Era storia

di Pixel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** capitolo 4. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


"Era storia"

 

Capitolo 1.

 

20 Dicembre 1833, Genova.

 

Il profumo di mare e pietra bruciata avvolgeva il porto di Genova. Quel profumo e quel porto che erano le sole cose che Stefano non avrebbe mai voluto cambiare. Nelle notti insonni, dopo giornate irrequiete, dopo estenuanti riunioni con i compagni,era lì che andava sempre. Amava guardare le onde schiantarsi contro le fiancate delle navi armeggiate come se il mare sbeffeggiasse quei grandi mostri metallici incatenati sul fondale.

Quell'instancabile infrangersi era sempre più di ispirazione per il giovane. Sognava un popolo come quelle onde, libero e implacabile, senza timore di distruggersi nell'impatto contro qualcosa che sembra essere così grande ma che non è nulla nell' immensità del mare.

Era solo un ingenuo studentello Stefano, così diceva sempre suo padre, che avrebbe fatto meglio a prendere subito un buon lavoro invece di riempirsi la bocca con certi discorsi che prima o poi lo avrebbero messo nei guai. Era un figlio amato Stefano, per questo non si sarebbe mai sentito compreso fino in fondo dai suo genitori.

Lui non capiva che senso avesse, quell'amore irrazionale canalizzato nei confronti di poche persone. A poco più di vent'anni, Stefano pensava di aver raggiunto la forma più grande di amore possibile ad un uomo. L'amore per un ideale. Progresso, conoscenza, libertà e tutto quello che l'essere umano poteva realizzare. Come potevano gli uomini rimanere indifferenti a tutto questo?

La verità è che Stefano nutriva dentro sè la speranza che il popolo fosse di natura un' entità romantica e avesse bisogno solo di una guida per conquistare ognuno di quegli ideali.

E per quanto poco umile potesse apparire, Stefano sapeva di essere mosso dal velleitario desiderio di essere uno di quei condottieri.

~

Era stato Mazzini a creare la Giovane Italia. Un movimento che perseguiva l'obiettivo di trasformare l'Italia in una repubblica unita e democratica. Un gruppo di ragazzi che sognava un paese fondato sui principi di libertà, indipendenza e unità.

Stefano ricordava la prima volta che ne aveva sentito parlare. Non era riuscito a dormire per l'intera notte, proprio come fa un innamorato, scosso da idee sconosciute ma talmente grandi da essere quasi tangibili.

Erano passati due anni da quella notte e quelle idee non erano più sconosciute ma sempre più vicine.

 

Come ogni notte si ritrovavano alla "Locanda del porto", un posto frequentato solo da marinai di passaggio, nessuno stazionava la dentro oltre il tempo del pasto, per questo era il luogo più sicuro dove tenere le riunioni.

Giovanni il locandiere era stato affiliato alla carboneria, e per quanto ritenesse incosciente la scelta di associarsi in un luogo pubblico, sposava la causa dei ragazzi come fosse ancora la sua e fin dal principio aveva lasciato che la sua locanda divenisse uno dei luoghi di ritrovo della Giovane Italia.

 

"Il moto in Savoia è fallito per delle distrazioni, vi dico. Ma il movimento è pronto, il popolo è pronto." Stefano parlava a voce bassa, avendo sempre la massima attenzione dei suoi compagni stretti intorno a lui al tavolo posto all'angolo della locanda.

 

"Distrazioni? Gli Austriaci hanno infiltrati ovunque e un movimento che non conosce le sue fila non è pronto a nulla se non a condannare i propri componenti."

 

"Lorenzo, io e te siamo in questo movimento da quando?"

"Dal principio"

"Da quando?"

"Quasi due anni"

"E davvero vuoi procrastinare ancora prima di fare qualcosa di concreto? É stata chiesta la mobilitazione di Genova da Mazzini in persona."

Intervenne Andrea a manifestare il suo appoggio a quello che lui, come molti, riconosceva come capo del gruppo "Sono d'accordo con Stefano, proprio adesso che è arrivato il nuovo maresciallo degli Austriaci è il momento giusto per attaccare. Non ci conosce, non conosce Genova, non conosce l'esercito."

"Attento a non sottovalutare gli Austriaci, non penso che quel maresciallo Radestcky sia un idiota, ho sentito storie sul suo conto, pare un tipo sanguinario oltre che reazionario. In più, avete tutti visto che è stato capace di arrestare una donna solo perchè aveva rubato un gambero dal mercato del pesce. " fece nuovamente un appunto Lorenzo.

"Meglio così, mentre il Radestcky è impegnato a riempire le carceri di Genova con dei ladruncoli, noi soffieremo la città agli Austriaci e libereremo, oltre il popolo, anche tutti quelli che Radestcky ha arrestato ingiustamente." Stefano era un minuzioso calcolatore, nonostante i suoi moti d'animo e la sua intraprendenza spesso lo facessero apparire avventato agi occhi di qualcuno.

 

"Le riempiremo di Austriaci le celle." e con questa frase e uno sguardo di intesa sottolineò la fiducia che Lorenzo riponeva in Stefano.

 

Erano amici da molto tempo, due ragazzi dalla personalità simile ma con un diverso temperamento.

Dove Lorenzo era sanguigno, in Stefano prevaleva un atteggiamento più malinconico. Ma quando Stefano veniva colpito dai suoi impeti di passione, Lorenzo sapeva dimostrarsi invece una valida mente razionale.

Lorenzo sapeva che il vero capo del movimento era il suo amico. La cosa non gli aveva mai provocato alcun tipo di problema, sopratutto perchè era lui il primo a riconoscere quanto Stefano fosse adatto a guidarli nelle loro imprese. Anche se a volte le loro idee discordanti li portavano anche a scontrarsi, le loro discussioni non erano mai un tentativo di sopraffazione, ma solo accesi scambi di colpi per migliorare un'idea comune. Per nessuno dei due era un problema ammettere che l'ago della ragione pendesse più dalla parte dell'altro che dalla propria.

 

I ragazzi affiliati alla Giovane Italia a Genova erano per la maggior parte studenti, ma non solo, il movimento raccoglieva consensi da tutto il popolo e dai diversi ceti.

 

Simone, figlio di un dentista filo austriaco. Andrea, il più promettente giovane pianista di tutta Genova. Riccardo, che qualcuno diceva che avesse sposato la causa solo per avere una storia in più da raccontare per sedurre le donne. Teo, che vendeva stoffa al mercato con suo padre da quando aveva otto anni. Pietro, detto il Pirata, per la benda che copriva l'occhio sinistro. Suo padre e suo zio erano grandi appassionati di armi da fuoco, passione che avevano trasmesso al piccolo Pietro, forse in età ancora troppo tenera per poter maneggiare quegli oggetti. Quando un colpo sparato da una pistola che doveva essere scarica rischiò di uccidere il piccolo, privandolo del suo occhio sinistro, lo zio e il padre abbandonarono per sempre la passione per le armi. Il Pirata no, lui la sua passione non l'avrebbe abbandonata mai.

Erano tra i più fidati compagni di Stefano e Lorenzo. Tra i più presenti alle riunioni e i più attivi sul campo.

 

Quella notte alla locanda erano presenti quasi tutti, non capitava spesso. Fazioni di entusiasti e di scettici discutevamo animatamente, chi dava del vigliacco e chi dello sprovveduto all'altro.

Giovanni, il locandiere, si avvicinò a Stefano "Ragazzo, farete meglio ad abbassare le voci. Ho una brutta sensazione." era sempre diffidente, ma Stefano non era un ragazzo solito ad ignorare i consigli,

"Cosa intendi?"

Giovanni puntò l'indice in direzione dell'angolo destro della sala. Il ragazzo aguzzò lo sguardo per cogliere quello che gli era stato indicato. Seduto ad un tavolo non troppo distante dal loro, stava un uomo avvolto dalla testa ai piedi da una mantella marrone.

