Welcome to Crystal Lake

di itachiforever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - L'arrivo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Cena in compagnia e visite inaspettate ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 – Nuove informazioni ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Avvistamenti ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Pensieri notturni ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Shopping e uccisioni ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Risparmiata ancora ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - L'aereoplanino di carta ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Incubi e fobie ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Preoccupazioni e dubbi ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - La spesa ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 Pt.1 - Le rose della comprensione ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 Pt.2 - Preparativi ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Venerdì 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Ubriaco ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 Pt.1 - Slaughter Party ***
Capitolo 17: *** Capitolo 15 Pt.2 - Slaughter Party ***
Capitolo 18: *** Capitolo 16 - Nuove amicizie ***
Capitolo 19: *** Capitolo 17 - Una chiacchierata Padre-Figlia ***
Capitolo 20: *** Capitolo 18 - Introspezione ***
Capitolo 21: *** Capitolo 19 – Area Video Sorvegliata ***
Capitolo 22: *** Capitolo 20 - Scelte ***
Capitolo 23: *** Capitolo 21 - Decisioni ***
Capitolo 24: *** Capitolo 22 - Confessione ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - L'arrivo ***


Capitolo 1 – L’arrivo






Da quanto tempo erano in viaggio? Si chiese Jasmine, guardando fuori dal finestrino della Golf Sportsvan grigia di suo padre. Si era appisolata mentre ascoltava la musica sul suo vecchio IPod verde mela, distesa sul sedile posteriore con la testa appoggiata al finestrino e le gambe immobilizzate dal peso di Finn, il suo border collie red merle con un occhio azzurro ghiaccio e uno giallo oro, che per altro stava iniziando a sbavarle sui leggins neri.
Lo spostò, mettendosi seduta e stiracchiandosi, sentendo schioccare qualche osso. La maglietta nera dei Disturbed umida sulla schiena a causa del sudore. Il caldo quel giorno era insopportabile e neanche l’aria condizionata riusciva a fare molto.
“Ben svegliata!” Sua madre la guardava dallo specchietto nella visiera del sedile del passeggero.
“A che punto siamo?” Chiese Jasmine, guardando l’ora segnata sul cruscotto: 17:38.
“Ci siamo quasi, ormai non manca molto.” Rispose suo padre senza distogliere gli occhi dalla strada.
Jasmine e la sua famiglia si stavano trasferendo. Dietro di loro viaggiava il camion dei traslochi, guidato da un paio di lavoratori della ditta consigliata dall’agenzia immobiliare, due montagne di muscoli.
Suo padre, Robert Hatefield, era medico all’ospedale di Columbus, Nebraska, dove vivevano fino a quella mattina e dove la ragazza aveva frequentato l’ultimo anno di liceo, diplomandosi con buoni voti giusto una settimana prima. Sua madre invece, Anna Hatefield, di origini italiane, era rimasta disoccupata circa sei mesi prima, quando la profumeria in cui lavorava aveva chiuso. Tutti e tre mal sopportavano la vita di città. Jasmine preferiva i luoghi tranquilli e silenziosi ai centri commerciali affollati e le strade rumorose, e i suoi genitori non erano da meno, essendo cresciuti entrambi nelle campagne adiacenti Columbus. Di comune accordo decisero di trasferirsi in una piccola cittadina. Robert avrebbe chiesto un trasferimento, che venne accettato in breve tempo, e Anna avrebbe potuto cercare lavoro una volta sistemata la nuova casa. Anche Jasmine aveva pensato di trovarsi un lavoretto part-time, dato che non pensava di continuare gli studi.
Controllando la disponibilità di lavoro per Robert, alla fine avevano scelto una casa che soddisfaceva pienamente tutti. Era una casa a due piani circondata dal bosco e a poche decine di metri da un lago. Un posto tranquillo immerso nella natura come volevano Anna e Jasmine, ma non troppo lontano dal centro abitato, per venire incontro alle esigenze di Robert. L’avevano trovata facendo ricerche su internet. Era subito stata la prima scelta di Jasmine, appena aveva visto dove si trovava, e aveva insistito in una maniera che sua madre aveva definito inquietante. Alla fine i coniugi Hatefield avevano ceduto alle richieste della figlia, grazie anche alla bellezza naturale del posto e al prezzo dell’abitazione, che in un posto diverso sarebbe stato molto più alto. E poi avevano giusto bisogno di un medico in più lì.
La nuova casa si trovava nientemeno che nel territorio della sfortunata cittadina di Crystal Lake, New Jersey, a poca distanza dall’omonimo lago e abbastanza vicina al famigerato “Camp Blood”.
Jasmine era un’appassionata di film horror ed era venuta a conoscenza delle svariate uccisioni avvenute nella zona tramite la famosa serie di film “Venerdì 13”. Era rimasta sconcertata da come certe persone potessero speculare sulle disgrazie altrui, ma non riuscì a fare a meno di restare affascinata dalla inquietante figura del serial killer di Crystal Lake, lo sfortunato - e spietato - Jason Voorhees.
Continuava a guardare fuori dal finestrino, vedendo scorrere alberi e arbusti ai lati della strada. Non vedeva l’ora di arrivare, avrebbe visto la sua nuova casa per la prima volta. Quando i suoi genitori erano andati a vederla lei era dovuta rimanere a casa a studiare per gli ultimi test. Ovviamente aveva visto le foto sul sito dell’agenzia immobiliare, sapeva che era stata già grosso modo arredata dai suoi genitori e che aveva un impianto di videosorveglianza, lasciato dai vecchi proprietari insieme a un sacco di mobili e cianfrusaglie conservate tra cantina e soffitta.
Poco dopo le 18, superarono il cartello verde con la scritta bianca “Benvenuti a Crystal Lake” sul lato destro della strada. A breve distanza iniziarono a vedere le varie strade sterrate che conducevano alle proprietà esterne alla città, poi finalmente i primi edifici. Jasmine osservava tutto con estrema attenzione, cercando di non farsi sfuggire un dettaglio. La madre la guardava dallo specchietto, un po’ preoccupata da tutto quell’interessamento, che generalmente la figlia non dimostrava, e scoccò un’occhiata al marito, che le rispose con un’alzata di spalle quasi impercettibile. Seguendo la strada principale tagliarono a metà la zona abitata, tornando a vedere solo la foresta e qualche stradina.
Davanti ad una di quelle stava ferma una Hyundai Genesis nera, con lo sportello del guidatore aperto e un signore in camicia azzurra seduto dentro, che scese non appena avvistò i viaggiatori.
La famiglia accostò al bordo della strada, seguita dal camion. Il signore in camicia, madido di sudore, scese dal suo veicolo e gli venne incontro. Lo stesso fecero Robert ed Anna, seguiti da Jasmine e Finn, che non vedeva l’ora di scendere e scorrazzare un po’ in giro, iniziando ad annusare tutto ed espletando anche qualche bisogno fisico.
“Signor Hatefield, Signora Hatefield! Felice di rivedervi!” Esclamò l’uomo con un sorriso a trentadue denti, stringendo le mani ai due.
“Piacere nostro, Ian!” Rispose suo padre per entrambi. Capì subito che si trattava dell’addetto dell’agenzia incaricato di occuparsi di loro.
“E questa bella ragazza dev’essere vostra figlia, vero?” Tese la mano verso Jasmine “Ian Blake, piacere.”
“Jasmine, felice di conoscerla.” Rispose lei, stringendogli la mano fortunatamente non sudata, tirando fuori il miglior sorriso di circostanza che riuscisse. Non era molto incline a fare nuove conoscenze.
Intanto li raggiunsero anche i due autisti del camion, Dan e Jack, se non ricordava male. Dopo una veloce presentazione, Ian comunicò che il camion non sarebbe potuto arrivare fino alla casa, perché poi non avrebbe avuto lo spazio necessario alla manovra per tornare indietro. Decisero quindi, su consiglio dello stesso Ian, di noleggiare un furgone e fare più viaggi. L’agenzia avrebbe contribuito alla spesa dato che avevano dimenticato di avvisarli di questo problema per tempo e Ian si era già informato per il furgone. Tirò fuori il cellulare e fece una chiamata, a breve sarebbe arrivato il mezzo. Per tutto il tempo Jasmine aveva continuato a guardarsi intorno, scrutando attentamente ogni metro della foresta circostante, alla ricerca di segni della presenza di qualcuno all’infuori del suo gruppo. Non era preoccupata della possibile presenza di un serial killer che li stesse osservando, anzi era curiosa di scoprire se davvero vi fosse. Certo non era tanto stupida da andarlo a cercare apertamente, ma si sarebbe concessa qualche passeggiata nel bosco.
Ian aveva notato questo continuo guardarsi intorno della ragazza, così come tutti gli altri, che di tanto in tanto si voltavano a controllare. L’agente immobiliare sembrava quello più preoccupato, ma non diceva nulla al riguardo. Doveva assolutamente riuscire a vendere quella casa. Nessuno era riuscito a farla comprare. Appena scoprivano dove si trovava, tutti la rifiutavano categoricamente. Se fosse riuscito nell’impresa, Ian era sicuro che avrebbe ottenuto un bell’aumento e la stima del suo capo, magari anche una promozione.
“Che ne dite di andare a vedere la casa? Ci vorrà un po’ prima che il furgone arrivi.” Disse ad un certo punto.
A quelle parole, Jasmine si illuminò, voltandosi verso i suoi genitori, in attesa di un “Sì” che non tardò ad arrivare. Risalirono quindi nelle macchine e lasciarono disposizione a Dan e Jack di iniziare a fare il primo viaggio se il furgone fosse arrivato prima del loro ritorno.
Ian apriva la strada e loro gli stavano dietro. La strada era tutta dritta se si escludevano delle leggere curvature. In due minuti arrivarono davanti la casa, molto diversa dall’appartamento in centro in cui avevano vissuto a Columbus.
Il rivestimento in legno era dipinto di bianco, mente gli infissi erano grigio chiaro, come le imposte e la porta d’ingresso. Le tegole del tetto erano invece di un grigio più scuro. Accanto alla casa, a sinistra, un casotto dagli stessi colori era il garage. Le due auto parcheggiarono una dietro l’altra, per lasciare spazio al furgone. In effetti lo spiazzo in cui si trovava la casa lasciava pochi metri liberi attorno ad essa, prima di ritrasformarsi in foresta. Scesero dalle vetture e subito Ian salì i tre scalini di fronte la porta d’ingresso, proprio al centro della facciata e del portico. Tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi e aprì la porta, lasciando passare per primi i nuovi padroni. Jasmine si prese qualche secondo per godersi la vista della casa e della foresta e non potè trattenere un sorriso. Salendo anche lei i gradini, con Finn accanto, si rallegrò del fatto che la porta d’ingresso non avesse finestre ma solo lo spioncino. Ci teneva molto alla privacy, così come sua madre. Le due finestre ai lati della porta non la preoccupavano, sarebbe bastato mettere delle tende.
Appena entrati ci si trovava nel soggiorno – sala da pranzo. Le pareti erano ricoperte da una carta da parati beige nella parte superiore e da pannelli di legno in quella inferiore. Un bel divano tre posti era posizionato perpendicolarmente alla porta, mentre in parallelo si trovava un divano due posti dalla parte della porta e una poltrona dal lato opposto, tutti di un beige più scuro rispetto a quello delle pareti. Di fronte ad essi un caminetto, davanti al quale già Jasmine si vedeva durante l’inverno. Oltre i divani si trovava una bella tavola di legno per otto persone e una  credenza anch’essa in legno appoggiata alla parete di fondo. I suoi genitori avevano fatto in modo che i colori si abbinassero perfettamente con i vecchi mobili che avevano deciso di portare con loro dalla vecchia casa. Già immaginava dove sua madre li avrebbe sistemati. A destra si trovavano le scale che portavano al piano di sopra, mentre sotto di esse una porta conduceva in cantina. Accanto alla credenza stava un’apertura ad arco che immetteva in cucina. Anche qui i mobili richiamavano il legno, ma erano bianchi, con i piani da lavoro in quello che sembrava marmo nero. Era abbastanza piccola, ma non angusta, probabilmente per dare più spazio alla zona giorno. Anche qui la porta sul retro era grigia, ma in questa la vetrata c’era ed era anche piuttosto grande. Tutti gli elettrodomestici erano già presenti, lavastoviglie compresa. Tornando indietro, alla destra delle scale una porta conduceva ad un bagno con doccia, tutto sui toni dell’azzurro, ad eccezione dei sanitari. Sua madre aveva insistito, da brava italiana, per avere un bidet in almeno uno dei bagni, ed era stata accontentata. Un’altra porta invece era quella di una stanza vuota, che sarebbe diventata uno studio. Vi era solo un tavolinetto in legno con un vecchio computer sopra, che serviva per le telecamere di sorveglianza, e le pareti erano decorate come quelle del salone. In cantina c’erano la lavanderia e un mucchio di scatoloni e vecchio mobilio. Jasmine adocchiò subito una sedia a dondolo e si ripromise di andare a controllare tutto in seguito. Poteva saltare fuori qualcosa di interessante o, magari, di inquietante.
Salirono poi al piano di sopra. A sinistra delle scale si trovavano un altro bagno, in fondo, decorato questa volta con piastrelle bianche e nere e con una vasca, e due camere, una a sinistra e una a destra. Quella a destra era la camera padronale. Le pareti erano ricoperte da carta da parati ocra. Un bel letto matrimoniale in legno, con un’alta testiera, stava di fronte ad un grande armadio a sei ante dello stesso stile, identico a quello dei comodini e della cassettiera, sormontata da un grande specchio con una cornice che sembrava, ma non era, di bronzo antico. L’altra camera, quella di sinistra, era anch’essa vuota e sarebbe stata una camera per gli ospiti. Alla destra delle scale si trovavano due camere a sinistra, una a destra e la botola della soffitta in alto.  Anche le due camere a sinistra erano vuote e sarebbero servite per gli ospiti, ma Jasmine già sapeva che una sarebbe anche stata il suo studio, dove avrebbe letto e giocato ai videogames.
La stanza di destra invece era la sua. La carta da parati qui era di un leggerissimo verde chiaro. Il letto in ferro battuto da una piazza e mezza aveva un decoro a foglie e quelli che a prima vista sembravano fiori di ciliegio. Un armadio ad angolo a sei ante bianco era l’oggetto che più attirava attenzione, ma lei aveva messo gli occhi su una libreria a ripiani rettangolari 2x5 e una grande scrivania accanto alla finestra. Completavano l’arredamento un comodino con tre cassetti e un comò con quattro. Tutto era rigorosamente bianco, a parte il letto e i pomelli che erano neri, e in stile finto anticato. La camera le piaceva moltissimo, anche perché era molto più grande di quella che aveva prima e avrebbe potuto sbizzarrirsi con la sistemazione delle sue cose.
Anna mise una mano sulle spalle di Jasmine “Ti piace, tesoro?”
“Oh mamma, è bellissima!” disse sorridendo, un sorriso vero stavolta. Quasi i suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime.
“Finalmente avrai più spazio per te. Ti piacciono i mobili?” le chiese suo padre.
“Sono stupendi! Grazie!” Anche Ian non poteva fare a meno di essere felice per loro, anche se più per se stesso. A questa famiglia la casa piaceva molto, tutto stava andando bene.
E Jasmine sperava davvero che tutto sarebbe filato liscio.

 







Angolo Autrice
Ciao a tutti!
Spero di avervi incuriosito un po’ con questo primo capitolo.
A breve pubblicherò il secondo, intanto fatemi sapere cosa ne pensate di questo ;)
Qua non dirò molto, preferisco far parlare voi, quindi se avete qualche consiglio o critica costruttiva saranno bene accetti.
Ovviamente qua non succede molto, ma il capitolo introduttivo per presentare contesto e personaggi credo sia d’obbligo per chi non sia un professionista.
Detto questo, lascio a voi la parola!
A presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Cena in compagnia e visite inaspettate ***


Capitolo 2 – Cena in compagnia e visite inaspettate







 Mentre tornavano tutti al piano di sotto, con Finn che esplorava la nuova dimora, sentirono una macchina che si fermava davanti la casa. Andando a controllare furono felici di vedere un furgoncino rosso e bianco, dal quale scesero Jack e Dan e un ometto dall’aria gioviale, vestito con una tuta da lavoro verde militare e un berretto grigio topo in testa. Jasmine non gli avrebbe dato meno di una sessantina d’anni. Andarono tutti incontro al nuovo arrivato.
“Salve gente!” Salutò, tendendo la mano verso Robert “Steve Mills, piacere”
“Robert Hatefield, mia moglie Anna e mia figlia Jasmine” gli strinse la mano e a turno lo fecero tutti, Ian compreso.
“Grazie di essere venuto così in fretta” Gli disse Ian.
“Nessun problema, e poi ero curioso di conoscere i nuovi concittadini. Finalmente tu e la tua agenzia siete riusciti a vendere la casa.” A quelle parole Ian strabuzzò un po’ gli occhi, ridacchiando nervosamente.
Dan e Jack iniziarono a tirar fuori degli scatoloni dal furgone, aiutati da Steve e Robert. Jasmine e Anna invece presero dal cofano dell’auto delle buste della spesa, piene di provviste, e iniziarono a sistemarle in cucina. Anna aveva provveduto a portare un bel po’ di roba a lunga scadenza, per evitare di doversi subito sbrigare ad andare a fare la spesa una volta arrivati.
Jasmine sistemò per prima cosa le due ciotole di Finn accanto alla porta sul retro. Ne riempì una di crocchette e una d’acqua e il cane vi si fiondò immediatamente. Poi passarono a mettere tutto nella dispensa. E mentre all’ingresso si accumulavano scatoloni di piatti, pentolame e biancheria da cucina, i quattro uomini provvedevano a portare al piano superiore un divano letto color sabbia da mettere in una delle camere degli ospiti.
Verso le 20 il camion venne svuotato completamente, Dan e Jack vennero pagati e si congedarono. Steve salutò tutti, e sembrava davvero felice di aver conosciuto nuova gente. Questa famiglia gli sembrava composta da brave persone. Venne pagato anche lui, salì sul suo furgone e prima di imboccare la strada e lasciarsi la casa alle spalle non riuscì a trattenersi dal raccomandargli un “Fate attenzione!” che preoccupò non poco la signora Hatefield e Ian Blake. Il signor Hatefield si sforzò di non farci caso e alzò una mano in segno di saluto. Jasmine, dal canto suo, sentì un brivido attraversarle la schiena, non seppe dire se di eccitazione o di paura.
Una cosa era certa: se davvero Jason era in zona, lei non avrebbe fatto nulla per disturbarlo.
I film glielo avevano insegnato. Quello era il suo territorio, e non avrebbe permesso a nessuno di invaderlo per fare stupidi festini tra adolescenti che pensavano solo a sesso, alcol e fumo. Chiunque si fosse avvicinato troppo sarebbe stato punito.
Se il problema era quello, Jason non avrebbe avuto grossi problemi. Jasmine era una ragazza molto tranquilla, non aveva alcun interesse in quelle cose. Preferiva divertirsi facendo altro.
A tal proposito recuperò gli scatoloni col suo nome scritto sopra e iniziò a portarli ad uno ad uno in camera. I muratori avevano lasciato tutto pulitissimo, quindi non c’era bisogno di spolverare o altro. Il materasso a una piazza e mezza era coperto da un telo di plastica. Neanche il tempo di levarlo che già Finn vi era saltato sopra.
“Finn! Scendi di lì prima che ti veda la mamma!” Jasmine fece scendere il suo amico peloso dal materasso. Da uno scatolo tirò fuori una delle due cucce di Finn, quella colorata come una mimetica, e la mise al lato del comodino. “A cuccia, da bravo” Ubbidiente, il piccolo docile cucciolone andò a sistemarsi al suo posto, ricevendo come premio qualche carezza e il suo osso in pelle di cinghiale.
“Ti piace qui? Credi che ci troveremo bene?” per tutta risposta lui la guardò inclinando un po’ la testa di lato. Jasmine decise di iniziare dal letto e vi mise sopra le lenzuola azzurre e una leggera trapuntina bianca a righe blu e due cuscini quadrati, uno bianco con la siluette nera di un cervo intento a saltare e uno grigio con un albero in bianco. Sistemò dentro l’armadio tutte le altre lenzuola e coperte varie, per poi dedicarsi a sistemare più in ordine possibile tutti i vestiti.
“I cappotti e le giacche qui, i maglioni qua e lì i vestiti. Tutta la roba pesante la metto qua e quella leggera là…” In breve tempo armadio e comò erano praticamente pieni e tutto ciò che riguardava l’abbigliamento aveva trovato una postazione.
Mentre tirava fuori dal suo incartamento la lampada da comodino passò davanti alla finestra. Con l’oggetto ancora in mano si fermò con sguardo rapito a guardare fuori, le luci esterne che illuminavano i cespugli attorno alla casa. Rimase a fissare per un po’ un punto imprecisato sotto la sua finestra, finchè sua madre non irruppe in camera senza annunciarsi, facendo prendere un colpo sia alla ragazza che al cane.
“Jasy!” la ragazza sobbalzò al sentire il suo nomignolo e per poco non fece cadere la lampada. Finn scattò in piedi, tutti i sensi in allerta.
“Mamma! Mi hai fatto prendere un infarto!” Non era certo la prima volta che succedeva una cosa del genere.
“Oh scusa amore! Ti ho spaventata? Ma guarda! Hai già sistemato quasi tutto…non vedevi l’ora eh?” L’ultima frase la pronunciò con un tono strano, rassegnato quasi. Il suo sguardo materno si soffermò su un grande foglio di carta lucida arrotolato su se stesso. Lo prese e  lo porse alla figlia. “Questo hai intenzione di appenderlo?”
La ragazza mise la lampada al suo posto e srotolò quella che si rivelò essere la locandina dell’ultimo film uscito della saga di Venerdì 13. La stese sul letto, rimirando uno dei suoi tesori. “ No, non credo che l’appenderò…sarebbe un po’ di cattivo gusto qui…”
Sua madre sembrò sollevata dalla risposta. “Bene. Sai che non mi sono mai opposta a questa tua “passione” perché non ci ha mai causato problemi, nonostante non la condivida.” Si avvicinò alla figlia e le prese le mani “Non mi sono opposta molto neanche quando hai insistito per venire a vivere qui. Ma cerchiamo di continuare a fare in modo che non sia un problema”.
“Tranquilla mamma. Non ho intenzione di andare in giro per il bosco alla ricerca di un energumeno con manie omicide.” Jasmine abbracciò la madre. “Però io e Jason abbiamo qualcosa in comune, sai?”
“Come? E cosa?” strinse di più la figlia a se, sperando che non dicesse nulla di preoccupante.
“Entrambi vogliamo tanto tanto bene alla nostra mamma” Jasmine sorrise. Ovviamente era sincera, lei adorava i suoi genitori. L’avevano sempre sostenuta e non l’avevano mai obbligata a scegliere una strada che non volesse percorrere.
Anche sua madre sorrise, rilassata “Ora sistemati e scendi, piccola maniaca. Andiamo a cena fuori.” Uscì e lasciò sua figlia a prepararsi.
Jasmine stava ancora sorridendo. Riarrotolò la locandina e la conservò con cura nell’armadio, poi si buttò sul letto, guardando il soffitto. “Farò in modo che tutto vada per il meglio.”
Si alzò, prese dei vestiti puliti e le sue asciugamani rosse e andò in bagno a darsi una rinfrescata e a cambiarsi. Mise un paio di jeans chiari, sandali alti argentati, una maglietta bianca a maniche corte che cadeva morbida e lunga e faceva risaltare il nero corvino dei suoi lunghi capelli lisci. Mise giusto un po’ di rossetto rosa chiaro e un filo di matita sugli occhi. Truccarsi non era una delle cose che faceva con piacere. Una spazzolata ai capelli, prese una borsa a tracolla bianca non troppo grande e poi scese al piano di sotto, accompagnata dal fedele cagnolino, che ormai avrete capito la seguiva ovunque.
Anche i suoi genitori si erano cambiati. Sua madre aveva indossato una blusa nera e bianca e un paio di pantaloni neri, mentre suo padre il classico pantaloni e camicia. Anche Ian si era cambiato la camicia, sarebbe andato a cena con loro. “Con questo caldo tengo sempre una camicia in più in macchina” aveva detto.
Salirono ognuno sul proprio veicolo alla volta della cittadina. Decisero di andare a mangiare in una delle tavole calde. Erano tutti stanchi e non gli andava di aspettare troppo per ricevere le ordinazioni. Si fermarono davanti ad una tipica tavola calda, all’angolo fra due strade. L’insegna luminosa sopra la porta recitava a lettere rosse “Da Horace”. Presero posto ad un tavolo per quattro davanti una delle vetrate e attesero di ordinare. I signori Hatefield chiacchieravano del più e del meno col signor Blake, mentre Jasmine tirava fuori dalla borsa il suo J3 grigio con cover azzurra trasparente. Aveva notifiche di praticamente tutte le applicazioni installate e aprendo whatsapp si accorse dei 347 messaggi sul gruppo “JAWS”. Il nome era un simpatico acronimo per “Jasmine – Alex – Wendy – Stuart”. Alex e Wendy erano le sue migliori amiche, mentre Stuart era il fidanzato di Wendy e il fratello maggiore di Alex. Almeno la metà dei messaggi della chat erano per lei. Le chiedevano se c’era, se era arrivata, che fine aveva fatto e simili. In effetti non aveva toccato il cellulare da quando in macchina si era addormentata.
Jasmine: Ehi :)
Alex: Jasey! Sei viva! Iniziavamo a pensare che Jason ti avesse già trovata :D
Wendy: Ehiiii! Finalmente! Sei partita stamattina e già ti sei dimenticata di noi?
Sorrise leggendo le risposte. Le sarebbero mancate moltissimo.
Jasmine: Scusate, ero troppo presa per stare al cellulare. Nessun segno di Jason per il momento, conto di andarlo a cercare domani. Sto già preparando le stanze per quando verrete a trovarmi ;)
Gli altri messaggi erano di altri amici meno stretti e di parenti, anche quelli italiani. Le sue cugine le chiedevano del posto, le dicevano che avrebbero sentito la sua mancanza questa estate.
Praticamente ogni anno, in estate, andava con i suoi genitori in Italia per un paio di settimane. La prima stavano a Roma e dintorni, dove viveva la maggior parte del ramo materno, e la seconda andavano a visitare altre città. Aveva visto Torino, Milano, Venezia, Perugia, Firenze, Tropea, Palermo e Siracusa. Perugia e Siracusa non le ricordava, ci erano stati quando era piccola, ma aveva guardato spesso le foto. Un’altra volta erano andati tutti a Parigi e un’altra a Londra. Ma anche tutto il parentado era venuto a trovarli in America e li avevano portati a New York, a Los Angeles e a Orlando. Solo un anno non li avevano visti per niente, a quanto ricordava lei, quando avevano deciso di andare in vacanza a Santorini. Questo sarebbe stato il secondo, ma già si vociferava di una possibile vacanza in Croazia o a Vancouver.
Persa nei suoi pensieri non si era accorta che di tanto in tanto qualcuno si girava verso di loro e li guardava, scambiando qualche parola con i vicini. Finn cercava di attirare la sua attenzione mettendole le zampe sulla gamba e appoggiandosi a lei, facendole gli occhioni dolci da cucciolo. Quando finalmente se ne accorse, rimediò un pezzo di pane, che mandò giù di gusto.
Dopo un po’ arrivarono le ordinazioni e tra uno scambio di battute e aneddoti del passato arrivò il momento di tornare a casa. Ian consegnò loro un mazzo di chiavi ben fornito e poi salì in macchina, alla volta di un b&b dal quale sarebbe ripartito in mattinata.
Gli Hatefield varcarono la soglia di quella che ora era ufficialmente casa loro. Anna andò al piano di sopra a sistemare la camera da letto, mentre Robert nello studio a cercare di collegare il telefono e il modem per internet. Jasmine andò in camera sua, come al solito insieme a Finn. Guardava gli scatoloni che le rimanevano da svuotare, ma la stanchezza del viaggio si faceva sentire quindi si sistemò per andare a dormire.
Una volta messo il pigiama, maglietta e pantaloncini azzurri a pallini bianchi, e data la buonanotte ai suoi genitori, si mise a letto. Guardò per un po’ le cime degli alberi e il cielo estivo che si vedevano fuori dalla finestra, poi spense l’abatjour e in breve si addormentò.
 
Quando tutte le luci della casa furono state spente, una sagoma emerse dai cespugli. Una sagoma umana, ma decisamente più alta e più massiccia della norma.
Jason stava osservando l’abitazione attentamente, girandovi intorno senza fare un minimo rumore, come uno squalo che sta per attaccare la sua preda. Finalmente tutto il trambusto degli ultimi tempi aveva un senso. C’era carne fresca a Crystal Lake e lui non se la sarebbe lasciata sfuggire.
Era da tanto che una normale famiglia non si trasferiva in zona. Generalmente erano sempre gruppi di ragazzi che affittavano una casa per qualche giorno e poi tornavano a casa dentro un sacco per cadaveri. Sempre che avesse lasciato ritrovare il corpo, o parte di esso.
Sarebbe potuto entrare senza problemi e senza fare troppo rumore. Avrebbe potuto ucciderli tutti nel sonno, ma il brivido della caccia era l’unica cosa che aveva per passare il tempo.
Avrebbe aspettato il momento migliore e intanto li avrebbe osservati. Non avrebbe permesso a nessuno di disturbare lui e sua madre.
E così come era arrivato se ne andò. Aveva del lavoro da sbrigare.
 
La mattina seguente si alzarono tutti di buon’ora, Jasmine compresa, anche se nessuno l’aveva svegliata. Dopo una veloce colazione a base di fette di pane con marmellata e succo d’arancia se ne tornò in camera. Voleva finire di sistemare tutto il prima possibile, così sarebbe potuta andare in giro ad esplorare la zona. Si cambiò, mettendosi un paio di pantaloncini corti di jeans e una maglietta bianca con l’elmo di uno stormtrooper di Star Wars, e riprese a svuotare gli scatoloni. Portò tutte le asciugamani, l’accappatoio e i cosmetici in bagno, sistemandoli in un’anta del mobiletto in legno chiaro. Nel loro vecchio appartamento avevano un solo bagno e lei doveva tenere le sue cose nell’armadio della camera a causa del poco spazio disponibile. Poi passò a riempire la libreria, riempiendo quattro ripiani di libri di quasi tutti i generi, due di dvd e cd vari. Uno lo dedicò ai dischi dei videogiochi e al suo vecchio DS nero, ricoperto da adesivi di teneri gattini e cagnolini e uno a fumetti e manga. Negli ultimi due, quelli più in alto, sistemò i peluche.
Solo il piccolo mopeez di Jason ebbe il posto d’onore sulla cassettiera. Insieme a lui mise la sua piccola collezione di Pop che comprendeva un Darth Vader dalla testa molleggiata, un Goku (nonostante il suo personaggio preferito fosse Cell), il Joker della trilogia di Nolan, un Severus Piton e l’immancabile Jason. Poi notò un chiodo che sporgeva dal muro, proprio sopra la cassettiera. Andò ad uno degli ultimi scatoli che le mancavano e ne tirò fuori una cornice a giorno, completamente avvolta dalla carta di giornale. La spacchettò e l’appese, restando a rimirare l’effetto che dava la foto di gruppo di lei e dei suoi quattro amici, Finn compreso ovviamente. Il trio le aveva fatto questo regalo prima che si trasferisse, così avrebbe pensato a loro ogni volta che fosse entrata in stanza. Sorrise al ricordo di quando avevano scattato la foto. Erano andati a fare un picnic al parco del quartiere dove abitavano tutti. Finn si era messo a rincorrere uno scoiattolo che preso dal panico aveva scambiato Stuart per un albero e gli si era arrampicato sopra, seguito dal cane che gli era saltato addosso, facendolo finire a terra per lo spavento. Stuart era sempre il bersaglio degli animali che incontrava. Era stato rincorso da un’oca e da un cigno e svariate volte cani e piccioni lo avevano scambiato per gabinetto. Per non parlare poi dell’odio che il gatto di sua nonna nutriva nei suoi confronti.
Sistemò tra scrivania e cassetti i suoi svariati articoli di cancelleria, accessori per elettronica e quant’altro. Poi scese al piano di sotto, con l’intento di ispezionare la cantina, ma il campanello della porta suonò. Chi poteva mai essere? Dal poco che riusciva a vedere dalle due finestre ai lati della porta, si trattava di almeno due uomini dall’abbigliamento identico. Sua madre accorse subito ed aprì la porta, seguita dal padre.
Si ritrovarono davanti niente meno che lo sceriffo e un agente, entrambi in divisa grigia. Una volante era parcheggiata davanti casa, con le lettere CLPD in risalto sulla fiancata.
“Buongiorno! Scusate il disturbo. Io sono lo sceriffo Tom Berger e questo qui è mio figlio Mike, nonché collega” disse accennando al giovane accanto a lui con un movimento del capo. Lo sceriffo era un uomo abbastanza robusto, con capelli brizzolati e un paio di baffi a coprirgli il labbro superiore. Il ragazzo, che sembrava un po’ imbarazzato, salutò educatamente. Aveva corti capelli biondo scuro e occhi grigio fumo.
I suoi genitori si presentarono e invitarono anche Jasmine a fare altrettanto.
Tutti si strinsero le mani a vicenda, poi Robert chiese “Allora sceriffo, a cosa dobbiamo questa visita? C’è forse qualche problema?”
“No, non ancora almeno. Sono venuto solo per dirvi un paio di cose, delle raccomandazioni. Non prendetela sul personale, ma ho il dovere di farlo. Suppongo sappiate cosa è successo in questa città…”
Lo sceriffo Berger si sentiva un po’ a disagio a dover fare quel discorso ad ogni persona, quelle pochissime almeno, che decideva di trasferirsi o soggiornare per un po’ di tempo a Crystal Lake. Ovviamente ebbe subito tutta l’attenzione di Jasmine, ansiosa di sapere cosa aveva da dire.
“Sì, lo sappiamo. Possiamo capire e ci dispiace molto per quello che è successo ma noi non vogliamo avere e non vogliamo creare problemi. Giusto?” Robert si voltò in direzione della moglie, che subito annuì. “Ma sì, certamente!” E poi entrambi si rivolsero alla figlia, rivolgendole intense occhiate, forse un po’ accusatorie. Anche lei annuì, emettendo un suono affermativo dalle labbra che a lei non sarebbe sembrato molto convinto, ma bastò allo sceriffo.
“Non avevo dubbi su questo” continuò il signor Berger “Innanzitutto voglio darvi il benvenuto. Ora però devo mettervi in guardia su un paio di cose” la tensione di Anna era palpabile, fra i tre era la meno convinta della scelta fatta. Anche Jasmine era un po’ agitata, e per nasconderlo si stava torturando le pellicine dei pollici con le mani dietro la schiena. “Devo avvisarvi che è assolutamente vietato entrare nella zona del vecchio campo abbandonato. Per nessuna ragione. Dovete starne lontani e fare attenzione, se mai doveste vedere qualcuno che cerca di intrufolarsi di nascosto. Ogni estate è pieno di ragazzi e curiosi che provano ad entrare. La seconda cosa è che se avete intensione di passeggiare per il bosco dovete fare molta attenzione a dove mettete i piedi. Qualche squinternato cacciatore di frodo crede di poter fare quello che vuole e ha piazzato trappole e tagliole in giro, sperando di far ricadere la colpa su qualcuno…bhe di più famoso diciamo.”
“Oh cielo!” Anna si portò una mano alla bocca, preoccupata. La sola idea le metteva i brividi.
Intervenne prontamente Mike a mettere un freno al padre. “Non spaventarli, papà. Ovviamente la zona è sicura, basta solo fare attenzione come si farebbe in qualunque altra zona boschiva. Non c’è pericolo qui” Jasmine, e in buona parte anche i suoi genitori, non la credevano così. Lei comunque non sembrava troppo preoccupata della cosa. Anni di film, letture e approfondimenti l’avevano preparata psicologicamente a come comportarsi.
“Bene…allora leviamo il disturbo, chiamate per qualsiasi cosa, siamo sempre a disposizione” Sceriffo e collega salutarono, si rimisero in auto e se ne andarono. La famiglia rientrò in casa chiudendo la porta.
Per prima cosa i due coniugi lanciarono eloquenti occhiate alla figlia, che avendoli notati si precipitò a salire le scale, prima che potessero dirle qualunque cosa.
“Jasmine! Dove stai andando?!” esclamò sua madre.
“In bagno!” e invece si chiuse in camera, per ora dimentica della sua missione in cantina.
Si buttò sul letto, come suo solito, a guardare il soffitto. Aveva avuto la conferma che cercava. Non sapeva bene come sentirsi e quello che provava. Sicuramente ora aveva un motivo in più per stare attenta quando sarebbe andata in esplorazione della zona.
Rimase in quella posizione per un po’, elaborando le informazioni ricevute e fantasticando sulla situazione. Erano ormai circa le 11 quando si decise ad andare in cantina, determinata a frugarla da cima a fondo.
Scese di nuovo le scale e aprì la porta. Accese la luce e illuminò una massa di mobilio, casse e scatole ammucchiate alla meno peggio. Scese anche i gradini della cantina e iniziò da subito a frugare in un grosso scatolone, alla ricerca di qualcosa di interessante.
Proprio in quel momento, in un punto non troppo distante dalla casa, in mezzo alla foresta, una tagliola scattava. Le potenti mascelle di metallo si chiusero con un rumore secco, lacerando la carne e spezzando le ossa di qualunque cosa ci fosse finita dentro.
Un grido di dolore lacerò l’aria e una vita si spense.
 




