Dollhouse

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Scelta OC ***
Capitolo 3: *** La Squadra Alpha ***
Capitolo 4: *** La Dollhouse ***
Capitolo 5: *** Quebec ***
Capitolo 6: *** November ***
Capitolo 7: *** Whiskey ***
Capitolo 8: *** Isla Rose Robertson ***
Capitolo 9: *** Nicholas Jackson Bennet ***
Capitolo 10: *** Rose Jade Williams ***
Capitolo 11: *** Joseph Derek Richardson ***
Capitolo 12: *** Juliet ***
Capitolo 13: *** Foxtrot ***
Capitolo 14: *** Hooland Magnus ***
Capitolo 15: *** Carter Halon ***
Capitolo 16: *** Erin Estelle LaFont ***
Capitolo 17: *** Echo ***
Capitolo 18: *** L'annullamento ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Dollhouse 
 

Prologo
 
     
                                                                              Risultati immagini per DOLLHOUSE SERIE TV
 
 
 
 
Probabilmente entro la fine di quella dannata intervista avrebbe avuto i muscoli facciali indolenziti per almeno un paio d'ore, vista la quantità di sorrisi che stava continuando a distribuire... per non parlare, poi, dei flash così insistenti e delle voci che si sovrapponevano una sull'altra, rendendole decisamente difficile distinguere le domande che i giornalisti le stavano porgendo.
Fortunatamente ormai aveva acquisito una dimestichezza considerevole con situazioni di quel genere e sapeva non solo come cavarsela, ma anche come rivoltare ogni domanda a proprio piacimento:
 
“Ciò che davvero non capisco è perché ci abbiamo messo così tanto. Mio padre è Babbano, mia madre una strega… come tanti prima di me sono cresciuta con una visione da entrambe le prospettive e la reputo una fortuna. I Babbani sono più grandi di quanto pensiamo, sono in grado di creare grandi cose dal nulla solo usando l’intelletto… noi non siamo stati in grado di farlo per molto tempo, avevamo bisogno di aprire gli occhi, di cogliere la loro grandezza.”
 
“Dottoressa DeWitt, quanto ci avete messo ad ultimare la macchina?”
 
“Abbiamo fatto molti tentativi… ma sono soddisfatta del risultato e, spero, lo sarete tutti.”
 
Sorrise proprio come faceva sempre, mostrando ai giornalisti che la circondavano e alle macchine fotografiche la sua bellezza esteriore, ma non ciò che provava o pensava veramente. Quello nessuno era mai riuscito a capirlo. 
 
“Quindi gli esperimenti sono terminati?”
“Assolutamente sì… il risultato è ormai ultimato, fortunatamente non dovremmo più sacrificare nessuno. Purtroppo è necessario in queste situazioni.”
 
Altri flash, altre voci... rivolse un cenno ad un uomo seduto in prima fila, invitandolo a parlare mentre le sue stesse parole le risuonavano nella testa. 
 
Fortunatamente non avrebbero più dovuto sacrificare nessuno... 
 
Probabilmente era ciò che le persone volevano sentire, ciò che volevano che dicesse. Ma era davvero così? Lei per prima sapeva che i "sacrifici" erano appena iniziati... ma per fortuna si era resa conto, fin da bambina, di essere una magnifica bugiarda. 
E con un po’ di fortuna nessuno tra i presenti avrebbe mai saputo la verità.
 
 
“Dottoressa, abbiamo sentito che avete già dei potenziali clienti, è vero?”
 
Ancora una volta sorrise, quella smorfia cordiale ma fredda che riservava sempre durante le apparizioni pubbliche e le interviste. In quel momento nessuno avrebbe potuto interpretare il volto della donna, ciò che pensava davvero e quindi la verità. 
 
“Signor Freeman… se anche fosse, non sono autorizzata a riferirlo in diretta, davanti a tutto il Regno Unito. Non posso fare nomi, lo sapete bene… ma credo di sì. Credo che il mio lavoro e quello di molti altri darà presto dei frutti.”
 
Sorrise un’ultima volta prima di alzarsi, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé mentre ignorava i flash delle macchine fotografiche e i giornalisti che le chiedevano altri minuti del suo tempo. 
Non li concesse, non quella sera: come faceva da tutta la vita andò dritta per la sua strada, consapevole di aver molto poco tempo da perdere, di lì in avanti. 
 
 
Camminò infatti con falcate lunghe e piuttosto decise verso una figura familiare, forse una delle pochissime persone con cui potesse parlare con assoluta libertà. Non aveva tempo da perdere e lei sembrò intuirlo, alzandosi dalla sedia per avvicinarlesi senza battere ciglio o fare commenti sull'intervista appena conclusa: 
                         
“Ci sono state telefonate?”    
Rachel, la sua assistente, annuì e le porse il telefono, permettendo alla donna di controllare le chiamate perse. Un piccolo sorriso, forse molto più sincero rispetto a quello che aveva mostrato ai giornalisti, comparve sul volto perfettamente truccato della donna nel trovare ben 10 telefonate mancate… nell’arco di quanto, mezz’ora?
 
Ancora una volta, si ritrovò a pensare a quanto i Maghi fossero stati stupidi e ignoranti nel rifiutare i Babbani e le loro scoperte... era una strega, certo, e anche piuttosto fiera di esserlo... ma sicuramente quegli aggeggi elettronici erano molto più veloci e utili dei gufi. 
 
“Meraviglioso. Torniamo a Londra, credo di avere qualche telefonata da fare… e un’associazione da terminare di fondare.”
Rachel annuì, incamminandosi accanto a lei e limitandosi a porgerle un foglio con annotati tutti i nomi e gli orari delle varie chiamate che venne subito preso dalla Dottoressa, sistemato immediatamente nella cartella nera e lucida che teneva stretta in mano, con la scritta “Dollhouse” impressa sopra. 
 





Cecily DeWitt, fondatrice della Dollhouse Image and video hosting by TinyPic




"Gli studenti sono già tutti riuniti nella Sala Grande... se vuole seguirmi, l'accompagno." "Non serve, grazie. Ricordo la strada." 

Sfoggiò un lieve sorriso, declinando con studiata cortesia quell'invito prima di avviarsi nell'Ingresso per avvicinarsi alla porta a doppia anta della Sala Grande. 

Sicuramente era passato un po' dall'ultima volta in cui era stata lì... ma ricordava perfettamente Hogwarts, quella scuola era ancora lì, perfettamente impressa nella sua mente e nel suo cuore. 

Era la prima volta in cui ci tornava da quando si era diplomata... e quella visita le faceva piacere, non solo per poter rivedere la sua vecchia scuola ma anche perché quella visita segnava quasi definitivamente il successo, la realizzazione del suo progetto.

Aveva ottenuto quello che voleva, alla fine... la scuola di magia inglese l'aveva contattata per chiederle di fare una breve visita al castello per incontrare gli studenti più grandi e parlare con loro. Probabilmente pensavano che fosse un modo per mostrar loro la sua prospettiva, ossia una visione strettamente positiva dei Babbani e sull'interazione tra loro e i maghi... un modo per, forse, renderli più di "larghe vedute".
  
Ci aveva quasi sperato, in effetti... era assolutamente sicura che quelle visite avrebbero reso il suo lavoro ancora più semplice e interessante. Quei "colloqui" con i ragazzi le avrebbero permesso di osservarli da vicino anche solo per poche ore, farsi un'idea... era sempre stata molto perspicace, di un acume superiore a gran parte dei suoi ex compagni di scuola, persino dei Corvonero. Non ci aveva messo molto a capire di avere un'intelligenza superiore alla media... e Cecily DeWitt si era resa conto di doverla sfruttare al meglio, quando si era diplomata.

Non ci avrebbe messo molto a farsi un'idea delle persone che aveva davanti... le ci voleva sempre poco per capire il prossimo. Quella visita era, in un certo senso, un ottimo modo per cominciare ad avvicinarsi alla sua vecchia scuola per, pian piano, scegliere alcuni tra i suoi studenti e farne le sue prossime "bambole".

 
                                                                     *


Percorse il corridoio deserto e illuminato artificialmente rapidamente, con il suono dei tacchi a spillo che, come sempre, anticipavano il suo arrivo.

Forse anche per questo nessuno sembrò stupirsi quando aprì la porta, trovandosi in una piccola stanza poco illuminata e piena di schermi, con tre persone sedute seduteci davanti. 

"A che punto siamo?"

Cecily DeWitt mosse qualche passò avanti, avvicinandosi alla parete di vetro infrangibile che separava la stanza da un'altra più piccola e dalle pareti color grigio chiaro, praticamente spoglia e senza finestre. 

Era illuminata grazie alle luci poste sul soffitto, ma l'unico elemento d'arredo era una macchina collegata ad una poltrona scura, sulla quale era seduta una ragazza di appena 18 anni che se ne stava perfettamente immobile e con gli occhi aperti, le braccia appoggiate sui braccioli come le era stato indicato di fare. 

"Pronti... ci manca solo il consenso."  

La Dottoressa annuì prima di allungare la mano perfettamente curata e premere un bottone nero, attivando così la comunicazione tra le due stanze:

"D'accordo Melanie... ora chiudi gli occhi e rilassati, quando ti sveglierai tutto questo sarà finito. Ma prima ci serve il tuo consenso."  

Gli occhi di tutti i presenti erano puntati sulla ragazza che, non appena la Dottoressa ebbe finito di parlare, recitò una frase quasi come se l'avesse imparata a memoria, senza alcuna intonazione particolare nella voce:

"Io, Melanie Richardson, do' il mio consenso per l'annullamento."  


"Bene... procediamo allora. Quando avrete finito portatela di sopra, ne abbiamo altri 3 che aspettano nella stanza accanto."  
"Entro un'ora avremo finito, non si preoccupi... poi potrà passare alla reimpostazione." 

La donna ritrasse la mano, allontanandola dal bottone e lanciando un'ultima occhiata alla ragazza, che aveva appena chiuso gli occhi, prima di girare sui tacchi e uscire dalla stanza, senza aggiungere altro. 
Mentre la porta scorrevole si chiudeva alle sue spalle Cecily DeWitt provò a chiedersi come potesse essere rendersi conto che, una volta sveglia, non avrebbe più avuto alcun ricordo, un nome... nemmeno la sua vera personalità. 

Quando si sarebbe svegliata sarebbe tutto finito, certo... non sarebbe rimasto proprio niente di Melanie Richardson, fatta eccezione per le sue caratteristiche genetiche.
 
Probabilmente non era una bella sensazione... ci aveva pensato più di una volta, negli ultimi tre anni, da quando il progetto aveva preso vita. Ma, per fortuna, quello non sarebbe mai stato un problema che l'avrebbe riguardata in prima persona.
 



 
  ***********************************
Angolo Autrice:
 
Salve! 
Tanto per cambiare, eccomi con una nuova Interattiva... spero che, anche se breve, il prologo vi sia piaciuto e soprattutto che ci abbiate capito qualcosa. Se avete dubbi, non esitate a chiedere! 
 
Detto ciò... Le regole
 
  • Le schede vanno mandate via MP entro le 19 del 21/06, se ne dovessi ricevere tramite recensione non le leggerò nemmeno 
  • Potete partecipare con un massimo di due OC a testa MA se decidete di farlo dovete mandarmi necessariamente un Attivo e un Guardiano (questo ve lo spiego meglio più in basso) 
  • L'età degli Attivi deve essere per forza di 20 anni
  • Come sempre, la regola che più di tutte amate non rispettare: se sparite per tre capitoli di seguito il vostro OC perirà di morte cruenta, e le domande che eventualmente vi porrò non sono facoltative, o almeno quasi sempre, quindi se dovessi chiedere "cosa farà Caio nel prossimo capitolo" senza ottenere risposta, Caio non sarà presente nel seguito. 
 
 
Detto questo... vi spiego meglio la questione Attivi e Guardiani: gli Attivi sono le persone che lavorano per la Dollhouse, chiamati appunto anche "Doll", la cui memoria è stata completamente resettata. Sono consapevoli di essere al servizio dell'associazione ma non fino in fondo, non hanno idea di quello che gli è stato fatto e pensano semplicemente che le persone per cui lavorano li abbiano aiutati in qualche modo.
I Guardiani sono, invece, assegnati ognuno ad un Attivo diverso dalla Dollhouse e devono fare in modo che il loro Attivo non faccia una brutta fine durante un'operazione o che non venga scoperto in qualche modo. La loro memoria e la loro personalità sono perfettamente intatte, ma non possono dire nulla agli Attivi perché sono sotto Voto Infrangibile. Perché hanno deciso di lavorare per un'associazione tanto immorale? Immagino che a dirmelo sarete voi. 
 
Spero che il quadro vi sia chiaro ma, come ho detto, se avete perplessità chiedete pure.
 
Ultima nota su questo punto: come ho detto dovete per forza mandarmi un Guardiano e un Attivo se proprio volete mandarmi due OC... non metto paletti per il sesso, non dovete per forza mandarmi un uomo e una donna, ma potete scegliere se assegnare o meno il vostro Guardiano all'Attivo. O meglio, potete esprimere una preferenza, ma i giochi li faccio io. 
 
Infine... nella scheda per gli Attivi vi chiederò le passioni, i talenti e le fobie dell'OC... la sua personalità sparirà, ma queste caratteristiche rimarranno, anche se magari solo in piccola parte. Inoltre, gli Attivi vengono scelti esplicitamente dalla Dollhouse al termine del loro ultimo anno di scuola, quindi vi chiederò perché sono stati scelti. Magari perché particolarmente intelligenti, potenti o anche solo con una gran bella faccia... si, per loro fa brodo anche questo. 
 

Scheda per gli Attivi:
 
Nome biologico:
Ex Casa: 
Descrizione psicologica: (naturale)
Aspetto:
Prestavolto:
Passioni/Talenti:
Fobie/Debolezze:
Patronus:
Molliccio:
Famiglia:
Descrivere brevemente il suo percorso scolastico:
Amicizie/inamicizie:
Nome come Attivo: (deve far parte dell'alfabeto fonetico NATO)
Descrizione psicologica: (impostata dalla Dollhouse)*
Perché è stato scelto per entrare nell'associazione? 
Relazione: (in base alla NUOVA personalità e anche alla VECCHIA)
Come se la cava con le armi Babbane?
 
*: la nuova personalità può essere completamente diversa da quella con cui è nato l'OC come piuttosto simile
 
 
Scheda per i Guardiani
 
Nome: 
Età: (20-25 anni) 
Ex Casa: 
Descrizione psicologica:
Aspetto:
Prestavolto: 
Fobie/Debolezze:
Passioni/Talenti:
Perché lavora per la Dollhouse? 
Patronus:
Molliccio: 
Descrivere brevemente il suo percorso scolastico: 
Famiglia:
Amicizie/Inamicizie:
Relazione: 
Come se la cava con le armi Babbane? 
 
 
Piccola nota: non è detto che tutti gli Attivi avranno un Guardiano tra gli OC, dipende se le schede saranno omogenee o meno
 
Ancora una volta l'Angolo delle note è praticamente infinito, quindi vi saluto, spero parteciperete in tanti, a presto! 
 
Signorina Granger 

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Capitolo 2
*** Scelta OC ***


Scelta OC


Buongiorno! 
Inizio ovviamente col ringraziarvi per avermi mandato le schede, anche perché incredibilmente per una volta non c'è stato nessun Esodo di schede mia arrivate... quindi, davvero, grazie. 
In genere quando pubblico la Scelta allego anche un breve capitolo, ma in questi giorni ho davvero poco tempo per scrivere, e piuttosto che farvi aspettare parecchio ho preferito fare diversamente questa volta, pubblicando solo la lista... cercherò comunque di aggiornare in fretta.

Infine... incredibilmente mi sono arrivati più ragazzi che ragazzi, in particolar modo ho ricevuto moltissimi Attivi di sesso maschile... quindi ne ho dovuti tagliare parecchi, specialmente di questo tipo. 

Ecco la lista degli OC scelti: 

 
Attivi:


Foxtrot 
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Whiskey 
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Quebec
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Juliet 
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Echo

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November

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Guardiani:


Nicholas Jackson Bennet, 22 anni, ex Serpeverde, Guardiano di November 
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Isla Rose Robertson, 21 anni, ex Wampus, Guardiana di Foxtrot 
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Carter Halon, 24 anni, ex Serpeverde, Guardiano di Juliet 
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Rose Williams, 20 anni, ex Tassorosso, Guardiana di Quebec
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Hooland Magnus, 20 anni, ex Tassorosso, Guardiano di Whiskey 
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Erin Estelle LaFont, 21 anni, ex Serpeverde, Guardiana di Echo 
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Come sempre spero che chi non è stato scelto non se la prenda, ma non potevo scegliere troppi Attivi avendo anche da inserire i Guardiani... in ogni caso, alle autrici degli ATTIVI ho una piccola richiesta da fare: poiché, come avete visto, ho indicato solamente il loro nuovo nome e nient'altro, vorrei che nelle recensioni chiamaste il vostro OC usando il nome da Attivo... la storia sarà piena di flashback su quando gli Attivi erano a scuola o comunque con la loro famiglia e vorrei mantenere la "sorpresa" per chi legge.

Detto ciò, ci sentiamo presto, spero, con il primo capitolo vero e proprio! 


Signorina Granger
 

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Capitolo 3
*** La Squadra Alpha ***


Capitolo 1: La Squadra Alpha 



Teneva lo sguardo fisso sul vetro oscurato del finestrino, osservando la strada buia scorrerle davanti agli occhi. 
Erano quasi le 20 e il sole aveva iniziato a tramontare già quando avevano lasciato la Casa, cedendo il posto ad una leggera oscurità che avvolgeva la campagna.

Teneva le mani intrecciate, appoggiate sulle proprie ginocchia... ma sicuramente presto avrebbe ripreso a muoversi, cambiando quantomeno la posizione delle gambe o muovendo leggermente le mani, incapace come suo solito di restare ferma per più di qualche minuto, che fosse nervosa o meno. 

Non conosceva quella strada... o forse l'aveva già percorsa un paio di volte, ma il buio di certo non l'aiutava a riconoscere l'itinerario di quella sera. 
Sicuramente però presto avrebbe saputo dove era diretta, come sempre. 

Un silenzio quasi totale avvolgeva la "saletta" della costosa auto nera che sfrecciava elegantemente nella periferia, attirando sicuramente gli sguardi di molti Babbani. 

La Dottoressa vietava agli Attivi e ai Guardiani di spostarsi usando le scope, salvo caso eccezionali, sostenendo di non voler attirare l'attenzione... ogni tanto le capitava di pensare che forse con auto di quel genere non passavano comunque inosservati, ma nessuno osava mai contestare le decisioni della donna. 

Un rumore metallico piuttosto familiare le fece distogliere lo sguardo dal finestrino, posando gli occhi verdi sull'arma da fuoco che il ragazzo che le stava seduto davanti stava caricando, lanciandole un'occhiata eloquente prima di accennare al finestrino:

"Ormai dovremmo quasi esserci... sei pronta?" 
"Certo." 

Juliet annuì, sapendo in cuor suo che, in ogni caso, non avrebbe potuto rispondere negativamente a quella domanda. Era pronta e doveva essere così, sempre, non erano ammesse eccezioni.

Carter si limitò ad osservare la ragazza per qualche istante prima di parlare di nuovo, sollevando leggermente un sopracciglio, con fare scettico:

"Hai per caso un'idea di DOVE potresti infilare la bacchetta? Non so proprio dove potreste nascondere qualunque cosa, con questi vestiti." 
"Tranquillo Carter, abbiamo tutte i nostri trucchetti... ma non immagini quanto tu sia fortunato a non dover mettere i tacchi." 

Juliet piegò le labbra in una lieve smorfia sofferente, facendo sorridere appena il ragazzo mentre la limousine imboccava un viale di ghiaia circondato da due file d'alberi, superando un maestoso cancello:

"Sarebbe un bell'impedimento, considerando che dovrò passare la serata ad inseguirti per evitare che tu ti faccia ammazzare... per favore Juliet, prima di fare di testa tua e combinare cazzate ricordati che ogni taglio che rovina la tua faccia incide sulla mia busta paga." 

"Lo terrò a mente in caso volessi fartela pagare per qualcosa." 


                                                          *


Si morse il labbro con lieve nervosismo, tenendo gli occhi azzurri incollati allo schermo che le stava davanti mentre si chiedeva mentalmente dove fosse andato a finire il ragazzo che, almeno in teoria, quella sera avrebbe dovuto controllare la rete di telecamere insieme a lei. 

In realtà quando il turno di restare "in seconda fila", a controllare la situazione dall'alto, spettava a lei a Rose non dispiaceva poi molto... non si era mai considerata una persona particolarmente d'azione e non si trovava nemmeno particolarmente a suo agio con le armi. Il suo compito era fare in modo che Quebec non venisse ferito, ucciso, scoperto o arrestato in nessun caso... e quella sera non avrebbe seguito il suo Attivo direttamente, ma attraverso gli schermi e le telecamere. 

La ragazza tese le orecchie quando sentì dei passi accanto a lei, prima che lo sportello dell'auto ti aprisse per permettere ad un ragazzo di fare la sua comparsa, rivolgendole un sorriso perfettamente rilassato:

"Ciao Rosie!" 
"Ciao... alla buon'ora. Dove ti eri cacciato?" 

L'ex Tassorosso lanciò un'occhiata alle proprie spalle, guardando Hooland Magnus chinarsi per riuscire ad entrare nell'auto e sedersi accanto a lei, sul retro del furgone. 

"Ho accompagnato Whiskey fino all'ingresso e poi sono venuto qui. Non preoccuparti Rosie, so che senza di me ti annoi tremendamente." 
"A volte mi chiedo chi io debba controllare, se tu o Quebec..." 

Rose roteò gli occhi chiari mentre Hooland sorrideva, posando a sua volta lo sguardo sullo schermo che permetteva a lui e alla collega, nonché ex compagna di scuola, di controllare l'ingresso luccicante e sfarzoso dell'enorme villa che, per quella sera, avrebbe "ospitato" alcuni tra gli Attivi della Dollhouse. 

"Hai sentito Alpha?" 

Rose si voltò verso il ragazzo, che annuì mentre si sistemava distrattamente l'auricolare nell'orecchio destro, continuando a perlustrare gli schermi con lo sguardo per cercare traccia della sua Attiva, che di sicuro avrebbe spiccato in mezzo alla massa degli ospiti elegantissimi grazie ai suoi capelli rossi-arancio:

"Sì, vuole la collana... al massimo per le 11 dobbiamo andarcene, quindi devono fare abbastanza in fretta. Hanno deciso chi deve prenderla?" 
"Juliet e Quebec." 

"Allora chiama Carter, assicurati che li tenga d'occhio." 

Rose annuì, sistemandosi a sua volta l'auricolare nell'orecchio per mettersi in contatto con Carter. Per qualche inspiegabile motivo Alpha aveva pensato bene di farla lavorare praticamente sempre con Hooland o con Carter... non che per lei ci fossero problemi in realtà, ma disgraziatamente Juliet e Quebec insieme rischiavano sempre di finire nei guai, impegnati com'erano a divertirsi e a cercare di battere l'altro. 


                                                              *


"Ok passerotto, sono proprio sopra di te. Se alzi lo sguardo potresti persino salutarmi." 

Isla indirizzó un lieve sorriso all'uomo che le era appena passato davanti, ricambiando il slauto di cortesia prima di assumere nuovamente un'espressione vagamente truce, sfiorandosi un orecchio con le dita e parlando quasi senza muovere le labbra:

"Ti devo ricordare che odio quando mi chiamate così?"
"Non prendertela con me passerotto, non li ho scelti io i nomi." 

Lo sentì ridacchiare e, ancora una volta, Isla Robertson trattenne l'impulso di strozzare il suo stesso Attivo, alzando leggermente lo sguardo e lanciando un'occhiata in direzione di Foxtrot. Effettivamente riusciva chiaramente a vedere il ragazzo, che se ne stava comodamente appoggiato alla ringhiera di marmo bianco, al secondo piano, guardandola e sorridendole attraverso la cavità circolare nel soffitto. 

Isla si limitò a rivolgergli un'occhiata torva, sibilando che avrebbe fatto una chiacchierata con Alpha per convincerlo a modificarle quello stupidissimo nome in codice. 
Insomma, perché Nick doveva avere un bellissimo nome come "aquila" quando a lei era toccato "passerotto"? Anche se, riflettendoci, non poteva nemmeno lamentarsi troppo visto che a Rose era spettato "pulcino". 


"Ti stai divertendo Fox?" 
"Abbastanza... si vede?" 
"Piuttosto chiaramente. Senti, sappiamo entrambi come funziona quindi la farò breve: tu non devi fare niente, se non facilitare il compito a Juliet e a Quebec...NON METTERTI IN MEZZO, non metterti nei guai, non fare niente. Limitati a seguirli e ad eliminare possibili ostacoli, per favore." 

"Va bene Isla..." 
"Non usare questo tono esasperato, sai quanto me quanto adori immischiarti! So che muori dalla voglia di dimostrare quanto sei fantastico, ma lascia che ci pensino loro... se ti fai scoprire, giuro che ti faccio tornare alla Casa con qualche ematoma in faccia." 


L'americana roteò gli occhi, pensando a tutte le volte in cui aveva impedito per un pelo al suo Attivo si mettersi in mezzo in un'operazione altrui. Non l'avrebbe mai ammesso, certo, ma aveva finito con l'affezionarsi sinceramente a Foxtrot... peccato che a volte morisse dalla voglia di picchiarlo con le sue stesse mani, quando non riusciva a non impicciarsi, morendo dalla voglia di dimostrare a tutti quanto fosse competente. 

"Non so quanto ti converrebbe Isla, tecnicamente tu dovresti proteggermi." 
"Vero, ma potrei sempre dire alla DeWitt che una guardia ti ha pestato. A quel punto ematoma in più, ematoma in meno..." 


Isla sentì la risata del ragazzo echeggiarle nell'orecchio e sorrise leggermente a sua volta, continuando a muoversi nella sala illuminata senza dare nell'occhio, cercando qualcuno tra i suoi colleghi con lo sguardo. 

"D'accordo Isla, mi hai convinto... tornando seri, Juliet e Carter sono appena entrati, 10 metri davanti a te. Quebec dovrebbe essere qui, da qualche parte." 

"Ok. Trova Quebec, io vado da Carter." 

"Ricevuto passerotto." 

L'americana fece e proprio sibilargli di non chiamarla in quel modo ma Foxtrot interruppe la comunicazione, portandola a trattenersi dal sbuffare. Si limitò a stamparsi un bel sorriso sulla faccia prima di muovere qualche passo avanti, avvicinandosi così a Carter e a Juliet, che erano affettivamente vicini all'ingresso e stavano mostrando gli inviti. 



Isla si avvicinò ai due, fermandosi davanti a Carter e rivolgendo un piccolo sorriso a Juliet prima di parlare:

"Ho detto a Foxtrot di trovare Quebec... Juliet, ricordati che per qualunque cosa io, Carter e Nick siamo qui in giro, mentre Rosie e Hooland sono fuori e controllano tutte le telecamere... se dovessero notare qualcosa di strano ce lo farebbero sapere." 

"D'accordo. Se Foxtrot vi dice di aver trovato Quebec fatemelo sapere... ora vado a bere qualcosa, ho bisogno di rilassarmi prima di iniziare." 

Juliet annuì con un lieve cenno del capo, facendo vagare lo sguardo nella sala gremita di ospiti per cercare qualcosa da bere prima di voltarsi nuovamente verso Carter, rivolgendogli un cenno:

"Ci vediamo dopo." 
"D'accordo. Ricordati che sono sempre nei paraggi... e che alle 11 dobbiamo uscire dalla villa." 

Juliet annuì prima di allontanarsi, con la gonna nera del vestito che le svolazzava intorno alle gambe mentre i due Guardiani la seguivano con lo sguardo

 "Hai detto a Foxtrot di stare lontano dalla collana?" 
"Ovviamente. C'è solo da sperare che mi ascolti, ovviamente." 


                                                                  *

"Posso chiederti una cosa?" 
"Certo." 
"Se Juliet e Quebec devono prelevare ciò che ci interessa e Foxtrot è qui per aiutarli... io che cosa ci faccio qui?" 

November si voltò verso il ragazzo che la teneva sottobraccio, guardandolo con cipiglio vagamente confuso mentre Nicholas si limitava a guardarsi intorno, cercando Carter con lo sgaurdo:

"Che domande, sei qui per tenere d'occhio Foxtrot... e io tengo d'occhio te. Ho visto Carter, vado a chiedergli se Juliet e Quebec sono già insieme. La collana è al terzo piano, ala est, secondo corridoio a sinistra... con un po' di fortuna non mi vedrai prima di essere di nuovo in macchina." 

"Perché se ti vedessi vorrebbe dire che siamo in pericolo?" 
"Molto probabilmente sì. Buona fortuna, ricordati che per qualunque cosa ci sarò." 


Nicholas rivolse un sorriso a November, che annuì prima che il ragazzo sciogliesse la presa sul suo braccio, allontanandosi con disinvoltura verso Carter, apparentemente piuttosto a suo agio nello smoking. Certo, non era la prima volta in cui dovevano rubare qualcosa... e non era nemmeno la prima in cui si infiltravano ad una festa di quel tipo. 

Era ironico, in effetti, che fosse un evento Babbano... e Alpha aveva predisposto che facessero tutto per bene, usando persino delle normalissime auto per arrivare lì. Certo, ognuno di loro aveva la bacchetta a portata di mano, ma con un po' di fortuna non avrebbero dovuto neanche tirarle fuori... non se tutto sarebbe andato come da programma. 

November iniziò a camminare, muovendosi in precario equilibrio sui tacchi alti che indossava, chiedendosi come se la stesse cavando Juliet. Se la conosceva, sapeva per certo che stava imprecando mentalmente, morendo dalla voglia di sfilarseli e iniziare a muoversi senza. 

A Juliet piaceva correre, muoversi con disinvoltura... cosa praticamente impossibile con quelle scarpe addosso. 


"Tesoro? Carter dice che Foxtrot ha trovato Quebec... sono tutti e tre al secondo piano." 

"Ok, salgo anche io allora." 

November annuì con un impercettibile cenno del capo, guardandosi intorno con attenzione per individuare il padrone di casa, un collezionista, da quello che aveva detto Alpha quando aveva presentato accuratamente il "lavoro" a tutta la squadra. 

Lo vide con sua moglie accanto mentre sorrideva e parlava con qualche ospite, tenendo un calice praticamente vuoto in mano. Si chiese se mai si sarebbe aspettato che un pezzo della sua tanto acclamata collezione sparisse proprio nel bel mezzo di una serata come quella, ma forse a giudicare dal numero spropositato di guardie e dai livelli di sicurezza non era uno sprovveduto... 

November sorrise appena prima di distogliere lo sguardo, avvicinandosi alle scale per salire al secondo piano:  sprovveduto o meno, sicurezza o meno, sarebbero tornati alla Casa con una bella collana di diamanti tra le mani. 


                                                               *


"Smettila di mangiarti le unghie." 

"Scusa.... ma sono sempre tremendamente nervosa, da un certo punto di vista odio stare qui e non fare praticamente nulla!" 

Rose sospirò, intrecciando le dita sottili delle mani per impedirmi di mangiarmi le unghie mentre Hooland le rivolgeva un sorriso gentile, quasi a volerla rassicurare:

"Non preoccuparti, andrà tutto benissimo come sempre... sappiamo tutti il fatto nostro, dopotutto. Piuttosto... non pensi anche tu che il vestito di quella faccia totalmente a pugni con i suoi capelli? Tesoro hai i capelli rossi, io eviterei il rosa pastello!" 

Hooland scosse il capo con disapprovazione mentre Rose si limitava a roteare gli occhi, trattenendosi dal fare commenti: conosceva il ragazzo da quasi dieci anni ormai, aveva imparato a lasciarlo fare e a non intromettersi. Dopotutto più di una volta Hooland aveva ficcato il naso nei suoi vestiti quando uscivano per un'operazione, ma quella sera si era salvata grazie al suo ruolo in "seconda fila" e se l'era cavata con dei jeans e un maglioncino... cosa di cui era grata, non invidiava per niente Isla e i suoi trampoli. 

"Hooland, non pensi che dovremmo concentrarsi di più sui nostri Attivi e sulla squadra in generale?" 
"Hai ragione Rosie, scusa... ecco, guarda, c'è Whiskey. Lei ed Echo stanno disattivando i sistemi di sicurezza insieme ad Erin, credo." 


"Spero solo che non facciano saltare la corrente come l'altra volta..." 

Rose lanciò un'occhiata piuttosto eloquente all'amico, che sollevò le mani in segno di resa prima di giustificarsi:

"Tengo a precisare di nuovo che è stata colpa di Nick, non mia. Anche se, devi ammetterlo, come strategia non sarebbe nemmeno male!" 
"Certo che no, ma così facendo togliamo anche il collegamento alle telecamere, e in questo modo diciamo addio alla sorveglianza! Anzi, chi era incaricato di neutralizzare le guardie?" 

"Foxtrot e November." 


                                                                  *



"Caspita... ricordati di non farvi mai arrabbiare quando indossate i tacchi. Anche Isla conosce questa simpatica mossa?" 

November si voltò verso il ragazzo che stava in piedi accanto a lei, guardandolo con aria confusa mentre prendeva la bacchetta, puntandola sui corpi privi di sensi delle due guardie per sollevarli leggermente dal pavimento:

"Credo di sì... perché me lo chiedi?" 
"Non so, penso che prima o poi mi prenderà davvero a calci e non vorrei farla esasperare quando indosserà i tacchi, dopo aver visto quello che hai fatto tu..." 

November roteò gli occhi mentre si avvicinava ad uno sgabuzzino, aprendo la porta per infilarci dentro i due uomini. Anche se forse, si ritrovò a pesare la ragazza, erano così grossi che neanche ci sarebbero entrati. 

"Beh, devi riconoscere che ti diverti parecchio a farla irritare quando siamo fuori dalla Casa... dammi una mano, coraggio. E tra parentesi, grazie per avermi aiutata con quei due!" 

"Lo sai che non sono bravo nel corpo a corpo...". Foxtrot sbuffò, avvicinandosi alla compagna mentre borbottava quelle parole con tono vagamente amareggiato, come se pronunciarle gli costasse parecchio. 
No, non gli piaceva ammetterlo, ma non poteva nemmeno negarlo. 

"È vero, ma almeno hai altre qualità." 
"Hai ragione. Per esempio, sono molto simpatico!" 
"... ovviamente." 

"Che cosa voleva dire quell'esitazione, scusa?" 

November fece per svicolare e rispondere in tono vago, ma la voce di Nicholas al suo orecchio la interruppe:

"November... per favore, dì a Fox di riaccendere l'auricolare. Tra parentesi, carina la mossa con il tacco." 


"Grazie... posso insegnartela domani, se vuoi. Fox, accendi l'auricolare, credo che Isla voglia parlarti." 

Foxtrot sospirò ma obbedì, preparandosi alla sfuriata mentre November chiudeva, con fatica, la porta dello sgabuzzino dopo averci infilato dentro le due guardie, sigillandola mentre sentiva Nicholas risponderle, alludendo al calcio che la ragazza aveva affibbiato in piena faccia ad entrambe le guardie, colpendoli in pieno con i tacchi a spillo che indossava. 

"Grazie, ma i tacchi non sono il mio genere di calzatura... Hooland dice che ci sono altre tre guardie dopo le scale, corridoio a destra. Juliet e Quebec sono dietro di voi, dovete spianare la strada." 

"Ricevuto." 

"Ciao zuccherino."   November annuì, riprendendo a camminare lungo il corridoio mentre il compagno la seguiva, parlando con il tono più carino che gli riuscì rivolgendosi ad una certa americana, che per tutta risposta sibiló quanto fosse incosciente:

"FOXTROT. PERCHÉ HAI SPENTO L'AURICOLARE?" 
"Era spento? Non me n’ero nemmeno reso conto!" 


                                                                 *


"Rose dice che usando le scale di servizio arriveremo prima, evitando parte dei sistemi di sicurezza." 

Juliet si sfiorò l'orecchio con le dita, ascoltando le parole della ragazza mentre teneva il braccio intrecciato a quello di Quebec, che le camminava accanto con assoluta calma mentre percorrevano il corridoio illuminato e con qualche ospite che osservava la collezione di gioielli in esposizione. 

"Davvero? Strano, Hooland dice di andare a sinistra." 

"Rosie, tu ed Hooland dovete mettervi d'accordo."  Juliet sbuffò, parlando con un filo di voce per non farsi sentire da nessun altro mentre accanto a lei Quebec si limitava a sorridere, guardandola con aria divertita:

"Dopo aver studiato la piantina sono d'accordo con lui, comunque... io opterei per la sinistra." 

Entrambi sentivano distrattamente Rose e Hooland discutere a mezza voce dall'esterno della villa, ma Juliet smise di pensarci e guardò il ragazzo con cipiglio scettico, cogliendo il tono che ormai conosceva piuttosto bene:

"Davvero?" 
"Davvero. Non ti fidi?" 
"No... secondo me è più sensato usare là scale." 
"Come se con quelle scarpe potresti andare lontano... ma possiamo sempre dividerci. Io da una parte, tu dall'altra Juls... vediamo chi arriva prima." 

Quebec sorrise e Juliet bene presto lo imitò, annuendo:

"D'accordo Quebec... ti concedo anche qualche secondo di vantaggio. Ci vediamo di sopra." 

Juliet non smise di camminare ma sentì la presa di Quebec sul suo braccio sciogliersi e il ragazzo si allontanò da lei con disinvoltura, lasciandola a percorrere il corridoio prima di arrivare infondo, aprendo una porta sulla sinistra come Rose le stava suggerendo di fare nel suo orecchio. 

La ragazza si ritrovò su un pianerottolo davanti ad una rampa di scale... e sorrise appena mentre sollevava prima un piede e poi l'altro, sfilandosi i tacchi.

"Juliet... non so se dividersi è una buona idea..." 
"Non preoccuparti Rose, va tutto bene." 

Juliet rimase immobile per qualche istante, contando silenziosamente fino a 5 prima di avventarsi sulle scale, iniziando a correre.


                                                        *

Carter era fermo in un angolo della sala, osservando le persone ballare a qualche metro di distanza. 
Sulla pista c'erano, in effetti, anche Isla e Nicholas... probabilmente ballare non era una cattiva idea per confondersi tra la ressa, ma a lui non piaceva mettersi in mostra in quel modo. 

Preferiva stare lì, in disparte, limitandosi ad osservare. 
In effetti continuava a pensare a Juliet, ma lei non si era ancora messa in contatto con lui... quindi probabilmente stava andando tutto bene, o almeno lo sperava.

"Carter. Credo di doverti dire che ora Juliet è da sola... forse dovresti seguirla." 

La voce di Rose ruppe il suo silenzio e il ragazzo si irrigidì per un attimo, corrugando la fronte:

"Perché è da sola?" 

Non dovevano essere da soli... mai. Neanche per un attimo. 

"Lei e Quebec si sono divisi... sta salendo al terzo piano." 
"Ok, cerco di raggiungerla." 

Carter sbuffò e si mosse immediatamente verso le scale, maledicendo mentalmente la sua Attiva e chiedendosi perché non lo ascoltasse mai. 

"Juliet. Perché sei da sola?" 
"Non preoccuparti Carter... va tutto benissimo. Sono quasi al terzo piano, aspetto solo che un paio di vecchiette si levi dalle scatole per salire nel piano tecnicamente non autorizzato." 

La voce di Juliet risuonò nelle sue orecchie per la prima volta da quando si erano divisi... e ancora una volta Carter si ripromise che nell'operazione successiva non l'avrebbe lasciata sola, così da non permetterle di mettersi nei guai.

In effetti se lo ripeteva spesso... ma poi lei, puntualmente, gli sfuggiva di mano. 

"Non devi restare da sola, lo sai... ti raggiungo, resta lì." 

Carter sbuffò, salendo frettolosamente le scale e morendo dalla voglia di sfilarsi la giacca di quel scomodissimo smoking per potersi muovere con più libertà, e sapendo in cuor suo che Juliet non l'avrebbe ascoltato. 


                                                           *


"Ma perché ci sono tutti questi cavi?" 
"Non ne ho idea, ti sembro forse un'elettricista?" 

Erin inarcò un sopracciglio con meri scetticismo, guadagnandosi un'occhiata torva da parte di Echo, mentre il ragazzo stava armeggiando con i fili. Whiskey era ferma a qualche metro di distanza, facendo da palo mentre Erin sembrava piuttosto rilassata, sistemandosi distrattamente la gonna a tubino del vestito blu notte vagamente striminzito.

"Nemmeno io lo sono, se è per questo." 

"Potremmo darci una mossa? Odio fare da palo!" 
"E io odio avere la responsabilità degli allarmi Whiskey, ma purtroppo non possiamo ottenere tutto dalla vita!" 

Alle parole di Echo Erin si limitò a roteare gli occhi, in piedi accanto al suo Attivo mentre tamburellava distrattamente il piede sul pavimento, rompendo il silenzio come se stesse scandendo i secondi che passavano. 
Evidentemente lo pensò anche Echo, perché il ragazzo si voltò verso di lei e la guardò con evidente nervosismo:

"Erin. Potresti smetterla? Mette ansia." 
"Se ti dessi una mossa non saremmo ancora qui." 
"Fallo tu allora simpaticona, visto che come hai detto tu non sei un'elettricista!" 

Whiskey sospirò, chiedendosi perché Alpha l'avesse messa a lavorare con quei due quella sera: che Erin ed Echo battibeccassero quasi perennemente era risaputo... e quella sera l'onore di gestirli era spettato proprio a lei.

Quasi quasi invidiava Hooland, che se ne stava chiuso sul retro del furgone a gestire la situazione insieme a Rose. Avrebbe fatto molto volentieri a cambio.

"Hooland... non posso maledirli, vero?" 
"Non credo che Alpha ne sarebbe felice, no... porta un po' di pazienza, non puoi ucciderli durante un'operazione, temo." 

"Whiskey, con chi stai parlando?" 
"Chi io? Con nessuno, parlavo tra me, continuate pure..." 

La rossa sfoggiò un sorriso angelico mentre sia la bionda che il ragazzo la osservavano con aria incerta, chiedendosi se li stesse prendendo in giro o meno prima di tornare a discutere sui cavi da staccare o meno. 
Di certo nessuno voleva che si ripetesse l'incidente del mese prima avuto con la corrente...

"Ok, basta, vada per il blu."
"Come ti pare Echo, ma se salta in aria la Casa la responsabilità è tua, che io sia la tua Guardiana o meno." 
"Sia mai che tu possa essere carina nei miei confronti, ci mancherebbe." 

Erin rivolse un sorriso al ragazzo prima di ricordargli che non doveva prenderla assolutamente sul personale in quanto lei era carina con pochissime persone, mentre Whiskey continuava ad invidiare ardentemente il suo Guardiano ed Echo si decideva, finalmente, a staccare il cavo blu elettrico. 

E, con gran sollievo di tutti e tre, a quel gesto la luce non saltò.


                                                                 *


Quebec sorrise, fermandosi davanti ad una porta mentre Hooland, al suo orecchio, gli suggeriva di essere praticamente arrivato a destinazione, ossia nella stanza blindata dove era tenuto il pezzo forte della collezione, quello appena acquistato e che non era stato messo in mostra quella sera.

Stava giusto iniziando a gongolare per aver vinto quando qualcuno gli assestò un pugno sul braccio e, voltandosi, il ragazzo si ritrovò davanti ad una Juliet piuttosto sorridente e con i tacchi in mano:

"Temo proprio che tu abbia perso Quebec... ma non prendertela, magari sarà per la prossima volta." 
La ragazza gli rivolse un sorrisetto prima di superarlo per entrare nella stanza per prima, facendolo sbuffare:

"Certo che sarà per la prossima volta... hai avuto solo fortuna." 
"Certo, certo. Ora... A che punto siete con gli allarmi?" 

"Disattivati. Potete entrare senza che un fiume di sirene vi spacchino i timpani." 

Alle parole di Hooland entrambi sorrisero, avvicinandosi alla camera blindata mentre dei passi si avvicinavano, permettendo ai due Attivi di vedere November e Foxtrot avvicinarsi:

"Ah, eccovi qui... abbiamo tolto di mezzo tutti gli intoppi, ora dovreste avere la via libera. Voi andate dentro, noi controlliamo che non arrivi nessuno." 

November accennò alla porta grigia prima di appoggiarsi al muro, maledicendo i tacchi per la quindicesima volta nel giro di un'ora mentre accanto a lei Foxtrot sorrideva, annuendo:

"Ma ovviamente se avete bisogno chiamate..." 

"Stanne fuori, maledizione!"
"Isla, smettila o spengo!" 
"Non fare il bambino, e ricordati che non ho nessuna voglia di beccarmi una strigliata da Alpha perché non mi ascolti mai!" 

Foxtrot roteò gli occhi e fece il verso in playback ad Isla, udendola comunque borbottargli qualcosa nell'orecchio:

"Guarda che Rose me l'ha appena detto, che mi hai fatto il verso." 
"Grazie tante Rosie, mi fidavo di te!" 

Tutti e quattro gli Attivi sentirono la risatina della ragazza nelle proprie orecchie, prima che Quebec e Juliet entrassero nella stanza che conteneva la cassaforte, secondo a quanto aveva detto loro Alpha nel pomeriggio, quando si erano preparati per l'operazione. 


                                                               *


"Avanti." 

Sollevò lo sguardo dallo schermo del computer per posare gli occhi azzurri sulla porta scorrevole bianca del suo ufficio, guardandola aprirsi e permettere così ad un uomo dagli occhi chiari e i capelli neri di entrare nella stanza:

"Ah, Alpha... prego, entra." 
"Buonasera Dottoressa... scusi l'ora, ma ha detto che voleva tenersi informata sull'operazione." 
"È così, non preoccuparti... allora? È andato tutto per il meglio?" 

Cecily DeWitt guardò l'uomo in attesa di una risposta, accennando un lieve sorriso soddisfatto nel vederlo annusare:

"Nicholas Bennet mi ha appena contattato, hanno preso la collana, sostituita con il pezzo identico e hanno lasciato la festa a piccoli gruppi per non dare nell'occhio. Al momento sono in viaggio, entro un paio d'ore dovrebbero essere di ritorno." 

"Sono le undici appena passate, quindi sono stati nei tempi... molto bene, sono sicura che ne sarà felice. Puoi andare Alpha, ottimo lavoro con la squadra." 


Alpha le rivolse un cenno col capo prima di uscire dalla stanza, chiudendosi la porta bianca alle spalle e lasciandola così nuovamente sola. La donna però non tornò a concentrarsi sulle email che stava leggendo fino a poco prima, ma allungò una mano pallida per prendere il telefono, digitando uno dei tanti numeri che aveva registrato nella sua "agenda mentale". 

Non importava che ore fossero... lei seguiva sempre la stessa regola: il cliente andava informato subito, qualunque fosse l'esito delle operazioni, anche se ovviamente quando tutto andava per il meglio era ben più lieta di chiamarli e informarli.








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Angolo Autrice:

Buonasera! Probabilmente non mi aspettavate così presto, ma alla fine il capitolo è uscito molto più rapidamente di quanto pensassi... quindi eccomi qui.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, insieme alla prima, piccola panoramica sugli OC... spero anche di riuscire a renderli bene, ovviamente, in caso fatemi sapere. 

A presto! 
Signorina Granger 

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Capitolo 4
*** La Dollhouse ***


Capitolo 2: La Dollhouse
 
Dorset, 01:30 


Teneva gli occhi fissi sulla strada davanti a sè, buia e a tratti illuminata dalla luce artificiale e giallastra dei lampioni che l'affiancavano. 
Avevano superato il confine del Dorset da quasi un'ora, quindi non mancava ancora molto all'arrivo... guidare gli piaceva molto, non per niente aveva insistito lui stesso per farlo, ma restare in quel completo silenzio era piuttosto surreale. 


Lanciò un'occhiata fugace al sedile del passeggero che gli stava accanto e sorrise appena nel trovare Rose già addormentata, appoggiata contro lo schienale e la testa leggermente inclinata. 
Si chiedeva, in effetti, come fosse riuscita ad addormentarsi visto il suo modo di guidare vagamente poco sicuro... gli piaceva andare veloce e fare le curve molto strette, anche se farlo a bordo di un furgone non era esattamente una passeggiata.

Forse ormai si era semplicemente abituata. 

"Sai, neanche a me dispiacerebbe fare un pisolino... peccato aver insistito per guidare al posto tuo." 

Hooland riportò gli occhi sulla strada, tamburellando le dita sul volante mentre ringraziava mentalmente Rose per essersi addormentata a pochi minuti dall'arrivo: non sapeva se sarebbe riuscito a guidare a lungo in quel silenzio surreale... e ovviamente non poteva neanche accendere la radio per avere compagnia. 

No, non aveva nessuna voglia di svegliare la sua amica... A Rose non piaceva essere svegliata, specialmente ad orari come quello. 


                                                             *


Teneva il gomito appoggiato allo sportello dell'auto, la mano reggeva il suo volto mentre osservava Juliet dormire, ripensando a quando aveva finalmente raggiunto il terzo piano di quell'enorme villa e l'aveva vista uscire da una stanza con un sorriso piuttosto soddisfatto stampato sul volto. 

"Carter, non dovevi salire... è tutto a posto, abbiamo la collana." 

Lei gli aveva sorriso, avvicinandosi al suo Guardiano e ignorando la sua espressione poco felice. 
Quando erano saliti in auto lui non aveva spiccicato parola per diversi minuti, finché lei non si era voltata nella sua direzione, osservandolo con il capo inclinato e un'espressione vagamente divertita:

"Sei arrabbiato con me?" 
"No. Mi dai solo i nervi."
"Andiamo Carter, lo so che infondo tieni a me." 

Juliet aveva sorriso, sfilandosi i tacchi per mettersi più comoda sui sedili di pelle della costosa auto mentre Carter continuava a guardarla con cipiglio seccato:

"Se ne sei convinta. Perché fai sempre di testa tua?" 
"Non prendertela, è andato tutto bene, no? Abbiamo la collana e Alpha ne sarà felice, nessuno si è fatto male... a parte quelle guardie, certo. Ma noi stiamo tutti benissimo, giusto?" 

Carter aveva scosso il capo, decidendo di lasciar perdere e spostando lo sguardo fuori dal finestrino, evitando di parlare per il resto del tragitto... finché non si era reso conto che Juliet si era addormentata. E come spesso succedeva di ritorno dalle operazioni lui si limitava ad osservarla, non riuscendo come sempre a prendere sonno a sua volta. 

A volte, quando la guardava dormire, si chiedeva se anche prima dell'annullamento quella ragazza fosse stata tanto testarda. Aveva quattro anni più di lei e per quanto ci avesse provato non era mai riuscito a collocare con precisione quel volto ad Hogwarts. Probabilmente l'aveva vista, ma non ci aveva mai fatto caso... chissà, forse erano stati anche compagni di Casa. E non l'avrebbe mai saputo. 

Era un lavoro strano, difficile sulle volte... non provare curiosità era impossibile, non quando vivevi e lavoravi a stretto contatto con una persona tutti i giorni. 
Lei gli poneva spesso domande sulla sua vita al di fuori della Casa, sulla sua famiglia... lui in compenso non poteva, come tutti i suoi "colleghi".


Carter distolse lo sguardo dall'Attiva per posarlo sul finestrino, scorgendo con sollievo la sagoma ormai familiare della villa, illuminata debolmente da dei lampioni che affiancavano il viale di ghiaia dell'ingresso. 
Non che volesse scendere dall'auto per andare a dormire, aveva problemi di insonnia praticamente da sempre, ma voleva sgranchirsi le gambe dopo più di due ore passate in auto. 

La limousine si era appena fermata dopo aver percorso il viale, accostando nel grande piazzale di ghiaia insieme alle altre macchine, quando Carter aprì lo sportello, scendo con sollievo e facendo poi il giro per raggiungere Juliet, allungando una mano per sfiorarle la spalla:

"Juls?" 

"Mh?" 
"Siamo arrivati... coraggio, devi scendere." 

"Credo che dormirò qui." 

Juliet sbuffò e si voltò per dargli le spalle, tenendo ostinatamente gli occhi chiusi mentre il Guardiano roteava gli occhi, scrollandola ulteriormente:

"Non se ne parla, altrimenti domani mattina ti lamenteai del tremendo torcicollo che ti avrà colpito... e io dovrò sopportarti. Avanti, la tua camera ti aspetta." 

Juliet sbuffò e aprì gli occhi verdi, borbottando di quanto fosse insopportabile mentre usciva scompostamente dalla macchina, tenendo i vertiginosi sandali neri in mano e camminando sulla ghiaia a piedi nudi. 

E a Carter non restò che chiudere lo sportello dell'auto prima di seguirla a prenderla sottobraccio, giusto per guidarla e impedirle di sbagliare strada o ruzzolare dentro un cespuglio. 


                                                            
"Finalmente siamo arrivati... sono 12 ore di fila che ti sopporto, ne ho abbastanza della tua faccia per oggi. Buonanotte." 

Isla sollevò una mano per salutare Foxtrot prima di partire quasi a passo di marcia, scaturendo una risata da parte di Nicholas e di Whiskey, mentre l'Attivo sfoggiava la sua migliore espressione ferita:

"Non mi dai il bacio della buonanotte?" 
"Fattelo dare dalla DeWitt, se proprio ci tieni!" 

"Povera Isla, é scorbutica perché non ha potuto passare la serata in mia compagnia..." 

Foxtrot scosse il capo mentre Nicholas gli sorrideva, dando all'Attivo una lieve pacca sulla spalla mentre si slacciava il nodo del cravattino nero:

"Non penso che sia per questo, se devo essere onesto... ma credo che sia troppo tardi per discutere, io me ne vado a letto." 
"E io ti seguo!" 

Whiskey prese November sottobraccio e la condusse verso l'ingresso della villa, mentre alle loro spalle Quebec si guardava intorno con aria accigliata, cercando tracce della sua Guardiana con lo sguardo: non vedeva Rose da ore, anche se l'aveva sentita tramite l'auricolare alla villa. 

Quando posò gli occhi eterocromatici sul furgoncino nero abbozzò un sorriso, osservando lo sportello aperto davanti al quale Hooland si era piazzato, impegnato a cercare di tirare fuori Rose dal mondo dei sogni. 

"Rosie? So che muori dalla voglia di essere portata in braccio fino alla tua camera, ma dovresti proprio svegliarti adesso." 

L'ex Tassorosso allungò una mano per sfiorare il braccio della ragazza, che aprì lentamente gli occhi azzurri prima di muoversi leggermente sul sedile, posando lo sguardo su di lui:

"Ciao... ho dormito?" 
"Già. Peccato, avremmo potuto fare due chiacchiere in macchina... tu avresti potuto farmi i complimenti per l'ottima guida. Parlavi nel sonno, comunque." 

"Davvero?" 

Rose sgranò gli occhi mentre scendeva dal furgone, guardando l'amico con sincero stupore mentre Hooland annuiva, chiudendo lo sportello del veicolo e restando perfettamente serio nel parlare:

"Sì, mi hai rivelato di essere perdutamente innamorata di me."


Rose gli rivolse un'occhiata scettica e Hooland ridacchiò, strizzandole l'occhio prima di superarla:

"Scherzavo, scherzavo... buonanotte Rosie, ci vediamo domattina al cospetto del capo!" 
"Non ricordarmelo..." 

Rose sfoggiò un alieve smorfia, estremamente sollevata che tutto fosse andato per il meglio quella sera: no, non aveva nessuna voglia di sorbirsi una delle famose e terrificanti strigliate di Alpha. 

L'ex Tassorosso si allontanò leggermente dal furgone e incrociò così Quebec, rivolgendogli un lieve sorriso mentre il ragazzo le si avvicinava:

"Ciao Quebec... complimenti per l'operazione, hai fatto un ottimo lavoro." 
"Grazie Rosie." 

Quebec rivolse un lieve sorriso alla ragazza, incamminandosi accanto a lei per entrare nell'enorme abitazione. 

"Prego. Sono sicura che Alpha dirà lo stesso, vedrai." 
"Lo spero... l'ultima cosa che voglio fare è deluderlo, e penso di parlare a nome di tutti." 

"Non lo farai. Ti impegni sempre moltissimo per portare a termine una missione." 

Rose sorrise al ragazzo, guardandolo con sincero affetto e ottenendo un sorriso quasi impercettibile come risposta, prima che Quebec le augurasse la buonanotte e la superasse, accelerando il passo.
Era stata una serata piuttosto lunga... e moriva dalla voglia di buttarsi sul suo letto e rilassarsi un po'.

Rose lo seguì con lo sguardo, tenendo le braccia conserte come se volesse, inconsciamente, difendersi da qualcosa.
Guardò il suo Guardiano allontanarsi e per un attimo gli sembrò di vederlo camminare nei corridoi di Hogwarts, con la divisa della scuola addosso... intento a ridere come di rado l'aveva visto fare da quando era entrata alla Dollhouse, diventando la sua Guardiana. 

Era stato davvero strano all'inizio... probabilmente lo era per tutti, ma per lei ed Hooland la faccenda era diversa rispetto agli altri Guardiani della squadra: loro avevano la stessa età degli Attivi, avevano frequentato lezioni insieme, avevano dormito nello stesso Dormitorio per sette anni. 
Non era stato per niente facile abituarsi al radicale cambiamento di quelli che prima erano stati loro amici e non... in alcuni casi quelli che un tempo erano stati loro amici ormai non lo erano più. E no, non era facile conviverci, tanto che a volte si chiedeva se fosse stata la scelta giusta...

Ma in ogni caso poteva forse tornare indietro, ormai?


                                                          *


Nicholas spalancò gli occhi chiari subito prima di scattare, mettendosi seduto sul letto e allungando istintivamente una mano verso il comodino, tastino la superficie di legno per cercare la bacchetta. 

Rimase immobile per un attimo, deglutendo mentre le urla si facevano meno ovattate e molto più chiare, quasi più vicine. 
Fece per alzarsi e andare a controllare, ma poi riconobbe la voce... e si bloccò, chiedendosi se fosse la cosa giusta da fare o meno. 

Doveva rimettersi sotto le coperte e fare finta di niente come già in passato era capitato? O doveva alzarsi, uscire in corridoio e vedere cosa stava succedendo? 

Esitò, restando immobile per qualche istante... ma all'ennesimo grido soffocato Nicholas si alzò, mandando mentalmente al diavolo la vocina nella sua testa che gli suggeriva di non farlo. 
Non prese neanche la bacchetta, sapendo che gli sarebbe servita a ben poco... uscì dalla sua camera e si fermò accanto alla porta aperta, osservando il corridoio buio mentre guardava un'altra porta aprirsi, permettendo ad un ragazzo di uscire in corridoio a sua volta. 

Nicholas mosse qualche passo avanti, il cuore che gli martellava nel petto mentre Carter attraversava il corridoio per raggiungere la stanza da dove provenivano le grids, accorgendosi della sua presenza ad un paio di metri dalla porta. 
I due Guardiani si fermarono, guardandosi reciprocamente in perfetto silenzio per qualche istante, finché Carter non parlò, usando un tono pacato e quasi seccato:

"Ci penso io, Bennet." 
"Voglio solo..." 
"Ne abbiamo già parlato. Ci penso io." 

Dal tono sembrava che Carter non volesse ammettere repliche e Nicholas si limitò ad osservarlo, trattenendosi dal ribattere mentre lo guardava aprire la porta ed entrare nella stanza, socchiudendola alle sue spalle. 

Odiava ammetterlo, ma tecnicamente era tenuto ad ascoltarlo... o almeno su quel frangente. 

"Non gli piace che si ficchi il naso nelle sue faccende, ormai dovresti saperlo. In effetti, a volte mi chiedo perché ti ostini così tanto." 

Nicholas si voltò, incontrando così lo sguardo della ragazza bionda che lo stava osservando di rimando, appoggiata alla porta della sua camera con i capelli sciolti sulle spalle e solo la camicia da notte scura addosso:

"Sì, lo so, ma mi ostino a cercare di fargli cambiare idea... e comunque, non sono affari tuoi." 

Nicholas sbuffò e girò sui tacchi, allontanandosi per tornare in camera sua sotto lo sguardo vagamente scettico di Erin:

"Come mai diventi così scorbutico in queste situazioni Bennet?" 
"Non fare domande se già ne conosci la risposta, LaFont." 

Un lievissimo sorriso increspò le labbra di Erin mentre Nicholas si chiudeva la porta della sua camera alle spalle, prima che la bionda posasse gli occhi chiari sulla porta socchiusa della stanza dove era sparito Carter, sollevata che le urla fossero cessate. 

Sì, Nicholas aveva ragione... conosceva già la risposta. Ma sarebbe stato divertente se, prima o poi, sarebbe riuscito a pronunciare quelle parole ad alta voce. 
L'avrebbe mai fatto?

La Guardiana lanciò un'ultima occhiata alla porta prima di girarsi e tornare a sua volta nella sua stanza, non potendo fare a meno di trovare quella situazione pittoresca quanto divertente. 


                                                                   *


Aprì la porta e, per un istante, indugiò sulla soglia della stanza. I suoi occhi si posarono come sempre sul letto da una piazza e mezza, trovandolo occupato dalla fonte delle grida che probabilmente avevano già svegliato mezzo piano. 

Avevano chiesto che le stanze venissero insonorizzate molte volte... ma lei non aveva voluto saperne, limitandosi a far insonorizzare i vari piani, in modo che a causa di una sola persona non venisse svegliata tutta la casa. 

Juliet premette il viso sul cuscino, soffocando a malapena un grido mentre Carter si avvicinava al letto, sedendosi sul bordo del materasso e sfiorando i capelli della ragazza, che tremava come una foglia. 

"Juls... Tutto bene?" 
Juliet si mosse di scatto, sollevando la testa per guardarlo con gli occhi chiari leggermente lucidi, mentre all'improvviso la testa sembrava sul punto di spaccarsi a metà. 
Si era svegliata di colpo dopo una lunga serie di sogni surreali e il dolore era cominciato subito dopo... e a quanto sembrava non era riuscita a non urlare. 

Non ottenendo risposta Carter si limitò a sospirare, allungando un braccio per sistemarlo dietro la schiena della ragazza:

"Ti porto dalla DeWitt, ok? Così il dolore passerà." 

Juliet si limitò ad annuire, per una volta non aveva assolutamente nulla da obbiettare, nessuna battutina da fare... lasciò invece che il Guardiano la sollevasse senza opporre la minima resistenza, stringendo la presa sulla sua spalla e appoggiandoci contro il capo. 

