You give love a greek name.

di Mushroom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chains of love. ***
Capitolo 2: *** Gotta hold on me ***
Capitolo 3: *** Sparare a un fiore ***
Capitolo 4: *** Card Factory ***
Capitolo 5: *** It may contain gin ***



Capitolo 1
*** Chains of love. ***


Chains of love. 

 

“Oh, questo è coraggio.”

“Ci mancherai, amico.”

“Non hai neanche un po’ di paura?” Joly stressa l’ultima parola come se Courfeyrac avesse contratto una malattia mortale, e pochi secondi lo separassero dalla fine. Grantaire ridacchia su una bottiglia, le labbra quasi posate sull’anello, mentre Bossuet tiene tra le mani un minuscolo pacchetto malamente incartato.

L’oggetto in questione è un regalo per il loro grande Leader, come lo chiama R nei suoi giorni migliori. Nessuno aveva potuto crederci quando Courfeyrac  aveva inviato la foto la dell’acquisto su whattsapp, tranne Grantaire. Lui l’aveva trovato esilarante, perché si può sempre contare sull’umorismo di un ubriaco. Combeferre, invece di rispondere nella chat generale (Party like it’s 1789!!), gli aveva scritto direttamente un messaggio in privato, chiedendogli di poter partecipare al regalo e di dividere il prezzo per due. Vuole essere complice attivo della faccia che farà Enjolras. Ulteriore conferma che Courfeyrac può sempre contare su Combeferre, ma questo è un altro discorso.

Marius, seduto dall’altro lato del tavolo, era offline quando i trecentoquarantasette messaggi incriminati erano stati mandati; e essendo trecentoquarantassette messaggi, una volta perso l’attimo, una spina nel fianco da recuperare, non ha idea di quello che sta succedendo. Cosette, quindi, gli si fa vicina (le guance del povero Marius si tingono di rosa, e Courfeyrac alza gli occhi al cielo) per mostrargli la foto e elencargli i punti salienti della discussione. Come reazione, ottiene una risata e uno sguardo d’approvazione lanciato da parte del suo coinquilino.

“La sua ira sarà terrificante” continua Grantaire, a cui gli inglesi piacciono in base alle occasioni, ma che ha deciso di far sua la cultura del pre-drinking, e arrivare alle feste con la sbronza già preinstallata. “Temete, mortali, la palla di pelle di pollo.”

“Fatta da Apelle figlio di Apollo.” Jehan conclude, assecondando una logica tutta loro, consolidata nel corso di anni di relazione fatta di letteratura e brutte battute.

“Questa era totalmente fuori contesto.” Sbuffa Bahorel, che non ha nessun regalo per Enjolras, a parte la sua presenza, come ha già rimarcato prima, facendo imbronciare R perché ha pensato esattamente alla stessa cosa. Mentendo, ovviamente. Tutti avevano notato il piccolo pacchetto quadrato nella sua tasca, con cui continuava a giocherellare, quasi nervosamente, come se non fosse sicuro di cosa farci, con quella carta rossa e il fiocco dorato. Nessuno si era azzardato a commentare, anche se avrebbero potuto, e sarebbe stato divertente. Avevano meglio da fare che appesantire le pene altrui. Tranne quando si trattava di Marius. In quel caso, niente è meglio.

Bossuet, a quel punto, ripone il pacchetto di Courfeyrac sul tavolo. Il retro sala del Corinto è tutto per loro, quel giorno, e piccoli addobbi sono sparsi qua e là. La spesa, che doveva contenere dei cappelli da festa, trombette e un festone, si era trasformata in una catasta di pizze surgelate, patatine, cioccolati e coriandoli. Uno di loro, qualcuno che non aveva pensato bene alle conseguenze, aveva comprato un palloncino con la scritta “Happy Birthday”, ora lasciato galleggiare sopra le loro teste, appiccicato al soffitto. Sì, sono buoni neanche a tenere fermo un palloncino, a quanto pare.

Enjorlas deve essere sul punto di entrare in scena, considera Courfeyrac, prendendo una patatina. Non sarebbe mai arrivato in ritardo a una riunione, e giocare d’anticipo sul suo anticipo era solo una pratica ricorrente una volta imparato a conoscere il suo carattere.

“Se posso essere sincero.” Commenta Combeferre, sedendosi al suo fianco e incrociando le braccia “Credo che gli piacerà.” Gli altri iniziano, da quel che sembra, a discutere di qualcos’altro; le bibite sono state aperte prima dell’inizio della festa, e nessuno di loro vincerà mai la gara a chi riesce a tenere più patatine nella bocca, perché quel record è detenuto da Bossuet da tutta una vita.

A Courfeyrac scappa un sorriso. Alza gli occhi sull’amico. “Credi che metterà la parte di cuore con la scritta best o con quella friends?”

“Friends, ovviamente.” Ribatte, deciso e quasi serio. Quasi. Quel tipo di serietà che maschera solo uno scherzo più grande. A Combeffere è sempre uscita bene. È colpa degli occhiali, lo fanno sembrare intelligente. Sebbene non sia solo colpa degli occhiali. Anche Combeferre ci mette qualcosa di suo, per sembrare intelligente. “È la parte dove c’è stampata la torre Eiffel, dopotutto.”

In quel momento, il festeggiato fa il grande ingresso. Nessuno se ne accorge, tranne Grantaire, che viene calamitato dalla sua presenza come una falena dalla luce; e, andando a fuoco poiché troppo vicino, brucia per prime le sinapsi che connettono il cervello alla lingua, diventando muto tutto d’un colpo. Di conseguenza, la sua presenza viene notata dal resto degli amici solo dopo un severo schiarimento di voce.

Tutti si girano. C’è silenzio. Poi si esplode in un tripudio di coriandoli e patatine:

“SORPRESA!!”

Enjorlas non è impressionato.

