionò e la sua voce, che dapprima era severa, si addolcì di colpo.
- E poi ti ho incontrato di nuovo – proseguì – Ed ero ben consapevole di due cose. Di non amare Lowell e che tu non fossi mio fratello. Ed è stato inevitabile per me guardarti con occhi diversi. E poi tu eri così disperato per Arthur. Ti ho visto fragile in quel momento e ho sentito il bisogno di starti vicino e di aiutarti. Non hai la minima idea dei sentimenti che ho provato in quei giorni. Pian piano, senza nemmeno rendermene conto, mi sono innamorata di te o, meglio, ho capito di amarti. Ho capito che il sentimento che provavo per te non era affetto fraterno, ma amore. Quando ti hanno catturato e condannato a morte non solo ho capito che il mio amore per te era molto forte, ma anche che non avrei potuto vivere senza di te. Non ho sfidato tutto e tutti per venire nella tua cella solo per pietà verso un condannato a morte, come oggi tu mi hai detto. Non ho fatto l’amore con te perché tu avessi un dolce ricordo prima di morire. Sono venuta da te solo perché stavo impazzendo – nel dire queste ultime parole la sua voce si spezzò, lasciando spazio ad abbondanti lacrime, ma  nonostante il dolore nel ricordare quei brutti momenti, trovò la forza di continuare il suo discorso – Mi mancavi Abel, mi mancava tutto di te. La tua voce, i tuoi abbracci, il tuo profumo. Non potevo saperti in quella cella da solo, sottoposto chissà a quali maltrattamenti. Dovevo vederti e dirti che ti amavo. Non potevo più tenermi tutto dentro. E quello che è successo dopo … beh … è successo perché lo volevo davvero. Perché ti amo. E non me ne pento. E mai, ti giuro mai, ho pensato anche solo per un istante a Lowell. Io volevo te e nella mia mente e nel mio cuore c’era solo spazio per te. Il bambino non mi ha legata a te contro la mia volontà. Anzi, ero felicissima di portare tuo figlio in grembo e lo sono ancora, perché nonostante tutto quello che sei riuscito a combinare oggi, io ti amo -.
Abel era senza parole. Quello che gli aveva appena detto Georgie erano le parole più belle che potesse mai sperare di udire.
- Ti amo anche io – sussurrò piangendo – E voglio solo che tu sappia che quello che è accaduto oggi non accadrà mai più. Non sarò più geloso, non ti dirò mai più parole così ingiuste. Sarò un buon marito Georgie e un buon padre. E farò di tutto per renderti felice come meriti. Te lo giuro -.
- Abel ho solo una pretesa da te – disse Georgie a quel punto – Non ti chiedo di cambiare per me, perché non voglio. Nessuno può cambiare la propria essenza e non è necessario. Tu mi rendi già felice così. Io ti amo per come sei. Tu sei un buon marito e senza dubbio sarai un buon padre. E non promettere che non sarai più geloso, perché non puoi. Sei sempre stato geloso e possessivo, fa parte di te e ad essere sincera mi è sempre piaciuto come mi difendevi, come facevi valere il tuo possesso su di me. Mi hai fatta sempre sentire amata, protetta e desiderata. E non voglio cambiarti -.
Lo guardò intensamente. Voleva che lui capisse davvero quello che voleva trasmettergli.
- Però una cosa me la devi promettere – disse lei – Non voglio più che tu metta in dubbio la mia parola. Se dico che ti amo tu mi devi credere. Non potrei mai mentirti, Abel. Hai dovuto riscontrare che io dicevo la verità andando da Lowell. Mi hai creduto solo quando Lowell, l’uomo di cui sei tanto geloso e che consideri tuo rivale, ti ha confermato che non sono la sua amante. Abel non voglio che tra noi sia così. Ci conosciamo da sempre, non ti mentirei mai -.
Abel annuì vinto dall’emozione abbassando il capo, ma Georgie non aveva ancora finito.
- Un’ultima cosa – proseguì seria Georgie, tirando su il mento di Abel per incontrare il suo sguardo – Io e te non siamo diversi. Siamo cresciuti nello stesso modo. Crediamo nelle stesse cose, abbiamo le stesse abitudini. Non mi sento nobile, non mi sento simile a Lowell. Anzi, una delle ragioni per cui ho deciso di lasciarlo è proprio che non mi sento veramente me stessa con lui. Ma con te sì. Tu mi fai sentire viva come nessun’altro al mondo e con te io so che posso essere come sono, senza mai sentirmi fuori posto. Non sei un poveraccio e tanto meno un ignorante. Sei un ragazzo cresciuto da persone meravigliose che ti hanno insegnato tanto. Sei una persona gentile e sensibile, un avventuriero che ama il mare, che ha viaggiato e che mi ha fatto provare sensazioni indescrivibili. Quindi non voglio più sentirti dire che non sei abbastanza per me. Noi ci bastiamo a vicenda, è questo quello che conta -.
Abel a quel punto non seppe più trattenersi e la strinse forte a sé, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio. Georgie aveva aspettato quell’abbraccio tutto il giorno. Nulla la faceva stare bene come stare nelle braccia di Abel, ma quella stupida lite li aveva allontanati. Ora per fortuna avevano chiarito e potevano riprendere esattamente da dove avevano lasciato.

- Hey voi due là sotto! – urlò Dick dal suo appartamento.
Abel e Georgie si staccarono per un momento, volgendo la testa all’insù per guardare il loro amico che faceva capolino dalla porta di casa.
- Volete smetterla di sbaciucchiarvi e salire in casa? Qui ci sono vestiti asciutti per Abel che mi sembra bagnato fradicio e del latte caldo per entrambi. Dai sbrigatevi che si sta facendo tardi ed è meglio per tutti che si vada a dormire – disse Dick facendo l’occhiolino ad entrambi.
Abel e Georgie si asciugarono le lacrime e sorridendo salirono le scale.
- Finalmente! Non la smettevate più di parlare! – esclamò Emma nel vederli entrare in casa – Abel se non ti cambi subito ti prenderai un malanno. In camera da letto ci sono degli abiti asciutti e ho preparato un po’ di latte caldo, ti aiuterà a riscaldarti. Ho prearato anche il letto per voi due nella stanzetta a fianco alla cucina. Stasera è meglio se vi fermate a dormire qui. Si è fatto tardi ormai -.
Abel guardò Emma con imbarazzo e annuì. Era certo che lei fosse arrabbiata con lui e non si aspettò la sua gentilezza. Ma ne fu felice, non voleva altri drammi quel giorno.
- Non farla soffrire mai più – mormorò Emma ad Abel mentre lui le passava accanto.
Abel la guardò ed Emma proseguì – Ti ama. Non potrebbe amare nessun’altro uomo. Fidati di lei, non farla soffrire più, non se lo merita - .
Abel sorrise ed annuì ad Emma, che a sua volta sorrise.
Abel ebbe modo di potersi rifocillare e riscaldare quella sera, ma la cosa che più gli riscaldò il cuore fu avere Georgie accanto a sé di nuovo.
- Beh direi che è meglio andare tutti a dormire ora – disse Dick – E’ stata una giornata lunga e pesante. Abbiamo tutti bisogno di un buon sonno ristoratore -.
Abel e Georgie si diressero verso la stanza che Emma aveva preparato per loro, quando Dick mise una mano sulla spalla di Abel dicendo – Mi raccomando ragazzi, cercate di far pace senza far troppo rumore – e ridacchiando aggiunse – Capite ciò che intendo, vero? -.
Georgie arrossì visibilmente e Abel sorrise imbarazzato.


Quando furono soli in camera da letto, Abel si voltò a guardarla e notò che Georgie era ancora in imbarazzo per la battuta di Dick.
- Lo sai che è un mattacchione. Ha sempre la battuta pronta – disse Abel dolcemente – Ma non devi preoccuparti per quello che ha detto, io non avrei mai pensato di… beh qui, stasera  non…. Hai capito quel che intendo, no?  Non devi sentirti obbligata -.
Georgie notò che anche Abel era in notevole imbarazzo e sorrise. – Come preferisci – disse lei – Ma sappi che non mi sono mai sentita… obbligata,  né in passato né ora. Anzi, quasi speravo… beh … lasciamo stare, andiamo a dormire -.
Abel aveva quasi colto nelle parole di Georgie il desiderio di fare l’amore, ma non ne era sicuro. Forse avrebbe voluto, ma la battuta di Dick l’aveva messa a disagio. Forse lui non doveva dirle che non intendeva fare l’amore con lei,  perché anche se lui le aveva appena detto che non era necessario, in realtà ci sperava moltissimo. Dopo quella giornata orribile voleva solo stringerla tra le braccia. Ma non voleva essere pressante, si era comportato male quel pomeriggio ed ora doveva essere un galantuomo. Però sembrava quasi che anche Georgie volesse, solo che poi aveva tagliato il discorso e ora lui non sapeva che fare.
- Che devo fare ora? – pensò confuso tra sé e sé.
La vide spogliarsi e andare a letto e decise di raggiungerla. Voleva stare con lei, anche solo per dormire, ma almeno l’avrebbe stretta forte. Sperava solo che le mezze frasi che si erano appena scambiati non avessero rovinato tutto.
Si tolse i calzoni e la camicia, alzò le coperte e si sdraiò, fermandosi per un attimo a contemplare lei che si era adagiata su un fianco, dandogli la schiena. I suoi lunghi capelli d’oro cadevano scomposti sul cuscino e la sua pelle vellutata risplendeva alla luce delle candele.
-Dio mio, quant’è bella! – pensò Abel, come ipnotizzato da quella splendida visione.
Georgie percepì la sua presenza. Era in grado di avvertire il suo calore, anche se non si stavano toccando. Era una strana situazione. Era certa che lui la stesse guardando, sentiva i suoi occhi su di sé, anche se in quel momento era girata di schiena.
Avrebbe semplicemente voluto abbracciarlo e baciarlo e lasciarsi trasportare dalle sensazioni che solo Abel le sapeva regalare, ma quella battuta di Dick l’aveva messa a disagio. Non sapeva perché. E poi anche Abel le era sembrato imbarazzato da quelle parole. Forse dopo tutto l’astio provato durante quella giornata, ora non se la sentiva di amarla. Forse aveva bisogno di tempo. Poteva essere plausibile, ma di certo lei era amareggiata. Sentiva in quel momento più che mai bisogno del suo amore, delle sue carezze, ma erano piombati in uno strano silenzio, un gelo improvviso che li aveva allontanati.
Abel non sapeva che fare, ma poi si decise. Forse aveva pensato anche troppo, avevano detto anche troppe parole quel giorno.
Lui la voleva. Semplicemente la voleva. Voleva amarla e voleva ricevere il suo amore. E così avrebbe fatto, senza più altri indugi.
Si avvicinò di più a lei che continuava a dargli la schiena e la strinse forte a sé, inalando il dolce profumo dei suoi capelli.
Poi si avvicinò al suo collo e le diede un bacio, trasmettendo a Georgie piacevoli brividi lungo tutto il corpo.
Allora lei si voltò e i loro sguardi si incrociarono. Lei lesse in quello di lui un’infinita tenerezza e non ebbe più dubbi.
Si abbracciarono e avvicinarono le labbra, fino ad abbandonarsi nel più dolce e profondo dei baci.
E poi da quel momento entrambi smisero di pensare. Semplicemente si abbandonarono uno nell’altra, facendosi trasportare dall’amore che stava dilagando senza più indugi o remore.
Le parole cariche di astio che si erano detti quel pomeriggio, ormai erano un lontanissimo ricordo. Era arrivata, finalmente, la quiete dopo la tempesta. E loro non vollero far altro che godersi quel meraviglioso momento insieme. Uno dei tanti che avrebbero condiviso nella nuova vita che li aspettava.
 
TBC…..

 

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Capitolo 15
*** Addio Inghilterra ***


15 – Addio Inghilterra
 
 
Georgie chiuse il baule colmo di vestiti e sospirò malinconica restando inginocchiata accanto ad esso, mentre il suo sguardo vagava per la stanza ormai spoglia.
Si soffermò un istante per scrutare il letto, pensando a quanti ricordi belli e brutti era legato.
In quel letto Abel era stato portato moribondo dopo gli spari che il duca di Dangering gli aveva inferto. Non sarebbe più riuscita a dimenticare quel momento. Mai. Per tutto il resto della sua vita.
E non sarebbe più riuscita nemmeno a dimenticare Abel steso su quel letto. Pallido, esanime, con il respiro affannato, mentre affrontava la sua battaglia più dura tra la vita e la morte.
Ma ad onor del vero quello fu anche il letto dove Abel si risvegliò, dove fecero l’amore per la prima volta dopo quei tragici avvenimenti.
E fu anche il letto dove Abel pianse buona parte delle sue lacrime per la scomparsa di Arthur.
E fu il posto dove lei gli disse che aspettavano un bambino e dove lui le chiese di sposarlo.
E fu il letto in cui lei trovò rifugio quando lui la lasciò per andare a Telford in cerca del fratello. Quanta angoscia e disperazione aveva sfogato tra quei cuscini.
Ma fu anche il letto in cui si riunirono quando lui tornò da lei in quella notte tempestosa.
Era incredibile quanti ricordi poteva portare con sé un semplice oggetto.
Continuò a guardarsi in torno e ogni angolo di quella stanza le riportava alla mente un avvenimento importante.
E si stupì, perché solo in quel momento comprese che anche in Inghilterra avrebbe lasciato dei ricordi importanti. Che nella sua vita non avrebbe portato nel cuore solo l’Australia, ma anche un pezzetto di Londra. Quella Londra fredda e grigia che le era sembrata sempre tanto ostile.
Era strano. Aveva atteso con ansia il giorno in cui avrebbe fatto ritorno a casa ed ora che era arrivato sentì che quella città un po’ le sarebbe mancata.
Per non parlare degli amici che vi aveva trovato. Persone a lei care, che faceva davvero molta fatica a lasciare.
Li aveva già salutati tutti il giorno prima. Non voleva rivederli quella mattina, sarebbe stato un fardello troppo pesante. Odiava gli addii e quello era il più difficile.
Era stata da Katherine e dai suoi genitori, che l’avevano accolta come una figlia al suo arrivo in Inghilterra. Era grata a quelle persone e non le avrebbe più dimenticate.
Era stata anche dalla piccola Joy, che aveva messo il broncio perché non voleva che Abel se ne andasse. Sorrise a quel pensiero. Si rispecchiava molto in quella ragazzina. Anche lei non voleva staccarsi dal suo Abel quando lui aveva deciso di imbarcarsi per fare il marinaio. Quindi capiva perfettamente i sentimenti di Joy. Era impossibile accettare di separarsi da lui. Per fortuna ora lei era sua moglie e non gli avrebbe più permesso di starle lontano.
E poi c’era il signor Allen che li aveva aiutati tanto. Si era affezionato molto ad Abel e credeva nelle sue possibilità. Era contenta che gli avesse proposto di aprire un suo studio a Sidney per progettare navi. Abel era così felice di quell’opportunità. No, non avrebbe mai dimenticato nemmeno il signor Allen.
Era andata anche da Maria e ne era uscita con il cuore colmo di tristezza. Quella povera ragazza conduceva una vita infelice, ormai lontana da tutti a causa del cognome che portava, a causa delle malefatte di suo padre e suo fratello. Ma lei non ne poteva nulla ed era una persona così buona.
Se non fosse stato per Maria, non sarebbe mai riuscita a raggiungere Abel in quella maledetta cella. E fu lì che tutto ebbe inizio. Non poteva dimenticarlo.
Georgie si sentiva legata a lei in modo molto forte e lasciarla le causava un grande dispiacere.
Senza contare che dopo la notizia che il giovane avvistato a Telford non era Arthur, la ragazza aveva perso ormai ogni speranza di poter tornare ad essere felice.
Georgie era fortemente preoccupata per lei.
Gli altri amici che stava lasciando erano tutti felici, quindi al di là della tristezza dell’addio, Georgie sapeva che non avrebbe dovuto preoccuparsi. Ma con Maria era diverso. Lei era sola e questo la faceva sentire tremendamente in colpa.
Aveva fatto giurare a suo padre e a Katherine che si sarebbero presi cura di lei, ma comunque non era tranquilla, perché in cuor suo sentiva che avrebbe dovuto essere presente per quella ragazza.
Sospirò e cercò di non pensarci troppo. Ora doveva pensare alla sua vita e al bambino che portava in grembo.
Sorrise ancora malinconicamente, quando pensò ad Emma e Dick. Quanto avevano pianto. Quelle erano in assoluto le persone con cui si era più sentita a casa.
Emma era come una sorella e perderla era davvero un duro colpo. Era grata di averla incontrata e di aver imparato tanto da lei, ma ora che doveva lasciarla non riusciva a trattenere le lacrime.
Di sicuro si sarebbero scritte numerose lettere, ma certo non sarebbe stata la stessa cosa.
Eppure lei doveva tornare a casa. Sapeva che là sarebbe stata felice e purtroppo, molto spesso, la felicità ha il suo prezzo. E nel suo caso era rappresentato dal dover abbandonare le persone a lei care.

 
Si alzò pigramente e raggiunse la finestra per guardare al di fuori di essa.
Il cielo grigio di Londra sovrastava la casa di suo padre e il vento agitava  i rami del grande albero posto al centro del giardino.
La primavera aveva tentato di fare capolino più volte, ma per una giornata di sole che riscaldava la città, ne seguivano altre grigie e piovose. E quella della sua partenza era proprio una di quelle giornate fredde e senza luce.
- E così Londra mi congedo da te con questo cielo coperto e questo vento – pensò tra sé e sé Georgie con un po’ di rammarico – Almeno mi hai concesso una giornata senza pioggia. Sei stata clemente -.
Mentre era assorta in questo suo colloquio personale con la città che le aveva dato asilo negli ultimi mesi, la porta della stanza si aprì e Georgie si voltò per guardare chi stava entrando.
 
- E’ tutto pronto? – chiese Abel facendo capolino.
Georgie nel vederlo ritrovò il sorriso e fece un cenno di assenso.
- Bene, non ci rimane troppo tempo. Quindi è meglio se raccogliamo le nostre cose in fretta – disse mentre si avvicinava a lei.
Quando le fu vicino le cinse le braccia attorno ai fianchi e la guardò intensamente. E la vide diversa.
- E questa luce triste negli occhi che cos’è? – chiese Abel dolcemente.
Georgie trasalì. Gli aveva sorriso, come aveva potuto notare la sua malinconia? E poi comprese che Abel la conosceva da una vita intera e che a lui non avrebbe potuto nascondere nulla.
Scosse il capo e rispose – Nulla. Sono solo un po’ giù. Gli addii mi rendono così. – abbassò la testa e continuò – Sai non pensavo che mi sarebbe dispiaciuto lasciare Londra, ma alla fine ho così tanti ricordi qui. Questa città mi ha cambiata. Ho realizzato che sono arrivata qui che ero poco più di una bambina e ora che me ne vado mi sento cresciuta. Sono successe così tante cose -.
- Beh – disse Abel scostandole i capelli dal volto con infinita dolcezza – Ora sei una donna. E’ normale che tu ti senta cambiata ed è normale che tu senta un legame con questa città -.
Lei lo guardò sorridendogli. Le sue parole avevano sempre avuto il potere di tranquillizzarla.
- Anche a me un po’ dispiace. Infondo anche per me ci sono tanti ricordi – proseguì Abel, mentre gli occhi si fecero lucidi per le emozioni contrastanti che stava provando – Alcuni bellissimi ed alcuni atroci. Ma anche io indubbiamente sono cambiato molto qui -.
Georgie gentilmente gli asciugò una lacrima che gli stava scendendo sul volto.
- D’ora in poi per noi due devono esserci solo momenti piacevoli, da ricordare con gioia – gli disse lei con lo sguardo traboccante di amore – Te lo prometto -.
Abel le sorrise emozionato e scese su di lei per baciarla e stringerla a sé. Ne aveva così bisogno in quella strana giornata.
Ma un rumore inaspettato alle loro spalle li fece trasalire.
- Sempre a tubare come piccioncini! – tuonò il Conte Wilson, che nel frattempo era entrato nella loro camera da letto.
Abel e Georgie si staccarono uno dall’altra, evidentemente imbarazzati per essere stati colti nel pieno delle loro effusioni d’amore.
- Scusate Conte – si giustificò in fretta Abel – Non avevamo intenzione di perdere tempo. E’ tutto pronto -.
Il conte scoppiò in una fragorosa risata, divertito dal loro imbarazzo.
- Non preoccupatevi ragazzi – li rassicurò – Siamo perfettamente in orario. Tra poco salirò a prendere le vostre cose. Ma potete prendervi ancora un po’ di tempo per salutare questa casa. Non volevo mettervi fretta. Il fatto è che mi diverto a prendervi in giro -  e ridacchiando scese al piano di sotto.
Georgie ed Abel si guardarono confusi, ma poi si misero a ridere anche loro. Il conte era un tipo strano. Voleva fare il burbero a volte, ma aveva un cuore d’oro. Anche lui era stato molto vicino ad entrambi e di sicuro avrebbero sentito la sua mancanza.
- Che dici Abel, scendiamo anche noi? – chiese Georgie.
Abel annuì con la testa e mise un braccio intorno alle spalle della moglie ed insieme si avviarono verso l’uscita.
Prima di andarsene definitivamente, guardarono per un’ultima volta la stanza che fu la loro camera da letto e pensarono ai momenti importanti che avevano vissuto lì dentro. Non vollero tralasciare nessun particolare, in modo tale che tutto rimanesse ben impresso nella loro memoria.
E poi, dopo quel breve momento di esitazione, chiusero per sempre quella porta, voltando per l’ultima volta le spalle a quella stanza, pronti ad intraprendere il lungo viaggio che li avrebbe portati verso una nuova vita. La loro nuova vita insieme.
 
 

- Eccovi qua – esordì il conte Gerald dal giardino mentre vide Abel e Georgie uscire dal portone d’ingresso della grande casa – Wilson sta caricando le ultime cose sulla carrozza e poi potremo partire se siete pronti -.
Georgie guardò suo padre con un sorriso smagliante e gli corse incontro esclamando – Sì papà, siamo pronti, possiamo partire quando vuoi – e accarezzandogli il volto aggiunse – Non posso crederci che ci dobbiamo separare di nuovo -.
Il conte sorrise dolcemente alle parole della figlia e con delicatezza baciò la sua mano, dicendole     – Questo non è un addio, ma un arrivederci piccola mia. Non dimenticarlo. Tra poco partirò anch’io e vi raggiungerò in Australia -.
Georgie fece un cenno di assenso con il capo e disse – Lo so, ma intanto oggi devo abbandonarti e, credimi papà, mi dispiace tantissimo -.
Abel raggiunse i due e, sentendo le parole della moglie, le mise una mano sulla spalla e la rincuorò – Avanti Georgie, tuo padre presto sarà di nuovo con noi e non ti separerai più da lui -.
Georgie sorrise. Abel aveva ragione. Era un breve addio quello e poteva sopportarlo.
Mentre stavano facendo questo discorso, all’improvviso vennero interrotti da un rumore che riecheggiava in lontananza e che si stava facendo sempre più vicino.
Non vi erano dubbi. Quello era l’abbaiare di un cane.
- Fermati ti ho detto! – si sentì urlare al di là delle mura di cinta della casa.
Era una voce femminile, molto familiare. E Georgie realizzò immediatamente a chi potesse appartenere. - Katherine? – disse confusa.
E mentre si poneva questa domanda, ecco che Junior entrò dal cancello d’ingresso del giardino, correndo come un pazzo.
Dietro di lui, la povera Katherine cercava di raggiungerlo, trafelata per la corsa.
Georgie fece per andarle in contro, ma venne bloccata da Junior che le mise le zampe sulle spalle per leccarle il volto, in segno di saluto affettuoso.
- Hey Junior – disse Georgie divertita da quel comportamento – Ma che ti prende stamattina? -.
Katherine li raggiunse e, ancora con il fiatone, cercò di spiegare. – Non so che cosa gli sia successo – disse – Ma era agitato e ha abbaiato per uscire. Credevo volesse fare un giretto in giardino, invece appena gli ho aperto la porta è corso via come un pazzo. Si è buttato in strada e ho temuto che venisse investito da qualche carrozza, così l’ho seguito ma non sono riuscita a raggiungerlo e poi ho capito dalla traiettoria che stava seguendo che voleva venire qui da te -.
Georgie annuì al discorso dell’amica e si rivolse al cane, ancora scodinzolante per essere riuscito a trovarla – Junior volevi salutarmi? -. Ma l’animale, a quelle parole, iniziò ad abbaiare nervosamente.
Katherine riprese fiato e disse – No Georgie, non credo che volesse salutarti. Io credo che lui voglia tornare a casa con te -.
Georgie si girò di scatto a quelle parole e rispose – Oh, ma Katherine, tu sei così affezionata a Junior e lui è così felice di vivere a casa vostra. Se io ora lo porto con me tu perderai il tuo cane -.
Katherine scosse la testa e sorrise. – No Georgie, lui non è mai stato mio. E’ tuo ed è giusto che faccia ritorno a casa con te -.
Georgie apprezzò le parole della sua amica, ma sapeva benissimo quanto costasse  a Katherine separarsi da Junior. Quanto era cambiata da quando l’aveva incontrata sulla nave per Londra. Era una ragazzina viziata ed egoista e ora si stava dimostrando più matura e più altruista.
- Mi spiace Katherine – mormorò Georgie, ma la ragazza scosse la testa sorridendo e disse – Non dispiacerti. E’ giusto così. E poi papà mi ha promesso che mi prenderà un cucciolo. Avrò di nuovo un amico a quattro zampe e questa volta sarà tutto mio. Tu prenditi cura del tuo. E’ te che vuole -.
Georgie e Katherine si abbracciarono e finirono per far scendere qualche lacrima, consapevoli che quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero viste.
- Odio gli addii – disse Katherine con la voce rotta dall’emozione – Quindi ora sparisco, perché non mi va di piangere e di farti piangere -.
- Oh Katherine – disse Georgie, senza sapere che aggiungere, visto che ormai la tristezza nel doversi separare dall’amica aveva fatto presa su di lei.
- Non dire niente – disse la giovane – Non serve aggiungere altro. Fate buon viaggio e concentratevi sul vostro bambino. E scrivimi quando nascerà, perché sono curiosa di sapere se sarà maschio o femmina. E qualunque cosa sarà, sono certa che sarà bellissimo, perché ha due genitori bellissimi e non c’è margine di dubbio su questo -.
Sospirò e proseguì asciugandosi le lacrime – Divento logorroica quando sono triste, quindi è meglio che me ne vada. Vi auguro il meglio e sappiate che non vi dimenticherò mai -.
Dette queste parole, si rivolse a Junior dicendo – Fai buon viaggio anche tu, piccolino. Sei stato un ottimo cane -.
Junior leccò il volto di Katherine in segno di apprezzamento e riuscì così a strapparle un sorriso.
Dopodichè  la ragazza rivolse ancora uno sguardo a tutti e poi si voltò correndo via.
Georgie rimase immobile a guardarla svanire oltre il cancello e il suo viso si rigò di lacrime.
Abel le arrivò dietro e la strinse a sé, in segno di consolazione.
- Beh abbiamo un compagno di viaggio a quanto pare – disse Georgie, cercando di ritrovare il sorriso.
Abel annuì e ricambiò il sorriso, accarezzandole il volto.
Georgie cercò di scacciare via la tristezza e disse – Bene, allora torno un attimo in casa a prendere qualche cosa da mangiare e una coperta per Junior. E’ giusto che anche lui abbia il suo piccolo bagaglio – e così dicendo corse in casa.
- Sì contessina, ma cerca di sbrigarti – urlò Wilson che nel frattempo aveva caricato tutti i bagagli sulla carrozza . E sbuffando aggiunse – Ci mancava anche il cane adesso. Questi vogliono perdere la nave! -.
Abel e il conte Gerald ridacchiarono alle parole di Wilson. Era proprio un brontolone.
Poi il conte approfittò di quel momento in cui la figlia si era assentata e, facendosi subito serio, si rivolse ad Abel.
- Figliolo posso parlarti solo un attimo da uomo a uomo, ora che Georgie non c’è? -.
Abel lo guardò preoccupato ed annuì. – Certo conte – disse – Ditemi tutto -.
Il conte cercò di trovare le giuste parole ed iniziò il suo discorso.
- Ascolta Abel, io so perfettamente quanto ami Georgie e so che farai tutto quello che è in tuo potere per renderla felice. Però non posso nasconderti che la lite che tu e Georgie avete avuto di recente mi ha preoccupato un po’ -.
Abel abbassò lo sguardo. Sapeva che si meritava una ramanzina dal conte. Si era comportato male, ma avevano deciso di non parlarne più. Ora però forse il conte voleva affrontare nuovamente il discorso, prima di affidargli la figlia, e lui lo sarebbe stato ad ascoltare, conscio di doversi scusare per quel terribile comportamento.
- Io comprendo che a volte in un matrimonio possano esserci momenti non facili. Tu hai visto quella scena tra Lowell e Georgie e sei stato colto da un atroce dubbio. Lo capisco e capisco anche la tua rabbia, ma ascoltami. Cerca sempre il dialogo. Non giungere in fretta alle conclusioni che ti possono sembrare più ovvie, perché magari sono sbagliate. Parlane con tua moglie. Parlate, è la cosa migliore. E se davvero la ami, sai che puoi avere fiducia nelle sue parole. Non buttare tutto all’aria per un attimo di impulsività. E’ da sciocchi e ora tu non puoi più permettertelo, perché oltre ad una moglie, c’è anche un figlio in arrivo. Impara a gestire le emozioni e cerca la soluzione più sensata. Ho bisogno che tu mi dica che lo farai, perché sto per affidarti mia figlia e voglio essere sicuro che tu saprai essere un buon marito e non solo un uomo innamorato. Ora le tue responsabilità sono più grandi. Non si tratta solo di amare, ma anche di convivere e, credimi, non sempre è facile. Ma un po’ alla volta si va avanti e si costruisce un qualcosa di speciale. Promettimi che tu farai questo con Georgie. Devo essere certo che per te questa sarà sempre una priorità -.
E così dicendo, lo fissò intensamente negli occhi per cercare la risposta che tanto desiderava.
Abel contraccambiò quello sguardo e realizzò che ammirava sempre di più il conte Gerald.
- Conte non dovete temere – rispose Abel – E’ esattamente quello che ho intenzione di fare con Georgie e con il nostro bambino. Mi sono comportato da imbecille e non ho scusanti, ma visto che mia moglie ha deciso di concedermi un’altra possibilità, io non voglio deluderla e non voglio deludere neppure voi. Ho imparato la lezione e ho capito che l’amore non è solo passione e sentimento, ma anche dialogo e fiducia. E questo è  quello che voglio nel mio matrimonio. Ormai sia io che Georgie siamo cresciuti. Basta scenate di gelosia. Il nostro rapporto è qualcosa di più. Ora lo so e non sbaglierò ancora. Chiedo perdono anche a voi per aver mancato di rispetto a vostra figlia. Vi prometto che non accadrà mai più e che la renderò felice. E sarò anche un buon padre per mio figlio. Vostro nipote sarà al sicuro con me, non temete. L’amore e il buon senso vinceranno su qualunque stoltezza mi dovesse mai venire in mente. Sono un uomo nuovo ora, sono maturato. E da uomo a uomo vi prometto che per me Georgie e il bambino saranno sempre una priorità. E mi comporterò sempre bene con loro e farò tutto quello che potrò per renderli felici -.
Il conte sorrise a quelle parole. Era evidente che Abel fosse sincero. Era proprio un bravo ragazzo e sapeva che la sua Georgie sarebbe stata in buone mani con lui.
- Vieni qui – disse il conte emozionato, mentre strinse Abel in un abbraccio paterno.
 
- Ma che state combinando voi due – disse Georgie mentre usciva di casa con un sacco in cui aveva raccolto delle cibarie per Junior.
Abel e il conte si staccarono, visibilmente emozionati.
- Niente – disse Abel – Roba da uomini -.
Georgie li guardò incredula e rise a quella scena. – Come volete voi – disse proseguendo il suo cammino verso la carrozza che li stava aspettando – Tenetevi pure i vostri segreti. A me non importa -.
Il conte ed Abel risero. Georgie era curiosa e avrebbe dato non so cosa per sapere cosa si erano appena detti, ma non voleva darlo a vedere.
- Ridete, ridete – urlò lei, voltandosi a guardarli – Ma se continuate a perder tempo così, rischiamo di perdere la nave. Smettetela di fissarmi e salite sulla carrozza -.
In effetti il tempo stringeva ed Abel e il conte si affrettarono a seguirla. Bisognava partire.
- Abbiamo preso tutto? – chiese a quel punto il conte Wilson – Possiamo finalmente partire? –.
- Sì amico mio – rispose il padre di Georgie – E’ giunta l’ora di andare -.
- Meno male – rispose Wilson – Sembra che lo facciate apposta a ritardare la partenza. Rischiamo di non rispettare la tabella di marcia se continuiamo così -.
Tutti risero a quelle parole. Il conte Wilson era sempre pronto a bacchettarli, ma si era sempre dimostrato un amico fidato. E anche ora li stava aiutando come poteva.
 
Stavano per salire sulla carrozza, quando dal cielo un suono fece a tutti girare la testa in su.
- Georrggggieee, Geooorrrrggieee, ti amo, Georrrrggggieeee! - .
- Ma cosa ? – disse il conte Gerald, cercando di capire chi stesse pronunciando quelle parole.
Ma uno sbatter d’ali piuttosto forte fece comprendere a tutti chi fosse l’autore di quel frastuono improvviso.
- Deegery Doo – esclamò Abel nel vedere il pappagallo che aveva addestrato atterrargli sulla spalla.
- Geooorrrrgie, ti amo – continuò il volatile.
Tutti scoppiarono a ridere e Abel divertito chiese al suo piccolo amico – Per caso questo è il tuo modo di dirmi che anche tu come Junior vuoi tornare a casa con noi? -.
Il pappagallo, come se avesse compreso la domanda, alzò una zampetta e poi strusciò la testa contro la spalla di Abel.
- Eh sì – disse a quel punto Georgie – Secondo me anche Deegery Doo ha capito che stiamo tornando in Australia e vuole venire con noi -.
Abel annuì e rivolgendosi al suo amico disse – E va bene. C’è posto anche per te -.
- Ragazzi ma vogliamo metterci in cammino si o no? – disse a quel punto spazientito il conte Wilson – Ci mancava anche il pennuto ora! -.
- Wilson è un brontolone, ma ha ragione – esordì a quel punto il conte Gerald – Dobbiamo davvero andare, si sta facendo tardi. Ormai direi che ci siamo tutti, cani e pappagalli compresi -.
Tutti risero e si accomodarono sulla carrozza, mentre Wilson prese il comando delle redini e fece partire i cavalli.
 


C’era una strana atmosfera nella carrozza. Nessuno aveva voglia di parlare, ognuno di loro era preso dai propri pensieri. Anche gli animali erano quieti, come se avessero capito che quel momento non era fatto per le parole.
Georgie guardava fuori dal finestrino la città che scorreva sotto di lei. Tutto era uguale a sempre. I ponti lungo il Tamigi, i bambini che giocavano, gli adulti che camminavano veloci per raggiungere le loro mete.
Il cielo continuava ad essere grigio,  ma per fortuna non stava piovendo. Tuttavia tirava vento, un vento freddo e penetrante.
Georgie guardò ogni singolo particolare per imprimerlo bene nella memoria. Londra, la fredda Londra, che le aveva dato i natali e che l’aveva vista andarsene che era ancora in fasce. Ora era tornata, ma se ne stava andando di nuovo.
Era una strana sensazione quella che stava provando. Le dispiaceva lasciare i suoi amici e suo padre, ma non poteva dimenticare il dolore che aveva provato tra quelle strade quando Arthur si gettò nel Tamigi, sparendo per sempre inghiottito dalle sue acque scure.
Nè avrebbe potuto dimenticare la tristezza e la paura che la divorarono quando Abel venne rinchiuso in prigione e condannato a morte. Ora lui era lì con lei, ma sapeva benissimo che si trattava di un miracolo. Avrebbe potuto essere morto e questo non poteva dimenticarlo.
No, non le sarebbe mancata quella città. La malinconia che stava provando era dovuta al fatto che quello, come altri in precedenza, era un momento importante. Un cambiamento. Un nuovo inizio. E lei sarebbe dovuta crescere ancora e questo le provocava un po’ di timore. Rimpiangeva i tempi spensierati e felici della sua infanzia, dove paure e preoccupazioni non adombravano i suoi pensieri e la sua anima.
Ora però le cose erano diverse. Non era più una bambina, era una donna e avrebbe affrontato le sfide della vita, come ogni adulto deve fare. Sapeva che non sarebbe stata sola nella sua avventura. Accanto a lei aveva l’uomo che amava. E con lui al suo fianco avrebbe potuto affrontare qualunque sfida.
Lo guardò. Abel era pensieroso, mentre fissava un punto vuoto al di fuori del finestrino. Forse anche lui stava facendo le sue stesse riflessioni
Sorrise. Grata di averlo con sé e di poter iniziare una nuova vita con lui.
 


Giunsero al porto giusto in tempo per consegnare i loro bagagli ai giovani facchini di servizio.
Il molo era un via vai continuo di gente che andava di fretta, di persone felici e di persone che salutavano i loro cari con le lacrime agli occhi.
La grande nave era lì, pronta a partire. Georgie la guardò con ammirazione. Era così maestosa e li avrebbe riportati a casa. Provò un’ emozione fortissima. Sentì il richiamo dell’Australia ed era pronta a seguirlo.
Poi si voltò a guardare suo padre ed il conte Wilson.
Era arrivato il momento degli addii. Doveva salutarli e imbarcarsi. Non c’era più molto tempo ormai.
- Papà è giunto il momento… - ma non ebbe modo di finire la frase che il padre la zittì.
- Non dire nulla, bambina mia – disse il conte Gerald – Presto partirò anche io e saremo di nuovo insieme -.
Georgie annuì e sorrise – Ti dico solo arrivederci, papà – rispose lei – Sappi che ti aspetterò con ansia. Voglio solo poterti avere di nuovo con me -.
Il conte abbracciò forte la figlia e, cercando di trattenere le lacrime, aggiunse  - Vedrai che accadrà presto. Ti voglio bene -.
E dopo quelle parole, abbracciò anche Abel, dicendogli – Sono contento di sapere che la mia bambina è in buone mani. Sei un bravo ragazzo -.
Abel ricambiò l’abbraccio e con voce rotta dall’emozione, rispose – Manterrò la mia promessa, conte. Potete stare tranquillo. Cercate solo di fare in fretta e raggiungerci in Australia il prima possibile. Solo con voi la famiglia sarà al completo-.
Congedatisi dal conte Gerald, trovarono anche un momento per salutare Wilson, che si era sempre dimostrato un amico fedele.
Dopodichè presero coraggio e, in compagnia dei loro animali, salirono sulla grande nave.
 


