Lost notes

di bluesandsmiles
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ 1 ~ ***
Capitolo 2: *** ~ 2 ~ ***



Capitolo 1
*** ~ 1 ~ ***


Un brivido la scosse dai suoi pensieri mentre fumava l'ennesima sigaretta. Era la prima volta che avvertiva il freddo sulla pelle dopo tanto tempo. La cosa la stranì e sembrò deragliare per un attimo il filo dei suoi pensieri, che in realtà era fin troppo ingarbugliato. Brutto segno.

Sapeva che avrebbe dovuto smettere di accendere una sigaretta dopo l'altra,sapeva che si sarebbe dovuta decidere ad entrare in aeroporto o avrebbe trovato una calca indesiderabile al gate. Era stanca, non vedeva l'ora di potersi sedere e dormire. Sperò di riuscire a riposarsi durante il volo, anche se il jet leg l'avrebbe distrutta come al solito. Il solo pensiero di potersi infilare di nuovo nel suo letto avrebbe dovuto bastare a farla incamminare. Aveva fatto i salti mortali per partire e adesso non era più sicura.

Mentre con la punta della scarpa spegneva la sigaretta ormai arrivata al filtro - e quelle scarpe doveva decidersi a buttarle, erano distrutte - , sentiva le gambe di piombo, più pesanti ad ogni passo.

Odiava il JFK Airport. Odiava la confusione generale, le file interminabili,il brusio continuo di lingue a lei sconosciute. La faceva sentire piccola ed impotente e odiava quella sensazione.

Eppure nessuna di quelle cose aveva mai intaccato il suo stato d'animo.Perché fino ad allora era sempre troppo esaltata all'idea di potersi concedere una piccola fuga da New York. Per tornare.

Cos'era cambiato, allora?

E mentre si buttava a sedere all'entrata del gate, spostando la valigia da una parte e gettando la borsa a terra, per una volta cercò di incoraggiarsi – di solito non ne aveva bisogno.

Andrà tutto bene.

 

 

 

Non sapeva se stava ancora dormendo o se era effettivamente sveglia.Anche solo il pensiero di aprire gli occhi la fece sentire ancora più stanca. Udiva rumori e voci indistinte e le sue palpebre sembravano uno schermo che proiettava chiazze e colori mischiati e sfocati. Dopo qualche istante – o forse erano passate ore? - l'unico suono che udiva in modo più chiaro era un bip costante e fastidioso. Le voci erano sempre più lontane; chiunque fosse stato nella stanza se n'era andato.

Non appena tentò di prendere un respiro più profondo, la fitta che percepì al petto le fece spalancare gli occhi e rantolare. Fu obbligata a ridurre gli occhi a due fessure per via della lampada al neon sul soffitto e tutto quel cazzo di bianco.

Okay,aveva imprecato mentalmente. Più o meno. Era sveglia probabilmente.Fosse stata in un film, avrebbe trovato qualcuno addormentato al suo capezzale, oppure un'infermiera sarebbe entrata con un tempismo surreale. No, non era così. Sentiva sempre delle voci dai corridoi e dalle stanze vicine, ma nient'altro.

Si prese qualche istante per mettere a fuoco i pensieri. Quanto aveva dormito? Che ore erano? Intanto afferrò con mano incerta il piccolo telecomando sul suo letto – troppo bianco– che avrebbe avvertito l'ospedale che ,la sua buona stella non voleva ancora abbandonarla.

In quel momento, si rese conto che le voci dal corridoio erano aumentate.

" ... tutto regolare. Stava ancora dormen..."

Non conosceva quella voce, ma era vicina alla porta della sua stanza. Non sapeva neanche se stesse parlando di lei.

Mane ebbe la conferma quando un volto familiare fece capolino.

"Ehi, ma sei sveglia!" Sua sorella Thalia la guardò con un sorriso sornione, prima di voltarsi verso l'esterno della stanza. "È sveglia!" e di nuovo verso di lei. "E che cazzo Nayù, okay che sei asociale, ma potevi avvertire eh."

Naya sollevò appena la mano che reggeva il telecomando. Le scappò un sorriso, nascosto dalla mascherina per l'ossigeno. Se avesse avuto la forza, probabilmente gliel'avrebbe tirato dietro.

Aveva davvero una buona stella, in fondo.

