There you'll be

di Alelale89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fort Williams ***
Capitolo 2: *** I'm coming back, home ***



Capitolo 1
*** Fort Williams ***


Ciao a tutte! Sono Lale e non sono per niente nuova qui su Efp… sono una lettrice assidua di numerose fanfiction a tema Twilight, trovo sia un modo per tenere con me la mia grande passione per la saga il più a lungo possibile. Ma sono nuova come scrittrice, questa è la mia prima “opera”… spero di essere all’altezza di alcune delle stupende storie che ho letto in questi anni.
L’ambientazione è storica, siamo agli albori della Seconda Guerra Mondiale.
Mi sono immaginata Edward e Bella in un contesto simile a quello del film Pearl Harbor, che adoro! Il titolo stesso della mia storia è un omaggio alla bellissima colonna sonora del film.
 
Non mi dilungo, vi lascio al primo capitolo di presentazione.
Vi aspetto numerose!
Lale

 
 

 
Capitolo 1: Fort Williams
 

BELLA POV
 
Fort Williams, novembre 1938
 
“Bella, andiamo, su! Se ti devo accompagnare a scuola, è il caso che tu ti dia una mossa, signorina! Devo essere in ufficio tra meno di mezz’ora e anche tu hai lezione tra poco!”
“Arrivo, papà!”
Dio, sono in ritardo! Di solito vado a scuola a piedi, ma stamattina ci siamo con una pioggia torrenziale che non accenna a diminuire, cosa davvero strana per l’Arizona! Ma anche in questa terra ogni tanto piove e io non ho nessuna intenzione di arrivare a scuola zuppa, così ho accettato il passaggio in auto che mio padre mi ha offerto, peccato che la mia pigrizia abbia avuto la meglio facendomi restare a poltrire a letto con un buon libro convinta di avere tutto il tempo del mondo per prepararmi.
Finisco di pettinarmi e sono pronta, scendo le scale e vedo mio padre, il colonnello Charlie Swan, che in divisa mi aspetta sulla porta di casa. “Alla buon’ora! Andiamo dai, che con questa pioggia dovremo andare piano!”
Saluto mia madre che bacia entrambi sulla guancia prima di tornare alle sue faccende e con papà salgo di fretta in macchina, cominciando a percorrere le strade della base.
Ci siamo trasferiti alla base di Fort Williams, vicino a Phoenix, sei anni fa, quando papà ha ricevuto la promozione a colonnello e, in contemporanea, la proposta del generale Cullen, suo grande amico, di prendere servizio nella sua base poiché aveva bisogno di un uomo fidato al suo fianco.
Mi piace vivere in Arizona, il clima non è mai freddo e chissà quanto il sole e il caldo mi siano mancati nei primi sedici anni della mia vita a Seattle.
Fort Williams è una vera e propria cittadina, abitata però totalmente dalle famiglie dei soldati della US Army, l’esercito degli Stati Uniti, e da alcuni civili che lavorano nelle strutture non di pertinenza diretta dell’esercito, come la tavola calda o la scuola.
Una volta diplomata, a diciotto anni, ho cominciato a insegnare nella scuola elementare della base: ho sempre adorato i bambini, sono delle creature candide e senza malizia, e se sei in grado di farti voler bene da loro, ti portano davvero nel loro cuore per sempre.
Finalmente, sotto il diluvio, riusciamo ad arrivare a scuola in perfetto orario. “Grazie papà, mi hai salvato la vita!”
Papà sorride sotto i suoi baffoni. “Mi dispiace solo di non riuscire a passare quando finisci le lezioni. Ho un’importante riunione in caserma e sono certo che andremo per le lunghe”.
“Non preoccuparti, papà. Magari il tempo migliorerà… Al limite farò l’autostop”, mi piace prenderlo in giro.
“Guardami bene negli occhi, signorina”. Lo faccio. “La figlia di un colonnello non tira fuori il pollice per farsi scarrozzare da chicches…”
“Papà, scherzavo! E lo sai bene!” Lo guardo con un sorrisetto angelico, ma lo sguardo è quello ironico che gli rivolgo sempre quando lo faccio esasperare. “Se pioverà ancora probabilmente Angela si farà venire a prendere da Ben. Mi farò dare un passaggio da loro, tranquillo!”
Scendo dall’auto, impacciata e imbranata come il solito, cercando di non uccidermi tra borsa, libri e ombrello. Saluto papà, che parte solo quando mi vede attraversare il portone d’ingresso della scuola.
“Buongiorno signorina Swan, gran brutto tempo oggi, vero?” mi saluta Richard, il bidello addetto alla portineria, un signore sui sessant’anni che lavora alla scuola della base da quando si era trasferito con il figlio Eric, assegnato a Fort Williams quando ha fatto il suo ingresso nell’esercito.
“Oh Richard, non so come avrei fatto se mio padre non mi avesse accompagnata! Non mi stupirei di vedere le classi dimezzate, qui in Arizona non siamo proprio attrezzati alla pioggia”.
Mi avvio verso la mia classe: quell’anno seguivo i bambini di prima elementare, avendo finito con la quinta proprio lo scorso giugno.