 

Angolo Autrice
Ciao a tutti!
Come promesso, non è passato molto dalla pubblicazione del precedente capitolo, ma per il prossimo ci vorrà sicuramente più tempo.
Qui abbiamo la prima, seppur breve, apparizione del nostro caro Jason. Spero che riuscirò a renderlo bene, è un personaggio piuttosto difficile da “interpretare”.
Spero di avervi incuriosito un po’. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Questo intanto è l'outfit di Jasmine.
outfit-jasmine
A presto!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 – Nuove informazioni ***


Capitolo 3 – Nuove informazioni



 


 
Jasmine stava frugando da un bel po’ in cantina, alla ricerca di qualcosa di interessante. Finora solo una vecchia sedia a dondolo, in ottimo stato, era stata la cosa più degna della sua attenzione. Aveva trovato per lo più roba polverosa, soprammobili, pentolame vario, addirittura pezzi di ricambio di qualche auto. Finalmente però, tra uno scatolo di vecchi vestiti e una cassetta degli attrezzi, trovò un baule di legno piuttosto pesante. Le parti in metallo si erano un po’ arrugginite e la vernice blu che lo ricopriva era scrostata o scolorita in vari punti. Riuscì ad aprirlo senza problemi, non era chiuso a chiave fortunatamente per lei. Dentro trovò vari libri dalle copertine sgualcite. Essendo una specie di bookworm era convinta di aver trovato il forziere del tesoro.
C’erano libri gialli di una qualche collezione, alcuni libri di cucina e alcuni su caccia, pesca e sulle piante locali. Quelli probabilmente sarebbero interessati a suo padre, gli piaceva andare a pesca di tanto in tanto e fare delle escursioni. Spesso erano andati insieme quando era più piccola e non riuscì a non sorridere al pensiero. Non mancavano poi libri di narrativa di vario genere, tra cui una vecchia edizione di “Shining” e una di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, che mise subito da parte, decisa ad aggiungerli tra i pezzi più “vintage” della sua collezione. C’erano addirittura dei vecchi fumetti di Spiderman. Non era il suo supereroe preferito, ma si sarebbe volentieri accontentata. Sul fondo trovò anche vecchie riviste di cinema e un gran numero di giornali. Aveva davvero trovato il forziere del tesoro. Tirò fuori con cautela i delicati fogli di carta ormai ingiallita dal tempo. I giornali erano maggiormente locali e non tutti erano interi. In ognuno c'era un articolo che citava almeno una volta Jason.
Prese uno scatolo e lo svuotò del suo contenuto di cianfrusaglie – erano dei pattini quelli? Chissà se il lago si ghiacciava in inverno… – riempiendolo invece di giornali, riviste, fumetti e i libri che le sembravano più interessanti. Poi risalì le scale, tornando in camera sua.
Fece spazio sulla scrivania e vi mise sopra lo scatolo, per poi andare a prendere da uno dei cassetti del comò un portalistini dalla copertina rossa. Si andò a sedere e tirò fuori da alcune delle pagine protettive di plastica degli altri fogli di giornale.
Quel raccoglitore era un po’ il suo piccolo archivio personale. Dentro ci teneva ritagli di giornali e riviste. C’erano recensioni di film, libri e videogiochi, articoli su bellissimi posti in cui andare in vacanza, consigli di veterinari ed esperti sui cani, articoli su concorsi ai quali aveva partecipato con la scuola, tutto perfettamente ordinato. Poi c’era la sezione più corposa, quella che aveva curato con maggior attenzione. Aveva raccolto tutti gli articoli su Jason e Crystal Lake che era riuscita a trovare su internet e sui giornali, ma mettere le mani sui quotidiani di Crystal Lake non era certo facile. E ora invece aveva un bel po’ di materiale per le mani. Si sentì come una di quei detective dei film che facevano lunghe ricerche su un solo argomento per poi riuscire a risolvere il mistero. Lei però non aveva nessun mistero da risolvere, era assolutamente certa che in quella foresta attorno casa sua, da qualche parte, un omaccione mascherato si aggirava.
Prese tutti gli articoli raccolti nel corso del tempo, rigorosamente sistemati in ordine cronologico, e li rilesse velocemente per ripassarli, anche se praticamente li sapeva a memoria. C’era il primo massacro avvenuto ad opera della madre di Jason, quello della classe in crociera a New York praticamente sterminata, e la maggior parte di quelli che destarono più scalpore, ovviamente tutti nella zona di Crystal Lake. Poi si mise a leggere gli articoli che aveva trovato in cantina, concentratissima. I massacri erano stati molti di più di quelli riportati nei giornali che non fossero della zona. Le dita le diventarono nere a causa della polvere e dell’inchiostro. Annotò su un foglio tutte le date di tutti gli eventi. Una piccola percentuale non era avvenuta né in estate né tantomeno di venerdì 13. Mentre rifletteva su questo le venne un’idea. Prese il suo telefono e cercò su google maps la biblioteca di Crystal Lake, poi calcolò il percorso e salvò lo screen. Sarebbe andata a controllare lì per trovare altre informazioni quello stesso pomeriggio. Aveva cercato dal pc comodamente da casa sua già più volte, ma ormai aveva finito tutte le informazioni disponibili.
Intanto si fece ora di pranzo e scese in cucina a mangiare con la famiglia.
“Hai trovato qualcosa di interessante in cantina?” le chiese la madre.
Jasmine non fece parola dei giornali. “Ho trovato un baule di vecchi libri e qualche rivista. C’è una bella sedia a dondolo, potremmo metterla in una delle camere vuote o in soggiorno vicino al camino.”
 “Più tardi la vado a vedere, magari riusciamo a trovarle un bel posticino” disse suo padre.
“C’è anche un bel baule blu, posso tenerlo vero?” chiese lei speranzosa.
“Non mettetevi in testa di tenere e portare su tutta quella roba, ho appena finito di sistemare le stanze” Intervenne Anna.
Arrivati alla frutta, saltò fuori il discorso che Robert sarebbe dovuto andare in ospedale per praticamente tutto il pomeriggio, avrebbe iniziato a lavorare sul serio il giorno seguente. Jasmine gli chiese di accompagnarla in biblioteca, con la scusa di voler andare a dare un’occhiata e di aver finito di leggere tutto quello che aveva.
“Non hai detto di aver trovato dei libri?” le domandò Robert.
“Sì, ma sono libri che ho già letto, li voglio tenere perché sono vecchie edizioni ben tenute”
Sì misero così d’accordo. Robert avrebbe lasciato Jasmine in biblioteca e sarebbe tornato a prenderla per tornare a casa. Aveva a disposizione tutto il pomeriggio per le sue ricerche.
Finito di pranzare, la ragazza aiutò la madre a sparecchiare e poi andò fuori con Finn per la solita passeggiata dopo pranzo.
Quel giorno l’aria era un po’ più fresca, tirava un leggero venticello che era un piacere sentire sulla pelle. Finn stavolta era al guinzaglio, per quanto fosse ben addestrato non conoscevano ancora quella zona e se davvero c’erano tagliole in giro preferiva averlo sempre vicino e sotto controllo. Si avviarono attraverso un piccolo sentiero immerso nel verde, sparendo ben presto alla vista di Anna che li guardava allontanarsi dalla finestra.
 
Jason aveva continuato la sua ronda senza sosta. Ora che l’estate era iniziata, avrebbe avuto più da fare, ne era sicuro. Stava tornando verso casa sua quando un fruscio attirò la sua attenzione. Un rumore di passi alla sua sinistra, poco più avanti. Si avvicinò al sentiero, perfettamente nascosto tra la folta vegetazione, quasi dimentico del coniglio morto nella sua mano sinistra. Davanti a lui, senza accorgersi minimamente della sua presenza, passò la ragazza dai lunghi capelli neri che si era trasferita nella casa a pochi metri, con un cane al guinzaglio che la seguiva tranquillo, senza allontanarsi più di mezzo metro da lei. La sua mano libera andò subito a cercare il manico del suo fidato machete, pronto ad usarlo in qualunque momento. Non aveva intenzione di sterminare quella famiglia, per il momento. A meno che non gli avessero dato un valido motivo. Non erano le uniche persone che abitavano nella zona, dopotutto. La maggior parte delle case erano vuote fortunatamente, grazie a lui, ma qualche persona particolarmente tranquilla era stata risparmiata dal massacro.
La ragazza e il cane arrivarono a breve in riva al lago.
Jasmine era esterrefatta dalla bellezza di quel posto. Era davvero sulle sponde del Crystal Lake!
Fece ancora qualche passo, fino a trovarsi quasi con i piedi nell’acqua, stando ben attenta a non bagnarsi e ammirando il meraviglioso spettacolo che la natura le stava offrendo. Tutto era illuminato dalla luce del sole, i riflessi dell’acqua quasi l’abbagliarono. Riuscì a vedere un pontile di legno non troppo lontano e qualche altro ancora più in là. La sagoma di una casa sulla sponda opposta faceva capolino tra il verde che dominava ovunque su tutto.
Si appoggiò ad un albero, completamente rapita dalla scena, dimenticandosi del possibile pericolo che stava correndo e di Finn, che ora aveva lo sguardo fisso verso il sentiero da cui erano venuti. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione, ma non c’era nulla lì, adesso.
Jason si era leggermente ritratto. Spostando un ramo per vedere meglio aveva provocato un fruscio, attirando l’attenzione del cane. Continuando a guardare la ragazza, ancora ignara della sua presenza, constatò con sollievo che non aveva intenzione di spogliarsi e buttarsi in acqua come faceva la maggior parte delle ragazze che arrivavano lì. Jason non potè fare a meno di confrontarla con loro. Se ne stava tranquilla, appoggiata ad un albero, a guardare il lago. Il suo lago. Era abbastanza pallida per essere estate, l’abbronzatura non era ancora arrivata sulla sua pelle, forse non usciva molto. Non era magrissima come le sue tipiche vittime adolescenti, ma era sicuro che fosse un po’ più alta della norma. Non quanto lui ovviamente, lui era sempre stato il più alto di tutti dopo l’incidente… e dopo quello che avevano fatto a sua madre. Al ricordo dell’accaduto, Jason sentì rimontare dentro di sé una potente rabbia che non lo abbandonava mai del tutto. L’urgenza di sfogarla violentemente contro qualcuno si fece più forte, specie dopo che quel piccolo cane tornò a guardare verso di lui senza vederlo, abbaiandogli contro, e risvegliando dalla sua ipnosi la ragazza, facendola sobbalzare.
“Finn? Finn che hai?” Jasmine cercava di capire a cosa stava abbaiando il suo cane, ma vedendo solo alberi e cespugli un brivido le corse lungo la schiena. Poteva essere…? No, sicuramente era la sua immaginazione che le giocava brutti scherzi. O così sperava almeno, non era pronta ad un possibile incontro al momento. “Non c’è niente lì, sta buono” disse più a sé stessa che al cane. Lo avvicinò a sé, accarezzandolo per tranquillizzarlo e per tranquillizzarsi, e ritornò sui suoi passi, di nuovo verso casa.
Jason li seguì finchè non entrarono entrambi in casa. Prima di chiudere la porta la ragazza diede un’ultima occhiata alla foresta. Fece il giro della casa per riuscire a vederla dalle finestre ancora sprovviste di tende, ma senza riuscirci. Quindi tornò in una posizione dalla quale riuscisse a vedere bene l’ingresso. Ben presto la porta si riaprì e ne uscirono il padre e la ragazza. L’uomo salutò la moglie con un bacio e si infilò in macchina, facendo manovra. Con un po’ di sorpresa Jason notò che la ragazza aveva cambiato i corti pantaloncini di jeans con dei pantaloni neri lunghi, ma un po’ più attillati dei precedenti. Aveva anche una borsa a tracolla di stoffa viola, con delle spille rotonde attaccate sopra. Da quella distanza non riusciva a vedere cosa rappresentassero.
“Mi raccomando, fai attenzione Jas” sentì dire alla madre. Jas? Era quello il nome della ragazza? Curioso come nome, pensava lui.
“Tranquilla mamma, non me ne andrò in giro” rispose Jas. Quindi stava uscendo, chissà dove andavano. Le due si salutarono e la ragazza raggiunse in macchina il padre.
Jason li guardò andar via, insieme alla signora di cui ancora non sapeva il nome. Quando tutti andarono via e lui rimase solo, si decise a tornarsene a casa anche lui. Per arrivarvi prese la scorciatoia che passava in mezzo al vecchio “Camp Blood”. Una volta giunto a destinazione andò direttamente in cucina, passando dalla porta sul retro. Con un solo movimento del braccio liberò parte del ripiano per mettersi a scuoiare il povero coniglio, invadendo tutto il restante spazio, peraltro già ampiamente occupato, con immondizia derivante dai suoi precedenti pasti. Alcune scatole di latta vuote caddero sul pavimento, anch’esso invaso dal sudiciume, ma non se ne curò. Quella cucina, anzi tutta la casa, aveva visto tempi migliori, quando sua madre era ancora viva e poteva ancora fare le pulizie e cucinare per lui. Era un’ottima cuoca. Era anche per questo che Jason mangiava, pur non avendone bisogno. Sentire i sapori del cibo gliela ricordava, lo tranquillizzava e lo rattristava allo stesso tempo. E dopo la tristezza, come sempre, arrivava la rabbia. Ma finchè non fosse arrivato qualcuno da punire, si sarebbe concentrato sulla nuova famiglia. Sarebbe stato meglio per loro trasferirsi da un’altra parte. Un solo passo falso e si sarebbero ritrovati tutti all’altro mondo. Dopo aver finito di spellare il coniglio, accese il camino in salotto per cucinarlo. Non che per lui carne cruda o carne cotta facessero molta differenza, ma se aveva tempo libero, preferiva impiegarlo facendo qualcosa. Mentre il suo pasto si cucinava, si aggirò per la casetta, non troppo grande, alla ricerca di qualcosa da fare. Magari era davvero arrivato il momento di buttare un po’ di rifiuti. In mezzo a tutta quella confusione riuscì comunque a trovare un sacco di plastica nera, ma non lo aveva riempito neanche fino a metà quando si stufò e preferì mettersi a pulire le sue varie armi. Il machete era il suo preferito, ma non disdegnava altri metodi. E mentre una mannaia tornava a brillare si ritrovò a pensare a come avrebbe ucciso le sue prossime vittime.
 
Arrivati in città Robert si fermò davanti ad una ferramenta e vi entrò insieme alla figlia. Avrebbe lasciato le copie delle chiavi di casa per fare un mazzo anche per Jasmine e in più doveva ordinare la targhetta con il nome da appendere alla porta d’ingresso. Dopo di che accompagnò Jasmine in biblioteca, raccomandandole di fare attenzione e di aspettare che fosse venuto a prenderla, quindi se ne andò.
Jasmine entrò in biblioteca, dove ad accoglierla al bancone c’era una signora con capelli biondo scuro lunghi e riccissimi che le ricadevano su una camicia a righe verticali blu e bianche. Senza perdere troppo tempo, Jasmine si fece fare la tessera per poter usare i computer, prendere in prestito i libri e accedere all’archivio. Entrò nella sala lettura, i cui muri erano riempiti da scaffali di vocabolari ed enciclopedie di ogni genere. Non era molto grande, ma andava bene. C’erano solo un paio di ragazzi seduti ad un tavolo, sommersi di libri, forse studiavano per l’ammissione all’università. Quattro scrivanie in fondo alla sala erano dedicate ai pc. Sedendosi ad una di queste la ragazza iniziò a fare ricerche nell’archivio informatico, dove c’erano anche le pagine dei giornali di zona. Tirò fuori dalla borsa il foglio dove aveva scritto le date e i luoghi degli omicidi e ogni volta che trovava un evento in più lo annotava. Tra gli articoli trovò anche alcune interviste fatte a quelle poche persone che erano riuscite a sopravvivere dopo un incontro ravvicinato con Jason. Alcune foto allegate erano quasi incredibili, sembravano set dei film. Andando sempre più indietro nel tempo, trovò alcuni articoli che non aveva ancora mai visto, forse perché pubblicati solo sul quotidiano cittadino. C’era quello di quando Jason era annegato, con tanto di foto e interviste, quello dell’omicidio commesso dalla madre Pamela e della sua morte e i primi omicidi “irrisolti” che vennero poi attribuiti a Jason. Stampò questi ultimi con la stampante messa a disposizione dei tesserati e iniziò a leggere.
Scoprì che Pamela fece causa ai responsabili del campeggio, voleva giustizia per il suo bambino. Ma furono tutti assolti per mancanza di prove e l’accaduto venne attribuito alle condizioni fisiche e mentali di Jason e definito come un tragico incidente. Oltre a questo, il corpo non venne trovato, nonostante le ricerche. Venne celebrato un funerale, ma senza bara. Jasmine si sentì male per la signora Voorhees. Nessuna madre dovrebbe affrontare una cosa del genere, non c’era da meravigliarsi se poi fece quello che fece. Prima di continuare a leggere si soffermò a guardare una foto di Jason da bambino. E vedendolo sorridere, non potè far altro che sorridere a sua volta.
Il campeggio chiuse, dopo l’omicidio dei due animatori responsabili dei bambini il giorno dell’incidente. Venne riaperto l'estate successiva, nel 1958, ma durante gli ultimi preparativi per l'inaugurazione scoppia un misterioso incendio, probabilmente appiccato da Pamela, ed un simile incidente avviene l'anno successivo, quando lei stessa avvelena le scorte idriche. La storia del campeggio sembrò finire lì, ma ventitrè anni dopo, venerdì 13 giugno 1980, il compleanno di Jason, riaprì nuovamente. Facendo un veloce calcolo, Jason avrebbe dovuto avere 34 anni. Poi le venne un’illuminazione. Era il 9 giugno. Controllò sul calendario del pc. Il 13 sarebbe nuovamente stato un  venerdì.
Venne presa da una strana agitazione e ripensò all’episodio di qualche ora prima. Era stata davvero una buona idea trasferirsi qui, specialmente in questo periodo? Cercò di non pensarci, riprendendo a leggere.
Pamela uccise tutti coloro che furono coinvolti nella riapertura del campeggio, tranne una ragazza, che la decapitò. Da qui conosceva la storia a memoria, ma venne a conoscenza solo ora che non ci fu un funerale per lei. Sapeva che la testa della donna non venne ritrovata, ma non questo dettaglio. Venne sepolta nel cimitero di Crystal Lake, ma nessuno pianse per la sua morte.
Eccetto Jason ovviamente. Scampato chissà come alla morte, vendicò quella della madre, non permettendo a nessuno di disturbarli.
Alla ragazza venne in mente un’idea, a cui prima non aveva pensato. Non voleva disturbare né Jason, né sua madre, ma dopo quello che entrambi avevano passato meritavano un minimo di compassione secondo lei. Cercò su internet varie cartine della zona e stampò quelle che potevano esserle più utili. Segnò con un cerchio a penna la zona di casa sua, del vecchio campeggio, del cimitero e la zona ipotetica di casa Voorhees su tutte. Una era quella turistica della cittadina, una era per le strade e i sentieri del bosco e una era fondamentalmente la vista dal satellite di google.
Dopo aver esaurito anche le informazioni disponibili in biblioteca, si erano fatte quasi le 17, fece un giro esplorativo della biblioteca, prendendo in prestito alla fine un libro di Coelho.
Finalmente venne il momento di tornare a casa. Suo padre la venne a prendere in perfetto orario e le consegnò il suo mazzo di chiavi. Arrivarono a casa in breve tempo, chiacchierando delle impressioni sulla biblioteca e l’ospedale. Dopo una cena a base di carbonara, Jasmine andò a sistemarsi in una delle stanze degli ospiti, quella con il divano letto color sabbia, sul suo comodo pouf blu. Le pareti della stanza erano state lasciate bianche, in attesa di ricevere qualche quadro o qualche mensola. Un basso mobiletto grigio con le ruote ospitava una tv non troppo grande e  la sua Xbox One. Inserì il disco della terza stagione di “The Walking Dead – A new frontier” pronta a giocare il terzo episodio, non prima di aver dato sue notizie agli amici che l’attendevano su whatsapp, raccontando loro tutto quello che aveva scoperto quel pomeriggio. In poco più di un’ora e mezza riuscì a completarlo, giusto in tempo per farsi spedire in camera dalla madre.
Si lavò, si cambiò e si mise a letto, con Finn accanto, e insieme si addormentarono.
I primi due giorni a Crystal Lake erano andati più che bene.
Sarebbe continuato così?
 

 







Angolo Autrice
Ciao a tutti!
Eccomi tornata con il terzo capitolo. Qui Jason fa una comparsa decisamente più significativa della precedente e lo continueremo a vedere sempre più spesso. Come vi sembra?
Ringrazio Lux in Tenebra per la recensione, passate a trovarla perché è davvero una bravissima scrittrice ;)
Questa invece è la prestavolto che ho scelto per Jasmine: Emily Rudd
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Detto questo vi saluto, recensite e fatemi sapere cosa ne pensate della storia e se avete qualche consiglio.
Ciao ciaoooo
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Avvistamenti ***


Capitolo 4 – Avvistamenti








Jasmine si alzò abbastanza tardi. Durante la notte si era svegliata più volte, senza un motivo apparente. Dopo la solita routine mattutina decise di impiegare il tempo che le restava prima di pranzo sistemando un po’ meglio le stanze. Avevano ancora uno scatolone pieno di quadri e foto da appendere. Una fra le cose che proprio non sopportava era vedere le pareti spoglie. La sua vecchia camera era piccola, ma non si poteva certo dire che non rispecchiasse la personalità della padrona. Aveva occupato ogni superficie disponibile, anche dentro e fuori gli armadi. Data questa sua fissa, il padre le aveva insegnato come piantare i chiodi nei muri con il giusto metodo. La madre però le aveva chiesto di non attaccare troppe cose sui muri della sua stanza, finchè era così nuova. Jasmine andò in cantina a raccattare la cassetta degli attrezzi trovata il giorno prima e se la portò in camera insieme allo scatolone. Per prime tirò fuori le sue iniziali in legno rosso, da appendere alla porta della camera. Ora una J e una H indicavano che quella era la sua stanza. Appese poi un disegno incorniciato regalatole dalla sua amica Alex. Lei era molto brava a disegnare, le aveva regalato un bel po’ di disegni e Jasmine li teneva tutti conservati con cura. Quello che appese rappresentava il loro piccolo gruppo di amici seduti su un divano e dietro di loro i loro personaggi preferiti. Jason  dietro di lei, Leatherface dietro Alex, Michael Myers dietro Wendy e Freddy Krueger dietro Stuart.
 

Jason aveva girato attorno alla casa per buona parte della mattina, attendendo che la ragazza uscisse. Invece lei era rimasta dentro ed era uscito solo il padre, di buon ora. Ogni tanto riusciva a scorgerla da qualche finestra, poi lei aveva iniziato a martellare. Chissà che stava facendo.
 

Anna raggiunse la figlia nella sua camera, guardando come stava sistemando le cose, e le chiese di appendere anche alcune foto nel resto della casa, dato che c’era ancora tempo prima di pranzo. Tirò fuori tutte le foto incorniciate e insieme alla madre decise dove metterle.
Era in soggiorno ad appendere una grossa foto di famiglia, scattata davanti al Colosseo qualche anno prima durante una vacanza, quando inclinando la cornice il vetro riflettè quello che si trovava alla destra della ragazza, ovvero una grossa figura che la osservava dalla finestra. A Jasmine non servì certo molto tempo per riconoscere quella sagoma e si girò di scatto. Purtroppo per lei il movimento improvviso le fece perdere l’equilibrio, cadendo con un sonoro tonfo dalla sedia su cui stava in piedi.
Jason si nascose non appena si accorse che la ragazza lo aveva notato. Non si aspettava cadesse in quel modo però. Doveva ammettere che la scena gli era risultata piuttosto esilarante e sulle sue labbra, o quello che ne rimaneva, si formò un sorriso appena accennato. Si allontanò dalla finestra, mettendosi dietro dei cespugli. Riusciva a vedere l’interno della casa, ma loro non potevano vedere lui.
“Jasmine!” sentì la madre accorrere, preoccupata, insieme al cane. La ragazza era ancora a terra, seduta adesso, con la cornice illesa tra le mani, e guardava la finestra. Finalmente Jason aveva scoperto il suo nome. “Che è successo?”
“Ehm…niente…sono solo caduta, ho messo il piede male” rispose lei, con una mezza verità. Jason si chiese come mai non avesse parlato di lui, era sicuro che l’avesse visto. Temeva che non le credesse?
“Devi stare più attenta! Che stai guardando?” Anche la donna si rivolse verso la finestra, non vedendo nulla di particolare.
“No, niente. Cerco di non pensare al livido che mi spunterà”
“Mmh…” la mamma sembrò crederle, aiutandola a tirarsi su. “Dai alzati. La cornice?”
“Tutta intera” si rimise in piedi, prendendo la mano della madre “ora l’appendo.”
“Il pranzo è quasi pronto, vai a lavarti le mani quando hai finito e fai attenzione.”
Detto fatto, la ragazza finì il lavoro, con una gamba e un braccio doloranti.


Jason continuava ad aspettare che uscisse. Continuava a non avere intenzione di ucciderla per il momento, non aveva fatto nulla di male ancora. Questo gli riportò alla mente un episodio avvenuto molto tempo prima, anni fa: aveva trovato una ragazza addormentata nel bosco, sotto un albero. Aveva da poco finito di piovere. Si era avvicinato ma lei si era svegliata. Aveva iniziato a piangere, a urlare, a insultarlo. Lui l’aveva presa, non per ucciderla, ma per portarla via, anche se aveva un coltello in mano. Non stava facendo nulla di male, ma lei non doveva stare lì. Visto come stava facendo non vide altra soluzione che trascinarla per il bosco. Nonostante le urla nessuno sarebbe arrivato a salvarla dal grosso mostro cattivo. Quando svenne, con grande gioia delle sue orecchie, se la caricò in spalla e la riportò davanti casa sua. I suoi genitori la trovarono davanti la porta e la misero nel suo letto. Lo aveva insultato, lo aveva chiamato mostro ed era anche riuscita a colpirlo più volte. Però l’aveva risparmiata. Sua madre era stata molto fiera di lui. Era stato buono con lei anche se quella ragazza non se lo meritava. Ma quando, qualche tempo dopo, era ritornata a Crystal Lake, insieme ad un gruppo di ragazzi, non gli lasciarono altra scelta che eliminarli tutti. Lei era riuscita a scappargli però, dopo aver tentato di impiccarlo e dopo averlo colpito in testa con un’ascia, crepando la sua maschera. Ah già, quello era anche il giorno in cui trovò la sua maschera. Sapeva che quella maschera, insieme al machete, era ormai diventata un simbolo. Il suo simbolo. Sapeva che qualcuno aveva fatto dei film e degli oggetti su di lui. La città era piena di negozi con queste cianfrusaglie, le aveva viste. Molte delle persone che venivano a disturbarlo sapevano di lui proprio a causa di questi film. Ormai aveva praticamente rinunciato alla pace. Dicevano di sapere tutto di lui, volevano vedere se esistesse davvero o se fosse ancora vivo. Ma quando lo trovavano la loro reazione, e la loro dipartita, era uguale a quella di chi non aveva idea di chi lui fosse.
Jason si chiedeva se quella ragazza, quella Jasmine, fosse come tutti gli altri. Se lo era ci stava mettendo più tempo del previsto a dimostrarlo.
 

La giovane intanto andò in bagno a lavarsi le mani e a riflettere un momento su quello che era accaduto: aveva bisogno di stare da sola qualche minuto. Aveva visto Jason, ne era sicura, anche se solo per un istante. Doveva essergli sembrata davvero ridicola. Ma se Jason sapeva di loro, ed era anche arrivato così vicino, perché non aveva fatto nulla? Non avevano fatto nulla per infastidirlo, quindi forse le sue teorie erano fondate. Magari era solo passato a controllare che nessuno gli stesse causando problemi. La rassicurava pensare che forse Jason non era intenzionato a fare del male alla sua famiglia. Decise che avrebbe di nuovo portato Finn in riva al lago con lei dopo pranzo. Voleva capire se effettivamente Jason fosse stato a spiarli anche il giorno prima. Una pessima idea, doveva ammetterlo.
Dopo aver mangiato e pulito con la madre, come faceva sempre, andò a cambiarsi, essendo rimasta in pigiama per tutta la mattina. Mise gli shorts di jeans e la maglietta di Star Wars del giorno prima, un paio di converse azzurro chiaro e poi mise il guinzaglio a Finn.
Da quando uscirono di casa fino a quando arrivarono sul lago, nello stesso punto dell’altra volta, non la smise un attimo di guardarsi intorno con fare circospetto, volendosi assicurare che non ci fosse nessuno a seguirli. O forse che invece ci fosse. Effettivamente lei non vedeva nessuno, non aveva sentito rumori strani e Finn era tranquillo. Sospirò, pensando: “Tranquilla Jas, se avesse voluto farti del male lo avrebbe già fatto.”
Calmata, tirò fuori dalla tasca dei pantaloncini il suo cellulare e iniziò a fare foto al paesaggio e al suo cane. Si accorse che non c’era segnale lì per qualche strana ragione.
 

Jason non l’aveva certo persa d’occhio, ma stavolta era stato molto più cauto a non fare rumori, tenendosi leggermente più lontano. La vide fare delle foto, non sembrava preoccupata come pochi minuti prima. Ad un certo punto la ragazza cominciò a camminare sulla riva del lago, lungo il sentiero che lo costeggiava. Ovviamente lui continuò a seguirla, era curioso di vedere dove voleva andare. Dopo un po’ arrivarono davanti ad un pontile di legno. Voleva forse buttarsi in acqua? Estrasse il machete dal fodero al suo fianco e si avvicinò di poco, senza farsi notare. Si fermò quando la ragazza arrivò alla fine del pontile e si sedette, guardando l’acqua.
 

Jasmine pensò che rimanere un po’ lì non sarebbe stato male. Finn le si era accucciato accanto e lei lo stava accarezzando. Le gambe le penzolavano oltre il bordo, ma stava facendo attenzione a che non toccassero l’acqua. Mentre osservava l’acqua brillare a causa dei raggi del sole si ritrovò a chiedersi se effettivamente a Jason stesse bene che lei e la sua famiglia si fossero trasferiti lì, invadendo il suo territorio in un certo senso. Ci aveva già pensato più volte, ma dopo quello che era successo era ancora più importante saperlo. In ogni caso sapeva di essere felice, e probabilmente non doveva. A meno che non avesse avuto le allucinazioni, lei aveva davvero visto Jason! Ora aveva la conferma che aveva sempre aspettato. Lui era reale ed era lì, magari la stava osservando proprio in quel momento e lei ne era del tutto ignara. Sarebbe potuto piombarle alle spalle o spuntare fuori dall’acqua e trascinarla nelle profondità del lago. La seconda opzione era quella che le piaceva di meno in ogni caso.
Non si accorse del tempo che passava e dopo un po’ Finn aveva iniziato a stufarsi di non fare nulla. Vendendolo un po’ infastidito, Jasmine si alzò e notando un sentiero che si inoltrava nel bosco pensò di seguirlo, almeno per un poco, tanto oramai era lì. Non passò molto che arrivò davanti ad una bella casa azzurra e bianca, un po’ più alta della sua e con un giardino decisamente più grande. Tutte le finestre erano chiuse, segno che nessuno probabilmente era all’interno.
jarvis-house
La ragazza sobbalzò quando il suo telefono iniziò a suonare, spaventandola un po’ dato che era in allerta. Rispose senza neanche guardare bene lo schermo e scoprì che era sua madre. Aveva provato a chiamarla più volte ma il telefono era sempre irraggiungibile e si era preoccupata. Così Jasmine e Finn ripercorsero all’indietro tutta la strada, diretti verso casa.
 

Jason era sorpreso, non si aspettava che la ragazza sarebbe rimasta tutto quel tempo semplicemente ferma a guardare il lago. Non gli era mai capitato fin ora di vedere qualcosa del genere. Si era anche accorto ad un certo punto che le era comparso un livido violaceo sulla gamba sulla quale era caduta. Non le aveva staccato gli occhi di dosso per tutto il tempo. Tutti andavano lì solo per farsi il bagno, spesso completamente nudi, per far baccano o per accoppiarsi come animali in calore. Jason provava un odio viscerale per gli adolescenti, lo disgustavano più degli altri. Era tutta colpa loro. Era sempre colpa loro.
Prima di tornare a seguire la ragazza si fermò a guardare la casa azzurra per qualche secondo. Anche i bambini erano disgustosi molte volte. Parte della colpa ce l’avevano anche loro. E guardando quella casa gli venne in mente un nome che difficilmente sarebbe riuscito a dimenticare: Tommy Jarvis, il bambino e poi il giovane che aveva tentato di ucciderlo. Ma come sua madre Pamela gli diceva in quelle occasioni “Tu non puoi morire Jason. Tu non morirai mai.” E aveva ragione. Sarebbe sempre ritornato.
 

Jasmine arrivò a casa e trovò parcheggiata lì davanti la macchina di suo padre, tornato dal lavoro sperava, e non chiamato dalla madre. Entrò in casa e subito fu travolta dalle domande di sua madre. Dovette spiegarle che era solo andata a fare un giro, il cellulare non riceveva segnale e si era solo dimenticata che il tempo intanto passava. Non aveva fatto nulla di pericoloso e non era successo niente. Il padre era tornato a casa dopo il turno di lavoro ed entrambi i suoi genitori si erano preoccupati. Le fecero addirittura promettere di dirgli sempre quando e dove andava.
Il resto del pomeriggio passò in maniera abbastanza tranquilla, suo padre portò in soggiorno la sedia a dondolo dopo averla pulita e Jasmine poté portarsi in camera il baule blu mettendolo ai piedi del suo letto. L’accostamento dei colori non era il massimo, ma più avanti avrebbe potuto riverniciarlo magari, o semplicemente gli avrebbe trovato un posto migliore. Suo padre forse aveva trovato un lavoro a sua madre. C’era un posto libero in un locale vicino l’ospedale, dove era stato con i nuovi colleghi durante la pausa pranzo. Decisero che Anna sarebbe andata a fare un colloquio ed eventualmente una prova il giorno dopo. Probabilmente Jasmine avrebbe passato gran parte della giornata da sola, e anche lei avrebbe dovuto trovarsi un lavoro. Pensò di andare a fare un giro in bici il giorno seguente, magari arrivare fino in città e vedere cosa c’era di interessante.
 

Il killer si era stufato poco dopo il rientro a casa della ragazza. L’aveva osservata abbastanza per quel giorno, trascurando il suo solito giro d’ispezione del bosco. Fece il giro di tutto il lago, ma non trovò nulla di nuovo, nessuna presenza indesiderata. Prima di tornarsene a casa volle comunque tornare a controllare a casa della giovane, senza saperne bene il motivo. Il suo istinto gli diceva di farlo e lui lo seguiva senza farsi troppe domande. Nascosto come sempre riuscì subito a vedere la ragazza, una volta arrivato. Era ormai sera e Jasmine era in una posizione alquanto insolita. Era seduta sulla tettoia che copriva la veranda, davanti alla finestra che era probabilmente della sua camera. La tettoia era piatta, quindi non c’era un grande rischio di scivolare. Jason notò che in caso di necessità si sarebbe potuto tranquillamente arrampicare su di essa ed entrare in casa da una delle finestre. I suoi pensieri vennero interrotti dalla suoneria del cellulare della ragazza, anche lei distolta da quello che stava facendo, ovvero guardare le stelle.  Lui riusciva a sentire solo quello che diceva la ragazza, essendo troppo lontano per poter ascoltare anche l’altra persona.

“Pronto?”
Ehi Jasey!”
“Alex, ciao!”
“Come va? Tutto bene?”
“Alla grande e tu?”
“Bene, nulla di nuovo…che stavi facendo?”
“Nulla di che, mi stavo rilassando un po’ e tu? Stuart come sta?”
“Nulla anche io, mi stavo annoiando e ti ho chiamato. Stuart ha comprato un nuovo gioco e non si è staccato dal computer per tutta la sera. Little Nightmare, lo conosci?”
“Sì che lo conosco, è bellissimo, dovresti giocarlo anche tu”
Le due ragazze chiacchierarono per un po’ e Jason non era riuscito a seguire bene la conversazione dopo le prime tre frasi. Ad un certo punto Jasmine si zittì, iniziando a sondare con lo sguardo la zona circostante. L’aveva visto? La persona all’altro capo del telefono le aveva detto qualcosa su di lui?
“Allora, hai esplorato la zona? Hai trovato qualcuno di interessante?”
Jasmine non rispose, non sapeva se dirle la verità o no.
“Jas? Mi senti?”
“Sì, ti sento…”
“Allora? Che hai? Oddio…l’hai visto?”
“Non lo so…”
“Come sarebbe a dire?!”
“Non lo so! Credo di averlo visto…oggi, forse anche ieri”
“Oh mio Dio, Jasmine! Lo hai davvero visto?!”
“Ti ho detto che non lo so! È stato solo un attimo, magari me lo sono solo immaginato.”
“Andiamo, Jas. Non sei il tipo da avere allucinazioni”
E infatti la ragazza non aveva immaginato nulla, lo aveva visto davvero quella mattina, Jason ne era sicuro.
“Beh allora sono nei guai…” Un piccolo sorriso spuntò sulle labbra della ragazza. Non era solo nei guai, ma in pericolo di vita, eppure sorrideva. Non era spaventata?
“Ovvio che lo sei! Lo sapevi già prima di andare lì. Che hai intenzione di fare?”
“Nulla, che potrei fare? Non voglio causare problemi ai miei e non li voglio io, quindi posso solo starmene tranquilla e godermi questo posto bellissimo.” Jason era di nuovo sorpreso. Ormai gli era evidente che la ragazza sapeva abbastanza di lui da riconoscerlo, forse non abbastanza da temerlo quanto avrebbe dovuto però. Ma a nessuno aveva sentito definire quel posto “bellissimo”. Quella ragazza si comportava in maniera strana per lui, fin ora diversa dai normali avventori del luogo. “Stavo guardando le stelle prima. In città non riuscivo a vederle praticamente mai, ma qui se ne vedono tantissime” Lei tornò a guardare il cielo.
“Ahahah Jasmine, sei sempre la solita. Ma sul serio, vuoi solo startene a casa e non disturbare nessuno o vuoi provare…bhe lo sai...”
“In realtà ci ho già pensato. Fra tre giorni è il suo compleanno, sai?”
Di chi stava parlando? Di chi era il compleanno? Possibile che stesse parlando anche stavolta di lui? Il 13 sarebbe stato il suo compleanno, oltre che l’anniversario della morte di sua madre. Qualcun altro compiva gli anni quello stesso giorno?
“Ah già! È vero!”
“Volevo fare una cosa, spero gli piaccia.”
“E cosa? Vedi di fare attenzione”
“Non posso dirtelo”
“E perché?”
“Potrebbe sentirmi, voglio che sia una sorpresa. Sarà solo una piccola sorpresa, nulla di particolare. Voglio fare bella figura però”
“Non lo so, ne sei convinta? Intendo…è sicuro?”
“C’è solo un modo per scoprirlo, no? Ora ti devo lasciare, si sta scaricando la batteria”
“Ok, tesoro. Ci sentiamo presto. Fai attenzione”
“Tranquilla, Lex. Buonanotte.”
“Notte Jasmy”
Jasmine chiuse la chiamata e si mise il telefono in tasca, sospirando. Jason non sapeva cosa pensare. Parlava di lui o di qualcun altro? Che stava pianificando quella ragazza? Lei semplicemente si guardò il livido sulla gamba, passandoci delicatamente una mano sopra, e poi si alzò, scavalcò la finestra e tornò dentro casa.
 

Jasmine mise il cellulare in carica e andò in bagno a prepararsi per andare a dormire. Quando tornò in camera si avvicinò alla finestra per chiuderla, iniziava a fare freddino. Fu in quel momento che lo vide di nuovo, e questa volta molto bene.
Se ne stava lì, proprio sotto la sua finestra, e la guardava. Era proprio come se lo era sempre immaginato, un misto tra tutti quelli che aveva visto nei film. Maschera da hockey un po’ rovinata e spaccata nella parte alta a destra, machete in mano. Scarponi da lavoro, pantaloni scuri e una vecchia camicia grigia sporca e strappata. La fissava attraverso la maschera: due buchi neri dalla sua prospettiva. Un brivido le attraversò la schiena e si rese conto che stava tremando. Non gli staccò gli occhi di dosso, a stento sbatteva le palpebre, voleva essere sicura che fosse reale. Doveva fare qualcosa, non poteva certo stare lì immobile. Così alzò una mano e la mosse impercettibilmente, dato il tremore, in segno di saluto. Era sicura di sembrare una perfetta idiota, ma non le importava.

Lui era lì ed era reale e stava guardando lei.
“Jasmine!”
La ragazza sobbalzò, con il cuore che le martellava nel petto. Si girò e si ritrovò sua madre davanti, con un’espressione preoccupatissima in viso.
“Jasmine che hai? Ti sto chiamando da un bel pezzo, perché non mi hai risposto? Che hai visto?” Anna guardò fuori dalla finestra, insieme alla figlia. Ma non c’era nessuno lì.
“…” Jasmine non riusciva a dire nulla, ancora un po’ sconvolta da quello che era successo.
“Jasmine mi stai spaventando…perché stai tremando?” sua madre era preoccupatissima, non aveva mai visto la figlia in questo stato.
“Io…non lo so…” doveva trovare una scusa in fretta, non voleva spaventare sua madre ancora di più “Non mi sento molto bene…e mi hai spaventata”
Anna guardò la figlia, cercando di capire se le stesse mentendo.
“Sicura?”
Jasmine annuì. “Sì. Credo che andrò a letto…mi porteresti un bicchiere d’acqua?”
“Va bene. Mettiti a letto, torno subito.” La madre uscì dalla stanza e Jasmine si guardò allo specchio. Aveva un aspetto orribile: era più pallida del solito, stava sudando e tremando nello stesso tempo e aveva gli occhi sbarrati. Si ritrovò di nuovo a pensare di aver avuto un’allucinazione, ma sapeva che non era così. Era sparito come era apparso, senza lasciare traccia, in un attimo, esattamente come la mattina. Si stese a letto, stringendo tra le braccia il cuscino col cervo. Non sapeva come si sentiva. Spaventata ed eccitata, preoccupata e felice.
Sua madre tornò col bicchiere d’acqua, si assicurò che la figlia stesse al meglio, chiuse la finestra e le diede la buonanotte, poi andò via socchiudendo la porta dietro di sé. Non prima di aver lasciato entrare Finn.
Il cane saltò sul letto della ragazza, percependo la sua agitazione. Voleva fare qualcosa per aiutare la sua amica, quindi le si accucciò in grembo, trasmettendole il suo calore. Jasmine non potè che tranquillizzarsi un po’ accarezzando il suo peloso amico. Si stese e provò ad addormentarsi, dopo aver bevuto l’acqua.

Chiuse gli occhi, e l’unica cosa a cui riusciva a pensare erano le vuote orbite della maschera di Jason e la lama del suo machete che rifletteva i raggi della luna.






 

A/N

Ciao a tutti!