 


 

 

Note: Sto piano piano riesumando - e poveramente rileggendo - le robe scritte per il cow-t (@Maridichallenge) di quest'anno. Questa shot, partita da quest'orrore qui, trovato e fotografato per amore della Patria, è stata partorita molto velocemente per la prima settimana della challenge, con il prompt "Paura". La cosa è degenerata fino ad aggrumarsi in un piccolo gruppo di fanfiction, tutte le legate dallo stesso 'verse e assolutamente senza pretese. Vista la loro natura, sono state buttate giù senza rispettare una cronologia specifica - potete tranquillamente saltarle, a parte giusto un paio che sono collegate a causa ed effetto tra di loro -, e per tanto ho deciso di raccoglierle qui su efp in una multicapitoli, rispettando l'ordine in cui sono state scritte. A parte questo, l'angolo è in realtà per 1) mostrarvi la collana orrida e 2) ringraziarvi di essere passati e aver letto o/ il vostro click mi ha sollevato la giornata. Un saluto a tutti o

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Capitolo 2
*** Gotta hold on me ***


Con sorpresa, Enjorlas fa tesoro della collana di Courfeyrac e Combeferre. Tiene il ciondolo sul palmo di una mano, e la catena, un filo fatto di finto pseudo argento, che prenderà un colore giallastro in meno di una settima, intrecciata nelle dita. Il cuore è destinato ad essere spezzato: non serve che qualcuno gli spieghi come utilizzare le due parti di una collana dell’amicizia, nonostante Jehan trovi, silenziosamente, un perfetto ossimoro nel regalo – le amicizie non sono fatte per spezzarti il cuore, eppure eccone uno proprio là, creato per essere fatto a metà.

C’è uno shock silenzioso che nessuno osa infrangere, neppure Grantaire. Sentono arrivare gli echi di un discorso sul capitalismo, quello in cui l’indomito Leader avrebbe sarebbe scoppiare all’apertura del pacchetto. Il consumismo e l’amicizia. Il simbolismo vizioso. Qualsiasi cosa che accendesse le risate. Niente.

Enjorlas alza semplicemente gli occhi su di loro, con il suo magico potere per cui, guardando un gruppo, riesce a far sentire importante ogni membro. Compie ventun anni, ne dimostra ancora diciassette, è già in grado di muovere le sue idee dall’astratto al concreto, e far credere a chi lo ascolta di essere nel giusto. Eppure, guardatelo, in piedi e afono; confuso.

“Cosa dovrei farci?”

La bolla intorno agli amici scoppia – Combeferre  tira su gli occhiali con due dita, dando una gomitata a Courfeyrac, ancora fermo con la telecamera puntata su Enjolras. Colgono il fretta il panico negli occhi dell’amico.

“Ne metti addosso una parte” fa Courfeyrac “E l’altra la dai al bff del tuo cuore.” Si sentono delle risate “Oppure li tieni entrambi e via, non ci aspettavamo che…” la frase non finisce. Le cose che non si aspettavano sono tante, e ancora faticano a capire se il regalo sia stato apprezzato, o stia per essere preso come lo scherzo che è.

Enjorlas lascia andare un “Oh.” E un serissimo, lapidario “Come pensavo”. Significa tutto e niente, così come per Enjorlas quel gesto significa tutto e niente. Come potrebbe fare il suo cuore in due, se i suoi amici non si possono contare nelle dita di una mano. Sarebbe un’ingiustizia, un insulto, anche, verso ognuno di loro.

Nel frattempo, Bossuet ingoia le patatine. Eponine, che è lì perché c’è Marius, e tutto ciò che sa di Enjorlas si riassume in è biondo, si guarda le unghie. Grantaire osa dire “Hai intenzione di fissarlo fino a che non inizierà a cantare il contratto sociale per te?”

L’altro non risponde, ma la sua mano si chiude intorno al dono. “Grazie.” Dice, e Grantaire sa di non essere incluso nel ringraziamento collettivo. Courfeyrac mette un braccio intorno alle spalle di Enjorlas, facendolo traballare. “E ora: KARAOKE!”

**

La festa non è la più memorabile nella storia delle feste di Courfeyrac, ma è comunque piena di voci, di ubriachi e di passione. Il tutto basta a trainare il carro, anche quando Enjorlas tenta, nei primi momenti, di riconvertire il suo compleanno in una riunione qualunque, senza però venir ascoltato da una mosca.

Dopo, Grantaire avrà solo un gran mal di testa, e la serata sarà quasi al buio, in mezzo a un frastuono di voci stonate. Al momento viene aiutato da Jehan a ritrovare la strada di casa, zizzagando per le viuzze secondarie della città.

“Il significato è, voglio dire, il tuo migliore amico e l’altra parte – della medaglia, no? Quindi gli dai un pezzo del tuo cuore.”

Jehan Prouvaire annuisce, ma non condivide. “Banale.”

“Hey, parliamo del Grande Marketing delle Amicizie TM, amico, non è originale, deve vendere.”

“Ora parli come Enjolras.”

Grantaire sogghigna, alzando gli occhi, nascosti da palpebre cadenti, verso l’amico. “Le sue orazioni sono meglio dell’opera.”

“Vuoi dire che battono le disavventure amorose di Marius?”

Ci pensa “Ursule? Mai.”

Prouvaire ride, cristallino, le guance arrosate a causa del vino, l’equilibrio intatto poiché ha posato la bottiglia prima di eccedere. “Comunque” continua Grantaire, ridacchiando, inseguendo un flusso di pensieri che sfuma in un altro e inciampa, e inciampa ancora “Hanno regalato un cuore troppo bello per Enjolras”

“R, aveva Parigi stampata sopra. Praticamente è un ritratto fedele di come sarebbe il suo cuore visto in ecografia.” Fa Bossuet, dietro di loro, con Joly al seguito. Ah, giusto, si erano dimenticati di loro. Fanno la stessa strada, dopo le riunioni, tutti i giorni, da anni. Il premio amicizia va a loro.

R tira su col naso, facendo uno sforzo enorme per voltarsi senza sbilanciarsi in avanti o all’indietro. Non dice nel suo cuore ci siete tutti voi e neanche non capite quanto siete fortunati e neppure, sebbene gli sfugga una frase insensata, l’avete commosso, idioti.  Non lo fa perché nel momento in cui pensa, le frasi spariscono da sole. È condannato a girare intorno a pensieri che iniziano ma non finiscono. “Il cuore di Enjolras è brutto.” Biascica poi, e Joly arriccia il naso.

