Adam: Soccorso dal Passato

di Christian_Jiang
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro ***
Capitolo 2: *** Amicizia ***
Capitolo 3: *** Scuola ***



Capitolo 1
*** Incontro ***


    Quella giornata era iniziata come tutte le altre: in maniera monotona. Senza pensarci, eseguivo i miei rituali mattutini affidandomi alla memoria muscolare, che meglio dei miei occhi era consapevole di ciò che mi circondava. Intanto contemplavo il paesaggio funereo fuori dalla finestra: nuvole cupe e grigie ricoprivano il cielo; acqua gelida inzuppava le foglie, facendole piegare sotto il loro peso; fredde goccioline di pioggia finivano sui tetti delle case, rendendoli lucidi, e sulle strade, trasformandole in sporchi fiumi di fango.

    Mi stavo lavando il viso, quando sentii un brivido percorrere la mia schiena. C’era qualcosa che non andava. Il mio tremito era stato causato da un rumore nella camera, che si ripeté, facendomi sobbalzare. Ero da solo quel giorno… Mi asciugai velocemente e mi diressi a passi lenti verso la mia stanza, luogo caldo e familiare che era diventato a un tratto freddo e ostile. Timoroso, iniziai a immaginarmi qualsiasi tipo di creatura mostruosa, forse per rendere meno terrificante l’imminente incontro. Ma, alla fine, di fronte alla porta socchiusa della camera, non feci altro che sperare di trovarmi davanti qualcosa anche solo di remotamente umano, nel quale avessi potuto affogare i miei ben più grandi timori. Ormai era certo che ci fosse qualcosa: a quella distanza si sentiva persino il respiro di quella misteriosa creatura.

    “Chi sei?” chiese lui, seduto sul mio letto. Mi piace pensare di aver detto anch’io ‘chi sei?’ nello stesso momento in cui l’aveva pronunciato lui, ma in realtà non avevo fatto altro che gridare. Cercai subito di soffocare il mio urlo, rendendomi conto dell’innocuità dell’intruso. Non poteva essere un ladro, e nemmeno un assassino. Aveva la mia stessa età; l’unica cosa che non quadrava era la sua presenza nella mia camera.

    “Come sei finito qui?” chiesi, dopo essermi ripreso dallo spavento. Notai i suoi vestiti grezzi, con lacci rudimentali e cuciture ben visibili.

    “Non ne ho idea,” rispose “ma tu sembri più sorpreso di me. Come ti chiami?”

    “Non è il momento. Da dove vieni? Fuori dalla mia casa!” un furore mai provato si era impossessato di me: dovevo denunciarlo! Si era intrufolato in casa mia in quella maniera e mi aveva spaventato, privandomi di ogni dignità.

    “Calmati,” e sorrise, facendomi quasi sentire in colpa “io cerco solo amici. Vengo dall’Inghilterra e…”

    “Aspetta, Inghilterra?”

    “A casa mia non s’interrompe la gente quando parla… Comunque sì, vengo dall’Inghilterra di Edoardo III e… so solo questo. Non vengo da una famiglia aristocratica; non è che ci intendiamo tanto delle realtà che ci circondano.”

    Stetti in silenzio per qualche istante. Quello doveva essere uno scherzo. Non riuscii ad arrabbiarmi di nuovo, perciò, con una voce melliflua, sussurrai: “Ora te ne vai da casa mia… e vai a scimmiottare questa recita da qualche altra parte. Non sono dell’umore adatto.”

    Negli occhi dello sconosciuto vidi un genuino sguardo di tristezza e smarrimento, ma rimasi impassibile più per dimostrare la mia inflessibilità che per stizza. Comunque, una volta  mandatolo fuori dal mio appartamento, corsi al balcone per vedere da che parte sarebbe andato il disgraziato, in un disperato tentativo di scoprire le sue origini. Il ragazzo, sempre nei suoi strani abiti, correva proprio al centro della strada asfaltata, evitando macchine come se si trovasse in un videogioco in cui la sua vita non era altro che un punteggio.

    Un continuo risuonare di clacson raggiunse le mie orecchie: solo in quel momento mi accorsi che stavo mettendo in pericolo la vita di un individuo probabilmente fuori di testa. Le responsabilità sarebbero ricadute su di me! Terrorizzato, uscii di casa correndo, afferrando all’ultimo momento una giacca per proteggermi dalle fredde gocce di pioggia.

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Capitolo 2
*** Amicizia ***


    Prima di quel giorno, non avevo mai visto vestiti come quelli di Adam. Sembrava che provenissero dal Medio Evo: non erano del tutto piacevoli da guardare, non sembravano neanche tanto puliti, ed erano alquanto ruvidi al tatto. Anche nello sguardo del ragazzo avvertivo qualcosa di indescrivibilmente diverso. Ah, giusto, e anche nell’odore.