Juliet deglutì, chiudendo gli occhi e ripetendosi che presto avrebbe dormito di nuovo e il dolore sarebbe passato... insieme alla strana sensazione che sentiva da quando si era svegliata. 
Carter invece uscì in corridoio e lo attraversò rapidamente per salire ai piani superiori, certo che la Dottoressa non sarebbe stata molto entusiasta si essere svegliata a quell'ora... ma lei stessa diceva sempre, dopotutto, che per i "suoi Attivi" avrebbe fatto di tutto. 

In fin dei conti era una fortuna che dormisse sempre pochissimo... sentiva sempre per primo le urla di Juliet, ormai ci era quasi abituato e ogni volta si limitava a portarla dalla Dottoressa, sperando che lei sarebbe stata in grado di farla smettere di soffrire. 


                                                                  *


"Buongiorno. Juliet?" 
November accellerò il passo per raggiungere Erin, che camminava lungo il corridoio deserto con la camicia da notte estiva addosso e sopra una vestaglia scura praticamente trasparente.

"Non è in camera sua, quindi o è già scesa o è rimasta a dormire non so dove... il tuo Guardiano ha di nuovo provato ad intervenire, ieri sera." 
"Mi sono svegliata anche io, ma sono rimasta in camera... Fammi indovinare, Carter lo ha fermato." 

Erin annuì, continuando a camminare e guardandosi intorno per cercare tracce di Juliet con lo sguardo, mentre November la seguiva:

"Già. In effetti non gli si può dare torto... chissà perché Nicholas è tanto testardo." 
"Glie l'ho chiesto qualche volta... ma dice sempre di faticare semplicemente ad ignorare qualcuno che sta soffrendo." 

L'Attiva si strinse nelle spalle, ripensando alle parole che aveva sentito tante volte uscire dalla bocca del suo Guardiano, mentre un lievissimo sorriso increspava le labbra rosee di Erin:

"Già, l'ho sentito anche io. Mi chiedo solo se sia vero. Hai mai pensato a quanto poi, infondo, voi Attivi conoscete noi Guardiani? Viviamo insieme, stiamo praticamente sempre insieme... ma non vuol dire comunque sapere tutto l'uno dell'altro." 
"Immagino che dipenda da caso in caso... tu ed Echo quasi non vi sopportate, ma io e Nick andiamo d'accordo. E anche Juliet e Carter, hanno un'intesa particolare." 

November si limitò a stringersi nelle spalle, iniziando a scendere le scale insieme alla bionda per raggiungere il piano terra della villa debolmente illuminata dalla luce che filtrava attraverso le finestre, grazie al sole che era sorto da poco meno di due ore. 

In un certo senso Erin aveva ragione, lo sapeva anche lei... ma preferiva non pensarci, non le piaceva riflettere su come infondo conoscessero poco i loro Guardiani, o almeno le loro storie. 
Era una specie di patto non scritto nella Casa: i Guardiani nulla sapevano delle loro vite prima di mettere piede lì dentro e viceversa. 

Le due ragazze rimasero in silenzio mentre raggiungevano la grande cucina della villa,  messa a loro completa disposizione. La penisola, di marmo bianco come tutto il resto della stanza pentagonale, era circondata da sgabelli, per la maggior parte vuoti in quel momento. 

L'unico ad essere sceso in cucina prima di loro era Hooland, che rivolse alle due ragazze un lieve cenno mentre mangiava distrattamente un'enorme scodella di cereali.

"Ciao... posso?" 

Il ragazzo annuì e November prese posto accanto a lui per servirsi a sua volta, mentre anche Foxtrot faceva il suo ingresso e rivolgeva un gran sorriso in direzione di Hooland, andando subito a sedersi accanto a lui:

"Ehy! Peccato che ieri sera tu fossi bloccato fuori dalla villa, ci saremmo divertiti! Io e November abbiamo preso a calci qualche guardia." 

"Forse vuoi dire che IO ho preso a calci qualche guardia... Erin, a te com'è andata?" 

La mora si voltò verso la bionda, che le dava le spalle mentre frugava nell'enorme frigo. Erin si limitò a sbuffare per tutta risposta, borbottando che nell'operazione successiva avrebbe voluto cambiare collocazione. 

"So che non vai molto d'accordo con Echo Erin... ma trattami bene Whiskey, mi raccomando." 
"Fosse lei il problema! Whiskey è a posto, è tranquilla e si fa gli affari suoi... a differenza di qualcun altro, certo. Credo che andrò a fare una doccia invece di fare colazione, altrimenti poi le troverò tutte occupate come al solito..." 

La bionda sospirò, passando davanti al gruppetto e stiracchiandosi mentre anche Rose faceva il suo ingresso, i capelli raccolti sulla nuca e il pigiama addosso. 

"Ciao a tutti... Ho sentito urlare qualcuno ieri sera, era Juliet?" 

L'ex Tassorosso entrò in cucina con un lieve sorriso stampato in volto, lanciando una fugace occhiata ad Erin prima di tornare a concentrarsi sugli altri compagni. 
Per un momento si sentì vagamente ridicola con il pigiama bianco e rosso addosso mentre la bionda girovagava ogni mattina in vestaglia e camice da notte in pizzo... ma poi, come al solito, si disse di piantarla e si avvicinò agli altri. 

"Sì... spero che la DeWitt le abbia dato una mano come al solito e che ora stia meglio." 

November annuì, parlando con un tono pensieroso mentre Rose annuiva, raggiungendo il frigo lasciato aperto da Erin per prendere una caraffa di succo. 

"Se non scende andrò a dare una controllata. Nessun altro è stato male, vero?" 
"No, nessuno. Belle ciabatte, comunque!" 

Hooland sorrise, accendano dalle pantofole dell'amica a forma di unicorno mentre la ragazza sorrideva, prendendo posto di fronte a lui:

"Grazie... stai per dirmi che non sono abbinate al mio pigiama, immagino." 
"In effetti come abbinamento non è granché, ma visto che sei tu ed è mattina ti perdonerò."


Hooland ricambiò il sorriso e Rose fece per dire qualcos altro, ma si bloccò di colpo quando una voce piuttosto familiare giunse alle sue spalle:

"Tra venti minuti vi voglio tutti di sotto, intesi? Niente ritardi." 

"Certo." 

Rose si voltò di scatto verso Alpha, sforzandosi di sorridere e sentendosi raggelare di fronte alla sua consueta occhiata glaciale. A volte si chiedeva come riuscissse a fulminare le persone con gli occhi in quel modo terrificante... forse erano le iridi così chiare? 

La Guardiana guardò Alpha uscire dalla cucina, dopo aver rivolto un'ultima occhiata ai quattro, prima di voltarsi nuovamente verso i tre compagni, guardandoli con stizza:

"Perché non mi avete detto che era dietro di me?" 
"Io stavo pensando a Juliet." 
"Anche io!" 
"E io... alle tue pantofole." 

"Idioti." 


                                                            *


"Halon." 

Carter si fermò, sbuffando prima di voltarsi verso la fonte della voce. Erin gli si stava avvicinando e il ragazzo già intuiva cosa gli stesse per chiedere... non era certo la prima:

"Se vuoi chiedermi come sta Juliet risparmia il fiato. Ora sta benissimo, ieri sera la DeWitt l'ha rimessa in sesto." 
"È un modo più carino per dire che le ha intaccato il cervello, Halon?" 

Erin sollevò un sopracciglio e Carter contrasse la mascella di riflesso, osservandola con leggero astio:

"So che, per qualche assurdo motivo, tu e lei siete amiche... ma anche io tengo a lei LaFont, se portarla dalla DeWitt è l'unico modo per non farla soffrire in quel modo allora mi sta bene." 
"E lei cosa ne pensa? Secondo te che cosa direbbe se sapesse?" 

"Non so di preciso che cosa faccia la DeWitt agli Attivi in questi casi... ma funziona, lo sai anche tu. Per un po' non fanno più incubi, non sentono più dolore. E quando si svegliano, rimuovono tutto... non ricordano neanche il dolore che li ha colpiti poche ore prima. Juliet sta benissimo adesso, puoi parlarle di persona se vuoi." 


Carter si mosse per superare la ragazza, che invece rimase immobile e parlò solo dopo qualche istante:

"Ho visto Nicholas alzarsi ieri sera. Sai perché dimostra tutto questo interessamento nei suoi confronti?" 
"No." 

Carter si fermò, non riuscendo a nascondere l'irritazione nella voce: in genere riusciva a capire le persone, a scoprire praticamente tutto di loro... ma in quella casa era tutto molto più difficile. Non poteva e non doveva sapere nulla degli Attivi, ma si era reso conto di non sapere molte cose nemmeno sui Guardiani.

"Quindi c'è qualcosa che non sai? Incredibile... è buffo, perché magari io potrei saperlo. Chissà, potrebbe anche tornarmi utile, in futuro." 






"Non capisco perché ha sempre quell'espressione seccata... ieri siamo stati bravi, è andato tutto bene... che cos'avrà da lamentarsi, questa volta?" 

Isla sbuffò, osservando Alpha con aria critica e parlando con un filo di voce mentre aspettava, in piedi tra Rose ed Erin. 
L'ex Tassorosso si limitò a roteare gli occhi, come a voler dire che non ne aveva idea, mentre l'uomo aspettava che tutti e 12 si presentassero nella palestra, restando in piedi davanti a loro. 

"Chi può dirlo... ma spero che non se la prenda con me, non voglio fare 100 flessioni!" 
"Beh, neanche io! Devo chiedere a November di insegnarmi quella cosa che ha fatto ieri sera, così al limite lo prenderemo a taccate in faccia." 
"Non credo sia una buona idea." 

Rose inarcò un sopracciglio, figurandosi la scena insieme alla reazione poco felice di Alpha prima che la compagna sorridesse appena, parlando a bassa voce:

"Silenzio ora, pulcino." 
"ODIO quel nome. Ma chi lo ha scelto?" 
"Alpha, credo." 

Rose sbuffò e Isla si trattenne dal ridacchiare, consolandosi al pensiero di non essere l'unica a detestare il proprio nome in codice. 

Nessuna delle due però disse altro visto che Alpha si schiarì la voce, prendendo finalmente la parola visto che il gruppo era finalmente al completo dentro la stanza:

"Ora che ci siete tutti possiamo cominciare... Ieri sera avete recuperato la collana entro i tempi previsti, nessuno vi ha causato grandi problemi e non ci sono state complicazioni... ergo, bravi. Bel lavoro, tutti quanti. Ho notato anche che questa volta siete riusciti a non far saltare la corrente..." 

Qualche risatina echeggiò tra il gruppo è Nicholas sbuffò, borbottando che dovevano smetterla di rivangare quella storia mentre Alpha continuava a parlare, facendo vagare gli occhi blu su tutti i presenti:

"La collana è stata già consegnata al cliente e la Dottoressa è soddisfatta del lavoro, quindi lo sono anche io." 
"Ci siamo guadagnati un giorno di riposo, per caso?" 

"No Fox... temo di no. La Squadra Charlie al momento è impegnata in un altro progetto e i Bravo sono in trasferta a Londra... quindi rimanete soltanto voi. E la Dottoressa è stata contattata ieri per un lavoro che richiede una certa... delicatezza." 


Delicatezza... conoscevano tutti piuttosto bene il significato di quella parola. Alpha solitamente la utilizzava per indicare un lavoro non esattamente intriso di moralità, o comunque piuttosto rischioso. 

"Ossia?" 

La voce di Echo ruppe il silenzio che era andato a crearsi mentre tutti avevano iniziato a formulare mentalmente delle ipotesi, continuando a tenere gli occhi fissi su Alpha, in attesa che si spiegasse. 

"Una persona deve sparire. Rimane solo da capire chi di voi sei sarebbe in grado di portare a termine un lavoro come questo." 

Gli occhi chiari dell'uomo si catalizzarono su Echo, Whiskey, Juliet, Quebec, November e Foxtrot, scrutandoli con attenzione mentre accanto a loro i rispettivi Guardiani pregavano mentalmente, affinché il loro protetto non venisse scelto: ormai sapevano tutti che cosa voleva dire "sparire" se era Alpha a dirlo. 

"Quebec? Ci penserai tu.  Ovviamente Rose ti accompagnerà, e puoi scegliere personalmente il tuo compagno." 

Quebec si voltò verso i compagni mentre Rose imprecava mentalmente, maledicendo Alpha e chiedendosi perché le missioni peggiori spettassero sempre a lei e a Quebec... probabilmente perché, lo sapevano tutti i presenti e Alpha in special modo, lui era particolarmente propenso a portare a termine qualunque compito. 

Quebec fece scorrere lo sguardo sui cinque compagni, leggendo chiaramente una preghiera in ognuno: chi lo implorava di non sceglierlo, chi gli chiedeva di farlo. 
Juliet teneva gli occhi chiari fissi su di lui, chiedendogli mentalmente di scegliere lei... ma il ragazzo distolse lo sguardo, puntando gli occhi eterocromatici sulla ragazza che le stava accanto:

"Whiskey." 


Il ragazzo colse chiaramente lo stupore di Juliet e l'espressione tetra della rossa, mentre Rose invece sfoggiava un lievissimo sorriso, quantomeno sollevata di essere insieme a Whiskey e Hooland. 

Anche Erin tirò un sospiro di sollievo, mentre November sbuffò appena, tenendo le braccia conserte e un'espressione impassibile stampata sul volto.

"Bene. Questa è la scelta, non si torna indietro... ora, gli altri si alleneranno come al solito, voi quattro venite con me invece, vi spiegherò i dettagli." 


Come al solito nessuno osò emettere un fiato e tutti si limitarono ad obbedire: Quebec seguì Alpha fuori dalla palestra con Whiskey al seguito e Hooland e Rose subito dietro, quest'ultima vagamente imbronciata mentre l'amico le sorrideva leggermente:

"Non sei felice di essere finita con me, Rosie?"
"Certo... ma non lo sono particolarmente per il lavoro in questione." 
"Con un po' di fortuna ci piazzeranno dietro a degli schermi anche questa volta... incrociamo le dita. Nemmeno io muoio dalla voglia di stare in mezzo all'azione in questo caso." 


                                                              *


Sbuffò leggermente, maledicendosi per aver mancato il bersaglio ancora una volta: no, non era mai stato un vero portento con le armi da fuoco. 

Quebec, Rose, Hooland e Whiskey ancora non erano tornati... continuava a pensare a cosa si stessero dicendo, insieme ad Alpha. 
Non sapeva nemmeno lui se avrebbe preferito essere scelto da Quebec... di sicuro il lavoro non si prospettava facile, ma di certo portandolo a termine avrebbe accumulato un bel po' di punti con Alpha e con la stessa Dottoressa. 

Non aveva dubbi sul fatto che Quebec l'avrebbe portata a termine... lo faceva sempre, dopotutto. In quello erano abbastanza simili, entrambi si impegnavano sempre parecchio nei compiti assegnatogli. 


"Mi chiedo ancora come puoi, dopo tutti questi allenamenti, fare tanta fatica a centrare il bersaglio." 

Echo sbuffò, voltandosi verso la fonte della voce e trovandosi accanto ad Erin, che lo stava osservando a braccia conserte:

"Non mi sembra che nemmeno tu sia un portento, Erin." 
"Vero... ma io non sono un'Attivo, l'hai scordato? E poi io me la cavo bene con il corpo a corpo, in compenso." 
"Sì, beh... abbiamo tutti le nostre lacune. E ai muscoli io continuo a preferire il cervello, se devo essere onesto." 

Echo si voltò nuovamente verso il bersaglio, sorridendo con lieve soddisfazione quando centrò finalmente in pieno il bersaglio. 
Erin si strinse nelle spalle prima di allontanarsi per continuare a sparare a sua volta, sistemandosi gli occhiali protettivi tra i capelli:

"Io continuo a chiedermi che cosa aveva in testa la DeWitt quando ci ha messi insieme..." 
"Per una volta siamo d'accordo, allora." 


                                                                   *


"Isla mi ha detto che stamattina la DeWitt ti ha convocato... è vero?" 

"Sì." 
"Di cosa avete parlato?" 

"Non di te, se è questo che vuoi sapere." 

Il colpo d'arma da fuoco echeggiò nella palestra e Nicholas sorrise lievemente, osservando il bersaglio e il centro perfetto che aveva appena fatto. 
November, in piedi accanto a lui, roteò gli occhi prima di sollevare l'arma a sua volta, borbottando qualcosa a mezza voce:

"E allora di cosa?" 
"Niente di importante." 
"La DeWitt non chiama le persone nel suo dannato ufficio per prendere il thè e parlare del tempo Nick! Che cosa voleva?" 
"November... io sono il tuo Guardiano. Io devo proteggerti, io devo farmi gli affari tuoi... non viceversa. Non preoccuparti, non c'è niente che non va." 


Nicholas non battè ciglio e colpì di nuovo il bersaglio, facendo sbuffare l'Attiva: non sopportava quando faceva il sibillino in quel modo... ma Nicholas era sempre stato così, terribilmente riservato e bravo a non farsi carpire le informazioni. 


Ma qualcosa c'era, lo sapeva. Aveva ragione e ne era consapevole, la DeWitt non faceva mai niente per niente... eppure la sera prima era andato tutto bene, non c'erano stati intoppi, possibile che la Dottoressa avesse voluto sgridare il Guardiano per un qualche motivo? 
Solitamente i Guardiani passavano guai solo se gli Attivi riportavano qualche danno o rischiavano di essere scoperti dai Babbani o da altri maghi... ma a lei non era successo nulla del genere. 

Quindi forse la DeWitt non aveva fatto chiamare Nicholas per parlare di lei... ma allora, che cosa voleva? 


                                                              *


"Voglio sapere perché l'hai fatto." 

Quebec alzò lo sguardo quando i fascicoli che stava leggendo gli vennero strappati di mano, incontrando cosi gli occhi colmi dirritazione di Juliet, che era in piedi davanti al tavolo che aveva occupato.

"A cosa ti riferisci Juliet?" 
"Lo sai benissimo. Io scelgo quasi sempre te e viceversa... perché non mi hai scelta? Insieme ce la caviamo benissimo e lo sai anche tu!" 

"Non essere egocentrica Juls, non ci sei soltanto tu." 

Quebec allungò una mano per riprendere i fascicoli e la ragazza sbuffò, rimettendoli sul tavolo ma continuando a guardarlo intensamente, come a voler cercare di capirlo:

"Lo so benissimo... ma so per certo che hai preso me in considerazione. Perché non mi hai scelta?" 

Quebec rimase in silenzio per un attimo, osservandola di rimando prima di sospirare, sapendo che non lo avrebbe mollato neanche per un attimo finché non avrebbe ottenuto la sua risposta.
Forse non avrebbe dovuto dirlo... ma non gli andava neanche di mentirle così spudoratamente.

"Ti ho sentita, ieri sera." 
"Di che parli?" 
"Ti ho sentita urlare." 


Juliet rimase impassibile, ma Quebec riuscì comunque a vedere la sua mascella serrarsi per un istante, mentre continuava ad osservarlo:

"Non so a cosa ti riferisci." 
"Certo che lo sai... succede a tutti noi, no? Solo che poi spesso neanche lo ricordiamo... ieri sera sei stata male, Juliet. E forse non è il caso che tu prenda immediatamente parte ad un'altra operazione, specialmente se così impegnativa." 

"Ti prego. Stai forse dicendo che lo fai perché mi vuoi aiutare? Al massimo potrei credere che lo fai per metterti in buona luce... ma sai che ti dico? Non importa... sarà per la prossima volta. E ieri notte non è successo niente, comunque." 

Juliet lasciò i fascicoli sul tavolo davanti al ragazzo prima di girare sui tacchi e allontanarsi a passo svelto, senza voltarsi indietro neanche una volta. Quebec la seguì brevemente con lo sguardo e poi scosse il capo, abbassando gli occhi sulla carta:  era molto testarda, forse troppo per dargli retta... ma sapeva anche che infondo persino lei era consapevole della veridicità delle sue parole. 


   










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Angolo Autrice:

Buonasera! Chiedo scusa per l'attesa, ma da una settimana e mezza a questa parte arrivo ad essere così stanca che spesso vado a letto prestissimo... e io solitamente scrivo nel tardo pomeriggio/sera, quindi ci ho messo più del solito per scrivere questo capitolo. 
Mi rendo conto che non è granché e mi dispiace, ma devo ancora prendere dimestichezza con gli OC... E come ho detto il periodo non è dei migliori, spero di rifarmi con il seguito :) 

Buonanotte, 
Signorina Granger 




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Capitolo 5
*** Quebec ***


Buonasera! Allora, piccola premessa prima di lasciarvi alla lettura... in questa storia, essendo dalla trama un po' diversa dal solito, ho deciso di fare un piccolo esperimento e di dedicare da qui in avanti ogni capitolo ad un OC preciso, anche se compariranno anche gli altri, solo in misura minore, così da potervi far conoscere per bene i personaggi e sfruttarli al meglio, o almeno lo spero.
Prossimamente sarete voi a scegliere, ma per iniziare la scelta l'ho fatta io... buona lettura u.u 

 

Capitolo 3: Quebec 


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Era fermo nell'Ingresso, guardandosi intorno con leggero nervosismo. Quella stanza era davvero enorme, e anche se era piuttosto alto per la sua età di rado si era sentito tanto piccolo. 

Continuava a spostare nervosamente il peso da un piede all'altro, tormentandosi il bordo della manica nera della divisa e ripensando a quando i suoi fratelli maggiori, Saul e Sarah, gli avevano raccontato di Hogwarts e dello Smistamento. 

I suoi genitori non avevano studiato nella famosa scuola inglese e forse erano emozionati quanto lo era lui nell'immaginario in quel castello, pronto ad essere assegnato a chissà quale Casa. 
Era sempre stato un tipetto impavido, ma in quel momento avrebbe davvero voluto vedere e poter parlare con suo fratello per farsi rassicurare da lui. 

Possibile che il Cappello non lo volesse Smistare da nessuna parte? Forse non andava bene per quel posto? Sul treno aveva distrattamente sentito ragazzini raccontare dei loro genitori, delle Case a cui erano appartenuti... lui di storie di quel tipo proprio non ne aveva, i suoi genitori erano americani, suo padre aveva studiato ad Ilvermorny e sua madre all'Istituto di Salem.

"Sei nervoso?"
Si voltò e fece spallucce, osservando attentamente il ragazzino che gli aveva appena rivolto la parola è sforzandosi di non dare a vedere quanto in realtà lo fosse... ma sperava che fossero tutti nella sua stessa barca, almeno.

"Io un po'... spero che il Cappello faccia in fretta." 

Osservò attentamente il suo interlocutore, che gli rivolse un sorriso allegro: era alto praticamente come lui, entrambi svettavano su praticamente tutti i loro compagni mentre aspettavano di essere accompagnati in Sala Grande. Era molto pallido in effetti, probabilmente se non avesse sorriso in quel modo gli avrebbe chiesto se si sentiva poco bene... ma sembrava piuttosto tranquillo.
E forse fu proprio quel sorriso allegro a far sorridere anche lui, che annuendo parlò nuovamente:

"Lo spero anche io. Come ti chiami?"
"Hooland Magnus." 
"Piacere Hooland... io sono Seth Redclaw." 


                                                       *


Teneva gli occhi fissi sul tavolo, osservando attentamente le rune.
Era una specie di rituale ormai, prima di ogni operazione si dedicava alla lettura di quelle piccole tessere... sperava che, in un qualche modo, potessero fargli capire come sarebbe andata la missione imminente.

E con il tempo si era reso conto, con gran soddisfazione, di sbagliarsi piuttosto di rado.

Sentì dei passi ma non si voltò, non alzò lo sguardo dalle rune mentre qualcuno si fermava accanto a lui, sedendosi sul bracciolo della poltrona posta vicino al tavolino circolare che aveva occupato.

"Perché hai scelto me?"
"Perché non avrei dovuto farlo? Sei sveglia, affidabile." 
"Grazie. Ma... Perché non Juliet? Voi due lavorate insieme praticamente sempre."

Quebec annuì, alzando leggermente lo sguardo per rivolere alla compagna una fugace occhiata, trovandola impegnata ad osservarlo attentamente, chiedendosi il perché di quella scelta.

"È bello cambiare di tanto in tanto, no? E poi... forse Juliet ha altro su cui concentrarsi."
"L'ho sentita anche io, sì." 

E sento anche te e gli altri

Whiskey non lo disse, ma pensò comunque quelle parole... e a tutte le notti in cui si era svegliata nel sentire quelle urla, provenire dalle stanze che la circondavano. Non lo facevano tutti, in effetti... non tutti avevano quelle brutali reazioni. Si era interrogata sul motivo più di una volta ma non aveva mai trovato una risposta.


Tra i due calò il silenzio per qualche istante, o almeno finché la rossa non sfoggiò un lieve sorriso, sporgendosi leggermente verso il ragazzo:

"Allora... che cosa dicono le rune questa volta? Andrà tutto bene?" 
"Tecnicamente sì... direi quindi di fare in modo che la predizione non sia sbagliata Whiskey." 


                                                                    *

 
"È così noioso... in questo momento vorrei essere fuori, a passeggiare in riva al Lago Nero."

La ragazza accanto a lui sbuffò sonoramente ma Seth la ignorò, continuando a scrivere sulla sua pergamena senza perdersi una sola parola del discorso dell'insegnante.

La compagna di banco, nonché di Casa, spostò lo sguardo dalla finestra per posare gli occhi su di lui, osservandolo con un'espressione scettica:

"Prima o poi capirò perché sei così schifosamente diligente... hai mai preso un voto più basso di E da quando siamo qui, per caso?" 
"Non saprei, forse ho preso un paio di O al primo anno in effetti." 

Seth sfoggiò un sorrisetto mentre continuava a scrivere ininterrottamente, facendo roteare gli occhi alla ragazza che gli stava seduta accanto:

"Non avrei dovuto chiederlo, probabilmente." 
"Piantala Gin, sappiamo entrambi che dopo verrai a chiedermi gli appunti in ginocchio." 
"Io non chiedo niente a nessuno in ginocchio Seth. Sai, se non fossi simpatico di detesterei per essere così secchione." 

La ragazza sorrise appena e Seth ricambiò, pensando a quanto in realtà non avesse mai amato particolarmente lo studio... in effetti non si era mai impegnato così duramente per mero interesse personale, quanto più per rivalità verso Saul. 

"Grazie Gin, anche tu sei simpatica." 
"Lo so. Quindi mi passerai gli appunti, giusto?" 

 
                                                                  *


"Sei nervosa?" 
"No." 

Rose scosse il capo, ma il sorriso che sfoggiò Hooland le fece capire che il ragazzo non le aveva creduto neanche per un istante. L'ex Tassorosso guardò la compagna continuare a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore mentre giocherellava con il cibo... se la conosceva stava anche dondolando ritmicamente una gamba. E Hooland sapeva di aver ragione, anche se non lanciò un'occhiata sotto al tavolo per controllare. 

"Andrà tutto benissimo, Rosie." 
"Lo so." 
"No, non lo sai... stai tranquilla." 

Hooland sorrise, allungando una mano per metterla su quella della ragazza che tremava leggermente, osservando il piatto senza quasi toccare cibo. 

"E dovresti mangiare, o sverrai nel bel mezzo dell'operazione sia per l'ansia che per aver digiunato da stamani."
"Alpha non ci mollava più, che colpa ne ho? Ci avrà fatto diecimila raccomandazioni..
 Guai se uno dei loro preziosi Attivi si fa un graffio. Per quanto riguarda noi invece potremmo anche tornare senza un arto e non sarebbe un problema, suppongo." 

Rose piegò le labbra in una lieve smorfia carica di amarezza mentre lanciava un'ennesima occhiata ai fogli che occupavano parte del tavolo che lei e Hooland avevano occupato per cenare. Solitamente parte della squadra preferiva consumare i pasti insieme, ma quella sera i due ex Tassorosso avevano preferito restare per conto proprio per discutere dell'operazione e studiarne gli ultimi particolari.

Alpha aveva lasciato ai due una cartina dell'edificio e un enorme identikit della persona di cui si sarebbero dovuto occupare Quebec e Whiskey.
Insieme alle regole che avrebbero dovuto rispettare, ovviamente, e i documenti che dovevano firmare per approvare l'operazione dei loro Attivi. 

"Tranquilla Rose, non perderemo nessun arto! E poi qui nessuno ha affinità come noi due probabilmente, ci capiremo perfettamente... ovviamente al minimo problema dovrai farmi un fischio." 
"Va bene, mi metterò a fischiare nel bel mezzo di una sala piena di gente." 

"Hai capito che intendo! E ora mangia." 

Hooland sorrise, accennando con il capo al piatto ancora pieno della ragazza, che però lasciò il tovagliolo sul tavolo prima di alzarsi:

"Davvero, non ho fame. Credo che dovrei andare a prepararmi adesso... e assicurarmi che anche Quebec sia pronto in tempo. Ci vediamo qui tra quaranta minuti!" 
"Ricevuto. E abbina bene i colori, mi raccomando!" 

Hooland seguì l'amica allontanarsi con lo sguardo, sentendola ridacchiare mentre lasciava la sala da pranzo per tornare ai Dormitori:

"Lo farò, tranquillo!" 


                                                          *


"Si può sapere come fai a tradurre così velocemente?" 

Seth sorrise, stringendosi nelle spalle di fronte alla domanda e al tono sbigottito di Ginevra, la sua migliore amica, che era seduta accanto a lui ad un tavolo in Biblioteca. 

"Sai che adoro Antiche Rune. Hooland invece adora fissare il vuoto, credo." 

Seth accennò col capo al ragazzo che era seduto di fronte a loro, che teneva le braccia conserte e lo sguardo fisso su un punto indefinito, impegnato a pensare a chissà che cosa. 

"Oh beh, ormai è risaputo... lo conosciamo da cinque lunghi anni, no? Hooland?" 
"Inutile Gin, quando vuole non sentirebbe neanche se gli urlassi nelle orecchie... ma vedrai, appena diremo qualcosa che potrebbe interessarlo ci dedicherà la sua attenzione." 

Seth sorrise e fece spallucce, voltandosi per cercare di capire che cosa stesse guardando l'amico... in effetti sembrava che stesse osservando un gruppo di ragazzi che aveva occupato un tavolo dietro al loro, del settimo anno. 

Il Grifondoro cercò di capire se conoscesse qualcuno, ma ben presto si rese conto che non era così e si voltò di nuovo verso i suoi libri, pronto a riprendere da dove si era interrotto. 
O almeno, l'avrebbe fatto se la voce di Gin non l'avesse preceduto:

"Oh, guardate... c'è Kate." 

Seth non sembrò far caso al tono volutamente melenso che usò l'amica e si voltò nuovamente senza tante cerimonie, appena in tempo per vedere una ragazza che si stava avvicinando al gruppo del settimo anno, rivolgendo un sorriso ad un ragazzo biondo che le fece cenno di avvicinarsi, attirandola a sè con un braccio.

Seth guardò Nicholas Bennet sorridere alla ragazza mentre la faceva sedere sulle sue ginocchia, prima di darle un bacio su una guancia e dirle qualcosa che la fece ridacchiare. 
Il tutto prima di voltarsi lentamente verso il suo tavolo, sentendo distrattamente la voce di Gin parlare di nuovo:

"Seth, com'è che ti sei voltato di scatto quando l'ho nominata?" 
"Già Seth, perché ti sei voltato?" 

"Magnus, ma tu non stavi nel mondo dei sogni come tuo solito? Ecco, tornaci... il solito pettegolo." 
"Io non sono pettegolo Seth, sono rompiscatole e invadente, è diverso. E in quanto tuoi amici io e Ginevra abbiamo il dovere di disturbare la tua quiete, giusto?" 
"Corretto." 


                                                                  *


"Che muso lungo." 
"Non mi sembra che tu stia saltellando e canticchiando di gioia, Erin." 

"Juls, non offendere la tua o la mia intelligenza... ti sembro forse una che saltella e canticchia? No, io non credo." 

Erin LaFont roteò gli occhi, continuando ad applicare con cura lo smalto blu notte sulle sue unghie perfettamente limate mentre Juliet, seduta sulla poltroncina posta accanto al letto dell'amica, non riusciva a non sorridere: sì, in effetti era un'immagine un po' insolita. 

"E poi... ti conosco. So che sei amareggiata perché Quebec non ti ha scelta. Abbi pazienza mia cara, non si può essere sempre la prima scelta." 

"Non mi ha dato fastidio che non abbia scelta... è solo che lo fa praticamente sempre. Non vorrei che pensasse che potrei intralciarlo in qualche modo invece di essergli d'aiuto." 
"Sono sicura che non lo pensa." 

Erin continuò a tenere gli occhi fissi sulle sue unghie mentre invece Juliet sbuffava leggermente, tenendo il libro che stava leggendo sulle ginocchia ma osservando la finestra chiusa della camera dell'amica, chiedendosi come se la stessero cavando in quel momento i suoi "colleghi". 
Era preoccupata? No, non lo era. 

"Sei preoccupata?" 
"No." 
"Sicura?" 
"Sì! Quebec e Whiskey se la sanno cavare benissimo, andrà bene. E se Quebec tornerà mal ridotto allora gli dirò "così impari a non scegliermi, testa di rapa!""

"Io avrei usato altri aggettivi, ma forse tu sei più fine di me. Perché pensi che non ti abbia scelta questa volta? Per fare colpo su Alpha?" 
"Non lo so. Non mi sembra il tipo... o almeno lo spero." 


Erin roteò gli occhi chiari ma non disse nulla, non potendo esporre all'amica la sua teoria: era dell'idea che Quebec avesse agito in quel modo forse più negli interessi della ragazza che nei suoi, ma non poteva dirlo a Juliet... anche se, in effetti, vederla arrovellarsi era piuttosto divertente.

"Erin, stai sorridendo?" 
"No, affatto. Allora, che ne pensi delle mie unghie?" 


                                                                   *


"Kate!" 

La raggiunse quasi di corsa, fermandosi davanti alla ragazza che gli rivolse un lieve sorriso quando si voltò verso di lui, guardandolo con curiosità:

"Ciao Seth... hai bisogno di qualcosa?" 
"In realtà... volevo chiederti una cosa." 

Il Grifondoro esitò, limitandosi per qualche istante ad osservare la ragazza che gli stava davanti, chiedendosi se fosse davvero una buona idea. 
In fin dei conti però ci pensava da quanto, un anno e mezzo? Doveva farlo prima o poi, lei gli piaceva da quasi due anni dopotutto.

Non sapeva perché si ponesse tutti quei problemi... era consapevole di essere un bel ragazzo dopotutto, perché tutte quelle paranoie? 
E perché si sentiva sempre così stupido quando parlava con quella ragazza?

Kate continuava a guardarlo, in attesa, e Seth si decise a parlare, pregando di non fare una qualche figuraccia mentre stringeva nervosamente la cinghia della borsa tra le dita:

"Mi chiedevo se... volessi venire con me in paese, sabato prossimo." 

Improvvisamente aveva una gran voglia di sotterrarsi, forse tutto il suo coraggio da Grifondoro era andato improvvisamente in pensione... Seth colse una nota di sorpresa sul volto della ragazza prima che questa sorridesse appena, parlando con il suo solito tono gentile e pacato:

"In realtà, avevo promesso a Nick che sarei andata con lui..." 
"Ok... non fa niente." 

Seth annuì mentre un moto di delusione lo investiva, facendo per voltarsi e andarsene senza neanche lasciarla finire di parlare... ma fortunatamente Kate lo battè sul tempo e si affrettò a finire la frase, senza dargli modo di allontanarsi: 

"... ma penso che non gli dispiacerà andarci con i suoi amici, posso sempre disdire." 
"Oh. Ok... va bene, allora." 

Improvvisamente Seth sorrise, parlando con un tono molto più allegro rispetto a pochi attimi prima, e Kate ricambiò, rivolgendogli un lieve cenno prima di allontanarsi.
Il Grifondoro la seguì con lo sguardo senza smettere di sorridere, ringraziando mentalmente la sua buona stella. 


                                                                        *


"Ma come siamo carine. Devi fare colpo su qualcuno?" 
"Taci, stupido. Mi vergogno come una ladra! Perché non posso indossare i jeans?" 

Rose sbuffò, parlando con tono sconsolato mentre continuava a tirare l'orlo a detta sua troppo corto del tubino verde petrolio che indossava.

Quebec si limitò a sorriderle, seduto accanto a lei sul sedile della macchina mentre Hooland ridacchiava, divertito dall'evidente imbarazzo dell'amica.

"Perché temo che stasera tu e Hooland dovrete venire con noi e non starvene dietro le quinte, oltre degli schermi." 
"Ma perché non posso farlo con dei jeans?" 
"Perché, come dice Alpha, "poche cose sono in grado di distrarre un uomo come una bella ragazza". E poi penso che anche Hooland avrebbe preferito giocare con i suoi computer come al solito, giusto?" 

Rose sbuffò e borbottò che quel vestito era troppo corto e per niente adatto a lei mentre Hooland annuiva alle parole di Quebec, pensando con leggera nostalgia a tutti i suoi "giocattolini":

"Abbastanza, sì... sarebbe stato divertente spiare attraverso le telecamere, anche se mi sono già introdotto nel sistema dell'hotel nel pomeriggio per inserirci nell'elenco e ottenere i nomi degli invitati alla cena." 

L'ex Tassorosso sfoggiò un sorriso leggermente soddisfatto mentre Whiskey sorrideva a Rose quasi con solidarietà:

"Sai, nemmeno io mi senso molto a mio agio... ma ormai mi ci sono abituata, credo." 
"Io no, per niente. Manca ancora molto?" 
"No... un quarto d'ora e poi saremo arrivati." 


                                                                     *


Si fermò davanti alla porta chiusa ed esitò prima di bussare, aprendola senza neanche aspettare una risposta o un invito ad entrare: dopotutto l'aveva fatto chiamare, sapeva per certo che voleva vederlo. 

"Voleva vedermi?"

Si fermò sulla soglia della stanza e aspettò che la donna che gli stava davanti alzasse lo sguardo su di lui, smettendo di leggere i fogli che teneva tra le mani.
Aveva i capelli raccolti sulla nuca, una penna tra le dita e la sua solita espressione indecifrabile... ma Cecily DeWitt annuì, facendogli cenno di sedersi di fronte a lei, oltre la sua scrivania. 

Obbedì e prese posto davanti a lei senza proferir parola, limitandosi a guardarla lasciare i fogli sul tavolo prima di dedicargli la sua completa attenzione, scrutandolo con i magnetici occhi azzurri:

"Ormai dovrebbero essere arrivati a Londra. Come li hai trovati?"
"Quebec era piuttosto tranquillo, come sempre... tra i due la più nervosa è sempre Rose. Come mai li ha messi insieme, me lo chiedo ancora." 

"Sai Alpha, mi sono sempre reputata molto brava a capire le persone... ci metto sempre così poco. Rose è una ragazza dolce, riservata, silenziosa, ma molto sveglia e responsabile... Quebec ama portare a termine un compito e Rose deve fare in modo che non si spinga mai troppo oltre per farlo." 

Nonostante la sua risposta, Alpha ebbe come l'impressione che il messaggio della donna fosse più che altro "non devo rendere conto a nessuno delle mie scelte" e purtroppo era così: nessuno osava metterla in discussione, mai, o almeno non sotto quel tetto. 

"In ogni caso... sono sicura che andrà bene, non è la prima volta in cui affrontano una prova del genere, dopotutto. E li hai addestrati bene, Alpha." 
"Lo so. Ha ricevuto altre telefonate nell'arco della giornata? Ci sono altri lavori in archivio?" 
"Per ora no. E poi Charlie tornerà presto da Londra, così i tuoi ragazza saranno meno sovraccaricati dalla prossima settimana... Come si è comportata Juliet oggi?" 

"Normalmente, anche se non credo abbia preso molto bene il non essere stata scelta da Quebec per accompagnarlo. Non credo ricordi niente, nemmeno il dolore." 

La donna annuì, appoggiandosi completamente allo schienale della sedia girevole scura mentre posava lo sguardo sulla finestra, osservando il cielo ormai buio:

"Bene. I trattamenti funzionano, per fortuna... Anche se abbiamo fatto molti tentativi per arrivarci, certo." 

"Perché lo fa? Capisco fargli passare il dolore, ma perché fa in modo che se ne dimentichino?" 

"Alpha, quei ragazzi sono delle bambole nelle mie, sì, ma non sono stupidi. Ho dato loro una nuova personalità, non ho cancellato la loro intelligenza... sono persone che pensano, anche se molto propense ad obbedire a ciò che gli viene impartito. Quei ragazzi devono pensare che questa vita sia ottima, che noi li abbiamo aiutati e che per ripagarci fanno ciò che gli diciamo... se si arrovellassero sul dolore che provano di tanto in tanto forse troverebbero la loro situazione poi non così perfetta. Potrebbero cominciare a riflettere troppo, a farsi domande pericolose. E noi non vogliamo che qualcuno si ribelli, vero? Hai dimenticato Viktor, per caso?" 

"No, certo." 

Alpha scosse il capo, contorcendo leggermente la mascella nel ricordare perfettamente il volto di quel ragazzo e tutto il trambusto che aveva provocato quando qualcosa nel suo cervello aveva cominciato a funzionare e i ricordi avevano iniziato a riaffiorare. 

"Gradirei che un episodio come quello non ricapitasse più... ha rischiato di mandare tutto a rotoli. Ecco perché faccio in modo che quei ricordi svaniscano in fretta così come riaffiorano... puoi andare, Alpha. Tienimi aggiornata, se dovessero esserci novità." 

La donna riportò lo sguardo sui fogli che stava leggendo quando era entrato e Alpha non poté far altro che alzarsi, capendo che la conversazione era terminata, così come il suo tempo in quella stanza. 


                                                               *


Aprì la bocca, ma non fu mai sicuro se un suono ne uscì o meno. 
Improvvisamente sembrava che il suo udito fosse andato in tilt, non faceva altro che continuare a risentire lo stesso, identico suono, sempre più ovattato nella sua testa. 

Seth deglutì a fatica mentre guardava il corpo che gli stava davanti, a pochi metri di distanza... guardò suo fratello Saul con il petto squarciato e coperto di sangue, gli occhi aperti e puntati sul soffitto ma ormai incapaci di vedere.
C'era un uomo, in piedi accanto al corpo inerme di suo fratello maggiore... un uomo che si voltò verso di lui, scrutandolo mentre teneva ancora l'arma da fuoco in mano, puntata contro un ragazzo ormai morto. 

Sentì un altro sparo, seguito da un urlo che probabilmente appartenne a sua sorella Sarah... ma non fu mai certo, se ad urlare due lei o sua madre. Non seppe nemmeno se quello sparo fu reale o solo lo stesso che continuava a ripetersi all'infinito nella sua testa. Ma i cadaveri sì, erano reali, e anche il sangue imbrattato sulle pareti. 
Seth Redclaw voleva reagire, voleva davvero farlo... voleva tirare fuori il suo coraggio, quello che aveva spinto il Cappello a mandarlo tra i Grifondoro anni prima, voleva riuscire a trasformarsi per difendersi. 
Ma sembrava che, all'improvviso, il suo cervello e il suo corpo si fossero scollegati e non riuscisse più a trasmettere comandi ai suoi arti. 

Probabilmente stava per farlo, stava per trasformarsi come i suoi fratelli e suo padre avevano fatto prima di lui... ma non ne ebbe il tempo, quella notte Seth non si prpresentòai nella sua forma animale, di lupo.
Il proiettile lo colpì al petto prima che riuscisse a farlo, facendolo crollare sul pavimento della stanza, agonizzante.
Mentre il sangue iniziava a colare lentamente e Seth puntava gli occhi sul soffitto della stanza, la vista che gli si annebbiava velocemente.

Prima di perdere i sensi sentì solo una voce... quella dell'uomo che aveva sparito a lui e ucciso suo fratello, che disse qualcosa, di andarsene. Che sarebbe morto anche lui entro pochi minuti. 


                                                                    *


Quebec scrutava le persone che lo circondavano, affollando la lussuosa stanza dove si erano raggruppati. Camminava con calma e compostezza, percorrendo il perimetro della stanza restando lontano dalla massa e dalla confusione, tenendosi accanto al muro. 

Era quasi completamente privo di armi, quella sera... con sè aveva solo una pistola. E la sua bacchetta, certo. 
Non amava le pistole, in effetti... non sapeva perché, ma non era mai riuscito a trovarsi a suo agio con quel genere di arma da fuoco, piuttosto usava i fucili... ma per un'operazione come quella usare un fucile era pressoché impensabile, c'era troppa confusione e lui era nel bel mezzo della scena, non rannicchiato in un angolo e al buio. 

Non poteva agire del tutto liberamente, non quella sera... e aveva già accantonato l'idea di usare la pistola che gli era stata data da Alpha prima di lasciare la Casa. 
Anche Whiskey ne aveva una, ma come sempre lei non avrebbe potuto usarla... non per uccidere l'obbiettivo, almeno, quello era espressamente compito suo. 

"Qualche idea? Lo vedi?" 
"Sì. Tu lo vedi?" 
"Certo... è a pochi metri da me." 

Quebec continuò a camminare, gli occhi eterocromatici fissi sull'uomo in giacca e cravatta che stava conversando con un altro tizio vestito alla stessa maniera... sapeva che era lui, aveva visto la sua foto decine di volte quel pomeriggio. In effetti Alpha aveva voluto che imparassero i nomi di praticamente tutti gli invitati, così da riuscire a muoversi meglio e creare, all'occorrenza, qualche diversivo. 

"C'è troppa confusione ora. Direi di aspettare che si mettano a tavola per la cena." 
"E che farsi, salterai fuori dalla torta?" 

Alla voce di Hooland Quebec sorrise appena, continuando a parlare quasi senza muovere la labbra:

"No Hooland... non sono così teatrale. Anche se il cibo potrebbe essere un ottimo escamotage. Tu e Rose riuscireste a coprirmi le spalle mentre faccio una capatina un cucina?" 


                                                                 *


Fermo, immobile, mentre guardava quelli che ormai erano solo i resti della sua casa. 
I Corwin avevano pensato bene di dare fuoco all'edificio prima di scappare, lasciandolo praticamente in fin di vita... ma per fortuna suo padre era riuscito a mettersi in contatto con la sua famiglia e suo zio era riuscito a tirarlo fuori dalle macerie e gli aveva salvato la vita. 

A quanto sembrava i proiettili non era mai arrivato ai polmoni e Seth si era miracolosamente scavato... ma non la sua famiglia, non i suoi genitori e i suoi fratelli. 

Uccisi dalla stessa famiglia di sua madre... Rebekah Corwin avrebbe mai pensato che sarebbe morta per mano della sua tessa famiglia? 
Era passata una settimana, e nel giro di pochi giorni anche la nota famiglia americana di cacciatori era stata sterminata dai Redclaw, che non avevano certamente preso bene quell'affronto. 

E pensare che lui era nato lì, in Inghilterra, proprio perché i suoi genitori avevano cercato di sfuggire alla famiglia della madre, cambiando continente. 
Forse per Rebekah Corwin innamorarsi di un ragazzo che avrebbe dovuto uccidere non era stata una grande idea, infondo... no, forse non avrebbe dovuto scappare con un licantropo e scatenare così l'ira della sua famiglia. 

Suo zio gli aveva chiesto di unirsi a loro, di spostarsi in America... ma l'anno scolastico stava per ricominciare e Seth voleva tornare ad Hogwarts, terminare il suo percorso di studi con un ultimo anno di scuola. 

Seth guardò la sua casa, o almeno quello che ne restava.
Si chiese che cosa avrebbe fatto quando si sarebbe Diplomato... che ne sarebbe stato della sua vita, dopo Hogwarts? Non aveva più una casa, praticamente non aveva più una famiglia... c'era sempre l'offerta di suo zio, certo, ma forse Seth Redclaw non voleva quel genere di vita.

Il Grifondoro sospirò, dicendosi di non pensarci e di cercare di concentrarsi sull'anno che gli si prospettava davanti: doveva pensare alla scuola, a Diplomarsi.
Ma mentre lanciava un'ultima occhiata all'edificio prima di girare sui tacchi e andarsene, si chiese sinceramente se sarebbe riuscito ad essere la stessa persona di prima. 


                                                               *



"La smetti di tirare l'orlo della gonna?" 
"No, mi sento in imbarazzo!" 

Rose sbuffò, continuando a cercare di far scivolare sulla coscia la gonna a tubino del vestito scuro mentre si guardava intorno cercando Quebec, camminando accanto ad Hooland mentre il ragazzo le teneva delicatamente un braccio intorno alla vita. 

"La solita pudica. Da quando siamo entrati continui ad arrossire." 
"Non mi piace che le persone mi guardino, mi mette a disagio! Io non... indosso vestiti così. Questi abiti lì porta Erin, non io!" 

Rose sbuffò sommessamente e Hooland, abbassando lo sguardo su di lei, colse una vaga nota malinconica nel volto dell'amica, così come nella sua voce:

"Perché, ti sembra che io indossi abitualmente completi? Siamo in incognito tesoro, l'hai scordato? Ma infondo recitare è divertente." 
"Almeno con i tacchi somiglio meno ad uno gnomo quando mi trovo accanto a te... ma non vedo l'ora di sfilarmi questo fazzoletto!" 

Al sussurro della ragazza Hooland non riuscì a non sorridere, concordando silenziosamente con lei: sicuramente era così, anche ad Hogwarts Rose aveva la tendenza ad arrossire parecchio... e forse anche per quel motivo si divertiva da matti a farle complimenti per metterla in imbarazzo.

"Non ti preoccupare Rosie, sei bellissima. E ora muoviti, dobbiamo dare una mano a Quebec, ricordi? Perciò vai a distrarre quelli della sorveglianza con i tuoi occhioni azzurri." 

Hooland sorrise, iniziando a camminare con disinvoltura e trascinando l'amica verso l'uscio della sala, più precisamente la porta che collegava la grande stanza dell'hotel al corridoio delle cucine... e a quanto sembrava il magnate del petrolio di cui dovevano occuparsi si era portato appresso un paio di guardie del corpo che si erano piazzate accanto all'ingresso.

"Ma perché devo farlo io?" 
"E chi dovrebbe farlo, io? Insomma, so di essere irresistibile a mia volta, ma tu hai le ciglia lunghe dalla tua, insieme all'aria da angioletto... Coraggio, Quebec deve entrare in cucina senza farsi notare... quindi interpreta la fanciulla in difficoltà con gli scimmioni, su." 

Hooland le diede una leggera spintarella, invitandola a tirare fuori il suo miglior lato recitativo mentre a Rose non restava che annuire e arrendersi: ecco perché preferiva starsene dietro le quinte, magari con un computer davanti. 


Gli invitati erano ancora in quella sala, godendosi i drink che stavano servendo prima della cena... e per quando si sarebbero spostati nella vera stanza dove avrebbe avuto luogo il ricevimento vero e proprio Quebec avrebbe dovuto già essere in cucina, se davvero voleva utilizzare la tattica del veleno. 
Ergo, doveva darsi una mossa. 

Perciò Rose si stampò il suo sorriso migliore, avvicinandosi ai due "scimmioni" e maledicendo ancora una volta quel maledetto vestito troppo succinto per i suoi gusti... poteva solo sperare che l'imbarazzo che aveva comportato indossarlo davanti a tutte quelle persone compensasse la riuscita dell'intento.
Di sicuro però riusciva a sentire gli occhi di Hooland su di sè, insieme alla tentazione di ridere dell'amico... e si ripromise di prenderlo per un orecchio per il modo in cui si stava divertendo alle sue spalle. 


                                                                   *


"Sei cambiato." 
"Non so a cosa ti riferisci." 

Seth parlò senza battere ciglio, mantenendo un tono piuttosto neutro mentre continuava a scrivere, lavorando al suo tema per Pozioni. 
Ginevra invece continuava ad osservarlo, con una nota quasi malinconica negli occhi che proprio non le si addiceva.

"So che ti sforzi di non darlo a vedere Seth... ma è la verità, sei cambiato, anche Hooland è d'accordo con me." 
"Mi spiace se non sono più di vostro gradimento." 
"Non dire così... ti vogliamo bene. Siamo preoccupati per te... anche Rose. E anche Kate." 

Smise di scrivere per un attimo sentendo quel nome, ma in pochi secondi si riscosse e riprese a lavorare al tema come se niente fosse:

"Non dovete preoccuparvi per me Gin... sto benissimo." 
"Seth, non devi fare finta di niente... è normale stare male. Il lutto è la prova dell'amore che abbiamo provato, non bisogna vergognarsene." 

La ragazza allungò una mano per sfiorargli il braccio ma l'amico si ritrasse di scatto, sbuffando prima di alzarsi in piedi. Lei era seduta e Seth la guardò dall'alto in basso, svettando sulla ragazza che era piuttosto minuta già di suo:

"Non me ne vergogno, infatti. Ma come ho detto, va tutto bene." 
Il Grifondoro agitò la bacchetta e immediatamente le sue cose si ammucchiarono dentro la borsa, che si caricò in spalla prima di allontanarsi e uscire dalla Sala Comune, ignorando la sensazione di sentire lo sguardo dell'amica su di sè. 


                                                              *


Whiskey teneva lo sguardo sulla porta che conduceva alle cucine, oltre alle quali aveva appena visto sparire Quebec. Hooland aveva disinstallato le telecamere già nel pomeriggio e sembrava che nessuno, a parte lei, si fosse accorto che il ragazzo si era infilato senza farsi notare oltre quella porta... e si chiese sinceramente che cosa avesse intenzione di fare il compagno: si era forse portato un qualche tipo di veleno dalla Casa? 

Sapeva che Quebec non amava usare le pistole, difficilmente avrebbe toccato quella che gli era stata data... lei di certo avrebbe usato la sua solo in caso di vera e propria necessità, il sangue non le piaceva poi molto.
Così come a Quebec, in effetti... odiava il sangue, lo sapevano tutti. Forse per quel motivo aveva deciso di usare il veleno, per non sporcarsi le mani di sangue? 

Nemmeno lui era mai riuscito a spiacere a lei o agli altri il motivo di quella repulsione... ma di certo l'Attivo odiava entrare in contatto con il sangue. 

Rose stava amabilmente parlando con una delle guardie del corpo di Richard Rookfor, il magnate del petrolio che chissà chi aveva gentilmente chiesto a Cecily DeWitt di far sparire dalla circolazione. Spesso e volentieri i casi erano assegnati all'associazione da Babbani in effetti, persone ricche, spesso molto famose ed importanti... o almeno così i membri della Dollhouse supponevano, visto che la Dottoressa non spifferava mai i nomi dei suoi preziosi clienti.
 
La Dollhouse si occupava di questo, forniva i suoi Attivi al servizio di persone disposte a pagare cifre esorbitanti... per svolgere lavori che andavano quasi sempre ben oltre il limite della legalità.
Erano poche le persone a conoscenza dei veri lavori della Dollhouse o dell'associazione stessa, ma gli Auror e il Ministero della Magia inglese tenevano d'occhio Cecily DeWitt da anni, da quando alcuni giovani maghi avevano iniziato a sparire misteriosamente. 

Tutti nella comunità magica conoscevano il nome di quella donna, tutti sapevano che aveva fatto studi ed esperimenti per combinare magia e scienza... ma agli occhi della Gran Bretagna la Dottoressa DeWitt aveva fatto degli studi a fino puramente scientifici, elaborando metodi che riuscissero a portare casi anche molto gravi alla completa guarigione grazie alle due forze... i suoi titoli di studio, le sue specializzazioni, erano un enorme specchio per allodole. Quasi nessuno sapeva che cosa dirigesse davvero, anche se probabilmente il Dipartimento degli Auror sospettava qualcosa. 
                    

"Come pensi che stia andando?" 
Sentendo la voce di Hooland accanto a sè non si voltò, stringendosi leggermente nelle spalle prima di parlare:

"Bene, credo, ma non mi stupisco. Quebec non è stupido, sa sempre quello che fa. Penso che non dovremmo nemmeno metterci in mezzo, di questo passo. Rose?" 
"Le ho suggerito di sfruttare il suo faccino..." 

Whiskey sorrise appena, posando gli occhi sulla ragazza che era ferma dall'altro lato della sala, guardandosi intorno con discrezione. Era difficile dirlo, ma era abbastanza sicura che stesse parlando con Quebec grazie all'auricolare che come sempre tutti e quattro indossavano... e all'Attiva non restò che sperare che al collega stesse andando tutto bene. 

"Credo che andrò a coprire le spalle a Quebec, tu resta qui." 
"Non dovrei essere io a dare ordini, in teoria?" 
"Forse... ma credo che me ne andrò a controllare che la situazione sia sotto controllo e lascerò che tu e Rose vi facciate gli occhi dolci." 

Sentì Hooland borbottare qualcosa ma l'Attiva non ci fece molto caso, avvicinandoci invece all'uscita della sala, approfittando della lieve confusione che era andata. a crearsi: gli invitati della cena organizzata dall'uomo stesso che avrebbero dovuto uccidere si stavano spostando nella sala che era stata preparata per la cena... e quale occasione migliore per infilarsi in cucina senza dare nell'occhio? 

A Whiskey era sempre piaciuto andare in missione... le trasmetteva una gran adrenalina, rendendola pimpante e di buon umore nelle ore che precedevano la partenza. Le dava la piacevole sensazione di poter fare qualcosa, di rendersi utile. 
La rossa iniziò a scivolare tra la folla senza dare troppo nell'occhio a causa della sua figura estremamente sottile e minuta, passando accanto a Rose e limitandosi a strizzarle l'occhio senza dire nulla, affrettandosi a raggiungere Quebec.


L'ex Tassorosso invece si avvicinò nuovamente ad Hooland, sorridendogli con sollievo mentre stringeva leggermente il suo braccio:

"Allora esperto di teatro, mi dica... come le è sembrata la mia interpretazione da fanciulla in difficoltà mentre chiedevo aiuto per il braccialetto che "avevo perso"?" 
"Non male Rosie, ma credo che tu possa fare di meglio." 

  
                                                                         *


Teneva gli occhi fissi su quel volto, osservandolo attentamente mentre elaborava il mucchio di informazioni appena acquisite. Aveva già cominciato a farsi un'idea, ovviamente, dei ragazzi che avrebbe potuto portare nella Dollhouse di lì a qualche mese, quando avrebbero terminato i loro studi. 
Cecily DeWitt non impiegava mai molto a decidere: capiva subito chi poteva interessarle e chi meno.

E in quel momento la sua attenzione era completamente catalizzata su un ragazzo a qualche metro da lei, infondo al corridoio, che stava parlando con una ragazza dai capelli castani che le dava le spalle. 

Seth Redclaw, così si chiamava. L'aveva sentito una volta sola, ma era sempre stata dotata di una memoria spaventosamente vicina a quella eidetica, e riusciva a ricordare perfettamente un gran numero di nomi anche avendoli appresi tutti insieme e sentiti una sola volta. 

Seth Redclaw, Grifondoro, ultimo anno... a sentire gli insegnanti, praticamente primo della classe, voti migliori di molti Corvonero. 
Seth Redclaw era indubbiamente un bel ragazzo, e aveva anche una bella stazza... era intelligente, e se aveva voti così alti voleva dire che si impegnava in quello che faceva. 

Ergo, poteva farle davvero comodo... senza contare che si era dimostrato veloce e abile nel corpo a corpo dopo aver assistito, per mero caso, ad un litigio avvenuto poco prima in un corridoio tra lui e un compagno di scuola.
Gli insegnanti si erano scusati con lei per quello spettacolo, ma Cecily la reputava quasi una fortuna: si, quel ragazzo poteva davvero fare al caso suo... anzi, aveva la sensazione che sarebbe stato davvero prezioso. 

E poi, ciliegina sulla torta, aveva sentito qualcosa sulla famiglia di quel ragazzo: a quanto sembrava i suoi genitori e i suoi fratelli erano morti qualche mese prima, durante l'estate. Sarebbe stato davvero poco difficile farlo sparire dalla circolazione, quindi, non avrebbe dovuto Obliviare nessun genitore, nessun parente stretto che l'avrebbe cercato una volta perse le sue tracce, una volta dentro la Dollhouse. 
E poi la Vicepreside le aveva detto qualcosa di davvero interessante... il padre di Seth era stato un licantropo, piuttosto noto, anche, in Gran Bretagna. 
Sembrava che il gene fosse stato trasmesso per diverse generazioni e, in un modo o nell'altro, Seth fosse in grado di prendere le sembianze di lupo quando più gli aggradava, così come i suoi fratelli.

Non aveva mai incontrato un patrimonio genetico del genere... e le mani già le fremevano all'idea di poterci lavorare sopra. 
Guardò il Grifondoro rivolgere un cenno alla ragazza con cui stava parlando prima di allontanarsi, camminando proprio nella sua direzione... le rivolse un'occhiata carica di curiosità mentre lei invece si limitò ad osservarlo mentre, inaspettatamente, allungava una mano per bloccarlo e prendergli la mandibola tra le mani.

Seth era molto alto, ma Cecily DeWitt aveva una figura piuttosto longilinea... e con i tacchi, i centimetri che li separavano erano pochi. Riuscì così tranquillamente a guardarlo negli occhi prima di sfoggiare un lieve sorriso:

"Begli occhi." 
"Grazie." 

Seth aveva gli occhi eterocromatici, uno azzurro e l'altro particolare come mai ne aveva visti, l'iride era quasi divisa a metà tra l'azzurro e una specie di sfumatura dorata. Occhi praticamente unici. Si chiese se anche il loro possessore non lo fosse, mentre lo guardava con attenzione. 

Seth si allontanò leggermente, guardandola con sincera sorpresa mentre lei gli rivolgeva un cenno prima di superarlo, incamminandosi lungo il corridoio con il rumore dei tacchi ad anticiparla quasi come una firma. 

Sì, aveva fatto la sua scelta. 


                                                                *



Odiava il sangue, non sapeva perché, ma la sola visione lo mandava in vera e propria crisi. 
Per questo quella sera aveva preferito usare quel metodo antico e quasi viscido, quello di usare un semplice veleno. 

Aveva usato la magia, applicandosi un Incantesimo di Disillusione per non farsi notare nelle cucine e quando aveva individuato il piatto destinato a Rookfor ci aveva fatto scivolare qualche goccia di uno dei tanti veleno tenuti nella dispensa della Dollhouse. 

Quebec aveva un lieve sorriso soddisfatto stampato sul volto mentre usciva dalle cucine senza dare nell'occhio, incontrando così una Whiskey quasi divertita:

"Nessuno si è reso conto che hai rovesciato due intere pentole di stufato sul pavimento?" 
"Se anche fosse, daranno la colpa ad un povero lavapiatti, immagino... come procede di là?" 
"Benissimo, Rose e Hooland tengono d'occhio la situazione. Sei sicuro di aver avvelenati il piatto giusto, vero?" 
"Assolutamente. Assicuriamoci che arrivi a destinazione e poi potremmo andare, immagino... raggiungiamo Hool e Rose." 


                                                                     *


"Come... come ha fatto? Credevo fosse impossibile." 