 

 

Erano le sette ore di volo più lunghe fino ad allora. Aveva tentato di dormire ma, malgrado fosse stanca morta, il suo cervello si era rifiutato di staccarsi, anche se solo per poco. Avendo prenotato un volo notturno, si era innervosita ancora di più vedendo la maggior parte degli altri viaggiatori addormentarsi, uno dopo l'altro. Oltre a lei, qualche manciata di persone era rimasta sveglia. Tra di loro, quello che le sembrò un uomo d'affari, seduto un paio di file davanti alla sua, con il laptop acceso. Sentiva il ticchettio di tasti pigiati, nonostante il ronzio costante dei motori dell'aereo. Si maledì per un istante; non aveva pensato di lasciare il suo computer nella borsa. Avrebbe potuto approfittare dell'insonnia per scrivere.

Scrivere di sicuro l'avrebbe confortata in qualche modo.

Si maledì anche di aver scelto il sedile di fianco all'oblò. Di solito amava osservare come le città diventassero puntini, perdersi con lo sguardo sulle nuvole, delineare con gli occhi la lieve curva dell'orizzonte. Guardarsi intorno era la sua linfa vitale, tutto ciò che spesso la spingeva a prendere qualsiasi cosa, anche un pezzo di carta rovinato, e buttare giù i suoi pensieri.

Ma non in quel momento. In quel momento voleva solo zittire qualsiasi voce del suo cervello e del suo subconscio. Odiava essere senza ispirazione. Voleva scrivere per dare una forma ai suoi pensieri, ma sapeva che non ci sarebbe riuscita. Quanto le serviva una sigaretta in quel momento.

Sbuffò e appoggiò la testa contro il sedile. Poi però le sfuggì un sorriso.

Se la sua vita avesse avuto un narratore, probabilmente avrebbe detto qualcosa del tipo...

Kaelin Reed-Cooper aveva sempre avuto un carattere complicato. E la mancanza di riposo non stava aiutando.

No, quello non l'avrebbe detto il suo personalissimo sceneggiatore di vita, quelle sarebbero state le parole di suo padre. Non aveva mai sentito così tanto il bisogno di sentirsi scompigliare i capelli da lui. Quelle sette ore – anzi, ormai ne mancavano quattro – sembrarono accorciarsi improvvisamente.

In quel momento non fu più la sua voce, ma quella di suo padre, a dirle mentalmente che sarebbe andato tutto bene. Che stava tornando a Southend-on-sea solo per una settimana di relax, lontana dal caos di New York, di nuovo nella sua casa piena di libri. Stava solo tornando al suo Mar del Nord, per una passeggiata che le avrebbe lasciato addosso il freddo a cui era abituata e che non l'aveva mai scalfita.

Stava solo tornando alle strade che l'avevano vista crescere, alle persone che senza volerlo erano state la sua prima, impercettibile spinta verso i suoi sogni.

E un ricordo la investì. O meglio, era sempre stato lì, ad impedirle di dormire.

 

 

Era in America da più di un anno, ma non riusciva ancora a conciliarsi con il fuso orario. Quelle cinque ore di differenza tra New York e Greenwich si facevano ancora sentire quando si ritrovava piena di energie durante la notte o improvvisamente stanca nel primo pomeriggio. Da quando era in America, la sua dipendenza dal caffè e dal tè era peggiorata all'inverosimile. Almeno viveva in un posto dove non poteva girarsi senza vedere un cafè di qualsiasi tipo.

Il messaggio era arrivato proprio una di quelle notti insonni, poco più di venti quattro ore prima; nonostante avesse seguito i corsi all'università la mattina e avesse lavorato il pomeriggio, non riusciva a chiudere occhio. Aveva pigramente acceso il computer, nella speranza di riuscire a buttare giù due righe e prendere sonno nel frattempo.Alla fine, però, era uscita dalla finestra e si era messa a fumare sulle scalette antincendio. Era notte fonda. Guardò il cellulare,prima di abbandonarlo sul davanzale. Era passata da poco l'una. New York non dormiva mai, eppure quella sera era più quieta del solito.Era contenta di non abitare esattamente in centro. Forse non si sarebbe mai abituata a quella città caotica, ma durante la notte le sembrava meno ingestibile.

In quel momento aveva anche ringraziato il cielo di essere riuscita a guadagnarsi la borsa di studio che le permetteva di alloggiare in un appartamento per studenti. Certo, era strapieno di allarmi antincedio esattamente come i dormitori, ma non rischiava di incappare nella sicurezza del campus che l'avrebbe additata come criminale solo per una sigaretta.

Lo schermo del suo cellulare aveva preso a lampeggiare. Strabuzzò gli occhi, prima di slanciarsi in avanti per afferrarlo.