Arrivati sul ponte, consegnarono i loro biglietti ad un membro dell’equipaggio e vennero subito scortati nella loro cabina.
E qui rimasero a bocca aperta. I biglietti li aveva acquistati il conte Gerald, erano un suo regalo per loro e di sicuro non aveva badato a spese.
La loro cabina infatti era una suite grandissima e bellissima.
Georgie non potè far a meno di notare la maestosità degli arredi. Un grande caminetto di marmo era posto di fronte all’enorme letto matrimoniale posto al centro della stanza.
Alle finestre vi erano tendaggi raffinati e a terra vi era un bellissimo tappeto.
- Caspita! – esclamò Georgie – Non avrei mai nemmeno pensato che potessero esistere cabine del genere su una nave -.
Abel annuì, anch’egli stupefatto – Beh direi che tuo padre ci ha fatto un gran bel regalo. Ho sempre navigato facendo il marinaio ed ero abituato ad altri generi di camera da letto. Qui mi sembra di vivere una favola -.
Georgie gli corse in contro e lo abbracciò stretto – Sarà un viaggio rilassante – disse felice – Potremo lasciare i problemi al di fuori di questa meravigliosa stanza e goderci ogni momento qui dentro -.
Abel sorrise e la baciò. Si sentì troppo felice per trovare le parole adatte.
Mentre erano presi dal loro entusiasmo, notarono Junior e Deegery Doo entrare nella suite. Junior, dopo aver annusato un po’ intorno a lui, si andò ad accucciare davanti al caminetto acceso, mentre il pappagallo svolazzò su un armadio, appollaiandosi sopra di esso.
Georgie rise e disse – Vedo che anche i nostri compagni di viaggio si sono subito adattati alla nuova stanza -.
Abel la strinse forte e rispose – Già e non vedo l’ora di poter chiudere quella porta e rimanere solo con te -.
Georgie arrossì a quelle parole, ma era felice. Era esattamente quello che anche lei voleva.
Ma prima avrebbero dovuto fare ancora una cosa.
- Visto che il viaggio sarà lungo e avremo tutto il tempo per goderci questa stanza, posso chiederti un favore? – disse Georgie, facendosi improvvisamente seria.
Abel annuì e rimase in ascolto.
Georgie proseguì – Vorrei salire sul ponte e vedere la partenza. Magari riusciremo a salutare ancora una volta papà e il conte Wilson. E comunque vorrei dare il mio addio all’Inghilterra -.
Abel aveva capito perfettamente quello che intendeva Georgie. Anche lui sentiva il bisogno di essere sul ponte al momento della partenza. Anche lui voleva dare il suo ultimo saluto a quella terra, che in diverse occasioni gli era stata ostile, ma che comunque lo aveva accolto in quei mesi.
- Ma certo, Georgie – rispose Abel – Anzi, dovremmo salire subito. Credo che ormai la partenza sia imminente -.
Così dicendo lasciarono la loro stupenda suite e salirono sul ponte.
 


Trovarono una folla di persone che si muoveva disordinatamente. Tutti correvano per poter vedere la partenza della nave e la terra allontanarsi pian piano. C’era chi piangeva e chi rideva, chi si sporgeva per salutare le persone sulla banchina, chi stava fermo e composto.
Abel e Georgie riuscirono ad avvicinarsi al parapetto e videro in lontananza il conte Gerald e il conte Wilson. Si sbracciarono per salutarli e videro che anche loro muovevano il braccio in segno di saluto.
Nel frattempo la nave mollò gli ormeggi e partì.
Georgie guardò la terra piano piano allontanarsi, mentre le acque scure sotto di lei venivano segnate dalla scia bianca e spumeggiante della nave.
Erano partiti. Il loro viaggio era iniziato. Una nuova avventura, un nuovo inizio.
Pian piano la terra sparì, come inghiottita da una bassa nebbiolina che stava scendendo su di loro.
Ormai non si vedeva più niente e a Georgie scese una lacrima sulla guancia.
- Addio Inghilterra – pensò tra sé e sé – Sono arrivata qui con un sogno e ora me ne vado con un altro, ancora più grande e  ancora più bello. Non è sempre stato facile vivere qui, ma conservo dei buoni ricordi. Ora sono pronta a crescere ancora. Non ho paura di ciò che mi attende, perché so che sarà bellissimo. Perché so che lo condividerò con il mio amore e con lui accanto posso affrontare tutto -.
E così pensando, si voltò a guardare Abel, anch’egli assorto con lo sguardo perso verso la terra che ormai era sparita all’orizzonte.
- Ti amo – gli sussurrò lei con un dolce sorriso sulle labbra.
Abel abbassò lo sguardo, incrociando il suo e ricambiò il suo sorriso – Anche io ti amo – rispose e l’abbracciò, ansioso di poter finalmente incominciare la sua vita con lei. Quella vita che tanto aveva agognato.
 
 

 
TBC….
 

 

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Capitolo 16
*** Il lungo viaggio ***


 
16  - Il lungo viaggio

 
Il fuoco scoppiettava nel camino, scaldando la grande stanza, mentre le candele la illuminavano fiocamente, bruciando scomposte sul candelabro d’argento posto sul massiccio comò di noce.
Le bianche tende di raso nascondevano a malapena la grande finestra della suite e al di fuori di essa il mare era scuro e il cielo grigio.
All’interno di quell’accogliente cabina regnava la quiete. Si potevano udire solo dei gemiti sommessi, che quasi si confondevano con lo scoppiettio della legna che bruciava nel caminetto.
Sul grande letto disfatto Georgie e Abel facevano l’amore.
Avevano lasciato l’Inghilterra da ormai una settimana e il tempo era sempre stato inclemente. Erano andati incontro a pioggia e vento e non era praticamente stato possibile uscire  sul ponte della nave.
Ma a loro non importava. Finalmente avevano avuto un po’ di tregua da tutti i problemi e con serenità potevano affrontare il loro viaggio.
Avevano deciso che si sarebbero dedicati solo a loro stessi e così stavano facendo.
Si erano chiusi nella loro meravigliosa suite e praticamente ne uscivano solo per recarsi al ristorante durante i pasti.
Avevano lasciato tutto il mondo fuori da quella porta. Esistevano solo loro due e il loro amore. Nulla più.
Georgie era completamente persa tra le braccia del suo Abel.
Ormai non provava più imbarazzo a stare nuda con lui. Anzi, le sembrava che quello fosse il modo più naturale in cui potevano stare insieme.
Era distesa sul morbido materasso e lui era sopra di lei. Sentiva il suo calore. Il calore meraviglioso del suo corpo. Quello stesso calore che l’aveva avvolta quella notte in carcere, quando fu sua per la prima volta.
Ed ora era di nuovo così. Si sentiva così bene, così protetta tra le sue braccia che la cingevano gentilmente.
La pelle di Abel aderiva alla sua e quel contatto era così piacevole che lei finiva per perdere ogni senso della realtà. Si sentiva sospesa, come in un sogno.
Sentiva anche il suo odore. Il profumo della sua pelle, il profumo di casa. Era bellissimo. Sapeva che quello stesso profumo le sarebbe rimasto sul corpo anche dopo e si ricordò che quando fecero l’amore nella cella e poi tornò a casa, una volta che fu andata a letto lo avvertì sulla sua pelle e si sentì meno sola, come se lui fosse lì con lei. Anche quando lui l’aveva lasciata per andare a Telford e lei piangeva disperata tra le lenzuola, avvertì quel profumo sul cuscino di lui e immediatamente lo strinse forte a sé, ispirando quella dolce fragranza che la faceva sentire a casa.
Poi sentiva il suo respiro affannato sul collo e nell’orecchio e quella sensazione la faceva rabbrividire di piacere. Era come se il suo stomaco si sciogliesse e lei perdesse ogni senso della ragione. E tra un sospiro e l’altro avvertiva le sue labbra baciarle dolcemente il collo, provocandole un leggero solletico che la faceva stare bene.
Era così che si sentiva in quel momento. Bene. Ed era felice, felicissima.
Ogni gemito, ogni bacio, ogni carezza, ogni spinta era passione pura. Una passione bruciante e deliziosa, che la disarmava, che la lasciava bisognosa di ancora più amore. I loro cuori battevano martellanti nel petto, all’unisono.
E poi lo sentiva dentro di sé. Lo sentiva chiaramente. E quella era la sensazione più bella.
Era un atto molto intimo quello ed era felice di averlo permesso solo a lui.
Sentire Abel che si muoveva dentro di sé la faceva sentire molto legata a lui, come a nessun altro prima.
Erano una cosa sola. Un unico corpo, un’unica anima, un unico amore. Solo così, quando lui era dentro di lei, si sentiva davvero completa.
Lo stringeva forte a sé, come per unirsi ancora di più a lui. Aveva bisogno di quella sensazione, di quel momento. Non voleva farlo finire mai.
E poi all’improvviso, ci fu come un esplosione dentro di lei. Si sentì fluttuare, come disarmata, inerme. Si aggrappò al corpo di Abel con tutte le forze che le erano rimaste, mentre lui continuava a schiacciarla su quel letto, amandola appassionatamente, travolgendola con tutto il sentimento che stava sgorgando dal suo cuore come un fiume in piena.
Abel, dal canto suo, non era più in grado di controllarsi. Voleva solo stringerla di più e spingere più profondamente in lei. Non voleva spezzare quel momento magico tra di loro, non voleva rovinare quell’incanto. Semplicemente si arrese alla passione che divampava sempre più violentemente e continuò ad amarla con sempre più ardore.
Erano entrambi annebbiati dalle fortissime sensazioni che stavano attraversando. Sensazioni tanto forti da travolgerli come il mare in tempesta sotto di loro.
Georgie sentì che si stava calmando dopo quel culmine di piacere e si placò un poco tra le sue braccia. E fu in quel momento che Abel fermò di colpo il suo movimento e la strinse forte a sé. Immediatamente lei avvertì una dolce sensazione di calore espandersi nel grembo e non potè trattenersi dal dare un bacio sulla guancia ad Abel, che nel frattempo si abbandonò ansimante su di lei, ricoprendole parte del volto con i capelli e solleticandole il collo con il caldo respiro ancora affannoso.
Georgie lo strinse forte e poi rimasero lì immobili, ancora uniti, a cercare di riprendersi dopo quell’amplesso infuocato, ma al contempo colmo di tenerezza.
 
Non dissero nulla per un po’. Semplicemente rimasero fermi, in silenzio, cercando di normalizzare i loro respiri ancora affannati.
Si godevano quel momento di pace perfetta. Erano ancora uniti, ma inermi. Abel giaceva su di lei, con il viso nascosto nell’incavo della sua spalla, inalando il dolce profumo dei suoi lunghi capelli.
Georgie fissava un punto imprecisato sul soffitto della stanza e pigramente con una mano accarezzava la testa di Abel.
Improvvisamente Abel si tirò su, appoggiandosi su un gomito e la baciò dolcemente. Poi la fissò e le sorrise.
- E’ tutto a posto, amore? – le chiese con un sussurro – Ho forse esagerato? -.
Lei lo guardò interrogativa, non comprendendo quella domanda.
Abel le scostò gentilmente i capelli dal volto e si spiegò meglio – Beh ero molto coinvolto prima. Magari senza accorgermene potrei averti fatto male. Fermami se vedi che perdo troppo il controllo -.
Georgie sorrise e rispose – Non mi hai fatto male e non hai esagerato, stai tranquillo. Mi fai del male solo quando stai lontano da me, ma quando siamo insieme io sto sempre bene -.
Contraccambiò il suo sorriso, felice di udire quelle parole. Si abbracciarono e si baciarono ancora, mentre lui era ancora dentro di lei.
Poi rotolò sul letto accanto a lei, rimanendo supino, e a Georgie dispiacque non essere più una cosa sola con lui, ma si affrettò ad appoggiare la testa sulla sua spalla, facendosi cingere dal suo braccio.
Era incredibile come aveva sempre bisogno di un contatto fisico con lui.
- Quando sono con te come in questo momento sono felice come mai avrei pensato di poter essere – disse Abel a quel punto – E ho così tanto bisogno di te che non riesco a trattenermi dal fare l’amore con te. Potrei farlo per un giorno intero senza mai averne abbastanza. Ma tu devi sempre dirmelo se ti sembra che stia esagerando. Mi fai talmente perdere la testa che magari non mi rendo conto di andare oltre -.
- Non vai mai oltre – rispose lei sorridendo – Anzi, mi piace quando perdi la testa così -.
Abel ridacchiò soddisfatto e disse – Senti, senti la contessina! Noto con piacere che hai perso ogni vergogna, eh? -.
Georgie arrossì. Non voleva essere presa in giro sull’argomento.
Di sicuro quelle situazioni ancora le causavano un po’ di imbarazzo, ma tanta era la gioia di poter stare con Abel in quel modo che ormai si era abituata ad osare.
- Dai Abel, non prendermi in giro. Non mi piace quando ridi di me – disse lei mettendo su un po’ di broncio e scostandosi da lui.
Abel rise e si riavvicinò a lei, abbracciandola forte e tirandola verso di sé.
- Stavo solo scherzando un po’, sciocchina. Non devi prendertela – e poi, facendosi serio e girandole il viso dolcemente in modo tale da poterla guardare negli occhi, aggiunse – Io non rido di te. Io rido con te. E’ molto diverso -.
Georgie comprese le parole di Abel e abbozzò un sorriso.
- Sei diventata un po’ troppo permalosa, signorina – disse a quel punto lui sorridendo e poi scese a baciarla con infinita tenerezza.
Dopo rimasero ancora abbracciati, in silenzio, a godersi quel momento di beatitudine e ozio dopo l’amore.
Abel accarezzava pigramente i capelli di Georgie e lei si distese a fianco a lui, appoggiando la testa sul suo petto e facendosi cullare in un dolce dormiveglia dal suo battito del cuore, che le trasmetteva calma e serenità.
E mentre si godeva le carezze del marito, Georgie iniziò a pensare.
Pensò a quanto era fortunata ad avere Abel accanto a sé, a quanto fosse bello e passionale, a quanto la rendesse felice.
Ma nello stesso istante realizzò che Abel era di sicuro un uomo focoso e anche esperto.
Quando facevano l’amore era lui che conduceva il gioco e questo lei lo aveva sempre trovato normale, ma in quel momento comprese chiaramente che la sicurezza e l’esperienza di Abel erano dovute al fatto che lui prima di lei aveva avuto altre donne.
E questo, anche se le era sempre sembrata una cosa ovvia, in quel momento la destabilizzò.
Era così abituata all’idea di essere sua e che lui fosse suo, che non si era mai soffermata più di tanto sul fatto che lui di sicuro doveva aver avuto delle amanti prima di lei.
Era anche vero che lei aveva condiviso situazioni particolari con Lowell prima di lui. Ma non era paragonabile. Lei e Lowell avevano avuto momenti di intimità, ma non erano mai andati davvero fino in fondo. Erano state poche occasioni e praticamente non era successo nulla. Ma per Abel la cosa era di sicuro diversa.
Si sentì subito insicura e anche un po’ gelosa. E poi c’era la curiosità che la divorava. La curiosità di sapere chi fosse stata tra le sue braccia prima di lei. E quante. Una? Più di una? Forse Jessica. Sì Jessica era più che plausibile, ma era anche vero che lui aveva navigato per un anno intero. Chissà, magari aveva avuto anche altre donne.
Spalancò gli occhi e cercò di guardare il volto di Abel. Non stava dormendo, ma aveva gli occhi socchiusi. Molto probabilmente si stava rilassando un po’ e le dispiaceva rompere quell’incanto, ma non riusciva a trattenersi. Doveva sapere.
- Abel – disse a quel punto, senza avere il coraggio di tirarsi su per guardarlo negli occhi.
- Mmmm – mugugnò lui, come se fosse stato sul punto di addormentarsi.
Georgie non si fece fermare da questo e continuò – Sai mi chiedevo, così per curiosità, ehm… beh… sì insomma… quante donne hai avuto prima di me? -.
Udendo quelle parole Abel perse ogni voglia di dormire  e spalancò gli occhi.
- Ma che razza di domanda è questa? – chiese lui confuso, tirandosi su seduto.
Georgie a quel punto si sedette anche lei e prese il lenzuolo, avvolgendoselo intorno al corpo. All’improvviso provò imbarazzo e sentì le guance arrossire leggermente.
Ma non volle demordere. Doveva sapere. Abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello interrogativo di lui, ma continuò – Beh è solo curiosità la mia. E poi non c’è nulla di male. Tu infondo sai che prima di te non ho avuto… beh sì… ero vergine… ma tu chiaramente hai avuto altre esperienze e così, così mi chiedevo con chi. Tutto qui… -.
Abel inarcò un sopracciglio e fissò Georgie con estremo stupore, come se avesse avuto due teste.
Ma che le stava passando per quella sua graziosa testolina? Che poteva rispondere ad una domanda così diretta? Era completamente spiazzato. Non sapeva proprio come gestire la situazione.
Amava Georgie alla follia, avevano appena fatto l’amore ed era stato magico ed ora, anziché ritrovarsi a coccolarla, avrebbe dovuto parlarle delle esperienze che lui aveva avuto prima di lei? Ma era forse impazzita? Non aveva senso. E gli dava parecchio fastidio.
Ma perché lei aveva tirato fuori quell’argomento proprio in quel momento così perfetto di intimità e serenità tra loro? Perché stava rovinando tutto con qualcosa che lui non riteneva neppure meritevole di importanza?
Scrollò il capo e le disse – Io proprio non ti capisco. Ho appena fatto l’amore con te e vuoi che ti parli delle altre donne? Ma che senso ha? Questo momento è solo nostro. Questa vita è solo nostra. Perché sprecare tutto parlando di cose che io non reputo degne di nessuna attenzione e che voglio dimenticare? -.
Georgie trovò il coraggio di guardarlo e di rispondergli – Non voglio rovinare nulla. Io semplicemente volevo sapere un po’ più cose su di te. Tu sai praticamente tutto di me, ma per me non è lo stesso. C’è un intero anno della tua vita che non conosco. Ed è stato un anno importante, perché sei diventato uomo. Hai navigato intorno al mondo e hai fatto esperienze di vita. Vorrei solo che le condividessi con me. Ecco tutto -.
Abel si mise una mano sugli occhi in segno di disperazione e le disse – Ma tu non mi stai chiedendo cosa ho fatto quando mi sono imbarcato. Mi stai chiedendo chi mi sono portato a letto. Vale qualcosa se ti dico che non mi va di parlarne e che nulla di quello che è successo in quell’anno per me ha avuto importanza? Perché vuoi sapere certi particolari?-.
Georgie si sentì arrossire ancora di più, ma gli tenne testa. Doveva sapere.
- Vedi Abel, tu sei così …beh così passionale, imprevedibile. Sei una persona incredibile, piena di vita. Tu non hai paura di essere quello che sei, di chiedere quello che vuoi. E poi vivi d’istinto, non ti fermi davanti a nulla. Se desideri una cosa ardentemente la devi avere. Come con me. Mi volevi, ma non potevi avermi perché io ti credevo mio fratello e… beh visto il tipo che sei, quanta passione e quanto impeto hai…beh è normale pensare che tu abbia comunque cercato una donna, anche se non ero io -.
Abel la guardò ancora più confuso e sconvolto, ma lei continuò – E poi ora posso dirlo con certezza. Tu sei un ragazzo che ha una certa fisicità. Tu non potresti non … beh non potresti trattenerti, tu sei … tu hai bisogno di… beh sì di fare l’amore. Sei fatto così. E non posso pensare che in tutti questi anni tu ti sia trattenuto. Lo capisco anche da come… beh da come sei… si vede che hai una certa esperienza e posso solo immaginare che qualcuno ti abbia insegnato a.. beh dai Abel, non credo che ci sia bisogno che io dica altro -.
Abel la fissò in silenzio per un istante e poi parlò.
- No Georgie. Non c’è bisogno che tu dica altro. Sei stata molto chiara – e dicendo queste parole Abel tolse il suo sguardò da lei, abbassando un po’ il capo.
- Mi stai dicendo, praticamente, che da come ti sto sempre addosso tu non puoi pensare che in passato sia riuscito a stare alla larga dalle donne. Giusto? E quando dici che sono un tipo passionale, vuoi dire che non penso ad altro che a fare l’amore e che proprio non riesco a trattenermi. Praticamente mi stai paragonando ad un animale in calore, incapace di gestire i suoi istinti e desideroso solo di soddisfare i suoi bisogni, giusto? -.
Georgie comprese che Abel era molto seccato. Lo facevano capire chiaramente le sue dure parole ed il tono aspro con cui le aveva pronunciate.
Si sentì in colpa e soprattutto si sentì stupida. Non pensava assolutamente quelle cose sul marito, ma era plausibile che lui avesse inteso quello.
Allungò una mano e gliela posò sulla spalla, con il timore che lui gliela scostasse bruscamente, ma non accadde.
Così trovò la forza per scusarsi con lui – Scusami Abel, non volevo farti arrabbiare. Non è questo quello che penso di te e tu lo sai -.
Lui scrollò la testa e le rispose – Non sono arrabbiato. Però sono deluso -.
Si voltò verso di lei e la guardò intensamente.
- Combatto con questa cosa da sempre – iniziò a spiegarle – Quando tu credevi di essere mia sorella e io morivo dentro per non poterti svelare la verità e dirti che ti amavo, sia Arthur che lo zio Kevin continuavano a dirmi che dovevo calmarmi. Che non dovevo essere egoista e che dovevo tenere i miei sentimenti per me. Che raccontarti tutto sarebbe stato un errore, perché ti avrebbe solo arrecato sofferenze. E io ogni volta stavo male, ma seguivo i loro consigli, perché tutto volevo, tranne che vederti soffrire. Ma una cosa mi dava fastidio. Il loro atteggiamento. Mi hanno sempre considerato quello che voleva portarti a letto. Quello che ti amava, ma solo da un punto di vista fisico, carnale. Pensavano che io fossi giovane, in preda ai primi turbamenti e che in realtà ti volessi per soddisfare le mie voglie, perché ero preda della tua bellezza. Lo hanno sempre pensato e non hanno mai fatto nulla per non darlo a vedere. Anzi, mi dicevano cosa era meglio fare, come se io fossi un animale chiuso in gabbia. Lo capivo dai loro sguardi  cosa pensavano di me.
Ma non era così, Georgie. Non lo è mai stato, ma loro non capivano. E questo mi feriva, ma lo accettavo perché in fondo non mi preoccupavo se loro non avevano davvero compreso la natura dei miei sentimenti per te. Ma oggi tu mi dimostri che la pensi come loro e questo mi devasta, perché avrei voluto trasmetterti altro, qualcosa di più profondo, ma non è così. Tu in me vedi solo un animale da monta. E questo mi ferisce, perché io in realtà vorrei essere molto di più, ma evidentemente so esprimere solo una minima parte di ciò che sento se sia Arthur, che lo zio Kevin, che tu pensate la stessa cosa di me -.
Georgie provò una vergogna immensa. Non voleva ferire Abel e non voleva che lui pensasse quelle cose. Era ovvio che lei comprendeva la natura dei suoi sentimenti e non li aveva mai banalizzati a qualcosa di puramente fisico. Doveva farglielo assolutamente capire. Non poteva vederlo così.
- Abel, non è questo che penso di te. Io ti conosco e comprendo appieno quello che provi per me. Io… - ma non ebbe tempo di finire che lui la interruppe.
- Georgie, ma lo sai che inferno ho vissuto io quando vivevamo in Australia come fratelli? – disse Abel guardandola con gli occhi lucidi.
- Per me è stato amore da sempre. Da sempre – continuò – Eravamo bambini e allora non potevo comprendere che cosa volesse dire amare, ma sapevo benissimo che tenevo molto a te, che volevo vederti felice, che non volevo che nessuno ti facesse soffrire e così era naturale per me starti accanto e proteggerti. E poi ho iniziato a provare qualcosa di più. Ti sentivo mia, come se nessuno potesse osare di avvicinarsi a te. Era un sentimento che non sempre tirava fuori il meglio di me, ma iniziavo a comprendere che non mi bastava volerti bene. Volevo di più, volevo che nessuno entrasse nelle nostre vite. E poi sono cresciuto e da lì in poi… beh …. Diciamo che ho iniziato a comprendere molto chiaramente che quello che provavo per te non aveva nulla di fraterno. Georgie io ti ho vista crescere, ti guardavo mentre ogni giorno che passava diventavi sempre più bella. E ho realizzato che non solo ti amavo, ma ti volevo. Ma non perché pensavo a fare l’amore con te. Inizialmente nemmeno sapevo che volesse dire. Però sentivo il bisogno di un contatto fisico. Un abbraccio, un bacio sulla guancia, la testa posata sulla spalla, stare mano nella mano, respirare il dolce profumo dei tuoi capelli, avvertire il calore della tua presenza accanto a me. Non era importante cosa, ma la sensazione che mi provocava il contatto, anche il più banale. Senza contare che nei momenti in cui eri felice per qualcosa e mi abbracciavi, facendoti stringere da me, io mi sentivo in paradiso. Sentire il tuo corpo contro il mio, il tuo calore che mi avvolgeva, sentirti tra le mie braccia mi stordiva. Avvertivo come una fitta allo stomaco, ma non un dolore, bensì una dolce sensazione. E poi il mio cuore iniziava a battere forte e mi sentivo strano. Strano ma incredibilmente vivo. Ecco. Era quella la fisicità che cercavo. Sentirti Georgie, semplicemente sentirti. Avvertirti con tutti i sensi. Per me era il massimo, la perfezione assoluta. Non c’entrava nulla con il desiderio di averti sessualmente. Semplicemente ero contento di poterti in qualche modo toccare, perché vedi per me è così. Per me quando si ama così tanto una persona, è naturale avere il bisogno di sentirla vicina. E così mi bastava anche toccarti per un istante. Come quella notte sotto la pioggia. Te la ricordi, vero Georgie? -.
Georgie lo stava ascoltando con molta attenzione, rapita da quelle parole che gli arrivavano dal più profondo del cuore. Era stupita, intenerita.
Alla sua domanda lei fece un cenno di assenso con il capo. Certo che si ricordava quella notte. E come poteva dimenticarla? Anche se lei all’epoca era convinta che Abel fosse suo fratello, quello che era successo tra loro l’aveva segnata. Aveva provato delle emozioni strane, molto forti e positive. Solo che era molto confusa, perché in Abel vedeva un fratello e quella notte aveva provato per lui un qualcosa che assolutamente non aveva nulla di fraterno. Pensò che fosse sbagliato e cercò di archiviare quell’avvenimento. Ma in realtà lo aveva sempre vivo nella memoria e nel cuore. E solo dopo aver scoperto la verità sulla sua adozione, aveva compreso appieno che quello che era successo fra loro quella notte aveva il suo perché.
A quel punto Abel le accarezzò il viso dolcemente e la guardò emozionato, malinconico e proseguì il suo discorso.
- Non dimenticherò mai quella notte, Georgie – disse quasi sussurrando.
La guardò intensamente per qualche secondo e poi continuò.
- Quanto avrei voluto dirti la verità. Dirti che non eri mia sorella, che ti amavo follemente. Ma non potevo. Sapevo che ti avrei causato un dolore e semplicemente non potevo. Ero frustrato, ma ho resistito e l’ho fatto solo per te, per non rovinarti la vita con un qualcosa di inaspettato. Alla fine la tua felicità e sempre venuta prima di quello che avrei voluto per me -.
E così dicendo, chiuse per un istante gli occhi e a Georgie non sfuggì la lacrima che gli rigò la guancia.
- Abel! – esclamò lei, stupita da quel pianto improvviso che lui non fu in grado di trattenere.
Ma dopo appena un istante, si ricompose subito, asciugandosi il volto con il braccio e, tornando a guardarla, riprese il suo discorso.
- Per me era così. Avrei voluto essere libero. Libero dalle menzogne, dal dovermi trattenere, dalla gelosia che mi attanagliava quando ti vedevo con qualcun altro e poterti finalmente dirti tutta la verità. Ma poi c’era sempre qualcosa che mi portava a fermarmi. Sapevo benissimo che se ti avessi detto tutto ti avrei resa infelice e quello mi avrebbe spezzato il cuore. Non potevo farti del male. Mai. E così ho taciuto, ho sofferto, ma ho continuato ad amarti segretamente. Perché per me non c’è alternativa. Non c’è mai stata. Io ti amo e finchè avrò vita ti amerò. Tu sei l’essenza delle mie giornate. E’ sempre stato così e lo sarà per sempre. Non riuscirei nemmeno a concepirla una vita senza te. Quando a Londra mi hai detto che amavi Lowell  e che per te ero solo un fratello, beh, credimi è stata molto dura. Era come se il mio cuore avesse ricevuto una pugnalata. Mille pugnalate. Ma ho rispettato la tua scelta solo perché amandoti per me era importante che tu fossi felice. Ma ho sofferto molto, perché tu ti sei allontanata da me e le mie giornate avevano perso la luce. Non c’era più gioia per me. Quando sei tornata nella mia vita e poi addirittura mi hai detto che se non potevi vivere con me, allora avresti voluto morire con me mi hai reso l’uomo più felice del mondo. Perché era esattamente quello che io provavo per te. Che provo per te. E dopo che ti ho avuta, avrei fatto qualunque cosa per difendere il nostro amore, la nostra felicità. Tu quel giorno non te ne sei resa conto, ma hai realizzato il sogno di una vita. Un sogno che ormai credevo perso per sempre. Sono rinato in quella cella e ho giurato a me stesso che mai e poi mai ti avrei persa di nuovo. Ora non sarei più in grado di vivere senza te Georgie, ti amo troppo -.
Georgie ascoltava incantata le parole del marito e i suoi occhi si inumidirono inevitabilmente.
Abel le accarezzò il viso e sorridendo le disse  - Se in passato ci sono state altre donne, credimi, è stata cosa da poco conto. Posso assicurarti che se anche ero lì con loro fisicamente, non ero presente né con la testa, né con il cuore. Quelli sono sempre stati tuoi. Io ho sempre pensato a te, sempre. Non mi interessava chi avevo accanto. Per me c’eri solo tu. E comunque posso giurarti che non è successo così spesso. Al contrario di quello che tutti pensano di me, non ho questo gran bisogno di avere rapporti sessuali. L’unica cosa di cui davvero avevo bisogno era amare ed essere ricambiato. Era vivere una vita felice con la persona di cui ero innamorato. E sì, perché no, fare l’amore. E queste sono tutte cose che potevo fare solo con te. Solo con te, Georgie -.
Georgie si sentì felice. Felice come non mai. Abel le aveva appena detto parole bellissime e lei sentiva il cuore colmo di tenerezza ed amore per lui.
Si sentì anche una stupida per essersi ingelosita e aver fatto quelle domande inopportune al marito.
Era ormai impossibile per lei trattenere un pianto liberatorio e si lasciò andare a quella emozione.
- Oh Abel – disse lei tra i singhiozzi – Scusami per come mi sono comportata. Sono stata una sciocca – e così dicendo si lanciò tra le sue braccia che, come sempre, la accolsero caldamente.
La strinse forte a sé e le baciò i capelli, sussurrandole all’orecchio – Non devi scusarti. Non è successo niente. L’importante è che tu capisca che per me sei la sola e l’unica. E’ te che amo e quello che provo per te è molto forte ed intenso e va al di là della semplice attrazione fisica. Tu sei molto di più Georgie. Tu per me sei come l’aria che respiro. Sei la mia vita -.
Restarono abbracciati ancora e poi si baciarono con dolcezza. Senza aggiungere parole, ripresero ancora una volta a fare l’amore. Era un momento molto speciale e non potevano celebrarlo che così. Amandosi intensamente. Diventando una cosa sola. Consapevoli che quello che li univa era un legame molto forte, un sentimento puro e raro. E nulla più avrebbe potuto metterlo in dubbio.
 
 
 
Dopo l’amore restarono nuovamente abbracciati, oziando tra le coperte.
Georgie decise che nulla più l’avrebbe turbata sul suo rapporto con Abel. Quello che lui le aveva detto poco prima le aveva fatto capire quanto fosse profondo il suo amore per lei e questo la rendeva felice e consapevole di non dover mai dubitare di avere rivali.
- Georgie – disse improvvisamente Abel.
Il suono della sua voce la ridestò dai suoi pensieri e spalancò gli occhi.
Abel si girò su un fianco e volle essere sicuro che lei lo guardasse, perché aveva una cosa molto importante da dirle.
- Ascolta, riguardo a quanto ci siamo detti prima – riprese lui – Avrei preso una decisione -.
Georgie si preoccupò. Che decisione c’era da prendere? Ormai avevano chiarito tutto. Lei nemmeno voleva ritornare a quel discorso. Aveva sbagliato a fargli quella domanda e se avesse potuto tornare indietro nel tempo, avrebbe tenuto la bocca chiusa.
- So che tu mi credi e che hai capito il senso delle mie parole – spiegò Abel – Ma per dimostrarti che tu sei molto più di un’amante per me e che io posso anche stare senza fare l’amore, beh vorrei che noi due rallentassimo un po’ -.
Georgie aggrottò la fronte. Non riusciva a capire che cosa intendesse lui.
Ma Abel prontamente riprese a spiegarle – Voglio dire che non dobbiamo per forza chiuderci in una stanza da letto. Guarda questo viaggio ad esempio. Lo passiamo qui a far l’amore tutto il tempo. Per me è bellissimo, ma se facciamo solo questo è normale che poi ti vengano dei dubbi su noi due e sulla natura del mio amore per te. Te lo ripeto. Non è solo il sesso che mi interessa. Con te voglio condividere tantissime cose, perché sei speciale per me. Nessuna potrà mai uguagliarti nel mio cuore ed è ora che ti dimostri questo anche con i fatti. Il letto può aspettare -.
Georgie non era convinta. Trovava assurdo che dovessero obbligarsi a non fare l’amore. Dovevano seguire quello che avevano nel cuore. Nessuno doveva dimostrare nulla.
Provò a spiegare ad Abel che questa sua teoria non aveva senso, ma lui era determinato a dimostrarle che lei non era solo desiderata da lui, ma soprattutto amata.
Si arrese, sperando che quella condizione potesse durare il meno possibile e poi, ritornando ad accoccolarsi tra le braccia di Abel, si addormentò beatamente.
Aveva vissuto troppe emozioni e aveva fatto l’amore a lungo. Aveva bisogno di un buon sonno ristoratore. E Abel si limitò a starle accanto senza disturbarla. Cullandola in quel dolce riposo.
 
 
 
Un raggio di sole filtrò dai vetri della grande finestra e andò a disturbare il sonno di Georgie, che pigramente tornò alla realtà.
Aveva ancora gli occhi chiusi, ma piegò le labbra in un lieve sorriso, ripensando alle ore trascorse con Abel e alle sensazioni meravigliose che aveva provato.
Senza aprire gli occhi, allungò un braccio facendolo scorrere sulle lenzuola in cerca di un contatto con lui, ma non lo trovò. Allora li spalancò e con una leggera delusione scoprì che Abel non era nel letto accanto a lei. Si tirò su, sedendosi sul grande materasso, facendo vagare lo sguardo per tutta la stanza, ma vide solo Junior accucciato accanto alla poltrona vicino al caminetto e Degeery Doo appollaiato come al solito sull’armadio. Ma di Abel  non c’era traccia.
- E’ uscito dalla cabina – pensò un po’ delusa.
Era strano che Abel non fosse lì con lei ad attendere il suo risveglio. Solitamente non usciva dalla stanza senza di lei. E a dire il vero nell’ultima settimana erano usciti pochissimo da lì.
Guardò la finestra e notò che il cielo era azzurro. Le nubi erano state spazzate via e finalmente si poteva vedere il sole.
- Forse ha visto la bella giornata ed è andato sul ponte – mormorò pensierosa.
Decise di vestirsi e dopo averlo fatto lasciò la stanza, dirigendosi verso il ponte della nave in cerca di Abel.
Appena uscì all’aria aperta non potè far a meno di soffermarsi a bearsi del tepore avvolgente che i raggi del sole le stavano regalando. Ma non appena si mosse andando di più allo scoperto, dovette afferrare fermamente il mantello che la avvolgeva, perché una folata di vento piuttosto forte la investì.
In effetti tirava molta aria e non era piacevole stare all’aperto. Tuttavia Georgie decise di restare e cercare suo marito. Doveva trovarlo.
Si guardò attorno e notò che non vi era molta gente sul ponte. Sicuramente i passeggeri preferivano rimanere all’interno della nave e non esporsi troppo.
Poi vide una persona seduta a prua e riconobbe nella figura girata di schiena i tratti familiari del suo amore.
Sorrise, felice di averlo individuato, e si avvicinò a lui.
Avanzando verso la prua, avvertì il vento farsi ancora più forte e ogni tanto era raggiunta da qualche spruzzo gelido di acqua di mare.
Ma nonostante le condizioni non proprio accoglienti, volle raggiungere Abel. Aveva l’impressione che qualcosa non andasse e voleva stargli vicino e parlare con lui.
 