“Il cuore di Enjolras è grande come un tuo pugno, ed è il centro dell’apparato circolatorio” risponde, il futuro medico “È fatto come il tuo, ‘Erre”

Non è quello che voleva dire, ovviamente, e Bossuet ridacchia internamente e ruggisce esternamente. Il vino ha dato alla testa pure a lui. È il miglior compagno di Bevute che Grantaire avesse mai potuto sognare.

R fa una smorfia. È a conoscenza di come funzioni il cuore, grazie mille e infinite, ma il punto è un altro. Il punto è che Enjorlas – qualcosa, è qualcosa, ed è terribile, affascinante e terribile, ma nel senso che – teme di non avere un senso, e pondera di aprire la bocca e dire tutto a voce alta; di renderli partecipi del flusso incessante che gli ottenebra la mente. Però non ha nessun comizio da interrompere; e se anche fosse, come potrebbe non rendersi patetico, in quel suo continuo parlare del loro angelo vendicatore preferito.

Quindi sogghigna. “Abbiamo dimenticato il biglietto di compleanno.”

Joly sospira “Glielo diamo domani”

“Ci hai scritto la dedica?” Bossuet guarda Prouvaire, il quale, nel frattempo, ha colto ogni frammento della battaglia interiore di Grantaire e ne ha fatto silenziosamente tesoro.

“Ci ha pensato R.” risponde.

“Davvero?” Joly, ancora, sorpreso. Grantaire infila una mano nel cappotto, tirando fuori una cartolina quadrata, custodita dentro una busta rossa. Il piccolo pacchetto, al suo fianco, sbuca fuori per un attimo, minaccia di cadere, e viene spinto di nuovo all’interno con un gesto premuroso.

R apre il foglio, ma non ha più la capacità di trasformare i simboli in suoni. Prouvaire gliela sfila dalle mani. Legge “Al Divino Apollo – Sopresa! Sei più vecchio! Ancora trent’anni e forse potrai farti la barba! Con affetto, I les amis.”

Silenzio.

“Divino Apollo?” Bossuet alza un sopracciglio, mentre arrivano all’angolo in cui separarsi. Prouvaire ha gli occhi che brillano. Sussurra un “È perfetto.” E ‘Erre, poi, non sa che succede, tutto si frammenta, e passi ondeggianti sono l’unica memoria che si porta dietro, di quel dialogo mai finito.

Della serata, alla fine, ricorderà solo gli occhi ardenti di Enjorlas, posati su degli amici di cui Grantaire non fa parte.

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Capitolo 3
*** Sparare a un fiore ***


Sparare a un fiore.

Grantaire viene svegliato da un colpo di fucile.

Rimane immobile ad ascoltare il veloce picchiettare del suo cuore sulla cassa toracica. Ha un sapore di malto in bocca, ora così secca che potrebbe far male provare a deglutire. È seduto su una seria e disteso su un tavolo, in una stanza illuminata dalla luce del mattino, e ricorda che non è lo sparo a ridargli coscienza; lo sparo viene dopo, viene adesso, prima è il silenzio. Ci sono bottiglie sfocate dietro alle sue ciglia, ombre in una mente sobria, e sente una voce dire è come sparare a un fiore.

Più spari, due questa volta, in successione l’uno all’altro; veloci, arrabbiati. Una voce segue:  “Grantaire, apri questa porta.”

Apre la bocca per parlare, ma nessun suono ne esce fuori. La stanza diventa più piccola, mentre si alza. Tutto gli ruota intorno; anche le parole, che questa volta escono fuori.

“Andiamo.” La voce è più forte, adesso. Manca della sfumatura imperiosa di appena poco prima “Giuro che torno con la polizia, se non vieni ad aprirmi.”

La mente di Grantaire scivola un passo dentro la coscienza, il corpo incapace di muoversi per qualche secondo, il rumore del suo cuore forte, più volte, su per le orecchie, un sorriso che svanisce prima di essere completo. Colpi alla porta. Perché, pensa, e riconosce il “Erre!” incacchiato, anche se da quella bocca non è mai uscito nessun soprannome, per lui.

Prouvaire poteva semplicemente aprire al suo posto, pensa, lentamente, ma anche quello designa un tempo sbagliato, e quando apre gli occhi, nella cucina spoglia del suo piccolo appartamento, si ricorda che ha smesso di avere un coinquilino molto tempo prima; e di rubare spazio nella casa di Prouvaire ancora più indietro. Davanti al suo naso, bottiglie e bicchieri son vuoti e sparsi; ha la testa posata sulle braccia, la schiena curva sul tavolo di legno, la bocca asciutta e la testa pesante. Per la prima volta – ed è un nuovo livello, per un tipo come Grantaire – capisce il significato del termine ubriaco marcio.

“Grantaire!”

“Arrivo!” strilla, di risposta, e il suono che esce è un gracchiare aspro, fa male quasi come se avesse carta vetrata al posto di corde vocali. Il bussare incessante si placa. Enjolras deve aver capito che non può, a dispetto del fuoco che gli infiamma lo sguardo, incendiare per davvero ciò che ha il malcapitato destino di cadere sotto i suoi occhi. È pace per il cervello di Grantaire, che duole quasi quanto il retro della sua schiena.

Si ricorda a mala pena di essersi addormentato. Se deve essere schietto, si ricorda a mala pena in che mese sono, e sicuramente non ha un briciolo di memoria delle sere prima. Cercherà di mettere insieme i pezzi più avanti, quando il buio nella sua testa darà spazio a dei fugaci momenti di coerenza. Nel mentre, quello che può fare è soddisfare i voleri di un Dio irato.

La confusione fa si che i suoi sogni sfuggano dalla sua mente. Non c’è nessuno sparo, nessuna luce. Le tende sono tirate, e lasciano filtrare solo poco del sole che illumina il pomeriggio di Parigi. Alzandosi dalla sedia, Grantaire diventa consapevole del dolore: non è più un fastidioso pulsare, bensì una pallottola sul fianco, un brivido lungo la spina dorsale; un incessante rumore dentro la sua testa. Un rigurgito acido sale su per la gola, bruciando tutto ciò che trova nel mezzo. Il suo corpo si muove come se non fosse il suo.