Sento in lontananza bofonchiare una voce che riconoscerei ovunque: “Pioggia! Siamo in Arizona, terra di cactus e deserti, e piove! È mai possibile?”
“Buongiorno anche a te, Alice!”
La mia amica mi rivolge uno sguardo omicida in risposta al mio sorrisetto ironico “Hai poco di ridere, lo vedi come sono conciata? Hai visto i miei capelli?”
“A me sembri perfetta, come sempre”.
“Come diamine hai fatto a vivere per tredici anni nell’umidità e al freddo?”
“Mi vestivo pesante e avevo sempre un ombrello con me” dico semplicemente, ma lei non sembra accettare la mia risposta pacata.
“Eh certo, i tuoi capelli sono sempre stupendi, non devi passare le ore a lisciarli con il ferro per farli stare in ordine. Tutte le fortune alle altre!”
“Alice, dai! Sei bellissima, come sempre. I capelli ti stanno bene, esattamente come tutto il resto”.
“Uff… mi dite solo quello che voglio sentirmi dire! Anche Jasper non ha fatto altro che dirmi queste cose in macchina mentre mi accompagnava qui…”
“Perché anche lui ti vuole bene, come te ne voglio io”, bisogna sempre ingraziarsi la benevolenza del carattere volubile di Alice, vedo già il suo sguardo addolcirsi alle mie parole un po’ ruffiane, anche se comunque vere. E poi con lei basta citare il suo fidanzato per farla andare in brodo di giuggiole.
“Jasper… quanto amo quel ragazzo! È un anno che mi perdo nei suoi bellissimi occhi azzurri, nei suoi capelli biondi. Non vedo l’ora di diventare sua moglie… sai che questo pomeriggio dovremmo andare a vedere delle casette? Dobbiamo darci una mossa, il matrimonio è tra sei mesi e siamo ancora in alto mare! Abbiamo solo la chiesa, i fiori, gli inviti, gli anelli, il ristoran…”.
Eccola, la pioggia già dimenticata e ricomincia a blaterare sul suo matrimonio. E chi la ferma adesso?
“Uh, che sciocca! Ho fissato l’appuntamento con quell’atelier di abiti da sposa, è fra tre giorni. Verrai con me e mia madre, vero? Devi esserci, sei la mia damigella! Magari troviamo qualcosa anche per te”.
“Un abito da sposa per me?” magari, ma il mio principe azzurro non è ancora entrato nella mia vita. Voglio sposarmi, il mio sogno è quello di avere una bella famiglia con almeno tre figli, ma deve essere con un uomo che amo e che mi ama davvero, per quello che sono e non per quello che potrei rappresentare per lui; non voglio false moine e corteggiamenti mirati ad arrivare alla posizione di mio padre, come spesso accade da qualche tempo. Piuttosto rimarrei zitella e mi occuperei a vita dei miei “bambini acquisiti”, i miei alunni.
“Ma va là, uno da damigella! Certo, se ti decidessi ad accettare la corte di mio fratello, magari tra qualche tempo andremo in cerca di un vestito da sposa anche per te”.
“Alice, ti ripeto, per l’ennesima volta: Jacob non fa per me. Ammetto che sia un bel ragazzo, ma non mi piacciono certi suoi atteggiamenti, verso di me e verso le donne in generale. Tu lo vedi come un bravo fratello, e sono sicura che lo sia, ma non è il tipo di uomo che vedo come un mio futuro compagno” e su questo non ammetto altre repliche.
Alice mi guarda con sufficienza. Lei non vede, ha gli occhi foderati dall’amore che prova per il fratello. Jacob ha 24 anni, è anche lui un soldato, un sergente, ed è stato adottato dalla famiglia Cullen quando aveva 5 anni. È stato abbandonato da piccolissimo in un orfanotrofio in cui Esme Cullen, la madre di Alice, qualche anno dopo ha cominciato a prestare volontariato.
All’epoca, Esme aveva già un bambino di 5 anni, Edward, che io non ho mai conosciuto perché è di stanza in una base militare italiana fin da qualche mese prima il mio arrivo a Fort Williams, ed Alice di appena un anno. Vedendo il piccolo Jacob, coetaneo del figlio, si informò sulla sua storia e le dissero che, per quanto molto bello e in salute, nessuno aveva voluto prenderlo in adozione a causa delle sue chiare origini indiane. Probabilmente veniva dalla grande riserva alle porte di Phoenix.
Jacob era così entrato nella famiglia Cullen, stringendo un legame profondo con i suoi nuovi fratelli. Io l’ho conosciuto poco dopo il mio arrivo alla base, un giorno in cui era venuto a prendere Alice a scuola, e da quel momento sono cominciate le frecciatine e i corteggiamenti che mi avrebbero anche fatto piacere, se non fosse che celavano il vero carattere del ragazzo: se con Alice sembrava essere il fratello migliore del mondo, al di fuori della base risultava scontroso, ambiguo, con un modo di scherzare che a me non piaceva per niente.
Alice sembra mollare il colpo, almeno per il momento “Va bene, ok, messaggio ricevuto! Io lo dico solo perché penso che possiate essere una bella coppia… e sai che lui ti porterebbe sul palmo di mano”.
Decido di lasciar perdere, con lei è meglio darle sempre l’ultima parola.
 