Come va? Eccomi tornata col quarto capitolo della storia, un'immagine di come mi immagino Jasmine (più o meno) e una foto del cane che mi ha ispirato Finn. Non è bellissimo? *-*

Faccio capitoli decisamente lunghi, devo riuscire ad accorciarli in qualche modo. Ho anche aggiunto un'immagine della casa vicina al lago. Sarebbe quella del quarto film, ma ho dovuto usare l'immagine di quella del gioco, che comunque è identica.

Spero comunque che possano piacervi. Fatemi sapere che ne pensate della storia ;)

A presto! E godetevi Finn e un avatar che feci tempo fa quando creai Jasmine, prima di trovarle una prestavolto.


  finn
jas

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Pensieri notturni ***


Capitolo 5 – Pensieri notturni








Anna non riuscì a prendere sonno facilmente. Il comportamento di sua figlia l’aveva preoccupata non poco. Non si aspettava certo di trovarla in quelle condizioni. Si chiese per l’ennesima volta se avessero fatto bene, lei e Robert, a cedere alle sue insistenze. Non credeva che sua figlia stesse male, sembrava più che altro agitata, spaventata forse. Sapeva della sua strana, e per lei inquietante, “passione” per l’antagonista di una serie di film di cui aveva scoperto solo da poco la reale esistenza. Che lo avesse visto? No, era da escludere. Se lo avesse visto e non avesse detto nulla avrebbe messo tutta la famiglia in pericolo. E la sua Jasmine non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Giusto?

Jasmine invece non riuscì a dormire per niente quella notte. Non riusciva, e forse anche non voleva, a togliersi dalla testa l’immagine di Jason sotto la sua finestra. Non si può certo dire che fosse terrorizzata. Piuttosto era agitata, come quando era ancora a scuola e doveva affrontare qualche verifica particolarmente difficile. Forse era proprio questo a preoccuparla: non era spaventata tanto quanto avrebbe dovuto esserlo.
Le ora trascorrevano e lei passava dal letto, alla scrivania, alla finestra a guardare la luna piena sopra le cime degli alberi, ma Jason non si fece vedere. Che la stesse osservando nascosto da qualche parte? Aveva sentito la conversazione avuta con Alex? E se sì, aveva capito qualcosa su quello che voleva fare?
Jasmine non voleva farlo arrabbiare o disturbarlo, ma non voleva neanche provare a corromperlo in qualche modo. Solo aveva in un certo senso imparato a conoscerlo, anche se in maniera indiretta, e aveva capito che erano più simili di quanto potesse sembrare a prima vista. Lei non andava di certo in giro ad uccidere gente, ma quella gente non le faceva neanche tanta simpatia.
Tra le cose che la rendevano nervosa ce n’era una in particolare: temeva di restare delusa.
Una sacco di domande le frullavano per la testa. Si chiedeva se Jason fosse come se lo era immaginato o se invece fosse completamente malvagio. Peggio ancora se fosse solo un pazzo che cercava di emularlo.
Jasmine sapeva, sperava, che lui fosse come lei credeva di aver capito: un bambino solo, triste e arrabbiato. Alto più di due metri, immortale, estremamente pericoloso e tutto il resto, ma pur sempre un bambino. Aveva sofferto tanto e non se la sentiva proprio di incolparlo per tutto quello che faceva. Anche se non lo giustificava completamente, sentiva di riuscire ad accettare la cosa senza troppi problemi, fintanto che quelli che amava restavano illesi. Sua madre una volta le aveva detto che aveva l’animo dell’infermiera: era sempre pronta ad aiutare chi ne aveva bisogno, anche i casi più disperati. “Solo se se lo meritano” aveva aggiunto lei.
E lei credeva davvero che Jason un po’ d’aiuto e comprensione lo meritasse.



 

Angolo Autrice:

Ciao a tutti!

Come potete vedere questo capitolo è decisamente molto più corto dei precedenti (anche troppo forse). Credo sia meglio così però e proverò a seguire questo metodo anche per i successivi.

Per quanto riguarda l'immagine che vi lascio qui sotto: l'ho trovata per caso girovagando su internet ed ho subito pensato "Oddio ma questa è Anna Hatefield!" e dunque eccola qui. Come potete vedere, Jasmine ha preso da lei gli occhi azzurri :3

Alla prossima!


 

Anna

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Shopping e uccisioni ***


Capitolo 6 – Shopping e uccisioni







Jason si nascose non appena sentì la voce della madre della ragazza. Ascoltò la loro conversazione e poi andò via, a casa sua.
Si era fatto vedere perché voleva sapere come avrebbe reagito la ragazza e lei lo aveva di nuovo sorpreso. Non solo non aveva detto nulla alla madre, di nuovo, ma non aveva urlato, né era scappata. Anzi, lo aveva addirittura salutato! Non gli era sembrata troppo spaventata, ma aveva visto che la sua mano tremava visibilmente, quindi lui aveva comunque ottenuto ciò che voleva. La ragazza doveva sapere per certo che lui era lì e che bastava un solo passo falso per farlo scattare.
Era parecchio incuriosito da lei. Non gli era mai capitato di prestare così tanta attenzione ad una delle sue vittime. Jason era sicuro che presto o tardi lo sarebbe diventata.
 
Erano le 7 di mattina quando Jasmine scese in cucina, trovando madre e padre già pronti per uscire. La madre le aveva preparato la colazione e le raccomandò di fare attenzione se fosse uscita, prima di andare via col padre. Jasmine non voleva far nuovamente preoccupare la madre, quindi davanti a lei non si era mostrata stanca, a causa della notte passata in bianco. Bevve la sua tazza di latte freddo al cioccolato e poi andò subito a prepararsi per uscire, cercando di non pensare alla sera prima. Non voleva perdere troppo tempo. Il livido sulla sua gamba era ancora più scuro del giorno precedente. Maledisse mentalmente la sua pelle delicata e andò a cambiarsi. Mise un paio di leggings grigi, sneakers bianche e una maglietta bianca con un gatto origami in nero. Chiuse a chiave la porta e prese dal garage la sua bicicletta, attaccando al manubrio il guinzaglio di Finn. Non lo avrebbe certo lasciato a casa da solo.
Arrivò senza problemi in città, e riuscì a vederla velocemente quasi tutta. Aveva visto che molti negozi vendevano gadget della saga di Venerdì 13 e souvenir della città con lo stesso tema. Quasi sembravano andare fieri delle molte uccisioni di Jason. Fu proprio davanti uno di quei negozi che assistette ad una scena particolare.
Mike, il giovane agente di polizia figlio dello sceriffo, stava rimproverando aspramente un uomo, accerchiato da un gruppo di persone che si capiva subito fossero turisti. La ragazza si avvicinò leggermente per sentire meglio, fermandosi ad una fontanella vicina per far bere Finn.
Da quanto riuscì a capire, l’uomo nel periodo estivo cercava di organizzare visite guidate al vecchio Camp Crystal Lake per i turisti, per arrotondare i guadagni. Jasmine non era molto sorpresa della cosa. Aveva sospettato che qualcuno potesse provarci. Qualunque cosa per i soldi, no?
Alla fine Mike fece sgomberare tutti quanti, rimandando l’uomo nel negozio. “Mio padre non sarà contento di venire a sapere che ci hai provato di nuovo. Aspettati una sua visita.”
Solo in quel momento il ragazzo si accorse di lei. Le fece un cenno con la mano e le si avvicinò.
“Ciao. Jasmine, giusto?” le disse.
“Ciao. Sì, tu sei Mike se ben ricordo.”
“Esatto. Mi spiace che tu abbia dovuto assistere a questa scenata. Ti assicuro che sono molto più gentile di solito.” Le sorrise, un po’ imbarazzato.
Jasmine mise in mostra uno dei suoi sorrisi di circostanza, cercando di essere il più naturale possibile. Le persone nuove, specialmente se della sua età, la rendevano nervosa all’inizio.
“Nessun problema. Hai fatto il tuo dovere. È mai riuscito a portare qualcuno al campo?” Chiese lei con finta noncuranza. In realtà era davvero curiosa di saperne di più. Magari avrebbe potuto sfruttare l’occasione e avere qualche informazione in più da questo ragazzo.
“In realtà no, siamo sempre riusciti a fermarlo prima che qualcuno si facesse male.”
“Ma…dimmi un po’. Sono vere tutte le storie che girano?”
“Su Jason? Bhe alcune sono abbastanza veritiere, altre sono completamente inventate. Ma non ci sono prove che lui esista se è questo che volevi sapere. Insomma, io non l’ho mai visto e vivo qui da sempre.”
Invece lei lo aveva visto, e anche molto bene. “Buono a sapersi allora.”
“Perché? Paura di Jason?”
Jasmine rise, sul serio stavolta. “No, non direi. Jason ha sicuramente di meglio da fare che prendersela con una ragazza tranquilla come me. Non sono una a cui piacciono i problemi, agente.”
“Meglio così, signorina. Non vorrei essere costretto a multarla o a portarla all’ospedale per essere finita in una tagliola.”
“Oh giusto, le trappole. Novità sul cacciatore?”
“No, ma qualche settimana fa un escursionista non ci ha rimesso la gamba per poco.”
“Capisco…”
“…Allora…come mai da queste parti? Visiti la città?” chiese lui, prima d piombare in un silenzio imbarazzante.
“Sì, faccio un giro d’esplorazione. Sai dirmi dov’è l’ospedale? Mio padre ha iniziato a lavorare lì.”
Mike le diede le indicazione per raggiungerlo. “Ora scusa ma devo tornare a lavoro. Ci si vede in giro?”
“Certo. Ci vediamo allora.”
“A presto, Jasmine.”
“Ciao, e buon lavoro”
E così i due si separarono. Jasmine tornò in sella alla sua bici e Finn si fece mettere nel portapacchi dietro di lei, sostituito da una cassa di legno per poter trasportare comodamente Finn o qualunque altra cosa.
“Che ne pensi di lui?” Chiese la ragazza al cane. “Sembra un bravo ragazzo, no?”
Per tutta risposta, Finn inclinò la testa di lato.
“Hai ragione. Lo vedremo.”
Jasmine arrivò in vista dell’ospedale, un grosso edificio tutto grigio e bianco al limite della città. Dall’altro lato di una delle strade che lo circondavano si trovava il locale di cui aveva parlato suo padre: una tipica tavola calda chiamata “L'Angolo Rosso”. Dalle vetrate riuscì a vedere sua madre che lavorava al bancone. Evidentemente avevano già iniziato a vedere come se la cavava con questo lavoro. Sorrideva a tutti, sembrava stesse andando piuttosto bene. Jasmine non voleva disturbarla e siccome la mattina era ormai passata decise di ritornare a casa. Poco fuori la città trovò un piccolo minimarket. La costruzione era interamente di legno e sembrava piuttosto vecchia. Un posticino decisamente rustico, come quelli che aveva visto nei film della serie. Jasmine pensò che l’insegna era molto bella. Anch’essa di legno, rappresentava un disegno del lago e recava la scritta “Crystal Lake Mini Market”. All’esterno si trovavano una cabina telefonica malandata e un paio di distributori automatici. Dei cartelli indicavano dei convenienti sconti all’interno e la presenza di gadget a buon prezzo e si convinse ad entrare a dare un’occhiata. In ogni caso avrebbe dovuto comprare delle cose quindi non vide il motivo di rimandare.
All’interno trovò due signore: una di mezza età che stava dietro al bancone e una anziana seduta su una sedia a chiacchierare con la prima.
“Buongiorno” Salutò la ragazza e le due signore ricambiarono.
“Mi spiace cara, ma il tuo cane dovrà aspettarti qui fuori.” Le disse quella più giovane.
“Oh…Va bene” Così Jasmine legò Finn fuori, vicino alla bici. “Fa la guardia, ok?” Poi rientrò, prese un cestino e iniziò a prendere tutto quello che le serviva. Dopo aver preso tutto passò davanti ad una vetrina dedicata ai gadget di Venerdì 13 e non riuscì proprio a evitare di guardare tutto quello che c’era a disposizione. Dai portachiavi, alle maschere, ai finti machete insanguinati, non mancava nulla.
“Cercavi qualcosa in particolare cara?” Le chiese la signora dietro al bancone.
“Uh? No, stavo solo dando un’occhiata.”
“Non ti ho mai vista qui. Sei in visita con qualcuno?”
“No, a dire il vero mi sono trasferita qui da poco con i miei genitori.” Jasmine sbuffò mentalmente. L’ultima cosa che voleva era parlare dei fatti propri con delle probabili pettegole.
“Oh! Davvero? E come mai?”
“Mio padre è un medico ed è stato trasferito qui…” lei cercava comunque di essere il più gentile possibile.
“Bene, bene. Qui servono sempre dei bravi dottori.”
“Avreste dovuto andare da un’altra parte. La gente nuova qui porta sempre guai.” Disse l’anziana signora, con lo sguardo torvo.
“Non dire così Dolores, si vede che questa è una brava ragazza.” La donna le sorrise. “Fai pure con comodo, chiedi se hai bisogno di qualcosa. Volevi prendere uno di quei souvenir? Sono sicura che ai tuoi amici farebbe piacere avere qualcosa di qui, faresti una bella figura.”
Jasmine colse l’occasione al volo. “Sì, in effetti ho un’amica che sarebbe felice di avere una collana come quella. Posso prenderne una?” Come aveva pensato poche ore prima: tutto per i soldi.
“Ma certo cara! Solo una?”
“Sì, per il momento prendo solo quella. Sicuramente prenderò qualcos’altro in futuro.” Effettivamente c'erano ottimi prezzi.
“Molto bene, te ne prendo subito una allora.” La signora lasciò la sua postazione per andare nel magazzino sul retro. Jasmine restò così da sola con la vecchia dallo sguardo torvo, che la metteva decisamente a disagio.
“Attenta a te. Vuole essere lasciato in pace, lui.” Le disse.
Un brivido tornò ad attraversare la schiena della giovane. “E io non lo disturberò.” Rispose lei, fredda, guardando la signora dritta negli occhi. Quando voleva sapeva essere alquanto tagliente.
L’altra signora tornò, la fece pagare, le consegnò la collana e l’aiutò ad imbustare a spesa.
Jasmine tornò alla sua bici e a Finn. Mise tutto nel portapacchi e legò di nuovo il cane al manubrio. Voleva allontanarsi da quel posto il prima possibile. L’anziana l’aveva proprio innervosita.
Casa sua non era troppo distante e arrivò a breve a destinazione. Entrò in casa e sistemò tutto quello che aveva preso, preparandosi poi a mangiare. Andò in bagno a lavarsi le mani e poi si soffermò a guardare la collana che aveva comprato. Per lei e non per una sua amica ovviamente. Dovendo restare a Crystal Lake però voleva fare buona impressione sulla gente e non destare sospetti, per questo aveva mentito. La collana era una semplice catenina con una maschera da hockey argentata come ciondolo. Era molto simile a quella originale, aveva anche la crepa in alto. Se la rigirò tra le mani, studiandola con cura. Tornò in cucina e diede da mangiare a Finn, poi pensò a lei. Non aveva molta voglia di cucinare, quindi si preparò un paio di sandwich e poi mangiò una ciambella al cioccolato presa al mini market.
Dopo pranzo si rilassò sul divano del soggiorno con un po’ di tv, finchè Finn non incominciò a disturbarla per fare la loro classica passeggiata.
“Non ti è bastato stare fuori tutta la mattina? E va bene, andiamo.” Gli rimise il guinzaglio e tornò di nuovo fuori. Erano quasi arrivati al lago quando iniziarono a sentire della musica a tutto volume. Jasmine fu stupita inizialmente, poi arrabbiata. Altri stupidi venuti a disturbare Jason e la quiete della foresta, credendosi i padroni di casa. Affrettò il passo e seguendo uno dei sentieri nascosti tra la vegetazione arrivò vicina al punto da dove proveniva la musica. Si affacciò da dietro una siepe, stando attenta a non farsi vedere troppo. Sulla riva del lago, su una spiaggetta, due ragazze avevano montato una tenda da campeggio arancione. Probabilmente erano arrivate quella mattina e avevano già combinato un disastro. C’erano lattine di birra sparse ovunque, Jasmine poteva vederlo anche da lì, pacchetti di patatine, bottiglie di plastica e di vetro e vestiti. Già, vestiti. Le due ragazze erano in acqua, completamente nude, a cantare a squarciagola e a scherzare. Erano da poco passate le 15 e quelle due erano già ubriache. Jasmine avrebbe voluto dare ad entrambe una bella lezione. Ma non ce ne fu bisogno.
Proprio in quel momento, una grossa figura sbucò fuori dall’acqua, dietro la ragazza bionda. La afferrò per la testa prima che le due se ne potessero accorgere e la trascinò giù, in fondo al lago, annegandola. Jasmine era impietrita, non sapeva cosa pensare. Stava davvero vedendo Jason in azione! La seconda ragazza, la bruna, iniziò ad urlare, cercando di uscire fuori dall’acqua al più presto. Nuotò fino a riva in maniera scomposta, terrorizzata. Jason uscì dall’acqua e in breve raggiunse la ragazza che stava cercando di ripararsi dentro la tenda. “Davvero?” Pensò Jasmine. “Jason ti insegue e tu cerchi di infilarti in una tenda da campeggio?”. Jason l’afferrò per i capelli, col machete già pronto a colpire, e la trascinò indietro con uno strattone. Fu in quel momento che la ragazza si accorse di Jasmine. Lei iniziò ad urlare anche più di prima, chiedendole aiuto e sempre in quel momento Finn iniziò ad abbaiare.
 
Jason distolse lo sguardo dalla sua vittima, guardando verso dove proveniva l’abbaiare. La ragazza nuova, Jasmine, era lì, non troppo distante, a guardare la scena. Per la seconda volta incontrò il suo sguardo, ma questa volta la paura era ben evidente nella sua espressione. La ragazza cercava di liberarsi dalla sua presa, senza successo ovviamente. Generalmente gli piaceva sentire le sue vittime che urlavano e imploravano pietà, ma questa aveva un tono di voce troppo acuto, davvero odioso. Sollevò un po’ di più la ragazza, la allontanò leggermente da lui tendendo il braccio e le conficcò il machete nello stomaco, trapassandola da parte a parte. Lo estrasse e la trafisse nuovamente, all’altezza del petto, poi lo mosse verso il basso, unendo le due ferite in una unica. E mentre lo faceva, si assicurava che la ragazza non troppo distante assistesse a tutto. Voleva guardare? Bene, le sarebbe servito da ammonimento.
 
Jasmine non riusciva a muoversi. Sapeva che doveva farlo, ma era come se una strana forza glielo impedisse. Dunque era questo che significava essere paralizzati dal terrore? Jason estrasse nuovamente il machete dal corpo ormai esanime della ragazza, che cadde a terra con un tonfo, e tornò a fissarla, immobile se non fosse stato per le sue grandi spalle che si muovevano al ritmo del suo respiro. Jasmine aveva visto quella espressione tante volte nei film. Era quella che significava “Sto venendo a prenderti.” Con un calcio scansò il corpo della ragazza senza prestargli più attenzione e iniziò a muoversi a passo svelto verso Jasmine. Una scarica di adrenalina l’invase e finalmente la ragazza riuscì a muoversi. Fece qualche passo indietro senza staccare gli occhi da Jason, poi si girò e corse a più non posso verso casa sua, seguita da Finn.
Arrivati davanti la porta entrarono e lei si assicurò di chiudere quella principale e quella sul retro a chiave. Finn continuava ad abbaiare, agitato. Jasmine restò immobile davanti alla porta. Già si immaginava Jason che la buttava giù come se fosse fatta di cartone, come nei film. Ma quella era la realtà, non finzione. Abbattere una porta non era certo così facile, anche per lui, vero?
Jasmine potè giurare di aver sentito smettere di battere il suo cuore quando dei potenti colpi risuonarono attraverso la porta facendo vibrare quella e le finestre accanto.
Jason era lì.





 

Angolo Autrice:

Ciao a tutti!

Lo so, avevo detto che avrei fatto capitoli più brevi, ma davvero non sono riuscita a mantenere la parola con questo XD

Jasmine sembra proprio essere nei guai stavolta...

Fatemi sapere che ne pensate della storia, spero davvero che vi stia piacendo. Vi lascio anche un altro outfit di Jasmine.

outfit-2

Il mini market di cui parlo è ispirato a quello che si vede all'inizio del terzo film della saga. Ovviamente però la signora al suo interno non è la stessa del film XD Il locale ha cambiato gestione.


shop

A presto!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Risparmiata ancora ***


Capitolo 7 – Risparmiata ancora







Jason era arrivato alla porta subito dopo che la ragazza l’aveva chiusa a chiave. Stava “bussando” in maniera piuttosto violenta, ma non si aspettava certo che Jasmine lo facesse entrare, stavolta l’aveva davvero spaventata. Era forse arrivato il momento di ucciderla?
Durante la notte si era addormentato, risvegliandosi poi la mattina, sul tardi, a causa della voce di sua madre nella sua testa. “Uccidili, Jason! Uccidili tutti!” Gli aveva detto. All’inizio non aveva capito a chi si riferisse, quindi uscì subito di casa per fare il giro del lago. Non gli era servito molto tempo per accorgersi delle due ragazze, dato che avevano messo la musica ad un volume decisamente alto. Aveva aspettato che entrassero in acqua per attaccare: era sicuro che lo avrebbero fatto. Jason davvero non capiva perché si dovessero sempre spogliare completamente. I costumi da bagno esistevano per un motivo, quindi perché non usarli? Non che se li avessero indossati non le avrebbe uccise comunque. Fino a che non aveva afferrato la ragazza bionda sua madre non aveva smesso di spronarlo ad ucciderle. Dopo aver eliminato anche la bruna però aveva smesso di parlargli, se n’era accorto davvero solo in quel momento, davanti alla porta della mora. “Bravo il mio bambino. La mamma è molto fiera di te.” Poi più nulla. Forse sua madre non voleva che uccidesse Jasmine? A dire il vero neanche a lui interessava ucciderla al momento. Lo aveva spiato, sì, ma nulla di più. Niente urla, niente insulti, solo l’abbaiare del suo cane stava iniziando a dargli seriamente fastidio. Si era divertito a spaventarla, come si divertiva spesso a spaventare gli stupidi che arrivavano nel suo territorio, ma anche stavolta l’avrebbe risparmiata. Si chiedeva solo se, ora che lo aveva visto uccidere due ragazze della sua età, avrebbe parlato di lui con qualcuno, o se magari avrebbe chiamato la polizia. Si allontanò dalla porta, trovando invece un punto vicino ad una finestra dal quale osservarla senza essere notato.
 
Jasmine era rimasta davanti la porta, immobilizzata dai forti colpi che sbattevano su di essa. Ad ogni colpo sentiva l’intera casa tremare. Finn era accanto a lei che ringhiava e abbaiava contro il minaccioso sconosciuto, pronto a difendere la sua padrona. Poi i colpi cessarono.
Se n’era andato? L’aveva lasciata stare di nuovo o stava cercando di entrare da un’altra parte? Jasmine sperava che non le avrebbe lanciato un cadavere in casa attraverso la finestra. Non sapeva quanti minuti fossero passati senza che lei facesse nulla. Solo quando Finn smise di abbaiare riuscì a muoversi di nuovo. Cosa avrebbe dovuto fare? Per un momento pensò di chiamare sua madre, anche solo per sapere quando sarebbe tornata, e si precipitò nello studio di suo padre. Si portò la cornetta del telefono ma poi cambiò idea. Jason sicuramente la stava ancora osservando. Voleva fargli capire che di lei poteva fidarsi. Mise giù la cornetta. Non avrebbe chiamato né sua madre, né suo padre e di certo non la polizia. Lei non aveva visto niente. Si sedette sulla sedia a dondolo, facendo respiri profondi. Se davvero voleva che le cose funzionassero, anche lei doveva dare a lui un minimo di fiducia. Aveva sempre immaginato una cosa del genere, e credeva che farlo davvero fosse facile. Invece sembrava che la paura avesse avuto il sopravvento alla fine.
Jasmine si sentiva un’ipocrita. Aveva sempre detto che Jason non le faceva paura, anzi le piaceva. Eppure era scappata quando lui le stava venendo incontro. Dopotutto, l’aveva risparmiata ancora.
 
Jason la vide prendere il telefono e poi riposarlo, senza aver neanche composto un numero. Perché si ostinava a non parlare di lui? Forse davvero temeva che non le credessero?
La vide sedersi, con lo sguardo perso nel vuoto. Avrebbe davvero voluto sapere a cosa stava pensando. Dato che però non sembrava volersi muovere da lì, il killer di Crystal Lake decise di tornare alla spiaggetta. Doveva togliere da lì il corpo della ragazza bruna.
Mentre ritornava sui suoi passi un oggetto luccicante sul terreno attirò la sua attenzione. Si abbassò per prenderlo e si accorse che era una collana, con una maschera da hockey argentata come ciondolo. Cosa ci faceva lì una cosa del genere? Poi realizzò che forse era stata la ragazza a perderla, mentre scappava da lui. Chissà come mai ce l’aveva? Poi pensò che in realtà non era una cosa importante, non gli interessava. Se la mise comunque in tasca.
Arrivato sul luogo la musica era ancora lì. Proveniva da un cellulare appoggiato sopra un asciugamano. Gli bastò pestarlo per distruggerlo e far cessare quell’insopportabile rumore. Quelle due avevano davvero pessimi gusti in fatto di musica. Frugò tra la loro roba, ma non trovò nulla di interessante a parte un sacchetto di snack. Avevano lasciato rifiuti ovunque ma non se ne curò troppo. La polizia puliva sempre tutto e sicuramente non avrebbe tardato troppo a farsi vedere. Si caricò il cadavere sanguinante su una spalla e prese il sacchetto di cibo, poi si avviò verso casa sua. Quelle due ragazze significavano una sola cosa.
La stagione di caccia era aperta.
 
 
 




Angolo Autrice:
Ehilà! Come va?
Anche questa volta sono riuscita a contenermi e il capitolo non è venuto troppo lungo.
E anche stavolta Jasmine è stata risparmiata, vedremo se continuerà a passarla liscia.
Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - L'aereoplanino di carta ***


Capitolo 8 – L’aereoplanino di carta






Jasmine era rimasta seduta sulla sedia a dondolo almeno per mezz’ora, senza fare nulla oltre al guardare dalle finestre se c’era qualcuno, senza sapere cosa pensare. Finn era rimasto tranquillo, aveva da un po’ lasciato perdere la porta d’ingresso e si era messo a gironzolare per casa.
Jasmine doveva prendere una decisione. Fare o non fare quello che si era prefissata? Alla fine decise che sì, voleva farlo. Ma per mettere in pratica il suo piccolo piano doveva uscire di nuovo e al momento non le sembrava una buona idea. Avrebbe potuto fare tutto il giorno dopo, non sarebbe stato un problema.
Ma non poteva restare lì a far nulla, in qualche modo doveva distrarsi. I libri le sarebbero stati d’aiuto. Quindi si preparò un bicchiere di succo d’arancia e un’altra ciambella al cioccolato, poi andò nella sua stanza per continuare a leggere il libo preso in biblioteca. Lo aveva da poco finito quando sentì la macchina dei genitori parcheggiare davanti casa. Era sempre stata molto veloce a leggere, soprattutto se lo faceva per non pensare ad altro. Quando iniziava a leggere tutto intorno a lei spariva, quasi nulla poteva distrarla. Andò ad accogliere i genitori allegra, senza mostrare alcun segno di preoccupazione. Aprì loro la porta e li salutò, venendo però interrotta dalla madre, che l’abbracciò con foga.
“Jasmine! Tesoro mio, stai bene?” le chiese.
“Certo che sto bene, perché non dovrei? Che è successo?”
“Sembra che due ragazze siano state aggredite e poi siano sparite non molto lontano da qui, la polizia le sta cercando.” Le comunicò il padre.
“Tu sei uscita oggi? Hai visto o sentito qualcosa?” le chiese la madre, guardandola bene in viso.
“Sì, sono uscita stamattina, ma sono tornata per l’ora di pranzo e non è successo nulla di strano qui.” Rispose lei, fingendo di essere assolutamente all’oscuro di tutto.
Quindi la polizia aveva già scoperto tutto. Ma se credevano che le ragazze fossero scomparse allora Jason aveva già portato via il corpo di quella che era riuscita ad uscire dall’acqua. Per la bionda non c’era molto da fare se era rimasta in fondo al lago.
La giornata si concluse con i genitori che aspettavano notizie alla radio e la figlia che fingeva di non saperne nulla. Andarono tutti a dormire abbastanza presto, l’indomani mattina sarebbero dovuti uscire tutti, chi per lavoro e chi per “andare ad esplorare ancora un po’ la zona”.
Jasmine ascoltò un po’ di musica prima di addormentarsi, ma prima di stendersi sul letto andò come sempre a guardare fuori dalla sua finestra.
Jason era di nuovo lì ad osservarla. Non aveva il machete in mano come l’ultima volta però. Di nuovo Jasmine non sapeva cosa fare, dato quello che era successo. Poi però si diede mentalmente della stupida e salutò Jason con la mano, più convinta stavolta. Quando lo vide inclinare la testa di lato leggermente non potè fare a meno di sorridergli. Prese un foglio, vi scrisse velocemente qualcosa sopra con un pennarello nero e ne fece un aereoplanino di carta. Si affacciò di nuovo e lo lanciò fuori dalla finestra, facendoglielo arrivare ai piedi. Gli sorrise e lo salutò di nuovo, allontanandosi dalla finestra per dargli libertà d'azione e mettendosi finalmente a letto, pronta a dormire. Non riusciva a smettere di sorridere e dopo un po’ si addormentò.
Ma forse sarebbe stato meglio passare quella notte, piuttosto che la precedente, insonne.









Angolo Autrice:

Ciao a tutti! 
Eccomi tornata con un nuovo piccolo capitolo. Ho già bene in mente un certo  numero dei prossimi, devo solo scriverli. Purtroppo però non avrò molto tempo a disposizione quindi non so quando arriverà il prossimo :(
A presto (spero)!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Incubi e fobie ***


Capitolo 9 – Incubi e fobie








Jason la vide allontanarsi dalla finestra e, quando la luce della sua camera si spense, si chinò per raccogliere il piccolo aereo di carta. Ma perché glielo aveva tirato? Vide i segni lasciati dall’inchiostro e lo aprì, leggendo quello strano biglietto.
“Domani dopo mezzanotte guarda sotto l’oleandro bianco. – Jasmine”
Quella ragazza non finiva più di sorprenderlo. Si mise in tasca il foglio e si guardò intorno, avvistando l’oleandro di cui parlava la ragazza. C’era un gruppetto di quelle piante su un lato del garage. Tutte avevano i fiori rosa, ma solo una i fiori bianchi, anche con la poca luce della luna Jason riusciva a vederlo. Cosa ci sarebbe stato lì sotto dopo mezzanotte il giorno dopo? Jason andò a controllare, ma in quel momento non c’era altro che terra. Stare a pensarci troppo non gli sarebbe stato di nessun aiuto, quindi se ne andò. Avrebbe scoperto tutto entro un giorno alla fin fine.
 
Jasmine dormiva già da un bel po’ quando iniziò a sognare. Era un sogno normale all’inizio, né bello né brutto. Ad un certo puntò si trovò in mezzo ad una foresta. Non riconosceva quel posto ed era circondata solo da alberi. Uno strano senso di inquietudine la invase e iniziò a camminare. All’improvviso il terreno sotto ai suoi piedi cedette, quasi come se sparisse, e lei si sentì precipitare nel vuoto. Fu solo per un’istante, poi si rese conto di dove si trovava.
In qualche modo era finita in acqua, anzi sotto l’acqua. Venne presa dal panico e iniziò a dimenarsi, come per liberarsi dalla presa di quel fluido ghiacciato. Ma più si muoveva e più andava a fondo. Guardò in alto, in basso e intorno a sé, ma era tutto uguale. L’acqua non era limpida, ma molto scura, quasi come quella…Ma certo. Avrebbe dovuto capirlo subito. Era l’acqua di un lago. Poi qualcosa le afferrò una caviglia, iniziando a tirarla ancora di più verso il basso. Jasmine sentiva che il fiato iniziava a mancarle, presto non sarebbe più riuscita a trattenerlo. Poi un altro strattone all’altra caviglia. Guardò verso il basso e la sua paura crebbe, quando si accorse che a tirarla erano le due ragazze uccise quello stesso giorno. Scalciò cercando di liberarsi, ma nulla sembrava funzionare. Ora erano talmente in basso che riusciva a intravedere il fondale. Una grande distesa di fango e corpi umani. Non riuscì più a trattenere il fiato e cercò di respirare, bevendo quell’acqua decisamente disgustosa a quella profondità. Sentiva il naso bruciarle e i polmoni come se stessero per esplodere. E proprio quando sembrava essere spacciata, si risvegliò.
Jasmine si ritrovò nella sua stanza, dove era sempre rimasta ovviamente, col fiatone, come se davvero avesse trattenuto il respiro per molto tempo. Era anche tutta bagnata, ma a causa dei sudori freddi e non delle gelide acque del lago. Non era la prima volta che faceva un incubo del genere, dove lei stava annegando, ma questo era davvero estremamente vivido. Le era sembrato reale per qualche momento. Ripensò ai volti delle due ragazze, alle loro espressioni di rabbia e di terrore. Era anche colpa sua se erano morte? La ragazza si ritrovò a chiederselo. No, non era colpa sua. Cercò di scacciare quel pensiero dalla mente. Non avrebbe potuto fare nulla in ogni caso, giusto?
Facendo respiri profondi cercò di calmarsi e riprendere fiato e un’altra domanda le sorse: c’erano davvero tutti quei corpi in fondo al Crystal Lake?
Si alzò dal letto e andò in bagno. Finn, sentendola camminare, salì dal piano inferiore e le andò incontro. Jasmine si sciacquò il viso e si guardò allo specchio. “Uff…Samara mi fa un baffo” Sbuffò.
La ragazza sentiva ancora il cuore batterle forte per la paura. Non erano state tanto le ragazze a spaventarla, quanto l’annegare.
Ecco un altro motivo per cui si sentiva in qualche modo legata a Jason: anche lei da piccola aveva rischiato di annegare per la disattenzione di altri.
Era successo anni prima, quando lei aveva 7 anni, durante una vacanza con i suoi genitori. L’albergo in cui alloggiavano aveva una grande piscina all’esterno e per i bambini c’era una specie di servizio di baby-sitting gratuito. I genitori la lasciarono con i responsabili e altri bambini per tutta la mattina, mentre loro si concedevano una passeggiata in città. Jasmine ricordava bene quel giorno. I responsabili avevano fatto ballare e giocare i bambini per tutta la mattina e ad un certo punto gli avevano anche concesso un bagno in piscina, a patto che restassero nella zona dove l’acqua era più bassa. Ad un certo punto Jasmine volle sperimentare quanto fosse riuscita ad andare più in là prima che smettesse di toccare il fondo. Si aggrappò con una mano al bordo della piscina, più in alto di lei, e iniziò ad avanzare, staccandosi dal gruppo di bambini. Quando però non riuscì più a sentire il fondo coi piedi la mano le scivolò e si staccò dal bordo, ritrovandosi completamente sommersa dall’acqua. A quel punto il panico si impossessò di lei, che non sapeva nuotare e non aveva più un appiglio. Cercò di mantenersi a galla con scarsi risultati, respirando anche dell’acqua. Avrebbe voluto gridare aiuto ma la voce veniva soffocata. Finalmente, con uno sforzo per lei immane riuscì a darsi una spinta più forte, riuscendo ad aggrapparsi nuovamente al bordo. Cercò di arrampicarsi fuori ma era troppo alto e fu costretta a tornare indietro così come era arrivata, ma respirando male a causa dell’acqua che le era andata di traverso. Uscì dalla piscina e respirando profondamente e tossendo riuscì a riprendersi, seppur spaventata.
E durante tutto questo i responsabili non si erano accorti di nulla, troppo impegnati a chiacchierare tra di loro sotto un gazebo dando le spalle alla piscina.
Quando i genitori andarono a riprenderla non disse nulla all’inizio, per paura di essere rimproverata perché aveva disubbidito. Ma quando il pomeriggio andarono tutti insieme in spiaggia per fare un bagno in mare Anna e Robert si accorsero di qualcosa che non andava. A Jasmine piaceva stare in acqua, quindi perché era scoppiata a piangere pur di non andarci? A quel punto Jasmine confessò tutto.
Da quel giorno iniziò ad avere paura dell’acqua, cosciente del fatto che sarebbe potuta morire. Non andava mai dove non toccava e non entrava in acque che non fossero limpide. In ogni caso era sempre in allerta, anche quando l’acqua era bassa. Questo anche a causa di un altro paio di episodi dell’anno successivo. Era di nuovo a mare, in un punto “sicuro” con l’acqua non troppo alta. La prima volta il vento iniziò ad alzarsi e un’onda la travolse all’improvviso, la seconda l’acqua del mare non era molto limpida ed era invasa dalle meduse e lei si beccò un paio di punture.
Nonostante tutto però l’acqua continuava a piacerle, da una certa distanza. Le piaceva guardare i riflessi che mandava, la rilassava. Ma raramente vi si immergeva. Preferiva anche la doccia al bagno.
Con la mente invasa da pensieri e ricordi scese in cucina per prendere un bicchiere d’acqua.
Davvero sperava di non dover più rivivere esperienze simili.





Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
Ecco svelato un’importante aspetto della personalità di Jasmine.
E chissà perché ha mandato quel messaggio a Jason…
Non ho molto tempo, quindi vi dico solo questo: stiamo entrando nel vivo della storia!
A presto!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Preoccupazioni e dubbi ***


Capitolo 10 – Preoccupazioni e dubbi







Era quasi l’alba e Jasmine non vide il motivo di tornare a letto, non sarebbe riuscita a riprendere sonno. Si mise i vestiti del giorno prima, poi lasciò una nota ai genitori sul tavolo della cucina, dicendogli che era uscita a portare fuori Finn e che sarebbe tornata presto. Una volta fuori si prese qualche minuto per apprezzare la fresca aria del mattino. I primi raggi del sole illuminavano già tutto e gli uccelli iniziavano a cinguettare sui rami.
Mise le mani in tasca e fu in quel momento che venne sopraffatta dalla paura. Che fine aveva fatto la sua collana? L’aveva messa in tasca, ne era sicura! Entrò di nuovo in casa e la cercò ovunque, senza risultati. Capì che probabilmente l’aveva persa il giorno prima, mentre scappava. Riuscì e con Finn si affrettò a rifare la strada che portava alla spiaggetta, ma non trovò nulla. E se la polizia l’avesse trovata? Era comunque un oggetto che indicava il suo passaggio in quella zona, se fossero riusciti a risalire a lei. Cercò più volte sul terreno e sotto i cespugli ma fu tutto vano. “Merda! Dovevo perdere proprio quella?! E proprio ieri?”
Sull’orlo di una crisi di panico, arrivò alla spiaggetta. Nulla indicava che lì fosse accaduto qualcosa nelle ore precedenti. Non c’erano più i rifiuti, le tende e le macchie di sangue sulla sabbia. Avevano ripulito tutto alla perfezione in poco tempo. Jasmine pensò che con tutto quello che succedeva lì ogni estate, dovevano essere abituati oramai.
Convinta che non avrebbe più ritrovato la sua collana se ne tornò a casa. Prima di entrare fece un respiro profondo, indossando la sua migliore maschera da “tutto va bene”. I suoi genitori erano svegli e in cucina, intenti a fare colazione. Si sedette con loro a mangiare i pancake che Anna aveva preparato e fecero una chiacchierata sulle persone che avevano conosciuto fino ad allora.
Quando entrambi i suoi genitori andarono a lavoro, Jasmine tornò a preoccuparsi per la sua collana. Aveva promesso a sua madre che non avrebbe causato problemi e lo aveva promesso anche a se stessa. Ma che cosa avrebbe potuto fare?
Non trovando una soluzione, si decise a seguire il suo piccolo piano per dimostrare a Jason la sua buona fede. Ci teneva ad essere una buona vicina di casa con lui.
Insieme a Finn, come il giorno prima, andò in città con la bicicletta. Aveva ancora bisogno di una cosa.
 
