Falling out of Time

di Machi16
(/viewuser.php?uid=578252)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1
 
Il sapore acre della birra  invase la bocca di Leonard Snart ancora prima che potesse sentirne il gusto, era da giorni che ripeteva quel gesto in maniera spasmodica: prendeva una bottiglia di birra, la stappava e la inghiottiva trangugiandola fino all’ ultima goccia senza godersela, senza aspettare che l’ alcool gli pizzicasse la gola e l’ odore del malto gli salisse alle narici.
Non era da lui ed era palese quanto non fosse naturale quel suo bere di continuo senza trarne alcun piacere, era più un comportamento da Mick poiché l’ uso che ne faceva della birra era molto simile a quello che le  comune persone riservano all’ acqua: dissetarsi, ma Mick non c’era più e Leonard non aveva decisamente sete.
Nel silenzio di quel momento era chiaro quanto il suo malessere risuonasse attraverso il vetro marrone di quella bottiglia da quattro soldi, se avesse potuto, se ne fosse stato in grado avrebbe cercato di carpire le risposte che gli tamburellavano nella mente senza dover ricorrere a quella miscela relativamente alcolica e vuota come tutte le cose senza senso, come tutte le cose che si mettono a sostituzione delle altre nel vano tentativo sentirsi completi, ma mentre il tempo passa ci si accorge che sono semplicemente delle piccole toppe messe a colmare buchi troppo grandi.
Era forse per questo che aveva abbandonato il suo partner?
Mano a mano che il filo che li legava si lacerava il bisogno di libertà lo aveva portato a compiere il gesto estremo dell’ abbandono ma allora perché non se ne era mai veramente andato?
Chiudendo il cerchio delle sue malefatte se lo vide davanti, steso a terra e con gli occhi spalancati dall’ incredulità di quel momento, a tratti gli tremavano le labbra mentre pronunciava la frase che tormentava Capitan Cold dal momento in cui era stata elargita.
 
«Vuoi uccidermi?»
 
Era ovvio dai suoi occhi lucidi nascosti nel buio di quella notte quanto non volesse, quanto detestasse l’ idea di spezzare il loro legame in maniera così brutale e definitiva. Dalla morte non si può tornare indietro, è la conclusione di tutto, anche del tempo che loro cercavano di sfidare.
Non gli tolse la vita, non ci riuscì e quella debolezza si era trasformata in una altra ferita, un’ altro strappo più grande nel suo cuore e soprattutto nella storia. Quel suo atto di pietà era stato uno sbaglio di cui ora tutti pagavano le conseguenze.
 
Le bottiglie di vetro di moltiplicarono passando da una a due e da due a tre senza che se ne rendesse conto tanto che quando notò che il frigo accanto a lui si era svuotato maledisse a gran voce la sua impulsività, tornò a giocare con l’ anello che portava al dito quel maledetto pegno di fedeltà che con tanta brutalità aveva infranto e si sentì come da bambino: solo e abbandonato dal mondo.
Il suo stato d’ animo mutò però quando toccò quella maledetta incisione frutto di un’ alterazione temporale di qualche giorno fa, la frase era scritta in corsivo ma era comunque leggibile: “Non permettere che qualcuno ti faccia mai del male  -M-“
Era oramai convinto che quella M non stesse per Mick ma per Machi, a stento riusciva a pronunciare il suo nome correttamente ma il solo starle vicino le provocava un enorme disagio tanto che la evitava di continuo rintanandosi in luoghi della nave a lei oscuri eppure, quella maledetta ragazza, la incrociava sempre e ogni volta gli sembrava di andare a sbattere contro Heat Wave, si somigliavano in una maniera incredibile e a tratti il loro carattere poteva definirsi identico, tranne forse per quel velo di malinconia che la rendeva leggermente meno scontrosa e più affabile del suo ex partner. Leonard Snart sospirò profondamente alla vista del suo riflesso metallico in quel piccolo oggetto metallico, tornò a chiedersi come si fosse ridotto e chi lo aveva portato fino a quel punto di non ritorno.
Provando a fare l’ eroe era diventato il principale antagonista di se stesso e mentre tentava di reggere la sua maschera di sicurezza il mondo alle se spalle cadeva.
 