"É lì da un po'. Mi sono accorto che quel tizio occupava un mio tavolo senza consumare niente e stavo andando a buttarlo fuori, ma poi mi è venuto in mente che poteva essere qui per voi. Gli Austriaci hanno capito che piazzare spie ovunque è il modo migliore per distruggere le rivoluzioni prima che inizino."

"Grazie Giovanni, sei un compagno fidato. Se non ti dispiace ce ne occupiamo noi"

"Dispiacermi? No, no, ragazzo. Ma cercate di non far scoppiare un polverone qua dentro, potete usare il retrobottega per sistemare la cosa, sapete dov'è."

 

Stefano chiamò all'attenzione Lorenzo, e qualche minuto dopo, mentre gli altri al tavolo ancora discutevamo, i due attraversarono per il lungo la sala. Mentre Riccardo già si dirigeva nel retrobottega.

Arrivati alle spalle della figura incappucciata, senza fare il minimo rumore, Lorenzo appoggiò la canna della sua Rivoltella contro la schiena dell'uomo.

"Vuole seguirci?"

 

Cercando di non attirare l'attenzione trasportarono la presunta spia sul retro della locanda, dove l' altro compagno era pronto ad intervenire nel caso in cui l'uomo si fosse rilevato problematico.

"Vediamo chi c'è qua sotto" disse Riccardo facendo scivolare il cappuccio che copriva il volto.

 

"Isabella. Il mio nome è Isabella. E sarebbe gentile da parte vostra non puntarmi una pistola alla schiena."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.

 

"Non abbassarla." disse imperativo Stefano a Lorenzo, che nonostante lo sgomento obbedì e tenne la canna della pistola premuta contro la schiena del singolare prigioniero.

"Ad occhio e croce non mi pare una belva tanto feroce." affermò sornione Riccardo tenendo tra le mani il viso della donna che si ritrasse bruscamente.

 

"Capisco perchè non sei tu a dare gli ordini. Potrei essere un'infiltrata ed essere armata, approfittare di uno stupido ragazzotto che abbassa la guardia perchè sono una donna, e uccidere almeno due di voi."

 

"E tu vuoi dirci che non è così, giusto?" domandò Stefano, retorico, ma non troppo.

"Giusto."

"ma ammetterai che una donna incappucciata che siede al tavolo di una locanda sola a quest'ora della notte è una figura alquanto sospetta, giusto?"

"giusto."

Il ragazzo sorrise quasi affabilmente prima sfilare la sua pistola dai pantaloni per puntarlo sul grazioso viso.

 

"E ora ci spiegherai in modo dettagliato il perchè non dovrei ucciderti e buttare il tuo corpicino in fondo al mare. Giusto?"

 

Stefano era un ragazzo dal cuore d'oro, certo, ma a differenza del metallo, non era per niente duttile.

Amante della giustizia, fedele alla causa che aveva sposato, a tal punto da essere pronto ad eliminare chiunque costituisse una minaccia per quello in cui credeva.

Non era un assassino, non provava alcun diletto nella violenza, ma era un guerriero in grado di usare ogni genere di arma a sua disposizione. Se avesse potuto far la rivoluzione solo attraverso le parole lo avrebbe fatto volentieri. Ma Stefano era un idealista, non un ingenuo sognatore.

 

"Sono qua per quello per cui siete qua anche voi. Per Genova e per l'Italia, unità."

"Non vorrei metterti ansia, zuccherino, ma non mi stai dando spiegazioni dettagliate e io non ho tutta la notte"

"Pensavo che proprio tu, Stefano Menossi, non avresti avuto bisogno di altre spiegazioni."

"E invece mi dovrai spiegare anche come conosci il mio nome."

La fanciulla si lasciò andare ad una moderata risatina "tutti sanno il tuo nome, tutti sanno della Giovane Italia e tutti si chiedono quando vi deciderete a fare qualcosa per cacciare via gli Austriaci"

Isabella, furba, sapeva di aver già accattivato i suoi interlocutori.

"Ora, amerei continuare a parlare con dei gentiluomini, non con la canna di una pistola."

Stefano abbassò il braccio destro che teneva teso verso il viso della ragazza e Lorenzo fece per imitarlo quando fu fermato da un secco comando "tu, no."

La bocca di Isabella si incurvò in un sorriso lascivo, gesto capace di dipingere in un breve attimo l'intera personalità estremamente controversa della ragazza.

"Ti fa sorridere la probabilità di morire?" chiese Riccardo che dopo essere stato zittito poco prima non aveva smesso un secondo di scrutare con sguardo indagatore quella donna di cui aveva deciso, non si sarebbe mai fidato.

"Rispetto a qualche attimo fa si sono dimezzate le possibilità che una pallottola possa colpirmi, questo è un buon motivo per essere contenta. E sono contenta che abbiate optato per la pistola alla schiena, almeno se dovessi morire il mio viso rimarrà grazioso."

"E chi dice sia grazioso?"

"Tu sicuramente lo stai pensando."

"E tu mi sembri abbastanza intelligente da capire che il tuo grazioso viso non è un motivo valido per non ammazzarti." intervenne Stefano che non era noto per non amare sentire ironiche digressioni mentre si parlava di cose serie.

"Voi non mi ucciderete."

"E perchè mai?"

"Perchè, come ho già detto, vi conosco. E so che voi non ammazzate i vostri compagni."

"Compagni? Non è quello che sei. "

"È quello che voglio essere. "

Nessuno dei tre ragazzi cercò di camuffare le risate provocate da quella frase.

 

"Un nostro compagno? Vuoi che ti aiuti a controllare bene lì sotto?"

"Riccardo, non esagerare." lo bloccò subito Stefano "Siamo sempre gentiluomini."

"Grazie, stavo dicendo che.." Non fece in tempo a riprendere la parola che venne interrotta nuovamente "non hai capito, siamo gentiluomini e per questo prenderemo il tuo spiarci come la piccola follia di una ragazzina annoiata. Per questo ti lasceremo vivere, e uno di noi ti riaccompagnerà anche a casa, le strade sono pericolose a quest'ora della notte per una donna. Dopodiché, non vedremo mai più il tuo grazioso visino, se veramente vuoi che resti tale."

 

Ci fu silenzio. Isabella in una frazione di secondo abbassò lo sguardo dal ragazzo al pavimento di legno, per poi puntare, nel medesimo secondo, nuovamente gli occhi blu su Stefano. Poi sul viso si dispiegò nuovamente il sorriso lascivo.

 

"Lo sapevo" disse prima "anche tu trovi sia grazioso!"

La sfacciataggine di Isabella poco si adattava alle virtù che una donna avrebbe dovuto incarnare, ma faceva parte della sua bellezza delicata e potente allo stesso tempo, che nasceva negli occhi ma arrivava velocemente a coinvolgere tutti i sensi. Isabella aveva la capacita di confondere e stordire, come una belva rara.

"Cascano in molti nelle tue trappole?" Stefano era molto intelligente, tanto da essersi reso conto che la persona che si trovava di fronte era perfettamente in grado di passare dalla posizione di vittima a quella di carnefice nel giro di un attimo.

"Tutti, per questo potrei aiutarvi."

"In che modo?" chiese Lorenzo che fino a quel momento aveva preferito rimanere taciturno. Stefano disapprovò con lo sguardo quella sorta di intromissione, ma lasciò correre.

 

"Io e mia madre siamo alle dipendenze di una nobile famiglia, servo nei salotti frequentati dalle famiglie di Austriaci più importanti di Genova. So rendermi invisibile ai loro occhi, parlano mentre sparecchio le loro tavole, mi affidano i loro mantelli perchè li conservi, consegno i loro messaggi.."