Jason era a casa sua, nella stanza di sua madre. All’inizio era una camera da letto, ora era una specie di santuario dedicato a lei. Aveva messo il letto e la maggior parte dei mobili nella stanza degli ospiti, quasi mai utilizzata per quello scopo, da quel che si ricordava lui. Aveva riempito la camera di candele, che si preoccupava di tenere sempre accese, e al centro aveva messo un tavolo rotondo, coperto da una tovaglia azzurro chiaro ora praticamente grigia a causa dello sporco accumulatosi attraverso gli anni. Sopra il tavolo la testa e il maglione di sua madre e un medaglione con la foto di lei all’interno, ai piedi di esso i resti irriconoscibili di alcune delle sue prime vittime e quelli più recenti della ragazza che aveva ucciso sulla spiaggia.
Se ne stava lì, inginocchiato davanti a quella specie di altare improvvisato, col machete ancora sporco di sangue sul pavimento accanto a lui.  Si sentiva stranamente confuso, non sapeva cosa pensare di quella ragazza appena trasferitasi. Jasmine aveva fino ad allora dimostrato di essere diversa dalle altre persone che aveva incontrato, e ucciso, ma solo perché non aveva fatto nulla che potesse disturbarlo. Sapeva di averla spaventata, lo aveva fatto di proposito, voleva vedere come avrebbe reagito. Si aspettava che scappasse, ma non solo quello. E poi lei non aveva chiesto aiuto a nessuno, non aveva detto nulla di lui neanche ai suoi genitori da quello che aveva capito e la sera le aveva mandato un biglietto, l’aveva salutato e, cosa che più di tutte lo aveva confuso, gli aveva sorriso.
Quasi non ricordava più l’ultima volta che qualcuno gli avesse sorriso. Quasi, perché di certo non avrebbe mai potuto dimenticare il sorriso dolce che sua madre gli rivolgeva. Lo rivedeva ogni volta che finiva di eliminare gli intrusi, e insieme a quello poteva ancora sentire la sua voce.
Quali erano le vere intenzioni della ragazza? Aveva cercato di non pensarci, di convincersi che non era importante, ma quella domanda continuava a tornargli in testa.
Era lì davanti a sua madre in quel momento per chiederle consiglio. Cosa doveva fare? Cosa voleva che lui facesse?
Non ricevendo nessuna risposta ed essendo stato lì a lungo, si alzò e se ne andò in camera sua, sedendosi sul suo letto, ormai troppo piccolo per lui. Prese dalla tasca la collana con la maschera e il biglietto, fissandoli intensamente come se avessero potuto dargli la risposta che cercava. Ma anche da loro ovviamente non arrivò nulla.
Andò nella camera degli ospiti, ora trasformata in una sorta di magazzino e aprì un portagioie di legno, completamente pieno di collane, bracciali ed anelli delle sue vittime. Teneva tutto quello che trovava addosso alle sue prede. Non i vestiti ovviamente, a meno che non fossero adatti a lui. In tutti quegli anni aveva raccolto un bel po’ di roba, creando una specie di collezione. Mise tra gli altri i gingilli che indossavano le ragazze al lago, le uniche cose che indossavano in realtà. Stava per metterci anche la collana con la maschera, ma poi pensò che quella meritava un posto speciale, quindi chiuse la scatolina e la appoggiò sopra il coperchio insieme al biglietto.
Poi andò a recuperare il machete e il corpo della ragazza e attraverso una botola nel pavimento del corridoio arrivò nelle gallerie della miniera che si diramavano sotto quasi tutto il territorio forestale di Crystal Lake. Anche le gallerie erano piene di oggetti, armi e trappole, ma al momento era interessato alla fornace. Si liberava così dei cadaveri. Metteva da parte tutto quello che non si bruciava o che poteva essergli utile e poi li metteva sopra un tavolo accanto alla fornace. La accese e mentre aspettava che il calore aumentasse iniziò a fare a pezzi la giovane con una mannaia. Il terribile suono del metallo affilato prima sulla carne, poi sulle ossa e infine sul legno rimbombava per i cunicoli sotterranei. Anche se la maggior parte delle volte Jason arrivava al tavolo con un solo colpo netto.
Dopo aver fatto ciò che doveva uscì all’esterno per il suo solito giro di controllo.
Fu in quel momento che per un attimo gli balenò in mente l’immagine della lapide di sua madre, così seppe cosa doveva fare.
Doveva andare al cimitero.
 





Angolo Autrice:
Salve a tutti!
Come va?
Siamo arrivati al 10° capitolo della storia! Bisogna festeggiare! *stappa lo champagne*
Come vi avevo già detto il Jason di questa storia è un misto di quelli che si vedono nei vari film (ad esclusione di Jason X, ovviamente XD), così come l’intero territorio di Crystal Lake. Ho voluto mantenere la stanza dove Jason tiene la testa di sua madre, ma invece di farlo vivere in una baracca, ho scelto di farlo stare nel cottage vicino al campeggio dove vivevano lui e sua madre prima che tutto precipitasse. Un po’ come fanno vedere nel remake, ma non mi sembrava giusto mettere la testa di sua madre in un buco nel muro del bagno. Del remake invece ho apprezzato l’idea della miniera sotterranea e ho voluto inserirla nella storia.
E se qualcuno si sta chiedendo che aspetto abbia questo Jason sotto la maschera e i vestiti, ho scelto quello del 7 film, ma col viso un po’ più umano, rispetto a quello da zombie in decomposizione che vediamo nel film.
Voglio anche ringraziare tutti quelli che in questi ultimi giorni, ma anche prima, hanno recensito questa storia.
Un grazie particolare va alla mia amica Lux in Tenebra che mi è sempre accanto. ( <3 )

Ma allora, cosa ne pensate di questo capitolo? Non siate timidi, fatemelo sapere!
A presto!

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - La spesa ***


Capitolo 11 – La spesa






Jasmine passò buona parte della mattinata in città a fare la spesa nel supermercato più grande che era riuscita a trovare. E pur essendo il più grande non raggiungeva neanche la metà di quello che aveva vicino alla sua precedente casa.
Non riusciva a decidersi su cosa avrebbe dovuto prendere di preciso, quindi alla fine decise di optare per qualcosa di estremamente semplice per andare sul sicuro.
A mezzanotte quel Giovedì 12 Giugno sarebbe finito e si sarebbe trasformato nel giorno che aspettava da sempre, il giorno che Crystal Lake temeva: Venerdì 13 Giugno, il compleanno di Jason.
Aveva fantasticato tante volte su quel momento, da brava fangirl, ma adesso non sapeva più cosa aspettarsi. Jason avrebbe anche potuto non apprezzare, era davvero pronta a correre questo rischio?
Ma ormai era lì, abbastanza fiduciosa che tutto sarebbe andato bene.
La cosa sarebbe potuta sembrare banale, ma non voleva fare nulla di troppo complicato. Aveva deciso di preparare una torta, una di quelle semplici ma buonissime, fatte in casa. Solo adesso però si era resa conto di non avere assolutamente idea dei gusti di Jason, ovviamente.
Inizialmente aveva pensato di fare una red velvet. “Forse è un po’ troppo esagerata” aveva pensato. Aveva quindi optato per una al cioccolato. “E se non gli piacesse il cioccolato? Ma a chi non piace il cioccolato?!”
Alla fine aveva deciso di fare dei muffin, invece di una torta, alcuni al cioccolato e altri no.
Il problema adesso era scegliere le marche degli ingredienti. Si stava davvero facendo questi problemi per un serial killer che magari non mangiava neanche? A quanto pare sì, e si sentiva anche un po’ stupida per questo.
Ma aveva sempre sognato di passare un Venerdì 13 a Crystal Lake in compagnia di Jason.
Probabilmente però non avrebbe passato poi così tanto tempo con lui.
Dopo almeno un paio d’ore passate a girovagare per quel supermercato, finalmente si decise a comprare tutti gli ingredienti necessari.
Poco prima di andare a pagare però notò alcuni scaffali di fiori.
C’era una scelta piuttosto ampia, ma un mazzo l’aveva particolarmente attirata. Un grosso mazzo di rose rosa e quelle che sembravano foglie di felce.
Un’idea le venne quindi in mente, una di quelle un po’ pazze che le venivano molto spesso ultimamente.
Comprò anche il mazzo di rose e uscì. Il povero Finn era rimasto tutto il tempo ad aspettarla davanti all’ingresso, legato ad un palo della luce accanto alla bicicletta.
Dopo aver fatto bere il cane e sistemato la spesa nel cestino della bici, Jasmine salì in sella con un solo pensiero in mente.
Prima di andare a casa, avrebbe fatto una sosta al cimitero.
 







Angolo Autrice:
Ciao a tutti! Finalmente sono tornata ad aggiornare questa storia!
Lo so lo so…dopo tutto questo tempo torno con solo un capitoletto brevissimo e praticamente inutile.
La sto tirando per le lunghe, è vero, e tutti volevate sapere che sorpresa Jasmine aveva in mente per Jason. E so anche cosa state pensando.
“Dei muffin? Seriamente? Ma che ti sei fumata?”
In realtà nulla. Ma sono le 3.32 di notte, Venerdì 17 è appena passato, e io ho appena finito di vedere la terza stagione di GoT. E sono distrutta.
Comunque sia, non temete, il regalo non si limiterà a dei muffin XD
La sto tirando per le lunghe perché voglio che il momento del regalo coincida con il 13° capitolo.
Il motivo è evidente XD
In ogni caso…Jasmine è diretta al cimitero, e se ben ricordate dal precedente capitolo, anche Jason.
I due si incontreranno di nuovo? OwO
Inoltre ho aggiunto delle immagini nei capitoli precedenti in questi giorni, due outfit di Jasmine e la casa azzurra vicina al lago. I capitoli sono 2, 4 e 6 se volete andare a dare un’occhiata.
In più ho creato questo piccolo “Starter Pack” di Jasmine, con un outfit tipicamente suo e vari oggetti che la caratterizzano. Se vi state chiedendo il perché della ciambella…lei adora le ciambelle al cioccolato u.u

starter-pack-jas

Grazie a tutti coloro che stanno seguendo questa storia :3 siete fantastici! ^^
Alla prossima! X3

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 Pt.1 - Le rose della comprensione ***


Capitolo 12 (Prima Parte) – Le rose della comprensione





La strada che dalla città portava al cimitero non era difficile da ricordare, dato che avrebbe dovuto proseguire sempre dritto sulla strada principale fino a poco prima di uscire dalla città. In pratica lo stesso percorso che seguiva per tornare a casa sua, solo un po’ più breve.
Se non fosse stato per Finn, che correva per stare accanto alla padrona in bici, avrebbe pedalato come se qualcuno la stesse inseguendo, solo perché non vedeva l’ora di arrivare a destinazione.
Quando finalmente giunse davanti al grande cancello di ferro scuro, Jasmine sentì un brivido percorrere tutto il suo corpo. Si era immaginata quel posto come un classico cimitero da film dell’orrore, mentre invece era un luogo molto carino. Per quanto possa essere carino un cimitero.
Iniziò ad attraversare i vialetti coperti di ghiaia che formavano una griglia su tutta l’area e che davano un senso d’ordine assoluto, insieme all’erba appena tagliata e alle siepi perfettamente potate. La bicicletta da un lato e Finn dall’altro l’accompagnavano.
Il problema adesso era trovare ciò per cui era arrivata fin lì: la tomba della signora Voorhees e quella di Jason.
All’inizio le sembrò un’impresa ardua, ma dovette ricredersi quando, dopo aver fatto non più di una decina di metri, un gruppo di persone piuttosto numeroso oltrepassò il cancello, capeggiato dallo stesso signore che aveva visto riprendere da Mike Berger davanti ad un negozio non troppo tempo prima.
“Da quando i cimiteri sono una meta turistica?” Si ritrovò a pensare la ragazza, a dir poco indignata dal comportamento di tutta quella gente. Quando la superarono chiacchierando a voce piuttosto alta non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto.
“Almeno” pensò “non dovrò girarmi tutto il cimitero per trovare la signora Voorhees.”
Quando il gruppo di turisti si fermò, radunandosi attorno alle due lapidi e mettendosi addirittura a scattare foto, Jasmine si tenne a distanza, non volendosi assolutamente mischiare a certa gente. Fece finta di concentrare la sua attenzione su di una tomba non troppo distante, mentre in realtà stava lanciando occhiate di fuoco a quelli che la sua mente definì “profanatori”.
“Chissà che facce farebbero se Jason spuntasse all’improvviso, vero Finn? Magari alcuni di loro dicono di essere suoi fan, ma se la darebbero a gambe al primo sguardo.” Disse sottovoce al suo amichetto peloso.
“Perché, tu che hai fatto al lago?” Le chiese una voce nella sua testa.
“Non c’entra, lì sembrava alquanto incazzato e aveva appena finito di ammazzare due ragazze.” Rispose a se stessa.
Jasmine dovette aspettare un bel po’ prima che il gruppo, sotto minaccia del custode appena sopraggiunto di chiamare la polizia, se ne andasse. Dopo aver appurato che nessuno fosse ancora nei paraggi, si decise ad avvicinarsi alla lapide della signora Voorhees.

Jason intanto era anche lui arrivato al cimitero. Confinando con la foresta, lui non aveva bisogno di accedervi attraverso il cancello, gli bastava scavalcare la recinzione. O ancora meglio passare attraverso un varco creato appositamente da lui e convenientemente coperto dalla vegetazione. Generalmente visitava la tomba di sua madre la notte, quando era sicuro che nessuno avrebbe potuto vederlo o disturbarlo. Ma qualcosa gli aveva detto di andare in quel momento, perciò lo aveva fatto.
Ritrovarla circondata da persone, che tutto stavano facendo tranne quello che si dovrebbe fare in un cimitero, lo fece infuriare non poco. Era pronto ad uscire allo scoperto e massacrarli tutti, ma la voce arrabbiata del vecchio custode lo fermò. Poco male, il destino di tutti loro era stato già segnato. Non gli piaceva agire in mezzo a tante persone se poteva evitarlo. Quando il gruppo se ne andò si trattenne nuovamente dall’uscire, poiché aveva visto la ragazza. Cosa era andata a fare lì? La voce di sua madre che continuava a parlargli non lo aiutava a pensare meglio.
“Non dovrebbero essere qui, Jason. Uccidili tutti.”
Vide la ragazza guardarsi intorno con fare circospetto, in piedi davanti ad una delle tante lapidi, con un mazzo di fiori in mano e il suo cane come sempre accanto a lei. Sua madre si riferiva anche a lei? Ogni volta che la vedeva si poneva quella domanda.
Quando il gruppo di persone fu uscito dal cimitero lei iniziò ad avanzare sul vialetto, andando proprio nella sua direzione con aria nervosa. Stava dicendo qualcosa, ma Jason non riuscì a sentirla finchè non fu abbastanza vicina.
“Si meriterebbero una bella lezione. Chi organizza queste pagliacciate, chi partecipa e chi le permette. Che schifo.” Che ce l’avesse anche lei con quella gente? Magari aveva qualcuno sepolto lì. Eliminò quell’opzione non appena si accorse che la ragazza si era fermata proprio davanti la tomba di sua madre, e alla sua. Per un certo periodo di tempo anche lui era stato sepolto, ma come al solito era riuscito a ritornare alla fine.

“Povera donna.” Sussurrò Jasmine, riferendosi a Pamela.
Accanto alla lapide della donna ne stava una seconda, quella di Jason. Entrambe erano piuttosto malandate e coperte da muschio e piante rampicanti. Evidentemente nessuno si curava di loro come avrebbero dovuto.
Era un’immagine piuttosto triste, nonostante quello che madre e figlio avevano fatto. Tutte le lapidi, ad eccezione delle più vecchie, erano ben tenute, pulite e con dei mazzi di fiori freschi vicino. Tutte tranne le loro due.
Jasmine avrebbe cambiato le cose, era andata lì appositamente. Si abbassò e posò i fiori sull’erba, in modo da avere le mani libere per dare una ripulita sommaria al posto. Levò resti di piante e scrostò via del muschio che aveva iniziato a coprire le scritte, poi divise in due il mazzo di rose. Nel bouquet ce n’erano 13, quindi ne mise 7 a Pamela e 6 a Jason, pur sapendo che lui era tutt’altro che morto.
“Sai perché ho preso quelle rosa, Finn?” Chiese al suo cane, sicura che lui fosse l’unico capace di capire i suoi gesti. Lui la guardò, inclinando la testa. “Le rose rosa sono simbolo di comprensione.” In realtà stava parlando con se stessa, cercando di convincersi ancora di più che stava facendo qualcosa di buono per qualcuno, e che non avrebbe portato brutte conseguenze.
“Quello che hanno fatto non è giusto, ma è comprensibile” continuò “Non riesco neanche ad immaginare come possa essere perdere un figlio o una madre.”
Jasmine però sapeva che molto probabilmente, se si fosse trovata nella situazione di Pamela e Jason, avrebbe fatto lo stesso. Quando nessuno ti aiuta, pensava, è normale volersi fare giustizia da soli. Non sarà giusto, ma è la prima cosa a cui si pensa.

Jason continuava ad osservarla, dapprima curioso, poi quando aveva visto che lei allungava le mani verso la lapide di sua madre si era agitato per un attimo, soprattutto perchè non riusciva a vedere che stava facendo dalla sua posizione. Ma da quello che stava dicendo non sembrava una cattiva ragazza con brutte intenzioni. Alla fine mise anche i fiori sulle loro tombe, una piena e l’altra vuota.
Ma perché comportarsi in quel modo? Davvero non riusciva a capirlo. Da dopo quel giorno nessuno aveva mai fatto qualcosa del genere, qualcosa di gentile nei suoi confronti, o in quelli di sua madre. Jasmine non solo gli aveva sorriso, quando lui suscitava tutt’al più smorfie di terrore o disgusto in genere, ora aveva anche portato per lui i fiori al cimitero. E non dei fiorellini selvatici, come ogni tanto li portava lui, ma delle rose. Le aveva sentito dire che significano “comprensione”. Ma comprensione di cosa? Stava forse cercando di dirgli che lo capiva? No, impossibile. Jason era fermamente convinto che nessuno potesse capire ciò che provava o ciò che faceva. Per questo la gente continuava ad arrivare e a disturbarli, non capivano. Non capivano neanche che stavano per morire, come avrebbero potuto comprendere tutto il resto?
In ogni caso, quella ragazza lo confondeva e la cosa iniziava a innervosirlo. Ma d’altra parte lo incuriosiva sempre di più. E poi stava architettando qualcosa, gli aveva dato appuntamento per quella sera sotto casa sua. Jason avrebbe ricevuto una sorpresa, giusto in tempo per il suo compleanno. Rimaneva solo da sperare, sia per lui che per lei, che fosse qualcosa di bello. Erano anni che non festeggiava il suo compleanno: era un giorno di uccisioni come un altro. E poi anche volendo con chi avrebbe dovuto festeggiare, dal momento che era da solo?
Venne riscosso dai suoi pensieri quando notò che Jasmine se ne stava andando via. Inizialmente pensò di seguirla, ma poi ritenne fosse meglio andare a cercare il gruppo di turisti. Lui amava sua madre più di ogni altra cosa al mondo, ma avere continuamente in testa la sua voce arrabbiata non era una cosa piacevole. Preferiva quando gli faceva i complimenti in realtà. In fondo Jason non era poi così diverso da qualunque altro figlio.
Rimase ad osservare la ragazza riprendere la sua bicicletta e andarsene col cane, poi tornò nella foresta. Conosceva parecchie scorciatoie per andare ovunque gli servisse senza seguire i sentieri e sapeva dove probabilmente avrebbe potuto trovare le sue prossime vittime.
A Crystal Lake c’era un solo albergo ed era in una posizione particolarmente conveniente per lui. Il fatto che si trovasse dal lato opposto della città non faceva alcuna differenza, sarebbe riuscito ad arrivare comunque prima di loro.

Jasmine intanto era tornata sulla strada di casa, ansiosa di mettersi all’opera. Anche quel giorno i suoi genitori non sarebbero tornati per pranzo e per buona parte del pomeriggio. Tanto meglio per lei, avrebbe avuto modo di preparare tutto con calma.
Una volta arrivata, posò la bici accanto alle scale del portico, prese la busta della spesa ed entrò in casa con Finn al seguito. Prima di mettersi a cucinare i muffin per Jason però doveva pensare al suo pranzo. Optò per una semplice e sbrigativa pasta al tonno e fortunatamente sua madre aveva provveduto a riempire già la dispensa. Iniziò a far soffriggere una scatoletta di tonno con uno spicchio d’aglio e mise sul fuoco una pentola d’acqua attendendo che arrivasse ad ebollizione. Sua madre le diceva sempre che la pasta al tonno è il pranzo tipico degli universitari in Italia. E il  motivo era anche evidente: era facile e veloce da preparare ed era anche buona. A meno che non piaccia il tonno.
Finn, stanco per la mattinata trascorsa fuori, si addormentò ben presto su divano del soggiorno. Jasmine rimase un po’ a guardarlo e ne approfittò per fargli qualche foto da pubblicare su Instagram. Poi tornò in cucina, spense il fuoco sotto la padella vedendo che il tonno era pronto e mise in pentola due pugni di penne rigate e un po’ di sale. Passò i successivi dieci minuti su whatsapp a parlare con i suoi amici.

Stuart: La prossima volta che lo vedi fatevi un selfie, così avremo le prove che stai dicendo la verità e non ci stai prendendo in giro XD
Jasmine: Come no, glielo chiedo stasera stessa.
Jasmine: Anzi faccio fare la foto direttamente a lui!
Alex: Dici che sa usare un cellulare?
Wendy: Di certo sa come romperlo lol


Non era passato molto tempo dall’ultima volta che li aveva visti e da quel momento le erano successe parecchie cose interessanti che avevano catturato tutta la sua attenzione, ma i suoi amici le mancavano tantissimo. Averli esclusi un po’ negli ultimi giorni la fece sentire in colpa, quindi voleva rimediare.
Il timer che aveva impostato l’avvisò che la pasta era pronta, quindi salutò il suo gruppetto. Prima di mettere da parte il telefono però gli propose di fare qualche partita insieme a Dead by Daylight nel pomeriggio o in serata. Avrebbero potuto giocare insieme e anche parlarsi con Discord.
Tornò quindi in cucina, scolò la pasta e la mise nella padella con il tonno. Mescolò il tutto e poi impiattò, pronta per pranzare. Riempì la ciotola a Finn, così avrebbe potuto mangiare anche lui quando ne avesse avuto voglia.
Pranzare da sola per lei era sempre un po’ deprimente, ma nonostante questo la solitudine non le dispiaceva affatto. Mentre mangiava guardò qualche video su Youtube dal cellulare e una volta finito andò subito a sciacquare i piatti sporchi, poi li mise nella lavastoviglie.
Ora aveva davanti tutto il pomeriggio, ma voleva comunque preparare i muffin prima dell’arrivo dei suoi genitori, in modo da poterne mettere alcuni da parte per Jason senza dover dare spiegazioni a nessuno. Non stava facendo nulla di male, ma dubitava che i suoi l’avrebbero capita appieno e glielo avrebbero lasciato fare.
Prese tutti gli ingredienti e tutti gli utensili che le servivano e li dispose sul tavolo. Si accorse però di non riuscire a trovare da nessuna parte la teglia adatta per i muffin. Cercò in ogni angolo della cucina senza successo, poi si ricordò che i suoi avevano messo degli scatoli del trasloco ancora pieni in soffitta, in attesa di essere sistemati a dovere.
Ora che ci faceva caso, Jasmine si era completamente dimenticata della soffitta, pur essendosi ripromessa di controllarla come aveva fatto per la cantina. Senza indugiare oltre salì al piano di sopra, tirò la cordicella che pendeva dal soffitto e una scala discese dalla botola. Si sorprese di non trovare tutto immerso nell’oscurità, grazie a qualche piccola finestrella sul tetto che facevano entrare abbastanza luce da illuminare la stanza.
Oltre ad un bel po’ di roba appartenuta ai precedenti proprietari della casa, c’erano anche alcune cose che sua madre non aveva avuto tempo di sistemare ancora, ma che non voleva in mezzo alla casa. “Sembra tutto in disordine poi” aveva detto.
Jasmine ne approfittò per cercare qualcos’altro che avrebbe potuto avere per lei un’utilità. La teglia che stava cercando saltò ben presto fuori quindi passò la maggior parte del tempo ad esplorare. Non trovò nulla di interessante come in cantina, le restava solo un armadio in plastica dura da controllare.
Le ante si aprirono cigolando un po’ ma senza fatica e in quello stesso momento Jasmine fu grata a sua madre di aver usato la soffitta. All’interno c’erano vari attrezzi da giardino: vasi, terriccio, guanti, rastrelli… ma l’oggetto che più di tutti catturò l’attenzione della ragazza fu un’ascia dall’aria abbastanza nuova, con il manico di legno scuro e la custodia in stoffa nera. Non appena la vide Jasmine seppe subito cosa farne. La prese con entrambe le mani e con un po’ di fatica, era un’oggetto piuttosto pesante, la levò dalla sua custodia e l’osservò attentamente per constatare che fosse effettivamente del tutto integra. Jasmine non trovò nulla che non andasse, era perfetta. La testa era un po’ graffiata, segno che non era proprio nuova, ma la lama era decisamente affilata.
Rimise l’ascia nella fodera, che si chiudeva con una cerniera, e la portò in camera sua. Poi tornò a prendere la teglia e la mise in cucina insieme a tutto il resto delle cose che le sarebbero servite per preparare i muffin.
Tutto era pronto, ma quel colpo di fortuna aveva distratto la ragazza, che adesso cercava solo un modo per poter portare l’ascia fuori di casa quella sera stessa, ma senza che i suoi la scoprissero. Già non le avrebbero lasciato dare ad un killer dei muffin, figuriamoci un’ascia! Perché sì, Jasmine aveva subito deciso che l’avrebbe data a Jason come regalo di compleanno.
Negli ultimi giorni la sua parte razionale le aveva fatto mettere in dubbio la sua sanità mentale, molto più di quanto non avesse fatto durante il corso di tutta la sua vita. Ma Jasmine voleva che si instaurasse un rapporto di fiducia tra lei, e di conseguenza anche i suoi genitori, e Jason. Quale modo migliore se non regalargli un’arma?
Probabilmente lui aveva già un’ascia, o magari ne aveva anche molte, ma una in più non avrebbe certo guastato. In ogni caso Jasmine non avrebbe avuto nulla da fare con essa e probabilmente neanche i suoi genitori. Suo padre avrebbe provveduto a comprarne una all’occorrenza.
Ovviamente Jasmine aveva pensato al fatto che questo suo gesto avrebbe potuto ritorcersi contro di lei, ma il non farlo avrebbe potuto avere lo stesso esito o addirittura uno peggiore.
Prima che si facesse troppo tardi, si lavò le mani e iniziò a preparare l’impasto per i muffin, accompagnata dalla playlist dei Disturbed che aveva sul telefono.

Jason era riuscito ad arrivare all’albergo giusto poco prima che arrivassero il gruppo di turisti e la loro guida, ognuno con le proprie macchine.  Stando ben nascosto riuscì a contarli tutti e a sentire ciò che dicevano. Erano per la maggior parte ragazzi, un paio di coppie di adulti e l’uomo che li guidava, un tizio sulla cinquantina che sembrava pensare solo ai profitti. Se ci andava di mezzo la vita di qualcuno non era un suo problema apparentemente.
Il negoziante si fece pagare per la veloce gita di quella mattina al cimitero, poi cercò di convincere tutti i presenti a farsi portare a visitare il vecchio campeggio e la casa dei Jarvis. Inizialmente i turisti sembravano poco inclini a seguirlo, ma cambiarono idea molto velocemente e con poche rassicurazioni. In verità erano andati a Crystal Lake con quel preciso scopo, ma vedendo che l’accesso era vietato volevano far finta di essere tutti rispettosi delle leggi.
“Nessuno verrà a saperlo, potete starne certi. Sono anni che lo faccio e nessuno ha mai avuto problemi.” Stava dicendo il negoziante.
In realtà lui si era sempre salvato solo perché lasciava i turisti vicino al campeggio e poi andava via con una scusa. E ogni volta di quei turisti non si avevano più notizie, Jason se ne assicurava sempre con molta cura.
Dopo qualche altro minuto i turisti tornarono in albergo e il negoziante salì sulla sua macchina per andare verso il suo negozio. Prima di andarsene aveva ricordato a tutti di passare a trovarlo, con la promessa di ricevere degli sconti fatti apposta per loro. Non aveva dimenticato di dire quale fosse il suo indirizzo e per sua sfortuna Jason sapeva perfettamente dove si trovasse. Lo avrebbe lasciato per ultimo.
Preferiva non andare in città durante il giorno però, quindi avrebbe dovuto aspettare la sera. In attesa di quel momento, seguì gli spostamenti dei turisti per buona parte del primo pomeriggio, poi volle andare a controllare cosa stava facendo Jasmine. Magari avrebbe scoperto in anticipo cosa la ragazza pianificava per la mezzanotte.








Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
Caspita! Dall’ultimo aggiornamento è passato un bel po’…vi chiedo scusa T.T
Domani sono in partenza, quindi probabilmente tornerò inattiva per i prossimi dieci giorni o giù di lì. Non mi andava proprio di aspettare ancora, quindi ho diviso il dodicesimo capitolo in due parti e ho pubblicato la prima. Per la seconda se ne parlerà ormai dopo Pasqua.
A tal proposito colgo l’occasione per augurare a tutti voi una buona Pasqua e per ringraziarvi di essere arrivati fino a questo punto della storia.
A presto!

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 Pt.2 - Preparativi ***


Capitolo 12 (Seconda Parte) – Preparativi






Jason non ci mise troppo a ritornare sui suoi passi e a raggiungere la casa di Jasmine. Si sorprese molto quando, arrivato nelle sue vicinanze, iniziò a sentire della musica provenire dall’interno. Anche lei era come tutti gli altri allora, si ritrovò a pensare. La musica non era messa ad un volume troppo alto come di solito facevano i ragazzi, ma era di quelle dove i cantanti urlavano arrabbiati. Non riusciva proprio a sopportarle quelle. Che avevano da urlare tanto?
Andando sul retro della casa, il suono si fece più forte, fino a che non vide la finestra della cucina aperta e la ragazza che stava facendo qualcosa proprio lì davanti. Prima che lei potesse accorgersi della sua presenza si appostò dietro la vegetazione. Stavolta davvero non voleva farsi scoprire.
Gli sembrava, dai suoi movimenti e dagli oggetti che maneggiava, che stesse preparando un qualche tipo di dolce. Ne ebbe la conferma quando iniziò ad usare uno sbattitore elettrico –anche sua madre lo usava quando preparava i dolci- unendo il rumore di quello alla musica.  Ora si che la cosa iniziava ad innervosirlo davvero: odiava i rumori forti, a meno che non fosse stato lui a causarli, quali le urla delle sue vittime o quelli degli “attrezzi” che gli capitava di usare di tanto in tanto. Il silenzio gli piaceva molto invece, lo calmava. E calmava anche sua madre, voleva dire che non c’era nessun intruso nei dintorni da eliminare.
E come sentitasi chiamare in causa, la voce di Pamela tornò a farsi sentire, spronandolo ad uccidere ancora. “Ricordati quello che ci hanno fatto, Jason. Devono morire tutti.” E Jason era assolutamente d’accordo con lei. Ma d’altra parte era ancora un bambinone per certe cose e dopo tanto tempo passato in solitudine la prospettiva di ricevere una sorpresa per il suo compleanno era troppo allettante. Sicuramente sua madre non se la sarebbe presa se la ragazza avesse vissuto un giorno in più e lui era pronto ad aspettare e sopportare.

Jasmine, di nuovo totalmente ignara della presenza che stava ad osservarla, continuava a cucinare tranquilla e ad un certo punto cominciò a canticchiare. Adorava le canzoni di quel gruppo, riuscivano sempre a tirarle su il morale, a darle il giusto ritmo per fare ciò che doveva. O in altri casi erano l’opposto ma rispecchiavano perfettamente il suo stato d’animo. La sua voce era molto diversa da quella del cantante e lei di certo non urlava. Essendo completamente sicura che nessuno la stesse ascoltando non si prese neanche la briga di canticchiare a bassa voce. Non le piaceva cantare davanti ad altri, anche se i suoi amici e i suoi genitori le avevano più volte detto che possedeva una bellissima voce, ma se era da sola non si faceva problemi.
Ascoltando “The vengeful one” si ritrovò a pensare che quella canzone era quasi perfetta per Jason, glielo ricordava molto. Già il titolo diceva tutto: “Il vendicativo”.
“Hear the innocent voices scream as their tormentor laugh through all of it. No forgiveness from all I've seen.”
Jason cercava vendetta e il testo della canzone rispecchiava ciò che faceva lui e ciò che capitava alle sue vittime. Se riuscivano, urlavano, ma comunque vadano le cose Jason non è un tipo che perdona chi entra nel suo territorio. Era arrivato ad andare persino in un’altra città per uccidere la ragazza che decapitò sua madre; era capace di fare anche di peggio per quanto ne sapesse Jasmine. Secondo i film, era anche andato a Manhattan una volta.
“So sleep soundly in your beds tonight, for judgement falls upon you at first light.”
Jason di certo non aspettava l’alba per colpire, ma la ragazza trovava quella frase alquanto suggestiva, così come un pezzo che arrivò poco dopo.
“When you'll die you'll know why, for you cannot be saved, this world is too depraved.”
Chissà, forse anche a Pamela sarebbe piaciuta quella canzone, o almeno il suo testo.

Il killer di Crystal Lake aveva iniziato a prestare più attenzione alle parole di quella canzone non appena la ragazza aveva iniziato a cantare. Le sue orecchie non erano più integre come una volta, e uno non lo era neanche mai stato del tutto, ma ci sentiva davvero molto bene. Abbastanza da riconoscere che lei aveva una bella voce, che riusciva a rendere più piacevole anche quelle insopportabili canzoni che stavano andando tanto di moda. Si rese conto di essere d’accordo con quello che stava dicendo lei, anche se alcune parti non le aveva capite proprio bene.

L’impasto era pronto, così Jasmine fece preriscaldare il forno, imburrò gli stampi della teglia e iniziò a versarci dentro il composto. Aveva deciso di fare almeno una trentina di muffin. Non le rimaneva che infornare i primi e aspettare che si cuocessero.
Intanto la riproduzione casuale del suo telefono decise di far partire l’unica canzone di quell’album che riusciva a renderla davvero triste. Jasmine era da sempre stata una persona con un carattere forte, cosa che le aveva causato qualche problemino, ma un evento in particolare non era mai riuscita a superarlo del tutto. “Save our last goodbye” era la canzone che la riportava alla morte di sua nonna. Una cosa naturale che tutti ad un certo punto sperimentano nel corso della loro vita, ma che a lei aveva lasciato una ferita profonda, mai del tutto rimarginata.
Sua nonna, dal lato di padre, era la persona con la quale era più legata quando era piccola. Non perché la riempiva di regali o simili, ma perché l’aveva sostenuta e aiutata, prendendo sempre le sue difese. Era l’unica persona che non aveva mai pensato nulla di anche solo minimamente negativo nei suoi confronti, convinta che nella sua nipotina non ci fosse assolutamente nulla che non andasse. I suoi genitori invece qualche dubbio lo avevano avuto, ma Jasmine non gliene aveva mai fatto una colpa, avevano buoni motivi.
Le bastava un piccolo riferimento a lei per farle perdere il sorriso, era ancora molto doloroso pensarla. D’altra parte però ogni tanto voleva ricordarla, anche se la cosa la faceva soffrire e finiva sempre con il versare almeno qualche lacrima. Era per questo che non saltava mai quella canzone: la aiutava a prendersi qualche momento per lei, per pensare alla donna che era stata una parte così importante della sua vita.
La ragazza infornò i muffin e si fermò, concentrandosi completamente sulla canzone dai toni disperati. Quando sua nonna venne a mancare a causa di una malattia lei era ancora piuttosto piccola e i suoi genitori non vollero portarla con loro in ospedale quando seppero che il momento era arrivato. Jasmine non era riuscita a dirle addio, e continuava a non volerlo fare.
Gli occhi le diventarono umidi e le lacrime non tardarono a spuntare, per quanto lei cercasse di trattenerle.

Jason venne colto alla sprovvista da quell’improvviso cambio di atteggiamento della ragazza. Per un attimo le sembrò che avesse ricevuto una telefonata mentre una nuova canzone iniziava, poi aveva capito che anche quella faceva parte di essa. Si sorprese e si sentì strano quando una lacrima scese dal viso della ragazza, seguita poi da un’altra ancora. Inclinò la testa, osservandola ed ascoltandola con attenzione, le parole che sentiva stavano colpendo anche lui. Il suo pensiero corse subito a sua madre, a tutto quello che avevano passato insieme, alla rabbia e al dolore. Jason intuì subito che anche la ragazza aveva perso qualcuno di molto importante per lei e che questo la rendeva triste.
Guardare lei diventare triste ed esserlo a sua volta a causa di sua madre gli fece provare una certa empatia per quella che comunque considerava ancora come una vittima praticamente certa. Non voleva illudersi che lei fosse diversa a tal punto da non essere un disturbo o un problema per lui. Il solo fatto che lo stesse mandando un po’ in confusione per lui era un motivo più che valido per eliminarla.
Restò a fissarla intensamente per tutto il tempo.
“They said in time the pain goes away, but in my soul it will forever stay.”
Era la prima volta che sentiva quella canzone e la prima che si interessava così tanto a qualcuno senza avere l’impellente desiderio di trucidarlo. Quelle parole erano decisamente adatte alla sua situazione, a ciò che provava. Lo fecero, anche se solo per poco, sentire compreso, meno solo. Il fatto che lui nonostante tutto avesse continuato a sentire sua madre lo consolava un po’.

La canzone finì con la solita triste strofa: “Save our last goodbye. It’s killing me that I won’t get to hear your laughter anymore.”
Jasmine si asciugò gli occhi con il dorso della mano, cercando di scacciare via in breve tempo sia le lacrime che i brutti pensieri. Aveva un compito da svolgere dopotutto.
“Magari potremmo sentire questa canzone insieme qualche volta e fare i sentimentali.” Pensò lei, scherzandoci su e non sapendo che era proprio quello che avevano appena fatto.
“Chissà se Jason sente davvero la voce di sua madre come nei film.” Il suo flusso di pensieri continuava, facendole porre domande a cui aveva provato a dare una risposta già da tempo, senza però successo. “E se la sente è frutto della sua immaginazione o davvero Pamela Voorhees gli parla dall’aldilà?”
Continuando a rimuginare su quella e su molte altre cose, Jasmine divise il rimanente impasto in due parti, versando in una le gocce di cioccolato e nell’altra il cacao in polvere. Mescolando prima l’uno e poi l’altro il tempo passava e mentre aspettava andò a prendere il pc e le cuffie dalla sua camera per portarli in quello che era lo studio di suo padre. Nonostante la presenza di qualche scatolo pieno di libri e soprammobili, la stanza era stata sistemata e oltre al tavolinetto col vecchio computer per la videosorveglianza ora c’era anche una grande libreria che copriva una parete intera, un mobiletto e la scrivania con la comoda sedia da ufficio di suo padre. Accese l’apparecchio e per prima cosa entrò su Steam, trovando Wendy già connessa ed in chat.

BoogieGirl: Ehy Jasey! Hai già finito?
Jasonette: Non ancora, ho un’altra infornata da fare. Discord?
BoogieGirl: Ok
BoogieGirl: Hai visto la novità? Friday the 13th è in sconto, sbrigati a prenderlo XD
Jasonette: Oddio davvero???
La ragazza andò subito a controllare ed effettivamente il gioco era a metà prezzo. Inutile dire che non perse tempo a comprarlo e far partire l’installazione.
Jasonette: Preso! Sta scaricando. Non mi staccherò più dal pc *-*
Jasonette: beh…a partire da domani però XD
BoogieGirl: Giusto XD stasera hai un appuntamento molto importante <3
Jasonette: Incrociamo le dita…potrei star facendo una cazzata, ma vi aggiorno quando ci siete tutti.
BoogieGirl: E dai, che saranno mai dei muffin?
Jasmine: Diciamo che si è aggiunta un’altra cosetta… ma aspetto gli altri così mi rimproverate una volta sola.
BoogieGirl: Oddio…vedi di non farti ammazzare Jas
BoogieGirl: Vieni su discord forza

Jasmine aprì il programma, che da subito partì sul gruppo JAWS e avviò la chiamata vocale con Wendy.
“Alex e Stuart che combinano?” Chiese Jasmine all’amica.
“Stew sta ancora giocando a Little Nightmare. È rimasto sconvolto da-“ Wendy si fermò prima di fare uno spoiler bello grosso. “Lo giocherai o hai visto il gameplay?”
“Non lo so ancora, quindi non dirmi altro.”
“In ogni caso, è rimasto sconvolto da una cosa che è successa mentre giocava con me davanti. Avresti dovuto vedere la sua faccia” Wendy scoppiò a ridere, facendo spuntare un sorriso anche a Jasmine.
“Cavolo, mi sono persa un’altra reaction di Stuart. Ti ho detto che devi filmarlo!”
Chiacchierando il tempo passava e arrivò il momento di infornare i restanti muffin.
“Torno subito, tu vedi di far arrivare gli altri due.”
“Va bene, non metterci troppo.”
Jasmine fece il più in fretta possibile a tirar fuori la prima infornata di muffin, rischiando più volte di bruciarsi per tirarli fuori dagli stampi senza farli sbriciolare e metterli nei pirottini. Una veloce ripulita, una seconda imburrata e la teglia finì in forno con l’ultima parte di impasto.