“Per l’ultima volta, lasciami entrare”

Grantaire si chiede cosa ne pensi il vicinato, del loro dialogo – monologo, per la maggior parte – attraverso una porta chiusa. Poi si ricorda che il vicinato ha visto ben peggio, e lascia rotolare il pensiero via dalla propria testa, sostituito da uno nuovo, pienamente consapevole, ossia una domanda che inizia con un perché. Enjolras è fuori dalla sua porta, e il mondo non sta cadendo a pezzi, e non è appena scoppiato in una febbre rivoluzionaria. Questo significa che ci sono meno di zero motivi per i quali dovrebbe trovarsi lì. E se anche ci fosse, la febbre rivoluzionaria, R è più che sicuro che Enjolras non lo lascerebbe neanche dormire nel mezzo della sua rivoluzione, figuriamoci prenderci parte.

Riprende a bussare. Per l’amor di Dio.

Inciampa sui suoi stessi passi mentre si dirige alla porta. Quando la apre, i suoi occhi si chiudono d’istinto, quasi bruciassero davanti alla troppa luce del mondo esterno. Tenendo una mano poggiata sullo stipite, per tenersi in equilibrio, usa l’altra per strofinarsi le palpebre. Le sbatte ripetutamente “Contento, ora?”

L’altro sbuffa. Piccole macchioline scure intralciano la visione che R, una volta riacquistata la vista, ha di Enjolras. L’ironia è una cosa buffa, e questa volta potrebbe dire che Enjolras ha letteralmente portato la luce. Lo guarda dall’alto in basso. Grantaire ha indosso i pantaloni del pigiama, una taglia più larghi, e una maglia senza maniche, sudata e macchiata. Di certo, non si aspettava visite; se anche fosse, non gliene sarebbe importato.

“Sei vivo.” Sibila Enjolras, senza aspettare una risposta. Scansa Grantaire con sdegno, e si fionda dentro l’appartamento come un mastino sulle tracce della preda. La situazione diventa ancora più confusa. La signora Hucheloup, passando di lì per caso, con una busta della spesa tra le mani, lancia uno sguardo confuso a Grantaire, ricambiato da un uno altrettanto privo di ogni indizio sullo scorrere dell’esistenza. La porta viene chiusa poco dopo, e R trova il suo ospite a guardarsi intorno, le mani dentro le tasche di una giacca rossa, i boccoli dorati tenuti insieme in una coda bassa.  

Enjolras posa gli occhi sul divano, li fa volare dal tavolino del soggiorno alla strage d’alcool sopra il tavolo della cucina. Una coperta di plaid forma un piccolo lago increspato di pieghe sul pavimento. Sopra il frigo, un magnete tiene ferma una poesia di Prouvaire, mentre un altro il ritratto stupido che gli aveva fatto Bossuet, una notte di qualche tempo prima. Quelli sono gli oggetti a cui Enjolras sembra dare maggior attenzione. Dopodiché, tira fuori il telefono cellulare, e si mette a scrivere.

Grantaire aspetta in silenzio che il suo cuore rallenti. Il suo cellulare, lasciato in cucina, si illumina. È in silenzioso, niente vibrazione. Va a recuperarlo per trovare una montagna di messaggi – whatsapp, facebook e sms. “Wow, vi sono proprio mancato.”

Enjolras fa scivolare il telefono di nuovo in tasca, e se non lo conoscesse, gli sembrerebbe di vedere la sua mascella tendersi. “Hai dormito per tutto questo tempo?”

“A occhio e croce?” non si disturba a sbloccare il cellulare e vedere cosa è successo nel mondo; o cosa i suoi amici volessero, nelle ore passate. Anche volendo, la sua attenzione verrebbe calamitata dall’altra persona nella stanza. Non riesce a impedirselo. Dopo anni, la storia si ripete ogni volta che Enjolras entra in una stanza. Fortunatamente, è un’inclinazione che l’interessato non ha mai notato; o se l’ha fatto, ma non crede, la sua presenza conta quanto quella di una formica dentro una stanza piena di elefanti, ha scelto di ignorarlo.

“Sono due giorni che non ti fai vedere.” Scandisce il due, continuando a muoversi intorno. Posa le punte della dita di una mano sul tavolo, quasi avesse cura del piccolo gesto in atto, e da’ attenzione a ogni singola bottiglia. “Joly, eventualmente, si è preoccupato.”

Grantaire trova la forza di fare un sorrisetto spezzato, e alzare le sopracciglia. “Sei qui perché Joly era preoccupato?”

Enjolras stringe le labbra e grazie, si dice R ironicamente, ora che il focus è passato alle labbra, si chiede quanto velocemente potrà accorgersi di starle fissando prima che diventi imbarazzante per entrambi.

“Feuilly mi ha chiesto di venire.” Dice. È bravo a mentire. Questo è ciò che farà di lui un grande politico. Grantaire è bravo a leggere l’ironia tragica, sebbene lì non ce ne sia. Qui c’è solo qualcosa, nel suo petto, che si agita, delusa, anche se non dovrebbe essere un bel niente, perché Enjolras ascolta Feuilly. Gli occhi brillano, quando parla di lui.

“Ah.” Risponde, pacato, lasciandosi cadere sul divano. “Niente di nuovo, fatica sprecata.”

Pace all’anima sua, l’altro annuisce, come se su quest’ultima affermazione potessero concordare. Continua a fissare il tavolo, soffermandosi ancora e ancora sulle bottiglie vuote; poi lo sguardo scivola, e per la prima volta, Enjolras lo guarda in faccia. C’è disprezzo, nei suoi occhi, misto a qualcosa che Grantaire non riesce a definire. Sembra come se stesse discutendo con se stesso, internamente, decidendo se parlare o meno. Nota che, al collo, porta ancora la collana del suo compleanno.

Grantaire, ogni volta che discute internamente con se stesso, finisce per sputare fuori tutto, meno quello che vuole dire; e se ancora volesse– quando vuole dirlo – le parole non arrivano mai dal cervello alla lingua, perché il cervello di Grantaire è un grande buco nero incapace di ordinare il microcosmo al suo interno. Le cose non vanno mai come crede, al suo interno.