«Dovresti smetterla di bere, non ti rende affatto duro come pensi»
 
Sara Lance gli sorrise richiudendosi la porta metallica alle spalle, le occhiaie le contornavano gli occhi facendola sembrare  decisamente più vecchia della sua età attuale ma allo stesso tempo, quello strano bagliore di energia che le accendeva lo sguardo la rendeva maledettamente attraente.
 
«Non ho bisogno di bere per essere un duro»
 
«Questo lo dici tu»
 
White Canary si era preparata quella scenetta con cura premunendosi di altre due bottiglie di quello strano nettare che da qualche tempo a questa parte sembrava essere l’ unica cosa che lo convincesse a parlare.
 
«Devi smetterla Leonard?»
 
«Sei venuta qui per farmi la predica ?»
 
«No, per spiegarti»
 
Cosa c’ era effettivamente da spiegare nell’inspiegabile? Spesso le parole che  ci portiamo dentro creano dei pozzi profondi in cui cadono le emozioni che veramente sentiamo, esse se ne vanno così nel più grande dei silenzi distruggendo le più piccole opportunità. 
Aveva interrogato Gideon per giorni fino ad arrivare a guardare nel futuro ma quella era una spiegazione che non avrebbe mai dato, si soffermò però su alcuni dettagli più imminenti tralasciando le implicazione che la riguardavano personalmente.
 
« Non avrei mai dovuto portarti al punto di scegliere tra la squadra e Mick… ora me ne rendo conto, capisco cosa tu possa provare nel vedere quella donna aggirarsi per la nave perché è lo stesso che provo anche io, vorrei ucciderla anche solo per dare un senso alla morte di Laurel ma il tempo è già stato modificato abbastanza…»
 
Si interruppe mentre le mani le tremavano pensando al piacere che avrebbe provato nell’ affondare un coltello nello stomaco della ragazza che da qualche giorno vagava per la nave come un fantasma, il suo cuore sarebbe stato pervaso da un sollievo momentaneo che forse sarebbe sparito ma almeno sarebbe tornata a sentire qualcosa di molto simile ad un po’ di pace.
 
«Sei qui per scusarti quindi?»
 
Leonard roteò gli occhi verso l’ alto stanco, affranto, da tutto quel parlare a vuoto.
 
«No, sono venuta qui per dirti che mentre te ne stavi qui a bere abbiamo trovato Mick, lo abbiamo catturato e portato qui, senza di te, senza interpellarti e distoglierti dall tuo menefreghismo»
 
La ritrovata energia di Sara la costrinse ad alzarsi in piedi con uno slancio di sicurezza, lei non poteva rimettere a posto il suo passato o cambiare il suo futuro ma almeno stava provando a rimediare ai suoi sbagli dando ad uno dei suoi compagni quello che lei non avrebbe mai avuto: spiegazioni.
Ognuno necessita delle risposte, le stesse che Leonard Snart corse a sentire senza un minimo di gratitudine verso la compagna.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

La cella di Mick puzzava di chiuso e polvere ed era un chiaro segno che nessuno prima di lui fosse stato rinchiuso lì dentro, si sentiva un animale in esposizione per colpa di quelle maledette pareti di vetro che più le colpiva più sembravano diventare resistenti, solide ed invaricabili. Che aveva fatto  di così sbagliato per finire lì?
Alla fine dei conti non era lui quello in torto, tutto quello che aveva fatto era stata una conseguenza del modo in cui lo avevano trattato, una ritorsione più o meno giusta degli avvenimenti che avevano spinto la sua presunta squadra e soprattutto quello che riteneva il suo ex partner ad abbandonarlo e costringerlo alla fame in un posto che non seguiva alcuna legge se non quella del più forte. Ricordò per un breve istante il sapore dei topi che  era costretto a mangiare con le mani sporche di fango e detriti mentre il buio calava nascondendo ancora una volta la sua inutile esistenza. In quella situazione oscena la morte sarebbe stato un premio.
 
«TU?»
 
Vide con la coda dell’ occhio entrare Leonard Snart, aveva le braccia conserte e la testa bassa ma non riusciva a capire se si trattasse di vergogna o, più semplicemente, di un gesto di sfida, uno di quelli che si divertiva spesso a porgere intermezzandoli con sguardi di ghiaccio e sorrisetti astrusi, quella volta però la sua bocca disegnava solo una linea piatta e i suoi occhi sembravano essere lucidi, quasi brillanti.
 
«Si, io..»
 