"Basta così. Lorenzo, uccidila adesso!" Urlò Riccardo

"Tu non fai uccidere proprio nessuno." Replicò Stefano mantenendo una certa pacatezza

"Vive insieme agli Austriaci, è i loro occhi, i loro orecchi, la loro bocca"

"È vero, è quello che sono. E penso che nessuno possa offrivi di meglio di quello che sto facendo io. Vi sto dando gli occhi degli Austriaci perchè possiate accecarli, le loro orecchie a cui sussurrare informazioni ingannevoli e la loro bocca per cantare i loro segreti."

"Stefano, non ti lascerai abbindolare, non tu. Vero?" e poi ancora con più veemenza di prima "Uccidila, uccidila adesso."

"Oh, taci Riccardo! Non la ucciderò se me lo dice Stefano, tanto meno se me lo ordini tu."

"Le credi? " domandò semplicemente Stefano.

"Non lo so, ma non ho intenzione di far perdere la vita ad una ragazza che forse cercava solo di rendersi utile."

Calò un silenzio che durò per un tempo breve prima di essere interrotto da Stefano, a cui bastavano sempre pochi e intensi attimi per dichiarare le sue sentenze

"Dovresti ringraziare questo ragazzo" disse con gli occhi puntati sulla ragazza e il dito puntato su Lorenzo "se non fosse per la stima che ho nei suoi confronti ti avrei uccisa questa notte."

 

~

 

Genova avvolta dal mantello nero della notte pareva una donna misteriosa, tanto inquieta quanto affascinante. Anche se mai, mai e poi mai quella città avrebbe potuto trasmettere inquietudine a Stefano. L'affetto e la devozione che provava il giovane verso la sua terra era molto più nobile che l'amore che certi uomini millantano di avere per le proprie donne.

Non era mai andato via da lì e non aveva intenzione di farlo, a differenza di tanti suoi coetanei che vedevano nel sogno di spostarsi verso altri mondi l'apice del loro desiderio di libertà. Dopotutto, Genova è sempre stata una città di marinai, una terra di mare, un paradosso. Forse per questo l'amava.

Un giorno, dopo essere riuscito a rendere la sua amata una città libera, allora forse sarebbe partito anche lui. Ma per ritornare, sempre.

Anche quella notte, come tutte le altre notti, come tutti gli altri giorni, il profumo di mare e di pietra bruciata lo inebriavano riempiendo la testa di quei pensieri.

 

"Non sei molto di compagnia, avrei fatto prima a tornare da sola."

 

"Penso che se non ci fossi io qualche ubriacone sarebbe felice di farti compagnia, ma tu ne saresti un po' meno felice."

 

"Mi avresti uccisa stasera stessa , dicevi. E ora ti importa cosa potrebbe succedermi se girassi sola a tarda notte? Ti trovo un po' incoerente, Stefano Menossi."

 

"Risparmiarti la vita per poi lasciare che qualcuno ti stupri e te la rovini per sempre mi pare ancora più incoerente. Non sono il tipo d'uomo che prende una decisione e poi se ne lava le mani. E ho deciso che stanotte non saresti morta."

 

Tornò il silenzio tra i due che continuarono a camminare senza mai girarsi l'uno verso l'altra. Questa volta ad interromperlo fu, inaspettatamente, il ragazzo "Non mi hai detto come sai il mio nome" Isabella accennò ad un sorriso molto più timido e affabile rispetto agli altri che aveva sfoggiato quella sera "Tutto il popolo ti conosce, tutti quelli che sposano la nostra causa perlomeno. E il tuo nome risuona anche nelle bocca degli Austriaci, ma molto meno. Il fatto che tu sia così giovane li depista. Parlano di te come un ragazzino un po' troppo fervente, da tenere d'occhio, ma non da temere. Non credono che sia tu a poter guidare una rivolta. È un bene che non abbiano capito quanto tu sia fondamentale per la Giovane Italia."

 

"Non sono fondamentale, nessuno lo è più degli altri."

Il flebile sorriso si tramutò in una flebile risata. "Certo che lo sei. Non ti fa onore questa falsa umiltà. Sai benissimo di essere il generale di questa rivoluzione, ed è esattamente quello che vuoi essere."

Stefano rimase in silenzio, un po' perchè amava il silenzio, era il suo stato ottimale, un po' perchè nel profondo di sè stesso aveva sentito quella stretta allo stomaco che provoca la vergogna. Ma specialmente perchè amava il silenzio.

"Ma come dicevo, è un bene che loro non abbiano capito questo. Si perdono nella ricerca di qualcuno o qualcosa di più grande che sta dietro tutti voi studenti e che vi spinge a muovervi. Qualcuno che ovviamente non esiste, giusto?"

Questa volta fu il turno di ridere del ragazzo "bella mossa, ma non condividerei con te neanche un quartino di vino, visto che credo saresti in grado di avvelenarlo. Quindi non sperare che condivida con te un'informazione, neanche la minima sciocchezza."

"Tutta questa storia è ridicola. Mi dipingi come un'arpia, ma cosa puoi dire di me? Solo che sto cercando di aiutarti. E sai benissimo che potrei essere utile a te e a tutta la Giovane Italia, a tutta Genova." disse con una punta di stizza.

Lui rise nuovamente"Va bene, non offenderti. Se vorrai renderti utile quando verrà il giorno potrai farlo buttando fuori dalla finestra del bel palazzo dove lavori tutti i mobili che trovi" per la prima volta Isabella girò gli occhi verso il ragazzo per rivolgergli uno sguardo torvo e interrogativo "così potrai dare il tuo contributo con la costruzione delle barricate."

Lei sospirò visibilmente irritata, la infastidiva terribilmente il modo che gli uomini avevano di dispensare contentini alle donne.

"Non è una buona mossa sottovalutarmi."

"Non lo sto facendo, affatto."

 

"Buon per te." disse appena prima di dare una spintone al suo accompagnatore con tutta la forza che il suo fragile corpo potesse adoperare. Il ragazzo colto alla sprovvista perse l'equilibrio e cadde per terra. "Ma che...?" le sue parole furono sovrastate da alcuni colpi di arma da fuoco. Qualcuno sparato da una piccola pistola impugnata dalla mano della ragazza, altri provenienti dalla parte opposta. Stefano si girò, vide un uomo poco distante da loro armato a sua volta. Gli spari erano cessati poiché entrambi sotto tiro dell'altro. A quel punto il ragazzo decise di approfittare della situazione di stallo sfoderando a sua volta l'arma che teneva nella cintura. Sparò un colpo, ,ma la distanza era tale da far che il proiettile toccasse solo di striscio il braccio sinistro dell'uomo. A sua volta sparò tre colpi per costringere i ragazzi a cercare di ripararsi e approfittando della situazione l'aggressore si dileguò dietro il vicolo dal quale era apparso.

 

Stefano si rese conto di trovarsi ancora per terra, era successo tutto così velocemente che non aveva neanche avuto il tempo di rialzarsi prima di quel momento.

"Insomma, non mi ritengono importante ma cercano comunque di uccidermi."

 

"Non ti ritengono così importante, ma ti reputano comunque scomodo. Non c'è motivo per loro di non cercare di eliminarti. E poi, poteva essere solo un ladro, le strade di Genova a quest'ora non sono sicure."

 

"E, santo cielo, perchè una dama di compagnia di una famiglia nobile va in giro armata? Questo non dovrebbe essere sospetto?"

 

 

"Sta diventando veramente noioso questo tuo atteggiamento sospettoso. Ma se lo vuoi sapere, mio padre era un marinaio, stava lontano da casa per mesi, anche per anni. Ha sempre sofferto di dover lasciare sua moglie e sua figlia da sole, senza un marito o un padre a difenderle. Ci amava, ma non poteva fare altro lavoro che quello, diceva. Per sopperire a questa mancanza, ha voluto che imparassi a difendermi da sola, o per lo meno che avessi sempre le armi per farlo."