Enjolras, invece, ha una oratoria ottima. Dice quello che vuole dire, nel modo in cui vuole dirlo, e la sua furia non si ferma fino a quando, utilizzando le parole come una spada, non ti strappa il cuore dal petto. O forse quello vale solo per certe persone. Infine, le spalle di Enjolras si rilassano. Il suo sguardo si abbassa.

“Dove tieni le buste della spazzatura?”

R lo guarda.

“Pulisco il tavolo.”

***

 

Note: Buonsalve! Giuro, non sono sparita - e giuro, avevo intenzione di aggiornare una settimana dopo lo scorso aggiornamento, then esami happens e.... hello again *silenzio della vergogna*
Anyway, vi voglio disturbare solo per un paio di note. Prima, e per importanza, vorrei ringraziare tutte le persone che hanno letto, aperto per sbaglio e - soprattutto - commentato le shot precedenti. Davvero: mille e mille grazie. E' bello sapere di non essere soli nel delirio e nello shipping. Per ricompensa, vi arriverà a casa una scatola di cuori, cioccolatini e cuccioli.

Seconde note: 1) La shot non è stata riletta. Uno dei motivi per cui ho aspettato tanto a postare è perché avrei voluto riscrivere certe parti, e postarla con grazia di Dio. Non ho avuto tempo o modo o voglia, quindi, con amore, eccola comunque; 2) è possibile che io aggiorni prima su AO3 che qui, quindi eccovi il profilo.
3) Volevo solo rendervi partecipi delle tag con cui ho postato su ao3, perché riassumono l'entità della cretinaggine: Modern AU, Corinto is back in black, Pining, as usual is tagged as m/m but in fact is one sided R, Grantaire ha bisogno di una riunione degli alcolisti anonimi, riferimenti al canone, tutti vivi, tutti cretini, Stay Alive, stay scemo, AMICIZIA TM.

Ancora, grazie a tutti. <3

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Capitolo 4
*** Card Factory ***


È il primo sabato di vacanza dopo gli esami, e la proposta arriva sul gruppo whatsapp da Bahorel.

 

 

            Sono stato bocciato per la quinta volta in diritto privato. Usciamo?



La quinta volta è mentire spudoratamente sul numero di tentativi in cui ha sostenuto l’appello, ma nessuno lo fa notare.
Le cose vanno in questo modo: Enjolras deve tornare a casa per il fine settimana, e ricorda a tutti che comunque la riunione del lunedì sarà alla solita ora; Feuilly deve lavorare, anche se li intima di passare al caffè dove è di turno mentre gironzolano per la zona commerciale; Combeferre, infine, ha ancora da studiare.


La sessione è finita, amico.
Non per Filosofia.


Courfeyrac risponde digitando uno smiley triste – come se, in ogni caso, non passasse tutto il suo tempo a gironzolare per la casa dello studente di Combeferre in compagnia di Enjolras – e viene palesemente ignorato, il suo messaggio sommerso da una dozzina da parte di Joly, poi da Marius e infine da Bossuet. Grantaire è l’unico a degnarlo di un messaggio vocale (Who cares about your lonely soul? Your little life don’t count at all) cantato. Mai l’avesse fatto, i messaggi si trasformano in una serie infinita di vocali dalla durata di qualche secondo l’uno.
«R sta per rompiscatole.» commenta Bahorel, mentre passeggiano lungo una strada gremita di turisti. Il sole è alto, e Marzo sembra voler saltare la primavera e portare direttamente l’estate. È un fenomeno comune, al giorno d’oggi, ed è conosciuto ai più con il nome di riscaldamento globale. «Avete idea di quanti dei suoi vocali abbia dovuto saltare prima di capire in quale fosse l’ora in cui dovevamo vederci?»
«Puoi anche smettere di parlare come se non ci fossi, eh.»
Bahorel si volta per guardarlo, il viso raggrinzito in una smorfia di puro dolore. «Ventidue minuti di vocale, R.»
L’altro sorride sornione, il passo trasandato e le mani in tasca. «Poteva andare peggio.»
«Ti avremmo buttato fuori dal gruppo.»
«Sai che novità.»
«Ti avrei ri-aggiunto, tranquillo.» Bossuet accompagna le parole con un sorriso beone, affiancandoli. Tra di loro, è forse l’unico che ascolta per intero i suoi vocali, come sottofondo, mentre cerca di studiare o mentre, sull'autobus, attraversa la città da parte a parte. Tra le sue sfighe, avere Grantaire come amico non è di certo la peggiore.
«Questo è il problema, quando non hai un solo amministratore.» Bahorel, di nuovo.
«Sarebbe stato anticostituzionale.» si intromette Courfeyrac, il cui sguardo è stato deviato da una ragazza – bionda, bassottina, che chiacchiera in un’altra lingua con un’amica – di passaggio. «Per parlare anche a nome di chi non è con noi: pensa ai pilastri della Democrazia
Joly sogghigna, buttandosi in una conciliata imitazione «Cittadini, non miriamo forse alla scomparsa della stratificazione sociale? Cosa sarebbe di noi, se accerchiassimo il potere intorno a un solo amministratore?» e, di conseguenza, fa ridere tutti gli altri.
«Beh, R?» Cosette gli da’ una gomitata «Quale voto dai alla sua performance?»
R si volta per guardare Joly, che alza il mento, tutto fiero, e vede Bossuet strofinargli la testa per irritarlo, con un tocco di affetto che gli è impossibile mascherare. «Potrei dire che c’era una certa passione, ma» fa ondeggiare un dito in aria «Parole ardite, certo. Però niente convinzione nello sguardo, amico mio. In più non sei biondo. Essere biondo da’ quell’aria...» il dito continua a vagare «Insomma, due stelle su cinque, ti offro possibilità di miglioramento.»
«Hey!»
«C’è da ammettere che Combeferre lo imita meglio.»
«E io che credevo di essere il tuo preferito
Prouvaire gli lancia uno sguardo di soppiatto.
A quel punto, Grantaire si ferma tutto d’un colpo davanti a una vetrina. Si tratta di un negozio di cartoline e oggettistica, in cui tutto sembra essere addobbato per la festa della mamma. Palloncini rosa e tazze colorate, un bicchiere che dice “Alla migliore madre adottiva del mondo” e dei pupazzi di dubbio gusto. All'interno, si è in grado di scorgere una discreta fila alla cassa. Gli altri si accorgono solo qualche metro più avanti di aver perso Grantaire per strada.
Comprensibile da parte di Marius, se si vuole essere onesti, che già normalmente non si accorge di cosa succede nel mondo intorno a lui; e che quando c’è Cosette non ha idea di cosa succeda al di fuori dell’area occupata dalla ragazza.
«Pensate che dovremmo prenderne una?» fa, quando si avvicinano per recuperarlo. Avevano provato ad urlargli - a distanza - di muoversi. Ovviamente non li aveva ascoltati.
Courfeyrac alza un sopracciglio. Bossuet emette un ohw canzonatorio. Bahorel annuisce serio, come se le mamme fossero una cosa seria (non scherziamoci, lo sono). Prouvaire è semplicemente contento di non dover avere quella conversazione con Feuilly di mezzo.
«Wow» fa Joly, dando voce a qualcosa che tutti hanno pensato «Vuoi comprarne uno per tua madre? Questo è--»
Grantaire lo interrompe agitando una mano «Macché.» commenta «Compriamone una per la madre di Enjolras e guardiamolo fumare sulle feste che inneggiano al consumismo.»
Momento di silenzio. I les amis entrano in massa dentro il negozio.