    Mentre lo riaccompagnavo verso casa mia ero ancora un po’ arrabbiato. Ero l’unico ad essere protetto dalla pioggia, mentre lui era bagnato fradicio fino alle ossa; il suo odore, come nei cani, era divenuto più forte a contatto con l’acqua. All’improvviso il poveraccio si mise a piangere, farfugliando frasi che non riuscivo a capire. Sospirai, cercando di ignorarlo guardando da tutt’altra parte. Tra le tante frasi che vomitava, riuscii forse a sentire un soffocato “Mi sono perso! Scusa!

    Più tempo passavo con Adam, più mi accorgevo che era possibile che venisse davvero dal Medio Evo, o da sotto una roccia. Gli dissi di andare a farsi una doccia, e non capì; gli chiesi della sua scuola, e non comprese… Più domande facevo, più confuso era. Alla fine, sentendomi un perfetto imbecille, spiegai che cosa fossero una doccia, una scuola e mille altre cose.

    “Ehi, siamo nell’anno 2017!” esclamai alla fine, spazientito, dopo che mi fece l’ennesima domanda stupida.

    “2017? Dopo… cosa…?”. La voce di Adam tremò.

    “Dopo Cristo, naturalmente.”

    “Ah, Cristo! Ormai di familiare ci sei solo tu!” e quasi gli mancò il respiro: “Vuol dire che mio fratello… i miei genitori… sono già tutti nel sonno eterno? E io? Perché sono qui?”

    “Questo non lo so. E stavo giusto per chiederlo a te. Comunque vai a farti una doccia. Non so se chiamare la polizia o no, ma dato che sono buono ti faccio stare da me per qualche giorno. I miei non ci sono; posso fare tutto quel che voglio” feci velocemente prima di andarmene.

    Una volta da solo nella mia camera, sospirai e iniziai a massaggiarmi le tempie. Non capivo che cosa stesse succedendo. Avevo fatto finta di fare il “duro”, il “maleducato”, per non lasciar trasparire la mia insicurezza, la mia debolezza. Era come se, mentre parlavo con Adam, non avessi fatto altro che nascondermi dietro a una falsa copia di me. Mentre lui, al contrario di me, era completamente sincero e diceva tutto quello che gli passava per la testa. Era perso, e lo dimostrava; era triste, e lo si capiva; era devastato, e lo si vedeva. Iniziai a sentirmi in colpa per la povera anima che in quel momento cercava di capire come funzionasse la doccia, quell’anima che avevo lasciato più spaesata di prima, ancora più persa psicologicamente, e vulnerabile alle pericolose trappole di una casa moderna.

 

    Erano le otto di sera: io stavo preparando la cena; lui era ancora nell’accappatoio, ma almeno non puzzava più di cane bagnato. Avevo riflettuto abbastanza in camera mia: non dovevo più essere così cattivo, perché accanto a me c’era una persona che necessitava d’aiuto, e che non meritava di essere trattata così. Avrei cercato di comportarmi meglio.

    “Un giorno andrai a scuola con me: ti presenterò i miei amici,” dissi, mangiando il mio panino “però ti dovrò insegnare un po’ di cose riguardanti il 2017…” Era una scelta pericolosa portarlo fuori da casa mia, però da una parte fremevo dalla voglia di presentargli il mio avanzato mondo, dall’altra, anche se faticavo ad ammetterlo a me stesso, volevo che i miei compagni sapessero che anch’io avevo qualche amico al di fuori delle pareti della scuola.

    “Io non vorrei stare qui per sempre. So che questo mondo non fa per me. Vorrei tornare un giorno a casa mia… La mia comoda casa…” rispose Adam, osservando con aria preoccupata quel liquido giallastro che non era altro che tè freddo al limone.

    “Non hai ancora dormito su un letto del ventunesimo secolo allora!”

    “No, non capisci. La casa è insostituibile. Potrei anche andare a vivere a corte; tuttavia, nulla supererà la mia vera casa…”

    Stetti in silenzio per qualche secondo. “Allora questa sarà la tua seconda casa. E a poco a poco diventerà la tua prima casa. Tu non dovrai dimenticare le tue origini, ma non dovrai nemmeno rimanere attaccato ad essi. Viviamo nel presente e non nel passato! Guarda in avanti. Poi sono sicuro che potrai tornare dai tuoi. Ti prometto che un giorno ti riporterò a casa.”

    Adam mi guardò speranzoso. “Allora siamo amici?”

    “Sì… sì, lo siamo.”