 

Sfilò nuovamente la piccola arma, una pistola corta da difesa, di colore argentato, fatto salvo per l'impugnatura in legno.

Isabella la porse a Stefano che la prese in mano. Constatò che era leggera, adatta ad una donna e di buona fattura.

"È l'unica cosa che ho di mio padre."

Erano molte le cose che Stefano era perfettamente in grado di gestire, i sentimenti altrui, non erano tra queste cose. Riconsegnò l'oggetto, che improvvisamente pareva aver acquistato inestimabile valore, alla legittima proprietaria, e si affrettò a riportare il discorso all'origine.

 

"Che fosse un Austriaco o un ladro non cambia il fatto che mi hai salvato la vita. Siamo pari, adesso."

 

"Siamo pari?"

 

"Io non ti uccisa questa notte al porto e tu mi hai salvato la vita adesso."

 

"Io non devo la vita a te, forse al tuo compagno, Lorenzo. Ma non certo a te. Non siamo pari, mi sei debitore."

 

"Che uomo sarei se combattessi per ideali di giustizia e poi non fossi onesto? Hai ragione." Si arrestò e prese la mano pallida della ragazza con la sua "quando avrai bisogno di un favore sarò a tua disposizione, saprai dove trovarmi, mi lady."detto ciò, piegò leggermente busto e capo, accennando un inchino. Se avesse potuto essere per un momento una fanciulla come le altre, probabilmente sarebbe arrossita. Invece alzò gli occhi e ritrasse la mano.

"Odio le false promesse."

Gli occhi neri di lui si assottigliarono in un penetrante sguardo interrogativo e vagamente offeso dall'insinuazione.

"C'è solo un favore che voglio da te, che mi concedi la tua fiducia per poter far parte della Giovane Italia."

Lui non esitò a scuotere la testa "posso darti la mia fiducia per ripagare il mio debito, ma non posso permetterti di entrare nella Giovane Italia." disse perentorio.

"Vedi che sei un bugiardo. Se veramente decidessi di riporre in me la tua fiducia, allora mi concederesti anche di aiutarvi."

Per l'uomo integerrimo che Stefano aspirava ad essere, venire messo davanti a una propria contraddizione costituiva un duro colpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3.

 

21 Dicembre 1833, Genova.

 

"Se vuoi mettere in mezzo a noi questa serpe, io mi tiro fuori dai giochi. Non starò qua a guardare come lasci che ci faccia eliminare uno ad uno." Il pugno del ragazzo impattò forte sul tavolo di legno provocando un sonoro tonfo. Riccardo aveva la tendenza ad essere plateale e questo talvolta lo rendeva odioso agli occhi di Stefano che mal sopportava l'esibizionismo.

"Se non ti calmi quello che rischia di farci uccidere, sei tu." Parlò Lorenzo dando voce ai pensieri di Stefano.

Se la notte prima era stato lui a impedire che i suoi compagni uccidessero la ragazza, quel giorno non era sicuro che accoglierla nel movimento avrebbe costituito una mossa vincente. Ma conosceva bene l'amico, il suo carattere diffidente e difficile da condizionare. Era certo che se Stefano si era presentato a loro con una proposta tanto assurda sicuramente era spinto da qualche forte motivazione, e se Stefano aveva un forte motivazione sicuramente quella causa meritava il uso appoggio.

"Oh, quindi era questa la pericolosa spia di cui parlavi ieri, compagno?" chiese Teo con aria di chi non era interessato ad una risposta ma piuttosto a sbeffeggiare l'amico.

Nell'ilarità generale si alzò nuovamente la voce di Stefano "non fate l'errore di sottovalutare qualcuno perchè donna." e intercettò subito lo sguardo fiero di Isabella dopo quell'affermazione.

"Ha le sue armi e sa come usarle."

"Certo, in mezzo alle gambe." Borbottò Riccardo tra sè e sè ma con voce abbastanza alta in modo che tutti potessero sentire. Il suo parlottare fu presto interrotto, e all'espressione spavalda se ne sostituì una allarmata, quando sentì la canna di una pistola puntata sul cavallo dei suoi pantaloni.

"Dillo ancora e perderai le tue di armi in mezzo alle gambe." lo minacciò Isabella.

"Poggia subito quella pistola o ti butto fuori con le mie mani. E tu chiudi quella bocca o non farai una fine migliore." L'espressione severa di Stefano, quella che assumeva contraendo i muscoli del viso, serrando la mascella leggermente sporgente e assottigliando gli occhi scuri rendendoli ancora più penetranti, aveva la capacità di trasformarlo in una figura tanto spaventosa quanto affascinante al tempo stesso. Era come se nei momenti di tensione raggiungesse il massimo della sua bellezza e della sua autorevolezza.

A Isabella non era mai capitato di eseguire prontamente un ordine senza neanche riflettere, come in quel momento, quando ripose repentinamente la pistola nella sua fodera, come se la sola espressione severa del giovane di fronte a lei fosse stata sufficiente a far muovere il suo braccio.

"Non voglio che questa storia ci faccia perdere di vista ulteriormente qual'è il nostro vero obbiettivo. Questa ragazza ha chiesto di affiliarsi alla Giovane Italia, e benché fossi molto restio nel darle un'opportunità si è dimostrata valorosa e degna della mia fiducia. Ma lottiamo per costruire insieme una democrazia e dobbiamo saperla costruire a partire dall'interno del movimento. Per cui non imporrò la mia idea. Se la maggioranza di voi è della stessa idea di Riccardo, ditelo ora. Ma prendiamo una decisione per poi passare a questioni più importanti."

Seguirono dei necessari secondi di mormorio. Il primo a parlare fu Lorenzo "Fino a ieri saresti stato pronto ad ucciderla perchè ritenevi potesse essere un pericolo per il movimento. E saresti pronto a sacrificare anche te stesso per raggiungere il nostro obbiettivo, questo lo sappiamo tutti. Per cui sono sicuro che se hai deciso di fidarti di lei non può costituire un pericolo, non ci metteresti mai in pericolo."

Poi parlò Teo "Non dubiterei mai di Stefano, nè delle sue doti da calcolatore. Ma di questa ragazza sappiamo solo che vive tra gli Austriaci, e questo non può che costituire un fattore di rischio."

"Allora cacciate anche me" intervenne per la prima volta Simone, con un parlare che stupì tutti i presenti. "Cosa stai dicendo, amico?" chiese Teo.

"Questa ragazza non ha nascosto di vivere tutti i giorni a contatto con gli Austriaci, come io non ho mai nascosto di vivere con un padre che, mio malgrado, li appoggia. Ma nessuno di voi ha mai dubitato dei miei sentimenti sinceri verso questa causa, e io non dubito dei suoi perchè so bene quanto avere in casa il germe dell'invasore non faccia altro che alimentare la propria voglia di scacciarlo."

 

~

 

"Grazie per avermi aiutato ad avere quest'opportunità, Stefano."

I due come la notte precedente si trovavano a camminare uno affianco all'altro.

"L'ho fatto per senso del dovere, come per senso del dovere continuo ad accompagnarti a casa."

"Posso anche andare da sola, lo sai." la sua voce tradì un tono profondamente offeso "anzi, il tuo tentativo di essere un uomo in grado di proteggere una donna è alquanto fallimentare, visto che ieri hanno rischiato di colpirmi per uccidere te."

"Tu tendi a tirare fuori gli attributi anche quando non ce n'è bisogno." Lui invece non tradiva quasi mai particolari emozioni, diceva le cose così come le vedeva nella realtà. Oggi, nella discussione con Riccardo sei stata alquanto deludente."