 
“Piano, bambini! Con calma e senza spingere! Ci vediamo domani!”
“A domani, signorina Swan!” rispondono i miei alunni in coro.
Un’altra giornata di scuola si è conclusa, sono le 3 del pomeriggio e i bambini si apprestano a tornare a casa con le mamme che li aspettano all’uscita. Per fortuna quella strana pioggia, che ci ha colpiti in quella giornata di novembre, ha deciso di smettere di riversarsi dal cielo come se lassù qualcuno abbia deciso di prendere a secchiate tutta Fort Williams.
“Bella! Vuoi un passaggio a casa? Anche se non piove passa Ben a prendermi” mi chiede Angela, mia amica e collega. È sposata da un anno con Ben, il gestore dell’unica tavola calda all’interno della base, il luogo di ritrovo di noi ragazzi più giovani dove spesso ascoltiamo la radio e diamo feste con balli tipici dei nostri tempi. Siamo un bel gruppo di ragazzi, la maggior parte sono ovviamente soldati della base, ma quando non sono in servizio e vestono con abiti civili sono esattamente come tutti noi.
“Grazie, Angela, ma visto che non piove preferisco farmi una passeggiata fino a casa. Non disturbatevi”.
“Come vuoi… a domani allora!” mi sorride Angela con il suo solito sguardo dolce, nascosto da un paio di occhiali da vista che le danno proprio l’aria della maestrina.
La mia vita di tutti i giorni è questa, scuola, casa, correzione di alcuni compiti, preparazione delle lezioni per il giorno dopo e, se resta del tempo, aiuto mia madre a preparare la cena aspettando che papà torni a casa dalla caserma. Spesso cucino da sola perché mamma è impegnata con Esme nella gestione del “Fort Williams Army Wives”, un gruppo che accoglie tutte le mogli dei soldati della base, di cui Esme è la presidente e mia madre la vice. Si occupano dell’organizzazione di eventi, feste, manifestazioni, ma soprattutto sono un valido supporto per le donne che lavorano, offrendo un servizio di babysitter e doposcuola, e forniscono anche supporto psicologico per le famiglie dei soldati impegnati nei conflitti. È un impegno che le assorbe non poco, ma che dà loro anche molte soddisfazioni.
Sento la porta aprirsi e mamma urlare dall’ingresso “Tesoro, siamo a casa!”.
“Siamo? Oh papà, ci sei anche tu?”
“Già, non ho avuto un attimo di pausa stamattina e quindi ho deciso di tornare prima, passando prima a prendere tua madre all’associazione”.
La serata trascorre come sempre, cena con mamma e papà ascoltando un po’ di radio, due chiacchiere e poi a dormire, dopo aver aiutato mamma a sistemare un po’ la cucina.
Questa è la mia vita, la mia quotidianità. E mi piace… certo, vivo sempre nella speranza che succeda qualcosa di ancora più bello e travolgente…
 
 

EDWARD POV
 
Aviano, Italia, novembre 1938
 
“Signore, ha mandato a chiamarmi?”
“Sì, tenente Cullen. Prego, accomodati”.
Allora, non ho fatto cazzate, il mio comportamento è sempre stato irreprensibile e rispettoso delle regole… perché dunque il generale Doolittle mi ha richiesto nel suo ufficio?
Sono in Italia da sei anni, da quando, compiuti 18 anni ed entrato nella United States Army da pochissimo seguendo le orme paterne, ho deciso che la mia strada sono i cieli. Sono diventato pilota nel reparto Air Forces e, alla fine del mio corso, i miei successi mi hanno portato ad avere un avanzamento di carriera notevole, fino a raggiungere il grado di tenente.
Nel frattempo mi sono anche laureato in Ingegneria, in modo tale che, un domani, possa l’opportunità di poter raggiungere una carriera militare di tutto rispetto, magari come mio padre, il generale Carlisle Cullen. Lui è il modello a cui voglio aspirare, militare integerrimo e aperto al dialogo con tutti, molto amato dai suoi sottoposti perché giusto e bravo preparatore. In famiglia, padre affettuoso e marito amorevole.
La voce del generale mi riporta con la mente nel suo ufficio.
“Tenente, ho una notizia che penso potrebbe farti piacere. Come sai, la situazione qui in Europa si sta facendo piuttosto calda. Questi Hitler e Mussolini non promettono niente di buono e per ora l governo degli Stati Uniti ha deciso di tenersi fuori da possibili grane che potrebbero sorgere in un prossimo futuro. Inoltre molti soldati della nostra base sono di religione ebraica e il Presidente non vuole che anche i nostri soldati possano essere invischiati in queste abominevoli leggi razziali. Mi chiedo quale sia il Dio che tanto invocano”.
“Generale, mi scusi se la interrompo, ma cosa sta cercando di dirmi?”
“Si torna a casa, Cullen. Dopo sei anni non hai voglia di tornartene dalla tua famiglia?”
A casa? Dai miei genitori, i miei fratelli… mia madre Esme e mia sorella Alice, quando mi mancano! Sarà una bella sorpresa anche per loro. E così almeno potrò conoscere questo suo promesso sposo di cui decanta tanto le lodi nelle sue infinite lettere.
“Sì, assolutamente! Dice davvero, signore?”
“Domani parte un aereo diretto a New York. La base qui praticamente si svuoterà fino a quando le acque non si saranno placate. Sei atteso a Fort Williams tra un paio di giorni”.
Non posso credere che dopo ben sei anni farò ritorno a casa. Sono cresciuto a Fort Williams, mio padre non è mai stato trasferito da lì perché è sempre stato uno dei capi saldi di tutta la base. Si è allontanato solo durante gli anni in cui ha combattuto in Francia durante la Grande Guerra quando, durante un attacco aereo nemico alla sua base, riuscì ad abbattere un grosso numero di aerei della contraerea tedesca, salvando così gran parte degli uomini da una possibile strage. Tra questi c’era anche lo stesso generale Doolittle. Quell’episodio eroico valse a mio padre la straordinaria carriera che ha avuto. Ma per me resta sempre e solo papà.
“È stato un onore lavorare con Lei, signore. Ho imparato dal migliore”.
“E io ho insegnato al migliore. Abbi cura di te, figliolo. E salutami tuo padre, lui sì che è davvero il migliore”.
“Sissignore! Arrivederci in America, sono sicuro capiterà”.
 
