Shinjitsu no kagami

di Anukis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I'm just right in front of you ***
Capitolo 3: *** Give me back boredom ***
Capitolo 4: *** Take your responsibilities ***
Capitolo 5: *** Worry, but do not care ***
Capitolo 6: *** the world without Logos ***
Capitolo 7: *** Rotten JUDGEment ***
Capitolo 8: *** Step ahead, step aside ***
Capitolo 9: *** Season of denial ***



Capitolo 1
*** Prologo ***











 
Prologo



















 
  I rintocchi delle campanelle di bronzo suonate dai monaci si mischiavano con le litanie, risuonando per tutto il tempio. I bastoncini di incenso erano quasi esauriti e sull’altare troneggiava una ciotola di riso sulla quale erano state piantate in verticale delle bacchette. Il sacerdote terminò di leggere il sutra con una nota grave e, a quel punto, tutti i partecipanti al funerale si mossero per mettersi in fila, in attesa di dare l’ultimo saluto al defunto.
  Okumi si sentì tirare per la manica del vestito ed abbassò lo sguardo su suo fratello Kei.
  - Cosa c’è? - bisbigliò sbrigativa.
  - Sorellona, devo fare la pipì. -
  Il primo istinto della ragazza fu di sgridarlo, ma poi non se la sentì. Anzi, provò addirittura un po’ di gratitudine. Dopotutto, lei non aveva tutta questa voglia di guardare il cadavere di suo nonno.
  Diede solo una voce ai loro genitori e poi accompagnò Kei fuori dal tempio. Si sentì subito meglio uscita, senza la cappa d’incenso ad irritarle il naso.
  Mentre il fratellino sbrigava i suoi bisogni dietro un cespuglio, Okumi si guardò intorno. Le persone che non porgevano l’estremo saluto si erano riunite all’esterno. Al contrario di lei, vestita con lungo e semplice abito bianco, quasi tutti portavano abiti neri, alla maniera del lutto occidentale.
  Kei sbucò dal cespuglio e la sorella gli domandò  se volesse rientrare. Il bambino scosse la testa.
  - Sorellona, tu in cosa credi che si reincarnerà il nonno? - domandò all’improvviso.
  Okumi lo guardò stranita. Che domanda era, da parte di un bambino di otto anni?
  - Beh, non posso saperlo. Potrebbe diventare tante cose diverse. -
  - Anche un albero, quindi? -
  - Certo, perché no. -
  - Ieri ero a casa di Junichi e sua sorella mi ha detto che se avessi piantato un albero, l’anima del nonno l’avrebbe visto e si sarebbe reincarnato lì. -
  Okumi ne rimase colpita. Gli parve di ricordare che la sorella di Junichi stesse facendo apprendistato da sacerdotessa, ma lei non l’aveva mai incontrata.
  - Mi... pare una buona idea. - si limitò a dire.
  Kei annuì, serio.
  In quel momento, Okumi realizzò come mai suo fratello non avesse versato una sola lacrima durante il funerale. Ed invidiò moltissimo la sorella di Junichi.
 







































  Angolo Autrice
 
  Eeeeeeeeeeeh... lo so che come prologo non dice un cacchio. Ma sentivo il bisogno di introdurre in qualche modo la storia. Giuro che il primo capitolo sarà più lungo. E arriverà presto.
  Vi avverto subito che la storia comprenderà solo personaggi inventati da me, anche se magari nominerò i nostri amati Bleacher ma sarà solo fan service.
  Poi, l’angolo del Titekubismo (che non è una nuova corrente artistica), perché tutti i personaggi che compariranno avranno un nome di qualche significato, una data di nascita con segno zodiacale abbinato, vari ed eventuali. Insomma, il pacchetto completo... però solo dal prossimo capitolo.
  Prima di lasciarvi, una questioncina che mi sta molto a cuore: io scrivo per migliorarmi. So che giudicare un prologo di trenta righe scarse può sembrare ingiusto, ma fatelo. Ditemi cosa ne pensate, qualsiasi cosa. Io sarò felice di accogliere ogni parere.
  Ci si vede -spero!-.
  Salutoni,
 
  Anukis




 
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Capitolo 2
*** I'm just right in front of you ***


 








 
I'm just right in front of you



















 
  - Kei. -
  Okumi mosse un piede in terrazzo, dove si trovava suo fratello. Il bambino era intento nella contemplazione di una piantina di pino, alta appena mezzo metro.
  - Io vado a scuola. La mamma ti vuole a fare colazione. -
  Solo allora Kei si girò, sfoggiando un largo sorriso.
  - L’albero del nonno ha fatto le pigne. -
  - Ah, bene. - replicò Okumi, senza troppo coinvolgimento.
  Era felice per suo fratello che quel piccolo pino avesse potuto consolarlo della scomparsa del nonno, ma, da parte della ragazza, l’interesse per la pianta era prossimo allo zero. Almeno, dopo quasi un anno sentiva di poter considerare la faccenda con sufficiente distacco.
  Poi Kei le si avvicinò e le mise in mano una pigna, minuscola e ancora acerba. Okumi lo guardò interrogativa, sollevando un sopracciglio.
  - Non l’ho staccata io, era già caduta. - si affrettò a spiegare il bambino - Puoi tenerla come portafortuna. -
  Okumi sospirò in maniera impercettibile e si infilò il regalo in tasca.
  - Ok, adesso devo andare o farò tardi a scuola... -
 
 
 
  - Oh-chaaaan! -
  Fu il consueto grido d’aquila della sua migliore amica ad accogliere Okumi in classe. La ragazza trovava incredibile che i suoi timpani non si fossero ancora abituati a quell’accoglienza, e per poco il suo sorriso non vacillò nel ricambiare il saluto.
  Etsuko spiccava nella piccola folla di studenti della 2-A, se non altro a causa della sua altezza fuori dal comune. I capelli castani erano legati nella solita treccia laterale ed anche il suo largo sorriso era familiare a chi la conosceva.
  Okumi si accostò al gruppetto dov’era anche la sua migliore amica, scambiando qualche chiacchiera sulla domenica appena trascorsa e i programmi per l’estate imminente.
  All’entrata dell’insegnante lei ed Etsuko si accomodarono ai loro posti, in ultima fila. Il professore fece l’appello, fino ad arrivare al nome di Iwamoto Satoru. Quando fu chiaro che questi era assente, andò avanti.
  Fu solo diverso tempo dopo l’inizio della lezione, che la porta dell’aula si aprì per lasciar passare un mortificato ragazzo dalla testa china. Si diresse al proprio banco cercando di scomparire contro la parete e si sedette sulla sedia con la schiena rigida.
  - Signor Iwamoto, questi suoi ritardi si stanno facendo inaccettabili! - lo riprese l’insegnante.
  - Lo so, mi perdoni... - rispose lui con voce talmente fievole da essere appena udibile.
  Okumi si sentì tirare la manica della giacca e si voltò verso Etsuko. La sua amica aveva un’aria angosciata.
  - Oh-chan, l’hanno di nuovo preso a botte... -
  - Già. -
  Stupido...
 
 
 
  - Non hai le attività del club, Etsuko? -
  - No, devo tornare a casa e aiutare la mamma al negozio. -
  Non era raro che Etsuko saltasse gli appuntamenti del club di cucina per lavorare come commessa dal fioraio di sua madre. Era un compito al quale non si sarebbe mai sottratta. Lei e la signora Higashida erano sole dopo l’abbandono del padre e, se vendendo fiori si guadagnava appena il necessario per non trovarsi senza un tetto sulla testa, assumere un garzone era impensabile. Anche Okumi, con grande imbarazzo della madre di Etsuko, si era talvolta offerta di dare una mano gratuitamente, ma la proposta veniva sempre declinata.
  Fatto sta che in queste occasioni le due migliori amiche si ritrovavano a fare un pezzo di strada verso casa insieme. Okumi, pur sentendosi un po’ in colpa, apprezzava molto questi momenti. Il punto era che, senza avere intorno compagne di classe che dentro di sé non considerava certo amiche, poteva godersi Etsuko cianciare di cose più o meno utili, rilassarsi e abbandonarsi a qualche sorriso sincero.
  Era difficile essere la ragazza più popolare e ammirata della classe. E Okumi non lo pensava per chissà quale spirito di vittimismo o ipocrisia. Lo pensava semplicemente perché ricordarsi chi fosse doveva sempre essere un pensiero costante. La sua vita scolastica era un continuo sforzarsi di pronunciare un complimento campato in aria, affibbiare soprannomi a quasi sconosciuti e raccogliere confidenze di cui non voleva sapere davvero nulla. Così, una battutina acida rischiava sempre di uscire al posto di una gentile constatazione. Il primo istinto davanti ai patemi amorosi di una compagna era sbadigliare, non incitarla a continuare come se una cosa simile potesse sul serio entusiasmarla.
  Non aveva mai ammesso apertamente con Etsuko questa finzione, ma era impensabile che lei non se ne fosse accorta. D’altra parte, la sua migliore amica pareva aver accettato il fatto come se l’avesse sempre saputo. Non si meravigliava se magari, appena uscite da scuola, Okumi si lasciava andare ad un commento lamentoso su qualcosa che fino all’attimo precedente aveva tollerato senza problemi. Quest’ultima aveva sospirato di sollievo tra sé e sé una volta realizzato che un confronto sull’argomento non sarebbe giunto.
  Okumi non sapeva perché Etsuko non affrontasse il discorso, o come mai la loro frequentazione non ne avesse risentito, ma le era infinitamente grata di ciò.
  - Eccoci qua, Oh-chan, io sono arrivata. -
  Si fermarono di fronte ad una delle più piccole villette a schiera del circondario.
  - Ci vediamo domani, ciaaaao. - la salutò Etsuko, agitando allegra la mano.
  - A domani, Tsu-chan. -
  Un piccolo regalo che aveva deciso di farle, continuare ad usare quel soprannome anche fuori scuola.
  Per arrivare a casa di Etsuko, aveva compiuto una piccola deviazione che l’aveva portata più lontana rispetto alla propria. Sbuffò. Già doveva fare la sua bella scarpinata per ritornare da scuola...
  Un soffio di vento le scompigliò i lunghi capelli neri. Era un vento strano, quello. Arrivato in una giornata di totale bonaccia, portava con sé una musica lontana, fioca e irreale.
  Okumi fece per rimettersi a posto una ciocca ribelle, senza curarsi di chissà quali suoni il vento trasportasse alle sue orecchie.
  Attenta!
  L’avvertimento arrivò improvviso, ma in ritardo.
  La ragazza non fece in tempo a voltarsi per cercare la provenienza di quella voce. Un rumore di stoffa e carne squarciate precedette un dolore al fianco così lancinante che le parve che tutto il mondo scomparisse, al confronto.
  Okumi gridò, anche senza vedere il suo fianco sinistro schizzare di sangue l’asfalto da tre profonde lacerazioni che le segnavano il busto. Crollò al suolo, stringendosi la ferita, ma intorno a sé non vide nessuno.
  La ragazza si puntellò con una mano tremante al suolo, cercando di rialzarsi e scappare. Invano. Qualcosa di liscio e freddo la colpì, scaraventandola contro il muretto di una casa.
  Come sbatté la testa, Okumi sentì centinaia di aghi conficcarsi nel suo cranio, eppure non perse subito conoscenza. No; prima i suoi occhi intrappolarono un lampo, una frazione di secondo, di quello che non era stata in grado di scorgere.
  Un essere chino a quattro zampe, rachitico e dalla pelle come una corazza d’osso. La faccia coperta dalla maschera di un teschio.
  Okumi perse i sensi prima di avere il tempo di provare paura.
 
 
 
  Okumi ebbe probabilmente il peggior risveglio della sua vita. La testa pulsava in modo tale da non riuscire a formulare alcun pensiero e quasi le sembrava di non avere più un corpo. Stette lì distesa, in un luogo che non riusciva a mettere a fuoco, per interi minuti.
  A poco a poco, il malessere diminuì, anche se la ragazza non poteva davvero dire di stare bene. Con cautela, si rimise in piedi, massaggiandosi la testa con un gemito. Solo allora si guardò intorno, riconoscendo con stupore il campetto di atletica della sua scuola.
  Come ci era finita? Pensava di essere sulla via del ritorno a casa... Ma ora non ne era così sicura. I suoi ricordi erano irreali e nebulosi, e soprattutto comprendevano un mostro dalla maschera di un teschio.
  Okumi scosse la testa d’istinto, portandosi una mano al fianco. Non c’era nessuna ferita. Eppure la sua mente rifiutava l’idea di essersi immaginata ogni cosa. In primo luogo, quel genere di fantasie non era da lei; poi non accettava di potersi ingannare in un modo talmente banale come confondere realtà e sogno. Con un pizzico di testardaggine, poteva credere a qualunque cosa, una volta vista coi propri occhi. Se avesse visto un ippopotamo volare allora, diamine! avrebbe dovuto essercene uno per forza, e nessuno l’avrebbe mai convinta del contrario.
  In ogni caso, non le pareva ci fosse alcun pericolo imminente all’orizzonte. Ora che si sentiva meglio, la ragazza si azzardò a rimettersi in piedi, cosa che le causò un’altra fitta alla testa. Spazzolandosi l’uniforme dalla polvere rossiccia, alzò lo sguardo al cielo, solo per vederlo coperto da una sottile quanto cupa coltre di nuvole. Non un raggio di sole filtrava, rendendo tutto intorno a lei di un colorito cereo.
  Fu allora che, con lo sguardo rivolto al cielo, notò una figura in piedi sul cornicione del tetto dell’edificio scolastico.
  Iwamoto...?
  Non fece in tempo ad esserne sicura, che ad un suo battito di ciglia l’ombra scomparve.
  Okumi rabbrividì. Va bene, aveva ancora la certezza di non essere impazzita, dunque stava senza dubbio succedendo qualcosa. E, ad essere sinceri, lei poteva benissimo fare a meno di sapere cosa fosse.
  Voltando la testa però, vide che i palazzi, la strada, fuori dalla recinzione, erano diversi da quelli che conosceva da tanto, troppo tempo per sbagliarsi. Tra l’altro, non una persona camminava sul marciapiede, nessuna macchina percorreva il viale. Tutto era deserto, silenzioso, persino il vento non smuoveva un’aria immobile e pesante, ma carica di un’inquietante aspettativa.
  Okumi ebbe un secondo di esitazione, prima di decidere che tra i due il male minore fosse la scuola. Non pensò neppure un istante di rimanere ferma dov’era. Sentiva il bisogno di muoversi, o l’atmosfera opprimente di quel luogo che non era più la sua città l’avrebbe soffocata.
  Se entrando nell’edificio aveva irrazionalmente sperato di trovare qualcuno all’interno, rimase delusa. La scuola era del tutto vuota: i corridoi, le classi, ogni cosa là era invece proprio come la ricordava, e allo stesso tempo sembrava indubbiamente abbandonata. La ragazza non osò gridare per chiedere se ci fosse anima viva. O morta, chi poteva dirlo, ormai.
  Poi, senza alcun preavviso, Okumi sentì tutta l’aria venirle risucchiata dai polmoni. Come nel peggiore degli incubi, avvertì la tensione nell’aria spezzarsi, al pari di una corda che reggeva un peso, un peso che le crollò addosso quasi il cielo stesso fosse precipitato.
  Okumi si appoggiò al muro per non cadere a terra, artigliandosi il petto. Ma non era dolore ciò che avvertiva, ma era talmente inaspettato che il cuore sembrò gonfiarsi, quasi sul punto di esplodere. Ad ogni brivido che la scuoteva le pareva che il suo corpo dovesse andare in frantumi.
  Ma il cervello era lucido, orribilmente consapevole di tutto ciò che stava provando.
  No
  Non voglio
  Scappa

  - Non c’è niente da cui scappare. -
  Una voce che provocò in Okumi un tale shock da far sparire per un istante quella morte cosciente. Alzò la testa di scatto, verso la persona che la sovrastava.
  - Etsu...ko! -
  La sua migliore amica stava piangendo. - Oh-chan... perché sei qui? Non dovevi venire! Io non posso... - un singhiozzo spezzò le parole, ed Etsuko si afferrò le braccia in un gesto convulso - Io non posso più essere la tua speranza! -
  Ma che diamine stai dicendo?
  Cosa stava facendo impalata a piangere? Non vedeva quanto lei stesse male? Etsuko doveva...
  - Non posso! - gridò quella - Non posso! Ti prego, aiutala tu! -
  Okumi si piegò in avanti, urlando dall’angoscia che la pressava sempre più, sempre più. Come poteva non esserci una fine?
  Io non posso più essere la tua speranza!
  Etsuko…

  Ora anche Okumi piangeva, ma a malapena se ne rendeva conto.
  Se non puoi essere tu ad aiutarmi, chi può? Ti prego, ti prego, fallo smettere...
  - Io sono proprio davanti a te... -
  Due mani le presero il volto, sollevandolo. D’un tratto, si trovò specchiata in un paio occhi scuri, piegati all’ingiù, nota malinconica su un viso dolce e sereno. La donna inclinò di lato la testa, sorridendo con fare rassicurante.
  - ...sciocchina. -







































 
  Angolo Autrice
 
  Yup, adoro scrivere i cliffhanger!
  L’avevo detto che questo capitolo sarebbe stato più lungo. E soprattutto si entra subito nel vivo della storia... circa. Ho dovuto coniugare due esigenze: presentare come si deve Okumi e una parte della sua quotidianità; e il non tediarvi oltre ^^
  Uhm, sono ragionevolmente certa che ci siate un po’ rimasti sulla caratterizzazione della nostra cara protagonista. Beh, l’intento era quello. Ma non si DEVE chiarire tutto al primo capitolo, no? Non preoccupatevi, ogni cosa troverà una spiegazione e ogni personaggio avrà un degno
momentointrospezione© per dire la sua.
  Lasciate un parere, se vi va, eeeeeeeeee... linea all’Angolo del Titekubismo!
  Salutoni,
 
  Anukis




 
 
ANGOLO DEL TITEKUBISMO


          Aomura Okumi (  臆美)
Il nome Okumi è inesistente, l’ho creato fondendo il kanji 臆 “oku” che significa “essere esitanti”, con 美 “bi”, “bellezza”, tipico dei nomi femminili e letto “mi” quando parte di essi. Letteralmente, quindi: bellezza esitante.
Quanto al cognome, la particella 村 “-mura” è comune nei cognomi giapponesi, significa “villaggio”. 青  “ao”, vuol dire “blu”, ma in senso ampio, può indicare una vasta gamma di colori dal verde al grigio. Va letto in modo simbolico, in quanto il blu è in Giappone un colore indefinito, che denota indecisione e ambiguità, nonché immaturità ed inesperienza, pur mantenendo sempre una connotazione positiva.
Data di nascita: 2 Giugno.
Segno zodiacale: Gemelli.
Theme music: "A Wolf Descends Upon The Spanish Sahara" dei Fair to Midland.


          
Higashida Etsuko (東田  悦子)
Etsuko è un nome effettivamente esistente, anche se poco diffuso; letteralmente significa: “bambina gioiosa”. Nessun commento da fare a riguardo.
Il cognome è invece costituito da 東 “higashi”, “oriente” e 田“-ta/da”, “risaia”, altra comune terminazione dei cognomi. Ho associato l’est a Etsuko in quanto la direzione dal quale nasce il sole si addice bene al suo carattere estroverso e allegro.
Data di nascita: 18 Febbraio.
Segno zodiacale: Acquario.
Theme Music: "To France" di Mike Oldfield.

          

          Aomura Kei (青村  )
Kei  è un nome che può essere scritto con diversi ideogrammi, quello che ho scelto io significa “saggio”, proprio in riferimento al suo carattere maturo.
Data di nascita: 7 Maggio.
Segno zodiacale: Toro.




 
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Capitolo 3
*** Give me back boredom ***











 
Give me back boredom


















 
  Jukunemu Daisuke apprezzava molto i momenti morti che il lavoro di Shinigami assicurava. Non c’era niente di meglio che stendersi sulla cima dei tetti, nell’ozio totale, con la sola compagnia della sua Zanpakuto. Si ripeteva spesso che offrirsi in missione per andare nel mondo terreno era stata una delle migliori idee che avesse mai avuto, senza fastidiosi novellini attaccabrighe e capitani pronti a gridarti contro al primo capello fuori posto.
  Ma questo no, dannazione!
  Non tre interi giorni senza Hollow, senza uno straccio di anima da spedire alla Soul Society. Incredibile. Se c’era una certezza nel mestiere degli dei della morte, era che l’occupazione non mancava mai; questo aveva sempre pensato.
  Qualche viscido Hollow mi salvi, vi prego!
  Il desiderio, espresso per l’ennesima volta, era destinato ad essere esaudito con una fastidiosa musichetta proveniente dalla tasca dello shihakusho.
  Si fottano anche le suonerie preimpostate!
  Poi lo Shinigami si rese conto come quella fosse invece la sua salvezza. Controllò al volo il messaggio proveniente dall’Altra Parte, e subito si smosse dal tetto dov’era incollato da mezza giornata per dirigersi al luogo indicato. Saltava dalla cima di un’abitazione all’altra con agilità sorprendente per il suo fisico non proprio atletico.
  Man mano che si avvicinava alla meta, Daisuke iniziò a percepire la forza spirituale dell’Hollow. Un pesce piccolo, ordinaria amministrazione.
  Dopo poco avvertì anche qualcos’altro. Il reiatsu di uno Shinigami, non c’era dubbio, e nella sua zona d’influenza della città. A denti stretti, si augurò caldamente che non si trattasse di Zamuku Atsushi. Fare movimento andava bene, ma non aveva voglia di compiere un omicidio, oltre che una purificazione, nello stesso giorno. Ad ogni modo, scartò l’ipotesi quando fu ormai a pochissima distanza: si trattava di un collega sconosciuto e, a giudicare dall’aura emanata, era anche una vera e propria schiappa.
  La scena che si presentò agli occhi del dio della morte superato l’ultimo tetto era tragica, ma allo stesso tempo lo lasciò molto perplesso. Una giovane Shinigami era a terra, seduta in posa rigidissima, con la Zanpakuto tremante stesa davanti a sé. Quel ridicolo modo di tenere l’arma fece dubitare a Daisuke che la tipa avesse compreso il senso dell’avere una spada. Ovviamente, davanti a lei c’era l’Hollow, ma ciò che calamitò l’attenzione del nuovo arrivato fu il corpo di una ragazza, sanguinante e stesa immobile sull’asfalto.
  Era arrivato tardi. Due minuti troppo tardi. Ecco una cosa che aveva il potere di farlo incazzare in un tempo inferiore al secondo netto.
  La sua mano scivolò all’impugnatura della Zanpakuto.
  Si balla, piccola mia. Fallo a pezzi.
  Sfoderò nel momento stesso in cui balzò dall’alto, silenzioso e determinato, atterrando sulla schiena del mostro. Un colpo, deciso e veloce, recise quasi a metà il corpo dell’Hollow. Quando questo si dibatté convulsamente, emettendo uno strillo acuto, lo Shinigami aveva già compiuto una piroetta in aria, atterrando di fronte alla sprovveduta collega.
  La tizia in questione aveva gli occhi fuori dalle orbite per l’incredulità, ma Daisuke non badò affatto a lei. Stava pensando che non valeva la pena evocare lo shikai per abbattere un verme come quello che fronteggiava.
  L’Hollow ebbe un fremito, e la ferita sulla sua schiena sprizzò un liquido verdastro mentre la carne simile ad una corazza si rigenerava, chiudendo lo squarcio.
  Daisuke sogghignò. Rigenerazione, un classico. Era tempo di far vedere a quella spaurita novellina come prendersi cura dei clienti abituali.
  Lo Shinigami si gettò all’attacco a testa bassa. Il nemico sollevò una mano artigliata, sferrando una zampata che il suo avversario evitò facilmente chinandosi. Ormai penetrato nella guardia dell’Hollow, Daisuke spiccò un balzo che lo portò a guardare il mostro dritto nelle orbite vuote e scure della maschera. Un fendente della sua fedele Zanpakuto, e la testa dell’essere si librò in aria. Prima che questa ricadesse a terra, e prima ancora che l’enorme corpo si accasciasse al suolo, tutto ciò che l’Hollow era stato si ridusse in cenere.
  Daisuke si poggiò la spada in spalla con un ghigno soddisfatto.
  - Va’ e vivi felice, brutto bastardo. E porta i miei saluti al capitano Soi Fon. -
  Poi si voltò verso la terrorizzata Shinigami, che aveva abbassato la propria arma, ma la stringeva ancora con tanta forza da sbiancare le dita.
  - Beh, hai visto come si usa una Zanpakuto, novellina? -
  Quella aprì e chiuse la bocca senza emettere suono. Daisuke decise di prenderlo per un sì.
  Il viso dello Shinigami si fece serio spostando lo sguardo sul corpo della ragazza, giacente a faccia in giù appena una decina di metri più in là. Rinfoderando la spada, si avvicinò, sforzandosi di sperare che ci fosse qualcosa da fare per lei. Merda, sembrava il set di un film splatter. Allungò una mano per afferrarle una spalla e girarla.
  Solo allora l’altra Shinigami si riprese dal torpore. - Ehi, che fai? Non ti...! -
  Daisuke fissò il volto dell’umana. Seppure insanguinato e sfigurato dalla morte, gli parve piuttosto familiare. Giovane, abbastanza carina, con lunghi capelli neri...
  - Eeeeeh? Ma che cavolo...? -
  Si voltò di scatto verso la tizia, che appariva indecisa fra restare ferma dov’era o saltargli addosso e spingerlo via da quel cadavere.
  Identiche, non si poteva sbagliare. Ma quello steso a terra non era un gigai.
  D’un tratto, Daisuke avvertì di nuovo l’istinto di sfoderare la spada. C’erano un paio di cose che non quadravano. Perché una totale inetta come quella si trovava sulla Terra, tanto per cominciare?
  Il dio della morte si scansò dal corpo della ragazza come se all’improvviso scottasse.
  La sconosciuta si protese verso i resti senza vita con un’ansia indescrivibile sul viso. Era sbiancata e, dalla smorfia sulla sua faccia, doveva essere sul punto di vomitare. La mano allungata verso il cadavere tremava e si ritraeva e si tendeva di nuovo.
  - S…sono morta...? - disse infine, con un filo di voce.
  Bella scoperta, se sei una Shinigami…
  Però Daisuke non espresse questo pensiero. La questione sembrava un po’ più complicata, e pareva che nessuno dei due presenti l’avesse capita appieno.
  - Ehi, senti, devi spiegarmi cos’è successo prima che arrivassi. - si approcciò, nel tono più diplomatico possibile.
  L’attenzione dell’altra si rivolse solo in quel momento su di lui e, nella diffidenza che lasciò trasparire, recuperò un minimo di contegno.
  - Chi diavolo sei tu? -
  - Uh-hu, bel modo di rivolgerti a chi ti ha appena salvato la vita. Comunque, - il dio della morte raddrizzò la postura - io sarei Jukunemu Daisuke, Shinigami, al tuo servizio. -
  - ...Shinigami? -
 