"Ma come ti permetti? Per quanto mi riguarda tu non sei nessuno neanche per poter essere deluso."

"Sono la persona che ha puntato su di te. E per la prima volta, a differenza di quello che ha detto Lorenzo, sto rischiando di mettere in pericolo il sogno su cui sto investendo la mia vita. Per quanto ne so tu potresti veramente essere una spia, ma mi sto fidando di te."

"Sto provando a dimostrarti gratitudine per questo, ma se tornassi indietro minaccerei di nuovo quel cafone del tuo amico di fargli saltare via i gioielli di famiglia."

"Vedi, anche adesso. Che bisogno c'è? Si, si, sei una donna forte, abbiamo capito. Ma non voglio più vedere risse da bettola nelle riunioni, è una cosa seria per me."

"Lo è anche per me."

"E allora dimostralo, impara a stare al tuo posto."

Isabella odiava con ogni singola parte di sè stessa essere ripresa, in quel momento si sentiva come una bambina, una sensazione veramente rara per lei. Odiava quel ragazzo perchè le stava facendo provare quel forte senso di vergogna. Ma d'altra parte sentiva di stimare quella temperanza e serietà che metteva in ciò in cui credeva. Stefano aveva ragione, era questa la cosa che le provocava imbarazzo, essere messa nella posizione di non poter discolparsi davanti alla realtà.

"E Riccardo non è un mio amico. È un mio compagno, così come da adesso sarà anche un tuo compagno. Ma è stato un idiota, sa eccellere in questo."

Lei annuì, poi sorrise. Non sapeva come, ma la rabbia in lei si era calmata.

"Sai che non mi devi riaccompagnare a casa ogni volta?"

"Lo so, ma i miei mi hanno educato ad essere un gentiluomo."

"Un rivoluzionario, un gentiluomo... e poi?"

"E poi cosa?"

"Non so, cosa vuole fare da grande Stefano Menossi"

Lui sorrise per quell'espressione, cosa vuoi fare da grande? L'ultima volta che gli era stato chiesto doveva aver avuto una decina di anni e ancora si ricorda distintamente la risposta, il maresciallo, quanto avrebbe reso orgoglioso i suoi genitori. Forse avrebbe potuto dire l'avvocato o il notaio, a fronte degli studi giuridici che stava portando a compimento. Ma la verità è che non aveva mai creduto che avrebbe fatto niente del genere. Studiava legge perchè amava l'ideale su cui si fondava, non per rubare una professione.

Effettivamente, non ci pensava più da tanto tempo, a cosa sarebbe voluto diventare. Da qualche anno a quella parte aveva investito ogni energia e pensiero nell'obbiettivo della Giovane Italia.

"Esattamente quello che sto facendo." rispose senza indugiare oltre.

"Ma prima o poi questo finirà, altrimenti per cosa combatti?"

"Sappiamo bene tutti che molto probabilmente non vivremo abbastanza per vedere l'Italia unita." disse quella frase con un'apatia tale da essere stupefacente.

"E allora perchè lo fate?"

"Perchè a fare la storia non è solo ciò che è successo ma anche ciò che sarebbe potuto succedere ma non è avvenuto."

"Non credo di capire."

"Strano. Pensavo fossi una ragazza molto perspicace."

"Sono una ragazza molto pratica, se lotto per qualcosa lo faccio per raggiungere un'obbiettivo."

"Hai ragione, non hai capito. Quello che stiamo facendo adesso per l'Italia, con ogni probabilità ci porterà a morire prima di riuscirne a vedere i risultati. Ma quello che avremmo fatto, quello in cui avremmo creduto e per il quale saremmo morti, rimarrà impresso nella memoria, spianerà la strada a chi dopo di noi farà la storia. Noi scriveremo il prologo, della storia. E sarà assolutamente necessario. Sarà la nostra memoria che spingerà al progresso."

"Insomma pensi che siamo tutti dei martiri? Mi dispiace contraddirti ma non è quello che voglio essere. Io, al contrario tuo, non inizierei mai una guerra da perdente."

Stefano estrasse la mano dalla tasca dei pantaloni per appoggiarla sulla nuca della ragazza e con un gesto completamente estraneo al suo normale modo di essere, scompigliò i morbidi capelli color dell'oro. "Sei tanto più ingenua di quello che pensavo."

Isabella non rispose, non le capitava mai, che un gesto così semplice la lasciasse senza parole.

"Ma questo non è un male. Ti rende sicuramente una persona più interessante rispetto a quello che ti ostini ad ostentare."

"Non sai niente di me."

"Dicono tutti così. Tutti hanno l'arrogante convinzione di essere incomprensibili." Disse lui, che era il primo a pensare di esserlo, e probabilmente uno dei pochi ad essere incomprensibile realmente.

 

~

 

25 Gennaio 1834, Genova.

 

Il vento freddo del nord era arrivato puntuale ad agitare il mare, a imperversare le onde che come cavalli imbizzarriti minacciavano i marinai; a gettare aria di tempesta su una Genova che, forse troppo spesso si faceva trovare impreparata.

 

Quella sera la Locanda del porto era più affollata del solito. Molti marinai si rintanavano al suo interno a causa della furia della Tramontana. Consumavano ingenti quantità di birra e si addormentavano con la faccia sui tavoli di legno, sperano di risvegliarsi all'alba con un tempo migliore. Giovanni solitamente li avrebbe buttati fuori, ma nelle notti in cui la tramontana era più arrabbiata era consuetudine dei Genovesi offrire riparo ai marinai.

In particolare quell'anno, la prassi di ospitalità dei cittadini di quella città di mare offrivano un ottimo diversivo per i piani dei ribelli.

Infatti, nell'atmosfera caotica di quelle sere, nessuno prestava particolare attenzione a chi entrava nella locanda, a cosa faceva o a con chi parlava.

Fu semplice far passare inosservati i due uomini e il carico che trasportavano.

Lucio e Carlo Falletti erano due fratelli che vivevano del contrabbando di armi, il Pirata, che nonostante lo sfortunato incidente del suo occhio, non aveva mai abbandonato la passione per le armi, li conosceva bene ed era in trattativa con loro per conto della Giovane Italia da qualche mese.

"Se avete bisogno di tutte queste armi avrete intenzione di agire" fece la sua supposizione Carlo, il minore dei fratelli.

Pietro alzò le spalle assunse espressione indifferente mentre passava in rassegna l'artiglieria. Non era un tipo loquace, piuttosto era una persona molto concreta, e lo dimostrava anche nel movimento, difficilmente partecipava alle accese discussioni, era più probabile trovarlo al porto o nei vicoli di

Genova a cercare di procurare tutto il necessario per organizzare il loro moto, come la fornitura di provviste per non morire di fame dietro le barricate, o per l'appunto, l'armamentario necessario per affrontare gli Austriaci in modo dignitoso.

"Allora, un proiettile ti ha fatto saltare via la lingua oltre che l'occhio, Pirata?"

"Anche se vi dicessi che abbiamo deciso quando muoverci sono sicuro che non vi vedremmo al nostro fianco in quel giorno"

"Amico mio, noi ci teniamo alla pelle."

Il ragazzo tirò fuori il sacco e lo lanciò ai piedi dei fratelli, nell'impatto le monete al suo interno risuonarono come come piccole campanelle. Carlo lo raccolse e constatò con piacere che quel sacco era ben pesante.

"Allora amico, se avete deciso di fare questa follia di rivoluzione, immagino che questo sia il nostro ultimo saluto." disse Lucio durante le strette di mano "vendi cara la pelle, Pirata." aggiunse, dopo aver interpretato il suo silenzio assenso.

 

Una volta concluso l'affare, Stefano raggiunse il compagno nel retrobottega accompagnato da Simone ed Isabella.