Ritorno nella mia stanza e trovo Emmet, medico e tenente della US Army, americano anche lui, di Chicago. L’ho conosciuto appena arrivato qui in Italia, anche lui era appena arrivato e ci era stata assegnata la stessa stanza. Siamo diventati subito buoni amici anche grazie al suo carattere gioviale e giocherellone.
“Amico mio, hai sentito la novità? Torniamo in America!!”
“Oh, ti sento felice! Ti dispiace proprio lasciare il tuo amichetto Emm…”
“È l’unica cosa di cui mi dispiace davvero”.
“E se ti dicessi che ho chiesto di farmi assegnare a Fort Williams?”
Mi stava prendendo in giro. “Scherzi?”
“So che la base è fornita di un buon ospedale, a Chicago non ho più nessuno dal momento in cui i miei si sono trasferiti a Miami per via dei problemi di asma di mia madre, quindi mi sono detto perché no?! In più spero che l’Arizona, con il suo clima desertico, sia culla di meraviglie femminili che sono portate ad essere vestite in un certo modo… o meglio svestite, non so se mi spiego”.
“Sei sempre il solito maiale, ma sono felice che tu venga con me! Comunque ti ricordo che andrai a vivere in una base militare, le figlie dei militari sono controllate a vista da padri e fratelli”.
Emmett è così, fanfarone e amante delle donne, sempre alla ricerca di nuove prede.
“Io maiale? Ma sentilo, il santo… già sento i piagnistei di tutte le tue povere conquiste italiane oh Edward, come faremo senza di te?” mi dice facendo la voce in falsetto cercando di imitare lo struggimento femminile.
Ok, non sono un santo, ho avuto anch’io le mie esperienze, ma tutte con ragazze che ben sapevano cosa facevano… e poi non sono neanche così tante come le sue!
Lo guardo ironico. “Sì sì, me la immagino proprio la disperazione! Dalla loro smania di accalappiare il rampollo di buona famiglia, credo si saranno già tutte accasate… buon per loro!”
Ho 24 anni, spesso mi dico che sarebbe ora di mettere la testa a posto e di costruirmi una famiglia mia, ma voglio farlo con una donna che amo e che non guarda solo alla posizione sociale che potrei darle. In un periodo in cui esistono ancora i matrimoni di convenienza io credo ancora nel vero amore: ho visto per tutta la vita il sentimento che lega i miei genitori e vorrei un matrimonio come il loro. Sembra un discorso un po’ da ragazza, ma sono stato cresciuto con questi principi e non me ne vergogno.
Chissà, magari il mio ritorno negli Stati Uniti porterà una ventata di novità in tutti i sensi…
 
 
 
Note:
Allora, com’è andata? Volevo solo lasciare qualche doverosa precisazione.
Se avete mai visto la serie tv “Army Wives”, quella è più o meno l’atmosfera e l’organizzazione che pensavo di dare alla mia base immaginaria di Fort Williams.
La base di Aviano (in Friuli Venezia Giulia) esiste davvero, come saprete, ma mi sono presa una licenza: la vera base è stata costruita nel 1911, ma solo nel 1954 è diventata una base NATO. Mi sono presa una piccola libertà.
Il generale Doolittle è esistito veramente, in contesto per ora diverso da quello in cui lo pongo nella mia storia.
Credo sia tutto.
See you, Lale

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Capitolo 2
*** I'm coming back, home ***


Care lettrici, cari lettori (se ce ne sono!), il primo capitolo di questa mia storia ha riscosso successo, non mi aspettavo una risposta così positiva e sono davvero molto felice di sapere che l’incipit di There you’ll be vi abbia coinvolto e che questi Edward e Bella vi abbiano incuriositi.
Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo e ringrazio per i complimenti che mi sono stati rivolti da alcune di voi.
Un ringraziamento a chi ha aggiunto la mia storia tra le preferite, seguite e ricordate e anche ai lettori silenziosi.
Vi lascio al capitolo, è bello pieno.
Buona lettura, Lale

 
 