 
 
  Il racconto che fece la giovane Shinigami, seduti su un tetto nelle vicinanze, ebbe l’effetto di calmare lei quanto di agitare Daisuke.
  - Mi prendi in giro? - sbottò al termine.
  Da quello che Daisuke aveva capito dalla narrazione, quella tipa era entrata nel proprio mondo interiore e aveva incontrato una sua amica, o quel che era, e poi... poi non ne aveva idea. Per ciò che sapeva lui, per diventare Shinigami erano necessari due requisiti: essere morti ed avere una grande forza spirituale. Sulla prima non era molto convinto, dato che a quanto pareva la ragazza si era ritrovata con poteri di dea della morte appena dopo essersi risvegliata come anima. Secondo, aveva uno dei reiatsu più bassi che lui avesse mai sentito. Assurdo, davvero.
  - Hai chiesto tu di raccontare ciò che è successo, e l’ho fatto. Ora voglio io delle spiegazioni. Cos’era quel coso laggiù? Tu che cosa sei? -
  - Io volevo la verità, non una favola! Che cavolo, uno non diventa Shinigami così dal nulla! -
  - Non l’ho mica deciso io, e nemmeno lo so come ho fatto... a diventare una Shinigami, qualsiasi cosa sia. -
  - E va bene, apri bene le orecchie... -
  Daisuke cercò di sintetizzare al massimo l’intera spiegazione sugli dei della morte, il mondo degli spiriti e gli Hollow. Non serviva un rapporto completo, bastava solo che lei capisse la situazione nella quale era invischiata. Nonostante la ragazza spalancasse sempre più gli occhi ad ogni parola, non ebbe problemi ad interromperlo molte volte per tempestarlo di domande.
  Comunque, una volta che Daisuke pose fine al suo discorso, la tizia dava l’impressione di avere le idee alquanto chiare.
  La stessa cosa non si poteva dire dello Shinigami. Si era chiesto se magari l’altra stesse mentendo, ma in quel caso, avrebbe potuto trovare migliaia di storielle molto più credibili di quella che gli aveva propinato.
  A mente fredda, l’unica cosa da fare era trascinarla nel mondo degli spiriti e smollarla davanti al consiglio del Gotei 13. Non spettava a lui prendere decisioni, lo sapeva.
  Cosa poi le sarebbe successo alla Soul Society, era facile immaginarlo. Non erano più così intransigenti riguardo agli Shinigami anomali, a causa di precedenti di un certo peso, ma lasciare in giro una debole ragazzina con poteri che evidentemente neanche desiderava, sarebbe stato impensabile. Un colpo alla saketsu, un altro all’hakusui, ed era fatta, sarebbe stata un’anima come tutte le altre. Dopotutto quella tipa era morta, poco da fare, il suo destino sarebbe stato comunque nel regno dei trapassati.
  In tutto questo c’era solo un piccolo problema, però.
  La sua Zanpakuto verrà distrutta.
  Daisuke sentì la propria compagna nel fodero fremere, letteralmente.
  Dannazione. Perché dovevano essere così sensibili all’argomento?
  Ora c’era da stabilire se uno scrupolo del genere potesse davvero fermarlo dal fare il proprio dovere. E poteva? Sì, purtroppo. Mille volte sì.
  Ma così non andava. Il suo lato sentimentale si era bello che impuntato, va bene, tuttavia ora restava da convincere il buonsenso, impresa molto meno facile.
  Beh, c’era da dire che nel peggiore dei casi forse la storia della ragazza avrebbe attirato l’attenzione delle persone sbagliate, facendola finire alla mercé del Dipartimento di Ricerca. Un pensiero non molto piacevole, benché lui non avrebbe avuto alcuna colpa, nell’ipotesi. Ma almeno aveva la parvenza di una motivazione decente.
  Sebbene un vero e proprio motivo razionale per opporsi al fatto di toglierle i poteri da Shinigami, continuava a non sussistere. Perciò, magari al contrario ci poteva essere qualche beneficio nel lasciarla allo stato attuale?
  Solo uno, guarda caso nemmeno troppo convincente. Eppure ora poteva spingere a mille solamente su quello.
  Daisuke era sul punto di fare la più grande cazzata della propria vita.
  - Beh, non c’è altra maniera, mi pare! - proruppe alla fine.
  - Di che parli? -
  - Mi sa che ti dovrò insegnare il mestiere di Shinigami. -
  La tizia emise un verso di scherno e lo squadrò come se fosse impazzito. - Che cosa? A me non me ne importa niente di fare la Shinigami, non voglio saperne nulla di mosti, spade e qualsiasi altra cosa. -
  - Invece ti conviene accettare, stupida, perché è la tua unica chance di restare viva. -
  A Daisuke parve quasi di vedere le orecchie della tipa rizzarsi di colpo. - Nel senso che se diventassi una Shinigami, tornerei in vita? -
  - Cosa? No, non si può mica fare una cosa del genere! -
  - Ma è quello che hai detto tu! -
  Daisuke si grattò la testa, in difficoltà. - Diciamo che... come semplice anima non avresti modo di rimanere nel mondo terreno. Se però utilizzassi i tuoi poteri per fare la Shinigami, allora magari dimostreresti di essere utile alla Soul Society e potrebbero decidere di tenerti come sostituta dea della morte. A quel punto, potresti restare qua e assolvere giusto qualche missione ogni tanto. -
  - E andrà davvero come dici tu? -
  La ragazza doveva essersi accorta che quel piano era stato inventato su due piedi.
  - Ehi, mi pare comunque meglio di niente. - replicò sfuggente lui.
  La caduta nel mutismo da parte dell’altra fece tirare a Daisuke un sospiro di sollievo.
  Sono troppo buono, eh, piccola?
  Lo Shinigami dette distrattamente una piccola pacca sul fodero della sua Zanpakuto.
  - Va bene, allora. Farò la dea della morte. -
  Daisuke fissò negli occhi colei che aveva dinanzi e, dall’espressione di malcelato scontento che vide, realizzò che la vera difficoltà nell’impegno di allenarla non sarebbe stata insegnarle come reggere una spada.
  - Perfetto... uhm, come hai detto che ti chiami? -
 
 
 
  Tutto sommato, si poteva dire che Okumi non fosse rimasta troppo sconvolta, nell’istante in cui Jukunemu raccontava, dal sapere dell’esistenza di Shinigami e Soul Society varie. Un mondo invisibile all’occhio umano. Bene, poteva ancora accettarlo, sarebbe bastato che niente di tutto ciò interferisse mai con la sua vita. Cosa che purtroppo era appena successa.
  Di sicuro non avrebbe mai detto che il tizio che era comparso frapponendosi fra lei ed il mostro avesse il physique du rôle da dio della morte: più basso di lei di un paio di centimetri, in carne, con corti capelli castani, viso spruzzato di lentiggini ed un’aria perennemente imbronciata. Il suo combattimento contro l’essere, l’Hollow, aveva avuto un risultato del tutto imprevedibile dal punto di vista della ragazza. Anche se l’esito non l’aveva salvata, non nel vero senso della parola.
  Già, perché c’era quel piccolo dettaglio consistente nell’essere appena stata uccisa. Lo aveva saputo dal momento in cui aveva riaperto gli occhi su di un cadavere uguale a lei, coperto di sangue. Era stata quasi una fortuna venire distratta dall’Hollow.
  Eppure, poteva farsi forza anche per quello. Di sicuro, lei non si sentiva morta, il che la rincuorava molto. Una semplice illusione, forse, ma sufficiente a darle la forza per reagire con la dovuta lucidità.
  Tutto ciò che contava ora era riappropriarsi della sua vita e, se per riuscirci avrebbe dovuto fare la dea della morte, allora avrebbe fatto la dea della morte. Tutto ciò che poteva, per non lasciare la sua famiglia, per non abbandonare Kei alla compagnia di nuovo alberello da accudire ed Etsuko all’ultimo banco, sola, che scrutava silenziosa fuori dalla finestra.
  Okumi odiava non avere il quadro completo, e dover essere vincolata alle supposizioni - perché questo erano, supposizioni -, di un perfetto sconosciuto non le piaceva per niente. Tanto più se il perfetto sconosciuto in questione stava evidentemente infrangendo delle regole per aiutarla. La ragazza se n’era resa conto, come nonostante l’apparente leggerezza con la quale Jukunemu le aveva fatto la sua proposta e l’aver sottolineato che in ogni caso la Soul Society sarebbe un giorno venuta a conoscenza di tutto, l’intera faccenda aveva l’aria di qualcosa che gli avrebbe fatto passare un bel po’ di guai.
  E lei si sarebbe guardata bene dal chiedergli conferma di queste impressioni. Okumi non era granché brava a capire le persone. Ma sapeva che, a meno di un evidente e comprensibile motivo per le loro azioni, allora probabilmente esse si stavano appellando a ragioni più confuse e indefinite, che avevano poco di logico. Motivazioni del genere potevano apparire valide nella mente di chi l’aveva formulate, ma perdevano di consistenza una volta espresse a parole. In questi casi, cercare chiarimenti avrebbe potuto mettere l’altro in una posizione di imbarazzo tale da farlo rinsavire, e anche portarlo a ritornare sulla proprie decisioni.
  Così, per il momento Okumi aveva deciso di fidarsi della stima che Jukunemu aveva fatto del suo caso. La soluzione trovata non le piaceva affatto, specie perché a quanto sembrava comprendeva il lottare contro i mostri dalle maschere di teschio. Non rinunciava a trovare un modo per trarsi d’impaccio, ma ora aveva bisogno di fermarsi e riflettere attentamente sulla propria situazione. Avrebbe considerato l’impegno di essere una Shinigami un modo temporaneo di ingannare la morte, in attesa di escogitare qualcosa di definitivo.
  Compì queste riflessioni mentre camminava al seguito di Jukunemu per le strade di Tokyo. Si sarebbe sentita ridicola a girare in città vestita di un antiquato kimono nero e per giunta con una spada al fianco, se il suo accompagnatore non le avesse assicurato che nessuno poteva vederli, il che era la verità.
  I due si appiattirono contro un muro per lasciar passare una carovana di turisti. Quando il nugolo di gente fu passato oltre, Okumi vide sul marciapiede opposto un uomo con delle buste della spesa in mano, fermo a fissare nella loro direzione. La ragazza si bloccò, chiedendosi se fosse stato qualcos’altro ad attirare lo sguardo dell’estraneo.
  - Ehi tu, ci sei? - la richiamò Jukunemu.
  Okumi indicò l’uomo dall’altra parte della strada, giusto in tempo per vederlo distogliere gli occhi e riprendere a camminare.
  - Quello ci stava fissando. -
  - Ti ho già detto che siamo invisibili per le persone comuni. -
  Okumi non lo contraddisse. Di solito non l’avrebbe data vinta, ma le parve tutto sommato inopportuno mettersi a discutere in una circostanza simile.
 
 
 
  I due Shinigami si trovarono infine di fronte ad un vecchio capannone industriale di cemento, dal tetto di lamiera ondulata, circondato da una palizzata di assi legno su cui erano stati affissi dei cartelli di divieto d’ingresso.
  - Benvenuta al quartier generale, novellina. -
  - Non chiamarmi in quel modo. - si affettò a fulminarlo l’altra - Comunque, sarebbe questo? -
  - Te lo concedo, non è una reggia, ma di solito si cerca di scegliere un posto abbastanza isolato e anonimo per piazzarci l’attrezzatura. Intorno c’è una barriera per impedire a chiunque di entrare. -
  Passarono in una fessura fra le tavole della recinzione. Una volta fatta da parte la cigolante porta scorrevole della costruzione, si ritrovarono immersi nella penombra del deposito.
  Oltre a travi d’acciaio appoggiate al muro e pile di scatole di legno coperte da drappi di tela cerata, il posto non pareva contenere oggetti troppo strani o fuori dall’ordinario. Nel mezzo dell’ambiente, un paio di impolverati divani erano messi uno di fronte all’altro, con un tavolino al centro, come a voler simulare un salotto. Sulla parete di sinistra era stato installato un’enorme schermo di quattro metri per quattro, circondato da ammassi di cavi che all’improvviso si interrompevano senza finire da nessuna parte.
  - Vediamo, dovrei averlo messo qui, da qualche parte... - borbottò Jukunemu, cominciando a frugare fra la roba ammassata da tutte le parti.
  Okumi si avvicinò ad uno dei divani, facendo per sedersi. Quando però vide una mano sbucare da sotto il sofà, si ritrasse con un piccolo grido di sorpresa.
  - Eh? Che c’è? -
  - C-C’è qualcuno sotto il divano! -
  - Qualcuno? -
  Jukunemu abbassò lo sguardo e si illuminò. Lasciò cadere lo scatolone che stava spostando e afferrò la mano che faceva capolino. Trascinò fuori quello che sembrava un manichino, ma incredibilmente snodato e privo di cuciture.
  - Stavo proprio cercando questo. -
  - E che cosa sarebbe? -
  - Un gigai, un corpo finto, che talvolta noi Shinigami usiamo per confonderci con gli umani. Potrai usarlo per continuare la tua vita in modo più o meno normale. -
  - Non mi pare che mi somigli così tanto da poterlo fare. -
  - Scema, naturalmente prende le sembianze dell’anima che ci entra! -
  - Potevi anche dirlo prima! -
  - Beh, mi pareva ovvio! -
  - Esattamente, cosa in tutta questa storia è ovvio? -
  - Piantala di lamentarti e vedi di provarlo! -
  Detto ciò, Jukunemu poggiò il gigai sul divano e chiarì ad Okumi che le sarebbe bastato toccarlo per far avvenire il trasferimento dell’anima all’interno.
  La ragazza allungò una mano a sfiorare la spalla del corpo finto. Per un secondo, rabbrividì nel sentire la superficie talmente simile alla pelle umana.
  Non ci fu alcuna sensazione sgradevole: semplicemente per un istante vide nero e poi d’un tratto si sentì distesa su una superficie cedevole e ruvida.
  - Vedi, è come ti avevo detto. - sentì la voce di Jukunemu canzonarla.
  Okumi si mise a sedere con cautela. C’era qualcosa di strano. Abbassò lo sguardo sul proprio corpo.
  - Waaaaaaarghhh! -
  - Si può sapere che c’è adesso? -
  - Voltati, razza di depravato, voltati! -
  - Cretina, era scontato  che i vestiti non... -
  - Voltatiiiii! -








































 
  Angolo Autrice
 
  Puff, che fatica, ‘sto capitolo! Io odio scrivere i momenti delle spiegazioni, per quanto siano indispensabili. Infatti, se avete notato, ho evitato in modo accurato le parti in cui si raccontano le proprie vicende reciprocamente, sia per non tediare voi, sia per impedirmi di perdere la presa sulla scrittura. Perché questo capitolo era di fatto l’unico vero scoglio nella storia, il punto in cui, se questa fanfiction fosse rimasta sul mio computer, avrei di certo mollato. Dunque vi ringrazio: anche se non lo sapevate, mi avete dato la forza per completare questo snervante passaggio. Non me la merito una recensioncina? Eh? Eh? ;)
  Btw, ho introdotto il mio personaggio preferito in assoluto della storia: Daisuke. Spero che nessuno si sia scandalizzato per i suoi pensieri “senza filtri”. Oh, lui nella mia testa pensa così u.u  Spero avrete notato che sta nascondendo più di una cosetta su di sé... adoro i personaggi che fanno i misteriosi. Poi, immagino che tutti voi vi aspettaste un figone con inclusa love story con Okumi, ma mi spiace, non voglio essere così prevedibile.
  Ultima ma non ultima, proprio la nostra Okumi ho dimostrato di saper affrontare e razionalizzare una situazione di sicuro non facile, dal momento che per ora non si vede molto coinvolta... Povera anima candida... Coffcoff l’autrice sa cosa succede dopo.
  Ok, vedo di levarmi dai piedi e lasciarvi all’Angolo del Titekubismo.
  Salutoni,
 
  Anukis
 
  P.S. Ho trovato una theme music per Etsuko: per la cronaca, si tratta di “To France” di Mike Oldfield. L’ho già aggiunta anche all’Angolo del Titekubismo del capitolo scorso.



 
ANGOLO DEL TITEKUBISMO


          Jukunemu Daisuke (ジュクネム  大輔)
Daisuke significa “grande aiutante”.
Il cognome viene da 熟睡 “jukusui”, letteralmente “sonno profondo”; il gioco di parole deriva dal secondo segno, che può essere letto anche “nemu”. Inoltre, per fargli perdere del tutto di significato, al fine di scansare doppi sensi, ho dovuto scriverlo in caratteri fonetici katakana, anziché in hiragana.
(Lo ammetto, il nome per lui lo scelsi quando il personaggio era un po’ diverso. Già l’appellativo “grande aiutante” lasciava presagire un ruolo non proprio centrale nella storia, in più il cognome doveva rispecchiare un modo di fare molto più indolente e pigro. Quando però rivoluzionai il suo carattere, mi sembrava ancora un nome che quanto a sonorità gli si addiceva perfettamente, oltre al fatto che non riuscivo a immaginarmi di chiamarlo in un altro modo.)
Data di nascita: 17 Agosto.
Segno zodiacale: Leone.
Theme music: "Rusted Railway" dei Dirtwire.

 




 
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Capitolo 4
*** Take your responsibilities ***











 
Take your responsibilities


















 
  Erano passati due giorni dall’acquisizione da parte di Okumi dei poteri da Shinigami.
  Due giorni nei quali lei dovette abituarsi a vivere in un nuovo corpo. Sulle prime non aveva notato grandi differenze, giusto un po’ di rigidità, come se avesse avuto gli arti accavallati dopo aver dormito in una posizione scomoda. Poi però aveva cominciato a prendere consapevolezza di tutte le limitazioni di un gigai. I suoi riflessi erano diventati lentissimi, non riusciva nemmeno ad afferrare le cose al volo. Si stancava subito e non poteva fare uno sforzo prolungato senza farsi venire il fiatone.
  A detta di Jukunemu, questi disagi sarebbero scomparsi col tempo. Dopotutto, lui non aveva mai usato quel corpo finto, che quindi doveva ancora “ammorbidirsi”.
  Eppure Okumi non poté fare a meno di imprecare contro lo Shinigami e contro il proprio destino, stesa nel bel mezzo del campo di educazione fisica della scuola. Non sapeva nemmeno in cosa fosse inciampata. Nei suoi stessi piedi, forse. Avrebbe voluto urlare di frustrazione.
  Ad un certo punto, un’ombra la coprì ed un paio di scarpe da ginnastica entrarono nel suo campo visivo.
  - Su, non startene là distesa, Oh-chan. -
  Etsuko le tese una mano e Okumi esitò un attimo prima di afferrarla ed alzarsi.
  - Ultimamente sei un po’ sbadata, eh? - commentò la sua migliore amica con un piccolo sorriso.
  - Già... davvero sbadata. -
  Sarebbe stato troppo bello se fosse stata quella la spiegazione.
  - Tu torna a correre, non ti preoccupare. Io per stavolta passo. -
  - Oh, allora va bene. -
  Etsuko si allontanò dirigendosi verso il gruppetto che stava correndo intorno al campo, borbottando un’altra volta: - Va bene. -
  Okumi si incamminò lontano dal campetto, sospirando. In verità non era così stanca da dover abbandonare la lezione, ma sapeva di aver bisogno di riposare. Quel pomeriggio avrebbe richiesto tutte le sue energie. Perché avrebbe avuto inizio il famigerato allenamento per diventare una Shinigami.
 