 
 
Abel guardava l’orizzonte, incurante del vento che soffiava sul suo viso, scompigliandogli i capelli.
Era malinconico, assorto nei suoi pensieri e non badava alle condizioni climatiche, né a chi gli stava intorno, conscio  anche del fatto che poche persone erano rimaste sul ponte.
Improvvisamente si ridestò dalle sue riflessioni, avvertendo una presenza dietro di sé.
Si voltò e vide Georgie e subito il suo viso si illuminò e le regalò un sorriso che lei prontamente ricambiò.
- Ti sei svegliata – mormorò, guardandola teneramente.
Georgie avanzò, andandosi a sedere accanto a lui e annuì, rispondendo – Sì. Avevo completamente perso il senso della realtà. Ho dormito molto bene. Però ci sono rimasta male quando mi sono accorta che non eri accanto a me al mio risveglio – e così dicendo piegò le labbra in un lieve broncio, come quando era bambina e lui faceva qualcosa che non le andava.
Abel si lasciò scappare una risatina e la baciò.
- Scusami principessa, è solo che dormivi così beatamente che non volevo disturbarti. Ho visto che il sole aveva fatto capolino tra le nubi e ho deciso di uscire a prendere una boccata d’aria. Ne avevo bisogno – disse lui.
Georgie annuì e rispose – Solo che tira un vento fortissimo. Rimanere qui non è proprio saggio. Penso che sarebbe meglio rientrare -.
- Amo queste giornate – disse Abel distogliendo lo sguardo da lei e rivolgendolo verso il mare aperto.
- Quando mi sono imbarcato per fare il marinaio amavo molto starmene a prua durante le giornate ventose. Sai, c’erano momenti in cui avevo bisogno di stare un po’ da solo a riflettere e così mi isolavo dagli altri e mi sedevo, lasciando che il vento soffiasse su di me. Rimanevo così, inerme, a respirare l’aria di mare, inalando il suo profumo salmastro e poi pensavo. A te ovviamente. C’eri sempre tu nei miei pensieri in quei momenti. Quindi ho un bel ricordo di questo tipo di giornate, perché in qualche modo le lego a te. E ora mi piace assaporare di nuovo quell’atmosfera un po’ malinconica, ma al contempo dolce, anche se oggi ho la fortuna di averti accanto – concluse il suo discorso con aria sognante, sempre con lo sguardo fisso sull’orizzonte.
Poi di scatto si voltò, riportando il suo pensiero alla realtà e le disse preoccupato – Tu però non devi stare qui. Fa freddo, tira vento. Non è il posto adatto per una ragazza incinta -.
Georgie lo guardò e girò per un istante gli occhi al cielo – Guarda che sono incinta, mica malata. Non è una condizione precaria la mia, anzi mi sento benissimo. E non sarà certo un po’ di vento a farmi male. Forse non lo sai, ma noi contadine siamo ragazze forti – e concluse la frase con un sorriso, strizzandogli un occhio.
Abel sorrise e l’abbracciò, tirandola verso di sé.
- Lo so che sei una ragazza in gamba e in salute – le disse all’orecchio – Però mi preoccupo per te e per il nostro bambino. Credo che startene al caldo sarebbe più saggio -.
- Stiamo ancora un po’ qui, se ti fa piacere – rispose allora lei – Posso resistere ancora un po’. Però tu devi dirmi cosa ti turba e a cosa stavi pensando. E non mentirmi dicendo che va tutto bene, perché non la bevo. Ti conosco troppo bene -.
Abel spostò per un istante lo sguardo da lei, come per non permetterle di leggergli troppo nell’anima. Era perfettamente conscio del fatto che lei lo conosceva a menadito e aveva compreso che qualcosa non andava in lui.
Poi tornò a guardarla e disse – Non posso proprio tenerti nascosto niente, eh? -.
Georgie gli prese il volto tra le mani e rispose – No, non puoi. Parla con me Abel, confidati. Voglio che tu sappia che io sono qui. Ci sono e ci sarò sempre per te -.
Abel le afferrò una mano con dolcezza e girando il volto la baciò.
- Grazie – mormorò. Poi la guardò con aria triste e disse – Sai stavo pensando a quando arriveremo a casa. Sarà sicuramente una bella sensazione, ma credo che sarà anche molto strano -.
Georgie annuì e iniziò a capire quello che passava per la testa di Abel, rendendolo così malinconico.
- Insomma – continuò lui, deciso ad aprire il suo cuore alla moglie – L’ultima volta che ho visto casa mia c’erano Arthur e la mamma ed ora… - si fermò un attimo, la voce rotta dall’emozione e gli occhi umidi – Ora sarà vuota e questo mi rattrista e fa riaffiorare il mio senso di colpa -.
Georgie comprese il dolore che stava provando Abel e cercò di aiutarlo, facendogli capire che non era solo.
- Ti capisco perfettamente, amore – disse lei a quel punto, abbassando lo sguardo – Provo lo stesso sconforto e anche io mi sento in colpa. Me ne sono andata senza dire nulla, senza salutare. Se penso alla mamm…ehm… a tua madre… beh sai, la vedo ancora in piedi davanti alla porta di casa che mi dice che non sono sua figlia. E’ quella l’ultima volta che l’ho vista ed è strano, perché non è un bel ricordo quello e non è giusto. Perché anche se lei era molto arrabbiata con me, un po’ la capisco e non la giudico. E poi in realtà ho un sacco di bei ricordi legati a lei. Infondo mi ha cresciuta e non mi ha mai fatto mancare nulla. Mi dispiace tantissimo di non averle potuto parlare almeno un’ultima volta. Le avrei detto che non ce l’avevo con lei e che le ero molto grata per tutto quello che aveva fatto per me. E invece ho il rimorso di non averla più vista, di non averla più salutata. Senza contare che mi sento in colpa anche per Arthur. Quindi sai, anche per me sarà davvero molto strano tornare a casa e non trovarli lì ad attendermi -.
Abel le portò un dito al mento, tirandole su il viso e guardandola cercò di rassicurarla.
- Non devi rimproverarti di nulla – le spiegò – Eri sconvolta e ti sentivi spaesata. Fuggire era l’unica soluzione plausibile. Non devi affliggerti per questo. Invece per me è diverso. Sono stato impulsivo e me ne sono andato di casa senza dire nulla. Sono stato egoista. Non ho salutato mia madre, non le sono stato accanto quando è stata male e non c’ero quando è morta. Ovviamente il peso di tutto se l’è portato Arthur da solo e guarda come è andata a finire. Se avessi aspettato a partire forse oggi Arthur sarebbe ancora con noi. Innanzitutto gli sarei stato vicino quando la mamma è morta e poi saremmo potuti partire insieme per Londra e magari le cose sarebbero andate diversamente. Magari non sarebbe mai finito in casa del duca Dangering, non avrebbe mai dovuto vivere quell’inferno da solo e ora sarebbe ancora vivo – e così dicendo, si lasciò sfuggire una smorfia di dolore e pianse.
Georgie capì che Abel non riusciva a perdonarsi la morte di Arthur. Cercava con ogni forza di mettersi tutto alle spalle, ma il passato riaffiorava di tanto in tanto e lui non riusciva a non farsi travolgere dal senso di colpa. Abel amava suo fratello ed era comprensibile che non potesse accettare la sua morte, ma lei doveva aiutarlo a venirne fuori. Lo avrebbe fatto ad ogni costo.
Gli prese nuovamente il volto tra le mani e fece in modo che lui la guardasse.
- Abel, non sei solo. Ci sono io con te – disse fissandolo intensamente – Non hai colpe per quello che è successo. Gli unici colpevoli sono le persone che hanno fatto del male ad Arthur. Tu lo hai sempre amato e non puoi affliggerti così. Non hai potuto fare nulla per lui, ma ci hai provato mettendo a repentaglio la tua stessa vita. E’ normale che tu soffra per la sua morte, ma non portare un fardello così pesante. Non lo meriti. Non è tua la colpa. E comunque sappi che ti starò vicino. Ci sarò sempre e potrai parlare con me e sfogarti. Vinceremo questa cosa insieme, te lo prometto -.
Abel si sentì pervadere da una fortissima emozione. Era così grato di avere Georgie con lui. Sapeva comprenderlo come nessun altro e stare con lei, sentire le sue parole consolatorie, lo faceva stare un po’ meglio.
Era un angelo, un meraviglioso angelo. La strinse forte a sé e le sussurrò all’orecchio, vinto da uno strano miscuglio di dolore e gioia – Ti amo, Georgie. Ti amo tantissimo -.
Georgie si sciolse in quel caldo abbraccio e lo ricambiò con tutta la forza che aveva, gettandogli le braccia al collo.
- Anche io ti amo – rispose tra le lacrime che ormai avevano iniziato a sgorgare incontrollate.
Rimasero così, abbracciati, cercando di riprendersi da quel turbinio di emozioni, mentre il vento continuava imperterrito a soffiare.
Quando si furono calmati, restarono a guardare il mare, felici di condividere quel momento così toccante.
Improvvisamente udirono un frastuono e si voltarono di colpo, spaventati.
Il vento aveva sciolto il nodo di una corda che fissava delle botti, le quali iniziarono a rotolare sul ponte della nave. Un gruppo di marinai intervenne immediatamente, ma il peso delle casse era notevole e gli uomini avevano difficoltà a gestire l’imprevisto.
- Vado ad aiutarli – esclamò a quel punto Abel e rivolgendosi a lei aggiunse – Tu aspettami qui e non ti avvicinare. Se una botte dovesse travolgerti, potresti farti del male -.
Georgie annuì e restò a guardare il marito aiutare i marinai.
 
 
 
- Siete proprio una bella coppia – disse ad un certo punto una voce alle sue spalle.
Georgie si voltò a guardare con aria interrogativa chi avesse pronunciato quella frase e si trovò davanti una signora anziana, molto elegante, che la fissava con un gentile sorriso sulle labbra.
- E’ il tuo fidanzato? – chiese ancora la donna.
- No – rispose Georgie – E’ mio marito -.
La signora si avvicinò con aria stupita e disse – Vi siete sposati molto giovani. Complimenti -.
- Già – disse Georgie arrossendo – Abbiamo fatto le cose un po’ di corsa, ma siamo felici così -.
La donna si sedette accanto a lei e riprese a parlare – Vedo che siete molto uniti. Avete fatto bene a sposarvi. Quando ci si ama non si deve aver paura, ma si deve osare -.
Poi si girò di scatto verso Georgie e disse – Tu penserai che sono un’impicciona e forse è così, ma quando vedo una giovane coppia innamorata non posso fare a meno di soffermarmi ad osservarla. L’amore è una cosa così bella e quando vedo qualcuno innamorato come lo siete voi uno dell’altra non posso fare a meno di dire la mia -.
Georgie sorrise a quelle parole. Forse la signora era un po’ intromettente, ma era simpatica e non le dispiaceva chiacchierare con lei.
- E poi – riprese la donna – Tuo marito è proprio un gran bel ragazzo. Scommetto che passerete tutto il viaggio chiusi in camera da letto, eh? – concluse, facendole l’occhiolino in segno di intesa.
Georgie rimase spiazzata dalla sua sfrontatezza e arrossì di colpo. In fondo quella era un’estranea e non si sentiva a suo agio a parlare di cose così intime con lei. Anche se a dire il vero la signora aveva fatto centro con la sua intuizione e questo mandava la povera Georgie in completa crisi.
- Ma… ma che dite – bofonchiò completamente imbarazzata – Non …. Beh, non sono cose da dire queste, io… - ma si interruppe senza sapere come finire la frase, completamente spiazzata dall’audacia di quella donna.
La signora dal canto suo comprese l’imbarazzo di Georgie e rise.
- Ma non devi vergognarti, cara – esclamò allora la donna – Non c’è nulla di male in questo. Cos’è? Vi siete sposati da poco e tu sei ancora vergine? -.
Georgie si sentì paonazza in volto. Ma che razza di domande erano quelle?
- No – riuscì a rispondere nonostante tutto – Non è quello…. Anzi, sono incinta. Però nemmeno vi conosco, non riesco a parlare di certe cose…-.
La signora a quel punto sorrise e battè le mani eccitata.
- Aspetti un bambino! Ma che meraviglia! – e poi avvicinandosi a lei e abbassando la voce, aggiunse – Quindi presumo che ti sia sposata così giovane perché …. Ehm … hai fatto un matrimonio riparatore, eh? -.
Georgie si girò a guardarla con gli occhi e la bocca spalancata. Questa donna era completamente sfrontata! Ma che cosa osava dirgli? Matrimonio riparatore?
La donna la guardò con aria complice e aggiunse – Non sei quest’angioletto che sembri, eh? Anzi, direi che sei proprio una monella! Ma del resto come potrei darti torto? Guarda che bel pezzo di figliolo hai tra le mani! -.
Georgie era completamente in preda alla vergogna. Non sapeva più che pensare di quella tizia.
Ma poi si rilassò e pensò che alla fine, pur essendo bizzarra, le sembrava una brava persona e iniziò a ridere per la strana situazione in cui si trovava.
La donna era lieta che Georgie si stesse un po’ lasciando andare. Voleva solo chiacchierare e non intendeva metterla in imbarazzo.
- Penserai che sono una tipa strana – disse a quel punto la signora – E che non mi faccio gli affari miei -.
Georgie non osò rispondere, anche perché in effetti era proprio quello che pensava, ma si limitò a guardarla.
- Vedi non sono mossa da cattive intenzioni – continuò la donna – Mi piace vedere le giovani coppie innamorate e faccio domande perché mi piace parlare e non ho nessuna inibizione sull’amore. Sono fatta così. Sono come mia madre. Lei era una donna particolarmente disinibita e aperta e mio padre diceva sempre che gli faceva fare brutta figura perché parlava troppo, ma non era così. Era una donna solare e sono contenta di assomigliarle. Anche a me piace parlare e non mi trattengo. Che ci posso fare? Sono sempre stata così per una vita intera, vorrai mica che provi a cambiare ora che sono vecchia, ti pare? E poi sono spesso sola, così quando incontro qualcuno che mi ispira simpatia, inizio a chiacchierare. Scusami se ho fatto battute scomode. Non lo faccio con malizia, credimi -.
Georgie le sorrise e disse – Non vi preoccupate. Non è successo nulla. Anche voi mi siete molto simpatica -.
La donna ricambiò il sorriso e riprese il suo discorso – Quando vedo dei ragazzi innamorati come lo siete tu e tuo marito, beh sai non posso fare a meno di pensare al mio di marito -.
Improvvisamente Georgie notò che l’espressione della sua nuova amica si era fatta più seria, triste.
- Mi manca così tanto – riprese a raccontare – E’ morto due anni fa e da allora la mia vita è cambiata. Sai, vi guardavo prima e in voi ho rivisto noi da giovani. Eravamo così uniti, così innamorati. E’ stato un meraviglioso compagno di vita. Non rimpiango niente. Sono grata di aver trascorso i miei anni con lui. E’ solo che ora, dopo tanto tempo passato in sua compagnia, sono sola e questo mi lascia un grande vuoto dentro. Mi manca tantissimo. Amavo tutto di lui. Ora ho perso la gioia di vivere. Abbiamo avuto due figli, un maschio ed una femmina e sono loro l’unica ragione per cui non ho seguito mio marito. Mi hanno dato dei nipoti, sai? La femmina si è sposata per prima e ha tre figli, mentre il maschio è diventato papà da poco di una bellissima bimba. Adoro quei bambini, riempiono le mie giornate. Ma poi, quando alla sera resto sola, non posso fare a meno di pensare a mio marito e a quanto mi manca. E così dico a me stessa che sarei pronta in qualunque momento a dipartire, se il Signore mi chiamasse. Infondo la mia vita l’ho vissuta e l’ho fatto appieno. Sono piuttosto vecchia io, sai? E poi ho avuto tante gioie dai miei figli e dai miei nipoti. Non potrei chiedere di più. Se dovessi andarmene non avrei rimpianti su questa terra. Anzi, sarei pronta a ricongiungermi con il mio grande amore -.
E dicendo queste parole, si asciugò con un fazzolettino di lino una lacrima che le stava rigando la guancia rugosa.
Georgie la stava fissando, rapita dal suo racconto e amareggiata, perché aveva compreso il suo dolore.
Le mise una mano sulla spalla in segno di conforto e la donna si voltò a guardarla sorridendo, lieta per quel gesto.
- Ascolta un consiglio da una vecchia, cara la mia biondina – disse a quel punto la donna – Vivi la vita intensamente. Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, perché non si può mai sapere cosa il destino ha in serbo per noi. E ama tuo marito. Amatevi senza remore e assaporate la bellezza dello stare insieme. La vita è un viaggio ed è importante farlo con una persona per cui ne valga veramente la pena. Non avere mai timori o indugi. Amalo senza riserve e fatti amare allo stesso modo. Non avere rimpianti tesoro, perché potresti pentirti. Lasciati andare e goditi ogni istante che passi con lui. Te lo dice una persona che ha esperienza. Fidati di me. E’ l’unico consiglio che mi sento di darti. Non ci conosciamo, ma in te vedo me da giovane. Quindi mi permetto di dirti quello che credo sia giusto fare -.
Poi sorrise e le diede una lieve carezza, quasi materna.
- Ora me ne torno dentro – esclamò – Sono troppo vecchia per starmene qui a farmi strapazzare dal vento. Ti auguro un buon pomeriggio, tesoro – e così dicendo, si congedò da Georgie, lasciandola seduta a fissarla mentre si allontanava.
- Che strano incontro – pensò a quel punto Georgie.
Quella donna l’aveva colpita molto. Era piuttosto loquace e disinibita, ma dietro quella facciata di allegria nascondeva un grave lutto e un grande dolore. Le dispiaceva vederla così e pensare a quanto stesse soffrendo.
E fu inevitabile pensare a lei e ad Abel. Anche lei avrebbe potuto essere sola in quel momento.
Se il duca Dangering fosse riuscito ad uccidere Abel quel maledetto giorno, lei sarebbe rimasta sola. Non avrebbe potuto assaporare la gioia di stare con lui, di far ritorno in Australia insieme e di crescere il loro bambino insieme.
Sarebbe stato terribile, un colpo troppo duro da sopportare.
 
 
 
- E’ stata dura ma ce l’abbiamo fatta – disse Abel soddisfatto, che nel frattempo aveva aiutato i marinai e l’aveva raggiunta.
Georgie lo guardò con una calda luce negli occhi e gli sorrise.
- Non ti sei dimenticato come si lavora su una nave – disse, mentre lui si sedeva accanto a lei.
- Beh certe cose non si possono dimenticare e poi adoro le navi e solcare i mari. E adoro ogni lavoro che c’è da fare durante la navigazione. E’ stato bello aiutare quei ragazzi. Mi sono sentito di nuovo un lupo di mare – disse abbracciandola.
Georgie continuava a pensare alle parole della donna con cui aveva chiacchierato poco prima e lo guardò intensamente, sentendosi più innamorata che mai.
- Abel – disse riportando la concentrazione di lui su di sé – Devo dirti una cosa molto importante -.
Lui la guardò interrogativo.
- Sai la decisione che hai preso prima, mentre eravamo in camera nostra? – iniziò lei.
- Quale decisione? – chiese lui sempre più confuso.
- Quella che avremmo dovuto rallentare nel nostro rapporto e non fare troppo spesso l’amore. Ricordi? – disse lei.
Abel annuì – Certo che mi ricordo. E sono fermamente deciso a mantenerla. Ti dimostrerò che si sono sempre sbagliati tutti, che posso fare anche a meno di amarti fisicamente. Non sono un animale e ti porto rispetto -.
- Mmmmm – disse Georgie a quel punto – Beh, vedi di cambiare idea e alla svelta per di più, perché io non sono assolutamente d’accordo con te. Anzi credo che sia una decisione assurda e stupida. E che non potrà mai funzionare veramente, perché non ha senso, fa acqua da tutte le parti -.
Abel la guardò stupito e disse – Ma Georgie, se proprio tu prima dicevi che io sono il tipo che non riesce a stare senza fare l’amore con una donna… -.
Georgie sospirò e rispose - Senti, è stato molto stupido da parte mia andare a rivangare il passato. E’ solo che ti amo e … lo devo ammettere … sono gelosa. Mi da fastidio pensarti con un’altra donna, ma non ha senso perché comunque sono cose che sono avvenute prima. Ora siamo insieme e io mi fido di te e so quanto mi ami. Lo avverto con tutti i sensi. E non voglio che tu ti ponga limiti, solo perché lo zio Kevin e Arthur si sono fatti un’idea sbagliata sulla natura dei tuoi sentimenti. Loro non potevano capire davvero, ma io sì. Sono l’unica che può giudicare il nostro rapporto e quello che tu provi per me e ti posso assicurare che non ho mai pensato che tu mi volessi solo fisicamente. Il tuo amore è talmente intenso che mi avvolge completamente. Sento quanto mi ami e so che è un sentimento molto profondo. Non devi dimostrarmi nulla che io già non sappia. E non voglio nemmeno che ci dobbiamo trattenere dall’amarci liberamente in nome di un perbenismo che non ci appartiene -.
Abel la ascoltò con molta attenzione, conscio del fatto che sua moglie aveva ragione.
- Sai a cosa pensavo poco fa? – continuò Georgie  - A quanto siamo fortunati ad essere qui insieme oggi. Perché se ci pensi bene, io avrei potuto essere su questa nave da sola -.
Abel annuì, comprendendo benissimo a cosa si riferiva Georgie.
- Sei vivo per miracolo. Non so nemmeno come abbiano fatto i proiettili a non colpire il tuo cuore. So solo che quando ti sei risvegliato ho giurato a me stessa che non avrei più sprecato il mio tempo con te. Lo avevo già fatto fin troppo. Volevo solo vivere con te ed essere felice. E ora sto ripensando a quei momenti e sono decisa a tener fede a quella promessa. Non si sa mai cosa ha in serbo il destino per noi, quindi non voglio avere rimpianti. Non devono esistere barriere di nessun tipo tra di noi. Dobbiamo apprezzare ogni singolo attimo che trascorriamo insieme e fare quello che ci sentiamo nel cuore -.
Abel le sorrise e le disse – Hai ragione. Chi se ne importa di quello che pensano gli altri! Contiamo solo noi due - .  
E dopo queste parole la baciò con gentilezza. Georgie si abbandonò completamente a quel bacio, che intanto si stava facendo sempre più intenso.
- Mi sa che sarebbe meglio ritirarci nella nostra camera – disse allora Abel, staccandosi per un istante da lei e guardandola con gli occhi che tradivano un forte desiderio.
Georgie sorrise e felice rispose – Ora sì ti riconosco! Ed è così che ti voglio! -.
Si alzarono dalla panca e tenendosi per mano rientrarono all’interno della nave, consapevoli di amarsi come non mai.
 
 
 
TBC….

 

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Capitolo 17
*** Finalmente a casa ***


 17  - Finalmente a casa!

 
- Se non ci sbrighiamo rischieremo di non vederla! – disse Georgie in preda ad un’insolita fretta, mentre sollecitava Abel che stava finendo di vestirsi.
- Ma di cosa ti preoccupi? Tanto sarà comunque lì, non andrà da nessuna parte – disse Abel abbottonandosi la camicia.
Georgie continuava a girare avanti e indietro nervosamente per tutta la cabina, incapace di attendere oltre. Voleva assolutamente uscire sul ponte della nave e guardare all’orizzonte. Stavano per arrivare a Sidney e voleva essere la prima a vedere la terra far capolino dal mare. Tardare anche solo di qualche istante non era accettabile per lei. Doveva vedere la sua amata Australia spuntare all’orizzonte per prima.
- Dai – disse Abel sbuffando – Sono pronto, possiamo andare -.
Quando uscirono all’aria aperta , Georgie sorrise felice.
Finalmente il tempo era cambiato. Il sole risplendeva nel cielo limpido e non c’era più traccia di vento gelido o di pioggia battente, come invece succedeva spesso a Londra. Quello mite dell’Australia era il clima a cui lei era abituata. Stavano per arrivare a casa e il cuore le batteva forte nel petto per la gioia.
Corse  verso la prua ridendo e sperando che la terra non si intravedesse di già. Voleva assolutamente gustarsi l’immagine della sua Australia che pian piano spuntava dal mare.
Abel la guardò correre come una bambina impaziente e sorrise. Forse la sua Georgie stava un po’ esagerando, ma tornare a casa rendeva molto felice anche lui.
La raggiunse a prua, mettendosi dietro di lei, tirandola verso il suo torace e cingendole le braccia alla vita.
Da dietro, avvicinò le labbra al suo orecchio, sussurrandole gentilmente – Hai visto testona che avevo ragione io? Non c’era bisogno di avere fretta, siamo arrivati in tempo. La terra non si vede ancora -. E così dicendo la strinse forte a sé, inalando il dolce profumo dei suoi capelli che risplendevano dorati al sole e posandole un delicato bacio tra l’orecchio e la guancia.
Georgie si sentì venir meno a quel contatto. Le sue braccia che la stringevano, il suo alito caldo all’orecchio, la sua voce gentile, quel bacio… Si sentì avvolgere da un dolce calore e il suo stomaco improvvisamente divenne liquido, come se si stesse sciogliendo, e le gambe divennero inconsistenti, incapaci quasi di sorreggerla.
Avevano passato i due mesi di viaggio per mare ad amarsi appassionatamente, eppure ogni volta che lui la toccava per lei era come la prima. Sapeva solo che riusciva a perdersi completamente in lui. Le faceva provare emozioni così forti che avevano il potere di stordirla.
Cercò di riprendersi e sorridendo gli rispose – Vedrai che tra poco la vedremo. Se aspettavo te saremmo venuti sul ponte mentre la nave entrava in porto! -.
Abel ridacchiò a quelle parole e la strinse ancor di più.
- Sì, fai la furba. Ma questa sera non avrai scampo, quando saremo a casa nel nostro letto – disse lui, mentre la voce si fece più roca per il desiderio di poterla finalmente avere tutta per sé nella loro dimora di sempre.
Georgie arrossì a quelle parole, ma non ebbe tempo di rispondere che Abel le girò il volto da un lato e la baciò intensamente.
- Finalmente il nostro futuro è diventato il presente – sussurrò poi Abel, staccandosi da lei – Non vedo l’ora di iniziare la nostra vita -.
Georgie lo guardò, perdendosi nei meravigliosi occhi blu che la stavano fissando. Era così bello e anche lei non desiderava altro.
- Per me è lo stesso, Abel – trovò infine la forza di rispondergli – Ho tanta voglia di tornare a casa anche per questo. Per noi -.
Dette queste parole, Georgie tornò a volgere il suo sguardo all’orizzonte, mentre Abel riprese a baciarle dolcemente il collo.
Era come ipnotizzata dalle attenzioni di lui, si sentì come avvolta da un dolce torpore, ma nonostante questa piacevole distrazione che Abel le stava fornendo, in quel preciso istante notò qualcosa all’orizzonte, qualcosa che prima non c’era e sgranò gli occhi, allungando una mano e indicando un punto lontano.
- Abel! Abel! Guarda, è laggiù, ora si vede! – urlò all’improvviso.
Abel, un po’ a malavoglia, staccò le labbra dal collo di lei e guardò il punto indicato da Georgie.
Strizzò gli occhi per vedere meglio e disse – Georgie, non si vede ancora nulla -.
- Ma sì Abel, guarda bene – insistette lei, trepidante per l’emozione.
Abel si sforzò di guardar meglio e le chiese – Intendi quella nebbiolina bluastra all’orizzonte forse? -.
- Esatto! Quella è la terra. E’ l’Australia! – rispose lei, mettendosi a saltellare per la gioia.
Abel ridacchiò a quella reazione spontanea e disse – Sicuramente è la terra, ma per ora non si vede ancora bene. Forse tra un po’ la macchia sarà più nitida, ma per adesso…. – ma non ebbe modo di finire la frase che lei lo zittì immediatamente.
- Non dire stupidaggini! Quella laggiù è l’Australia! Si capisce benissimo! – esclamò lei radiosa.
Abel scoppiò a ridere e poi, riprendendola tra le braccia, le disse – Come vuoi amore, quella è chiaramente l’Australia e tu sei la prima in tutta la nave ad averla avvistata e… - si fermò un istante a contemplare la bellezza di Georgie in quel momento - …. e io ti amo alla follia – concluse.
Georgie, ancora rapita da ciò che stava spuntando all’orizzonte, a quelle parole si voltò a guardarlo e, sorridendo, gli rispose – Anche io ti amo alla follia… e anche di più! -.
Si baciarono dolcemente, assaporando quel magico momento. Si amavano, erano insieme, felici e pronti ad iniziare un nuovo capitolo della loro vita in quella amata terra che finalmente, dopo tante disavventure, si stava preparando ad accoglierli.
 
 
 
 
- Hai preso tutto? – chiese Abel, mentre lui e Georgie si apprestavano a lasciare la cabina che li aveva ospitati negli ultimi due mesi.
Georgie aveva raccolto tutta la loro roba e aveva anche dato ordini  a Junior e Deegery Doo, in modo tale che anche loro fossero pronti per sbarcare. Aveva veramente voglia di scendere da quella nave e tornare finalmente a casa.
Prima di uscire si soffermò davanti al grande specchio che conteneva tutta la sua figura per controllare come le stava il vestito che aveva indossato. Un abito bello ma al contempo semplice. Stava tornando alle sue origini e sinceramente, anche se adorava gli abiti che suo padre le aveva acquistato, non vedeva l’ora di tornare ad indossare le vesti da contadina, proprio come una volta.
Nel contemplarsi allo specchio, si mise di profilo e fece scorrere una mano sul suo ventre.
- Ormai si vede che aspetto un bambino – disse, valutando il suo corpo con attenzione.
Abel si appoggiò al muro, con il sorriso sulle labbra e la guardò attentamente da capo a piedi.
- Eh sì – disse soddisfatto fissandole il pancino che iniziava a spuntare – Il nostro piccolino, o piccolina che sia, non si nasconde più -.
Georgie si voltò a guardarlo con un velo di preoccupazione e chiese – Dici che sto diventando grassa?  -.
Abel la guardò stupito e, ridendo, rispose – Ma che vai a pensare! E’ una pancia appena accennata! Non sei affatto grassa -.
- Beh ma questo è solo l’inizio – continuò lei seria – C’è poco da ridere, sai. Al tuo corpo non capiterà nulla, ma io ingrasserò tantissimo e scommetto che non mi troverai più tanto bella -.
Abel era confuso. Come mai di colpo a Georgie interessavano cose così futili? Lei non era certo il tipo.
- Ma Georgie, è normale che a una donna incinta cresca la pancia. Ma non perché ingrassa, ma perché porta dentro di sé un figlio. Georgie è una cosa meravigliosa, non devi preoccuparti degli aspetti futili di una gravidanza, ma concentrarti solo su ciò che davvero conta, ossia il bambino – disse lui per rincuorarla.
E vedendo che lei non sembrava convinta, continuò – E poi tu sei bellissima con o senza il pancione. Senza contare che dopo che il bambino sarà nato tornerai esattamente come prima. Non farti problemi inutili -.
Georgie si voltò nuovamente verso lo specchio, valutando ancora la sua figura e pensando a come sarebbe diventata da lì a qualche mese.
- Mmmm, sarà Abel, ma non sono convinta. Diventerò enorme, come una botte. Avrò le caviglie gonfie, la schiena a pezzi e sarò sempre stanca e nervosa. E tu finirai col guardare le altre ragazze – disse sconsolata.
Abel spalancò gli occhi per lo stupore.
- Ma cosa stai dicendo? – esclamò attonito – Secondo te dopo una vita intera passata nella speranza di poterti confessare il mio amore ed essere ricambiato, ora che ho finalmente  realizzato il mio sogno, mi comporterei davvero in modo così squallido? -.
Georgie lo guardò senza proferire parola e lui continuò.
- Signorina, non ho mai messo gli occhi su un’altra ragazza prima e pensi che lo farei ora? E poi dove la trovo una meglio di te? Non me ne importa nulla della pancia, delle caviglie gonfie e della schiena a pezzi. Tu sarai sempre la più bella. Le altre per me nemmeno esistono – disse molto seriamente Abel.
- E … e se rivedessi Jessica, magari snella e bellissima? Sei sicuro che …. – ma Georgie non ebbe modo di finire la frase che lui la interruppe.
– Jessica? Cioè, tu mi vuoi dire che hai paura di ingrassare e perdere il confronto con Jessica? – esclamò attonito.
Georgie annuì timidamente e sussurrò – Non è che voglio mettermi in gara con lei ai tuoi occhi, ma è anche vero che Jessica è una ragazza molto bella e poi è stata la tua fidanzata. Se io diventassi una balenottera senza grazia…beh… forse sarei un po’ preoccupata che tu potessi incontrarla e ..beh confrontarla a me e so che a quel punto ci perderei -.
Abel la afferrò per le spalle e la guardò negli occhi, assicurandosi che lei capisse bene le sue parole.
- Allora Georgie – disse – Jessica innanzitutto non è stata la mia fidanzata. Sai che non voglio tornare sul passato, già te l’ho spiegato, ma ti posso assicurare che lei non ha rappresentato nulla di importante. E poi vuoi paragonarti a lei? Tu sei mille volte meglio. Sei un angelo, un raggio di sole, sei fresca, bellissima, pulita. Sei completamente diversa da lei e non devi mai avere dubbi su dove si andrebbe a posare la mia scelta. Solo su di te, perché nemmeno la prenderei in considerazione. Stai tranquilla su questo. Non la cercherò Georgie. Se questo ti preoccupa ti assicuro che non andrò mai a cercarla e se mi dovessi imbattere per caso in lei, beh cambierei strada. Quella ragazza è piuttosto volgare e pure maligna e sinceramente mi pento di aver perso del tempo con lei in passato. Ma ora ti posso giurare che nemmeno mi ricordo più il suo viso. Ho occhi, mente e cuore solo per te -.
Poi la girò verso lo specchio, in modo tale che entrambi potessero guardare la sua immagine riflessa.
- Sai cosa vedo se ti guardo? – continuò lui – Vedo una ragazza bellissima che aspetta un bambino. E posso solo pensare che con il passare del tempo questa bellezza potrà solo aumentare. Hai un’eleganza e una classe non comuni, amore mio. Jessica e qualunque ragazza nelle vicinanze può solo perdere se messa a confronto con te. E sarai così anche con l’avanzare della gravidanza.  Te l’ho detto mille volte e te lo ripeto ancora. Tu sei e sarai sempre la più bella. L’unica che mi ha rubato il cuore -.
Georgie sorrise a quelle parole e si voltò a baciarlo dolcemente.
- Grazie – sussurrò – So che la gravidanza è un dono del cielo e che quello che conta siamo solo noi e il bambino. E non voglio sembrarti frivola, ma a volte se penso alle trasformazioni a cui sta andando incontro il mio corpo…beh ho  qualche timore. Ma sono fortunata ad averti al mio fianco -.
Abel la accarezzò e le disse – No, io sono fortunato ad averti con me -.
Rimasero abbracciati ancora un po’, poi Abel si scostò da lei e disse – Allora, non avevi voglia di scendere? Ora che siamo quasi arrivati vuoi rimanere qui dentro a parlare di stupidaggini? Pensavo che volessi essere sul ponte per il nostro arrivo nel porto -.
Georgie sgranò gli occhi preoccupata. Era vero. Ma che stava facendo? Doveva assolutamente andare sul ponte della nave e vedere l’arrivo a Sidney.
- Oh cielo! – esclamò all’improvviso – E’ vero! Dobbiamo assolutamente andare! -.
Si sistemò ancora un istante il vestito e poi girandosi verso Junior e Deegery Doo disse – Allora ragazzi, siamo pronti? -.
Junior abbaiò e iniziò a scodinzolare felice, mentre Deegery Doo sbattè le ali, ripetendo – Georrrgie ti amooo! -.
Abel ridacchiò e le disse – Sì tesoro, direi che siamo tutti pronti. Andiamo adesso -.
E così dicendo uscirono dalla stanza, pieni di entusiasmo e impazienza.
 
 
 
 
Sul ponte della nave c’era un gran via vai di gente euforica ed agitata. Dopo tanti giorni di navigazione, tutti avevano voglia di scendere.
Georgie ed Abel guardavano la terra farsi sempre più vicina. Il porto li stava accogliendo e guardando sulla banchina videro delle persone che si sbracciavano, salutando l’arrivo della nave.
Georgie si guardò attorno e notò che alcuni passeggeri rispondevano al saluto.
- Che bello. Queste persone hanno qualcuno a terra che li aspetta – pensò tra sé e sé lei – Noi invece non abbiamo nessuno. Tutti i nostri cari sono morti. E’ rimasto solo lo zio Kevin che però nemmeno sa del nostro arrivo. E poi chissà come sta. E’ rimasto solo per tutti questi mesi e non è più giovane ed in gamba come una volta. Speriamo che non gli sia successo nulla. Almeno a lui -.
E facendo questi pensieri tristi, non potè far a meno di rivolgere il suo sguardo ad Abel, che fissava anche lui un punto lontano nel porto, con espressione malinconica e gli occhi leggermente umidi.
- Sicuramente anche lui starà facendo queste riflessioni – continuò a pensare Georgie – E sono certa che stia soffrendo. Devo stargli vicina. Anche se è felice di tornare a casa, sono sicura che una parte di lui è triste -.
Lo prese per mano gentilmente e Abel, a quel contatto, volse lo sguardo verso di lei.
- Vedrai che andrà tutto bene – disse lei a quel punto – Io ci sarò sempre, amore mio -.
Abel le sorrise, grato di quelle parole di conforto. La strinse forte e continuò a guardare davanti a sé Sidney che si faceva sempre più vicina.
Quando attraccarono, la gente si mise in fila, in attesa che fossero predisposte le operazioni di sbarco.
Georgie era emozionatissima. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva visto la sua Australia. Erano successe così tante cose. Eppure in quel momento, guardandosi attorno, tutto le era così familiare che non le sembrò possibile di essere stata via così tanti mesi.
La fila iniziò a muoversi e pian piano la gente scese dalla nave.
Dopo poco Abel e Georgie misero piede sulla banchina e furono colti da una strana emozione.
- Australia – esclamò Abel – Finalmente sono tornato a casa! -.
Georgie aveva le lacrime agli occhi. Era una sensazione indescrivibile. Tutto quello che era successo a Londra ormai era dietro alle spalle. Presto sarebbe ritornata alla sua amata fattoria e sarebbe stata felice accanto al suo adorato marito.
Rimasero a guardarsi intorno per qualche istante, contemplando tutti quei particolari che avevano pensato di non poter rivedere più. Ed invece erano lì, nella loro Sidney.
- Ci conviene muoverci – disse improvvisamente Abel –  Non voglio attendere oltre. Torniamo alla fattoria -.
Georgie annuì sorridendo. Anche lei non vedeva l’ora di arrivare a casa.
- Resta qui a controllare i bagagli – continuò Abel – Io vado a cercare un tizio che conosco che abita qui nelle vicinanze per chiedergli in prestito un carro, in modo da poter caricare il baule e portarlo fino a casa -.
Così dicendo si allontanò e Georgie restò con Junior e Deejery Doo a guardare la grande nave che li aveva riportati in Australia. Pensò a suo padre, che ora era così lontano e si rattristò per un attimo. Ma poi cercò di ritrovare il buon umore. Del resto presto anche lui li avrebbe raggiunti e finalmente non si sarebbe più dovuta separare dalle persone a lei care.
- Eccomi qua – disse la voce di Abel alle sue spalle, risvegliandola dalle sue riflessioni.
Abel scese dal carro che si era fatto prestare e caricò i bagagli e fece salire gli animali.
Poi aiutò Georgie a sedersi e infine si accomodò accanto alla moglie e fece partire i cavalli.
- Presto saremo alla fattoria – esclamò entusiasta e Georgie annuì sorridendo, anche lei impaziente di raggiungere casa.
 