 
Capitolo 2: I’m coming back, home
 
 
EDWARD POV

 
Dopo uno scalo a New York, l’aereo su cui viaggio finalmente tocca il suolo dell’Arizona. Respiro a pieni polmoni l’odore familiare che sento appena metto piede fuori dall’aereo. Un odore che non riesco a identificare, so solo che è odore di casa.
All’aeroporto militare è presente una camionetta che porterà me e gli altri nove soldati provenienti anche loro dall’Italia. Di questi, io sono l’unico originario di questo posto, mentre gli altri sono stati assegnati a Fort Williams per entrare in una delle migliori squadre di aviazione di tutto il Paese.
Un’auto si avvicina alla camionetta mentre ci stiamo avvicinando. La riconosco subito e riconosco chi è alla guida.
“Non ci posso credere! Fatti abbracciare, ragazzo mio!”
“Papà, sono davvero felice di vederti!”
Ci abbracciamo forte, poco importa che tutti ci guardino e che la cosa non sia propriamente molto maschile. Ora siamo un figlio e un padre che si vogliono bene e che hanno sentito la mancanza l’uno dell’altro per quanto comunque mio padre abbia condiviso il mio desiderio di andare in Italia per imparare dal miglior pilota in circolazione. Lo sguardo orgoglioso che mi rivolge in questo momento è la più grande ricompensa che potrei volere.
“Allora, non ho detto niente a nessuno, come mi hai chiesto tu quando ci siamo sentiti al telefono. Non è stato facile con tua madre, però. Non faceva che dirmi Caro, hai notizie da Edward? È da qualche giorno che non lo sentiamo. Non sapevo più cosa inventarmi! Ho resistito solo perché sapevo che sarà una bellissima sorpresa per lei”.
Sorrido. “Mi siete mancati in questi anni, le telefonate e le lettere non rendono giustizia”.
“Saranno tutti felici di riaverti a casa. Alice impazzirà di gioia! Spero ti prenderai qualche giorno di riposo per tornare ad ambientarti di nuovo”.
“Vedremo. Non ti nascondo che un po’ di pausa dopo sei lunghi anni mi ci vorrebbero”.
Vedo Emmett avvicinarsi a noi e, una volta davanti a mio padre, gli rivolge il saluto militare come si conviene quando incontri un superiore.
“Generale Cullen, mi permetta di presentarmi. Sono il tenente Emmett McCarty, prenderò servizio presso il Fort Williams Hospital tra qualche giorno”.
Mi viene da ridere, Emmett è sempre così giocherellone e scherzoso che vederlo in veste formale mi fa sempre un certo effetto.
“Riposo, tenente. So da mio figlio che siete molto amici, quindi in privato possiamo tenere lontani certi formalismi”, mio padre gli tende la mano e si scambiano un vigorosa stretta di mano.
Emmett mi fa l’occhiolino. “Me l’avevi detto che tuo padre è un grande”.
Sento la risata discreta di papà e mi affretto subito a chiarire “Papà, ti assicuro che, anche se non sembra, il tenente McCarty è un valido elemento e soprattutto un ottimo medico. Sarà una buona risorsa per la base”.
“Ne sono certo. Vuoi un passaggio con noi, Emmett? Starai alla caserma, vero?”
“Sì signore, per il momento starò alla caserma. Grazie per il passaggio, ma penso sia giusto lasciarvi un po’ di tempo per voi dopo tutto questo tempo. A presto”.
 
La strada dall’aeroporto militare è breve. Mentre papà guida parliamo del più e del meno e quando vedo l’ingresso alla base mi viene un certo tuffo al cuore. È come un ritorno alle origini, al luogo in cui sono cresciuto e dove ho scelto cosa e come diventare nel mio futuro. Chissà quante cose sono cambiate e quante invece sono rimaste sempre le stesse.
Passando davanti alla scuola elementare, mio padre mi dice “Alice finisce alle 15. Secondo me le faresti una sorpresona andando a prenderla all’uscita. So che Jasper oggi è impegnato fino a tardi, quindi non ci sarà nessuno che l’aspetta”.
“A proposito, com’è questo tizio?”
“Il tizio è un sergente, ha la tua età ed è un bravo ragazzo. Serio, rispettoso e forse un po’ troppo impettito ma davanti al sorriso di tua sorella si scioglie come il burro. È già passato sotto un mio attentissimo esame, quindi vacci piano. Alice è molto presa e lui altrettanto”.
“Quindi ha il tuo benestare?”
“Certo!”
Ok, se sta bene a mio padre non vedo perché dovrei mettermi a fare il fratello geloso. Magari solo un po’ all’inizio, per farlo penare un minimo.
“E che mi dici di Jake? È da un po’ che non ho sue notizie”.
“Jacob è cambiato, Edward. Non so cosa gli succeda. Tua madre e Alice dicono che non c’è niente che non va, ma lo vedo che cambia faccia nel momento in cui entra in casa, quando ci rientra”.
“Cioè?”
“È sempre fuori, a volte lo vediamo solo la mattina quando esce per andare al lavoro. Diciamocelo, Edward: tuo fratello è entrato nell’esercito quando ha visto che tu cominciavi a fare carriera, ma non lo fa con la tua stessa passione e i risultati infatti non sono gli stessi. E va bene, non possiamo essere tutti alti ufficiali, ma credo che per lui questo sia motivo di confronto con te. E si sfoga in altri modi, ecco. I suoi addestratori dicono che è scontroso, rabbioso, incline alle risse. Ho provato a parlargli, ma non facendo parte del mio reparto non posso fare molto” lo vedo preoccupato.
Mi dispiace che Jake viva la situazione in questo modo, so che il suo desiderio da ragazzo era quello di avere a che fare con i motori, infatti quando ha deciso di entrare nell’esercito mi ha stupito, ma ho pensato volesse seguire anche lui le orme di nostro padre. Evidentemente, però, non gli è nata la passione per questo lavoro e forse il fatto di non essersi mai allontanato da Fort Williams ha influito sul suo essere un po’ represso.
“Mi dispiace, papà. Non ne sapevo nulla, purtroppo non abbiamo più il rapporto che ci legava quando eravamo bambini e forse è anche colpa del mio essermene andato. Magari gli farebbe bene cambiare aria, andare in un’altra base e provare nuove esperienze”.
“Non vorrei che la vivesse come un allontanamento. Però forse parlandone con te si apre”.
 