Jason non la perdeva di vista, continuando ad osservarla durante tutti i suoi spostamenti da una stanza ad un’altra. La finestra dell’ufficio era chiusa, ma poteva comunque vederla e sentire quello che si diceva con l’altra voce proveniente dal suo computer. Se l’apparecchio fosse rimasto in quella stessa posizione, la ragazza avrebbe dato le spalle alla finestra e lui avrebbe potuto continuare a spiarla più comodamente. Il profumo che proveniva dalla casa era davvero buono, e se lei non avesse preparato quel dolce per lui, come ormai si era convinto, sarebbe stato lui stesso a prenderselo. O almeno ne avrebbe preso un po’.
Aveva sempre avuto un debole per i dolci. Sua madre doveva nascondere i biscotti o lui sarebbe stato capace di farli sparire ad una velocità impressionante.
Jasmine tornò nello studio, sedendosi alla scrivania e dando le spalle alla finestra.
“Hey. Sono tornata.” Disse rivolta allo schermo. Da quando era piccolo la tecnologia aveva fatto un bel passo avanti, anche lui che non la usava se n’era accorto.
“Bentornata! Stew e Alex arrivano tra poco” Le rispose la voce che aveva sentito anche prima.
“Bene, allora intanto ci facciamo una partita noi due?”
“Va bene, ma Friday? Si è scaricato?”
“Sono a metà, il mio catorcio di pc forse non lo reggerà nemmeno. Per ora lo stacco.”
Jason era piuttosto interessato a vedere cosa avrebbe fatto la ragazza. Non aveva mai usato un videogioco, ma da quando aveva scoperto della loro esistenza si era un po’ incuriosito. Non credeva gli sarebbero piaciuti molto comunque.
“Quindi cosa stai architettando?” Le chiese la voce di quella che sicuramente era una sua amica.
“Niente di che, ho trovato una cosa in soffitta e credo che potrebbe piacergli.”
“Non promette nulla di buono, lo sai?”
“Lo so. Ma voglio provare.”
La situazione sembrava promettere bene: avrebbe ricevuto un dolce e anche un vero regalo. Jason era parecchio contento dell’idea, ma poi un pensiero si fece strada nella sua mente e gli stava dicendo di non fidarsi, di non illudersi. Per quanto gli sarebbe piaciuto che accadesse ciò che aveva previsto, magari si trattava solo di una coincidenza. Magari era il padre della ragazza a fare il compleanno il suo stesso giorno. La cosa lo rattristò non poco, ormai si era convinto quasi del tutto. La delusione avrebbe presto lasciato il posto alla rabbia, ma volle trattenersi dal fare qualunque cosa e aspettare. Avrebbe potuto sbagliarsi, ma voleva per qualche ragione dare una possibilità a quella curiosa ragazza.

Le due amiche si unirono ad una partita su Dead by Daylight, ignare del fatto che un vero killer stesse osservando molto da vicino una di loro.
“Uso Meg, ho la quest dei generatori da finire.” Disse Jasmine.
“Come al solito. Io vado di Laurie, farò un po’ di salvataggi.” Rispose Wendy.
“Come al solito.” Ridacchiò, iniziando ben presto il match.
Tra un “Sta inseguendo me” e un “Sto venendo a salvarti” – e qualche parola poco carina nei confronti degli altri due compagni di squadra – entrambe vinsero la partita in circa un quarto d’ora, un ottimo tempo per permettere a Jasmine di andare a controllare i muffin quasi pronti.
“Vedi se gli altri sono pronti adesso, vado di nuovo.”
Jasmine tornò in cucina e si accorse che i dolcetti erano perfetti, sistemò anche quest’ultimi e li lasciò a raffreddare. Ne selezionò tredici tra quelli venuti meglio: quattro bianchi, quattro al cioccolato e cinque con le gocce di cioccolato. Per decorarli avrebbe aspettato ancora, non doveva fare nulla di complicato. Voleva scriverci sopra qualcosa, tipo “Happy Birthday”, ma si ricordò che per farli stare nel contenitore che aveva scelto di usare avrebbe dovuto metterne alcuni sopra altri. Avrebbe dovuto eliminare quell’opzione, probabilmente.
Quando tornò al pc fu ben felice di vedere che gli altri due suoi amici si erano aggiunti alla chiamata. Alex e suo fratello Stuart la salutarono, tutti contenti di poter passare di nuovo del tempo assieme.
“Allora, che stai combinando?” Chiese subito Alex “Wendy ha detto che vuoi farti rimproverare una volta sola, quindi ne deduco che stai per fare una cazzata.”
“Potrei, ma non lo so per certo. Magari è una buona cosa, lo scoprirò vivendo.” Rispose lei enigmatica.
“O morendo.” Aggiunse un ironico Stuart.
“Ah beh grazie per la fiducia raga, lo apprezzo molto.” Jasmine fece la finta offesa, mentre mentalmente dava ragione ai suoi amici.
“Ci dici qualcosa o dobbiamo tirare ad indovinare?” Chiese Alex, curiosa.
“Ho trovato una cosa in soffitta che mi a fatto pensare a lui, e siccome è il suo compleanno mi sembra carino fargli un regalo.”
“Aww che dolce che sei Jasey” La prese un po’ in giro l’amica, ridacchiando.
"Vedrai quanto sarò dolce appena ti prendo, Alex" Minacciò lei, che avrebbe giocato come killer nella partita successiva. Era piuttosto brava in quel ruolo, forse perché il personaggio che usava somigliava parecchio a Jason?
"Allora ci riveli questo mistero o no?" Intervenne Stuart.
"Bhe" Jasmine si mise le cuffie e le collegò al pc per poter sentire meglio durante il gioco "è una cosa che sicuramente piacerebbe molto alla Cacciatrice."
Ci fu un attimo di silenzio, il tempo necessario ai tre amici per capire a cosa si riferisse la ragazza. Poi realizzarono contemporaneamente. La Cacciatrice è uno dei killer del gioco che usa come armi delle asce, l’associazione era piuttosto immediata.
"Un'ascia?!" Esclamarono stupiti insieme, assordandola per un momento.
"Esatto"
"Ma sei pazza?" Esclamò Stuart.
"Che differenza fa se gliela do o meno? Sicuramente ne avrà già, una in più non farà differenza."
"Allora perché dargliela?" Continuò il ragazzo, continuando a non capire.
"Uff, fattelo spiegare dalla tua fidanzata, sono certa che lei ha capito."
Wendy prese la parola cercando di analizzare la situazione accuratamente, come suo solito.
"Jasmine vuole usare un simbolo. Il suo gesto servirà per far capire a Jason che lei non vuole mettersi contro di lui e per dimostrarglielo sarà lei stessa a mettergli un'arma tra le mani. Così lui capirà, si spera, e almeno Jasmine e i suoi saranno risparmiati questa volta."
“Grazie Wendy” Disse la ragazza alla sua amica e futura psicologa.
“Quando vuoi dolcezza”
"Cerca di stare attenta comunque, dolcezza." Stuart non era ancora molto convinto, quando quelle tre si mettevano in testa qualcosa non c’era modo di far cambiare loro idea. Se c’erano di mezzo gli slasher era anche peggio.
"Jasmine se la caverà, ne sono sicura." Intervenne Alex "Ma un po' di cautela non guasta."  Aggiunse poi, un po' meno ottimista.
"Ormai ho deciso, questa cosa si farà. Domani mattina saprò a cosa avrà portato." Affermò la ragazza. Se Jason avesse voluto fare qualcosa, avrebbe in ogni caso aspettato il suo giorno per agire e lei si era assicurata si non dargli motivo di anticipare una sua eventuale azione.

Il diretto interessato non aveva capito molto, poteva sentire solo la ragazza e in alcuni momenti aveva perso il filo del discorso, ma era ancora più convinto che Jasmine stesse preparando qualcosa per lui, qualcosa che gli sarebbe piaciuto.
Tra una vittoria e una sconfitta il tempo passava e la sera sarebbe presto scesa su Crystal Lake. Jason doveva andare a prepararsi, era quasi ora di mettersi al lavoro. A quanto aveva capito la ragazza era più brava a inseguire che a correre e si ritrovò a chiedersi se lo stesso valesse anche nella realtà. Chissà, forse avrebbe avuto modo di scoprirlo abbastanza presto.
Andò via proprio come era arrivato, senza farsi notare, silenziosamente. Questa volta neanche il cane della ragazza si era accorto di lui. Sarebbe andato prima a casa sua, a prendere ciò che gli sarebbe potuto servire, e lì avrebbe aspettato la sera per poter girare indisturbato nei pressi della città. Poi avrebbe raggiunto l’albergo e, se tutto andava come prevedeva, il negoziante sarebbe stato l’ultimo a ricevere la sua visita. L’ultimo esclusa la ragazza, ma tutto dipendeva da quanto tempo avrebbe impiegato a far fuori tutti i trasgressori.

Jasmine si accorse appena in tempo che le rimaneva poco tempo prima che i suoi genitori tornassero a casa. Le ultime ore erano passate piuttosto in fretta e lei doveva ancora nascondere il suo regalo. Non appena la partita che era in corso finì, salutò i suoi amici, che fino all’ultimo non la smisero di farle raccomandazioni sulla prudenza. Rimise il gioco di Venerdì 13 a scaricare e andò in cucina per ultimare i preparativi.
Più il momento si avvicinava e più la sua agitazione aumentava. Se le cose fossero andate male ci sarebbero sicuramente andati di mezzo anche i suoi genitori e Finn. Avrebbe fatto di tutto per impedirlo, nel peggiore dei casi, a costo di rimetterci la pelle. Sarebbe stata solo colpa sua in fin dei conti.
Si mise davanti i muffin che aveva messo da parte e spolverò dello zucchero a velo sopra di essi. Fece varie prove, ma il contenitore che aveva scelto di usare non le permetteva di fare scritte, o la crema al cioccolato che voleva usare sarebbe finita tutta attaccata al coperchio. Avrebbe sempre potuto scrivergli un bigliettino.
Sistemò i muffin nel contenitore di plastica, lo chiuse e se lo portò in camera sua. Ora doveva trovare un modo per poter portare tutto fuori senza che i suoi genitori se ne accorgessero. Si affacciò alla finestra, dalla quale riusciva a vedere l’oleandro bianco, e le venne un’idea. Arrivare a terra saltando giù dalla tettoia non sarebbe stato difficile, ma forse risalire sì. Avrebbe dovuto fare una prova, al limite sarebbe rientrata dalla porta e avrebbe trovato un’altra soluzione.
Scavalcò il davanzale e sporgendosi un po’ dalla tettoia constatò che era una distanza accettabile. Si sedette sul bordo e con una spinta delle braccia saltò giù, arrivando in terra senza troppi problemi. L’impatto col terreno non era proprio indolore, specie per i piedi e le caviglie, ma sopportabile. Almeno finchè non avesse preso una storta o fosse caduta male. Ora le toccava risalire, quindi si girò, mise un piede sulla ringhiera del portico, si tirò su reggendosi alla colonna all’angolo e si mise in piedi. Fin lì tutto bene, le restava da sperare che le sue braccia reggessero il suo peso. Le aveva abbastanza allenate, quindi aggrapparsi alla tettoia e spingersi su non si rivelò troppo difficile, né troppo faticoso. Aveva come portar fuori il suo regalo, doveva solo finire di prepararlo e scrivere un bigliettino.
L’ascia era ancora sul suo letto e parzialmente nascosta dal suo fodero. Jasmine aprì un cassetto e si mise a frugare, finchè non trovò un nastro rosso di raso. Lo legò ben stretto alla parte scoperta del manico e fece un bel fiocchetto. Non riuscì a trovare della carta da regalo però, quindi avrebbe dovuto farne a meno. Prese una busta da lettere e un foglio di carta, cercando le parole adatte per scrivere a Jason il biglietto. Riuscire a scrivergli due righe per convincerlo che non avrebbe avuto problemi con la sua famiglia non sarebbe stato male, ma non doveva risultare né una supplica, né un tentativo di corruzione. Magari avrebbe potuto puntare sulla simpatia, ma senza esagerare.
Quando finalmente i suoi genitori arrivarono a casa lei non si era ancora decisa su cosa scrivere.
“Jasy, tesoro, dove sei? Perché c’è il computer acceso nello studio?” Sentì sua madre che la chiamava dal piano di sotto.
“Sono in camera mia!” Rispose lei. Non aveva ancora nascosto tutto, doveva sbrigarsi. Prese ascia e contenitore e li ficcò sotto il letto, appena in tempo dato che suo padre era subito dopo entrato in camera sua.
“E questo buon profumino che si sente è opera tua?” Le chiese lui, sorridendole complice.
“Mi annoiavo e mi sono data alla cucina” Gli rispose, abbracciandolo e dandogli un bacio sulla guancia.
“Jasmine perché c’è tutto in disordine?!” Si sentì di nuovo sua madre.
“Ops” Ridacchiò, seguita dal genitore, e scesero insieme in cucina, lascandosi alle spalle il biglietto neanche iniziato e che Robert non aveva notato.
Si beccò un quasi rimprovero da parte di sua madre perché aveva lasciato tutto in disordine – si era dimenticata di mettere tutto a lavare e di pulire – ma si prese i complimenti per gli ottimi muffin da entrambi.
Dopo cena, e dopo qualche muffin, aiutò sua madre a pulire la cucina, chiacchierando tranquillamente di come stessero andando le cose a lavoro per entrambi i genitori. Finalmente libera se ne tornò in camera, prendendo una decisione per il biglietto e ultimandolo.

Jason, non appena fu arrivato a casa sua, passò in rassegna tutta la casa in cerca delle armi che avrebbe potuto usare quella sera. Gli piaceva “viaggiare leggero”, trasformando qualunque cosa avesse intorno in una letale trappola. Lui stesso era un’arma micidiale, non aveva bisogno di gran che. Oltre al suo machete alla fine fece solo una scorta di coltelli, di quelli più pratici che aveva se si parlava di lanciarli, per ogni evenienza. Il resto lo avrebbe trovato in albergo.
Sua madre era parecchio arrabbiata con lui, aveva continuato a rimproverarlo per tutto il tempo. Non le aveva mai disubbidito e prima di andarsene andò a trovarla nella sua stanza, inginocchiandosi davanti a lei, a testa bassa. Le promise che non le avrebbe più disubbidito, le chiese di aspettare ancora un po’ e poi avrebbe fatto tutto ciò che voleva.
Si alzò e si mise in cammino. Era tutto pronto per il suo giorno.
Quell’anno Venerdì 13 iniziò in anticipo.





Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
Il miracolo è stato fatto alla fine! Sono riuscita a finire di scrivere e a pubblicare.
Il momento decisivo sta per arrivare, presto ci sarà un confronto tra i nostri due protagonisti!
Se trovate errori di qualunque tipo, se avete consigli o pareri, non esitate a farmeli sapere ^^
Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui, se questa storia sta andando avanti è grazie a voi <3
Il prossimo capitolo sarà parecchio importante e ci saranno scene violente, vi avviso da subito XD
Alla prossima!


P.S: Vi lascio un piccolo aesthetic che ho fatto e il link alla canzone: https://www.youtube.com/watch?v=nMLHFZBBj-U
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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Venerdì 13 ***


Capitolo 13 – Venerdì 13

 

 

 

Jasmine imbustò il biglietto dopo averlo riletto un paio di volte, assicurandosi che andasse bene, e poi lo ripose sotto al letto insieme agli altri due regali per Jason.
Se non festeggiassi il mio compleanno per tanto tempo e poi un anno, all’improvviso, uno sconosciuto mi facesse un regalo random, senza motivo, io sarei contenta.” Disse a Finn, che le faceva compagnia seduto nella sua cuccia. “Sarebbe un gesto carino.”
Ovviamente era ancora convintissima di voler procedere, ma non per questo era meno preoccupata. Aveva ancora circa tre ore prima dell’arrivo della mezzanotte, quindi per passare il tempo tornò nell’ufficio di suo padre a giocare al PC con i sui amici.

Erano quasi le undici quando Jason uscì da casa sua. Attraversò a passo svelto il vecchio Camp Blood, inoltrandosi poi nel fitto della foresta. Per una persona comune la fioca luce dello spicchio di luna che risplendeva nel cielo quella notte non sarebbe bastato a procedere in una zona incolta come quella, non con altrettanta sicurezza.
Jason però non aveva bisogno di molta luce per vedere bene, quel tenue bagliore gli bastava a riconoscere il percorso, non segnato ma che conosceva a memoria, senza inciampare o scontrarsi con la vegetazione.
Dopo poco tempo arrivò di nuovo davanti all’albergo, restando ad osservare la zona dal limitare del bosco. Sembrava non esserci nessuno nei paraggi, o almeno non all’esterno. Jason avrebbe lasciato stare il personale e gli altri eventuali clienti. Del resto loro non avevano fatto nulla di male, ma se si fossero messi sulla sua strada non si sarebbe risparmiato.
Attese che dalla strada non passassero macchine, perché non voleva essere visto, ma non certo per paura di essere investito, poi attraversò e si sbrigò a raggiungere il retro dell’hotel.
Essendo un giorno feriale non c'erano molte persone in giro: l'estate era appena iniziata e le uniche persone che si sarebbero potute trovare fuori a quell'ora erano i giovani. Ma essendo anche la vigilia del 13 Giugno, che finalmente coincideva di nuovo con un venerdì, solo i giovani turisti e qualche adulto che non aveva ancora intenzione di credere alle dicerie erano fuori a far baldoria.
Tutti gli altri avevano imparato che era meglio starsene tranquilli nelle proprie case in quel periodo, quantomeno nelle ore di buio.
Jason avrebbe dovuto essere silenzioso, in modo da non svegliare e allarmare i dormienti, e non solo loro, con eventuali urla: non aveva intenzione di farsi sfuggire nessuno di quelli che erano stati al cimitero.
Senza aspettare oltre, il killer entrò nell'edificio dalla porta di servizio. Forzarla non gli costò una gran fatica. Se ricordava bene non era mai stato in quell'albergo. Ad essere sincero non era mai stato dentro un qualsiasi albergo, forse solo una volta, ma era ancora troppo piccolo perché lo ricordasse chiaramente. Si ritrovò nella cucina, luogo ideale per cercare qualche oggetto contundente. Diede una breve occhiata in giro e alla fine scelse di portare con sé un grosso coltello da cucina. Quelli che aveva portato da casa sua erano per lo più da caccia e, date le dimensioni delle sue mani, li considerava troppo piccoli, comodi solo se doveva lanciarli. Uscì dalla cucina ed entrò nella sala ristorante e da lì arrivò al corridoio, illuminato da lampade dalla tenue luce gialla, che conduceva alla hall. Le porte che vi si affacciavano non erano numerate, ma accanto ad ognuna di esse c'era un cartello con la scritta “accesso riservato al personale”, segno che nessuna di quelle stanze era per i clienti. Di conseguenza, a lui non interessavano e le superò senza degnarle di un'ulteriore sguardo.
La reception era vuota, come apparentemente tutto il resto della struttura: probabilmente i turni di lavoro erano già finiti. Jason andò direttamente a controllare la sfilza di chiavi appese dietro al bancone. Quasi tutte erano ai loro posti e solo quattro mancavano all’appello, quindi gli sarebbe bastato controllare quelle stanze e poi aspettare il ritorno delle persone mancanti – i più giovani sicuramente, Jason ne era assolutamente convinto.
Non poteva mettersi a girare in città indisturbato alla loro ricerca, anche se fuori c’erano poche persone gli avrebbero potuto causare comunque dei problemi, e lui aveva una certa fretta.
Una volta memorizzati i numeri delle stanze che gli interessavano si voltò in direzione delle scale che conducevano al piano superiore. Estrasse il machete dal fodero al suo fianco e salì.

I coniugi Park erano nel mondo dei sogni già da un pezzo. Il signor Park era un grande appassionato di horror, sin da ragazzino. Alla prima buona occasione aveva trascinato con sé la moglie nella cittadina di Crystal Lake, coronando uno dei suoi sogni nel cassetto, con la promessa di portarla a fare una bella vacanza ovunque avesse voluto lei… dopo un’accurata visita al luogo di nascita di Jason Voorhees, s’intende. La signora Park alla fine aveva accettato e quindi eccoli lì, nella camera buia numero 104 di un albergo tutto sommato carino, in una cittadina anch’essa, all’apparenza, graziosa.
Quando Jason, con l’ausilio di una sola mano, forzò la porta e l’aprì, loro non sentirono nulla. Il signor Park russava sonoramente e la moglie si era ormai da anni abituata a dormire con quell’incessante rumore accanto, talmente potente da coprire anche il suono di metallo che si piega e di legno che va in pezzi. I due vennero trovati con gli occhi sbarrati dal terrore sul loro letto, in un lago di sangue.

Prima ancora di aprire la porta Jason sentì la rabbia crescere: quel maledetto suono lo infastidiva non poco e quindi non perse tempo ad eliminare i primi due trasgressori. Inizialmente aveva fantasticato di uccidere solo uno dei due e di aspettare che l’altro si svegliasse, solo per vedere cosa avrebbe fatto. O provato a fare. Ma quei due sembravano avere il sonno pesante, quindi si limitò a tagliare la gola al marito col machete, con un taglio profondo e veloce, per poi piantarlo nel petto della moglie, colpendo il cuore con precisione chirurgica senza neanche sfiorare le costole. Il primo riuscì ad emettere solo qualche gorgoglio prima di morire, la seconda un singolo verso di sorpresa e paura. Quell’odioso rumore era finalmente cessato e Jason tirò un sospiro di sollievo, uscì dalla stanza chiudendosela alle spalle e andò alla successiva.

Gli Abrams erano finiti in città per caso; stavano facendo un viaggio on the road e avevano deciso solo per comodità, ed in seguito per un pizzico di curiosità, di fermarsi un po’ a Crystal Lake. Sarebbero dovuti ripartire il giorno seguente, nel pomeriggio. La loro camera era la 113 – numero premonitore a quanto pare. La TV era accesa su un film d’azione che la signora Abrams stava distrattamente guardando distesa sul letto, prestando però più attenzione al suo cellulare, mentre il marito era in bagno a fare una doccia. Di nuovo, quando si accorsero della presenza di Jason era già troppo tardi.

Arrivato davanti la porta della seconda stanza il killer rimase un attimo fermo. Sentiva dei rumori, chi era all’interno era sveglio e quindi avrebbe dovuto sbrigarsi per non creare scomodi allarmismi. Girò la maniglia sperando che il rumore sarebbe stato coperto dagli altri e si sorprese quando la serratura non cedette alla sua forza, essendo già aperta. Forse avevano dimenticato di chiudere a chiave, o magari non lo ritennero necessario. Che idioti, pensò. Lentamente aprì la porta e silenzioso come un’ombra, nonostante la sua mole, entrò, richiudendo la porta con altrettanta attenzione. Da dove si trovava riusciva a vedere gran parte della camera, comprese le gambe della signora che stava distesa sul letto. Grazie alla presenza di un muro, al cui interno si trovava il bagno, lei non poteva vederlo e lui non poteva vederla in faccia. Per evitare di sbagliare inutilmente, Jason corse il rischio di essere visto, sporgendosi solo un pochino. Non appena riuscì a scorgere il viso della donna, e la riconobbe, il rumore dell’acqua si fermò: capì che doveva fare in fretta.
Silenziosamente aprì un po’ la porta del bagno, spiando all’interno. Un signore avvolto da un accappatoio gli dava le spalle e il grande specchio sul lavandino era pesantemente appannato dal vapore. Scivolò all’interno della stanzetta e prima che l’uomo, che sentendo una corrente d’aria fredda si era girato, potesse emettere un solo suono, Jason l’afferrò per la faccia, coprendogli la bocca e impedendogli di urlare, spingendolo contro un muro e facendogli sbattere la testa contro le piastrelle. Il colpo fu abbastanza forte da intontirlo, ma allertò la moglie.
“Matt? Tutto bene?” Si sentì una voce provenire dalla stanza principale.
Jason si girò verso la porta, poi subito riportò la sua attenzione all’uomo che stringeva nella sua morsa. Gli lasciò la faccia e lo prese per i capelli, spingendolo verso il gabinetto. La faccia dell’uomo, che se non fosse stato per Jason non si sarebbe neanche retto in piedi a causa del colpo, si ritrovò sommersa nell’acqua della tazza. Con la poca forza e coscienza che ancora aveva si dimenò, cerando di liberarsi, ma non servì a molto, visto che svenne in pochissimo tempo per la botta e in seguitò soffocò a causa dell’acqua. Lo aveva spinto talmente in fondo che la testa si era incastrata tra le pareti di ceramica che diventavano via via più strette. Jason lo lasciò subito per occuparsi della moglie, che si stava alzando dal letto, lo sentiva.
I due si incontrarono, e quasi scontrarono, a metà strada. La donna ebbe appena il tempo di emettere un gridolino di sorpresa, prima che Jason la prendesse per il collo e le scaraventasse la fronte contro lo spigolo del muro, abbastanza forte da spaccarle la testa e farle perdere subito conoscenza. E mentre il corpo si accasciava al suolo lui si stava già chiudendo alle spalle la porta della camera.

Debby, Sammy, George e Owen erano un quartetto di amici alquanto affiatati in cerca d’avventura. Crystal Lake non era molto lontana dalla loro città, ma a causa di tutto quello che vi era successo non avevano mai permesso ai quattro ragazzi di andavi. Infatti, per poter passare qualche giorno di vacanza lì, avevano mentito ai loro genitori, dicendo che sarebbero andati da tutt’altra parte a festeggiare l’inizio delle vacanze. Avevano preso una camera, la 202, nell’hotel cittadino in gran segreto. Avevano deciso di andare a letto presto, perché il giorno dopo volevano a tutti i costi esplorare i boschi, andare al lago, e arrivare fino al vecchio Campo di Sangue. Trovare quella guida, per quanto abusiva, lo avevano considerato un colpo di fortuna. Non volevano infrangere la legge, ma in questo modo avrebbero potuto far cadere la responsabilità sull’uomo che, senza scrupoli, voleva farsi qualche soldo in più.

Jason aprì la porta della terza stanza, avvolta nel buio e nel silenzio. Si addentrò col machete in mano, pronto a colpire, verso i letti. La finestra aperta lasciava passare la luce proveniente dai lampioni all’esterno e notò che non riconosceva nessuna delle facce beatamente assopite. La stanza numero 200 non gli interessava, quindi la lasciò senza fare del male ai suoi occupanti. Un po’ gli dispiaceva però. Erano comunque dei ragazzi e i ragazzi portavano guai. Ma non essendo ragazzi, per la precisione due ragazze e un ragazzo, che lo avevano disturbato li lasciò dormire in pace. L’ultima stanza da controllare era la 202.
Guardò l’orologio appeso alla parete del corridoio del secondo piano, vicino all’ascensore, e si accorse che era quasi mezza notte. Un brivido di eccitazione lo percorse.
Gli costava un po’ ammetterlo, ma era contento. Non vedeva l’ora di scoprire il motivo di quell’invito da parte della ragazza dai lunghi capelli neri. Sua madre però lo richiamò all’ordine, ricordandogli che non aveva ancora finito il lavoro. Con uno sbuffo, il killer tornò all’opera e il minuto successivo era già nella camera delle sue vittime.
Talmente era preso dalla voglia di andare a controllare sotto l’oleandro bianco che non si curò più del suo piccolo metodo “aspetta che si sveglino e colpiscili prima che possano urlare”. Rinfoderò il machete e tirò fuori dalla tasca il coltello che aveva preso nelle cucine.
I ragazzi si erano divisi a coppie nei due letti della stanza, probabilmente erano due coppie di fidanzati. Tanto meglio per loro, si ritrovò a pensare l’omaccione con un pizzico di ironia che ogni tanto gli si presentava, se volevano stare insieme, lui li avrebbe fatti stare insieme per sempre.
In successione tagliò le gole ai quattro ragazzi, assicurandosi di fare dei tagli ben profondi, veloci, e di recidere le corde vocali dei primi tre, in modo da non svegliare l’ultima, una ragazza che per un attimo gli ricordò Jasmine, anche se solo per i capelli. Forse proprio per quella leggerissima somiglianza, Jason la tenne per ultima, ma il trattamento che ricevette fu identico a quello dei suoi amici. A turno tutti si svegliarono, aprirono gli occhi e le bocche, nel tentativo di urlare, senza però riuscire a fare nulla.
Il killer non era molto soddisfatto però. Gli piaceva essere creativo con i suoi metodi di uccisione, visto che era l’unica cosa, a parte resuscitare, che gli riusciva davvero bene. E invece in un’ora aveva sgozzato nella stessa identica maniera non una, non due, ma ben cinque persone.
Fortunatamente aveva ancora altri otto ragazzi e un uomo da eliminare. E forse si sarebbe aggiunto anche qualcun altro.
Jason lasciò cadere il coltello da cucina sul pavimento, non curandosene più ora che lo aveva usato, e si avviò verso casa della ragazza. Non sarebbe arrivato esattamente a mezzanotte, solo un pochino più tardi, ma la cosa sicuramente non sarebbe stata un problema.
Sparì nella foresta che la mezzanotte era appena scoccata, e Venerdì 13 era ufficialmente iniziato.

Jasmine si era concentrata parecchio sul gioco,, visto che non era più in voice chat, e alla fine coi suoi amici aveva vinto tutte le partite. Era talmente tanto assorta che non si era resa conto di che ora si fosse fatta. Stewart però non tardò a farglielo notare.

NightmareKing: Ehy Jas non dovresti andare adesso?

LadyChainsaw: In effetti è un po’ tardi, dovresti sbrigarti

Jasonette: Oddio ma sono già le undici meno un quarto?!

LadyChainsaw: I tuoi dormono già?

Jasonette: Sono andati a letto poco fa, non credo stiano già dormendo...hanno pure barricato le porte prima di andare, perché “non si sa mai”

Boogiegirl: Beh male non han fatto di certo

Jasonette: No, ma addio possibilità di uscire e rientrare senza dover passare dalla finestra

NightmareKing: E non hai le chiavi per aprire?

Jasonette: Sì, ma i miei non dormono ancora e le serrature non sono proprio silenziose…

NightmareKing: Allora ti conviene sbrigarti, non vorrai certo fare tardi al vostro primo appuntamento <3 XD

Boogiegirl: Che idiota XD

LadyChainsaw: Aaaww, che carini x3

Jasonette: Ah ah ah molto divertente

Jasonette: Vado, ci risentiamo tra poco su whatsapp

LadyChainsaw: Ok, a dopo

NightmareKing: Cya

Boogiegirl: Fai attenzione

Jasmine però non fece in tempo a leggere quegli ultimi messaggi, aveva già abbassato lo schermo del suo laptop per portarlo nella sua stanza. Pian piano passò davanti alla camera dei suoi genitori, giusto per assicurarsi se fossero ancora svegli o meno. Le luci erano spente e dentro era tutto buio, ma la voce di Anna arrivò presto alla figlia.
“Hai finito con quelle robe violente che voi giovani d’oggi chiamate intrattenimento?” Chiese con un tono ironico e fintamente scocciato.
“Per ora. Vado a dormire adesso. Buonanotte.” Rispose la ragazza, avviandosi nella sua stanza.
“Buonanotte” Risposero in coro entrambi i genitori.
“Ti vogliamo bene” Aggiunse subito dopo Anna.
E Jasmine si bloccò, immobilizzata davanti la soglia della sua camera. Un improvviso senso di colpa l’aveva presa in pieno petto.
“Vi voglio bene anche io” Pronunciare quelle parole le procurò una stretta al cuore. La sua coscienza si era finalmente risvegliata. Alla buon’ora!
Ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
Posò il PC sulla scrivania e andò ad accarezzare Finn sulla testa come faceva sempre per darsi coraggio. Il cane stava riposando tranquillo sul letto della ragazza, seguendone però attentamente i movimenti. Jasmine recuperò i doni e li mise sul davanzale della finestra, aprendola con un sospiro. Fece poggiare delicatamente, e soprattutto silenziosamente, ascia e busta con contenitore e biglietto sulla tettoia, poi scavalcò. Poi fece lo stesso per far arrivare tutto sul terreno, ringraziando anche l’aiuto di un cespuglio all’angolo della casa che attutì la caduta degli oggetti.
La giovane saltò giù, si guardò intorno senza però riuscire a scorgere nessuno, sistemò tutto per bene sotto l’oleandro e si riarrampicò, fino a tornarsene in stanza. Spense la luce, si mise a letto, senza curarsi di levare le coperte, e aggiornò gli amici, il tutto con quel persistente peso sul cuore.
Non rimaneva che aspettare, e così fece. Non se la sentiva di attendere alla finestra però, un po’ per l’ansia di star facendo un grosso sbaglio e un po’ perché parte di lei si sentiva leggermente in colpa per essere scappata da lui l’ultima volta.
Aspettò fino all’una, andando di tanto in tanto a controllare, ma senza riuscire mai a vederlo, quindi alla fine crollò addormentata senza sapere se Jason sarebbe arrivato o meno.

Ciò che la ragazza non sapeva era che Jason era già stato lì, ma non in uno dei momenti in cui lei era alla finestra. In ogni caso l’energumeno non si era trattenuto molto visto che aveva ancora da fare.
Era arrivato dieci minuti dopo lo scoccare della mezzanotte e, supponendo che in casa dormivano tutti visto che non c’era neanche una luce accesa, si diresse direttamente alla pianta designata.
Si abbassò e scostò i rami più bassi, scovando subito la busta di plastica e rimanendone un po’ stranito. Nella sua mente infantile si era creata l’idea di un classico pacco regalo, con la carta da scartare e il fiocco da sciogliere. Quando però aprì la busta e dentro vi trovò un contenitore trasparente pieno di muffin quell’iniziale idea – e quel pizzico di delusione che iniziava a formarsi – venne spazzata via. Erano anni e anni che non mangiava dei muffin. C’era anche un biglietto, ma quello lo avrebbe letto dopo, e lo lasciò nella busta insieme ai dolcetti.
Si abbassò di nuovo, avrebbe giurato di aver visto qualcos’altro sotto l’arbusto.
Quando tirò fuori la custodia infiocchettata, dalla forma capì subito di cosa si trattava e aprendola confermò il suo pensiero.
Sorrise sotto la vecchia maschera da hockey.
Sarebbe stato un compleanno molto interessante.

 

 

 

 

 

Angolo Autrice:

JOY TO THE WORLD! A NEW CHAPTER IS BORN!

Non ci posso credere, finalmente sono riuscita ad aggiornare questa storia nel giorno perfetto. Non è giugno, ma dettagli, ci accontentiamo lo stesso, no?

Chiedo perdono per l’attesa interminabile ma è stata un’annata pesante e scrivere era l’ultimo dei miei pensieri, purtroppo.

Non so quando verrà pubblicato il prossimo capitolo visto che voglio aggiornare anche la versione inglese di questa storia, spero comunque di non lasciare passare i secoli.

Secondo voi è il caso di cambiare rating? Se si parla di gore sono un po’ desensibilizzata ormai, specialmente se si parla di gore scritto e non visivo, quindi non so se è il caso di avere questa storia con il rating rosso o con quello arancione. Personalmente non credo di essere così brava da aver messo descrizioni da bollino rosso, ma chissà, datemi voi qualche consiglio :P

E se doveste trovare errori anche in quel caso non esitate a farmeli notare ^^

Visto che qui non le avevo ancora messe lascio due cosine che avevo creato un po’ di tempo fa per questa storia, e che con questo nuovo host che uso spuntano enormi...

Fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo capitolo!

A presto e buon Venerdì 13!

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Ubriaco ***


Capitolo 14 – Ubriaco



 

Era da poco passata la mezzanotte, Venerdì 13 Giugno, il giorno del suo compleanno, era appena iniziato e le prime vittime erano già state fatte. Jason avrebbe avuto da fare per il resto della notte probabilmente, sperando che i ragazzi mancanti all’appello si facessero vivi poco dopo il suo ritorno all’albergo. Prima doveva fare una veloce sosta a casa sua, aveva dei muffin da mettere al sicuro. Sarebbero stati la sua ricompensa una volta finito il lavoro.

Una volta arrivato al cottage malandato che era la sua dimora da tutta la vita si recò in cucina, facendo un po’ di spazio sul tavolo per poggiarci sopra la busta e la sua nuova ascia, scaraventando a terra i resti di svariati pasti. C’era sempre tempo per pulire, ma quello non era certo il momento adatto.

L’omaccione riaprì la busta di plastica, prendendo la lettera, sulla quale era stato scritto con un pennarello nero “Per Jason” e poco più sotto “Buon Compleanno”. Tirò fuori il foglio di carta al suo interno, iniziando a leggere. Il messaggio questa volta era un po’ più lungo, i segni lasciati dalla penna formavano righe di lettere a stampatello maiuscolo, chiare e ordinate.

 

“Ciao Jason.

Non ci siamo ancora presentati come si deve. Io ti conosco ma probabilmente tu non sai molto di me. Mi chiamo Jasmine e sono la tua nuova vicina, insieme ai miei genitori. Mio padre è un medico e qui in città ne serviva uno, così ci siamo trasferiti. Come avrai modo di vedere siamo una famiglia tranquilla e spero che riusciremo a convivere pacificamente.

Se le notizie che girano su di te sono vere questo è il tuo giorno. Spero che diventeremo amici, o almeno buoni vicini, quindi mi sembrava carino farti un regalo di compleanno. So che ti piacciono le armi da taglio, spero che ti piacciano anche i dolci.

Lo ammetto, l’ultima volta che ci siamo visti mi hai colto un po’ di sorpresa...

Ok mi hai spaventata parecchio, non era solo sorpresa.

La prossima volta che ci vediamo magari cerchiamo di mantenere entrambi la calma, ti va?

Intanto ti auguro di passare un buon compleanno.

Ci vediamo presto.

 

Jasmine

 

La firma era in corsivo, una calligrafia elegante ma ben leggibile. Jason apprezzava decisamente lo stampatello, lo aveva sempre trovato più facile e più veloce. La ragazza sapeva come guadagnare punti con lui, non c’era dubbio su questo. Decise che le avrebbe dato una possibilità, l’avrebbe lasciata vivere con la sua famiglia almeno per un altro po’,spinto da pura e semplice curiosità. Non era molto convinto da questa cosa dell’amicizia, non si fidava. Non aveva mai avuto amici lui, solo sua madre, e forse era meglio così. Se sei da solo non c’è nessuno che ti possa ferire. Aveva provato, anni prima, a farsi degli amici e la cosa era finita decisamente male, quindi aveva rinunciato.

Andò a mettere il biglietto insieme all’altro, fermandosi un attimo ad osservare la collana con la maschera. Se la mise in tasca, tornò a prendere l’ascia, togliendola dal fodero e legando il nastro attorno al manico. Era il suo primo regalo dopo decenni, voleva sfoggiarlo al meglio. Si rigirò la pesante arma tra le mani come se fosse leggerissima, testandone poi l’affilatezza e le capacità su una malcapitata sedia, già di suo malandata, riducendola ad un ammasso di legna buona solo per il fuoco. Soddisfatto fece per uscire di nuovo da casa, soffermandosi poi un momento sull’uscio. Quando finalmente uscì stava ingoiando l’ultimo boccone di uno dei muffin, calando la maschera di nuovo al suo posto. Erano davvero tanto buoni quanto sembravano.