    Quando ero piccolo, spesso pensavo alla reazione di un uomo proveniente dal passato improvvisamente trascinato nel presente. Mi immaginavo la sua meraviglia, la sua felicità e la sua curiosità. Non mi sarei mai aspettato che, invece, avrebbe provato molto più probabilmente terrore, paura e tristezza. I miei colorati e vivaci pensieri venivano spesso distrutti dagli adulti. “Impossibile!” diceva il mio maestro “Con tutti i nuovi virus qui, morirebbero subito!”. Con solo un semplice “impossibile”, il variopinto mondo che mi ero creato dentro la testa era svanito. Ricordo che era proprio in quel momento che l’arcobaleno dentro di me aveva iniziato a dipingersi dei grigi colori del “è così che gira il mondo”. Grazie all’arrivo di Adam, la maschera nera che celava la mia fantasia e i miei pensieri puerili si era incrinata, anche se solo di un pochino… Tuttavia, si vedevano già i colori repressi che ognuno di noi ha sin dal principio.

    In quel momento, però, non sapevo che da lì a qualche giorno il mio comportamento sarebbe degenerato…

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Capitolo 3
*** Scuola ***


    Era passata una settimana dal nostro incontro. Adam si era abituato molto in fretta al veloce ritmo del ventunesimo secolo. La TV gli faceva venire il mal di testa, così come il computer, perciò dovetti ricorrere a vecchie enciclopedie con ogni genere di informazione. Il curioso ragazzo non sapeva leggere, ma guardava le immagini e mi chiedeva il loro significato. Così gli spiegai il concetto della gravità, la nascita delle stelle, i principi dell’elettricità… Parlai anche della situazione politica in Europa, del fatto che l’Inghilterra fosse ancora una monarchia e delle Americhe. Naturalmente gli descrivevo anche i semafori, le automobili e le regole della strada, affinché non venisse investito. Ormai Adam era diventato assai vivace; il pietoso stato in cui versava il primo giorno era ormai un ricordo remoto e quasi inconcepibile.

    Era domenica sera. La mia stanza era molto più ordinata, con libri ben riposti sugli scaffali, il letto rifatto e il pavimento pulito.

    “Non vedo l’ora di conoscere le altre persone di questo mondo!”

    “Sì. Ricordati dei semafori!”

    “Lo so: il rosso, come il frutto proibito, mi dice di star fermo; il verde, come l’acquasanta, mi dice di andare! Ormai so tanto del vostro mondo, e riuscirò a passare praticamente inosservato!”

    Sospirai. Sarebbe stata dura per lui passare del tutto inosservato! Avrei mentito sulla sua provenienza, per evitare inutili scompigli.

    “Adam, ti devo dire una cosa,” feci all’improvviso, “sai… c’è una ragazza chiamata Angelica. È davvero bellissima, ma quello che mi colpisce di più è la sua riservatezza, che cela una grande intelligenza. Domani… parlerò un po’ con lei.”

    “Ti capisco… Anch’io ho provato sentimenti del genere, anzi, li provo tutt’ora. Basta che non fai niente di orribile, se sai cosa intendo. Me lo dicono sempre, poiché i garzoncelli del mio villaggio combinano disastri e ahimè!, quante bastonate!”

    “Non ci saranno bastonate…” risposi, ma non specificai, poiché Adam aveva iniziato a pregare: le sue solite preghiere serali duravano parecchi minuti, eppure lui non mi sembrava il tipico “medievale stereotipato” che ficcava Padre, Figlio e Spirito Santo in ogni frase…

 

    “Svegliati, svegliati! Manca un… uno alle sette!”

    Guardai l’orologio sul cellulare. “Vuoi dire che manca un’ora alle sette? Sono le sei in punto,” mugugnai, “devi guardare il numero a destra.”

    “Svegliati lo stesso! È un giorno importante, devo prepararmi!”

    Sorrisi davanti all’innocenza di Adam, quasi come se fosse quella di un bambino piccolo. Mi alzai, mi stiracchiai, e sollevai le tapparelle, facendo entrare la tenue luce mattutina di maggio. Dovevo davvero prepararlo al giorno più importante della sua vita. Gli diedi i miei vestiti (avevamo la stessa taglia): una leggera felpa col cappuccio, pantaloni neri e scarpe senza lacci. Io mi vestii in modo più ricercato, poiché quello era un giorno importante anche per me. Non mi sentii in colpa per questo piccolo atto di egoismo.

    Sul bus Adam non faceva altro che contemplare il paesaggio, restando a bocca aperta davanti agli “alti” edifici, ammirando le macchine che per lui erano pezzi di tecnologia quasi inconcepibile, e guardando le espressioni, i vestiti e il portamento di tutti i passanti. Un po’ mi vergognavo, poiché il mio amico stava facendo di tutto per non passare inosservato.