 
 
  Fortunatamente, Okumi aveva ritrovato con facilità il capannone dove si trovava il “quartier generale”. All’esterno non c’era traccia di Jukunemu, perciò la ragazza scivolò all’interno della palizzata ed entrò nel magazzino.
  Quello che vide le fece considerare di non essere mai stata insultata in modo tale nella sua vita.
  Jukunemu era sbracato su uno dei divani, un braccio penzoloni nel vuoto, intento a russare sonoramente.
  Con uno scatto Okumi fu accanto al sofà e si concesse di contemplare per qualche secondo lo spettacolo pietoso sotto i suoi occhi.
  - Che diamine, svegliati! - urlò alla fine.
  Lo Shinigami sobbalzò con un singulto e rotolò di lato, cadendo dal divano.
  - E tu ti vanti di essere un dio della morte? - commentò disgustata Okumi.
  Lanciando qualche invettiva, Jukunemu si rimise in piedi e squadrò la ragazza con espressione confusa.
  - Ma che...? Non è suonata la sveglia? -
  Okumi trovò più dignitoso non replicare.
  Nel frattempo, l’altro frugò all’interno del suo kimono nero e ne estrasse un antiquato cellulare. Controllò qualcosa sul display e sgranò gli occhi.
  - C-Cretina! Mi hai fatto alzare due minuti prima della sveglia! -
  - E allora? Solo due minuti prima, no? -
  - Non sparare simili bestemmie, tu! -
  - Sappi che io pensavo di venire qui ad allenarmi, non a tirarti giù dal letto! -
  L’affermazione placò Jukunemu, il quale afferrò la sua spada poggiata dietro il divano.
  - Bah, non mi va di discutere appena sveglio... - brontolò, dirigendosi verso l’uscita posteriore del deposito.
  Dietro all’edificio si trovava un ampio spiazzo di terra battuta, la cui continuità era interrotta solo da alcune buche poco profonde. Poggiati ad un angolo, c’erano ancora degli attrezzi edili, insieme ad alcuni sacchi di cemento.
  - Beh, vediamo di cominciare, allora. Ti ricordi come sganciare l’anima dal... -
  Okumi si picchiettò tre volte col dito nel palmo della mano e sentì come se il corpo finto la stesse rigettando fuori. Mentre questo, tornato in forma di fantoccio, si accasciava al suolo, lei si aggiustò la fascia che le teneva la spada al fianco.
  - ...gigai. - terminò Jukunemu - Ok, immagino che possiamo procedere. -
  Lo Shinigami sfoderò la spada e si mise in posizione d’attacco.
  - Ehi, aspetta, aspetta! - lo frenò Okumi - Così, senza preparazione? Non dovresti insegnarmi la guardia o, che so, le tecniche di combattimento? -
  - Mi spiace, ma non abbiamo tutto il tempo per fare le cose per bene.  Tu para, schiva, fai un po’ come ti pare. L’unico modo di combattere giusto è quello con cui non ti fai ammazzare. -
  - Tu, brutto...! -
  Okumi si gettò di lato per evitare un affondo. Ruzzolò per alcuni metri e si ritrovò barcollante in piedi.
  Jukunemu era stato fulmineo. Ma il corpo - o anima che fosse - della ragazza aveva risposto nell’attimo stesso nel quale aveva realizzato di essere in pericolo. La sensazione di trovarsi fuori dal gigai era così diversa e liberatoria da averle permesso di schivare l’attacco con relativa facilità.
  Okumi si affrettò a sfoderare la spada, in tempo per parare un altro colpo. Le sue braccia si piegarono sotto la forza maggiore dello Shinigami. La ragazza fece un balzo all’indietro e di nuovo un fendente non la sfiorò per poco.
  Fece per scansarsi rapidamente i capelli che le erano finiti davanti al viso. Non si era distratta per più di una frazione di secondo, quando avvertì la punta fredda di una lama premere contro la sua gola.
  - Si può sapere cos’era quello? - sbottò Jukunemu, senza accennare a spostare la spada.
  - Non... - Okumi deglutì - Non mi hai dato il tempo di legami i capelli. -
  - Ma la vuoi smettere di lamentarti per ogni cosa? È la mentalità che conta! Se ragioni così, se pensi di poter levare una mano dalla spada durante il combattimento, beh, sei morta. Qualsiasi avversario ti troverai di fronte, sarai morta. -
  Okumi aprì la bocca per replicare, ma l’altro la anticipò: - E questo è niente. Guarda, ti faccio vedere una bella cosa. -
  Finalmente la lama della spada si allontanò dalla gola della ragazza, che poté rilassare il collo.
  Jukunemu si distanziò di qualche passo da lei, rivolgendosi verso la parete del capannone. Si mise in guardia, tenendo la spada salda in mano.
  Okumi avvertì una strana sensazione. Non era causata da qualcosa intorno a loro, ma era dentro di lei. Sentiva come una presenza espandersi nella sua mente, troppo ingombrante per essere ignorata.
  - Frinisci, Kurosemi! - [Cicala Nera]
  L’arma dello Shinigami parve vibrare per un momento. Quando Okumi la mise a fuoco di nuovo, la spada non era decisamente la stessa di prima. La lama era più corta e tozza, con il filo seghettato.
  - Ma che diamine...? - mormorò la ragazza.
  Jukunemu sollevò l’arma. - Utanatsu! - [Canto Estivo]
  Sferrò un fendente all’aria. Un crepitio assordante accompagnò un’onda d’urto che si andò a schiantare contro la parete del deposito, creando un piccolo cratere nel cemento armato. Di fronte a lui, un solco nel suolo segnava la traiettoria del colpo.
  - Co-Cos’era quello? -
  Jukunemu si voltò verso di lei con un sorriso compiaciuto.
  - Questa è il vero aspetto della mia Zanpakuto, Kurosemi. Sorpresa, vero? Scommetto che pensavi che le Zanpakuto fossero solo dei pezzi di metallo con la forma di una spada. -
  In realtà Okumi non aveva mai pensato niente della propria... Zanpakuto.
  - Beh, invece devi sapere - continuò Jukunemu, senza badare alla poco entusiasta reazione dell’altra - che le spade degli Shinigami non sono armi qualsiasi. -
  Okumi avrebbe giurato di vedere l’espressione sul volto del giovane addolcirsi.
  - No, non lo sono affatto. - ripeté lui, più a se stesso che all’interlocutrice.
  - Ho afferrato il concetto. Quindi dovrò imparare a farlo anche io? -
  - Ogni Zanpakuto ha il suo potere. Per liberarlo, ti basta conoscere il suo nome. -
  - Devo darle un nome? - chiese Okumi, sempre più confusa.
  - Ma no, ce l’ha già! La tua spada è viva, accidenti, devi solo parlarci e chiederle come si chiama! -
  - Certo che come ti spieghi tu, nessuno. -
  - Ehi, riconosco i miei limiti, ok? Ad ogni modo, penso che ti darò un compito per casa: parla con la tua Zanpakuto, scopri il suo nome e impara lo sprigionamento. Ti posso assicurare che una volta fatto, sarai già un bel po’ più forte, e noi saremo un passo più vicini all’obiettivo. -
  - E mi sta anche bene, ma ora potresti spiegarmi, in maniera comprensibile, come si dovrebbe fare a parlare con una spada? -
 
 
 
  Infine Okumi era riuscita a capire, più o meno, come fare a parlare con una spada. Anzi, con una Zanpakuto.
  Il problema era sorto quando Jukunemu aveva voluto continuare a combattere, per giunta con la propria arma sprigionata. Se in precedenza non c’era stata gara, a quel punto Okumi non poteva nemmeno capire cosa stesse succedendo quando la attaccava.
  Doveva risvegliare l’istinto di sopravvivenza, le aveva detto lo Shinigami. Il che si era tradotto in un numero imprecisato di botte col piatto della lama sulle costole della ragazza. Anche l’altro però era rimasto deluso dalle prestazioni dell’“allieva”, al punto da condonarle il successivo giorno di allenamento per consentirle di leccarsi le ferite in pace.
  Ad Okumi traballavano letteralmente le gambe, lungo la strada per casa. Erano le nove di sera quando varcò la porta dell’appartamento in cui abitava.
  Aveva informato i suoi familiari che sarebbe andata a casa di Etsuko, perciò rimasero tutti molto sorpresi quando la videro tornare più che distrutta. Lei liquidò la faccenda borbottando qualcosa riguardo l’essere state per tutto il giorno in giro per la città. Dopodiché si ritirò nella sua stanza, dichiarando di non voler cenare.
  Okumi si gettò sul letto coi vestiti ancora addosso, gemendo quando il materasso premette sui lividi che aveva su tutto il corpo. Scivolò dapprima in uno stato simile al dormiveglia, crollando poi in un sonno profondo.
  Per un tempo indefinibile, la sua coscienza fu persa in un vuoto nero e privo di sogni.
  Oh, così non va proprio bene, cara. Non dovresti ignorare i compiti a casa.
  Okumi si svegliò di soprassalto.
  La voce aveva parlato nella sua mente, chiara ed inequivocabile. Una voce conosciuta, peraltro. Era la stessa che aveva tentato di avvertirla dell’attacco dell’Hollow. Pensare che si era quasi dimenticata quel dettaglio dell’episodio.
  La ragazza si rigirò nel letto e sobbalzò sentendo qualcosa urtare con la propria schiena. Girò la testa e vide, posata accanto a sé, la sua Zanpakuto.
  Okumi avvertì una morsa allo stomaco e la sua mano si chiuse di scatto sul fodero dell’arma.
  - Sei stata tu. - dichiarò ad alta voce, senza nemmeno sapere bene a cosa si stesse riferendo - Scommetto che ora vuoi dirmi il tuo nome, vero? -
  Le parve quasi di sentire la guaina diventare leggermente tiepida sotto le sue dita.
  Okumi si rizzò a sedere e, con qualche difficoltà, si sistemò nella posizione del loto, come le aveva detto di fare Jukunemu, appoggiando la spada sulle ginocchia. Delle tenebre che la notte aveva creato nella sua camera, scelse un punto preciso e lo impresse nella memoria appena prima di chiudere gli occhi.
  Rilassarsi non era una cosa facile da fare, nell’ultimo periodo, e per lei sgombrare la mente era sempre stato difficile in maniera particolare. Così, cercò di concentrarsi sul contatto del fodero della Zanpakuto sulle gambe. Pian piano, questa sensazione divenne un pizzicore costante che si propagò per il suo intero corpo, togliendole sensibilità agli arti.
  D’un tratto, la ragazza avvertì un impellente bisogno di aprire gli occhi. Tentò di soffocare questo istinto e ritornare al rigore della meditazione, fin quando una luce filtrò dalle sue palpebre.
  A quel punto aprì lo sguardo su una visione illuminata da un sole splendente. Di fronte a lei, di spalle, si stagliava una donna vestita di un leggero abito azzurro svolazzante nella brezza. I lunghi capelli biondi ondeggiavano liberi, ed una mano tratteneva un cappello di paglia a tesa larga.
  Lo spirito... lo spirito della Zanpakuto?
  La donna si mosse. Il suo corpo accennò a ruotare, come per voltarsi.
  Okumi desiderò poter indietreggiare di un passo. All’improvviso, ricordò ciò che aveva detto Jukunemu.
  La tua spada è viva.
  Ma cosa voleva dire? Provava dolore? Poteva essere felice, arrabbiarsi, rattristarsi?
  Non ci si era soffermata. Dopotutto, quella sembrava solo una frase fatta buttata lì. Un oggetto non poteva possedere un’identità propria, solo perché aveva un nome.
  Non sono armi qualsiasi.
  Almeno questo le era stato palese fin dal principio. Insomma, erano delle spade magiche, piene di potere, ma che restavano pur sempre ciò che apparivano. Ragionandoci, la procedura per entrare in contatto con esse doveva confermare queste considerazioni. Era la volontà dello Shinigami a creare la comunicazione, lo Shinigami cercava lo spirito per parlare con lui.
  Ma ora poteva vederlo bene, lo spirito di una Zanpakuto. Della propria. Dunque non era qualcosa di incorporeo, come aveva pensato. Non chissà quale fantasma che le avrebbe sussurrato un nome all’orecchio.
  Quella che aveva davanti di sicuro non era una spada. Che cos’era, quindi?
  La donna si bloccò.
  - Davvero? -
  Aveva parlato. Okumi aveva visto le sue labbra muoversi.
  Lo sfondo della visione, che fino ad allora era stato fin troppo luminoso, di colpo sbiadì e si spense, lasciando solo un cono di luce dove si trovavano la ragazza e lo spirito.
  Il volto di questa, che per un attimo Okumi aveva pensato di intravedere, si era improvvisamente coperto di un velo d’ombra. Eppure erano entrambe in piena luce.
  La donna tornò a mostrarsi di spalle, incamminandosi con lentezza esasperante fuori dalla zona luminosa, che a sua volta si affievoliva sempre più.
  Okumi provò a muoversi per inseguirla, trovandosi bloccata.
  Aspetta, torna qui, devi dirmi il tuo nome!
  Avrebbe voluto dirlo ma, come non riusciva a muoversi, non poteva neppure parlare.
  Calò il buio totale, e la ragazza dovette sbattere le palpebre più e più volte prima di accorgersi di essere di nuovo nella propria stanza. Prendendo atto di avere riacquistato mobilità, afferrò la spada poggiata sulle sue ginocchia e la esaminò con attenzione. Eppure, anche ora non aveva nulla di strano. La scosse, ottenendo solo il rumore della lama che sbatteva dentro il fodero.
  - Andiamo, dì qualcosa, lo so che ci sei! -
  Come se si fosse aspettata che a quel punto la Zanpakuto rispondesse.
  - Che ti è preso, eh? Pensavo volessi dirmi il tuo nome! Ehi! -
  Okumi emise un verso esasperato, massaggiandosi le tempie.
  Io me ne torno a dormire. Tu vedi di non disturbarmi più.
  Non sapendo dove mettere la spada e volendo evitare di lasciarla in bella vista, aprì l’armadio e la gettò sopra una pila di coperte.
  Inutile dire che alla mattina la Zanpakuto era sparita.
 
 
 
  - Accidenti, hai sul serio delle brutte occhiaie, Oh-chan. -
  - Uhm, non ho dormito bene stanotte. -
  Un eufemismo, a dir poco. Dopo il mancato incontro con lo spirito della spada, Okumi era rimasta così irritata da essere ormai del tutto sveglia. Aveva faticato molto per ripiombare in un sonno leggero e agitato, col quale non si era affatto ristorata.
  Una parte di lei si era pentita di aver accettato l’invito di Etsuko ad uscire. Sul momento aveva pensato di volersi svagare, però ora il suo corpo non desiderava altro che del sano riposo, a casa.
  Ridotta così dopo un solo giorno. C’era da chiedersi se sarebbe sopravvissuta.
  Eppure, in qualche modo, girando per le strade del quartiere Harajuku, sentì che il suo intento iniziale stava andando a segno. Forse non era brava nella meditazione vera e propria, ma riusciva benissimo ad escludere dalla sua mente ciò che non le interessava. E non si poteva dire che l’intento di diventare Shinigami e mettersi a parlare con una spada fossero in cima alla lista delle sue priorità, almeno non per scelta.
  Si sentì prendere per il polso ed un secondo dopo Etsuko la stava già conducendo dentro uno degli innumerevoli negozi di vestiti, dove Okumi poté alla fine distendersi. Sempre che fare acquisti con la sua migliore amica si potesse definire un’attività rilassante. Dal punto di vista di Okumi, era... piacevolmente esasperante.
  All’interno dei negozi, Etsuko assumeva subito un’aria concentrata, e spesso scompariva in qualche reparto più nascosto, sembrando dimenticarsi di essere in compagnia. Poi, dopo un tempo lunghissimo, ricompariva all’improvviso tutta contenta, reggendo una singola maglietta, o un paio di pantaloni. E Okumi rabbrividiva. Non poteva farci nulla, sotto qualsiasi parametro oggettivo, il gusto nel vestire della sua migliore amica era inesistente. Ma qualsiasi cosa avesse potuto dire, Etsuko si sarebbe intestardita a comprare il capo prescelto e, in caso di ulteriori proteste se questo fosse stato davvero orrendo, avrebbe messo su il broncio, rimproverando Okumi di essere sgarbata.
  Tutto come al solito. Come ritornare di colpo coi piedi per terra dopo essere stati gettati nel vuoto.
  - Oh, c’è un chiosco di taiyaki. - notò ad un certo punto Etsuko, fermandosi di punto in bianco in mezzo alla strada - Ne prendiamo un po’, Oh-chan? -
  - Perché n... -
  Le parole le mancarono. Sentì come se una mano fredda e bagnata le si fosse posata sulla nuca.
  Le bastò far scorrere gli occhi in alto, fin sulla cima di uno dei palazzi che le sovrastavano, per vederlo. Appollaiato sul cornicione dell’edificio, un Hollow scrutava la via sotto di sé, muovendo l’enorme testa innaturalmente allungata all’indietro.
  Okumi ricordava molto bene la piccola lezione sugli Hollow fattale da Jukunemu. Quei mostri cercavano persone con un elevato reiatsu. Il gigai nel quale lei era attualmente avrebbe dovuto nascondere l’energia spirituale da Shinigami. Ma, come lui aveva specificato, per chi aveva difficoltà a controllare il proprio potere c’era sempre un margine di rischio.
  - Allora, andiamo o no? - la riscosse Etsuko.
  Okumi distolse a fatica lo sguardo dall’Hollow, continuando però a tenerlo sotto controllo con la coda dell’occhio.
  - Io... non ho fame in questo momento. Continuiamo a camminare, più avanti c’è un negozio che... -
  - Va bene, aspettami un attimo qui, che vado a comprarne un po’ per me. - dichiarò quindi Etsuko, facendo per allontanarsi.
  - No, ferma! - esclamò Okumi, in tono più acuto di quanto avrebbe voluto.
  La sua migliore amica la fissò con perplessità. - Insomma, che c’è? -
  - Non mi sento bene. - sbottò l’altra - Credo che farei meglio a tornare a casa. -
  - Ah, ma potevi dirlo subito. In effetti, sei un po’ pallida... -
  - Allora andiamo! La metro non è lontana. -
  Merda, ci sta osservando, ci sta osservando...
  - Ma non è più comodo prendere l’autobus? -
  Lo era, in effetti, ma Okumi sperava di far perdere le loro tracce nel sottosuolo.
  Nel momento in cui aprì la bocca per blaterare una qualche scusa e poi trascinare seduta stante Etsuko verso la metro, un altro reiatsu entrò in un baleno nel suo campo percettivo. Non una forza particolarmente gentile, ma quantomeno le era familiare.
  Il tempo di rialzare la vista sulle cime degli edifici, ed era tutto già finito. Non si poteva dire nulla, Jukunemu Daisuke era molto efficiente nel proprio lavoro.
  Il corpo dell’Hollow ricadde all’indietro, nella parte interna del tetto. Eppure lo Shinigami non rinfoderò la spada. Aveva lo sguardo puntato su Okumi, e l’espressione sul suo viso era quasi di ribrezzo.
  - Oh-chan, ma cosa stai guardando? Non avevi fretta di tornare a casa? -
  - Come? Oh, sì, andiamo. -
  Okumi si incamminò dietro ad Etsuko, sollevata come mai nella propria vita. Si era davvero preoccupata per nulla, se dopotutto la Soul Society aveva una rete di informazione così potente. E si era pure risparmiata di dover avvertire di persona lo Shinigami della zona.
  - Eeeehi, tu! -
  Al grido di Jukunemu per poco non si arrestò di nuovo sul posto. Invece continuò a camminare, chiedendosi seccata cosa mai volesse adesso.
  - Dico a te, Aomura! Che cazzo fai, eh? -
  Si può sapere di che diamine parli?
  - Vedi un Hollow e te ne stai ferma là a passeggiare come niente? Quello poteva attaccare della gente! Che razza di Shinigami sei, eh? -
  Che cosa avrei dovuto fare secondo te, idiota? A malapena so tenere in mano una spada!
  - Non fare finta di ignorami, lo so che mi senti! -
  - Insomma, Oh-chan, che cos’hai? Stai così male? -
  Etsuko allungò una mano per tastarle la fronte, ma Okumi si ritrasse con un sorriso tirato.
  - No, anzi, in realtà mi sento già un po’ meglio. -
  Quella, almeno, non era una bugia. In fondo avevano appena scampato un bel pericolo.
  Perciò cosa voleva quell’esaltato? Non era contento che nessuno si fosse fatto male?
  Quando le due svoltarono l’isolato, gli insulti gridati al vento di Jukunemu ben presto si affievolirono fino a sparire.
 
 
 
  Daisuke pestò un piede sul cornicione del palazzo, con tale impeto da farsi male. Ma non gli importava.
  Stronza!
  Non ci vedeva più dalla rabbia. Chi si credeva di essere quella? Non l’aveva minimamente considerato e se ne era andata tutta allegra in compagnia della sua amichetta, come se non fosse successo nulla. Dopo essersi accorta della presenza di un Hollow.
  Era sicuro che Aomura non l’avesse notato, ma lui si trovava sul luogo da un bel pezzo, anche con un certo anticipo rispetto al mostro. Era rimasto sorpreso dal fatto che ci fosse là anche la sua nuova allieva. Aveva pensato però che fosse un’occasione interessante. Quindi aveva nascosto il proprio reiatsu e si era allontanato un poco, per osservare la scena e testare le reazioni sul campo dell’apprendista dea della morte. Non avrebbe mai potuto credere al teatrino che aveva visto svolgersi. Quella sottospecie di... di... - sul serio, non poteva chiamarla Shinigami! - si era agitata come una gallina impazzita, cercando in tutti i modi di tirare via la sua amica.
  Non aveva tentato qualcosa per allontanare tutte le persone presenti. Le sarebbe bastato gridare di aver visto una bomba sotto una macchina, qualcosa del genere.
  Non aveva fatto neanche un cenno verso il comunicatore di riserva che le aveva dato.
  In pratica, aveva pensato solo a parare il culo suo e dell’unica persona della quale le fregasse qualcosa.
  Aveva avuto paura? Oh, sì. Era stato solo quello a fermarla? Troppo comodo.
  Non voleva problemi, la principessina! Non aveva bisogno di scusarsi, di provare a raccattare qualche patetica giustificazione per il suo comportamento, no!
  Visto l’imbarazzante esito del test, Daisuke avrebbe preferito che Aomura si sganciasse dal gigai andando a suicidarsi fra le fauci dell’Hollow. Certo, l’avrebbe dovuta tirare fuori dai casini di nuovo, e darle della deficiente. Ma sarebbe stata una reazione che poteva capire.
  Eppure aveva capito lo stesso, sì, aveva compreso molto bene. La situazione era più chiara di quanto non fosse mai stata.
  La ammazzo! Come l’ho salvata, la ammaz...
  Le riflessioni di Daisuke si interruppero quando si accorse di un particolare.
  Il cadavere dell’Hollow che aveva appena abbattuto era steso là dov’era crollato, a soli pochi metri dietro di lui. Non sembrava proprio fosse ancora vivo, eppure non si era dissolto.
  D’accordo, lo Shinigami non aveva seguito la solita prassi, e l’aveva infilzato al fianco invece che decapitarlo. Magari gli era rimasta una piccola scintilla vitale.
  Daisuke si avvicinò, senza preoccuparsi di essere prudente. Dopotutto, il mostro era immobile. Alzò la spada per dispensare il colpo di grazia.
  Le dita dell’Hollow si serrarono all’improvviso, di scatto. Il dio della morte fu colto di sorpresa e di riflesso balzò all’indietro, rischiando di cadere dal bordo dell’edificio.
  Lo Shinigami osservò basito il corpo della creatura contrarsi, le membra scheletriche scricchiolare paurosamente mentre cercava un modo di rialzarsi. Con rigidità inquietante, l’essere si piantò su quattro zampe, facendo oscillare la testa sproporzionata. La ferita sul suo fianco spillava sangue denso e scuro.
  Daisuke si lasciò sfuggire una risatina beffarda e puntò Kurosemi di fronte a sé.
  - Eh, siamo resistenti, vedo. -
  L’idea di distrarsi con una lotta non appariva malvagia.
  L’Hollow si scagliò verso di lui spalancando la bocca piena di zanne irregolari. Il dio della morte gli corse incontro, per poi buttarsi a terra e rotolare sotto la pancia del mostro, aprendogli uno squarcio sul ventre per tutta la lunghezza del corpo. L’essere si contorse emettendo un lungo rantolo di dolore, inondando ovunque col proprio sangue.
  Daisuke serrò i denti e rafforzò la presa sulla Zanpakuto. Qualcosa non andava. Perché l’Hollow non tentava di scappare? Di solito, quelli della sua specie erano dei gran codardi. E soprattutto, come poteva essere ancora in grado di muoversi con ferite simili?
  Quest’ultimo si voltò di nuovo verso il suo nemico, srotolando una lingua che arrivava fino a terra. Oscillò, arrancando in direzione dello Shinigami.
  Daisuke avvertì una fitta di repulsione e decise di dover porre fine al combattimento.
  - Frinisci, Kurosemi! -
  La sua compagna vibrò nel trasformarsi e lui non esitò un istante di più. - Utanatsu! -
  Il fendente sonico si abbatté sulla spalla del mostro, che fu scagliato via, rotolando fin sull’orlo del palazzo. A fatica, si puntellò con una zampa, ma l’altro fu più veloce. Grazie ad un unico shunpo coprì la distanza fra di loro. Con una serie di mosse segnate da fredda precisione, recise tutti gli arti dell’Hollow.
  Una grottesca creatura priva di braccia e gambe, ricoperta di sangue color petrolio si dibatteva e ringhiava ora sotto gli occhi dello Shinigami. Egli sollevò Kurosemi e la piantò nel mezzo delle fauci di quel patetico rottame. L’inerme si bloccò con un ultimo tremito, ma le mascelle si mossero ancora in uno spasmo che pareva un brivido di terrore.
  Il dio della morte volse la testa da un’altra parte.
  - Utanatsu... -
  Una leggera vibrazione lungo il braccio ed uno schianto lo avvisarono che il colpo era stato inferto. Solo allora guardò di nuovo.  Sul cemento spaccato dall’urto giacevano pochi frammenti d’osso, i resti di una maschera.
  Non si dispiacque. Non c’era bisogno. I cancelli dell’Inferno non si erano aperti, dunque quell’anima si sarebbe ben presto trovata alla Soul Society, il posto dove avrebbe dovuto stare.
  Eppure Daisuke restò ancora immobile, a fissare le ultime, misere spoglie dell’avversario.
  - Che cazzo sta succedendo qui? -








































  Angolo Autrice
 
  La storia sta ancora ingranandoooooh! Le parti delle spiegazioni me le devo tirare fuori dalla tastiera facendo violenza su me stessa, davvero!
  Vabbè, in origine, questo doveva essere solo un capitolo riempitivo (brava così, un capitolo riempitivo ad inizio storia, è in questo modo che ci si accaparrano lettori!), ma... praticamente si è costruito work in progress. Il punto dove Okumi incontra - circa - lo spirito della spada doveva essere essenzialmente solo un episodio di passaggio, ma mi è venuto una paginetta di Word più lungo. Che ci volete fare, ci avevo preso gusto XD Anche la penultima scena mi è venuta in mente dal nulla, ed il combattimento di Daisuke doveva essere con un Hollow random, quindi pure quello messo abbastanza a caso alla fine  del capitolo.
  ...ok, si è capito che vi avrei servito manco duemila parole di vuoto cosmico, la smetto, che ci faccio miglior figura.
  Riguardo al contenuto in sé, posso dire giusto che il rapporto fra i due Shinigami, iniziato in maniera un po’ disfunzionale, presenta già la prima frattura. Non sono personicine facili, eh? Poi, so che al momento Etsuko sembra una figurina bidimensionale appiccicata a caso nella storia, però... no, aspetta, in effetti è così O.O Cioè, il personaggio mi era venuto in mente a questa maniera, ma ora mi impegnerò per darle maggior spessore! Non sopporto i personaggi senza spessore, io, e non mi perdono di poterne partorire!
  Per finire... noooooo, niente angolo del Titekubismo! Ma fa niente, perché ci rifacciamo col prossimo capitolo, che dite? ;)
  Quindi leggete il prossimo capitolo, ma prima recensite questo, orsù! u.u
  Salutoni,
 
  Anukis




 
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Capitolo 5
*** Worry, but do not care ***