Nel frattempo arriviamo a casa. Ne ammiro la grandezza e la maestosità in stile neoclassico, con colonne e portico affacciato sul giardino sempre molto curato con gli amati fiori di mia madre.
“Esme, tesoro!”
“Carl? Che ci fai a casa a quest’ora?” quanto mi è mancata! Mi emoziono anche solo a sentire la sua voce. La vedo sbucare dalla cucina in fondo al corridoio, a giudicare dal buon profumo che si sente in casa.
“Ho per caso scordato un appunt…” si ferma con le mani a mezz’aria, gli occhi e la bocca spalancati per la sorpresa nel vedermi.
“Ciao, mamma” le dico con voce emozionata.
Dopo qualche secondo sembra riprendersi dallo shock, ma allo stesso tempo gli occhi le si riempiono di lacrime. “Il mio bambino! Oh amore mio, vieni qui! Sono sei anni che non ti abbraccio!” dice stritolandomi in un abbraccio materno fortissimo di cui non mi lamento assolutamente. Le sono mancato come lei è mancata a me e, se non rischiassi di farle male sul serio, la abbraccerei anch’io forte come sta facendo lei. Io le carezzo la schiena come anche lei sta facendo con me.
Sollevando la testa dalla mia spalla, si rivolge a mio padre quasi fulminandolo “Tu sapevi tutto e non mi dici niente?” Poi, guardandomi e tenendo il mio viso tra le sue mani, “Ma quanto sei diventato bello? Sei un uomo stupendo, Edward! Caro, è più bello di te quando avevi la sua età!”
Decido di interrompere il suo blaterare emozionato “Fatti guardare, mamma. Sei uno spettacolo”.
“Vieni, siediti qui con me. Raccontami tutto” dice prendendomi per mano e portandomi con lei sul sofà.
Passo i minuti che seguono a raccontare loro cose che conoscono, ma vedo dalle loro espressioni che apprendere certe notizie è scioccante, specie se da qualcuno che ha visto con i propri occhi quanto succede.
“È davvero un casino in Europa, in questo periodo. Nazismo e Fascismo sono dittature che ormai si sono affermate e hanno preso piede e Hitler e Mussolini sono venerati come modelli a cui aspirare. La pazzia dilaga ovunque e chi osa manifestare il proprio dissenso non se la passa bene.
Gli Ebrei sono considerati alla stregua degli animali, forse anche peggio: nei negozi ci sono cartelli con scritto Vietato l’ingresso ai cani e agli Ebrei. Sono banditi ovunque e chi può permetterselo scappa in Paesi dove non sono perseguitati, infatti moltissimi Ebrei si sono trasferiti qui negli Stati Uniti dove non sono in pericolo. È per questo che il Governo ha deciso di rimandarci in Patria: molti militari americani sono di religione ebraica e non era il caso di metterli a rischio. Inoltre, nel caso di un possibile conflitto, gli Stati Uniti vogliono rimanere neutrali, quindi meglio ritirarsi in anticipo”.
I miei sono senza parole, mia madre continua a tenermi la mano accarezzandola mentre papà conviene con quanto ho detto. Lui che ha vissuto la Grande Guerra sa di cosa sto parlando. “Già, la situazione è critica e speriamo non sfoci in qualcosa di ben più grave. Il problema è che esiste solo un modo per destituire un potere dittatoriale… e la guerra non è mai la migliore delle soluzioni, lo sappiamo tutti molto bene”.
Mamma decide di stemperare un po’ gli animi cupi che si sono venuti a formare in seguito ai nostri discorsi. “Quindi sei tornato per restare?”
Le sorrido felice “Se mi vuoi, sì”.
“È la notizia più bella del mondo, per quanto sia triste e preoccupante quello che ci hai raccontato su quanto succede non così lontano da noi”.
 
Dopo essermi riappropriato della mia stanza, rimasta tale e quale al giorno in cui l’ho lasciata, ed essermi riappropriato soprattutto di almeno un po’ del tempo passato lontano dai miei genitori, decido di andare a prendere mia sorella Alice all’uscita da scuola, dove lavora come segretaria. Avrei voluto vedere anche Jake ma, a quanto dice mio padre, è fuori per un’esercitazione e tornerà nei prossimi giorni.
La passeggiata da casa fino a scuola è piuttosto breve, ma comunque piacevole. È bello ritornare a camminare per queste strade come quando ero ragazzo e tornare a ricordare la mia vita in questi luoghi: ogni angolo, ogni edificio, ogni strada è un ricordo diverso e piacevole. Sono sempre stato un ragazzo giudizioso e rispettoso, anche se avevo comunque voglia di divertirmi come qualunque ragazzo al mondo.
Arrivo a scuola che sono le 15 precise, sono circondato da mamme e sorelle maggiori venute a prendere i bambini al termine delle lezioni. Dietro gli occhiali da sole vedo che alcune di queste ultime mi lanciano delle occhiate piuttosto ammirate, altre più discrete. Tra alcune donne riconosco qualcuno, ma forse gli occhiali e il mio aspetto più maturo non rende loro così immediato il mio riconoscimento.
L’uscita dei bambini è ovviamente caotica e piena di gioia e pian piano la folla si dirada. So che Alice sarà tra le ultime a lasciare l’istituto, insieme alle maestre, quindi immagino che dovrò aspettare qualche minuto.
Continuando a fissare il portone d’ingresso, vedo uscire una ragazza castana, piena di libri e con una borsa dall’aria piuttosto pesante. Deduco sia una maestra e istintivamente mi dà l’impressione di essere buffa, ma anche tenera, specie per il suo modo un po’ impacciato di coordinare i suoi movimenti con il carico che porta. Infatti ben presto le cade tutto dalle mani.
Mi avvicino per aiutarla, il mio animo da gentiluomo del sud mi spinge a darle una mano.
“Ma perché? Perché devo essere così imbranata?” Mi chino vicino a lei che, nel raccogliere il suo malloppo di libri, quasi non mi colpisce in pieno viso.
“Oddio, che sbadata! Mi perdoni”.
E quegli occhi color cioccolato che mi fissano mortificati sono i più belli e luminosi che io abbia mai visto.
 