**

 

In realtà l’idea non è malvagia, di principio. Ai les amis la mamma di Enjolras – una signora di mezza età che suona il violoncello e ha passato la sua vita ad insegnare – piace. Prevalentemente, perché non è per niente come il figlio.
«In più» aggiunge Marius, con una cartolina viola in mano e la convinzione che non ci sia niente di male in delle cartoline prodotte in serie «Non l’abbiamo mai ringraziata per averci ospitato»
«È vero» conferma Joly, come se fosse necessario. «Ma a questo punto forse dovremmo prenderla una anche alle nostre madri.»
«Oi, vuoi proprio far incazzare Enj, non è vero?» Courfeyrac ride, digitando il telefono. Tutti sanno che sta aggiornando gli altri del piano. «Una cartolina demoniaca è abbastanza»
«Demoniaca.» Cosette alza le sopracciglia, perché lei per la festa del papà ha sempre un biglietto pronto. E prepara i pancacakes per colazione.
«Sarebbe perfetto imbucarla questo lunedì.» continua Courfeyrac, evidenziando il perfetto come se fosse un piano geniale super malvagio «Così che arrivi in ritardo, e quando Enjolras è già qui. Voglio assistere alla chiamata. Potrei andare a dormire da lui, pur di esserci.» annuisce verso Marius, che gira la cartolina che ha in mano per fargliela vedere. L’altro scuote la testa. Bahorel sta comprando un brutto pupazzo per sua mamma, nel frattempo, e Joly e Bossuet sono stati distratti dalla sezione carta da regalo. Grantaire, invece, sta guardando le cartoline per le nonne migliori del mondo. Sinceramente, quello slogan gli è andato a noia dopo la prima volta che l’ha letto – e poi non è come se suo padre avesse apprezzato la tazza, quella volta.
La quantità di cose che cercano di vendere è stupefacente. Vuoi una cartolina per comunicare al mondo la tua malattia terminale? Eccotela. Cartolina perla salute mentale? Dietro di te. Cartolina per l'ultimo intervento all'anca? (Prouvaire gli mostra quella sul temiamo ti stia sfuggendo il controllo sul bere, e lo fa per scherzo, lo sa bene, anche se non gli impedisce di sentire qualcosa stringersi nel petto) è proprio lì, davanti a te. Per le madri, una gamma completa. Brutta poesia, commenta con Prouvaire. Nessuna rima interessante. Metafore banali. Una mamma è come un focolare sempre acceso, pure Bahorel avrebbe scritto di meglio.
Pensandoci, forse non troveranno niente con il giusto valore da spedire alla casa nel paesino di Enjolras. Inconsapevolmente, Grantaire giocherella con la collana intorno al collo, senza mai tirarla fuori dalla t-shirt, e nel mentre fa volare lo sguardo su tutti i disegni e le forme sopra le carte, senza fermarsi e leggendo le frasi solo a metà, ed infine ne tira fuori una altrettanto a caso.
La nonna ti insegna le cose più importanti della vita.
Il disegno di un mulino, in mezzo a un giardino fiorito, fa da copertina. La apre, e si legge: Come i migliori insulti e quando correggere il caffè col Gin. Buona festa della mamma, Nonna!
Grantaire non può fare a meno di scoppiare a ridere. La gira verso Courfeyrac che, in compagnia di Marius e Cosette, sta decidendo quale sia il colore migliore da abbinare alla cartolina. Questo stringe gli occhi e non capisce, almeno finché non gliela apre di fronte. È l’unico, oltre a lui, ad aver incontrato la Gran Signora Enjorlas di prima mattina, ed a sapere. Apre la bocca per elargire quello che probabilmente è consenso completo, quando Joly scopre, con meraviglia e all'ultimo secondo, fermando Marius alla cassa, che «Ragazzi, possiamo farci stampare una cartolina personalizzata!»
La testa di Bahorel spunta da dietro uno scaffale. Prouvaire alza gli occhi dalla tazza, decorata con dei fiori in finto acquarello, che sta osservando.
Tutti si voltano verso R, ancora con la cartolina per la nonna in mano. Si sente quasi in colpa per quello che arriverà a casa Enjorlas. Quasi.



**

La cartolina è bianca e con un font nero. Passano ore alle macchinette automatiche per impostarla come vogliono, sprecando il sole e ricevendo un messaggio arrabbiato da Feuilly, mentre smonta il turno dal caffè per spostarsi verso il secondo lavoro. Ci mettono altri quindici minuti per far scannerizzare il doodle di Grantaire
(«Mi spiace, mi serve per forza in formato digitale, sennò non possiamo fare niente»)
buttato giù con una biro su un fazzoletto. Nessun commesso di Card Factory ha mai odiato tanto un gruppo di universitari.