Nella sua voce non c’ era malizia ne risentimento ma solo un profondo senso si smarrimento tanto che, quando si avvicinò alla parete di vetro per essere faccia a faccia con Heat Wave, le occhiaie intorno a suoi occhi si fecero più evidenti disegnando un cerchio nero e scuro che risaltava ancora di più con la luminosità di quegli occhi.
 
«Mi dispiace..»
 
Fu l’ unica cosa che riuscì a masticare con chiarezza tra quelle idee che gli rantolavano incessantemente per la testa, di fronte a quello che era sempre stato il suo più caro amico si sentiva un perdente indifeso, proprio come quelli che avevano sempre cercato di evitare, prendere a calci o persino derubare al grido di un amicizia che credevano sarebbe durata. Sia dentro che fuori le sbarre i due criminali erano uniti dalla certezza di un legame che non li avrebbe mai abbandonati ma, ora, il tempo sembrava aver giocato loro un brutto scherzo dividendoli in maniera talmente drastica da non poter essere aggiustata se non alla vecchia maniera.
 
«Ti dispiace? Ti dispiace… è tutto quello che hai da dire, mentre tutto quello che vorrei fare io è spaccarti la faccia! Quello che mi hai fatto passare è stato peggio dell’ inferno tanto che, quando i Time Manster mi hanno trovato e torturato mi è sembrata una salvezza. Non si sono dovuti sforzare tanto per trasformarmi in Chronos sai?! Mi è bastato pensare a quanto ti odiassi, a quanto odiassi ognuno di voi.»
 
Il veleno sputato in quel modo rapido andò a depositarsi nella coscienza di Captain Cold ferendolo ancora di più di quanto già non fosse, non riusciva a cedere all’ idea di aver fatto del male all’ unica persona di cui gli interessasse realmente qualcosa e, per tale motivo, ci mise poco a decidere di digitare il codice di accesso alla cella ed entrare per accontentare la richiesta che gli era stata porta, lui non avrebbe reagito.
Varcò la soglia a testa bassa e solo quando la porta si richiuse alle sue spalle alzò lo sguardo.
 
«Sono qui, fallo!»
Non fece in tempo ad alzare le mani in segno di resa che un pugno gli arrivò sul viso facendolo indietreggiare, a quello ne susseguì un altro che gli trapanò l’ orecchio rendendo ovattato l’ ambiente intorno a lui. Quelli successivi non li sentì nemmeno poiché l’ unica sensazione che percepiva era il sangue che gli colava da ogni graffio ricoprendogli ogni parte della faccia fino a finirgli in bocca, aveva un spore di metallo e vendetta.
Mick Rory si fermò, però, solo sul più bello. Non ebbe il coraggio di tirare il colpo finale, quello che lo avrebbe distrutto e forse ucciso, ebbe quella pietà che in parte era stata concessa anche a lui e vedendo il suo compare steso a terra la consapevolezza dei suoi sentimenti per lui si fece più chiara, talmente tanto che gli tese la mano per aiutarlo a rialzarsi nell’ esatto momento in cui le porte metalliche della nave si aprirono.
Una ragazza varcò la soglia dapprima con fare sicuro ma poi vedendo quella scena mutò la sua andatura trasformandola in una falcata di preoccupazione, gli ci volle più di un minuto a Mick per riconoscere il volto di colei che credeva di aver ucciso ardendola viva e senza pietà, nel guardarla si chiese il perché lo avesse fatto quando infondo c’ era qualcosa in lei e nel suo sguardo terrorizzato che riportava in maniera più o meno precisa al suo, gli sembrò come di guardarsi allo specchio in maniera stranamente distorta, in maniera reale.
 
«Fermati»
 
Leonard l’ ammonì senza alcun motivo apparente, l’ unica sua colpa era quella di aver alzato una mano in direzione di Mick, aveva allargato le dita del palmo quasi volesse battergli il cinque, era un gesto innocuo che quasi terrorizzò il famoso criminale.
Ci fu un momento in cui tutto si congelò e i tre si osservarono quasi a studiarsi rinchiusi nelle loro menti e nei loro giudizi ma l’ unico che veramente comprendeva tutto, anche la ragione per cui quella ragazza aveva compiuto quel gesto era Mick Rory, nel momento i cui i Time Master gli mostrarono il futuro la prima immagine nitida che fide fu proprio il volto della figlia di Demien Darhk con quel suo sguardo apparentemente assente e quell’ espressione malinconica segno che gli anni alla merce di suo padre avevano lasciato ferite visibili e incubi non ancora passati, quello che forse si spiegava di meno era  la diffidenza che Machi e Snart provavano l’ uno verso l’ altro, era beffardo il modo in cui lei tentò di proteggerlo ed ancora di più il voltargli le spalle del suo ritrovato compare.
 