 
Worry, but do not care


















 
  Sotto le prime luci dell’alba, una leggera foschia avvolgeva il parco deserto. Faceva anche piuttosto freddo, ma la Shinigami che vagava fra i giochi dell’area bambini non poteva rendersene conto.
  Okumi si guardò intorno, sperando di riconoscere una qualche figura umana. Non era ancora in grado di percepire il reiatsu a comando.
  - Mi scusi, signorina! -
  Una voce angosciata risuonò nell’aria, mentre un uomo sui quarant’anni si avvicinava a passi veloci alla ragazza.
  - Ha per caso visto un bambino di otto anni, con un berretto blu? È mio figlio, dovevo venirlo a prendere ma non lo trovo da nessuna parte! -
  Okumi provò una gran pena per quel tipo. Era così preoccupato, non si era accorto di nulla...
  - Signorina? - ripeté l’uomo, ma stavolta con fare diffidente. Doveva aver notato la spada al fianco della sconosciuta.
  La ragazza sfoggiò il suo più rassicurante sorriso. - Non si preoccupi, ora. Presto sarà in un posto migliore. -
  Poteva esserci frase più scontata?
  - A-Arrivederci. -
  L’uomo fece per andarsene in tutta fretta, ma l’altra lo precedette.
  Con un gesto ancora goffo, ma che cominciava ad esserle naturale, Okumi sfoderò la Zanpakuto e premette il fondo dell’elsa sulla schiena dell’anima. Nel medesimo punto, si formò l’ideogramma del konso e il konpaku dell’uomo brillò per un istante, dissolvendosi subito dopo.
  La ragazza sospirò, abbassando la lama prima di rinfoderarla.
  Ormai da tre settimane aveva assunto la più semplice delle mansioni da Shinigami. A detta di Jukunemu, lui non aveva tempo per effettuare tutte le sepolture dell’anima delle quali arrivava richiesta dalla Soul Society. Dapprima Okumi aveva pensato fosse una specie di vendetta, per la storia dell’aver lasciato correre la presenza di un Hollow. Ci era voluto poco, però, perché anche lei si rendesse conto che in città ne spuntavano sempre più, di quei mostri. Anche gli allenamenti venivano spesso interrotti da qualche segnalazione.
  Così, Jukunemu aveva colto la palla al balzo per far esercitare un po’ la sua protetta. La quale non aveva accolto la prospettiva con grande gioia.
  Essere una dea della morte comportava due compiti, nessuno dei due piacevole. Combattere Hollow e strappare definitivamente le persone al mondo terreno.
  Okumi odiava confrontarsi faccia a faccia con le paure, i rimpianti degli altri. Lo odiava perché la faceva sentire a disagio.
  Perciò non importava con quali buone intenzioni lo si facesse, seppellire un’anima voleva dire proprio questo. Ci si trovava di fronte a qualcuno che un attimo prima era vivo e quello dopo no. Molti non avevano nemmeno realizzato il trapasso. Li si trovava confusi, a vagare per strada nel tentativo disperato di farsi notare dalle persone intorno. Oppure tremanti in un angolo, che imploravano lo Shinigami di turno di non far loro del male.
  O, come nel caso che aveva appena affrontato, cercando di assolvere alle loro solite incombenze. Fare la spesa, salire sul treno per andare al lavoro. Prendere il proprio figlio al parco.
  Okumi provava sensazioni contrastanti a riguardo. Da una parte, trovava giusto inviare quelle anime alla Soul Society quanto prima. Sarebbe stato anche inutile tentare di spiegare loro la situazione, cercare di tranquillizzarli. Inutile, difficoltoso, in certi casi controproducente. Dunque andava tutto bene, almeno finché erano altri Shinigami a farlo.
  Ma nel momento in cui doveva essere lei, l’intera faccenda si complicava. Era come se quegli spiriti la stessero incolpando di mettere un sigillo definitivo sulla loro morte. Aveva la responsabilità di infrangere le loro illusioni, di stabilire che ogni cosa avrebbero voluto fare nella vita, ora non potevano più farla.
  Con quale faccia tosta, poi? Lei che era morta, ma andava tranquillamente a scuola, poteva parlare con le persone, e nessuno sarebbe mai arrivato a strapparla del luogo cui apparteneva. Concessione fattale da una spada che poteva parlare e aveva un nome, ed un fantoccio dove rifugiarsi per continuare a fingere di essere un’umana come tanti.
  Il suo era un privilegio precario, Okumi se ne rendeva conto. Questi due oggetti, che segnavano l’essere al di sopra di chi un tempo era stato suo pari, avrebbero potuto esserle tolti in qualsiasi istante. Il suo stesso potere spirituale poteva essere cancellato.
  E lei non avrebbe avuto il diritto di protestare. Ciò che il caso le aveva dato, per equità le sarebbe stato tolto.
  Niente di più logico.
  Eppure, dopotutto, perché no? Perché sentirsi in colpa?
  Si stava reggendo all’orlo di un burrone nel quale chiunque altro era precipitato. Non una mano tesa a trarla davvero fuori pericolo. Continuava solo a ripetersi che quel saldo sperone di roccia non lo avrebbe mai lasciato, mai.
  Oh, avrebbe sfidato chiunque a giudicarla.
  Gli sguardi spauriti di quelle anime, il loro perseverare nelle azioni quotidiane, parlavano chiaro. L’attaccamento alla vita era uno ed uno solo, uguale per tutti. E se avessero saputo, anche loro si sarebbero sentiti superiori. Perché non era giusto che lei avesse avuto quella seconda occasione. Loro non erano stati sfortunati, erano morti, come voleva l’ordine delle cose. Un dovere, quasi. Loro onesti, lei sbagliata.
  Poi, di certo, avrebbero continuato ad invidiarla, a desiderare ferocemente di trovare sotto il loro palmo uno sperone di roccia che li sospendesse sopra un burrone senza fine.
  Già, alla fine, tutto si riduceva sempre e solo a quello: ipocrisia.
 
 
 
  - Ho sentito alla tv che c’è stata un’esplosione di gas nei pressi di Tsukiji. -
  - Eh? Ma tu non abiti lì vicino, Kiku-chan? -
  - Scema, quella è Reiko. -
  - Oh, scusa, mi sono confusa. -
  Okumi strinse più forte la scopa con la quale stava finendo di spazzare l’aula. Non poteva credere che una circostanza di solito così monotona come le pulizie dopo l’orario scolastico, potesse anch’essa riportarla alla sua nuova doppia vita.
  Lei, unica del trio intento a riordinare la stanza, sapeva davvero cosa fosse successo il giorno prima a Tsukiji.
  Aveva assistito alla scena da lontano. Jukunemu si era occupato del combattimento, che si era protratto abbastanza a lungo. La cosa l’aveva sorpresa, ricordando la facilità con la quale l’aveva in precedenza visto sconfiggere un Hollow. Ad un certo punto, aveva addirittura sentito il reiatsu di Kurosemi pervadere l’atmosfera.
  Ritornato da lei al termine dello scontro, Jukunemu aveva borbottato un: - E anche questo non voleva crepare... -
  Okumi iniziava a sospettare che la storia si stesse facendo seria. Di fatto non c’era un reale pericolo per nessuno, visto che lo Shinigami della zona aveva sempre tutto sotto controllo. Ciononostante, degli avvenimenti strani in un mondo già di per sé affatto normale erano molto allarmanti.
  Ascoltò ancora per qualche tempo in silenzio le sue compagne congetturare sull’accaduto. Dopotutto, la presunta fuga di gas del giorno prima era stato solo l’ennesimo degli incidenti avvenuti ultimamente in tutta la città.
  Okumi si voltò verso le due sfoderando un sorriso mortificato. - Ragazze, davvero, potreste cambiare discorso? Non mi sento molto a mio agio a sentire di questi argomenti. -
  - Ma, Okumi-chan, non penso che dovremmo fare finta di niente. Qualcuno dice che siano atti terroristici, e se continua così potrebbero anche far chiudere la metropolitana e altre cose simili. -
  - Beh, per fortuna allora che io vengo a scuola a piedi. -
  Okumi si morse la lingua al pensiero di quanto quella frase le fosse uscita male. Anche le due ragazze si guardarono, un po’ perplesse.
  - Volevo solo dire che, qualsiasi cosa decidano di fare, noi non possiamo farci nulla. - chiarì lei, sfoderando la sua miglior espressione rincuorante.
  Quantomeno, riuscì nel suo proposito di far cadere il discorso.
 
 
 
  Okumi si diresse al capanno degli attrezzi, sul retro dell’edificio scolastico. Dopo aver finito di pulire le aule, restava solo il compito di annaffiare le aiuole del cortile.
  La ragazza era piuttosto indispettita. Da quando in qua chi si offriva per prima di fare il lavoro, poi lo faceva davvero? Di quelle altre due, non una si era sentita in obbligo di rilanciare? Evidentemente no, dato che se ne erano andate senza fare il minimo accenno di volerla sollevare dall’incarico.
  La porta del casotto di lamiera scricchiolò nell’aprirsi. Come una fessura di luce illuminò l’interno del tutto scuro, un’ombra si mosse.
  Okumi sobbalzò all’indietro, lasciandosi sfuggire un gridolino.
  - Ah! P-Per favore, non andartene! -
  La ragazza esitò nel sentire quella voce.
  Da dietro un arrugginito armadietto metallico apparve il viso magro di un ragazzo. Il taglio di capelli, corti ma con una lunga frangia, era inconfondibile.
  - Iwamoto? Ma che diamine...? -
  In quel momento, Okumi notò parte di una spalla nuda e dei piedi scalzi sbucare dal riparo dove l’altro si era appiattito.
  - Dove sono i tuoi vestiti? - non poté fare a meno di chiedere, trovando da sola la risposta nello stesso istante nel quale diede voce alla domanda.
  Iwamoto abbassò lo sguardo con fare colpevole. - Non lo so. -
  Per alcuni secondi, rimasero entrambi immobili e silenziosi.
  Okumi si passò una mano sul volto, sospirando impercettibilmente.
  - Vediamo... Dammi le chiavi del tuo armadietto della palestra. Ti porto la tuta. -
  - Le chiavi erano nella mia uniforme. - confessò il ragazzo, dando l’impressione di volersi fare sempre più piccolo.
  Okumi avvertì quasi l’impulso di rispondergli male.
  - Allora ti presterò la mia. - decise invece.
  Prima che Iwamoto potesse dire qualsiasi altra cosa, si voltò e si allontanò a lunghi passi in direzione della palestra. Le parve che il tragitto di andata e ritorno durasse un’eternità, con la mente occupata da pensieri troppo caotici per volerli davvero comprendere.
  Attendendo fuori dal capanno che il ragazzo si vestisse, Okumi non poté fare a meno di chiedersi per quanto fosse stato chiuso all’interno. Lo aveva visto alle lezioni di mattina, quindi... poteva essere scomparso verso l’ora del pranzo? Non avrebbe saputo dirlo. Era un tipo così facile da ignorare.
  Infine, Iwamoto uscì dal capanno rigirandosi fra le mani l’orlo della tuta e con lo sguardo basso.
  - Mi dispiace... per il disturbo, Aomura-san. -
  - Lascia perdere. Non potevo mica lasciarti lì in quel modo. -
  - Ah, sì, ma io intendevo per tutto quant... -
  - Lascia perdere, ho detto. Vuoi metterti in imbarazzo da solo? -
  Un sorriso privo di allegria comparve sulle labbra di Iwamoto. Accennò un inchino ad Okumi e le rivolse un saluto mormorato, prima di voltarsi.
  Okumi lo guardò distrattamente allontanarsi. Quando fu ormai distante, la ragazza sentì tutti i propri muscoli distendersi.
  Era davvero così tesa fino ad un secondo prima? Distratta dall’intera situazione, non se ne era resa conto. Eppure... era una sensazione debole, quasi trascurabile, ma lampante.
  La ragazza concentrò di nuovo lo sguardo sulla figura di Iwamoto e sentì parte di quella tensione tornare.
  Con un pessimo presentimento, Okumi si affrettò dietro al ragazzo.
  - Iwamoto! -
  Quello si voltò, sorpreso. - Cosa c’è, Aomura-san? -
  E là, sulla spalla dell’altro, Okumi vide arrampicarsi quello che pareva un grosso insetto tondo, con il carapace bianco coperto di ghirigori neri. Anche il parassita sembrò fissarla a sua volta.
  - Eh? Ho qualcosa sulla spalla? - domandò Iwamoto, spazzolandosi nel punto interessato.
  L’insetto mostruoso si limitò a scomparire dietro la sua schiena.
  Solo a quel punto, sotto lo sguardo interrogativo del suo compagno di classe, la ragazza si riscosse.
  - N-No, beh... - si interruppe un secondo, non sapendo cosa poter dire - Ricordati di lavare la tuta, prima di ridarmela. -
  L’espressione abbattuta sul volto di Iwamoto si accentuò. - Certo, me lo ricorderò. -
  Okumi fece appena in tempo a sentire quelle parole, essendo già sgusciata via senza più rivolgere una parola al compagno di classe.
  Svoltò l’angolo dell’edificio e subito tuffò la mano nella tasca dell’uniforme per afferrare il comunicatore.
  Merda, merda, merda!
  Il telefono spirituale suonò a vuoto per diverse volte, con l’effetto di far innervosire ancor più la ragazza. Jukunemu aveva insistito tanto per farle usare quell’aggeggio antidiluviano, e lui poi neppure rispondeva?
  Alla fine, il congegno emise uno scatto ed un urlo dall'altra parte precedette qualsiasi cosa Okumi stesse per dire: - Sono un po’ occupato! -
  Un ruggito di sottofondo confermò l’affermazione.
  - Beh, vedi di liberarti, ho una situazione più urgente, qui! -
  - E tu parla, che ti ascolto! Ehi, ehi, fermo, figlio di...! -
  - Credo che un Hollow abbia preso di mira un mio compagno di classe.  Però è strano: è piccolo e non sembra così pericoloso. Non... -
  - Ma sei cretina? Gli Hollow sono sempre pericolosi! -
  - Volevo solo dire che era un Hollow strano, ok? -
  - Aspetta un attimo! -
  Per alcuni secondi, il comunicatore restituì dei suoni confusi e varie grida di Jukunemu.
  - Allora... - riprese infine lo Shinigami, col fiatone - I casi sono due: o te ne occupi tu o te ne occupi tu. Qua andrà per le lunghe. Tanto, hai pure detto che... -
  La comunicazione si interruppe bruscamente.
  - ...Jukunemu? -
  Okumi tentò di richiamare, invano. Rassegnandosi, rimise il comunicatore in tasca biascicando qualche imprecazione contro gli avanzatissimi mezzi della Soul Society.
  La ragazza si ritrovò a non avere scelta. Era certa che un’altra negligenza del genere le sarebbe valsa ben più di una strigliata da parte di Jukunemu. Non che la cosa in sé le importasse molto, ma doveva preservare a tutti i costi quel loro disfunzionale rapporto e quel nuovo, frustrante lavoro.
  Si sganciò dal gigai e nascose il corpo finto nel capanno degli attrezzi, richiudendo poi a chiave. Trovò un edificio abbastanza basso da poterlo scalare correndo lungo una parete. Non era ancora in grado di compiere chissà quali balzi spettacolari.
  Da là, Okumi si creò una strada balzando fra i tetti, cercando di seguire la traccia lasciata dall’Hollow-insetto. Ora che si trovava nella propria forma spirituale, riusciva a percepire con maggiore chiarezza l’aura che emanava.
  Si chiese come avrebbe dovuto comportarsi, una volta raggiunto. Strappare il mostriciattolo da Iwamoto avrebbe potuto rivelarsi difficile, impossibile, sperando che il diretto interessato non si accorgesse di nulla.
  Tra l’altro, esistevano davvero Hollow così piccoli? Okumi non ne aveva mai visti di dimensioni minori di quelle umane. Va bene, poteva occuparsene.
  Tuttavia questi pensieri non occupavano che una piccola parte della sua mente, in quel frangente, e li formulò in maniera molto sbrigativa.
  La maggior parte della sua coscienza non faceva che ricordarle quanto fosse stanca di dover badare a quel ragazzo. Quella specifica circostanza non dipendeva da lui, d’accordo. Però sembrava davvero che l’intero universo avesse deciso di fare di Okumi la sua babysitter. Una volta, due volte... se non ci si fosse messo in mezzo il compito di dea della morte di lei, una terza non ci sarebbe nemmeno stata.
  D’un tratto, la ragazza si rese conto di aver perso il reiatsu che stava seguendo. Accelerò il passo, cercando di arrivare nel punto dove aveva l’aveva sentito appena prima che sparisse. Credendo di aver solo allentato la concentrazione, espanse la sua percezione per riagganciarlo. Per sua sfortuna, trovò qualcos’altro.
  Okumi incespicò nelle tegole del tetto nel tentativo di fermarsi. Scrutò frenetica intorno a sé, cercando di individuare la fonte della forza spirituale che aveva percepito all’improvviso.
  - Dove guardi? Io sono qui. -
  La ragazza riportò lo sguardo di fronte a sé, da dov’era venuta la voce impastata di uno sconosciuto, apparso senza che lei si accorgesse di nulla.
  Il sangue gelò nelle vene di Okumi. Aveva sperato così tanto di sbagliarsi quando aveva avvertito quel nuovo reiatsu.
  Uno Shinigami.
  Il primo dio della morte incontrato dalla ragazza, oltre a Jukunemu, poteva avere solo qualche anno più di lei, ma appariva molto più vecchio e bolso. Era alto e pallido, con un’accentuata postura curva, le spalle chiuse. Lo si sarebbe potuto facilmente scambiare per malato. Da sotto le ciocche di capelli neri un paio di occhi scavati e contornati da occhiaie la fissavano.
  Okumi recuperò quanto più poté il proprio sangue freddo.
  Si schiarì la voce. - Io... uhm, ero all’inseguimento di un Hollow, dunque la prego di lasciarmi pass... -
  - A quale compagnia appartieni? - la interruppe l’ignoto Shinigami.
  - La seconda. -
  La ragazza aveva risposto di getto, ricordando vagamente che Jukunemu avesse una volta affermato di far parte di quella brigata.
  - E a quale zona della città saresti assegnata? Mostrami il tuo permesso di permanenza. -
  Okumi sentì le ginocchia diventarle molli. Permesso di permanenza? Non l’aveva mai sentito nominare nella sua vita, ma poteva intuire dal nome di cosa si trattasse.
  Aggiustò la propria postura e fissò lo Shinigami di fronte a sé con espressione risoluta.
  - Non vedo perché dovrei mostrarglielo. Ho già detto che vado di fretta, rischio di perdere le tracce dell’Hollow. -
  - Non c’è proprio nessun Hollow, nei paraggi. - replicò in tono secco l’altro - E qui non ci sono due Shinigami. -
  In un istante la mano del dio della morte fu sull’elsa della Zanpakuto, ma sfoderò l’arma con studiata lentezza.
  - Ora, mia cara ragazzina impostora, ti consiglio di seguirmi alla Soul Society senza opporre resistenza. Io, Zamuku Atsushi della Decima Compagnia, ti dichiaro in arresto con il sospetto di attività psicopompa non... -
  Okumi non ci pensò su nemmeno un secondo. Si voltò e prese a correre. Non aveva fatto cinque metri che la strada le fu nuovamente sbarrata da Zamuku Atsushi.
  - Gradirei che tu mi lasciassi finire. Stavo dicendo, ti dichiaro in arresto per attività psicopompa non autorizzata e, attualmente, anche per resistenza ad un legittimo dio della morte. Intendi persistere? -
  Per tutta risposta, anche Okumi si affrettò a sguainare la spada.
  Non serviva fare analisi della situazione, per capire quante fossero le sue possibilità di uscire vittoriosa da uno scontro frontale. L’unico col quale si fosse mai battuta era Jukunemu, e le aveva sempre prese a non finire. Pur non conoscendo il livello di forza di quel Zamuku, era impossibile che lei, dopo tre sole settimane di allenamento, potesse batterlo.
  E comunque, batterlo per fare poi cosa? Ammazzarlo? No, lei non avrebbe potuto. Ma c’erano tutti i presupposti per pensare che l’avversario non avrebbe avuto scrupoli.
  Okumi lanciò un urlo, avventandosi sul nemico. Menò un colpo dall’alto, direttamente sulla spada dello Shinigami. Quest’ultimo resitette all’urto senza problemi.
  - Patetic... -
  Il commento si spezzò con un gemito di sorpresa.
  La ragazza gli aveva appena sferrato una ginocchiata nelle parti basse, per poi spingere con tutto il proprio peso sulla Zanpakuto. Zamuku perse l’equilibrio e scivolò lungo il tetto, precipitando nel giardino dell’abitazione sottostante.
  Okumi non fu così ingenua da credere di averlo messo fuori gioco. Riprese subito a fuggire, passando da un tetto all’altro, cercando di seguire un percorso casuale. Senza volerlo, si diresse nella parte più periferica del quartiere. Saltò giù dalla cima di una delle case, atterrando in una stradina laterale, schermata da entrambe le parti dagli edifici. Si appoggiò al muro, sforzandosi di riprendere fiato.
  Un piano, doveva formulare un piano. Ma che razza di piano poteva salvarla? Non aveva nulla con sé ed il comunicatore... Gemette per la propria stupidità. Il comunicatore era rimasto nei vestiti del gigai.
  Ma quel pensiero la illuminò. Ovvio, aveva già chiamato Jukunemu. Il suo unico alleato doveva ormai aver sconfitto l’Hollow, ed essere sulla via per raggiungerla. A conti fatti, tutto ciò che lei doveva fare era resistere e prendere tempo. L’altro non avrebbe avuto difficoltà a seguire il suo reiatsu e trovarla.
  Prendere tempo. Bene.
  La ragazza congiunse le mani come in preghiera.
  - Passo di tigre che avanza nel vuoto rosso, la corda si stringe intorno al tronco del pino, orma del vento, sussurro del dente di leone, la mano del bambino rinfodera il coltello... -
  - Cosa blateri, ragazzina? -
  Okumi si voltò di scatto, trovandosi di nuovo di fronte al suo inseguitore.
  Con una sola differenza rispetto a prima. Era ciò che voleva.
  Mirò con l’indice dritto verso la testa di Zamuku.
  - ...che specchia la torre in rovina! Incantesimo di Distruzione numero uno: Kaen Fukkatsu! - [Resurrezione della Fiamma]
  Un lampo rossastro fu sparato dal suo dito.
  Il corpo dello Shinigami non si mosse. Il braccio che reggeva la spada, però, scattò ad intercettare il pericolo. Il raggio si infranse sulla lama, generando un’esplosione di schegge d’energia.
  Okumi ebbe un tuffo al cuore. Quello era tutto ciò che le era rimasto da giocare. L’unica mossa di kido che conoscesse.
  Zamuku si portò una mano alla mascella, sfiorando un minuscolo taglio, forse fatto da un frammento dell’incantesimo. Il pollice disegnò una scia di sangue fino al suo mento.
  L’espressione di sorpresa che gli si formò sul viso stonava con l’indifferente contegno tenuto fino ad allora.
  - Non pensavo... Che stupido, certo, stavi recitando il kotodama. - spostò lo sguardo su Okumi, ora con aria infastidita. - Anche se il tuo incantesimo ha fallito, sei riuscita ad irritarmi, ragazzina. -
  La diretta interessata strinse ancor più la propria Zanpakuto, preparandosi ad un nuovo assalto. Il quale non arrivò.
  Zamuku si raddrizzò, assumendo una posa impostata. Sollevò in aria la punta della spada, tracciando un semicerchio immaginario.
  - Tessi... -
  Non ditemi che sta per...
  - ...Tsuchigumo. - [Demone Ragno]
  La lama della katana si fece più lunga, di un colore bianco perlaceo, mentre la guardia prese la foggia di una ragnatela.
  Lo Shinigami puntò la Zanpakuto sprigionata come a voler trapassare a distanza il collo di Okumi.
  Sul viso di Zamuku si formò uno strano sorrisetto, simile ad una smorfia.
  - Intendi persistere? -
 






































 
 
  Angolo Autrice
 
  L'ultimo aggiornamento risale a un bel po’ di tempo fa. Sento di dover giustificare questo ritardo. Il fatto è che la prima stesura del capitolo che avete appena letto l’ho scritta in tre giorni, e in tutto il tempo successivo ho attuato la revisione più pesante ed invasiva della mia vita.
  Beh, adesso, visto che sto sempre a lamentarmi di quanto faccia fatica a finire ogni singolo capitolo della storia, penserete che non mi piaccia scrivere e chi me lo faccia fare. Beh, non è così. Semplicemente, non mi sono mai impegnata così tanto in un mio progetto. Prima d’ora, tutte le mie storie lunghe erano sempre nate per restare sul mio computer e le avrei lette solo io, quindi me ne fregava di meno della qualità finale. Dunque immagino che queste mie difficoltà in fondo siano un bene, no?
  Quanto al testo in sé, incredibilmente non nulla da dire. Spero solo che le scene che ho descritto abbiano avuto l’impatto che speravo di dare loro. E insooooommaaaaa... non ho modo di saperlo se non con una recensione ;)
  Salutoni e alla prossima - che si spera sarà presto, vista la fine della scuola -,
 
  Anukis



 

ANGOLO DEL TITEKUBISMO


          Iwamoto Satoru (岩本  )
Il nome Satoru significa “percettivo”, o “sensibile”, che ho trovato perfetto per il suo carattere fragile e remissivo. Ci tengo a specificare subito che non ho scelto questo nome per una sorta di cattivo gusto, come alcuni potrebbero pensare, ho semplicemente ritenuto che gli calzasse, anche come suono.
Iwamoto è invece solo un tipico cognome giapponese, senza doppie letture, composto dai kanji 岩 “iwa”, che vuol dire “pietra” e 本 “moto”, “vicino”.
Data di nascita: 12 Marzo.
Segno zodiacale: Pesci.
Theme music: "My Demons" degli Starset.