Quando lesse quella serie di messaggi, sperò vivamente di essersi addormentata al tavolino mentre scriveva. Non riuscì a reagire e rimase a fissare lo schermo. Il suo primo istinto fu di comporre il numero e chiamare, anche se non sapeva per quale motivo.

Ma era bastata quella misera manciata di secondi senza reazione per far sì che il numero fosse non raggiungibile. Imprecò a bassa voce, stringendo il telefono nella mano destra e passandosi l'altra nei capelli già disordinati, quasi a tirarli.

Non era la prima volta che succedeva, ma non si sarebbe mai abituata a quella sensazione di sconforto e di inutilità che le creava una voragine nel petto.

Naya stava di nuovo male. Era stata ricoverata un paio d'ore prima e avevano deciso di operarla d'urgenza. I messaggi di Vincent erano stati frammentari, ma le aveva scritto di non preoccuparsi, che l'avrebbe tenuta aggiornata.

Quelle ultime parole non le aveva praticamente lette. Era bastato un secondo per farle comporre un altro numero.

Si era resa conto di essersi infilata nuovamente in camera sua quando sentì l'allarme antincendio scattare per via della sigaretta ancora accesa tra le sue dita e la voce assonnata di suo padre che la chiamava dall'altra parte della linea.

"Kae, cosa sta succedendo?"

"Cazzo. Torno a casa. Scusa, cazzo, è l'alba lì. Sono un'idiota. Ti spiego tutto più tardi."

 

 

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Capitolo 2
*** ~ 2 ~ ***


La prima volta era stato un fulmine a ciel sereno. Era un venerdì pomeriggio di metà novembre, sul tardi, era tornata da poco da Londra per trascorrere il weekend a casa. A parte i soliti dolori, più o meno sopportabili, nulla avrebbe lasciato pensare che sarebbe successo.

Naya conviveva con quei problemi respiratori da sempre, più o meno. Pensava di essere a corto di fiato dopo aver faticato per portare la valigia e la borsa piena dei libri dell'università – casa sua non era poi così distante dalla stazione, aveva rifiutato di farsi venire a prendere da suo padre, il traffico delle sei del pomeriggio avrebbe fatto perdere del tempo e basta. Si era buttata sul divano, cercando di riprendere il respiro.

Ma non c'era riuscita. Era solo peggiorato, fino a mandarla in apnea.L'ambulanza era arrivata poco dopo e la notizia della necessità di un intervento tempestivo aveva sconvolto tutti. Era questione di tempo. Naya lo sapeva, la sua famiglia lo sapeva. Eppure c'era sempre stata la speranza che, con la cura attuale a cui era sottoposta, non ce ne sarebbe stato bisogno.

Aveva solo diciannove anni e si ritrovava con un polmone ridotto.

Le cose, da quel giorno, non si erano esattamente stabilizzate. E anche in quel momento, mentre il pneumologo ripeteva ai suoi genitori che stava rispondendo dignitosamente alla cura, Naya non riusciva a convincersene. Non è che fosse scoraggiata. Ma non era neanche ottimista. InNon voleva semplicemente farsi grandi speranze.  Se le era già fatte la prima volta, eppure era di nuovo lì. Operata d'urgenza per la seconda volta, ma sotto i ferri per la terza volta, senza contare innumerevoli altri momenti d'emergenza. In realtà, neanche il medico sembrava brillare d'ottimismo. 

Sapeva che il dottore si era rivolto a lei, ma non aveva proprio voglia di ascoltarlo. Era sveglia da cosa, cinque ore? E malgrado avesse di nuovo voglia di dormire, continuavano a bombardarla di domande. Le avevano tolto la maschera d'ossigeno, ma aveva ancora il tubo nel petto. Si sforzò di dipingersi un sorriso di circostanza sul viso e annuì, qualsiasi cosa avesse detto. Fatto sta che bastò a farlo uscire e lasciarla con sua madre e suo padre. Lei sembrò capire, perché le sorrise divertita, con un sopracciglio leggermente incurvato. "Non ne puoi più, eh?". Si era avvicinata e le aveva accarezzato la testa.

Solo in quel momento Naya si rese conto in che stato pietoso dovevano essere i suoi capelli e il pensiero di doverli pettinare l'avrebbe fatta urlare. "Riesco solo a pensare che non vedo l'ora di farmi una doccia," sbuffò, sistemandosi uno dei ricci che aveva deciso di ribellarsi.