Con insolita allegria, che però non mostrava, si diresse a passo svelto e sicuro verso quello che in mattinata sarebbe stato l’ennesimo luogo di massacro della zona. Generalmente non si spingeva fino alla città, tendeva a rimanere nella sua foresta. Ma se necessario sarebbe arrivato all’altro capo del mondo, per poi tornare a casa sua una volta finito il lavoro.

Arrivato a destinazione tornò nella hall, notando che non vi erano chiavi mancanti in più. Avrebbe dovuto aspettare ancora, quindi andò a nascondersi, come suo solito, al limitare del bosco, aspettando che qualcuno tornasse. Nessuno si era messo a campeggiare o a fare festa intorno al lago, quindi non aveva altro da fare se non stare in quella zona. Pensandoci meglio avrebbe dovuto portare con sé i dolcetti, almeno avrebbe avuto qualcosa da fare.

Quando finalmente qualcuno si fece vivo, era da solo. Un ragazzo barcollante si stava pian piano avvicinando, appoggiandosi a macchine parcheggiate, pali e muri per non cadere al passo successivo. Era ubriaco fradicio. Jason lo odiava.

“Uccidilo, Jason! Uccidilo ORA!” Lo spronò sua madre. Ubbidì senza farselo ripetere.

Viste le condizioni in cui era non ci sarebbe stato bisogno di un approccio silenzioso. Impugnò saldamente la sua ascia nuova con una mano, uscendo dal bosco e dirigendosi verso la figura.

Il ragazzo si accorse di lui solo per l’immensa ombra che improvvisamente lo aveva coperto. Girandosi, si trovò faccia a petto col famoso serial killer, sobbalzando per un attimo. Guardò in alto con lo sguardo annebbiato dall’alcol, confuso, poi sorpreso e alla fine divertito.

“Ehi amico, bella maschera. Anche tu festeggi Venerdì 13?”Disse, facendo arrivare a Jason una disgustosa ventata d’alito da alcolista. La cosa gli fece solo stringere di più l’ascia.

“Il tuo costume è proprio figo, sembri vero, tu si che sembri uno che sa come ci si diverte. Ti offrirei una birra ma mi sa che me le sono scolate tutte” Iniziò a ridacchiare a quella sottospecie di battuta, talmente tanto che per un pelo non perse l’equilibrio. Dovette appoggiarsi al braccio di Jason per non cadere a terra. Al killer questo non piacque affatto. “Oddio bello, credo di aver bevuto troppo. Mi aiuteresti a tornare in camera? Sto giusto in questa baracca qui” Continuò, indicando l’albergo dietro di lui con un gesto della mano.

Jason con uno strattone si liberò dalla debole presa del ragazzo, prendendolo poi per il retro della maglietta e trascinandolo sul retro, dietro dei bidoni per l’immondizia. Non poteva ammazzarlo davanti l’hotel o avrebbe allarmato quelli che sarebbero arrivati dopo di lui.

Il giovane non riusciva ad opporre la minima resistenza. Venne trascinato senza che potesse fare molto a parte dire qualche altra parola, perdendo l’equilibrio appena l’energumeno aveva afferrato la sua maglietta e aveva iniziato a tirarlo.

“Ehi ehi ehi! Dove vai amico?! L’ingresso è da quella parte!”

Jason lo mollò solo quando fu sicuro di essere in un punto ben protetto da occhi indiscreti. Il tizio si accasciò per terra, col fiatone.

“Dai, aiutami ad alzarmi o finirò per passare la notte qui.” Per tutta risposta Jason impugnò la sua ascia con entrambe le mani.

“Carina. È la tua ascia portafortuna? Te l’ha regalata la fidanzata per il compleanno?” Si mise di nuovo a ridere.

Jason alzò l’ascia sopra la sua testa, senza altro rumore se non il suo respiro che risuonava dentro la sua maschera.

“Ehi che cazzo fai?! Mettila giù!” Detto fatto, Jason calò l’ascia, dritta nello stomaco del ragazzo.

Quello rimase senza fiato, incapace di fare qualunque cosa tranne guardare l’arma conficcata tra le sue budella.

Jason la estrasse con facilità e l’altro emise un gemito strozzato. La maglietta prima grigia stava velocemente tingendosi di una tonalità scura di rosso.

L’ascia colpì di nuovo, staccando di netto un braccio. Poi il secondo, poi una gamba, poi l’altra. In tutto questo il giovane non riusciva ad emettere che rantoli e gemiti. Piangeva e aveva anche vomitato un po’. Se l’era persino fatta sotto.

Spostandosi al lato di quell’essere ancora per poco vivente, Jason alzò l’ascia per l’ultima volta, tagliandogli poi la testa e ponendo definitivamente fine alla vita del giovane.

Rimase qualche minuto ad osservare il suo operato, prima di far sparire le prove. Dopo poco tutto quello che restava era una pozza di sangue misto ad urina e vomito. Non era una bella vista e l’odore era anche più sgradevole. Jason si allontanò in fretta, tornando al suo punto d’osservazione.

 

 

Angolo Autrice:

 

Ciao a tutti!

Grazie all’obbligo di restare a case in questi giorni sto riuscendo a scrivere. Ho aggiornato la versione inglese della storia giusto ieri. Che soddisfazione riuscire a pubblicare di Venerdì 13 il capitolo 13 della fanfiction su Venerdì 13 ambientata di Venerdì 13. Ah ed era pure il mio compleanno, quindi alla grande! XD

Comunque, tornando a noi, questo capitolo è decisamente molto più breve del solito, ma visto che vorrei riuscire ad aggiornare più regolarmente entrambe le versioni della storia prima che l’emergenza finisca ho deciso che farò capitoli più brevi, quasi come se fossero di una o due scene. Così saranno più veloci da scrivere e tradurre.

Spero che questa storia continui a piacervi.

A presto!

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 Pt.1 - Slaughter Party ***


Capitolo 15 (Prima Parte) – Slaughter party




 

Erano circa le 2 quando tre ragazzi si avviarono verso l’albergo.

“Giuro che appena becco Jordan gli farò rimpiangere di essere nato.” Disse il primo.

“Sta calmo Drake, avrà sicuramente riportato il suo culo ubriaco in stanza.”

“Non dirmi di stare calmo, Chris! Non è la prima volta che quell’idiota si scola tutto un locale e poi sparisce.”

“La parte peggiore è che siamo sempre noi a dover pagare il conto e non si può mai essere sicuri che ti restituirà i soldi.” Intervenne il terzo.

“Eddai, Felix, è un poveraccio e voi due siete ricchi sfondati.”

“Questo non vuol dire che dobbiamo pagare noi per farlo sbronzare. Non mi sorprenderei se ci avesse pure lasciato fuori dalla camera mentre lui è dentro a dormire.”

I tre entrarono nell’albergo e Jason fu presto in azione, silenzioso come un’ombra. Entrò senza fare il minimo rumore, chiudendola allo stesso modo. Se anche fossero riusciti ad uscire, li avrebbe raggiunti, si lasciavano dietro una puzza di fumo particolarmente forte, ma preferiva sbrigare tutto subito.

Uno dei ragazzi, Drake se non aveva capito male, era dietro al bancone a cercare le chiavi della stanza, mentre gli altri due lo aspettavano lì davanti.

“Strano” Disse “Forse Jordan non è tornato ancora, la chiave è qui.” La prese e si girò, sbiancando istantaneamente e fissando un punto dietro i due amici. “Oh merda.”

“Che succede?” chiese Chris.

“Cazzo bello, dovresti vedere la tua faccia, pensavo reggessi meglio l’erba.” Lo derise Felix.

Vedendo che non rispondeva e continuava a fissare, apparentemente, il vuoto, gli altri due si girarono.

“Oh cazzo” dissero all’unisono.

Felix indietreggiò, inciampando sui suoi stessi piedi e finendo a tera di schiena, Chris invece, vedendo Jason alzare l’ascia verso l’amico a terra, con un veloce gesto afferrò una delle due lampade sul bancone, spaccandola sulla testa del gigante davanti a loro.

Jason sembrò a malapena accorgersene, ma per tutta risposta prese la seconda lampada, imitando il ragazzo. Chris però non resse il colpo altrettanto bene, cadendo stordito a terra. Non soddisfatto, Jason gli conficcò l’ascia in mezzo agli occhi.

Drake, urlandogli di stare lontano tra un impropero e l’altro, gli scaraventò addosso tutto quello che si trovava sotto mano, dalla tastiera del computer, al fermacarte, a una figura in terracotta di un pescatore. Jason lo prese dal suo lato del bancone, ignorando tutti gli oggetti che gli arrivavano addosso come moscerini contro un parabrezza. Afferrò il giovane per il collo, sollevandolo di trenta centimetri buoni da terra. Quello lo colpiva con calci e pugni, ma senza risultati. Jason stava per stringere la presa e soffocarlo, quando si accorse di una penna stilografica sulla scrivania. Sua madre ne aveva una molto simile, era ancora in casa, da qualche parte, probabilmente. Lasciò cadere l’ascia e afferrò la penna, facendone saltare via il tappo con il pollice. La osservò per qualche secondo, il ragazzo ancora nella sua morsa che si dimenava. Quando tornò a concentrare la sua attenzione su di lui, si immobilizzò. Non poteva vedere il sorrisetto che era spuntato a Jason, ma in qualche modo riuscì a percepirlo.

“No! No!” Urlò, ma Jason aveva già alzato e poi calato il braccio, infilandogli la penna dritta nell’occhio, spingendola poi sempre più a fondo nell’orbita.

Lasciò andare il corpo inerme, notando che l’ultimo ragazzo si era alzato e stava fuggendo verso la porta.

Il killer non ci pensò su, prese uno dei coltelli che si era portato e lo lanciò in direzione di Felix, colpendolo sulla nuca. Lui crollò a terra all’istante.

Ora non restava che decidere se lasciare tutto così o nascondere anche loro in attesa dell’arrivo degli altri.

 

Doooolce sognaaaar e lasciaaaaarsi cullaaaaar nell’incaaaaanto deeeeella noootteeeee”

Erano le 3.30 e un quartetto di giovani, alquanto brilli, si incamminava in direzione dell’hotel, cantando a squarciagola e in maniera molto stonata la colonna sonora de “Lilly e il Vagabondo”. Avevano formato una catena, facendo passare le braccia dietro la schiena degli amici e occupando tutto il marciapiede. Sophie e Cynthia al centro e i loro rispettivi fidanzati, Tyler e Phil, ai lati.

Qualcuno fece capolino da una finestra appena illuminata, sgridandoli in maniera molto colorita. Le due coppie ruppero la catena e corsero via ridacchiando, arrivando a destinazione dopo poco.

“Ehy Phil, vai un attimo alla macchina prima di entrare? Ho dimenticato il mio beauty case nel bagagliaio.” Richiese Cynthia.

“Va bene, tesoro. Voi iniziate ad andare, io vi raggiungo.” Il ragazzo si separò dagli amici, andando verso il parcheggio.

Il restante trio andò dritto verso la porta d’ingresso, ma stranamente la trovò chiusa. O meglio, sembrava bloccata dall’interno.

“Che strano...si sarà bloccata?” Chiese Sophie. La porta resta sempre aperta, per permettere a tutti i clienti di rientrare a proprio piacimento durante la notte. Non è una cosa molto comune, né molto sicura, ma a Crystal Lake raramente c’erano grossi crimini – eccetto quelli legati a Jason ovviamente – e in ogni caso non vi era nulla di valore che valesse la pena rubare lì. Il proprietario teneva tutti gli incassi in una cassaforte nascosta chissà dove.

“Sembra che sia stata sbarrata, si apre solo di qualche millimetro.” Tyler si appiccicò al vetro, cercando di vedere l’interno dell’edificio. “È tutto buio dentro, forse è saltata la corrente.”

“Che palle, dobbiamo chiamare qualcuno e farci venire ad aprire?” Sophie sbuffò, scocciata dal contrattempo.

“Magari c’è una porta di servizio aperta sul retro, possiamo provare a vedere. Così andiamo anche incontro a Phil.”

I tre si incamminarono quindi verso il parcheggio, ma quando arrivarono alla macchina desiderarono di non aver mai messo piede a Crystal Lake.

Il corpo di Phil era lì, davanti al bagaliaio, in ginocchio e appoggiato al veicolo. A terra e sulla carrozzeria un lago di sangue continuava ad allargarsi.

La testa però non era lì. Non si vedeva da nessuna parte.

Quando Jason aveva calato lo sportello sul suo collo più e più volte era rimasta chiusa dentro al bagagliaio.

 

 

 





 

Angolo Autrice:

 

Ciao a tutti!

Sono di nuovo in ritardo, perdonatemi, ma lo studio si è nuovamente messo in mezzo più prepotentemente di quando frequentavo attivamente.

Capitolo corto, non ero partita con questa intenzione, ma la frase che ho usato alla fine mi sembrava perfetta come chiusura piena di suspense quindi ho deciso di dividere il capitolo in due, anche perché volevo aggiornare già da un po’.

La seconda parte sarà più lunga, non temete!

Alla prossima!

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 15 Pt.2 - Slaughter Party ***


Capitolo 15 (Seconda Parte)  – Slaughter party 


 

Jason era ancora lì, appostato dietro i cespugli, pronto a scattare per ghermire la sua prossima vittima. L’ascia pronta in una mano e il pugno dell’altra stretto, leggermente tremante per l’agitazione – positiva – che la caccia gli stava dando quella notte. Nessuno sarebbe sopravvissuto, non stavolta. I tre ragazzi rimasti erano talmente sconvolti dalla scena che non emisero fiato, anzi sembrava stessero trattenendo il respiro, poi una delle due femmine, la fidanzata, iniziò a tremare sempre più forte, finché non scoppiò a piangere, un pianto disperato misto ad urla, chiamando il nome del ragazzo decapitato. L’amica l’abbracciava forte, cercando di consolarla ma senza riuscire a dire niente. Lei e il suo ragazzo potevano solo fissare la pozza rossa allargarsi sempre di più.

Fu in quel momento che Jason sbucò fuori dal suo nascondiglio, quando le urla della ragazza si stavano facendo un po’ troppo forti per i suoi gusti. Il ragazzò ritrovò la parola e spronò le amiche a fuggire.

“Via! Via!” Si girò ed iniziò a scappare, prese la fidanzata per il bracciò e la tirò via, mentre lei perdeva la presa sull’amica, che rimase indietro ed immobile, alla mercè del killer.

Ma lui non ebbe nessun riguardo per lei, se non quello di ucciderla in fretta. Rimase per pochi attimi fermo davanti a lei, inginocchiata sull’asfalto, guardandola negli occhi, solo il tempo necessario a decidere che metodo usare per quella esecuzione. Scelse in fretta, tirando fuori dal fodero il suo machete e decapitando anche lei, come il suo fidanzato. Poi si mise ad inseguire l’altra coppia, che si era diretta alla porta sul retro. Fortunatamente aveva provveduto a bloccare anche quella.

 

Tyler stava prendendo a spallate la porta, cercando con tutte le sue forze di farla aprire, mentre Sophie provava a tirarlo via, guardandosi compulsivamente intorno.

“Ti prego andiamo via! È chiusa, non riusciremo mai a sfondarla! Dobbiamo entrare dall’ingresso principale!”

“Maledizione!” Tyler sferrò un ultimo calcio alla porta, imprecando subito dopo per il dolore che si era causato da solo. “Va bene, facciamo il giro dall’alto lat-SCAPPA!” La spinse via improvvisamente, avendo visto Jason voltare l’angolo mente rinfoderava il machete.

La ragazza cacciò un urlo e iniziò a correre via, seguita da lui che le stava dietro.

“Non voltarti! Corri!” La spronava lui, e fu proprio lui a venir preso per primo.

Jason lo afferrò per il retro della camicia, strattonandolo all’indietro. Lo fece girare su sé stesso come fosse un bambolotto e gli prese la testa tra le mani, iniziando a far pressione sul cranio. Anche questa volta, a nulla valsero le urla di dolore del giovane. Alla fine le ossa cedettero all’inumana forza dell’assassino più famoso dello stato.

Mollò la presa, spingendo via da sé il corpo come se fosse qualcosa di estremamente disgustoso, e tornò ad inseguire l’ultima ragazza. Doveva sbrigarsi, non voleva che svegliasse qualcuno. Sapeva che la polizia avrebbe scoperto presto quello che era successo, ma prima che ciò accadesse voleva finire il lavoro senza essere disturbato.

Raggiunse la giovane, che stava chiamando aiuto mentre cercava di rompere il vetro della porta d’ingresso. Voleva entrare? Jason era più che felice di darle una mano.

Afferrandola per il collo e per una gamba, la scaraventò contro una delle grandi finestre, che finì immediatamente in frantumi insieme all’intelaiatura.

Nonostante il dolore causato dalla caduta e dai vari tagli appena procurati, Sophie cercò di mettersi in piedi quanto prima, continuando a gridare aiuto più forte che poteva, incurante delle schegge che le premevano nella carne di mani e gambe.

Si rese però conto di non riuscire a correre, né tanto meno a camminare decentemente, non appena riuscì a riguadagnare la posizione eretta, a causa di una lama di vetro penetrata in profondità nella gamba. Ora che l’aveva notata, quella era la ferita che più le provocava dolore, impedendole di fare anche solo un passo. Non aveva tempo di tirarla fuori e sicuramente non poteva restare lì immobile, dato che Jason stava scavalcando ciò che restava della finestra del tutto incurante degli acuminati pezzi di legno e vetro.

Prese un respiro profondo, cercando con tutte le sue forze di ignorare le fitte lancinanti e di non cadere. L’unico posto dove poteva trovare qualcuno che potesse aiutala era al piano superiore, quindi si diresse, arrancando il più velocemente possibile, su per le scale.

Non riuscì ad arrivare in cima alla prima rampa che inciampò, sbattendo le ginocchia sui gradini. Il dolore era così forte che neanche le urla riuscivano più ad uscirle di bocca. Proseguì la sua salita in quella posizione, trascinandosi su solo di un paio di gradini, poiché qualcosa, o meglio qualcuno, la prese per la caviglia, tirandola di nuovo verso il basso.

Con un’ultima scarica di adrenalina provò a far mollare la presa al suo assalitore, scalciando e dimenticando per un attimo il dolore. Ma senza risultati.

Venne trascinata ancora un po’ più giù e, quando venne lasciata, l’ultima cosa che vide fu la suola di uno scarpone che le schiacciava la testa contro un gradino.

 

Jason fu molto soddisfatto del suo operato e sentiva la voce di sua madre che si congratulava con lui, orgogliosa. “Bravo il mio bambino. La mamma è molto fiera di te. Ora vai, non hai ancora finito.” Lui annuì, mancava ancora una persona e avrebbe reso questo ultimo lavoretto un capolavoro.

Si diresse nella zona più centrale della città, passando da vicoli e strade secondarie, assicurandosi di non essere visto da nessuno. Arrivato al negozio della guida fasulla, andò sul retro. Voleva prendersela un po’ più comoda con lui, quindi doveva stare ancora più attento a non allarmare nessuno.

Nella strada sul retro, completamente buia, non gli fu difficile trovare la porta che gli serviva. Ne forzò la serratura con facilità, era alquanto vecchia, e si trovò davanti la rampa di scale che portava a casa del negoziante e la porta, decisamente più nuova della precedente, per il suo luogo di lavoro.

Al piano superiore l’accesso all’appartamento era stato lasciato aperto, quindi Jason non ebbe problemi ad arrivare alla camera da letto dell’uomo. Da quel che aveva visto, non importava se si fosse messo a gridare. Quella era una zona commerciale e gli unici palazzi con abitazioni erano abbastanza lontani da non accorgersi di eventuali richieste di aiuto.

Jason era disgustato dall’uomo che dormiva ignaro davanti a lui, completamente nudo se non per un paio di boxer. La rabbia lo invase e seppe immediatamente cosa fare. Quell’uomo doveva soffrire, gliel’avrebbe fatta pagare molto cara per gli anni che aveva passato facendo entrare chiunque nel suo territorio, per non parlare del fatto che li portava anche alla tomba di sua madre. Jason era a dir poco furioso, una rabbia decisamente diversa dalla solita.

Lo afferrò per una caviglia e lo tirò giù dal letto, facendogli sbattere la testa sul pavimento.

Non usò armi quella volta, né il machete né tanto meno l’ascia. Fece tutto da solo. E si divertì parecchio nel farlo.

Quando ebbe finito, e dopo aver ammirato il tutto, recuperò l’ascia, che aveva momentaneamente appoggiato di lato, e si diresse verso casa della ragazza. A quel punto aveva già preso una decisione.

 

Jasmine si svegliò appena in tempo per poter fare colazione con i suoi genitori, grazie a un Finn stranamente agitato che le leccava la faccia.

“Va bene, va bene, sono sveglia” lo accarezzò sulla testa, poi lui si diresse verso la finestra aperta, abbaiando una volta sola in quella direzione.

Qualcosa che brillava al sole, appoggiato sul davanzale, la accecò per un attimo. Si alzò dal letto per andarlo ad esaminare e improvvisamente fu felicissima di quella sveglia non proprio tranquilla.

Prese in mano l’oggetto luccicante, niente meno che la collana con la maschera da hockey che aveva perso. Sorrise e se la strinse al petto, saltellando per la stanza come solo una fangirl potrebbe fare. Se la collana era lì, era sicuramente merito di Jason, non c’erano dubbi. E se lei stessa, insieme alla sua famiglia, era ancora lì viva e vegeta, era sicuramente perché Jason era rimasto contento del suo regalo. Guardò fuori dalla finestra, aspettandosi quasi di vederlo, ma non trovò nessuno. Gran parte della felicità del momento sparì però, quando vide una macchia rossa, che prima non aveva notato, sul legno bianco al lato della finestra. Si sporse un po’ di più per vedere meglio, e confermò il suo sospetto: era l’impronta di una mano, una piuttosto grande, ed era sicuramente sangue.

Ebbe un tuffo al cuore, nonostante sapesse bene a cosa andava incontro quando decise di dargli l’ascia. Avrebbe dovuto aspettarselo, anzi se lo aspettava, ma ora che era tutto reale e non più solo una possibilità, la cosa le sembrò decisamente più preoccupante. Qualcuno ci aveva rimesso la pelle quella notte, e lei si sentiva responsabile. Non le piacevano le persone, ma questo non voleva certo dire che voleva vederli tutti morti.

Il flusso di pensieri colpevoli venne interrotto dal rumore della porta del bagno che si apriva. Strinse il davanzale fino a farsi sbiancare le nocche. Doveva mantenere la calma, non poteva far notare niente ai suoi genitori.

Suo padre fece capolino dalla porta.

“Guarda un po’ chi ha deciso di fare la mattiniera. Ti godi la vista, dormigliona?”

Lei si girò, sorridendo. “È una bella giornata, è un peccato sprecarla dormendo.”

“E tua madre a fatto i waffles, quindi è ancora più bella! Sbrigati a scendere, così facciamo colazione insieme prima di andare a lavoro.”

“Arrivo subito, vado un attimo in bagno prima.” Disse, infilandosi un paio di infradito.

Quando fu sicura che suo padre non poteva vederla, lasciò cadere la sua maschera, tornando preoccupata. Guardò la collana che aveva nascosto nella mano, sorprendendosi del fatto che non aveva nessuna traccia rossa, per poi lasciarla sul comodino.

Prese un respiro profondo, si fece coraggio e scese in cucina, di nuovo apparentemente contenta.

Il solo odore dei waffles di sua madre bastò a tranquillizzarla, così fu in grado, nonostante tutto, di godersi quella bella colazione in famiglia.

Per i suoi genitori fu presto il momento di andare a lavoro, quindi li accompagnò alla porta per salutarli.

“Fate attenzione, mi raccomando.” Si fece scappare alla fine, beccandosi le occhiate stranite dei suoi genitori. “Oggi è Venerdì 13, ricordate?” dovette spiegare.

Gli sguardi dei due si fecero decisamente più nervosi.

“Ma allora vieni in città con noi! Non mi va di lasciarti a casa da sola!” Disse sua madre, protettiva.

Jasmine sorrise di nuovo, rassicurante. “Non vi preoccupate, il tempo di prepararmi e poi pensavo di andare a fare un giro in bici in città. Non l’ho ancora vista tutta, magari oggi esplorerò un’altra zona.”

Anna tirò un sospiro di sollievo “D’accordo, allora fa presto, va bene? Vieni a pranzo da me, oggi facciamo la pasta alla Bolognese. Appena il proprietario ha saputo che sono italiana mi ha chiesto di prepararla nel modo tradizionale.”

“Allora non posso proprio rifiutare!” Scherzò lei.

“Se riesco a liberarmi allora vengo anche io durante la pausa. Non vorrei perdermi una tale occasione!” Si aggiunse Robert, baciando la moglie sulla guancia. “Ora però andiamo o faremo tardi.”

Così si salutarono, e Jasmine rimase a guardare la macchina andar via e sparire tra gli alberi. A quel punto, andò a controllare la ringhiera del portico, nello stesso punto che aveva usato lei per risalire la sera prima.

Non fu sorpresa nel trovare due impronte di scarponi, anch’esse con del rosso, sul legno. Corse dentro a prendere uno strofinaccio, inumidendolo. Sperava davvero che il sangue non fosse troppo secco, o avrebbe dovuto passarci sopra della vernice. Fortunatamente ce n’era ancora di quella avanzata dai lavori, in cantina.

Non si rivelò necessaria comunque, con un po’ di olio di gomito, e dello sgrassatore, riuscì a pulire per bene sia la ringhiera che la finestra e poi, per sicurezza, disinfettò anche la collana.

Con ritrovata energia decise che era il momento buono per uscire e dirigersi in città. Quando arrivò alla fontana dell’altra volta per far bere Finn, che come sempre l’aveva seguita correndo dietro alla bici, non si aspettava di vedere tre volanti della polizia, un’ambulanza, e un’incredibile folla di fronte al negozio di quella sottospecie di guida.

Mise il guinzaglio a Finn e si avviò verso la confusione, intrufolandosi tra la gente.

“Se l’è andata a cercare.” Sentì dire da una voce maschile.

“Nessuno merita una fine del genere, è orribile!” Rispose una femminile.

“Mamma, mamma! Chi è morto? È stato Jason?” Chiese un bambino.

“Ho sentito dire da uno degli agenti che è stato fatto completamente a pezzi!”

Le voci erano accavallate, ma Jasmine stava sentendo tutto fin troppo bene.

“Io ero qui con quello che ha chiamato la polizia! C’era la sua testa infilzata su un forcone davanti la porta!”

“Oddio! Davvero?!”

“Sì! L’hanno portata via appena arrivati, ma quella cosa non si poteva più definire testa! Non c’erano gli occhi e sembrava schiacciata come una lattina!”

“Adesso basta!” Intervenne un agente “Andate via, non c’è niente da vedere!”

Jasmine era riuscita intanto ad arrivare al nastro giallo che recintava la zona del delitto.

“Anche all’albergo è un disastro, sono morte una sacco di persone, tanti ragazzi.”

“Sì! Due sono stati decapitati!”

Poi un signore, accanto a lei, le rivolse la parola. “Non è un bello spettacolo per una ragazza della tua età. Fidati di me, vai a casa e abbraccia i tuoi.”

Se ne aggiunse un alto. “Vero, lì dentro hanno trovato più sangue che vernice sulle pareti.”

Non riusciva a credere ai suoi occhi, né alle sue orecchie. Non potè fare altro che sbarrare gli occhi e impallidire a quella vista, per quanto sapesse che non era che una piccolissima parte di tutto quello che era successo.

La porta era stata buttata giù e tutto il vetro era in frantumi sul marciapiede.

C’era un sacco di sangue davanti all’ingresso, lo stesso sangue che lei sentiva sulle sue mani.

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice

 

Ciao a tutti!

Sono riuscita ad aggiornare non solo dopo un periodo di tempo decente, ma anche nel giorno perfetto!

Tanti auguri a Jason! Non sarà Venerdì (peccato, visto che è sabato) ma è comunque il 13 Giugno!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e che io sia riuscita a rendere bene il tutto. Jason era parecchio ispirato a quanto pare, oltre che arrabbiato.

Ma è il suo giorno speciale, quindi gli possiamo perdonare tutto, vero? XD

Vi lascio anche un altro degli aesthetic che ho fatto, spero vi piaccia!

Il momento dell’incontro face to mask è sempre più vicino!

Stay tuned!

Alla prossima! <3

 

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 16 - Nuove amicizie ***


Capitolo 16 – Nuove amicizie

 

Jasmine si rese finalmente conto in quel preciso istante che Jason era arrivato alla sua finestra aperta dopo aver compiuto un massacro. Aveva lasciato tacce che potrebbero ricondurre a lei, oltre a quelle di sangue sulla finestra e sulla ringhiera del portico? Se avesse voluto far fuori la sua famiglia, Jasmine gli aveva servito tutti su un piatto d’argento, se stessa compresa.

Per quanto non le interessasse poi molto della guida fasulla, la fine che Jason gli aveva fatto fare era davvero atroce, e chissà quanti altri erano morti quella notte grazie anche all’aiuto che lei gli aveva dato. Certo, Jason avrebbe fatto lo stesso con o senza di lei, ma quello che lei aveva inteso come un semplice gesto per mettersi in buona luce, avrebbe anche potuto causare a lei e ai suoi non pochi guai. Cosa sarebbe successo se la polizia avesse usato i cani e fosse arrivata davanti casa sua? E se Jason avesse lasciato l’ascia da qualche parte e avessero trovato anche le sue impronte oltre a quelle del killer?

La ragazza si sentiva osservata, giudicata. Nessuno lì la stava guardando in realtà, erano tutti troppo impegnati ad osservare la scena del crimine, ma lei percepiva sguardi disprezzanti tutti addosso a lei, portandole alla mente vecchi ricordi non proprio piacevoli. Non poteva trattenersi ancora lì, non voleva. Con lo sguardo fisso per terra e i capelli che le nascondevano i lati del volto, si fece strada tra la folla, con Finn a seguirla subito dietro di lei. La sua “fuga” non durò molto però, visto che andò a sbattere contro qualcuno.

“Mi scusi!” Dissero due voci all’unisono, la sua e un’altra maschile e decisamente familiare.

Alzò lo sguardo, incrociando quello decisamente stanco e sorpreso di Mike.

“Jasmine!” Esclamò il ragazzo, che non si aspettava di trovarla lì. “Ciao, cosa ci fai qui?”

“Oh, ehm, ciao… Io...Ero venuta a fare un giro in città, ma poi…” Rispose, con non poco nervosismo nella voce. Il suo sguardo tornò alla porta distrutta e al nastro giallo che delimitava la scena.

“Già...bel casino…” I due restarono a guardare la scena per qualche istante, mentre due agenti disperdevano la folla. Qualcuno, un altro agente, si avvicinò ai due ragazzi.

“Ehi Mike, tuo padre ti vuole all’albergo, hanno trovato l’altro ragazzo”

“Vivo?” Chiese subito l’interessato, speranzoso.

Il collega scosse la testa in segno negativo, andando a dare la notizia agli altri poliziotti.

Mike sospirò, passandosi una mano sul volto stressato, per poi rivolgersi a Jasmine.

“Mi spiace continuare ad incontrarti sempre al momento sbagliato, che a quanto pare è anche sempre nello stesso posto.”

Jasmine, che fino a quel momento era rimasta ad ascoltare e osservare scosse la testa. “Ma no, figurati. Magari sono io che scelgo di spuntare nei momenti meno opportuni.” Rispose sorridendogli leggermente, cercando di sdrammatizzare un po’.

“Comunque devo andare quindi… ci si vede in giro?”

“Sì, certo. Allora ciao, e...buon lavoro.”

Entrambi si voltarono e iniziarono ad incamminarsi ognuno per la propria strada. Mike però si fermò quasi subito, richiamando la ragazza.

“Ehi Jasmine!” La raggiunse di nuovo, arrossendo leggermente. “Io...sarei libero per un po’ a pranzo, ti va se...prendiamo qualcosa insieme?”

La ragazza, presa un po’ alla sprovvista e con ben altro a cui pensare, non riuscì a dirgli di no, anche perché Mike sembrava essere davvero un bravo ragazzo e lo sguardo speranzoso con cui la fissava non aiutava.

“Sì, va bene.” Gli sorrise. “Ti va bene all’Angolo Rosso? Devo andarci comunque per vedermi con i miei, perciò...”

“Sì sì, va benissimo!” Si affrettò a dire lui, sorridendo. “Va bene all’una?”

“Perfetto.”

“Ok! Allora a dopo!”

“A dopo!” Stavolta fu lei a guardare andare via il ragazzo.

Tornò alla sua bici, con l’impressione di aver appena migliorato la giornata, fino a quel momento decisamente pessima, di Mike.

“Qualcuno sembrava parecchio contento, vero Finn?” Per tutta risposta, il cane emise uno sbuffo che rallegrò di più la sua padrona. “Andiamo, su.”

Salì sulla bici, decisa a trovare un posticino tranquillo dove poter riflettere senza dover però tornare a casa sua.

Dopo aver girato un quartiere che non aveva visto la volta precedente, decise di fermarsi ad un panificio all’angolo della strada. C’erano un paio di tavolini fuori che, insieme al meraviglioso profumo di dolci appena sfornati, sembravano chiamarla. Questo, unito al fatto che l’ansia le faceva venire una gran fame, la spinse ad entrare per uno spuntino di metà mattina, nonostante l’ottima colazione che aveva già fatto. In un paio di minuti si ritrovò seduta con un succo di frutta in una mano, un cornetto al cioccolato nell’altra, mille pensieri per la testa e Finn che rosicchiava un grissino(*) sotto la sua sedia.

Doveva capire cosa fare adesso, cercare di pensare a tutte le alternative possibili. Ma da quale iniziare per prima?

Innanzitutto, Jason era arrivato letteralmente a pochi metri da lei durante la notte, dopo un massacro, e aveva deciso di non fare del male né a lei, né ai suoi genitori, né a Finn. Visto che si trattava di un Venerdì 13, e dato quello che lei stessa aveva visto al lago e al cimitero, nonostante lei non fosse a conoscenza della presenza di Jason nel secondo caso, non la sorprendeva affatto che fosse successo tutto questo. La falsa guida non era che la ciliegina sulla torta, dato che generalmente, o almeno da quello che sapeva lei, Jason era un tipo più pratico che teatrale. Era evidente che aveva usato l’uomo per mandare a tutti un messaggio molto chiaro, l’unica cosa che poteva sorprendere era che il killer avesse impiegato più tempo del solito a punirlo.

Era quindi logico per lei pensare che il resto delle vittime fossero i turisti dell’altro giorno.

Jason non sembrava avercela con lei dunque e Jasmine tirò un sospiro di sollievo. Ora aveva un problema, un grosso problema, in meno. Il regalo era stato apprezzato, o quanto meno il gesto simbolico, senza passare per ruffiana. Restava da vedere se l’offerta di amicizia sarebbe stata accettata, o per lo meno quella di pacifica convivenza. Voleva davvero avere il famigerato Jason Voorhees come amico, dopo gli eventi dell’ultima notte? Sì, certo che voleva. Come aveva sempre voluto del resto. Quel che faceva lo sapeva da parecchio, le due ragazze al lago erano state solo la punta dell’iceberg. Se avesse cambiato idea adesso sarebbe stata solo un’ipocrita.

Era anche vero che non si sarebbe di certo messa a costringere Jason ad accettarla come amica. Lei il primo passo lo aveva fatto, ma non era abbastanza sicura che lo avesse fatto lui. Le aveva riportato la collana, ma magari era solo il suo modo di ringraziare, senza altre implicazioni.

Per il momento, era più che sufficiente. Quindi adesso il problema che restava era un altro.

Se lui avesse lasciato l’arma da qualche parte e la polizia fosse riuscita a risalire a lei? Se le indagini avessero portato a casa sua? Bisognava trovare una scusa valida. Per un attimo si immaginò uno sconvoltissimo Mike che la guardava mentre veniva arrestata. Non era un pensiero che voleva vedere trasformato in realtà.

L’ascia? Poteva dire di averla trovata e lasciata nel garage, lei di certo non aveva cosa farsene, ma poi era sparita. Pensava l’avesse messa via suo padre.

Una pista che passava da casa sua? Era notte, nel mezzo del bosco, e stavano dormendo tutti in casa. Se qualcuno fosse entrato, Finn li avrebbe svegliati, ma difficilmente il cane, abituato alla città, avrebbe prestato attenzione ai rumori esterni.

Jason però era arrivato fino alla finestra, quindi era come se fosse dentro casa. E visto come aveva abbaiato Finn al lago, era molto strano che non lo avesse fatto durante la notte con un estraneo, che li aveva inseguiti, così vicino.

Jasmine guardò il cane, cercando di darsi una spiegazione. Che non si fosse accorto di niente? Non era da escludere che Jason avesse un passo felpato, anzi era molto probabile. Si convinse che questa era la spiegazione migliore, tanto non avrebbe comunque avuto modo di sapere il contrario, giusto?

Fu in quel momento che un pensiero la colpì. Il sistema di videosorveglianza! Come aveva fatto a non pensarci prima?! Le sarebbe bastato controllare i filmati per scoprire se Jason era stato registrato da qualche telecamera. Non aveva idea di quali fossero le angolazioni precise di tutte, era solo sicura di quella che riprendeva il portico e la stradina che portava alla strada principale, ma avrebbe presto sopperito a quella mancanza. Avrebbe dovuto farlo mentre era da sola però, non voleva rischiare che i suoi si accorgessero delle sue…attività illecite.

Finì la merenda restante in fretta e furia, voleva tornare a casa e sistemare subito la faccenda. Arrivata però quasi all’uscita della città si fermò. Guardava gli alberi della foresta con diffidenza e agitazione. Non voleva tornare a casa da sola, non adesso. Avrebbe dovuto farlo dopo, sì, ma in quel momento non le sembrava affatto una buona idea. Si stava finalmente facendo condizionare dagli eventi delle ultime ore? Forse, ma non se la sentiva di chiamare quello che stava provando in quel momento “paura”. Agitazione o nervosismo magari sì, ma in realtà non se la sentiva di controllare quei filmati per ora. Cosa avrebbe fatto se Jason fosse stato ripreso davvero?

I suoi scoprendolo sarebbero andati nel panico, non avrebbero voluto restare un minuto di più in quella casa, se non addirittura in quella città. E probabilmente sua madre aveva già ricevuto la notizia dell’accaduto, quindi chissà come avrebbe potuto reagire sapendo che la stessa persona che aveva commesso tutti quegli omicidi in così poco tempo era stata a casa sua, la stessa persona che sua figlia aveva come idolo indiscusso.

Avrebbe dovuto cancellare i filmati, ma se l’avessero scoperta? Non era di certo un hacker o un’esperta di informatica, quello era il talento del suo amico Stuart.

Ma certo, Stuart! Avrebbe potuto chiedere consiglio a lui! Lei non avrebbe saputo da dove iniziare, ma sicuramente lui sì.

Prese il cellulare per mandargli un messaggio, rendendosi però conto delle tre chiamate perse da parte di sua madre e dei dodici messaggi. Aveva dimenticato il cellulare in modalità silenziosa.

“Maledizione” le sfuggì sottovoce. Aprì la chat, leggendo i vari “Richiamami” “Tutto bene?” “Perché non rispondi?” “Non farmi preoccupare!”. Decise che la cosa migliore era andare direttamente da lei, nonostante mancasse ancora più di un’ora per il pranzo, almeno per farle vedere che era ancora viva e vegeta.

Scrisse un messaggio a Stuart. “Come te la cavi coi sistemi di videosorveglianza? Potrebbe servirmi una mano più tardi.”

Fatto ciò, ripercorse la strada all’indietro verso il luogo di lavoro di sua madre, con un cane alquanto confuso che le andava dietro.

Arrivò finalmente davanti al locale, capendo subito perché lo avessero chiamato “Angolo Rosso”. Si trovava all’angolo tra la strada principale della città e quella che portava al poco distante ospedale. Le pareti esterne dell’edificio erano dipinte di un bel rosso acceso, lo stesso che si trovava su tutti i mobili e gli oggetti d’arredamento all’interno da quel che poteva vedere dalla vetrata. Solo le pareti ed il pavimento erano stati lasciati bianchi. Ora, non che il rosso non le piacesse, ma così le sembrava un po’ troppo.

Lasciò la bicicletta legata all’apposita postazione e mise il guinzaglio a Finn, notando piacevolmente che i cani erano ammessi solo se con quello. Il suo ingresso fu annunciato dal suono di un campanello sopra la sua testa, che fece voltare verso di lei un paio di teste, disturbando la musica jazz di sottofondo.