          Zamuku Atsushi (サムく  敦)
Il significato di Atsushi è “laborioso”, un aggettivo comunemente associato ai ragni.
Il cognome, poi, ricorda il verbo 欺く “azamuku”, ovvero “ingannare”, “fuorviare”, altra caratteristica calzante agli aracnidi. Tuttavia, io l’ho scritto con i caratteri サム “samu/zamu”, che significano “totale”, “somma”, “ammontare a...”; anche questo ha un suo senso, un po’ contorto, che sarà chiaro più avanti.
(Che dire... nomen omen. C’è da sottolineare però che questo personaggio si è sviluppato a partire dalla propria theme music, quindi ci è rimasto fortemente connesso. Mi sono divertita molto a crearne il carattere a partire dalla musica, quindi credo sarà un metodo che terrò in considerazione più avanti.
Piccolo chiarimento sulla sua Zanpakuto, invece: Tsuchigumo non vuole propriamente dire “Demone Ragno”, ma indica i membri di una sorta di tribù di spiriti, con le sembianze di questi animali, presente nella mitologia giapponese. Per maggiori info, Wikipedia è lì per assistervi.)
Data di nascita: 21 Gennaio.
Segno zodiacale: Acquario.
Theme music: "Anarcho Arachnid" di Plantrae.





 

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Capitolo 6
*** the world without Logos ***











 
the world without Logos


















 
  - Intendi persistere? -
  - M-Ma chiudi quella bocca! - sbottò Okumi.
  La verità era che non sapeva cosa fare. Il peggiore degli scenari possibili si stava realizzando sotto i suoi occhi.
  - Già, come immaginavo. -
  Zamuku scattò in avanti. Okumi non riuscì a vedere il suo primo passo, e nemmeno il secondo.
  Bastò un istante. Lo Shinigami incombeva sulla ragazza, la spada sollevata. Fu allora che il corpo di lui parve immobilizzarsi. L’attacco calò con lentezza innaturale.
  L’istinto ebbe il sopravvento su Okumi. Menò un fendente che deviò il colpo dell’avversario. Quest’ultimo scivolò di lato, assorbendo l’impatto.
  - Beh? - fece Zamuku, sorpreso - Cos’era quella velocità? Che trucchi nascondi, ragazzina? -
  Trucchi?
  - Ma se eri tu... ad essere lento! -
  - Niente giochetti con me, ragazzina! -
  Una scarica percorse il braccio destro di Okumi. L’arto si mosse da solo e, prima ancora che la ragazza se ne rendesse conto, la sua Zanpakuto stava bloccando quella di Zamuku.
  Ma che diamine...?
  Non aveva nemmeno visto il nemico muoversi. Come aveva potuto parare un assalto in quelle condizioni?
  Il braccio le faceva male, ma non si trattava della forza d’urto. Un doloroso pizzicore si generava nel palmo della mano stretta sull’elsa della spada, per poi spandersi ed infiammare tutti i muscoli.
  Zamuku ritrasse di scatto l’arma e si lanciò in una serie di affondi fulminei. Gli occhi di Okumi li registravano in ritardo. Eppure il suo braccio schizzava ad intercettare ogni attacco una frazione di secondo prima che potesse raggiungerla.
  Come dotato di volontà propria, l’arto maneggiò la spada per parare l’ennesimo colpo, stavolta al fianco. Non fu una collisione più violenta delle altre. Ci fu un rumore secco. La ragazza sentì la pressione sparire di colpo, mentre il peso nella sua mano si dimezzava.
  Quella che Okumi sollevò di fronte a sé fu una lama spezzata in due. Giusto il tempo di accorgersene, per poi vedere l’altra metà cadere a terra.
  - E qui cala il sipario... mia cara ragazzina impostora. -
  Okumi recepì a malapena quella frase.
  Il suo braccio sembrava sul punto di esplodere, con ogni muscolo teso all’inverosimile. Le sue dita non volevano saperne di aprirsi per lasciare andare l’elsa della spada. Infatti questa era diventata incandescente e pulsava, stretta nella mano della ragazza.
  - Sto parlando a te. Vuoi almeno degnarti di prestarmi attenzione? - la richiamò Zamuku, spazientito.
  - Zamukuuuu! -
  Una figura nera piombò dall’alto, frapponendosi tra i due combattenti. Un Jukunemu dall’espressione più scura del solito si sollevò in piedi, la Zanpakuto già sguainata.
  - Jukunemu! - si sorprese l’altro Shinigami - Che ci fai qui? Questa non è la tua zona. Potrei farti rapporto! -
  - Ah, sei sempre una rottura di palle, tu! Nessuno ti può pestare i piedi senza che tu lo vada a dire a mammina la Soul Society? -
  Un angolo della bocca di Zamuku si alzò a formare un mezzo ghigno. Sollevò la spada, agitandola in aria con fare noncurante.
  - Sarei lieto di continuare la... conversazione, ma a differenza di te ho un compito al quale assolvere. Questa criminale deve essere assicurata all’Unità Detentiva. Col tuo permesso... -
  - Già, beh, riguardo a quello... - il nuovo arrivato fece saettare gli occhi in direzione di Okumi - Scusa, ma oggi non porterai nessuno dalla mammina. -
  Lo sguardo del suo interlocutore si assottigliò. - Che cosa vorresti dire, Jukunemu? -
  - Non puoi far finta di non aver visto niente, vero? -
  Zamuku sgranò leggermente gli occhi, ma fu solo un attimo, prima di assumere un’espressione di assoluto disprezzo.
  - Ti prego, non dirmi che hai qualcosa a che fare con questa ragazzina. -
  - In sintesi, è così. -
  - Mi pareva che tu avessi già calpestato a dovere la tua dignità, ma questo è troppo anche per te, Jukunemu. -
  - Uuuh, vuoi metterla sul piano della dignità? Bene, perché anch’io posso rinfacciarti un paio di cosette. Ma non lamentarti se poi piangi, eh! -
  - Non cercare di sviare il discorso! La complicità criminale è tutta un’altra faccenda, non ha niente a che fare col personale! -
  Jukunemu sbuffò, grattandosi la testa. - Uff! Il problema è che ci credi davvero, alle stronzate che spari. Con te non si cava proprio un ragno dal buco! - di punto in bianco scoppiò a ridere - Ah! Un ragno dal buco! Cavolo, questa è buona! -
  - N-Non prendermi per il culo! -
  Zamuku assestò un fendente che avrebbe tagliato a metà l’altro, se questo non avesse parato senza troppi problemi.
  - Ehi, ma avevi pure evocato lo shikai? - Jukunemu indicò con il pollice dietro di sé - Dì un po’, siamo sicuri che stessi combattendo contro questa qui? -
  - Scusa, chi sarebbe “questa qui”? -
  Fino ad allora Okumi non aveva prestato grande attenzione alla discussione, troppo concentrata sul problema del suo braccio. Ora però che era finalmente riuscita a forzarsi ad aprire le dita e lasciare andare l’elsa della spada, il dolore iniziava a scemare, permettendole di concentrarsi del tutto su ciò che stava accadendo.
  - Che c’entri tu? Mica stavo parlando a te. -
  - Cattiva idea ignorarmi, Jukunemu! -
  Zamuku arretrò con un breve balzo. Fece roteare la spada, calando una serie di colpi da varie angolazioni. L’avversario adottò la stessa tecnica, facendo cozzare le loro armi più volte. Le Zanpakuto si incrociarono e le lame scivolarono l’una contro l’altra, fino a venire bloccate dalle rispettive guardie. I visi dei due contendenti erano a pochissima distanza.
  - Sei un dannato testone, tu... - mugugnò Jukunemu, continuando a spingere sulla spada.
  - A quanto pare, è l’unica cosa che abbiamo in comune. -
  - ...però credo che dovresti ascoltarmi. -
  - Solo per farmi quattro risate sulle tue patetiche scuse. -
  - Ridi per questo, allora: tu mi devi ancora un favore, se non sbaglio. -
  - Mi spiace, non ricordo nulla del genere. -
  Le spade cominciavano a tremare sotto la forza dei loro proprietari.
  - Rinfrescami un po’ la memoria, di che compagnia sei? - sogghignò Jukunemu.
  Zamuku digrignò i denti. Se con la sua altezza sembrava sempre sovrastare il rivale, ora invece non fu più solo un’impressione.
  - Io non ti devo alcun favore! -
  - Ho sentito bene? È la Decima, per caso? -
  Entrambi ruotarono il polso nel medesimo istante, disincastrando le guardie. Le due spade si ritrassero all’unisono, come se d’un tratto fossero diventate magneti della stessa polarità.
  Zamuku non abbandonò la guardia, al contrario di Jukunemu, che assunse la sua tipica posa con l’arma poggiata sulla spalla.
  Quest’ultimo riprese la parola, ora in tono più serio: - Fammi questo favore con le buone, Zamuku. Non costringermi a resuscitarti il buonsenso a forza di calci nel sedere. -
  Zamuku strinse la mascella, ma non replicò. Anzi, inaspettatamente diede la schiena agli altri due Shinigami. Rimase fermo ed in silenzio a lungo, forse intento a soppesare quanto gli era stato detto.
  - Io non ho paura di te. - esordì ad un certo punto - E di buonsenso ne ho già abbastanza da capire che non vale la pena massacrarci a vicenda. -
  Infine, si voltò. La malcelata insofferenza era evidente sotto il suo tentativo di mostrare la solita compostezza.
  - Alla luce di ciò, avrai il tuo favore, Jukunemu. Nessuno verrà a sapere niente di questa storia. Però non tirare la corda, sono stato fin troppo buono con te. -
  - Questo dovrei proprio dirlo io. -
  - Questione di punti di vista... - fu l’enigmatica replica.
  Zamuku scoccò un’ultima occhiata Okumi, fissandola come a volerle passare un muto ammonimento. Lei ricambiò lo sguardo con tutta la dignità che poté richiamare, anche alla luce della concessione fatta dallo Shinigami. Questi continuò a guardarla anche mentre scioglieva lo shikai e rinfoderava la spada.
  La sagoma di Zamuku si sfocò, sparendo mentre un sibilo si diffondeva nell’aria.
  Jukunemu abbassò finalmente la Zanpakuto, emettendo un verso di esasperazione.
  - Accidenti, discutere con quello mi fa sempre venire un mal di testa! -
  - Sei sicuro che farà come ha detto? - domandò Okumi, scettica.
  - Non ti preoccupare. È uno che ti fa girare subito le scatole, ma non si rimangia la parola. - informò, continuando a guardare nella direzione dov’era sparito Zamuku.
  - Beh, lo spero. -
  - E a te come va? Non sei ferita, vero? -
  - No, per fortuna. -
  - Ben... Merda! Oh, merda! Che è successo alla tua Zanpakuto? -
  Jukunemu si era accorto solo in quel momento, girandosi, della spada spezzata giacente ai piedi della ragazza. Sul suo volto comparve un’espressione inorridita che sembrò quasi esagerata ad Okumi.
  - Si è rotta durante il combattimento. - rispose lei, come fosse una cosa ovvia.
  - L’avevo capito, ma... - Jukunemu si passò una mano sul volto, tentando di calmarsi - Ok, niente panico. Torniamo al quartier generale e vediamo cosa si può fare. -
 
 
 
  Daisuke si accostò al divano, dove era seduta Okumi. La Zanpakuto rotta era poggiata sul tavolino di fronte a lei, sguainata, le due parti accostate.
  La ragazza la fissava, immersa nei suoi pensieri. Appariva molto giù di morale, da quando avevano raggiunto il magazzino.
  Questo modo di fare aveva disorientato Daisuke, abituato a vederla sempre attiva e vigile verso ogni cosa. Lui non era bravo a consolare le persone, se ne rendeva conto, anche quando riusciva a capire il motivo per il quale si sentissero abbattute.
  Non aveva mai avuto il sentore che la sua allieva avesse legato con la propria spada e, a quello che gli aveva detto lei, si erano incontrate solo una volta. Ma, dopo tutto quello che aveva cercato di inculcarle a proposito dell’importanza del legame fra Shinigami e Zanpakuto, era comprensibile che fosse turbata.
  A confermare le sue supposizioni, e a rompere il silenzio, intervenne la voce di Okumi: - Jukunemu... -
  - Mh? -
  -Tu hai detto  che le spade degli Shinigami sono vive. Quindi, ora che è spezzata, è come se fosse... -
  La frase fu volutamente lasciata in sospeso.
  - Ma figurati! - esclamò lui - Ce ne vuole, per fare fuori una Zanpakuto! Sono fatte d’acciaio, mica come noi povere anime! -
  Dallo sguardo stranito che le lanciò la ragazza, Daisuke capì di essersi infervorato un po’ troppo.
  - Beh, insomma, non è un danno grave. In realtà, in questi casi è sempre meglio una riforgiatura, però credo che andrà bene pure se te la ripari da te. -
  - E come? -
  - Ti basta convogliare il tuo reiatsu nella lama e lasciare che si fonda con quello della Zanpakuto. -
  - Non penso di poterlo fare. Non so ancora controllare il mio potere fino a questo punto. -
  - Ed è per questo che ti ho preso una cosetta. -
  Le porse un foglietto di carta sul quale erano scritte delle formule del kido.
  - Un fuda? - domandò lei, confusa.
  - No, un catalizzatore di energia spirituale. Succhia via il tuo reiatsu in modo che tu lo possa direzionare più facilmente. -
  - Oh, grazie. - mormorò, prendendolo in mano per analizzarlo.
  Daisuke si gettò sull’altro divano, abbandonando le braccia sopra lo schienale.
  - Quindi, com’è ‘sta storia del tuo amico braccato da un Hollow? -
  - Non è mio amico. È solo un compagno di classe. - Okumi strinse il foglietto, senza preoccuparsi di spiegazzarlo - Aveva una specie di Hollow-insetto addosso. Non ho mai visto niente del genere. -
  - Hollow-insetto, dici? Uhm, è strano... Io invece li ho visti, dei mostriciattoli simili. Di solito sono delle emanazioni di Hollow più grandi, ma non riesco ad immaginare come mai uno fosse appiccicato al tuo compagno. -
  - Poi a un certo punto, mentre lo inseguivo il suo reiatsu è scomparso nel nulla. -
  - Si è allontanato? -
  - No, semplicemente, di punto in bianco non ho più potuto avvertirlo. -
  - Ok, mi sa che ti sei un po’ sbagliata, qui. -
  - No che non mi sbaglio! E poi come lo spieghi che, anche avendolo in classe tutto il giorno, io non mi fossi mai accorta di niente? Invece me ne sono resa conto per puro caso. -
  Daisuke alzò le mani in segno di tregua. - Oh, e va bene, va bene. - concesse - Aggiungiamo alla lista delle stranezze pure un Hollow che sa nascondere il proprio reiatsu. -
  Okumi esitò un po’ prima di chiedere: - Perciò che cosa facciamo? -
  - E che ci vuoi fare? Se nasconde la sua presenza nemmeno il comunicatore non ci può dare una mano, e così noi non possiamo fare nulla. Ma ecco allora quello che suggerisco di fare io. - Daisuke drizzò la schiena ed incrociò le braccia - Tu vai a scuola anche domani, no? Se il tizio non c’è, allora forse è stato mangiato, e ci è andata male. Se invece viene, è la nostra occasione per cercare di scoprire qualcosa. -
  Okumi aggrottò la fronte. - Che razza di piano è? -
  - Uno prudente. -
  - E molto cinico, direi. -
  - Hai idee migliori? -
  La ragazza abbassò un poco la testa. - No. -
  Per alcuni minuti regnò un silenzio pensoso.
  Poi Daisuke si ricordò di una cosa che gli premeva sapere in modo particolare.
  - Senti, ma prima, quando ti stavo cercando e poi ho trovato te e Zamuku, ho  sentito un reiatsu strano. Non eri mica tu, vero? -
  - Credo che fosse lei. - Okumi indicò la spada rotta.
  Quella rivelazione lo sorprese, ma in un certo senso ne fu contento. La forza spirituale che aveva percepito non era niente male e, se davvero la ragazza aveva una compagna di battaglia simile, l’addestramento avrebbe fatto un salto avanti di anni luce.
  - Vuoi dire che stavi usando lo shikai? La Zanpakuto ti ha detto il suo nome? -
  - No, ha solo... preso il controllo del mio braccio, credo. -
  - Ha... preso il controllo del tuo braccio? - ripeté Daisuke, senza capire.
  - Sì, sentivo il potere della spada fluire in me, ed il braccio ha cominciato a muoversi da solo. -
  Per sottolineare il concetto, Okumi si afferrò l’arto come se temesse di vederlo staccarsi da un momento all’altro.
  - Ooook... Ma se lo spirito ti ha salvato vuol dire almeno che le relazioni sono migliorate, no? -
  - Non lo so. -
  Grandioso.
  - Faceva male. - continuò Okumi - Ho anche pensato che mi stesse andando a fuoco il braccio. -
  Daisuke sospirò. - Mi pare normale. Se una Zanpakuto cerca di usare il suo potere su di te senza che tu sappia il suo nome, è una forzatura. Altro che braccio, tutto il tuo konpaku rischiava l’autocombustione. -
  La ragazza sbiancò un poco e gettò alla Zanpakuto un’occhiata stavolta non molto indulgente.
  Tuttavia la sua replica fu un laconico: - Ah. Capisco. -
  Si prospettava un altro silenzio come il precedente, e lo Shinigami decise di non volerlo tollerare di nuovo. Si alzò dal divano e si diresse verso la porta sul fondo del deposito.
  - Vabbè, tu hai bisogno di concentrarti, quindi mi levo dai piedi. -
  Non giunse risposta e Daisuke sperò che fosse perché la ragazza si era subito messa all’opera.
  Uscito fuori dal magazzino, prese una generosa boccata d’aria ed espirò lentamente. Era scesa la sera e una brezza fresca passò fra i capelli corti dello Shinigami.
  Un basso ronzio, che sapeva di poter sentire solo lui, giunse alle sue orecchie.
  Kurosemi...
  Era diverso tempo che non parlavano. Erano sempre in contatto, certo, ma ora sentì anche lui il bisogno di averla davanti. Parlarle di quello che stava succedendo con le parole, non attraverso quelle violente emozioni che lo contraddistinguevano e che spesso turbavano l’animo sensibile della sua Zanpakuto.
  Solo un attimo, piccola mia.
  - Ehi, Zamuku, vieni fuori e dimmi che c’è! Avrei già una specie di appuntamento, io! -
  Tempo un solo secondo, e l’aria accanto a lui si squarciò, rivelando una nicchia colma di ribollente energia grigiastra. Da lì sbucò fuori proprio chi Daisuke si era aspettato.
  - La tua percezione è molto peggiorata, se ti sei accorto di me solo adesso. - commentò Zamuku, richiudendo la fessura del suo nascondiglio.
  - Sappi che fra dieci secondi non ti ascolterò più. -
  - A dire il vero, sei tu che dovresti spiegarmi qualcosa. - accennò dietro di sé, verso il magazzino - Qual è il tuo rapporto con quella ragazzina? Perché la aiuti? -
  - Fatti i cazzi tuoi. Tu devi solo tenere la bocca chiusa. -
  - Dimentichi che il mio è un favore, che ti faccio calpestando tra l’altro la mia etica professionale. Dunque, per cortesia, ti dispiacerebbe spiegarmi per cosa mi sarei messo in gioco? -
  Daisuke roteò gli occhi. Pareva proprio che la cosa non dovesse risolversi in breve, come aveva pregato succedesse.
  Zamuku ascoltò ogni cosa senza proferire parola, restando zitto anche al termine del racconto.
  - Beh? Soddisfatto? - fece un irritato Daisuke.
  - Tutto ciò non ha senso. Che razza di creatura è quella ragazzina? Come ha potuto diventare una Shinigami? E... come ha fatto a tenermi testa mentre ero in shikai, con una forza così bassa? -
  - Non ho capito l’ordine delle tue priorità, ma non importa. Non so e non voglio rispondere a nessuna domanda. -
  - Fai male, Jukunemu. - lo ammonì l’altro - Ti sei gettato in un affare pericoloso, e te la dovrai sbrigare da solo. -
  - E questo che vorrebbe dire? -
  - Che io non ho intenzione di farmi coinvolgere ulteriormente. -
  - E chi ti ha chiesto niente! -
  Zamuku si picchiettò con l’indice sulle labbra, osservando con attenzione il collega Shinigami.
  - Per caso... c’è qualcosa fra te e lei? -
  La mano di Daisuke si strinse istintivamente intorno al fodero di Kurosemi.
  Quella domanda non aveva senso e anche il dio della morte accanto a lui lo sapeva. Stava facendo lo stronzo per il gusto di farlo, ecco tutto.
  - Sai benissimo che non è così. - rispose in ogni caso, a denti stretti.
  L’altro si strinse nelle spalle. - Chiedevo... Sia mai che tu fossi rinsavito. -
  - Grazie tante, eh! Si può sapere perché non torni ai tuoi preziosi doveri? -
  - Il giorno che sarai tu a dovermeli ricordare, sarò messo davvero male. -
  Daisuke avvertì lo spostamento d’aria di uno shunpo. Attese ancora un po’, per assicurarsi che l’ospite indesiderato intendesse davvero lasciarlo in pace.
  Una volta che ne fu certo, sfoderò la spada, osservandola riflettere una sbiadita falce di luna.
  Sia mai che tu fossi rinsavito.
  Come se me ne fregasse qualcosa di ciò che pensi, Zamuku.

  Daisuke conficcò Kurosemi nel terreno brullo. In altre occasioni l’avrebbe materializzata, ma ora si sentì più al sicuro così. Si sedette a gambe incrociate, con la schiena poggiata sulla lama, sapendo che in ogni caso non ne sarebbe stato ferito. Chiuse gli occhi.

 






































  Angolo Autrice
 
  Sono sconvolta. Non ho mai scritto un capitolo così parlato. Non ho mai scritto dei dialoghi così lunghi NELLA MIA VITA! Fino ad ora credevo di essere abbastanza negata nel far conversare i miei personaggi, invece ho scritto tutto molto di getto e ne è uscita una cosa tutto sommato decente.
  Sì, so che è un capitolo anomalo. Negli altri succedevano millemila cose, qui non fanno altro che parlare e spiegare. Credo lo si possa definire a pieno merito “di passaggio”, dato che ho disseminato anche qualche piccolo spunto non-così-nascosto, che poi servirà più avanti. Infatti questa doveva essere solo la prima parte di un mega-capitolone che, ancora una volta nel work in progress, mi sono resa conto essere troppo lungo e troppo poco coeso. Insomma, era già di sua natura spezzato in due, e il risultato non sarebbe venuto dei migliori. Spero solo che questo pezzo da sé non sia risultato noioso.
  La buona notizia è che d’ora in poi i tempi di attesa si accorceranno notevolmente. Sia per quel secondo avvento noto col nome di “vacanze estive”, sia per il fatto che, entrando nel vivo della storia, io stessa mi sento più stimolata a scrivere :D
  Data la mancanza - sigh! - dell’Angolo del Titekubismo, che comincerà a farsi sentire sempre più spesso, vi lascio stavolta con una piccola anticipazione del prossimo capitolo.
  Salutoni,
 
  Anukis
 
  PS Sì, il titolo del capitolo è spudoratamente copiato da uno di Bleach:Redux. Sorry, RIP, mi piaceva troppo ‘sto titolo! :*
 
 
NEXT ON “SHINJITSU NO KAGAMI”: Il primo, vero incontro di Okumi con lo spirito della sua Zanpakuto!