Cecily DeWitt sorrideva mentre si sfilava i guanti e teneva gli occhi fissi sul ragazzo che dormiva davanti a lei, steso su un lettino. 

"Niente è impossibile, se si combina scienza e magia... niente. Questo ragazzo ne è la prova. Un simile patrimonio genetico, non potevo lasciarmelo scappare... sarà la nostra punta di diamante, me lo sento." 

"Ha annullato gran parte dei geni da licantropo... quindi non sarà più in grado di trasformarsi?" 
"Non esattamente... non ha idea di quello che potrebbe fare, ma la sua vera natura potrebbe comunque riaffiorare, anche se è davvero molto difficile. Non preoccuparti, non farà male ad una mosca... a meno che non saremo noi a volerlo, certo. Prova a pensare a quante persone pagherebbero quintali d'oro per portarmi i loro figli e annullare i geni che portano alle trasformazioni cicliche." 

Cecily sorrideva e Robert Merton, uno tra i suoi collaboratori più fidati che l'aiutavano ormai da prima che la Dollhouse venisse fondata, pensò che aveva visto molto raramente i suoi occhi brillare così tanto. 

Ma era un buon segno? C'era una nota in quegli occhi chiari che non gli piaceva neanche un po'.

"Ha... scelto un nome per il ragazzo?" 
"Quebec. Chiamatelo Quebec." 


                                                             *


Respirò profondamente, cercando di cancellare quell'immagine dalla mente mentre la sua mano scivolava rapidamente sulla carta, impugnando la matita. Gli occhi di Quebec erano fissi sul foglio che gli stava davanti, guardando l'immagine che stava prendendo forma quasi senza che lo volesse: si era svegliato e aveva iniziato a disegnare quasi senza rendersene conto….gli piaceva farlo, lo rilassava. 

Ma non sapeva cosa stesse facendo… forse stava solo rappresentando la fonte dei suoi incubi, che lo avevano svegliato poco prima. 
Si ritrovò così a guardare un volto maschile, che indossava dei guanti di pelle e teneva una pistola per mano… strano, era come se lo conoscesse. Ma non lo aveva mai visto prima… se non nel sogno che lo aveva precedentemente tormentato, anche se non ne era sicuro.
Possibile che fosse quello il volto che aveva sognato? 
Ma altrimenti perché disegnarlo, perché aveva quell'immagine nella testa? 

Quebec sentì dei passi e, istintivamente, infilò matita e foglio sotto al cuscino… forse le sue urla avevano svegliato qualcuno che stava per venire a prenderlo. 
Strano, quella situazione era quasi familiare… ma non la ricordava con precisione. 
Probabilmente lo avrebbero portato dalla DeWitt, che gli avrebbe fatto chissà cosa al cervello… non voleva neanche saperlo con precisione. Ma di sicuro non voleva dimenticare tutto, e forse riguardando quel disegno in futuro non sarebbe stato così.

                                                                                               *

Era sceso dall'auto e aveva percorso rapidamente il viale, entrando in casa senza tante cerimonie: era stanco, moriva dalla voglia di crollare sul suo letto... era stata una giornata davvero lunga, e anche quella precedente.

Si portò una mano alla base del collo per allentare il nodo della cravatta, sfilandosi la giacca nera che indossava mentre attraversava l'ingresso buio per raggiungere le scale. 

Aveva appena iniziato a salirle, cercando di non fare troppo rumore per evitare di svegliare qualcuno, quando vide una figura affacciarsi sulla rampa... e alzando lo sguardo si ritrovò ad incontrare un paio di occhi chiari piuttosto familiari:

"Sei ancora sveglia?" 
"Io... sì. Ho sentito qualcuno entrare e sono venuta a vedere se eravate tornati... state tutti bene?" 
"Certo." 

Quebec arrivò in cima alle scale e si fermò accanto a Juliet, che lo scrutò attentamente come per assicurarsi che non riportasse ferite di alcun tipo prima di annuire.

"Ti preoccupi per me, Juls? Non preoccuparti, so badare a me stesso, lo sai... e se anche fosse Rose mi tiene sempre d'occhio." 
"Lo so. Sono felice che tu stia bene." 

Juliet si strinse nelle spalle prima di girare sui tacchi e allontanarsi lungo il corridoio, augurandogli la buonanotte.

"Ti preoccupi per me? Che carina." 
"Non mi preoccupo per te, ma senza di te perderei lo stimolo a dare sempre il massimo, con chi entrerei in competizione a quel punto? Buonanotte." 

"Sogni d'oro Juls..." 

Ben presto sentì la porta della camera della ragazza chiudersi, mentre le voci al piano di sotto gli fecero capire che Hooland, Rose e Whiskey erano entrati in casa a loro volta. 
Quebec non si fermò ad aspettare, percorrendo il corridoio per raggiungere a sua volta la sua camera. 

Si lasciò cadere sul letto ancora vestito, limitandosi a sfilarsi scarpe e cravatta mente aveva già sbottonato leggermente la camicia in auto. 
Sì, era stata davvero una giornata lunga... ed era felice che fosse finalmente finita. 

Tastò qualcosa sotto al cuscino e, sollevandolo, trovò un disegno. Lo aveva fatto lui, ne era certo, ma non se lo ricordava.

Probabilmente lo aveva fatto dopo uno dei suoi incubi, prima di essere accompagnato dalla DeWitt da Rose… raffigurava un uomo che, in un certo senso, gli era familiare. 
E non delle perché, ma guardando quel volto minaccioso una sensazione di nausea lo investì, portandolo ad abbassare il cuscino di scatto per smettere di guardarlo. 
Sbuffò e appoggiò il capo sul cuscino, chiedendosi che cosa avesse di sbagliato e se tutti i suoi compagni provassero o meno le sue stesse sensazioni… sarebbe stato confortante sapere di non essere l'unico, ma di rado tra Attivi parlavano apertamente di quel genere di cose. 
Si disse ancora una volta di dormire, di smetterla di porsi tutte quelle domande... ma il pensiero che, a causa sua, quella sera un uomo non si sarebbe mai più svegliato continuava comunque ad attraversargli la mente. 











...............................................................................................
Angolo Autrice:

Rieccomi! 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ovviamente a parte Quebec gli altri ci sono stati poco... ma non preoccupatevi, ad uno ad uno arriverà il turno di tutti. 
Ora, piccola nota: ricordo di non usare i nomi originali degli OC, quindi chiedo alle autrici di Kate e di Gin di non citare questi nomi... scusate, ma ci tengo alla sorpresa XD

Inoltre, dovete mandarmi via MP uno tra questi nomi, a chi volete sia dedicato il seguito? 
- Foxtrot
- November 
- Isla 

E infine... l'altra volta me ne sono scordata, quindi lo metto ora: 

Alpha: 
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Credo che sia tutto, quindi buona serata e a presto! :) 

Signorina Granger

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Capitolo 6
*** November ***


Capitolo 4: November

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Keller Reynolds sembrava più piccola di quanto in realtà non fosse mentre camminava, circondata dalla sua famiglia e dai suoi fratelli maggiori, accanto ai binari del famoso Espresso per Hogwarts.
Non era certo la prima volta in cui si trovava alla stazione di King’s Cross, davanti a quel treno a vapore, ma per la piccola di casa Reynolds era la prima volta in cui ci sarebbe salita. E di questo non poteva che essere felice mentre camminava accanto a suo fratello West, tenendolo per mano con gli occhi chiari azzurrissimi a causa del sole e un gran sorriso stampato sul volto.
 
Davanti a lei e West, che stava per andare ad Hogwarts per la seconda volta, camminavano Zane e Lucas, i suoi fratelli più grandi. Lucas stava per iniziare il suo ultimo anno mentre Zane si era già diplomato ed aveva semplicemente accompagnato la famiglia alla stazione.
 
“Secondo te in che Casa finirò?”
 
Keller sfoggiò un gran sorriso mentre alzava lo sguardo su West, facendo sorridere il giovane Grifondoro di rimando:
 
“Non saprei… ma sicuramente non Corvonero, non sei molto sveglia.”
“Come ti permetti?”
 
Keller sbuffò e colpì il fratello sul braccio, facendo ridacchiare il ragazzino mentre i loro genitori si fermavano accanto ad una colonna per salutare i figli.
Alla ragazzina non sfuggì l’espressione che balenò sul volto di sua sorella Clare, come se la Corvonero non morisse dalla voglia di trovarsela nella medesima Casa… ma Keller non ci fece caso e si avvicinò invece alla madre per abbracciarla, mentre suo padre suggeriva a Zane di aiutare Lucas con i bauli.
 
“Non ascoltare tuo fratello Keller, credo che tu sia molto più sveglia di alcuni di noi messi insieme… Vedrai, sarà un’esperienza bellissima.”
 
Sua madre le sistemò distrattamente i capelli castani prima di abbracciarla, lasciando poi il testimone al marito perché stritolasse la figlia minore a sua volta.
 
“Papà, mi soffochi!”
“Scusa, ma non immagini quanto sia strano vedere anche la più piccola che va ad Hogwarts… divertiti e impegnati. Quanto a voi, tenetela d’occhio.”
 
Alle parole del capofamiglia Lucas ed Amy sbuffarono, asserendo che si preoccupasse troppo per la ragazzina mentre West sorrideva, circondando le spalle della sorellina con un braccio:
 
“Non preoccupatevi, ci penso io.”
 
“Ora sì che saranno rassicurati…”
 
Clare roteò gli occhi, facendo ridacchiare la sorella maggiore Amy che la prese sottobraccio per salire sul treno, mentre West invece faceva l’occhiolino alla sorellina prima di trascinarla con sé per trovare un vagone libero:
 
“Vedrai, ci divertiremo da matti insieme… sono felice che da quest’anno ci sia anche tu, piccoletta.”
“Hai solo un anno in più rispetto a me, ti ricordo! Posso accettare di essere chiamata “piccoletta” da Zane che ne ha 19, non da te!”
“Sì sì, ma ora muoviti!”
 
 
                                                                                         *
 
“Buongiorno.”
 
November sfoggiò un lieve sorriso quando mise piede nell’ampia, ariosa cucina della villa.
Foxtrot, seduto su uno degli sgabelli mentre discuteva animatamente con Echo per la supremazia dei cereali, si voltò verso di lei e le rivolse un cenno prima di riprendere a discutere con il collega, sostenendo che quella fosse l’ultima scatola rimasta.
 
La ragazza li superò, decidendo saggiamente di non intromettersi, per avvicinarsi al frigo e prendere il succo mentre accanto a lei Rose era in piedi davanti ai fornelli, impegnata a preparare una quantità industriale di frittelle.
 
“Rose, non devi cucinare per tutti… ci possiamo arrangiare.”
“Non preoccuparti, mi piace cucinare.”
 
Rose si strinse nelle spalle, sorridendo alla ragazza che ricambiò prima di sollevarsi e sedendo sul ripiano di marmo della cucina, osservando i due colleghi discutere:
 
“Secondo te perché litigano per dei cereali?”
“Perché sono un po’ idioti… e perché sono gli ultimi al cioccolato, credo.”
 
Rose si strinse nelle spalle mentre girava con maestria una frittella sulla padella e la compagna annuiva, lanciando poi una fugace occhiata in direzione della ragazza che era appena entrata.
November studiò per un istante il profilo sottile e longilineo di Erin, che come sempre fece la sua comparsa in camicia da notte striminzita e vestaglia aperta sopra.
 
La bionda lanciò un’occhiata in direzione di Foxtrot e del suo Attivo prima di alzare gli occhi al cielo, seguendo le orme delle due compagne e decidendo di non intromettersi prima di appropriarsi a sua volta della caraffa piena di succo.
 
“Ancora con i cereali? Siamo tornati all’asilo, per caso?”
“Echo è il tuo Attivo, non dovresti tenerlo a bada?”
“Forse, ma mi rifiuto di arbitrare una lite per i cereali… no, credo che andrò a prendere il sole in veranda.”
 
La bionda fece spallucce prima di allontanarsi con solo il bicchiere in mano, mentre November si avvicinava leggermente a Rose per dirle qualcosa a bassa voce:
 
“Ma perché non fa quasi mai colazione?”
“Beh, in un modo o nell’altro dovrà pur mantenersi così magra, no?”
Rose si strinse nelle spalle mentre November allungava una mano pre prendere una frittella dalla torre formata dall’ex Tassorosso, riprendendo a parlare subito dopo:
 
“Sarà… e poi ho come l’impressione che le sue camice da notte siano sempre più corte. Dici che è possibile?”
“Chissà, magari le lava male di proposito in lavatrice!”
 
Rose rise mentre nella cucina facevano il loro ingresso anche Isla e Hooland. La ragazza puntò immediatamente gli occhi sui due Attivi e sospirò prima di avvicinarsi e prendere la scatola di cereali, sostenendo che se avessero usato il cervello avrebbero pensato di duplicarli con la magia mentre Hooland, ridacchiando e concordando silenziosamente con lei, si avvicinava a Rose e a November:
 
“Stai cucinando per tutto il Dorset, Rosie?”
“Cucinare mi rilassa, almeno mi rendo utile! Hool smettila, mi distrai!”
 
Rose sbuffò, avvampando mentre il ragazzo si chinava per darle un bacio su una guancia tenendola abbracciata, appoggiando poi il mento sul suo capo mentre November li guardava, sorridendo debolmente:
 
“Lo so, lo faccio di proposito… io sono il Presidente del Club dei Rompiscatole, lo sai.”
“Si, lo so… November, non puoi cacciarlo con una di quelle mosse da ninja che vi hanno insegnato?”
“Scusa Rose, ma preferisco godermi lo spettacolo. Quebec e Whiskey?”
“Ieri sera siamo tornati molto tardi, stanno ancora dormendo della grossa. Magari potrei tenergli qualche frittella da parte!”
“Va bene, mamma chioccia…”
 
                                                                                   *
 
Keller si morse il labbro mentre teneva le dita strette sui bordi dello sgabello dove l’avevano fatto sedere, pregando il Cappello che aveva sulla testa di fare in fretta.
Stando alla sua vocina che le sussurrava nell’orecchio era fortemente indeciso tra due Case, Grifondoro e Corvonero.
Probabilmente la ragazzina avrebbe preferito la prima opzione, dopotutto in quella Casa c’era West, indubbiamente il suo preferito tra i suoi fratelli. Zane non era più ad Hogwarts, lei e Lucas si erano sempre più che altro ignorati, Clare era sempre stata piuttosto gelosa del rapporto che la legava al suo gemello e per questo era un po’ fredda nei suoi confronti… e poi erano diversissime.
Disgraziatamente però non era lei a dover scegliere… e dopo essere rimasta su quella sedia per diversi minuti sospirò di sollievo nel sentire il nome di una Casa.
Si sfilò il Cappello e si alzò senza esitare, lanciando un’occhiata al tavolo dei Grifondoro e incrociando così lo sguardo di West. Il fratello le sorrise, ma le parve comunque di scorgere un po’ di malinconia in quegli occhi tanto simili ai suoi; non ebbe comunque modo di indugiare troppo e dovette per forza raggiungere il tavolo dei Corvonero, mentre sua sorella Clare si limitava ad applaudire con scarso entusiasmo.
 
La nuova arrivata nella casa di Priscilla non prese posto accanto alla sorella, bensì di fronte ad una ragazzina che era stata Smistata praticamente per prima.
Aveva sempre preferito la compagnia dei maschi in effetti, ma di fronte a quel sorriso gentile non riuscì a non ricambiare, mentre la nuova compagna di Casa le porgeva la mano sopra al tavolo:
 
“Ciao… io sono Kate.”
“Keller.”
Strinse quella piccola mano prima di lanciare una fugace occhiata in direzione di West, sorridendo leggermente: a quanto pareva, contrariamente a quanto aveva detto qualche ora prima il ragazzino, era molto sveglia.
 
 
                                                                                *
 
Si era chiusa la porta alle spalle e aveva appena iniziato a percorrere il corridoio per raggiungere le scale quando istintivamente si fermò, indugiando leggermente quando si ritrovò davanti ad una figura familiare.
Anche il ragazzo esitò per un attimo, la mano stretta sulla maniglia della sua porta prima di chiuderla, indirizzandole un lieve sorriso:
 
“Ciao.”
“Ciao.”
 
Esitò ma poi si mosse, riprendendo a camminare e superandolo a passo svelto mentre Nicholas la imitava, raggiungendola e lanciandole un’occhiata incerta prima di parlare:
 
“Come stai?”
“Bene. Anche se mi è dispiaciuto restare chiusa qui, ieri sera.”
“Sono sicuro che Quebec ha avuto le sue buone ragioni… ciò non va a sminuire le tue capacità, ovviamente.”
 
Juliet si limitò ad annuire, camminando a passo svelto per scendere al piano di sotto il più rapidamente possibile.
Dire che quel ragazzo non le piaceva era sbagliato, ma non si sentiva mai completamente a proprio agio insieme a lui… era sempre così gentile con lei, la faceva sentire a disagio a volte, quando le sorrideva e si preoccupava per lei, chiedendole come stesse o come fosse andata una qualche operazione fuori dalla Casa.
Quando le aveva parlato di quella sensazione Erin aveva sospirato, le aveva detto di non badarci e che era solo una sua strana impressione… così Juliet aveva smesso di farne parola, anche se a volte cercava comunque di evitare di trovarsi sola con lui.
 
Nicholas restò in silenzio, limitandosi a camminarle accanto mentre raggiungevano le scale.
Juliet si era appena affacciata quando un moto di sollievo la pervase, sorridendo istintivamente nel vedere Carter ai piedi della rampa a sbalzo che formava una leggera curva, con il corrimano in noce lucido e i gradini di legno.
Quasi come se si sentisse osservato il ragazzo alzò lo sguardo, posando gli occhi su di lei e sfoggiando un sorriso quasi impercettibile che sparì del tutto quando si accorse della presenza del collega.
Nicholas però fece finta di niente, limitandosi a scendere le scale e salutarlo con fredda cortesia quando gli passò accanto, superandolo per raggiungere gli altri in cucina e fare colazione.
 
“Perché eri con lui?”
“L’ho solo incrociato mentre venivo qui Carter, non essere geloso… dove sei stato ieri sera?”
“Fuori.”
 
Carter distolse lo sguardo prima di incamminarsi con la ragazza al seguito, che lo guardava con gli occhi chiari pieni di curiosità:
 
“Eri dalla tua famiglia?”
“Forse.”
“Perché sei sempre così schivo? Non è giusto, tu sai tutto di me e io non so proprio niente di te. Tu sai dove sono, cosa faccio, con chi lo faccio… e voi Guardiani invece potete sparire per una sera senza renderci conto di nulla.”
“Non essere sciocca, non è vero che non sai niente di me… ma questo lavoro è davvero alienante a volte, Juls. Sentiamo tutti il bisogno di evadere, di tanto in tanto.”
“Vorrei poterlo fare anche io. Invece non possiamo mai uscire da soli, senza di voi ad accompagnarci.”   Juliet sbuffò, parlando con palpabile amarezza mentre Carter si fermava, guardandola con un sopracciglio inarcato:
 
“Se la mia presenza ti infastidisce basta dirlo.”
“Non è che mi infastidisce… ma vorrei poter stare un po’ da sola, a volte. Come tutti, credo. Senti, andiamo a fare colazione, non mi va di fare ancora questo discorso… poi però mi racconti cosa hai fatto ieri.”
“No, non lo farò, non devo renderti conto di nulla dopotutto.”
“Il solito stronzo.”
 
                                                                                   *
 
 
“Sai, ho sentito una storia molto interessante stamattina, in bagno… a quanto pare i capelli di Karina Davis sono diventati misteriosamente bianchi e radi a colazione… Tu non se sai niente, immagino.”
“In effetti non l’avevo sentita, questa storia.”
 
Keller si strinse nelle spalle ma non riuscì a trattenere un lieve sorrisetto, guadagnandosi un’occhiata eloquente da parte dell’amica che le camminava accanto per raggiungere i Sotterranei per la lezione di Pozioni.
 
“Davvero? Quindi tu e West non centrate niente?”
“Siamo assolutamente innocenti… o almeno, lo sono io.”
 
Keller sorrise e a Kate non restò che roteare gli occhi, arrendendosi: erano anni che assisteva agli scherzi di Keller e di suo fratello… e aveva come la sensazione che Karina avesse ingerito chissà cosa a colazione, magari versatole di nascosto nel bicchiere proprio dal compagno di casa West.
 
“Ok, lasciamo perdere… forse non voglio saperne, o dovrò togliere punti alla mia stessa Casa.”
“Saggia decisione. Ma visto che siamo in tema “Grifondoro”… c’è qualcuno che ti sta guardando.”
 
Keller accennò lievemente al lato opposto del corridoio e immediatamente Kate si voltò, sorridendo lievemente in direzione del ragazzo che le rivolse un cenno di saluto, ricambiando il sorriso.
 
“Per essere una Corvonero sei veramente ingenua, Katie.”
“Non ricominciare, ti prego.”
“Come preferisci, ma ho ragione e lo sappiamo entrambe.”
 
Keller si strinse nelle spalle, parlando con l’aria di chi la sa lunga mentre una terza figura compariva dietro alle due ragazze, sorridendo e sistemando le braccia sulle spalle di entrambe:
 
“Keller convinta di aver ragione non è certo una novità… di che parlate?”
“Parlavamo di un bel ragazzo.”
 
“Di me?”
“No Cecil, non di te… ma sei bello comunque e ti vogliamo bene, non preoccuparti.”
 
Keller rise leggermente, appoggiando il capo sulla spalla del ragazzo che sfoggiò un sorriso di rimando prima di rivolgersi a Kate:
 
“E allora di chi parlavate?”
“Di nessuno… non fare il pettegolo Cecil, non ti si addice.”
 
 
                                                                                   *
 
 
“Com’è andata ieri sera?”
“Bene, direi. Ce la siamo cavata.”
 
Whiskey si strinse nelle spalle mentre era comodamente stravaccata su una sdraio, gli occhiali da sole calati sugli occhi mentre accanto a lei November era nella stessa situazione, sorseggiando pigramente il suo thè freddo.
 
“Alpha ha detto che oggi possiamo riposarci… a volte non ti sembra strano stare qui in panciolle, senza far nulla?”
“Forse… ma è bello di tanto in tanto rilassarsi, anche se adoro uscire da qui per le operazioni.”
 
“Già… spero che la prossima spetti a me.”
 
November annuì, appoggiando il bicchiere sul tavolino posto in mezzo alle due sdraio mentre posava gli occhi, coperti dagli occhiali, sul bordo opposto della grande piscina color turchese: Nicholas era stato appena spinto in acqua da due ridacchianti Foxtrot e Hooland, che ora erano in piedi sulle mattonelle bianche e lo guardavano sghignazzando.
 
“Tu ti trovi bene con Hool?”
“Certo. Secondo me è molto importante andare d’accordo con il proprio Guardiano, aiuta parecchio… certo, non possiamo dire esattamente lo stesso di Erin ed Echo, per esempio.”
 
Whiskey abbozzò un sorriso, accennando alla bionda che prendeva il sole a qualche metro di distanza mentre Echo non c’era, rimasto dentro insieme a Quebec e Carter.
Rose e Isla invece erano appena arrivate, ma non fecero in tempo a raggiungere una sdraio perché Foxtrot afferrò prontamente la Guardiana e, ignorando le sue proteste e minacce di morte, la lanciò in acqua senza alcuno sforzo apparente.
 
“Ora lo uccide…”
Whiskey abbozzò un sorriso, seguendo la scena con espressione divertita mentre l’americana riemergeva, assicurando al ragazzo che alla missione successiva lo avrebbe lasciato alla mercé di qualche killer mentre Rose ridacchiava, rimasta sul bordo della piscina.
Poi però l’ex Tassorosso si accorse dell’espressione poco promettente di Hooland e si spostò rapidamente, implorando il ragazzo di non farlo mentre questi la inseguiva lungo il perimetro della piscina.
 
“Hool, non ci provare neanche!”
 
Rose sbuffò mentre Foxtrot, afferrato da Isla e Nicholas per entrambe le braccia, finiva a sua volta nella piscina.
 
“Hooland e Rose si conoscevano da prima di venire qui, che tu sappia? Sono molto legati.”
 
Whiskey annuì alla domanda di November, che sorrise appena nel vedere il Guardiano afferrare la collega per la vita prima di lasciarsi cadere in acqua insieme a lei, strappandole un urletto.
 
“Sì, penso di sì. Tornando al discorso di prima… tu come ti trovi con Nick?”
“Bene… ma a volte è fin troppo riservato per i miei gusti.”
“Disse quella che non si fidava mai di nessuno…ti ci sono voluti mesi per legarti ad alcuni di noi… ricordo che all’inizio ti rivolgevi a Nicholas con monosillabi.”
“Vero, ho i miei tempi per fidarmi delle persone… non siamo tutti uguali, dopotutto.”
 
November si strinse nelle spalle, ripensando alle prime settimane passate dentro la Casa. All’inizio non era stato facile per lei entrare in relazione con i compagni e specialmente con il suo Guardiano, ma poi grazie al suo sorriso rassicurante Nicholas era riuscito a metterla a proprio agio e a creare un legame con lei.
I primi ricordi certi che aveva risalivano a due anni prima, quando si era svegliata in quella che ormai era la sua camera… accanto a lei aveva trovato la Dottoressa DeWitt e Alpha, che avevano parlato con lei prima di presentarle Nicholas.
Aveva ricordi molto vaghi prima di quel momento… ma la Dottoressa aveva detto che non importava, anzi che forse era meglio così visto che ormai la sua vita era quella. Le aveva detto che lei e tutti gli altri “Attivi” si erano messi in contatto con lei proprio per quel motivo, per cambiare vita, avevano accettato di lavorare per la sua associazione.
 
November non ricordava il suo cognome, in effetti non ricordava di aver avuto una famiglia… ricordi offuscati fatti principalmente di buio, di solitudine… era cresciuta da sola da quel che ricordava, e Cecily DeWitt le aveva dato l’opportunità di cambiare, di migliorare le proprie condizioni. In cambio, avrebbe fatto tutto quello che le avrebbe chiesto.
 
Nessuno di loro parlava molto della propria vita al di fuori del perimetro di quella Casa… di tanto in tanto faceva qualche domanda a Nicholas, gli chiedeva della sua famiglia, di come fosse stata la sua vita prima di arrivare lì. E soprattutto perché lavorava per la DeWitt. Ma così come tutti gli altri Guardiani Nicholas rispondeva sempre in modo abbastanza vago, sostenendo che fosse lì per il suo stesso motivo, per cambiare vita, e non molto altro.
 
A volte November pensava che il ragazzo fosse così evasivo perché non volesse confidarsi con lei, ma poi si diceva che magari non voleva farla sentire a disagio parlandole della sua famiglia e del suo passato quando lei ricordava così vagamente il suo.
 
Quasi come avesse percepito i suoi pensieri il ragazzo si avvicinò alle due Attive, sorridendo prima di porgere la mano alla castana:
 
“Siamo praticamente tutti in piscina… volete restare qui a fare le emarginate per caso?”
“Veramente pensavamo di abbronzarci, per una volta in cui c’è il sole…”
 
“Suvvia, poche storie.”
Il biondo sbuffò prima di sfilare gli occhiali a November e far cenno alle due di alzarsi e raggiungere gli altri in acqua, mentre Isla e Foxtrot erano impegnati ad affogarsi a vicenda e Rose era salita sulle spalle di Hooland per farsi lanciare in acqua.
 
“Sai Nick, credo che questi siano i momenti in cui dimentico che siamo qui al completo servizio di qualcun altro… Mi sembra quasi di essere una ragazza normalissima.”
“Beh, tanto meglio allora, non credi?”
 
Nicholas le sorrise e November ricambiò leggermente, distraendosi e permettendo così al ragazzo di spingere sia lei che Whiskey in acqua.
 
 
                                                                                                                         *
 
Tremava leggermente, facendo vagare lo sguardo intorno a lei mentre muoveva una mano, tastando la superfice liscia della parete alla quale si era appoggiata.
Deglutì a fatica, continuando a non vedere niente: il buio l’avvolgeva, e quella situazione non le piaceva per niente.
 
Chiuse gli occhi, cercando di pensare a qualcos’altro e chiedendosi come fosse finita lì dentro, in quella specie di stanza, ma proprio non se lo ricordava.
Perché era lì dentro?
Non lo sapeva
 
Alzò lo sguardo per cercare una qualche fonte di luce, magari una finestra… ma niente, c’era solo il buio.
Appoggiò di nuovo una mano sulla parete e cercò di alzarsi, ma le gambe sembravano improvvisamente costituite da zucchero filato, incapaci di reggerla.
 
Doveva alzarsi, lo sapeva… doveva fare qualcosa, o sarebbe rimasta lì dentro, intrappolata, per sempre.
Ma il buio non le era mai piaciuto, quando ci si trovava avvolta perdeva lucidità e la capacità di ragionare a sangue freddo.
Sospirò e appoggiò il capo alla parete alla quale si era appoggiata, cercando di non pensare a niente. Da piccola non entrava mai in una stanza buia, anche se si trattava della sua camera… si aggrappava al braccio di suo padre o di uno dei suoi fratelli e aspettava che qualcuno accendesse la luce.
Da piccola una lunga serie di mostri orribili e figure minacciose prendevano forma nel buio delle stanze, e quella sensazione spiacevole non l’aveva mai abbandonata del tutto.
 
Fece scivolare la mano dalla parete, incrociando le braccia intorno alle sue ginocchia e appoggiandoci il capo sopra, sospirando e continuando a tremare leggermente, mormorando a mezza voce che voleva uscire.
 
Ben presto delle lacrime iniziarono a rigarle il volto e il suo corpo venne scosso da fremiti più forti mentre il tono di voce aumentava.
Probabilmente stava quasi urlando quando aprì finalmente gli occhi, svegliandosi e trovandosi davanti l’espressione preoccupata di Kate, che si era avvicinata al letto dell’amica e l’aveva scossa parecchio per svegliarla.
 
“Keller… tutto bene?”
La Corvonero si tirò a sedere di scatto, annuendo leggermente e abbracciando istintivamente l’amica, sollevata di non essere più sola e che ci fossero delle finestre ad illuminare quella stanza.
 
                                                                                        *
 
Carter scese rapidamente le scale, passando accanto alla sala dove sia Attivi che Guardiani passavano il loro tempo libero per rilassarsi, intrattenendosi con la tv, la musica e i computer.
 
La parete era fatta interamente di vetro e ciò gli permise di scorgere Juliet e Quebec sfidarsi ad una partita a ping-pong da tavolo. La ragazza lo vide e gli rivolse un cenno per attirare la sua attenzione e invitandolo ad entrare.
 
Per un attimo il ragazzo esitò ma poi si mosse verso la porta, fatta sempre di vetro lucidissimo, per aprirla e fermarsi sulla soglia della stanza:
 
“Che cosa c’è Juliet? Se vuoi chiedermi di giocare non posso, devo andare.”
“Tranquillo, devo prima battere Quebec… dove devi andare? Abbiamo appena visto passare anche Isla e Rose, bagnate fradice.”
“C’è una… riunione. E se arrivo in ritardo Alpha mi ucciderà, quindi meglio che vada. Ci vediamo dopo.”
 
Carter rivolse un cenno ai due prima di uscire frettolosamente dalla stanza, lasciando che la porta si chiudesse da sola alle sue spalle e allontanandosi.
 
“E’ sempre così vago?”
“Un po’… ma mi chiedo che riunione sia. Vorrei tanto potervi partecipare, una volta tanto.”
 
Juliet sbuffò leggermente e Quebec annuì come se fosse d’accordo con lei, voltandosi di nuovo verso la ragazza e trovandola con lo sguardo fisso sulla sua racchetta, come se stesse pensando a qualcos’altro.
Il ragazzo sorrise appena e le lanciò la pallina contro, colpendola sulla spalla e ridestandola:
 
“Centro!”
“Idiota, non devi colpire me!”
“Lo so, ma non ho resistito… potremmo renderlo un nuovo gioco, chi colpisce più volte Juliet vince.”
 
                                                                                            *
 
 
Continuava a tamburellare la sua penna sul quadernetto che teneva in mano, gli occhi chiari fissi su due ragazze, due Corvonero, che stavano parlando a qualche metro di distanza.
Si stava segnando tutti i nomi dei ragazzi che avrebbero potuto interessarle, che sarebbero, magari, entrati nella Dollhouse nell’arco di qualche mese.
 
Aveva già qualche nome, certo, ma principalmente maschili… era ancora fortemente indecisa, invece per le ragazze.
Corvonero, la Casa dei cervelloni.
 
Osservava quelle due ragazze parlare, soffermandosi su quella che, a quanto pare, era risultata anni prima Testurbante tra Grifondoro e Corvonero.
Quindi era sveglia, certo, ma anche coraggiosa. E poi era indubbiamente una bella ragazza, così come la sua amica.
 
Aveva parlato con gli insegnanti praticamente su tutti i ragazzi, e le avevano detto che Keller Reynolds era sveglia, piuttosto intuitiva e brava a rapportarsi con le persone… specialmente a capire quando le conveniva fare qualcosa o meno, quando doveva dire a quella o questa persona una qualche cosa.
 
Quindi era brava a manipolare le persone?
In effetti anche lei se l’era sempre cavata molto bene, in quel frangente.
 
Cecily sorrise appena prima di abbassare lo sguardo sul suo taccuino, scarabocchiando con quella calligrafia che mai nessuno era riuscito a comprendere un nome in più sulla lista che aveva iniziato a formare:
 
Keller Reynolds, Corvonero
 
                                                                                            *
 
 
Bussò alla porta con delicatezza, aprendola e sbirciando all’interno della stanza nella speranza di non disturbarlo.
 
Non sembrò dare segni di essersi accorto della sua presenza, le dava le spalle e stava trafficando con qualcosa, seduto come al solito alla sua scrivania, con ben due computer davanti e circondato da fogli dove disegnava e programmava chissà quali diavolerie.
 
Gli si avvicinò silenziosamente fino a raggiungere la sedia, fermandosi alle sue spalle e sbirciando quello che il ragazzo stava facendo: teneva tra le mani un minuscolo Tablet dove stava scrivendo qualcosa, modificando una specie di lista.
 
Un sorriso le incurvò le labbra nel rendersi conto di cosa fosse prima di chinarsi leggermente, allacciandogli le braccia intorno al collo:
 
“Che cosa stai facendo?”
 
Hooland quasi sobbalzò, voltandosi di scatto mentre oscurava lo schermo alla velocità della luce, rilassandosi leggermente quando realizzò che era soltanto lei.
 
“Oh, ciao… niente, le solite cose. Come mai qui? Non riesci a stare senza di me?”
“No testa di rapa, volevo controllare che ti ricordassi della riunione… e a quanto pare non è così, come immaginavo. Penso che sia tu a non riuscire a fare a meno di me.”
 
“Riunione? Era oggi?”
“Già. Dai, andiamo.”
 
Rose sorrise, prendendolo per mano per farlo alzare mentre il ragazzo sbuffava, borbottando che non ne aveva voglia mentre lasciava, a malincuore, il suo Tablet sulla scrivania.
 
“Lo so, nemmeno io… ma siamo persone brave e diligenti, quindi ci andremo. O almeno, io lo sono, quindi mi trascino appresso Hooland Testa su Marte Magnus.”
“Io non ho la testa su Marte… penso solo che preoccuparsi e affannarsi per tutto non serva a nulla.”
 
                                                                                    *
 
Sorrideva mentre teneva la mano stretta su uno dei manici del baule, trascinandolo verso il treno.
Si era finalmente diplomata, quasi stentava a credere che quel giorno fosse arrivato davvero… e moriva dalla voglia di tornare a casa, riabbracciare i suoi genitori e la sua tribù di fratelli, specialmente West.
Hogwarts le sarebbe mancata, su questo non aveva nessun dubbio… ma era felice che fosse finita, aveva finalmente completato il suo percorso di studi e da quel momento, per lei, sarebbe iniziata la vita vera.
 
Aveva tutta l’intenzione di lasciare il baule sul treno e cercare insieme a Cecil e Kate uno scompartimento libero, ma si bloccò quando sentì qualcuno pronunciare il suo nome, una voce maschile che non aveva mai sentito.
Keller si voltò, e la Corvonero si ritrovò davanti ad un uomo che doveva avere una quindicina d’anni più di lei o giù di lì, in piedi accanto al treno con una camicia bianca addosso.
Aveva gli occhi più blu che avesse mai visto e per un attimo Keller esitò, studiando quel volto completamente sconosciuto.
 
Era sempre stata piuttosto brava a capire, analizzare le persone, rendersi conto di chi poteva fidarsi e da chi invece era meglio stare alla larga. Provò una strana sensazione mentre quegli occhi cerulei la studiavano, sinceramente combattuta.
 
“Ci conosciamo?”
“No, non proprio… ma abbiamo una conoscenza in comune, diciamo. Non preoccuparti Keller, sono qui solo per parlarti per conto di questa persona... Mi chiamo Alpha, lavoro per la Dottoressa Cecily DeWitt.”
 
                                                                                            *
 
“Grazie per la puntualità… non preoccupatevi, vi assicuro che non vi ruberemo molto tempo. Questo mese i bilanci sono decisamente positivi, voglio complimentarmi con voi per come avete gestito le ultime operazioni e i vostri Attivi… cosa più importante, nessuno si è fatto male di recente e niente è andato storto.”
 
Cecily fece vagare lo sguardo sui sei ragazzi che le stavano davanti, seduti intorno al tavolo circolare. Accanto a lei c’era Alpha da un lato e dall’altro Robert, entrambi in silenzio mentre aspettavano il proprio turno per parlare.
 
“Un paio di giorni fa Juliet si è sentita male nel sonno… è ricapitato a qualcun altro?”
“No, ma immagino sia solo questione di tempo, succede periodicamente.”
 
La donna annuì alle parole di Nicholas, conscia che avesse ragione:
 
“Lo sappiamo… e non abbiamo ancora trovato il modo di evitare quelle spiacevoli situazioni. Fortunatamente siamo perfettamente in grado di bloccarle e di togliere agli Attivi la memoria del dolore che quei ricordi provocano.”
“Quindi è solo questo? Ricordi che emergono?”
“Ricordi che cercano di emergere, Isla. Cancellare definitivamente un’impronta cerebrale è molto difficile, quasi impossibile… per fortuna o meno la mente umana è la più complessa che esista. Ho cancellato la memoria di quei ragazzi due anni fa, ho dato loro un passato diverso a cui aggrapparsi, grazie al quale sono ben lieti di non fare domande sul proprio conto. Ma reprimere la personalità è difficile e a volte l’impronta originale preme su quella nuova, cercando di riprendere il sopravvento… avviene principalmente di notte, quando la mente è più vulnerabile. Sono sicura che prima o poi troverò il modo di bloccare una volta per tutte l’impronta, non preoccupatevi per i vostri Attivi. Non vi ho convocati per parlare di questo, comunque… come ben sapete siamo spesso sotto controllo da parte del Ministero e degli Auror. Non sono mai riuscita a convincere del tutto Capo del Dipartimento, Rowle… sospetta già da qualche anno che la mia attività non sia esattamente basata sull’aiutare le persone grazie ai metodi e alle macchine che ho elaborato. La nostra posizione non è nascosta alle autorità, perciò vi avviso: potrebbero farci qualche visita, in futuro. E quando succederà, voglio che siate pronti ad agire rapidamente e senza errori come avete fatto fino ad oggi.”










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Angolo Autrice:

Salve! La scorsa volta avete votato November in maggioranza... spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se ci ha messo un po' ad arrivare.
Ecco i nomi tra cui scegliere per il seguito!


- Erin
- Whiskey 
- Echo 

Mi raccomando, prima votate e prima arriva il capitolo!
A presto,

Signorina Granger 

 

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Capitolo 7
*** Whiskey ***


Capitolo 5: Whiskey
 
 
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“Ginevra! Lascia stare il povero Ronnie!” 
 
Alexandra Morrison, seduta su una sedia sotto la veranda della propria casa, sospirò mentre seguiva i movimenti della figlia minore con lo sguardo, guardando la bambina ridacchiare e inseguire il povero cane Ronnie sul prato.
 
“Quella bambina è più iperattiva del cane…” 
 
La donna roteò gli occhi prima di bere un altro sorso di thè, rivolgendosi al marito che l'aveva appena raggiunta.
Non si voltò verso l'uomo ma seppe comunque che stava sorridendo leggermente, guardando la bambina con affetto e una punta di divertimento. 
 
Ginevra aveva già ampiamente dimostrato di essere piuttosto sveglia, di avere una lingua tagliente e biforcuta e una scarsa propensione a rispettare le regole e a comportarsi bene.
In pratica, somigliava molto più al padre rispetto alla madre. 
 
 
“È piccola Alexandra… lasciala fare. Tu vorresti trasformarla in una signorina ordinata e a modo, ma temo non accadrà mai. Scheggia, non prendere Ronnie per la coda!” 
 
“Ok papi!” 
 
Gin sorrise con aria angelica mentre mollava la presa sulla coda del povero Ronnie, sporgendosi subito dopo per abbracciare il cane e grattargli le orecchie. 
 
Alexandra scosse il capo quasi con leggera disapprovazione mentre si alzava per tornare all'interno della casa, stanca di guardare la figlia comportarsi come un maschio. E poi un po' l'aveva sempre infastidita il fatto che Ginevra desse molta più retta al padre rispetto a lei.


 
      *
 
 
Dopo aver camminato per quasi mezz'ora sedette sulla sabbia, osservando le onde gelide infrangersi sulla riva davanti a lei. 
Era abbastanza presto, quando era uscita dalla Casa molti stavano di certo ancora dormendo… ma a lei piaceva passare qualche momento da sola, in pace e tranquillità, e spesso lo faceva passeggiando lungo la spiaggia dietro la Villa. 
 
Un’altra giornata stava per iniziare… avevano passato tre giorni in pura tranquillità dentro la Casa, tanto che Whiskey stava iniziando a pregare che Alpha avesse qualcosa per loro quel giorno: sì, le piaceva la tranquillità, ma amava anche essere mandata in missione. 
Certo, nell'ultima della squadra aveva partecipato quindi non era strettamente probabile che sarebbe toccato a lei andare se non si fosse trattato di un’operazione collettiva, ma poteva almeno sperarci. 
 
 
“Ehy… che fai qui tutta sola?” 
“Mi piace stare da sola, a volte.” 
 
 
Whiskey si strinse nelle spalle mentre alzava lo sguardo, incontrando così il familiare volto del suo Guardiano. 
Hooland teneva un casco sottobraccio e inarcò un sopracciglio, continuando a guardarla:
 
 
“Devo andarmene allora?” 
“No, resta pure. Sei appena tornato o stai andando via?” 
“Sono appena tornato… avevo voglia di fare un giretto anche io, solo che mentre tu ami camminare io preferisco altri mezzi.” 
 
Hooland sorrise leggermente, stringendosi nelle spalle e sistemando il casco sulla sabbia davanti a lui mentre prendeva posto accanto a Whiskey. 
La ragazza annuì, lanciando un’occhiata al casco nero e ripensando a tutte le volte in cui era dovuta salire insieme a lui sulla sua moto… e a tutte le preghiere che aveva recitato mentalmente in quelle occasioni, pregando che non si schiantassero contro un auto o investissero qualcuno.
 
Hooland amava guidare, lo sapeva benissimo… ma sapeva anche quanto amasse correre e fosse, Ale volte, un po’ spericolato. 
Qualche volta ne aveva parlato con Rose e la ragazza aveva riso, sostenendo che la capiva perfettamente.
 
“Oh, lo so bene… hai di nuovo fatto finta di essere nel pieno di una gara di rally?” 
“Se anche fosse, vincerei sicuramente.” 
“Facendo morire di paura me o la povera Rose, certo. Sarà meglio andare, mi sta venendo fame… di sicuro Rose starà già preparando la colazione per tutti.” 
 
 
Whiskey si alzò e Hooland la imitò, raccogliendo il proprio casco prima di seguirla verso il sentiero che conduceva alla Casa. 
 
E mente la guardava camminare davanti a lui non poté fare a meno di pensare alla Ginevra che aveva conosciuto ad Hogwarts, a come lei avrebbe sicuramente apprezzato la sua guida e avrebbe riso da matti salendo sulla moto insieme a lui. 
 
Senza dubbio era cambiata parecchio, anche se la sua lingua leggermente tagliente era rimasta. Ginevra era esuberante, testarda, senza peli sulla lingua è un po’ spericolata… Whiskey era molto più tranquilla, riservata, spesso preferiva restare in disparte invece che in compagnia. 
 
L’ex Tassorosso scosse il capo, dicendosi ancora una volta di non pensarci mentre affrettava il passo per raggiungere la ragazza, che sbuffando alzò lo sguardo su di lui:
 
“A volte mi chiedo che razza di senso dell'umorismo abbia la DeWitt per averci messo insieme… bisogna essere crudeli per piazzare insieme un Marcantonio di oltre un metro e novanta e una nanetta di neanche 160 cm!” 
 
Hooland si limitò a sorridere, guardandola dall'alto in basso e chiedendosi ancora una volta se essere stato assegnato ad una sua ex amica fosse stata una fortuna o meno. 
 
 
                                                                                                                                                    *
 
 
 
“Come hai preso tutti quei dolci?” 
 
Di fronte all’espressione a dir poco stupita del suo migliore amico Ginevra si strinse nelle spalle, lasciando scivolare tutti i dolci che teneva tra le braccia sul sedile vuoto accanto all'amico prima di sorridere, sedendo nuovamente di fronte a Logan:
 
“Per anni ho sgraffignato patatine dal ristorante di mio padre, ormai conosco mille trucchi. Serviti pure Logan.” 
 
La ragazzina sorrise al suo vicino di casa, piuttosto felice e impaziente di arrivare alla loro destinazione: non vedeva l'ora di poter vedere Hogwarts con i suoi occhi, ne aveva tanto sentito parlare da suo fratello Matthew, che avrebbe iniziato il sesto anno, e da sua madre. 
Ora stava finalmente per andarci in compagnia del suo storico amico e compagno di giochi, e non poteva esserne più felice. 
 
Si chiedeva da mesi in che Casa sarebbe stata Smistata, sentendone parlare da suo fratello… non si vedeva per niente tra i Tassorosso, ma magari sarebbe stata bene a Grifondoro. 
In effetti sperava che lei e Logan finissero insieme, ma benché molto amici non erano simili in tutto e per tutto, anche se nemmeno lui scherzava con le bravate.
 
In ogni caso era piuttosto socievole, era sicura che non avrebbe impiegato molto a farsi nuovi amici nella sua nuova scuola… o almeno, lo sperava vivamente. 
 
                                                     
   *
 
 
Lei e Hooland erano appena entrati in cucina attraverso l’enorme porta-finestra di vetro che collegava la stanza con l'esterno della Casa quando vennero accolti da un considerevole profumo di vaniglia e caffè e dalla voce di Quebec, che era seduto su uno degli sgabelli della penisola bianca e stava sfogliando distrattamente il giornale. 
 
“Buongiorno… mattinieri anche voi, vedo. Come al solito Rose si è svegliata all’alba per cucinare.” 
“Avevamo voglia di fare un giro… Grazie Rose.” 
 
Hooland passò accanto all'amica, curandosi di rubare una considerevole fetta di torta alla vaniglia dal vassoio prima di avviarsi verso l'uscita della cucina, annunciando che sarebbe andato a farsi una doccia. 
 
“Vaniglia? In effetti avrei preferito cioccolato…” 
“Posso fartene una adesso, se vuoi.” 
 
Rose sfoggiò un largo sorriso mentre si puliva le mani nel grembiule… e probabilmente Hooland avrebbe accettato l'idea di buon grado, ma Quebec lo fulminò con lo sguardo e lo precedette:
 
“Lascia stare Rose, non importa. Hooland, non approfittare della sua gentilezza!” 
“Che ci vuoi fare Quebec, sono una persona piuttosto svogliata, pigra e a volte opportunista… e se ho una dolcissima Rose che si impegna a fare torte ne approfitto.” 
 
Hooland sorrise prima di sparire dalla stanza con la sua fetta di torta ancora in mano, mentre Quebec si limitava a scuotere il capo e si alzava per raggiungere la sua Guardiana:
 
“Non osare fare un'altra torta Rose.” 
“Va bene, d'accordo… e tu non perdere tempo a discutere con Hool, non prende mai sul serio conversazioni di questo tipo… anzi, di fronte a delle critiche o degli insulti nei suoi confronti solitamente ride e basta. Probabilmente è davvero pigro e opportunista, ma non credo gliene importi granché.” 
 
“Già… ma anche con i suoi difetti, tu lo adori comunque.” 
“Immagino di sì.” 
“Non era una domanda, Rose.” 
 
 
                                                                                                                                              *
 
 
“Fammi indovinare… tu non centri assolutamente nulla con l’incidente di Jaime McGuire.”
“Decisamente no.” 
 
“A chi pensi di darla a bere Ginger, ti conosco meglio di chiunque altro… e dove le hai prese quelle caramelle?” 
 
Alla domanda di suo fratello Ginevra si strinse nelle spalle, continuando a mangiucchiare dolcetti senza dirgli che era sgattaiolata da Mielandia un paio di giorni prima attraverso uno dei passaggi segreti che aveva scoperto già durante il primo anno di scuola, quando si divertiva a gironzolare per il castello. 
 
“Affari miei.” 
“Sei la mia sorellina, ergo sono anche affari miei.” 
 
Matthew sbuffò ma la sorella non ci fece molto caso, continuando a guardare il Lago Nero luccicare sotto il sole, davanti a loro. 
Spesso si fermavano lì a chiacchierare, e di certo dall'anno seguente, quando suo fratello avrebbe lasciato Hogwarts, le sarebbe mancato… anche se probabilmente non glie l'avrebbe mai detto apertamente. 
 
Matthew era sempre stato più tranquillo di lei e spesso discutevano, anche a causa del suo essere molto protettivo e quindi contestando tutte le idee della sorella, che spesso e volentieri si cacciava nei guai insieme ai suoi amici. 
 
“Fammi indovinare, chi ti ha aiutato? Logan? O Seth Redclaw?” 
“Non te lo dico, fratellone…” 
 
 
Ginevra sorrise, continuando a tormentare distrattamente una margheritina mentre il fratello alzava gli occhi al cielo, non sapendo proprio su chi puntare tra i due migliori amici della sorella, un Serpeverde e un Grifondoro. 
 
Alla fine lei e Logan erano stati divisi dal Cappello, ma non avevano interrotto i rapporti e continuavano ad essere grandi amici nonostante le Case fossero storicamente avversarie. 
 
“Come preferisci… ma attenta Gin, l'anno prossimo non ci sarò più a cercare di tenerti fuori dai guai.” 
“Beh, allora mi divertirò molto di più… ahia! Sto scherzando, scemo.” 
 
 
                                                                                                                                             *
   
 
 
“Avete qualcosa per noi, oggi?” 
 
 
Gli occhi di Alpha saettarono su Whiskey alle parole della ragazza, che però non batté ciglio e rimase perfettamente immobile, in piedi tra November e Quebec insieme a tutti gli altri compagni.
L'uomo esitò ma poi annuì, abbassando lo sguardo sul foglio che teneva in mano:
 
“Sì. E temo sia una questione molto… delicata.” 
“Ovvero?” 
 
“Ricordate Sam Gleeson? Abbiamo lavorato per lui circa un mese fa.” 
 
“È quello che abbiamo scortato da Londra fino alla sua villa al mare?” 
 
Alpha annuì prima che i fogli che teneva in mano planassero magicamente verso ciascuno dei ragazzi, lasciando che sia Guardiani che gli Attivi li prendessero. 
 
“Esattamente. Meno di un'ora fa ha contattato la Dottoressa, pare che ci sia altro che possiamo fare per lui. Ha richiesto che il suo conto venga spostato. Attualmente i suoi soldi sono conservati dalla Royal Bank of Scotland… nella sua sede principale, ad Edimburgo. A quanto sembra però le cose per il signor Gleeson debbano cambiare, vuole che i soldi vengano trasferiti… e ad occuparsene sarete voi, o almeno una parte di voi.” 
 
 “Dove dovremmo portarli?” 
 
“All’ambasciata americana, come sapete vive qui ma è ancora cittadino americano.” 
 
 
Whiskey inarcò un sopracciglio con lieve scetticismo, mentre a poca distanza da lei Erin quasi trattenne una risata: sembrava poco credibile anche alla bionda, che si trattenne dal domandare se i soldi che dovevano trasferisce fossero realmente di proprietà di quell'uomo. 
 
Di certo anche altri lo pensavano ma nessuno osò fare quella scomoda domanda al proprio superiore, che invece li stava osservando in silenzio mentre decideva a chi affidare quel compito. 
 
“Sei di voi andranno ad Edimburgo e si occuperanno del trasferimento… altri quattro si recheranno a casa di Gleeson, gli altri due invece resteranno qui per monitorare la situazione, vi seguiremo comunque da qui. Oggi niente allenamenti, chi deve partire lo farà subito, chiaro?” 
 
Un lieve mormorio di consensi seguì le parole dell'uomo, che annuì mentre continuava a squadrare i ragazzi, decidendo come dividere i ruoli. 
 
“Isla e Foxtrot, voi andrete da Gleeson. Isla, tu sei una cittadina americana, non avrai alcun problema ad accedere all’ambasciata. Dovete portarlo fino all’ambasciata e proteggerlo… ” 
“Proteggerlo da chi?” 
“Non vi riguarda… ma sono davvero molti soldi, Isla. Soldi che non servono soltanto a lui e che farebbero comodo a molte persone… con voi verranno anche Quebec e Rose. Quanto a chi andrà a prendere i soldi, ci penseranno Juliet e Carter, November e Nicholas insieme ad Echo ed Erin. Hooland, tu mi servi qui, e anche Whiskey.” 
 
 
Whiskey s’impose di restare zitta e non dire nulla, ma dovette mordersi la lingua per evitare di manifestare il suo disappunto: possibile che l'unica Attiva della squadra a restare alla Casa dovesse essere lei? 
 
 
“Per coloro che devono partire vi aspetto nel piazzale tra dieci minuti. Prendete tutto quello che vi serve.” 
 
Alpha girò sui tacchi e uscì dalla stanza con poche, lunghe falcate senza mai voltarsi indietro, mentre i membri della squadra esprimevano più o meno gioia di fronte a quella sfida. 
Isla in particolare sfoggiò un sorriso, avvicinandosi a Rose e mettendo un braccio sulle spalle dell’amica:
 
“Sono davvero felice di andare con te, Rosie… dai, andiamo a cambiarci e a prepararci. Fox, sii puntuale o Alpha rimprovererà me al posto tuo!” 
“Si signor capitano.” 
“Non farmi il verso!” 
 
Isla roteò gli occhi mentre usciva dalla stanza insieme a Rose e Foxtrot, alle sue spalle, ridacchiò prima di imitarla, apparentemente di ottimo umore come se il compito che gli era stato assegnato gli andasse più che bene.
 
Ad accorgersi del scontentezza di Whiskey invece fu November, che le rivolse un sorriso consolatorio mentre usciva dalla stanza insieme a lei, con Juliet ed Erin alle loro spalle che discutevano su cosa portare con sé e cosa no per l’operazione.
 
“Non prendertela… la prossima volta andrai tu, vedrai. E poi sicuramente se devi rimanere qui un motivo ci sarà, Alpha non è stupido.”
“Lo so… E non voglio fare l’esibizionista, del resto nell’ultima operazione sono stata io ad andare insieme a Quebec… spero almeno di potermi rendere utile da qui.”
“Sono sicura che andrà così. Ora vado a cambiarmi e a prendere qualche arma insieme a Nick, ci vediamo dopo.”
 
La mora sorrise leggermente alla rossa prima di superarla e avvicinarsi alle scale, lasciandosi alle spalle una Whiskey non proprio sorridente.
 

                                                                                                                                               *

 
Ginevra era comodamente seduta su una panca, facendo dondolare ritmicamente una gamba sottile, seguendo la musica che riempiva il corridoio da lei stessa insonorizzato.
Aveva sempre amato la musica, tanto da portarsi sempre ad Hogwarts una carrellata di vinili… che usava, puntualmente, su un giradischi nascosto in un angolo del terzo piano, dietro alcuni arazzi.
 
Teneva tra le mani un tema di Pozioni già concluso e il suo rotolo di pergamena, copiando le righe che aveva precedentemente sottratto dalla borsa di un Corvonero. Il migliore amico di Logan in effetti, ma poco le importava.
 
“Da quando in qua rubi i compiti e non li condividi con me Ginger?”
“Potresti chiamarmi Gin invece di Ginger?”
“Perché no? Ora che hai i capelli rossi ti sta a pennello, direi.”
 
Sentì i passi di Logan avvicinarsi e il ragazzo sedette accanto a lei, mentre la rossa si stringeva nelle spalle:
 
“Sono di Nick, e visto che siete grandi amici non sapevo se li avresti copiati o meno.”
“Certo che sì, che domande fai? Quando avrai finito passameli. A proposito… avete finito di discutere, voi due?”
“Per oggi sì, ma non posso assicurarti niente sul domani.”
 
Il Serpeverde roteò gli occhi, chiedendosi sinceramente se i suoi migliori amici si odiassero o meno dalla ciclicità con cui litigavano, praticamente per ogni cosa. Erano decisamente molto diversi, su questo non c’era alcun dubbio.
“Lasciamo perdere… Piuttosto, puoi cambiare cd? Mi hai fatto uscire la musica rock anni ’70 dalle orecchie, ormai…”
“Per la milionesima volta, è un vinile, non un CD! E comunque no, la mia musica non si tocca.”

 
                                                                                                                                                *
 

“Perché hai quel muso lungo?”
 
Juliet inarcò un sopracciglio, osservando Carter in piedi sulla soglia della sua camera. Il ragazzo non era voltato verso di lei e teneva invece lo sguardo fisso sul corridoio, tenendo le braccia conserte.
Sentendo la sua voce Carter si voltò, guardandola tirare su la zip della giacca smanicata nera che si era infilata mentre due pistole con tanto di ricariche erano sul letto, pronte per essere prese.
 
“Non ho nessun muso lungo Juls… hai preso tutto?”
“Quasi. Ah, dimenticavo… quella lì è la tua faccia normale.”
 
Juliet sorrise appena mentre si legava i capelli castani in una coda alta, guadagnandosi un’occhiata torva dal ragazzo, prima che Carter si voltasse nuovamente verso il corridoio.
 
“Sai, in quella posa sembri proprio un bodyguard…”
“Tecnicamente è quello che sono, infatti. Dai, andiamo. Abbiamo un bel po’ di strada da fare.”
 
“E’ una vera seccatura non poter usare la magia…”
 
Juliet sbuffò leggermente, infilandosi comunque la bacchetta nella tasca dei pantaloni prima di avvicinarsi alla soglia della propria camera con la sacca in mano, rivolgendo un lieve sorriso al Guardiano:
 
“Pronta. Possiamo andare.”
Carter però non si mosse, continuando a tenere gli occhi fissi su qualcuno.
 
“Carter? Sei entrato in trance? Stai avendo una visione?”
Il ragazzo non rispose e la ragazza si alzò in punta di piedi per cercare di sbirciare oltre la sua spalla, curiosa di sapere che cosa stesse guardando il ragazzo.
 
“Che cosa c’è di così interessante? C’è Erin in bikini?”
“Come diamine potrebbe essere in bikini adesso? E comunque, non dire cazzate…”
 
Carter si ridestò, roteando gli occhi mentre Juliet si sporgeva leggermente, capendo improvvisamente chi stesse osservando il ragazzo: infondo al corridoio c’erano November e Nicholas impegnati a parlare mentre la ragazza si sistemava distrattamente i capelli castani in una lunga treccia.
 
“Perché osservi Nicholas e November?”
“Affari miei.”
“Sono anche miei!”
“No Juliet… gli affari tuoi sono anche miei, non viceversa. E poi… lo sai come la penso. Non mi piace come ti parla o ti sta intorno, c’è qualcosa di strano.”
 
Carter si accigliò leggermente mentre invece Juliet esitò prima di sorridere, prendendolo sottobraccio:
 
“Come sei carino a preoccuparti per me!”
“Te l’ho già detto. Se ti succede qualcosa ne risento io… ora muoviti.”
 
Carter sbuffò e, divincolatosi dalla sua presa, si allontanò lasciandola sola sulla soglia della stanza, seguendolo con lo sguardo.
Juliet si limitò ad annuire, sospirando prima di chiudere la porta della sua camera:
 
“Già, scusa… dimenticavo la busta paga.”
 
 
“Sai Carter… se continui a ripeterlo finirà per crederci.”
“Si può sapere perché te ne spunti sempre con queste frasi sibilline?”
 
“Io non sono sibillina Halon, dico sempre quello che penso. Sicuramente Juliet finirà per crederci prima o poi, ma non so se riuscirai a convincere anche te stesso. Sono sicura che ci divertiremo moltissimo insieme oggi, sorridi per una volta.”
 
Erin sfoggiò un lieve sorrisetto prima di superare il ragazzo e attraversare l’ingresso per uscire dalla villa, mentre alle sue spalle Carter la seguì con lo sguardo, certo che prima o poi avrebbe messo la parola “fine” alle insinuazioni che la ragazza era solita lanciargli, specialmente sulla sua Attiva.
 

                                                                                                                                          *

 
“La Pluffa passa a Jackson… strano, ero convinta che fosse troppo stupido per avere riflessi abbastanza pronti da riuscire a prendere la Pluffa al volo. Non smettere di stupirci Jackson!”
 
Ginevra Morrison sorrise mentre, intorno a lei, le tribune sghignazzavano allegramente al suo commento contro il Cacciatore di Serpeverde.
Fare la cronaca alle partite, come faceva ormai dal terzo anno, si rivelava sempre estremamente divertente, anche se forse gli insegnante che sedevano intorno a lei non la pensavano esattamente allo stesso modo.
 
“Jackson la passa a Coleman, altro esempio di curioso caso in cui la coordinazione oculo-manuale è incredibilmente sviluppata rispetto al quoziente intellettivo… Andiamo Corvonero, volete davvero che Serpeverde vinca? Andiamo Keller Reynolds, stendi qualcuno con un Bolide!”
 
Gin sbuffò, parlando con tale veemenza da far solo aumentare le risate in tutto il campo mentre gli occhi della ragazza seguivano gli spostamenti della Pluffa con attenzione:
 
“Ora la Pluffa è in mano all’unico giocatore decente della squadra… Andiamo Logan, fai un benedetto punto! Rettifico quello che ho detto poco fa, accetto un goal da Serpeverde solo se è lui ad arrecarlo. Come non detto, Logan si fa distrarre dalla chioma fluente di Kate e si fa soffiare dalla Cacciatrice la Pluffa… Logan, sei un fesso, ma ti voglio bene. Kate segna, dieci punti a Corvonero!”
 