 

    “Chi è lui?” mormorarono i miei compagni, guardando ora lui ora me con un’espressione tra lo stranito e il sorpreso. Il chiacchiericcio si era improvvisamente fermato alla nostra imbarazzante apparizione.

    “È un mio amico. Viene a fare un giorno di prova. Solo uno.”

    Improvvisamente tutti si precipitarono davanti ad Adam, stringendogli la mano, ricambiando i suoi sorrisi e presentandosi uno ad uno. Pensavo che portandolo l’attenzione sarebbe ricaduta su di me, ma in quel momento ero più trascurato che mai. Gettai lo sguardo sul banco di Angelica: la bella ragazza dai capelli scuri che piovevano sulle spalle in delicate onde profumate stava disegnando e guardava di sottecchi il nuovo arrivato. All’improvviso sorrise; con sorpresa mi accorsi che aveva appena ricambiato uno sguardo di Adam.

    Durante la lezione il mio amico non faceva altro che disegnare schizzi dall’aspetto antico sul suo quaderno, non sapendo scrivere. Gli insegnanti gli avevano chiesto da che scuola venisse, e lui diceva: “Da un istituto tecnico,” proprio come gli avevo indicato. Nemmeno instillandogli origini umili ero riuscito nell’intento di renderlo meno importante davanti ai tanto agognati sguardi dei miei compagni. Con rabbia, vedevo che le ragazze non facevano altro che osservarlo. Mi accorsi allora che Adam doveva essere davvero di bell’aspetto, con quei capelli biondi e quegli enigmatici occhi azzurri che non si vedevano più dai tempi della peste nera. Dal timore, non mi girai nemmeno per vedere dove fosse puntato lo sguardo di Angelica, la mia Angelica.

    Alla fine delle lezioni, radunai tutto il mio coraggio e andai verso il banco della ragazza, la quale stava leggendo un mattone della letteratura russa. Ormai la mia autostima era a pezzi: Adam faceva sembrare la sua umile felpa col cappuccio un capo d’abbigliamento costoso e alla moda, mentre io ricordavo di più un bimbo in un abito dieci volte più grande di lui. Mentre tutti rivolgevano domande al nuovo arrivato, io cercavo di formare una frase di senso compiuto davanti ad Angelica. I suoi occhi scuri non mi comunicavano niente; erano un mare profondo di sentimenti e pensieri celati alla perfezione. La sua delicata destra teneva il libro, mentre con la matita alla sinistra ne scriveva i passaggi più interessanti.

    “Ecco,” feci. Nessuno aveva mai visto Angelica insieme a un ragazzo. La sua intelligenza e riservatezza rendeva la sua bellezza mille volte più inaccessibile, e la maggior parte delle persone preferiva rinunciare a tale obiettivo irraggiungibile.

    “Da dove vieni di preciso?”, sentii chiedere ad Adam. “Vengo dall’Inghilterra!”, sentii rispondere. “Dicci qualcosa in inglese dai!” “Good day, everychon!” “Che strano, sarà tipo scozzese o qualcosa da quelle parti lì.” Risa incontrollate. “Come hai conosciuto lui?”, riferito a me. “È il mio migliore amico! E sono sicuro che anche io sono il suo migliore amico.”

    Repressi dalla mente quelle innocenti e infantili frasi di Adam. “Ecco, Angelica. Vorresti andare da qualche parte con me uno di questi giorni?”

    “Dove?”, la ragazza abbassò il libro che aveva in mano. I suoi occhi erano ancora impenetrabili.

    Avevo già l’indirizzo del ristorante pronto, ma all’ultimo momento cambiai idea. “C’è un grande negozio di libri nella città qui a fianco; all’ultimo piano c’è anche un ristorante. So che quello sarà il luogo migliore per noi due.”

    Angelica sorrise e si alzò. All’improvviso riuscii ad intravedere qualcosa nel suo sguardo. “Sai, è dall’inizio che ho notato in te qualcosa di diverso. Aspettavo questo da mesi ormai! Sapevo che saresti stato più lento della gente normale. Una libreria! Sei davvero un genio. Ci vediamo  lì dopodomani.”

    Aveva detto più parole davanti a me che in tutto il giorno. Mi sentivo finalmente realizzato. “Grazie, grazie!”; “grazie” era l’unica parola che riuscivo a proferire in quel momento. Non c’era stato bisogno di usare Adam per dimostrarle che avevo amici. Non c’era stato bisogno di nessuno di quei problemi su cui avevo inutilmente riflettuto in quei giorni. Angelica era colei che mi capiva più di tutti, persino più di me stesso. Chiamai Adam, che mi seguì come un cagnolino fedele. Sul suo quaderno c’erano molti numeri di telefono.

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