«Mick Rory…. Credo che tu debba darmi delle spiegazioni..»
 
A tradire un po’ il suo atteggiamento tranquillo fu la sua voce, un misto tra sicurezza e determinazione risuonava nelle parole che diceva, sembrava essersele studiate affondo prima di pronunciarle ma era chiaro che l’ unica cosa che voleva sapere era la ragione per la quale era stata quasi arsa da una pistola lanciafiamme senza riserve.
 
«Mi spiace signorina, non era mia intenzione»
 
Mr. Rory la sbeffeggiò evitando di proferire risposte che non gli era concesso dare ma il suo fare scherzoso fu subito rimesso in riga dall’ aggressività della giovane che si avventò verso di lui brandendo un pugnale che teneva ben nascosto dietro di se, gli si scagliò contro buttandolo contro il muro come se spostare un uomo pieno di muscoli fosse un esercizio quotidiano, semplice.
La lama toccava la gola di Heat Wave mentre gli occhi marroni di Machi lo sfidavano a prenderla ancora in giro almeno fino a che Leonard non la tirò via colpendola al volto con forza.
Non si fidava di lei ed era estremamente convinto che se non l’ avesse fermata non avrebbe esitato a sgozzare il suo partner, fu un gesto di protezione nei confronti di colui che ora lo guardava con fare assente come se avesse compiuto il più grande sbaglio della sua vita d’altro canto era l’ unico a sapere chi fosse quella maledetta ragazza.
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

Stephen Hawking disse che nella teoria della relatività non esiste un unico tempo assoluto, ma ogni singolo individuo ha una propria personale misura del tempo, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo. Un concetto interessante espresso in parole semplici e facilmente comprensibile a tutti ma se tale teoria viene rapportata ei viaggi temporali il tutto si fa più complesso, la normale concezione di tempo e spazio cade con il rischio di far ­vagare la mente nell’ oblio più assoluto senza che essa riesca a connettere determinati momenti per rapportarli ad un preciso tempo e luogo.
Era forse questo che provò Machi riaprendo gli occhi in quella strana stanza piena di strani congegni meccanici oltre al letto sul quale era distesa, la luce le accecava gli occhi costringendola a spostarsi di lato in un angolino da dove poteva osservare ogni cosa: dalla porta chiusa a dei monitor apparentemente spenti situati accanto ad un tavolino pieno di aghi, siringhe e altri oggetti del mestiere, alla lampada che le puntava diritta in faccia. Si apprestò a spengerla quando una fitta le trafisse le tempie impedendole il movimento, ricordò a quel punto il colpo subito da Leonard Snart, il coltello che lei stessa brandiva contro il suo partner e il suo crollare istantaneo. Ricompose il puzzle delle ore precedenti in maniera precisa senza tralasciare nessun dettaglio, alla mente ogni cosa le tornava chiara e limpida senza  riserva alcuna. Perché allora non riusciva a ricordare come fosse finita su quella nave?
Fu come se un enorme buco nero le stesse risucchiando i ricordi lasciandola in balia degli altri, di quello che sapevano e non volevano dirle, di quello che lei stessa credeva di ricordare. Odiava  quella voragine che si frapponeva tra gli incubi del suo passato e lo smarrimento del suo presente ed ora, in quella stanza, le sembrò di essere bloccata in uno spazio indefinito a cavallo tra i due momenti più terribili della sua vita.
Un groppo le salì in gola alla vista delle siringhe e di quello spazio chiuso, sigillato ed impenetrabile, era forse tornata da suo padre? Era forse ancora prigioniera?
Si schiarì le idee cercando di respirare a fondo ed inghiottire i sentori dell’ attacco di panico che la stavano invadendo, chiuse gli occhi e ripete il gesto che poco prima aveva volto verso Mick: distese il braccio e puntò il palmo della mano contro la porta, separò le dita della  e si concentrò.
Se il suo corpo era imprigionato di sicuro la sua mente poteva farla uscire, doveva. Niente accadde però, ancora una volta qualche parte di lei le stava giocando brutti scherzi ricordandole delle abilità che sembrava non possedere, eppure la sua fuga dal laboratorio dove Demien Darhk la teneva era dettata proprio da quelle capacità latenti che ora si rivelavano solo delle inesistenti menzogne frutto di una fervida immaginazione o d ricordi confusi anche se la certezza che gli esperimenti a cui era stata sottoposta per far si che i poteri di suoi padre potessero essere utilizzati senza il bisogno di un amuleto restava una realtà immutabile.
Forse si sbagliava, forse era fallito tutto e nessuna di quei maledetti intrugli e cocktail di farmaci era riuscito allo scopo e la sua fuga era solo frutto di un’ incommensurabile fortuna.
 