 
 
 
Mentre i cavalli li portavano lentamente verso casa, Georgie ebbe modo di guardare intorno a sé il paesaggio che scorreva.
Quanto le erano mancate quelle meravigliose praterie che si estendevano fino a perdersi all’orizzonte.
Di tanto in tanto era possibile vedere un gruppo di canguri saltare verso una meta imprecisata, mentre i koala facevano capolino dagli alberi di eucalipto.
Georgie pensò al giorno in cui scappò da casa dello zio Kevin, abbandonando tutti.
Ricordò il suo stato d’animo, la sua tristezza, la sua confusione e la paura. Non fu facile decidere di partire, ma non sapeva che altro fare.
Quante cose erano successe da allora, quanti cambiamenti. Aveva lasciato l’Australia, perché spinta dall’amore che credeva di provare per Lowell ed ora era tornata, sposata con Abel e in attesa del suo bambino.
Improvvisamente il carro si fermò e Georgie fu riportata alla realtà.
Si voltò a guardare interrogativamente Abel. Perché mai avevano fatto una sosta?
Abel le fece un mesto sorriso e disse – Prima di arrivare a casa, ho pensato di salutare la mamma -.
Georgie spostò lo sguardo e notò che erano giunti davanti al piccolo cimitero dove erano sepolti i genitori di Abel.
- Sai – proseguì Abel – Dal momento che me ne sono andato senza nemmeno salutarla, ho pensato che almeno ora io….. – ma non riuscì a terminare la frase, perché vinto dal rimorso e dal pianto.
- Hey – disse gentilmente Georgie accarezzandogli il viso – Non fare così. Hai avuto un’ottima idea. Anche io ci tengo a dire una preghiera qui. Ho lo stesso tuo rimorso e… beh anche per me non è facile. Facciamola insieme questa cosa. Ci sosterremo a vicenda -.
E così dicendo, scesero abbracciati dal carro e si recarono sulle tombe dei genitori.
Abel si inginocchiò innanzi alla croce di legno posta sulla tomba della madre e l’abbracciò, scoppiando in un pianto liberatorio.
Georgie rimase in piedi in silenzio, chinando la testa e lasciando sgorgare le lacrime.
Dopo un po’ di tempo, si inginocchiò accanto ad Abel che appariva molto provato.
Lo strinse forte e gli accarezzò il volto, scostandogli i capelli dal viso e asciugandogli le lacrime.
- Coraggio amore mio - sussurrò, cercando di consolarlo.
 
- Sarebbe stata una nonna meravigliosa – disse Abel tra i singhiozzi – Ma non saprà mai che sta per nascere il suo nipotino -.
Georgie si sentì spezzare il cuore nel vedere il marito in quello stato.
- Non dire così – disse a quel punto lei – Sono certa che lei ci sta guardando dal cielo e approva le nostre scelte. Sarà l’angelo custode del nostro piccolino – .
E nel dire queste parole, prese la mano di Abel e la posò sul suo ventre. Ma nel farlo, entrambi sgranarono gli occhi, stupiti. Per la prima volta dacchè era rimasta incinta, il bambino aveva scalciato. E sia lei che Abel lo avevano sentito chiaramente.
Che fosse un segno quello?
Entrambi risero, asciugandosi le lacrime e abbracciandosi, emozionati per quell’inaspettato avvenimento.
Dopo si ricomposero e restarono un attimo in silenzio a far compagnia a quelle tombe, godendo di quella ritrovata quiete.
Improvvisamente Abel ruppe il silenzio.
- Sai a cosa stavo pensando? – disse, guardando Georgie con dolcezza – Che forse potrei far mettere una lapide qui per Arthur. Insomma, anche se qui non giace il suo corpo, è qui che lui avrebbe voluto essere, con mamma e papà. Ed è qui che voglio pensare a lui, ricordarlo come merita e pregare per lui.  Non importa se non l’ho ritrovato. So che il suo spirito è qui -.
Georgie sorrise tristemente a quelle parole. Era terribile aver perso Arthur in quel modo, ma di sicuro era confortante immaginarlo in cielo con i suoi genitori. Ed era un’ottima idea venire a pregare per lui in quel cimitero, tra le tombe di sua madre e di suo padre.
Era quello il posto giusto, perfetto.
Rimasero a pregare in silenzio ancora un po’ e dopo si rimisero in cammino verso casa.
Erano stanchi e avevano voglia di tornare alla loro amata fattoria.
Poco dopo intravidero, piccola e modesta, la loro dimora. Quel focolare che avevano lasciato e che tanto era loro mancato. Il tetto sicuro sotto il quale erano cresciuti. Il luogo più caro dove conservavano tanti bei ricordi.
Eccola lì. La loro fattoria. Era bella, bellissima ed entrambi si emozionarono. Ripensando all’Inghilterra, si resero conto che avevano vissuto momenti terribili e più di una volta avevano temuto di non poter più far ritorno a casa.
E invece ce l’avevano fatta. Dopo tante vicissitudini, ci erano riusciti. Erano finalmente di nuovo lì, nell’unico luogo al mondo al quale appartenevano veramente.
Felici ed emozionati, fermarono il carro sotto il grande eucalipto davanti a casa e scesero. Deegery Doo non aspettò oltre e volò sull’albero, in cerca di un ramo accogliente che lo potesse ospitare.
Improvvisamente le foglie si mossero e spuntò una graziosa testolina grigia.
- Lup! – gridò Georgie – Ma sei proprio tu! -.
Il koala riconobbe la sua amata padroncina e produsse alcuni versetti in segno di benvenuto.
Ma immediatamente, dietro di lui, spuntarono altri tre koala. Uno grande e due piccoli.
- Hai visto Georgie – disse Abel divertito – Lup ha messo su famiglia, proprio come noi! -.
Ma mentre erano intenti a guardare i koala sull’albero, la loro attenzione fu attirata da un rumore alle loro spalle e si voltarono.
Junior, che si era appisolato sul carro tra i bagagli, fece un balzo per scendere e, abbaiando, scappò.
- Ma dove se ne va quel cane balordo? – chiese Georgie sconcertata.
- Credo che stia tornando dallo zio Kevin – rispose Abel – I cani hanno fiuto e forse ha capito che lo zio non è qui, quindi vuole andare a casa sua. Del resto lui è il suo padrone -.
Georgie annuì e disse – E’ vero. Questo vuol dire che la casa allora è vuota -.
Poi si voltò a guardarla e sospirò un po’ tristemente – Speravo che lo zio Kevin fosse qui. Non è bello far ritorno in una casa vuota -.
Abel le mise una mano sulla spalla e la rincuorò – Coraggio! Lo sapevamo già che non ci sarebbe stato nessuno ad attenderci. In fondo lo zio Kevin, anche se si è preso cura della fattoria durante la nostra assenza, non è qui che abita -.
- Già, ma io speravo che ci sarebbe stato – disse Georgie mestamente.
- Se il tuo problema è una casa vuota – rispose Abel a quel punto – Vedrai che non sarà così per molto. Ti ricordo che presto nascerà un bambino. Vedrai come riempirà la nostra dimora. E magari dopo di lui ne verranno altri e faranno un gran chiasso, proprio come facevamo noi da piccoli. Allora rimpiangerai di non avere almeno per un momento la casa vuota e silenziosa! -.
Georgie sorrise a quelle parole. Abel aveva ragione. Presto non sarebbero più stati soli.
- E’ vero – ammise lei – E’ solo un momento passeggero. Ci penseremo noi a rianimare questa fattoria con tante piccole pesti! -.
Abel annuì e, baciandola, disse – Forza, abbiamo già fatto troppe chiacchiere. Entriamo! -.
Si avvicinarono emozionati alla casa, decisi ad entrare.
Ma notarono subito che la porta di ingresso era socchiusa.
- Abel, come mai la porta non è chiusa? – chiese Georgie.
- Forse lo zio Kevin l’ha dimenticata così. Può succedere. Stai tranquilla, entriamo – rispose lui.
Ma appena mise la mano sulla maniglia, Abel si fermò, girandosi verso Georgie e sussurrando – Hai sentito anche tu quel rumore? -.
Georgie annuì intimorita.
In effetti dall’interno della casa provenivano dei rumori, come se dentro ci fosse qualcuno.
- Che sia lo zio Kevin ? – chiese Georgie bisbigliando.
Abel scosse la testa dubbioso.
- Non credo – rispose – Junior sarà anche vecchio, ma sono certo che se avesse fiutato la presenza dello zio qui, non se ne sarebbe andato verso casa sua -.
Georgie sgranò gli occhi e si portò una mano alle labbra spaventata.
- Ma… allora – disse in preda alla paura – Dentro c’è un ladro -.
Abel rimase per un istante in silenzio a pensare e poi rispose – Un ladro sì, oppure un vagabondo che nel vedere una casa vuota ha cercato rifugio. Tutto può essere, ma non dobbiamo farci prendere dal panico. Questa è la nostra casa e ce la riprenderemo, non preoccuparti. Usiamo solo prudenza -.
- Ma che vuoi fare? Può essere pericoloso! – disse lei.
- Tu resta dietro di me. Vado avanti io. Ho affrontato cose ben peggiori di questa, ce la posso fare. L’importante è che se le cose si mettono male, tu scappi. Prendi il carro e ti metti in salvo – rispose lui determinato.
Georgie si aggrappò al suo braccio, implorante – No Abel, ti prego! Non commettere imprudenze! E se chi è dall’altra parte della porta fosse armato? Non voglio perderti proprio ora. Non entrare. Cerchiamo aiuto -.
- No Georgie, voglio provarci. Questa è la mia casa e nessuno può permettersi di entrarci. E poi chi vorresti chiamare? Lo zio Kevin? Avanti, lo sai anche tu che vista l’età non ci sarebbe d’aiuto. Ci penso io. Proteggerò te e la casa, non preoccuparti. L’importante è che tu non ti esponga. Stai dietro di me – e così dicendo Abel afferrò nuovamente il manico della porta.
Georgie rimase dietro di lui intimorita, aggrappandosi al suo braccio.
Abel aprì lentamente l’uscio, attento a non far rumori. Voleva sorprendere il ladro, senza farsi accorgere della loro presenza.
Appena la porta fu aperta, Georgie ed Abel videro, dopo tanto tempo, la cucina.
Tutto era tranquillo, perfettamente in ordine. Ogni oggetto era al suo posto, come sempre. E soprattutto sembrava che dentro casa non ci fosse nessuno.
Eppure quei rumori li avevano uditi entrambi. Chi li aveva prodotti? E dov’era ora.
Poi, improvvisamente, entrambi colsero un movimento in un angolo della stanza, vicino al caminetto.
Accucciato, di schiena, un uomo era intento ad accendere il fuoco. E non si era accorto della loro presenza.
Rimasero immobili per qualche istante, paralizzati dalla paura e dalla curiosità.
Quella figura davanti a loro aveva un che di familiare, ma non riuscivano a capire di chi si potesse trattare. Sicuramente era un ragazzo e non un uomo maturo. Ma chi diavolo era quell’intruso?
Abel avanzò lentamente, cercando di far piano. Voleva braccare quel tizio alle spalle e non poteva fare alcun rumore. Georgie lo seguì, sempre stringendo a sé il suo braccio. E lo faceva talmente forte che Abel quasi non riusciva più a sentirlo. Era ovvio che fosse molto spaventata da quella situazione.
Fecero un altro passo, ma qualcosa andò storto.
Una tavola del pavimento di legno sotto di loro scricchiolò e Abel e Georgie si fermarono di scatto, consci che quel ragazzo li avrebbe scoperti.
Infatti il tizio smise di sistemare la legna nel caminetto e si girò di scatto, conscio del fatto che non era solo in quella stanza.
Fu un istante. Un attimo. Ma lungo un’eternità.
Abel e Georgie spalancarono gli occhi e fermarono il respiro.
Forse anche i loro cuori avevano smesso di battere in quel preciso momento.
Rimasero lì, immobili, senza far nulla, come statue di sale.
Dopo quei brevi istanti, ripresero il contatto con la realtà e ritornarono a sbattere le palpebre degli occhi. Come per cercare di capire se quello che vedevano era vero.
Provarono entrambi a far uscire la voce, ma le loro corde vocali non risposero a quel comando.
Il tentativo fu nullo e le parole che avrebbero voluto dire si smorzarono nella gola.
Intanto il ragazzo davanti a loro si alzò in piedi, guardandoli con stupore.
Furono lunghi, lunghissimi istanti di silenzio. Poi, all’improvviso, come se il sangue fosse tornato a circolare prepotente nelle loro vene, Abel e Georgie ritrovarono la loro lucidità e la loro voce e come un grido liberatorio, insieme, all’unisono, guardando il tizio davanti a loro, urlarono – Arthur! -.
 
 
 
 
TBC…

 

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Capitolo 18
*** L'inferno nell' anima ***


 

18 – L’inferno nell’anima

 

Georgie ed Abel erano increduli. Quel ragazzo davanti a loro, quello che in un primo momento avevano creduto uno sconosciuto, un intruso nella loro abitazione vuota, era il loro amato Arthur. Dopo tante lacrime, tanta disperazione, tante ricerche, la persona a loro cara e creduta morta era lì, viva e vegeta che li guardava stupito. Anche lui doveva non credere ai propri occhi, vista l’espressione incredula che aveva sul volto. Quel caro volto tanto rimpianto da entrambi.

- Arthur, non posso crederci. Sei proprio tu? – disse a quel punto Abel, con la voce rotta dall’emozione.

Georgie avrebbe voluto dire qualcosa anche lei, ma non ne era in grado. Troppa era la gioia e non riusciva a darle una voce.

Arthur, dopo un primo momento di confusione, fece un passo in avanti, quasi timoroso della loro reazione. Poi, riuscendo finalmente a trovare un timido sorriso, disse – Ragazzi ma che avete? Sembra che abbiate appena visto un fantasma! -.

Georgie a quel punto esplose in un pianto liberatorio. Non un pianto di sofferenza o tristezza, ma di pura gioia. E immediatamente si buttò tra le braccia dell’amato fratello.

- Oh Arthur – esclamò tra i singhiozzi dirompenti – Pensavamo che tu fossi…. Noi non ci aspettavamo certo di trovarti qui. Non sai che bello è per noi poterti rivedere e riabbracciare -.

Arthur rimase spiazzato da quelle parole, ma comprese che in effetti erano successe tante cose e che lui era sparito dalle loro vite. Non sapeva se sarebbe mai riuscito a ritrovare i suoi fratelli e non c’era da stupirsi se loro avevano pensato che fosse morto.

Ma per fortuna era vivo. Sorrise intenerito dalla reazione di Georgie e la strinse forte a sé, lieto di averla ritrovata.

Poi alzò lo sguardo ad Abel e sorrise. Immediatamente il fratello maggiore andò incontro a lui e lo strinse in un forte abbraccio.

Arthur si ritrovò nella morsa affettuosa di Abel e Georgie e, ridendo, boffonchiò – Piano ragazzi. Così mi soffocherete! -.

Dopo un primo momento di euforia, Abel e Georgie si ricomposero, staccandosi da Arthur, il quale disse – Poi vi racconterò come sono andate le cose per me, ma è una lunga storia. Prima ditemi di voi -.

E per un istante cadde il silenzio. Un agghiacciante silenzio.

Dopo i primi attimi di euforia per aver ritrovato il loro amato fratello, Abel e Georgie realizzarono che non riuscivano a trovare le parole giuste per spiegare ad Arthur di loro. Non si erano assolutamente preparati. L’ultima cosa che avevano pensato in quei giorni era di ritrovare il loro fratello scomparso vivo e vegeto.

E anche se erano felicissimi per la bella sorpresa, in quel momento realizzarono che non sapevano come spiegare ad Arthur che erano diventati marito e moglie e che stavano aspettando un bambino. Erano imbarazzati ed impauriti. Temevano fortemente di ferire la sua sensibilità e i suoi sentimenti. Entrambi sapevano perfettamente che anche lui amava Georgie. Quindi non volevano deluderlo, soprattutto dopo tutto quello che aveva passato a Londra, ma sapevano anche che non era corretto neppure mentirgli.

- Allora, avete perso la lingua? – insistette candidamente Arthur.

Abel si passò nervosamente una mano tra i capelli, distogliendo lo sguardo dal fratello e cercando di trovare le giuste parole per spiegargli la nuova situazione. Toccava a lui quell’arduo compito. Infondo era il più grande dei tre e si era sempre sentito responsabile di gestire le avversità e di proteggere Arthur e Georgie. E ora doveva farlo ancora, anche se era davvero difficile.

- Beh, ecco noi… ci sono tante novità – iniziò Abel incerto, ma determinato a dire tutta la verità.

Arthur non sapeva dove volesse andare a parare Abel, ma si accorse di un certo imbarazzo nell’atteggiamento del fratello.

Spostò, allora, il suo sguardo su Georgie, per avere da lei un qualche cenno di rassicurazione, ma notò che la ragazza teneva lo sguardo basso, come per non incontrare il suo.

Fu in quel preciso istante che Arthur fece scorrere i suoi occhi sulla figura di Georgie che era dritta in piedi davanti a lui e notò un particolare che prima non c’era.

- Georgie – disse lui incredulo – Ma sei incinta? –

Georgie sentì le guance in fiamme. Era arrossita a causa di quella domanda così diretta e si sentì quasi in colpa.

Cercò allora di guardare Arthur, ma senza successo. Avrebbe voluto parlargli, ma non sapeva quali parole usare per non deluderlo.

- Sì Arthur – intervenne a quel punto Abel per togliere la moglie dall’evidente imbarazzo – Aspettiamo un bambino. Beh…. Te l’ho detto che c’erano un sacco di novità -.

Improvvisamente Arthur si irrigidì a quelle parole e comparve una strana luce nei suoi occhi.

Fu come se il pavimento gli fosse sparito da sotto i piedi e stesse cadendo giù, in un vortice buio.

La testa gli girò e sentì una fitta nel petto. Un dolore  che gli stava lacerando l’anima.

Cercò di non perdere la calma, come spesso gli accadeva dopo l’inferno vissuto a Londra, e cercò anche di non far trasparire le emozioni terribili che stava provando. Voleva solo rimanere  indifferente e dimostrare freddezza.

- Aspettiamo? – chiese con tono secco e distaccato. E poi, voltandosi verso Georgie, aggiunse – E Lowell, il tuo grande amore, che fine ha fatto? -.

Georgie spalancò gli occhi stupita dall’audacia di quella domanda.

Era strano. Quello non era il solito Arthur, quello con cui era cresciuta e che amava come un fratello. Era una persona diversa. Il tono della sua voce era diverso. La sua espressione.

C’era una certa supponenza in quelle parole. Era ovvio che in quel momento lui la stesse giudicando e non in maniera positiva per giunta.  

Non era abituata a quel tipo di atteggiamento. Non certo da Arthur poi.

Tuttavia cercò di rispondergli. Infondo ne aveva diritto.

- Le cose tra noi non sono andate per il verso giusto. Di sicuro ho capito che non eravamo fatti per stare insieme. Sono successe molte cose che hanno portato alla nostra separazione. Ma se c’è una cosa che ho capito chiaramente è che non è lui il mio grande amore – disse Georgie ritrovando la forza di guardare Arthur negli occhi.

Rimase stupita da come il fratello non le sembrava convinto. Infatti lui fece una strana espressione, quasi di incredulità e poi si rivolse ad Abel, dicendo – Sei proprio sicuro che il bambino sia tuo? -.

Fu come uno schiaffo per Georgie. Quelle parole erano spietate e crudeli. Mettevano in dubbio la sua moralità e la sua sincerità. E la cosa che le fece più male era che era stato Arthur a pronunciarle.

Abel si irrigidì immediatamente e innervosito rispose – Ma che razza di domanda è questa? Stiamo parlando di Georgie. Come ti permetti di fare certe insinuazioni? Se non fossi mio fratello e io non fossi felice di rivederti sano e salvo, ti prenderei a pugni. Sei pregato di non mettere più in dubbio le sue parole -.

- Ti alteri per nulla. Vedo che non sei cambiato, caro fratellone – rispose pacatamente e freddamente Arthur – Sto solo dicendo che se una ragazza ha due fidanzati in sequenza può incappare in un incidente. Tutto qui. E poi lo dico per te. Come fai ad essere sicuro che non sia figlio di Lowell? -.

Georgie non poteva credere alle sue orecchie. Ma cosa era successo a quel ragazzo? Chiaramente non era più lui. Non c’era più traccia della dolcezza e della bontà che da sempre lo caratterizzavano.

Tuttavia non si perse d’animo e volle mettere subito in chiaro la situazione.

- Nessun incidente, Arthur – precisò Georgie – Se ti dico che Lowell non ha rappresentato il grande amore che credevo, vuol dire che con lui non ho fatto nulla per poter rischiare una gravidanza. Non sono così facile come tu pensi – aggiunse tristemente.

Arthur inarcò un sopracciglio, valutando attentamente le parole di Georgie e poi, voltandosi verso il fratello, esclamò – Quindi era vergine quando è venuta con te! Buon per te amico, almeno sai che non devi crescere il figlio di un altro -.

Abel era sconvolto dal comportamento di Arthur. Era insolente, irrispettoso ed evidentemente infastidito da quella situazione.

Era ovvio che stava dicendo quelle cose con aria sprezzante per ferirli e quello era chiaramente uno strumento di difesa. Sicuramente dirgli di loro due in quel modo lo aveva ferito. Ma non riusciva a capacitarsi di quell’atteggiamento. Suo fratello non era mai stato così. Cosa gli era successo?

- Ora presumo che vi sposerete – continuò acido Arthur.

Abel annuì e disse – Lo siamo già. Ci siamo sposati in Inghilterra, prima di far ritorno a casa -.

Arthur si lasciò sfuggire una secca risata, ma era ovvio che in lui non c’era felicità alcuna.

- Ma allora bisogna festeggiare! Propongo un brindisi – disse Arthur sarcastico.

E alzando un braccio come se tenesse in mano un bicchiere, aggiunse acidamente – A mio fratello, che finalmente è riuscito a portarsi a letto Georgie! -.

E poi, dando una pacca sulla spalla di Abel, disse – Immagino che ora ti sarai calmato un po’. Eri ossessionato da lei. Ora che Lowell ti ha lasciato il posto, potrai rifarti di tutto il tempo perso -.

Abel e Georgie lo fissarono increduli. Ma cosa era successo al loro Arthur? Entrambi erano consapevoli che non sarebbe stato facile per lui accettare i nuovi sviluppi, ma di certo quella non era una reazione consona a lui.

Arthur era una persona meravigliosa, dall’animo gentile, altruista e sempre pronto ad aiutare gli altri.

Il ragazzo davanti a loro invece era un estraneo e questo li ferì profondamente.

- Non ti riconosco più – disse a quel punto Abel, fissandolo con aria triste.

Arthur a quelle parole esplose in una secca risata e poi, guardandolo intensamente, con rabbia, rispose – E cosa ti aspettavi da me? Volevi che mi complimentassi con voi? Che gioissi per questa perfetta famigliola? – e poi, inasprendo il tono di voce, aggiunse – Scusami se non sono così gaudente per il vostro amore, ma sai non riesco a complimentarmi con voi, considerando che ti sei portato via la ragazza di cui ero innamorato -.

A quella frase tagliente come la lama di un coltello, scese il silenzio nella stanza.

Abel e Georgie rimasero senza parole, stupiti della sua schiettezza.

- Hai perso la lingua fratellone? – incalzò a quel punto Arthur – Non dirmi che non ti aspettassi una reazione così da parte mia, perché non ti credo. Tu sapevi benissimo quello che provavo per lei e comunque sei andato avanti per la tua strada. Per me va bene, ma non credere che ora vivrò con voi, fingendo di essere felice per voi. Mi avete tradito entrambi, non avrete mai la mia benedizione -.

Abel trovò il coraggio di replicare – Io capisco la tua rabbia, ma devi credermi quando ti dico che l’ultima cosa al mondo che volevo fare era ferirti. Sei mio fratello, ti voglio bene. Non sai quanto sono stato in pena per te. Pensavamo fossi morto, ero disperato. Di certo non mi aspettavo di trovarti qui. Altrimenti avrei trovato il modo giusto per parlarti di me e Georgie. Il fatto è che siamo stati colti alla sprovvista, ma devi credermi se ti dico che nessuno di noi due aveva intenzione di farti del male e di tradirti -.

Arthur scoppiò ancora a ridere in maniera beffarda. Era totalmente fuori controllo ed era qualcosa a cui Abel e Georgie non erano preparati.

- Quindi voi eravate disperati per me, perché credevate che fossi morto? – chiese sarcastico a quel punto Arthur – Beh immagino quanto fossi devastato, fratello mio. Lo eri a tal punto che Georgie ha pensato bene di venire a letto con te per lenire il tuo inconsolabile dolore. Poverino, chissà che sofferenza atroce mentre ti divertivi con lei tra le lenzuola! -.

A quel punto Georgie sentì di dover intervenire. Arthur era completamente fuori di testa e stava dicendo cose troppo ingiuste. Era carico di odio e andava fermato, per il bene di tutti

- Sei ingiusto nei confronti di tuo fratello – disse lei, ponendosi tra i due – Non è andata così. Abel era veramente preoccupato per te. Quando ti abbiamo liberato e poi tu sei caduto nel Tamigi, Abel si è sostituito a te nella stanza in cui eri rinchiuso e ha avuto uno scontro con Irvin e l’ha ucciso. Per questo è finito in cella, condannato a  morte. E’ vivo per miracolo e se ha rischiato di perdere la vita lo ha fatto solo per te, perché ti vuole bene. Senza contare che appena ha potuto ti ha cercato ovunque, era sinceramente addolorato e non so come abbia fatto a non impazzire dal dolore. Puoi essere arrabbiato con noi, ma non mettere mai in dubbio i sentimenti che tuo fratello prova per te. Non è stato facile per nessuno accettare che fossi morto, tanto meno per Abel. Ora non si merita le tue parole. Stai sbagliando -.

Arthur la fissò per tutta la durata del discorso con un sopracciglio inarcato e poi, sempre con il tono sarcastico che ormai faceva parte di lui, disse – Complimenti Abel, devi essere un bravo amante. Questa ragazza ormai è cotta di te. Guarda con quanta veemenza ti difende -.   

Abel fisò il fratello con un’ intensa espressione di tristezza sul volto. Stava realizzando che solo il corpo di Arthur era sopravvissuto, non la sua anima. Quella purtroppo se n’era andata. Al posto suo c’era un’altra persona. Una persona che chiaramente si stava portando dentro un grande dolore e che stava sfogando su di loro la rabbia che lo dilaniava. Del vecchio Arthur non c’era più traccia e questo lo ferì profondamente.

- Cosa ti è successo fratello mio? – chiese Abel con le lacrime agli occhi – Non ti riconosco più -.

Arthur a quelle parole cambiò improvvisamente espressione. La baldanza che lo aveva sorretto fino a quel momento volò via, lasciando il posto a una grande tristezza.

I suoi occhi divennero lucidi e il suo labbro tremò.

- Già – rispose con tono mesto e disperato – Nemmeno io mi riconosco. Sono cambiato. Tante cose mi sono successe. Troppe. Troppe. Non riesco più a tollerare il dolore -.

Abel spalancò gli occhi. Comprese dal suo discorso e dal tono della sua voce che dentro stava vivendo un inferno. E si sentì male per lui. Vederlo così lo faceva sentire in colpa.

Suo fratello stava soffrendo, mentre lui era stato decisamente più fortunato. Non era giusto. Arthur non se lo meritava.

Improvvisamente Arthur lo guardò duramente, con aria di sfida, e dando sfogo alla rabbia gli urlò – E ora dimmi, che cosa vuoi da me Abel? Vorresti che facessi come ho sempre fatto con te? Vorresti che accettassi le tue decisioni, mettendo da parte i miei sentimenti per il tuo bene? -.

Abel non osò rispondergli. Che cosa poteva dirgli?

Arthur non seppe più trattenere le lacrime e senza più controllare il rancore, gli disse – Scordatelo. Questa volta le cose andranno diversamente. Mi avete tradito. Mi hai tradito. Sei stato il solito egoista. Ti sei preso tutto. Hai la donna che volevi e che anche io volevo. Ora è tua moglie e avrai un figlio da lei. Buon per te. Ma scordati di avere ancora un fratello. Vi siete fatti la vostra vita e ora ve ne tornare a casa, pretendendo che io accetti tutto senza ribattere. Non vi posso scacciare di qua, ma non ho intenzione di avere alcun tipo di rapporto con voi due. La vostra felicità mi fa ribrezzo. Voi mi fate ribrezzo. Mi gettate in faccia il vostro amore e pretendete che io sia felice per voi? Mai. Sono cambiato. Ne ho passate tante. Non ce la faccio più. Ora penserò per me -.

Georgie sentì i  brividi correrle lungo la schiena. Quel discorso era terribile. Arthur non era quello di una volta e tra loro non sarebbe mai più stato come prima. Era spaventata. Che sarebbe successo ora?

- Ma Arthur, ti prego non fare così … - iniziò balbettando Georgie.

Arthur la guardò con gli occhi pieni di lacrime e una luce che manifestava solo rancore.

- E cosa dovrei fare? Che cosa pretendi da me? Cosa volete tutti da me? – le lacrime gli rigarono il volto e la voce si spezzò, ma trovò la forza per continuare a parlare – Non sono più quello di una volta. Non posso più esserlo. Quello che ho passato a Londra mi ha cambiato per sempre e ora sto male. Sto talmente male a volte che vorrei morire. Che senso ha vivere? Nella mia mente ci sono solo i ricordi delle torture subite, il mio corpo a volte necessita ancora della droga che mi veniva somministrata contro il mio volere e quando finalmente faccio ritorno a casa sperando di trovare un po’ di pace, scopro che mio fratello ha vinto ancora una volta su di me e si è preso per sempre la ragazza che amavo. Che dovrei fare secondo te ora? Guardarvi vivere la vita perfetta che anche io volevo ed esservi amico? Forse una volta lo avrei fatto, tenendomi tutto il dispiacere dentro, ma ora non più. Non posso. Non ce la faccio -.

Georgie lo guardò sconsolata e iniziò a piangere. Le faceva male vederlo così, sentirgli pronunciare quelle parole.  E la cosa peggiore era che non era in grado di alleviare la sua pena.

Si sentì inerme e comprese che mai più tutto sarebbe tornato come prima per lei, Abel e Arthur.

- Sai, una parte di me prova un forte rancore per te – disse a quel punto Arthur, ritornando calmo – Ma poi c’è un’altra parte che alla fine ti perdona. Quindi non ti crucciare troppo, non ce l’ho con te. Non del tutto almeno -.

Poi improvvisamente il tono della sua voce si fece più aspro, il suo sguardo più duro e di scatto si voltò verso Abel.

- Invece con te è tutto diverso – disse severo – Non ti perdonerò mai per quello che hai fatto. Non sarò clemente con te, come ho sempre fatto in passato. Sono stufo del tuo egoismo. Non dirmi che mi vuoi bene, perché sai perfettamente che portandoti via Georgie mi hai dato un enorme dolore. Avremmo potuto essere felici, rinunciando al nostro amore, rimanendo qui a vivere insieme come fratelli, come una volta, quando le cose erano più semplici. Ma tu ti sei preso tutto e ora pretendi che io non ti serbi rancore. Devi proprio considerarmi uno stupido, se solo per un istante hai pensato che io accettassi di buon grado il vostro amore -.

Abel spalancò gli occhi, stupito da quella reazione e da quelle parole.

- Arthur, ti prego dammi la possibilità di spiegarti… - provò a dire Abel, ma Arthur lo zittì con un secco no e continuò furente – Smettila di provare a calmarmi. Non ci riuscirai. Mi hai perso Abel, mi hai perso per sempre. Viviti il tuo amore per Georgie, ma scordati di avere ancora un fratello. Io non ci sarò più per te. Ti odio! Hai capito bene Abel? Io ti odio! -.

E pronunciando queste parole, cercò di trattenere il suo corpo dall’avere reazioni pericolose. Tuttavia iniziò a tremare e il suo volto divenne rosso per la rabbia. Cercò di limitare l’ira che lo stava attraversando, stringendo i pugni, ma in realtà aveva solo voglia di scagliarsi contro Abel e scaricare tutto quell’odio che sentiva di provare. Ma riuscì a scacciare quel pensiero e si limitò a guardarlo con tutto il rancore che sentiva dentro.

Abel e Georgie rimasero sconvolti da quel comportamento. Il loro Arthur non c’era più e al suo posto c’era un estraneo. Un ragazzo dilaniato dal dolore e dalla rabbia. Ed ebbero paura.

 

 

In quel momento sentirono un cane abbaiare e, voltandosi, videro la porta di casa aprirsi. Poco dopo entrò lo zio Kevin e la tesa atmosfera che si era creata si spezzò.

- Abel, Georgie, siete tornati! – esclamò felice lo zio Kevin, sorridendo.

- Quando prima ero a casa e ho sentito un cane abbaiare, credevo fosse impossibile che si trattasse di Junior e poi quando sono uscito mi sono reso conto che invece era proprio lui. Mi sono subito precipitato qui, perché avevo capito che qualcuno aveva fatto ritorno a casa, ma non sapevo chi di voi fosse. E invece ora siete entrambi qui. Non potete immaginare quanto sono felice di rivedervi sani e salvi! – e così dicendo lo zio Kevin andò verso di loro e li abbracciò entrambi.

Ma una cosa non gli sfuggì. Guardò attentamente Georgie e disse – Tesoro, ma tu sei… -.

Georgie arrossì e mormorò – Sì zio, aspetto un bambino -.

Lo zio spalancò gli occhi per lo stupore e guardò Abel. Notò un certo imbarazzo nel ragazzo e così gli chiese – Ma è tuo? -.

Abel abbassò lo sguardo e fece un cenno di assenso con il capo.

Tutto sommato era una bella notizia, ma notò che sia Abel che Georgie erano strani. Immediatamente spostò il suo sguardo su Arthur e notò che il giovane era in uno stato di forte agitazione. E così comprese il perché di quello strano atteggiamento di Abel e Georgie. Evidentemente Arthur non aveva preso bene la notizia e aveva avuto una delle sue reazioni.

Lo zio andò verso il nipote, mettendogli una mano sulla spalla.

- Coraggio Arthur, calmati – disse dolcemente lo zio – Sei solo stanco. E’ meglio che tu  vada a riposare. Vedrai che domani andrà meglio. Oggi hai vissuto troppe emozioni. Dormi un po’ figliolo, ci penso io ad Abel e Georgie -.

Arthur  abbassò il capo, come sconfitto dalle sue stesse emozioni, e placidamente ascoltò il consiglio dello zio Kevin, abbandonando la stanza per andare a riposare.

Georgie ed Abel guardarono la scena esterrefatti. Tutta la rabbia sembrava aver abbandonato il corpo di Arthur, lasciandolo stanco e impotente. Era straziante per entrambi vederlo così debole.

- Non so cosa vi abbia detto, ma lo posso immaginare. Non dovete farci caso – disse a quel punto lo zio – E’ così da quando è tornato. Ha sbalzi di umore e a volte ha forti crisi di astinenza. Urla, trema, si dimena. E’ facilmente soggetto agli scatti d’ira e quando gli passano lo lasciano senza un briciolo di forza. Anche le notti sono agitate. Spesso ha incubi e si sveglia sudato e urlante. E’ uno strazio vederlo così, ma a quanto dice lui, ora va meglio. In passato ha avuto crisi più forti. Dice che tornando qui in Australia si sente meglio. Ma credetemi, sta passando ancora un brutto periodo. Quel povero ragazzo è stato all’inferno e ora che ne ha fatto ritorno la sua anima è fortemente segnata -.

Abel e Georgie ascoltarono quelle parole e fu impossibile per entrambi trattenere le lacrime.

- Voi lo sapete quello che ha passato Arthur a Londra? – chiese a quel punto lo zio Kevin.

Abel annuì e disse – Sì, lo sappiamo. Ho provato a salvarlo, ma non ci sono riuscito e quando finalmente lo abbiamo liberato era troppo tardi. Il danno era fatto -.

Si sedettero intorno al tavolo e parlarono.

Abel e Georgie raccontarono quanto era accaduto a Londra. La fine della storia con Lowell, l’incontro con il padre di Georgie, la liberazione di Arthur, la sua caduta nel Tamigi, l’incarcerazione di Abel e la sua condanna a morte, il loro amore, il bambino in arrivo e il loro matrimonio. E lo zio Kevin parlò di tutto quello che era successo in Australia dalla loro partenza in poi, soffermandosi in particolare sul ritorno a casa di Arthur e sui demoni che lo stavano tormentando.

- Sono molto felice per voi – disse a quel punto lo zio Kevin – Ma al contempo sono preoccupato per Arthur. Di sicuro questa storia è stata un duro colpo per lui. Sta cercando di recuperare un po’ di serenità, ma immagino che vedervi insieme per lui non sia facile. Cercate di capirlo. Se ci metteremo tutti un po’ di impegno, sono certo che il nostro Arthur tornerà quello di un tempo. Ma ci vuole pazienza, soprattutto in un momento delicato come questo -.