 
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Capitolo 7
*** Rotten JUDGEment ***











 
Rotten JUDGEment


















 
  Okumi era stata lasciata sola. Sola, in compagnia della sua Zanpakuto.
  Passò lo sguardo dalla lama spezzata al foglietto catalizzatore di energia spirituale.
  Non aveva più parlato con la spada, dal tentativo fallito di tre settimane prima. Né lo spirito si era mai fatto vivo in qualche modo.
  Lei si era pressoché rassegnata in merito. Un po’ per ripicca, un po’ per il disagio che provava al pensiero di dover di nuovo parlare con quella donna.
  Vedere l’incarnazione della sua Zanpakuto coi propri occhi le aveva aperto un mondo. Un mondo nel quale lei non aveva idea di come muoversi. Cosa dire? Come comportarsi? Come trattare con quell’essere sconosciuto che risiedeva nell’arma? Specie dopo aver realizzato che lo spirito aveva invece letto un po’ troppo facilmente i suoi pensieri.
  A tale proposito, la ragazza credeva che quella tizia non avesse tutto questo diritto di fare la permalosa. Non era forse lei a meritare un po’ di comprensione? Una spada poteva avere abbastanza coscienza di sé per essere indispettita, ma non aveva sufficiente tatto per capire come trattare con chi era parte di quel mondo da nemmeno un mese? Confusione, reticenza... qualsiasi cosa la Zanpakuto avesse visto in lei, non era di sicuro così mostruoso o inspiegabile.
  Quando poi aveva parlato a Jukunemu, chiedendo spiegazioni, il prezioso contributo di lui era stato: “Ma figurati, certo che fa un po’ la stronza, è come te, no?”. Al che era seguita un’ennesima spiegazione, stavolta sulla vera natura delle spade degli Shinigami. E si era scoperchiato un altro vaso di Pandora.
  Il suo potere. Quella donna era lo specchio dei poteri di Okumi. Un essere nato dalla natura più intima della sua mente, la sua controparte perfetta.
  La ragazza avrebbe voluto scoppiare a ridere appena sentito quel mucchio di idiozie. Ma neanche per idea, era stata sul punto di esclamare. Il modo di vestire, la postura, il tono di quell’unica parola che le aveva rivolto lo spirito. Era così palese da non aver nemmeno avuto bisogno di una vera e propria conversazione per capirlo.
  Perciò, alla fine, l’unica risoluzione alla quale era giunta Okumi era di lasciar cuocere la spada nel suo brodo. Insomma, solo finché lei non avesse finalmente stabilito una linea di condotta. O l’altra fosse tornata a presentarsi, ridotta a più miti consigli. Se quella donna non le somigliava minimamente - e avrebbe potuto giurare su questo - allora il suddetto momento poteva non essere nemmeno così lontano.
  Quanto successo poche ore prima, però, cambiava tutti i piani di Okumi. Lei non era un’ingrata, nemmeno per sogno. E, rischio di autocombustione a parte, un grazie allo spirito sembrava proprio dovuto.
  Una volta di fronte alla Zanpakuto, la ragazza avrebbe deciso se rimarcare di più la propria gratitudine o il pericolo al quale era stata esposta.
  In condizioni normali, Okumi non avrebbe mai fatto il primo passo di una possibile riconciliazione. Quindi, in un certo senso, la rottura della spada le era venuta in aiuto. Le forniva un’eccellente alibi per incontrare lo spirito, mantenendo una sorta di posizione di superiorità.
  E allora facciamolo.
  Si appuntò il foglio nella cintura ed assunse una postura di meditazione.
  Stavolta non dovette fare alcuna fatica a concentrarsi. Sentì tutte le forze abbandonarle gli arti, per concentrarsi in un punto all’altezza dello stomaco, dov’era il catalizzatore. Da lì, si creò un legame con il debole reiatsu emanato dalla Zanpakuto. Dapprima non era che un sottile filo, ma presto si intensificò, attingendo alla sorgente di forza spirituale di Okumi. Anche la coscienza della ragazza fu pian piano trascinata via con essa.
 
 
 
  La seconda volta in cui Okumi si risvegliò nel proprio mondo interiore, fu sul tetto della scuola. Nessun malessere, nessuna vertigine. Si trovò persino in piedi.
  Subito dopo aver controllato che il corpo rispondesse bene, la ragazza si accostò alla rete metallica che faceva da parapetto, per osservare il panorama.
  Quello che vide era completamente diverso da ciò che ricordava. Il cielo era azzurro e limpido, attraversato da poche, pacifiche nuvole. La città era ancora differente dalla Tokyo che conosceva, ma non aveva più l’aspetto incombente e opprimente col quale l’aveva conosciuta prima. Gli edifici erano regolari e squadrati, quasi tutti più bassi della scuola e dipinti a colori chiari. Le strade erano larghi viali ornati da rigogliosi alberi. Sembrava un posto piacevole, adesso. Ma tuttora deserto.
  - Eh, già, è sempre così da queste parti. -
  Okumi alzò lo sguardo, solo per incontrare, sospese diversi metri sopra di lei, un paio di suole di scarpe. La voce però era inconfondibile.
  - Etsuko! -
  Da sopra le calzature sbucò un viso sorridente ben conosciuto.
  - Sono così contenta di rivederti, Oh-chan! -
  - Che cosa ci fai lì sopra? - non trovò di meglio da chiedere Okumi.
  - Non mi andava di prendere le scale. Eh eh. - ridacchiò Etsuko - Puoi venire anche tu, se vuoi. -
  Raggiungerla? Okumi considerò che, in fondo, si trovavano nella propria testa. Se non poteva fare quello che voleva là...
  Si sentì sollevare dal pavimento, ed in breve fu accanto alla sua migliore amica. Annaspò un po’ per mantenere l’equilibrio, quando la piattaforma invisibile sembrò sul punto di sparirle da sotto i piedi.
  - Non pensarci. Se non ci pensi è più facile... almeno credo. Io non me lo ricordo come ho imparato. - dichiarò Etsuko - Oh, non importa. Mi segua, signorina, sarò lieta di farle da guida nel suo mondo interiore! -
  Detto ciò, iniziò a camminare per aria con la postura di un militare, agitando le braccia avanti e indietro.
  È davvero Etsuko. Ma come è possibile?
  - Ehi, aspetta! -
  Okumi la seguì con difficoltà, però fortunatamente ad ogni passo le pareva che la piattaforma sulla quale camminava diventasse più solida.
  - Tsu-chan... perché sei qui? -
  - Uh? Nel senso che non vorresti che ci fossi? -
  - Cosa? No, ovvio, mi chiedevo solo come facessi ad essere nel mio mondo interiore. -
  - Guarda che stavo scherzando, e tu ci sei cascata! - rise l’altra.
  Okumi le lanciò un’occhiata perplessa.
  Sì, però... non hai risposto alla mia domanda.
  Non ebbe modo di sollevare di nuovo l’argomento, perché Etsuko cominciò a salire, come se la passerella invisibile sulla quale camminava fosse d’un tratto diventata una scala. Da lassù, la incitò a raggiungerla, continuando a salire.
  Con mille pensieri che le si agitavano nella mente, Okumi non badò quasi alla rampa invisibile che percorse, sulla scia della sua migliore amica.
  - Ecco qua, Oh-chan. -
  Etsuko indicò il suolo sotto di loro. L’altra abbassò lo sguardo, solo per rimanere senza fiato. Ora avevano una visuale che poteva essere goduta da un aereo a bassa quota. Era impossibile che fossero già arrivate così in alto...
  Da là si poteva notare che l’area edificata era in realtà molto più piccola di quanto Okumi avesse pensato. Perfettamente tonda, copriva appena la superficie di un quartiere. Tutt’intorno si estendeva una vastissima foresta color verde scuro, delimitata in lontananza da un anello di montagne più alte di qualsiasi cosa la ragazza avesse visto. Eppure, ancora oltre pareva esserci qualcosa che, avvolta da uno schermo di nebbia rossastra, era impossibile da mettere a fuoco.
  - Questo posto è... straordinario. -
  Okumi non trovava altre parole per descriverlo. Alzò una mano e sfiorò il lembo di una nuvola, che le lasciò una piacevole sensazione di fresco sul palmo.
  Etsuko ridacchiò. - Sei molto modesta, eh? -
  - Perciò questo è il mio mondo interiore? -
  - Eeeesatto! Guarda, quella parte lì dove ci sono le case e la scuola è la tua parte cosciente. Al contrario, la foresta rappresenta il tuo subconscio. -
  Okumi annuì un paio di volte, pensierosa. Era incredibile come quella divisione avesse senso.
  - E invece, oltre le montagne? -
  - Beh, io in realtà non ci sono mia stata, quindi non lo so bene. Ma la signora col cappello viene proprio da lì che e ha detto che è un posto strano, come essere sospesi... -
  - La signora col cappello? - la interruppe Okumi - Chi è? Pensavo che non ci fosse nessun altro, qui. -
  Etsuko assunse un’espressione sorpresa e si indicò sopra la testa. - La signora col cappello. Non la conosci? -
  - Perché pensi che io la conosca? -
  - Perché lei mi aveva detto di conoscere te. Vuoi dire che non è vero? -
  - Beh, a parte te, non ho incontrato ness... -
  Okumi si interruppe, rendendosi conto di un piccolo dettaglio.
  No. Di fatto, non era vero che non aveva mai incontrato nessun altro nel mondo interiore. La volta precedente, appena prima di risvegliarsi accanto al proprio corpo senza vita e con un Hollow ringhiante ad incombere su di lei...
  - Questa signora col cappello - esclamò all’improvviso - ha i capelli biondi e un vestito azzurro? -
  - Ah, sì! Meno male. Cominciavo a pensare che non la conoscessi sul serio. - fece Etsuko, sollevata.
  - Ed è anche lei qui? - incalzò Okumi.
  - Di solito sì, ma adesso... non so dove sia. Da un po’ ha preso l’abitudine di sparire. -
  - Che cosa sai su di lei, esattamente? -
  Etsuko si grattò la guancia. Sembrava in difficoltà nel rispondere a quella domanda. - Insomma... non molto, ecco. So che è venuta da dietro le montagne, ma non mi ha voluto dire il suo nome e... qualche giorno fa mi ha detto una cosa strana, che lei era uno spirito di qualcosa. Una cosa che iniziava per z, mi pare... -
  - Zanpakuto. Lo spirito di una Zanpakuto. - concluse Okumi, in tono cupo.
  - Ah, già è vero, Zanpakuto. Maaaa... che cos’è una Zanpakuto, Oh-chan? -
  - A questo punto, non lo so nemmeno io che cosa sia. -
  - Oh. Va bene. - l’altra era più confusa che mai - Però... la signora col cappello ti aiuta davvero, no? Perché quando se ne va lei dice che va ad aiutarti a fare qualcosa. È vero questo, Oh-chan? -
  - Io... direi di sì. -
  Okumi squadrò la sua migliore amica. D’un tratto era stranamente nervosa. Faceva scontrare gli indici fra loro, evitando lo sguardo dell’altra.
  - Ehi... -
  - Sì? -
  - Tu cosa ci fai nel mio mondo interiore? -
  Quella impallidì.
  - N-Non... saprei. Io sono qui e basta. -
  - Ma non sei veramente Etsuko, o mi sbaglio? -
  Okumi non ricordava di avere mai parlato in modo talmente freddo ad Etsuko. Ma se qualcuno, qualcosa la stava ingannando, farlo usando quell’aspetto era stata una pessima mossa.
  Certo, se era sicura di un fatto, era di avere il coltello dalla parte del manico. Nel proprio mondo interiore, era logico che fosse lei a dettare legge. Dunque, non solo riteneva di avere il diritto di sapere, ma l’intero fatto di essere stata raggirata era ancora più sgradevole.
  L’essere con le sembianze della sua migliore amica chinò la testa. - No. -
  - Chi o cosa sei, allora? -
  - Chi o cosa? Scusa, però io... non so proprio che dirti. -
  - Ti ho solo fatto qualche domanda. Mi sembra legittimo, no? Ti trovi qui, nel mio mondo interiore, senza apparente motivo, e per giunta hai cercato di ingannarmi. -
  - No, no, ti giuro che non volevo prenderti in giro! - esclamò l’altra agitando le mani aperte davanti a sé - Però tu non mi hai mai chiesto niente... Io pensavo che non fosse così importante, ecco. -
  - Ah, non così importante?  Questa sì che sembrava la patetica scusa di qualcuno che ha appena cercato di fregarmi! -
  - A-A me è venuto spontaneo f-fare così! - esclamò la falsa Etsuko - È che io mi devo comportare come Etsuko, però se tu avessi saputo che... che non ero lei, mi avresti trattato in questo m-modo e poi io non avrei più saputo cosa fare perché... -
  - Adesso piantala! -
  L’altra aveva preso a farfugliare confusamente frasi che avevano iniziato a sovrapporsi, come se stesse dando sfogo a tutto ciò che le passava per la testa senza porre alcun filtro. Okumi già non sopportava quella maniera di fare con la sua vera amica, figurarsi con chi cercava di imitarla.
  Difatti, l’imbrogliona si zittì. Immobile, con le braccia rigide lungo i fianchi, appariva davvero l’ultima persona con la quale Okumi avrebbe voluto avere una discussione talmente poco amichevole.
  Era proprio una delle situazioni che tanto temeva, una in cui non sapeva come comportarsi.
  Sospirò, chiudendo un momento gli occhi.
  - Tu... - cominciò lentamente - Hai avuto tante di quelle occasioni per dirmi che non eri veramente Etsuko, eppure... -
  - Credo che ora possa bastare. -
  Una voce, dal tono basso ma perentorio, aveva troncato la frase che Okumi si stava sforzando di formulare. Quest’ultima voltò di scatto il capo a destra, sapendo benissimo chi si sarebbe trovata di fronte.
  Ad una decina di metri di distanza, lo spirito della Zanpakuto si fermò, fissando lo sguardo sulla sua compagna Shinigami. L’espressione di quegli occhi scuri non era calda e rassicurante come la ragazza ricordava. Era seria e, forse, un po’ delusa.
  - Oh, signora! - esclamò la falsa Etsuko, di gran lunga più stupita di Okumi.
  Lo spirito spostò la sua attenzione su di lei, addolcendosi immediatamente. - Sono venuta appena ho potuto, appena ho percepito una nuova presenza. -
  - Io credevo...  È tutto ok, adesso? -
  - Sì, grazie, mi sono ristabilita del tutto. Ti ho fatta preoccupare? -
  - Beh, ecco... mi sono un po’ spaventata prima, perché l’ho vista tutta coperta di sangue... -
  - Avevo solo bisogno di ripristinare le forze... ed in merito ho avuto un piccolo aiuto. - ammise la donna.
  Gli sguardi di Okumi e della Zanpakuto si incrociarono ancora una volta.
  Si conoscono piuttosto bene, eh?
  Quello, visto l’attuale stato d’animo della ragazza, non giocava molto a favore di un tranquillo confronto tra lei e lo spirito.
  - Oh! - proruppe la falsa Etsuko - Voi due dovete parlare, immagino. Da sole. Beeeene, quindi io dovrei andare, eh... -
  Lo spirito si adombrò, aggiustando la tesa del cappello come a volersi coprire gli occhi. - Mi scuso. -
  - Come? - si sorprese l’altra.
  - Sarei dovuta arrivare prima. Dopotutto - la donna lanciò un’ennesima occhiata ad Okumi - è me che lei voleva incontrare. -
  Alla ragazza non piacque affatto il sottinteso di quelle parole. Lo spirito la stava rimproverando, nemmeno troppo velatamente, per il suo comportamento. E aveva la netta impressione che quelle scuse da parte della Zanpakuto volessero essere un: “Mi scuso io, perché so che lei non lo farà mai”.
  - Tu va’ pure. - riprese lo spirito, rivolto alla falsa Etsuko - Non credo che ci impiegherò molto, qui. -
  - Ah. Ah, ok... -
  Okumi guardò colei che si era finta la sua migliore amica allontanarsi, saltellando giù da una scala invisibile.
  Per un attimo, si sentì quasi in obbligo di richiamarla, dirle qualcosa. Subito però represse questo istinto, per concentrarsi  sul nuovo confronto, che di certo non si annunciava roseo.
  - Cosa intendevi prima? Quando hai detto che avresti finito presto con me. - esordì, col tono più neutro che le riuscì. Il gelo però trasudava dalle sue parole.
  - Sembra che, nonostante le mie speranze, noi due abbiamo ancora ben poco del quale parlare. -
  Okumi accusò malamente il colpo.
  - Mi stai per caso dicendo che non mi vuoi rivelare il tuo nome? -
  - Mia cara... ho detto questo e anche altro. -
  - Solo per come mi sono comportata con... lei? - accennò sotto di loro.
  - Non entrerò nel merito delle tue azioni, né delle sue, anche se non ti nascondo che mi ha un bel po’ delusa ciò che ho visto e sentito. -
  - Non l’ho mica aggredita così dal nulla. Quella ha finto di essere Etsuko... la mia migliore amica. -
  - Oh, certo, so bene chi sia Etsuko. E, proprio sapendolo, non mi stupisce che “quella” si sia finta lei. Però ho già detto che eviterò di commentare. -
  La ragazza squadrò la Zanpakuto con aria scettica.
  - Va bene, e allora perché? Ci sono un sacco di motivi per cui mi sarebbe utile sapere il tuo nome. -
  - Ah, sì? - per un istante, l’ombra di un sorriso parve comparire sul volto dello spirito - E quali sarebbero questi motivi? Sono curiosa di sentirli. -
  Okumi si sentì abbastanza presa in giro. Non pensò neppure un secondo che la domanda rivoltale potesse essere sincera. Dove voleva andare a parare quella donna?
  - Mi renderebbe più forte. - disse comunque - Con lo shikai potrei combattere alla pari con gli Hollow, e magari mi salverebbe la vita. Senza contare che sarei molto più vicina al diventare una vera dea della morte, e quindi a non essere più una fuorilegge. -
  La Zanpakuto annuì distrattamente. Alzò la testa al cielo, come se d’un tratto volesse mettersi ad osservare le forme delle nuvole.
  - Certo, sono senza dubbio ottime ragioni. -
  - Però ho come l’impressione che non sia servito a niente ricordarle. - ribatté aspra Okumi.
  - Mh, impressione corretta. -
  - E ancora tu non mi hai dato uno straccio di perché. -
  Lo spirito tornò a guardare la ragazza. Sebbene il tono dell’altra non fosse stato dei più gentili, ella non sembrava più così contrariata, anzi, era quasi serena.
  - Beh, direi che ci sono fondamentalmente due motivi. - per rafforzare quell’affermazione, sollevò due dita di fronte al viso di Okumi - Primo: nelle tue condizioni attuali, anche sapendo il mio nome non riusciresti a combinare un nulla di fatto con lo shikai. -
  La donna abbassò il medio, facendo per sfiorare con l’indice il naso di Okumi, la quale però si ritrasse.
  Lo spirito sospirò. - Secondo: anche volendo pensare che tu abbia la forza per usare i miei poteri, farlo, per come la vedo io, non ti darebbe alcun beneficio. -
  - Oh, sicuro, se vogliamo escludere che potrebbe evitarmi di finire bruciata viva la prossima volta che sarai costretta a salvarmi la pelle! - esclamò la ragazza.
  - Mia cara... -
  - E non chiamarmi così! -
  La Zanpakuto si bloccò, interdetta da quella reazione.
  - ...Okumi. Ciò che voglio dire è: le ragioni che tu mi hai elencato prima , in realtà, conducono tutte in una sola direzione. Tu vuoi diventare più forte. E vuoi diventare più forte per dimostrare di poter essere all’altezza del compito di Shinigami. E desideri così tanto essere una Shinigami perché non accetti il fatto di essere morta. -
  - No, un mom...! -
  - Per favore, lasciami finire. Io non sto affatto dicendo che questa tua motivazione di fondo sia sbagliata. Anzi, la capisco perfettamente e ti sostengo. Ma quando avrai conseguito il tuo obiettivo, cosa farai? La tua risoluzione crollerà. Credi davvero di poter essere una dea della morte senza avere una singola ragione in se stessa per esserlo? -
  - Stai dicendo cose senza senso. La mia risoluzione non se ne andrà mai, punto. Anche una volta diventata Shinigami, non è detto che sarò del tutto al sicuro. -
  - Intendi dire che porterai il peso della tua stessa esistenza sulla tue spalle? - la donna si intristì - Credi davvero che riusciresti a sopportarlo? -
  Okumi strinse i pugni. - E tu credi che non lo abbia già messo in conto? -
  Lo spirito scosse nuovamente la testa. - Stai seguendo un percorso così complicato senza metterci il cuore. Non è questo l’approccio giusto, né ora, né a lungo termine. -
  - Beh, e quindi che cosa vorresti facessi? Mollare e basta? -
  - Io voglio solo che... -
  - Ho capito cosa stai dicendo, ma è semplicemente impossibile! Non ho mai voluto fare la dea della morte e non penso proprio che cambierò idea! Se anche fossi stata libera di scegliere, non avrei trovato alcun motivo al mondo per volerlo essere! -
  La Zanpakuto emise un lieve sospiro. - Ne sei proprio convinta, a quanto pare. -
  Forse era quello. Lo spiraglio di cui Okumi aveva bisogno.
  - Già. E tu invece hai proprio intenzione di ostacolarmi? - incalzò subito - Lo sai che senza il tuo nome e senza lo shikai ad un certo punto... beh, non andrò più da nessuna parte. Renderai tutti i miei sforzi inutili. È questo che vuoi? -
  - La stai mettendo giù molto pesante. -
  - Potrei anche continuare. -
  - Non credere che mi piaccia questa situazione. -
  - Benissimo. Allora dimmi il tuo nome e finiamola qui. -
  - Temo che siamo entrambe troppo barricate sulle nostre posizioni. -
  Okumi aveva una gran voglia di stritolare qualcosa fra le mani. Per cercare di ritrovare la calma, scelse una soluzione meno violenta e si pizzicò la punta del naso. Inspirò ed espirò un paio di volte.
  Poteva solo continuare ad infierire senza alcuna garanzia di successo o rassegnarsi e prendere per buone le “condizioni” della Zanpakuto.
  La mia controparte.
  - Come posso...? - mormorò fra sé e sé.
  - Cosa dici, mia cara? -
  Questa tizia.
  La ragazza sollevò su di lei uno sguardo truce.
  È la mia controparte perfetta.
  - Come posso prenderti sul serio? -
  Lo spirito sbatté le palpebre, sorpreso. - Non capisco cosa intendi. -
  - Jukunemu mi aveva detto che il rapporto fra Shinigami e Zanpakuto è quello di compagni di battaglia. E bisogna dialogare, capirsi, creare un’intesa, questo genere di cose. Tu però... sembri più che altro la mia coscienza. Se dovessi indovinare il tuo nome, direi che è “grillo parlante”. -
  Al contrario di quanto Okumi si era aspettata, lo spirito non parve affatto confuso da quelle affermazioni. Tutt’altro. Per la prima volta da quando erano faccia a faccia, la donna si esibì in un sorriso sincero.
  - Ah, ho capito cosa vuoi dire. Ma non vedo perché stupirsi tanto. - ridacchiò, mentre nei suoi occhi si accendeva una luce del tutto nuova - Per caso, non penserai ancora che io sia una normale Zanpakuto? O tu una normale Shinigami? -
  Un’improvvisa, violenta folata di vento troncò qualsiasi possibile continuazione di quel discorso. Okumi si riparò il viso con le braccia, strizzando le palpebre. La raffica sembrava addirittura sul punto di farla cadere dalla pedana invisibile che si era costruita. O forse era proprio quest’ultima ad essere diventata instabile.
  Le sembrò di sentire la voce dello spirito borbottare qualcosa che somigliava a: - Accidenti, così mi volerà via il cappello... -
  Okumi sentì una mano stringersi sulla sua spalla e vide accanto a sé la Zanpakuto.
  - Faresti meglio a tornare cosciente. - gridò quest’ultima per sovrastare il fragore del vento - Hai usato quasi tutto il tuo reiatsu per ripararmi, e il tuo konpaku sta diventando instabile. Vai, per stavolta il discorso può dirsi chiuso. -
  La ragazza avrebbe voluto chiedere come fare per ritornare in sé, ma non ce ne fu bisogno. Un vortice la avvolse completamente, togliendole la sensazione del contatto con la mano dello spirito.
 