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Capitolo 5
*** It may contain gin ***


n/a: contiene qualche dialogo che avrà senso solo in luce di pezzi che scriverò in futuro, e ricongiungerò a questo. Cronologicamente, è il diretto continuo del terzo capitolo. Enjoy! 
ps: mai riletto, mai betato. Sono una madre incapace.

 

**

It may contain Gin.

 

 

Enjolras si muove silenziosamente per la cucina.
È la prima volta che Grantaire lo ha dentro casa; è la prima volta, probabilmente anche l’ultima, in cui Enjolras si ricorderà il suo nome. Ciò è straordinario quasi quanto l’agiatezza con cui il leader dei Les Amis – nessuno l’ha mai proclamato tale, non è un titolo o uno statuto, e non è come se Enjolras fosse in grado di portare a termine qualsiasi cosa – forse è l’osservazione sbagliata, crede che Enjolras sarebbe in grado di portare a termine tutto, ma il modo, ecco, quello potrebbe dirottarsi verso il sbagliato. Per quanto lotti per il giusto, ad il Grande Leader non importa come lo ottiene, o a chi deve fare male nel passaggio – non che gli piaccia fare del male, pensa ancora, arruffandosi i capelli, però se porta all’obbiettivo, se… insomma, stava dicendo qualcosa, il suo cervello stava cercando di trovare qualcosa, giusto, però cosa. I suoi pensieri sono come un serpente senza coda che striscia nel vuoto, incapaci di trovare una direzione, o di tornare indietro su se stessi.
Enjolras lo sta fissando.
Grantaire stringe gli occhi come se fosse esposto a una luce troppo forte; poi si rende conto che le serrande sono state alzate, e la cucina ha smesso di essere in penombra.
“Dove sono le buste della spazzatura?” chiede, lentamente e pazientemente, come se avesse formulato la domanda diverse volte prima di ottenere attenzione.
(Forse l’ha fatto).
“Primo cassetto sulla destra” risponde meccanicamente, la bocca impastata e la lingua salata, come se coperta d’acido. Si rende lentamente conto di quanto sia incasinato: di come la schiena punga in ogni punto, della gola, che probabilmente si porta dietro acidi di un vomito che non ricorda di aver avuto; nel fianco, dove sembra sul serio che vi sia passato attraverso un proiettile.
Enjolras annuisce, e senza dire una parola di più si mette a lavoro. Grantaire vorrebbe dire perché sei qui? e non devi fare niente, sai? e ancora perché lo stai facendo? Invece, poiché è incapace di parlare per frasi brevi, si avvicina al bancone, vi appoggia le mani, prende un grande respiro, e articola “Posso offrirti un caffè?”
L’altro alza le spalle, gettando via, rigorosamente una per una, come se ne stesse facendo un inventario mentale, le bottiglie sul tavolo. Grantaire decide di tirare fuori due tazze. La prima (verde, con la scritta: This mug contains GIN)è un regalo di Bossuet, per non ricorda cosa; o forse erano semplicemente entrambi ubriachi, quando è stata comprata, e al momento sembrava uno scherzo divertente; la seconda (bianca, la scritta sopra: Drink with me to days gone by) è stata comprata in una bancarella, pescata in mezzo a un branco di oggetti usati, perché Grantaire l’aveva trovata e adottata, che è diverso da comprare e basta.
Riempie il bollitore d’acqua e lo mette a scaldare, il tutto dando le spalle al suo ospite, continuando a seguirlo con la coda dell’occhio, un gesto che non si rende conto di compiere.  Prosegue: prende il caffè solubile, e con una mano che non vuole stare ferma ne versa tre cucchiai nella prima tazza, e cinque nella seconda. Enjolras lo sta guardando, a sua volta, con la stessa coda dell’occhio, senza essere notato; il suo sguardo si abbassa, ferale, solo nel momento in cui Grantaire, perché è l’unica cosa che riesca a farlo stare meglio durante un dopo sbronza del genere, aggiunge, tirando fuori una bottiglia dallo stipite davanti a lui, uno shot di tequila.
Versa l’acqua calda, Enjolras gli da’ le spalle a sua volta.
“Quindi” Grantaire prende un sorso di caffè. Si volta, poggiandosi al bancone “Sei stato mandato da Bossuet o da Joly o da entrambi? Voglio dire, potevano scomodarsi a venire di persona, e so per certo che di giovedì nessuno di loro ha da lavorare, perché è anche il giorno in cui andiamo a bere – no, mercoledì è il giorno in cui andiamo a bere, ma comunque continua fino alla mattina di giovedì, quindi –“
“No.” Enjolras, con una parola, si scrolla di dosso l’inondazione di considerazioni che sarebbero arrivate di lì a poco. Lancia uno sguardo sul caffè, sulle tazze, sbuffa e si avvicina, lasciando la busta nera ai piedi di una sedia. La prende e si mette al suo fianco, tenendo qualche centimetro di spazio tra loro due. Entrambi fissano in avanti. “Erano tutti preoccupati” continua, tenendo la tazza stretta con un palmo di una mano, il pollice a sorreggerla per bene “Se non sei reperibile, è perché sei al Musain; o al Corinto, e rimani lì. Dopo due giorni, anche Marius ha iniziato a fare domande.”
“Hey.” Borbotta, scaldato dal caffè. È un caffè che sa di merda. Almeno è merda con alcool “A Marius piaccio.”
Storce il naso. “Comunque oggi è venerdì.”
Grantaire si massaggia gli occhi con l’altra mano. Oh beh. Chissenefrega. “Quindi hai lasciato i cieli celesti per il bene della coesione del gruppo?”
L’altro aggrotta la fronte. “Come, prego?”
“Niente.”
Lo guarda, e non è lo sguardo di disgusto misto a rabbia, quello che Grantaire è così abituato a ricevere. È qualcosa di nuovo, un livello successivo. Grazie a Dio non è commiserazione. Per  lo più, riconosce, è confusione. Enjolras non ama essere confuso e non capire cosa sta succedendo. Crede che questo contribuisca enormemente nel rendere difficile la loro relazione, visto che R non sa mai cosa sta succedendo.
C’è un’altra pausa. Il silenzio diventa aria densa, lo spinge a arrangiare il peso da un piede all’altro. Enjorlas beve metà della sua tazza senza lamentarsi.
“Hai completato la tua missione. Puoi tornare a casa.”
“Non sei nelle condizioni di…” si blocca, alzando gli occhi al cielo. È la cosa più vicina al maledire se stesso che Grantaire gli abbia visto fare. “… pulire questo schifo da solo.” Completa la frase dopo quella che sembra un’accurata scelta di vocabolario. “Courfeyrac mi ha chiesto di assicurarmi che tu stia bene.”
“Sto bene. Splendidamente. In forma. Sono pronto a correre una maratona.”
Enjolras lo guarda con sufficienza. Questo lo zittisce, ma dura poco.
“Per quanto sia gradevole le tua presenza, davvero, sei un raggio di sole nel mezzo del buio incessante dell’esistenza, posso assicurarti che puoi trovarti nuovi, più eccitanti progetti di beneficienza di cui prenderti cura.”
Questo sembra muoverlo. Enjolras è uno che non si sa scegliere le battaglie. Fosse per lui, ogni mattina uscirebbe per strada e litigherebbe con il panettiere per il prezzo del pane, per poi iniziare a incolpare il governo per le tasse sul pane, e progettare con il panettiere di chiedere a Courfeyrac e Marius come fare causa al partito conservatore francese. Detto questo, è una persona estremamente semplice in più prospettive, soprattutto quando si tratta di trovare punti dolenti per rompergli le palle e vederlo irritarsi.
Ora, detto questo, c’è da dire che irritazione e rabbia assumono sue aspetti diversi. E che Grantaire non è mai riuscito a irritare Enjolras – è ignorato da tutta la vita – e tanto meno a farlo arrabbiare. Quindi all’inizio non capisce, sebbene la mascella serrata sia un segno chiaro e particolarmente efficace. Ma hey, ancora, Enjolras ha spesso la mascella serrata in quel modo, non significa assolutamente niente.
“Hai passato gli ultimi due giorni a bere da solo.” Inizia, compito “Hai fatto spaventare a morte l’unica manciata di individui di cui, presumo, ti importi qualcosa” avanza ancora, e il suo tono di voce diventa più duro. “Presumevo, almeno.”
Grantaire sogghigna e sbuffa. Nonostante la facciata, il petto si stringe alla menzione di quel gruppo mal assesto, che per tanto tempo ha definito amici sono nella privacy della sua testa.
“Lo trovi divertente?”
“Trovo… direi di sì, divertente?” agita una mano. Enjolras non lo guarda in faccia, guarda direttamente alla sua tazza, come se preferisse arrabbiarsi contro un oggetto inanimato che contro R. Probabilmente, sarebbe più produttivo cercar di istruire un muro. “Succede, non è come se la vostra vita dipenda da quanto bevo.”
Stringe i denti, e il suo sguardo ha negli occhi quel fuoco fastidioso per cui Grantaire è caduto, la prima volta, ed è rimasto ai loro incontri. Ha quell’aura, fastidiosa, che lo trascina fuori dai fumi confusi della sua mente. “La loro vita.” Specifica, sputando “Sicuramente no, ma la tua sì. E il giorno in cui annegherai te stesso nel vino, la tua morte accadrà a tutti gli altri. Quindi no, Grantaire, non ti permetto di essere nessuna opera di beneficienza.”
Potrebbe essere commosso. Tanto fiato per mettere addirittura insieme un piccolo discorso. Enjolras crede veramente di poter cambiare il mondo solo con il suo respiro. E qualche volta, la convinzione delle sue parole, porta chiunque presti l’orecchio a credere che possa farlo per davvero. Non Grantaire.
Con un sorriso a metà, gli occhi languidi dal bere, dall’aver dormito troppo, commenta canzonante “Sono incapace di credere, pensare, volere e persino di morire.”
Non è vero.” Enjolras lo sputa fuori immediatamente. È serio. Non sbatte gli occhi, e li alza dalla tazza per guardarlo, per la seconda volta nella stessa giornata, in faccia. Ed è a quello, tra tutte le cose, che non sa rispondere; che lo confonde.
Dopo un attimo di silenzio, Enjolras decide di finire il suo caffè. “In ogni caso, sono qui anche per recuperare le chiavi di Joly. Dice di averle lasciate qui qualche giorno fa.”
Incantato a guardarlo, Grantaire ci mette un secondo prima di annuire e assaporare tutta la delusione verso se stesso, per non aver trovato immediatamente qualcosa con cui ribattere. “Giusto.” Tira su col naso, appoggia la tazza “Vado a prenderle.”