"Dalla tua faccia pensavo stessi organizzando un omicidio," ironizzò suo padre, appoggiato alla poltrona, lì vicino al suo letto.

"Nah, troppa fatica." Naya sorrise e non poté fare a meno di strusciare il dorso della mano sugli occhi. Non era mai stata una dormigliona,eppure in quel momento voleva solo dormire fino a non ricordarsi più la data. Forse era solo l'effetto del calmante che piano piano fluiva nel suo sangue dalla flebo.

"Thal non ti ha ancora bombardata di messaggi?" aveva continuato Aida, sua madre. Erano andati a casa e tornati senza di lei al secondo turno di visite. Sapevano come la pensava la figlia maggiore. Gli ospedali ammazzano l'umore.Quella frase bastò per far correre i pensieri di Naya.

La prima volta che era stata operata, la cosa che aveva odiato di piùera stato sapere che le tutte le persone a lei care, senza eccezione, erano in pensiero per lei. Nei giorni seguenti erano passati tutti a trovarla e a salutarla. E lei odiava con tutto il cuore ricevere visite in ospedale. Odiava essere guardata con occhi compassionevoli. Non era una creaturina che rischiava di rompersi.

E poi c'era stata la chiamata di Kaelin. E lì si era resa conto del fatto che lei non l'avrebbe mai guardata con compassione.

Avrebbe voluto vedere la sua migliore amica. Lei aveva saputo cosa dirle al telefono, aveva saputo le parole esatte da dirle per spronarla, come sempre. Ma nella sua voce aveva percepito una nota strana, quasi sconosciuta.

Kaelin era triste quanto lei. Anche lei aveva bisogno di essere rassicurata. Quello che stava accadendo stava distruggendo anche lei.

Naya non l'aveva capito subito. E non si era mai sentita più egoista di così.

 

Sentiva l'abbraccio entusiasta di Thalia mentre leggeva i risultati degli esami di fine anno.

Sentiva la voce di Vincent mentre guardava Londra che scorreva lenta dal finestrino della macchina.

Vedeva il mare di Southend, udiva la risata di Kaelin mentre la spingeva in acqua e la guardava riemergere con un sorriso divertito e beffardo.

Osservava il tramonto sparire all'orizzonte e portarsi via l'estate...

 

Quando riaprì gli occhi, era di nuovo da sola. Solo un bigliettino, con la grafia di sua madre, che le diceva di riposarsi e che l'avrebbero rivista la mattina dopo. Riuscì a sprofondare di nuovo nel sonno con un sorriso leggero. Sperò solo che sarebbe durato abbastanza.

Nel frattempo, il suo cellulare, abbandonato sul tavolo davanti al letto, riceveva un altro messaggio.

Vedi di non farmi scherzi.

 

 

Soltanto una volta atterrata si era resa conto di quanti inglesi ci fossero stati a bordo. Il pensiero l'aveva colpita solo una volta arrivata al gate, mentre aspettava l'arrivo della propria valigia. Ascoltava distrattamente una coppia di mezza età vicino a lei, concentrandosi sulla pronuncia e non sulle parole. A parte i suoi genitori, i suoi nonni e Naya, non le capitava di parlare con altri inglesi. Si sentiva a casa e allo stesso tempo stranita, come se ormai la cosa non la riguardasse più.

Afferrò la sua valigia, cercando di deviare i pensieri, e afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans. Erano le 7:47. Forse era ancora in tempo, se non ricordava male c'era un treno per Southend alle 8:08.

Si concesse solo il tempo di scrivere un messaggio, prima di infilare il cellulare tra la spalla e l'orecchio. Mentre spostava la borsa da una mano all'altra e si avviava verso la stazione interna di Heathrow, si sentì chiamare.

Girandosi, rimase qualche secondo imbambolata a fissare il sorriso di suo padre.

Non ci pensò due volte: infilò il cellulare in borsa, mollò la valigia sul posto e si avviò a passo svelto da lui. Anche la borsa cadde dalla sua spalla mentre lo abbracciava con forza.

"Lo sai che non mi abbracci così da quando avevi nove anni, vero?" scherzò lui e, per assurdo, fu proprio il suo lieve accento scozzese a farla sentire davvero a casa. "Ciao tesoro."

"Perché sei qui?" riuscì a dire Kaelin solo dopo essersi staccata da lui. Ewan non rispose: si limitò a passare accanto, continuando a sorriderle - Kaelin era certa che avesse il sorriso più bello del mondo, se avesse avuto il potere, avrebbe pagato oro per averlo nel suo corredo genetico – e andò a prendere la sua valigia.