 
 
  Il contrasto con la penombra che regnava nel deposito confuse per un attimo Okumi. Bastò però poco per recuperare tutti i ricordi di quanto era successo nel suo mondo interiore.
  Il primo istinto che le sorse fu quello di controllare l’arma che si trovava sul tavolino. Si era aspettata di vedere la stessa spada di sempre, anonima e dall’elsa color verde spento.
  Al suo posto si trovava invece una katana priva di guardia, con l’impugnatura di un bel rosso acceso, dall’estremità della quale pendevano due nappe dorate. La lama era riposta in un fodero laccato di bianco puro.
  Dopo qualche esitazione, Okumi prese la sua Zanpakuto. La sfoderò di pochi centimetri, il tanto che bastava per vederne il filo scintillante.
  Doveva forse considerare quel miglioramento estetico una specie di offerta di pace da parte dello spirito? Perché se fosse stato così, allora... beh, inaspettatamente, stava funzionando. La spada sembrava ora più un’arma da esposizione, che uno strumento da usare in battaglia. Rendere Okumi orgogliosa di un oggetto in suo possesso era di certo un modo molto valido per migliorare il suo umore.
  Ma non finisce qui.
  Non importava quanto quella donna potesse giocare a fare il grillo parlante e spronarla a trovare una ragione per voler essere una Shinigami. Sia che uno scenario del genere si potesse avverare o meno, un giorno la Zanpakuto sarebbe stata davvero costretta a cedere e rivelare il proprio nome.
  Lo sai che alla fine vincerò comunque  io.
  Okumi infilò la spada nella cintura dello shihakusho, assicurandola con il cordino bianco legato intorno alla guaina.
  A quel punto, si bloccò un istante. L’alterco con lo spirito le aveva fatto persino dimenticare il motivo primario per cui si era recata nel mondo interiore. Già, così semplice, così complicato. Ringraziare.
  La ragazza fissò la Zanpakuto, per poi scuotere la testa.
  Si chiese piuttosto se dovesse cercare Jukunemu, parlargli almeno un po’ dell’esperienza appena vissuta. Ma vedendo che dalle basse finestre nella parte alta delle pareti non filtrava più alcuna luce, dimenticò tutto il resto.
  Okumi uscì di fretta dal quartier generale e si diresse più veloce che poté in direzione della scuola.







































 
  Angolo Autrice
 
  Ci sarebbero stati un milione di modi diversi nei quali avrei potuto scrivere questo capitolo. Alla fine, dopo attente riflessioni, ho preferito farlo nella maniera più semplice, senza appesantire con tutti gli spiegoni che in origine avevo in mente. Infatti, credo proprio che apra molti più interrogativi, senza di fatto risolverne nessuno. Tutto sommato, la cosa non mi dispiace. Per me che sono l’autrice, tutti questi misteri hanno una loro spiegazione, a volte più semplice di quanto possa sembrare. Ma scrivendo in maniera da tenere tutto ciò nascosto, mi sto rendendo conto che, dal punto di vista di un lettore, c’è una vera e propria “parte oscura” nella storia. A volte senza neanche che ve ne accorgiate :D
  Beh, che dire... visto che mi piace mettervi un po’ a parte del processo creativo, vi svelo che dapprima l’incontro fra Okumi e lo spirito doveva essere molto più amichevole. Poi, di battuta in battuta, col carattere che ‘ste due si ritrovano, ne è uscito qualcosa di completamente diverso. Hanno fatto tutto da sole, in pratica. E il tutto è venuto pure mooooolto più lungo di quanto mi fossi aspettata! Già, un sacco di cosette sgomitavano per avere più spazio...
  Uhm, messa così sembra quasi che io non abbia potere decisionale sulla storia! XD  Ma sì, ancora un po’, e pure i personaggi cominceranno a ribellar-mmmmmhhh! *viene imbavagliata e trascinata nell’ombra*
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  Anukis




 
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Capitolo 8
*** Step ahead, step aside ***











 
Step ahead, step aside


















 
  - Che cacchio significa “non vuole dirmelo”? -
  - Significa quello che significa, no? -
  In piedi nel mezzo del campo sterrato, Okumi era intenta a legarsi i capelli a metà lunghezza.
  Solo il giorno successivo all’incontro con la Zanpakuto era riuscita a raccontare a Jukunemu l’accaduto. Questi non l’aveva presa molto bene. Ironicamente, era Okumi la più tranquilla dei due in quel frangente.
  - Sappi che non ho mai sentito di una Zanpakuto che si rifiuta di dire il nome al suo Shinigami! -
  - Beh, parlaci tu con quella tizia, perché io ne ho avuto abbastanza per un bel po’. -
  - E allora la spada? - sbottò il dio della morte, additando l’arma al fianco di Okumi.
  Lei gettò un’occhiata all’elegante katana che ora completava la propria veste da Shinigami.
  - Ma che ne so. Senti, facciamo che combattiamo e basta? -
  - Ok, tutto questo non ha senso. -
  Okumi fece un verso di scherno. - Lo dici a me? -
  - Aaaah, vada per il combattere! -
  Entrambi sfoderarono le Zanpakuto.
  - Perciò - riprese Jukunemu - niente poteri aumentati? Neanche un pochino? -
  - Non che mi risulti. -
  - Mi sto stancando di andarci piano con te. -
  - Ah, non ti preoccupare. Fa niente se la colpisci un po’ troppo forte. - Okumi accennò alla propria spada.
  La battuta non era stata intesa per spezzare l’atmosfera, eppure non ebbe nemmeno quell’effetto. Jukunemu riservò alla ragazza un’occhiataccia cupa come poche.
  L’istante dopo, lo Shinigami si lanciò all’attacco.
  Okumi intuì la finta prima ancora che Kurosemi si muovesse verso il suo fianco. Scartò a sinistra, sfruttando la contro-rotazione per assestare un ampio fendente, diretto al collo dell’avversario.
  Jukunemu intercettò il colpo. Fece scorrere la sua lama per tutta la lunghezza dell’arma nemica, accompagnando l’attacco lontano da sé. Così facendo, aveva lasciato la ragazza del tutto scoperta. Ne approfittò per colpirla con una gomitata nella parte alta dello sterno.
  Okumi arretrò, massaggiandosi la cassa toracica dolorante.
  - Conteggio delle morti: uno. - sbuffò lo Shinigami.
  - Sai, dovremmo seriamente fare del riscaldamento prima di questi allenamenti. -
  - Era quello. Ed è finito adesso. -
  La ragazza si gettò in avanti, dirigendo un affondo al centro dello stomaco di Jukunemu. Lui si limitò ad arretrare con una serie di passi veloci, evitando con facilità una prevedibile serie di colpi diretti.
  Il dio della morte colpì a sua volta, mirando direttamente alla spada avversaria. Forzando l’altra a piegare il braccio, fece per sbilanciarla facendo pressione sull’incrocio delle lame.
  Okumi però si sottrasse subito a quello scontro di forza che avrebbe di certo perso, scivolando all’indietro. Sollevò la Zanpakuto all’altezza dei propri occhi, disegnando delle sorta di ghirigori in aria, come incerta su dove colpire. Di sbieco, calò un colpo con l’intenzione di trapassare la clavicola di Jukunemu, il quale bloccò l’assalto una manciata di centimetri prima che andasse a segno.
  Lo Shinigami strinse la mascella. - Tu! - mugugnò - Quella cosa con la punta della spada. Non ti sognare più di farla. -
  - Perché? - Okumi sollevò un angolo della bocca in un sottile ghigno - Ti confonde le idee? -
  - Seee, quando sarai dieci volte più veloce, magari! -
  A quel punto, Jukunemu riprese il controllo della situazione. Rigirandosi abilmente la spada in mano, menò una serie di fendenti, concentrandosi sul lato sinistro della ragazza.
  Ma Okumi non poteva ormai farsi ingannare. Le sessioni di allenamento che compivano ogni giorno, più che i veri fondamentali della battaglia, le avevano permesso di comprendere lo stile del suo “maestro”.
  Ora, in particolare, stava attuando una delle sue tattiche favorite. Mentre incalzava da una sola parte, faceva dei piccoli passi nella stessa direzione, costringendo l’avversario a seguire i suoi movimenti e ruotare, trovandosi in condizione sempre più sfavorevole per difendersi.
  Già, il modo di combattere di Jukunemu era molto più subdolo di quanto il suo carattere potesse far pensare. Nonché, una volta afferrato, prevedibile. Le raffiche di attacchi non avevano un numero preciso di colpi, anzi, erano fatte apposta per non cadere in quell’errore da principiante. Però, una volta capita la durata massima in una singola serie, regolarsi di conseguenza era relativamente semplice.
  A onor del vero, lui era molto bravo a dissimulare questi suoi piccoli “vizietti”. Okumi  aveva cominciato a mettere insieme tutti i pezzi giusto nel momento in cui si era resa conto che, di allenamento in allenamento, il proprio corpo le inviava come dei déjà vu. In uno scontro reale, lei sarebbe stata uccisa da una qualsiasi delle strategie di Jukunemu ben prima di poter anche solo pensare ci potesse essere uno schema. Perciò, per quanto lo Shinigami la incitasse spesso a fare una qualche mossa, Okumi si trovava molto più a suo agio nel respingere e basta.
  La ragazza aveva inoltre concluso che il proprio maggiore svantaggio nel combattimento non fosse né la tecnica acerba o un’eventuale mancanza di talento. Forza e velocità, ecco ciò che le mancava. E prolungare in quel modo la lotta, invece che prestarsi ad un combattimento intenso, ma brevissimo, le permetteva di lavorare su quelle qualità.
  Era completamente assorbita. Come in trance, riusciva a percepire solo i movimenti della spada avversaria, a cui seguiva un’immediata reazione della propria.
  Un’improvvisa, fastidiosa musichetta infranse la concentrazione di Okumi. Si bloccò per una frazione di secondo e la lama di Kurosemi le passò di fronte al viso, lasciandole un’orrenda sensazione di freddo sulla guancia.
  Jukunemu abbassò la spada, tirando fuori dalla tasca il comunicatore.
  - Uhm... Hollow a quattrocentocinquanta metri a sud di qui, fra otto minuti. -
  Okumi fece per rinfoderare la Zanpakuto. - Ok, io mi prendo una piccola pausa dentr... -
  - Ci vieni anche tu. -
  La ragazza si irrigidì. - Cosa? -
  - È ora di fare un salto di qualità. -
  - Credi davvero che sia il caso? -
  - Ehi, non ho mica intenzione di gettarti allo sbaraglio. Mi farai da spalla, questo è tutto. Cioè, da qualche parte dovrai pur iniziare, no? -
  - Suppongo di sì... - ammise Okumi con riluttanza.
  - Bene, e allora sbrighiamoci. Fra sei minuti e mezzo il bastardo sarà là. -
  Con un unico balzo, Jukunemu raggiunse la cima del magazzino, sparendo dietro il tetto.
  Iniziamo malissimo.
  Okumi saltò su di un palo della staccionata, per poi proiettarsi a sua volta nella direzione dove si era allontanato lo Shinigami.
  La ragazza aumentò la velocità per raggiungere l’altro, il quale aveva rallentato apposta.
  - Una cosa. - ammonì Jukunemu - Ho detto che mi avresti fatto da spalla, ma non ti azzardare a starmi fra i piedi. -
  - Credimi, fosse per me, mi farei coinvolgere il meno possibile. -
  Arrivarono nei pressi di un incrocio. Per quel che ricordava Okumi, si trovavano in una parte del quartiere abbastanza frequentata. Però, osservando bene tutt’intorno, non si vedeva nessuno. Anche di macchine non c’era l’ombra.
  - Puoi spiegarmi una cosa? - esordì ad un certo punto la ragazza - Perché quando arriviamo nel posto dove dovrebbe comparire un Hollow, non c’è mai nessuno nei paraggi? -
  - Beh, sai, io ti ho detto che gli esseri umani normali non percepiscono il reiatsu, ma in realtà non è proprio così. Lo percepiscono, senza rendersene conto. E quando c’è una fonte di energia molto grande, come nel caso di un combattimento Shinigami-Hollow, si tengono alla larga istintivamente. Oppure come adesso, quando si sta per aprire un Garganta. -
  - Un che? -
  - Garganta. I passaggi con cui gli Hollow arrivano nel mondo terreno. Quando si aprono, ci sono delle fluttuazioni nel Dangai, o roba simile. È così che anche dalla Soul Society riescono ad anticiparli. -
  Quello spiegava molte cose. Jukunemu le aveva già parlato dello Hueco Mundo, persino del Dangai. Eppure non era mai stato chiaro su quanto tutte queste dimensioni fossero collegate fra di loro, o con lo stesso mondo dei vivi.
  - Guarda là. Arriva. -
  Okumi alzò lo sguardo verso il punto nel cielo indicato dall’altro. In una porzione di spazio fra le nuvole era comparsa una specie di crepa nera. Questa si allargò, fino a diventare abbastanza ampia da lasciar passare uno dei mostri dalle maschere di teschio che la ragazza cominciava a conoscere fin troppo bene.
  I due dei della morte sguainarono le Zanpakuto.
  - Ok, ecco il piano. Tu stai dietro di me mentre io me lo lavoro a dovere. Poi, quando sta per crollare, salti fuori tu e gli dai un paio di colpi per finirlo. -
  La ragazza inarcò le sopracciglia. Un piano molto più prudente di quello che si aspettava. Ma lei di sicuro non se ne sarebbe lamentata.
  Come l’Hollow toccò terra, anche loro scesero dalla cima degli edifici. Il mostro, com’era prevedibile, li aveva già notati e puntati. Si trattava di una creatura lunga tre metri, con il torace ampio e gli arti sottili. La sua particolarità stava nell’avere il corpo butterato da rigonfiamenti ruvidi che fecero subito salire ad Okumi un senso di ripugnanza ed una grande voglia di stargli alla larga.
  L’espressione determinata sul viso di Jukunemu cambiò completamente. Sgranò gli occhi, gonfiando le guance. Puntò l’indice verso l’Hollow.
  - Ehi, ma io ti conosco! -
  Non si sarebbe potuto dire chi fosse più stupito fra Okumi ed il mostro.
  Lo Shinigami si voltò verso la prima. - Ma sì! Era nella bacheca degli Hollow più ricercati del mese! Si chiama D... Deadly Sting? Oh, chi se ne frega. -
  Jukunemu era tutto gongolante, spostava il peso da un piede all’altro. In barba agli altri due presenti, che non smettevano di fissarlo.
  - Ricercato? - trovò modo di chiedere Okumi.
  - Ah-ha! Vale quattromila bonus, il bastardo! Cioè, finalmente potrò comprare una poltrona massaggiante da mettere in quello schifo di quartier generale! -
  - Ma stai delirando? - fece l'altra, che iniziava ad alterarsi.
  - Ehi, hanno dimostrato che dopo un combattimento, un bel massaggio alla schiena ripristina il reiatsu più velocemente! -
  - Come no... -
  - Guarda che non te la faccio provare! -
  - Cosa diamine ti fa pensare che io...! -
  - Merda! La mia poltrona sta scappando! -
  L’Hollow trasalì. Non si era neanche allontanato, ma solo voltato, facendo per sgattaiolare via come se la sua evidente mole non fosse stata un problema.
  In un lampo, Jukunemu gli fu di fronte, sguainando la spada.
  Okumi, invece, indietreggiò un poco, la guardia ben alta. Riusciva ad immaginare solo una ragione per il quale quel mostro potesse essere in una lista dei ricercati. Era pericoloso. Forse aveva ucciso degli Shinigami.
  - Jukunemu! - gridò - Stai attento al suo pungiglione! -
  - Eh? -
  - Non hai detto che si chiama Deadly Sting? Beh, in inglese sting... -
  Non fece in tempo a continuare la frase, che l’Hollow, forse stanco di battibecchi fra dei della morte, si scagliò contro quello che aveva di fronte.
  ...vuol dire pungiglione.
  Però la ragazza non riusciva a capire. Ora aveva una visuale della parte posteriore del mostro. Avrebbe pensato che un pungiglione di qualche sorta dovesse trovarsi lì, ma con lo sguardo non poteva vederlo su nessuna parte del corpo dell’Hollow. Aveva fatto bene ad avvertire Jukunemu. Se l’aculeo in questione fosse stato retrattile...
  Ad ogni modo, sembrava che su un altro punto si fosse sbagliata. Il combattimento procedeva alla stessa maniera degli altri che aveva visto. Quel Deadly Sting non pareva più forte di qualsiasi Hollow lei avesse visto.
  Lo Shinigami schivò una zampata che andò ad incrinare l’asfalto. Scattò verso il lato sinistro della creatura, assestando un fendente che gli avrebbe reciso l’intero arto. La lama si scontrò sui bitorzoli di cui era ricoperta la pelle del mostro. Le sporgenze esplosero, schizzando Jukunemu di un liquido giallastro. Lui, un attimo prima in chiaro vantaggio, arretrò, rantolando e tossendo, gli occhi quasi fuori dalle orbite.
  Una zaffata di odore marcio arrivò fino ad Okumi, che d’istinto si coprì la faccia con la manica dello shihakusho.
  Nessuno dei due dei della morte poté vedere il ghigno che si era allargato sulla faccia dell’Hollow. Questo si gettò all’attacco, artigliando il fianco dello stordito Shinigami. Il colpo fu abbastanza forte da scagliarlo contro un lampione, dove batté la testa, scivolando a terra apparentemente privo di sensi. Il mostro si rivolse allora contro l’altra avversaria.
  Okumi si era già ripresa dallo shock. Purtroppo sembrava stesse abituandosi a situazioni simili.
  Stupido! Stupido di un Jukunemu!
  Passare dal rischiare la vita al... rischiarla di nuovo! Oh, sì, si sarebbe davvero divertita a fare la Shinigami per il resto della vita.
  Non sai neanche l’inglese, vero? Non era sting...
  L’Hollow si avvicinò a lei con balzi sgraziati. La puzza si intensificò, divenendo insopportabile e disgustosa come il liquido che ancora gocciolava dai bitorzoli scoppiati della creatura.
  ...ma Deadly Stink!
  Okumi mosse mezzo passo all’indietro, però non fuggì. Piegò le ginocchia e spiccò il salto più alto che poté, catapultandosi ben al di sopra del nemico.
  Il mostro seguì con la testa l’acrobazia della Shinigami, forse chiedendosi cosa volesse fare con quella mossa così plateale.
  La ragazza liberò tutto il proprio reiatsu, rallentando un poco la parabola nel suo punto più elevato. La mano, già nella tasca interna del kimono, estrasse alcuni pezzi di carta, lasciandoli cadere sull’Hollow come coriandoli. La creatura li osservò fluttuare intorno a sé, con aria che si sarebbe potuta dire interrogativa.
  Nell’istante in cui il piede di Okumi toccò l’asfalto, ogni singolo foglietto esplose, producendo uno spettacolo di bolle d’energia gialle e rosse. L’Hollow ululò, venendo tartassato e sbalzato da ogni parte da quei colpi potenti. Quando le deflagrazioni terminarono, quello che si stagliava fra il fumo era un mostro barcollante, ustionato e gocciolante liquido purulento.
  La Shinigami non si era fatta cogliere di nuovo dalla trappola del nemico, ed era indietreggiata fino a mettere quasi cento metri fra lei e l’altro. Ciononostante, ogni singolo bitorzolo sul corpo dell’Hollow era ormai andato, creando una nube di aria fetida avvertibile fin lì.
  - Frinisci! -
  Quell’urlo raggiunse Okumi appena in tempo.
  - Kurosemi! -
  La ragazza si scansò nello stesso momento in cui un Utanatsu squarciava l’aria, scaraventando l’Hollow dritto dove era prima lei.
  Jukunemu si era rialzato. Il fianco era dilaniato da quattro profondi tagli che stillavano sangue in maniera preoccupante, ma lui non pareva farci granché caso. Sollevò di nuovo la Zanpakuto sprigionata, menando altri fendenti sonici, accanendosi sul mostro.
  Quando ebbe finito, metà della strada era stata sventrata e la creatura maleodorante era stesa immobile nel mezzo di un cratere nell’asfalto.
  Okumi raggiunse l’altro Shinigami, pur tenendosi a distanza di sicurezza. Anche lui era in parte ricoperto dal quel ripugnante pus.
  - Stai sanguinando. - constatò, la fronte aggrottata.
  - Ho usato un anestetico. Per ora non è troppo un problema. -
  - Un anestetico non ferma il sangue. -
  - Beh, allora finiamo questa storia in fretta, così andrò a curarmi come si deve. -
  Mettendosi i lembi del kimono sul viso come un passamontagna, si avvicinarono al punto in cui giaceva l’Hollow.
  - Assurdo che sia ancora vivo. - commentò Okumi.
  - Già, ma mi stupirei se avesse ancora un solo osso intero, dopo essersi beccato tutti quegli Utanatsu. -
  Un paio di metri sotto di loro, un sibilo giunse da quell’enorme creatura immobile. - M....mmmmi aaaammazzi...? -
  - Parli? - si stupì Jukunemu.
  - Tuuuu mi a-a-ammazziiii? - rantolò ancora l’Hollow, pur senza muovere altro che la bocca.
  - In realtà - accennò accanto a sé - pensavo che l’avrebbe fatto lei. -
  - Io? -
  - La vittoria è tua. Avrei potuto sconfiggerlo io, sì, però l’hai fatto tu. È un tuo diritto dargli il colpo di grazia. -
  Okumi abbassò lo sguardo sull’Hollow sconfitto. Socchiuse gli occhi. - Un mio diritto... -
  Rafforzò la presa sull’elsa della spada. Con cautela, mosse un piede dentro la buca e si lasciò scivolare per un paio di metri fino in fondo.
  Disgustoso. L’unica parola che le veniva in mente a quella vista. Un pezzo di coriacea carne biancastra, bruciacchiato e stillante pus nauseabondo. Non si muoveva, non emetteva suono, era lì e basta, ad infettare quel piccolo pezzo di città, di mondo, con la sua presenza.
  Sollevò la spada. Proprio così, ammazzarlo era la cosa giusta.
  - Tuuuu... mangi? -
  L’immagine evocata da quella domanda fu talmente ributtante da bloccare la mano di Okumi.
  - Mangiarti? Non ci penso neanche. -
  - Non mangi? Ucciiiidi? -
  - La tua anima verrà purificata e mandata alla Soul Society. Mi pare molto meglio che rimanere un mostro che mangia essere umani per vivere. -
  - Vivere... Siiiì... Mangio. Mangio. Vivo. Ucciiiidi... Iiiiiih... No. Mangia. Vivi. -
  Il braccio di Okumi si irrigidì. La lama della Zanpakuto tremava per la forza con quale veniva stretta l’arma.
  - Mi stai dicendo... di mangiarti? Tu vuoi essere mangiato? - poco più di un sussurro.
  - Uccide... Non vive. Maaaangia... Vive. Mangio. Vivo. Mangio. Vivo. Mangio. Vivo. Fameeee... Ho-o-o fameeee... -
  Quell’assurda cantilena continuò, come se l’Hollow non facesse più caso a quello che aveva intorno.
  Okumi serrò i denti. La Zanpakuto si abbassò e venne rinfoderata con un gesto secco.
  Jukunemu osservò la sua allieva venire fuori dal cratere con passo lento.
  - Non gli dai il colpo di grazia? -
  Lo sguardo che ricevette era di per sé una risposta più che sufficiente. Gli occhi di Okumi erano indecifrabili, schermati da un’espressione dura.
  - Non voglio. -
  - Ti fa pena? -
  - Per nulla. -
  Il dio della morte si voltò.
  - Bene. Per un secondo ho pensato che stessi per chiedere anche a me di non farlo. -
  - Uhm. Che avresti fatto in quel caso? -
  - Che pensi? Ti avrei dato una bella botta in testa. Sono uno Shinigami. Finire gli Hollow è parte del mio lavoro. -
  Mentre Jukunemu balzava giù nel cratere, Okumi distolse gli occhi. Non lo fece perché non voleva vedere, fu senza volerlo, in maniera pensierosa. Ciò che stava per accadere non la riguardava più.
  Sono uno Shinigami. Finire gli Hollow è parte del mio lavoro.
  Finire. Non purificare, che sarebbe stato il termine più adeguato. Probabilmente l’aveva fatto apposta, a dire invece così. Voleva che lei venisse a patti con quel lato del loro compito.
  Ma aveva frainteso.
  Okumi sfiorò con la punta delle dita il fodero della propria Zanpakuto. Chissà cosa ne pensava lo spirito. Stava osservando? Era certa di sì. Sperava di sì.
  Credo di aver capito.
  D’un tratto, bruciava dalla voglia di incontrare di nuovo la donna che risiedeva nell’arma. Incredibile come solo un giorno prima avesse storto il naso a quella prospettiva.
  Credo di aver capito cosa vuoi da me.





































 

 
  Angolo Autrice
 
  ...e accadde che il caldo e l’ozio mi fiaccarono la voglia di scrivere come mai prima.
  Certo, bisogna dire che non ho nemmeno portato un capitolo molto intenso. Si tratta di un altro caso di spezzamento. Mentre io mi scervellavo per finire una parte lunghissima, che si è strascinata per tutto questo tempo, ho trovato il coraggio di dividere il tutto.
  Per chi si stesse preoccupando, sappia che ho già un pezzo non indifferente del prossimo capitolo pronto, e la mia ispirazione è tornata più pimpante che mai (la sentite? La sentite arrivare? È una nuova introspezione di Okumi!). Anche se a questo punto meglio che io non faccia promesse sui futuri aggiornamenti. Qui ci si impegna, sì, ma alla fine la dura verità della scrittura amatoriale è che se uno c’ha voglia di scrivere, scrive, se no nisba.
  By the way, se lì fuori c’è ancora qualcuno che credeva nel ritorno di SNK Shingeki no Kyojin LOL mi faccia sapere cosa ne pensa del capitolo c:
  Salutoni,
 
  Anukis
 
  PS Ve l’avevo già detto che Daisuke è il mio personaggio preferito della storia? Beh, ho da poco scoperto che il doppiatore di Ulquiorra, mio indiscusso ammmmore di Bleach alla pari con Byakuya, si chiama Namikawa Daisuke. Coincidenze? Noi robertogiacobbi crediamo di no.
 