Machi chiuse gli occhi stringendo le palpebre per tentare di visualizzare il suo ultimo ricordo e renderlo mano a mano più nitido e visibile:
Si rivide correre giù da un dirupo pieno di detriti e fanghiglia, probabilmente si trattava di un bosco data la fitta quantità di foglie che la sua mente si apprestava a produrre, correva in maniera distorta, zoppicante, probabilmente a causa di una ferita alla gamba destra che le causava un andatura irregolare ma da cosa fuggiva?
Si voltava indietro in maniera spasmodica quasi con il terrore di essere seguita e ogni volta che lo faceva i suoi capelli scuri le finivano in faccia segno che in quel luogo tirava un vento continuo poi, ad un tratto, i suoi piedi si bloccarono producendo uno scricchiolio provocato da un bastone che sicuramente aveva pestato, fu una frenata brusca in una corsa in discesa che la costrinse a sbilanciarsi in avanti, fu allora che vide Mick Rory con l’ arma in mano e il sorriso beffardo.
«Mick, per fortuna…»
Non fece in tempo a finire la frase che una raffica di fuoco e fiamme le invase il corpo disintegrandole la pelle e costringendola ad urlare di un dolore inverosimile, l’ ultima immagine che i suoi occhi videro fu una figura sulla cima del dirupo, anch’ essa correva e nel vedere quella scena accelerò il passo quasi volesse aiutarla, ne vide per un breve secondo i contorni, giusto il tempo di capire che si trattava di Leonard Snart.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4
 
Tutto il mondo rinchiuso in una strana nave  sembrava stesse per crollare a causa di un equilibrio alterato che in pochi si apprestavano a capire, tutto ciò di cui c’ era veramente bisogno era di una calma implacabile dopo una tempesta incorruttibile.
Fu sulle note di questo melodramma che inesorabilmente si consumava che Rip Hunter decise di berci un po’ su, quel poco che bastava ad allentare la tensione e rendere le sue decisioni più nitide e precise, miste a quel tocco di imprudenza che sembrava aver immagazzinato dal comportamento di Sara Lance. Si sorprese lui stesso a ritrovare tratti della personalità di quella donna tanto assurda quanto forte nel suo modo di agire e di rapportarsi a decisioni imminenti, era strano come questo non lo destabilizzasse ma, al contrario, lo invogliasse a buttarsi a capofitto nelle situazioni assurde, proprio come quella che stavano vivendo.
Il bicchiere cristallino che teneva saldamente in mano fece specchio alla sua voglia di rivincita sia come capitano che, soprattutto, come uomo. Non riusciva ancora a togliere dalla sua testa il ricordo della sua famiglia barbaramente uccisa e di tutto ciò che aveva gettato, accantonato e rifiutato anche solo per vederli una volta di più, per troppo tempo si era richiuso in se stesso rinnegando i sentimenti che lo contraddistinguevano rendendolo l’ uomo che Miranda aveva sempre amato fino all’ ultimo secondo della sua vita.
«Cosa diamine devo fare?»
Quella domanda strozzata gli uscì troppo rapidamente dalla bocca finendo nelle orecchie del ritrovato Mick che con passo sicuro entrò nella cabina di comando. Il suo ritorno, il suo rinsavimento, era una di quelle cose che il wisky del Capitano non era stato in grado di chiarire, i Time Master era noti per la loro tecnica persuasiva da cui non vi era ritorno ed invece di fronte ai suoi stanchi occhi vi era l’ eccezione.
«Non riportarla indietro, inglesino, non ci pensare!»
Nel tono sicuro della sua voce vi fu spazio per una grottesca ombra di disapprovazione verso i suoi modi altalenanti di procedere per domande senza risposta, ora stava tutto nelle mani di Mick Rory, era l’ unico a conoscere il futuro, l’ unico ad averlo in pugno.
«Devo farlo Mick! Devo Farlo!»
Heat Wave abbassò gli occhi per nascondere il vero significato della sua battaglia, era palese che ci fosse altro e che della linea temporale gli e ne importasse poco e niente.
«Lo fai per Snart non è vero?»
L’ annuire rassegnato di Mick segnò l’ inizio della fine della sua resa.
 