Le parole della rossa vennero seguite da un boato di urla e applausi che si diffuse in praticamente tutte le tribune, mentre un sorriso faceva capolino anche sul volto della cronista:
 
“I Serpeverde oggi non stanno dando proprio il massimo… rimpiango i giorni in cui a rendere le cose interessanti c’era Nick Bennet che faceva il culo a strisce a tutti, quello sì che era un gran fi- Scusi professoressa, non lo dirò più!”
 

                                                                                                                                              *
 

“Mi raccomando… prediti cura del mio pulcino.”
 
Hooland sorrise mentre Rose sbuffava leggermente, abbassando lo sguardo e mormorando che sapeva benissimo difendersi da sola mentre Foxtrot invece sorrideva, annuendo:
 
“Non preoccuparti, è in buone mani.”
“Guarda che Hool si riferiva a me, non a te!”
“Stai dicendo che sono inaffidabile Isla?”
“No, ma io lo sono più di te!”
 
Foxtrot e Isla iniziarono a discutere, come da manuale, mentre Rose si limitava a sospirare, certa che alla fine sarebbe stata lei a dover controllare quei due e non viceversa.
Si voltò verso Hooland, parlando con tono quasi seccato:
 
“Smettila di dire a Foxtrot di tenermi d’occhio… anche se almeno così so che tieni a me e non solo alle cose che cucino.”
“Certo che tengo a te… non dire stupidaggini. Sarò anche uno schifoso menefreghista, ma di te mi importa.”
Hooland non sembrò cogliere l’ironia della ragazza e guardò l’amica come se fosse sinceramente offeso dalle sue parole, guardandola scuotere leggermente il capo:
 
“Lo so, scherzavo… Come so se è colpa mia se ti senti sempre in dovere di badare a me, dopo quello che è successo. In ogni caso, ascolta Alpha e non stare con la testa tra le nuvole, immagino che ti piazzerà davanti a qualche schermo.”
“Quella è la cosa che mi riesce meglio, dopotutto… Mi dispiace non poter stare con te oggi, immagino che sentirai la mia mancanza visto che non puoi fare a meno di me.”
 
“Pensavo fosse il contrario, in realtà. Spero di tornare presto.”
“Tranquilla, in ogni caso saremo sicuramente in contatto pulcino…”
“Non chiamarmi pulcino!”
“Ma è il tuo nome in codice, come dovrei chiamarti?”
“Rosie va benissimo, grazie. Isla, Fox, andiamo.”
 
Rose rivolse un cenno ai due compagni prima di girare sui tacchi, con Hooland che la seguiva con lo sguardo con aria piuttosto divertita.
I tre vennero raggiunti da Quebec, che fino a quel momento aveva chiacchierato con Juliet, alla monovolume scura che sicuramente a guidare sarebbe stata Rose, visto che Isla non riusciva ancora a guidare in Inghilterra.
 
Quando l’auto partì Hooland girò sui tacchi per tornare all’interno della Villa, trovando Whiskey seduta sull’ultimo gradino della rampa che conduceva ai piani superiori.
 
“Ciao… qualche idea su quello che dovremmo fare qui?”
Whiskey inarcò un sopracciglio, ma Hooland non fece in tempo a rispondere poiché Alpha lo precedette, parlando alle spalle del ragazzo:
 
“Ve lo spiego subito… coraggio, seguitemi.”

 
                                                                                    *

 
“Perché non me l’hai detto? Mi dici sempre tutto!”
“Stai calmo, di fratello iperprotettivo ne ho già uno, mi pare… anche se ora sembri più che altro mia madre quando mi rimprovera per ogni cosa.”
 
Ginevra parlava senza nemmeno alzare gli occhi dalle proprie mani, mettendosi con cura lo smalto rosso acceso sulle unghie mentre Logan sbuffava, seduto davanti a lei.
“Non è divertente Ginger.”
“Perché ne fai una tragedia? Siamo i tuoi migliori amici, pensavi che ci odiassimo e invece ora hai capito che non è così… dov’è il problema Logan?”
“Non… non è un problema. Ma non capisco perché non me l’hai detto, tutto qui.”
 
Logan sbuffò, incrociando le braccia al petto mentre invece Ginevra gli sorrise, avvicinandogli i compiti di Trasfigurazione che lei aveva già finito essendo la sua materia preferita, oltre quella in cui eccelleva da sempre… in effetti era sempre stata in forte competizione con Seth in quella materia.
 
“Non essere geloso Logan… tu sei il mio migliore amico, siamo cresciuti insieme. Sì, Nick mi piace, ma chissà quanto durerà… tu invece sei sempre stato nella mia vita e così continuerà ad essere. Sei il mio adorato fratello gemello con cui rubavo le patatine al ristorante di mio padre, ricordi? Tieni, copia i miei compiti e non rompere.”
“Ok. E comunque Nick sarà anche il mio migliore amico, ma se dovrei venire a sapere che si comporta male con te gli rompo il naso.”
“SE DOVESSI, Logan, DOVESSI! Non sopporto quando la gente sbaglia i verbi, ma che cosa vi ha fatto di male il congiuntivo? Comunque grazie, sei molto carino… ma non serve, al limite ci penserei da sola.”
 
 
*
 
 
 
“Come mai hai scelto proprio Hooland e Whiskey per restare qui?”
“Ho bisogno che Hooland acceda nella rete della Banca… e Whiskey senza di lui, come sai, non puoi andare da nessuna parte. E poi ha una memoria incredibile… ricorda numeri, nomi, volti, eventi, date… tutto. La sua mente è un enorme magazzino che ci è sempre immensamente utile grazie alla preziosa memoria eidetica che abbiamo potenziato. Anche Ginevra Diane Morrison era sveglia, per questo l’ho scelta.”
 







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Angolo Autrice:
Buonasera!
Allora, per prima cosa grazie per la rapidità con cui avete votato... Inoltre tengo a precisare, donde evitare equivoci, che il Nick citato nel capitolo NON E' Nicholas Bennet.
Ora... il prossimo capitolo sarà il continuo di questo, a chi volete venga dedicato?

Visto che fino ad ora ho scritto solo di Attivi, questa volta vi metto tre Guardiano u.u:

- Rose
- Isla 
- Hooland 

A presto!
Signorina Granger


 

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Capitolo 8
*** Isla Rose Robertson ***


Capitolo 6: Isla Rose Robertson

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Da quell’altezza riusciva perfettamente a vedere una grande porzione dell’enorme Manhattan, non per niente vivere in un grande attico le era sempre piaciuto anche per quel motivo… Isla Robertson, sei anni, era in piedi davanti alle ampie finestre che ricoprivano il grande salotto mentre sua madre, seduta dietro di lei su una poltroncina color panna, le stava sistemando con delicatezza i capelli castani, raccogliendogli in uno chignon con tanto di forcine e fiocco rosa pallidissimo per tenerlo ben fisso.
 
“Allora… sei emozionata?”
Isla sorrise, trattenendosi dall’annuire e rovinare così il lavoro della madre:
 
“Un po’.”
“E’ normale… ma non devi essere nervosa, ok? Andrai benissimo, come sempre. Lo sai tu e lo so io, ma cerca di non darne troppa impressione… Girati.”
Isla obbedì e fece un mezzo giro su se stessa per rivolgersi alla madre, che le sorrise accarezzandole il visino:
 
“Isla, so per certo che oggi andrà benissimo, così come in futuro. Sono sicura che riuscirai magnificamente in tutto ciò che farai, ma spesso le persone si sentono… intimidite da chi ha piena consapevolezza delle proprie capacità. Non se ne rendono conto, ma si sentono sminuiti. Credo che sia meglio tenere per sé la propria sicurezza. Bellissima… dovrei farti una foto.”
“Non possiamo rischiare di arrivare tardi mamma, fammela dopo.”
La bambina parlò senza battere ciglio, osservandola con i grandi occhioni scuri e facendo ridacchiare leggermente l’avvocatessa, che si trattenne dal dire alla figlia minore quanto quella frase fosse da suo padre.
 
“Probabilmente hai ragione… forse ti sto crescendo anche troppo bene tesorino.”
 
Christina rise appena mentre si alzava, osservando la bambina lisciarsi la gonna rosa del tutù.
 
“Porti la videocamera, così poi mi filmi?”
“Certo Isla… anche se poi papà passerà tutto il saggio a chiedermi cosa sia quella “diavoleria da no-Mag”. Vai a prendere la borsa.”
 
Come sempre la bambina obbedì senza replicare e trotterellò verso l’armadio a muro nell’ingresso mentre la madre posava a sua volta gli occhi sull’enorme finestra, osservando l’Upper East Side ergersi davanti a lei.
 
“Papà dov’è?”
Isla tornò dalla madre, porgendole la borsa mentre la donna le sorrideva, prendendola per mano e avviandosi insieme alla figlia verso l’ingresso:
 
“E’ al lavoro a fare quelle cose da mago che fa con il MACUSA… Ci raggiunge a teatro. Vogliamo andare?”
 
*
 
 
Rose teneva gli occhi fissi sulla strada davanti a sé mentre, seduta accanto a lei sul sedile del passeggero, Isla leggeva per filo e per segno il documento consegnatole poco prima da Alpha, così come a tutti i suoi compagni.
Nell’auto però era l’unica a prestarci particolare attenzione, visto che Quebec era impegnato come suo solito con le rune e Foxtrot non riusciva a stare fermo e zitto, continuando a tamburellarsi le mani sulle ginocchia, sorridendo e parlando di tanto in tanto.
 
“Però bisogna dire che è un peccato che Hooland non sia venuto! Senza offesa Quebec, eh.”
“Nessuna offesa.”
 
“Se Alpha ha preferito tenerlo alla casa un motivo di sicuro ci sarà.”  Rose si strinse nelle spalle prima di lanciare una fugace occhiata in direzione di Isla, che era ancora immersa nella lettura mentre un piccolo solco le si era formato in mezzo alla fronte, denotando la sua concentrazione.
 
“Isla… che cosa fai?”
“Già Isla, che fai? Smettila di leggere, così possiamo mettere su la musica!”
“Non esiste che io ti senta cantare per tutto il tragitto… e comunque mi sto interessando alla missione, a differenza di voi due.”
“Ehy! Io mi sto interessando… sto controllando se andrà bene o meno.”
 
Isla rivolse un’occhiata interrogativa in direzione di Quebec ma fu Rose a spiegarsi, parlando con tono serafico:
 
“Prima delle operazioni usa sempre le rune per fare una “previsione”… è il suo rituale.”
“Capisco. Beh, comunque… dobbiamo andare ad Edimburgo, trovare la casa di Gleeson e poi portarlo all’ambasciata. Secondo voi perché all’ambasciata?”
“Non saprei… in effetti è strano.”
“Secondo me non sono affatto soldi suoi… dobbiamo portarlo all’ambasciata americana, ergo è americano. E sappiamo che è Babbano, per questo dobbiamo fare questo maledetto tragitto in auto… secondo me fa un lavoro poco consueto, qualcosa nei servizi segreti o cose del genere.”
“Oh, certo.”
“Sono serissima! Riflettete, perché ha bisogno della scorta per spostare del denaro? Perché deve prelevarlo per conto di qualcuno, e dobbiamo portarlo all’ambasciata perché lì dentro è intoccabile… ve lo dico io, lavora per il governo. Forse deve tornare in America con i soldi, o forse deve nascondersi da qualcuno che lo ha scoperto…”
 
“E non ci può pensare il governo americano a mandargli la scorta, allora?”
“Esatto genio, magari sono LORO che contattano la DeWitt!”
“Isla, vedi troppi film.”
“No Fox, io vedo le cose come stanno.”

 
*

 
Isla Robertson era in piedi in mezzo al silenzio e all’enorme sala, gli occhi scuri ben fissi sui grandi intagli di legno che rappresentavano le quattro Case di Ilvermorny, quasi sfidandoli a non sceglierla.
Un sorriso soddisfatto comparve sul volto della ragazzina quando la pietra del Serpecorno s’illuminò e il Wampus ruggì, decisamente lieta di essere stata scelta da ben due Case.
 
Quindi, a quel punto la scelta spettava a lei…
Sapeva tutto delle Case di Ilvermorny, dopotutto… e finire a Serpecorno sarebbe stato piuttosto soddisfacente, ma in fin dei conti già suo padre e i suoi due fratelli erano stati Smistati lì… voleva davvero essere solo l’ennesima Robertson Serpecorno?
 
No, per niente.
Lei voleva distinguersi, essere diversa… come sua madre le aveva insegnato ad essere.
Isla sorrise, certa della sua scelta: sarebbe stata la prima della sua famiglia a finire tra i Wampus… l’unica tra i suoi fratelli ad essere s
tata scelta da più di una Casa.
Come primo giorno di scuola, non era niente male.

 
*
 

“Chiudi il finestrino, ho i capelli in faccia!”
 
Erin sbuffò, cercando di tenere fermi i capelli biondi mentre Echo sbuffava sonoramente, voltandosi verso la Guardiana:
 
“Ma fa caldo! E hai già chiuso il TUO, di finestrino!”
“Beh, se l’ho fatto un motivo ci sarà, no? Almeno tiralo su un po’, non lasciarlo del tutto aperto!”
 
Il ragazzo si sporse a sua volta per guardare in faccia la ragazza e in men che non si dica i due iniziarono a discutere, mentre Nicholas, seduto in mezzo a loro insieme a November, si accigliava leggermente, restando immobile con le braccia conserte e la testa appoggiata al sedile:
 
“Forse sederci in mezzo a loro due non è stata una grandissima idea…”
“Davvero? Tu credi Nick?”
 
November inarcò un sopracciglio, scoccandogli un’occhiata carica di sarcasmo che lo fece sorridere appena, mentre nei due sedili davanti Juliet si manteneva in silenzio e perfettamente immobile, gli occhi verdi fissi davanti a sé mentre accanto a lei Carter guidava senza proferire parola.
 
“Forse al ritorno Echo dovrebbe sedersi qui e tu dovresti andare dietro con Erin… Se continuano così fino in Scozia non so se risponderò delle mie azioni.”
“Posso dire ad Echo di scambiarci i posti già al confine.”
 
Carter distolse lo sguardo dalla strada per rivolgerlo a Juliet, che però non lo imitò e rimase perfettamente immobile, tenendo ostinatamente gli occhi fissi davanti a sé e le braccia conserte, in un atteggiamento di evidente chiusura e distacco.
 
E probabilmente Carter la conosceva fin troppo bene per non rendersene conto:
 
“Ok Juls… come mai sei così silenziosa? Mi hai a malapena rivolto la parola da quando siamo saliti in macchina. Hai intenzione di fare così per tutto il viaggio? Sarà un tragitto bello lungo.”
“Tanto meglio allora, vorrà dire che non ti disturberò mentre guidi.”
 
Il tono di Juliet era così acido che Carter quasi sorrise, continuando a parlare mentre dietro di loro Erin ed Echo avevano iniziato ad usare la magia per aprire e chiudere il finestrino incriminato, mentre November cercava di non ridere di fronte alla reazione di totale impassibilità di Nicholas, che se ne stava in silenzio e senza muovere un dito, decidendo di non intromettersi in alcun modo e di non uccidere nessuno dei due.
 
“Ora ho la conferma che hai qualcosa… ti conosco meglio di tutti qui dentro, Juliet. Perché mi tieni il muso?”
“Non ti tengo il muso. Ho solo pensato di non disturbarti più del dovuto visto che, in fin dei conti, se passi il tempo con me è solo per la busta paga… non vorrei annoiarti o disturbarti.”
 
“Andiamo Juls… non è così, non farne un dramma.”
 
Carter sbuffò appena, detestando l’idea di essere costretto, per una volta, a dare ragione ad Erin LaFont mentre Juliet restava ancora in silenzio, visibilmente di pessimo umore.
 
“Andiamo… a te piace andare in missione, non fare così.”
 
Carter roteò gli occhi verdi, chiedendosi perché stesse insistendo tanto con lei: dopotutto non era mai stato un tipo particolarmente loquace, non chiacchierava mai granché… spesso preferiva stare semplicemente in silenzio, magari osservando gli altri. Eppure stare con lei senza parlare era strano.
Non ottenendo alcuna risposta dall’Attiva Carter scosse il capo, tornando a concentrarsi sulla guida e mandando mentalmente al diavolo quella situazione, restando in silenzio a sua volta.
Del resto ci pensavano già Erin ed Echo a mantenere viva l’atmosfera nell’auto…

 
                                                                                                  *

 
Lanciando un’occhiata all’orologio Isla sbuffò, costretta a chiudere il libro che stava leggendo: era arrivata l’ora dell’allenamento di Quidditch, anche se avrebbe sicuramente preferito restare in camera a leggere.
Si era appassionata così tanto alla Legilimanzia da aver preso in prestito praticamente tutti i libri della Biblioteca sull’argomento, e ormai li aveva finiti tutti… ne aveva anche parlato con suo padre durante le vacanze, ma essendo un Magiavvocato che era poi diventato responsabile al MACUSA dei rapporti tra maghi e No-Mag non aveva saputo dirle poi molto sull’argomento.
Era, in effetti, un vero peccato che non insegnassero quell’arte a scuola… le sarebbe piaciuto saperla padroneggiare. Ma forse avrebbe potuto arrangiarsi in qualche modo e arrivarci da sola… Isla Robertson era abituata a raggiungere i suoi obbiettivi, se riusciva a farlo solo con le sue forze poi, tanto meglio.
 
La Wampus si alzò dal letto per prendere la divisa da Quidditch dal suo baule, conscia che se avesse fatto tardi i suoi compagni non sarebbero stati molto felici… dopotutto però lei era Isla Robertson, ergo non era mai in ritardo, non faceva mai niente di storto.
In realtà non era una grande appassionata dello sport magico per eccellenza, ma aveva capito molto in fretta, una valvola a scuola, di dover cercare di sfogare tutta la sua energia in qualche modo, la stessa che da piccola aveva quasi distrutto l’attico dove viveva con la sua famiglia… non per niente sua madre aveva iniziato a farle fare danza classica e nuoto quando era molto piccola, proprio per darle una valvola di sfogo.
E il Quidditch era l’unico sport che si praticava in quella scuola, quindi doveva accontentarsi, anche se continuava a preferire il nuoto o la danza.
 
In ogni caso, si era resa conto di essere abbastanza brava anche come Battitrice… il che era una vera fortuna, considerando che non tollerava gli errori.
Isla aveva iniziato a pretendere molto da se stessa già a quattro anni, e a 17 le cose non era affatto cambiate… non tollerava di sbagliare, non avrebbe sopportato di essere inferiore rispetto agli altri.
Era cresciuta in una famiglia dove tutti aveva conseguito brillanti risultati, e lei non poteva essere da meno… i suoi genitori, suo nonno che l’aveva sempre tanto viziata e non aveva mai nascosto che fosse la sua preferita, avevano sempre nutrito aspettative molto alte nei suoi confronti… nel loro piccolo gioiellino.         E non se n’era mai lamentata, del resto non le avevano fatto mancare nulla e le avevano insegnato quanto fosse importante raggiungere i propri scopi, le avevano insegnato ad essere ambiziosa.
Cosa avrebbe fatto una volta uscita da Ilvermorny? Ancora non lo sapeva con certezza, ma di una cosa era sicura: qualunque sarebbe stata la sua strada l’avrebbe trovata, l’avrebbe seguita e avrebbe raggiunto i risultati che tutti e lei stessa si aspettavano.
 
*
 
“Perché deve introdursi nel server della banca? Che cosa dovete fare?”
 
Whiskey si accigliò leggermente mentre si voltava verso Alpha, che era in piedi dietro lei e Hooland e teneva le mani sullo schienale della sedia occupata dal ragazzo, osservandolo lavorare.
 
“Prima di tutto voglio il controllo delle telecamere, così quando i ragazzi arriveranno potremo tenerli d’occhio a distanza… E poi ho bisogno che Hooland faccia una piccola modifica ad uno dei conti.”
“Nessun problema… quale modifica?”
“Cambia nome… qui ci sono i dati.”
 
Whiskey, seduta accanto ad Hooland alla scrivania della camera del ragazzo, sbuffò leggermente mentre riportava lo sguardo sullo schermo del PC, borbottando qualcosa sommessamente:
 
“Perché io devo stare qui? Potevo dare una mano agli altri…”
“Conosci le regole, senza Hooland non puoi andare proprio da nessuna parte… e comunque anche tu mi puoi essere utile, Whiskey.”
“Davvero? In che modo?”
“Tu non sei quella con la memoria tremendamente potente? Vediamo di farla fruttare…”
 

                                                                                                                                *

 
Sbuffò leggermente, passandosi nervosamente una mano tra i capelli castani e chiedendosi al contempo perché ci volesse tanto: non era mai stata particolarmente ansiosa, era sempre stata sicurissima delle sue capacità… ma quel posto la stava mettendo in lieve soggezione.
Si lisciò quasi senza pensarci la piega della blusa verde oliva che indossava prima di sistemarsi quasi senza rifletterci il bavero del blazer nero. Era seduta su una poltroncina nel bel mezzo di un lungo corridoio dalle pareti color tortora e stava aspettando da qualche minuto quando, finalmente, una voce attirò la sua attenzione:
 
“Isla Robertson?”
Isla si voltò, sorridendo e annuendo mentre si alzava in piedi, ricevendo un lieve cenno da parte dell’uomo che le stava davanti.
“Venga con me.”
 
Senza dire nulla Isla lo seguì, aspettando che aprisse la porta dalla quale aveva già visto entrare e uscire una ragazza bionda abbastanza appariscente e un ragazzo molto alto con i capelli scuri.
“Prego.”
Lui aprì la porta, lanciandole un’ultima occhiata mentre Isla gli rivolse un lieve sorriso prima di entrare nella stanza.
Continuava a ripetersi mentalmente le parole dei suoi genitori, specialmente di sua madre che le raccomandava di essere sempre cortese e gentile, fin da bambina… e in 19 anni di vita ci era perfettamente riuscita, riuscendo così ad ottenere tutto quello che voleva.
Sarebbe andata così anche quel giorno?
 
“Salve, Signorina Robertson.”
La porta si era appena chiusa alle spalle di Isla quando l’americana finì sotto gli occhi azzurri, attenti e penetranti della donna bionda che le stava davanti, seduta su una sedia girevole di pelle bianca dietro la scrivania di vetro.
“Salve.”
Isla sorrise, avvicinandosi alla scrivania e porgendole la mano, che la donna strinse con una presa decisamente ferrea e decisa, segno di una personalità per niente debole, prima di fare cenno alla ragazza di prendere posto davanti a lei.
Mentre Isla lo faceva Cecily continuò ad osservarla, intrecciando le dita sottili e pallide tra loro e appoggiandosi più comodamente allo schienale della sedia:
“Sa, sono curiosa… è la prima volta in cui ricevo un’americana.”
“Spero che non sia un problema.”
“No, non lo è… Sono una donna di larghe vedute, Isla.”
“Ovviamente. Se non lo fosse non avrebbe mai pensato di combinare scienza e magia… lei è famosa anche negli States, Signora.”
Isla sorrise e la donna ricambiò, annuendo con un lieve cenno del capo:
“Preferisco Dottoressa, se non le dispiace. Comunque sia… mi parli di lei, Signorina Robertson. Perché è qui?”
“Preferisco Isla, se non le dispiace.”
Isla aveva appena parlato quando si chiese se l’aver ripetuto le sue esatte parole sarebbe sembrata una presa in giro agli occhi della Dottoressa… Ma le labbra sottili di Cecily si inclinarono in un lievissimo sorriso e Isla si convinse a continuare a parlare, accavallando una gamba sull’altra mentre porgeva alla donna un foglio.
“Sono nata a New York e ho 19 anni… ho studiato ad Ilvermorny, ma dopo il diploma ho continuato a studiare, anche nel mondo Babbano. Ho frequentato un corso di Psicologia alla Columbia, a New York, e contemporaneamente studiato per diventare Spezzaincantesimi.”
“Qui c’è scritto che è una Legilimens… è un dono?”
“No. L’ho appreso, diciamo.”
Cecily alzò gli occhi chiari dal foglio per posarli sulla ragazza che le stava di fronte, corrugando leggermente la fronte:
 
“A soli 19 anni?”
“Già. Sono una persona molto determinata, Dottoressa DeWitt… ottengo sempre ciò che voglio, se in fretta, tanto meglio.”
“Allora abbiamo qualcosa in comune… mi piacciono le persone intraprendenti, Isla. Il suo curriculum di studio è impressionante per essere così giovane, ma vorrei sapere perché è arrivata qui dalla lontana Grande Mela.”
 “Ho sentito parlare del suo… lavoro da mio padre. Come ho detto, è famosa anche oltreoceano.”
“Non credo di poterlo negare… ma dubito che oltreoceano, così come nella Vecchia Inghilterra, sappiano davvero cosa faccio. Ma se lei è qui, lo saprà.”
“La Psicologia mi affascina, Dottoressa… e tutti sanno che lei è specializzata nell’organo più complesso e inesplorato che esita: il cervello. Sono una Legilimens, io leggo i pensieri delle persone… ma curiosamente non riesco ad entrare nella sua testa, ne deduco o è un’ottima Occlumante o anche lei è in grado di leggere i pensieri. Posso entrare nella mente delle persone, ma credo che stare qui, lavorare con lei, mi darà un’enorme marcia in più. Forse è vero, non so di preciso ciò che fate qui, ma è difficile che qualcosa mi spaventi… perciò l’ascolto, sarei curiosa di saperlo.”
 
Cecily esitò, continuando ad osservare quella ragazza restare perfettamente impassibile, restituendo il suo sguardo con fierezza.
Dopo qualche istante le labbra della bionda si stesero nuovamente in un sorriso e la donna annuì, alzandosi in piedi:
“Bene, allora. Mi segua, Isla.”

 
*

 
“Grazie al cielo siamo arrivati, non ne potevo più di stare chiusa lì dentro… cominciava a mancarmi l’aria.”
November sorrise con aria sollevata, stiracchiandosi mentre Echo scendeva a sua volta dall’auto, fulminando una certa bionda con lo sguardo:
 
“Forse perché qualcuno teneva chiusi i finestrini…”
“Piantala una buona volta, sei ancora vivo mi pare.”
Erin sbuffò, rivolgendo al ragazzo un’occhiata seccata mentre il gruppo aspettava che Nicholas, qualche metro più in là, finisse di parlare al telefono con Alpha per ricevere le ultime istruzioni.
 
“Ma quanto ci vuole? Cos’è, si stanno raccontando gossip?”
Juliet, in piedi e appoggiata all’auto accanto ad Erin, sbuffò mentre continuava a tamburellare un piede sul cemento del parcheggio.
“Certamente, secondo me stanno discutendo sul tipo di dopobarba che utilizzano…”
 
Erin sorrise appena, e Juliet la imitò, stringendosi nelle spalle:
“Ovviamente, Nicholas starà consigliando ad Alpha il suo dopobarba al mirto.”
 
Juliet sorrise, ma quando le sue parole vennero seguite solo da un silenzio tombale la ragazza tornò improvvisamente seria, mentre November, Echo e Carter la guardavano con tanto d’occhi… Erin invece si limitò ad abbassare lo sguardo sui propri piedi, cercando di restare impassibile.
 
“E tu come fai a sapere l’aroma del suo dopobarba?”
La voce di Carter, che parlò per la prima volta dopo un paio d’ore, tagliò il silenzio come un coltello piuttosto affilato e Juliet deglutì, abbassando lo sguardo mentre si passava nervosamente una mano tra i capelli:
 
“Io… non lo so, ovviamente. Ho solo tirato ad indovinare, ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente.”
Probabilmente Carter avrebbe voluto dire qualcos’altro, ma Nicholas aveva appena smesso di parlare al telefono e si avvicinò nuovamente ai compagni per prendere parola:
 
“Allora, ho parlato con Alpha… e prima di entrare dobbiamo fare qualche piccolo… cambiamento.”
“Ossia?”
“Prima di tutto, trasformiamo l’auto in un furgone… e dobbiamo modificare la targa, dobbiamo fare finta che questa macchina sia della banca… e a quanto pare le auto di questo posto hanno della particolari targhe riconoscitive. E una mi è appena stata fornita, quindi mettiamoci al lavoro.”
 

                                                                                                                      *

 
“Dove stiamo andando?”
“Ti voglio presentare una persona… Foxtrot?”
 
Isla continuò a camminare accanto alla DeWitt, mentre i tacchi di entrambe echeggiavano nel corridoio.
Isla aggrottò la fronte per un attimo, chiedendosi se non avesse sentito male e che razza di nome fosse Foxtrot…anzi, il Fox-Trot non era un ballo?
Eppure sembrava che la donna si fosse rivolta ad una persona in carne ed ossa… più nello specifico ad un ragazzo dai capelli di una lieve sfumatura ramata che dava loro le spalle, impegnato a parlare con lo stesso uomo alto e moro che aveva accompagnato Isla dalla Dottoressa qualche minuto prima.
Sentendosi chiamare Foxtrot si voltò, indirizzando un lieve sorriso ad entrambe mentre le due gli si avvicinavano.
“Isla… Lui è Foxtrot. Fox, lei è una nostra… ospite americana che presto potrebbe lavorare con noi.”
 
“Ciao.”
Foxtrot le sorrise, sfoggiando un paio di fossette mentre Isla ricambiava il saluto, abbozzando a sua volta un sorriso mentre cercava di concentrarsi sul nome strano di quel ragazzo e non sul suo bell’aspetto.
In effetti… La stessa DeWitt, lui, l’uomo alle sue spalle… era per caso finita dentro un’agenzia di modelli?
 
“Tu lavori con la Dottoressa?”
Isla inarcò un sopracciglio, studiando il ragazzo che le stava davanti e che la superava in altezza di ben dieci centimetri anche se lei indossava i tacchi.
“Diciamo di sì… o meglio, non ancora. Pare che prima debba trovare qualcuno che badi a me.”
Isla si voltò verso Cecily, che sorrise a Foxtrot, guardandolo quasi affetto prima di continuare a parlare:
 
“Isla… Foxtrot è ciò che qui noi chiamiamo “Attivo”. Lui è, come altre persone che vivono qui, a totale disposizione dell’associazione. I clienti mi chiedono dei… servizi, e i miei ragazzi son ben lieti di portarli a termine. Ma ho anche bisogno di persone che li tengano d’occhio, che si prendano cura di loro. Mia piace chiamarli “Guardiani”.”
“Capisco.”
Isla si voltò nuovamente verso il ragazzo, che le sorrideva con aria allegra mentre l’americana iniziava a mettere i pezzi a posto: quindi sarebbe stato quello il suo lavoro? Tenere d’occhio quel ragazzo, assicurarsi che portasse a termine il suo lavoro?
 
“Cecily… quindi pensi di affidarmi a questo scricciolo? Non fraintendermi, è davvero adorabile, ma onestamente pensavo a qualcuno di più… robusto.”
Cecily fece per dire qualcosa ma Isla, che aveva pericolosamente stretto gli occhi, la batté sul tempo, muovendo un passo verso Foxtrot:
“Io sono Isla Rose Robertson… sei pregato di non riferirti a me con appellativi come scricciolo o “adorabile”. E ti posso assicurare che sono molto più robusta di te, fuscello.”
 
Alpha, fermo alle spalle di Foxtrot per godersi la scena, sgranò gli occhi blu prima di puntarli su Cecily, che sembrava piuttosto sorpresa a sua volta… in effetti entrambi si costrinsero a non ridacchiare mentre Cecily sorrideva, prendendo un braccio di Isla con delicatezza mentre Foxtrot si limitava a sorridere mentre teneva gli occhi fissi su Isla con aria divertita, per niente turbato dalle sue parole:
 
“Fai attenzione Fox, e ricordati che qui nessuno è ciò che sembra… la nostra Isla potrebbe darti filo da torcere.”
“Tanto meglio, più divertimento. Spero di rivederti, piccola yankee.”
 
Foxtrot sorrise e, prima che la ragazza potesse scansarsi, si chinò per lasciarle un bacio su una guancia prima di allontanarsi insieme ad Alpha, lasciandole due di nuovo sole e una Isla decisamente spiazzata.
 
“Foxtrot è abbastanza… socievole. Non so perché, ma penso che se lavorerai qui potresti occuparti di lui.”
“Quindi farò la baby-sitter? E’ questo che fate qui dentro?”
“Lascia che ti parli meglio di Foxtrot e di come è arrivato qui, Isla… sono sicura che dopo cambierai espressione. Vedi, è arrivato qui cinque mesi fa… è entrato qui dentro una persona, e dopo meno di un giorno la sua personalità è cambiata, i suoi ricordi resettati, la sua impronta cerebrale cancellata… Hai detto che ti interessa la psiche, Isla? Allora cara, sei nel posto giusto. Tu mi piaci molto, credo che ci somigliamo… e se deciderò di assumerti vivrai un’esperienza che non dimenticherai, stanne certa. Inoltre, lasciati dire che pago molto bene chi lavora per me.”
“E se non dovesse assumermi?”
Isla inarcò un sopracciglio, parlando con lieve scetticismo mentre Cecily faceva il percorso al contrario, tornando verso il suo ufficio con la ragazza accanto:
“Beh, in tal caso tornerai alla tua vita, in America o ovunque tu voglia… ma temo che dovrai dimenticare di essere stata qui, così come la Dollhouse. Torniamo nel mio ufficio ora, ti spiegherò la parte burocratica.”
 
*

 
“Porca puzzola, ma che razza di posto è?”
“Oh Rosie, non hai idea di quanto tu istighi alle coccole… solo tu puoi dire “porca puzzola”!”
 
Foxtrot sorrise, guardando l’ex Tassorosso con affetto mentre la ragazza roteava gli occhi e Isla, che era appena scesa a sua volta dalla monovolume, ridacchiò:
 
“In effetti ha ragione…”
“Non cominciate! Su, andiamo a prendere quello che secondo Isla è una spia del governo mentre Fox è convinto che sia un testimone di chissà qualche omicidio… e Quebec ha puntato su un trafficante di droga. Altre proposte?”
“No, andiamo.”
Quebec superò i tre senza battere ciglio, avvicinandosi alla porta d’ingresso della villa dopo che con l’auto avevano superato un cancello di ferro battuto e attraversati un lungo viale, fino ad arrivare davanti a quel mastodontico edificio.
 
“Visto? Lo hanno piazzato su una super villa per tenerlo isolato! E’ un testimone, ve lo dico io.”
“Ma che dici? Probabilmente sta fingendo di essere un uomo d’affari o chissà cosa, quindi ha questa casa come copertura!”
 
Rose sospirò, camminando un paio di passi dietro a Quebec mentre alle sue spalle Rose e Foxtrot continuavano a confabulare sulla vera identità del loro cliente.
Forse Hooland non aveva fatto bene a costringere i due ad iniziare a guardare serie TV, dopotutto…
 
“Allora Quebec… che cosa dicevano le rune? Quei due faranno saltare in aria l’ambasciata e provocheranno una guerra Inghilterra-USA o torneremo a casa sani e salvi?”
L’ex Tassorosso raggiunse il ragazzo, rivolgendogli un lieve sorriso mentre salivano insieme i gradini del portico per raggiungere l’ingresso:
 
“Le previsioni erano positive, ma faremmo meglio comunque a tenere d’occhio quei due, la guerra non è da escludere.”
 
Quebec fece per suonare il campanello, ma la porta a due ante si aprì prima di dargliene il tempo, permettendo ad un uomo di fare la sua comparsa… anzi, a due, visto che accanto all’ormai familiare Gleeson c’era una specie di armadio a due ante.
“Ah, siete arrivati, finalmente… prego, entrate pure ragazzi, datemi solo qualche minuto e poi possiamo andare.”
 
“Faccia pure con comodo signore.”
 
Quebec entrò per primo nell’enorme, arioso e luminoso ingresso insieme a Rose, seguiti da Isla e Foxtrot che si lasciò sfuggire un lieve fischio di apprezzamento, guadagnandosi subito una gomitata dalla ragazza:
 
“SHH!”
“Ahia!”
 
“Scusate, io ho una domanda… ma se ha già un paio di bodyguard perché cavolo ha fatto venire noi?”
“Non lo so, chiediglielo.”
La risposta secca di Isla non sembrò scoraggiare Foxtrot, che sorrise e fece per rivolgersi alla guardia del corpo più vicina, ma per fortuna la Guardiana se ne accorse e lo strattonò, intimandogli a mezza voce di stare zitto:
 
“Stavo scherzando! Probabilmente perché si fida della Dottoressa… non lo so, ma se è più lavoro per noi allora tanto meglio.”
Isla si strinse nelle spalle, guardandosi intorno con discrezione mentre accanto a lei Rose sembrava vagamente a disagio, tanto che le mormorò qualcosa all’orecchio:
 
“Isla…perché ci fissano?”
“Non lo so, forse non si aspettavano anche due ragazze… e poi noi due non siamo certo due armadi, ti pare?”
“Già.”
Rose annuì, sentendosi comunque un po’ a disagio come sempre quando si sentiva osservata, abbassando lo sguardo sul parquet lucido mentre accanto a lei Foxtrot sorrideva, parlando con l’aia di chi la lunga mentre aspettavano che Gleeson tornasse con le sue cose:
 
“Non ti preoccupare Rosie, al limite ti difendo io! Se ti riporto indietro ammaccata poi Hooland chi lo sente…”
“Grazie Fox, ma non credo ce ne sarà bisogno. E poi non capisco perché tutti sembrano volersi preoccupare per me!”
“Semplice, perché sei dolce e carina… Isla, dovresti prendere esempio da Rosie.”
“Ah sì? E tu da Quebec, vedi come se ne sta buono e in silenzio, facendosi gli affari propri?”
 
“Lo sapevo, ti sei offesa… non preoccuparti Isla, non essere gelosa, voglio bene anche a te.”
“Ma… oh, smettila!”
 

                                                                                                                             *

 
“Quindi… ti ha assunta.”
“Già.”
“E quindi rimani in Inghilterra… ne sei sicura?”
“Mamma, sono mai stata poco sicura di qualcosa?”
Isla sorrise mentre se ne stava seduta su quello che, d’ora in avanti, sarebbe stato il suo letto mentre parlava al telefono con sua madre, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico.
 
“No, hai ragione… sono molto felice per te piccola. Ma ogni tanto vieni a New York, ok?”
“Certo, altrimenti vi mancherò troppo…salutami Caleb e Olivia. E papà, ovviamente.”
“Lo farò. Ma che mi dici di Daniel?”
 
Isla esitò prima di rispondere, mentre l’immagine di quello che ormai poteva considerare il suo ex fidanzato le balenava nella mente, portandola a sospirare leggermente:
“Gli ho parlato… mi dispiace, davvero. Tengo molto a lui, ma tengo anche a questa opportunità… vale la pena buttare via tutto per un ragazzo con cui forse tra due anni non starò più insieme? Ho fatto la mia scelta e spero che l’abbia capita.”
“Ovviamente non posso mettere il naso nei tuoi affari sentimentali Isla… dopotutto ormai sei grande, puoi e devi decidere da sola cosa fare della tua vita. Buona fortuna Isla, ci sentiamo presto.”
“Ciao mamma.”
 
Isla mise fine alla chiamata prima di sospirare, lasciandosi cadere sul materasso e ripensando a quello che aveva detto poco prima alla madre: le dispiaceva davvero per Daniel, ma aveva fatto la sua scelta e sperava davvero di non pentirsene… le dispiaceva averlo fatto soffrire, certo, ma si era resa conto di non potersi lasciare sfuggire quell’occasione dalle dita.
 
Forse finire quella storia in quel modo dopo tre anni non era giusto, e Isla sapeva per certo che lo avrebbe incontrato ancora visto che era il figlio di un collega di suo padre… e anche lui, di due anni più grande rispetto a lei, era diventato in fretta Magiavvocato.
 
Infondo però aveva solo 19 anni… aveva tutta la vita per innamorarsi di nuovo, ma non per cogliere occasioni come quella. Dopotutto Cecily DeWitt aveva visto qualcosa in lei e l’aveva assunta nella sua associazione, come avrebbe potuto rifiutare?
 
Sentendo bussare alla porta Isla si rimise a sedere dritta sul materasso, invitando chiunque fosse fuori dalla porta ad entrare con lieve curiosità… anche se, in effetti, a parte Foxtrot non aveva incontrato ancora praticamente nessuno della sua squadra.
 
La porta si aprì e sulla soglia fece la sua comparsa una ragazza non troppo alta, probabilmente quanto lei, con lisci e lunghi capelli color cioccolato, occhi chiari e un sorriso gentile stampato su un volto da lineamenti molto dolci.
 
“Ciao… Spero di non disturbarti, ma Alpha ci ha detto che eri arrivata… e volevo venire a presentarmi. Rose Williams.”
“Isla Robertson. Grazie, sei molto gentile.”  Isla sorrise, alzandosi dal letto per avvicinarsi alla sua nuova collega e stringerle la mano, guardandola poi con lieve sospetto:
 
“Aspetta… tu sei come me, giusto? Perché da quello che ho capito gli Attivi hanno tutti nomi un po’ strani…”
“Oh, sì, sono una Guardiana anche io. Saremo nella stessa squadra! Comunque gli Attivi hanno tutti nomi dell’alfabeto fonetico NATO, il mio si chiama Quebec. Sei americana?”
“Già. Tu sei qui da molto?”
“No, solo una settimana… ma ormai la squadra è praticamente al completo, manca solo il Guardiano per November.”
“CHI?”
“Ok, vieni, ti presento agli altri.”
 
*

 
“Ok, abbiamo trasformato la macchina in un furgone della banca, cambiato la targa… ma mi spieghi perché ci siamo dovuto vestire così? Mi sento una che lavora in un fast food! Ma mi ci vedi?”
“Tranquilla, nessuno penserebbe mai che tu possa lavorare in un fast food…”
 
Nicholas era in piedi accanto ad Erin mentre aspettavano il loro turno alla fila, entrambi vestiti come “fattorini” a detta della ragazza.
“Ma perché il travestimento se abbiamo il permesso del proprietario del conto?”
“Perché non affidano tanti soldi ai primi tizi che passano!”
 
Nick sospirò, roteando gli occhi mentre la bionda aspettava accanto a lui, pensando ai loro “colleghi”: Juliet e November erano rimaste a controllare l’auto, mentre Carter ed Echo erano da qualche parte nella hall a controllare che non sorgessero problemi nel momento della richiesta del trasferimento.
 
“Beh, tanto Hooland ci ha dato il codice del conto, no? Quindi possiamo accedervi… anche se resto convinta del fatto che Gleeson non sia il suo vero cognome, altrimenti Alpha non avrebbe fatto cambiare il nome del conto.”
“Forse, ma non sono affari nostri… noi dobbiamo portare i soldi all’ambasciata e basta, dove lui sarà al sicuro e potrà darli a chi spettano o farci quel che ci deve fare. Noi dobbiamo svuotare il conto e basta, limitiamoci a fare questo e fingiamo di lavorare per il cliente.”
“Noi lavoriamo per il cliente Nicholas, solo che non nel modo che vogliamo dare a vedere… comunque sia, posso chiederti una cosa? A che gusto è il tuo dopobarba?”
 
“Emh… mirto. Perché me lo chiedi?”
“Oh, così, per sapere… E lo usi da molto?”
“Uso sempre lo stesso… Erin, perché diamine ti interessi al mio dopobarba, non mi sembra che a te serva!”
 
Nicholas aggrottò la fronte, osservando l’ex compagna di Casa con espressione perplessa mentre le labbra di Erin si stendevano in un sorriso, guardandolo con gli occhi chiari carichi di soddisfazione:
 
“L’ha detto Juliet… mentre parlavi al telefono con Alpha. Ha detto qualcosa sul suo dopobarba al mirto.”
“Dici davvero?”
 
Nicholas sgranò gli occhi chiari prima di sorridere a sua volta, ma Erin gli mise una mano sul braccio, guardandolo come a volerlo ammonire:
 
“Sì… e so che sei molto felice in questo momento Bennet, ma fossi in te continuerei a tenere un profilo basso, o almeno a provarci… Juliet non parla mai di te ma so per certo che si è resa conto che sei anche troppo gentile con lei… quando a Carter, credo che Halon abbia già forti sospetti nei tuoi confronti.”
“Lo so, si comporta come un cane da guardia… ogni volta in cui giro intorno a lei mi fulmina con lo sguardo. Non lo sopporto, è come se non avessi il diritto nemmeno di starle vicino quando sarei l’unico ad averne il diritto lì dentro.”   Nicholas sbuffò, lanciando un’occhiata torva in direzione del suddetto ragazzo mentre la bionda sospirava, roteando gli occhi con lieve esasperazione:
“Facile, odia non sapere cosa succede, intuisce che c’è qualcosa tra voi due ma non sa cosa… del resto lui ha quattro anni più di Juls, non si può certo ricordare di lei ad Hogwarts, è già tanto se si ricorda di te… ed è molto più protettivo nei confronti di Juls di quanto non voglia ammettere… Ok, è il nostro turno, ora svuota il conto in fretta, così mi levo questa dannata divisa… Ho appena scoperto che il bianco mi sta malissimo, grandioso.”
 
Con un sussurro Erin accennò al ragazzo di fare quello per cui erano alla banca… e quando chiesero la firma del proprietario del conto per autorizzarli a prelevare il denaro a suo nome la bionda sfoggiò un sorriso, tirando fuori da una tasca il foglio che Alpha aveva già fatto preparare per loro quella mattina.
“Ecco qui… il nome è Richard Gleeson. Abbiamo anche il codice, se vuole.”
 
O almeno sperava che Hooland avesse fatto tutto a dovere, modificando nome e codice… ma per fortuna quando Nicholas dettò la sequenza dettagli dallo stesso Alpha meno di un’ora prima Erin potè tirare un sospiro di sollievo: a quanto sembrava avevano scampato una fuga dalla polizia per l’ennesima volta.
Sì, non sapeva che cosa facesse quell’uomo e perché dovesse prelevare tutto quel denaro… ma di certo Richard Gleeson non esisteva, su questo nessuno di loro aveva dubbi.
 
Anche se c’era da chiedersi a chi avessero appena rubato 3 milioni di dollari…
 
*

 
Stava strimpellando al pianoforte ormai da diversi minuti quando sentì dei passi avvicinarsi, e alzando lo sguardo Isla si ritrovò davanti proprio il suo Attivo.
Foxtrot le sorrise appena, avvicinandosi al pianoforte mentre Isla si limitava ad osservarlo, pensando a quanto avessero discusso nell’arco della giornata che avevano passato interamente fuori dalla Casa, portando a termine l’ennesimo lavoro.
“Ciao, piccola yankee… Possono suonare con te?”
“Non sapevo suonassi.”
“Nemmeno io sapevo che tu lo facessi… abbiamo qualcosa in comune, a quanto pare.”
 
Foxtrot prese posto accanto alla ragazza, che annuì distrattamente mentre abbassava agli occhi scuri dalla tastiera e Foxtrot si voltava verso di lei, esitando per un attimo prima di parlare:
 
“Isla… mi piace scherzare, ma non litigare. Perché non facciamo una tregua?”
“Volentieri, ma temo che tu mi manderesti comunque fuori dai gangheri in fretta… prima di conoscerti ero una persona educata e a modo, sai?”
“Ops… ho rovinato la bambolina da salotto, forse? Mi dispiace. Ma davvero, dovremmo andare più d’accordo… è un vero peccato Isla, perché tu mi piaci moltissimo. E so che anche io ti piaccio, anche se mi rimproveri spesso.”
 
“E’ solo che dovresti ascoltarmi di più… io devo proteggerti, ed è quello che cerco di fare. Ma con una testa dura come te non è facile.”
 
Isla sbuffò e Foxtrot sorrise, guardandola con una punta di divertimento:
“Lo so… ma così non ti rendo il lavoro troppo facile, dovresti essermene grata. Ora… che cosa suoniamo? Ti va la Moonlight Sonata?”
“Pensavo a qualcosa dal titolo “L’Attivo Rompipalle” in realtà…”
“Mi hai anche dedicato una canzone? Cielo, ora mi commuovo Isla… non serviva!”

 
*

 
“Che gran figata, non ero mai stato in un’ambasciata prima d’ora!”
 
“Foxtrot! Non muoverti, non rompere niente, non parlare con nessuno… cuccia!”
“Non trattarmi come un bambino.”
 
Foxtrot incrociò le braccia al petto, guardando la ragazza con aria torva mentre alle loro spalle Rose pensava con sollievo al tragitto appena concluso dalla casa di Gleeson all’ambasciata di Edimburgo… grazie al cielo era andato tutto bene, Isla e Fox non avevano fatto esplodere l’auto e nessuno li aveva fermati… ora non dovevano fare altro che aspettare gli altri con i soldi prima di tornare a casa.
 
“Beh, si dia il caso che io sia più vecchia di te, quindi posso farlo.”
“Capirai, per un anno!”
 
Quebec sospirò, passandosi una mano tra i capelli castani e prendendo in seria considerazione l’idea di imbavagliare i due per il viaggio di ritorno… anzi, sicuramente si sarebbe imposto per farli viaggiare su due auto diverse.
Si costrinse invece a stamparsi un sorriso di cortesia sul volto mentre si rivolgeva a Gleeson, ignorando deliberatamente l’ennesimo battibecco dei due:
 
“Signor Gleeson, a momenti dovremmo essere raggiunti dai nostri colleghi con i soldi… poi torneremo in Inghilterra.”
“Certamente… e grazie per avermi scortato fino a qui.”
 
L’uomo sorrise, porgendogli la mano che venne stretta dal ragazzo mentre dalla porta principale, che si aprì da sola grazie probabilmente a dei comandi, facevano la loro comparsa dei volti decisamente familiari.
 
“Eccovi, finalmente! Salve Signor Gleeson… sarà lieto di sapere che abbiamo svuotato il conto senza nessun intoppo… non manca nemmeno un dollaro.”
Nicholas sorrise, fermandosi davanti all’uomo mentre alle sue spalle Carter teneva la valigetta in mano, borbottando che non gli era ancora chiaro perché avessero trasformato l’auto nel furgone della banca se avevano dovuto trasportare solo una valigetta.
 
“Smettila di brontolare, è il protocollo della banca… si chiama Royal Bank, solo dal nome si capisce che fanno le cose con un certo criterio!”
Juliet scoccò al ragazzo un’occhiata eloquente, e probabilmente il Guardiano ne avrebbe approfittato per iniziare una conversazione dove cercava di spiegarle che si era davvero affezionato a lei… ma un po’ perché Juliet non sembrava ancora dell’umore giusto e un po’ perché non se la sentì Carter non disse nulla, restando in religioso silenzio mentre consegnava la valigia al suo legittimo – o forse no – proprietario.
 
“Se non possiamo fare altro per lei non dovremmo andare… arrivederci, e buon ritorno in America. A proposito, vi hanno fatto entrare qui senza la minima storia? Noi ci abbiamo messo due ore con i controlli!”
“Abbiamo mandato Isla in avanscoperta, la yankee ci ha aperto la strada.”
 
Foxtrot sorrise con aria allegra mentre la Guardiana invece gli rivolse un’occhiata piuttosto significativa, suggerendogli di non pronunciare la parola “yankee” dentro l’ambasciata americana o qualcuno si sarebbe potuto offendere.
 
“Bene, direi che possiamo tornare in Inghilterra ora… il Dorset già mi manca! Chi guida?”
Alle parole di November Carter si limitò ad accennare in direzione di Nicholas, rifiutandosi di guidare ancora mentre Echo si affrettava a parlare mentre uscivano in massa dall’ambasciata:
 
“Ok, ma tenete Erin alla larga dai finestrini o moriremo di caldo!”
“Qual è il problema Echo? Hai paura che ti si sciolga il fondotinta?”
“No LaFont, io non impedisco alla mia pelle di respirare con chili di trucco come fai tu…”
 
“Perché ho la sensazione che sarà un tragitto molto lungo?”
 
November sospirò mentre Nicholas invece sorrise appena, rigirandosi le chiavi dell’auto – che avevano appena fatto tornare normale – tra le mani:
 
“Temo proprio che tu abbia ragione November… Ma non preoccuparti, al limite mi fermo a metà strada e li faccio scendere.”
 

                                                                                                                                               *

 
“Sono tornati, finalmente… ragazzi!”
Whiskey sorrise mentre attraversava il piazzale ricoperto di ghiaia per raggiungere i compagni, andando incontro a November mentre Hooland la seguiva, indirizzando un gran sorriso verso Rose, Foxtrot, Quebec e Isla:
 
“Ciao… vedo che siete tutti interi, bene.”
“Visto? Ho tenuto d’occhio Rose.”
Foxtrot sorrise con aria soddisfatta mentre Isla roteava gli occhi e Rose sorrideva ad Hooland, prendendolo sottobraccio:
 
“Allora… che cosa hai fatto oggi, oltre a spignattare sul computer? Pensavi a me?”
“Ma certo, pensavo alla povera Rose che doveva sorbirsi per tutte quelle ore quei due… prima o poi ti santificheremo, credo. Senti, stavo pensando… visto che non mangio da stamattina, potresti…”
 
“Nemmeno noi abbiamo mangiato granché… tranquillo, mi metto subito ai fornelli. Ma solo perchè sei tu.”
Rose annuì, parlando quasi con un tono rassegnato mentre Hooland invece sorrideva, lasciandole un bacio sulla nuca e mormorandole che era la migliore mentre alle loro spalle November aveva preso Whiskey sotto braccio, chiedendole cosa avesse fatto mentre loro scorrazzavano in giro per il Regno Unito:
 
“Oh, beh, ho aiutato Hool… mi sono ricordata la targa dei furgoni dall’ultima volta in cui abbiamo usato la banca l’anno scorso e poi ho pensato a come entrare nel server della banca visto che ci mancavano i codici.”
“Insomma, hai usato la tua splendida memoria che immagazzina tutto… io ho ascoltato discorsi su finestrini e capelli, se può farti sentire meglio sul non essere venuta con noi.”










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Angolo Autrice:
Buongiorno (?) Vista l'ora il saluto è un po' ambiguo, ma sorvoliamo.
Allora, come sempre grazie per i voti e per le recensioni... questa volta i nomi tra cui scegliere sono i seguenti:

- Erin
- Echo
- Nicholas 

Spero che vi sia piaciuto, buonanotte!
Signorina Granger 

 

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Capitolo 9
*** Nicholas Jackson Bennet ***


Capitolo 7: Nicholas Jackson Bennet

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Amava vivere in riva all’Oceano, amava il rumore costante delle onde che, mosse dal vento, si infrangevano sulla sabbia. Era un suono quasi rassicurante, che lo faceva sentire sempre a casa.
Amava il profumo dell’Oceano, la salsedine di cui ormai odoravano quasi perennemente i suoi ricci biondi quando era di ritorno dalle sue passeggiate o dalle sue nuotate quotidiane.
Sua madre ripeteva spesso che prima o poi gli sarebbero cresciute le branchie a furia di stare in acqua, ma Nicholas si era sempre trovato tremendamente a proprio agio quando era immerso in acqua, rilassandosi.
 
Era seduto sulla sabbia, osservano le onde mentre il leggero vento gli spettinava i capelli color grano. Sua madre gli aveva detto di non entrare in acqua quel giorno, a detta sua faceva troppo freddo e le onde erano troppo violente… sapeva nuotare alla perfezione, ma onde troppo forti avrebbero potuto benissimo travolgere comunque un bambino di appena sette anni.
 
A poca distanza da lui una bambina, che aveva insistito per seguirlo, era seduta sulla sabbia ed era impegnata nella costruzione di un castello… o almeno lo stava facendo l’ultima volta in cui l’aveva vista.
Gli occhi verde-azzurro di Nicholas si spalancarono con orrore quando si rese conto di aver perso di vista sua sorella, alzandosi di colpo mentre la chiamava.
Il bambino si avvicinò alla riva, deglutendo a fatica mentre setacciava l’acqua con lo sguardo, senza trovare traccia di nessuno.
 
“Katie!”
Sua sorella sapeva nuotare, il padre l’aveva insegnato ad entrambi due anni prima… ma la bambina non era brava quanto lui, e decisamente più leggera. Più facile da trascinare via.
 
“Kate!”
Il bambino mise i piedi nell’acqua, rabbrividendo appena per il freddo mentre gli occhi gli si inumidivano leggermente.
La chiamò una terza volta, tanto forte che con ogni probabilità sua madre lo sentì dalla finestra aperta della cucina… le lacrime avevano appena iniziato a rigargli il volto quando improvvisamente il vento cessò e le onde insieme ad esso.
 
Non si fermò ad interrogarsi su quello strano fenomeno, corse istintivamente verso la piccola figura di sua sorella che era appena affiorata nell’acqua fredda.
“Scusami Katie…”
Nicholas la prese per le spalle, scuotendola leggermente mentre iniziava a trascinarla verso la riva. Aveva percorso solo pochi passi quando sentì qualcuno correre alle sue spalle, e un attimo dopo sua madre era accanto a lui, prendendo la figlia incosciente in braccio.
 
“Mi assento cinque minuti… Nick, ti avevo detto di controllare che non entrasse in acqua!”
“Scusa mamma…”
 
Nicholas abbassò il capo ma la donna non si fermò a rimproverarlo, prendendolo per mano per tornare in casa, tenendo la bambina dalla pelle ghiacciata tra le braccia.
Un’ora dopo la piccola Kate dormiva placidamente nel suo letto dopo che la madre era riuscita a farle riprendere i sensi e a farle sputare l’acqua che aveva bevuto.
Nicholas era rimasto seduto accanto al letto della sorella, guardandola dormire con sollievo.
Allungò una mano per toccarle i capelli, promettendole silenziosamente che da quel momento si sarebbe preso cura di lei con più attenzione.
 
*
 
 
Amava vivere in riva all’Oceano, amava il rumore costante delle onde che, mosse dal vento, si infrangevano sulla sabbia. Era un suono quasi rassicurante, che lo faceva sentire sempre a casa.
Certo, lo sapeva, quella non era casa sua… ma ormai in un certo senso lo era diventata, da un paio d’anni.
 
Nicholas Bennet teneva gli occhi fissi sulla finestra, osservando l’Oceano mentre era seduto davanti alla scrivania della sua camera.
Quando era arrivato laggiù per la prima volta aveva trovato quasi ironico avere praticamente la stessa vista della casa dov’era cresciuto… ma gli piaceva, vivere accanto all’Oceano e vederla tutti i giorni a volte gli dava quasi la sensazione che niente fosse cambiato.
 
Sospirò, passandosi una mano tra i ricci biondi mentre abbassava lo sguardo dalla finestra, posandolo sulla macchina da scrivere che aveva davanti.
Scrivere gli piaceva quasi quanto nuotare, e sua sorella l’aveva sempre preso in giro… “usa un computer”, diceva. Ma no, lui aveva insistito di ricevere una macchina da scrivere per il suo diciassettesimo compleanno… non sapeva dove il padre fosse andato a pescarla, ma dalle ottime condizioni doveva essergli costata di certo parecchio.
 
Da quando era arrivato lì, nella Casa, nella Dollhouse, era solito trascrivere tutte le operazioni assurde in cui si ritrovava coinvolto… e magari tutte le cose che avrebbe voluto dire a sua sorella, se poteva ancora chiamarla così.
Juliet, Kate… la guardava e non sapeva più come chiamarla. Certo, quando parlava con lei o con gli altri si riferiva alla ragazza con il suo nome da Attiva, ma a volte anche nella sua mente viveva un attimo di confusione, non sapendo se riferirsi a lei con il nome con cui era nata o meno.
 
Era lei, ma non era lei. Aveva lo stesso sorriso, la stessa risata che quando aveva sentito per la prima volta lo aveva quasi fatto rabbrividire… gli stessi occhi, ma non era più lei ormai.
 
Era mattina inoltrata, ma non aveva per niente voglia di fare colazione… probabilmente in quel momento voleva stare da solo.
Si alzò, sfilando il foglio scritto a metà dalla macchina da scrivere per riporlo in un cassetto come sempre, insieme a tutti gli altri e all’album di fotografie. Si voltò e i suoi occhi si posarono inevitabilmente sulla tavola da surf appoggiata contro l’armadio.
Sì, aveva voglia di stare solo e di pensare un po’… e niente come l’acqua lo aiutava a farlo.
 
*
 
 
Seduto al tavolo dei Serpeverde, Nicholas stava tendendo il collo per riuscire a scorgere sua sorella in mezzo alla folla di ragazzini del primo anno, maledicendo mentalmente un paio di grattaceli alti già quanto lui che gli impedivano di vedere.
“Chi stai cercando?”
“La mia sorellina. Spero venga Smistata qui.”
 
“C’è una che ti sta guardando… forse è lei. Ha gli occhi chiari e i capelli scuri?”
“Sì.”
 
Erin LaFont, seduta accanto al compagno di Casa, accennò leggermente in direzione di quella che, Nicholas lo potè constatare con un sorriso, era proprio sua sorella.
Kate, apparentemente sollevata di vederlo, gli sorrise di rimando e ancora una volta il fratello le suggerì in labiale di stare tranquilla.
 
“Non ti somiglia molto… però è carina.”
Erin osservò la ragazzina di un anno più piccola rispetto a lei mentre lo Smistamento iniziava e Nicholas sorrideva con aria orgogliosa, come a voler dire che lo sapeva.
Ben preso “Bennet Kate” venne chiamata e quando il Cappello Parlante le venne posto sul capo Nicholas teneva gli occhi fissi su di lei, pregando mentalmente.
 
Pochi istanti dopo però il Cappello annunciò che la ragazzina sarebbe stata una Corvonero e il giovane Serpeverde sospirò, deluso.
“Pazienza… a quanto pare è più sveglia di te, Bennet.”
“Oh, taci LaFont!”
 
*
 
 
“Buongiorno.”
Erin fece il suo ingresso nell’ampia cucina, camminando dritta verso l’enorme frigorifero e passando davanti alla penisola dove, in fila, avevano già preso posto Echo, Foxtrot, Hooland e Quebec.
 
November era seduta come suo solito accanto al fornello mentre Rose spignattava, e l’Attiva inarcò leggermente un sopracciglio nel notare l’assenza del suo Guardiano:
 
“Che fine ha fatto Nick?”
“L’ho visto scendere con la sua tavola da surf, sarà andato a nuotare… non ama fare colazione in compagnia, effettivamente.”
Erin si strinse nelle spalle mentre apriva frigo, cercando qualcosa da mangiare mentre Isla compariva accanto ai ragazzi, fulminandoli con lo sguardo:
 
“Smettetela di sbavare.”
 
“Non stiamo sbavando! Non essere gelosa Isla.”
Foxtrot sfoggiò un sorriso angelico, ma l’americana non cedette neanche per un istante e sbuffò prima di superarli, borbottando qualcosa che suonò molto come “maschi” mentre raggiungeva Rose, chiedendole gentilmente se poteva aiutarla.
 