  PPS Mi è venuta la brillante idea - un plauso al genio - di inserire nelle schede dei personaggi il link alla loro theme music su YouTube. Così, giusto perché mi era venuto il dubbio che pochi andassero davvero a cercarsele ed ascoltarle. Neanche TU, sì, proprio TU, lo hai fatto, ammettilo! Io ci terrei abbastanza, perché oltre a dare quello che ritengo un punto di vista musicale sul carattere del personaggio, nella maggioranza dei casi sono canzoni di artisti sconosciuti, ma che io adoro, quindi magari potrebbe essere una buona occasione per voi per scoprire qualcosa di nuovo  :)




 
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Capitolo 9
*** Season of denial ***











 
Season of denial




















  - Qui si sta sfiorando il ridicolo... -
  - Ma dai. - anche senza vederlo, poteva immaginare il mezzo ghigno di Jukunemu - Non sei felice di essere qui, dietro ad un fantastico magazzino abbandonato, a farti la tintarella? -
  - Come no. Hai pure degli occhiali da sole da prestarmi? -
In realtà, Okumi si sentiva molto come un panno steso ad asciugare. La sensazione non era delle migliori.
  Sdraiati sul terreno brullo dopo essersi fatti travolgere da una bella ondata di acqua purificante; era proprio un momento degno della nuova vita della ragazza. C’era di buono che la maggior parte delle puzza se n’era andata da tempo. Anche se Jukunemu continuava a lamentarsi dello stato del suo shihakusho.
  - Ehi, Aomura. -
  - Gli onorifici non fanno male. -
  - Ehi, pivellina, mi dici un po’ che hai fatto con quell’Hollow? -
  - Di che parli? -
  - Mi pare di aver visto... anzi, li ho proprio visti... gli Incantesimi di Distruzione Numero Trentadue e Trentatré. Com’è possibile? Cinque giorni fa ti stavi uccidendo per fare il Primo. -
  - Ricordi le pergamene che mi hai dato per imparare i kido? -
  - Mh-hm. -
  - Ricordi il foglietto catalizzatore di reiatsu? -
  - Ho l’impressione che tu stia sottovalutando la mia memoria. -
  Okumi sorrise compiaciuta, sapendo che il suo interlocutore non poteva vederla. - Beh, ho pensato che, se si potevano scrivere su carta incantesimi per succhiare via il reiatsu, allora potevo fare la stessa cosa con i kido di Distruzione. -
  - Ehi, ma fai sul serio? -
  - È bastato immettere un po’ di forza spirituale per farli attivare. Però non credo che fossero alla piena potenza. -
  - Ma che ti frega! Cioè, questa è proprio una figata! Sei... sei... -
  - ...un genio? -
  - Hai idea di quanta gente negata per il Kido ci sia? Questa è la loro salvezza! -
  - Ti ci metti anche tu, nel gruppo dei negati? -
  - Beh, diciamo che vado meglio negli Incantesimi di Restrizione. Sono quelli che vanno per la maggiore, nella Seconda Compagnia. Lì non piacciono le cose che fanno troppo casino. -
  - Già. La Compagnia degli assassini, no? - fece Okumi in tono canzonatorio - Non ti ci vedo proprio là. -
  - Beh, sai com’è, è facilissimo fare carriera. Tanto sono tutti un mucchio di sicari addestrati che come Shinigami fanno pena. -
  - Carriera, eh? Neppure questo sembra da te. -
  - Uno deve anche pensare un po’ a se stesso, no? -
  - E come ti è andata? -
  - Ecco... poteva andare meglio. -
  Il tono col quale era stata pronunciata quella risposta la fece desistere dall’indagare oltre.
  Però la cosa la portò a riflettere. Non aveva mai pensato a quanto effettivamente potesse essere forte il suo mentore. In assenza di termini di paragone, poteva solo affermare che fosse enormemente più forte di lei. Non che ci volesse molto per venire superata.
  - Jukunemu. -
  - Gli onorifici, prego. -
  - Tu perché hai deciso di diventare Shinigami? -
  - Eh? Perché ti interessa? -
  - Un allievo non dovrebbe trarre ispirazione dal suo sensei? -
  Okumi percepì chiaramente quello che sembrava uno sospiro spazientito.
  - Vediamo, ti ho spiegato la divisione della Soul Society? -
  - Rukongai e Seireitei? -
  - Quello. Beh, io sono nato nel Rukongai. Faceva schifo e volevo andare a vivere nella Seireitei. Fine della storia. -
  Per diversi secondi, Okumi non fu in grado di replicare alcunché.
  - Mi prendi in giro? -
  - Ah, già, volevo anche farmi figo col kimono nero. -
  - Va bene, non mi stai prendendo in giro. -
  - Delusa? -
  - Delusa da cosa? Sono fatti tuoi. Solo un po’ sorpresa, magari. -
  - Ok, forse non faceva così schifo. Insomma, c’era di peggio. Però la mia casa dava proprio sulla Seireitei. Di solito non c’è niente a dividere le zone, non uno straccio di rete o qualcosa. E tu vedevi che all’improvviso la strada sterrata diventava un pavimento di mattonelle bianche, tutto tirato a lucido. Lo odiavo. -
  - Non c’è bisogno che ti giustifichi. -
  - Guarda che io non mi giustifico con nessuno per quello che faccio. -
  Per qualche ragione, Okumi non riuscì a credere fino in fondo a quella replica infastidita.
  Certo, forse scegliere di fare un lavoro così importante, di salvare vite mettendo in gioco la propria per tirarsi fuori dalla povertà, non era quello che ci si sarebbe aspettati. Ma era un motivo del tutto comprensibile agli occhi della ragazza.
  Poteva non essere una ragione molto ispiratrice, e non l’aveva aiutata a mettere insieme un nuovo tassello dell’ideologia che stava dietro gli Shinigami, ma era scontato che fosse così. Lei e Jukunemu avevano una visione del mondo inconciliabile, da non potere che divergere su un qualcosa talmente importante. Perché se c’era un fatto di cui Okumi era certa, era che le motivazioni di un qualsiasi altro Shinigami non avrebbero mai potuto essere le proprie.
 
 
 
  - Brutto stronzo... Spero ti spediscano nell’ottantesimo distretto... -
  Daisuke imprecava e borbottava, rientrando nel capannone. Aveva afferrato i lembi del kimono e li strofinava fra di loro, nella speranza di veder scomparire quelle disgustose macchie giallastre lasciategli in ricordo dall’ultimo Hollow affrontato.
  Alla fine, la ferita non si era rivelata così grave. Erano bastate un paio di bende e un incantesimo basilare di guarigione. Anche se poi aveva dovuto sorbirsi le lagne di Aomura che gli recriminava di non aver mai fatto cenno al kaido per curarla dalle condizioni pietose in cui si riduceva certe volte negli allenamenti.
  C’era da dire che Daisuke aveva oramai capito che spegnere il cervello, contro quella là funzionava quasi sempre. Se ignorata, sbolliva in fretta, la lagna rientrava e la ragazza ritornava l’allieva semi-decente che era gran parte del tempo.
  Lei se n’era appena andata, affrettandosi per quella via dei tetti che, passato il tramonto, iniziava a farsi buia.
  All’interno del magazzino l’oscurità era invece quasi totale. Daisuke inciampò in qualche scatolone, cadendo a terra, inveendo contro chiunque l’avesse lasciato in giro. Senza pensare di essere stato lui a farlo.
  Poi lo Shinigami si accorse di una lucina lampeggiante dall’altra parte dell’ambiente. Arrancando nel buio, arrivò a quella che pareva una semplice macchina per i fax. Difatti, quelli che Daisuke afferrò da un lato dell’apparecchio erano un paio di fogli.
  Dovette avventurarsi ad accendere la luce, ma si rivelò come aveva temuto un messaggio dalla Soul Society. Per fortuna, leggendo si tranquillizzò nel capire che non riguardava direttamente né lui né Aomura. La questione era molto breve, e gli sembrò pure abbastanza stupida.
  Il secondo foglio, al contrario, gli fece digrignare i denti appena notò il mittente. I suoi propositi di stendersi e riposare in pace andarono poi alle ortiche nello scorrere con gli occhi anche il testo della missiva.
 
 
 
  L’edificio era forse il più anonimo del circondario. Un comunissimo condominio di cemento su dieci piani, dalle pareti ruvide e parzialmente scrostate.
  Ciononostante, l’umore già non proprio solare di Daisuke risentì di quella vista. Scivolò attraverso il portone e salì le scale. Dovette appiattirsi contro il corrimano per lasciar passare un uomo, il quale, camminando accanto allo Shinigami, rabbrividì.
  Il dio della morte giunse di fronte ad un uscio nel corridoio dell’ultimo piano. C’era una barriera di copertura a schermare l’abitazione, ma lui poté aprire la porta senza problemi.
  Daisuke si trovò in un appartamento nel quale la maggior parte delle pareti erano state abbattute per creare un unico ambiente continuo. Sebbene negli angoli delle pareti spuntassero macchie di muffa, il posto non era troppo sporco e non dava nemmeno l’impressione di essere abbandonato. Tutti i mobili erano stati ammucchiati da una sola parte e coperti da un lenzuolo. Ad ogni muro rimasto disponibile erano state appoggiate librerie ed armadietti di metallo straripanti di pergamene, libri, documenti vari che lo Shinigami non si preoccupò di identificare. Sul fondo era stato collocato lo stesso schermo del suo quartier generale.
  - Ehi, spiegami un po’ una cosa. - Daisuke si avvicinò alla scrivania che capeggiava al centro dello spazio - Ma quelli che vivono nel condominio non si chiedono che cacchio ci sia qui dentro? -
  - Buonasera anche a te, Jukunemu. - replicò atono Zamuku, senza staccare gli occhi dal foglio sul quale stava scrivendo fluidamente una lunga serie di frasi - Per rispondere alla tua domanda, no, non se lo chiedono, visto che hanno una paura dannata di questo appartamento. Credono sia abitato da spiriti. -
  - Beh, hanno ragione, no? -
  - Tecnicamente parlando... -
  E nessuno ha ancora chiamato Raid Infestati?
  - Va bene, piantiamola e dimmi solo perché hai voluto vedermi. E, prima che me lo dici, c’è mica un’altra sedia qui dentro? -
  - Alla tua sinistra. -
  Daisuke posizionò una malandata poltroncina girevole di fronte alla scrivania, per poi lasciarcisi cadere sopra.
  Zamuku poggiò il pennello su un sostegno di ceramica, sollevando infine lo sguardo sul suo ospite. Mise i gomiti sul piano dello scrittoio, intrecciando le dita. - Suppongo abbia ricevuto anche tu l’ultimo messaggio della Soul Society. -
  L’altro gli lanciò un’occhiataccia. - Riguardo ai falsi allarmi? E mi hai fatto venire qua per questo? Se l’hanno inviato a tutti, mi sembra ovvio che l’abbia ricevuto anche io. -
  - Cosa ne pensi? -
  - Eh? Boh, non è che ci ho riflettuto granché... Qualcuno al Dipartimento R&S si è addormentato sulla tastiera del computer? -
  - Lanciando falsi allarmi a Shinigami diversi e a vari giorni di distanza l’uno dell’altro? -
  - Ehi, questi dettagli non c’erano scritti. - si difese piccato Daisuke.
  - Suppongo stiano indagando e non vogliano ancora sbilanciarsi. -
  - Aspetta, ma tu quindi come lo sai? -
  - Ho richiesto una perizia sul luogo di una delle segnalazioni e il tizio che hanno mandato non era bravo a tenere la bocca chiusa. -
  - Ti hanno fatto sapere i risultati? -
  - No, dato che non c’è stato bisogno di nessuna analisi specifica. Ma gli strumenti hanno rilevato subito la traccia energetica di un Garganta. Non si è addormentato proprio nessuno sulla tastiera, il passaggio si era davvero aperto, solo che non ne è uscito nessun Hollow. -
  Daisuke si concesse un paio di secondi per riflettere su quella scoperta. - Ok, non è normale per niente. - ammise infine - Ed è inquietante. Stanno succedendo un bel po’ di cose strane negli ultimi tempi. Prima gli Hollow che non crepano, ora questo... -
  - Come? Di che parli? - si sorprese Zamuku.
  - Nell’ultimo mese o giù di lì ho incontrato alcuni Hollow che non volevano saperne di crepare. Io li colpivo a morte, ma quelli si rialzavano e continuavano a combattere. Sembravano degli zombi, davvero. -
  - Zo... cosa? -
  - Sì, insomma, dei morti viventi. -
  - E perché non hai fatto rapporto? -
  - Beh, sai com’è, ultimamente preferisco mantenere un basso profilo. -
  - Male, male, malissimo. - scandì Zamuku - Cosa faresti se questo diventasse un problema grave? Ti stai solo attirando addosso altri guai. -
  - Ormai non mi pare di avere molta scelta. E comunque problema un cavolo; vabbè, non crepavano, ma mica erano fortissimi o che. Alla fine riesci ad ammazzarli e stop. -
  Zamuku staccò i gomiti dalla scrivania e si appoggiò allo schienale, alzando lo sguardo al soffitto. - Spero che tu non stia dicendo sul serio. -
  - Perché? -
  - L’unica cosa a consolarmi da quando sono diventato complice di questa pazzia era il pensiero che in ogni caso non avresti trascurato i tuoi doveri. Devo rivedere le mie convinzioni? -
  - Ehi, aspetta un po’, razza di infame! - esclamò Daisuke, raddrizzandosi di colpo sulla sedia - Non ti venga in mente di spifferare tutto, eh! -
  - E allora calmati e cerchiamo di risolvere la questione, finché possiamo ancora farlo. - ribatté freddamente l’altro.
  - Hai dei suggerimenti? -
  Zamuku rimase silenzio piuttosto a lungo. - Ancora no. -
  - Perfetto. -
  - Per ora, ne sappiamo un po’ di più riguardo a tutte le stranezze che stanno succedendo. -
  - Tu pensi che siano collegate? -
  - È stata la prima cosa che ho pensato. Ma non ci sono prove che lo confermino. -
  - Fammi indovinare: tu vuoi che ti aiuti a scoprire di più, no? -
  Un sorrisetto tetro comparve sul viso di Zamuku. - Credevo sarei stato io a chiederlo a te. Dopotutto, sono l’unico col quale potresti lavorare liberamente. -
  - Mh, vedi di non farmi cambiare idea subito... - bofonchiò Daisuke, aggiustandosi sulla sedia.
  Lo Shinigami emaciato tese la mano al di sopra della scrivania. - Collaborazione, dunque? -
  Daisuke spostò titubante lo sguardo dal collega a quel gesto inaspettatamente amichevole.
  - E collaborazione sia. - si decise infine.
  Allungò a sua volta la destra per stringere quella dell’altro, ma non poté farlo. La mano di Zamuku si staccò dal polso, al quale restò connessa con una serie di cavi metallici, per schizzare oltre la spalla di Daisuke. Il dio della morte si voltò di scatto, osservando l’arto estensibile afferrare da uno scaffale un rotolo di pergamena grande quanto un mignolo. Poi seguì con lo sguardo la mano ritrarsi e tornare al proprio posto come nulla fosse stato.
  E quella quando se l’è fatta impiantare?
  Daisuke si morse la lingua per non porre la domanda ad alta voce.
  Zamuku ruotò il polso con fare disinteressato. Eppure neanche lui pronunciò una parola a riguardo.
  - Se hai trovato inquietante quello che ti ho detto prima, allora preparati... - annunciò quest’ultimo.
  Tolse l’elastico che teneva chiuso il piccolo involto. Il plico di fogli si ingrandì fino a divenire grande quanto la superficie della scrivania.
  Daisuke si sporse per osservare cosa rappresentassero quelle carte, aiutandosi con le mani per stenderle. Ad un occhio umano sarebbero parse come delle immagini satellitari di strani colori, ma uno Shinigami poteva facilmente intuire cosa fossero in realtà.
  - Rilevamenti spirituali del territorio? -
  - Esatto. Dato che la Soul Society si è mossa solo di recente per investigare, ho pensato di controllare gli archivi del Dipartimento Ricerca per cercare di capire esattamente da quanto andasse avanti la faccenda. Non ho trovato niente di nuovo per quello, ma ora guarda qui. -
  Zamuku sfilò da sotto gli altri un foglio che descriveva un’area particolare della città. Indicò un punto piccolo, ma color verde brillante e che spandeva una sorta di debole aura di luce intorno a sé.
  - Di quel colore... - rifletté Daisuke - Dovrebbe essere un’entità spirituale di medio-alto livello, giusto? -
  - Non un’entità. - lo corresse l’altro - Un umano, vivo, con una forza spirituale davvero notevole. -
  Daisuke aggrottò un poco la fronte. - Non capisco dove vuoi arrivare. Si, non è proprio una roba da tutti i giorni, ma non è neanche troppo strano. -
  - Jukunemu, sai per caso che posto è questo? - si ostinò Zamuku, continuando a tenere l’indice sopra il punto verde.
  - Uhm, so che muori dalla voglia di illuminarmi. -
  - Un posto chiamato Liceo Karekishi. Il rilevamento risale a un paio di mesi fa, ore dieci e trentadue. Orario scolastico, dunque. -
  - Ooook, quindi questo tipo con la forza spirituale potrebbe essere uno studente del liceo. O un insegnante. Terrificante, davvero. -
  - Io non ci scherzerei sopra, se fossi in te. - Zamuku scorse ancora alcuni fogli - Rilevamenti fatti in orari simili danno tutti lo stesso esito. L’umano è sempre a scuola, finché... -
  Stese sul tavolo un’altra carta. Daisuke vi gettò una rapida occhiata.
  - Quel reiatsu è sparito. - constatò.
  - Questo risale a poco meno di un mese fa. Il primo nel quale la forza di quell’umano non è più visibile. Inutile dire che non comparirà mai più. -
  Daisuke si strinse nelle spalle, ostentando noncuranza. - Non mi stupirei se se lo fosse mangiato un Hollow. -
  - Jukunemu, questo tipo di esami è regolato in modo da non tener conto dei reiatsu degli Shinigami. -
  - Certo, in confronto agli umani sono così enormi che falserebbero tutto. -
  Zamuku lo guardò con l’espressione di chi contempla un perfetto idiota. - Ma come, non ci arrivi? -
  - E dimmelo e basta! -
  - La tua preziosa allieva ti ha mai detto quale scuola frequenta? -
  Daisuke spalancò le palpebre a tal punto da temere che gli occhi gli sarebbero rotolati fuori dalle orbite.
  - Quella? Quella? Aomura? Ma ti rendi conto di cosa stai dicendo? Lei... -
  - Ha un reiatsu risibile, sì, lo so. In effetti, non ho idea di come il novantanove percento del suo potere possa essersi volatilizzato così. Ma d’altra parte, non sappiamo nemmeno come sia diventata Shinigami. -
  - Ok, aspetta... No, no, non ha proprio senso! - Daisuke piantò l’indice sul foglio - Aomura non ha mai visto un Hollow o un’anima nella sua vita, ed è impossibile che uno non possa se ha una forza del genere! -
  - Beh, la risposta è semplice, allora. Per qualche motivo, ti ha mentito. -
  - La risposta è che è solo una coincidenza. Andiamo, non siamo neanche sicuri che quella sia la scuola di Aomura. -
  - Rifiuti anche solo la possibilità che ciò che sto dicendo sia vero. - prese atto Zamuku, irritato.
  - Beh, mi spiace dirtelo, ma tu sei diventato proprio un complottista. Una volta raccoglievi delle prove per le cose che dicevi, qui ti stai proprio basando sul nulla. - Daisuke si alzò dalla sedia, muovendo alcuni passi verso l’uscita - Mi sta bene aiutarti a indagare sugli Hollow e i Garganta, ma piantala di sparare teorie assurde ed inutili, perché è l’ultima cosa di cui c’è bisogno adesso. -
  Lo Shinigami lasciò l’appartamento accennando un saluto non troppo convinto.
 
 
 
  Atsushi aveva seguito l’uscita di scena del collega nel totale silenzio.
  - Complottista? - mormorò, senza più nessuno a cui domandare il significato di quella parola.
  Riordinò i fogli sulla propria scrivania con espressione che somigliava al compatimento.
  Senza dubbio, aveva fatto bene a non insistere con Jukunemu. Non spettava a lui aprirgli gli occhi, quando era chiaro che l’altro volesse tenerli ben chiusi.
  Eppure Atsushi, a differenza di Jukunemu, aveva fatto le sue ricerche. Sapeva benissimo quale scuola frequentasse Aomura e dove la ragazza abitasse. Solo per confermare le proprie ipotesi, chiaro. Ma sarebbe stato ridicolo dire che non provasse interesse per quella ragazzina.
  Il dio della morte si concentrò su un nuovo luogo nelle carte dei rilevamenti. Quello dove si trovava il condominio della tanto misteriosa giovane Shinigami. Al centro del palazzo, faceva mostra di sé un punto arancione, tendente al giallo, molto più piccolo di quello che aveva portato all’attenzione di Jukunemu.
  Quella era stata una scoperta assai interessante: se si trovavano nello stesso edificio, era ragionevole che pensare potesse trattarsi un parente di Aomura, e che di conseguenza tutta la famiglia di lei possedesse un potere spirituale latente.
  Ma questo non c’è urgenza di fartelo sapere, Jukunemu.
 
 
 
  Okumi tirò un sospiro di sollievo nel momento in cui entrò finalmente in casa. Passando da una delle pareti esterne del condominio. Avere un reiatsu basso poteva essere uno svantaggio la maggior parte delle volte, ma voleva anche dire minor densità delle reishi. In questo modo, poteva rendersi incorporea con molta più facilità di Jukunemu o degli altri Shinigami. Trucco che le risultava molto utile per rientrare nell’appartamento, quando per qualche motivo non si era portata dietro il gigai, nascondendolo dentro l’armadio della propria camera.
  La ragazza fece per muovere un passo nel corridoio, ma la vista di una porta che si apriva la fece bloccare di scatto. Subito si rimproverò, ricordandosi che nella forma spirituale nessuno avrebbe potuto vederla.
  Perciò, recuperata la sicurezza, si avviò spedita per superare suo fratello e raggiungere la propria stanza.
  Appena uscito dalla sua cameretta, però, Kei si era fermato. Alzò lo sguardo confuso, precisamente in direzione del viso di Okumi.
  - Sorellona, ma come sei vestita? -







































 
  Angolo Autrice
 
  E infine! Eccolo qui, il layout che volevo! Non si legge già tutto meglio, eh? Alla fine, è saltato fuori che era l’introduzione a falsare tutto. Sono persino riuscita a deformare tutta la pagina di EFP con il mio barbaro uso del tag corsivo. Che dire, quasi quasi mi sento importante!
 
  Con questo si conclude il periodo di “calma prima della tempesta”. Vengono aperte nuove piste per quanto riguarda i poteri di Okumi, e questo mi ha permesso anche di tirare fuori dallo scatolone Kei. Mi era già stata fatta notare la sua assenza, ma io avevo programmato da tempo la sua riapparizione. Abbiate fiducia, ho una scaletta della storia ormai quasi completa, e non è mia abitudine sprecare il potenziale dei personaggi. Insomma, per quanto mi possa rendere conto.
  La parte più difficile da scrivere del capitolo è stata il dialogo iniziale. Ve ne sarete accorti, Okumi e Daisuke non sono molto quel tipo di persone che si starebbero granché simpatiche, o anche solo si rivolgerebbero la parola in circostanze normali. Avevo in mente fin dall’inizio di approfondire maggiormente il rapporto che hanno costruito, e di certo non è finita qui.
  A proposito di approfondimenti, il prossimo capitolo sarà interamente dedicato alla nostra protagonista. Ci sarà Kei, ci sarà la scuola, ci sarà l’introspezione. Ho un po’ paura di iniziare la stesura, ma devo dire che sto imparando a buttarmi. Voglio dire, se di norma so scrivere in modo abbastanza decente, non è che d’improvviso posso cominciare a metter su carta schifezze, no? Oddio...
  By the way, a parte il momento insicurezza, mi resta da dirvi solo che il titolo “Season of Denial”, è in realtà il nome della mia canzone preferita dei Guilt Machine. Gruppo del quale non mi metto neppure a parlare, causa rischio di sclero totale. Ascoltate i Guilt Machine, ascoltate gli Ayreon, ascoltate qualsiasi cosa partorita da Arjen Anthony Lucassen. Per praticità, vi lascio il link qui (e se non avete ascoltato le theme music dei personaggi siete delle brutte persone, ma potrete rimediare andando a vedere i link che ho aggiunto nei capitolo scorsi).
  Salutoni e recensite,
 
  Anukis
 
 
 
 
 
  …I will remember youuuuu... Keep the pain aliiiiive... This is the season of deniaaaal...




 
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Farai felici milioni di scrittori. (© elyxyz)
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