Abel si portò una mano alla fronte e scosse il capo disperato – Non credo che ci riusciremo zio – disse sconsolato – Non l’avevo mai visto così. Temo di averlo ferito davvero questa volta. Mi ha detto che mi odia e non credo che potrà mai tornare indietro su questo. L’ho perso per sempre, ne sono certo. Nulla potrò fare per riconquistare il suo affetto e la sua fiducia. E questo mi devasta. La mia sola presenza qui lo sta danneggiando. Sarebbe stato meglio per tutti se io fossi morto a Londra -.

Georgie si voltò di scatto a quelle parole e prendendogli il braccio esclamò – Ma che stai dicendo Abel? Sei forse impazzito? Non è un momento facile questo, ma non dire mai più che avresti preferito la morte. A me non ci pensi? E al bambino? -.

Abel abbassò lo sguardo, incapace di incontrare il suo, e rispose – Non saresti rimasta sola. Saresti tornata qui, avresti ritrovato Arthur e tutto si sarebbe risolto. Tu avresti potuto farlo guarire, perché saresti stata l’ancora di salvezza a cui si sarebbe appigliato per tornare a vivere e lasciarsi indietro il passato. Ti avrebbe amato e fatto felice e sarebbe stato un ottimo padre per nostro figlio. Il fatto che io sono sopravvissuto ha complicato le cose. Ora lui mi odia e io sto male nel vederlo così. Come potremo risolvere questo problema? Come potremo trovare il modo di convivere di nuovo in questa fattoria? E’ impossibile. Se io fossi morto sarebbe stato meglio per tutti -.

- Ma come puoi parlare così? – disse a quel punto Georgie tra le lacrime – Pensi che avrei potuto semplicemente sostituirti così? Ai miei sentimenti non pensi? Credi che avrei solo voluto un uomo al mio fianco? Che avrei potuto smettere di amarti? -.

Abel si lasciò sfuggire una lacrima e rispose – E perché no Georgie? Infondo Arthur ti ama da una vita intera, proprio come me. Sarebbe stata una buona soluzione. Sei giovane, che avresti potuto fare? La vedova inconsolabile a vita? Tutto sommato sarebbe stato facile abbandonarti a lui -.

Georgie inziò a piangere incontrollatamente e disse – Non posso credere che tu dica questo. Se fossi tornata sola qui in Australia di sicuro sarei rimasta al fianco di Arthur, ma non come una moglie! Non si decide chi amare Abel. E’ qualcosa che ti capita e che non puoi controllare. E dopo quello che ho vissuto con te e che provo per te, mai sarei riuscita a sostituirti così facilmente. E forse sì, avrei scelto di essere una vedova inconsolabile. Meglio quello che vivere in un’enorme menzogna, lasciandomi amare da chi non amo, solo per avere un uomo a fianco e un padre per mio figlio. Quindi rilassati, non sei così facilmente sostituibile per me. Puoi smetterla di sperare di essere morto, visto che per me il fatto che sei sopravvissuto invece è stato un dono divino -.

Abel realizzò di aver esagerato con le parole. Era ancora sconvolto per Arthur, ma dire quelle cose senza senso era troppo, anche perché così aveva finito solo con il ferire Georgie, che non si meritava quel trattamento, anche in considerazione del fatto che anche lei, come lui, era in pena per Arthur.

- Scusami – disse allora Abel – Devo essere impazzito. E’ una giornata pesante per me. Sto male per Arthur e finisco con il dire cose senza senso. Non volevo metterti in mezzo e mancarti di rispetto -.

Georgie si asciugò le lacrime e lo guardò e subito scacciò la rabbia che aveva provato a quel discorso insensato. Era addolorato e confuso e aveva parlato senza pensare. Di sicuro quello di cui aveva bisogno era di averla accanto e non certo di battibeccare.

- Avanti ragazzi, calmatevi – intervenne a quel punto lo zio Kevin – E’ stata una giornata pesante per tutti e quello di cui avete bisogno ora è di riposare. Domani, dopo un buon sonno ristoratore, le cose sembreranno più chiare a tutti -.

Abel e Georgie annuirono. Dopo tanto parlare, non si erano accorti che era calata la sera. Erano stanchi e confusi. La cosa migliore era andare a dormire. Avrebbero pensato ai loro problemi l’indomani.

- L’unico problema è che nella camera matrimoniale dei vostri genitori ci dorme Arthur – disse a quel punto lo zio Kevin – Era così sconvolto al suo arrivo che l’idea di dormire nel letto dei suoi genitori gli dava conforto. Quindi non so dove potreste andare a dormire -.

- Non ti preoccupare – rispose Abel – Andrà benissimo la stanza che condividevamo io e Arthur. Ci sono due letti, è perfetta -.

Lo zio sorrise a quelle parole e disse in imbarazzo – Vedremo nei prossimi giorni di portare lì un letto matrimoniale -.

- Quello è l’ultimo problema – rispose Abel – Dobbiamo affrontare questioni più serie di un letto matrimoniale. E comunque direi che dopo quello che è successo oggi, l’ultima cosa che interessa a me e Georgie è condividere un letto. Dico bene? – chiese, voltandosi verso la moglie.

Georgie non si aspettava quelle parole da Abel. Era ovvio che entrambi erano sconvolti per Arthur e che di certo non pensavano di chiudersi in camera a fare l’amore, ma che bisogno c’era di esplicitarlo così chiaramente? E allo zio Kevin per giunta?

- Ehm… sì certo – mormorò Georgie, in evidente imbarazzo per quell’esternazione del marito.

Lo zio Kevin arrossì leggermente per dove era andato a finire il discorso e cercò di tagliare la conversazione – Bene ragazzi – esclamò a quel punto – Allora torno a casa. Domattina sarò qui presto, in modo da aiutarvi a gestire la situazione con Arthur. Buona notte -  e così dicendo, se ne andò.

Abel e Georgie si diressero allora verso la loro camera da letto, rimanendo in silenzio per tutto il percorso.

Appena entrarono si guardarono intorno. Tutto era rimasto come un tempo, nulla era cambiato.

- Preparo i letti – disse a quel punto Georgie – Così potremmo andare a dormire e mettere fine a questa strana giornata -.

Abel annuì e rispose – Se non ti dispiace, mentre tu fai i letti io mi siedo un attimo fuori. Ho bisogno di pensare -. E così dicendo, uscì dalla stanza.

Georgie lo guardò preoccupata. Era ovvio che Abel stesse male. Le parole di Arthur erano state dure e lo avevano colpito.

Tutte le accuse che il fratello gli aveva mosso, erano quelle per le quali lui stesso si sentiva colpevole. Il suo timore era che ripiombasse nella depressione che lo aveva colpito a Londra, quando credeva che Arthur fosse morto. Se quei fantasmi fossero tornati a tormentarlo, questa volta forse non sarebbe riuscito a risollevarsi.

E dall’altro lato c’era il povero Arthur, dilaniato da un dolore che lo aveva cambiato.

Sospirò disperata, timorosa che le due persone che più amava al mondo si sarebbero lentamente distrutte sotto i suoi occhi, senza che lei potesse fare qualcosa per impedirlo.

Mentre faceva questi pensieri, sentì il bimbo che aveva in grembo scalciare.

- Povero piccolino – mormorò mettendosi una mano sulla pancia – Non sei nemmeno nato e già devi sopportare le angosce che turbano la tua mamma. E’ tutta colpa di tuo papà e di tuo zio che hanno deciso di farmi ammattire! -.

Preparò i letti, con il pensiero fisso di riuscire a mettere a posto le cose nella sua famiglia. Non poteva accettare che Abel e Arthur si comportassero così.

Doveva considerare le cose positive della situazione. Ne avevano passate tante, ma alla fine ne erano usciti. Tutti e tre avevano fatto ritorno a casa sani e salvi. Ora si trattava solo di chiarire le cose e mettere il passato alle spalle.

Arthur era sicuramente quello che aveva più bisogno di aiuto, ma era circondato da persone che lo amavano, anche se lui in quel momento non era in grado di capirlo.

Se le cose con Arthur si fossero sistemate, anche Abel sarebbe stato meglio.

Sì, bastava poco per aggiustare tutto e per ritornare ad essere felici una volta per tutte.

Finì di sistemare la stanza, determinata a risolvere la situazione.

Poi uscì dalla camera per invitare Abel ad entrare.

Lo trovò seduto sul gradino di fronte la casa, mentre guardava il cielo stellato.

- E’ tutto pronto – disse lei – Possiamo andare a letto. Ne abbiamo bisogno. Vedrai che le cose andranno meglio domani -.

Abel si voltò a guardarla e le sorrise. Georgie si avvicinò e si sedette accanto a lui.

- Grazie – rispose Abel gentile – Vai pure tu. Io ti raggiungerò tra poco -.

Georgie lo guardò interrogativa e lui continuò – Ho bisogno di restare ancora qui a pensare. Solo un poco. Poi verrò a letto -.

Georgie gli mise delicatamente una mano sulla spalla e disse – Se vuoi resto e ti faccio compagnia -.

Ma Abel scosse la testa. – No davvero, ti ringrazio – mormorò – Ho bisogno di restare solo -.

Georgie lo guardò con estrema tristezza, ma lo accontentò, seppur a malincuore, e alzandosi disse – Come vuoi tu. Buona notte -.

Abel si rese conto di essere stato troppo freddo con lei e voltandosi le disse – Georgie ti prego di scusarmi. Non ce l’ho con te. E’ solo che ho bisogno di riflettere in solitudine. E’ per Arthur, cerca di capire -.

Georgie avrebbe voluto tacere, ma non riuscì a farlo e, cercando di trattenere le lacrime, gli rispose -  Io capisco Abel. Capisco tutto. E’ solo che questa situazione fa soffrire anche me e vederti così di certo non migliora le cose. Comprendo il tuo stato d’animo, ma vorrei poterti essere d’aiuto e invece tu non mi permetti di starti vicina. Comunque rispetterò la tua volontà -.

Abel sentì il suo cuore andare in pezzi a quelle parole. Non voleva che lei soffrisse. Non era colpa sua.

- Georgie tu non c’entri nulla. Non voglio tagliarti fuori dalla mia vita. E’ solo che in questo momento ho bisogno di stare solo. Ma non voglio farti soffrire. Io ti amo e questo non cambierà mai, qualunque cosa accada -. Proferì queste parole con dolcezza, mentre la guardava triste.

Georgie si sforzò di comprendere ed annuì.

- Ti amo anche io – rispose. E voltandosi, rientrò in casa per andarsene a letto.

Abel rimase per un istante e fissare l’uscio della stanza, desideroso solo di lasciarsi tutto alle spalle e di stringerla tra le braccia. Avrebbe voluto dare una tregua a se stesso. Dimenticare tutto quello che era successo quel giorno e amarla.

Ma non poteva. Non sarebbe stato giusto. Fare l’amore con lei sarebbe stato stupendo, ma non aveva le motivazioni giuste per farlo in quel momento. Lui amava Georgie, ma quella sera avrebbe voluto stringerla a sé principalmente per non pensare ai suoi problemi. E questo lei non se lo meritava.

Lei meritava solo il meglio e quella sera lui non era in grado di darglielo.

 

 

Georgie si mise sotto le coperte e, fissando il soffitto, sospirò. Si ritrovò in quello che era stato il letto di Abel. Era sola ed era strano. Non era più abituata a dormire senza suo marito accanto. Ma cercò di non pensarci. Di sicuro avevano cose più importanti da risolvere.

Ripensò agli avvenimenti appena trascorsi e ne convenne che quella era stata davvero una strana giornata.

Avevano fatto ritorno in Australia finalmente e lei era convinta che quello sarebbe stato il primo giorno della loro nuova vita insieme.

E invece tutto era andato per il verso sbagliato.

L’unica buona notizia era aver scoperto che Arthur era vivo. Ma per il resto, quel giorno aveva portato solo cose negative.

Pregò intensamente, affinchè le cose potessero sistemarsi. Non poteva pensare di continuare così. Sarebbe stato insopportabile.

Ma facendo questi pensieri, la stanchezza prese il sopravvento e si addormentò, senza nemmeno rendersene conto.

 

 

Abel si sentì improvvisamente stanco e svuotato da ogni sentimento e decise che sarebbe stato meglio rientrare  e mettersi a dormire. Ne aveva estremo bisogno.

Aprì la porta della stanza e la prima cosa che notò fu Georgie a letto addormentata.

Si soffermò a guardarla per un istante e sorrise intenerito. Era bellissima anche nel sonno ed era così innocente mentre si abbandonava al riposo da sembrare ancora una bambina

Ma era una donna, la sua donna e lui la amava più della sua stessa vita.

Sospirò triste, perché quella giornata aveva preso una strana piega. Aveva sperato di passare la loro prima notte a casa tra le braccia di sua moglie.  E invece le cose erano andate in maniera diversa.

L’unico fatto positivo era che Arthur era ancora vivo. Il resto si sarebbe risolto in qualche modo.

Si mise a letto e voltò la testa per guardare ancora una volta Georgie che dormiva nel letto poco distante dal suo.

Sorrise ancora nel vederla, ma poi tutto si annebbiò e si fece scuro.

La stanchezza aveva preso il sopravvento e, così come era accaduto per Georgie, anche Abel si arrese a Morfeo.

Quella notte era fatta per il riposo del corpo e dell’anima. Il resto si sarebbe affrontato in seguito.

Sia Georgie, che Abel, che Arthur avevano bisogno di quel sonno ristoratore. Troppe erano state le emozioni di quel giorno.

Ora nella fattoria regnava il silenzio e la quiete. In quella prima notte, tutti e tre di nuovo insieme nella loro terra.

 

 

TBC….

 

 





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Capitolo 19
*** Un nuovo inizio ***


Era da tantissimo tempo che non aggiornavo più questa storia a me particolarmente cara. Purtroppo a volte la vita di tutti giorni è così carica di impegni che finisce con l'alienarti da altre cose, forse meno concrete, ma comunque importanti. E così ho finito con l'accantonare questo racconto, ma non ho mai smesso di pensarci, sapevo perfettamente come svilupparlo e come concluderlo. Dovevo solo trovare di nuovo un po' di tempo per me. Lo volevo davvero. Amo Abel e Georgie, adoro la loro coppia e "Immortal Love" è il mio modo per render loro giustizia rispetto al manga. Non ho mai accettato la morte di Abel, l'ho trovata una stupidaggine incredibile da parte dell'autrice e così ho inventato una storia alternativa tutta mia, come del resto molte altre persone hanno fatto, basta leggere i bellissimi racconti pubblicati in questa sezione per rendersene conto.
Oggi finalmente, dopo tantissimo tempo, mi sono riappropriata dei miei spazi e sono tornata a dedicarmi a questa mia "creatura". Ci tenevo a continuarla e ora sono determinata ad andare avanti.
Spero vi faccia piacere leggermi di nuovo. E per chi non conosce la mia storia... beh, questo è il momento giusto per farlo! Spero vi piaccia.
Volevo ringraziare le persone che mi seguivano in precedenza e che mi lasciavano recensioni. Ho ricevuto anche messaggi privati che mi chiedevano notizie sugli aggiornamenti. Non ho risposto a tutti, ma volevo cogliere l'occasione per scusarmi e dire che ora sono pronta a proseguire.
Non voglio dilungarmi troppo, perciò ora lascio spazio al nuovo capitolo. 
Grazie ancora a tutti, di cuore.




19 – Un nuovo inizio
 


Georgie venne svegliata dalla luce del sole che filtrava dalle finestre e si rigirò nel letto.
Stava così bene sotto quelle coperte che non avrebbe mai voluto alzarsi. Si sentiva calma, riposata, ristorata e così appagata da quella notte di riposo che nemmeno si ricordò dove si trovava.
Poi all’improvviso tutto le tornò alla mente. Spalancò gli occhi e guardò il soffitto con stupore. Era tornata a casa. Nella sua amata Australia. La sua terra che tanto le era mancata.
Si sentì pervadere da un’ondata di calore. Finalmente era ritornata alle sue origini e non se ne sarebbe andata mai  più.
Ma poi una profonda tristezza tornò a turbarla. Il ricordo degli avvenimenti della sera prima riaffiorò.
Arthur. Il suo caro Arthur. La reazione incontrollata che aveva avuto alla notizia di lei ed Abel. E quel dolore che lo lacerava, che lo aveva trasformato in una persona diversa, irriconoscibile.
Cosa stava passando il suo adorato fratello? Quale fardello stava portando da solo?
Mentre faceva questi pensieri, il suo sguardo venne attirato da un movimento.
Voltò il capo sul cuscino e vide Abel seduto di schiena sul letto accanto al suo, intento a vestirsi.
-       Buongiorno – disse lei stiracchiandosi nel letto.
Abel si voltò, le rivolse un debole sorriso e rispose – Buongiorno a te Georgie, sei già sveglia? E’ presto sai, perché non torni a dormire ancora un po’?-.
Il dolce sorriso che Georgie stava rivolgendo al marito lentamente lasciò il posto ad un’espressione triste e pensierosa.
Aveva colto nella voce di Abel una nota di tristezza. Il suo bel volto era tirato. Stava cercando di mascherare il suo stato d’animo, ma non poteva ingannarla. Non poteva mentire. Non a lei, che lo conosceva meglio di qualunque altra persona al mondo. Non a lei che lo amava più della sua stessa vita e che ora come non mai aveva bisogno di sprofondare in quel suo caldo abbraccio, che aveva il potere di farla sentire a casa, al sicuro. Ma in quel preciso momento lui non era in grado di darle tutto questo, perché stava soffrendo e molto per giunta. E non sarebbe bastato quel debole sorriso ad ingannarla sul suo reale stato d’animo.
- Abel come ti senti stamattina? – chiese allora lei preoccupata, mentre lui finì di vestirsi.
- Bene, grazie – rispose calmo e freddo – una notte di riposo ha fatto il miracolo - .
Non la guardò negli occhi. Non era capace di mentirle con lo sguardo. Non voleva farla preoccupare, lei aveva bisogno di tranquillità. Non voleva far trapelare quello che davvero sentiva dentro di sé. Era ancora scosso per le parole di Arthur e non stava affatto bene.
Georgie rimase di stucco a quella fredda reazione. Ma davvero Abel pensava di averla convinta? Era ovvio che stava passando un brutto momento ed era comprensibile. Quello che lei non capiva era il suo atteggiamento. Perché non si apriva con lei? Perché la tagliava fuori dalle sue preoccupazioni? Lei era sua moglie infondo. Aveva tutto il diritto di stargli vicino e cercare di farlo stare meglio.
Avrebbe voluto dirgli chiaro e tondo che non se l’era bevuta, che aveva capito tutto, ma non volle iniziare la giornata litigando. Era già stato abbastanza difficile affrontare Arthur e i suoi demoni interiori. Era il momento di dare una tregua al povero Abel. E così decise di stare al gioco.
Si sedette sul letto con ritrovata energia e cercò di sorridere ed essere positiva, nonostante l’atmosfera pesante.
- Bene, allora mi vesto subito e poi vado a preparare la colazione per tutti. Magari davanti ad una tazza di thè e a delle frittelle calde riusciremo a parlare e a tenere calmi gli animi – esclamò Georgie propositiva.
Del resto, anche se Arthur aveva esagerato la sera prima, era pur sempre loro fratello. Forse bastava un gesto banale per riuscire ad avvicinarsi di nuovo a lui.
E sperava che così anche Abel avrebbe potuto avere l’occasione di chiarirsi con lui e lasciare da parte l’astio.
- Grazie per il pensiero gentile, Georgie – la interruppe Abel – ma io non ho fame ora. Magari mangerò qualcosa più tardi alla locanda giù al porto -.
Georgie sgranò gli occhi per lo stupore – Al porto? E cosa ci vai a fare oggi al porto? –gli chiese incredula.
Abel non volle fissarla negli occhi, mantenne lo sguardo basso – Ho da organizzare il lavoro. Il signor Allen si aspetta che io apra il mio studio al più presto. Non intendo deluderlo – spiegò.
- Ma siamo appena tornati e tu già pensi al tuo studio? Non credo che il signor Allen intendesse che tu ti mettessi subito all’opera – disse lei a quel punto – E comunque potresti rimandare tutto almeno fino a domani. Oggi abbiamo bisogno di parlare con Arthur. Di quello che è successo ieri sera. Non possiamo evitarlo, sarebbe sbagliato. Se ora ci allontanassimo da lui, si verrebbe a creare un muro tra noi e non possiamo permetterlo -.
Abel ascoltò con attenzione quelle parole e finalmente trovò la forza di incontrare i suoi bellissimi occhi verdi.
- Ma infatti tu rimarrai qui con lui – proseguì Abel con calma – Sono io che me ne vado. Non voglio essere di troppo. Non mi sembra il caso. Approfitto del mio lavoro per lasciarvi lo spazio necessario per riavvicinarvi. Non voglio che lui ce l’abbia con te per causa mia -.
Georgie trasalì a quelle parole. Ma cosa aveva per la testa suo marito?
- Che stai dicendo? – esclamò lei spazientita – Questa è casa tua, perché mai dovresti essere di troppo? Perché ti rifiuti di parlare con tuo fratello? Tu hai bisogno di riavvicinarti a lui più di me. Dovete parlare e mettere a posto le cose. Quello che è successo ieri è stato spiacevole, tesoro, lo so. So che ci stai male ora e che sei ferito. Ma so anche che se oggi te ne vai perderai un’occasione importante per riappacificarti con lui. So quanto lo ami, quanto hai sofferto quando hai pensato che fosse morto. Ma dopo tutto il dolore che hai provato, ora hai la fortuna enorme di averlo qui. Non scappare. Resta e lotta per il vostro rapporto. Non farti abbattere dalle sue parole. Ieri era sconvolto, non sapeva nemmeno quello che diceva -.
Abel scrollò il capo ostinato e continuò con fermezza – E invece sapeva benissimo quello che stava dicendo, amore mio – disse con un’espressione triste e sofferente – Ha detto che mi odia. E’ stato chiaro in merito. E per quanto io gli possa voler bene, per quanto vorrei abbracciarlo e dirgli che io per lui ci sono e ci sarò sempre, so che non mi crederà. Che non mi darà mai la possibilità di stargli accanto -.
Si interruppe solo un istante e si voltò verso la finestra, perdendo il suo sguardo oltre il cortile di casa, verso le praterie sconfinate. Le stesse verdi praterie che li avevano visti crescere tutti e tre insieme, li avevano visti giocare felici.
Come gli sembrarono lontani quei bei tempi. Eppure nulla era cambiato da allora in quei luoghi, tutto sembrò rimanere fermo lì, al suo posto.
Erano loro che non erano più gli stessi. Erano dovuti crescere in fretta. Gli equilibri si erano inesorabilmente spezzati, portandosi via la felicità che aveva caratterizzato la loro infanzia.
- Non intende perdonarmi. Ti ho portata via da lui. E ora più che mai lui avrebbe avuto bisogno di te al suo fianco – sospirò mestamente, abbassando il capo – E’ normale che ora lui provi rancore per me. Mi sono preso tutto e ora lui si sente tradito -.
Georgie si avvicinò a lui, toccandogli gentilmente una spalla e lo fece voltare, affinchè la guardasse.
- Che cosa vuoi dire con questo Abel? – chiese lei stupita – Che sei pentito di noi? -.
Abel la guardò dispiaciuto. Non voleva vederla così preoccupata. Era visibilmente scossa dalle sue parole e stava in pena.
- No amore mio, no, questo mai – la rassicurò lui, accarezzandole dolcemente una guancia – E’ solo che in questo momento non posso difendere il nostro amore con lui. Se le circostanze fossero state diverse, allora non gli avrei permesso di dire quelle cose -.
A quel pensiero Abel si rattristò ulteriormente e spiegò alla moglie le sue sensazioni – Arthur sta molto male. Ha passato un inferno nei giorni in cui è stato prigioniero dei Dangering. E ora è segnato – una lacrima gli rigò la guancia – Come posso io tenergli testa ora? Come posso convincerlo che sta sbagliando con me? Lo hanno svuotato Georgie, gli hanno portato via tutto. La libertà, la dignità, la salute, la serenità. Tutto. E ora arrivo io e gli sbatto in faccia la mia felicità. Gli dico che ho sposato la ragazza che ho sempre amato e che ha sempre amato anche lui. Gli dico che sto per diventare padre. E pretendo che tutto questo venga accettato da lui senza batter ciglio? No, non è possibile. Non sarebbe giusto. Lui sta soffrendo molto e non può sopportare altri affronti. Non da suo fratello, almeno -.
Georgie sentì una morsa al cuore a quelle parole. Povero Arthur e povero Abel. Che avrebbe potuto fare lei per aggiustare le cose? Sembrava tutto terribilmente difficile. Sembrava davvero che non ci fossero più speranze per una nuova vita loro tre insieme.
- Io capisco, ma se tu provassi a parlarci … - disse lei in preda alla disperazione – Magari riuscireste a ritrovarvi. Non scappare da lui oggi, resta qui e affrontalo. Fagli capire quanto tieni veramente a lui -.
Abel sorrise intenerito dai tentativi della moglie di farli riappacificare. Sapeva benissimo quanto lei ci tenesse a vederli andare d’accordo.
- Non oggi, Georgie – rispose fermo Abel – Non oggi. Oggi voglio rispettare i suoi tempi e lasciargli i suoi spazi. Non voglio essere il solito egoista. Voglio che sappia che lo rispetto. Sono sicuro che lui preferisce trascorrere questa giornata con te, piuttosto che avermi tra i piedi e io non voglio forzarlo. Lavorerò tutto il giorno, così terrò la testa impegnata e non penserò ad Arthur. Tornerò stasera al tramonto -.
Georgie scrollò la testa in segno di disapprovazione – Sinceramente non capisco il tuo punto di vista – continuò – Oggi te ne stai alla larga. Va bene. Ma poi domani? E dopodomani? Cosa sarà cambiato se non vi vedrete? Se non proverete a chiarirvi? Che farai? Starai tutti i giorni alla larga da casa tua per rispettare i suoi tempi? Abel, ti rendi conto che è assurdo?-.
- No, non lo è invece – rispose lui convinto  - capirà che non gli voglio mettere fretta e lo apprezzerà. Starò alla larga il tempo necessario, non mi importa -.
- Cosa? – esclamò Georgie sempre più confusa – Starai lontano da qui il tempo necessario? Ma lo sai che significa questo? Che non sarai con me, ecco che significa. Perché dobbiamo fare questo? Che senso ha, scusa? Perché dovrei rinunciare a te? Partiresti tutte le mattine all’alba e torneresti al tramonto, non saremmo mai insieme -.
- Georgie, ti prego, ragiona – cercò di calmarla lui – Sarà per un breve periodo, fin quando Arthur non dimostrerà di tollerare la mia presenza qui. Non possiamo essere egoisti e pensare solo a noi stessi. Che pretendi che faccia? Che stia qui sapendo che lui mi odia, mentre mi guarda che sto con te? Che ti bacio? Che faccio l’amore con te? Non posso ferirlo ancora di più, non me la sento -.
Georgie sentì che stava perdendo la pazienza.
- Mi stai dicendo che in qualche modo il nostro amore può essere un’offesa per Arthur? Non saremo più liberi di amarci per non farlo soffrire? – chiese lei al limite del pianto – Non era questa la vita che avremmo voluto vivere una volta tornati a casa. Non era così che avremmo dovuto interagire con Arthur. E poi che farai quando nascerà il bambino? Lo terrai nascosto da lui per non recargli altro dolore? Mi stai forse dicendo che dovrei limitarmi? Che dovrei vergognarmi del nostro amore e di nostro figlio? -.
Abel la strinse forte a sé. Non voleva vederla così, né sentirle dire quelle stupidaggini.
- Amore mio – prese a dirle con dolcezza per calmarla - Nessuno qui deve vergognarsi. Il nostro amore è la cosa più bella che mi sia mai capitata e non vedo l’ora di stringere nostro figlio tra le mie braccia. Quello che voglio dire è solo che per i primi tempi voglio andarci piano. Ora non saprei come affrontarlo. Non saprei come placare la sua ira. Lui mi detesta in questo momento e l’unico regalo che davvero apprezzerebbe è non vedermi intorno a lui per un po’. Lasciami tentare, Georgie. Vorrei che lui si abituasse a questa nuova situazione pian piano. La fretta è cattiva consigliera -.
Georgie si scostò da quell’abbraccio per guardarlo in volto e con gli occhi colmi di lacrime singhiozzò – Ma così noi dovremo vederci poco e… -.
Ma lui la azzittì mettendole dolcemente l’indice sul labbro e accennando un lieve sorriso – E’ solo per poco tempo, te lo prometto – insistette lui – Proviamo a fare come dico io. Te lo ripeto, non voglio forzarlo. In questo momento Arthur è la priorità. Sono già felice di saperlo sano e salvo. Questo mi basta, mi sono tolto un peso dal cuore. Ora non sono più angosciato per la sua morte. E questo è già molto per me. Il resto lo vedremo. Spero di riconquistare la fiducia di mio fratello con il tempo. Ma per fare questo tu devi aiutarmi. Devi solo avere un po’ di pazienza -.
- Io pazienza non ne ho più. L’ho esaurita tutta ultimamente – rispose Georgie, facendo il broncio come quando era piccola.
Abel si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. A volte la sua Georgie faceva i capricci, proprio come quando era una bambina. E questo lo intenerì molto, perché li stava facendo per lui, per averlo accanto a sé. Come avrebbe voluto accontentarla, stare sempre con lei, tenerla tra le braccia tutto il giorno, amarla appassionatamente….ma questa volta non poteva.
- Ma io ti amo – proseguì lei sconsolata – E non ti forzerò. Anche se non credo che sia questo il modo giusto per fare pace con Arthur -.
Abel sorrise e la baciò dolcemente.
- Grazie amore mio – sussurrò sulle sue labbra – Ti sono grato per questo. Ti prometto che cercherò di porre fine al più presto a questa situazione -.
Georgie sospirò e non aggiunse altro. Che poteva fare del resto? Quando Abel si metteva in testa una cosa, era impossibile fermarlo.
Dopo poco Abel si congedò da lei con estremo rammarico. Prese il cavallo e si diresse verso il porto, lasciandola sola nel cortile di casa, mentre lo guardava preoccupata sparire all’orizzonte.
 