"Perché sei testarda come un mulo e sapevamo che avresti preso il treno."

Kaelin lo seguì. Avrebbe roteato gli occhi, ma era troppo felice di vederlo. Si limitò ad alzare un sopracciglio. "Dimmi che eri già a Londra e non hai mollato tutto per venirmi a prendere."

"Ciao papà, mi sei mancato tanto. Grazie per essere venuto a prendermi, è la sorpresa più bella del mondo." Ewan si mise a ridere. "Poi non sbuffare se dico che sei un mulo," commentò, continuando a scherzare.

Kaelin lo prese a braccetto, sbuffando sul serio e nascondendo un sorriso.

 

"No, ma sul serio," aveva detto Kaelin ad un certo punto, mentre erano già in macchina e stavano uscendo dal traffico di Londra, "avrei potuto chiamare anche Milo."

"È ad una conferenza tutto il giorno, non poteva liberarsi, ma si è raccomandato di darti questo." Ewan aprì il cruscotto con la mano sinistra e tirò fuori quella che Kaelin pensò fosse la mug da viaggio più bella del mondo. "Voleva aspettare e dartela stasera, ma sai com'è. L'ha presa durante l'ultimo seminario a Cork."

Kaelin l'afferro e, dio benedica suo padre, era piena di caffè ancora caldo. Aromatizzato alla cannella, lo sentiva dall'odore.

"Scusa, ma dopo questa Milo è il mio padre preferito."

"Sì, lo sapevo che sarebbe successo, sono venuto a prenderti per riguadagnare dei punti."

Kaelin lo guardò incredula e rise di gusto.

 

 

Aveva sempre amato la campagna. Amava osservare come cambiava rapidamente mentre ci si sposta in auto o in treno e si stupida di quanti tipi di verde potessero esistere. Forse i suoi occhi non erano neanche in grado di percepirne tutte le sfumature.

Mentre guardava il paesaggio davanti a sé variare e avanzavano verso Southend, non provò il suo solito stupore e neanche una punta di dolce malinconia. Il buonumore era svanito fino a crearle un senso di vuoto alla bocca dello stomaco.

Non riusciva più a mettere a fuoco le immagini davanti a sé. Con la fronte appoggiata al finestrino, per un attimo la campagna inglese era diventata la campagna fiorentina. Rivide Naya e Vincent che camminavano davanti a sé, su per una stradina di pietra, in uno dei tanti paesini che avevano visitato durante il loro viaggio estivo. Naya l'aveva presa in giro, dicendo che si perdeva troppo ac ontemplare anche il dettaglio più insignificante. Aveva risposto che anche lei avrebbe fatto di peggio, se l'avesse portata a trovare i suoi nonni in Scozia.

La verità è che quella meraviglia nei confronti del mondo le aveva sempre accomunate.

Kaelin si scosse da quei ricordi e sospirò, appannando leggermente il finestrino. Frugò nella borsa e prese di nuovo il cellulare.

Ha il sonno disturbato e come sempre cerca di stare sveglia.

Ora le hanno somministrato del sonnifero.

I miei zii hanno detto che secondo i dottori la situazione è stabile.

Vorrei sapere cosa intendono per stabile.

Sai già che ti romperà le palle quando ti vedrà, vero?

Sorrise lievemente. Sì, lo sapeva benissimo.

Lo so, ma va bene così.

Bloccò lo schermo e gettò il cellulare nella borsa, sbadigliando.

"Va tutto bene?" le domandò Ewan, guardandola per un istante prima di continuare a controllare la strada.

"Sì, pare che stia meglio. Meno male..."

"Intendo anche te. Okay, lo sai che non sono io quello che fa i grandi discorsi, ma ultimamente chiami molto di meno."

Kaelin aveva incrociato lo sguardo di suo padre e l'aveva evitato subito.

"Non c'è niente. Sono solo stanca. Penso sia l'arrivo della primavera".

Si era sorpresa di quanto fosse stata leggera e tranquilla la sua voce. In realtà era sempre stata discreta a mentire. Ma Ewan si era sempre accorto di tutto solo ascoltandola. Eppure, lo vide annuire e sorridere con un ora pensa a riposarti allora.

Com'era possibile che gliel'avesse fatta? O forse stava solo cercando di lasciarla tranquilla per un po'?

In quel momento cercò di convincersi che era solo la stanchezza a farle credere di avere una crepa che cresceva sempre di più.

Sapeva solo che Naya non si sarebbe fatta fregare così facilmente.

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