“Isla, come mai tu sei l’unica che non viene mai a fare colazione in pigiama?”
“Scherzi Hool? Isla Perfezione Rose Robertson non può certo farsi vedere non perfettamente sistemata da noi comuni mortali!”
 
Foxtrot iniziò a ridacchiare, ma sia lui che Hooland smisero di fronte allo sguardo assassino di una certa americana, mentre Rose invece si avvicinava a Quebec con un sorriso stampato in faccia:
 
“Ho fatto i waffle, spero che vi piacciano… tieni Quebec.”
“Grazie Rosie.”
Il ragazzo le sorrise appena mentre la Guardiana gli serviva ben due waffle con tanto di frutti rossi e panna… fece lo stesso anche con Echo, ma quando si fermò accanto ad Hooland gliene diede solo uno, facendogli sgranare gli occhi azzurri con aria offesa:
 
“EHY! Perché a me solo uno?”
“Perché sì.”
 
La Tassorosso si strinse nelle spalle, restando impassibile mentre si avvicinava a Foxtrot e l’amico protestava, accusandola di non avergli dato nemmeno la panna mentre Isla compariva accanto all’amica, strappandole il vassoio dalle mani.
 
“Scusa Rose, ma Fox è a dieta, non può mangiarli.”
“Ma io non sono mai in dieta! Anzi, non ingrasso mai!”
 
Isla però sembrò non ascoltarlo e girò sui tacchi, allontanandosi mentre l’Attivo sbuffava, suggerendole di non essere gelosa mentre November scivolava giù dal ripiano, afferrando al volo un waffle prima di avvicinarsi alla porta finestra spalancata.
 
“Vi lascio, vado a cercare Nick…”
 
“Non è affatto giusto, perché ci state bistrattando? Io ho fame!”
Foxtrot sbuffò, incrociando le braccia con aria contrariata mentre Rose vacillava leggermente… ma Isla si affrettò a darle una gomitata, intimandole a bassa voce di mettere da parte il suo buonismo.
 
“Beh, allora preparati la colazione, Rose vi sta viziando anche troppo… andiamo Rosie.”
Isla prese l’amica a braccetto e la trascinò con sé fuori dalla cucina, mentre Erin si era limitata a seguire la scena con un mezzo sorriso stampato sulle labbra.
 
“Ma cosa abbiamo fatto?”
“Di sicuro non sarò io a dirvelo… Ma Isla ha ragione, forse non dovreste sbavare in loro presenza.”
 
“Ma chi sbavava? Isla ha le allucinazioni!”
 
*
 
Era fermo nel corridoio, aspettando che le porte delle aule si aprissero dopo che la campanella era finalmente suonata.
Sorrise quando la porta dell’aula di Trasfigurazione si aprì e i Corvonero si riversarono nel corridoio insieme ai Grifondoro del quinto anno, individuando subito sua sorella che chiacchierava con i suoi amici più stretti, Keller e Cecil.
 
Kate lo vide e gli sorrise, avvicinandoglisi in fretta e prendendolo sottobraccio:
 
“Ciao… grazie per avermi aspettata.”
“Figurati. Andiamo fuori? Non ne posso più di stare qui dentro.”
 
 
Dieci minuti dopo i due fratelli Bennet erano stesi uno accanto all’altra sull’erba, all’ombra di un albero e non molto distanti dalla riva del Lago Nero, osservando distrattamente il cielo azzurro e stranamente sgombro da nuvole.
 
“E’ strano pensare che dall’anno prossimo non ci sarai più.”
“Lo so… mi mancherai tantissimo, così come il castello e tutto il resto… Tu prima di venire qui hai passato due anni a casa, vedendomi solo per le vacanze… ora tocca a me.”
Kate annuì, continuando ad osservare il cielo mentre il fratello si voltava verso di lei, osservandola con aria accigliata:
 
“C’è un Grifondoro del tuo anno a cui piaci.”
“Ti ci metti anche tu adesso?”
“Perché, chi altro l’ha detto?”
“Keller. E secondo me non è vero…”
“Perché? Sei molto carina sorellina… non mi ricordo come si chiami, quello altissimo…”
“Seth.”
 
“Giusto, quello con cui sei andata ad Hogsmeade qualche settimana fa.”
“Non cominciare a fare il fratello orso!”
“Oh, smettila, anche tu sei terribilmente gelosa nei miei confronti… ci fosse mai stata una ragazza a cui piacevo che ti andasse a genio!”
“Non è certo colpa mia se attiri le gatte morte e basta con quella tua faccia schifosamente attraente! E non senti i commenti durante le tue partite di Quidditch…”
 
“No, ma vedo lo stormo che si raduna durante i nostri allenamenti, in effetti. Ma non vengono solo per me, Katie.”
“Certo, certo.”
Kate si strinse nelle spalle, parlando con un tono per nulla convincente mentre il fratello sorrideva, dandole una leggera gomitata e intimandole di piantarla.
 
*
 
Si fermò a pochi metri dalla riva, piantando la tavola sulla sabbia mentre faceva vagare lo sguardo sull’acqua, decisamente poco mossa.
In effetti l’Inghilterra non era propriamente luogo adatto per fare surf, ma lui amava quello sport Babbano e dopo aver imparato aveva capito come “arrangiarsi”, usando la magia a proprio vantaggio. Suo padre, Babbano, gli aveva insegnato a nuotare a stare in equilibrio su una tavola… sua madre gli aveva insegnato come ottenere ciò che voleva con la magia.
 
Nicholas sfilò la bacchetta dalla tasca della muta e, con un sorrisetto, l’agitò leggermente.
Non ci volle molto perché delle vigorose folate di vento iniziassero a scuotere l’acqua, dando così vita ad onde decisamente alte rispetto alla norma per l’Oceano Atlantico su quelle coste.
 
Nicholas prese la tavola bianca e verde e si avvicinò all’acqua, camminando a piedi nudi sulla sabbia mentre November, raggiunta a sua volta la spiaggia, sedeva su un grosso sasso, osservandolo mentre aspettava che uscisse dall’acqua per potergli parlare.
 
Una volta lui le aveva anche chiesto se volesse che le insegnasse, ma lei aveva declinato la proposta, trattando quello sport con scetticismo… per non parlare poi delle temperature dell’acqua, era sicura che sarebbe scappata dopo dieci secondi al massimo.
Nicholas no, probabilmente lui si era abituato, una volta le aveva raccontato di essere cresciuto praticamente in acqua.
 
Rimase in silenzio, seduta su quel sasso mentre osservava a tratti il suo Guardiano, spostando di tanto in tanto lo sguardo per farlo vagare sulla spiaggia deserta.
 
La ragazza si accigliò leggermente mentre all’improvviso, le sembrava di sentire qualche suono diverso dal rumore delle onde o del verso di qualche gabbiano di passaggio.
Per un attimo le sembrò di sentire flebilmente delle voci, insieme a qualche risata… ma guardandosi intorno non vide traccia di nessuno, era completamente sola escludendo Nicholas.
 
Scosse il capo, dicendosi che probabilmente era solo stanca.
Rimase immobile per qualche istante, prima che la vista le si annebbiasse leggermente… November sbattè le palpebre un paio di volte, chiedendosi che cosa le stesse succedendo mentre sentiva nuovamente ridere, insieme alle voci. Solo che questa volta le sentì molto più chiaramente, meno distanti… come se i loro possessori fossero vicini a lei.
 
E in effetti qualche istante dopo scorse delle figure a qualche metro di distanza da lei, sulla sabbia.
Non seppe spiegarsene il motivo, ma vide una famiglia sulla spiaggia, che fino a poco prima non c’era.
 
Un uomo e una donna erano seduti su una coperta, mentre tre bambini, il più grande aveva probabilmente 10 anni al massimo, giocavano con una palla a qualche metro di distanza.
Due bambini molto piccoli, un maschio e una femmina, erano invece accucciati sulla sabbia accanto ai genitori, impegnati a giocare con i secchielli per costruire castelli di sabbia aiutati dal padre. La donna era seduta sulla coperta e sorrideva mentre seguiva quel quadretto con lo sguardo, tenendo tra le braccia una bambina di forse un anno che indossava una bandana rosa e si era appisolata, tenendo il ciuccio in bocca.
 
L’uomo si voltò, sorridendo alla moglie e dicendole qualcosa prima che lei, dopo aver dato un bacio sulla nuca della figlia più piccola, gliela passasse.
November catalizzò l’attenzione su quell’uomo, guardandolo sorridere teneramente alla bambina mentre la sollevava leggermente sopra la sua testa, osservandola prima di darle un bacio su una guancia.
Non seppe spiegarsene il motivo, ma un moto di malinconia la colpì a quella vista, prima che si alzasse di scatto.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì quella scena era sparita, rapidamente così com’era comparsa.
 
Senza pensarci la ragazza indietreggiò, deglutendo prima di voltarsi e tornare quasi di corsa verso la casa. Non sapeva perché si sentiva così, ma quella scena l’aveva lasciata parecchio a disagio, con una specie di nodo in gola: che cos’era quella scena? Perché l’aveva vista?
 
Sentì alle sue spalle la voce di Nicholas chiamarla, ma l’Attiva lo ignorò e continuò a camminare con passo spedito, desiderosa di fare qualcosa per distrarsi e non pensarci più.
Un po’ come quando le era capotato di svegliarsi e le era sembrato di vedere Juliet accanto al suo letto che la scuoteva e la chiamava… quando aveva aperto gli occhi si era resa conto di essere sola, che era stato solo un sogno… un sogno che però era rimasto indelebile nella sua testa, così come il modo in cui Juliet l’aveva chiamata ripetutamente.
 
Keller
 
 
 
Un sorriso più che soddisfatto gli increspò il volto quando riuscì finalmente ad avere il tabellone con i risultati dei test davanti agli occhi.
Era passato, era davvero entrato all’Accademia.
Probabilmente non si sentì mai orgoglioso di se stesso come in quel momento, e quando poco dopo Nicholas Bennet si Smaterializzò per tornare a casa, informare i genitori e scrivere a sua sorella era sicuro che non sarebbe stato facile, che sarebbe stata una strada ardua… ma era una strada che aveva scelto molto tempo prima, e ora che riuscito ad intraprenderla non avrebbe cambiato rotta facilmente.
 
Quel giorno avrebbe giurato che sarebbe arrivato fino in fondo, che sarebbe diventato un Auror come sognava da tre anni… non avrebbe mai pensato che circa due anni dopo avrebbe lasciato l’Accademia per sua spontanea volontà, forse la scelta più difficile e combattuta di tutta la sua vita.
 
 
*
 
Alpha aveva detto loro che quel giorno non aveva alcun incarico da affidargli, quindi avrebbero potuto passare la giornata semplicemente ad allenarsi.
Sembrava che Carter avesse preso le parole dell’uomo alla lettera, o almeno così pensava Whiskey mentre erano in piedi uno accanto all’altra, entrambi con le cuffie in testa e con un’arma da fuoco in mano mentre sparavano contro i bersagli.
 
Whiskey ci aveva messo poco a rendersi conto di avere un’ottima mira, e spesso si dedicava più alle armi da fuoco che al vero allenamento fisico… Sapeva per esperienza che anche Carter fosse molto bravo, ma quella mattina le sembrava particolarmente nervoso mentre colpiva il bersaglio con la mascella serrata, in perfetto silenzio.
 
“Carter, tutto bene?”
“Benissimo.”
 
Whiskey gli rivolse un’occhiata incerta, ma non osò indagare oltre: non aveva nessuna voglia di far irritare Carter più di quanto il ragazzo già non fosse, e poi non era suo costume fare la ficcanaso.
 
“Spero che tu non riduca a brandelli tutti i bersagli Halon, altrimenti poi noi con cosa ci alleneremo?”
Quebec, che stava caricando un fucile accanto al Guardiano, parlò con il suo solito tono pacato mentre l’ex Serpeverde sbuffava, abbassando l’arma.
 
“Tirerete fuori la bacchetta e li riparerete, semplice. Credo che andrò a fare una passeggiata.”
Carter si sfilò le cuffie, mettendo a posto sia quelle che la pistola… in compenso però prese il fucile dalle mani di Quebec mentre si allontanava dal poligono sistemato nell’enorme cantina della villa, mentre i due ex Grifondoro lo seguivano con lo sguardo con lieve perplessità:
 
“E ti porti via il fucile?”
“Già.”
“Non credo ci sia permesso…”
“Non a voi, forse. A me sì.”
 
Carter si allontanò senza neanche voltarsi indietro, mentre Quebec si voltava verso Whiskey:
 
“Secondo te davvero loro possono portare armi fuori da qui quando non siamo in un’operazione?”
“Non ne ho idea… Forse dovrei chiedere ad Hooland.”
“E’ un po’ che non lo vedo in giro, dov’è andato?”
“Ha detto che visto che oggi non c’era nulla da fare sarebbe andato in città… non chiedermi a fare cosa. Dai, prendi un altro fucile, vediamo se oggi riesco a battere il cecchino del gruppo.

 
                          *
 
Cecily DeWitt stava scorrendo la lista dei colloqui fissatole dalla sua assistente Rachel quando si bloccò, soffermandosi su un nome.
Nicholas Bennet
Esitò, osservando quel nome e in particolare il cognome di quel ragazzo.
Era un caso? Una buffa coincidenza? O il suo intuito non si stava sbagliando?
 
Aveva tutta l’intenzione di scoprirlo in fretta.
“Rachel.”
Sentendo la sua voce nell’interfono dalla stanza accanto la donna aprì la porta del suo ufficio dopo qualche attimo, guardandola in attesa:
“Si, Dottoressa?”
“Domani mattina voglio vedere questo ragazzo… Nicholas Bennet.”
“Ma Dottoressa, credo che prima di lui ci siano molti altri nomi in lizza…”
“Non importa. Voglio vederlo domani mattina, mettiti subito in contatto con lui.”
 
Il tono della donna era così fermo che Rachel non osò contraddirla o ribattere, limitandosi ad annuire prima di chiudere la porta, lasciando Cecily nuovamente sola.
 
In fin dei conti aveva guà trovato un Guardiano per praticamente tutti i membri della nuova squadra… mancava soltanto qualcuno per November. Tutti e sei avevano subito l’annullamento praticamente nello stesso periodo, dopo meno di un mese dal loro diploma… e a quel punto aveva fatto in modo che le rispettive famiglie venissero obliviate, come sempre.
Era un caso? Quel ragazzo non era imparentato con Kate Bennet? O forse era suo parente ed era giunto lì per puro caso, non ricordandosi minimamente di lei? Probabilmente l’avrebbe scoperto solo il giorno successivo.
 
 
Diverse ore dopo la Dottoressa era di nuovo seduta davanti alla sua scrivania, le lunghe gambe accavallate mentre aspettava con pazienza, piuttosto curiosa: non sapeva cosa sperare, in effetti. Non le era mai successo, dopo dieci anni aver fondato la Dollhouse, di incappare in un parente di un Attivo tra i Guardiani… forse era un bene, ma viceversa era curiosa, sarebbe stata senza dubbio una situazione del tutto nuova ed interessante da osservare.
 
Quando qualcuno bussò alla porta la donna si ridestò, mettendosi più dritta sulla sedia girevole mentre Rachel apriva la porta, guardandola senza battere ciglio:
 
“Dottoressa, è qui.”
“Bene… grazie, fallo entrare.”
 
La donna annuì e sparì dalla sua visuale, cedendo subito dopo il posto ad un ragazzo dai capelli biondi e ondulati, le spalle larghe e piuttosto abbronzato.
Forse troppo per il clima tipico della Gran Bretagna.
“Salve, Signor Bennet.”
“Dottoressa.”
Nicholas le si avvicinò, stringendo la mano che la donna gli porgeva prima di prendere posto di fronte a lei, senza ricevere un invito esplicito.
 
Cecily osservò il mago che le stava davanti, studiandolo quasi cercando delle somiglianze con una ragazza che viveva in quella casa da ormai quasi un mese.
 
“Quanti anni ha?”
“20.”
“E che cosa la porta qui?”
Nicholas tacque per qualche istante, tenendo gli occhi fissi sulla donna che gli stava davanti prima di parlare:
 
“Io credo… credo che abbiate mia sorella.”
“Kate Bennet, immagino.”
 
Le labbra sottili della donna si inclinarono in un sorriso, soddisfatta di non essersi sbagliata mentre Nicholas invece sgranava gli occhi chiari, sporgendosi leggermente verso di lei e afferrando con le mani i bordi della scrivania:
 
“Quindi è vero… come sta?”
“Bene, Signor Bennet… confesso che quando ho letto il suo nome ho subito pensato potesse essere suo parnete… ma mi chiedo come sia possibile che lei si ricordi di sua sorella.”
“Sono stato in America fino ad una settimana fa… mi sto per diplomare all’Accademia per gli Auror e per un paio di mesi sono stato impegnato con il MACUSA in un progetto. Immagino che non mi abbiate trovato.”
“Questo spiega tutto… quindi lei vuole lasciare la carriera di Auror ancor prima di iniziarla per venire qui. Non si torna facilmente indietro quando si lavora per me, lo sa?”
“E’ mia sorella. Non posso abbandonarla.”
“Come sapeva che è sotto la mia custodia?”
“Non ho più ricevuto le sue lettere, non rispondeva da settimane… e i miei genitori sembravano non saperne nulla, una volta chiesi loro sue notizie e mia madre mi rispose che non sapeva di chi stessi parlando. Sa, al Ministero si parla molto di lei, Dottoressa. Alcune persone non sono poi così fiduciose nei suoi confronti.”
“Lo so bene… quindi lei SA che cosa facciamo qui?”
“In parte. So che alcuni studenti appena diplomati spariscono misteriosamente circa ogni due anni. E quest’anno mia sorella è tra questi. Ho avuto la fortuna di non essere qui quando l’avete presa, non ho nessuna intenzione di perderla.”
 
“Io temo che lei l’abbia già persa, Nicholas… è cambiata. Capisco che voglia starle vicino comunque, ma l’avverto che potrebbe essere difficile per lei… Non potrà mai dirle chi è, i Guardiani sono posti sotto Voto Infrangibile. Inoltre, sappia che se deciderò di non assumerla le verrà tolto ogni ricordo di questa conversazione, e anche quelli legati a sua sorella.”
 
“Quindi o mi assume o mi dimenticherò a mia volta di lei.”
“Sì. E forse sarebbe meglio così, non trova? I suoi genitori l’hanno dimenticata, riuscirà a vederli, a parlare con loro fingendo che non sia mai esistita?”
 
Nicholas esitò mentre la donna continuava ad osservarlo attentamente guardandolo abbassare lo sguardo prima di parlare a bassa voce:
 
“Lo so, sarà difficile… ma non voglio dimenticarla. Tengo moltissimo a lei, l’ho sempre protetta e voglio continuare a farlo.”
“Temo di doverla informare che se anche l’assumessi non sarebbe il Guardiano di sua sorella. Juliet ha già un Guardiano, sto cercando quello che dovrà badare ad un’altra ragazza.”
 
Nicholas alzò di scatto lo sguardo per posarlo nuovamente sulla donna, sgranando gli occhi e scuotendo il capo:
 
“Beh, faccia uno scambio, non penso che cambi qualcosa, dico bene?”
“Io non faccio mai niente per niente Nicholas… ho formato le coppie Attivo-Guardiano per un motivo. Carter Halon resterà il Guardiano di sua sorella anche se lei entrerà nella Dollhouse.”
“La prego… Kate ha bisogno di me.”
 
“Forse. Del resto lei la conosceva sicuramente molto bene, meglio di me… Magari Kate aveva bisogno di lei Nicholas, ma Juliet no. Ed è la mia ultima parola sulla questione… Deve tenere a mente che sua sorella non solo non si ricorderà di lei, ma è cambiata. Per questo forse potrebbe essere molto doloroso per lei, pensa di farcela?”
“Sì.”
“Se ne è sicuro… venga, le presento November. Se verrà assunto sarà un po’ la sua guardia del corpo, dovrà assicurarsi che non le accada nulla, accompagnarla nelle operazioni… essere la sua ombra. Potrà interagire con sua sorella ovviamente, ma cerchi di non farsi ingannare dal suo aspetto, tenga a mente che è cambiata.
 
Cecily si alzò e Nicholas la imitò, seguendola fuori dalla stanza. Stavano attraversando il corridoio quando il ragazzo parlò di nuovo, schiarendosi la voce:
 
“Il Guardiano che ha scelto per mia sorella…”
“Carter Halon. E rammenti che non dovrà mai far sapere che siete parenti, non solo a lei, ma anche agli altri Attivi… gli altri Guardiani hanno circa la sua stessa età, forse lo sapranno perché avete studiato insieme a scuola. Ma se qualcuno non dovesse esserne a conoscenza, come ad esempio la ragazza americana che ho assunto qualche giorno fa, non dovrà farne parola neanche in quel caso.”
“D’accordo. In ogni caso… è un nome familiare. E’ una persona affidabile?”
“A mio parere? Sì. E comunque ha due anni più di lei, avrà sentito il suo nome a scuola. Lei era Serpeverde?”
“Sì… come lo sa?”
“Ho un vago ricordo di lei quando venni a far visita ad Hogwarts al suo ultimo anno, due anni fa. Anche Carter era un Serpeverde, comunque.”
 
Nicholas rimase in silenzio, cercando di ricordare un compagno di Casa con quel nome. Era certo che suonasse familiare, ma proprio non riusciva a collegarlo con precisione ad un volto… ma con un po’ di fortuna, se la Dottoressa avesse deciso di assumerlo, l’avrebbe conosciuto. Assicurandosi che si sarebbe preso davvero cura di sua sorella, certo.
 
“Voglio presentarle November prima di decidere, lo faccio sempre… l’avverto, è una ragazza un po’ diffidente all’inizio. Vedremo se riuscirà ad avvicinarla.”
 
Cecily si fermò davanti ad una porta chiusa, bussando prima di aprirla leggermente:
 
“November, cara? Ti presento una persona.”
Non potè fare a meno di notare quanto il tono della donna fosse suonato più gentile, quasi dolce, nel rivolgersi all’Attiva… Ma Nicholas smise di pensarci quando la suddetta ragazza apparve sulla soglia della stanza, osservandolo attentamente.
 
“November, lui è Nicholas… potrebbe diventare il tuo Guardiano.”
 
Cecily sorrise leggermente alla ragazza, che continuò a scrutare il ragazzo prima di allungare una mano, porgendogliela:
“Ciao.”
Nicholas esitò ma poi si affrettò a stringerla, abbozzando un sorriso e ricambiando il saluto.
 
Cecily disse qualcosa ma lui non la sentì, continuando a guardare quella ragazza, ancora mezzo sconvolto mentre un solo pensiero aleggiava nella sua mente: non avrebbe mai pensato di riconoscere altri Attivi lì dentro, ma aveva davanti agli occhi la migliore amica di sua sorella, Keller Reynolds.
 
Ironico il destino, dopotutto…

 
 
*
 
 
Fermo accanto ad un albero, praticamente immobile mentre teneva gli occhi verdi fissi sul ramo di un albero vicino.
Sollevò lentamente il fucile e stava per prendere la mira quando un movimento improvviso lo fece quasi sobbalzare: un sasso colpì il tronco dell’albero e lo scoiattolo si affrettò a sgattaiolare via, sparendo di nuovo tra le fronde.
 
Il ragazzo imprecò, voltandosi e chiedendosi di chi fosse stata quell’idea geniale prima di sgranare gli occhi, trovando Juliet a qualche metro di distanza mentre lo osservava a braccia conserte.
 
“Juliet? Che cazzo ci fai qui? Non dovresti uscire da sola.”
“Non sono da sola, ci sei tu… ti sto impedendo di uccidere un piccolo, innocente e tenero scoiattolo. Detesto questa cosa della caccia.”
“Beh, io no. Torna a casa.”
“Non ci penso neanche, resto qui… voglio sapere perché sei così musone da ieri! Non mi hai rivolto la parola per tutto il viaggio di ritorno da Edimburgo fino a qui, e quando siamo tornati ti sei chiuso in camera tua per tutta la sera.”
 
“Non amo particolarmente la compagnia Juliet, mi piace stare da solo ogni tanto… dovresti saperlo.”
Carter sbuffò, procedendo in mezzo al bosco mentre cercava di camminare il più silenziosamente possibile con gli scarponi che indossava, mentre Juliet alle sue spalle lo seguiva e probabilmente faceva rumore apposta, giusto per far scappare tutti i “teneri scoiattoli”, lepri e volatili dei dintorni.
 
“Sì, lo so, ma ora esageri… ahia, stupida radice… odio il bosco!”
“E allora perché sei venuta?”
“Perché voglio parlare con te! Carter, aspettami!”
 
Juliet sbuffò, accelerando il passo per raggiungere il ragazzo che invece non accennava a fermarsi, continuando a procedere in mezzo agli alberi.
 
Non aveva particolarmente voglia di parlare con lei, ma non sapeva nemmeno che cosa provasse con precisione… sapeva solo di essere di pessimo umore da quando lei se n’era uscita con quella frase sul dopobarba di Nick Bennet, che continuava a tornargli in testa.
 
“Carter!”      Juliet lo raggiunse e lo afferrò per un braccio, costringendolo a fermarsi e a voltarsi verso di lei.
Il Guardiano abbassò lo sguardo sulla ragazza, posando gli occhi su quelli verdi dell’Attiva mentre lei lo osservò di rimando prima di parlare:
 
“Perché fai così? Che cosa c’è? Ti conosco ormai, non fingere di non avere nulla.”
“E tu come fai a sapere di cosa sa il suo dopobarba?”
 
“Si tratta di questo? Carter, smettila con questa storia, ho solo detto la prima cosa che mi è venuta in mente! Non c’è niente tra me e Nicholas, davvero lo pensi?”
 
Juliet sbuffò, mettendogli entrambe le mani sulle spalle mentre il ragazzo restava in silenzio, limitandosi ad osservarla di rimando mentre teneva il fucile in mano.
“Non so cosa pensare.”
“Beh, te lo dico io: non c’è niente a cui pensare. Ma perché ce l’hai così a morte con questa storia?”
 
Carter non rispose, chiedendosi la stessa cosa e rimanendo immobile e in silenzio per qualche istante.
O almeno finché un rumore non attirò la sua attenzione, facendo un mezzo giro su se stesso e voltandosi di scatto.
 
“Carter?”
“Zitta.”
L’ex Serpeverde strinse leggermente gli occhi, scrutando attentamente tra gli alberi mentre accanto a lui Juliet sospirava, quasi con esasperazione:
 
“Per favore, lascia perdere quei poveri animali e ascoltami.”
“Non è un animale.”
 
Al mormorio di Carter Juliet fece per voltarsi e guardarsi intorno a sua volta… forse avrebbe anche impugnato la bacchetta, ma il ragazzo la precedette, afferrandola prontamente per la vita e attirandola a sé prima di Smaterializzarsi.
 
Quando Juliet riaprì gli occhi, per niente abituata alla Smaterializzazione che lei e gli Attivi non praticavano e quindi un po’ senza fiato, si ritrovò nel piazzale coperto di ghiaia davanti alla villa, mentre Carter l’aveva presa per mano per portarla dentro.
 
“Carter, perché siamo andati via? Volevo vedere chi fosse!”
“Scordatelo, non saresti neanche dovuta essere lì. Qui ci sono le barriere, è più sicuro. Non protestare, io devo proteggerti, ricordi? Vieni dentro.”
 
Juliet sbuffò, borbottando che avrebbe potuto divertirsi un po’ mentre seguiva Carter dentro la Casa, decidendo di non ribattere: sapeva per certo che il ragazzo non le avrebbe permesso facilmente di tornare fuori, era quasi più testardo di lei dopotutto.
 
“Vado a rimettere questo a posto, oggi non è proprio giornata per cacciare, temo.”
“Non hai risposto alla mia domanda.”
“Lo farò quando più mi aggraderà… non andare più in giro senza di me.”
 
Carter si allontanò a passo svelto, ma invece di riportare effettivamente il fucile al suo posto salì le scale per raggiungere l’ufficio di Alpha, sperando di trovarlo.
Quando bussò alla porta la familiare voce dell’uomo lo invitò ad entrare e il ragazzo si affrettò a farlo, trovandolo seduto dietro la scrivania.
 
“Ah, Carter… che posso fare per te?”
“Ero nel bosco, ad ovest… e sono sicuro che ci fosse qualcun altro.”    
 
Alle parole di Carter Alpha aggrottò la fronte, rivolgendogli immediatamente tutta la sua attenzione e invitandolo a sedersi:
“Eri con Juliet?”
“Sì, ma l’ho riportata subito qui… credo proprio che qualcuno ci stesse osservando.”
 
*

 
Stava salendo le scale con uno scatolone tra le mani e la valigia che galleggiava a mezz’aria alle sue spalle, portando le sue cose in quella che era appena diventata la sua nuova camera.
 
Aveva incontrato Erin LaFont poco prima, incredibile come quel posto popolasse di facce familiari… Cecily chiamava la squadra dov’era entrato la “Squadra Alpha”, ma ce n’erano altre nella Casa… e in quella “Bravo” aveva chiaramente individuato, tra gli Attivi, alcuni suoi ex compagni di scuola.
 
Nicholas stava attraversando il corridoio con le camere destinate interamente alla sua squadra quando dovette fermarsi per forza, una ragazza era uscita dalla sua stanza senza accorgersi di lui e per poco non si erano scontrati.
 
“Scusami.”
La ragazza si fermò di colpo, e quando alzò lo sguardo per posarlo su di lui Nicholas si irrigidì, restando in perfetto silenzio mentre la gola gli era diventata improvvisamente molto secca.
Il ragazzo sbattè le palpebre, come per assicurarsi che fosse reale mentre la ragazza che gli stava di fronte lo osservava con aria accigliata:
 
“Tutto bene?”
“Io… sì. Scusami tu, comunque.”
“Sei quello nuovo, immagino… il Guardiano di November. Io sono Juliet.”
“Lo so.”
Incapace di trattenersi il ragazzo annuì, continuando a guardarla dritta negli occhi mentre Juliet – Kate nella sua mente – aggrottava leggermente la fronte, come a volergli chiedere come lo sapesse.
 
“La Dottoressa mi ha descritto gli Attivi. E ovviamente tu non puoi essere Whiskey.”
Nicholas si affrettò a sorridere e Juliet dopo un attimo lo imitò, annuendo e rilassandosi leggermente:
“Ovviamente… ha dei capelli molto riconoscibili. Beh, scusa ma mi aspettano di sotto… benvenuto nella Dollhouse…”
L’Attiva lasciò la frase in sospeso, guardandolo con un sopracciglio inarcato in un silenzioso invito di presentarsi, che il ragazzo colse al volo:
“Nick. Nick Bennet.”
“Beh, piacere di conoscerti.”
 
Juliet gli rivolse un lieve sorriso prima di superarlo per raggiungere le scale, mentre Nicholas non si mosse, voltandosi invece per seguirla con lo sguardo.
Forse una parte di lui aveva sperato che quando l’avrebbe visto, quando avrebbe sentito il suo nome qualcosa si sarebbe mosso dentro la sua testa, nella sua memoria… ma così non era stato, lei non aveva battuto ciglio.
Sentì la delusione pervaderlo mentre scuoteva il capo, dicendosi di smetterla mentre riprendeva a camminare per andare nella sua nuova camera.
 
Infondo la Dottoressa aveva ragione, già lo sapeva: sarebbe stato difficile, probabilmente molto doloroso… ma non era mai stato tipo da tirarsi indietro. E anche se Kate si era dimenticata di lui, non avrebbe mai permesso di perderla definitivamente dimenticandola a sua volta.

 
*

 
 
Rose era seduta su uno degli sgabelli in cucina, davanti alla penisola, impegnata a rilassarsi leggendo uno dei suoi libri preferiti mentre i capelli che aveva lavato poco prima le ricadevano ancora umidi sulle spalle.
Aveva passato gran parte della giornata insieme ad Isla ad allenarsi e successivamente era, come suo solito, rimasta in ammollo nella vasca da bagno per più di mezz’ora per rilassarsi.
 
Ormai era tardo pomeriggio, e stava giusto iniziando a scervellarsi su cosa avrebbe preparato per cena quando, sentendo la porta d’ingresso aprirsi attraverso l’apertura ad arco del muro che collegava la cucina all’ingresso, drizzò istintivamente le orecchie per cercare di capire chi fosse appena entrato.
Un attimo dopo sentì la porta richiudersi e la voce familiare di Foxtrot, proveniente dalle scale, salutare qualcuno che ricambiò, permettendo a Rose di capire di chi si trattasse e sorridere leggermente.
Tuttavia non si mosse, restando seduta sul suo sgabello mentre la familiare figura di Hooland si stagliava sull’entrata della cucina, rivolgendole un sorriso mentre le si avvicinava:
 
“Ciao, Rosie.”
“Ciao Hool… dove sei stato?”
“Sono andato a farmi un giretto con la moto in città… e ti ho preso un regalo.”
 
Il ragazzo sfoggiò un sorriso mentre appoggiava una busta davanti a lui, sulla luccicante penisola bianca.
Rose sollevò lo sguardo dalle pagine del libro, non riuscendo a non sorridere a quelle parole:
 
“Davvero? Per me?”
“Certo… per ringraziarti per la tua gentilezza, sperando che in futuro non mi lascerai a morire di fame come stamattina solo perché sei gelosa del tuo meraviglioso Hooland.”
“Hai mangiato un waffle, non lo definirei morire di fame… E poi io non sono gelosa. Solo che mi dà fastidio il modo in cui tu e gli altri buoi muschiati sbavate senza ritegno non appena vedete un paio di gambe da fenicottero.”
“Io non sbavo, e poi non mi piace Erin, per niente.”
 
Rose inarcò un sopracciglio, osservandolo con evidente scetticismo mentre Hooland invece sollevava le mani, come a volerle giurare che era vero:
 
“Sul serio! E’ troppo magra. Comunque aprilo, pulcino.”
“Va bene…”
 
Rose sospirò ma annuì, allungando le mani per aprire la busta con le dita sottili… il tutto mentre Hooland restava davanti a lei, cercando di non ridere e di restare impassibile: già immaginava, pregustandosela, la sua reazione.
 
Non per niente un paio di secondi dopo Rose si bloccò, e l’ex compagno di scuola la vide distintamente sgranare gli occhi azzurri prima di sollevare di scatto lo sguardo su di lei, arrossendo alla velocità della luce:
 
“HOOLAND! Come… CHE RAZZA DI REGALO E’?”
“Che c’è? Non ti piace?”
“Pensavo di essere abituata alla tua assurdità, ma questo… IDIOTA.”
 
Rose sbuffò, scivolando giù dallo sgabello e raccogliendo il suo libro mentre lo fulminava con lo sguardo.
 
“Non ti arrabbiare pulcino, è solo uno scherzo… secondo me ti starebbe bene.”
Hooland sfoggiò un sorrisetto e per tutta risposta Rose gli lanciò contro la busta, borbottando che non voleva vederlo fino al giorno dopo mentre lasciava la stanza alla velocità della luce, ancora piuttosto rossa in volto.
 
Foxtrot, che stava scendendo le scale per raggiungere proprio Hooland, fece per salutare Rose quando la ragazza gli passò accanto, ma a giudicare dalla sua faccia forse non era il caso… l’Attivo andò invece dritto in cucina, trovando un Hooland impegnato a ridere.
 
“Amico, hai davvero fatto arrabbiare Rose Williams? Come si fa a far arrabbiare Rose Williams?”
 
Foxtrot guardò l’amico con evidente stupore mentre Hooland invece continuava a ridacchiare, ripensando alla faccia che Rose aveva fatto quando aveva aperto la busta.
 
“Me lo chiedo anche io, non l’avevo mai sentita parlare a voce così alta… che cosa hai fatto Magnus?”
 
Isla si fermò sulla soglia della stanza con una tazza colma di caffè fumante in mano – non aveva ancora capito la mania degli inglesi di bere il thè a quell’ora – osservando i due con aria accusatoria mentre Hooland si stringeva nelle spalle, accennando al pacchetto:
 
“Nulla… le ho fatto un regalo, ma evidentemente non l’ha apprezzato.”
“Non è una novità, tu le fai sempre dei regali… ma in genere ti sorride, ti abbraccia e poi ti ricopre di attenzioni persino più del solito… che cosa accidenti le hai preso per farla reagire così?”
Hooland, di fronte allo sguardo sinceramente confuso di Isla, si limitò a prendere la busta e a lanciarla alla ragazza, che la prese al volo prima di sbirciare l’interno.
 
E a quel punto anche lei sospirò, alzando lo sguardo su di lui e guardandolo con sincera esasperazione:
 
“Hooland… Che di diverti a fare il malizioso lo sappiamo, ma non pensi che regalarle un completino intimo sia un po’ troppo?”
“Come la fate lunga, non volevo offenderla, giuro! Anzi, come ho detto secondo me le starebbe ben-“
“Lasciamo perdere, vado di sopra… idioti.”
 
Isla roteò gli occhi prima di girare sui tacchi e uscire dalla stanza, lasciandosi alle spalle i due ragazzi impegnati a ridersela allegramente.
 
*
 
Quella casa era davvero enorme, forse per i primi tempi avrebbe avuto bisogno di una cartina.
Nicholas stava perlustrando l’ennesimo corridoio, cercando il maledetto ufficio della Dottoressa visto che la donna l’aveva fatto chiamare.
 
In quella parte della casa i corridoi erano tutti uguali, e Nicholas era più che sicuro che a Cecily DeWitt i ritardatari non piacessero nemmeno un po’… stava maledicendo mentalmente la sua cattiva sorte quando si bloccò, osservando con stupore una figura familiare.
Gli dava le spalle, non ne era sicuro… ma sembrava davvero lui. Possibile?
 
“Signor Richardson?”
Si voltò e Nicholas sorrise, ottenendo la conferma di non essersi sbagliato:
“Che cosa ci fa qui?”
Fece per avvicinarglisi, ma lui lo precedette, raggiungendolo e imprecando a mezza voce mentre quasi lo spingeva verso una porta, aprendola prima di costringerlo ad entrare nello stanzino.
 
“Che sta facendo Signo-“
“Non Signore… Tu qui non mi conosci, capito?”
“Che cosa ci fa qui?”
“Io qui ci lavoro ora… come te, a quanto vedo. Tu non mi conosci e io non conosco te. Chiaro Bennet?”
Nicholas annuì, guardandolo ma continuando a non capire:
 
“Come vuole, Signore.”
“Non chiamarmi così Nicholas… Alpha. Io qui sono Alpha, ricordatelo.”
 
Senza aggiungere altro l’uomo uscì dalla stanza, lasciando Nicholas completamente solo e notevolmente confuso. Alpha? Alfabetico fonetico NATO… Era un nome da Attivo.
Lo era? Ma si ricordava di lui, dopotutto… Si ricordò del nome della squadra che la DeWitt aveva citato: Squadra Alpha. Non poteva essere un caso, infondo.
 
Nicholas uscì dalla stanza, deciso a trovare la Dottoressa, sì, ma anche a capire che cosa ci facesse lì dentro un’ennesima vecchia conoscenza che mai si sarebbe aspettato di incontrare.

 
*
 

“Avanti.”
Juliet parlò senza nemmeno staccare gli occhi dalla rivista che stava sfogliando, certa che a bussare fosse stata Erin, Carter o Quebec.
 
“Che cosa c’è? E’ pronta la cena?”
“Non che io sappia… ma temo che in ogni caso la perderesti.”
 
Sentendo quella voce Juliet abbassò di scatto la rivista, mettendosi a sedere immediatamente sul letto mentre Nicholas si limitava a sorriderle.
 
“Nicholas? Che cosa ci fai qui?”
“Vengo ad informarti che stai per uscire.”
“Uscire? Dove?”
“Andiamo a fare una gita.”
“Andiamo chi? Noi due, Carter e November?”
“No… solo noi due. Vieni.”
 
Nicholas si avvicinò alla ragazza, sfilandole la rivista dalle mani e prendendola delicatamente per un braccio, esercitando una lieve pressione affinché lei si alzasse.
La ragazza si alzò ma non si mosse, guardandolo sempre più confusa:
 
“Come sarebbe a dire solo noi due? Non credo sia permesso!”
“Beh, gli Attivi non possono uscire senza un Guardiano… tu sei un’Attiva, io sono un Guardiano. Direi che non c’è problema… coraggio, seguimi.”
 
Juliet sbuffò, maledicendosi per aver lasciato la bacchetta sul comodino mentre cercava di divincolarsi dalla stretta ferrea di Nicholas, che la portò fuori dalla sua camera e si diresse verso il fondo del corridoio, probabilmente per raggiungere le scale di servizio e uscire senza farsi notare.
 
“Nick, smettila! Mollami o giuro che ti atterro!”
“Puoi sempre provarci. Non fare così Juliet, non ti sto rapendo!”
“Non voglio venire chissà dove con te… Carter lo sa? Ci vuole la sua autorizzazione!”
“Carter non c’è, è uscito un’ora fa.”
 
Juliet esitò, chiedendosi per un attimo dove fosse andato il suo Guardiano… ma poi, mentre scendeva le scale insieme a Nicholas, tornò a concentrarsi su quello che stava succedendo.
 
“Non è un buon motivo per farmi uscire senza di lui! Alpha non ne sarà felice.”
“Con Alpha ci parlo io…”
 
Usciti sul retro della Casa Nicholas la condusse verso la macchina scura decappottabile che guidava quasi sempre, invitandola con un cenno a salire.
Juliet sbuffò ma obbedì, occupando il sedile del passeggero mentre Nicholas saliva accanto a lei, sorridendole con aria quasi divertita mentre metteva in moto l’auto:
 
“Che faccia… non ti sto rapendo Juliet, giuro.”
“Zitto e portami dove mi devi portare.”
“Agli ordini principessa.”
 
*

 
Prima di sollevare la mano e bussare indugiò davanti alla porta, sospirando leggermente. Quella conversazione non prometteva nulla di buono… ma disgraziatamente non poteva scappare, sapeva di essersela cercata e cosa stava per dirgli.
 
Nicholas bussò alla porta e dopo qualche istante ricevette l’invito ad entrare, aprendola per poi fermarsi sulla soglia.
Fino a quel momento era sempre stato ricevuto dalla Dottoressa nel suo ufficio… ma non quel giorno. Lo aveva fatto chiamare e quando era arrivato nel suo ufficio Rachel gli aveva detto che al momento era impegnata, che lo avrebbe ricevuto nell’ultima stanza infondo al corridoio. Il terzo piano era quello adibito interamente agli uffici e ai “laboratori”, dove gli Attivi praticamnete non mettevano mai piede, doveva avevano luogo gli annullamenti e le riunioni.
 
Lo sguardo di Nicholas cadde sull’unica persona presente nella stanza, sull’inconfondibile figura alta e sottile di Cecily DeWitt.
 
“Entra pure Nicholas, ma chiudi la porta.”
 
Il ragazzo obbedì, chiudendosi la porta alle spalle prima di prendere posto sul divanetto sistemato accanto alla porta. Guardava la Dottoressa ma cercava di non concentrarsi troppo su ciò che stava facendo, aspettando che la donna parlasse.
 
“Immagino che tu sappia perché ho chiesto di parlare con te.”
“Sì, penso di sì.”
“Sei un ragazzo intelligente Nicholas… dunque mi piacerebbe che tu ti comportassi di conseguenza.”
 
Nicholas non disse niente, restando in religioso silenzio mentre si limitava a guardarla. L’aveva sempre vista perfettamente in ordine, con i tacchi, i capelli in ordine e addosso uno dei suoi tanti tubini o un tailleur.
In quel momento invece aveva i capelli raccolti sulla nuca, indossava un camice bianco e dei guanti di lattice, la sua voce suonava ovattata a causa della mascherina mentre armeggiava, usando delle pinze, su un cervello, parte del quadretto che Nicholas si appuntò di non guardare.
 
“Ricordi quando ti ho assunto? Ti dissi che sarebbe stato difficile, doloroso per te… Hai detto che avresti retto, ti ho ascoltato e infatti oggi sei qui. Sei un bravo Guardiano Nicholas, fai bene il tuo lavoro e November non si è mai fatta niente, si è persino affezionata a te. Devi preoccuparti di LEI Nicholas, non di Juliet.”
“Lo so.”
“Quando arrivasti Juliet aveva già il suo Guardiano… ma non te l’avrei affidata comunque. Sei troppo coinvolto emotivamente Nicholas, quando si tratta di lei non sei obbiettivo. Capisco che sia difficile, ma ti avevo avvisato… Quando le succede qualcosa, quando sta male, devi lasciare che ad occuparsene sia Carter. Se Carter non c’è bene, fa come meglio credi… ma quando di notte la senti urlare lascia che ci pensi lui, come è giusto che sia.”
“Lo farò.”
“Carter non sa che è tua sorella, Nicholas… ma non è stupido, di certo immagina che ci sia o ci sia stato qualcosa tra di voi a causa dell’attaccamento che dimostri in situazioni come questa.”
 
Nicholas annuì, tenendo gli occhi chiari fissi sul pavimento mentre sentiva Cecily imprecare a mezza voce, forse perché aveva appena toccato qualcosa di sbagliato nell’organo vitale che aveva davanti.
 
“Sì, so che sospetta qualcosa… non è mai felice di vedermi intorno a Kate.”
“Juliet, Nicholas. Lei è Juliet. Devi stare attento a come ti muovi, non solo per Carter, ma anche per lei: non si ricorda di te, non può immaginare che tu sia suo fratello… potrebbe anche farsi un’idea sbagliata, non credi?”
 
Nicholas annuì, sollevando nuovamente lo sguardo per guardare la donna, che intanto aveva lasciato le pinze sul tavolo metallico e aveva sfoderato da una tasca del camice la bacchetta, puntandola contro un punto preciso del cervello.
“Che cosa sta facendo?”
“Aggredisco l’ippocampo, la sede della memoria… sperimento, non si smette mai di imparare dopotutto. Puoi andare Nicholas, ma ricorda quello che ti ho detto… attento a come ti muovi.”

 
 
*
 

 
“Perché mi hai portata qui?”
“Ti aspettavi di portassi in qualche night club clandestino? Su, scendi.”
 
Juliet sbuffò ma obbedì, scendendo dall’auto e lanciando un’occhiata scettica al ragazzo:
 
“Perché fare la strada in macchina? Se non te ne fossi accorto abbiamo l’Oceano dietro casa, Nicholas, non serviva venire fin qui.”
“Vero, ma se fossimo rimasti lì ci avrebbero sicuramente visti e disturbati, non credi?”
 
Nicholas si strinse nelle spalle mentre chiudeva la macchina, infilandosi le mani in tasca mentre si avvicinava alla spiaggia, con una Juliet piuttosto confusa al seguito.
 
“Perché siamo qui?”
“Ti piace il mare? Io lo adoro… lo trovo molto rilassante.”
“Sì, mi piace l’acqua… ma non ho bisogno di rilassarmi, grazie.”
 
“Beh, io sì.”
 
Nicholas sorrise, sedendo sulla sabbia mentre Juliet rimase in piedi accanto a lui, guardandolo e continuando a non capire le sue gesta.
 
“Non fare quella faccia Juliet, sembra che tu stia aspettando che io ti scuoia viva! Una volta mi hai detto che ti piace molto camminare sulla sabbia, in riva al mare… fai pure.
“Davvero te l’ho detto?”
“Sì.”
 
Nicholas annuì, sapendo di mentire solo in parte visto che a dirglielo era stata Kate, mentre Juliet sollevava lo sguardo sull’Oceano, confusa: non ricordava di averglielo detto, ma in un certo senso quelle parole le suonavano familiari.
Senza dire niente Juliet si mosse, sfilandosi lentamente le scarpe prima di incamminarsi sulla sabbia, avvicinandosi alla riva mentre teneva gli occhi fissi sull’acqua.
 
Si fermò quando sentì l’acqua fredda toccarle i piedi, mentre il cielo si era ormai oscurato e si faticava a distinguerlo dall’acqua.
Juliet rimase immobile, guardando l’acqua e concentrandosi solo sul rumore rilassante e regolare delle onde… forse aveva ragione, era davvero piacevole.
Chiuse gli occhi, tenendo le labbra socchiuse mentre iniziava a sentire anche il profumo tanto familiare.
 
“Katie!”
Aprì gli occhi di scatto sentendo la voce di un bambino, e voltandosi guardò un bambino e una bambina giocare sulla riva, correndo nell’acqua bassa mentre il bambino, ridendo, le lanciava contro un po’ di sabbia bagnata, facendola protestare.
 
“Nick, smettila o lo dico alla mamma!”
 
“Nick…”
Juliet deglutì, facendo istintivamente un passo indietro. Continuò a sentire quelle voci e ben presto la testa tornò a farle male, facendole quasi perdere l’equilibro mentre si muoveva, facendo un altro passo indietro… come a volersi allontanare dal suo stesso passato.
 
L’Attiva si prese la testa tra le mani tremanti, chiudendo gli occhi e pregando affinché quelle immagini svanissero. Probabilmente sarebbe scivolata sulla sabbia che Nicholas non fosse comparso alle sue spalle, circondandole la vita con le braccia e dandole un bacio sulla tempia, mormorando qualcosa a bassa voce.
 
“Sono qui tesoro… non preoccuparti.”
 
“Basta.”
Juliet scosse il capo con veemenza e Nicholas annuì, sollevandola prima di voltarsi per tornare verso l’auto.
Quando la lasciò sul sedile aveva già perso i sensi e non gli restò che sorriderle, accarezzandole il viso:
 
“Vedrai… ricorderai tutto prima o poi. Ma forse per oggi può bastare Katie.”
 








.................................................................................................................
Angolo Autrice:
Buonasera! Per prima cosa, mi scuso se il capitolo è davvero lunghissimo, ma Nicholas è stato fonte di grande ispirazione... spero che non vi dia fastidio.
Ci avevate visto giusto tutte e Nick è il fratello di Kate/Juliet... spero che il capitolo vi sia piaciuto :)

Ed ora, come sempre, i nomi in lizza per il prossimo:

- Rose
- Foxtrot 
- Carter 

A presto! 
Signorina Granger 

 

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Capitolo 10
*** Rose Jade Williams ***


Capitolo 8: Rose Jade Williams


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La schiena protesa in avanti, inclinata e leggermente rigida, i talloni che spingevano verso il basso, una mano stretta sulle redini tenute piuttosto corte per avere maggiore presa e controllo del cavallo e l’altra che teneva il frustino.
Picchiettò leggermente sul collo del cavallo, incitandolo ad accelerare:
“Alé.”
 
E poi via, sfrecciando sulla stradina di ghiaia, attraversando la campagna per tornare a casa. Rose sorrise, perfettamente in equilibrio sulla sella di pelle nonostante il galoppo e le rapidissime falcate del cavallo nero.
Sua madre le raccomandava sempre di non correre troppo, ma disgraziatamente per lei sua figlia amava la velocità quando si trovava sul garrese di un cavallo, specialmente se si trattava di quello che aveva cresciuto personalmente insieme a suo padre.
 
Quando arrivò a pochi metri dalla stradina che conduceva al cancello di ferro aperto che segnava l’ingresso della tenuta dei suoi genitori la ragazzina si mosse sulla sella, stringendo leggermente la presa sulle redini mentre le tirava leggermente e ponendo nuovamente la schiena dritta per tornare al trotto.
Il collo del cavallo tornò dritto e dal movimento delle sue orecchie Rose intuì che non era particolarmente felice di essere già a casa e di dover trottare… La ragazzina rise, dandogli una lieve pacca sul lungo collo nero che scintillava sotto il sole:
 
“Anche a te piace correre, vero tesoro?”
Rose si fermò definitivamente quando fu davanti alla casa, mollando la presa sulle redini per disegnare un perfetto arco con la gamba destra e scivolare giù dal cavallo dal lato sinistro di questi.
 
La ragazzina prese le redini per farle scivolare lungo il collo e la testa di Ettore per prenderle e portarlo al suo box, quando la voce di sua madre arrivò alle orecchie della ragazzina:
 
“Rose! Non hai messo il cap, ancora!”
“Scusa mamma, me ne sono scordata…”
La ragazzina rivolse un sorriso angelico alla madre, che invece sospirò mentre la guardava dalla veranda, impegnata ad apparecchiare la grande tavola.
“E’ pericoloso Rosie… devi metterlo, se cadi puoi farti male.”
“Lo so… ma io non cado mai, giusto? Andiamo Ettore. Vengo subito ad aiutarti, prima lo sistemo però.”
 
Rose sorrise alla madre prima di allontanarsi insieme al giovane cavallo per portarlo dentro il maneggio, insieme a tutti i cavalli che la sua famiglia cresceva, allevava e addestrava.
 
La ragazzina gli sfilò le redini, legandolo ad uno dei chiodi affissi sulla parete perché stesse fermo mentre lo puliva, sfilandogli anche sella, sottosella e le protezioni sulle caviglie prima di strigliarlo.
“Mi mancherai quando sarò ad Hogwarts Ettore… Ma in Estate faremo moltissime passeggiate, vedrai.”
Rose sorrise, accarezzandogli il muso e lasciandogli un bacio sul naso prima di portargli del pane.
Suo padre le diceva di dargliene due solitamente… ma come al solito disobbedì e al suo cavallo preferito gliene diede quattro, guadagnandosi una pacca affettuosa sulla spalla con il muso da parte del cavallo.
Rose gli sorrise, slegandolo per portarlo nel suo box prima di tornare verso casa con un sorriso allegro stampato sul volto. Raggiunse la madre sulla veranda e fece per chiederle cosa potesse fare per rendersi utile, ma la donna la precedette:
“Via gli stivali sporchi, lasciali in un angolo.”
“Ok.”
Rose annuì slacciandosi prima le ghette nere e poi sfilandosi gli stivaletti prima di lasciare il tutto in un angolo e sorridere alla madre, avvicinandosi al tavolo apparecchiato:
“Posso fare qualcosa?”
“Controlla la carne, per favore.”
 
Rose annuì e tornò dentro casa per andare in cucina, facendo lo slalom tra i suoi tre fratelli maschi, i gemelli Robert e Rickon di 9 e Renan di 7 che stavano litigando per chissà quale giocattolo.
Sua sorella Roxanne di 5 anni era seduta sul divano in salotto e le sorrise quando la vide passare, sollevata di vedere la sorella maggiore:
“Rose, dopo giochi con me? Quei tre non mi vogliono perché sono una femmina…”
“Ma certo, dopo giochiamo a quello che vuoi… e con loro ci parlo io, non ti preoccupare.”
La maggiore del clan Williams sorrise alla bambina prima di superarla e andare in cucina, adoperandosi per controllare che niente bruciasse.
Stava spadellando le verdure quando sentì una manina tirarle i pantaloni, e abbassando lo sguardo Rose si ritrovò a sorridere, guardando la bambina che, gattonando, l’aveva raggiunta e la guardava con gli occhi azzurri spalancati:
“Ruby! Cosa c’è tesoro?”
 
In effetti tecnicamente la sorellina non avrebbe dovuto girovagare liberamente per casa, non quando c’erano i suoi disastrosi fratelli in giro e i loro quattro cani… ma probabilmente di tutti i suoi fratelli era l’unica a preoccuparsene.
Ruby allungò le braccine verso di lei, apparentemente triste visto che nessuno aveva badato a lei per qualche ora:
“Tata.”
“Vuoi aiutarmi a cucinare? D’accordo, vieni qua.”
Rose si chinò per prenderla in braccio, sorreggendola mentre continuava a controllare le varie pentole.
Le finestre erano aperte, lasciano che il sole e entrasse nella stanza in una di quelle ultime giornate di Agosto e Rose sorrise alla sorellina, che si era accoccolata sulla sua spalla:
“Mi mancherete quando sarò ad Hogwarts, sai? Spero solo che Rickon e Rob non mandino la casa a scatafascio in mia assenza… li controllerai tu per me, vero?”
 
*
 
Si chiuse la porta alle spalle e, sentendo le voci, attraversò l’ingresso deserto per raggiungere il grande salotto, dove alcuni Attivi e Guardiani si erano sistemati su divani e poltrone per guardare la tv.
Gli occhi verdi di Carter si catalizzarono su Erin, Whiskey, Hooland, Quebec, Echo e Foxtrot in mezzo ai membri delle altre squadre, avvicinandosi ai compagni:
“Ciao ragazzi… Juliet?”
“Non la vedo da un po’.”
Alle parole di Erin Carter si accigliò leggermente, ma annuì prima di girare sui tacchi e uscire dalla stanza per andare a controllare in cucina. Lì trovò Isla e Rose, e quando chiese pose loro la stessa domanda ricevette la medesima risposta.
 
Il ragazzo, leggermente confuso, raggiunse le scale per salire al piano di sopra e controllare nella camera della ragazza: era uscito per neanche quattro ore per fare visita ai suoi zii e cugini la sua Attiva spariva nel nulla?
Carter attraversò il corridoio, fermandosi davanti alla porta di Juliet… ma quando ci si fermò davanti si rese conto che era socchiusa, e spingendola appena l’anta si aprì un po’ di più, permettendogli di sbirciare all’interno della stanza.
Probabilmente voleva solo controllare, se avesse visto la ragazza dormire o comunque nella stanza si sarebbe limitato a salutarla e andarsene… vide Juliet in effetti, peccato che non fosse sola.
Si ritrovò a guardare, con orrore, Nicholas Bennet seduto sul materasso, dandogli le spalle mentre la guardava dormire.
Una vena iniziò a pulsare pericolosamente sulla tempia del ragazzo, prima che questi aprisse completamente la porta e entrasse nella stanza:
“Che stai facendo Bennet?”
 
Nicholas si voltò, osservandolo prima di parlare con il tono più rilassato del mondo, senza nemmeno muoversi… e probabilmente il suo tono tranquillo fece solo innervosire ancora di più il collega:
 
“Assolutamente niente… l’ho solo messa a letto, è un crimine?”
“No, ma… esci.”
Carter gli si avvicinò, prendendolo malamente per il collo della maglietta perché Nicholas si alzasse. Non sapeva nemmeno, di preciso, perché gli desse tanto fastidio… forse perché solitamente era lui che si fermava a guardarla dormire per un po’.
 
“Smettila di trattarmi come una specie di maniaco sessuale Halon! Metti la gelosia da parte e pensa lucidamente.”
“Non sono geloso… ma è la mia Attiva.”
“Questo non ti autorizza comunque a parlarmi come fai da qualche tempo… lei può passare il tempo con chi le pare.”
 
Probabilmente Carter avrebbe replicato, ma preferì uscire dalla stanza forse per evitare di svegliarla… i due erano, in effetti, appena usciti quando Quebec li vide, sorridendo:
 
“Nick! Eccoti finalmente… dov’eri finito?”
“Ero fuori.”
Alla risposta decisamente sbrigativa del ragazzo Carter gli rivolse un’occhiata truce, osservandolo attentamente:
 
“Hai detto che l’hai messa a letto… quindi si è addormentata altrove.”
 
E se nessuno l’aveva vista da qualche tempo…
 
Nicholas non ebbe il tempo di scansarsi, il pugno di Carter lo colpì in piena faccia, sul naso e facendolo sanguinare.
 
“L’hai portata fuori mentre io non c’ero? Come ti sei permesso, schifoso pezzo…”
Carter lo colpì di nuovo, allo stomaco, mentre Quebec, sospirando, si avvicinava ai due che ormai avevano iniziato a darsele di santa ragione sul pavimento del corridoio.
 
“Ragazzi, finitela… Carter, smettila.”
Quebec afferrò il Guardiano per le spalle, cercando di allontanarlo dal biondo sul quale si era messo a cavalcioni per colpirlo sul volto, ma la mano di Nicholas gli afferrò prontamente il polso, evitandosi il colpo.
 
“Quebec, stanne fuori.”      Le parole di Carter non fecero minimamente vacillare l’Attivo, che parlò con tono noncurante mentre i due Guardiani si guardavano quasi con odio.
“Non ho nessuna intenzione di portarvi da Alpha e spiegargli che vi siete pestati solo perché tu sei geloso e Nicholas impulsivo.”
 
Quebec spinse Carter via da Nicholas, che si rialzò a fatica mentre la porta accanto a loro si apriva e una Juliet scioccata faceva capolino nel corridoio, guardandoli con gli occhi spalancati:
 
“Che state facendo? Stai bene?”
Juliet si avvicinò a Nicholas, aiutandolo a rialzarsi mentre Carter si scrollava dalla presa di Quebec, guardando  i fratelli Bennet, anche se lui non sapeva che lo fossero, quasi con rabbia.
 
“Benissimo… il tuo Guardiano è un po’ esagitato, però.”
Nicholas sbuffò, sfiorandosi il naso sanguinante mentre l’Attiva si voltava verso Carter e Quebec, rivolgendo un cenno all’amico:
 
“Quebec, puoi accompagnare Nicholas in infermeria per favore?”
“Certo… andiamo.”
 
“Posso andarci da solo!”
Juliet rivolse un’occhiata torva al Guardiano, che sbuffò e acconsentì silenziosamente mentre si avvicinava a Quebec. Nel frattempo anche Erin, Whiskey, Foxtrot, Hooland ed Echo li avevano raggiunti, probabilmente attratti dalle voci.
 
“Che succede?”
Foxtrot osservò la scena con gli occhi sbarrati, mentre invece Erin sospirò e scosse appena il capo, borbottando che “avrebbe dovuto immaginarlo” mentre Quebec spingeva Nicholas via dalla scena quasi di peso:
 
“Niente ragazzi, tornate pure di sotto… qualcuno è nervosetto stasera.”
 
“Carter, vieni.”
“Preferisco stare da solo adesso.”
Carter fece per girare sui tacchi e andare in camera sua, ma Juliet lo prese per un braccio e gli rivolse un’occhiata truce, come a dirgli che non ammetteva repliche prima di spingerlo dentro la propria camera.
 
“Si può sapere che razza di problemi hai? Ci metto la mano sul fuoco che hai cominciato tu. Siediti.”
“Resto in piedi.”
“SIEDITI.”
 
Di fronte al tono della ragazza Carter si ritrovò suo malgrado ad obbedire, sedendo sul letto e incrociando le braccia al petto mentre lei borbottava quanto fossero stupidi mentre faceva comparire cotone e disinfettante.
“Perché lo hai colpito, Carter?”
“Ti ha portata fuori mentre io non c’ero… ci vuole il mio permesso.”
“Glielo avresti dato?”
“Certo che no!”
“E allora non stupirti se l’ha fatto.”   Juliet sbuffò, sedendosi accanto a lui e allungando una mano per sfiorargli il labbro, ma il ragazzo si scostò leggermente, voltandosi verso di lei di scatto:
 
“Dove ti ha portata?”
“Non è successo niente Carter, abbiamo fatto solo un giro in macchina… ha detto che secondo lui ne avevo bisogno, e forse era così… ci siamo fermati per un po’ sulla spiaggia e basta, io mi sono addormentata e mi ha riportata qui.”
 