"Voi avete il compito di nascondere le armi fino al giorno stabilito. Siete certi che le persone che avete in casa non sospettino di voi, non vi seguano, non abbiano modo di trovare le armi?"

"Affermativo, mio padre è sempre fuori casa, tra il lavoro e il suo circolo di amici ripugnanti, non andrà mai alla ricerca di nulla. In più è rispettato da ogni Austriaco di Genova, nessuno si permetterebbe di far incursione nella nostra abitazione."

"Io conosco quella casa come le mie tasche, se qualcuno mi spiasse me ne accorgerei. Nella cantina non entra mai nessuno e sopratutto, non ci sono probabilità che vengano a perquisire una famiglia di Austriaci."

"Va bene, Pietro, tu aiuta Simone a portare il suo carico. Io aiuto Isabella con questo." disse indicando una delle due casse che erano state precedentemente aperte e passate al vaglio del Pirata.

"Che poi, vorrei proprio sapere se saprai cavartela anche con uno di questi." estrasse uno dei fucili a percussione che gli erano appena stati portati dai fratelli Falletti.

Lei lo imitò, ed imbracciò uno di quelle armi, che effettivamente a confronto con la grazia delle braccia esili pareva molto pesante. Qualche secondo dopo prese la mira nella direzione di Stefano "vuoi una dimostrazione?" chiese con un'ironia inquietante che altre volte l'aveva contraddistinta.

Invece che arretrare, Stefano mosse qualche passo nella direzione dell'arma, fino quasi a sfiorarne la canna con petto. Ma mentre puntava i suoi occhi scuri sulla ragazza, pareva che tra i due fosse lei ad essere sotto tiro in quel momento. Con il palmo della mano destra afferrò saldamente la canna del fucile e con una mossa veloce ne deviò la direzione

"Tu tendi a tirare fuori gli attributi anche quando non ce n'è bisogno." disse, quasi ridendo, per smorzare la tensione.

 

 

~

 

 

Il vento richiuse velocemente la porta della Locanda, giusto in tempo perchè entrambi potessero uscire trasportando fuori la cassa. Quel tempo tempestoso che era stato loro alleato poco prima era già diventato un nuovo ostacolo.

"tramuntan-na scüa, ægua següa." disse il ragazzo rispolverando il vecchio proverbio Ligure.

"Tramontana scura, pioggia scura." Tradusse dopo aver notato l'espressione interrogativa di Isabella "Sicura di essere Genovese?" la prese in giro. Lei sospirò "io odio la pioggia."

"Mi dispiace, perchè ne dovrai prendere un bel po'. Dobbiamo usare i mantelli per coprire il carico."

"Meraviglioso."

 

 

~

 

 

Il percorso per tornare a casa non era mia stato tanto ostile, l'acqua gelida doveva essere penetrata nelle ossa per procurargli quei tremori. Una volta entrati nella cantina la situazione non fece altro che peggiorare. L'ambiente era umido e buio. Isabella accese la piccola luce, insufficiente ad illuminare tutto l'ambiente, che rimaneva angusto ed in penombra.

"Dove potremmo mettere le armi per essere sicuri che nessuno le trovi?"

Lei indicò un angolo, già pieno di diverse altre casse.

"Tutto bene?"

Lei annuì.

"Ma tu stai morendo di freddo."

"No, sto bene. Ora ti aiuto a nasconderle e andiamo via."

Per quanto la poca luce potesse permettere, vide il ragazzo sorridere gentilmente,

e, lasciati cadere per terra i mantelli fradici, avvicinarsi a lei.

"Stai tremando." Disse prima di avvolgerla tra le sue braccia.

Conosceva Stefano da più di un mese ormai, non gli era nascosto che il ragazzo godesse di un personale fascino statuario, a tratti algido. Mai aveva pensato all'ipotesi che avrebbe potuto ricevere qualcosa di simile ad un abbraccio. Ma per quanto inaspettato fosse quel gesto, Isabella non esitò un secondo a stringersi il più possibile contro il corpo del ragazzo. E mentre lei nascondeva il viso nell'incavo del suo collo, lui, le baciò la chioma dorata. E dopo averle usato questa premura sciolse l'abbraccio. "Aiutami a nascondere le armi e poi andiamo via."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** capitolo 4. ***


Capitolo 4.

28 Gennaio 1834, Genova.

 

"Lunedì 4 Febbraio." disse solo Stefano.

Il vociare di tutti i presenti si sollevò, e la domanda che usciva dalla bocca di ognuno era quasi sempre la stessa "una settimana?"

"Siamo pronti, non possiamo aspettare altro tempo. Abbiamo le armi, abbiamo il popolo dalla nostra parte, non c'è nessun motivo per rimanere ancora fermi." Intervenne Lorenzo.

"Non so, non so se siamo pronti." Replicò qualcun'altro.

"Chi non è pronto adesso, non sarà pronto mai. E allora può anche andare via ora." Sentenziò Stefano. "Ma io non intendo aspettare ancora, per vedere questa città soffocare sotto il dominio Austriaco, giorno dopo giorno. Ancora un po' e la gente smetterà anche di credere che sia possibile liberarsi. E allora si, che non avremmo più alcuna possibilità. Io voglio strappare personalmente Genova dalle mani degli stranieri. Io voglio l'Italia unità, e combatterò per prendermela, dietro le barricate costruiremo un futuro, e moriremo per farlo, se necessario. Io sono pronto, sono pronto a morire per questo, se la mia morte servirà a far capire anche ad una sola persona che c'è bisogno di liberarsi."

 

~

 

"Bel discorso questa sera." si congratulò Isabella, durante il consueto tragitto che percorreva con Stefano.

"Sei ironica?"

"Un po'. Ma non conta, l'importante è che li hai convinti."

"Io non convinco nessuno."

"Lo fai. Ed è giusto così, sei un bravo condottiero. Li convinci che possono fare quello che gli stai chiedendo. Morirebbero per te."

Lui non rispose, non pensava avesse ragione, ma non era neanche così convinto che si stesse sbagliando. Così tacque.

Ma a differenza sua, Isabella non era una così grande estimatrice di quei silenzi.

"Tu davvero sei pronto a morire?" lui si limitò ad annuire, sperando che lei si convincesse a lasciarlo in pace.

"Ma saresti anche pronto alla morte di chi ami?"

"Non c'è nessuno che ami abbastanza per dovermi porre questa domanda. A parte i miei genitori, ma non credo che li vedrò mai morire."

 

~

 

 

2 Febbraio 1833, Genova.

 

"Ricordiamoci che la nostra arma più forte sarà l'effetto sorpresa e l'appoggio del popolo che, speriamo, si unirà alla rivolta. Ergeremo barricate ovunque ma avremmo tre punti nevralgici, Piazza San Domenico, Porta Lanterna e Piazza Sarzana. Sappiamo che da quest'ultima avremmo la risposta più dura perchè hanno la loro caserma. Ma l'obbiettivo sarà proprio quelli di stancare tutte le loro forze dall'inizio. Sarò io a guidare quest'assedio. A Piazza San Domenico vi guiderà Riccardo, mentre a Porta Lanterna farete capo a Simone. Le armi le gestirà, com'è ovvio, il Pirata. "

"Ognuno di voi avrà una rivoltella e diverse munizioni. Oltre a quelli che già possedete. Qualcuno avrà anche un fucile a percussione..."

Mentre il ragazzo continuava a spiegare Stefano prese da parte Lorenzo.

"Sicuro che ti va bene?"

"Certo."

"Dimmi una parola e la guida di Piazza San Domenico è tua." ma l'altro subito lo fermò."Sarò a Piazza Sarzana quel giorno" e dopo pochi istanti di silenzio aggiunse "al tuo fianco, amico."