 
BELLA POV
 
“Alice, hai finito? Esci con me?”
“Certo, arrivo subito!”
I bambini sono usciti tutti e adesso anche noi, maestre e addette alla segreteria, usciamo da scuola per la fine della nostra giornata lavorativa. Come quasi ogni giorno, Alice ed io usciamo insieme per raccontarci le ultime novità.
“Allora, com’erano le case che tu e Jasper avete visto ieri?”
“Ne abbiamo viste un paio, non sono male, ma non mi hanno colpita. Il meglio che l’esercito offre è per gli alti ufficiali e Jasper è solo un sergente, per ora”.
“Sono sicura che troverete una casetta adatta a voi e alle vostre esigenze”.
Mi guarda un po’ afflitta, ma lei stessa sa benissimo che la questione della ricerca di una casa non si può risolvere nel giro di un pomeriggio. “Speriamo!” La vedo trafficare con la sua borsa che pare non abbia fondo per la miriade di cose contenute, quando infine sbuffa infastidita. “Uff, non trovo il mio foulard. Pensavo fosse nella borsa, ma forse l’ho lasciato in ufficio. Mi aspetti un attimo?”
“Ti aspetto fuori, così appoggio questi libri nel cestino della bicicletta”.
Mi avvio verso l’uscita, carica peggio di un mulo e con la mia solita grazia che si potrebbe paragonare a quella di un elefante in un negozio di cristalli. Inutile dire che, scesa i pochi scalini che conducono all’esterno dell’istituto, mi cade tutto dalle mani, complice anche la pesante borsa che mi porto appresso.
“Ma perché? Perché devo essere così imbranata?” Fantastico, adesso comincio anche a parlare da sola.
Nel riordinare il mio malloppo, quasi non mi accorgo della persona che si è chinata vicino a me probabilmente mossa a compassione dalla sottoscritta che, tanto per non farsi mancare nulla, per poco non colpisce in pieno viso il malcapitato con un libro che raccolgo da terra in malo modo per fare il più in fretta possibile. “Oddio, che sbadata! Mi perdoni”.
Alzo gli occhi mortificata. Davanti a me un ragazzo con i capelli castano-rossicci, gli occhiali da sole e un bel sorriso stampato in viso. Anche con un rapido sguardo, non posso fare a meno di notare quanto sia un bel ragazzo dai lineamenti marcati, ma allo stesso tempo gentili. Chissà, magari è un soldato che si è trasferito alla base, speriamo non sia solo di passaggio.
Speriamo? Ma che vai a pensare, Bella? Neanche lo conosci!
“Non si preoccupi, sono io che le sono arrivato vicino quasi di soppiatto”. Mi aiuta a far su tutto il mio bagaglio di libri e compiti da correggere e, prima di riconsegnarmi tutto in modo ordinato, ci rialziamo da terra quasi contemporaneamente.
Sempre mantenendo quel sorriso mozzafiato, il ragazzo si toglie gli occhiali da sole mostrandomi
due occhi bellissimi, di un azzurro chiaro e limpido e dall’espressione serena e gentile.
“Gr… grazie”. Non balbettare, Bella! Non essere in imbarazzo!
Chi è questo ragazzo, quest’uomo, che sembra abbagliare solo con gli occhi e il sorriso, come se anche il resto del corpo non fosse abbastanza? Sì lo ammetto, è stata molto generale, ma posso dire di averlo squadrato dalla testa ai piedi. Speriamo di non rendermi ridicola con il mio atteggiamento e di essere stata discreta finora, ma non so come comportarmi di fronte a una situazione del genere. Non mi è mai successo di restare abbagliata da un ragazzo, anche perché non credo di averne mai conosciuto uno come lui, per quanto abbia visto moltissimi soldati fin da bambina.
Il giovane sembra avere voglia di fare conversazione. “Mi scusi per la domanda indiscreta, ma lei vive qui da poco? Non mi pare di ricordare il suo viso”.
“Ricordare? Lei è già stato qui a Fort Williams?”
“Sono cresciuto qui. Sono tornato stamattina dopo sei anni lontano”.
“Io vivo qui da sei anni, forse mi sono trasferita subito dopo la sua partenza” anche se in effetti mi ricorda qualcuno. Forse sarà capitato di incrociarci appena sono arrivata ed è partito dopo poco tempo.
“Già, sarà sicuramente così… ma sono un gran maleducato, non mi sono nemmeno presentato. Mi chiamo…”
La voce sussurrata di Alice alle mie spalle lo interrompe “Edward”.
Il ragazzo alza gli occhi dal mio viso e lo porta alle mie spalle. Se possibile, il suo volto si illumina ancora di più.
“Oh mio Dio, EDWARD!!” Alice arriva correndo come una furia e si getta tra le sue braccia.