Juliet gli mise una mano sul volto, avvicinando di nuovo il cotone per sfiorargli il labbro sanguinante. Questa volta Carter non si mosse e la ragazza sorrise appena, continuando ad osservarlo attentamente:
 
“Perché te la sei presa così tanto?”
“Sono tornato e… lui era qui, sul tuo letto, ti guardava dormire.”
“E perché ti sei arrabbiato?”
“Perché… è una cosa che faccio io, spesso. Sai che non dormo molto.”
 
Carter distolse lo sguardo, evitando di guardarla mentre lo stupore si dipingeva, per un attimo, sul volto di Juliet:
 
“Davvero? Perché lo fai?”
“Non lo so, quando ero piccolo e non riuscivo a dormire guardavo i miei cugini addormentati… non lo so. Forse quando dormi mi piaci di più perché non parli.”
Juliet lo colpì sul braccio, facendolo sorridere appena mentre lei continuava a tamponargli il viso col cotone.
 
“Carter… a me non piace Nicholas. E io non piaccio a lui.”
“Ho qualche dubbio sulla prima parte e moltissimi sulla seconda… se non gli piaci perché si comporta così?”
Juliet sospirò, lasciando il cotone sul letto per prendergli il viso con entrambe le mani, costringendolo a guardarla:
 
“Carter… a me non piace Nicholas. Perché dovrei mentirti su questo?”
“Le persone mentono spesso su queste cose, Juliet. Lo faccio anche io, quando dico che mi preoccupo per te solo perché se ti succedesse qualcosa la DeWitt mi ucciderebbe.”
 
Carter si maledisse mentalmente, pentendosi immediatamente di aver detto quelle parole mentre invece Juliet, dopo un attimo di stupore, sorrideva:
“Davvero? Beh, grazie al cielo, sarebbe stato triste reputarti tanto materialista.”
 
Il Guardiano non disse niente, restando in silenzio e limitandosi a guardarla mentre un fiume di immagini gli inondava la mente, ripensando a tutte le volte in cui, durante le missioni, Nicholas si era avvicinato alla sua Attiva per chiederle se stesse bene… a tutte le volte in cui si era visibilmente preoccupato per lei. Ripensò a tutte le volte in cui l’aveva visto osservarla da lontano, in un angolo, quasi con aria malinconica. E poi pensò a quella sera, quando mentre lui non c’era aveva portato la sua Juliet fuori dalla Casa, chissà perché e chissà a fare cosa.
Di fronte a quelle immagini sgradevoli Carter contorse la mascella, continuando a tenere gli occhi verdi fissi su quelli di Juliet e cercando di non darci troppo peso… ma disgraziatamente la sua immaginazione stava volando, e non gli piaceva nemmeno un po’ ciò che vedeva.
 
Sì, lei era la sua Attiva, la sua Juliet.
Quasi senza pensarci Carter si sporse verso di lei, impossessandosi della sua bocca carnosa che tante volte aveva guardato, chiedendosi come sarebbe stato baciarla.
Juliet sgranò gli occhi di fronte a quel gesto decisamente inaspettato, ma li richiuse quando la mano di Carter finì sulla sua nuca, tra i suoi capelli, spingendola ulteriormente verso di lui per approfondire quel contatto per niente delicato, quasi rabbioso e che esprimeva una buona dose di gelosia e possessività.
 
Una mano di Carter scivolò sulla sua vita per stringerla a sé quando Juliet si mosse, staccandosi da lui e alzandosi improvvisamente dal letto, lasciandolo sorpreso, leggermente deluso e con il fiato corto.
 
“Juls, cosa…”
“Scusa… non è il caso. Esci, per favore.”
La mano dell’Attiva finì sulla maniglia della porta, aprendola nuovamente mentre Carter si alzava, continuando a guardarla con leggera confusione.
 
“Juliet…”   Si fermò di fronte a lei e allungò una mano per sfiorarle il viso, ma la ragazza scosse il capo e si ritrasse, invitandolo nuovamente ad uscire:
“No… per favore, vai.”
 
Carter contorse la mascella, morendo dalla voglia di chiederle che cosa avesse fatto di sbagliato… certo, l’aveva respinto, ma non subito dopotutto.
Le rivolse un’ultima occhiata prima di obbedire e uscire dalla stanza, sentendo un macigno piombargli sullo stomaco quando la porta si richiuse subito alle sue spalle.
 
Il ragazzo sospirò, passandosi stancamente una mano tra i capelli castani mentre si avvicinava alla sua camera, chiedendosi che cosa passasse davvero per la testa di Juliet.
 
*
 
Ormai erano rimasti in pochissimi ancora da Smistare… e quando venne chiamata Rose si avvicinò allo sgabello dove si sarebbe dovuta sedere con non poca titubanza, a disagio nel trovarsi sotto gli occhi di tutte quelle persone.
Tuttavia, con somma gioia della ragazzina, la sua agonia durò ben poco: il Cappello Parlante aveva appena sfiorato la sua testa quando urlò qualcosa a tutta la Sala Grande, annunciando che la ragazzina era una nuova Tassorosso.
Un sorriso di sincero sollievo spuntò sul volto della ragazzina, felice di essere una Tassorosso come suo padre prima di lei… in effetti l’aveva sentito spesso dire, negli ultimi tempi, che sarebbe stata benissimo in quella Casa. A quanto sembrava, non si era sbagliato.
Senza farselo ripetere due volte Rose raggiunse la tavolata della sua Casa, che stava applaudendo, prendendo posto accanto agli altri “nuovi arrivati”.
Il ragazzi che le si era seduto di fronte le rivolse un sorriso, allungando ina mano sopra al tavolo per presentarsi mentre lo Smistamento continuava:
“Ciao… sono Julian.”
“Rose.”
La ragazzina sorrise, stringendola leggermente mentre il loro coetaneo che si era seduto accanto a Julian sbuffava leggermente, rivolgendogli un’occhiata in tralice:
“Che cosa fai Jones, ti vuoi accaparrare fin da subito le più belle? Io sono Hooland.”
Le sorrise a sua volta e Rose ricambiò, senza poter immaginare che di lì a poco quei due sarebbero diventati praticamente la sua seconda famiglia.
 
*
 
Teneva gli occhi chiari fissi sullo schermo, osservando la sequenza di scene che gli si proponevano.
In effetti quando, poco prima, aveva trovato Carter e Nicholas a picchiarsi nel bel mezzo del corridoio era stato tentato di dire a Juliet e Quebec di non dividerli: era uno spettacolo quasi divertente infondo…
E in un certo senso era piacevole sapere di essere quasi l’unico, lì dentro, a conoscere veramente i fatti.
Il salotto ormai era deserto, molti dei suoi compagni dopo quello spettacolo erano andati a dormire… o erano andati a trovare Nick in infermeria, come Echo e Foxtrot.
 
Stava guardando la tv in pace, da solo, o almeno finché non sentì dei passi avvicinarsi.
Voltandosi Hooland vide Rose entrare nella stanza, le rivolse anche un sorriso ma lei non sembrò badarci, andando a sedersi su una poltrona invece che accanto a lui come faceva di solito.
“Rosie? Cosa fai, vieni qui.”
“Sto bene qui, grazie.”
“Mi terrai il muso ancora a lungo?”
“Io non riesco mai a tenerti il muso a lungo…”
 
Rose sbuffò, parlando quasi con amarezza mentre Hooland invece sorrideva, guardandola con cipiglio divertito mentre le suggeriva nuovamente di avvicinarsi.
Alla fine la ragazza cedette, alzandosi e avvicinandosi a lui. Probabilmente si sarebbe seduta sulla poltrona sistemata accanto al divano che il ragazzo aveva interamente occupato stravaccandocisi sopra, ma il Tassorosso si spostò contro lo schienale di pelle e tamburellò con una mano sullo spazio vuoto accanto a lui.
“Non mi metto lì.”
“Non fare storie Williams.”
 
Hooland sbuffò leggermente, prendendola per un braccio e attirandola a sé con uno strattone.
Rose si ritrovò, suo malgrado, stesa sul divano accanto a lui, che la cingeva con un braccio per non farla cadere e che sorrideva con aria soddisfatta.
“Così va bene.”
“Come ti pare… stai guardando Beautiful?”
“Sì, sai che mi diverte…”
“Ma Ridge e Brooke non si erano lasciati?”
“Si sono sposati di nuovo, credo che sia l’ottava volta ormai…”
 
Hooland si strinse nelle spalle, non provando nemmeno a fare il conto di tutte le volte in cui la protagonista bionda della soap si era sposata… sarebbe stato pressoché impossibile.
 
“Non capirò mai perché guardi questo genere di cose, Hool… sei assurdo.”
“Mi divertono tutti gli intrighi assurdi. In effetti la scena di prima richiamava un po’ una soap, non trovi? I due fratelli divisi, uno non si ricorda dell’altro e il poveretto innamorato della sorella non si rende conto di nulla ed è geloso…”
Hooland sorrise, gli occhi azzurri quasi luccicanti mentre Rose invece sospirò, appoggiando la testa sulla sua spalla e giocherellando distrattamente con la cerniera aperta della sua felpa.
 
“Pensi che dovremmo dirlo a Carter? Forse sarebbe meglio…”
“Credo che spetti solo a Nicholas dirglielo… ma quasi quasi spero che continuino a fare così, è stato divertente… stavo quasi per andare a dividerli, ma ci ha pensato Quebec.”
 
L’ex Tassorosso si strinse nelle spalle, ripensando all’ultima volta in cui si era effettivamente messo in mezzo in una rissa… era passato un po’, ma l’aveva fatto proprio a causa della ragazza che in quel momento teneva tra le braccia.
 
“Rosie… mi perdoni?”
“Razza di stupido, non posso restare arrabbiata con te per più di tre ore… e smettila di farmi gli occhi dolci.”
Rose sbuffò, cercando di non guardarlo in faccia mentre il ragazzo sfoggiava la sua migliore espressione da cane bastonato:
“Guarda che non ti volevo offendere Rose… secondo me ti starebbe bene invece…”
“LA VUOI SMETTERE?”
“Ok, ok, la pianto… in effetti ti avevo fatto un altro regalo, se devo essere onesto.”
“Fammi indovinare, questo invece di nero me lo hai preso rosso?”    Rose inarcò un sopracciglio, rivolgendogli un’occhiata scettica mentre Hooland invece scosse il capo, non facendo caso al suo tono ironico:
“No, magari la prossima volta… ti ho preso qualcos’altro. L’ho lasciato nella tua camera mentre cenavi… non sei curiosa di scoprire cosa ti ha comprato il tuo meraviglioso amico Hooland?”
 
“No.”
“Non prendermi in giro, ti conosco e so quanto tu sia curiosa… vai a vedere, muoviti.”
 
Hooland sorrise, quasi spingendo la ragazza giù dal divano e facendola sbuffare:
 
“Va bene, vado. Ma se è un altro completino o cose simili farò sparire la tua collezione di felpe, sappilo.”
Il Tassorosso annuì, seguendola con lo sguardo e chiedendosi se non avrebbe dovuto seguirla: in effetti gli sarebbe piaciuto vedere la sua faccia quando avrebbe aperto il secondo regalo… però non poteva nemmeno perdersi Taylor che tornava magicamente in vita per la terza volta, no?
 
*
 
Continuava a camminare avanti e indietro nella Sala Comune, praticamente nel panico mentre Julian teneva gli occhi fissi su di lei, leggermente preoccupato:
“Rose… calmati. Sono sicuro che sta bene.”
“CALMARMI? Non posso Julian, ti rendi conto che è sparito da due settimane? Dove accidenti si è cacciato? Magari si è fatto male, magari è sanguinante da qualche parte e noi non lo sappiamo… o forse si è di nuovo perso nella Foresta Proibita perché ha sempre la testa tra le nuvole e non pensa a dove sta andando! Non ci voglio pensare… vado a cercarlo.”
 
“Non ci pensare nemmeno, non ti lascio andare da sola nella Foresta Proibita!”
Julian sbuffò, bloccando la strada all’amica. Due settimane prima aveva cercato di svegliare Hooland per andare a lezione, ma lui non si era mosso dal letto… Alla fine Julian aveva deciso di lasciar perdere ed era sceso per la colazione senza di lui, sicuro che sarebbe arrivato… in ritardo magari, ma sarebbe arrivato. E invece non l’aveva più visto, ormai tutto il loro corso era in agitazione e Rose definitivamente nel panico, aveva la sensazione che non dormisse da diversi giorni e passava tutto il tempo libero a setacciare il castello per cercarlo.
 
“Non mi interessa, ci vado lo stesso!”
“Scordatelo… spunterà fuori, vedrai.”  Julian sospirò, stringendola in un abbraccio per cercare di tranquillizzarla, ma Rose scosse il capo, continuando a pensare al suo amico e chiedendosi dove fosse e se stesse bene… due settimane intere senza di lui in quel castello erano state praticamente tremende.
 
“Facciamo così… vado a vedere nella Stanza delle Necessità, tu resta qui. E riposati, per favore.”
Julian le rivolse un lieve sorriso e la ragazza annuì, guardandolo uscire dalla Sala Comune senza muoversi di un millimetro.
Julian era appena sparito quando la ragazza si mosse, girando sui tacchi per andare dritta nel Dormitorio maschile, più precisamente neLla stanza di Julian, Hooland e gli altri studenti del sesto anno.
Quando l’ebbe raggiunta la ragazza puntò dritta al baule dell’amico, cercando la mancanza di qualcosa… era davvero sparito nel nulla senza portarsi niente al seguito?
Eppure tutti i suoi vestiti c’erano, i suoi amati fumetti, gli aggeggi tecnologici che aveva modificato in modo che riuscisse a raggirare le barriere magiche e quindi funzionavano anche dentro Hogwarts… strano, l’unica cosa che mancava era il suo cuscino.
 
Rose sospirò, sedendosi sul letto del ragazzo e prendendosi il viso tra le mani con aria sconsolata, chiedendosi dove fosse Hooland… non sapeva nemmeno se quando l’avrebbe rivisto l’avrebbe abbracciato o ucciso.
Dopo qualche minuto la ragazza lasciò la stanza, dicendosi che magari le avrebbe fatto bene approfittare del sabato e dormire un po’…
Invece finì col girovagare per la Sala Comune come un’anima in pena, non riuscendo proprio a tranquillizzarsi.
Stava attraversando ancora una volta il dedalo di corridoi, dove di tanto in tanto faceva capolino qualche insenatura del muro, quando la Tassorosso si bloccò, gli occhi sgranati e fissi su un’insenatura piuttosto larga presente infondo al corridoio.
Pazzesco… era forse un’allucinazione?
“Hool!”
La  ragazza corse verso il compagno che dormiva placidamente, il capo appoggiato al cuscino e un’espressione piuttosto rilassata.
Hooland aprì pigramente gli occhi solo quando Rose lo chiamò di nuovo prima di abbracciarlo, immensamente sollevata di vederlo.
“Finalmente… ma dove sei stato?”
“Mh? Mi nascondevo qui, quando eravate a lezione uscivo e gironzolavo… come va Rosie?”
 
Hooland sorrise all’amica, che invece sfoggiò un’espressione parecchio seccata mentre lo guardava mettendosi le mani sui fianchi:
“SEI SEMPRE STATO QUI? Stupido Magnus!”
“Ahia!”    Hooland sfoggiò una smorfia, massaggiandosi la spalla che Rose aveva colpito mentre lo guardava quasi senza riuscire a credere alle sue parole, leggermente rossa in volto:
“Sei stato qui a dormire per due settimane?”
“Beh, mi sono rilassato un po’…”
“Mi fa piacere sentitelo dire visto che IO non dormo da praticamente due settimane per l’ansia… ero preoccupatissima! A volte ti prenderei a schiaffi!”
 
Rose sbuffò prima di girare sui tacchi e andarsene, mentre Hooland sorrideva appena e si alzava, prendendo il cuscino per seguirla:
 
“Dai Rosie, scusa… non fare così!”
“Non voglio vederti, sparisci pure per un’altra settimana!”
Ovviamente meno di mezz’ora dopo erano accoccolati uno accanto all’altro su uno dei divani della Sala Comune e Rose aveva già smesso di fare l’arrabbiata.
 
*
 
November sbuffò, continuando a rigirarsi nel letto senza riuscire a dormire: continuava a ripensare a quello che aveva visto solo poche ore prima… che cos’erano quelle immagini?
E la testa le doleva leggermente, ma sapeva che se l’avesse detto a Nicholas lui l’avrebbe portata dalla DeWitt… e no, non voleva farsi passare il dolore in quel modo, perché sapeva che lei avrebbe anche provveduto a cancellare quelle strane immagini.
 
E poi c’era quel nome… Keller. Perché aveva visto Juliet svegliarla? Era strano, non ricordava che fosse mai successo, eppure allo stesso tempo le sembrava di ricordare una scena simile.
Seppellì il viso nel cuscino, chiedendosi che cosa stesse succedendo… senza contare che a quanto sembrava Nick e Carter si erano picchiati, anche se lei non aveva assistito alla scena poi era andata a trovare il suo Guardiano in Infermeria. Gli aveva chiesto cosa fosse successo, ma il ragazzo non si era dilungato troppo in spiegazioni, né con lei né con gli altri… e sicuramente nemmeno Carter avrebbe proferito parola.
Stava succedendo qualcosa in quella Casa… rimaneva solo da fare chiarezza.
 
*
 
Teneva gli occhi chiusi, rilassandosi appieno e godendosi la sensazione del sole sulla pelle, insieme all’erba che le pizzicava piacevolmente le gambe e al leggero venticello.
 
Rose riaprì però gli occhi quando sentì qualcuno depositarle un bacio su una guancia, facendola sorridere al ragazzo che si ritrovò accanto:
“Ciao… non ti ho sentito.”
“Ti ho vista e non ho resistito dal venirti a salutare… ti godi il sole?”
“E’ raro che qui compaia, dopotutto… un altro anno sta finendo, sono gli ultimi giorni per goderci il clima insolitamente piacevole.”
Rose si strinse nelle spalle, sorridendo mentre il ragazzo si stendeva sul prato accanto a lei, sporgendosi leggermente per baciarla.
“Mi mancherai quest’estate…”
“Anche tu, ma sono felice comunque di tronare a casa… mi mancano le mie sorelline e i miei genitori. Anche se ovviamente sentirò la mancanza tua, di Julian e Hool.”
“Certo, sia mai che Jones e Magnus non ti manchino…”
“Non essere geloso Jason, sono i miei migliori amici.”
 
Rose sorrise al Corvonero, che probabilmente avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro ma non lo fece, ammorbidendosi come sempre di fronte al sorriso dolce di quella che da poche settimane era la sua ragazza.
“Sono stato convinto a lungo che ci fosse qualcosa tra te e uno di loro… in realtà credo che l’abbiano sempre pensato tutti, siete molto uniti. Specialmente te e lo spilungone…”
“Non chiamarlo così. Voglio molto bene ad entrambi, Julian per me è come un altro fratello.”
“E Magnus?”
 
Rose non rispose subito, esitando per un attimo prima di stringersi nelle spalle, sorridendo al ragazzo:
“Anche lui, ovviamente.”
 
*
 
Non appena mise piede nella sua camera Rose catalizzò la sua attenzione sulla scatola appoggiata sul suo letto, avvicinandosi con un lieve, involontario sorriso.
 
Mise le mani sul coperchio, esitando prima di sollevarlo e chiedendosi se non dovesse preoccuparsi… ma quando si decise e aprì la scatola, scostando la carta che ne proteggeva il contenuto, il suo sorriso si allargò e sfiorò il tessuto nero del vestito.
C’era anche un biglietto in effetti, che la Tassorosso si affrettò a leggere prima di sollevare il vestito, tirandolo con delicatezza fuori dalla scatola per osservarlo meglio.
 
Sono assolutamente sicuro che ti starà bene anche questo, ma spero che questa volta non te la prenderai…
 
*
 
Si morse leggermente il labbro mentre continuava a leggere il libro che aveva preso in prestito, facendo dondolare leggermente la gamba che teneva accavallata sull’altra.
Il settimo anno era iniziato da meno di due mesi e già tutti ne sentivano il peso… per quella sera però aveva deciso di rilassarsi un po’, mettendosi a leggere in un’aula vuota, lontana dalla confusione della sua Sala Comune o dal mare di studenti che affollavano sempre la Biblioteca.
Sentiva da qualche minuto il peso del suo sguardo su di sé, ma non ci aveva fatto molto caso… o almeno finché non le si era avvicinato, strappandole il libro di mano e lasciandolo sul banco prima di baciarla.
Rose non si oppose, rispondendo al bacio… o almeno lo fece finché Jason non si staccò, scendendo a baciarle il collo mentre appoggiava una mano sulla porzione di coscia lasciatole nuda dalla gonna della divisa.
La Tassorosso s’irrigidì, deglutendo e restando perfettamente immobile mentre una spiacevole sensazione la invadeva.
“Jason…”
La ignorò, continuando a baciarle lembi di pelle sul collo mentre la mano sinistra raggiungeva lo scollo della camicia bianca, iniziando a sbottonarla mentre la destra risaliva lentamente la gamba della ragazza.
Rose dischiuse le labbra, non riuscendo a muoversi mentre scuoteva leggermente il capo, parlando nuovamente con un filo di voce.
“Jason, non... non voglio farlo.”
“Sì invece.”
Rose sentì gli occhi inumidirsi mentre stringeva convulsamente il bordo del banco accanto a lei, maledicendosi mentalmente per essere andata dentro una dannata aula deserta… e di certo a quell’ora non sarebbe entrato proprio nessuno.
“Smettila.”
Fece per alzarsi, ma il Corvonero la costrinse a restare seduta mentre ormai le aveva completamente aperto la camicia.
“Sta’ zitta, Rose.”
Le tappò la bocca con una mano mentre smetteva di baciarle il collo, scendendo sulla clavicola mentre un paio di lacrime uscivano dagli occhi chiari della ragazza, bagnandogli la mano.
Stava per sfilarle la camicia bianca, mentre la mano della Tassorosso cercava, invano, di allontanarlo da sé, quando il Corvonero si ritrasse, imprecando a causa del calcio sullo stinco che lei gli aveva assestato.
Senza indugiare Rose si alzò, raccogliendo la sua borsa dal pavimento e sistemandosela sulla spalla prima di avvicinarsi di corsa alla porta della stanza, aprendola prima di correre fuori mentre si abbottonava la camicia con le mani tremanti e gli occhi lucidi.
Le parve di sentirlo chiamarla ma non si voltò e di certo neanche si fermò, non lo fece finché non fu dentro la sua Sala Comune.
 
*
 
Non era mai riuscito a dormire per più di tre ore a notte, ma quella sera sapeva che non avrebbe dormito nemmeno un po’… pazienza, ormai tutti erano abituati alle sue occhiaie.
Sorrise appena nel ricordare quando Juliet, una volta, gli aveva detto che a lei piacevano molto… ma smise immediatamente di farlo ripensando a quello che era successo qualche ora prima.
Si chiese con che coraggio avrebbe parlato e vegliato su di lei dopo quella sera… perché l’aveva respinto? Non capiva. Pensava che lei lo ricambiasse, ma evidentemente si era sbagliato… anche se non l’aveva respinto subito, in effetti.
Carter sbuffò mentre, steso sul suo letto perfettamente vestito, teneva gli occhi fissi sul soffitto senza sentire la benché minima stanchezza… no, non avrebbe dormito per niente, lo sapeva.
 
Quando sentì la porta aprirsi il ragazzo si voltò, quasi sperando che fosse lei… invece s’irrigidì quando si ritrovò davanti l’ultima persona che avrebbe immaginato di vedere in quel momento, probabilmente.
“Ciao Halon… prima che tu mi prenda a pugni di nuovo, io e te dobbiamo parlare.”
 
Nicholas rimase immobile sulla soglia finché Carter non gli rivolse un cenno, invitandolo ad entrare: voleva proprio sentire cosa avesse da dirgli… forse finalmente ci avrebbe visto più chiaramente in quella storia?
“D’accordo Bennet… cosa vuoi?”
“Voglio parlarti di Juliet, visto che è evidente che tu tenga molto a lei.”
 
Carter si mise immediatamente a sedere sul letto mentre Nicholas si chiudeva la porta alle spalle, sedendo su una sedia e osservandolo con il naso rimesso perfettamente in sesto grazie alla magia, così come gli altri tagli.
Il biondo quasi sorrise, assolutamente certo di essersi appena assicurato la completa attenzione del ragazzo.
 
*
 
Seth Redclaw sorrideva mentre quasi saltellava allegramente verso la Biblioteca per raggiungere Kate e studiare insieme a lei. In effetti forse era troppo allegro, tanto che non si accorse della ragazza che stava camminando nella direzione opposta, o forse quasi correndo, e le finì addosso, facendole cadere i libri che teneva tra le braccia.
 
“Oh, scusami tanto Rose… non guardavo dove stavo andando.”
“Non importa Seth, non ti preoccupare.”
Rose si chinò per recuperare i libri e Seth la imitò, raccogliendone uno e rivolgendole un’occhiata incerta di fronte al suo tono di voce molto flebile… senza contare che la Tassorosso evitò accuratamente di guardarlo in faccia.
 
“Tutto bene Rose?”
“Certo. Grazie per i libri.”   La ragazza si rialzò, prendendo i libri dalle mani del compagno mentre questi si accigliava leggermente, osservando il collo della ragazza.
 
“Rose, che cos’hai sul collo?”
“Scusa Seth, ma devo proprio andare.”   La mano della ragazza afferrò il colletto bianco della camicia per coprirsi leggermente il collo e i diversi segni violacei che riportava, superando il Grifondoro prima di dargli il tempo di dire altro.
Seth invece per qualche istante non si mosse, voltandosi e seguendola con lo sguardo. La guardò allontanarsi a passo svelto e non potè fare a meno di dirsi che c’era qualcosa che non andava nell’atteggiamento della Tassorosso.
 
*
 
Rose scese le scale con un sorriso stampato sul volto, trotterellando verso il salotto per raggiungere nuovamente Hooland. Il ragazzo era ancora stravaccato sul divano, impegnato a guardare la soap Babbana, ma sentendola arrivare si voltò, sorridendo:
 
“Eccoti qui. Piaciuto il regalo?”
“Molto… grazie.”   Rose sorrise, chinandosi per lasciargli un lieve bacio su una guancia mentre Hooland sollevava un sopracciglio, sfoggiando un sorrisetto:
 
“Mi raccomando, prima o poi voglio vederti con il vestito addosso. Magari anche con il primo regalo, in effetti…”
“Ricominci a fare l’idiota?”   Rose gli assestò un lieve colpetto sul braccio, facendolo ridacchiare mentre la guardava con affetto.
“Tanto so benissimo quanto tu mi voglia bene Rosie… non sai mentirmi, è una delle cose che più adoro di te.”
 
“Se lo dici tu… Vado a dormire, buonanotte.”
“Non resti qui a farmi compagnia prendendo in giro Ridge e Brooke?”
“No, ho sonno… ci vediamo domani.”
 
Rose gli rivolse un sorriso prima di allontanarsi, mentre Hooland restava immobile, limitandosi a seguirla con lo sguardo.
Sogni d’oro Rosie.”
 
*
 
Tornata in Sala Comune si era rannicchiata in un angolo, dietro ad un divano, impegnata a sistemarsi meglio che poteva il braccio con la magia.
Trattenne a fatica un singhiozzo, non sapendo se le lacrime erano dovute al dolore fisico o a quello psicologico.
Si sfiorò il polso con la mano ma la allontanò subito, imprecando mentalmente per la fitta di dolore.
Non poteva farlo nella sua camera, aveva paura di svegliare qualcuna tra le sue compagne… non le restava che rannicchiarsi in un angolo e sperare che nessuno sarebbe sceso, in effetti era abbastanza tardi, o che comunque non avrebbe fatto caso a lei.
“Gratta e netta.”
Sbuffò, guardando la camicia bianca che teneva tra le mani pulirsi sotto l’effetto della magia mentre lei indossava solo il maglione, se l’era sfilata non appena era entrata lì dentro: indossarla ancora sentendoci il suo odore impresso le faceva quasi venire i conati di vomito.
Abbassò lo sguardo sul suo braccio, lasciato scoperto dalla manica sollevata del maglione, e si chiese quanto ci avrebbe messo a far sparire i lividi… per fortuna indossava sempre la divisa ed era Autunno, teneva sempre le maniche fino ai polsi.
 
“Rosie? Che cosa stai facendo?”
La Tassorosso si sentì raggelare nell’udire una voce decisamente familiare, e dopo un attimo di esitazione sollevò lo sguardo, alzandosi in piedi e trovandosi così un Julian visibilmente confuso davanti:
“Ciao… io… non riuscivo a dormire. Tu?”
“Nemmeno io, volevo bere un bicchiere d’acqua. Tutto bene? Sembri scossa… e sei vestita.”
 
Julian si accigliò, studiando l’amica e accorgendosi che indossava la divisa… o almeno una parte, teneva la camicia stretta in mano.
Rose si morse il labbro, non sapendo cosa dire mentre gli occhi del ragazzo si catalizzavano sul collo dell’amica e poi sul suo braccio.
“Rose… che cosa hai fatto?”
“Non è niente.”    La mano della ragazza fece scivolare prontamente la manica nera del maglione, ma Julian mosse comunque un paio di passi versi di lei, raggiungendola e mettendole una mano sulla spalla per impedirle di scappare. Le sollevò nuovamente la manica del maglione, guardandole con orrore il braccio e specialmente il sottile polso violaceo prima di fare la stessa operazione con il braccio sinistro.
“Rose… perché hai tutti questi lividi?”
Julian alzò lo sguardo, allungando una mano per sfiorarle il collo mentre Rose continuava ad evitare di guardarlo, gli occhi azzurri nuovamente lucidi.
“Julian, spostati… sono stanca. Non importa, davvero.”
“Rose, sei vestita. Dove sei stata?”
 
Julian le prese con delicatezza il mento per costringerla a guardarlo, mentre lei scuoteva leggermente il capo:
“Per favore. Non voglio parlarne.”
Julian allungò una mano, prendendo la sua camicia e trovandola leggermente umida:
 
“Perché te la sei tolta?”
“Io non...”
Rose sollevò una mano, premendosela sulle labbra per ammortizzare il singhiozzo, prima che Julian sospirasse e l’avvolgesse in un abbraccio, lasciando che l’amica, definitivamente in lacrime, appoggiasse il capo sul suo petto.
“Jason.”
“E’ LUI che ti ha fatto questo?”
 
Julian sgranò gli occhi e Rosie annuì, staccandosi leggermente da lui per poterlo guardare in faccia:
“Non dirlo ad Hooland. Per favore… non dirlo a nessuno.”
“Come faccio a non dirlo ad Hooland, Rosie? Mi ucciderà quando lo scoprirà!”
“Non lo scoprirà, ok?”
Di fronte allo sguardo implorante della ragazza il Tassorosso non riuscì a non annuire, abbracciandola nuovamente.
“Come vuoi… Ma Rose, ti ha…”
Julian esitò, non volendo neanche terminare la frase a voce alta… ma per fortuna non ce ne fu bisogno perché Rose capì comunque, scuotendo il capo tra le lacrime.
“No, è proprio questo il punto… io non voglio farlo. E allora lui mi…”
“Ok, ho capito, non dire altro… non ti preoccupare Rose. Ma perché non me lo hai detto?”
 
“Dirti cosa? Che sono una stupida che non ha la forza di opporsi fino in fondo?”
Rose scosse il capo e il ragazzo sospirò, continuando ad abbracciarla e appoggiando il mento sul suo capo, ripromettendosi che anche se l’amica non voleva che si sapesse entro la fine dell’anno l’avrebbe fatta pagare a Jason Craig.
 
*
 
Stava parlando da un po’ ormai, ma era sicuro che l’amico non lo stesse ascoltando… almeno non del tutto, Hooland aveva visibilmente la testa da un’altra parte.
Era da un paio di settimane ormai che Seth ci pensava, ma ancora non aveva detto niente… eppure sentiva di doverlo fare, specialmente con lui.
“Hool, c’è una cosa che dovrei dirti… riguarda Rose.”
Hooland Magnus solitamente ti ascoltava veramente solo quando parlavi di qualcosa che gli interessava… e sentendo quel nome il Tassorosso catalizzò immediatamente l’attenzione su di lui:
 
“Io credo… che ci sia qualcosa che non va.”
 
*
 
Carter, in silenzio, fissava un punto del parquet mentre Nicholas lo osservava, con un lieve sorriso stampato sul volto:
 
“Ti senti tremendamente stupido, Halon? In tal caso concordo pienamente con te.”
“Zitto… avresti dovuto dirmelo prima, come potevo immaginare che è tua sorella?”
“Forse se non fossi stato accecato dalla gelosia nei suoi confronti avresti capito che c’è qualcosa che ci lega. Ad ogni modo, ho pensato che fosse meglio che tu lo sapessi per evitare altri equivoci.”
 
Nicholas si strinse nelle spalle e si alzò per uscire dalla stanza, ma si era appena avvicinato alla porta quando la voce di Carter lo costrinse a fermarsi:
 
“Come si chiama?”
 
Nicholas si voltò nuovamente verso il collega, che alzò a sua volta lo sguardo per posarlo su di lui, guardandolo in attesa.
“Me lo sono chiesto molte volte… qual è il suo vero nome?”
 
“Kate.”
 
Nicholas abbozzò un sorriso nel pronunciare quel nome mentre apriva la porta per uscire dalla stanza. Carter annuì, voltandosi lentamente verso il muro mentre ripeteva a bassa voce quel nome con aria assorta, quasi come se volesse testare che suono avesse mentre lo associava a Juliet.
 
“Kate…”
“Ah, Halon… quasi dimenticavo. Ora che sai come stanno le cose non avrò alcun freno a metterti le mani addosso a mia volta… giù le mani dalla mia sorellina.”
“Non preoccuparti Bennet, non c’è pericolo.”
 
Carter si ristese sul letto, parlando con un tono amareggiato che incuriosì leggermente il biondo. Ma Nicholas non si fermò ad indagare, lasciando la stanza e chiudendosi la porta alle spalle prima di tornare in camera sua.
 
Si sentiva quasi sollevato, in effetti… certo, la DeWitt gli aveva detto di non farlo sapere a nessuno, ma in quel momento poco gli importava.
 
*
 
Hooland Magnus sbuffò, continuando a tamburellare le dita sulla propria gamba con impazienza: Seth gli aveva detto due giorni prima, che secondo lui c’era qualcosa di strano in Rose… al che lui ne aveva subito parlato con Julian, e l’amico si era limitato a tentennare e a suggerirgli di piazzarsi in Sala Comune, possibilmente in un angolo, ad aspettare.
Aspettare cosa non lo sapeva nemmeno lui, e il Tassorosso stava iniziando a chiedersi se non fosse tutto uno scherzo orchestrato dai due amici quando si fermò, sentendo qualcuno entrare effettivamente nella Sala Comune buia e deserta.
Hooland, seduto volutamente in un angolo per non farsi notare, rimase in perfetto silenzio mentre guardava una figura raggiungere il centro dell’ampia stanza. Il suo stomaco si contrasse nel rendersi conto che si trattava proprio di Rose, e ammutolì quando la vide sollevare la manica del maglione, sfiorandosi il polso ridotto piuttosto male con la bacchetta per alleviare il colore violaceo e probabilmente anche il dolore.
 
La sentì sospirare mentre si strattonava il colletto della camicia, sfiorandosi il collo. Hooland avrebbe voluto vedere, ma disgraziatamente c’era troppa poca luce… così si alzò, avvicinandolesi e parlando per la prima volta da un paio d’ore:
 
“Che cosa stai facendo?”
La vide sussultare, guardarlo con gli occhi sgranati e carichi di stupore mentre allontanava istintivamente una mano dal collo… Hooland la raggiunse e ammutolì nel vedere i lividi sul braccio e sul collo dell’amica, chiedendosi perché non ne avesse mai visto traccia… forse li nascondeva in qualche modo con la magia?
“Hool… che cosa ci fai qui?”
“Julian mi ha detto di aspettare finchè tu non fossi tornata dal tuo turno di ronda… fammi vedere. Ti fa male?”
Le prese delicatamente il braccio, sfiorandole il polso mentre lei scuoteva il capo, provando a ritrarre il braccio e maledicendo mentalmente Julian per avergli indirettamente spifferato tutto.
 
“Non tanto, non è niente…”
“Come fai a dire che non è niente? Devi andare in Infermeria. Ma come te li sei fatti?”
Hooland aggrottò la fronte, sfiorandole il collo con un dito e sentendola rabbrividire, scostandosi leggermente.
Il Tassorosso non si mosse, continuando ad osservarle il collo e rendendosi conto che sembrava davvero il segno di una mano che l’aveva stretto mentre l’amica restava in perfetto silenzio, evitando accuratamente di guardarlo.
“Rose?”
“Preferisco non parlarne.”
Lei fece per superarlo e andarsene, ma Hooland la bloccò prendendola per le spalle, spostando poi le mani sul suo viso per costringerla ad alzare lo sguardo su di lui:
“Rosie… avanti, sono io. Perché Julian lo sa e io no?”
“Non ne ho parlato con lui, l’ha scoperto per caso.”
 
“Jason lo sa?”
Rose non rispose, mordendosi il labbro prima di avvicinarglisi e abbracciarlo, lasciandolo perplesso:
“Rose? Non dirmi che…”
“Per favore, non lo dire in giro…”
Alla voce strozzata di Rose il ragazzo annuì, spingendola poi verso una poltrona per farcela sedere sopra e inginocchiarsi davanti a lei.
“Ok, te lo prometto. Ma tu devi essere sincera con me Rosie… E’ lui che ti ha fatto questo?”
 
La ragazza annuì, tormentandosi nervosamente le mani mentre Hooland contorceva la mascella, iniziando a progettare mentalmente un generatore di corrente elettrica da piazzare addosso al Corvonero.
Il Tassorosso sospirò, non potendo fare a meno di pensare anche ad un’altra cosa… ma la sola idea gli contorceva lo stomaco più e più volte e forse nemmeno voleva saperlo.
Anzi, sì, voleva saperlo per decidere in che misura fargliela pagare.
“Rosie… Craig ti ha…? Hai capito, no?”
“No.”
“No?”   Rose scosse il capo e Hooland per un attimo sorriso con sollievo, sporgendosi verso di lei per abbracciarla dolcemente.
“Grazie al cielo. Non per mettere il dito nella piaga cucciola, ma ti ricordo che a me non è mai piaciuto. E perché ti tratta così, comunque?”
“Perché io non voglio andare a letto con lui, Hool.”
 
Il mormorio della ragazza fece annuire il ragazzo, che le sorrise mentre le prendeva nuovamente il viso tra le mani, trattenendosi dall’irrompere nella Sala Comune dei Corvonero sfondando la porta:
“Non preoccuparti… ti assicuro che non ti toccherà più. Te lo prometto.”
 
*
 
Juliet sbuffò, ripetendosi mentalmente di dormire. Non aveva mai avuto problemi di insonnia, eppure quella sera Morfeo non sembrava avere intenzione di andare a farle visita.
 
Ripensò per la centesima volta a Carter, a come lo avesse respinto… continuava a rivedere la sua espressione quasi mortificata e si voleva prendere a sberle da sola, ma d’altra parte non era riuscita a non reagire in quel modo.
Non sapeva nemmeno perché, non che lui non le piacesse… eppure sentiva di dover fare ordine nella sua testa prima di lasciarsi andare sotto quel punto di vista.
Aveva perso i sensi sulla spiaggia, non sapeva perché… ricordava di aver sentito una strana sensazione, le era sembrato di vedere due bambini sapendo comunque che non erano davvero reali… Nick e Kate.
Nick e Kate.
 
C’era qualcosa di molto familiare in quei due nomi, messi uno accanto all’altra…
Nick. Come Nicholas… Nicholas, che l’aveva accompagnata lì senza un motivo apparente.
 
Era in qualche modo lui il Nick che aveva visto?
 
Juliet sospirò, premendosi il cuscino sul volto e chiedendosi perché si sentisse tanto strana, quei pensieri fastidiosi le impedivano di dormire. Probabilmente il giorno seguente si sarebbe svegliata con delle occhiaie che avrebbero fatto concorrenza a quelle che Carter sfoggiava praticamente sempre.
 
*
 
“Craig!”
 
Stava camminando verso i binari quando sentì la familiare voce di Julian Jones chiamare un nome che ormai conosceva molto bene… ma fortunatamente ormai aveva smesso di rabbrividire ogni volta in cui lo sentiva. Vide il Corvonero voltarsi e un attimo dopo indietreggiare a causa del pugno che lo colpì in piena faccia, mentre Julian lo guardava con sincero odio:
 
“Ho promesso a Rose che non avrei fatto nulla per evitare di sollevare un polverone… sei stato fortunato tutto l’anno, ma tieni il mio regalo di diploma.”
 
Julian lo colpì di nuovo e Rose, nonostante la sua indole piuttosto pacifica, non sentì il bisogno di raggiungere l’amico e costringerlo a fermarsi.
Anzi, non fermò nemmeno Hooland quando l’amico la superò per raggiungere Julian… e invece di bloccare il compagno come probabilmente avrebbe fatto in qualunque altro caso si unì a lui, facendola sorridere leggermente.

"Ti ci metti anche tu Magnus? Cos'è, sei arrabbiato perchè volevi fartela tu?
"
Rose contorse la mascella nell'udire quelle parole, continuando a tenere gli occhi chiari fissi su quel ragazzo e chiedendosi come aveva fatto ad infatuarsene, quasi un anno prima. 
 
“Ma che sta succedendo?”
Kate Bennet si fermò accanto a lei, assistendo alla scena con occhi sbarrati mentre guardava i due Tassorosso darle di santa ragione al compagno di Casa. Rose però sorrise appena, parlando con tono noncurante prima di superarla e avvicinarsi al treno:
“Credo che qualcuno stia avendo quello che si merita.”
 
*
 
“Ne sei sicura?”
La ragazza annuì, seduta di fronte ai suoi genitori al tavolo in cucina.
“Quindi staresti via di casa quasi sempre?”
“Sì, vivrei lì… ma potrei benissimo venirvi a trovare spesso, non sarebbe un problema.”
“Credevo volessi diventare una Medimaga.”
“Sì, mi piace prendermi cura delle persone… e comunque non è detto che verrò assunta, se non dovesse succedere studierò per gli esami ovviamente… ma anche questo è, in un certo senso, “prendersi cura” di qualcuno, no?”
“Non lo so tesoro, al Ministero ho sentito cose strane su quel gruppo di persone…”
 
Suo padre sospirò ma la figlia maggiore gli sorrise, allungando una mano per appoggiarla sulla sua:
“Non ti preoccupare papà… me al caverò. VOGLIO imparare a cavarmela, voglio spiccare il volo e diventare più forte, ne ho bisogno. E poi Julian è sparito nel nulla da settimane, forse mi aiuterà a non pensarci.”
 
“Ormai sei grande piccola, devi decidere tu… spero solo che non ti accada niente in quel posto.”
“Non ti preoccupare… baderò a me stessa. Ormai sono poche le cose che mi spaventano, che cosa mai potrebbe succedermi?”
Rose sorrise, ripensando al suo ultimo anno ad Hogwarts, passato per la maggior parte a subire nei confronti del suo ragazzo… ci aveva messo settimane a reagire, forse soltanto grazie al supporto dei suoi migliori amici, alle loro parole e ai loro abbracci rassicuranti.
Voleva imparare a cavarsela anche da sola.
Certo, in quel momento non immaginava che una volta alla Dollhouse avrebbe incontrato una vecchia conoscenza tra i suoi colleghi Guardiani oltre che tra gli Attivi…
 
*
 
“Rose, lui è Quebec… Quebec, ti presento Rose Williams, la nostra ultima arrivata.”
 
Cecily DeWitt sorrise all’Attivo mentre il ragazzo spostava lo sguardo dalla donna per posarlo sulla ragazza in piedi accanto a lei, esitando per una un attimo prima di porgerle la mano.
Rose invece era immobile, limitandosi a guardare quel ragazzo con aria leggermente spaesata. Non vedeva Seth Redclaw dal Diploma, certo, ma mai si sarebbe aspettata di trovarselo davanti nella Dollhouse.
 
Poi la ragazza ripensò a quello che aveva passato Seth poco più di un anno prima… e forse infondo era meglio così, che lui non ricordasse.
“Ciao.”
“Molto piacere.”  Rose sorrise, allungando una mano per stringere quella che il ragazzo le porgeva… si appuntò mentalmente di fare attenzione nei primi tempi a non chiamarlo Seth e si chiese chi fossero gli altri Attivi della sua squadra… disgraziatamente erano tutti della sua età, quindi si sarebbe trovata a confronto con tutti ex compagni di scuola. Per fortuna lei e Hooland si erano scritti l’ultima volta solo pochi giorni prima, quindi sapeva per certo che lui non faceva parte di quella messa in scena.
O almeno così pensava, cambiò idea qualche minuto dopo, quando stava attraversando un corridoio insieme alla DeWitt per tornare nel suo ufficio e firmare le carte.
Fu allora che vide proprio Hooland Magnus, la sua inconfondibile figura altissima che si muoveva con inverosimile grazia nonostante la stazza.
“Hool!”
Il ragazzo sussultò e si voltò, sgranando gli occhi nel trovarsela davanti mentre Rose, dimenticandosi improvvisamente della DeWitt, quasi correva verso di lui per abbracciarlo.
 
“Sono così felice di vederti… quindi lavori qui anche tu?”
“Sì, io… non sapevo volessi venire qui.”
Hooland guardò l’amica con leggero stupore, prima che l’ex Tassorosso si voltasse verso la ragazza dai capelli rosso acceso che stava parlando con lui fino a poco prima.
Inutile dire che dovette sforzarsi parecchio per non sorridere a Ginevra Morrison e salutarla, fortunatamente Hooland si affrettò a parlare:
 
“Rose, lei è Whiskey, la mia attiva. Whiskey, lei è la mia vecchia amica Rose.”
 
Whiskey… un’altra compagna di scuola finita lì dentro.
Rose si sforzò di sorriderle e di non dare segni di conoscerla mentre alle loro spalle Cecily si limitava a seguire la scena con largo interesse: Hooland e Rose erano gli unici tra i Guardiani ad avere la stessa età… conoscevano, quindi, tutti gli Attivi. Moriva dalla voglia di osservarli relazionarsi con loro, specialmente nei primi tempi.
 
Whiskey chiese ai due come si fossero conosciuti, ma Rose nemmeno sentì quella domanda… la sua attenzione si concentrò interamente sul ragazzo che aveva appena visto passare infondo al corridoio, accanto ad una ragazza.
 
“Julian…”
Non lo vedeva dall’ultimo giorno di scuola… non aveva fatto altro che chiedersi come stesse e dove fosse, come quando Hooland era sparito nel nulla per due intere settimane.
La Tassorosso sorrise appena e fece per chiamare il ragazzo a voce alta, ma Hooland la prese per un braccio, impedendole di avvicinarsi all’amico.
Rose si voltò verso l’ex compagno di Casa, guardandolo come a volergli chiedere spiegazioni… ma lui si limitò a scuotere il capo, suggerendole di non raggiungerlo.
Il sorriso svanì dal volto di Rose Williams, capendo che Julian jones si trovava sotto quel tetto per un motivo diverso rispetto a lei e ad Hooland Magnus.
 
*
 
Come praticamente ogni mattina da quando viveva e lavorava lì Rose stava preparando la colazione per tutti, controllando con occhio vigile la pastella per evitare che i pancake bruciassero.
“Buongiorno, rosellina.”
 
Sentì due mani poggiarsi sui suoi fianchi prima che la fonte della voce le depositasse un bacio su una guancia, facendola sorridere leggermente:
“Ciao… ti sei svegliato presto.”
“Questa mattina voglio assicurarmi la colazione, a differenza di ieri.”    Hooland si strinse nelle spalle, piazzandosi accanto a lei e appoggiandosi con la schiena al frigorifero prima di allungare una mano verso la montagna di pastella che riposava in una bacinella, sgraffignandone un po’.
 
“Non mangiarti tutta la pastella però, altrimenti non ne rimarrà per gli altri.”
 
Rose sorrise, rivolgendogli un’occhiata divertita mentre il ragazzo annuiva distrattamente, continuando ad avere la sua consueta espressione pensierosa stampata sul volto.
 
“Posso chiederti perché ti fai sempre in quattro per noi? Non dovresti. Insomma, per me sì, ma per gli altri no.”
“Mi piace prendermi cura delle persone Hool, l’ho fatto per anni con i miei fratellini… mio padre lavorava e quando era a casa si occupava dei cavalli, e anche mia madre. Io spesso cucinavo e badavo ai miei fratelli per dare una mano.”
 
Rose si strinse nelle spalle mentre girava un pancake sulla padella e Hooland la osservava, guardandola con attenzione:
 
“Lo so mamma chioccia, ti piace viziare il prossimo… ma chi si prende cura di te?”
“Non ne ho bisogno. Ma tu e Julian l’avete fatto, a scuola… specialmente all’ultimo anno.”
 
Rose sorrise appena, ricordando quei giorni con un misto di amarezza e malinconia mentre accanto a lei Hooland sbuffava, incrociando le braccia al petto.
“Non parliamone, avrei dovuto prendere quello schifoso a calci fin da subito. E invece non mi sono accorto di niente per settimane.”
“Non importa, ormai è passato… ma se non ci foste stati voi non so come sarebbero andate le cose, quindi, ancora una volta, grazie.”
 
Rose gli rivolse un sorriso e Hooland ricambiò prima di prendere furtivamente uno dei pancake delle torri che la ragazza aveva iniziato ad impilare, rammaricandosi dell’assenza dello sciroppo d’acero.
 
“Il principino vuole anche lo sciroppo? Eccoti servito mio caro.”
 
Rose sorrise mentre prendeva la bottiglia, spruzzando una buona dose di sciroppo sul ragazzo più che sul pancake, ridacchiando di fronte alla faccia sbigottita di Hooland.
 
“ROSE! La mia bellissima felpa nuova… Sai che ti dico? Dovresti assaggiarlo anche tu.”
Hooland si avvicinò alla ragazza, impedendole di scappare acchiappandola per la vita con un braccio mentre con l’altra mano le spalmava sul viso lo sciroppo, ignorando le sue preghiere miste alle risate.
 
“Ok, scusa, mi dispiace… no, Hool, no, la pastella no, poi dovrò rifarla!”
 
Erin, ferma sulla soglia della cucina con un sopracciglio inarcato, guardò i due farsi la guerra con il cibo e ridacchiare senza mettere piede nella stanza.
L’ex Serpeverde roteò gli occhi prima di girare sui tacchi e andarsene, dicendosi che sarebbe tornata per fare colazione più tardi... per il momento avrebbe lasciato quei due a giocare come bambini e a farsi gli occhi dolci in santa pace.
 
 







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Angolo Autrice:

Buonasera! Forse non mi aspettavate così presto, ma l'ispirazione è arrivata in fretta, così come praticamente tutti i voti... quindi eccomi qui.
Anche questo è piuttosto lungo, ma da quel che ho capito non vi dispiace, quindi tanto meglio XD 

Come sempre spero che vi sia piaicuto... ed ecco i nomi per il seguito:

- Hooland 
- Juliet 
- Erin 

Ultima cosa... se non sbaglio domani Kyem ha l'orale per la Maturità, quindi... tanti, tanti auguri cara, vai e spacca i culi. A presto,
Signorina Granger 

 

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Capitolo 11
*** Joseph Derek Richardson ***


Buonasera! Allora… come avrete intuito leggendo il titolo del capitolo si tratta di una specie di “speciale”… visto che ho già pubblicato i capitoli per metà degli OC ho deciso di scrivere questo, dedicato ad un altro personaggio.  
Ultima cosa prima di lasciarvi alla lettura: mi spiace informarvi che Whiskey non farà più parte della storia. In teoria ci sarà, la sentirete nominare di tanto in tanto perché eliminarla sarebbe stato molto complicato, poi non avrei saputo che fare con Hooland… quindi teoricamente è nella Dollhouse, ma in pratica no. 
Spero che sia la prima ed ultima, ma almeno ho fatto in tempo a scrivere il suo capitolo… e ora, buona lettura! 

  


Capitolo 9: Joseph Derek Richardson


I Settembre, binario 9 ¾, dieci anni prima
 



Melanie Richardson, 17 anni Image and video hosting by TinyPic



“Mi raccomando, fai la brava.” 

La sentì ridacchiare e sorrise di riflesso mentre la teneva stretta in un abbraccio, carezzandole i capelli castani. 
La ragazza allontanò la testa dal suo petto e gli sorrise, intrecciandogli le mani sul retro del collo e guardandolo con gli occhi azzurrissimi che condividevano carichi di affetto:

“Io faccio sempre la brava Joe.”  
“Sappiamo entrambi che non è così.” 

Le labbra della ragazza si inclinarono in un sorriso divertito, mentre le sue mani pallide si spostavano sul volto del fratello. Si alzò in punta di piedi per dargli un bacio sulla guancia ispida a causa della barba che si era fatto crescere da qualche tempo e poi gli rivolse una strizzatina d’occhio, accennando ai loro genitori che erano impegnati a parlare tra loro a qualche metro di distanza:
  
“Baderò a me stessa, Joe… tu bada a loro mentre non ci sono.” 
“Lo farò, non preoccuparti.”
“Bene… ora, cadetto Richardson, scusami ma devo proprio salire sul treno… ci vediamo a Natale. E salutami Clare!” 

L’ex Serpeverde annuì, sorridendo alla sorella:
 
“Lo farò. Ma non chiamarmi cadetto, mi sono diplomato all’Accademia più di un anno fa!” 
“Non fare il permaloso Joe… e scrivimi ogni tanto.” 

Melanie gli rivolse un ultimo sorriso prima di salire sul treno, sparendo per qualche istante prima di comparire su uno dei finestrini aperti, indirizzando un ultimo saluto anche ai genitori. 


L’Auror guardò il treno allontanarsi portandosi con sé la sorellina di cinque anni più giovane rispetto a lui… difficilmente in quel momento immaginava che quella sarebbe stata una delle ultime volte in cui l’avrebbe vista. 


*


“Spero che vi siate goduti questi ultimi due giorni di relax... ma oggi ho un incarico per voi.” 

Alpha parlò senza battere ciglio, mantenendo il suo solito tono pacato mentre si limitava ad osservare i ragazzi che gli stavano davanti, sapendo di non averli per niente rattristati. Anzi, solitamente gli Attivi facevano quasi a gara per prendere parte ad un’operazione, anche se lo stesso non si poteva dire dei loro Guardiani. 
 
“Solo per metà di voi, in realtà… non occorre che andiate tutti, basteranno tre coppie.” 
 
Immediatamente vide un cambiamento d’espressione negli Attivi, tutti visibilmente delusi nell’avere il 50% di essere partecipi e non di più… fatta eccezione per Juliet, che era rimasta impassibile e sembrava quasi che quel giorno non volesse lasciare la casa. 
In effetti Carter le lanciava, di tanto in tanto, qualche occhiata piuttosto tesa… ma Alpha si disse che non aveva voglia o tempo di preoccuparsi di ogni piccola cosa è continuò a parlare: dopotutto aveva già deciso chi mandare. 

“Rose e Quebec, Isla e Foxtrot, Hooland e Whiskey.”  

Un impercettibile sorriso incurvò le labbra dell’Attiva mentre accanto a lei Quebec invece sbuffò leggermente, guardandola quasi con aria dispiaciuta, come se gli sarebbe piaciuto che anche lei prendesse parte all’operazione.

Foxtrot sfoggiò un enorme sorriso e Rose lo imitò, felice di essere insieme ai suoi amici mentre si rivoleva ad Hooland, sorridendogli e prendendolo sottobraccio:

“Sei felice Hool?” 
“No. Insomma, sono felice di essere con te e Foxtrot, ma forse avrei preferito poltrire…” 
“Il solito pigrone, non puoi mica passare tutto il tempo chiuso dentro una stanza a leggere o a giocare con i tuoi aggeggi tecnologici. Anzi, dovresti andare ad abbronzarti un po’, sei molto pallido.” 

“Rosie, mi conosci da nove anni… io sono sempre pallido, sto benissimo!” 
“Sei sicuro? Non è che hai bisogno di ferro?” 

Rose si accigliò, guardandolo con aria preoccupata mentre Nicholas, November, Juliet, Echo, Erin e Carter lasciavano la stanza. La bionda si avvicinò a Juliet, prendendola sottobraccio e rivolgendole un’occhiata inquisitoria:
  
“Come mai sembri felice di non essere stata scelta? Tu adori andare con Quebec, pensavo non ne saresti stata molto soddisfatta.” 
“Certo, ma credo di essere sollevata di restare qui… non dovrò stare per forza insieme a Carter, qui.” 

“In effetti vi evitate da un paio di giorni… e lui sembra di pessimo umore, non fa altro che sparare o colpire selvaggiamente sacchi da boxe. E quando non lo fa se ne va in giro con le orecchie basse come un cane bastonato. È successo qualcosa?” 

Juliet esitò prima di rivolgere un cenno all’amica, suggerendole di andare a parlare lontano da orecchie indiscrete. 
Le due Attive presero posto in un angolo della grande stanza dove mangiavano, occupando uno dei numerosi tavoli quadrati per parlare. 
 
“Carter mi ha… baciata, l’altra sera. Quando lui e Nicholas se le sono date.” 
“Davvero? E me lo dici soltanto adesso? E operché non vuoi stare con lui?” 

Erin guardò l’amica con aria perplessa, mentre l’Attiva sospirò, scuotendo leggermente il capo:

“L’ho respinto.” 
“Perché? Insomma, io mi sono resa conto mesi fa della sbandata che si è preso per te. Insomma, è sicuramente un tipo molto particolare, ma è un gran bel ragazzo… non ti piace?” 

“No, non è che non mi piaccia. È bello, certo, ma mi piace anche passare il tempo con lui, parlarci… offenderlo giocosamente, scherzare.” 
 
Juliet si strinse nelle spalle, evitando di guardare l’amica come se fosse a disagio mentre Erin invece l’osservava come se proprio non la capisse:
 
“E allora qual è il problema?” 

“Non lo so. Insomma, mi sento come se in questo momento dovessi preoccuparmi di altro. Non lo capisco nemmeno io.” 
“Ti sei sentita di nuovo male?” 
“No. Ma è strano… mi è sembrato di ricordare qualcosa l’altra sera, quando ero con Nicholas. O forse era solo una specie di scherzo della mia immaginazione, chissà.” 

Juliet si strinse nelle spalle e Erin dovette morderei la lingua per trattenersi dall’indagare più a fondo, non volendo dimostrarsi troppo interessata alla questione. 

“E questo ti ha spinto a rifiutare Carter?” 
“Non lo so nemmeno io perché l’ho fatto, mi sento così stupida… ma sto facendo di tutto per non trovarmi da sola con lui, non saprei proprio cosa dirgli… forse dovrei scusarmi?” 
“No, ma dovresti spiegarti, probabilmente. Povero Halon… anche se non avrei mai pensato di dirlo. Quindi sei felice di restare qui e di continuare a stare appiccicata a me per evitare di dover parlare da sola con lui, in pratica.” 
 
“Non mi piace fare la codarda, ma ha quel modo di scrutarmi che mi metterebbe ancora più a disagio… però mi dispiace vederlo stare male. Che cosa devo fare?” 
“Ho la faccia di una terapista Juliet? Te lo dico io, no, vanne a parlare con la Robertson se vuoi qualcuno che ne sa di Psicologia.”


*

 
Clare McClane, 24 anniImage and video hosting by TinyPic
 

Era seduto davanti alla sua scrivania, impegnato a leggere una montagna di fogli. Era stanco in effetti, ma non aveva comunque intenzione di riposarsi, non ancora almeno. 

Sembrava però che qualcuno non fosse del suo stesso avviso, infatti poco dopo sentì qualcuno appoggiare il capo sopra al suo e due braccia lo circondarono da dietro, sfiorandogli il petto con le mani:

“Joe… sei qui dentro da quando sei tornato… è venerdì, sei stanco, riposati.” 
“Dopo.” 

Contrasse la mascella, continuando a leggere mentre alle sue spalle la giovane donna bionda sospirava, accarezzandogli i capelli neri e continuando a parlare a bassa voce:

“Dici così tutti i giorni. Non vuoi neanche cenare?” 
“Scusa Clare, non ho fame.” 

Joseph sospirò, scuotendo stancamente il capo mentre la fidanzata faceva girare la sedia per poterlo guardare negli occhi, prendendogli il volto tra le mani per puntare le iridi nocciola in quelle cerulee di lui:
 
“Joe… la troverai. So che troverai Mel… ma non stasera. Smettila, ti stai rovinando… devi cercare di pensarci di meno.” 
“Come faccio a non pensarci Clare? È mia sorella! E ora chissà dov’è… non la si vede dall’ultimo giorno di scuola, non l’ho mai potuta abbracciare. Avrei voluto vederla scendere dal treno, sorriderle e complimentarmi con lei per il diploma… e invece non l’ho più vista. Come fai a chiedermi di non pensarci?” 
 
“Non puoi non pensarci, ti conosco… so quanto tu ti senta in dovere di badare a lei. Ma non buttare la tua vita all’aria Joe… non dormi o mangi decentemente da giorni. Ascoltami, per una volta.” 

L’Auror sospirò prima di annuire e abbracciare la fidanzata, appoggiando il capo sul suo ventre e circondandole la vita sottile con le braccia mentre l’ex Tassorosso gli accarezzava i capelli scuri. 

“Grazie… non so che farei se non ci fossi tu.” 
“Io ti amo Joe… non posso far altro se non provare a starti vicino in questo momento.” 



*


“Ho la testa che sta per esplodere… sono l’unico?” 
“No, ma la cosa peggiore è che mi sto già dimenticando tutto…” 

Isla si accigliò leggermente, ripensando a tutte le cose che Alpha aveva spiegato a lei e ai cinque colleghi mentre lasciavano la stanza. Avrebbero dovuto lasciare la sede della Dollhouse solo diverse ore più tardi, ancora una volta l’operazione diceva essere svolta di sera… e lei si stava già dimenticando tutti i dettagli a causa della grande quantità di informazioni assimilate in un colpo solo.

“Pazienza, faremo affidamento sulla memoria potentissima di Whiskey. Ora che facciamo?” 
 
Hooland si strinse nelle spalle prima di sorridere a Foxtrot, che fece per proporgli di fare un tuffo in piscina prima che Isla parlasse, prendendo Rose sotto braccio: 

“Noi andiamo a scegliere cosa indossare stasera… vieni anche tu, Whiskey.” 
“Rosie metterà il vestito che le ho regalato, vero?”