 
Si voltò per rientrare in casa. Avrebbe preparato la colazione e deciso come affrontare Arthur.
Ma non fece in tempo a fare un passo, che sussultò per un piccolo spavento.
Arthur era alle sue spalle, immobile, che la fissava con espressione incerta.
- Oh cielo! – esclamò Georgie presa alla sprovvista – vuoi forse farmi morire di paura? -.
Arthur indietreggiò in evidente imbarazzo ed abbassò lo sguardo.
- Scusami – sussurrò – non era mia intenzione… -.
Notò che rispetto alla sera prima sembrava decisamente più calmo e tranquillo. Aveva perso la baldanza. Anzi, sembrava molto a disagio.
Rimase stupita. Come era possibile un cambiamento del genere? In lui non sembrava esserci più traccia dell’odio e dell’ira che aveva dimostrato nei loro confronti la sera prima e questo, tutto sommato, le faceva piacere. Forse ora sarebbe stato più facile ragionare con lui. Forse il fatto di trovarsi solo, faccia a faccia con lei, lo aveva disarmato.
- Vado a preparare la colazione – disse Georgie risoluta – Non tardare a raggiungermi -.
Sentì crescere la sicurezza dentro di sé. Doveva dimostrare ad Arthur che non lo temeva. E fargli anche capire che era seccata con lui per le parole e i toni che aveva riservato loro.
Stava soffrendo ed era loro preciso dovere aiutarlo. Ma forse un po’ di severità poteva fargli bene.
Entrò in cucina, seguita da lui, e si mise subito all’opera. Arthur, silenziosamente, si avvicinò e le diede una mano, accendendo il fuoco e preparando la tavola per loro due.
Non chiese nulla in merito ad Abel, nemmeno lo menzionò e questo ferì Georgie.
Come potevano due fratelli uniti come loro essere così distanti uno dall’altro? Non poteva accettarlo. Era determinata a porre fine a quella stupida situazione al più presto.
Mangiarono in silenzio, seduti uno di fronte all’altra.
Arthur di tanto in tanto volgeva uno sguardo furtivo a Georgie, ma lei non alzò mai il capo per incontrare i suoi occhi. Non accennò ad un sorriso, ad una parola. Era evidentemente arrabbiata e lui sapeva fin troppo bene il motivo e se ne crucciò.
- Perdonami Georgie – disse a quel punto lui – Non avrei dovuto dirti quelle parole -.
Lei trasalì. Lui si stava scusando. Aveva capito l’errore. Forse era davvero possibile sistemare le cose.
- Ti ho offeso in vari modi ieri – continuò guardandola dritto negli occhi – E me ne dispiace. Non lo meritavi. Sono stato un idiota -.
Lei chiuse per un istante gli occhi, fece un profondo sospiro e rispose – Sì, hai esagerato Arthur. Hai detto cose cattive ed ingiuste e mi sono sentita davvero male per questo. Davanti a me avevo un estraneo, non il fratello che adoravo. Mi hai sconvolto con la tua reazione e ho temuto davvero di averti perso per sempre, ma per fortuna ora vedo un uomo diverso qui davanti a me. Intravedo di nuovo il mio Arthur e questo non può che rendermi felice. Vorrei solo capire che accidenti ti è preso ieri sera per dire parole così gravi nei nostri confronti -.
Arthur scosse la testa – Non puoi capire, Georgie. Non hai idea di cosa sto passando. Sto davvero male e sono  molto cambiato. Ho spesso sbalzi d’umore e a volte sento una rabbia incontrollabile scoppiarmi dentro. Vorrei domarla, ma non ci riesco -.
Abbassò il capo, come sconfitto, e iniziò a singhiozzare.
Georgie sentì una morsa al cuore nel vederlo così. Allungò una mano e coprì la sua, abbandonata sul tavolo mentre piangeva.
Non sapeva che dirgli. Quali parole sarebbero state giuste in quel momento, senza il rischio di suonare vuote e banali?
Al dolce contatto con lei Arthur alzò nuovamente il capo e si asciugò le lacrime.
- Scusami – disse sommessamente – Non voglio che tu mi veda in questo stato. Ma è difficile per me essere forte ormai -.
Georgie  prese la sua mano fra le sue e la strinse, per infondergli calore e sicurezza.
- Arthur non devi preoccuparti – disse con dolcezza – Non devi giustificarti con me. Sii semplicemente te stesso e vivi le emozioni che senti dentro di te liberamente. Che siano positive o negative. So che hai passato momenti durissimi e non ti biasimo se ora stai male. Noi siamo qui per te, perché ti vogliamo bene e vogliamo che tu stia meglio. Ti aiuteremo senza indugi. Però voglio che tu capisca che le offese di ieri sera sono state esagerate. Non ce le meritavamo. Abel e io ti vogliamo bene. Non puoi allontanarci da te -.
Appena sentì quelle parole Arthur ebbe un sussultò e di scatto tolse la sua mano da quelle di Georgie.
- Non ci siamo capiti – disse lui a quel punto – Io mi sto scusando con te. Solo con te. E’ con te che voglio ricostruire un rapporto. Non con Abel. Per me lui è morto -.
Georgie sentì il mondo crollarle addosso. Come era possibile tutto questo? Come poteva Arthur odiare tanto suo fratello.
Lui si alzò e iniziò a camminare nervosamente per la cucina.
- Mi ha tradito, capisci? – urlò – Si è preso la donna che amavo. Si è costruito una vita felice con lei. E ora vorrebbe che io gli fossi amico? Mai! E’ il solito egoista, Georgie. Non pensa ad altri che a se stesso. Se ora io sto così male, è solo colpa di Abel! -.
Aveva di nuovo cambiato umore, era agitato, arrabbiato e per un attimo Georgie ebbe paura. Non sapeva come avrebbe potuto reagire. Era davvero sconvolto.
- Quando te ne sei andata – proseguì con la voce rotta dal pianto – Lo implorai di non seguirti, ma come al solito non mi diede retta. Lasciò tutto e partì per l’Inghilterra. Abbandonò me, la mamma, la nostra casa. Tutto. Non ebbe un briciolo di buon senso. Non si preoccupò di nulla, solo di se stesso. Lui voleva te e ti avrebbe avuta a qualunque costo. Non si preoccupò nemmeno per un istante dei suoi cari. La mamma è morta senza rivederlo un’ultima volta. E’ rimasto tutto sulle mie spalle. Dov’era il mio caro fratello in quei momenti? Ero solo, Georgie, completamente solo  -.
Georgie non seppe trattenere le lacrime a quelle parole. Arthur aveva portato un fardello enorme tutto da solo e lei si sentiva in colpa.
- E’ colpa mia – lo interruppe lei – sono scappata da lui e da voi senza nemmeno venirvi a salutare un’ultima volta. Non ho avuto il coraggio. Sono stata meschina ed egoista. Se solo non mi fossi mai imbarcata su quella maledetta nave, oggi…. – ma non ebbe il tempo di finire la frase che Arthur la interruppe.
- Tu non c’entri nulla, mia cara – disse lui in tono consolatorio – che potevi fare? Eri sconvolta dalle ultime rivelazioni che ti aveva fatto la mamma. Sei fuggita perché sentivi che la tua vita era stata un’enorme menzogna. Non ti biasimo per questo. Non hai colpe. Ma Abel sì. Lui avrebbe dovuto ragionare, essere meno impulsivo. Invece è partito immediatamente, senza curarsi di nessuno. Come lo vuoi chiamare questo? Per me è stato puro egoismo -.
- No, non è vero Arthur e tu lo sai – rispose allora Georgie – Abel è sicuramente un ragazzo impulsivo, spesso testardo e agisce d’impeto. Questo sì. Ma non è un egoista. Ha un cuore grande Arthur. Tu non puoi sapere quanto -.
Si interruppe un momento, vinta dall’emozione, ma poi riprese il suo discorso – Lui ha mollato tutto per seguire me. Perché mi amava e soprattutto perché non voleva lasciarmi sola in una grande città così lontana. Mi ha cercata ovunque, finchè non mi ha trovata. E tu non sai quanto io sia stata crudele con lui, Arthur. Gli ho spezzato il cuore. L’ho fatto soffrire, senza preoccuparmi minimamente dei suoi sentimenti. Se qui qualcuno è egoista, beh quella sono io. Ho solo pensato a me stessa. Ero decisa a stare con Lowell e così ho calpestato le speranze di Abel, senza pietà. E nonostante questo lui mi è stato vicino sempre. C’era comunque per me. Mi ha aiutata con Lowell e mi ha accolta quando sono stata costretta a lasciarlo e a riportarlo da Elisa. Non mi ha mai serbato rancore. Ha continuato ad amarmi in silenzio, senza pretendere nulla da me. Voleva solo che fossi felice, anche se questo comportava vedermi con un altro -.
Si asciugò una lacrima che le aveva rigato la guancia e poi riprese – Per non parlare di te, Arthur. Tu non hai idea di cosa abbia fatto tuo fratello per te, per salvarti. Non hai idea di quanto abbia rischiato. Ha lottato tra la vita e la morte per parecchi giorni. E tutto questo per te, per liberarti dalla tua prigionia. Era devastato dall’idea di saperti prigioniero di Dangering. Era perfettamente consapevole del tuo stato e avrebbe fatto qualunque cosa per sostituirsi a te. Era il suo pensiero fisso. Doveva liberarti. Doveva provvedere a te. E ha rischiato di morire per farlo. Se tu sei riuscito a fuggire da quell’inferno è grazie ad Abel. Se non fosse stato per lui, ora saresti ancora tra quelle mura -.
Arthur ascoltò in silenzio e molto attentamente il racconto di Georgie.
Lei gli spiegò tutto nel minimo dettaglio, rivivendo nella sua mente quei giorni così angosciosi e raccontandogli tutto quello che Abel aveva passato per lui, compreso il forte dolore che aveva provato quando tutti credettero che il suo amato fratello fosse morto, annegato nel Tamigi e di tutte le peripezie che ne erano seguite, come il travagliato viaggio a Telford.
Arthur ascoltò con stupore il racconto di Georgie, in particolare di quello che suo fratello aveva fatto una volta sostituitosi a lui nella cella presso i Dangering. Aveva rischiato molto e tutto questo per salvarlo. E di come si fosse dannato l’anima pensando che lui fosse morto.
Ascoltando quelle parole pianse. Sapere che Abel lo amava così tanto lo emozionò. E poi molti ricordi riaffiorarono alla mente. Erano sempre stati uniti e aveva sempre potuto contare sulla protezione di suo fratello maggiore.
- Non mi ha mai portato via da te – Georgie interruppe i suoi pensieri – Semplicemente sono io che ho scelto lui. Se devi essere arrabbiato con qualcuno per il fatto che ora noi siamo insieme, quella sono io, non Abel –.
Arthur aggrottò la fronte, non capendo appieno le parole di Georgie.
- Lui non ha fatto nulla – continuò intenerita lei – mi ha amata, mi ha sempre amata, ma non mi ha mai obbligata a stare con lui. Anzi, fino ad un certo punto mi sono comportata male. L’ho ferito, l’ho fatto soffrire. Ma poi improvvisamente le cose sono cambiate. Mi sono resa conto che lui per me era molto importante. Ho capito che la sua presenza al mio fianco era diventata essenziale. Mi mancava moltissimo quando non era con me e non hai idea di quanto ho sofferto quando ha deciso di sostituirsi a te in quella cella. Ha compiuto un atto di enorme coraggio e soprattutto di amore nei tuoi confronti, ma contemporaneamente ha gettato me nel panico più profondo. Sentivo che lo avrei perso e ho temuto di impazzire. Ho capito allora di amarlo. Ho capito allora che non avrei potuto più fare a meno di lui -.
Arthur vide Georgie commossa come non gli era mai capitato prima. Parlava di Abel con una dolcezza disarmante. I suoi occhi lucidi per l’emozione di quei ricordi erano fissi in un punto indeterminato nel vuoto. Aveva un triste sorriso sulle labbra. Era bellissima. Ed era Abel che le faceva quell’effetto.
- Quando ho lasciato Lowell mi sono sentita molto triste e spaesata. Ma indovina chi è stato accanto a me per confortarmi? Lui. Sempre lui. Nonostante tutto, lui era lì per me. E alla fine ho capito. Solo che ho temuto che fosse troppo tardi. Avrei potuto perderlo. Sarebbe potuto morire. Anzi, a dire il vero non so come abbia fatto a sopravvivere. E’ stato un vero miracolo -.
Lo guardò negli occhi e aggiunse – Avrei potuto innamorarmi di qualcun’ altro… di te per esempio. O avrei potuto continuare a star male per aver perso Lowell. Siete entrambi due persone molto importanti per me. Avrei potuto scegliere voi. Ma non è andata così. E sai perché? – disse lei sorridendo – Perché ho capito che nulla si può contro le scelte del cuore. E il mio era di Abel. E forse lo è sempre stato, anche quando credevo fosse mio fratello. Non so spiegarti il motivo a parole. Credo che certi tipi di amore, così viscerali, così profondi, così duraturi nel tempo sfuggano alla ragione e siano solo comprensibili al cuore. Lo amo, Arthur, lo amo tantissimo e non potrebbe essere diversamente. Se lui quel giorno fosse… ho paura solo a pensarlo… se lui fosse morto quel maledetto giorno e io fossi tornata in Australia e avessi ritrovato te, come è successo ieri, beh non avrei scelto comunque te, perché io appartengo ad Abel. Sono sua e di nessun altro. E non lo dico per ferirti, ma per farti capire che ci sono situazioni che non si possono decidere, ma semplicemente capitano. Ti voglio bene Arthur, te ne voglio davvero molto. Ma come un fratello, niente più. Non odiare Abel a causa dei sentimenti che provo per lui. Nessuno ti ha rubato niente. E’ stato semplicemente il cuore a fare la sua scelta e so che il mio ha fatto la cosa giusta -.
Arthur ascoltò quelle parole e alla fine sospirò – Non era proprio destino tra noi, eh Georgie – disse Arthur arrendendosi – Ma io del resto lo sapevo. L’ho sempre saputo che eri sua. Lo avevamo capito tutti, anche la mamma e lo zio Kevin. Voi due avete sempre avuto un legame speciale e non era di certo un sentimento fraterno quello che vi legava. Forse tu ai tempi non ne avevi preso piena coscienza, perché ti credevi nostra sorella, ma c’era un qualcosa di diverso tra te e Abel. Qualcosa che non avevi con me e con nessun altro. In effetti mi sono stupito quando ti sei innamorata di Lowell. Dentro di me ero convinto che prima o poi Abel ti avrebbe raccontato la verità e tu saresti corsa tra le sue braccia -.
Georgie sorrise – No Arthur, Abel non l’avrebbe mai fatto. Non è mai stato l’egoista che tutti credevano. Mi ha raccontato che stava malissimo per via di quel segreto e che molte volte avrebbe voluto togliersi il peso raccontandomi tutta la verità. Ma poi gli mancò il coraggio di farlo, perché non voleva ferirmi. Mi ha sempre protetta e amata, sempre. In ogni momento della nostra vita – chinò il capo e proseguì – Non so che successe quando mi innamorai di Lowell. Lui era così… diverso da noi. Era bello, raffinato, colto, elegante. Mi sono innamorata di quello che rappresentava. Dei suoi modi. Dell’idea che lui mi dava dell’amore. Ma in realtà è stata solo un’ infatuazione. Ho capito solo tempo dopo cos’era davvero l’amore. E l’ho capito con Abel -.
- E per me, invece, non hai mai provato nulla – sentenziò deluso Arthur.
Georgie lo guardò stupita – No! Io ti voglio davvero bene, Arthur. Ma non in quel modo. Non come Abel. Sei e sarai per sempre un fratello. Una persona speciale. Non è questione di intensità di sentimenti. Li provo fortissimi per entrambi, ma di natura diversa. Tutto qui -.
- Già – disse Arthur rassegnato – e io sono quello che rimarrà per sempre relegato nel ruolo dell’amico fidato…. La mia solita fortuna! Non riuscirò mai ad essere felice, ad essere amato da una donna -.
Georgie gli mise una mano sulla spalla e disse – Queste sono solo stupidaggini! Il fatto che io non ti ami in quel modo, non vuol dire che non ci sarà mai una donna nella tua vita che ti renderà felice. Arthur, guardati. Sei un ragazzo bellissimo, dolcissimo, generoso e pieno di premure verso il prossimo. Sei una brava persona. La donna che ti avrà sarà la più fortunata del mondo -.
Arthur rise sarcastico a quelle parole – Chi, Georgie? Chi? Dimmi seriamente chi sarebbe disposta a passare la vita con uno come me. Uno con i demoni che dimorano in un passato oscuro. Demoni che tornano a tormentarmi ogni giorno. Chi può decidere di amarmi nonostante tutto questo e portare con me il fardello pesante delle atrocità che ho subito? -.
Georgie non seppe trattenersi e gli accarezzò dolcemente il volto. Quelle parole erano cariche di dolore e disperazione e lei avrebbe voluto alleviare quel tormento.
- Passerà Arthur, passerà anche questo e tornerai a sorridere. E non temere, perché non è così difficile innamorarsi di te. Vuoi un nome? Beh io ce l’ho. Maria. Lei era sinceramente affezionata a te e posso assicurarti che quel sentimento si stava trasformando in amore. Poi purtroppo sono successe le cose che sappiamo e anche lei ha finito con il credere che tu fossi morto. Non ti dico quanto ha sofferto. E soffre ancora, poverina, perché non sa che sei riuscito a sopravvivere -.
Al nome di Maria, l’espressione sul volto di Arthur si addolcì.
Maria. Bellissima Maria. Lei era un raggio di sole in quella prigione infernale. L’unica cosa bella per cui valesse la pena vivere quelle terribili giornate. Era gentile con lui e riusciva a trasmettergli un po’ di calore umano. L’unica persona in quella casa che ancora ricordava con piacere.
Ma non riuscì davvero a conoscerla o a valutare i sentimenti che lei suscitava in lui, perché troppa era la sofferenza che provava a causa di suo fratello e di suo padre. Troppe le torture che aveva dovuto subire.
- Sai cosa ho notato, Arthur – disse Georgie riportando il fratello alla realtà – che mentre Abel non ha mai amato davvero altre donne oltre me, tu invece mi davi l’impressione di provare qualcosa per Maria. Non so cosa fosse e forse non lo sai neanche tu, ma credo che se le circostanze fossero state diverse, avresti potuto innamorarti di lei. Forse sopravvaluti il sentimento che ti lega a me, perché non hai potuto conoscere meglio Maria. Chissà, se fosse successo magari ora le cose sarebbero diverse e non saresti così arrabbiato che alla fine io abbia scelto Abel -.
Arthur sorrise a quelle parole. In effetti Maria aveva toccato qualcosa di intimo e profondo dentro al suo cuore. Ma non aveva avuto il modo e il tempo di realizzarlo e di viverlo.
- Chissà – ribattè lui rattristato– non lo sapremo mai. Maria è rimasta a Londra. Lontano da qui….. lontano da me -.
 Georgie lo abbracciò per consolarlo. In effetti Arthur era molto sfortunato. Aveva avuto la possibilità di essere felice con una persona sinceramente interessata a lui e l’aveva persa.
Il suo pensiero andò anche a Maria. Alla povera Maria, ormai sola, abbandonata da tutti, con la tristezza nel cuore. Se solo Maria avesse saputo che Arthur era vivo…
Poi si rese conto che non tutto era perduto. C’era ancora una speranza. Doveva scrivere a suo padre e raccontargli tutto. Forse sia per Arthur che per Maria c’era ancora una possibilità! Si, doveva tentare. Subito, senza indugi. Non poteva perdere tempo. Era sicura che una nave sarebbe salpata l’indomani per Londra. Doveva assolutamente far partire una lettera con quella nave e mandarla al conte Gerald. Prima che suo padre lasciasse l’Inghilterra, ovviamente.
Si sentì improvvisamente raggiante! Era felice per quell’idea che aveva appena avuto. Avrebbe voluto spiegare tutto ad Arthur, ma preferì trattenersi. Se il suo piano fosse fallito, il povero ragazzo avrebbe ricevuto l’ennesima delusione e non sarebbe stato giusto.
Avrebbe tenuto tutto per sé per il momento. Era sicuramente meglio. E se le cose fossero andate per il verso giusto, il suo caro Arthur avrebbe ricevuto una bellissima sorpresa nei prossimi mesi. E forse le cose si sarebbero sistemate una volta per tutte.
Si, quella era davvero l’ultima occasione. Doveva solo provarci e l’avrebbe fatto!
- Che cosa ti sta passando per la testa, Georgie? – chiese Arthur curioso, ridestandola dai suoi pensieri.
Georgie lo guardò, cercando di non far trapelare nulla. – Niente di che – rispose vaga – Stavo solo pensando che sta per tramontare il sole. Tra poco arriverà Abel e…. beh si….. mi chiedevo che intendi fare con lui… -.
Arthur sospirò e le chiese – Ti rende felice? -.
Lei sorrise e arrossì lievemente –Sì, molto – sussurrò.
- Bene – esclamò Arthur – Vuol dire che per questa volta lo perdonerò. Si è preso lui la ragazza, ma almeno so che sei felice. Ed è questo quello che conta -.
Georgie non seppe contenere la gioia per quelle parole. Saltellò felice intorno al fratello, come una bambina impaziente e lo abbracciò con vigore.
- Grazie! Grazie! Grazie! – urlò felice lei – Vedrai che non te ne pentirai!!! -.
- Va bene, va bene – ridacchiò Arthur di fronte a quella manifestazione di entusiasmo – Ma ora torna dentro. Aspetterò io Abel qua fuori. Voglio parlargli da solo -.
Georgie obbedì a quella richiesta. Era giusto lasciare un po’ di intimità ai due fratelli, dopo la scenata del giorno prima. Dovevano chiarirsi e dovevano farlo da soli.
E poi a lei era tornato l’appetito dopo quel discorso con Arthur e aveva intenzione di preparare una cenetta con i fiocchi per celebrare il loro ritorno in Australia e finalmente allentare un po’ la tensione. Inoltre aveva anche un’importante lettera da scrivere.
Diede un bacio sulla guancia del fratello e sussurrò – Grazie. Sono felice che tu ci stia provando -. E poi rientrò.
Arthur sorrise alle sue esternazioni e restò seduto sulla staccionata, guardando il sole tramontare, in attesa che Abel facesse ritorno.
Si rese conto che per la prima volta, dopo tanto tempo, era riuscito a trascorrere una giornata senza pensare alle brutte cose che gli erano capitate nei mesi prima.
Georgie era riuscito perfino a farlo sorridere.
Forse il ritorno di Abel e Georgie avrebbe finito con fargli bene davvero. Forse c’era ancora speranza per lui… per loro tre. Come ai vecchi tempi.
Sì, forse sarebbe riuscito a tollerare anche il loro amore. Forse li invidiava, ma alla fine era felice per loro.
Forse Georgie aveva ragione. Forse lui aveva mal interpretato il sentimento che lo legava a lei. Forse non era amore, almeno non quel tipo di amore. Oh, se solo ci fosse stata Maria lì con lui, ma quello non era un discorso plausibile, purtroppo.
Chissà la vita cosa aveva ancora in serbo per lui… lo avrebbe scoperto solo se avesse avuto il coraggio di perdonare il fratello e ritrovare la voglia di ricominciare con lui.
Si, lo voleva, lo voleva davvero. Voleva lasciarsi tutto alle spalle e ritrovare suo fratello.
 
 
Abel era stanco. Aveva cercato di non pensare ai suoi problemi per tutto il giorno, concentrandosi sul lavoro, ma non era riuscito bene nel suo intento.
Le parole di Arthur gli risuonavano nella testa e lo tormentavano. Aveva un groppo allo stomaco, come se qualcuno lo avesse colpito forte.
Cercava di non forzare le cose con il fratello, ma di sicuro era difficile.
E poi aveva sentito terribilmente la mancanza di Georgie.
Negli ultimi tempi erano sempre rimasti insieme e oggi non averla accanto a sé era stato spiacevole.
Gli era mancato parlare con lei… baciarla…. stringerla forte….accarezzarle i capelli…. perdersi nei suoi bellissimi occhi verdi…. il profumo della sua pelle morbida, calda…. Gli era mancato tutto, tutto.
Quanti giorni avrebbe dovuto ancora trascorrere lontano da lei? Dalla sua casa? Da Arthur?
Mentre si interrogava su queste questioni, intravide la sua fattoria. Era arrivato a casa e non sapeva se esserne felice o meno.
Di sicuro non vedeva l’ora di riabbracciare sua moglie, ma poi come avrebbe dovuto comportarsi con il fratello?
Giunse nei pressi della stalla e scese da cavallo e lo portò dentro.
Tolse la sella e la ripose, poi cercò dell’acqua per abbeverare l’animale.
- Lascia stare, Abel – disse una voce dietro alle sue spalle – ci penso io -.
Si bloccò per un istante e spalancò gli occhi. Quella voce…. non era una voce qualunque…quello era….
Si voltò per guardare in viso chi gli aveva parlato ed esclamò – Arthur! -.
Arthur era di fronte a lui. Lo guardava, ma non c’era aria di sfida nei suoi occhi, né rancore.
Sembrava tranquillo e soprattutto ben disposto nei suoi confronti.
La cosa lo lasciò meravigliato. Ma che era successo? Come mai quel cambiamento?
Arthur accennò un sorriso e proseguì – Sarai stanco, sei stato fuori tutto il giorno. Ci penso io al cavallo. Tu vai a darti una rinfrescata -.
Abel rimase immobile, fissandolo con stupore. Non seppe che dire e non riuscì nemmeno a muoversi, tanto era lo sbigottimento per le parole del fratello.
Ma nonostante questo, Arthur si avvicinò a lui e prese a badare al cavallo.
Allora Abel ritrovò la forza di parlare e gli disse – Arthur, io…mi dispiace -.
Arthur interruppe il suo lavoro e lo guardò sorridendo – E per cosa esattamente ti dispiace? Sono io quello che si deve scusare, non tu -.
Chiuse per un istante gli occhi, come per raccogliere le idee e poi riprese il discorso – Abel, non ho scuse per le cose terribili che ti ho detto l’altra sera. Non le pensavo davvero. Volevo ferirti, come tu avevi ferito me, ma in realtà sono stato solo uno stupido e non avrei dovuto. Come potrai immaginare, oggi ho avuto un bell’ incontro chiarificatore con Georgie e lei mi ha aperto gli occhi. Ho capito molte cose e volevo dirti che sei libero di vivere la tua vita e il tuo amore. Non ti sarò di ostacolo -.
Abel sentì gli occhi inumidirsi. Quelle parole lo avevano emozionato. Era felice di vedere che Arthur stava meglio e che era disposto ad aprirsi di nuovo a lui.
- E infine – proseguì – Devo anche ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me a Londra. So quello che hai rischiato, Georgie mi ha raccontato tutto e non potrò mai sdebitarmi con te. Tu mi hai salvato. Se non fosse stato per te, non sarei mai riuscito a fuggire e non so proprio che fine avrei fatto - .
Nel terminare la frase si lasciò vincere dalla commozione e pianse incontrollatamente.
Abel sentì una stretta al cuore nel vedere il fratello così e senza indugi si avvicinò a lui e lo abbracciò. Forte. Saldo. Per fargli capire che non era solo.
- Non pensarci più, fratello mio. So che avresti fatto la stessa cosa per me, se ci fosse stato il bisogno – sussurrò dolcemente Abel – Non rammaricarti più. Ora sei qui con noi e nessuno potrà più farti del male -.
Rimasero ancora qualche minuto così, in silenzio, abbracciati. Poi si staccarono e sorrisero, come se entrambi si fossero tolti un peso.
Sistemarono il cavallo ed uscirono dalla stalla.
Si sedettero sulla staccionata che cingeva la casa e rimasero ancora un po’ fuori a parlare. A raccontarsi tutto l’accaduto di quei mesi.
Venne fuori che il ragazzo avvistato a Telford era veramente Arthur. Aveva trovato un uomo buono che lo aveva salvato dal Tamigi e che lo aveva curato. Finse di essere suo padre per proteggerlo, per far sì che Dangering non scoprisse mai che lui era sopravvissuto alla fuga da casa sua.
- Se solo ti avessi ritrovato prima – esclamò Abel – Ho fatto quel lungo viaggio solo per te, perché speravo davvero che si trattasse di te. E il destino non ci ha fatti incontrare. Non hai idea di come ci rimasi male. Ero davvero abbattuto. Mi sentivo in colpa. Per tutto. Per aver abbandonato te e la mamma. Per averti lasciato solo quando è morta. Per quello che ti è successo a Londra. Ho fatto tante scelte sbagliate e tu ne hai pagato le conseguenze. Sono mortificato, io… -.
Ma Arthur lo interruppe, mettendogli una mano sul braccio – Basta Abel, ne abbiamo già parlato. Tu hai seguito il tuo istinto. Quello che è successo dopo non è colpa tua. Sono stato sfortunato, ma non è corretto che tu ti prenda la responsabilità. Prima ero così arrabbiato con te che mi veniva comodo scaricare su di te tutte le colpe. Ma ora che sono più sereno e razionale, so che non è giusto. Tu non c’entri nulla. Anzi, hai fatto tanto per me e io te ne sono infinitamente grato -.
Rimasero insieme ancora un po’, finchè Arthur disse – Ora va da lei. Non l’hai ancora abbracciata da quando sei tornato. E credo che le farebbe molto piacere. Io vi raggiungerò tra poco -.
Abel ringraziò il fratello per quella premura e si congedò da lui per raggiungere la moglie.
 
 
 
Appena aprì la porta di casa, la vide. Era intenta a preparare la cena e sembrò non accorgersi della sua presenza.
Era bellissima, semplicemente bellissima. Quella scena così semplice di vita familiare era per lui un sogno che si avverava.
Rincasare dopo una giornata di lavoro, scambiare quattro chiacchiere con il fratello e poi tornare da sua moglie, mentre stava preparando la cena per tutti. Era perfetto.
Se agli occhi di molti quello poteva essere un quadretto di quotidianità normale, per lui era la cosa più preziosa del mondo.
Dopo tutte le sofferenze, gli ostacoli, le lunghe separazioni, le liti, finalmente erano uniti tutti sotto lo stesso tetto. Ed erano in pace tra loro. Era semplicemente meraviglioso.
In quel momento Georgie notò che qualcuno era entrato in cucina e si voltò per poi vedere il marito sull’uscio che la guardava amorevolmente, con un’espressione rilassata e serena sul volto.
Era evidente che lui e Arthur avevano parlato e ora le cose erano decisamente migliori.
Gli sorrise radiosa. Uno di quei meravigliosi sorrisi che solo lei sapeva donare. Con gli occhi che brillavano per la gioia.
Non perse tempo e gli corse incontro, per poi gettarsi tra le sue braccia con un impeto di felicità.
Gli saltò al collo, mentre lui la sorresse, cingendogli le braccia intorno alla vita.
Lo baciò con passione e poi si staccò dalle sue labbra per un istante, con lo sguardo pieno d’amore.
- Bentornato Abel! – disse sorridendo – Mi sei mancato tantissimo -.
Abel era incantato da lei. Dalla sua bellezza, da quella gioia contagiosa che la contraddistingueva da chiunque altro.
- Grazie, amore mio – sussurrò lui – mi sei mancata anche tu, non hai idea quanto. Non vedevo l’ora che arrivasse questo momento -.
Si baciarono ancora e ancora, felici per quel momento speciale.
Poi Abel rimise Georgie a terra e lei le chiese impaziente – Allora, ti ha parlato? Avete fatto pace? -.
Abel sorrise e annuì – Si, tesoro mio. Ed è tutto merito tuo. Grazie. Come farei senza di te? -.
Georgie ridacchiò lusingata e rispose – Ahhh caro Abel, senza di me non ci potresti stare…. Come io senza di te del resto! -.
E si baciarono ancora, travolti dalla passione, incuranti di tutto il resto.
Vennero ridestati da un colpo di tosse. Si girarono verso la porta e videro Arthur.
- Oh scusa – disse prontamente Abel, facendosi serio – non ti avevamo sentito arrivare. Noi… -.
Ma non riuscì a finire la frase, perché il fratello lo interruppe – Non scusatevi, ragazzi. Va bene. Davvero. Non mi da fastidio. Anzi, è bello vedere qualcuno che si ama e che se lo dimostra con tanta naturalezza -.
- Sei sicuro Arthur ? – domandò Georgie timorosa – non vorremmo mai metterti a disagio o mancarti in qualche modo di rispetto -.
Arthur sorrise e scosse la testa – Ti ho detto di no. Davvero. Riesco a sopportarlo, non c’è problema. Sono felice per voi e mi mettete di buon umore. Non badate a me -.
Abel e Georgie si tranquillizzarono a quelle parole, ma decisero comunque di non esagerare con le effusioni davanti ad Arthur.
Proseguirono la serata in allegria, cenando tutti insieme, parlando e scherzando.
Quando l’ora iniziò a farsi tarda, Georgie decise che per lei era arrivato il momento di andare a dormire. Aveva bisogno di riposare, del resto era stata una giornata impegnativa.
Si congedò dai ragazzi e raggiunse la camera da letto, la stessa che era stata di Abel e Arthur in gioventù.
In cucina i due fratelli rimasero soli a parlare ancora un po’. Era bello per entrambi aver ritrovato l’intesa.
Ad un certo punto però Arthur disse – Ora però devi andare da lei. Sicuramente avete bisogno di avere un po’ di tempo per voi -.
Abel era incerto – Sicuro che non ti dia fastidio? – chiese – Resto volentieri ancora un po’ qui con te -.
Ma Arthur scosse la testa – No, fratello. Ti ho detto di andare da tua moglie. Avete la vostra vita e non dovete modificare le vostre abitudini per me. E poi scommetto che non vedi l’ora di raggiungerla – ammiccò con fare malizioso.
Abel sentì le guance arrossire. Non era certo un timido, ma non era abituato a parlare di certe cose con lui e tantomeno se la persona in questione era Georgie.
Ridacchiò imbarazzato e disse – Beh, si… direi che è normale per un uomo voler…. beh sai…. stare con la donna che si ama per… beh per… insomma, hai capito… -.
Arthur era incredulo. Abel si stava vergognando davanti a lui per caso? Si lasciò andare ad una sonora risata, divertito per l’atteggiamento insolito del fratello.
- Certo che ho capito! Siete marito e moglie, no? E allora vai e raggiungila, invece di stare qui e arrossire come un ragazzino alle prime armi! – disse Arthur.
Abel scosse la testa sorridendo per quel momento di ilarità e si congedò dal fratello per andare in camera sua.
 
 
 
Georgie era a letto, al buio. Avrebbe tanto voluto dormire, ma non ci riusciva. Se ne stava lì, immobile, a fissare il soffitto.
Era felice, davvero felice. Tutto sembrava aver preso la giusta piega.
Non riusciva a fare a meno di pensare agli avvenimenti della giornata e alla bella serata che avevano appena trascorso insieme.
Era riuscita a cancellare dai suoi ricordi quanto successo la sera prima. Finalmente un po’ di serenità.
Finì per pensare anche ad Abel. Guardò il letto vuoto poco distante dal suo e sospirò.
Da quando erano ritornati a casa non erano ancora riusciti a dormire insieme. Come aveva detto la sera precedente Abel, quella non era di certo la loro priorità, perché avevano problemi ben più seri da risolvere, però la rattristava starsene in quel letto tutta sola.
Avrebbe tanto voluto un letto matrimoniale da condividere con il marito. Le mancava dormire stretta nel suo caldo e protettivo abbraccio. Le mancavano le coccole mattutine e far l’amore con lui prima di addormentarsi la sera.
Ma decise di non tirare fuori la questione con Abel. Sarebbe stato lui a decidere quando portare un bel letto grande tutto per loro in quella stanza.
Nel frattempo lei avrebbe aspettato pazientemente, dimostrandosi adulta e matura.
Ma certo, non averlo accanto durante la notte la rattristava, quello era innegabile.
Improvvisamente la sua attenzione venne attirata dal rumore della porta che si apriva.
Era Abel.
Si tirò su e gli sorrise e lui contraccambiò.
- Sei ancora sveglia – le disse avvicinandosi – Ne sono felice -.
La baciò a fior di labbra e poi accese una candela.
Dopodichè prese il suo letto e lo trascinò verso quello di Georgie, per congiungerli.
- Ma che fai? – esclamò lei stupita.
Lui si fermò, la guardò sorridendo e rispose – Voglio dormire vicino alla donna che amo, che domande! -.
Georgie rimase a bocca aperta e senza parole, ma era molto contenta di quella reazione del marito.
Lui riprese a sistemare il letto accanto al suo e facendole l’occhiolino aggiunse – Sia ben chiaro che domani voglio un letto matrimoniale vero e proprio qua dentro! -.
- Ma non avevi detto che quella non era una priorità per noi? – chiese lei.
Abel sbuffò divertito e le rispose – Quello l’ho detto ieri mentre avevo la testa da un’altra parte. Ma oggi ti posso assicurare che il letto matrimoniale è una priorità per noi. Eccome se lo è! -.
Georgie rise divertita a quell’esternazione e Abel la guardò incantato, pensando che fosse la donna più bella del mondo.
Si avvicinò a lei e riprese a baciarla, ma questa volta più appassionatamente. Aveva perso la voglia di ridere e scherzare.
Voleva lei. La voleva disperatamente.
La fece stendere sul letto e la coprì con il suo corpo, continuando a baciarla.
Poi per un attimo si fermò e si guardò attorno.
- Che c’è? – domandò Georgie.
Lui sorrise e disse – Niente… è solo che mi è venuto in mente che siamo nel mio letto, quello che occupavo da ragazzino -.
Georgie aggrottò la fronte. Non capiva cosa lui volesse dire con quelle parole.
- Quando credevi ancora di essere mia sorella – spiegò – io impazzivo di desiderio per te. Ti amavo, avrei tanto voluto dirtelo, stringerti tra le mie braccia e fare tutto quel che facciamo ora quando ci amiamo. Ma non potevo. Dovevo tacere per il tuo bene e reprimere tutti i miei sentimenti e le mie emozioni. Non sai quanto soffrivo. Allora la notte, mentre mi rigiravo nervosamente in questo letto in preda ai miei pensieri su di te, finivo per abbracciare questo cuscino, immaginando che fossi tu. Immaginando quanto sarebbe stato bello abbracciarti e baciarti davvero. Mi sembrava un sogno irrealizzabile. A volte finivo con il piangere per la frustrazione. Era una tortura -.
Georgie lo stette ad ascoltare intenerita e anche un po’ triste. Quanto aveva sofferto Abel per amore di lei nella sua vita? Quante rinunce aveva fatto? Quante delusioni aveva subito?
Lo accarezzò dolcemente sulla guancia, come per consolarlo, ma lui le sorrise.
- Adesso finalmente ho la mia rivincita – disse scherzosamente – Finalmente mi rifarò per tutte quelle notti insonni e travagliate. Ora sei con me – continuò con voce più leggera e seria – sei mia, solo mia e posso amarti come ritengo più opportuno, senza dovermi nascondere o vergognare-.
Georgie sorrise e lo baciò. Poi lo guardò maliziosamente e disse – Bene, allora dobbiamo proprio iniziare a vendicarci di questo letto -.
Abel ridacchiò e rispose – Con molto piacere -.
Si baciarono ancora, ma Georgie si staccò e disse – E comunque se ci fossero altri luoghi di cui vuoi vendicarti, non esitare a dirmelo. Vedremo che si può fare… -.
Abel la guardò divertito – Non sfidarmi contessina, potresti stupirti di quanti posti ci sono da elencare … vuoi qualche esempio? La stalla, la cucina, il prato davanti casa, la grotta dove avevamo costruito il nostro rifugio, il mio studio giù al porto…. ah sì, il fiume…. Devo continuare?-.
Georgie rise a quelle parole e fece per replicare, ma lui soffocò ogni sua frase con un bacio appassionato.
- Sssstt – sussurrò – Ora basta ridere e scherzare. Ora si fa sul serio -.
E così dicendo la strinse forte a sè, proseguendo quel bacio, portandola con sé tra i vortici inebrianti dell’amore.
 
Qualche ora dopo rimasero nudi, stremati, abbracciati uno all’altra e lentamente si abbandonarono a Morfeo, felici e appagati. Consci che finalmente stavano realizzando il loro sogno. Una nuova vita, un nuovo inizio, tutti e tre insieme.
 
 
 
 
TBC….
 
 

 
 
 

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Capitolo 20
*** Un incontro inaspettato ***


20 - Un incontro inaspettato
 
 
- Georgie, se non ti sbrighi faremo tardi! – urlò Abel spazientito mentre aspettava seduto sul calesse la moglie che, ancora in camera da letto, si stava preparando per uscire.
Poco lontano, Arthur se ne stava seduto sulla staccionata che recintava la loro proprietà, ridacchiando mentre con la mano faceva saltare in aria una mela.
- Ahh, le donne! – commentò divertito Arthur – Eternamente in ritardo! -.
Abel guardò il fratello con aria di sfida – Non prendermi in giro, tu! – sbuffò esasperato – Oggi è un giorno molto importante per me. E’ arrivato dall’Inghilterra il sig. Abbott, un collaboratore del sig. Allen, e dovremmo incontrarci per parlare degli ultimi dettagli per poter aprire finalmente il mio studio, ma se andiamo avanti cosi arriverò al porto al tramonto! - .
Arthur afferrò con decisione la mela che aveva ancora una volta lanciato per aria e scese con un balzo dalla staccionata.
Raggiunse il calesse sopra il quale era seduto Abel e, ridendo, disse – Lo so perfettamente! Non è il caso che me lo ripeti ancora. Non sono io quello che ti sta facendo fare tardi. Prenditela piuttosto con la biondina che non si decide ad uscire di casa! -.
Abel guardò verso l’uscio della camera da letto, sperando di vedere Georgie uscirne, ma ancora niente.
Sospirò impotente e rivolgendosi ad Arthur chiese – Ma perché fa cosi? Lo sa quanto sia importante per me -.
Il fratello fece spallucce e rispose – E chi lo sa! Te la sei sposata tu. Dovresti conoscerla -.
Abel scrollò la testa e disse – Già ci pensa lei a farmi spazientire e ora ti aggiungi pure tu che continui a prendermi in giro! -.
Arthur non potè trattenersi e rise – Scusami Abel, ma è più forte di me – poi si fece più serio e aggiunse – Dai, non è poi così tardi. Cerca di calmarti. Vedrai che a breve sarà pronta. Vorrà solo farsi carina per non farti sfigurare con il sig. Abbott, anche se sappiamo entrambi che non ne ha assolutamente bisogno -.
- Io non la capisco – sospirò Abel – Ultimamente è molto insicura -.
Arthur sorrise e, abbassando il tono di voce per essere sicuro che Georgie non lo sentisse, gli disse – Sta vivendo un momento particolare della sua vita. Noi certe cose non possiamo capirle. Le donne in gravidanza hanno sbalzi d’umore e non sempre sono a loro agio con loro stesse. Cerchiamo di capirla. Tu più di me che sei suo marito e devi starle vicino, dandole il tuo appoggio -.
Abel sorrise al fratello e annuì. Aveva ragione. Georgie stava attraversando un cambiamento, fisico e mentale. Doveva capirla ed essere meno severo. Arthur lo aveva fatto ragionare.
Ultimamente era tornato l’Arthur di sempre. Più sereno, più tranquillo e sembrava stesse lasciandosi alle spalle i brutti ricordi di Londra. Era passato più di un mese da quando lui e Georgie avevano fatto ritorno a casa e, a parte lo scontro iniziale, Arthur sembrava aver giovato della loro presenza.
Abel ne era felice. Suo fratello stava lentamente tornando la persona di sempre. Il ragazzo buono, generoso e saggio che tutti amavano. Come avrebbe potuto fare senza il suo adorato fratello? Era grato di averlo potuto ritrovare. Non si sarebbero più lasciati.
Mentre era preso da questi pensieri, Abel non notò che una figura femminile li aveva raggiunti.
Volse lo sguardo e vide Georgie in piedi davanti a loro due. Era bellissima, semplicemente bellissima, avvolta in un delizioso abito color rosa cipria.
Abel e Arthur rimasero per un istante senza parole, con gli occhi fissi su di lei e la bocca aperta per lo stupore. Era incantevole.
Non aveva più importanza l’aver aspettato, ne era valsa la pena.
- Ora voi due dovete essere sinceri con me – tuonò improvvisamente Georgie, con fare insolitamente imperativo – Non fate giri di parole e siate onesti….. Vi sembro grassa? -.
Arthur aggrottò la fronte, spiazzato da quella domanda a cui non sapeva dare un senso, mentre Abel sbattè le palpebre come per cercare di capire se era in preda ad un’allucinazione o se aveva capito bene.
- Che cosa stai dicendo, Georgie? – chiese Abel, spiazzato da quella domanda.
Georgie sbuffò spazientita e rispose – Sto dicendo se ti sembro grassa. Non è difficile rispondere. Io ci ho provato in tutti i modi a farmi carina per te, ma questa pancia ormai non si può più nascondere. Non voglio che al sig. Abbott tu debba presentare una balena come moglie, ma più di così non sono riuscita a fare. La pancia è troppo prominente -.
Abel rimase senza parole e guardò il fratello, incapace di rispondere.
- Questo è affare tuo, mio caro Abel – disse sarcastico Arthur – Per me è splendida come sempre, ma credo che tocchi a te convincerla. Te l’ho detto che le donne in gravidanza sono difficili da trattare… -.
Gerogie guardò Arthur indispettita per quelle parole e poi si rivolse nuovamente ad Abel – Allora, cosa ne pensi? – disse spazientita mordendosi il labbro inferiore.
Abel comprese che sua moglie stava attraversando una fase di profonda insicurezza e che non poteva sottovalutare le sue richieste. Non era un gioco, lei aveva davvero bisogno del suo parere.
- Georgie – disse dolcemente scendendo dal calesse e avvicinandosi a lei – Ma davvero hai bisogno che io ti dica quanto sei bella in questo momento? Sei stupenda, non potrei essere più orgoglioso di presentarti al sig. Abbott. Smettila con questa assurda storia che sei grassa. Non lo sei, amore mio. Sei incinta, è diverso. La pancia non si può più nascondere perché il bambino dentro di te sta crescendo e io ne vado fiero. Smettila con questi assurdi pensieri. Non è da te. Non sei mai stata una persona che si ferma alle apparenze. E non puoi lasciarti turbare dalla gravidanza. Sei meravigliosa mentre porti in grembo nostro figlio. Non c’è proprio niente da nascondere e di cui vergognarti. Non voglio più sentirti dire certe sciocchezze. Capito?-.
Georgie arrossì leggermente. Si sentiva una stupida. Abel aveva ragione. Che male c’era se la pancia si notava? Era il loro bambino ed era una cosa meravigliosa.
Ma allora perché si sentiva tanto insicura riguardo il suo aspetto fisico, ora che la gravidanza era evidente? Detestava ammetterlo, ma il motivo era Abel.
Anche se razionalmente sapeva che erano solo sciocchezze, il suo io più profondo nascondeva la paura di non piacere più a suo marito. Ed era assurdo, perché Abel la amava, era cosi da sempre ed ora non solo erano felicemente sposati, ma aspettavano un bambino. Per quale ragione aveva il timore di non piacergli più?
La verità era che guardandosi allo specchio e vedendo le sue forme arrotondate, aveva il timore di non tornare più come una volta dopo il parto. Se così fosse stato, chissà se Abel avrebbe continuato a desiderarla. Lui era sempre stato molto fisico e molto passionale con lei, ma se la sua bellezza fosse sfiorita lui avrebbe continuato a desiderarla? Erano pensieri stupidi, ma non riusciva a fare a meno di esserne turbata.
Quando lo guardava, vedeva un uomo bellissimo. Alto, muscoloso, prestante. Un giovane dagli occhi blu come l’oceano e dal sorriso gentile e affascinante. E non poteva non notare come le ragazze lo guardavano e apprezzavano.
Era sempre stato così, è vero, ma ora per lei era profondamente diverso. Ora lui era suo marito e lei era incinta. Il suo corpo stava cambiando. E non era certa di poter tornare ad essere la Georgie di sempre. La Georgie di cui Abel era innamorato e attratto.
Se le cose fossero cambiate, cosa ne sarebbe stato di loro?
Erano queste le paure che teneva nascoste e che la rendevano così insicura ultimamente. Così stramba agli occhi di Abel e Arthur.
Era impaurita, insicura e gelosa del marito. Ed erano sentimenti del tutto nuovi per lei e non la facevano stare bene.
Tuttavia le parole che le aveva appena detto Abel la rassicurarono un poco. Aveva ragione. Stava andando tutto per il meglio e non avrebbe permesso alle sue insicurezze di rovinare il loro rapporto.
Gli regalò uno dei suoi più raggianti sorrisi e disse – Grazie. A volte mi comporto proprio come una bambina -.
Abel ricambiò il sorriso e la baciò a fior di labbra – Non farti più venire in mente questi stupidi pensieri. E ora andiamo che siamo già in ritardo -.
Arthur li guardava in lontananza e sorrise tra sé e sè. Abel e Georgie erano davvero fatti per stare insieme e lui era felice di essere riuscito ad andare avanti e permesso loro di vivere la loro vita. Se lo meritavano.
- Passate una buona giornata – urlò Arthur, mentre il calesse si allontanava con Georgie sopra che da lontano lo salutava con il braccio per aria, proprio come quando erano bambini.
Aspettò di vederli sparire all’orizzonte e poi si diresse verso la fattoria. Aveva molto lavoro da fare.
 