Le due cameriere in tenuta da lavoro full-red, una ragazza più grande di lei e una signora decisamente più vecchia di sua madre le rivolsero un sorriso e un cordiale “Buongiorno” in coro.

“Salve” rispose la ragazza. “Sono la figlia di Anna, è impegnata o posso vederla?”

“Oh! Tu devi essere Jasmine allora!” Esclamò la signora, alquanto felice del suo arrivo “Tua madre non ha fatto che palare di te tutta la mattina, tesoro! Non dovresti farla stare così in pensiero!”

Jasmine arrossì leggermente sulle guance, sperando che sua madre non avesse parlato poi così tanto.

“Abbiamo dovuto trattenerla dal correre a cercarti, sai? Era parecchio preoccupata per quello che è successo stanotte.” Le fece sapere la cameriera più giovane.

“Sì, avete ragione. Mi spiace, avevo dimenticato il telefono in silenzioso e non l’ho toccato per tutta la mattina.”

“Benedetta ragazza, finalmente qualcuno che non è ossessionato dalla tecnologia!” Disse la signora, andando verso quella che Jas supponeva fosse la cucina, probabilmente a chiamare sua madre.

L’altra ragazza aprì la bocca per dirle qualcosa, ma venne chiamata ad un tavolo da alcuni clienti, dai quali si diresse senza dire altro.

Anna non tardò a precipitasi fuori dalla cucina, anche lei vestita totalmente di rosso ma con una cuffia bianca in testa. Probabilmente stava preparando il pranzo, non mancava molto all’ora di punta ormai.

“Jasmine!” La donna corse ad abbracciare la figlia, che si sentì improvvisamente in forte imbarazzo davanti alle effusioni materne, tutte abbracci e baci sulle guance. “Perchè non rispondevi?! Stai bene? Mi hai fatta preoccupare da morire!”

“Mamma! Dai, ti prego! Sto bene, che mi doveva succedere?” Cercò di divincolarsi dalle braccia della madre, e soprattutto di sfuggire dal suo sguardo finalmente sollevato.

“Non farmi mai più una cosa del genere! Hai visto cosa è successo stanotte?! Io-” Fortunatamente si bloccò prima di finire la frase. “Io lo sapevo che non dovevamo venie qui” stava per dire, ma si trattenne. L’occhiata preoccupata ed eloquente della figlia, che aveva capitò, bastò a bloccarla e a farle recuperare una certa compostezza.

Finalmente lasciò andare la ragazza, che potè riprendere fiato.

“Scusa, mamma. Mi dispiace.” Disse, sincera. “Ho...sentito quello che è successo, non si parla d’altro” continuò facendosi triste. Non poteva dirle per ora di essere stata alla scena del crimine, o avrebbe fatto un’altra scenata. Anche lei cercava di non pensarci, e soprattutto di dimenticare quella enorme macchia rosso scuro sul marciapiede. A quel pensiero, tutto il rosso che aveva intorno le fece venire un nodo alla gola. Guardò in basso, non voleva mostrare a sua madre il suo disagio.

“Ah! Più tardi mi vedo qui con Mike, il figlio dello sceriffo.” Cambiò argomento, mostrandosi di nuovo calma. “Te lo ricordi, vero?”

“Quel bel ragazzo che è venuto a trovarci il primo giorno? Certo che mi ricordo di lui!” Anna le sorrise, ammiccando.

“Mamma! Ti prego, non iniziare!”

“Cosa? Che ho detto?” La donna rise. “Allora siediti da qualche parte, appena arriva vi porto da mangiare” Tornò in cucina, non prima di averle rivolto un altro occhiolino però.

Jasmine sospirò rassegnata. Quella donna era incorreggibile. Si andò a sedere ad un tavolo per due accanto ad una delle vetrate, rivolgendo un sorriso imbarazzato alle due cameriere, che avevano ascoltato tutta la conversazione. La ragazza sbuffò appena diede loro le spalle, non vedendo di buon occhio chi non sapeva farsi i fatti propri. Del resto non era neanche tutta colpa loro però, visto che sua madre non si era esattamente messa a sussurrare.

Sistemò per terra la ciotola da passeggio di Finn, riempiendola d’acqua, che l’animale si affrettò a bere. Tirò fuori il cellulare, notando che Stuart le aveva risposto.

 

Stuart: Oddio Jas...che hai combinato?

Jasmine: No niente...volevo controllare i filmati delle telecamere attorno alla casa, in caso abbiano ripreso qualcosa di interessante.

Stuart: MA ALLORA HA PRESO DAVVERO IL TUO REGALO?!

Jasmine: Certo che sì! La cosa sorprendente semmai è che siamo ancora tutti vivi in famiglia.

Stuart: Non dirmi che ha ammazzato qualcuno stanotte…

Jasmine: Che ti aspettavi? È Venerdì 13, ha visto gente totalmente estranea farsi selfie davanti la tomba di sua madre, era sicuro che qualcuno ci avrebbe lasciato le penne…

Jasmine: Non mi aspettavo che riuscisse a prenderli proprio tutti però...non si parla d’altro in città

Jasmine: comunque, ve ne parlo dopo sul gruppo, forse avrò qualche notizia in più. Per ora dimmi solo se è possibile cancellare dei pezzi di filmato senza che nessuno se ne accorga.

Stuart: Ok, come vuoi, ma devi raccontarci tutto, intesi?

Jasmine: Yup

 

Stuart procedette col spiegarle come fare quello che le aveva chiesto, ma cancellare solo una parte dei filmati era più difficile che cancellare tutti i video delle ultime ore. Avrebbe dovuto controllare le impostazioni per vedere per quanto tempo le registrazioni restavano salvate, e assicurarsi che Jason non fosse stato ripreso anche nei giorni precedenti. In caso di necessità poteva cancellare tutti i video, poi magari avrebbe potuto usare la scusa di un errore o un malfunzionamento. Dopotutto la tecnologia non è infallibile.

Mentre chattava con l’amico, la cameriera più giovane era venuta a chiederle se voleva ordinare qualcosa mentre aspettava Mike, con un sorrisetto fin troppo felice. Le venne presto servita una cola ghiacciata, e Jasmine apprezzò il fatto che non ci furono ulteriori commenti.

Alla faccia del tenere un profilo basso” pensò. Si era appena trasferita e già andava a pranzo con un poliziotto, quindi qualcuno sicuramente molto conosciuto sia per il lavoro, sia per la sua giovane età e il suo bel faccino. Era normale che ci fosse del gossip sull’argomento. Avrebbe fatto finta di nulla, probabilmente le persone avrebbero presto trovato altro di cui parlare. Tipo il ritorno in azione di Jason, che a quanto aveva capito dalla sua ricerca in biblioteca era stato tranquillo per un bel po’, eccetto forse qualche occasionale sparizione/omicidio attribuite ad altre cause, ma che lei era molto sicura fossero tutti da ricondurre a lui.

Ad un certo punto il campanello della porta trillò, distraendola dai suoi pensieri. Si voltò, vendendo andarle incontro un Mike sorridente ma dall’aria decisamente stanca, intento a salutare le due cameriere. Poi salutò anche lei, ed in seguito fece una carezza anche a Finn, che era stato a sonnecchiare accanto alla sedia di lei, stanco per tutto il movimento della giornata.

“Ehy. Scusa se ho fatto tardi, è da tanto che mi aspetti?”

“Ehy. No, sono venuta io con largo anticipo, mia madre era...alquanto preoccupata. In realtà pensavo saresti arrivato dopo.”

“Sì, immagino. Non è di certo un buon momento dell’anno questo per noi, ma sicuramente lo sai già.”

“Diciamo che sono informata, sì.”

“Mh.” Disse lui, con un sospiro. “Non sono al mio meglio oggi, mi spiace.”

“Ma no, non preoccuparti. Non deve essere facile per voi. Se ti va di parlarne...” Sì bloccò, non volendo farsi vedere troppo interessata, ma neanche essere indelicata. Non aveva mai avuto a che fare con un poliziotto, quindi non sapeva se chiedergli del lavoro fosse una cosa che potesse fargli piacere o meno.

“Non c’è molto da dire in realtà, visto che stiamo per mangiare, ma comunque immagino che il giornale farà un resoconto fin troppo dettagliato.” Disse lui, sprezzante. “Certi giornalisti non conoscono le mezze misure. Non è stato un bello spettacolo per nessuno, questo è certo.”

“Sì, conosco il genere.” Rispose semplicemente lei.

Sapeva bene a cosa si stesse riferendo, avendo letto dettagliati resoconti sugli articoli del giornale locale, certe volte correlati da foto non proprio leggere. Fortunatamente erano in bianco e nero, quindi erano giusto un po’ meno esplicite.

“Bene, allora non voglio tediarti con i miei fattacci. Per il momento ho solo bisogno di rilassarmi un po’” Disse, mettendosi più comodo sulla sedia. “Che ne dici di iniziare con...beh con il conoscerci meglio?” Propose arrossendo leggermente e senza guardarla in faccia.

Lei lo trovò un gesto adorabile, non riconoscendosi per qualche attimo. Non le erano mai interessati più di tanto i ragazzi, specialmente quelli che non conosceva. E i bei faccini sorridenti non le bastavano per farle sorgere dell’interesse. Lui però ci stava riuscendo, forse perché era un poliziotto, quindi, almeno in teoria, era un bravo ragazzo, che fino ad ora sembrava anche di buone maniere e di buona famiglia. Uno di quelli che i suoi genitori avrebbero approvato e che, sicuramente, avrebbero insistito affinché facesse amicizia con lui. Forse le stava facendo effetto anche l’atmosfera soffusa data dal rosso che li circondava e dal piacevole sottofondo musicale, più l’atteggiamento quasi timido di lui, che rendevano l’ambiente quotidiano del diner quasi...romantico.

“Sì, certo.” Quella breve risposta le uscì in fretta, trovandola sinceramente convinta di quelle due parole. Non se lo aspettava da sé stessa.

“Bene uhm...allora, cominci tu o io?” Chiese lui, ritrovando una certa allegria.

“Ehm...non saprei da dove iniziare, così su due piedi. Cosa vuoi sapere?”

“Non so, quello che vuoi. Ad esempio, hai finito la scuola, vai all’università...” Chiedere della scuola per capire la sua età. Bella mossa, doveva riconoscerlo.

“No, ho finito le superiori. E non andrò all’università, ne ho abbastanza dello studio obbligatorio.” Confessò, scuotendo la testa per rafforzare il concetto. Lui ridacchiò.

“Ti capisco perfettamente. Anche io non ne volevo sapere, sono andato avanti solo perché volevo entrare in polizia al più presto.”

“Avrei fatto lo stesso anche io probabilmente, se avessi avuto l’idea di trovare un lavoro per il quale servisse chissà che titolo di studio.”

“Hai idee su cosa vuoi fare adesso?”

“Per ora cercherò un lavoro. Sai, per iniziare a mettere dei soldi da parte. Il mio obiettivo in realtà sarebbe aprire una libreria mia. Ma mi sa che dovrò aspettare ancora qualche anno per quello.”

“Beh mi sembra un’ottima idea. Sei una lettrice anche tu, immagino.”

“Anche? Sei un lettore anche tu?” Chiese Jasmine, interessata. Non aveva incontrato molti ragazzi ai quali piacesse leggere. Lui annuì.

“Mh-hm. Siamo tutti grandi lettori in famiglia.”

“Ammirevole! Cosa leggi di solito?”

“Ti sembrerà un clichè, ma per lo più thriller.” Rispose imbarazzato, grattandosi il collo. “E tu?”

“Io leggo praticamente tutto. Evito i romanzi rosa in realtà, ma per il resto non mi faccio problemi.”

“Davvero?” Sembrava parecchio sorpreso. “Sarà che siamo in una piccola città, ma ti giuro che non ho mai conosciuto una ragazza che non leggesse di storie romantiche.” Fece una pausa, riflettendo. “In realtà non conosco molte ragazze che amano la lettura.”

“C’è una prima volta per tutto immagino.” Sorrise lei, contenta della piega che stava prendendo la conversazione. “Anche per il diventare complici di un pluriomicidio.” Disse una vocetta cattiva nella sua mente. Fortunatamente arrivò la ragazza a prendere le loro ordinazioni, distraendola da quel fugace pensiero.

Non appena Mike seppe che il piatto del giorno era la pasta alla bolognese cucinata dalla madre di Jasmine, ne ordinò subito una doppia porzione, insieme ad una birra. Lei ordinò un piatto normale e un refill della cola.

Continuarono a parlare del più e del meno per tutto il pranzo, raccontandosi piccoli aneddoti della ormai passata vita scolastica o qualche storiella di famiglia. Anna si era superata, il ragù era davvero ottimo e pian piano il locale si andò riempiendo di clienti che chiedevano il bis. Jasmine si sentì molto fiera. Anche suo padre era arrivato, ma vedendola alquanto impegnata, andò a sedersi al bancone, limitandosi a salutare i due ragazzi.

Quando la cameriera più anziana venne a prendere i piatti ormai vuoti e a chiedere se desiderassero altro – un caffè e una ciambella alla crema per lui e una ciambella al cioccolato per lei – non riuscì a trattenersi dal chiedere cosa era successo di preciso.

“Dicono tutti cose diverse, come al solito. Sappiamo di quello sciagurato di Melrose, ma gli altri?” Chiese.

“Tutti ospiti dell’albergo, e tutti avevano prenotato la solita escursione di Melrose. Gli unici che si sono salvati erano quelli che non l’hanno mai visto.”

“Mh. Buon per loro allora.” Sembrava sul punto di dire qualcos’altro, ma non sapeva se parlare o meno. Continuava a spostare lo sguardo da Mike a Jasmine. La ragazza restò in silenzio, ad ascoltare.

“Sù, dillo.” La spronò Mike, sapendo già cosa volesse chiedere la donna e lanciando uno sguardo mezzo scocciato alla ragazza seduta di fronte a lui.

“Ecco… si sa chi è stato? Potrebbe essere Jas-”

“Non lo sappiamo.” L’interruppe lui, a voce bassa perché nessuno sentisse. “Jason o meno, stiamo facendo il possibile. Sapete cosa fare, non attardatevi fuori quando fa buio ed evitate il bosco ed i posti isolati.”

“Ma sì, sì, certo. Lo sappiamo. Vi porto il dolce allora.” La donna andò via di fretta, con aria di scuse. Mike sbuffo, sprofondando sulla sedia.

“Sempre la solita storia. Qualunque cosa succeda, che qualcuno muoia o meno, se non ci sono testimoni è sempre colpa di Jason Voorhees.”

“Ed è così?” Chiese Jasmine d’impulso, pentendosene però subito. Mike aspettò qualche secondo prima di rispondere, guardando fuori dalla vetrata.

“Non so neanche se esista davvero, o meglio se esista ancora per lo meno. Ogni tanto finisco per crederci anche io. Alla centrale non ne vogliono sentir parlare, anche mio padre evita l’argomento.”

“Non deve essere facile per voi.”

“Potrebbe andare peggio, ma è fastidioso. C’è sempre chi usa la scusa di Jason per cercare di passarla liscia. Non dovrei dirlo, ma è capitato che qualche agente lo ha usato solo perché non riuscivano a risolvere un caso.”

“Ah però.”

“Già.”

Passarono un altro po’ di tempo, cambiando discorso e cercando senza molto successo di far ritornare l’allegria di prima. Finito il dolce, lui ricevette una telefonata da suo padre, doveva tornare a lavoro. Insistette perché pagasse lui tutto il conto, e non volle sentire ragioni.

Si salutarono, comunque contenti di aver potuto passare del tempo insieme, e si scambiarono i numeri di cellulare, ripromettendosi di organizzare qualche altra uscita. Lui si offrì anche di farle conoscere qualcuno del suo gruppo di amici, lei rispose con un sì alquanto vago e poco convinto.

“Allora… ci vediamo.” Disse lui, un po’ imbarazzato per qualche ragione.

“Sì, alla prossima.” Rispose lei, senza sapere il perchè di quella strana sensazione senza nome che stava provando.

Quando Mike se ne fu andato, Robert, che aveva ancora qualche minuto prima di dover tornare anche lui a lavoro, si sedette di fronte alla figlia con una tazza di caffè in mano e una faccia decisamente troppo contenta.

Jasmine ora sentiva un’altra sensazione, simile a quella che aveva provato quando Jason l’aveva seguita fino a casa col machete in mano, seppure leggermente meno intensa.

Jasmine aveva paura. Suo padre non avrebbe smesso di farle battutine e chiederle tutti i dettagli di quello che lui già definiva come primo appuntamento per chissà quanto tempo. E non erano ancora da soli con sua madre! A quel punto Jasmine avrebbe preferito tornare nella foresta a farsi inseguire da Jason.

 





 

Angolo Autrice:

(*) Per grissino intendo il classico breadstick americano, non il nostro classico grissino italiano

 

Ma salve! Come promesso, con la pandemia e il lockdown sono riuscita a scrivere e aggiornare in tempi più brevi del solit-ah no, quello era solo un sogno. Come non detto.

Ebbene, dal 13 giugno al 18 dicembre, ho fatto passare letteralmente mezzo anno.

Chiedo perdono, non ci sono scuse che reggano.

Quindi vi ringrazio con tutto il cuore per essere arrivati fin qui, lo apprezzo davvero tanto. E apprezzo tantissimo tutti coloro che continuano a seguire questa storia nonostante gli eoni che faccio passare tra un aggiornamento e l’altro.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ho voluto dedicarmi un po’ di più al personaggio di Mike e finalmente mi sono decisa sul suo prestavolto. Ho scelto l’attore Jeremy Sumpter (il Peter Pan del film del 2003), che è proprio come mi immaginavo Mike!

Inoltre, se può interessarvi, ho pubblicato la prima parte di una raccolta a tema lockdown coi personaggi delle mie storie, OC e non, e il primo capitolo è dedicato proprio a Jason e Jasmine (tutta dal punto di vista del nostro amato killer). È un piccolo spoiler sul futuro di questa storia, ma suppongo che tutti sappiate dove voglio andare a parare, quindi forse non è poi cos’ tanto spoiler XD

Che dirvi, vi faccio gli auguri di Natale adesso, perché non credo aggiornerò di nuovo prima del 24. Quindi spero che tutti voi stiate bene e che possiate passare, nei limiti del possibile vista la situazione, un buon Natale, e che il 2021 sia migliore del 2020.

Alla prossima e di nuovo grazie e auguri! <3





 

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Capitolo 19
*** Capitolo 17 - Una chiacchierata Padre-Figlia ***


Capitolo 17 - Una chiacchierata Padre-Figlia

 

Robert guardava sua figlia con un sorriso d’intesa. Peccato che Jasmine non ne voleva sapere nulla, e lo ricambiava con una smorfia, con le sopracciglia corrugate e poi alzando gli occhi al cielo e sbuffando, quando si accorse che suo padre non aveva intenzione di lasciar perdere. Sua figlia non usciva spesso con i maschi. Anzi, sua figlia non usciva con i maschi e basta. Stuart era l'unica eccezione, ma Robert sapeva bene che era solo un buon amico, e che comunque era già fidanzato e fedele.

“Allora, com'è andato l’appuntamento?”

“Papà, ti prego, non iniziare. Non era un appuntamento.”

“Mmh...secondo me per lui lo era.”

“Beh per me no.”

“Sembra un bravo ragazzo.” Continuava lui, sorseggiando il suo caffè.

“Non lo metto in dubbio.” Lei rispondeva con frasi brevi e dirette, sperando di chiudere la conversazione. Si sentiva le guance in fiamme. Ma suo padre non demordeva.

“E sembra anche simpatico.”

“Sì, sembrerebbe. Per ora.”

“Per ora? Quindi ci sarà un'altra volta?” Il suo sorriso continuava ad allargarsi.

“Eddai, pà! Non lo so, forse sì, forse no.”

“Mh, un forse è meglio di un no deciso. Dopotutto qui sei da sola, sarebbe bello se ti trovassi degli amici.”

“Non vado da nessuna parte.” E neanche voleva essere da un'altra parte in realtà. “Ho tutto il tempo del mondo per fare nuove amicizie.”

“Mai rimandare a domani quello che puoi fare oggi.”

“Uff… Se non avesse già pagato tutto Mike, ti mollerei qui a pagare tu, ecco!” Jasmine gli fece una linguaccia. Suo padre le faceva tutte quelle domande per dispetto, sapeva che la imbarazzavano.

“Ah! Quindi era un appuntamento!” Esclamò lui, forse un po’ troppo forte, visto che le due cameriere si scambiarono un'occhiata e un sorrisetto divertito. Jasmine era sicura di essere dello stesso colore del fiocco che aveva usato per l’ascia di Jason.

“ASSOLUTAMENTE NO!” Esclamò lei, anche più forte di lui. Finn si tiró su a guardarla, confuso.

“Ok, ok, tesoro, non ti arrabbiare.” Lui alzò le mani in segno di resa, ridacchiando ora che era riuscito nel suo intento.

“Uff” Sbuffó di nuovo. “Sei sempre il solito.”

“Vero. È per questo che tu e la mamma mi amate.”

Jasmine si lasciò sfuggire un sorriso. “Sì, è vero.”

Robert finì il suo caffè. “Allora, ti riaccompagno a casa?”

“Nah, ho la bici, torno con quella.”

“Jasmine.” Oh oh, suo padre non la chiamava quasi mai col suo nome intero, solo quando era molto serio.

“Sí?”

“Lo so che sei una sua fan.” Continuò lui. “Ma la situazione qui è più pericolosa di quanto pensassi, e sono abbastanza certo che tu lo sapessi.” Ora aveva abbassato il tono di voce, in modo che solo la figlia potesse sentirlo.

Jasmine sbiancó all’improvviso. Era stata beccata. E ora non sapeva cosa dire, limitandosi a guardare suo padre con sguardo colpevole. Se solo sapesse!

“Io e tua madre ci fidiamo di te, e questo lo sai.” La ragazza annuí. “Ora, noi non sappiamo se chi ha fatto questo massacro di stanotte sia Jason, Freddy Krueger, o solo un psicopatico qualunque. Ma sappiamo che chiunque sia è molto pericoloso, e io non voglio che tu vada in giro per il bosco da sola. E se incontrassi questo pazzo?”

Jasmine ci rifletté qualche secondo, sotto lo sguardo preoccupato di suo padre. Già, cosa avrebbe fatto se l'avesse incontrato? Non avendo una risposta, cercò di sdrammatizzare, ma il suo tono non era poi così divertito.

“Beh, se è Jason, lo abbraccio e gli dico “Buon Compleanno!”” Provò a fare una risatina, ma le uscì solo un verso nervoso.

“Jasmine. Non sto scherzando.”

“Lo so, lo so.” Sospirò, preoccupata quanto lui. “Ma so per certo una cosa.”

“E quale sarebbe?”

“Il tizio che hanno trovato nel negozio, ho visto Mike che lo rimproverava l’altro giorno.” E così raccontó a suo padre della scena a cui aveva assistito, e confessò di essere andata al cimitero per curiosità - omettendo la parte delle rose e della pulizia delle lapidi - e di aver visto lo stesso uomo con un gruppo di persone, che probabilmente erano le altre vittime del massacro. Robert non sembrava rassicurato dalla cosa, ma Jasmine continuó, prima che lui potesse dire qualcosa. “Quindi, che sia Jason o che sia un imitatore, credo che segua le regole dei film.”

“Questo non è un film, Jasmine, è la vita vera!” Lui, a differenza della moglie, aveva visto i film con la figlia, quindi sapeva a cosa Jasmine si stesse riferendo.

“Lo so, ma credo che se noi non creiamo problemi a lui, lui non ne creerà a noi. E passare da una strada che attraversa il bosco per arrivare a casa propria non é di disturbo a nessuno.”

“Jasmine, non voglio mettermi a discutere di questa cosa qui. Cosa ti costa farti accompagnare a casa? La bici ci entra in macchina, sai che non è una scusa valida.”

Jasmine sospirò di nuovo, vedendo che suo padre era deciso a non lasciarla andare da sola.

“E va bene, verrò con te.”

Questa volta toccò a Robert sospirare, di sollievo. “Ok allora, saluta la mamma e andiamo.”

E così padre, figlia e cane salutarono Anna e le sue nuove colleghe, recuperarono la bici e andarono a prendere la macchina al parcheggio dell’ospedale, dirigendosi subito verso casa. Il viaggio non fu molto lungo, e piuttosto silenzioso se non fosse stato per la musica che mandavano alla radio e un paio di commenti seri su Mike e sull'impressione che aveva fatto davvero a Jasmine.

Robert lasciò la figlia davanti casa, aiutandola a tirar fuori la bicicletta, e salutandola con un abbraccio.

“Ti voglio bene, piccola.”

“Anche io, papà.”

Jasmine e Finn guardarono la macchina sparire tra gli alberi, poi entrarono in casa. Lei aveva delle telecamere di sorveglianza da controllare.







 

Angolo Autrice

 

Rieccomi!

Nuovo record raggiunto, questa volta ho fatto passare sette mesi prima di aggiornare. Siete fieri di me, vero?

In realtà non avevo in programma di aggiornare, dall’ultima volta (quindi da Natale) non ho smesso di studiare, quindi sono stati mesi abbastanza pesanti. Poi però l'altro ieri mi sono accorta che oggi sarebbe stato Venerdì 13, quindi non potevo non pubblicare, avendo saltato la data che in realtà mi ero prefissata (il 13 giugno, compleanno di Jason se ancora non vi è entrato in testa XD) ma ero in piena sessione esami e quindi nulla. Alla fine ho scritto questo capitoletto ieri notte, sul pullman, perché finalmente sono partita per le vacanze anche io.

Ho finalmente scelto il prrestavolto di Robert: Patrick Dempsey. Voi lo conoscerete per Grey’s Anatomy. Ma io non l'ho mai visto, e lo conosco grazie a Come d’Incanto e Transformers 3. Sinceramente, senza contare il suo ruolo di medico nella serie, è perfetto per rappresentare Robert, avendo gli occhi azzurri e i capelli neri come Jasmine.
 

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Altra notizia: ho creato una playlist su YouTube con canzoni che piacciono a Jasmine, che mi ricordano lei e la sua backstory e ovviamente lo stesso per Jason. Ho messo sia il video originale che quello coi lyrics, quindi fatemi sapere che ne pensate delle varie canzoni e soprattutto suggeritemene altre che potrebbero starci bene da aggiungere!
https://youtube.com/playlist?list=PLK5ee-z1TcEg8jUo0AhfTBRiABIKv_0Mi

E come sempre grazie mille per essere arrivati fin qui, lasciatemi un commentino per farmi sapere cosa pensate che mi fa sempre piacere e buone vacanze! (O quel che ne resta :p)

Alla prossima!

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Capitolo 20
*** Capitolo 18 - Introspezione ***


Capitolo 18 - Introspezione


 

Jasmine si stese sul divano, gettandosi a peso morto con un sospiro misto di preoccupazione e rassegnazione. I suoi genitori, o per lo meno suo padre, sapevano che era molto più informata di quanto avesse detto di essere su tutta quella “Situazione Jason”. Sapeva che non l’avrebbero presa bene se avessero saputo quanto lei, e non si sarebbero lasciati convincere a trasferirsi lì. Doveva riconoscerlo, era stata un’egoista. Certo, prima di arrivare a Crystal Lake non sapeva se Jason ci fosse davvero, se fosse un imitatore o magari, chissà, solo un'enorme montatura per attirare turisti. Ma adesso lo sapeva. Non aveva ancora la sicurezza che fosse l’autentico Jason, 100% originale, ma ne era abbastanza sicura. Se fosse stato un imitatore avrebbe probabilmente ucciso anche lei, quel giorno al lago. A meno che non fosse un imitatore estremamente in character.

Quindi in realtà Jasmine aveva fatto ciò che aveva fatto senza certezze assolute, solo con una enorme speranza. E il solo pensiero che avesse regalato un'ascia ad un comunissimo essere umano - serial killer, sì, ma sempre umano - la faceva stare ancora peggio, anche se non si notava poi tanto da come si comportava.

 

Jasmine non era una che esternava le proprie emozioni, nella maggior parte dei casi, anche quando era profondamente turbata o incredibilmente felice. Aveva imparato ben presto che sarebbe stata presa di mira se mostrava sempre la parte migliore di lei: quella che si preoccupava per gli altri, sempre pronta a dare una mano, quella che difendeva il compagno di scuola bullizzato, quella che non ci pensava due volte a ridere fino a star male per la gioia o a piangere disperata per la tristezza. Così Jasmine imparò a tenersela per sé, quella parte migliore, e per la famiglia e gli amici veri. E imparò anche a mostrare per prima la parte peggiore, quella che se le facevi un torto ti restituiva il favore col doppio della potenza, quella che se le facevi lo sgambetto avresti fatto meglio a sperare che non si rialzasse. Perché la parte peggiore di Jasmine, che si nascondeva dietro una maschera di indifferenza ed emozioni attutite, che proteggeva e a sua volta nascondeva quella migliore, quando veniva fuori era pura rabbia.

Spuntó per la prima volta in seconda elementare, dopo vari atti di bullismo per aver preso le parti dei più deboli o essere lei stessa una di loro. E regolarmente comparì fino alla fine delle medie. Ad un certo punto non aveva più tenuto il conto di quante volte i suoi genitori erano stati convocati dal preside perché era stata coinvolta in una rissa, di quante volte era rimasta oltre l'orario delle lezioni in punizione, di quante volte si fosse dovuta difendere da delle imboscate vendicative fuori dalla scuola, di quante visite in infermeria, di quante volte fosse tornata a casa col il naso sanguinante, il labbro spaccato o un occhio nero. In qualche modo, la maggior parte delle volte, era sempre quella che ne usciva meglio, e che poi restava ad aiutare l'idiota che si era messo contro di lei, perché il sangue dal naso non ne voleva sapere di smettere di uscire, o il polso faceva così male che non riusciva a muoverlo. Perché la parte peggiore di lei non si risparmiava, lottava con le unghie e con i denti se necessario, e rispondeva alle minacce con le azioni, ma sapeva quando era il caso di lasciar fare capolino alla parte migliore, per non passare totalmente dalla parte del torto.

E così pian piano gli altri impararono a lasciarla in pace, per paura o per rispetto, o ad andarle a chiedere aiuto se i bulletti non ne volevano sapere di smetterla. Perché Jasmine era buona e brava, ma era alta, agile e, anche se non lo sembrava, era forte, e quando si arrabbiava faceva paura. Difendeva chi ne aveva bisogno e gli insegnava a non abbassare la testa e subire. Puniva chi lo meritava e gli insegnava che si raccoglie ciò che si semina.

Alle superiori non ebbe problemi, dato che chi aveva avuto a che fare con lei aveva messo in guardia o rassicurato tutti gli altri, a seconda dei casi. E anche perché il rapporto con i suoi genitori, specialmente con sua madre, si stava incrinando sempre di più a causa di questi scatti di rabbia, e Jasmine non voleva questo. Anna aveva iniziato a pensare che sua figlia potesse avere qualche problema, qualcosa che non andasse, tutta quella violenza nella sua dolce bambina non se la sarebbe mai immaginata. Anna non glielo aveva mai detto, ma Jasmine lo aveva capito da come la guardava e da come si comportava con lei.

La ragazza aveva provato a cambiare, di nuovo, ma all’inizio era stato difficile. Aveva chiesto di essere iscritta ad un corso di arti marziali, così poteva imparare a controllarsi, ma anche a difendersi come si deve quando necessario. Ma Anna pensava che le arti marziali fossero solo una scusa della figlia per poter fare a botte senza conseguenze, quindi non ne volle sapere nulla e le propose invece di iscriversi a danza, prendere lezioni di canto, o magari imparare a suonare uno strumento. Qualcosa di più femminile insomma. E da questa discussione nacque un altro dei loro litigi, frequenti in quel periodo. È strano come un singolo “no” venga ricordato più di tutti gli altri “sì”. Era la prima volta che i suoi le impedivano di fare qualcosa a cui teneva davvero.

Così pian piano anche la parte peggiore andò a fare compagnia a quella migliore, entrambe nascoste dietro la Jasmine impassibile, che non si sbilanciava. Alla parte migliore era concesso venir fuori solo con i suoi genitori e i suoi tre migliori amici. Quella peggiore invece era segregata, e cresceva pian piano, come sempre fanno le emozioni negative quando non vengono manifestate per tanto tempo.

Ogni tanto Jasmine la percepiva, quando qualcosa la faceva arrabbiare, ma per amore del quieto vivere la lasciava dov’era, perché non sapeva cosa sarebbe successo se l’avesse lasciata libera.

Ecco perchè Jasmine non voleva assolutamente che Anna sapessa nulla o quasi di tutta quella faccenda. Probabilmente sua madre ne sarebbe rimasta delusa, l’avrebbe rimproverata come ormai non faceva da tanto, e Jasmine non sapeva se avrebbe avuto la forza di non ribattere, di non lasciar uscire il dolore e la rabbia che si portava dentro da anni per non essere davvero accettata e apprezzata per come era dalla persona che l’aveva messa al mondo, che non capiva mai fino in fondo le sue azioni, nonostante poi la accontentasse quasi sempre in tutte le sue richieste.

Eppure, anche se il dolore e la rabbia che si procuravano a vicenda erano tanti, madre e figlia si amavano più di qualunque altra cosa al mondo.

 

 

 

 

Angolo Autrice

 

Ciao a tutti! Rieccomi con un capitoletto breve ma intenso, scritto di getto. Non ero sicura di volerlo pubblicare come capitolo singolo, o se pubblicarlo del tutto in realtà, ma ci tenevo a farvi conoscere un po’ meglio Jasmine. E poi è venerd’ 17, qualcosa mi toccava metterla XD
Questo capitolo è in parte ispirato a questa canzone (che trovate anche nella playlist alla fine del capitolo precedente)

https://www.youtube.com/watch?v=cIlghWDd7RU

Ora vi lascio, che qualche ora fa mi hanno levato un dente del giudizio e l’effetto dell’anestesia se ne sta andando sempre di più.

Alla prossima!

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 19 – Area Video Sorvegliata ***


Capitolo 19 – Area Video Sorvegliata

 

Dopo aver raccolto i pensieri per qualche minuto, Jasmine si alzò per andare nello studio di suo padre. Il tavolinetto con il vecchio portatile collegato al sistema di sorveglianza era ancora lì al suo posto. I suoi non avevano deciso se lasciare quello che già c’era, ma trovare una collocazione migliore al pc, o magari sostituire l’intero impianto con uno più nuovo. Si sedette alla sedia pieghevole davanti al laptop e lo accese, prese il cellulare e chiamò Stuart.

Pronto? Jasmine?”

“Ehy, Stu. Sono a casa, sei libero per quella cosa?”

Sì, ci sono. Adesso mi spieghi che stai combinando? Non ti sarai messa in guai seri, voglio sperare.”

“Non lo so a dire il vero. Vi racconto i dettagli quando ci siete tutti, promesso, per adesso ti basti sapere che Jason è stato parecchio vicino stanotte, probabilmente dopo il massacro che ha fatto, e forse le telecamere potrebbero aver ripreso qualcosa.”

Jasmine...lo sai che se ci fosse qualcuno che gira attorno casa tua, magari qualcuno di armato, dovresti dirlo alla polizia e far vedere i filmati a loro, giusto?”

“Sì, sì, lo so, ma dato che sono stata io ad armare parzialmente il suddetto qualcuno, che poi è tornato a fare una visita di cortesia, i guai con la polizia e soprattutto con i miei li passerei io. E tu sai com’è mia madre.”

Già...però non lo so, Jas. Questa cosa non mi convince.”

“Neanche a me, Stu. Per il momento vediamo se è stato ripreso qualcosa, poi vedremo il da farsi.”

Va bene allora...uhm...intanto dimmi che sistema di sicurezza è e che programma usi dal pc.”

E così i due ragazzi si misero a lavoro. Le telecamere erano collegate con dei cavi ad un hard-drive, anch’esso sul tavolino e collegato a sua volta al laptop. Dopo aver aperto il programma e aver dato a Stuart tutte le informazioni che gli servivano, Jasmine si rese conto da subito che qualcosa non andava.

“Oh-oh.”

Come sarebbe a dire “oh-oh”? Jasmine che succede?” Anche solo dalla voce, si sentiva che il ragazzo era preoccupato, e anche parecchio, per la sua amica.

“Alcune telecamere non funzionano... Anzi sono proprio sparite!”

Jas le telecamere di sicurezza non spariscono da sole, che stai dicendo esattamente?”

“Stuart, te lo giuro, qui dovrebbero esserci almeno otto videocamere, invece ce ne sono solo quattro.” Anche nella voce di Jasmine si sentiva della tensione crescente.

Sei assolutamente sicura che dovrebbero essere otto?”

“Sì, ne abbiamo due interne che danno sulle porte anteriore e posteriore, e funzionano, due sul portico anteriore, e qui ne vedo solo una, una sul portico posteriore, ed è sparita, una sul lato destro e una sul lato sinistro, e non ci sono, e quella sul garage, che invece c’è.”

E funzionavano prima?”

“Assolutamente. I proprietari precedenti, quando avevano fatto mettere le telecamere, avevano i cavi che passavano per tutto il primo piano, ma abbiamo dovuto rifare quasi tutto l’impianto elettrico, quindi papà li ha fatti mettere dentro i muri insieme a tutto il resto. Quando gli elettricisti hanno finito, e lui è venuto a controllare, hanno acceso le telecamere e ha mandato la foto dello schermo a me e alla mamma. C’erano otto telecamere e tutte funzionanti, e ci aveva anche detto che le avrebbero lasciate accese.”

Allora se erano tutte accese dovrebbero aver ripreso qualcosa. Anche se poi sono state messe fuori uso, magari i video sono rimasti.”

“Dovrebbero, almeno credo. Non so per quanto restano salvati, dove li devo cercare?”

Stuart le diede indicazioni, e scoprirono che i filmati restavano salvati per un mese, dopo 30 giorni il sistema li cancellava automaticamente, lasciando solo quelli dell’ultima settimana.

“Quindi dovrebbero ancora esserci le registrazioni di quando sono state accese, non sono ancora passati i 30 giorni.”

Nel menù principale dovrebbe esserci un tasto che ti porta alla cartella dei video, divisi per data e numero di camera.”

“Uh...Sì, trovati!” Jasmine aprì la cartella, andando subito ai primi video registrati. “Il primo giorno ci sono tutte e otto.”

Cerca direttamente il giorno in cui spariscono, poi guarda i video del giorno precedente.”

“...il terzo giorno.”

Cosa?”

“Il primo e il secondo giorno ci sono tutte e otto le telecamere, già dal terzo giorno ce ne sono solo quattro.”

Questo vuol dire che devono aver smesso di funzionare il secondo.”

“Il vero problema sarà capire perché. Resta in attesa mentre controllo.”

Jasmine iniziò a visionare i video delle telecamere, quattro dei quali duravano 24 ore, mentre gli altri quattro solo 2. Andando direttamente alla fine di quei video, la ragazza notò che erano in modalità notturna, e che prima di interrompersi l’unica cosa strana era un rumore che non sembrava affatto appartenere a quelli normali della foresta. Si sentiva il vento tra gli alberi, il frinire dei grilli e il bubolare di un gufo. E non si vedeva nulla fuori dal normale. Poi, proprio mentre i video si interrompevano, un suono secco, seguito da un secondo di statico, come se qualcosa avesse colpito le telecamere e le avesse messe fuori uso. La ragazza lo disse all’amico, mentre riguardava di nuovo i filmati.

Questa cosa non mi piace per niente.”

“Non promette nulla di buono...”

Pensi a quello che penso io?”

“Credo di sì. Vado un attimo fuori a controllare.”

Non lasciarmi qui, portami con te.”

“Sì, non preoccuparti.” Jasmine uscì sul portico e, per la prima volta da quando era arrivata, guardò verso le telecamere di sorveglianza. Quella a destra della porta funzionava, mentre quella a sinistra no. La ragazza la osservò meglio, e parte di lei non fu troppo sorpresa di constatare quello che stava vedendo. La cosa non la rese meno nervosa però.

“Stuart...”

Jas? Cosa hai visto?”

“Il cavo della telecamera del portico è staccato. Anzi, è come se fosse stato tagliato.”

Ma non avevi detto che i cavi erano interni?”

“Sì, ma all’esterno ne rimane fuori un pezzetto, giusto la parte finale per collegarlo alla videocamera.”