Hooland sorrise all’amica, che non fece in tempo a dire che prima avrebbe sentito l’opinione di Isla perché l’amica la precedette, parlando al posto suo:

“Aspettate… che vestito?” 
“Hai presente quando mi ha regalato quella… cosa? Ecco, poi mi ha dato anche un vestito da sera.” 
“E perché non me lo hai mostrato? Andiamo a vedere come ti sta.” 


In men che non si dica Isla aveva preso l’amica sottobraccio per trascinarla con sé verso le scale, mentre Foxtrot e Hooland uscivano per andare a prendere il sole accanto alla piscina. 

Pochi minuti dopo i due si erano messi il costume e avevano occupato due sdraio… e Foxtrot, con gli occhiali da sole calati, teneva lo sguardo fisso su un punto indefinito del cielo azzurro, studiando una nuvola. 

“Ti posso chiedere una cosa?” 

Come risposta ottenne solo una specie di mugugno sommesso, ma ormai ci era abituato… dopotutto Hooland ascoltava solo quando lo voleva lui, era il primo ad ammettere di essere sempre un po’ sulle nuvole… a meno che l’argomento non gli interessasse, certo.

“Quando pensi che la smetterete di trattenervi e vi troveremo finalmente a slinguazzarvi in un angolo?” 
 
“Stai parlando di Rose?” 
“No, della Regina. Certo, che domande fai?” 
 
“Rose… non credo proprio che voglia avere una relazione.” 
“Perché lo pensi? Ti adora, se ne sono resi conto tutti… non fa altro che sorriderti, essere troppo accondiscendete nei tuoi confronti e preoccuparsi per te.” 

“Lei è così un po’ con tutti, Fox.” 
“Forse, ma con te lo è di più rispetto a noi… e perché pensi che non voglia avere un ragazzo?” 


Foxtrot si voltò verso l’amico, che esitò prima di parlare, sospirando leggermente mentre si passava una mano tra i capelli castani:

“Ha avuto un ragazzo, un paio d’anni fa, che non l’ha trattata bene. Non ne parliamo mai ormai, ma so che ne è rimasta molto scossa… era stato il suo primo ragazzo. Non so se se la “sente”, diciamo.” 

“Se non altro hai appena ammesso che ho ragione… ma onestamente ti facevo più diretto. Perché non glielo dici?” 
“Un volta stavo per farlo… o forse più di una. La prima volta ho capito che era interessata a quel figlio di buona donna e ho deciso, per una volta saggiamente, di non interferire… e da quando tra loro è finita ho sempre pensato che non fosse pronta.” 

“Forse hai fatto bene a non dirle subito quello che provi per lei, ma sono passati due anni… andiamo Magnus, buttati! Tu la ricopri di regali, lei non fa altro che preoccuparsi per te e metterti all’ingrasso… tutti e due fate qualcosa per l’altro ma non vi buttate.”  


Foxtrot scosse il capo quasi con disapprovazione mentre Hooland invece non disse nulla, restando in silenzio mentre rifletteva sulle parole dell’amico. Probabilmente aveva ragione, ne era consapevole… ma continuava ad immaginare un possibile rifiuto da parte della ragazza, e di certo non voleva rovinare il loro rapporto. Aveva già perso molto persone negli ultimi due anni, dopotutto, l’ultima cosa che voleva era allontanarla. 


*
 

In piedi, si rigirava la fede d’oro mentre teneva gli occhi fissi sulla ragazza che dormiva di fronte a lui. 

“Siete sicuri?” 
“Purtroppo sì… non siamo riusciti a fare nulla. In effetti, non abbiamo capito nemmeno del tutto cosa sia successo al suo cervello.” 

Annuì con un lieve cenno del capo, non voltandosi nemmeno verso il Medimago e continuando a tenere gli occhi azzurri e un po’ arrossati a causa del pochissimo sonno che aveva alle spalle sul corpo di sua sorella. 

Non l’aveva vista per più di un anno… da quando era partita per Hogwarts dopo le sue ultime vacanze di Natale. Poi, una volta partita per tornare a casa a Giugno, era sparita nel nulla. 

L’avevano ritrovata recentemente, praticamente delirante per le strade di Londra… dei Babbani l’avevano accompagnata quasi di forza in ospedale e a quel punto erano stati loro a rintracciarla, portandola al San Mungo. 
 
Joseph guardò sua sorella, e mentre dormiva placidamente si accorse di riconoscerla solo in quel momento… aveva pensato che non l’avrebbe più rivista e invece era lì, davanti a lui. 
Ma non era più lei, non aveva niente della sua sorridente Melanie, se non i lineamenti.

Non erano riusciti a tenerla sotto controllo se non con l’uso della magia, continuava a dire cose sconnesse e a cercare di andarsene. Non aveva dato segni di riconoscerlo, quando l’aveva visto. 

Non aveva fatto nomi in quei discorsi difficili da comprendere, ma aveva ripetuto spesso parole come “annullamento” e “consenso” mentre cercava di divincolarsi dalla stretta di una qualche infermeria, guardandosi intorno con gli occhi azzurri vacui come in cerca di qualcosa. 
L’aveva vista, non aveva resistito e l’aveva abbracciata con gli occhi quasi lucidi… si era sentito quasi svanire il pavimento sotto ai piedi quando Melanie lo aveva respinto bruscamente, scuotendo il capo con veemenza e continuando a parlare a bassa voce. 
 
“Mel… sono io. Sono Joe. Calmati, non ti succederà niente.” 

Aveva allungato una mano per toccarle il braccio, ma l’aveva ritratta di scatto quando si era messa ad urlare. 


“Che cosa pensate di fare, allora?” 
“La terremo sotto osservazione per un paio di giorni, signor Richardson… ma anche se non siamo sicuri delle sue condizioni cerebrali, so per certo che sta soffrendo molto. Forse da diverso tempo… dovrebbe prendere in considerazione l’idea di porre fine a questa sofferenza.” 

Il medimago aveva fatto per andarsene e lasciarlo solo con lei, ma l’Auror l’aveva preceduto suo tempo, parlando un’ultima volta senza staccare gli occhi dalla sorella: 

“Avete mai avuto casi simili?” 
“Recentemente sì, se devo essere onesto… ma non mi era mai successo. Non sembrano essere presenti segni magici rilevanti, il che è strano… ma l’amigdala è danneggiata, così come l’ippocampo e la corteccia cerebrale. E ha riportato danni al lobo temporale, nell’area di Wernicke..” 

“Tradotto nella lingua normale?” 

“La memoria è compromessa, del resto se n’è accorto anche lei… e danneggiando l’amigdala l’aggressività diventa difficile da controllare. Sua sorella potrebbe essere un pericolo per se stessa. Quanto al lobo temporale, potrebbe essere un lieve caso di afasia sensoriale… sua sorella parla, Signor Richardson, ma fa fatica a comprendere ciò che le si viene detto. È un caso insolito, le strutture danneggiate non sono vicine… quindi è difficile pensare che sia stata una caduta o un qualche incidente e ridurla in questo stato.” 

“Sta dicendo che è stato causato?” 
“Come ho detto, è una situazione cerebrale insolita. E non è il primo caso di questo tipo. Vi lascio, ma pensi a quello che le ho detto.” 
 
Il medimago scosse il capo, rivolgendo un’ultima occhiata alla ragazza addormentata prima di lasciare la stanza, permettendo all’Auror di stare da solo con la sorella per la prima volta da mesi.

Joseph sospirò, allungando una mano per sfiorarle i capelli castani mentre scuoteva leggermente il capo:

“Che cosa ti hanno fatto Mel?” 

 
*



Colpì il pesante sacco che aveva davanti con rabbia, guardandolo dondolare considerevolmente prima di ripetere il gesto, tenendo gli occhi fissi su di esso con la mascella contrattata e le braccia, i capelli e il petto ormai mariti di sudore. 

In effetti era quasi deluso di non essere stato scelto per l’operazione di quella sera… magari si sarebbe distratto un po’. E magari avrebbe avuto modo di parlare finalmente con Juliet: lui era il suo Guardiano, se erano fuori dalla Casa lui doveva starle vicino per forza… ma lì dentro lei riusciva puntualmente ed evitare di restare da sola con lui. 

Sbuffò e colpì nuovamente il sacco, sistemandosi il guantone sulla mano ormai leggermente dolorante… ma conoscendosi l’avrebbe ignorato per, invece, continuare fino a sfogarsi del tutto.

Probabilmente era, da una parte, troppo codardo per parlare sinceramente con lei… ma non sopportava il modo in cui lo stava evitando, non sarebbe mai riuscito a fare finta di niente. 
La cosa peggiore era che se lei davvero non lo ricambiava le cose tra loro si erano definitivamente inclinate per colpa della sua impulsività… probabilmente non avrebbe dovuto baciarla. 

 
L’unica nota positiva era che non si sarebbe più dovuto far venire il sangue amaro quando vedeva Nicholas insieme a lei… per mesi aveva pensato che lui provasse qualcosa per lei, o che magari ci fosse stato qualcosa tra loro prima dell’annullamento della ragazza. Invece erano fratello e sorella.

Carter non aveva resistito, gli aveva chiesto il suo nome: ci aveva pensato spesso, provando ad immaginare quale nome potesse starle bene… ma per lui continuava ad essere Juliet, non Kate. 
Aveva chiesto a Nicholas in che Casa fosse stata Smistata, gli aveva chiesto se era cambiata molto dopo l’annullamento.  

Era strano, in effetti: suo malgrado aveva finito con l’innamorarsi di Juliet. Sarebbe stato lo stesso anche con Kate? Se l’avesse conosciuta gli sarebbe piaciuta? 
Non riusciva a fare a meno di chiederselo.

Non dormiva da due giorni in effetti… girovagava per la Casa con le sue solite occhiaie, amplificate nelle ultime ore, di pessimo umore e con la testa altrove. Di tanto in tanto il suo sguardo aveva incrociato quello della sua Attiva ma lei si era sempre affrettata a distoglierlo, evitando di guardarlo per più di qualche secondo dritto negli occhi. 


“Sei qui dentro da un’ora. Non sei stanco?” 

“No. Fammi indovinare, vuoi che ti ceda il posto?” 

Carter si fermò, mettendo una mano sul sacco mentre si voltava, guardando Erin ferma sulla soglia è impegnata a guardarlo: la bionda scosse il capo, guardando i suoi guantoni di pelle quasi con disapprovazione:

“No, a me piacciono le arti marziali, non questa roba da barbari…” 
“E allora che ci fai qui?” 
“Sono venuta a ridere di te, che domande… Juls me l’ha detto.” 

“Sono felice di sapere che grazie a me vi siete fatte quattro grasse risate.” 
 
Carter fulminò la ragazza con lo sguardo prima di voltarsi, dandole nuovamente le spalle. Fece per riprendere ad allenarsi ma la voce dell’ex compagna di Casa lo costrinse a non farlo: 

“Se ti fa sentire meglio, non è felice di quello che ha fatto… non so se ti ricambia, ma tiene comunque a te. Non la diverte farti soffrire. Comunque davvero Halon, dovresti riposarti un po’, non hai una splendida cera.” 

“Affari miei… comunque Nicholas me l’ha detto, che sono fratelli. Immagino che TU l’abbia sempre saputo.” 

“Nicholas ha un anno in più rispetto a me, Juliet uno in meno… ovviamente lo sapevo, mi ricordo benissimo di loro ad Hogwarts. Non te l’ho detto perché sono affari loro, spettava a Nicholas, e poi mi divertiva molto ridere di te alle tue spalle se devo essere onesta. Immagino che sia lo svantaggio dell’essere il vecchietto del gruppo Halon, non conoscevi gli Attivi a scuola.” 

Erin sfoggiò un sorrisetto che il ragazzo non ricambiò, rivolgendole un’occhiata torva mentre si sfilava i guanti:

“Mi rammarica non aver avuto l’onore di conoscerti già a scuola LaFont. Una vera disdetta…” 
“Sì, lo so. Comunque, se può farti sentire meglio, Juliet dice sempre che le piacciono molto le tue occhiaie. E comunque poco fa mi ha detto che ti trova attraente, se ti può consolare… ha detto che le piaci.” 

“E allora perché mi ha buttato fuori dalla sua stanza a calci quando l’ho baciata?” 
“Io credo che stia cominciando a ricordare qualcosa, Carter. Suppongo che debba sentirsi piuttosto confusa… ricordi che riaffiorano, che si legano a persone che lei non sa chi siano. Ricordi in qui si sente chiamare con un nome che non conosce. Non dev’essere facile.” 

“Lo immagino… e mi dispiace. Ma se continuerà a permettermelo le starò vicino come sto facendo da due anni.” 


Carter si strinse nelle spalle mentre si sfilava i guanti, avvicinandosi alla collega per superarla e uscire dalla palestra:
 
“Come sempre parlare con te è stato uno splendido passatempo… ora scusa, ma vado di sopra per fare una doccia.” 
 “Ottima idea Halon, sei più sudato di un maratoneta…”  

Erin sfoggiò una lieve smorfia, facendosi da parte per far passare il ragazzo. Lanciò un’occhiata quasi carica di disapprovazione al sacco da boxe che il ragazzo usava quasi quotidianamente prima di girare sui tacchi e andarsene a sua volta. 


*



Guardò la bara di legno chiaro che veniva calata nella fossa precedentemente scavata con un nodo in gola, incapace di parlare o di distogliere lo sguardo. 
Non aveva voluto dire niente durante la funzione, non se l’era sentita… del resto nessuno di loro aveva avuto contatti con sua sorella per un anno, forse se n’era andata già diversi mesi prima. 

Sentì le sottili dita di Clare, che era seduta accanto a lui, intrecciarsi con le sue e stringendogli la mano ma quasi non ci fece caso. Non disse nulla mentre la moglie appoggiava la testa sulla sua spalla, accarezzandogli il braccio… sollevò la mano della giovane strega per baciarne il dorso, quasi a volerla ringraziare silenziosamente per il supporto.

Ovviamente lei lo sapeva, che la sua presenza gli era di grande aiuto… non glie l’aveva detto ad alta voce, ma lo conosceva dalla scuola e sapeva quanto Joseph Richardson non fosse tipo da molte parole. Specialmente in momenti come quello. 

 
“Ho fatto uccidere mia sorella.” 

“Tesoro… non continuare a ripeterlo. Il suo cervello non avrebbe retto a lungo comunque, hai sentito il medico… l’avresti lasciata in coma vegetativo per sempre? No, non l’avresti sopportato.” 
 
La bionda sospirò, prendendogli il viso tra le mani per costringerlo a voltarsi verso di lei, sporgendosi per baciarlo dolcemente. L’Auror non disse nulla, del resto lei aveva ragione e lo sapevano entrambi, e si limitò a guardarla mentre lei gli accarezzava il viso, ricambiando con uno sgaurdo quasi preoccupato. 

“So che ti sei sempre sentito responsabile per lei… ma non avresti potuto fare nulla. Nessuno l’ha più vista dal Diploma, praticamente. Dio solo sa cosa è successo quando è scesa dal treno.” 

“Avrei potuto trovarla prima, Clare. Sono suo fratello, sono un Auror e non l’ho trovata. Ma di sicuro troverò chi l’ha ridotta così.” 

L’Auror distolse lo sguardo, posandolo nuovamente sulla tomba mentre accanto a lui la moglie sospirava, stringendogli il braccio coperto dalla giacca nera:

“Joe… non farne un’ossessione. Ti prego.” 
“Non ne farò un’ossessione Clare… so benissimo che ho una vita da vivere e non voglio sprecarla. Ma prima o poi capirò cosa le è successo, te l’assicuro.” 


*

 
“Tu non sei nervosa?” 
“Non particolarmente… tu sì?” 

“Abbastanza, credo di esserlo sempre. Non è solo per quello che i ragazzi devono fare con il nostro supporto, è anche il contesto… queste serate mi mettono un po’ a disagio, non sono abituata a quell’ambiente.” 

Rose si strinse nelle spalle, restando seduta mentre davanti a lei Isla le sorrideva, continuando a spalmare ombretto tenue sulle sue palpebre. 
 
“Io sì, da piccola ho preso parte a milioni di serate di beneficienza, cene con colleghi di mio padre o di mia madre… una vera barba.” 
“Beh, almeno tu sai come comportarti!” 
“Anche tu Rose, sei così gentile e preoccupata di risultare inadeguata da risultare adorabile a chiunque. Fatto.” 

Isla sorrise, rimettendosi frutta mentre l’amica apriva gli occhi azzurri, sorridendole come a volerla ringraziare mentre l’americana accennava al vestito nero che aveva sistemato sul letto della Tassorosso:

“Devo dire che il ragazzo ha occhio Rosie… mio fratello non sa la differenza tra pantaloni a palazzo o a sigaretta. Senza contare che te lo ha preso senza nemmeno vedertelo addosso. Andrò a fargli i complimenti più tardi, ora ti sistemo i capelli.” 
“Isla, non sono la tua bambola da agghindare!” 

“No, ma è divertente… io non ho avuto sorelline minori con cui divertirmi a fare queste cose, a differenza tua! E poi voglio che tu sia bellissima stasera.” 
“Perché?”  
“Perché sì, ora girati e dammi le forcine.” 


*


“Amore… non vuoi mangiare?” 

Clare scosse il capo, continuando a non guardarlo mentre teneva le braccia conserte, seduta di fronte a lui al tavolo della cucina. 

“Sei sicura? Non per vantarmi, ma sono bravissimo a fare il risotto.” 
 
Joseph sorrise e anche le labbra della moglie si inclinarono leggermente sentendo quelle parole, ma durò solo pochi attimi e poi la donna tornò seria e cupa, scuotendo leggermente il capo.

“No, grazie. Non ho fame.” 
“Come preferisci.” 

L’Auror esitò ma poi allungò un braccio sul tavolo, porgendole la mano e invitandola a stringerla. Dopo un attimo di esitazione Clare lo fece, sollevando lo sguardo sul marito e guardandolo con gli occhi leggermente lucidi:

“Clare… so che lo volevi tanto, mi dispiace. Ma non fare così, per favore. Può… succedere.” 

“Lo so Joe, succede. Ma a quante persone succede per tre volte? E non provare a dirmi che va tutto bene, che non importa… non dire che non ti interessa avere figli, perché non ci credo.”  

La donna scosse il capo e Joseph sospirò, alzandosi per fare il giro del tavolo, raggiungerla e inginocchiarsi davanti a lei, prendendole le mani tra le sue:

“Ok, non dirò niente di tutto questo… perché hai ragione, mentirei. Ma è anche vero che non mi serve avere un figlio da te per amarti, Clare.” 
“Lo so… ma io per prima lo voglio, Joe.” 


La donna scosse il capo, parlando con voce quasi rotta mentre il marito sospirava, annuendo e mormorando che lo sapeva prima di prenderle il viso tra le mani e baciarla.
Quando si staccarono Clare appoggiò la fronte contro quella di Joseph, esitando prima di parlare nuovamente:

“Ci voglio riprovare Joe, più avanti.” 
“Clare… è pericoloso per te, hai sentito cos’hanno detto…” 

“Lo so, lo so. Ma ci voglio riprovare… un’ultima volta. Ti prego.”  

L’Auror esitò ma poi annuì, accarezzandole i capelli biondi. 

“Ok… lo sai che non riesco mai a dirti di no, giusto?” 
“Certo che lo so Joe, ti conosco da quando eravamo ragazzini di undici anni…” 


*
 

“Ma quanto ci vuole?” 
“È quasi ora!” 
“Se arriviamo in ritardo non sarà colpa mia questa volta!” 
“Se avessi saputo che ci avrebbero messo tanto avrei acceso Beautiful… chissà se Brooke perdonerà Ridge!” 

Hooland sbuffò mentre, appoggiato contro la ringhiera delle scale, si chiedeva perché dovesse perdersi Beautiful per andare ad una dannata festa ad aiutare Foxtrot, Quebec e Whiskey a rapire chissà chi. In realtà Alpha aveva spiegato di chi si trattasse qualche ora prima, ma non aveva ascoltato del tutto e se l’era scordato. Poco male, avrebbe chiesto delucidazioni a Rose e Isla.

Foxtrot e Quebec, in piedi accanto a lui e già pronti per andare, si scambiarono un’occhiata eloquente alle parole del ragazzo, mentre Quebec se ne stava in silenzio a rimuginare e Foxtrot continuava a lanciare occhiate impazienti alle spalle, chiedendosi eriche le ragazze ci mettessero tanto: non aveva nessuna voglia di arrivare in ritardo… Alpha se n’era andato poco prima, sostenendo che sarebbe tornato a casa, ma era sicuro che in qualche modo avrebbe comunque scoperto del loro ritardo.  


“Avete notato che Alpha è l’unico che non vive qui? La DeWitt vive qui, e anche Bravo e Charlie.” 

Le parole di Quebec fecero zittire Foxtrot e Hooland per qualche istante, mentre entrambi ci rifletterono su:

“È vero… chissà, forse non sopporterebbe l’idea di stare con noi 24h su 24.”

Foxtrot si strinse nelle spalle mentre invece Quebec rimase in silenzio, continuando a riflettere su quanto appena detto: chissà perché il loro supervisore non restava nella Casa per tutto il giorno… era l’unico a non vivere lì, in effetti.
 
L’argomento tuttavia morì in fretta, interrotto dalla comparsa di Isla e Rose sulle scale, facendo quasi sospirare Foxtrot di sollievo:

“Era ora… per fortuna, temevo di arrivare tardi!” 
“Non fare il pignolo Fox, una volta mi hai fatto fare tardi perché non ti decidevi a sistemarti i capelli, ti ricordo!” 

“Quella sera non stavano a posto, non è colpa mia. Comunque, sei molto bella.” 

L’Attivo rivolse un gran sorriso alla sua Guardiana, allungando una mano per prendere quella dell’americana e baciarne il dorso mentre lei abbassava lo sguardo, mormorando un tenue ringraziamento. 
Rose invece si avvicinò a Quebec, sorridendogli e prendendolo sottobraccio:

“Scusate l’attesa.”  
“Non preoccuparti Rose… anche se qui qualcuno non vedeva l’ora di vedervi.” 

L’Attivo abbozzò un sorriso e accennò con il capo in direzione di Hooland, impegnato ad osservare l’ex compagna di Casa quasi con cipiglio soddisfatto.
Rose si voltò verso di lui, gli sorrise e Hooland si affrettò a ricambiare, guardandola con gli occhi azzurri quasi luccicanti e per una volta per niente vacui o assenti:

“Lo sapevo… ti sta benissimo, Rosie.” 

“Grazie. Merito di Isla, comunque.” 


Rose sorrise, quasi a disagio di fronte al suo complimento. Hooland fece per ribattere e dire che sarebbe stata bella anche senza il trucco o i capelli sistemati, ma Quebec sollecitò i compagni a sbrigarsi ad uscire dalla Casa per poter finalmente prendere l’auto e andare.  

L’ex Tassorosso si affrettò a prenotarsi per la guida, felice di avere la scusa per farlo: non usavano mai la Materializzazione, la DeWitt non insegnava agli Attivi a farlo dopo l’annullamento… così non potevano scappare dalla Casa, ovviamente. 


“Stasera non posso starmene al computer, vero?” 
“No Hool, stasera vieni dentro anche tu… sappiamo che non impazzisci per le serate di gala, ma fai uno sforzo per noi.”  

Quebec diede una pacca sulla spalla del ragazzo mentre Rose sorrideva, prendendo entrambi sottobraccio prima di rivolgersi al suo Attivo:

“Dimmi… che cosa hanno detto le Rune questa volta? Andrà tutto bene?” 
“Ancora con questa storia delle Rune? Secondo me ci dai troppo peso.” 

“Detto da uno che guarda una soap Babbana che va avanti da milioni di anni… Comunque, Rose, pare che andrà tutto come accordato. Del resto io non sopporto di tornare qui senza aver assolto un compito, lo sai.” 

Rose annuì, dicendosi che probabilmente lo sapeva meglio di chiunque… lo aveva accompagnato ovunque dopotutto, in tutte le sue operazioni. Anche le peggiori. 



*
 


“Hai mai sentito parlare della Dollhouse?” 
“Non credo. Che cos’è?” 
“Una specie di associazione… L’ha fondata qualche tempo fa una donna che parla di combinare magia e scienza per ottenere risultati praticamente perfetti nell’ambito medico-chirurgico.” 
 
“Beh, è una cosa positiva allora, no?” 

Clare si voltò verso di lui ma Joseph non rispose subito, esitando leggermente: lo era davvero? 

“Non so, girano strane voci al Dipartimento… e poi lei stessa quando l’ha ufficializzata ha detto di aver dovuto sacrificare molte “vittime”, le prime cavie per i suoi esperimenti. In effetti le date potrebbero coincidere…” 

“Joe.” 

La voce della moglie lo interruppe e l’Auror alzò lo sguardo dalla Gazzetta del Profeta per guardarla, mentre Clare lo stava osservando mentre cucinava:

“Stai pensando a Mel?” 
“Io… non lo so. Pensi che sia possibile? Insomma… ricordi il suo cervello? Magari è finita in quel posto. Una “cavia” da laboratorio…” 

Aveva senso, disgraziatamente… l’idea gli faceva quasi venire i conati di vomito, pensare a cosa avesse passato sua sorella qualche anno prima… ma aveva ragione, aveva una certa logica. E poi nessuno sapeva di preciso COSA combinasse davvero la DeWitt. Che cosa faceva a quelle persone? Tecnicamente le aiutava, ma era davvero così?  

Non era l’unico ad essere scettico sulla questione, ma la donna si era sempre dimostrata insofferente alle frecciatine e alle teorie che circolavano sul suo conto. Si era sempre limitata a rispondere alle domande, sorridere e apparire intelligente, acuta e pressappoco perfetta. 

 
“Joe… Non pensi che sarebbe quasi meglio non sapere mai cosa è successo invece di, magari, scoprirlo e rimanerne turbato profondamente?” 
“Forse. Ma allo stesso tempo odio non avere certezze. Magari potrei indagare in qualche modo… entrarci.” 

“Vuoi entrare in quella… COSA senza sapere cosa ci succede all’interno? Quando tu per primo hai dei dubbi? Scordatelo Joe. Adori fare l’Auror, hai recentemente iniziato anche ad occuparti dei ragazzi all’Accademia… non fare pazzie.” 

“Rilassati tesoro, dicevo solo per dire.” 

Joseph sorrise, parlando con un tono pacato e rilassato che sembrò tranquillizzare la moglie. Il discorso cadde dopo pochi minuti e i due coniugi non ne parlarono a lungo… ma Joseph non smise davvero di pensarci, quella sera. 

Qualcosa gli diceva che era, finalmente, sulla strada giusta. 


*

 
Joseph Richardson, 33 anni Image and video hosting by TinyPic

Si chiuse la porta alle spalle con delicatezza, cercando di non fare rumore: le luci erano tutte spente, sicuramente era già andata a dormire. 
 
Attraversò l’ingresso buio senza problemi quando i suoi occhi si abituarono all’oscurità, fermandosi per un attimo sulla soglia del salotto decisamente in disordine: con un pigro colpo di bacchetta fece tornare tutto al proprio posto prima di salire le scale, ansioso di potersi finalmente riposare. 

Quando Carter gli aveva riferito di aver visto “qualcuno” nel bosco lo aveva detto a Cecily… e ne avevano parlato a lungo, insieme a Bravo e a Charlie. Era piuttosto sicuro che il ragazzo non si fosse immaginato nulla… magari qualcuno li osservava davvero, magari un Auror? Non aveva più contatti con il Dipartimento da tempo, da quando si era licenziato per lavorare lì… convinto di ricominciare da zero.

Poi, certo, era appena entrato nella Dollhouse quando Nicholas Bennet era comparso dal nulla, rendendo le cose più difficili… ma gli aveva fatto capire in fretta come comportarsi e il ragazzo aveva capito, smettendo di chiamarlo “Signore” e senza mai fare domande. Del resto nemmeno lui ne aveva mai fatte, anche se sapeva che Juliet era sua sorella: era stato lui a portarla alla Dollhouse, insieme a Keller Reynolds, per l’annullamento, quando era appena stato assunto dalla DeWitt.

Cecily non gli era sembrata nervosa, in effetti non lo sembrava mai… la sua maschera di perfezione era sempre lì, al suo posto. Non poteva dire di conoscerla bene probabilmente, ma sapeva per certo che anche lei aveva qualche debolezza, da qualche parte. Di sicuro non lo dava a vedere, ma probabilmente era preoccupata almeno un po’ per quella storia. 


Sbuffò, dicendosi di non pensarci e passandosi stancamente una mano tra i capelli mentre saliva le scale: per qualche ora poteva finalmente smettere di essere Alpha e di tornare ad essere soltanto Joe. Non aveva subito l’annullamento, così come Bravo e Charlie… loro due però vivevano nella Casa. Lui no, e di certo molti Attivi si erano interrogati a proposito… ma ovviamente nessuno aveva il coraggio di fargli domande personali, nemmeno Nicholas. 
 
E di certo non era tipo da dare informazioni personali a persone che erano soltanto marionette nelle mani di una donna come Cecily DeWitt, capace di usare qualunque cosa a proprio vantaggio. 

Raggiunse la porta della sua camera e si sfilò le scarpe prima di aprire lentamente la porta, lasciandole nel corridoio. 

“Amore?” 

Non udendo nessuna risposta ebbe la conferma che dormiva e l’ex Auror si avvicinò al letto matrimoniale senza far rumore, preoccupandosi solo di togliersi la giacca e lasciarla sulla sedia prima di infilarsi sotto le coperte con la camicia ancora addosso. 

Steso su un fianco scorse la figura che dormiva raggomitolata accanto a lui e sorrise, allungando una mano per sfiorarle i capelli biondi sparsi sul materasso. 
“Ciao…” 

Sorrise, guardandola voltarsi verso di lui e mugugnare qualcosa nel sonno prima di stringersi istintivamente al suo petto, abbracciandolo. 

“Papy…” 
“Sono qui. Dormi, Diana.” 

La bambina non se lo fece ripetere due volte e si strinse al padre prima di tornare a dormire: quando il suo respiro tornò ad essere perfettamente regolare Joseph sorrise con sollievo, continuando ad accarezzarle i capelli prima di chiudere gli occhi a sua volta, concedendosi finalmente di rilassarsi e riposarsi.  












………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:

Ebbene no, mi spiace Phebe ma Alpha non si chiama Alberth.
Tra l’altro ragazze mi deludete, nessuna si è accorta o ricordata che la ragazza che compariva nel Prologo si chiamava Richardson di cognome, come Alpha? XD 

Beh, meglio così! 

Ovviamente non vi chiedo di votare per il prossimo capitolo, uso i voti dell’altra volta… ma me ne manca ancora qualcuno quindi chiedo a chi non me l’ha mandato di farlo al più presto.

Buonanotte,
Signorina Granger

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Capitolo 12
*** Juliet ***


Capitolo 10: Juliet

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“Non guardarmi così… mi mancherai tantissimo.”
“Anche tu.”
 
Kate annuì, tirando su col naso mentre suo fratello Nicholas la teneva stretta in un abbraccio, salutandola un’ultima volta prima di dover salire sul treno che l’avrebbe condotto ad Hogwarts per la prima volta.
 
Avevano parlato di quella scuola centinaia di volte, di sera, raggomitolati nel letto di uno dei due e impegnati a fantasticare su cosa avrebbero fatto una volta lì… ora Nicholas stava per andarci, ma lei non poteva seguirlo.
 
“Katie… Nick deve andare adesso.”
Sua madre le mise una mano sulla spalla, sorridendole con gentilezza mentre la bambina si allontanava di mala voglia dal fratello, guardandolo con gli occhi verdi quasi lucidi.
“Ti scriverò almeno due volte alla settimana… vedrai, Natale arriva presto.”
Il ragazzino sorrise alla sorellina, che però non ricambiò a continuò a guardarlo con aria tetra:
“Ma senza di te mi annoierò!”
“Solo per i primi tempi, vedrai.”
 
Nicholas le sorrise, avvicinandolesi per darle un bacio su una guancia prima di superare la famiglia per raggiungere il treno, sparendo attraverso uno degli sportelli aperti.
Katie sbuffò con aria sconsolata mentre suo padre la sollevava, prendendola in braccio:
 
“Nick ha ragione, Natale arriva preso Katie. Ora sorridi, o andrà via con l’immagine della sua sorellina triste.”
 
Kate si sforzò di sorridere, rivolgendo un ultimo saluto al fratello che aveva appena fatto capolino da uno dei finestrini, sorridendo alla famiglia.
 
“Papy, secondo te io e Nick finiremo nella stessa Casa? Spero di sì, così lo vedrò sempre.”
“Non lo so tesoro, forse sì, forse no… vedremo, immagino.”
 
*
 
 
“Ma come siamo eleganti… stai andando ad un appuntamento galante?”
 
Quebec si voltò verso la fonte della voce, indirizzandole un lieve sorrisetto mentre osservava Juliet con cipiglio divertito:
 
“No Juls, non essere gelosa… e comunque la mia eleganza non è niente rispetto alla tua, s’intende.”
“Trovi anche tu? Sì, al momento sono indiscutibilmente al massimo del mio charme.”
 
Juliet annuì, restando perfettamente seria mentre si sfiorava la coda di cavallo con le dita e metteva l’altra mano su un fianco, come a volersi mettere in posa mentre indossava infradito, canottiera rosa sbiadito e pantaloni della tuta grigi.
 
“Senza dubbio… che cos’è, un pigiama-tuta?”
“Penso di sì, qualcosa del genere… mi piace stare comoda. Coraggio, ti accompagno fino alle scale.”
“Ok, ma attenta a non farti vedere da Hooland vestita così!”
 
Juliet rise, annuendo e prendendolo sottobraccio mentre gli assicurava che avrebbe fatto attenzione.
“In effetti vestita così mi sento un po’ stupida ora che sono accanto a te, con il tuo dannato smoking…”
“Non faccio commenti, perché credo che in questo momento qualunque cosa dicessi non la prenderesti bene. In compenso, mi dispiace che tu e Carter non veniate, ci saremmo divertiti insieme.”
“Penso di sì, ma forse per stasera per me è meglio starmene qui in panciolle, a rifarmi le unghie e leggere in santa pace. Io mi fermo qui, altrimenti Hooland mi vedrà a inizierà a farmi la predica… ci vediamo domani, credo tornerete piuttosto tardi. Buona fortuna.”
 
Juliet si fermò subito prima delle scale, sorridendo a Quebec prima di alzarsi in punta di piedi e lasciargli un bacio su una guancia.
“Grazie. Ci vediamo domani.”
 
Quebec le sorrise prima di superarla, iniziando a scendere le scale per raggiungere Hooland e Foxtrot al piano terra. Juliet indugiò per un attimo prima di girare sui tacchi e tornare nella sua camera, guardandosi la mano che Quebec aveva appena fatto scivolare dalla sua.
 
Aveva come una strana sensazione, ma in quel periodo ne sentiva così tante che decise di ignorarla, voltandosi per tornare nella sua stanza.
 
*

 
“Corvonero!”
 
Kate Bennet non fece molto caso al ragazzino che era appena stato Smistato nella sua nuova Casa, impegnata a cercare di incrociare lo sguardo di suo fratello dal tavolo dei Serpeverde.
Quando finalmente anche Nicholas la vide il ragazzino le sorrise, non riuscendo del tutto a mascherare la delusione di non averla nella sua stessa Casa… del resto lei provava lo stesso, aveva davvero sperato di finire a Serpeverde per stargli il più vicino possibile.
 
“Stai cercando qualcuno?”
Sentendo una voce sconosciuta Kate si voltò, trovandosi davanti un sorriso quasi timido che si affrettò a ricambiare, annuendo leggermente:
 
“Mio fratello. E’ un Serpeverde, speravo di finire lì anche io.”
“Anche io ho un fratello maggiore, ma non credo che finire nella sua stessa Casa rientrasse nelle mie speranze… e invece è andata così.”
Cecil si strinse nelle spalle, lanciando una fugace occhiata al fratello maggiore Dominic che, seduto a qualche posto di distanza, chiacchierava con i suoi compagni del quarto anno.
 
“Ti invidio.”
“Non dovresti, io e mio fratello siamo sempre stati messi molto a confronto, finendo nella stessa Casa la competizione tra di noi non può che aumentare a dismisura… ma pazienza. Sono Cecil, comunque, molto piacere.”
“Kate.”
 
Il ragazzino le porse la mano e lei la strinse, sorridendogli con gentilezza. Poco dopo venne Smistata a Corvonero una ragazzina di nome Keller, che prese posto proprio accanto a lei… non seppe mai perché ma legarsi con lei le venne immediato, e quel legame non fece altro che rafforzarsi nell’arco dei sette anni che seguirono.
 
*
 

“Va tutto bene? Mi sembri un po’ nervoso.”
 
Rose indirizzò il suo sorriso più gentile a Hooland, allungando una mano per accarezzargli dolcemente il braccio.  La sua voce e il suo gesto fecero uscire il ragazzo dalla bolla dove si era rifugiato fino a quel momento da quando erano saliti in macchina, portandolo ad annuire quasi frettolosamente, evitando di guardarla in faccia:
 
“Tutto bene Rose.”
“Se è per l’operazione non ti preoccupare, ne abbiamo passate di ben peggiori…”
“Non c’entra l’operazione. Davvero, va tutto bene.”
 
Hooland puntò gli occhi quasi con insistenza sul volante, continuando a guidare mentre quasi riusciva a percepire la lieve confusone di Rose, mentre, ne era consapevole, continuava ad osservarlo. Si maledisse mentalmente per non averle impedito di sedersi accanto a lui sul sedile del passeggiero, chiedendosi anche perché parlare con lei fosse diventato improvvisamente difficile.
 
Era tutta colpa di Foxtrot, ecco di chi. E anche di Jason Craig, era colpa loro se viveva in quella situazione… colpa del primo perché gli aveva messo la pulce nell’orecchio e del secondo perché forse se non fosse stato per lui non sarebbe stato così restio a dire a Rose quello che provava da quasi tre anni. Nel frattempo aveva persino avuto un paio di storie, ma lei era sempre rimasta lì, scalpita nella sua testa e nel suo cuore.
 
“Sei sicuro? A me puoi dirlo, se c’è qualcosa che ti turba, lo sai…”
“Non mi va di parlarne, Rosie.”
 
Tagliando corto così bruscamente si diede mentalmente dell’idiota, riuscendo quasi a sentire la delusione della ragazza mentre si ripeteva che si stava comportando come i Serpeverde spesso supponevano sui Tassorosso: da imbecille.
 
Dal canto suo Rose non aggiunse altro, restando in silenzio mentre si voltava, guardando fuori dal finestrino mentre si chiedeva che cosa fosse preso all’amico. Del resto però lui le aveva appena detto di non volerne parlare e non era tipo da insistere, così decise che si sarebbe fatta semplicemente gli affari propri.
 
 
“C’è qualcosa di strano.”
“Dici?”
“Sì, lo sento nell’aria.”
“Sei diventata un segugio Isla?”

 
Foxtrot ridacchiò, ma tornò subito serio quando Isla gli rivolse un’occhiata decisamente eloquente, suggerendogli di mettere l’ironia da parte:
 
Ah, ah, ah. No, seriamente… in genere quando Hooland guida Rose si siede davanti e passano tutto il tragitto a parlare e a farsi gli occhi dolci.”
“Rose ha sempre gli occhi dolci in realtà, ma forse con lui si amplificano.”
 
Quebec annuì con aria assorta mentre Isla, seduta in mezzo a lui e Foxtrot, continuava a parlare a bassa voce per non farsi sentire dai due ex Tassorosso:
 
“Infatti, ho ragione. Qualcuno di voi ne sa niente? Hooland è molto silenzioso, quando c’è Rose non fa mai così.”
“Magari sta solo pensando a qualcosa come suo solito, una volta gli stavo raccontando di un’operazione e lui pensava a dove avesse lasciato il telecomando della tv!”
 
“Vero, ma ripeto: quando c’è Rose in genere le dedica tutta la sua attenzione. Sapete qualcosa?”
“Isla, non siamo quindicenni pettegole, non passiamo il tempo libero a spazzolarci i capelli e scambiarci confidenze…”
 
Quebec roteò gli occhi con aria esasperata, ma dovette ritirarsi tutto quando Foxtrot lo interruppe, parlando a bassa voce e demolendo completamente ciò che il collega aveva appena finito di dire:
 
“Hool ha ammesso di provare qualcosa per Rose in piscina, ma sostiene di non volersi fare avanti a causa di un tremendo ex di Rosie che la trattava male.”
“Beh, almeno l’ha ammesso… Hool, sono così fiera di te, ora devi solo dirlo anche a-“
 
Isla sorrise, parlando a voce più alta per farsi sentire dal ragazzo che era alla guida dell’auto. Probabilmente però non fu una brillante idea visto che Hooland, sbarrando gli occhi azzurri quasi con orrore, sbandò considerevolmente con la macchina, mentre Rose afferrava la maniglia dello sportello con una mano e il suo sedile con l’altra:
“HOOL!”
“Ok, ok, ci sono, scusate… C’era uno scoiattolo.”
 
Hooland sorrise leggermente, affrettandosi a ricomporsi mentre Rose sgranava gli occhi con orrore, voltandosi per cercare di vedere la strada alle loro spalle:
 
“Uno scoiattolo? Povero piccolo, qualcuno potrebbe investirlo!”
 
Holland non disse nulla, limitandosi a fulminare Isla, Foxtrot e Quebec con lo sguardo attraverso lo specchietto, guardandoli sghignazzare con irritazione.
 

 
*

 
Il “click” venne seguito da un lieve mugugno da parte del ragazzo, che sbuffò leggermente e si rigirò dall’altra parte, come a volerle suggerire di andarsene e lasciarlo dormire in pace.
Kate però, continuando a trattenersi dal ridere di fronte alle sue buffe reazioni, non si scompose e continuò a scattargli fotografie a tradimento, inginocchiata accanto al letto del fratello.
 
“Basta…”
Nicholas sbuffò, sprofondando il viso nel cuscino mentre la sorella ridacchiava, alzandosi in piedi sul materasso e continuando a scattargli fotografie.
“Perché? Sei un vero spettacolo di prima mattina Nick…”
 
Kate ridacchiò e il fratello aprì gli occhi solo allora, sbuffando prima di prenderla per le gambe e farla cadere sul materasso accanto a lui senza smettere di ridere, la macchina fotografica appesa al collo.
 
“Quando la smetterai di farmi foto mentre dormo per poi prendermi in giro?”
“Beh, ad Hogwarts non posso farlo, ne approfitto visto che siamo in vacanza. Ecco, fermo, rimani così, ti immortalo con la faccia arrabbiata.”
Kate sollevò nuovamente la macchina per puntare l’obbiettivo contro il suo viso e scattargli un’altra foto, facendolo sbuffare mentre le abbassava con la forza il costoso oggetto:
 
“Smettila. Ma fai così anche a scuola, fotografi la povera Keller all’alba?”
“Una volta l’ho fatto ma non l’ha presa bene, mi ha tirato contro una ciabatta… prima o poi però voglio farlo anche con Cecil, chissà come la prenderà.”
 
Kate sorrise mentre Nicholas si limitò a roteare gli occhi, cingendole le spalle con un braccio. Per qualche minuto nella stanza regnò il silenzio, mentre entrambi si limitarono a fissare il soffitto pensando all’estate che stava per finire e all’anno che li aspettava, l’ultimo che avrebbero trascorso insieme alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
 
“Quindi sei sicuro della tua scelta? Vuoi entrare all’Accademia e diventare un Auror?”
“Beh, quantomeno ci proverò. Per te invece sta per iniziare l’anno dei G.U.F.O., è comunque molto importante… hai qualche idea per il tuo futuro, sorellina?”
 
Kate scosse il capo, sospirando quasi con malinconia mentre appoggiava la testa contro la spalla del fratello:
 
“No, non ho idea di chi voglio diventare… credo che prima di decidere cosa fare della mia vita dovrei capire chi sono al 100%, no? Come si fa a capirlo a 15 anni?”
“Non puoi sapere davvero chi sei a 15 anni Katie, io ne ho 17 e ti assicuro che non lo so. Ma sono sicuro che troverai la tua strada, vedrai. Intanto, goditi gli ultimi tre anni di scuola, al resto penseremo dopo.”
 
 
*
 
 
Si morse il labbro con tanta veemenza da farlo quasi sanguinare, tenendo gli occhi fissi sulla finestra dalla quale filtrava un po’ di luce mentre stringeva il cuscino quasi convulsamente. Gli occhi le lacrimavano, vuoi per il dolore vuoi per lo sforzo di non gridare.
 
No, non voleva svegliare tutti, non di nuovo… non voleva che la portassero dalla DeWitt, non voleva dimenticare tutto.
Continuava ad avere degli strani “flash”, momenti in cui era stesa nel suo letto, al buio, nella sua stanza, momenti in cui le sembrava di essere altrove, circondata da un mare di voci e di facce che non era certa di riconoscere ma che erano allo stesso tempo familiari.
 
Non ne parlava mai con nessuno, nessuno lì dentro parlava mai di quei “momenti bui”.
Un tabù non scritto, mai definito a voce alta, ma che tutti rispettavano.
 
Juliet chiuse gli occhi, affondando il viso nel cuscino mentre il suo intero corpo si muoveva in preda ai tremori. Le lacrime bagnarono la federa ancora una volta e Juliet si ritrovò a mordere il cuscino per soffocare il gemito di dolore, portandosi una mano sulla nuca quasi per controllare che non si stesse per spezzare.
 
No, non voleva svegliare tutti.
Ma voleva anche smettere di soffrire, di sentire quelle fitte di dolore lancinante ogni volta in cui si ritrovava proiettata in quelle scene confuse e sbiadite.
 
Juliet represse a fatica un singhiozzo mentre la porta si apriva per poi richiudersi dopo poco. Non si voltò per scoprire chi fosse entrato, in effetti faceva fatica a muovere la testa, ma sentì qualcuno sospirare e avvicinarsi al letto.
 
Esitò, limitandosi ad osservarla tremare per un attimo prima di decidersi, mandando al diavolo quello che era successo in quella stessa camera solo un paio di giorni prima mentre si metteva carponi sul letto per avvicinarsi a lei, allungando una mano per sfiorarle una spalla:
“Juliet…”
“Carter?”   L’Attiva si voltò lentamente verso di lui, guardandolo con gli occhi lucidi mentre il ragazzo annuiva, sistemandosi accanto a lei e mettendole le mani sulle spalle per aiutarla a mettersi stesa supina sul materasso.
 
“Rilassati, Juliet.”
“Non portarmi dalla Dottoressa, per favore…”
Juliet gli rivolse un’occhiata implorante e Carter si limitò ad annuire, facendole cenno di non parlare mentre si sedeva con la schiena appoggiata alla testiera del letto, stendendo le gambe e prendendole delicatamente la testa tra le mani, appoggiandola a sé e massaggiandole le tempie lentamente.
 
“Non lo farò, se non lo vuoi. Ma rilassati, Juls… non pensare a niente. Hai visioni strane?”
Juliet si limitò ad annuire leggermente, gli occhi aperti che cercavano i suoi. Quando però li incontrarono Carter le fece cenno di chiuderli e di rilassarsi, evitando di pensare.
 
“Le ho da un po’, ma non così dolorose.”
“Mentre dormi la mente è più vulnerabile Juls, è normale che tu ti sia svegliata così… ci hai pensato a lungo, anche oggi, a quello che vedi? Concentrarcisi le fa peggiorare, insieme allo stress. Non pensarci, dì alle visioni di andare altrove.”
 
Juliet abbozzò un sorriso quasi tetro, trattenendosi dal dirgli che la faceva fin troppo facile mentre smetteva lentamente di lacrimare e il dolore si alleviava. Dopo qualche minuto le immagini sparirono dalla sua testa e Juliet si costrinse a pensare ad altro, ma con Carter accanto non faceva che ripensare a come si era comportata con lui un paio di giorni prima… forse il dolore sarebbe stato meglio, in effetti.
 
“Va meglio?”
Carter le sfiorò la spalla con la mano mentre Juliet apriva gli occhi, continuando a tremare leggermente ma con gli occhi ormai privi di lacrime.
 
“Sì, grazie.”
“Sono qui per questo. La DeWitt rimuove completamente le immagini e blocca il dolore, ma ci sono metodi meno aggressivi del suo per alleviarlo.”
 
Juliet si limitò ad annuire, sospirando mentre abbandonava il capo sul petto del ragazzo:
 
“Non voglio dimenticarle… so che vogliono dire qualcosa. Dev’essere così, no?”
“Immagino di sì. Ma se senti ancora dolore dimmelo.”
 
Carter le rivolse un’occhiata in tralice, certo che la testa le facesse ancora male ma che si rifiutasse di ammetterlo.
Guardandola rabbrividire leggermente, rannicchiata su se stessa e con gli occhi aperti e quasi spaventati l’ex Serpeverde non trovò la forza di alzarsi e lasciarla sola, esitando prima di parlare con tono incerto:
 
“Io… se vuoi posso stare qui. Se ti fa sentire meglio…”
Juliet annuì e Carter provò un moto di sollievo, sorridendo appena: probabilmente un altro rifiuto sarebbe stata una dolorosa pugnalata.
Il Guardiano fece per alzarsi e andare a dormire sul pavimento con un cuscino, ma l’Attiva sbuffò e lo prese per un braccio, costringendolo a restare accanto a lei:
 
“Pessima idea, domani dovrò ascoltare le tue lamentele per il mal di schiena per tutto il giorno.”
 
Carter replicò ma Juliet lo zittì in fretta, suggerendogli di fare silenzio. La ragazza chiuse gli occhi come se volesse imporsi di tornare a dormire e ignorare il dolore che sentiva, mentre Carter la guardava con gli occhi aperti e perfettamente vigili.   Inaspettatamente si addormentò abbastanza in fretta, molto più rilassata rispetto a poco prima forse proprio grazie alla sua presenza.
 
La ragazza si addormentò prima di lui, cosa che non lo stupì affatto… a stupirlo invece fu, la mattina dopo, la facilità inusuale con cui anche lui sprofondò nel sonno poco dopo, un braccio posto con delicatezza sulla vita della ragazza.

 
*
 
 
Era in piedi, ferma nel bel mezzo di un corridoio mentre un fiume di studenti le passava accanto, superandola per raggiungere le rispettive aule.
La Corvonero dell’ultimo anno teneva invece gli occhi fissi su un ragazzo che era fermo a qualche metro di distanza, impegnato a parlare con un paio di compagni di Casa.
 
La scuola era ricominciata da soli due giorni e non aveva ancora avuto modo di parlargli… in effetti si sentiva, forse, un po’ a disagio: che cosa doveva dirgli? C’era una specie di codice da seguire per una situazione del genere? In effetti non sapeva nemmeno di preciso cosa fosse successo, solo che la famiglia di Seth Redclaw era perita solo poche settimane prima, nel bel mezzo dell’estate.
 
Non voleva sapere i dettagli, non voleva avvicinarglisi per mera curiosità come invece molti avevano sicuramente fatto, visto che la notizia era giunta rapidamente a tutti gli angoli del castello… Voleva sapere come stesse.
 
Alla fine si decise e si avvicinò al gruppetto di Grifondoro quasi a passo di marcia, dicendosi di salutarlo com’era buona educazione.
Ginevra, in piedi accanto a Seth, si accorse subito che si stava avvicinando e per un attimo Kate vide un sorriso incresparle il volto, come se fosse davvero felice di vederla… e molto probabilmente intuì con chi volesse parlare, perché la rossa – tinta, in effetti, ma pur sempre rossa – si voltò verso l’amico e gli disse qualcosa a bassa voce.
Immediatamente Seth si voltò verso di lei e tutta la sicurezza di Kate vacillò considerevolmente, tentata di girare sui tacchi e scappare dentro l’aula di Trasfigurazione di fronte agli occhi del Grifondoro.
 
“Ciao.”
Kate si fermò di fronte al ragazzo, abbozzando un sorriso che Seth ricambiò appena:
“Ciao Kate. E’ bello vederti.”
 
E in effetti Seth non mentì, forse per la prima volta da quando era arrivato ad Hogwarts e tutti gli chiedevano se stesse bene… era davvero felice di vederla, non riuscì a non rilassarsi di fronte al suo sorriso quasi timido.
 
 “Si è fatto tardi, noi entriamo a prendere i posti… ma voi fate pure con comodo.”
Ginevra sorrise quasi con allegria prima di prendere sottobraccio i compagni di Casa, Mary ed Edward, per spingerli dentro l’aula.
 
“Come… come stai?”
Come vuoi che stia razza di idiota? Male, malissimo! Che domande fai? Ti prenderà per cretina!
 
“Sono stato meglio.”
Seth incinò le labbra in un sorriso quasi triste ma la sua espressione mentre la guardava non si fece seccata, anzi, la guardò quasi come se la trovasse tenera.
“Mi dispiace molto per la tua famiglia Seth… ma sono felice che tu stia bene.”
 
Kate si sforzò di sorridere, allungando una mano per sfiorargli la sua. Il Grifondoro abbassò lo sguardo sulla mano della ragazza che aveva stretto la sua prima di annuire, posando nuovamente gli occhi su di lei:
 
“Grazie.”
“Per cosa? Per il peggior discorso consolatorio della storia?”
“No, per non avermi chiesto com’è successo… sembra che sia la notizia dell’anno, per ora.”
Il ragazzo roteò gli occhi e Kate si acciglio leggermente, osservandolo con la massima serietà:
 
“Non credo sia una domanda da fare… dovresti parlarne solo se te la senti.”
 
Seth sorrise, guardandola con sincera gratitudine prima che la ragazza accennasse alla porta dell’aula, ancora aperta:
“Credo che dovremmo andare, non voglio iniziare l’ultimo anno con una punizione dopotutto… Ci sediamo vicini?”
“Non vuoi stare con Keller?”
“Non è un problema, si può sedere accanto a Cecil.”
 
La Corvonero lo prese sottobraccio per entrare nell’aula insieme a lui, trattenendosi dal fargli notare che l’amica sarebbe stata indubbiamente felicissima di vederla seduta accanto a lui a lezione.

 
*

 
“Bene, credo che dovremmo restare qui e controllare che tutto fili liscio… spero che la fermezza di Quebec riesca a contrastare l’entusiasmo di Foxtrot, credo non vedesse l’ora di di arrivare qui e rapire quella polvera malcapitata. Chissà perchè dobbiamo rapire una povera ragazza, tra l’altro.”
 
“E’ la figlia del padrone di casa. Molto probabilmente chiunque ce l’abbia chiesto vuole chiedere un riscatto.”
 
Hooland si limitò a stringersi nelle spalle, tenendo le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni blu notte del completo che indossava.
Lui e Isla erano in piedi uno accanto all’altra accanto al muro della grande stanza illuminata e tirata a lucido per l’occasione, con un costoso lampadario che dondolava sopra le loro teste mentre una quantità disarmante di camerieri si aggiravano tra gli ospiti reggendo vassoi carichi di tartine o calici di vino bianco.
 
 
Isla faceva vagare lo sgaurdo per la sala con aria annoiata – dopotutto aveva preso parte a serate simili per tutta l’infanzia e durante le vacanze tra un anno di scuola e l’altro –, lasciando che Foxtrot, Quebec e Whiksey tenessero la situazione in mano. Sarebbero intervenuti solo in caso di necessità, e l’americana sperava vivamente di non doverlo fare.
 
Lanciando un’occhiata al ragazzo, decisamente silenzioso, Isla si accorse che Hooland teneva invece gli occhi chiari fissi con insistenza su qualcuno, osservando una ragazza che si trovava a qualche metro di distanza, impegnata a sorridere e a parlare con un paio di tizi che l’avevano avvicinata.
In realtà Rose, per come Isla la conosceva, era vagamente in imbarazzo di fronte a quelle attenzioni, ma vederla in quella situazione era troppo divertente per intervenire e salvarla… insieme a lanciare occhiate divertite in direzione di Hooland, che continuava ad osservarla senza dire una parola.
 
Isla distolse la sua attenzione dall’amica che, lo sapeva, la stava pregando mentalmente di raggiungerla per rivolgersi ad Hooland, spiando nella sua testa senza esitare minimamente.
 
L’americana quasi rise quando sentì i pensieri del ragazzo, che a quanto sem,brava era decisamente in crisi e non sapeva se e come dire alla vecchia amica quello che provava, temendo che lei non lo ricambiasse o che comunque non volesse avere una relazione.
 
“Hool, sono sicura che Rose ti ricambia, stanne certo. Non me l’ha mai detto, ma solo perché è molto timida e insicura.”
Hooland si voltò verso di lei, fulminandola con lo sguardo:
“Non è carino spiare i pensieri altrui Isla.”
“Lo so, infatti non lo faccio spesso, ma non ho resistito visto che la stai mangiando con gli occhi da quando siamo entrati. E’ bellissima stasera, non trovi?”       Isla abbozzò un sorriso, continuando a tenere gli occhi castani fissi su di lui quasi con aria divertita, non avendo bisogno di una risposta verbale per sapere che aveva ragione.
 
“Rose è sempre bella…”
 
Le parole uscirono dalle labbra del Tassorosso quasi senza volerlo mentre continuava a carezzare la figura di Rose con lo sguardo, scivolando dai suoi capelli castani raccolti sulla nuca, ai lineamenti dolci del viso, alle labbra tinte di rosso fino al vestito nero, accollato sul davanti con del pizzo che le lasciava la schiena completamente scoperta, che le avvolgeva il fisico a clessidra.
 
“Hool, non c’è niente di male ad essere innamorati, la conosci da tantissimo tempo dopotutto…”
“Piano con le parole! Io non… mi piace molto, ecco.”
 
Holland sbuffò leggermente, guardandosi i piedi mentre si chiedeva mentalmente perché non riuscisse mai ad esprimere verbalmente dei sentimenti in modo diretto… non si era mai posto molti problemi prima di andare da qualcuno e dire “sono interessato a te”, ma allo stesso tempo non riusciva ad esprimere quello che provava in modo più profondo, limitandosi sempre a frasi come quella, vagamente superficiali.
 
“Mettila come vuoi, in ogni caso se fossi in te glielo farei capire, è troppo timida per farsi avanti spontaneamente. E poi hai detto a Fox che volevi farglielo capire tempo fa, prima che lei si mettesse insieme a quel tipo… hai perso la tua occasione Hooland, io mi muoverei prima che accada nuovamente.”
 
Isla accennò con il capo alla collega mentre Hooland sbuffò sommessamente, conscio che avesse ragione… e poi non voleva che nessun Jason Craig II si avvicinasse a Rose, ne era bastato già uno.
Il Tassorosso però non fece in tempo a dire nulla, perché un Foxtrot allegro li raggiunse, sfoggiando un sorriso mentre Quebec lo seguiva, impassibile e con l’aria più calma del mondo:
 
“Ok, sentite, ho pensato ad una cosa… possiamo usare questa!”
 
Il rosso si fermò davanti ai due Guardiani prima di tirare fuori qualcosa dalla tasca interna della giacca nera, facendo sgranare immediatamente gli occhi ad Isla:
 
“FOX! Che cos’è? Mettila via!”
 
L’americana gli strappò quella che somigliava ad una piccola bomba per metterla nella sua borsetta alla velocità della luce, facendo roteare gli occhi all’Attivo:
“Rilassati, non è una bomba, è un fumogeno, l’ho preso dall’armeria… andiamo, sarà divertente, come nei film!”
“Aspetta. Vuoi dire che è una di quelle cose che se azionata riempie la stanza di vapore? Come nel film dell’altra sera?”
“Sì!”
Grande, la voglio accendere io! Lo faremo dopo il brindisi per gli auguri alla figlioletta che dobbiamo sequestrare!”
 
Isla sfoggiò un sorriso allegro prima di trotterellare via, mentre Foxtrot sbuffava e la seguiva, ricordandole che l’idea era stata sua e che non poteva prendersi il merito e il divertimento.
 
“Immagino che dovrò seguirli per evitare che discutano e che mandino tutto letteralmente in fumo… A volte mi sento un Guardano anche io.”
 
Quebec si limitò a roteare gli occhi prima di girare sui tacchi e seguire i due, lasciando Hooland solo con i suoi ingombranti pensieri.
 
Quando però il ragazzo sentì la musica si mosse quasi senza volerlo, iniziando ad attraversare la sala per raggiungere Rose: in fin dei conti aveva sempre amato ballare, non era una cattiva idea, no?
Il Tassorosso non ebbe però tempo di porsi dubbi a riguardo, perché in men che non si dica era già arrivato davanti a lei, che gli indirizzò un sorriso quasi sollevato quando lo vide.
 
“Chiedo scusa… balliamo?”
Rose annuì senza esitare nemmeno per un attimo, prendendo la mano che lui le stava porgendo prima di seguirlo, lasciandosi guidare sulla parte centrale dell’enorme sala.
 
“Grazie, mi hai salvata. Ma tu non ami particolarmente ballare lenti, Hool.”
“In effetti no, preferisco altro genere di musica, ma mi sembravi un cagnolino abbandonato sul ciglio della strada e non potevo non venirti a salvare.”
 
“Mi sento in imbarazzo quando ricevo troppe attenzioni da persone che non conosco, detesto essere fissata.”
“Lo so, lo so. Forse è colpa mia, il vestito ti dona un po’ troppo.”
 
Hooland si accigliò leggermente, parlando con tono dubbioso mentre Rose lo colpiva giocosamente sul braccio prima di mettergli una mano sulla spalla, sorridendo con un velo di rossore sulle guance per il complimento.
Hool non ricambiò il sorriso, continuando a sentirsi sul bordo di un precipizio mentre le metteva una mano sulla schiena, attirandola leggermente a sé e appoggiando il mento contro la sua tempia.
Sì, forse evitare di guardarla in faccia era una splendida idea, magari si sarebbe sentito meno a disagio.
 
 
 
“Guardali. Sono proprio carini.”
Isla sorrise con una dolcezza che fu quasi disarmante agli occhi di Foxtrot, mentre la Guardiana teneva gli occhi fissi su Rose e Hooland mentre ballavano quasi con soddisfazione.
 
“Isla, che cos’era quel tono melenso?”
“Io non ho un tono melenso, dicevo solo che cono molto teneri insieme. Peccato siano entrambi due teste di legno, ormai anche i muri della Casa hanno percepito la tensione che c’è tra di loro, ma Hooland ha ancora dubbi.”
L’americana si strinse nelle spalle mentre accennava ai due, guardandoli quasi con disapprovazione. Moriva dalla voglia di urlargli di baciarsi e falla finita, ma forse non era il caso in una situazione come quella…
 
*

 
“Che cosa disegni, Picasso? Sono curiosa, molte ragazze non fanno altro che chiedersi che cosa disegni il bello e misterioso Seth Redclaw sul suo quaderno… In effetti è un po’ un clichè, ma piace sempre.”
“In “molte ragazze” rientri anche tu, per caso? No, Kate!”
 