 
Era una splendida giornata. Il sole illuminava la campagna australiana che si estendeva intorno a loro, fino a perdersi all’orizzonte, regalando uno spettacolo mozzafiato. Georgie era rapita da quella meraviglia. Quanto le erano mancate quelle verdi praterie e quei colori così vivi e accesi. L’ Inghilterra era spesso grigia e fredda e lei ogni tanto chiudeva gli occhi e ripensava alla sua adorata Australia per riuscire a tirarsi su di morale. Era così bello ora essere tornata a casa e poter godere nuovamente di tutta quella bellezza.
Ma riprendendosi da quelle considerazioni, mentre si stavano avvicinando al porto, Georgie notò che Abel era silenzioso. Lo fissò e chiese – Sei preoccupato per l’incontro con il sig. Abbott? -.
Abel si ridestò dai suoi pensieri e le sorrise – Sì, un po’. E’ molto evidente, vero? -.
Georgie gli sorrise e disse – Beh, sì, un pochino. Ma non devi temere. Vedrai che andrà tutto bene -.
Abel sospirò e rispose – Sì, lo spero. Spero che sia tutto a posto. Ho davvero molta voglia di iniziare a lavorare e desidero fare buona impressione al sig. Abbott. Mi manca guardare l’oceano dalla finestra, progettare navi, disegnare. Fa parte di me. E’ una cosa che mi viene naturale e non vedo l’ora di mettermi all’opera -.
Georgie lo abbracciò e gli sussurrò – Ma certo che è tutto a posto. Non preoccuparti. Presto il tuo studio aprirà l’attività e tu potrai dedicarti finalmente alla cosa che più ami fare al mondo -.
Abel la guardò contrariato e disse – La cosa che amo di più al mondo è stare con te, ricordatelo sempre scimmietta -.
Risero divertiti e si baciarono.
Poi Abel aggiunse – Grazie per il supporto. Lo apprezzo. E visto che sei così carina con me, ti prometto che dopo aver incontrato il sig. Abbott faremo un giretto nel porto. Ricordi che giorno è oggi? E’ giorno di mercato. E sbaglio o tu adori il mercato?-.
A quelle parole Georgie sgranò gli occhi e spalancò la bocca come una bimba a cui hanno appena fatto un regalo. Era adorabile e Abel sentì di amarla più che mai.
- Davvero mi ci porteresti! – esclamò lei entusiasta – E’ tanto tempo che non ci vado. Mi piacerebbe moltissimo, mi ricorda quando ci andavamo da bambini-.
Abel sorrise teneramente e le risposte – Certo che ti ci porto. Ti porterei ovunque tu volessi andare. Non c’è cosa che non farei per te, Georgie – e nel dire queste ultime parole la voce si fece più seria, incupita dal desiderio e dell’amore che provava per lei.
Georgie cambiò espressione, comprendendo i sentimenti che stava provando Abel in quel momento e avvicinandosi alle sue labbra gli disse in un sussurro – Ti amo -.
Ad Abel non ci volle molto per capitolare e la tirò a sé in un bacio appassionato.
Si resero conto di essere ormai vicini al porto e si staccarono, guardandosi negli occhi per un istante e cercando, poi, di ricomporsi.
Tra loro era così. Un momento di tenerezza, poi uno scherzo e poi la passione. Non potevano farne a meno.
Ma quello non era né il luogo, né il momento giusto per abbandonarsi all’amore. Avevano un appuntamento importante. Avrebbero rimandato a più tardi. Tanto ormai nulla poteva dividerli.
 
 
-E’ uno studio bellissimo – disse soddisfatto il sig. Abbott, guardandosi intorno – Me lo aveva detto il sig. Allen che eri un giovane in gamba, ma non mi aspettavo di trovare già tutto pronto. Direi che possiamo partire il prima possibile -.
Abel sorrise soddisfatto e un po’ in imbarazzo. Non si aspettava tanto entusiasmo.
Il sig. Abbott era un uomo di mezza età, alto, in carne. Un tipo molto diretto e deciso. Un gran chiacchierone e sicuramente molto simpatico. Pensò che sarebbe stato senza dubbio un socio in gamba. Gli piaceva.
- Bene, mi fa piacere – disse Abel – Allora possiamo definire gli ultimi dettagli e decidere una data per iniziare -.
Georgie era felice per Abel. Anche se non capiva molto del suo lavoro, aveva intuito che aveva fatto breccia con il sig. Abbott e che le cose stavano andando bene.
Si allontanò per un attimo da loro, presi com’erano dai loro discorsi, e si avvicinò alla grande finestra posta davanti al tavolo da disegno.
Da lì si poteva ammirare tutto il porto. Il mare, le navi, la gente che animava la banchina. Era una vista stupenda.
Di sicuro le sarebbe piaciuto andare a trovare Abel quando lo studio avesse iniziato la sua attività. Pensò che ormai avevano davvero ottenuto tutto ciò per cui avevano lottato ed era felice, perché comprese che non ci sarebbero stati più ostacoli per loro.
Trasalì all’improvviso, perché il bimbo che era nel suo grembo le aveva appena dato un calcetto. Sorrise intenerita e posò una mano sul suo ventre prominente.
- Sei felice anche tu? – pensò teneramente tra sé e sé.
Si rese conto di quanto era stata stupida quella mattina a sentirsi a disagio per via della pancia. Era fiera di quella pancia. Era il frutto dell’amore di lei e Abel e non avrebbe mai più permesso alle sue insicurezze di farla stare male. Amava Abel e lui amava lei. E presto avrebbero avuto il loro bambino a cui donare ancora più amore. Al diavolo le paure e la gelosia!
 
 
- Dai Abel, sbrigati! – disse Georgie felice, mentre, tenendo Abel per mano, si faceva largo tra i passanti – Voglio assolutamente vedere la bancarella dei profumi, è sempre stata la mia preferita, anche da piccola! -.
Georgie era incontenibile quando poteva andare al mercato. Le metteva buon umore e frenesia e ad Abel faceva piacere vederla così felice ed eccitata. Non riusciva a starle dietro e la cosa lo divertiva.
- Georgie calmati – ridacchiò mentre la seguiva, trascinato da lei tra la folla – Le bancarelle andranno via solo a sera. Non ha senso avere fretta! -.
Lei si girò a quelle parole per guardarlo fisso negli occhi e mettergli le mani sulle spalle.
- E’ tutta la mattina che ascolto te e il sig. Abbott parlare di cose che nemmeno comprendo. E’ arrivato il mio momento ora e non puoi tirarti indietro – disse con espressione vittoriosa.
Abel rise e le cinse le braccia attorno alla vita per attirarla a sé e rispose – Lo so, tesoro, che per te è stato noioso. Ma era necessario. Le cose sono andate bene e ora mi sento più sollevato -.
Georgie gli sorrise dolcemente e poi in modo civettuolo disse – Bene, sono felice per te. Quindi ora è arrivato il momento di festeggiare. Portami subito dalla bancarella dei profumi e non protestare più -.
Abel la strinse ancora più forte e disse – Non riesco proprio a resisterti – e la baciò appassionatamente, incurante delle persone che avevano intorno.
Georgie ricambiò quel bacio e poi rise, rise felice per la spensieratezza e la gioia che provava in quel momento.
- Dai, ora andiamo – disse impaziente, staccandosi da lui – Stiamo perdendo tempo! -.
Abel sbuffò scherzosamente, rise e si lasciò nuovamente trascinare dalla moglie in quel turbinio di persone, luci, colori e odori che era il mercato del porto.
Georgie era radiosa e se visitare la bancarella dei profumi la rendeva felice, beh allora ce l’avrebbe portata pure in braccio pur di accontentarla.
Dopo poco arrivarono dai tanto agognati profumi e Georgie si diresse subito verso le boccettine in esposizione, per assaporarne le fragranze.
- Mmmm Abel – disse con gli occhi socchiusi – Senti questa fragranza com’è delicata -.
Abel ridacchiò e l’accontentò. Era troppo bello vederla così felice.
Anche Georgie notò quanto Abel fosse premuroso e dolce con lei. Sapeva benissimo che a lui dei profumi non interessava nulla, ma stava al gioco per farle piacere. E si sentì fortunata.
Improvvisamente la mente le ricordò un giorno a Londra, quando lei e Lowell capitarono in un mercato di quartiere. Come fu diverso allora.
Benchè lei fosse felice di trovarsi lì, Lowell non era a suo agio, anzi era quasi infastidito e non riusciva a dissimularlo. Erano profondamente diversi, lo si poteva intuire anche nelle piccole cose. Non sarebbe mai potuta essere felice con lui.
Con Abel invece…. beh, con Abel era completamente un’altra cosa.
Erano molto simili loro due, erano cresciuti insieme, nello stesso ambiente, amavano le stesse cose e comunque Abel faceva di tutto per accontentarla, per assecondarla, anche quando si trattava di argomenti ai quali non era interessato. Come i profumi, ad esempio.
Lui era speciale. E lei era fortunata ad averlo accanto.
- Dai, scegline qualcuno da portare a casa – disse Abel con voce gentile – Non possiamo privare Arthur di queste dolci fragranze! – aggiunse sarcastico.
Georgie rise divertita e gli disse – Grazie, sei un tesoro – e lo baciò dolcemente sulle labbra.
Abel la guardò innamorato come non mai, perdendosi nei suoi meravigliosi occhi verdi.
- Non farmi questo in mezzo alla gente – disse quasi imbarazzato – Che poi mi vengono certi desideri e qui non posso proprio sfogarli -.
Georgie arrossì a quelle parole e rise imbarazzata – Dai Abel, non fare lo stupido –.
Abel la strinse a sé e le sussurrò – Te l’ho già detto che ti amo?- e lei sorridendo rispose – E io te l’ho già detto che ti amo ancora di più? -.
Ripresero a baciarsi, incuranti della folla, incuranti del mercato. C’erano solo loro due. Solo questo contava per loro.
- Ma che coppietta meravigliosa! – disse una voce femminile alle loro spalle.
Abel e Georgie si staccarono da quel meraviglioso bacio, riportati alla realtà da quelle parole.
Si voltarono contemporaneamente per vedere chi stesse parlando con loro e non poterono nascondere lo stupore sui loro volti quando videro di chi si trattava.
Avvolta in uno sgargiante e provocante abito rosso, i capelli neri sciolti sulle spalle nude, truccata di tutto punto, Jessica li stava guardando con aria a metà tra la sorpresa ed il sarcasmo.
Georgie si sentì gelare il sangue nelle vene. Quella era l’ultima persona che aveva bisogno di vedere quel giorno.
Tuttavia, non riuscì a fare a meno di squadrarla dalla testa ai piedi.
Jessica era in splendida forma. L’abito rosso le avvolgeva il corpo, esaltandone la sinuosità.
Dalla gonna uno spacco lasciava intravvedere una gamba, lunga, snella. Indossava scarpe rosse con i tacchi alti che la rendevano ancora più slanciata.
La vita era sottile e la scollatura generosa dell’abito, contornata da un bordo di pizzo, metteva in evidenza il seno abbondante.
I capelli, in quella splendida giornata di sole, erano più neri che mai e sembravano quasi risplendere per la loro setosa lucentezza.
Il viso era bello. Il trucco aveva valorizzato i suoi occhi scuri da cerbiatta e quelle labbra carnose, rosse come il fuoco.
Quella donna era sensuale e affascinante. Georgie non potè non notare che Jessica non era affatto indifferente agli uomini che passavano di lì in quel giorno di mercato.
La guardavano tutti e si capiva che apprezzavano. Quegli sguardi erano pieni di desiderio e Georgie capì che una donna come lei faceva un certo effetto agli uomini.
Jessica teneva il suo sguardo dritto e fiero verso la coppia che aveva di fronte, quasi come fosse una sfida. E in un certo senso per lei lo era davvero.
- Vedo che siete tornati sani e salvi dall’Inghilterra – disse avvicinandosi a loro sinuosa – Mi fa piacere -.
Georgie si strinse ad Abel. Si sentì improvvisamente debole e inferiore a quella donna così bella e sicura di sé.
Abel le passò un braccio intorno alla spalla, per infonderle sicurezza e con tono secco rispose – Sì Jessica. Siamo tornati. Piacere nostro di constatare che stai bene anche tu. Ora se non ti dispiace dobbiamo andare -.
Jessica rise fragorosamente e, appoggiando una mano sul torace di Abel con fare malizioso, disse – Quanta fretta, marinaio! E’ così che ci si comporta quando si incontra una cara amica dopo molto tempo? -.
Guardò Georgie con aria severa, quasi sprezzante e rivolgendosi nuovamente ad Abel incalzò – Cosa c’è? Sei riuscito finalmente a conquistare la tua sorellina? Finalmente si è accorta di quanto sbavavi dietro alle sue sottane? -.
Abel strinse ancora più forte Georgie a sé e alzando la voce rispose – Basta Jessica! Non ti permetto di mancare rispetto a mia moglie -.
Jessica trasalì a quelle parole e indietreggiò, quasi fosse stata schiaffeggiata.
Non poteva crederci. Moglie? Si erano sposati?
Ma come era possibile? Era convinta che l’amore malato di Abel non sarebbe mai stato ricambiato da quella ragazzetta insipida. Che cosa era successo per portarli addirittura al matrimonio?
Avrebbe voluto urlare loro tutto il suo disprezzo, ma decise di calmarsi e controllarsi. La vendetta, del resto, era un piatto che andava gustato freddo e lei avrebbe aspettato l’occasione giusta per affondare il suo colpo. Non le piacevano le scenate, da gran signora quale era.
Cercò di recuperare una parvenza di serenità e sorrise. E poi in tono adulatorio aggiunse – Beh, ma allora devo farvi i miei più vivi complimenti -.
Georgie abbassò il capo a quelle parole. Era in evidente disagio davanti a Jessica e non sapeva come controllarsi.
Quel gesto non sfuggì alla donna, che si sentì vittoriosa su quella contadinella. Ma nel abbassare lo sguardo sulla figura di Georgie,  notò un particolare che prima le era sfuggito e che le fece perdere ogni controllo.
- L’hai messa incinta? – tuonò furiosa, guardando Abel.
Lui dal canto suo non battè ciglio e con tono molto freddo rispose – Non sono affari tuoi -.
Jessica lo guardò incredula.
- Ma non vi vergognate? – disse a quel punto spazientita – Siete cresciuti insieme come fratelli e ora lei aspetta un figlio da te? Ma non provate ribrezzo per voi stessi? Questo è un incesto. E’ la cosa più vergognosa che abbia mai visto! -.
Georgie si sentì salire le lacrime agli occhi. Tremò alla durezza di quelle parole e se non fosse stato per Abel che la sorreggeva forte e protettivo come sempre, sarebbe senz’altro caduta.
- Non ti permetto di giudicarci! – rispose Abel arrabbiato.
I suoi occhi fiammeggiavano e aveva perso la pazienza – Non azzardarti a dire altro. Lasciaci in pace. Georgie ed io non siamo fratelli. Non c’è niente di male nel nostro amore. Non sono affari tuoi, Jessica. Dico sul serio. Stai lontana dalle nostre vite, lo dico per il tuo bene -.
Jessica incassò quelle dure parole, ma non perse la baldanza. Non poteva accettare un simile affronto, da una ragazzetta poi.
Rimasero per un istante in silenzio, immobili, come se l’atmosfera tra loro si fosse raggelata. Era davvero una brutta situazione.
- Abel, figliolo, finalmente ti ho trovato – urlò una voce dietro le loro spalle.
Era il sig. Abbott, che si faceva largo tra la folla, cercando di raggiungerli.
Rimasero tutti e tre a disagio, come se si fosse rotto qualcosa tra loro, in attesa che il sig. Abbott si avvicinasse.
- Scusami se ti disturbo ancora, ma prima ho dimenticato di parlarti di una cosa molto importante – e con il suo solito garbo, si rivolse alle due donne dicendo – Signore, vogliate perdonarmi se vi rubo Abel per parlare ancora di lavoro. Prometto che non ci vorrà molto -.
Il sig. Abbott prese Abel sottobraccio per portarlo un po’ in disparte, in modo da poter parlare tranquillamente.
Abel avrebbe voluto reagire, restare accanto a Georgie. Sapeva che la presenza e le parole di Jessica l’avevano molto turbata, ma non poteva dire di no al sig. Abbott. Del resto era solo per pochi minuti.
Georgie lo guardò spaesata. Sapeva di doverlo lasciare andare, ma rimanere sola con Jessica la impauriva.
Lo guardò con gli occhi sgranati e imploranti. Lui le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio – Stai tranquilla amore. E’ solo per pochi minuti. Tu non ascoltare quella megera, lo sai che è solo invidiosa di noi. Io ti amo, hai capito? -.
Georgie lo guardò e annuì con il capo. Avrebbe voluto essere più convinta, ma il disagio che provava innanzi a Jessica la rendeva insicura.
Lo guardò mentre si allontanava tra la gente, trascinato dal sig. Abbott che continuava a parlargli incessantemente. Lui si voltò ancora una volta per guardarla, per farle capire che avrebbe voluto rimanerle accanto e portarla via da quella situazione. Poi scomparve e lei rimase sola, conscia del fatto che Jessica era dietro di lei. Ostile e furiosa.
Si girò per incrociare il suo sguardo. Aveva deciso di congedarsi da lei. Tanto di cosa mai avrebbero potuto parlare loro due? Non si piacevano. Era ovvio. In qualche modo la vita le aveva rese avversarie. Non aveva senso stare lì e subire le sue parole cariche d’ira. Doveva andarsene e aspettare Abel per fare ritorno a casa.
- Ti saluto Jessica – disse con voce poco decisa – Tra poco rientreremo a casa -.
Ma non ebbe modo di fare un passo che Jessica l’afferrò per un polso e la trattenne.
- Eh no, mia cara Georgie – iniziò risoluta la donna – Abbiamo modo di fare due chiacchiere. Non sprechiamo l’occasione -.
Era decisa a parlare con Georgie. Era molto arrabbiata e doveva vendicarsi. Non poteva fargliela passare liscia a quella ragazzetta di campagna. Come aveva osato portarle via Abel in quel modo?
Georgie trasalì a quelle parole e si liberò dalla sua presa, facendo un passo indietro. Che cosa voleva quella donna da lei?
- Non aver paura, Georgie – iniziò con tono canzonatorio Jessica – Mica ti mangio, sai. Prima ho perso un po’ la pazienza, ma ero talmente stupita…. Voglio dire… un figlio….con Abel poi. Permetti che la notizia mi abbia sconvolto? -.
Georgie annuì. Aveva paura di quella donna, ma le sembrava si fosse calmata un poco. Conveniva non farla infuriare. Voleva solo parlare del resto. Chissà, magari potevano addirittura chiarirsi una volta per tutte. Tanto Abel era suo ormai e lei lo doveva accettare. Non poteva farci niente.
- Devo farti i miei complimenti, sai – iniziò con fare falsamente amichevole Jessica – Mi hai sorpresa ragazzina. Ti facevo ingenua e incapace, ma vedo che hai saputo sfruttare l’occasione e hai incastrato Abel -.
Georgie non capiva che cosa stesse dicendo la donna. Cosa voleva insinuare?
Jessica notò l’espressione confusa di Georgie e rise. – Dai su – aggiunse con tono ilare – Non fare la santarellina. Hai capito a cosa mi riferisco. Sembravi una ragazzina così morigerata, pudica e invece alla fine ci sei andata a letto -.
Georgie arrossì di colpo a quelle parole. Ma cosa stava dicendo? Come si permetteva?
- Guarda che non ti sto giudicando – continuò Jessica, sicura di sé come non mai – E’ comprensibile. Insomma, sì è un po’ strano perché tu e Abel siete cresciuti praticamente come fratelli, ma sai ti posso capire. Lui è così bello. Qualsiasi ragazza sarebbe disposta a cedergli e tu non fai eccezione. E’ normale. Ti capisco. Eccome se ti capisco. Diciamo che anche se non siamo mai state molto amiche, io sono la persona che meglio ti può capire -.
Quel discorso stava prendendo una strana piega e Georgie si sentì a disagio più che mai. Avrebbe voluto risponderle che non voleva sentire altro. Avrebbe voluto andarsene. Ma era come pietrificata. Non riusciva a muoversi. Rimase lì immobile, a guardarla.
In realtà dentro di lei, nel suo profondo, aveva anche bisogno di sapere. Tutte le sue paure, i pensieri che in passato aveva fatto su lei e Abel ora potevano trovare riscontro. E per qualche strana ragione aveva bisogno di ascoltarla.
Jessica capì di avere la sua totale attenzione e sorrise soddisfatta. Le avrebbe fatto capire chi si trovava davanti. Avrebbe dato una bella lezione di vita a quella ragazzina insolente.
- Tanto è inutile girarci intorno – iniziò Jessica – Sappiamo entrambe che Abel ed io siamo stati amanti, prima che lui ti corresse dietro in Inghilterra. Lo sanno tutti qui al porto. Eravamo molto chiacchierati, sai? Del resto è normale. Eravamo proprio una bellissima coppia. Ci invidiavano tutti -.
Jessica tenne molto alta l’attenzione, per capire l’effetto che le sue parole avevano su di lei.
- Ah, se solo la camera sopra la locanda potesse parlare… – continuò alzando gli occhi al cielo, ricordando il passato – Lì abbiamo trascorso momenti davvero infuocati. Mai nessuno è stato così con me. Lui era davvero unico, speciale -.
Georgie si sentì morire dentro. Quelle parole avevano un effetto devastante su di lei. Eppure continuò a stare lì, a guardare quella donna in tutta la sua sfolgorante bellezza, mentre crudelmente le stava raccontando quanto suo marito fosse stato un amante appassionato con lei.
- Cielo, se ci penso mi vengono ancora i brividi – continuò Jessica, portandosi una mano al seno – Quanto ardore! Non è facile avere un’intesa così profonda. Eravamo come due selvaggi. Lui soprattutto. Sapeva lasciarmi senza fiato. Ma del resto, so che mi capisci. Proverai le stesse cose con lui. Perché Abel è così. E’ un amante appassionato, ribelle, esigente. Non si accontenta di cose da poco. Voglio dire… non è il tipo da poter avere una relazione banale. Lo conosco bene. Lui ha bisogno di esperienza. Di una compagna che sappia il fatto suo. E io ero brava ad accontentarlo, lui me lo faceva capire…. Eccome se me lo faceva capire! -.
Poi, guardando la povera Georgie con un misto di crudeltà e malizia, aggiunse – Beh, che te lo dico a fare? Immagino lo capirai. Voglio dire…. Ora sei sua moglie, quindi per poter stare con lui e far fronte alle sue numerose esigenze dovrai anche tu essere…. Beh … esperta e capace come me. Per forza deve essere così, altrimenti non si spiegherebbe come lui potrebbe accontentarsi di rimanere con te, dico bene? -.
Georgie deglutì a fatica. Aveva un enorme nodo in gola. Era attraversata da mille emozioni diverse, tutte negative. Quella donna le stava descrivendo un Abel che lei non conosceva. E le stava sbattendo in faccia quanto lei fosse ingenua.
- Devo essere sincera. Non ti credevo all’altezza, sai? – proseguì Jessica – Insomma, per poter soddisfare un uomo come Abel bisogna averla qualche esperienza. E io ero convinta che tu fossi un’ ingenua verginella. E invece mi sbagliavo. Posso essere sfrontata e chiederti se hai avuto molti uomini prima di lui? -.
Georgie si sentì sul punto di piangere, ma non cedette. Non volle dare soddisfazione a quella donna, che la stava insultando nel modo più becero.
- No, Jessica – rispose con un filo di voce – Non ho avuto uomini prima di Abel. Lui è stato l’unico e ti dico la verità, non me ne vergogno affatto. E so che Abel mi ama anche per questo -.
Jessica la guardò stupita ed esplose in una fragorosa risata.
Georgie la guardò senza scomporsi. Sperava solo che Abel ritornasse al più presto per portarla via da lì.
- Tesoro mio – iniziò nuovamente Jessica – Ma io ti facevo un po’ più avvezza alle cose di mondo. Mia cara, ma pensi davvero che agli uomini piacciano le ragazzine impacciate? Non voglio mancarti di rispetto, cerca di capirmi. Ma ormai sei grande e certe cose le devi imparare. Gli uomini, specialmente quelli forti e prestanti come Abel, amano le amanti esperte, perché è solo con loro che possono essere veramente liberi e soddisfare le loro esigenze. Le santarelline come te sono molto graziose, ma non saranno mai davvero desiderabili come le donne con esperienza. E’ un dato di fatto. Lo sanno tutti. Tu forse sei ancora giovane e ingenua e credi nelle favole, ma bella mia, la vita è tutt’altro. Quelle come te vanno giusto bene per sposarsi e mettere su famiglia. Ma sono quelle come me che tengono gli uomini caldi tra le lenzuola. Non so se mi sono spiegata -.
Georgie si sentì pervadere da un moto di rabbia. Che ne poteva sapere Jessica di quello che c’era fra lei e Abel?
- Scusami ma non sono d’accordo – rispose contrariata Georgie a quel punto – Tu sarai più esperta di me e più brava nelle arti amatorie, non lo metto in dubbio. Può darsi che ci siano uomini che ragionano come dici tu, però non Abel. Non lui. Lui mi ama e non mi mancherebbe mai di rispetto. Io mi fido di lui e so che quello che c’è tra noi è speciale. Lui è felice con me! -.
Jessica esplose nuovamente in una fragorosa risata, che lasciò Georgie spiazzata.
- Oddio Georgie, quanto sei tenera – disse tra le risa che non accennavano a smettere – Ci credi così tanto che quasi mi spiace spezzare le tue convinzioni -.
Poi si fece più seria, la guardò spietata e avanzò minacciosa verso di lei – Ma vedi, bella mia – continuò Jessica – Le cose non vanno così purtroppo. Quelle sono le favole a cui credono le bambine ingenue come te. La realtà è tutt’altra cosa. Abel ora ti ama e ti adora, non lo metto in dubbio. Ti correva dietro da che era un ragazzino e per te aveva una bella infatuazione. Lo ammetto. Ma ora ha soddisfatto il suo capriccio, la sua voglia proibita. Ti sei concessa finalmente e lo sfizio se lo è tolto. Ora, dopo tanto desiderio, ora che si è tolto la curiosità, gli è rimasta tra i piedi solo una ragazzetta inesperta per moglie. Una che conosce da una vita intera, che non ha più nulla di nuovo da offrirgli. Scusami se sono sincera, ma temo per te che la vita che lui vivrà al tuo fianco sarà pesantemente banale e ripetitiva. Ormai la novità sta pian piano sparendo, lasciando spazio alla noia -.
Poi la guardò da capo a piedi con fare sprezzante e continuò – E diciamocela tutta. Avere un figlio è una cosa meravigliosa e bla bla bla…. Ma che sarà di voi quando la notte non riuscirete a dormire, né ad avere un po’ di intimità, perché ci sarà un marmocchietto urlante e piangente che non vi darà tregua? Pensi che questo farà bene al vostro rapporto di moglie e marito? Tesoro, lasciatelo dire da una che ha consolato una marea di mariti con bambini piccoli e mogli nevrotiche: la risposta è no! E poi pensi che il tuo corpo sarà ancora tonico dopo la gravidanza? Pensi di poter ancora essere attraente agli occhi di tuo marito? Insomma, ti sei vista ultimamente? Le gravidanze sono impietose, sai cara? E questa è solo la prima. Pensa a come sarà se ne dovessi affrontare altre! -.
Georgie si strinse le mani al ventre e si morse il labbro per non piangere. Quella donna le stava sbattendo in faccia tutte le sue paure e lei si sentiva sola, incredibilmente sola e indifesa.
- Vuoi sapere come andrà a finire tra voi? Non sbaglio mai. Ne ho viste a centinaia di coppie come voi – continuò Jessica – Finirà che la vostra vita piano piano si appiattirà. Amore e ardore si spegneranno. Tu passerai le giornate dietro ai figli e alla casa. Alla sera quando arriverà tuo marito sarai stanca morta e non sarai più in grado di soddisfarlo, ammesso che i bambini vi lascino del tempo da trascorrere da soli. Il tuo corpo cederà al peso delle gravidanze e sfiorirai lentamente. Abel non proverà più attrazione per te e inizierà a dirti che la sera deve lavorare. Ma in realtà cercherà altrove lo svago che tu non sarai più in grado di dargli e sai che succederà allora? -.
Georgie la guardò con gli occhi lucidi di lacrime. La crudeltà di quelle parole l’aveva paralizzata. Avrebbe voluto urlarle di smetterla, che non credeva ad una sola parola. Ma non lo fece, perché infondo una vocina dentro di lei le stava dicendo che Jessica aveva ragione.
Jessica comprese di aver messo Georgie alle strette. L’aveva colpita, ora doveva solo farla affondare.
Avvicinò il volto al suo e con molta calma e freddezza proseguì il suo discorso – Succederà che lui tornerà da me, bella mia, e mi troverà. Mi troverà pronta per lui, accogliente come non mai. E alla mogliettina scialba di campagna, sostituirà l’amante bella e focosa della locanda. E riprenderemo la nostra storia esattamente da dove avevamo interrotto. E posso assicurarti che non mi risparmierò per lui. Gli darò tutto ciò di cui avrà bisogno. E te ne accorgerai. Ti accorgerai che Abel ti starà tradendo con me, perché lo sentirai più distante, più indifferente. Perché anche quando sarà a casa con te, la sua mente volerà da me. Perché non avrà voglia di toccarti nemmeno con un dito. Vorrà solo me. Solo io saprò tenere alto e vivo il suo desiderio. Esattamente come lui sa fare con il mio. Non c’è notte che non lo sogni. Che non sogni l’ardore che ci univa. E presto lo riavrò e sarà tutto per me. Rimarrà il tuo maritino, sarà il padre dei vostri figli, certo. Ma vorrà solo me come amante. E tu non potrai farci nulla. Non puoi competere con me, bambina -.
Georgie sentì una lacrima rigarle il volto. Quelle parole l’avevano gettata nello sconforto più profondo.
Jessica rise soddisfatta, fiera di quella vittoria.
- E’ un indomabile. Ha bisogno di me. Me lo ricordo ancora quando mi amava con passione e io che gli dicevo di non fermarsi. Era come rapito da me e io da lui. E sono certa che quei meravigliosi momenti li ha bene impressi nella memoria, come me del resto. E vorrei tanto sapere cosa pensa dei noiosi momenti passati con te…. Non potrai mai reggere il confronto, bella mia, mai! Ora lui fa lo scorbutico con me, ma è normale. Crede ancora nel vostro matrimonio. E poi non vuole mancarti di rispetto in maniera così palese. Ma anche quando è arrabbiato con me, nel suo sguardo io vedo la passione che un tempo ci univa. Non riesco ad essergli indifferente. Questo ricordatelo bene -.
Georgie si asciugò le lacrime e non ebbe la forza di risponderle. La detestava. Detestava quanto le aveva detto. L’immagine che le aveva dato di Abel. Un uomo così diverso da quello che conosceva lei. Non poteva essere così, non poteva. Ma se invece Jessica avesse avuto ragione?
Si sentì debole, stupida, insignificante e inadeguata. Ogni certezza, ogni felicità erano state calpestate da quella donna che ora la stava guardando con un ghigno malefico. Trionfante nella sua bellezza prorompente. Mentre lei si sentiva piccola piccola. Indifesa. Sola.
Improvvisamente sentì che qualcuno le stava afferrando un braccio alle sue spalle.
- Scusami se ci ho messo tanto, ma il sig. Abbott non smetteva più di parlare. Tutto a posto, tesoro?.
Era Abel, era tornato. Era lì vicino a lei, ma in quel momento si sentì sola comunque.
Poco più in là c’era Jessica, che li guardava soddisfatta. Era riuscita nel suo intento e ora si limitava ad aspettare. Aspettare che la loro unione si sgretolasse, sotto il peso enorme del dubbio che aveva appena insinuato in Georgie. Doveva vincere lei. Doveva! Rivoleva Abel ad ogni costo.
Dal canto suo Abel notò che Georgie era turbata e la guardò preoccupato. Poi si rivolse a Jessica con tono severo – Spero che tu l’ abbia lasciata in pace! Te l’ho già detto, devi stare alla larga da noi. Addio, Jessica -. E con queste parole prese Georgie sotto braccio, voltò le spalle alla donna che li osservava a distanza e se ne andò con suo sua moglie.
- A presto marinaio! – urlò Jessica dietro di loro, con voce soddisfatta ed eccitata.
Abel sbuffò infastidito da quella manifestazione inappropriata, ma non la considerò e si rivolse a Georgie – Spero che non ti abbia importunata più di tanto. Jessica sa essere spietata quando vuole, la conosco bene. Tu non devi darle retta, vuole solo separarci -.
Georgie annuì, ma non si sentiva affatto bene.
- Sì certo, non sono nata ieri, non ti preoccupare – rispose. Voleva dare al marito l’impressione che non fosse successo niente, ma non era molto certa di esserci riuscita.
- Hey, aspetta – disse Abel ad un certo punto, fermandosi tra la folla – Non volevi comprare qualche boccettina di profumo da portare a casa? -.
Georgie si fermò a fissarlo. Era confusa. Non aveva più voglia di niente, solo di andare a casa.
- No…. Beh non mi interessa più – disse distogliendo lo sguardo da lui.
Abel si stupì di quella reazione. – Ma come? Eri così felice di….. – ma non ebbe modo di finire il discorso che lei lo interruppe.
- No davvero, non ne ho più voglia. Sono stanca ora e voglio solo andarmene a casa – disse voltandogli le spalle e riprendendo a camminare in direzione della loro carrozza.
Abel rimase per un attimo a guardarla, preoccupato per quel repentino cambio di umore.
- Aspetta Georgie! – le urlò raggiungendola – E per qualcosa che ti ha detto Jessica? Perché se è così torniamo da lei e chiariamo tutto. Non le permetto di mancarti di rispetto. E comunque tu non devi crederle. Lei vuole solo mettere zizzania tra noi -.
Georgie si fermò e lo guardò dritto negli occhi. Abel notò un lampo di rancore in quello sguardo e ne rimase stupito.
- Non è per lei. Come devo dirtelo? Adesso improvvisamente ruota tutto intorno a Jessica? – rispose scocciata.
Abel non riuscì a capire. Perché improvvisamente Georgie era diventata così ostile con lui?
- Jessica non mi ha detto nulla – mentì spudoratamente lei – E io non sono una bambina che si fa intimidire da una come quella -.
Abel annuì, non aveva certo intenzione di litigare.
- Va bene amore, scusami, non volevo farti spazientire. E’ solo che mi sei sembrata turbata quando sono ritornato da te poco fa e ho temuto che ci fosse lo zampino di Jessica. Ecco tutto – si giustificò lui.
Georgie sbuffò – Per l’ennesima volta Abel, Jessica non c’entra nulla. E io non ero turbata. Ero solo stanca. Sono stanca anche ora a dire il vero e desidero ritornare a casa -.
Abel cercò di farla ragionare. Era inspiegabilmente irritabile e non capiva perché.
- Va bene. Andiamo a casa. Ci andiamo subito. E’ solo che trovo strano che fino a poco fa tu fossi allegra e affettuosa e ora sei arrabbiata con me e non so perché – disse esasperato.
- Non sono arrabbiata. Sono stanca. Non so più come dirtelo. Prima stavo bene e ora sono stanca. Alle donne incinta succede. Mi spiace, è solo l’inizio di una serie di nevrosi da parte mia. Se non ti sta bene faresti meglio a trovarti un’altra che…. – ma non riuscì a finire la frase, perché le lacrime le salirono agli occhi e la voce si spezzò. Cercò di riprendersi e disse – Andiamo, per favore -.
Abel rimase male innanzi a quella reazione. Non capiva. Se non era a causa di Jessica, perché ora era così fuori di sé? Forse per via della gravidanza, come aveva detto Arthur quella mattina?
Chissà, forse era per quello. Doveva solo assecondarla ed avere pazienza. Ma era turbato.
 