Quindi sono state manomesse davvero?”

“Aspetta, mi sembra di vedere qualcosa sul muro.” Appoggiò il telefono alla panchina che sua madre aveva messo sul portico e, come aveva fatto la sera prima, ma dal lato opposto, si arrampicò sulla ringhiera. Sul muro, proprio nel punto dove passava il cavo, c’era un segno: un taglio, piccolo ma abbastanza visibile da vicino, sul legno che rivestiva l’esterno. Come se qualcosa fosse stato piantato lì e poi staccato. Lo riferì a Stuart dopo essere scesa e aver ripreso il telefono.

Ho una pessima sensazione.”

“Controllo le altre.” La stessa cosa che aveva visto si ripresentava anche per le altre tre telecamere fuori uso. Cavo tagliato e buco sul legno.

“Stuart...credo che Jason si sia creato dei punti ciechi per poter passare senza essere visto.”

Jasmine questa cosa non va bene per niente.”

“Decisamente no.” La ragazza rientrò in casa, non prima di essersi guardata intorno sospettosa. Anche le due telecamere interne erano a posto, non c’era dubbio a riguardo. “Devo controllare i video di questa notte e di ieri sera.”

Sei ancora convinta di voler cancellare delle prove?”

“Ti prego, non chiamarle così.” Jasmine sospirò, preoccupata. “Non lo so. Non credo.”

Controlla, su.” La spronò lui.

Detto fatto. Purtroppo non si riusciva a vedere nulla dalle telecamere rimaste. Da quella sul portico però riuscì a sentire degli scricchiolii del legno, prima quando aveva usato lei la ringhiera per uscire ed entrare, così leggeri che quasi non se n’era accorta, poi quelli provocati da Jason durante la sua vista, decisamente più rumorosi.

Se non si vede nulla non vale la pena cancellare i video, potresti solo metterti più nei guai.”

“Sì, hai ragione.” Jasmine si portò la mano libera sulla fronte, massaggiandosi le tempie. Il mal di testa aveva deciso di farle visita. “Senti, facciamo così: io continuo a guardami i video, magari spunta fuori qualcosa. Entrambe le telecamere che avrebbero potuto riprendermi ieri sera non funzionano, quindi non dovrebbero esserci problemi. Almeno per questo.” Poi le venne un’illuminazione. “Aspetta...quella che da sulla porta però funziona, e l’altro giorno Jason mi ha inseguita fino a casa e ha bussato...insistentemente.” Questo era quello che avrebbe voluto dire, ma non aveva detto nulla di quella parte dell’incontro ai suoi amici., solo che lo aveva visto uccidere le due ragazze al lago.

Ok, e stasera ci sentiamo su Discord anche con Alex e Wendy, così ci racconti tutto, giusto?”

Jasmine, sovrappensiero, non rispose subito.

Jasmine?!” Stuart la riportò alla realtà.

“Sì! Va bene, stasera vi dirò tutto.” Il mal di testa stava peggiorando.

A stasera allora.”

“Sì. A dopo.” Jasmine chiuse la chiamata. Era in guai molto, molto seri.

Riprese la cartella che le interessava, facendo partire il video della telecamera del portico e cercando subito il punto in cui era tornata a casa nel panico. Non ci mise molto a trovarlo. Prima c’era lei che si precipitava dentro casa, il rumore della porta che veniva chiusa a chiave in tutta fretta, l’abbaiare di Finn e, neanche un minuto dopo, Jason in persona, machete alla mano, che tirava poderosi pugni alla porta, che fecero tremare anche la telecamera, e di conseguenza il video. Probabilmente si era momentaneamente dimenticato, pensò Jasmine, che aveva lasciato quella telecamera in funzione. Magari in quel momento non ci aveva pensato, dato che lei lo aveva sorpreso all’opera.

La cosa straordinaria era notare con quanta velocità l’avesse raggiunta. Jasmine lo aveva avvistato da una certa distanza, che le avrebbe dovuto consentire un bel vantaggio, e lei si era messa a correre più veloce che poteva per tutta la strada che la separava da casa sua, mente lui l’aveva solo seguita a passo veloce. Eppure eccolo lì, meno di un minuto dopo di lei. Certo, magari anche lui si era messo a correre mentre non era in vista, Jasmine non si era di certo fermata o voltata per controllare.

Ancor più straordinario era il fatto che, nonostante sembrasse arrabbiato, Jason fece dietro front poco dopo, lasciandola stare. Magari era rimasto attorno alla casa per un po’, ma Jasmine questo non poteva saperlo per certo. Non senza le telecamere.

Nonostante avesse deciso di non cancellare nulla, volle comunque salvarsi i video più importanti. Quindi andò in camera sua a prendere un hard disk e lasciò i file a trasferirsi, mentre lei guardava fuori dalla finestra riflettendo sul da farsi. Fu in quel momento che per caso vide il garage, e notò che non aveva controllato i video di quella telecamera, neanche uno. Ricordava che dalla foto che aveva mandato suo padre, puntava molto verso il basso, dato che era seminascosta sotto la grondaia all’angolo del tetto e mirava alla saracinesca. Ma pensandoci meglio, si vedeva anche un pezzetto del portico, proprio quello che era stato più volte usato la sera prima. Si diede una manata in fronte, dandosi della stupida. “Perchè non ci ho pensato prima?!” La telecamera era così nascosta che se non la si guardava direttamente sarebbe facilmente passata inosservata.

La ragazza quindi si rimise al lavoro, ricercando tutti i video dei momenti che l’interessavano, partendo dal giorno in cui le telecamere erano state scollegate. Potè quindi vedere che la sua teoria era invece una certezza.

Il secondo giorno, o meglio notte, da quanto le telecamere erano state accese, Jason era venuto, aveva fatto un giro di ricognizione nella casa, i cui lavori erano ormai quasi ultimati, passando e venendo ripreso dalla telecamera del garage. Inizialmente solo un secondo, poi notando le telecamere si era di nuovo nascosto nella boscaglia, forse aggirando la casa per capire dove erano posizionate. Magari non aveva proprio visto quella del garage. Poi, dopo qualche minuto, un oggetto piccolo e scuro era stato avvistato passare – o meglio volare – nell’angolo in alto a destra del video, e subito dopo Jason si era avvicinato all’angolo della casa. Ignorando i cespugli che crescevano al bordo esterno del patio, aveva messo un piede su di esso e si era dato la spinta necessaria a recuperare qualunque cosa fosse l’oggetto che aveva lanciato, e che in quel momento era conficcato sul muro, dopo aver tagliato il filo della telecamera che dava sul lato destro della casa e che era alle spalle di quella che puntava verso la porta d’ingresso, entrambe sotto la tettoia. Se Jason fosse stato circa trenta centimetri più alto, sarebbe riuscito a recuperare il suo attrezzo senza dover salire sul patio dall’esterno. E questo solo perché i muri dell’abitazione erano alti e le fondamenta erano sopra il livello del terreno, altrimenti lui sarebbe stato alto abbastanza da aver bisogno solo di allungare il braccio.

Il giorno in cui l’aveva inseguita, Jason non si era fatto riprendere da altre telecamere, se non per errore da quella del portico.

La sera prima invece, Jasmine era stata ripresa: qualcosa veniva calato dalla tettoia sui cespugli, la ragazza scendeva, recuperava gli oggetti e si avviava verso il lato opposto dell’inquadratura, ritornando poco dopo visibile, arrampicandosi di nuovo su e sparendo dal video. Più avanti, Jason faceva la sua comparsa, passando davanti al garage e sparendo dietro di esso, per poi tornare indietro dopo un minuto scarso con un sacchetto in una mano e un oggetto coperto nell’altra. Inutile dire che Jasmine provò emozioni contrastanti a quella vista, e in parte le dispiacque non poter vedere la reazione di Jason quando aveva scoperto cosa si nascondeva sotto l’oleandro bianco.

Jasmine restò a guardare il resto del video, velocizzandolo e fermandolo solo quando Jason era tornato. Erano passate ore, probabilmente tutto il tempo che lui aveva impiegato a far fuori tutti i suoi obiettivi, le telecamere avevano da poco abbandonato la modalità notte, segno che l’alba era appena passata o quasi. L’orario e la data segnati sul video erano 06.13 - 06/13/20**. Jasmine ridacchiò alla coincidenza, ma smise subito. Jason era comparso a quell’ora, restando fermo di spalle all’angolo del video un paio di minuti e guadando in alto, verso dove c’era la stanza della ragazza. Poi si era arrampicato sulla tettoia, sparendo dall’inquadratura. Un brivido le corse lungo la schiena. Sapeva che era venuto a lasciarle la collana, ma non aveva idea di che altro avesse fatto. Non era più nel video, quindi non aveva modo di saperlo. Magari era il caso di cambiare un po’ l’angolazione di quella telecamera, giusto per sicurezza.

La cosa strana era che sembrava che Jason fosse rimasto lì per un po’, dato che non lo vedeva scendere. Pensò che magari fosse sceso dall’altro lato, ma in quel caso sarebbe stato ripreso dall’altra videocamera. Jasmine velocizzò di nuovo il video, solo un po’, e stava per passare a quello del portico quando si accorse che Jason era finalmente saltato giù dalla tettoia. Letteralmente saltato giù. Non si era lasciato scivolare come aveva fatto Jasmine. Ma la cosa che più la impressionò fu l’orario segnato sul video: 07.38, praticamente quando Finn l’aveva svegliata ed ecco perché era così agitato.

Jason era rimasto lì, davanti la sua finestra, a fissarla, per più di un’ora.





 

Angolo Autrice
 

Buon Halloween a tutti!

Come promesso, sono riuscita a pubblicare. Mi dispiace che non sia un capitolo pieno di azione come il 15, ma questa idea del sistema di sorveglianza mi girava per la testa da parecchio e alla fine mi sono decisa ad usarla. Spero sia venuta bene! Mi sono dovuta creare una piantina della casa, con tutte le posizioni delle telecamere e le loro inquadrature. Lo avrei fatto su the sims 4 come faccio di solito, ma...il mio pc ha deciso che non vuole più reggerlo, perché non è un pc, è un sasso del neolitico.

Detto questo, come al solito fatemi sapere cosa ne pensate e grazie per essere arrivati fino a qui!

Ciaoooo!

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Capitolo 22
*** Capitolo 20 - Scelte ***


Capitolo 20 – Scelte



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“Cazzo” Le scappò. Non sapeva come prendere questa nuova informazione. Il fatto che Jason fosse rimasto da lei così tanto senza che lei si svegliasse era a dir poco inquietante. E la strage che aveva da poco finito di compiere sicuramente non indorava la pillola.

Però c’era da dire che stavano tutti bene, in casa era tutto in ordine – eccetto le telecamere ovviamente – e lei aveva di nuovo la sua collana. Probabilmente Jason era solo curioso, del resto non era da tutti fare quello che aveva fatto lei, e magari voleva osservarla più da vicino senza che lei se la desse a gambe come l’altro giorno al lago.

Jasmine rimase qualche minuto a fissare lo schermo, ancora fisso sul frame di Jason che si allontanava, considerando il da farsi. Aveva deciso di non cancellare i video, dato che il sistema ci avrebbe pensato in automatico, ma di salvarli comunque per ogni evenienza. Quindi aggiunse gli ultimi che aveva visionato a quelli già in download sul suo hard-disk.

Ora bisognava capire se dirlo ai suoi o meno, riconsiderando tutto per l’ennesima volta. Se avesse parlato con sua madre e suo padre, le accuse sul fatto che stava mettendo tutti in pericolo sarebbero sicuramente saltate fuori. E pur non essendo quella la sua intenzione, non poteva neanche dar loro torto per essere preoccupati. Ma se avesse confessato loro tutto, o per lo meno che aveva le prove dell’esistenza di Jason, la loro preoccupazione si sarebbe trasformata in paura, e questo li avrebbe sicuramente portati a chiamare la polizia, e sicuramente Jason non avrebbe appezzato la cosa. Sempre che la polizia decidesse di dare loro ascolto e non prenderli per suggestionati.

Jasmine non potè fare a meno di pensare a quale potesse essere la reazione di Mike nel caso si fosse scoperto che aveva armato Jason, aveva taciuto sui suoi avvistamenti e soprattutto sulla “sparizione” delle due ragazze. Era testimone di un duplice omicidio e non lo aveva detto a nessuno, e la cosa la stava divorando da dentro. Un sacco di persone erano morte, che pur avendo sbagliato non meritavano quella fine. La realtà è ben diversa dalla fantasia. Il mal di testa aumentò ancora. “Merda” Sbuffò.

Non ne andava affatto fiera, ma aveva promesso ai suoi che non avrebbe causato problemi e dover dare una testimonianza del genere a pochi giorni dal loro trasferimento in città li avrebbe sicuramente creati.

Si alzò e, continuando a rimuginare, si mise a gironzolare nervosamente per tutto il piano terra. Finn le andò dietro per un po’, preoccupato, ma poi vedendo che non si fermava, né faceva altro, tornò a sdraiarsi sul divano.

“No, non posso dir loro nulla. Se dovessero chiamare la polizia, e quelli venissero a controllare in giro, Jason potrebbe vederli come un disturbo, magari qualcuno potrebbe restarci secco e sarebbe colpa mia. No, non devono sapere niente di questa storia, sospettano già fin troppo.” Questa fu la conclusione a cui giunse, ma non smise di camminare. “Però forse dovrei dirlo almeno ai ragazzi, per sicurezza. Sanno già più dei miei e la pensiamo tutti allo stesso modo su Jason. Sono certa che loro capiranno...o almeno spero.”

Finalmente decise di fermarsi e andarsi a sedere sulla poltrona. Finn si era stravaccato a pancia in su e non voleva disturbarlo, anche se si sarebbe distesa volentieri anche lei. “Sì, racconterò tutto ai ragazzi, se dovesse succedere qualcosa almeno qualcuno sarebbe informato.”

Dopo qualche altro minuto, andò in bagno a prendere una pillola per il mal di testa, poi in cucina a mandarla giù con un bicchiere di succo d’arancia e, prima di andare in camera sua ad aspettare di sentirsi meglio, nello studio a recuperare l’hard-disk con i filmati e a risistemare tutto come se lei non fosse mai entrata lì dentro. Una volta nella sua stanza, non potè fare a meno di affacciarsi alla finestra e controllare nuovamente i dintorni, ma senza adocchiare nulla di importante. Quindi si levò le scarpe e si distese sul suo letto, con tutti i vestiti e senza spostare la coperta. Non passò molto che si addormentò.

E dormì anche parecchio, risvegliandosi di soprassalto quando il suo telefono iniziò a squillare. Non era la sua solita suoneria però. Ne aveva impostato una personalizzata praticamente a tutti quelli che conosceva, per lo meno quelli con cui parlava più spesso. I suoi genitori avevano entrambi “His Eyes” degli Pseudo Echo, Alex aveva “Killer” dei Crazy Lixx, mentre Wendy e Stuart avevano “He’s Back – The Man Behind the Mask” di Alice Cooper. Tutte canzoni su Jason. Quella che l’aveva svegliata invece era quella che aveva settato come default per tutti gli altri numeri. Pensandoci adesso, avere “Hello Zepp”, il tema principale di Saw, che partiva a tutto volume non era stata poi una grande idea.

Recuperò il cellulare, che le vibrava nella tasca dove lo aveva dimenticato, leggendo sullo schermo “Numero Sconosciuto”.

“Perfetto, ci mancava solo Ghostface”. Sbuffando, rispose alla chiamata, ma invece del solito “Qual è il tuo film horror preferito?” sentì la voce di sua madre.

“Mamma? Ma da che telefono stai chiamando?”

Da quello del diner, il mio si è scaricato e ho dimenticato di portare il carica batterie. Perchè hai questa voce strana? È successo qualcosa?” Chiese la donna, con tono preoccupato. Jasmine sospirò.

“No, nulla, mi sono solo addormentata per...un po’.”

Conoscendoti, saranno state almeno due ore. Come fai ad andare a dormire ad orari decenti se dormi tutto il pomeriggio?”

“Ma che pomeriggio? Avrò fatto mezz’oretta al massimo.” Mentì lei. “Comunque, stasera gioco coi ragazzi, quindi non andrò a dormire presto.”

Sempre con questi videogiochi violenti!”

“Mamma, sei al lavoro. Evita per favore. Perchè hai chiamato?”

Ah, giusto. Papà finisce di lavorare dopo di me, quindi aspetto che mi passi a prendere lui e arriveremo tra un’ora circa. Tu prepara le carote al forno per la cena e il condimento al limone, portiamo dell’arista di maiale per stasera.”

“Ok, adesso vado. Non è che mi porteresti una ciambella al cioccolato?”

Ci sono ancora i muffin che hai fatto tu, e hai già mangiato una ciambella oggi.”

“Uff. Va bene. Allora ci vediamo dopo.” Le due si salutarono e, sospirando nuovamente, Jasmine si stiracchiò e si alzò dal letto. Meglio iniziare subito con le carote, piacevano parecchio a tutta la famiglia, quindi doveva prepararne un bel po’.

Scese in cucina e fece partire la sua playlist dal cellulare, iniziando a pelare e lavare le carote. Il mal di testa era passato fortunatamente, ma non si sentiva ancora tranquilla. Se c’era una cosa che non voleva al momento, era una paternale dei suoi, o dover rifare con sua madre il discorso che aveva avuto dopo pranzo con suo padre. Meglio iniziare trovare spunti di discussione per la serata, e probabilmente la scelta migliore era parlare, come sicuramente avrebbero voluto loro, del suo non-appuntamento con Mike. Sperando che non si mettessero a parlare di nuovo degli omicidi, e anche questo era probabile che sarebbe saltato fuori in un modo o nell’altro. La soluzione migliore era probabilmente sbrigarsi a mangiare e filare in camera con la scusa di avere appuntamento coi ragazzi. Nel frattempo, Finn riuscì a farsi dare una carotina da sgranocchiare.

Quando i suoi finalmente tornarono a casa, la tavola era già apparecchiata, le carote erano in forno quasi pronte e Jasmine aveva appena finito di preparare il mix di olio e succo di limone – con due pizzichi di sale e uno di origano – che ai suoi piaceva mettere sulla carne. Una delle poche cose italiane di sua madre che non le piaceva affatto. Jasmine odiava il limone, troppo aspro per i suoi gusti da amante dei dolci.

La cena fu esattamente come aveva previsto: una sequela infinita di domande su Mike e su di lei, e ogni volta che loro citavano gli eventi della notte prima, lei cercava di parlare di altro senza però far notare il suo disagio. Fortunatamente, Robert non disse nulla sul discorsetto che avevano avuto in macchina, e Anna sembrava più calma di quanto non fosse stata prima. Di questo la ragazza fu estremamente grata.

Dopo aver finito la cena, e dopo aver finito i muffin superstiti, aiutò la madre a sparecchiare prima di scappare in camera sua. Aveva delle confessioni da fare ai suoi amici.





 

Angolo Autrice:

Ehilà! Rieccomi, ancora una volta, con un capitolo poco ricco di azione. Mi dispiace.

Ma il prossimo sarà la giornata dal punto di vista di Jason! Quindi non perdetevelo, mi raccomando!

Come al solito non so quando lo pubblicherò, ma mi sento abbastanza ispirata ora che sono riuscita a dare l’esame su cui stavo lavorando. Anche se ne ho un altro in vista, conto di riuscire a scrivere un altro po’. Spero.

Il capitolo 22 avrà a che fare con il gioco di Venerdì 13, quindi fatemi sapere se vorreste una descrizione di un ipotetico gameplay, giusto per alzare il kill-count della storia ;P

Come sempre l'aesthetic all'inizio l'ho fatto io, giusto perchè mi andava di condividere con voi queste cit che secondo me rappresentano parecchio Jasmine. 

Ho anche aggiornato un po’ la playlist di Jasmine, aggiungendo delle canzoni che riguardano Jason, anche se non tutte sarebbero molto apprezzate da Jasmine (non le piace quando prendono in giro o parlano male del suo amicone). Ve la lascio qui di nuovo → https://www.youtube.com/playlist?list=PLK5ee-z1TcEg8jUo0AhfTBRiABIKv_0Mi 

Fatemi sapere se avete suggerimenti per altre canzoni! E anche per la storia, ovviamente!

Alla prossima!

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Capitolo 23
*** Capitolo 21 - Decisioni ***


Capitolo 21 – Decisioni


 

Il killer di Crystal Lake era coperto di sangue dalla testa ai piedi. Non c’erano parole per descrivere quello che aveva fatto alla falsa guida, e lui ne andava estremamente fiero. La voce di sua madre nella sua testa continuava a complimentarsi con lui per l’ottimo lavoro che aveva fatto, dolce e allegra come la ricordava lui. Si sentiva decisamente contento, e il pensiero dei muffin che a casa lo stavano aspettando gli migliorava ulteriormente l’umore.

Fu proprio quel languorino che molto raramente percepiva a fargli decidere di andare prima a casa sua, a festeggiare, e solo dopo a casa della ragazza. Sicuramente stava dormendo, era ancora presto, e lui non sapeva ancora se la volesse effettivamente incontrare o se invece fosse meglio lasciarle la collana, magari osservarla senza farsi notare, e poi andarsene. Del resto ormai si era trasferita lì, quindi ci sarebbero state molte altre occasioni per vederla.

Nonostante lei avesse scritto nel biglietto che avrebbe cercato di “mantenere la calma” al loro prossimo incontro, nessuno dei due poteva avere assoluta certezza che l’altro avrebbe fatto altrettanto, quindi probabilmente osservarla da lontano senza farsi notare era la scelta migliore per imparare di più su di lei. O magari spiarla mentre dormiva, anche quella era un’opzione valida.

A dirla tutta, Jason si chiedeva che cosa avrebbero fatto nel caso si fossero ritrovati faccia a faccia, quindi ad una distanza avvicinata, non come quando aveva ucciso le due ragazze al lago. Cosa avrebbe fatto Jasmine, se non scappare? E cosa avrebbe fatto lui, se lei non fosse fuggita? Un’amichevole chiacchierata era da escludere. Quelle poche volte che qualcuno gli aveva rivolto la parola era o per insultarlo, o per ingannarlo, o per implorarlo di lasciarli stare. In tutti i casi non era finita bene per una delle due parti.

Non aveva poi molti precedenti su cui basarsi quindi, nel caso di un incontro con qualcuno che lui non aveva bisogno di - o non voleva – uccidere e che non scappasse a gambe levate non appena lo avesse visto. E dubitava che la ragazza avesse avuto molti incontri con serial killer del suo calibro, quindi magari neanche lei avrebbe davvero saputo come comportarsi.

Mentre tutti questi pensieri gli passavano per la mente, lui era tornato a casa. Non aveva preso souvenir di alcun genere questa volta, lasciando tutto alla polizia. Appoggiò ascia, machete e coltelli sul tavolinetto del salotto, magari li avrebbe puliti dopo. Poi si diresse in cucina, mangiandosi con gusto tutti i 12 muffin che gli erano stati dati, senza preoccuparsi di lavarsi le mani. Era da davvero tanto che non mangiava dolci fatti in casa, e i germi non lo spaventavano di certo.

Quando li ebbe finiti si ritrovò una spolverata di zucchero a velo sulla maglietta, ed essendo il sangue ancora abbastanza fresco, non ci fu modo di liberarsene. Non era sua abitudine lavare i vestiti che sporcava, così come non sapeva rammendare quelli che strappava, quindi avrebbe dovuto trovarsi un cambio pulito.

Prima di ciò però aveva altro da fare, più urgentemente, dato che era quasi l’alba e lui aveva deciso di voler osservare la ragazza mentre ancora dormiva.

Recuperò solo l’ascia, si assicurò di avere ancora la collana tastandosi la tasca, e si avviò a passo svelto verso casa di Jasmine, arrivando poco dopo le 6.

Con facilità e silenziosamente si arrampicò sulla ringhiera del portico e sulla tettoia, incurante delle impronte rosso scuro che lasciava sul legno, e si posizionò davanti alla finestra della giovane, che era stata dimenticata, o forse lasciata, un po’ aperta.

La aprì del tutto, lentamente per non fare rumori, ma i sensi del cane della ragazza erano sviluppati quanto e più dei suoi, quindi non si sorprese del basso ringhio che sentì. Osservando bene la stanza, notò la ragazza addormentata, stesa sul letto con le spalle alla finestra, e la testa del cane che spuntava da sotto di esso. Fissava Jason e gli mostrava i denti, cercando di intimidirlo, ma Jason non era di questo mondo e bastò che fissasse il cane e sbuffasse per spaventarlo e farlo guaire. L’animale tornò a nascondersi sotto al letto, silenzioso, ma lui poteva vedere che continuava ad osservarlo. Finchè non faceva rumore, a lui andava bene.

Sarebbe potuto entrare nella stanza, ma si accontentò di osservarla anche da quella distanza. Avrebbe preferito fosse girata verso di lui, ma si accontentò. Lasciò che il suo sguardo vagasse nella stanza, cercando di cogliere qualche dettaglio per capire meglio la mora. Si stupì non poco quando, grazie alla luce della luna, notò sulla cassettiera due piccole figurine che lo rappresentavano: una statuetta e un pupazzetto. Jason inclinò la testa, curioso. Non c’era dubbio, era lui. Non c’era poi così tanto da essere sorpresi, però. Aveva sospettato che Jasmine fosse una “fan” quando aveva trovato la collana con la sua maschera, questa era solo una conferma. A riprova di tutto, c’era anche un disegno appeso alla parete e, nonostante la penombra, riuscì a riconoscere la sua figura e quella della ragazza. Non era certo su chi fossero gli altri, era troppo lontano e c’era troppo buio per capire bene.

Non aveva idea che Jasmine aveva tutto un fascicolo su di lui, un enorme poster, vari altri disegni che lo rappresentavano, la collezione completa dei film, il videogioco e mezza dozzina di magliette. Se lo avesse saputo, sarebbe stato molto più che sorpreso.

Rimase parecchio lì fermo ad osservarle, immaginando vari scenari su come avrebbe reagito la ragazza nel caso di un non tanto ipotetico prossimo incontro. E, ancora più importante, come avrebbe dovuto reagire lui. Le stava dando molta più importanza di quanto avesse fatto con chiunque altro, ma del resto lei si stava dimostrando molto diversa dalla maggior parte di loro, per non dire da tutti.

L’alba intanto era arrivata, quindi era il momento per lui di andarsene. Indugiò ancora un po’ quando la ragazza si rigirò, senza svegliarsi, mostrandogli finalmente il suo volto: era serena. Se solo avesse saputo!

Prese la collana dalla tasca e la lasciò sul davanzale.: un piccolo gesto per ringraziarla del regalo, si era decisamente divertito.

Saltò giù dalla tettoia senza problemi, prendendo una decisione mentre tornava verso casa. Avrebbe colto Jasmine di sorpresa, assolutamente certo che sarebbe stato divertente – ed utile a capire davvero le sue intenzioni – spaventarla un po’.



 

Angolo Autrice:

Come promesso, eccomi qui!
Che ne pensate di questo capitolo? È più corto degli altri, ma scrivere dal punto di vista di Jason, per quanto interessante e divertente, è più difficile che scrivere per Jasmine.
Fatemi sapere cosa ne pensate! Alla prossima!

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Capitolo 24
*** Capitolo 22 - Confessione ***


Capitolo 22 - Confessione

 

 

Era da tempo che Jason non si sentiva così soddisfatto. Aveva mangiato ottimi dolcetti, aveva una nuova arma da aggiungere alla sua collezione, aveva eliminato una fonte di fastidi e, dato quello che era successo nelle prime ore della giornata, aveva anche l’occasione di passare un venerdì 13 senza nessuno che provasse ad andare al vecchio campeggio o, più in generale, in giro a cercare problemi. Sicuramente li aveva fatti fuori tutti e ogni ora che passava in perlustrazione attorno al lago lo confermava sempre di più.

Non riusciva a spiegarsi come, dopo tutti quegli anni passati a rendere ben chiaro che non voleva nessuno intorno, c’era sempre qualcuno che veniva a ficcanasare. Jason aveva poche, semplici regole e voleva che venissero rispettate. La prima era la più importante: non andare a Crystal Lake. La seconda era un mix di sotto-regole: se proprio vai a Crystal Lake, non andare al lago, non andare al campeggio, non andare a casa sua e, in generale, non gironzolare nella foresta e non fare rumore. Ergo, le feste andavano mantenute esclusivamente dentro casa, o meglio ancora evitate del tutto.

Non era così difficile da capire. C’erano alcune eccezioni, e la ragazza nuova ne era la prova più recente, insieme alle altre persone che abitavano nelle case sparse nel bosco. E ovviamente Jason sapeva che alcuni lavori causavano parecchio rumore, quindi anche se lo innervosivano, li tollerava. L’importante era che tutti seguissero le regole, facessero quel che dovevano e poi se ne andassero.

Dopo essere tornato a casa, si era riposato un paio d’ore la mattina, ripensando con orgoglio a quello che aveva fatto e fantasticando anche su come avrebbe potuto spaventare la ragazza, mentre ripuliva i suoi “strumenti da lavoro”. Alla fine non era riuscito a decidersi, ma si era creato un piccolo elenco mentale con tutte le varie opzioni. A metà mattina aveva deciso di uscire di nuovo e, come sempre, si mise a fare giri per tutto il bosco e il perimetro del lago. Approfittò della biancheria stesa ad asciugare fuori da una delle case sul limitare della foresta per recuperare dei vestiti nuovi – subire furti o danneggiamenti alla proprietà privata era la tassa da pagare per vivere in relativa tranquillità lì -, e in un paio di occasioni nel pomeriggio gli capitò di passare vicino casa della ragazza, ma non gli riuscì di vederla. Decise di passare la notte al campeggio, per sicurezza, in caso a qualche idiota fosse venuta la bella idea di sconfinare in quello che, più di tutto il resto dell’area circostante, era il suo territorio. Ma, proprio come aveva sperato, la notte passò tranquilla, sotto un cielo stellato che sembrava piacere molto alla ragazza.

 

Per Jasmine la serata non fu altrettanto pacifica, psicologicamente parlando.

Chiuse la porta della stanza, e appena acceso il pc ed entrata su Discord, trovò i suoi amici già in call e a giocare a Venerdì 13. Le servì un attimo per pensare a come iniziare il racconto degli ultimi avvenimenti. Sapeva che di loro poteva fidarsi ciecamente, ma non riusciva a fare a meno di sentirsi imbarazzata ugualmente per l’ingenuità e l’avventatezza delle sue azioni. Tirò un sospiro rassegnato ed entrò in chiamata mentre avviava il gioco. Non le sembrava il caso di giocare al momento, ma era anche vero che avevano appena comprato il titolo e la voglia di usarlo c’era tutta.

“Ehy.”

“JAS!” Esclamarono i tre all’unisono.

“Ciao a tutti.” Disse con un tono decisamente meno allegro del solito. “Datemi un attimo, metto le cuffie.”

“Ok, ok, ma fai presto che voglio sapere tutto.” Disse Alex.

Jasmine collegò le cuffiette del cellulare al posto di quelle che usava di solito al computer, mettendone solo una all’orecchio per sentire eventualmente se i suoi erano vicini e per assicurarsi di tenere basso il volume della voce.

“Ci sono. Stuart vi ha detto qualcosa?” Chiese alle due ragazze.

“Qualche accenno vago ad un guaio in cui potresti essere.” Rispose Wendy. “Ci ha detto di più Alex in realtà. Ha trovato notizie online su un certo albergo che hai in zona.”

“Oh. Meglio, così non devo raccontarvi tutto.”

“Scordatelo, amore.” Le disse Alex. “Tu ora ci racconti tutto nei minimi dettagli. Non devi tralasciare niente.”

Jasmine sospirò. Se lo aspettava, e per certi versi era anche giusto. Magari confessare le avrebbe fatto bene.

“E va bene. Ma mi raccomando, questa cosa resta esclusivamente tra di noi.” Sospirò di nuovo, in modo più triste questa volta. “Vorrei parlarvene di persona, in realtà.”

“Ci manchi un sacco anche tu, Jas.” Assicurò Wendy, che come sempre riusciva ad interpretare subito tutte le emozioni dell’amica.

“Già. Non è facile gestire da solo queste due.” Stuart cercò di alleggerire la situazione.

“EHY!” Esclamò Alex. “Sono io quella costretta a vivere con te!”

“Ancora per poco, sorellina, stringi i denti.”

“Non vedo l’ora che veniate a trovarmi.” Continuò Jas, ridacchiando. Anche se si interruppe subito, tornando seria. “Devo prima assicurarmi che sia sicuro, però.”

“Sì, sarebbe molto apprezzato.” Ammise Stuart, mentre le inviava un invito per unirsi alla partita.

“Forza, dicci tutto.” Spronò Wendy.

“D’accordo, dunque…uhm…” La mora cercò le parole giuste, decidendo alla fine di iniziare con il fatto che era contemporaneamente il migliore e, per certi versi, il peggiore. “Sembra che il regalo sia stato molto apprezzato.”

“Non sembri molto contenta però.” Fece notare Wendy. E da lì iniziò a raccontare, facendo un resoconto di tutto quello che era successo, includendo il non-appuntamento con Mike e tutto ciò che aveva omesso le volte precedenti. Conoscendo Jasmine, e data la situazione macabra, i tre si astennero dal fare commenti sull’ammiratore dell’amica, anche se solo momentaneamente.

“Ricapitoliamo un momento.” Fece Alex. “Ieri notte Jason ha fatto fuori 17 persone, più le due ragazze al lago, e siamo a 19 vittime. E tu le hai viste tutte e 19, e di due hai assistito al...all'avvenimento. Come se non bastasse, non solo gli hai regalato un'ascia e dei dolcetti, lui ha pure deciso di fissarti per un'ora mentre dormivi. Ah, e ti ha riportato la collana. Un gesto molto carino, non c’è dubbio.”

“In soldoni, sì.” Confermò. Poi nessuno parlò per un minuto buono, colmato solo dalla colonna sonora del gioco, che ovviamente si adattava perfettamente al mood del momento. “Ragazzi, vi prego, ditemi qualcosa.”

“Dottoressa, lei cosa ne pensa?” Chiese Stuart, riferendosi a Wendy, che non era intervenuta per tutto il racconto, probabilmente perché intenta ad entrare nella psiche del killer e per cercare come rassicurare al meglio Jasmine.

“Per quello che ti riguarda, sei assolutamente sicura che Jason non abbia cattive intenzioni?” Chiese con il tono “professionale” che caratterizzava la futura studentessa di psicologia.

“Non per il momento. Ha avuto ben più di un’occasione per farci del male, e non sembra neanche essersi avvicinato ai miei.”

“Dici che quelli dei film ci hanno azzeccato su di lui?”

“Con quello che mi ha detto la tizia al minimarket, direi di sì.”

“Quindi è il Jason che vuole soltanto che nessuno lo disturbi. Non credo tu ti debba preoccupare troppo, conoscendoti.” Concluse Wendy.

Jasmine tirò un sospiro di sollievo. Almeno non era l’unica a pensarla così.

“Non ti sto dicendo di andarlo a cercare, sia chiaro.” Proseguì poi. “Jason non è come Michael, ma come Michael, se vi avesse voluti morti lo sareste già. Continuate a non infastidirlo e non dovrebbe farvi del male.” Rieccola a fare i paragoni con Myers. Era incredibile quanto quelle due fossero simili.

Jasmine e Wendy si conoscevano da quando erano molto piccole. Cresciute insieme, quasi come sorelle, era inevitabile che si influenzassero a vicenda. Scoprirono insieme la passione comune per gli antieroi e i villains, nonostante entrambe fossero caratterizzate da un forte senso di giustizia. Ma con una differenza. Jasmine, per quanto riguardava i criminali della vita vera, era convinta che tutti debbano pagare le conseguenze delle proprie azioni, nonostante le eventuali malattie mentali e non da cui i suddetti fossero afflitti. Le uniche eccezioni erano Pamela e Jason, in parte perché fino a non molto tempo fa credeva fossero entrambi morti e sfruttati a mo’ di leggenda metropolitana, e in parte perché, quando si era approcciata per la prima volta alla saga di film, e subito appassionata, non aveva idea che fosse tutto tratto da eventi reali. Quando lo scoprì, il danno era già fatto: Jason era ormai diventato il suo comfort character.

Wendy, invece, aveva una fascinazione anche per i criminali della vita vera. Era assolutamente convinta anche lei che dovessero scontare pene pari alle loro azioni, ma trovava la loro psiche estremamente affascinante, per quanto potesse essere macabra. Per questo le piaceva Michael Myers, nessuno era mai riuscito ad entrargli davvero in testa. E teneva sempre Jasmine aggiornata sul true crime, anche se a lei non piaceva granché.

“Ma perché non ci hai detto tutto subito?” Chiese Alex subito dopo.

“Non so…non volevo che vi preoccupaste, ovviamente.” Rispose Jasmine. Ci rifletté sopra un attimo, e poi aggiunse. “E non volevo che pensaste che sto esagerando.”

“Ma dai, Jasey. Non vogliamo che ti succeda niente, ma sapevamo tutti che qualcosa avresti provato a farla in ogni caso.” Non si poteva certo dar torto a Stuart. Una volta reso ufficiale il trasferimento a Crystal Lake, Jasmine aveva passato giornate intere a pianificare e scherzare con loro su cosa avrebbe potuto fare lì, a seconda dei vari scenari possibili. Ma nessuno aveva preso sul serio le varie fantasie, finché non avevano iniziato a diventare realtà.

“Esatto, lo sai che puoi dirci tutto.” Confermò Alex.

“Sì, lo so. Grazie, non so che farei senza di voi.”

“Ti faresti ammazzare lo stesso, ma nessuno saprebbe il motivo.” Riecco la vocetta cattiva nella sua testa. Jasmine la scacciò via.

“Prometti ti tenerci aggiornati su tutto d’ora in poi?”

“Sì, Wendy, promesso. Almeno, se dovesse succedermi qualcosa, qualcuno saprebbe l’antefatto.”

“Ben detto.”

I quattro continuarono per un po’ a parlare della cosa, e furono tutti molto supportivi con Jas. La rassicurarono quando gli fece capire di sentirsi in colpa, senza mai dire direttamente quello che aveva fatto, per evitare che orecchie indiscrete sentissero qualcosa che non avrebbero dovuto.

Una volta esaurito l’argomento della conversazione, di certo non da poco, era già passata un’altra ora.

Il gruppetto decise di riprendere a giocare, facendo un po’ come se nulla fosse, provando a sdrammatizzare ognuno a modo suo, soprattutto Stuart e Alex. In realtà, nessuno aveva più voglia di giocare, per lo meno non a quel gioco. Stavano tutti evitando l’elefante nella stanza, Jasmine perché non voleva far pesare le sue preoccupazioni sugli altri, e gli altri perché non volevano far pesare le loro su di lei.

Del resto, loro sapevano bene che Jasmine non era poi così tanto una sprovveduta, e la conclusione a cui erano giunti poco prima era che adesso bisognava lasciare che fosse Jason a fare la prossima mossa. Se lui avesse mantenuto le distanze, Jasmine avrebbe fatto altrettanto. Il problema vero si poneva in caso Jasmine avesse voluto tirarsi fuori dalla situazione in cui si era andata ad infilare e Jason non avesse voluto. Non era facile evitare uno come lui, se quel che voleva era raggiungerti.

Alla fine, dopo un trio di partite con degli sconosciuti andate non proprio bene, e dopo una quarta andata anche peggio, dato che proprio a Jasmine era capitato il ruolo di Jason – rovinando il lavoro che tutti avevano fatto fino a quel momento – decisero che era il caso di staccare per quella sera e andare a farsi una bella dormita.

Anche se quella di Jasmine non fu decisamente bella.

 

 

 

 

Angolo Autrice

Ciao a tutti!
BUON VENERDI' 13!
Direi che ho di nuovo battuto il record per il maggior tempo trascorso dall’ultimo aggiornamento. Purtroppo, problemi vari legati alla condizione umana non mi lasciano né il tempo né l’ispirazione necessaria per scrivere. Ma dato che oggi è Venerdì 13 ho ben pensato di farvi (c’è ancora qualcuno qui?) una sorpresa. Mi piacerebbe poter pubblicare il prossimo capitolo (molto slasher) per Halloween, ma non prometto di farlo, sempre a causa dei suddetti problemi.

Intanto son felice di essere tornata, seppur per poco.

Alla prossima e grazie per aver letto!

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