Stefano lo abbracciò e ringraziò il cielo per poter contare nella sua vita su almeno una persona come Lorenzo.

Quando ognuno dei ragazzi ebbe finito di spiegare il piano d'azione per il proprio gruppo, riprese la parola Stefano "per questa notte penso possa bastare. Sappiate che domani potrebbe essere il vostro ultimo giorno. Vivetevelo, godetevelo. La sera ci incontreremo qui un po' prima del solito, e all'alba del giorno dopo, insorgeremo. Nella migliore delle ipotesi, libereremo la città. Nella peggiore delle ipotesi moriremo, ma il nostro sangue rimarrà nella memoria di tutto il popolo e di chi ci succederà."

 

 

~

 

 

"Cosa farete questa notte?"

"Qualcuno farà l'amore con la propria donna, o con una prostituta probabilmente. Sono certo che Andrea suonerà il pianoforte finchè non crollerà sui tasti, qualcuno semplicemente dormirà."

"Tu?"

"Io camminerò per tutta Genova, per ricordarla così, prima che venga devastata dalle lotte."

"Posso venire con te?"

"Starai in silenzio?"

"Non te lo posso promettere."

"Va bene."

 

In realtà, rimasero veramente in silenzio per lunga parte del tragitto, intenti ad ammirare la bellezza di una città addormentata, coperta dal manto scuro del cielo di inizio febbraio.

Camminarono senza una meta, fino a quando non sentirono che nell'aria si faceva più intenso e pungente l'odore di salsedine e alghe.

Stefano arrotolò le estremità dei pantaloni in modo da lasciar scoperte le caviglie e agilmente salì su uno scoglio. Poi allungò la mano con galanteria. Lei, tirò su i lembi della veste con una mano e con l'altra accettò l'aiuto del compagno.

Si sedettero sulla pietra fredda e appuntita, stringendo i loro corpi per creare un angolo confortevole.

"Dovrai procurarti dei vestiti più comodi, o hai intenzione di combattere gli Austriaci in gonnella?"

"Posso fare qualsiasi cosa in gonnella."

"Non avevo dubbi." Fece quell'accenno di risata che Isabella aveva imparato a riconoscere come peculiarità del suo interlocutore.

"Ora mi dirai che tiro fuori gli attributi quando anche quando non ce n'è bisogno?" Chiese, scimmiottando la voce profonda del giovane.

Lui scosse la testa "No, no. Ti dico invece, che hai ragione. Che non ho mai conosciuto una persona più caparbia di te e con tanta forza d'animo, da farmi credere che davvero saresti in gradi di far sorgere il sole in questo preciso istante solo perchè lo desideri tanto."

"È forse una lusinga? Non te ne ho mai sentita fare una."

"No, non lo è. È semplicemente quello che penso."

Lei annui e alzò il sopracciglio sottile.

"Se ti dicessi che, non ho mai conosciuto una donna tanto bella..." Stefano spostò lo sguardo dal vuoto al viso della ragazza ancora puntato sull'orizzonte. Posò una mano sulla guancia e delicatamente ma deciso, costrinse lo sguardo di lei a cambiare direzione.

"o se dicessi che non avevo mai trovato occhi capaci di affascinarmi più di quanto mi affascini il mare." la mano che era rimasta a contatto con la guancia si spostò leggermente nel tenero gesto di una carezza "E se dicessi che sei la cosa che più desidero avere oggi, sapendo che presto potrei morire.." si avvicinò a lei, in modo tale da poter sentire i lunghi capelli mossi dal vento solleticargli la pelle e il suo respiro smorzato risuonare nel cervello più forte dello scroscio dell'acqua. "Se ti dicessi tutte queste cose ti starei facendo delle lusinghe."

Isabella in un gesto impulsivo distolse subito lo sguardo e accennò una risata, imitando nuovamente i modi del ragazzo. "Ovviamente." affermò solo, incapace di dire altro per l'imbarazzo. L'aveva presa in giro, e non si sentiva neanche nella posizione di poterlo biasimare. Quante vole anche lei aveva usato la seduzione per dimostrare la sua supremazia sugli altri, e lo avrebbe fatto anche con Stefano, se lui fosse stato abbastanza ingenuo da permetterglielo, come era stata lei.

Non fece in tempo a mascherare l'orgoglio ferito che di nuovo sentì la mano del ragazzo ripetere il gesto di poco prima. Costretta, si trovò nuovamente faccia a faccia con Stefano.

"Ma anche queste sono tutte cose che penso." Fu l'ultima cosa che disse prima di posare la bocca su quella tanto bramata. Isabella pensò di morire per un istante per poi riprendere a vivere dei respiri esalati dalle labbra di Stefano.

Si baciarono con una dolce foga, con l'impeto e la gentilezza che solo loro sapevano armonizzare alla perfezione.

Per qualche attimo l'unica libertà che desideravano era quella di poter essere due ragazzi che si baciano seduti su uno scoglio in riva al mare.

Ma a nessuno dei due quella libertà poteva essere concessa.

A malincuore, Isabella interruppe quel momento "Andiamo via." disse solo, senza crederci veramente.

"Cosa?"

"Dobbiamo andare via, devi andare via, da Genova intendo."

"Sei impazzita?" Quello che prima era apparso come un innocente attimo di euforia, adesso iniziava a delinearsi come qualcosa di preoccupante.

La ragazza si alzò di scatto e sgattaiolo giù dallo scoglio, lui la seguì e prima che potesse cominciare a camminare la fermò per un braccio.

"Non scappare via. Io, veramente, non capisco.." era difficile per ui ammetterlo, persino in quella situazione.

"Ti arresteranno o ti uccideranno, io non lo so. Ma in ogni caso, non voglio che succeda."

Lui sospirò ma con fare docile "Si, lo so che potrebbe capitare..."

"No!" urlò lei, liberando il braccio dalla presa. "Non potrebbe capitare, capiterà. Lunedì loro saranno pronti, vi stanno aspettando. Loro sanno tutto, i vostri nomi, dove trovarvi, cosa volete fare, lunedì sarà la fine." e mentre parlava la voce gli si ruppe in un pianto.

"Cosa stai dicendo?" Domandò come domanda chi conosce le risposte ma ne vorrebbe altre.

"Lo sai." Riuscì a malapena a singhiozzare.

"Isabella, sei una spia Austriaca?" il tono della sua voce era di una calma inquietante.

"No. Sono la figlia del maresciallo Radestcky."

Stefano non perse mai il controllo quella notte, per il semplice motivo che sapeva che se si fosse lasciato andare alla sua rabbia l'avrebbe uccisa su quella spiaggia.

"Perdonami."

"Perdonarti? Non perdonerò mai neanche me stesso per averti lasciato vivere la prima notte che ti ho vista."

"Cosa avrei potuto fare? Io sono un'austriaca, mio padre è l'uomo che più di chiunque altro vorreste vedere morto. Odio me stessa per avervi tradito, per avere tradito te. Ho sbagliato, ma la mia non è stata una posizione facile."

"Le nostre armi?"

"Le hanno già sequestrate. Mio padre le ha portate in caserma."

Rimasero in silenzio secondi interminabili, un silenzio violento, che soffocava. Che venne rotto nuovamente dalla voce della ragazza. "Io sono pentita e posso ancora aiutarvi. Se potessi stare con te dietro le barricate..."

Stefano la interruppe bruscamente "Questa notte, dovrò andare dai miei compagni a dirgli che quello che loro ritenevano il capo del movimento ha buttato all'aria il progetto di una vita per essersi fidato di una spia infame, forse mi giustizieranno, forse mi grazieranno. Ma se ti azzarderai ad avvicinarti alle barricate loro ti prenderanno, ti stupreranno, ti useranno come merce di scambio con tuo padre. E se non otterranno quello che vogliono ti rispediranno dall'altra parte delle barricate in tanti piccoli pezzi." fece la sua macabra descrizione con gli occhi completamente persi nel vuoto, non riusciva neanche a guardarla.