 
Risalirono la strada che dal porto riportava verso la campagna, verso la loro casa.
Rimasero in silenzio per tutto il tragitto e Abel non sapeva spiegarsi il perché di quella strana atmosfera che si era venuta a creare tra loro.
Era sceso come un muro e, come non capitava da parecchio tempo, la sentì incredibilmente lontana e questo gli fece paura. Moltissima paura. Ma non disse niente. Aveva capito che Georgie non aveva voglia di parlare e rispettò questa sua volontà, sebbene a malincuore.
Georgie, dal canto suo, si sentiva a pezzi. Guardava il paesaggio scorrere attorno a lei, mentre il calesse lentamente faceva il suo ritorno verso casa. Guardava i campi coltivati, le verdi praterie, il fiume, il sole che risplendeva nel cielo azzurro, ma non riusciva a gioire di quel tripudio di colori meravigliosi che la natura stava offrendo loro, come aveva fatto quella mattina, scendendo verso il porto.
Le parole di Jessica le risuonavano nella mente, così fredde, così crudeli. E non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di lui…con lei… No! Non voleva pensarci, non voleva sapere. Quello era l’inferno per lei!
Non riusciva nemmeno a voltarsi e a guardarlo in faccia, tanto era il disgusto che provava.
Sapeva che da un certo punto di vista il suo atteggiamento era assurdo, perché in realtà Abel era stato molto gentile per tutta la giornata e non si meritava quel trattamento. Ma sapere la reale sostanza della sua passata relazione con Jessica l’aveva disturbata molto. E poi c’era il dubbio che la donna le aveva sapientemente insinuato. La paura folle che lui potesse stufarsi del loro matrimonio e tornare da lei, per divertirsi come aveva fatto in passato.
Era gelosa, terribilmente gelosa.
Era seduta sul calesse accanto ad Abel, ma mai come prima lo sentiva così distante da lei.
Era un incubo e voleva solo che finisse, ma non sapeva come. Tra sé e sé, pregava che quel penoso tragitto verso casa finisse al più presto. Aveva il bisogno di staccarsi un po’ da lui.
Voleva solo chiudersi in camera sua, gettarsi sul letto e piangere fino allo sfinimento, sperando che il sonno potesse alleviare quel terribile dolore che provava dentro e che la stava dilaniando.
 
 
 
TBC…..

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Capitolo 21
*** Incomprensioni ***


21 – Incomprensioni
 
 
 
- Georgie questo arrosto è buonissimo – disse Arthur compiaciuto, mentre gustava il pranzo domenicale in famiglia – Sei davvero un’ ottima cuoca. Abel è proprio un uomo fortunato, hai mille qualità -  aggiunse ridacchiando e cercando lo sguardo complice del fratello.
Ma non trovò risposta. Abel sembrava nemmeno aver sentito le sue parole. Mangiava in silenzio, volgendo ogni tanto la testa verso Georgie seduta accanto a lui, che a sua volta cercava, contro voglia, di deglutire qualcosa, tenendo lo sguardo fisso nel piatto.
Sembrava che entrambi avessero la mente altrove, che fossero turbati.
Arthur si girò verso lo zio Kevin, che lo guardò visibilmente in imbarazzo. Anche lui aveva compreso che qualcosa non andava, ma non ebbe il coraggio di dire nulla.
- Georgie, ho detto che sei stata bravissima, l’arrosto è davvero delizioso –  insisté Arthur, deciso a sbloccare quella strana situazione.
Georgie ebbe un sussulto improvviso, come se aver sentito pronunciare il suo nome l’avesse ridestata da un profondo torpore.
- Scusami? – chiese confusa lei.
Arthur sorrise e disse – Georgie sei con noi? Ti stavo facendo i complimenti per il pranzo. E’ tutto molto buono -.
Georgie sorrise mestamente, senza troppo entusiasmo, e rispose – Grazie Arthur, sei sempre molto gentile. Scusa se non ti ho sentito prima, ero distratta – poi si alzò e ripose il piatto.
- Che fai ora? – chiese Arthur – Hai già finito di pranzare? Hai mangiato pochissimo. Ma le donne incinta non dovrebbero avere più fame? Guarda che devi mangiare per due. Non vorrai mica mettere a dieta il mio nipotino, eh? -.
Georgie scosse il capo e disse accarezzandosi la pancia – No, non preoccuparti. Mi sembra che stia crescendo bene. E’ solo che non ho più fame e desidero stendermi un po’. Sono molto stanca -.
E così dicendo uscì dalla cucina.
Appena ebbe chiuso la porta, Arthur si voltò per guardare lo zio Kevin, che ricambiò con un’occhiata perplessa.
Poi spostò lo sguardo verso Abel, che ancora a testa bassa mangiava in silenzio. Come se nemmeno avesse notato quello che era appena successo.
- Scusa Abel – disse a quel punto Arthur – Ma che sta succedendo? Hai visto Georgie? E’ un po’ di giorni che è strana. Non ha mai voglia di parlare, non sorride più, mangia poco, è sempre stanca. Ma che le sta capitando? -.
Abel a quel punto lasciò cadere rumorosamente la forchetta nel piatto, spostandolo in avanti, facendo intendere che anche a lui era passata la fame.
Sbuffò rumorosamente e alzò finalmente lo sguardo per incrociare quello di Arthur – A me lo chiedi? Ma non vedi che è una settimana che Georgie mi parla a monosillabi? Non vuole essere seccata e ho provato a capire il perché, ma più le facevo domande e più si innervosiva e allora ho lasciato perdere. Non posso obbligarla a parlarmi se non vuole. Non so che le stia passando per la testa. Vorrei aiutarla, ma non me lo permette. E non ho voglia di litigare, quindi la lascio stare. Spero che prima o poi si decida a dirmi cosa la turba -.
Lo zio Kevin comprese che era arrivato il momento di andarsene. I ragazzi avevano bisogno di stare un po’ soli e chiarirsi tra loro.
- Io me ne vado, figlioli – disse lo zio alzandosi da tavola – Vi ringrazio per l’ospitalità, siete sempre gentili con me. Ora è meglio che me ne torni alla mia fattoria, ho tante cose da fare. Ci vediamo presto -.
E così dicendo, anche lo zio uscì dalla cucina, lasciando i due fratelli finalmente soli.
- Ma come sarebbe che non sai cosa le è successo? – riprese a quel punto Arthur – Abel non è possibile! E poi non puoi chiuderti in te stesso e non parlarle. E’ tua moglie, non è un’estranea e ti ricordo che aspetta un bambino da te. Se c’è qualcosa che non va tu devi scoprirlo e starle vicino -.
Abel a quelle parole si passò nervosamente la mano nei capelli e disse – Hai ragione, ma non me lo permette -.
Arthur era incredulo. Come poteva essere possibile che si fosse creata una situazione del genere senza un motivo? Georgie non era il tipo di persona da comportarsi in quel modo, non l’aveva mai vista così e la conosceva da sempre, da che erano bambini. Doveva essere successo qualcosa di importante, qualcosa che le aveva fatto passare il buon umore. Anche Abel non lo convinceva del tutto. Non poteva essere completamente vero che lui ignorasse le motivazioni che avevano portato Georgie ad essere così. Lui l’amava, di questo ne era certo, e non era da Abel arrendersi così, senza lottare per sapere cosa affliggeva Georgie.
Era strano vederli distaccati. Erano sempre stati uniti, già in passato quando vivevano tutti insieme come fratelli. Ma poi potendoli vedere come innamorati, si era reso conto di quanto fossero fatti l’uno per l’altra, di quanto si amassero.
Come potevano davvero accettare quel tipo di rapporto tra loro? Non era possibile, non era vero. Quelli non erano loro. E se non riuscivano a risolvere da soli i loro problemi, allora sarebbe intervenuto lui, per aiutarli, per farli ragionare.
Teneva ad entrambi e voleva che fossero felici. Bisognava recuperare quell’assurda situazione al più presto.
- Abel non mi mentire. C’è qualcosa che mi nascondi. Non la bevo. Non puoi non sapere cosa ha scatenato tutto questo. E non è da te startene lì imbambolato e lasciare che gli eventi prendano piede. Se continuate così rischiate di perdervi. Te ne rendi conto? Abel, state per avere un bambino. Non è il momento giusto per allontanarvi uno dall’altra -.
Abel sospirò e scrollò la testa esasperato – Te lo giuro Arthur, non so perché faccia cosi – poi appoggiò i gomiti al tavolo e continuò – E’ successa in effetti una cosa, ma senza senso, di poca importanza…. O almeno lo è per me. Ho temuto che questo avvenimento potesse averla ferita e ho provato a parlargliene, ma lei si è chiusa come un riccio. Dice che va tutto bene, che è solo stanca. Ma è ovvio che non è così e io mi sento paralizzato. Non so che fare -.
Abel guardò suo fratello dritto negli occhi e disse disperato – Sento che quando le sono accanto le do fastidio. Lo percepisco, anche se non me lo dice chiaramente in faccia. E tu non sai quanto questa cosa mi affligga. Non era mai successo prima, nemmeno quando era innamorata di Lowell. Non mi ha mai respinto così. E invece ora è così fredda, così distante. E lo sento. Sento che se mi avvicino, se le parlo, lei si irrigidisce, come se mi volesse lontano. E’ palesemente infastidita da me e non so come gestire questa cosa. Non mi aspettavo certo che potesse andare così tra noi. Non immaginavo che si sarebbe mai comportata così con me. Non dopo che siamo diventati marito e moglie e che siamo in attesa di un figlio, almeno. Credimi fratello mio, sto davvero male a vederla in questo stato, ma mi sento completamente impotente -.
Arthur era deciso ad aiutare il fratello. Doveva consigliarlo.
- Se mi dici che è successo qualcosa, anche se per te ha poca importanza, forse è proprio su quello che devi concentrarti. Forse è quella la chiave della questione, anche se lei te lo nega. Dimmi di che si tratta -.
Abel si trovò in imbarazzo. Lui e Arthur erano cresciuti insieme, era in confidenza con il fratello, ma non aveva mai toccato certi argomenti e fece fatica a raccontare tutto fino in fondo.
- Beh è una cosa che risale a tempo fa. Te l’ho detto, per me ha poca importanza – iniziò Abel evitando di incrociare lo sguardo interrogativo di Arthur.
- Io…. Beh ecco…. È capitato quando ero partito per fare il marinaio – iniziò a raccontare in evidente imbarazzo – Ero andato lontano, volevo lasciare questo posto e soprattutto volevo lasciare Georgie. Sai quanto soffrivo a starle accanto da fratello, no? Se me ne fossi distaccato per un po’ avrei potuto soffocare il mio amore per lei… o almeno questo era quello che pensavo… che speravo -.
Chiuse per un attimo gli occhi, ripensando a quel periodo, ai suoi tormenti e a quanto era stato male.
- E se fai il marinaio e vuoi dimenticare la ragazza che ami, hai solo due modi per farlo. Il vino e la compagnia di altre donne -.
Riaprì gli occhi e incontrò lo sguardo di Arthur che lo ascoltava attentamente.
- Avevo conosciuto una ragazza giù al porto…. quel tipo di ragazza che trovano i marinai quando vanno a sbronzarsi la sera nelle locande… non so se mi hai capito – disse Abel, vergognandosi di quello che aveva fatto in quel periodo.
- E Georgie ora lo ha scoperto ed è arrabbiata– concluse a quel punto Arthur.
Abel scrollò la testa e rispose – No. Lei aveva già incontrato questa persona. Era convinta fosse la mia fidanzata all’epoca. Io non sono mai sceso troppo dei particolari con lei, non le potevo certo dire che si trattava di una donna che stavo usando per non pensare a lei, per non morire dentro di frustrazione e gelosia, per… - ma si interruppe, vinto dall’emozione – Non vado fiero di me e del mio comportamento a quel tempo. Ma non sapevo più che fare per togliermi Georgie dalla testa e dal cuore. Speravo che, ubriacandomi e stando in compagnia di un’altra donna, avrebbe fatto meno male… e invece più cercavo distrazioni nelle altre, più amavo lei, la mia Georgie, il mio unico amore - .
Nel proferire questa frase gli sfuggì qualche lacrima e ebbe bisogno di fermarsi un attimo nel racconto.
Arthur comprese il malessere di Abel. Ricordare certi momenti difficili, riaprire certe vecchie ferite non era facile. Faceva male. Lui ne sapeva qualcosa.
Guardava il fratello seduto davanti a lui, appoggiato al tavolo, vinto dal dolore e dal rimorso. E lo vide schiacciato dalle sue debolezze del passato, dai suoi tormenti interiori e volle dargli il suo conforto.
Appoggiò gentilmente una mano sulla sua spalla e cercò di tirargli su il morale – Non essere troppo severo con te stesso. Forse non è stato il più bel periodo che hai vissuto e forse hai commesso qualche errore, ma sbagliare è umano e non puoi colpevolizzarti a questi punti. Georgie deve capire che sono cose successe prima che voi formaste una famiglia. Deve andare oltre -.
Abel alzò la testa e riprese a parlare – Ne abbiamo già parlato e pensavo avessimo chiarito. Sono cose di cui non vado fiero, è vero, ma sono ricordi ormai lontani, che intendo lasciare nel passato. E soprattutto sono ricordi che non mi hanno mai turbato dal punto di vista dell’amore che provo per lei. I miei sentimenti non hanno mai vacillato, io amo solo Georgie. E’ sempre stato così e così sarà per sempre. L’altra donna non ha contato nulla per me. Questo non mi rende un gentiluomo, lo so. Però è vero. Ho cercato una distrazione ed è stato inutile. Me ne pento, ma ora è passato. Non c’entra nulla con me e Georgie ora. Il nostro rapporto di attuale, il sentimento che nutro per lei, non potrà mai essere scalfito da quella persona. Mai -.
Arthur sospirò. Gli dispiaceva vedere il fratello così. Era un bravo ragazzo, amava Georgie. Gli errori del passato non potevano essere scontati oggi, non aveva senso.
- Ma certo che è così. Io lo so – disse a quel punto Arthur – E anche Georgie lo sa. Lo sente tutti i giorni quando ti è accanto. Io vi vedo, siete innamorati, avete un legame speciale. Questo è solo un ostacolo di poco conto. Devi parlarle, capirà. Se hai avuto un’amante in passato non  può colpevolizzarti ora. Quello è successo prima, prima di voi insieme, felici, sposati. Prima di tutto. E devi farglielo capire, Abel. Non lasciarla nel dubbio, non darle modo di dubitare di te -.
Abel sgranò gli occhi. Arthur non aveva capito bene, forse.
- Aspetta fratello, non ci siamo capiti – si affrettò a spiegare – Quella donna di cui ti ho parlato non era esattamente la mia amante. Non ho intrecciato una relazione con lei. Non correvo da lei tutte le sere per farmi consolare. L’ho conosciuta quando mi sono imbarcato e al mio ritorno, senza che io le chiedessi nulla, mi è saltata addosso e mi ha baciato. Ma non avevamo il tipo di rapporto che pensi tu. Mi è poi capitato di scendere al porto alcune sere a bere e lei mi ha fatto compagnia. Io le parlavo di Georgie tra un bicchiere e l’altro e lei mi faceva qualche moina, ma non ci andavo a letto. E’ capitato una volta. Una volta sola. E non è un momento della mia vita che amo ricordare -.
Arthur inarcò le sopracciglia per lo stupore e ascoltò il racconto del fratello.
- Quella sera ero corso al porto disperato. Avevo visto Georgie e Lowell insieme, mentre si baciavano. Non so come si fossero incontrati quel maledetto giorno, ma mi capitò di passare nei dintorni del ruscello accanto alla casa dello zio Kevin e li vidi, seduti per terra, mentre lui si avvicinava a lei per baciarla – iniziò Abel, mentre gli occhi gli si riempirono di lacrime. Quel ricordo faceva ancora male – Lei si lasciò baciare. Era evidentemente innamorata di quel damerino e io mi sentii morire. Poi la mamma ci raccontò del padre di Georgie, del fatto che fosse un deportato… ricordi? - .
Arthur annuì, rattristandosi a quella dolorosa rievocazione.
- E io sono scappato, Arthur – disse a quel punto Abel tra le lacrime – Sono fuggito da questa casa, dalla mamma che mi aveva rivelato quel segreto scomodo, da Georgie che si lasciava baciare da un altro, dalla terribile verità che riguardava suo padre... sono scappato da tutto, da tutto. Sentivo un dolore impossibile da sopportare, sentivo il peso di un macigno sul cuore. Dovevo fuggire, non pensare. Smetterla di pensare. Solo quello volevo. E sono arrivato al porto, sconvolto, distrutto, disperato. Volevo solo bere, Arthur. Avevo bisogno solo di bere, di affogare i dispiaceri. Volevo ubriacarmi così tanto da stordirmi, da non pensare più. Penso di aver anche desiderato di morire quella maledetta sera. Ero come un cavallo imbizzarrito. Ero impazzito.
E così sono andato da quella donna e le ho chiesto di darmi tutto l’alcol che aveva sotto il bancone. Un bicchiere dopo l’altro, senza sosta, senza fermarmi un attimo, sperando di perdere coscienza il prima possibile. Lei mi aveva già visto star male, ma non come quella sera. Fu così che si fece più audace con me. Aveva compreso la mia debolezza e ne approfittò. E io cedetti, Arthur. Ero così ubriaco, non ero lucido e stavo soffrendo così tanto. Avevo nella testa l’immagine di Lowell che baciava Georgie e sentivo le parole della mamma che non facevano altro che ripetere che lei era la figlia di un deportato. Ero arrabbiato, confuso e mi sono lasciato trascinare da quella tizia. Ho lasciato che mi portasse nella sua stanza al piano di sopra. Era come se io non fossi nel mio corpo, come se assistessi a quella scena da un’altra prospettiva, completamente al di fuori. Volevo punire Georgie, volevo vendicarmi. Lei stava con un altro? Beh, avrei fatto anche io la stessa cosa e così fu -.
Si fermò un momento, per raccogliere le idee e contenere le emozioni che lo stavano attraversando, ma poi riprese – Quanto sono stato stupido, fratello mio. Stupido e scellerato. Non ero molto presente, non riuscivo a formulare un pensiero lucidamente. So solo che quella ragazza mi spinse sul suo letto e poi basta. Tutto diventò nero. Non ero più nella stanzetta di una semi-sconoscita, sopra la locanda del porto. Ero come caduto in un baratro oscuro, divorato dall’alcol, divorato dal dolore. Sentivo la ragazza che mi toccava e non riuscivo nemmeno a tenere gli occhi aperti. Vedere il suo viso mi disgustava. Non perché fosse brutta, tutt’altro, ma perché non era Georgie. Non era bella quanto lei… dolce quanto lei…. meravigliosa quanto lei. Perché in realtà avrei voluto solo essere con lei e non con quell’altra. E iniziai a pensare a come sarebbe stato se ci fosse stata Georgie con me in quel momento -.
Chiuse nuovamente gli occhi, in preda al ricordo delle sensazioni che aveva provato e poi riprese a parlare – E nel torpore di quel momento, come in preda ad un’allucinazione, vidi il suo bel viso. I suoi occhi verdi, i suoi capelli biondi. E la cosa mi tranquillizzò un poco. Era come se ci fosse Georgie con me. Poi ebbi un barlume di lucidità e mi ricordai dell’altra donna. E allora sperai che fosse tutto un incubo. Che non fosse vero niente. Sperai di non aver davvero visto Georgie baciare un altro. Sperai che non fosse davvero la figlia di un deportato. Sperai di non trovarmi nel letto con un’ altra donna. Sentii la testa girare vorticosamente, avvertii un senso di nausea e di smarrimento. E poi ci fu il buio, l’oblio. Non ricordo più nulla. So solo che quando tornai in me, mi ritrovai senza abiti addosso in un letto non familiare, con una ragazza nuda che non amavo addormentata accanto a me -.
Abel scrollò la testa, trovando assurdo tutto quello che gli era capitato quella notte.
- Ero sconvolto, mi resi conto di aver fatto una stupidaggine. Ero disgustato da me stesso. Come avevo potuto permettere che accadesse una cosa del genere? Non amavo quella ragazza, non avrei dovuto andarci a letto. Ero giunto alla conclusione di essere una persona orribile, che utilizzava la gente per dimenticare le proprie sofferenze. Forse quella ragazza non era virtuosa, ma di sicuro non meritava di essere usata così. L’unico fattore positivo era che gli effetti dell’alcol erano completamente scomparsi e insieme ad essi anche tutto il dolore che avevo provato prima. Era come se finalmente avessi fatto chiarezza dentro di me. Non mi importava se Georgie era innamorata di un altro. E non mi importava che fosse figlia di un deportato. Io la amavo. Amavo lei. Volevo lei. Stare con un’altra donna era stato talmente squallido da farmi capire che nel mio cuore non poteva esserci spazio per nessun’altro se non per Georgie. Se non altro avevo preso coscienza del fatto che il mio amore per lei era forte e determinato e avevo capito che avrei saputo aspettare pazientemente il momento giusto. Certo, ero ignaro che nel frattempo la mamma le stava rivelando tutta la verità, sconvolgendola e facendola allontanare da noi -.
Arthur sospirò tristemente. Ricordava gli eventi di quella maledetta notte. Era stato davvero tragico. Ma ignorava l’inferno che aveva vissuto Abel.
- La amo così tanto, non saprei nemmeno spiegarti a parole quanto. Per questo per me non ha alcun valore quanto è successo quella sera. Per me non ha significato nulla e trovo assurdo che dopo così tanto tempo io debba essere ancora qui a rivangare quei momenti, a giustificarmi per qualcosa che nemmeno volevo, per qualcosa che ho chiuso nel passato e che non voglio più dover affrontare  - concluse Abel amareggiato.
- Ti capisco Abel e non ti giudico – disse a quel punto Arthur – Forse io non mi sarei comportato in quel modo, avrei affrontato il problema in maniera diversa. Ma è normale. Io non sono te. Noi siamo molto diversi. Ma in un certo qual modo ti capisco. Può succedere di commettere una stupidaggine. Ma se Georgie è turbata da quella storia tu devi convincerla del fatto che per te non ha nessun valore. Devi farglielo capire quanto la ami, esattamente come lo hai fatto capire a me. Del resto è una cosa avvenuta molto prima che voi vi metteste insieme. Non è un tradimento. E’ solo un ricordo scomodo, ma lei deve essere forte e lasciarselo alle spalle. E tu devi aiutarla in questo -.
Abel si passò una mano nei capelli nervosamente. Era già stato abbastanza duro affrontare quel tipo di discorso con Arthur, anche se da un certo punto di vista gli aveva fatto bene aprirsi. Si era tolto un peso dalla coscienza, si sentiva alleggerito.
Però con Georgie era diverso. Come poteva parlare con lei di certe cose in maniera così schietta? Come poteva essere sincero fino in fondo come lo era stato con Arthur? Cosa avrebbe pensato lei? Non era fiero di quel periodo della sua vita. Aveva tenuto vari comportamenti scorretti e Jessica ne era stato l’apice.
Aveva usato quella ragazza e lo aveva fatto per scacciare i suoi demoni, sperando di trovare un sollievo. Un sollievo che non era mai arrivato. L’unica cosa che gli aveva fatto capire quella notte era che lui non poteva amare nessun’altra donna che non fosse Georgie.
- Una cosa ancora mi sfugge – disse a quel punto Arthur, ridestando Abel dai suoi pensieri – Perché ora? Perché pensi che quella donna rappresenti un problema tra te e Georgie proprio adesso? E’ una cosa successa tempo fa -.
Abel guardò il fratello e rispose – Perché alcuni giorni fa l’abbiamo incontrata per caso al porto. Era il giorno che avevo l’appuntamento con il sig. Abbott per parlare del mio studio. Mentre discutevo con il mio socio degli ultimi dettagli, Georgie è rimasta sola con quella donna e non so con precisione cosa si siano dette. Georgie non mi ha fornito una risposta chiara. E’ stata vaga, ma è da allora che mi evita. Ho subito pensato che avesse scoperto qualcosa che potesse averla turbata, ma me lo ha negato più volte e mi sono arreso. Se davvero non è per via dell’altra ragazza, non saprei proprio cosa le stia passando per la testa. Il dubbio mi resta, ma se Georgie mi ha risposto che non è in alcun modo turbata da quell’incontro e che non si sono dette nulla di importante, io devo crederci. Non è una bugiarda. Che senso avrebbe mentirmi? Solo che a questo punto, se non è per via di questo, non so cosa ci sia che non vada. Sto impazzendo! -.
Arthur rimase per un attimo a fissare il fratello, con espressione esterrefatta. Abel notò la cosa e inarcò il sopracciglio, senza capire cosa stesse pensando Arthur.
- Abel stai scherzando, vero? – chiese a quel punto – Davvero ti sei bevuto la storiella che non è per via di questa ragazza che Georgie è così strana? Abel svegliati, non sei nato ieri! Ma che dubbi vuoi avere? E’ ovvio che è successo qualcosa con questa tizia. Sono rimaste sole a parlare, chissà che si sono dette. Anzi, cosa questa ragazza può aver detto a Georgie. Io non la conosco, non posso giudicare, ma tu dovresti immaginare che cosa può essere successo tra loro due. Insomma, che tipo è questa donna? -.
Arthur aveva ragione. Come aveva potuto essere stato tanto ingenuo da credere alle risposte di Georgie?
Abel sospirò e rispose – E come vuoi che sia? E’ una ragazza abituata ad aver a che fare con marinai ubriaconi e molesti. Si sa difendere bene. E’ il tipo di donna che ghermisce un uomo e ne fa ciò che vuole. E ti assicuro che se vuole sa essere crudele - .
Arthur si mise una mano in fronte e sospirò sconsolato.
Abel comprese la reazione del fratello e aggiunse – Lei detesta Georgie. Figurati, io andavo alla locanda ad affogare i miei dispiaceri nel vino e a parlarle di quanto ero ossessionato dalla mia dolcissima e bellissima sorellina adottiva e nemmeno notavo i tentativi che faceva lei per sedurmi. Per non parlare di quanto successo quella notte. Quando le ho detto chiaro e tondo che amavo Georgie, so di averla ferita. Non ne vado fiero, ma l’ho offesa. Ha capito che non mi importava di lei e che l’avevo usata. E non ha mai perdonato questa cosa a Georgie, perché la ritiene responsabile di tutto. Quando l’abbiamo incontrata l’altro giorno e ha visto che lei era incinta ha fatto una scenata. E’ palesemente gelosa. Povera Georgie, chissà cosa può averle detto -.
Arthur si alzò e si avvicinò al fratello, inginocchiandosi accanto alla sedia sulla quale era seduto.
- Ora tu vai da tua moglie e le chiedi che è successo. E insisti fino a quando non ti darà una risposta. Ma che sia plausibile. Abel tu devi mettere a posto questa situazione -.
Abel annuì. Arthur aveva ragione.
- Sì, devo farlo subito.  Sono stato uno stupido – disse amareggiato Abel – Come ho potuto non arrivare a fondo di questa questione? -.
Arthur gli sorrise e rispose – Sei stato ingenuo e non hai dato peso alla cosa, perché per te non rappresenta nulla. Ma per Georgie è stato diverso -.
Abel scrollò la testa e disse – No, la verità è un’altra. La verità è che sono stato egoista. Non ho voluto approfondire e mi sono accontentato delle sue risposte vaghe, perché in realtà questo non è un argomento di cui volevo parlare. Non volevo ferirla, non volevo rivangare. E ho lasciato che lei si dannasse da sola. Chissà che le ha detto quella megera! -.
- Dai Abel, non dire così – lo interruppe a quel punto Arthur – Volevi evitarle un argomento scomodo, non volevi farla soffrire. L’hai solo protetta -.
Abel non seppe trattenere il pianto e lasciò che le lacrime sgorgassero copiose dai suoi occhi – No, Arthur. In realtà ho protetto me stesso. Sono io che non voglio parlare di quell’altra, perché non vado fiero di quello che ho fatto e ho solo paura che Georgie possa capire che mostro sono stato e mi lasci. Ho il terrore che lei non capisca come mi sentivo in quel periodo e giudichi le mie scelte insensate. Se realizza di aver sposato un uomo che in passato, alla prima difficoltà, ha trovato rifugio nell’alcol e nelle donne facili, come potrebbe reagire? Io provo solo disgusto per me stesso e lei potrebbe fare la stessa cosa. Lei non merita questo, non merita un uomo come me. Lei è così meravigliosa, così pulita -.
E pronunciando queste parole, si abbandonò sulle spalle del fratello, scosso da un pianto a dirotto.
Arthur si stupì di quella reazione. Non aveva mai visto Abel in uno stato simile. Era proprio disperato e si sentiva schiacciato dal senso di colpa.
Lo abbracciò stretto. Voleva fargli sentire la sua vicinanza e fargli capire che non era solo.
- Avanti, non fare così – sussurrò in tono consolatorio, sperando di farlo calmare – Sono errori di gioventù. Non hai fatto nulla di terribile. Eri giovane, innamorato, disperato. E poi ti sei ritrovato solo, lontano da casa in mezzo ai marinai e posso benissimo immaginare che esempio ti abbiano dato. Stavi soffrendo e loro ti hanno insegnato la via più facile per dimenticare. Peccato che in realtà poi quella strada non porti da nessuna parte se non all’autodistruzione. Fidati, ne so qualcosa. Non ho navigato quanto te, ma quando ho lasciato Sidney alla volta di Londra per seguire te e Georgie, ho lavorato su una nave e ho frequentato i marinai. Non sono tutti così, ma la maggior parte di loro non ha uno stile di vita esemplare e ci provano a coinvolgere gli altri, soprattutto i giovani. Per loro sono cose normali. Ma tu sei sensibile e certi comportamenti non ti appartengono. E’ normale che tu te ne sia pentito, ma credimi, non è successo nulla di grave. Sono certo che se chiarisci con Georgie lei capirà e non ti giudicherà. Ti ama, non dimenticarlo -.
Abel si staccò da quell’abbraccio e guardò il fratello dritto negli occhi. Gli era grato per i consigli e per quanto gli era stato vicino.
Stavano recuperando il loro rapporto. Non solo, lo stavano addirittura migliorando.
Arthur aveva dimostrato di tenerci a lui e si stava rendendo utile per consentirgli di fare pace con Georgie. Aveva dimostrato una grande maturità. Si era fatto da parte, nonostante amasse Georgie, per consentire loro di essere felici insieme.
Non era da tutti essere così altruisti e generosi. Ma Arthur era così. Un ragazzo unico, speciale e lui era estremamente fortunato ad averlo come fratello.
Nonostante i terribili avvenimenti di Londra che lo avevano visto protagonista, nonostante avesse rischiato la vita cadendo nel Tamigi, nonostante avesse dovuto sopportare la scelta di Georgie, Arthur alla fine era riuscito a perdonare e ad andare avanti.
E ora gli stava dimostrando tutto il suo amore fraterno.
- Grazie – mormorò emozionato Abel – Grazie per esserti accorto che non ero felice e avevo bisogno del tuo aiuto. Grazie per aver ascoltato pazientemente il mio sfogo. E grazie per non avermi giudicato. Sono fortunato ad averti accanto. Vorrei solo saperti essere di sostegno, proprio come tu lo sei stato con me, ma purtroppo non sono come te. Io so solo essere egoista e….- ma non ebbe modo di finire il discorso che Arthur prontamente lo interruppe.
- Non dire stupidaggini, Abel! – tuonò serio Arthur – Perché dici questo? Perché sei così severo con te stesso? Non ho fatto niente di speciale. Ho solo fatto quello che un buon fratello deve fare: esserci nei momenti di bisogno. E so che tu ti saresti comportato allo stesso modo -.
Abel scosse la testa e rispose – No, io non sono come te -.
- E invece sì! – incalzò Arthur – Hai solo un modo diverso di dimostrarlo. Ma ci sei stato quando ho avuto bisogno. Pensi che mi sia dimenticato? Chi si è sostituito a me in quella torre? Chi ha rischiato di morire pur di salvarmi? Chi era disposto a morire da solo in quel carcere pur di permettere a me e Georgie di far ritorno in Australia sani e salvi? Tu Abel. Hai fatto tutto tu e lo hai fatto tra enormi sacrifici e sofferenze. E non lo dimentico. Io so che mi vuoi bene e che sei sempre pronto ad aiutarmi. Noi possiamo contare uno sull’altro. Sempre. Perché siamo fratelli e perché ci vogliamo bene. Quindi ora smettila con le stupidaggini, ricomponiti e vai a chiarirti con tua moglie. Voglio vedervi di nuovo felici e non voglio più che le sciocchezze del passato tornino a turbarvi. Noi siamo andati tutti oltre e siamo pronti a vivere una nuova vita felici. Lo sto facendo io e potete farlo anche voi. Dobbiamo solo continuare a volerci bene ed essere uniti. Siamo una famiglia, non dimenticarlo mai -.
Abel sorrise commosso a quelle sagge parole del fratello, annuì e si asciugò le lacrime.
Era felice di essersi consigliato con Arthur. Ora sapeva cosa era giusto fare e lo avrebbe fatto.
- Va bene – disse – E’ ora di smetterla di piangersi addosso. Devo agire. Andrò subito da Georgie e parlerò con lei -.
Si alzarono entrambi e Arthur diede una pacca sulle spalle del fratello – Bravo Abel, era ora che prendessi la situazione in mano. Vai da Georgie, ha bisogno di te. E aggiusta le cose. E’ un ordine! -.
Abel rise a quelle parole e uscì deciso dalla cucina. Doveva assolutamente affrontare sua moglie e rimettere le cose al loro posto il prima possibile. Non erano più bambini. Dovevano essere più maturi e responsabili.
Raggiunse in fretta la camera da letto che condivideva con lei, ansioso di parlarle, ma appena aprì la porta rimase deluso. Di Georgie nessuna traccia.
- Ma dove si è nascosta? – pensò Abel tra sé e sé.
Non si diede per vinto e continuò la ricerca della moglie per tutta la fattoria, ma non la trovò.
La chiamò, urlò il suo nome, ma non ricevette risposta.
Dove poteva essersi cacciata? Iniziò a preoccuparsi. E se fosse scappata? Se fosse stata troppo arrabbiata con lui o troppo turbata per via di Jessica e avesse deciso di starsene per conto suo per un po’? Però dove poteva essere andata? Era una ragazza sola, incinta, non era saggio allontanarsi da casa. Che intenzioni poteva avere? Che cosa le stava passando per la testa? Che cosa poteva averle detto Jessica di così sconvolgente da ridurla in quello stato?
Iniziò a sentirsi molto agitato. Aveva bisogno di trovare Georgie ed accertarsi che stesse bene.
Corse in casa. Doveva assolutamente avvertire il fratello.
- Arthur, Arthur! – urlò piombando in cucina – Vieni, presto -.
A quelle parole Arthur gli andò incontro preoccupato.
- Ma che sta succedendo, Abel? – chiese a quel punto – Perché non sei con Georgie a chiarire? -.
Abel appariva agitato e la cosa spaventò molto Arthur.
- Georgie è sparita – spiegò Abel con fare concitato – Non è in camera nostra e non la trovo da nessuna parte. L’ho cercata per tutta la fattoria, ma di lei nemmeno l’ombra. Arthur ho paura che sia scappata e che le possa succedere qualcosa. Era troppo pensierosa, non vorrei che commettesse qualche sciocchezza! -.
Arthur cercò di tranquillizzarlo – No, ma che vai a pensare. Georgie può essere arrabbiata, ma non farebbe nulla di insensato. Su questo ne sono certo. Più che altro bisogna che stia attenta. E’ in uno stato avanzato della gravidanza e non deve fare imprudenze -.
Abel non sapeva cosa pensare. Dove poteva essere andata Georgie? Si sentì in colpa per quella situazione. Se solo le avesse parlato prima non sarebbero mai arrivati a quel punto.
- Dividiamoci – disse Arthur – Io provo a controllare se per caso fosse andata dallo zio Kevin e poi rientro a casa ad aspettarla, se dovesse far ritorno. Tu cerca altrove. Cerca di pensare in quali posti potrebbe aver voglia di trovar rifugio in questo momento. Forse ha solo bisogno di trovare un luogo tranquillo per riflettere. Pensaci Abel, pensa quale luogo potrebbe esserle caro e raggiungilo. Potresti trovarla -.
Abel annuì. Era confuso in quel momento, ma doveva cercare di mantenere la calma e riflettere. C’erano un sacco di posti a loro cari. Li avrebbe setacciati tutti e l’avrebbe trovata. Doveva trovarla.
Sellò immediatamente il cavallo e lo montò. Non doveva perdere altro tempo.
- Io vado, Arthur – disse rivolgendosi al fratello – Devo assolutamente riportarla a casa. Non me lo perdonerei se dovesse succederle qualcosa -.
- Stai tranquillo, Abel – rispose – Vedrai che la ritroverai e andrà tutto a posto -.
A queste ultime parole, Abel fece un cenno di assenso, poi lasciò la casa, lanciando il suo cavallo in una folle corsa disperata.
- Georgie, amore mio, dove sei? – pensò tra sé e sé, mentre il suo cuore veniva divorato dall’angoscia e dalla paura.
 
 
 
TBC…..

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