**


Quando torna, Enjolras ha finito di buttare via le bottiglie. È stato veloce, ma c’è da dire che Grantaire ha si è preso il suo tempo per ricordarsi dove aveva messo le chiavi; che è passato in bagno, perché il suo alito doveva essere terribile e voleva semplicemente lavarsi i denti; e che nel mezzo si è dovuto fermare due volte in preda alla nausea.
“Ho lavato la tazza e l’ho rimessa a posto” lo avvisa, sull’uscio della porta. Sta prendendo con sé il sacco di spazzatura. Grantaire annuisce, lo guarda andarsene. Per qualche strano fenomeno atmosferico, si rende conto, chiusa la porta, che è come se, in quel momento, abbia ripreso a respirare tutto insieme.
Guarda l’appartamento con sguardo assente, decide di buttarsi a letto e trascinarsi dietro il cellulare.
È solo la mattina successiva, quando tira fuori l’altra tazza – non ha alcuna intenzione di pulire quella sporca – che la trova. È l’altra metà del cuore di Enjolras, quella che non ha Parigi sopra. La tira fuori, senza capire come la collana possa essere finita lì, la scritta best che spicca in mezzo al rosa vomitevole scelto da Courfeyrac. Magari è caduta. Magari è uno sbaglio.
Nel dubbio, decide di metterla da parte, e restituirgliela al prossimo incontro.

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