"Non mi importa."

"A me si." la voce, che fino a quel momento era stata asettica, gli si strozzò in gola. "Sparisci." la supplicò.

 

 

~

 

 

3 Febbraio 1834, Genova.

 

La locanda quella sera era rimasta chiusa per poter permettere ai ragazzi della Giovane Italia di prepararsi al meglio all'azione che avevano in programma per il giorno dopo. Ma nessuno avrebbe pensato che quella notte si sarebbero dovuti trovare ad affrontare quello che stava succedendo.

La tensione era all'apice, molti avevano già abbandonato per sempre la causa, altri fuori di loro dalla rabbia chiedevano immediata vendetta.

"Compagni, quello che ha fatto Stefano è l'errore peggiore che potesse fare. Ma non è stato l'unico a fidarsi di quella donna. E adesso è inutile ucciderci tra noi." Lorenzo provava a calmare gli animi.

"Cosa cambia? Domani ci arresteranno o ci ammazzeranno perchè il nostro capo" Riccardo accentò quella parola con tutto il disprezzo possibile "era troppo impegnato a rincorrere la gonnella della figlia del maresciallo Radestcky. Non possiamo più fare niente e tu stai ancora qui a parlare di cosa è utile o inutile fare."

"Questo è ingiusto. Stefano non si merita..." provò a difendere l'amico ma venne interrotto dal diretto interessato."È giusto, mi merito questo ed altro. Ma non è vero che ormai è tutto inutile. Giustiziatemi, se volete, ma lasciate che Lorenzo vi guidi nella lotta che dobbiamo portare a termine."

"Certo, con la metà delle armi e gli Austriaci che sanno i nostri piani."

"Sappiamo per certo che domani verranno per arrestarci. Quello che possiamo ancora fare è non rendergli le cose facili. Abbiamo ancora tutta una notte per coglierli di sorpresa..."

"Quale sarebbe il nuovo piano?" Chiese Riccardo mostrandosi finalmente nuovamente fiducioso nei suoi compagni, segnando così una sorta di sodalizio all'interno del movimento in tumulto.

Stefano intercettò lo sguardo del ragazzo e lo ringraziò silenziosamente per l'aiuto. Riccardo era una testa calda, ma a differenza di quello che era solito far credere, aveva veramente a cuore la causa della Giovane Italia.

"Questa notte, appena ci alzeremo dalle nostre sedie, saremo messi davanti ad un bivio: tornare alle nostre case in attesa che il sole sorga e che vengano ad arrestarci, o assaltare la caserma di Piazza Sarzana, riprenderci le nostre armi e puntarle contro il muso stupito degli Austriaci che proveranno ad entrare nella loro caserma. E mentre useranno le loro forze per cacciarci via, altri gruppi ergeranno le barricate per tutta Genova."

 

 

~

 

 

Quella notte, i ribelli insorsero sfondando la porta della caserma e occupandola. Recuperarono le loro armi e le usarono senza pietà contro ogni Austriaco provasse ad entrare.

Avevano parlato di giustizia e libertà per anni, ma nessuno di loro aveva mai visto prima di allora tutto il sangue che erano stati costretti a versare. Ma, sopratutto, nessuno di loro era realmente preparato quando arrivò la notizia che, dall'altra parte della città, il corpo di Simone giaceva in una pozza di sangue.

Cercarono di mantenere la calma, ripetendosi che era giusto, per la libertà, per l'Italia unità!

E ci credevano veramente, anche quando dovettero usare i cadaveri dei loro compagni come scudo quando gli Austriaci stavano per avere la meglio.

 

~

 

La situazione si incrinò quando una giovane staffetta fece giungere la notizia che la barricata di Piazza San Domenico era caduta, e tutti gli insorti erano stati fucilati seduta stante senza avere l'opportunità di arrendersi. A poco servirono i tentativi di Stefano e Lorenzo di far mantenere la calma. Appena la paura trovò una crepa aperta, entrò tra le fila degli insorti per fare più morti di qualsiasi arma. Per questo, quando gli Austriaci comunicarono la possibilità risparmiare la vita a chiunque si fosse arreso volontariamente, la caserma si sgomberò in pochi minuti.

"Siate furbi, gettate le armi e arrendetevi, siete circondati." Disse un uomo nerboruto, vestito in alta uniforme, che si apprestava ad entrare nella caserma popolata ormai solo da cadaveri e dai pochissimi insorti che non avevano accettato la resa.

"Preferiamo morire qua dentro. Per la libertà, per l'Italia unità!" parlò fiero Stefano, anche a nome dei compagni rimasti.

"Come volete, per me non è un problema farvi fucilare in questo momento, proprio contro la parete della mia caserma che avete profanato." Camminava in modo rilassato, con lo sguardo puntato verso l'alto e le mani incrociate dietro la schiena, come farebbe un signore al parco la domenica mattina. "Ma prima di uccidervi, mi piacerebbe capire perchè lo fate... io capisco, è bello giocare a fare la rivoluzione, ma, non che abbiate mai avuto possibilità di vincere, ormai avete perso. È finita. Perchè volete morire?"

 

"Perchè a fare la storia non è solo ciò che è successo ma anche ciò che sarebbe potuto succedere ma non è avvenuto."

 

Una voce di donna si alzò, una voce che fece sussultare sia Stefano sia l'uomo che smise immediatamente di passeggiare.

Isabella si fece spazio tra i soldati, paralizzando al suo passaggio chiunque la stesse osservando. Allarmati gli uomini cercavano direttive dal loro comandante mentre ragazza si univa ai loro bersagli.

Quando fu tanto vicina da poter puntare i suoi occhi blu in quegli increduli e per la prima volta spaventati di Stefano, si arrestò "Ora capisco cosa vuol dire."

"Non so cosa tu creda di aver capito, ma devi andartene di qua."

"No." disse prima di prendergli la mano tremante.

"Questo ragazzo ha ragione. Non è posto per una donna."

"Ti sbagli, padre. Questo è esattamente il mio posto."

"Isabella, tra qualche secondo darò ordine ai miei uomini di aprire il fuoco contro chiunque si sarà rifiutato di obbedire e..."

"E io sarò qui."

"Dovrò giustiziare anche te se rimarrai lì."

A quelle parole Stefano prese tra le mani il viso della ragazza e lo avvicinò bruscamente al suo, in modo che potesse guardare nient'altro che i suoi occhi. "Ti prego, Isabella. Ti prego, vai via." e le iridi scure si riempirono di gocce lucenti.

Lei sorrise "Allora neanche tu sei pronto a veder morire chi ami." era una rara dote che possedeva quella ragazza, saper essere sfacciata davanti alla morte.

"No, no. Sei una stupida, Isabella." Pianse, come non pensava fosse possibile piangere.

 

"Ve lo domando per l'ultima volta, volete arrendervi?" Gregor Radestcky era un maresciallo da così tanto tempo, così tanto tempo che non sapeva essere altro, neanche un padre. Questo Isabella lo aveva sempre saputo. Stefano invece era un capo, un rivoluzionario, un uomo politico, ma sapeva essere anche un giovane ragazzo innamorato, che bacia una ragazza su uno scoglio in riva al mare.

Per questo motivo, gli asciugò le lacrime e scelse l'uomo che l'avrebbe accompagnata fino all'ultimo respiro.

"Scriviamo il prologo della storia?" chiese lei.

E quando le loro labbra si unirono in un nuovo bacio, come nella notte sul mare di Genova,Isabella pensò di morire, anche se sapeva che quella volta non sarebbe tornata a vivere dei respiri esalati dalle labbra di Stefano.
 

Fine.

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