Edward, il fratello di Alice? Quello che è di stanza in una base americana in Italia? Ecco perché c’era qualcosa in lui che non mi era nuovo: Alice, che stravede per il fratello, mi ha fatto vedere delle sue foto di quand’era un ragazzo con i capelli ribelli e spettinati, ma quello che è qui davanti a me è un uomo fatto e finito, con un fisico all’apparenza atletico e i capelli corti. Gli occhi però dovevano dirmi qualcosa, perché sono identici a quelli di Alice ed Esme.
I due fratelli sono ancora avvolti nel loro abbraccio ed è un ritrovo a cui è emozionante assistere tanto è l’affetto che traspare.
Alice lo guarda con gli occhi lucidi. “Non posso crederci, sei qui davvero?”
Edward la guarda con l’amore negli occhi. “Ti trovo benissimo, sorellina. Sei bella come sempre, anche di più!”
“Oh, e tu sei il solito affascinante ruffiano! Come sono contenta di vederti! Sei uno schianto, l’Italia ti ha fatto benissimo”.
Beh, se lo dice anche la sorella che è uno schianto, chi sono io per dire, o meglio pensare, il contrario?
“Bella, scusami, non capisco più nulla. Lui è mio fratello Edward, il figliol prodigo. Ed, lei è Isabella Swan, la mia carissima amica di cui ti ho parlato spesso nelle mie lettere”.
Fantastico, ha parlato al fratello (il fascino fatto persona) di me (la goffaggine fatta persona).
Grazie Alice, a buon rendere.
Edward mi prende la mano, con qualche difficoltà a causa del mio carico, e in un gesto galante mi fa il baciamano, scatenando sulle mie guance un colorito simile al bordeaux. “Piacere di conoscerti di persona, Isabella”.
“Lo stesso vale per me. Alice mi ha parlato molto di te”.
“Spero in modo positivo. In caso contrario, ti prego di concedermi il beneficio del dubbio”.
“Oh beh, sono famosa per essere una persona che sa tenere testa ad Alice e che prende con le pinze tutto ciò che dice…”
“Ehi, io sarei ancora qui!”
Edward e io ci guardiamo ritrovandoci a ridere complici e consapevoli della nostra reciproca presa in giro nei confronti di Alice la quale, come al solito, fa sentire la sua voce quando dopo un paio di battute non ha ancora aperto bocca. Mi piace il suo modo di scherzare, pungente ma non offensivo.
Decido di lasciarli andare a casa, chissà quante cose avranno da dirsi e quanto tempo avranno da recuperare.
“Vogliate scusarmi, ma dovrei tornare a casa. Ci vediamo domani, Alice”. Guardo Edward, un po’ intimidita non sapendo come congedarmi. “Edward, penso ci vedremo in giro. Quanto ti fermi qui alla base?”
“Veramente sono tornato definitivamente”.
Nella mia mente ha già preso vita un film che ha del surreale, una fantasia che mi fa paura perché non conosco le sensazioni che mi nascono dentro e l’esplosione di gioia di Alice interrompe i miei pensieri che sono già partiti per la tangente. “Scherzi? Ma qui dobbiamo dare una festa!”
Ovvio, penso io, quale occasione migliore per organizzare una festa se non per il ritorno del fratello? Alice e le sue idee pazze.
Edward fa finta di non sentirla, ma essendo stato via per molti anni forse non ricorda che ci vuole ben altro per distrarre la sua sorellina. “Vuoi che ti accompagniamo fino a casa, Bella? Ti vedo parecchio sovraccarica”.
Mi sento in imbarazzo, questo ragazzo è fin troppo gentile. Magari lo fa visto che sono una cara amica della sorella, sicuramente sarà stato cresciuto secondo buoni principi di galanteria e si sente in dovere di aiutarmi. Sì, non può esserci altra spiegazione. “Non è necessario. Non voglio essere di disturbo, con la bicicletta ci metto poco. A presto”.
Ci salutiamo con poche parole, sul mio viso l’evidente imbarazzo di non sapere come congedarmi. Sul suo, uno sguardo fisso su di me, con un luccichio negli occhi sicuramente dato dal riverbero del sole. Mi allontano sentendomi in soggezione a causa di quello sguardo penetrante.
Mentre sto per salire sulla mia bicicletta, spio i due fratelli Cullen con la coda dell’occhio e sento Alice rivolgersi a lui “Ed, andiamo? Edward?”
Lo richiama più volte e solo alla terza lui sembra tornare presente. “Sì, scusami”.
“Andiamo, Ed. Abbiamo così tante cose da raccontarci”.
Li vedo allontanarsi e non posso fare a meno di pensare che inevitabilmente capiterà ancora di incrociare quegli occhi, i più belli e luminosi che io abbia mai visto.
 
 
 
 
Al prossimo aggiornamento, see you, Lale!

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