 
Dalla parte opposta della nave Leonard Snart camminava furentemente avanti e indietro sperando che la porta dell’ infermeria si aprisse da sola lasciandogli lo spiraglio di un briciolo di orgoglio, e più il pavimento metallico produceva quel maledetto scricchiolio più la sua ansia cresceva senza motivo, il più furbo e sveglio dei criminali sembrava temere una porta chiusa di cui possedeva la chiave. Tra una falcata e l’ altra passarono ancora dieci minuti prima che si decidesse a digitare il codice ed entrare, in cuor suo sperò che nessuna delle altre Leggende lo avesse visto in quel momento di indecisione e debolezza, che ne sarebbe stato del suo orgoglio?
Varcando la soglia quello che vide lo fece vacillare per un secondo prima di capirlo veramente, una sensazione di disagio e un groppo di preoccupazione gli salirono in gola costringendolo a precipitarsi in direzione di quella ragazza che si era rintanata in un angolo tra due mobili con i polsi sanguinanti e un bisturi in mano, era pienamente cosciente e sveglia nel dolore di quel gesto che segnò il volto di Captain Cold con una smorfia di disgusto e compassione allo stesso tempo.
«Che diamine stai facendo?»
Il suo agire d’ impulso lo porto a scaraventare quell’ arma tagliente fuori dalla sua vista e nel farlo fu inevitabile sfiorare le mani sanguinanti di Machi, era un dolore persistente il suo che di colpo si era riversato sul suo copro. Il suo costante non appartenere a quel tempo, i ricordi sconnessi che la tormentavano e l’ ombra di suo padre che la inseguiva furono i punti focali che arsero il suo desiderio di essere vuoto e nulla contemporaneamente sparendo da ogni linea temporale passata e futura, ponendo fine alle decisioni che altri prendevano per lei.
«Leonard…»
Quel tocco fugace la portò a stringere più forte la sua mano bloccandola, impedendogli di ritirarsi, lo vide accucciato di fronte a se, all’ altezza dai suoi occhi mentre gli stringeva ancora di più la mano con consapevolezza come aveva sempre fatto, fu come se il dolore l’ avesse portata d un altro stato di coscienza costringendola a ricordare una sensazione, un bisogno, un desiderio o qualsiasi cosa si era risvegliata in lei in quel momento. Fu solenne la magia di quel momento, fu indissolubile il legame che si creò.
«Machi»
Snart le sorrise senza malizia, senza orgoglio, era in balia di una corrente più forte di lui tanto che ci mise qualche secondo in più del dovuto a notare l’ occhio destro della giovane cambiare colore e diventare di un azzurro vitreo che fo poi attraversato da due lampi: uno blu e l’ altro rosso.
«Il tuo occhio..»
La dolcezza con cui lo disse fu sconosciuta anche al perfido criminale che si sorprese più di tutti di quel tono bambinesco, non era preoccupato, c’ era qualcosa di rassicurante il quei due bagliori.
«Anche il tuo..»
La voce strozzata di Machi si mosse sulla stessa frequenza e fu intervallata da un sorriso puro e semplice che esprimeva il suo ritrovato essere. I ricordi erano probabilmente spariti dalla sua mente lasciando spazio per costruirne di nuovi, ma quel legamene era rimasto, nemmeno Mick era riuscito a spezzarlo e non era importante l’ epoca in cui questo fosse avvenuto, l’ importante era il tempo.
«Credo che dovremmo fare qualcosa per queste braccia..»
Il dolore non sembrava spaventarla e nel dire quella frase riuscì anche a ridere mentre senza togliere il contatto da Captain Cold si alzò in piedi avvicinandosi al cassetto con le bende.
Beffardo è il destino quando ci si gioca continuamente ed indissolubili sono i legami che crea.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3658141