Seth sollevò di scatto la testa quando Kate gli prese il quaderno dalle mani, sedendosi davanti a lui sul banco mentre osservava il disegno che stava facendo:
 
“Vediamo… un lupo? Molto bello, sei davvero bravo allora!”
Kate gli sorrise e Seth cercò di sporgersi e riprendersi il quaderno prima che la ragazza voltasse pagina, ma fu inutile e lei, sorridendo, lo fece comunque, guardando il penultimo schizzo del ragazzo.
Il sorriso svanì dal volto della ragazza per poi ricomparire dopo qualche istante, osservando il disegno mentre invece Seth sospirava, mettendosi una mano sul viso con leggera disperazione.
 
“E’ molto bello. Grazie.”
La Corvonero puntò gli occhi verdi su di lui, sorridendo prima di voltare pagina… e ancora e ancora, ritrovandosi davanti ad un gran numero di disegni che la ritraevano.
 
Merda…
Seth sbuffò, guardandosi i piedi e arrossendo leggermente mentre Kate, senza dire nulla per un po’, alzava nuovamente lo sguardo su di lui, guardandolo quasi con leggera confusione:
“Sono quasi sempre io.”
 
Di fronte alla constatazione della ragazza Seth non potè far altro che annuire, continuando ad evitare di guardarla mentre la Corvonero scivolava giù dal banco, lasciandoci sopra il quaderno prima di inginocchiarsi di fronte a lui.
Senza dire nulla la ragazza gli prese il viso tra le mani, costringendo il Grifondoro a guardarla. Per un attimo nessuno dei due si mosse o disse niente, ma poi la mano di Kate scivolò dal suo viso per poggiarsi sul suo petto, all’altezza del cuore che batteva ad una rapidità che in quel momento il ragazzo giudicò quasi imbarazzante.
Kate invece sorrise, inarcando leggermente un sopracciglio prima di parlare:
“Batte così forte per me?”
Seth deglutì, quasi incapace di rispondere a quella domanda, ma fortunatamente non ce ne fu bisogno: Kate probabilmente intuì la risposta perché gli si avvicinò ulteriormente, appoggiando le labbra sulle sue.
 
Seth rimase interdetto per un attimo ma poi l’avvolse con le braccia, sentendosi davvero bene per la prima volta dopo diverse settimane.  
 
 
*

 
“C’è una cosa che forse dovrei dirti… avevi ragione, stavo pensando a qualcosa prima, in macchina.”
 
Rose si scostò leggermente da lui, alzando lo sguardo per poterlo guardare in faccia mentre Hooland esitava prima di continuare a parlare: non poteva essere tanto doloroso togliersi quel dente, dopotutto.
 
“Credo di dovertelo dire da un sacco di tempo, ma oggi parlando con Foxtrot ho capito che non ha senso continuare a non farlo. Rose, sei una delle persone che meglio mi conosce, sai come sono fatto… non sono un granché ad esprimere quello che provo, ma in genere lo faccio comunque, anche se in modo un po’ scarno, senza tanti preamboli. Con te non l’ho mai fatto, ma credo sia arrivato il momento di rimediare.”
 
Rose strabuzzò gli occhi chiari alle parole del ragazzo, guardandolo come se non credesse alle sue orecchie mentre l’ex compagno di Casa si decideva finalmente a guardarla in faccia, smettendo di muoversi seguendo la musica. Si fermò e di conseguenza lo fece anche Rose, ma la ragazza non sembrò badarci, troppo impegnata a guardarlo chinarsi prima di appoggiare la labbra sulle sue.
Rose rimase immobile per un attimo ma poi si rilassò, allacciandogli le braccia al collo mentre Hooland l’attirava a sé, cingendola la vita con un braccio.
Un moto di sollievo pervase il ragazzo quando lei non si ritrasse e rispose al bacio e Hooland smise di pensare a tutte le persone che li circondavano e che probabilmente li stavano guardando.
 
Non riuscì a non pensare che fosse molto una scena da soap, ma probabilmente non era il caso di staccarsi e farlo notare alla ragazza.
Le mani del ragazzo scivolarono sui fianchi torniti di Rose per sfiorarli con le dita, ma a staccarsi fu proprio la ragazza, facendo improvvisamente un passo indietro, guardandolo con gli occhi sgranati e il battito cardiaco accelerato.
 
“Io… scusa. Non posso farlo.”
“Rose, per favore…”
 
Hooland mosse un passo verso di lei ma Rose scosse il capo prima di girare sui tacchi e allontanarsi in fretta, lasciandolo solo sulla pista.
 
Il Tassorosso la guardò allontanarsi prima di sbuffare, scostandosi a sua volta dal centro della sala con le mani seppellite nelle tasche, dandosi mentalmente dell’idiota per essere stato tanto impulsivo. Aveva forse appena rovinato tutto con la sua dolce Rose?
Chissà, forse lei lo vedeva davvero solo come un amico.
 
La friendzone, altro tasto tipico delle soap… peccato che Hooland Magnus non avrebbe mai voluto trovarcisi invischiato in mezzo.

 
*

 
Era piuttosto sicura che intorno a loro qualcuno stesse facendo qualche commento su di loro, ma non gliene importava nulla e probabilmente lo stesso valeva per Seth, visto che continuava a baciarla ignorando le voci.
Quando si staccarono Kate gli sorrise, accarezzandogli i capelli castani prima di avvicinarglisi nuovamente e lasciargli un lieve bacio a stampo sulle labbra, facendolo sorridere a sua volta mentre la teneva sulle sue ginocchia per annullare la differenza d’altezza di quasi trenta cm che li separava.
 
“Sei l’unica cosa positiva che mi sia capitata da un anno a questa parte.”
Seth sospirò, appoggiando la fronte su quella della ragazza mentre con una mano continuava a giocherellare con i suoi capelli, facendola sorridere di rimando:
 
“Davvero?”
“Davvero. Averti è una fortuna, l’inizio dell’anno è stato tremendo, ma da quando ho te accanto è tutto molto più facile Katie.”
Seth le prese il viso tra le mani e ancora una volta la Corvonero si ritrovò ad ammirare da vicino gli occhi del ragazzo, un’iride di un azzurro molto intenso e l’altra per metà di un castano quasi dorato. L’eterocromia parziale dei suoi occhi l’aveva sempre affascinata molto, fin dal loro primo incontro, e adorava poter ammirare quegli occhi unici da vicino.
 
“Mi fa piacere sentirtelo dire, so che non è un periodo facile per te.”
“No, non lo è… ma come ho detto finché ci sarai tu sarà molto meglio. Quindi vedi di non scappare.”
“Ma chi vuoi che scappi dal ragazzo più bello del nostro anno? Anche se nemmeno Cecil scherza, o Julian…”
 
Kate inarcò un sopracciglio con studiata teatralità, parlando con un tono assorto che fece sbuffare il ragazzo che le stava davanti:
“Come scusa?”
“Dicevo solo che sono indubbiamente molto attraenti… non prenderla male Seth, dopotutto Cecil è uno dei miei migliori amici, non penserei mai a lui in quel modo…”
 
Kate sorrise con aria angelica, ma non fece in tempo a finire la frase perché si ritrovò a ridere, contorcendosi leggermente mentre Seth le faceva il solletico, ignorando il silenzio che – almeno in teoria – avrebbero dovuto mantenere in Biblioteca.

 
*

 
“Ok, tutto a posto, abbiamo messo a nanna la principessa… pulcino, che cos’hai?”
Isla rivolse un’occhiata scettica a Rose, che stava praticamente correndo fuori dall’abitazione accanto a lei dopo essersi sfilata i tacchi.
“Niente…”
“Quando me ne sono andata con Fox e Quebec per azionare il fumogeno tu e Hooland vi stavate baciando e ora hai una faccia decisamente tetra… che cosa è successo? Bacia così male?”
“No! E’ solo che…”
Il tono di voce della Tassorosso si abbassò progressivamente mentre concludeva la frase, facendo strabuzzare gli occhi all’amica quando capì cosa aveva fatto poco prima:
“Che cosa? Perché lo hai respinto? Anzi, ne parliamo dopo, ora muoviamoci e leviamo le tende. Foxtrot, dove stai andando, la macchina è di là!”
 
“Non è colpa mia, da queste parti i parcheggi si somigliano tutti…”
Foxtrot, tenendo la ragazzina in spalla, sbuffò e si affrettò a raggiungere le due con Quebec al seguito, mentre Isla roteava gli occhi:
 
“Ma questo non è un parcheggio infatti, è il piazzale d’ingresso della villa… lasciamo perdere, ti spiego in auto.”
 
Dopo aver addormentato la ragazzina la sistemarono sui tre sedili posteriori della macchina che era stata magicamente ampliata per l’occasione e i sei si affrettarono a risalire in auto, mentre all’interno della villa scoppiava definitivamente il polverone quando si resero conto che mancava la festeggiata.
 
“Poverina però, sequestrata al suo compleanno, mi fa un po’ pena…”
“Rose, guida, ai sentimentalismi pensiamo dopo!”
 
“Strano, Alpha l’aveva fatta molto più complicata di quanto in realtà non fosse… ci abbiamo messo poco, è stato facile!”
“Parla per te, io mi sono quasi fatta azzannare una caviglia da uno di quei dannati cani… e poi con quel fumo non vedevo nulla.”
“Non fare il precisino Quebec, ti stai trasformando in Isla!”
 
*
 
“Kate…”
Seth si fermò, chiudendo una mano intorno al polso della ragazza staccandosi da lei per poterla guardare negli occhi. La Corvonero non disse niente, limitandosi a ricambiare il suo sguardo mentre era in piedi davanti a lui.
 
“Io non… Sei sicura? Non voglio forzarti.”
Un lieve sorriso increspò le labbra carnose della ragazza, che gli prese di nuovo il viso tra le mani, mentre erano fermi davanti al ritratto della Signora Grassa.
Praticamente tutti i loro compagni di corso erano ancora a festeggiare la fine degli esami nella Stanza delle Necessità, molti avevano anche richiesto alla stanza dei sacchi a pelo per passare la loro ultima notte lì dentro insieme ad amici e compagni di classe… ma Kate lo aveva trascinato fuori poco prima, evidentemente di altro avviso.
 
“Seth, domani torneremo a casa, questa è l’ultima notte che passiamo ad Hogwarts… E voglio passarla con te.”
Il sorriso di Kate non vacillò mentre gli accarezzava il volto con un dito e Seth non disse niente, limitandosi a guardarla mentre pensava a quello che probabilmente sarebbe successo dopo Hogwarts, alla proposta di Cecily DeWitt che stava davvero prendendo in considerazione… ma non le aveva detto nulla. Non aveva il coraggio di parlarne con lei.
 
Dopo un attimo di esitazione Seth borbottò la parola d’ordine prima di chinarsi e baciarla nuovamente, facendola ridacchiare quando la prese in braccio.
No, non aveva il coraggio di dirglielo… ma per quella notte voleva smettere di pensarci.
 
Difficilmente in quel momento Seth avrebbe potuto immaginare che presto sia lui che Kate si sarebbero trovati alla Dollhouse, solo incapaci di riconoscersi l’un l’altro.

 
*

 
“E’ una cosa terribile. Mi sento una specie di mostro.”
“Ti riferisci alla dodicenne che abbiamo sequestrato o a quello che hai fatto ad Hooland?”
 
Rose, appollaiata sul davanzale interno della sua finestra, si voltò verso Isla per rivolgerle un’occhiata torva, ma l’amica si limitò a sollevare un sopracciglio, come a volere dire che era perfettamente seria.
 
L’ex Tassorosso sospirò, voltandosi nuovamente verso la finestra per osservare l’Oceano buio mentre si teneva le ginocchia con le braccia, indossando il pigiama e tenendo i capelli sciolti sulle spalle.
 
“Probabilmente entrambe le cose. Tre anni fa non avrei pensato che sarei stata a guardare mentre dei miei amici portavano via dalla sua casa una ragazzina. Chissà dove l’avranno portata quelle persone, non avevano delle belle facce…”
“Rilassati Rosie, probabilmente si tratta solo della richiesta di un riscatto e non le faranno nulla. E poi non facciamo solo cose brutte, no? Una volta se ben ricordi abbiamo contribuito a liberare una bambina proprio da dei rapitori.”
“Lo so, ma è comunque orribile.”
 
“All’inizio non è stato facile nemmeno per me Rose, ma poi me ne sono fatta una ragione… è questa la mia vita ora, e me la sono scelta dopotutto.”
Isla, seduta sul letto dell’amica, si strinse nelle spalle prima di lanciare un’occhiata, osservandola prima di parlare di nuovo:
 
“Stai pensando ad Hooland.”
“Odio quando leggi i miei pensieri.”
“Lo so, lo odiano tutti… ma ho imparato quest’arte per qualcosa, no? Avanti, dimmi perché lo hai respinto. Non puoi mentire a ME Rose Williams, io SO. E mi si è stretto il cuore vedendolo silenzioso e cupo per tutto il viaggio di ritorno, non ha voluto nemmeno guidare.”
 
Isla scosse il capo e Rose sbuffò, scivolando dal suo giaciglio per andare a sedersi a sua volta sul letto, sistemandosi sul lato opposto rispetto ad Isla e tenendo lo sguardo fisso davanti a sé con ostinazione:
 
“Non lo so nemmeno io. Insomma, non pensavo che provasse quel genere di cose per me!”
“Allora scusa, devo dirtelo, sei un po’ tonta… scusa, continua.”
 
“E’ solo che… non lo so, e se magari penso di esserne innamorata e invece in verità lo vedo solo come un amico? Se magari questo dovesse valere per lui? Forse non mi sento nemmeno pronta ad avere una relazione con qualcuno, dopo Jason non ci ho praticamente più pensato, e non vorrei mai farlo soffrire! Se dovessi rendermi conto che non me la sento, non potrei mai dargli una simile delusione.”
 
Isla roteò gli occhi prima di interrompere il flusso di parole dell’amica, parlando con un tono piuttosto calmo e pacato:
 
“Rosie, credo che tu glie l’abbia già data, ora il povero Hool pensa che TU lo veda solo come un amico. Fossi in te domattina correrei da lui per dichiararti.”
“Dichiararmi? Non posso. Sono troppo timida!”
“Se non vuoi parlare agisci allora, bacialo e basta!”
“Peggio ancora!”
 
“Oh insomma, che vuoi che sia, ormai hai capito di piacergli, no? E sai perché non te lo ha detto per tutto questo tempo? Perché ha pensato che tu non te la sentissi dopo questo Jason, che da quanto ho capito dev’essere stato terribile, ma ne riparleremo. Rose, forse inconsciamente hai paura di stare di nuovo male, di subire un’altra cocente delusione… Ma pensi davvero di correre questo rischio con Hooland?
 
Rose non rispose, limitandosi a fissare un punto indefinito del lenzuolo mentre Isla invece si alzava dal letto con un sorriso quasi soddisfatto:
 
“Bene Williams, la seduta è terminata, domani riceverai notizie sulla parcella. Ti lascio con questa domanda alla quale trovare una risposta.”
“Grazie tante.”
“Di niente cara, dopotutto credo che molti analisti facciano proprio così… Buonanotte, pulcino!”
“Notte, passerotto…”
 
 
Isla uscì dalla camera dell’amica, chiudendosi la porta alle spalle per raggiungere la sua stanza e andare finalmente a dormire… ma l’americana quasi svegliò tutta la Casa con un acuto grido nel trovarsi davanti una figura, che si affrettò a tapparle la bocca con la mano:
 
“Isla, zitta, sono io!”
“FOX? Mi hai spaventata a morte! Che cosa c’è?”
“Stavate spettegolando su Hooland? E’ molto giù, devi convincere Rose a fargli capire che lo ricambia, non voglio vederlo depresso.”
“Ci sto lavorando, ora vai a dormire prima di far morire qualcuno d’infarto.”
 
Isla sbuffò per poi superarlo con tutta l’intenzione di andare a dormire, ma sentendosi chiamare dal ragazzo si fermò, voltandosi nuovamente verso di lui con aria impaziente. Foxtrot invece le rivolse un’occhiata piuttosto divertita prima di sorridere:
 
“Finalmente sono riuscito a vedere Miss Perfezione in pigiama… pantofole fluffy, chi l’avrebbe mai detto.”
“Maledizione, dovrei bruciarle, ma sono dannatamente comode…”
 
“… Per non parlare dell’adorabile pigiama con le volpi, si vede che sono scolpito nel tuo cuore.”
“VATTENE!”
 
 







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Angolo Autrice:

Buonasera! 
Avrei voluto aggiornare ieri ma Game of Thrones mi ha chiamata e non sono riuscita a non rispondere, quindi eccomi qui.
Grazie per le recensioni dello scorso capitolo, ne approfitto anche per informarvi che siamo praticamente a metà della storia, dovrebbero mancare altri 8-9 capitoli.
Inoltre, visto che praticamente tutte vi siete iscritte alla mia nuova storia vi mando un enorme grazie collettivo! Siete le mie stalker preferite u.u 
No, non è vero, scherzo, la presenza ricorrente nelle storie è molto ben apprezzata.

Detto ciò vi saluto, ma prima vi metto ovviamente i nomi per il seguito, ormai la scelta si restringe parecchio.

- Foxtrot
- Carter 
- Echo 

Chissà chi sceglierete tra questi tre baldi giovini... vedremo immagino, a presto!

Signorina Granger 

 

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Capitolo 13
*** Foxtrot ***


Capitolo 11: Foxtrot

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Con un colpo di talloni piuttosto deciso intimò al cavallo dal mantello color sauro ciliegia di accelerare, stringendo la presa sulle redini di cuoio.
Le mani iniziavano quasi a fargli male e la schiena, dopo diversi minuti passati tenendola protesa in avanti, gli si era leggermente indolenzita… Probabilmente rallentare l’andatura del cavallo fino ad andare al trotto sarebbe stato un sollievo, ma in quel momento Cecil Krueger non aveva nessuna intenzione di rallentare: farlo avrebbe voluto dire perdere.
E non aveva nessuna voglia di perdere quella corsa, non quando il suo avversario era suo fratello Dominic.
 
Cecil era solo un bambino di nove anni, ma aveva imparato a cavalcare prima di imparare a leggere correttamente e l’equitazione era presto diventata motivo di serrata competizione con il fratello maggiore, come un po’ qualunque altra cosa.
Erano entrambi cresciuti con i cavalli, nel maniero di famiglia ce n’erano a bizzeffe, ed entrambi amavano correre per il parco della residenza fino ai vigneti, sfidandosi in gare sempre più decise.
 
Probabilmente se sua madre l’avesse visto cavalcare in quel modo lo avrebbe preso per un orecchio, sostenendo che fosse troppo pericoloso… ma in quel momento a Cecil non importava altro che vincere, probabilmente.
 
“Andiamo Sundance… ci siamo quasi.”
 
Cecil accarezzò il collo del cavallo, luccicante sotto il sole e madido di sudore, quasi scusandosi con l’amato animale per quanto lo stesse facendo stancare.
 
Un sorriso però increspò le labbra del piccolo mago quando la distesa di viti si presentò finalmente ai suoi occhi e lo stallone aumentò la rapidità e la lunghezza delle falcate, probabilmente intuendo che la fine dell’estenuante corsa era vicina alla fine.
 
Il rumore del galoppo della giumenta del fratello era molto vicino, di certo Dominic e Lady erano poco dietro di loro.
 
Sembrava, tuttavia, che quel giorno la vittoria pendesse dalla parte del fratello minore, che sorrise con sincera gioia quando raggiunse il “traguardo” appena prima del fratello.
 
“Mi dispiace Dom, questa volta ho vinto io. Bravissimo Sundance.”
Cecil mollò la presa sulle redini mentre il cavallo si fermava, sporgendosi in avanti per cingere il lungo collo dell’animale con le braccia. Il cavallo si limitò a scuotere leggermente il capo, facendo oscillare la luccicante criniera nera mentre Dominic si fermava accanto a loro, dando una pacca sul collo dell’ansante cavalla bianca.
 
“Pazienza, sarà per la prossima volta piccoletto… Non ci facciamo battere facilmente, vero Lady? Torniamo indietro, la mamma ci starà già cercando a destra e a sinistra.”
 
Dominic fece un cenno al fratellino, suggerendogli di avviarsi al passo mentre il bambino si passava una mano dai capelli rossicci, scostandoseli dalla fronte sudata.
 
“Sono felice di averti battuto Dom, dopotutto stai per tornare ad Hogwarts… confesso che mi annoierò senza nessuno da battere.”
“Nessuno da cercare di battere, Cecil. Per una volta che hai vinto tu evita di cantare troppo.”
 
Il Corvonero rivolse un sorrisetto al fratellino, allungando una mano per spettinargli i capelli, facendolo sbuffare leggermente.
 
In relata Cecil non aveva mai disdegnato la solitudine, gli piaceva stare da solo, ma farlo per tutte quelle settimane non era particolarmente piacevole… e alla sua partenza per Hogwarts mancavano ancora due lunghissimi anni. In quella grande residenza nella campagna vicino ad Oxford non c’era troppa compagnia per un bambino, e anche se non l’avrebbe mai ammesso quando non c’era suo fratello gli mancava, dopo qualche settimana.
 
“DOMINIC! CECIL! Quante volte vi ho detto di avvertirmi quando prendete i cavalli! Guarda come li avete fatti sudare, scommetto che avete corso come forsennati come al solito.”
 
I due non erano nemmeno scesi da cavallo quando si trovarono la madre davanti, lo sguardo visibilmente seccato mentre li guardava con le mani sui fianchi:
 
“Scusa mamma…”
Di fronte alle parole quasi recitate dai due figli la donna sospirò, roteando gli occhi con lieve esasperazione:
“Filate a lavarvi, farò portare i cavalli nei box. Cecil, dopo il thè suoni qualcosa per me?”
 
Quando il figlio minore le passo accanto la donna gli sfiorò i capelli rossicci con le dita, guardandolo con affetto mentre il bambino annuì:
“Certo mamma.”
Prima di dileguarsi Cecil rivolse al fratello maggiore un’occhiata quasi trionfante, ben lieto di avere almeno qualcosa dove brillava più di lui: la musica.
 
*


Diana RichardsonImage and video hosting by TinyPic
 
 
“Signora, è qui. Come ha richiesto ieri.”
 
Cecily smise di scrutare le tac ai cervelli dei suoi “Attivi” dallo schermo del computer per rivolgere la sua attenzione al telefono, allungando una mano per premere uno dei pulsanti:
 
“Falla salire.”
Si alzò dalla sedia girevole di pelle dallo schienale alto prima di ottenere una risposta, sistemandosi distrattamente il colletto alla Peter Pan nero della camicetta che indossava mentre si appoggiava alla scrivania, in attesa.
Non l’aveva mai vista, anche se sapeva da sempre della sua esistenza… chissà com’era.
 
Sentendo bussare alla porta la donna si ridestò, invitando chiunque ci fosse dall’altra parte ad entrare. Un attimo dopo Cecily si ritrovò a sorridere, rivolgendo un cenno del capo quasi impercettibile all’uomo che le stava davanti per poi rivolgersi completamente alla bambina bionda ferma sulla soglia della stanza, i grandi occhi chiarissimi fissi su di lei.
 
“Ciao tesoro, io sono Cecily… vieni dentro. Vuoi una tazza di thè?”
La bambina annuì senza dire nulla, facendo vagare lo sguardo nella stanza mentre Cecily continuava a sorriderle, osservandola attentamente per cercare qualche tratto familiare.
 
“Siediti.”
La bambina, che fino a quel momento aveva continuato a stringere l’orlo del suo abitino turchese, si avvicinò ad una delle sedie e ci si arrampicò, osservando con curiosità la scrivania di vetro della donna.
 
Cecily sedette accanto a lei prima di far comparire un vassoio pieno di biscotti, due tazze e una teiera fumante… gli occhi cerulei della bambina si illuminarono vedendo i dolcetti, sorridendole:
 
“Posso prenderne uno?”
“Ma certo Diana… tutti quelli che vuoi.
 
Cecily sorrise, guardando la bambina prendere un biscotto mentre allungava la mano pallida e perfettamente curata, sfiorando con le dita affusolate una delle due ciocche bionde che era stata lasciata fuori dalle due trecce di Diana.
 
Forse non gli somigliava poi molto… eccetto gli occhi, certo, quelli erano indubbiamente quelli di Alpha. Anche se avevano sicuramente un modo di guardare il mondo molto diverso.
 
*

 
Cecil appallottolò la lettera della madre con irritazione, sbuffando prima di abbandonarsi allo schienale della sedia.
Era arrivato ad Hogwarts da un paio di mesi e si era sempre impegnato tantissimo, ma era stato malauguratamente Smistato nella stessa Casa di suo fratello. Il suo peggior incubo, in pratica.
 
Dell stesso sesso, con pochi anni di differenza: metterli a confronto era venuto quasi naturale ai loro genitori, spingendoli a cercare sempre la competizione tra loro. Eppure Dominic, per quando Cecil si stesse sforzando, continuava ad apparire più brillante di lui a scuola. E essere nella stessa Casa, quella dei “cervelloni” tra l’altro, non l’aveva sicuramente aiutato.
I suoi genitori si aspettavano tanto da lui, e voleva davvero essere all’altezza delle loro aspettative, all’altezza di suo fratello.
Sua madre non gli faceva mai pensare niente, si complimentava con lui per i risultati ottenuti… però lo sapeva, che tutti reputavano Dominic più brillante. E poi sua madre era sempre stata molto legata al figlio maggiore, caratterialmente molto simile a lei.
 
Gli voleva bene, ma cominciava a mal sopportare quella situazione. L’unica materia in cui sembrava eccellere paurosamente, più di suo fratello, era Pozioni… motivo per cui aveva già iniziato ad amare quella matteria, dedicandocisi assiduamente.
 
“Ciao. Cosa fai?”
“Niente.”
Cecil si strinse nelle spalle, abbassando lo sgaurdo sui suoi libri mentre Keller, sorridendogli, si avvicinava per prendere posto accanto a lui:
 
“Posso studiare qui con te?”
“Va bene.”
Cecil abbozzò un lieve sorriso alla domanda della compagna, che ricambiò mentre tirava fuori calamaio, piume e pergamena.
“Già che ci siamo mi dai una mano in Pozioni, piccolo genietto?”
“Certo, volentieri.”
“Allora ne approfitto anche io, mi viene il bruciore di stomaco al solo pensiero del tema che dobbiamo scrivere.”
 
Kate, comparsa quasi dal nulla nella Sala Comune, prese posto a sua volta accanto a Cecil, che continuò a sorridere e si dimenticò momentaneamente di suo fratello e della sua famiglia: era sempre stato abbastanza introverso, un po’ solitario a volte, non aveva mai avuto grandi amici prima di andare a scuola… eppure si stava affezionando davvero velocemente a quelle due ragazzine, entrambe molto più socievoli di lui.
Era sempre stato piuttosto restio a cambiare opinione su qualcuno dopo quella che era la “prima impressione”, e Keller e Kate non l’avevano affatto deluso dopo averle conosciute la prima sera, al Banchetto di Benvenuto.
 
 
*

 
“Che cosa stai cucinando?”
 
Alla domanda di Foxtrot Rose si strinse nelle spalle, limitandosi a sospirare:
“Non lo so nemmeno io, mi sono svegliata e mi sono subito messa ai fornelli… sto facendo praticamente di tutto.”
“Sei un po’, giù, Rosie… ha a che fare con Hooland? Perché stamattina non ha nemmeno voluto vedere le repliche di Beautiful che ha perso ieri sera, direi che la facendo è un po’ grave.”
 
“Fox, dicendomi che sta male non mi aiuti per niente!”
“Ma io non voglio aiutarti infatti, voglio convincerti ad andare da lui e dirgli che lo ricambi, cosa che sanno anche i muri della Casa.”
“Tu e Isla ora fate comunella? Mi fa piacere, ma lasciate me fuori. Tieni un po’ di torta, sei troppo magro.”
 
La Tassorosso servì una fetta – un quarto – di torta al cioccolato al ragazzo, con tanto di panna e sciroppo al cioccolato sopra, facendolo sorridere allegramente:
 
“Grazie Rosie… Dopo ti va di fare un giro a cavallo con me? Magari ti schiarisci un po’ le idee.”
“Ok.”
 
Rose annuì, sorridendo all’idea mentre Foxtrot sedeva su uno degli sgabelli, iniziando a sbafarsi una dlele torte che la ragazza aveva sfornato da quando si era svegliata. Stava per chiedere se ci fosse anche un po’ di succo da abbinarci quando Isla comparve accanto a lui, guardandolo con la fronte aggrottata e parlando a bassa voce:
 
“Ma che cavolo stai facendo?”
“Colazione, ti unici a me?”
“Ma non dovevi far ragionare Rosie?”
“Tranquilla, l’ho invitata ad una passeggiata a cavallo strategica…”
 
“Finitela, voi due! Non avrei dovuto permettere ad Hooland di iniziarvi a tutte quelle serie piene di intrighi che guarda… State diventando delle comari.”

 
*

 
Stava lì, fermo sull’orlo del precipizio, il mare sotto di lui. L’acqua gelida, fredda sicuramente almeno quanto l’aria che lo stava facendo rabbrividire, s’infrangeva con violenza sulla roccia e lui non riusciva a distogliere lo sguardo, malgrado avrebbe voluto, farlo.
 
Non sapeva nemmeno perché, ma non riusciva a muoversi… praticamente paralizzato dal terrore, non riusciva a voltarsi e correre via come avrebbe voluto fare.
Perché era lì, poi? Lui odiava l’altezza. Specialmente quando si trattava di burroni o precipizi di quel genere.
 
Forse era solo l’ennesimo gioco, l’ennesima sfida con suo fratello?
 
Cecil rabbrividì, guardando giù e sentendo la nausea aumentare, insieme alla testa che gli girava leggermente… faticava a restare in equilibrio, aveva la tremenda sensazione che di lì a poco sarebbe caduto, precipitando da quell’altezza.
Chiuse gli occhi per non guardare, ma così facendo la testa finì solamente col girargli di più, facendo aumentare la sensazione di essere sul punto di perdere l’equilibrio e cadere.
Deglutendo a fatica aprì gli occhi, cercando di fare un passo indietro senza però riuscirci: maledette vertigini, maledetta acrofobia… era completamente bloccato.
 
Stava precipitando verso l’acqua gelida quando finalmente si svegliò, spalancando gli occhi e tirando un considerevole sospiro di sollievo quando si rese conto che era nel suo letto, nel suo Dormitorio, ad Hogwarts.
Si alzò a sedere e tirò le tende blu notte del baldacchino per poter guardare fuori dalla finestra, osservando il cielo buio dove spiccavano la Luna quasi piena e un mare di stelle: il castello era piuttosto isolato, non c’erano luci artificiali o inquinità, vedere i corpi celesti di notte non era affatto difficoltoso.
 
Cecil, facendo attenzione a non fare rumore per evitare di svegliare i compagni di stanza, scivolò giù dal letto per avvicinarsi alla finestra, osservando il cielo. La notte gli era sempre piaciuta tantissimo, spesso era uno dei pochi entusiasti delle lezioni notturne di Astronomia solo per quel motivo.
 
La pace, la tranquillità, la solitudine che gli trasmetteva… a volte era bello fermarsi e concentrarsi solo su ciò che stava nel cielo buio, senza più preoccuparsi di niente.

 
*
 

Si svegliò a causa della luce che filtrava attraverso la finestra, aprendo pigramente gli occhi e socchiudendoli subito, cercando di farli abituare alla luce.
Sistemò meglio la testa sul cuscino mentre chiudeva nuovamente gli occhi, dicendosi che poteva sempre restare a letto altri cinque minuti… Solo allora, acquistata un po’ di lucidità, si rese conto che il suo braccio era appoggiato su qualcosa, o meglio qualcuno, accanto a lui.
 
Carter aprì gli occhi verdi di scatto, catalizzando la sua attenzione sulla ragazza stesa sul letto accanto a lui, ancora profondamente addormentata. Carter esitò, ricordandosi improvvisamente di cosa fosse successo la sera precedente prima di sollevare lentamente il braccio dalla vita di Juliet, temendo di svegliarla con quel movimento.
Si mise a sedere sul materasso con cautela prima di alzarsi, lanciando un’occhiata alla sveglia: le 8:30? Da quando lui dormiva fino alle 8:30?
Lanciò un’ultima occhiata alla ragazza prima di uscire dalla camera, aprendo lentamente la porta prima di uscire dalla stanza quasi furtivamente.
 
 
Si era appena chiuso la porta della stanza alle spalle, stava per raggiungere le scale e scendere al pian terreno per la colazione ma si bloccò, esitando di fronte a ciò che vide: Carter Halon stava uscendo dalla camera di Juliet. Di prima mattina.
 
Esitò, seguendo il ragazzo con lo sguardo mentre Carter tornava nella sua stanza, probabilmente per vestirsi.
Gli occhi di Quebec si spostarono poi sulla porta ormai chiusa della camera di Juliet, ripensando a quando, solo qualche giorno prima, si era ritrovato a cercare di dividere Carter e Nicholas. Aveva chiesto spiegazioni a quest’ultimo, in Infermeria, ma lui era rimasto sul vago, limitandosi a sostenere che “aveva a che fare con Juliet”.
 
Quindi c’era qualcosa tra di loro?
Non che fossero affari suoi, certo… ma gli dava comunque da pensare.
Quebec esitò, quasi sperando di vere Juliet uscire dalla sua camera per poterle chiedere spiegazioni, ma poi si diede mentalmente dell’idiota, ricordandosi che no, non erano assolutamente affari suoi.
Juliet poteva fare quello che voleva con il suo Giardino. Certo, erano amici, ma non doveva certo dargli spiegazioni.
 
L’Attivo si avviò verso le scale dicendosi di non pensarci più, ma si fermò nuovamente sentendosi chiamare… ed ebbe un tuffo al cuore quando vide un sorridente e rilassato Nicholas camminare verso di lui.
 
“Ciao… stai andando a fare colazione? Vengo con te. Perché quella faccia? Dormito male?”
Di fronte alla domanda di Nicholas Quebec si limitò a sbuffare, borbottando che aveva dormito benissimo e che la sua faccia non aveva niente che non andasse.
 
“Non saprei, hai l’aria un po’ strana… avanti, che è successo? Spero nulla di grave… sei stato male ieri notte?”
“No, no, ho dormito benissimo. Ho solo visto Carter uscire dalla stanza di Juliet poco fa, tutto qui, non so nemmeno perché te lo sto dicen-“
“Carter uscito da dove? Scusa, ci vediamo di sotto, mi sono ricordato di aver lasciato una cosa in camera.”
 
Nell’arco di pochi secondi Nicholas si era voltato per attraversare il corridoio a ritroso quasi a passo di marcia, mentre Quebec continuò dritto per la sua strada senza nemmeno fermarsi, tenendo le mani sprofondare nelle tasche mentre parlava con tono neutro, quasi annoiato:
 
“Ok, ma cercate di essere civili, voglio iniziare la giornata facendo colazione, non dovendo farvi da badante.”
 

 
*

 
Teneva gli occhi fissi sulla lunga fila di tasti lucidi bianchissimi, continuando a suonare e cercando di ignorare le voci dei suoi genitori, che non facevano altro che complimentarsi con suo fratello.
Erano tornati a casa da pochi giorni, Dominic si era appena diplomato con praticamente il massimo dei voti.
 
Cecil sbuffò leggermente, continuando a suonare per cercare di non sentire quelle voci, ma gli risultò comunque impossibile. L’anno seguente sarebbe stato, per lui, quello dei G.U.F.O. e sicuramente tutti si aspettavano che ottenesse gli stessi risultati di Dominic, incluso lui: non aveva nessuna voglia di ottenere voti inferiori rispetto al fratello.
 
Si chiese come sarebbero andati i suoi M.A.G.O., tre anni dopo i suoi genitori lo avrebbero lodato allo stesso modo? Sicuramente si sarebbe impegnato moltissimo perché ciò accadesse.
L’unica nota positiva era che suo fratello si era finalmente diplomato, non avrebbe più dovuto sentire ogni singolo giorno il peso del confronto con lui… indubbiamente sarebbe successo durante le vacanze, ma per qualche settimana all’anno poteva benissimo sopportarlo.
 
Il Corvonero continuò a suonare, pensando a come le vacanze fossero appena cominciate ma da una parte sentisse già la mancanza di Hogwarts e dei suoi amici.
Voleva bene alla sua famiglia, ma a volte era un po’ dura averci a che fare.
 
“Ad Hogwarts non puoi suonare per diversi mesi, eppure sei sempre bravissimo. Come ci riesci?”
Il ragazzo smise bruscamente di suonare sentendo la voce di sua madre che, alle sue spalle, era in piedi e gli stava accarezzando dolcemente i capelli. Cecil alzò lo sguardo per incontrare il suo, sorridendole appena:
 
“Sai, suono comunque un po’ anche a scuola.”
“C’è un pianoforte?”
“No, ma vedi… c’è una stanza. Dove puoi trovare tutto quello che vuoi, la chiamiamo “Stanza delle Necessità”. Quando voglio un pianoforte vado lì, e suono.”
“A volte ascolto i racconti tuoi, di Dominic e di vostro padre e penso a quanto mi sarebbe piaciuto andare ad Hogwarts, dev’essere un posto meraviglioso.”
“Lo è.”
 
Sua madre sedette accanto a lui e Cecil le sorrise, felice di parlare con la donna dopo tutte quelle settimane di separazione.
 
“Un po’ vi invidio, ma disgraziatamente sono, come ci chiamate voi, solo una semplice Babbana.”
“Non lo sei, altrimenti papà non ti avrebbe sposata… E credimi, nella nostra società non è cosa da poco quando un Purosangue sposa una Babbana. Sei molto speciale, invece.”
“Oh, che tenero, il mio bambino dolce…”
 
Sorridendo la donna lo abbracciò, mentre Cecil invece sbuffò, arrossendo leggermente:
 
“Mamma smettila, non sono un bambino!”
“Si invece, sarai sempre il mio dolce Cecil. Non dimenticarlo mai.”
 
La madre gli diede un lieve bacio sulla tempia e Cecil non si divincolò dalla sua stretta, abbracciandola a sua volta e annuendo.
 
Nessuno dei due poteva immaginare che tre anni dopo a quell’ora nessuno dei due avrebbe più ricordato l’altro.

 
*
 

“Halon! Che cavolo ci facevi nella camera di mia…”
 
Nicholas s’interruppe mentre faceva praticamente irruzione nella camera del collega, che si voltò verso di lui senza battere ciglio, continuando ad abbottonarsi la camicia con noncuranza:
 
“Io fossi in te non finirei la frase.”
“E infatti mi sono interrotto, simpaticone. Ma hai capito cosa intendo, quindi rispondi!”
 
“Non dare in escandescenza Bennet, mi sono addormentato in camera sua perché ieri notte non stava molto bene. Credo che dei ricordi le stiano tornando in testa.”
 
“Davvero? Fantastico!”
 
Nicholas non riuscì a non sorridere, gioendo all’idea che la sorellina potesse finalmente ricordarsi di lui. Carter invece gli rivolse un’occhiata in tralice, quasi a volergli ricordare che non era tutto così semplice:
 
“La fa soffrire, Nicholas.”
“Lo so, vorrei che non fosse così… ma permettimi di essere felice se lei è sulla strada di ricordarsi di me, non hai idea di cosa voglia dire vivere sotto il suo stesso tetto senza potermi avvicinare.”
 
“Immagino che non sia semplice per te, ma evita di forzarla… se deve ricordare tutto lo farà da sola.”
“Sbaglio o tu non sei molto entusiasta all’idea?”
 
Nicholas inarcò un sopracciglio, osservandolo con lieve scetticismo mentre Carter gli si avvicinava per superarlo e uscire dalla stanza:
 
“Lei è affar tuo, io no, non ti devo dare spiegazioni Bennet.”
 
Prima di dare a Nicholas il tempo di dire qualcosa Carter uscì dalla sua camera, lasciando il biondo solo prima di imitarlo.

 
*

 
“Si sono seduti vicini, che carini.”
Keller sorrise in direzione della sua migliore amica e di Seth Redclaw, che avevano effettivamente occupato lo stesso banco nell’aula di Trasfigurazione.
Cecil, che stava sistemando sul ripiano di legno le sue cose, si voltò verso l’amica come a volerle chiedere di chi stesse parlando, ottenendo un cenno da parte della Corvonero:
 
“Intendo Seth e Kate. IO lo dico da due anni che le fa il filo, ma Kate è testarda come un mulo e ha negato per un sacco di tempo. Hai sentito della sua famiglia?”
“Sì, una vera e propria tragedia… rabbrividisco al solo pensiero di come si debba sentire ora.”
 
Cecil inclinò le labbra sottili in una lieve smorfia, non volendo nemmeno pensare all’eventualità di perdere tutta la sua famiglia.
 
“Sì, beh… magari ci penserà la nostra Katie a consolarlo. Insomma guardalo, siamo tornati da due giorni ed è la prima volta in cui lo vedo sorridere.”
Keller sorrise, quasi gongolando mentre Cecil le rivolse un’occhiata divertita, sorridendo a sua volta:
“Keller, Kate non ti aveva detto di non impicciarti sull’argomento, quest’anno?”
“Sì, dettagli insignificanti.”

 
*
 

“Ah, bene, sei sveglio! Coraggio, andiamo.”
 
Foxtrot sorrise e trotterellò verso Hooland, chino sulla sua scrivania, che però si limitò a borbottare qualcosa di poco comprensibile.
“Avanti, andiamo a fare una bella passeggiata a cavallo… sono sicuro che ti solleverà il morale.”
 
“Grazie, ma non mi va.”
“Sì invece, tu adori i cavalli. Che stai facendo, a proposito?”
 
Foxtrot si sporse leggermente per sbirciare quello che l’amico stava facendo, sbuffando sonoramente quando lo vide tenere in mano la sua adorata macchina fotografica e sfogliare con aria malinconica delle vecchie foto.
 
“Hool, smettila di guardare foto di Rose, andiamo!”
“Ma se la incontro che cosa dovrei dirle? “Rosie, facciamo così, dimentica quello che ho fatto ieri sera e torniamo amici come prima?” Sono stanco di essere solo suo amico, Fox.”
“Posso capirlo, ma sono sicuro che tutto si risolverà… magari l’hai solo presa in contropiede, non dimenticare che Rose è molto timida.”
 
Foxtrot prese la macchina fotografica dalle mani dell’amico, rimettendola sulla scrivania e invitandolo nuovamente ad alzarsi.
Benché adorasse effettivamente cavalcare probabilmente Hooland avrebbe preferito restare chiuso in camera a guardare la tv, lavorare al computer o anche solo leggere i suoi fumetti. Ma Foxtrot aveva tutta l’aria di volerlo trascinare fuori e il Tassorosso finì col seguirlo, vagamente preoccupato dall’aria allegra dell’amico:
 
“Perché sorridi così?”
“Beh, perché adoro andare a cavallo, che domande… vuoi fare colazione?”
“Neanche per idea, Rose starà sicuramente cucinando e non voglio incontrarla!”
“Passerai la vita ad evitarla ora? Sai, credo che sarà un po’ difficile visto che vivete sotto lo stesso tetto…”
“Dettagli, Fox, dettagli. Coraggio, andiamo adesso.”
 
*

 
Sorridendo, Cecil si ritrovò ad applaudire insieme a tutti i compagni di Casa quando Kate segnò, portando altri dieci punti a Corvonero.
Anche lui aveva giocato a Quidditch per circa un anno, ma poi si era detto che non era propriamente fatto per stare a cavallo di un manico di scopa a diversi metri di altezza… no, non era decisamente il suo sport preferito. Ma non mancava mai alle partite dove giocava la sua Casa, anche solo per fare il tifo per le sue migliori amiche.
 
E poi l’immancabile cronaca di Ginevra Morrison rendeva tutto terribilmente comico, probabilmente molti studenti andavano alle partite solo per sentire la sua voce prendere per i fondelli metà dei giocatori in campo.
In effetti sembrava che la Grifondoro si divertisse particolarmente a deridere i Serpeverde, fatta ovviamente eccezione per il suo migliore amico Logan.
 
Quando la ragazza citò Nick Bennet, il fratello maggiore di Kate, Cecil non riuscì a non ridacchiare, perfettamente consapevole che il ragazzo avesse attirato molta attenzione femminile quando era ad Hogwarts.
 
“Posso chiederti perché hai smesso di giocare?”
Il Corvonero si voltò, trovandosi con lieve sorpresa accanto a Seth Redclaw.
 Dopo essersi chiesto, per un istante, come fosse arrivato accanto a lui Cecil si strinse nelle spalle, abbozzando un sorriso:
 
“Non faceva per me, credo. Triste da dire, ma Keller e Kate se la cavano molto meglio di me.”
“Sì… Kate è brava.”
 
Seth annuì impercettibilmente, spostando gli occhi sul campo per guardare brevemente la Cacciatrice.
Cecil invece continuò ad osservare il Grifondoro, esitando per un attimo prima di parlare:
 
“Ti piace, non è così?”
“Sì, ma ho paura che io per lei sia solo un amico…”
“Stai per chiedermi se ne so qualcosa? Dovresti chiedere a Keller, parlano spesso di te.”
 
“Davvero?”
Il sorriso di Seth si allargò e una nota quasi gioiosa illuminò gli occhi del ragazzo, facendo quasi sorridere il Corvonero di riflesso, che annuì prima di ripotare lo sguardo sulla partita in corso:
 
“Sì. Ma comunque vadano le cose sarò previdente e te lo dico subito. Mi piaci molto Seth, del resto piaci a tutti, credo anche a Kate… ma se la fai soffrire ti ritroverai con Nick Bennet pronto a spezzarti il collo e me ad aiutarlo. Intesi?”
 
 
*
 
 
No, no e poi NO! Io non ci salgo! Non lo faccio! Non dovevo venire.”
“Ma Isla, sei la mia Guardiana, ti devi assicurare che non mi accada nulla di male…”
Me ne frego altamente! E poi sappiamo benissimo che non ti succederà niente, sai andare a cavallo alla perfezione.”
 
Isla sbuffò, incrociando le braccia al petto mentre era in piedi di fronte al suo Attivo e accanto ad un cavallo dal mantello sauro fin troppo alto per l’opinione della ragazza. E poi senza i suoi amati tacchi ai piedi si sentiva ancora più piccola.
 
Foxtrot invece sorrise, tenendo tra le mani le redini del cavallo e un frustino:
 
“Grazie. Ma vedrai, non è difficile, non ti succederà niente… sono animali splendidi.”
“Sì, sono senza dubbio molto belli, ma preferisco guardarli da QUI. Con i piedi per terra.”
“Andiamo, mi devi dare una mano… Hooland stava per uccidermi quando siamo usciti e si è reso conto che c’era anche Rosie, sono un vero e proprio genio del male.”
 
Un genio del male che mangia i pancake al cioccolato come i bambini. Mi piacerebbe assistere alla scena Fox, ma IO NON CI SALGO. E se cado?!”
“Non cadi, basta avere un minimo di equilibrio. E tu adori fare sport, no? Hai fatto danza per anni, ergo hai equilibrio. E Tiffany è buonissima. Strano che tu non sappia cavalcare, sai? Ti ci vedrei proprio, perfettina come sei… allora piccola yankee, monti all’inglese o all’americana?”
 
Il sorriso di Foxtrot non cavillò, nemmeno di fronte all’espressione scettica della ragazza, come a volergli chiedere quale fosse la differenza:
“Beh, nella monta all’americana si usa la sella con il pomello, non si utilizza il frustino ma solo le redini… e non ci sono regole precise da seguire, sali e vai. Quella all’inglese invece ha la sella così, senza il pomello, si usa il frustino e se si è minorenni anche il cap… la monta inglese è regole, eleganza e precisione. Sarai anche una piccola yankee ma ti ci vedo più sulla seconda, l’immagine di te con cappello da cow-boy, camperos, camicia a quadri e lazo è esilarante…”
 
Il ragazzo ridacchiò mentre invece Isla rimase serissima, a braccia conserte mentre lo guardava con un sopracciglio inarcato, quasi a volergli chiedere quando avesse intenzione di finire.
 
“Ok, ok… coraggio Isla, chiunque deve almeno provare ad andare a cavallo! In sella!”
“ASPETTA, FOX, CON CALMA… METTIMI GIU’!”
 
Isla si ritrovò, con orrore, sulla sella di pelle nell’arco di pochi secondi visto che il ragazzo l’aveva presa per i fianchi e sollevata senza neanche darle il tempo di pensare.
“Oddio, ma è altissimo… se cado e mi rompo una gamba come faccio? Non posso infortunarmi a vita, io adoro fare sport!”
“Rilassati, il peggio che può succedere è cadere insieme al cavallo con lui che ti cade sopra e ti schiaccia gli arti… ma non succederà, non preoccuparti. Coraggio, piedi nelle staffe e tieni le redini.”
 
Foxtrot sorrise, osservando la ragazza con lieve divertimento: era forse la prima volta in cui vedeva Isla Robertson in difficoltà… di sicuro avrebbe ricordato quel momento per molto tempo.
 
“Ok… ma se mi faccio male ti uccido.”
“Rilassati, se Rose cavalca puoi farlo anche tu.”   Foxtrot si strinse nelle spalle prima di rivolgere un cenno proprio a Rose, che fino a quel momento aveva seguito la scena in silenzio e aspettando che Isla fosse in groppa per montare a sua volta.
Isla stava quasi per dirsi che il ragazzo aveva ragione quando vide la sua amica camminare con nonchalance verso il suo cavallo e, con tutta la naturalezza del mondo, mettere le mani sulle redini e salire in groppa con un movimento fluido, senza nemmeno aver bisogno di qualcuno ad aiutarla.
 
“Ma come accidenti ha fatto a salire così in fretta?”
“Tutta pratica, la sua famiglia ha un maneggio. Tieni bene le redini, ok?”
 
Foxtrot diede una pacca sul collo del cavallo mentre Isla, sbuffando, si rigirava le redini di cuoio tra le mani:
“Sì, le tengo, ma ho la sensazione che tra poco partirà al galoppo e io farò una pessima fine… Non mi sento stabile.”
Foxtrot roteò gli occhi prima di salire a sua volta sul cavallo dietro ad Isla, ridendo quando la ragazza gli disse che così sarebbero caduti in due.
 
“No, non cadiamo… rilassati Isla, ti tengo. Su, andiamo al passo per cominciare.”        Foxtrot appoggiò il petto contro la schiena della ragazza, prendendo le redini con una mano mentre con un braccio le cingeva la vita. Diede un lieve colpo di talloni e il cavallo iniziò a camminare, mentre Isla continuava a ripetersi mentalmente che fosse stata una pessima idea… anche perché era così vicina a Foxtrot da poterne sentire il respiro e il battito cardiaco, arrossendo leggermente.
 
“Visto, non è così tremendo… Anche se Rose e Hool evitano accuratamente di parlarsi o di guardarsi, maledizione.”
“Cosa c’è genio del male, il tuo piano non va come avevi sperato?”
“Zitta Isla, o parto al galoppo e non ti tengo più.”
 
Foxtrot fece scivolare leggermente il braccio dalla vita della ragazza, che però lo afferrò prontamente prima di voltarsi verso di lui, lanciandogli un’occhiata eloquente:
 
“Non osare lasciarmi andare, chiaro?”
“Tranquilla, scherzavo, non lo farei mai piccola yankee.”
 
Foxtrot sorrise mentre, accanto ai due, Rose procedeva al passo accarezzando leggermente il collo del cavallo, rivolgendo di tanto in tanto qualche occhiata malinconica in direzione di Hooland. Le dispiaceva così tanto vederlo evitare di parlarle o di guardarla che moriva dalla voglia di scivolare dalla sella e andare ad abbracciarlo.
Però non riusciva a farlo, e si diede ancora una volta della stupida per questo.

 
*

 
Aveva già caricato il suo baule, eppure continuava a fare avanti e indietro per la stazione cercando Kate e Keller: possibile che non riuscisse a trovarle? L’ultima volta in cui aveva visto Kate era stato quando aveva cercato di dividere Hooland Magnus, Julian Jones e Jason Craig… poi era sparita, l’aveva persa di vista. Così come Keller.
 
Stava per andare da Seth e chiedere se lui avesse notizie della sua ragazza ma venne fermato da una voce che non aveva mai sentito:
“Cecil Krueger?”
Il Corvonero si voltò, trovandosi davanti ad un uomo che effettivamente non conosceva, dai capelli neri, gli occhi chiarissimi e alto leggermente più di lui.
 
“Sì. Ci conosciamo?”
“No. Ma la persona per cui lavoro conosce lei… Sta cercando le sue amiche? Presto le raggiungerà.”
 
Cecil lo guardò con crescente confusione avvicinarglisi, ma il suo interlocutore gli aveva appena preso un braccio quando il ragazzo perse i sensi.

 
*

 
Dopo essere tornati in prossimità della Casa Isla era scesa da cavallo con un sorriso stampato sulle labbra, un po’ per il sollievo di non essere caduta e di avere di nuovo i piedi per terra e un po’ perché, anche se non l’aveva ammesso davanti a Foxtrot, infondo si era divertita.
 
Tuttavia dopo quella passeggiata sulla spiaggia puzzava paurosamente di cavallo ed era corsa a farsi una doccia per poi scendere al pian terreno con tutta l’intenzione di fare uno spuntino… ma ad attenderla aveva trovato una lettera. L’aveva preso certa che fosse della sua famiglia, ma leggendo il nome del mittente le si era quasi formato un gruppo in gola.
 
Quando finì di leggere la lettera la ragazza sospirò leggermente, ripiegandola distrattamente mentre pensava a quelle parole… quasi sobbalzò, in effetti, quando sentì una voce:
 
“Ti scrive la tua famiglia?”
Voltandosi l’americana si ritrovò davanti a Foxtrot, che si era seduto su uno dei tavolini disseminati nella sala da pranzo con una bottiglia di Burrobirra in mano, gli occhi castani carichi di curiosità mentre la guardavano e i capelli rossicci umidi e leggermente spettinati.
 
Pensando che essere tanto attraenti sarebbe dovuto essere vietato per legge Isla si affrettò a distogliere lo sguardo, scuotendo il capo e riportando gli occhi castani sulla lettera, infilando la pergamena nella sua busta prima di parlare.
 
“No. E’ il mio… ex ragazzo.”
“Hai un ex ragazzo?”
Il tono e l’espressione confusi dell’Attivo portò la ragazza a voltarsi nuovamente verso di lui, guardandolo con cipiglio scettico:
 
“Sì Fox. Perché, sono troppo ripugnante o antipatica per aver avuto un ragazzo?”
“No. Non volevo dire questo… solo che non te l’ho mai sentito nominare. E’ americano?”
“Sì, l’ho conosciuto a scuola. Ma ci siamo lasciati prima che io venissi qui… io l’ho lasciato, in effetti.”
 
“E allora perché ti scrive?”
“Quando torno in America per salutare la mia famiglia spesso mi chiede di vederci. Credo di averlo fatto soffrire parecchio e che speri che prima o poi le cose torneranno come prima.”
 
Isla si strinse nelle spalle mentre prendeva posto di fronte al ragazzo, che la guardava con attenzione:
 
“E ha ragione?”
“Per quanto mi riguarda, no.”
 
Isla scosse il capo mentre giocherellava con una ciocca di capelli castani e teneva gli occhi fissi sul tavolo, non notando così il sorriso che era comparso sul volto del ragazzo fino a poco prima quasi teso.
 
“Ciao.”
Entrambi quasi sobbalzarono nel sentire una terza voce, decisamente sconosciuta e insolita visto il contesto in cui si trovavano.
Per un attimo Isla pensò di averla immaginata, ma voltandosi si ritrovò proprio con una bambina piccola in piedi accanto a lei, i capelli biondi, un sorriso sul volto e gli occhi più azzurri che avesse mai visto fissi su di lei.
 
“…Ciao. Che cosa ci fai qui?”
“Una signora gentile mi ha portato qui e ho fatto colazione con lei. Come ti chiami?”
“Isla. E tu?”
“Diana.”   
 
Diana sorrise alla ragazza prima che Isla si rivolgesse a Foxtrot, rivolgendogli un’occhiata decisamente confusa: quella bambina aveva fatto colazione con una “signora gentile”, forse la DeWitt… quindi da quel momento aveva gironzolato per la casa? Come avevano fatto a non notarla?
E che cosa ci faceva una bambina lì dentro?
 
“Quanti anni hai?”
Foxtrot sorrise alla bambina, che ricambiò per poi sollevare una mano e mostrare un quattro con le dita quasi con aria orgogliosa.
“4. Posso fare merenda con voi? Ho tanta fame!”
 
Isla annuì prima di alzarsi, porgendo la mano alla bambina che subito la strinse:
“Certo. Ti presento la mia amica Rose, vieni.”
 
 
 
 
Cecily DeWitt aprì la porta del suo ufficio e, rendendosi conto che qualcuno mancava, sgranò gli occhi chiari con orrore, voltandosi subito per fulminare con lo sguardo i due uomini che la precedevano:
 
“Dov’è?”
“Ecco, veramente…”
“Vi siete fatti scappare una bambina di quattro anni? Trovatela immediatamente, mi assento per due e questo è il risultato. Riportatela qui prima che si sollevi un polverone, chiaro?”
 
 
Nel frattempo, al piano terra, tutte le ragazze della Squadra Alpha si erano radunate in cucina attorno a quell’adorabile bambina bionda che Isla aveva trovato in sala da pranzo.
Diana, che era seduta su uno degli sgabelli e faceva dondolare le gambe, sorrideva gioiosamente a tutti i presenti mentre davanti a lei Rose le aveva sistemato una ciotola che grondava gelato al cioccolato appena fatto.
“Tesoro, ne vuoi ancora?”
 
Rose sorrise dolcemente alla bambina, che annuì con un sorriso mentre Juliet, Isla, November e persino Erin erano sedute intorno a lei e praticamente le facevano le fusa.
 
“Sì, per favore. Cioccolato!”
“D’accordo.”
Rose sorrise, adoperandosi per preparare altro gelato mentre Foxtrot si avvicinava furtivamente alla macchina, cercando di scroccare del gelato a sua volta.
 
“Emh… ce n’è un po’ anche per me?”
“Giù le mani, avvoltoi, è per Diana, non per voi.”
 
Rose scoccò un’occhiata torva in direzione di Foxtrot, Nicholas e Quebec, facendoli protestare sonoramente mentre anche Echo faceva il suo ingresso, incuriosito da quella specie di “riunione fuori programma”:
“Come mai siete praticamente tutti qui? Oh… abbiamo un’ospite?”
 
Il ragazzo indugiò nel vedere Diana seduta insieme alle compagne, guadagnandosi un sorriso e un saluto allegro da parte della bambina.
 
“Diciamo di sì… ed è adorabile, anche se ancora non abbiamo capito cosa ci fa qui. Non possiamo tenerla come mascotte, vero?”
 
Erin, accarezzando la nuca della bimba, rivolse un’occhiata quasi speranzosa in direzione di Isla, mentre Echo si avvicinava a Rose sorridendo leggermente:
 
“Che cosa ti succede Erin, ti addolcisci anche tu di fronte ad una bambina?”
“Non rompere Echo… e poi hai visto quanto è tenera?”
 
Erin rivolse un sorriso alla bambina, che ricambiò prima di dirle che era bellissima.
“Ecco, ora la bambina si è guadagnata l’affetto a vita di Erin probabilmente.”  Echo abbozzò un sorrisetto prima di rivolgersi a Rose, che stava versando il gelato per Diana.
 
“C’è del gelato anche per me? Fa davvero caldo oggi.”
“Ma certo, tieni. Vuoi anche la panna?”
 
Rose rivolse un caldo sorriso al ragazzo, che rifiutò gentilmente mentre alle loro spalle Foxtrot sgranava gli occhi:
 
“Che storia è questa? Perché a lui sì e noi no? Rose, non ci piacciono questi favoritismi!”
“Per l’appunto, io sono il tuo Attivo e mi neghi il cibo, vergognati.”
 
“Fatela finita, di bambina in teoria qui ce n’è solo una.”
Isla fulminò i ragazzi con lo sguardo prima di rivolgersi di nuovo a Diana, sorridendole con gentilezza:
 
“Tesoro… che cosa ci fai qui? Non ti avevamo mai vista prima.”
“Mi hanno portata qui dei signori e ho parlato con la signora gentile bionda. Sono venuti a prendermi all’asilo stamattina. Posso la panna?”
 
November sorrise alla bimba prima di aggiungere una montagna di panna la gelato, mentre Erin e Isla si scambiavano un’occhiata scettica, pensando la medesima cosa: che cosa poteva volere Cecily da una bambina?
 
“Senti… sei mai venuta qui?”
“No. Ma qui ci lavora il mio papà, lo ha detto la signora.”
“Davvero? E come si chiama? Così ti portiamo da lui.”
“Joe.”      Diana sorrise con aria allegra mentre invece tutti i presenti si scambiavano occhiate perplesse, certi di non aver mai sentito di un “Joe” che lavorava per la DeWitt.
 
“Non credo di conoscerlo… me lo descrivi?”
Isla inarcò un sopracciglio, dicendosi che sicuramente la DeWitt aveva molti collaboratori che loro non conoscevano… ma sicuramente non era il caso che Diana girovagasse per la Casa, dovevano riportarla a casa sua.
 
“E’ alto, ha i capelli neri, gli occhi come i miei ed è molto bello.”
 
“Tuo padre si chiama Joe?”
 
Nicholas ruppe il silenzio che era andato a crearsi per qualche istante, avvicinandosi leggermente alla bambina, che gli sorrise e annuì.
“Sì. Tu lo conosci?”
“Forse lo conosciamo tutti… come ti chiami di cognome?”
 
Nicholas, osservando la bambina con attenzione, le pose quella domanda praticamente conoscendo già la risposta: dal canto suo non sapeva che il suo ex istruttore avesse avuto una figlia, ma si chiamava Joseph… e anche la descrizione fisica poteva benissimo combaciare.
 
Diana fece per rispondere ma si bloccò sentendo una voce che fece voltare tutti i presenti, una voce familiare a tutti:
 
Didi? Che cosa ci fai qui?”
“Papy!”
 
Diana scivolò giù dallo sgabello e corse verso il padre, che era fermo sulla soglia della cucina e la guardava con gli occhi sgranati con orrore.
 
“ALPHA? Questo sì che è un colpo di scena…”   Nessuno rispose al mormorio di Erin, tutti troppo impegnati a guardare con evidente sorpresa il loro supervisore prendere la figlia in braccio.
 
“Amore, che cosa ci fai qui? Stamattina ti ho portata a scuola.”
“Sì, ma mi hanno portata qui e ho parlato con una signora gentile bionda… e poi ho incontrato loro.”
 
Sentendo “signora gentile bionda” l’ex Auror si sentì raggelare, dando un bacio sulla fronte della figlia prima di rivolgersi ai ragazzi ancora pressoché ammutoliti:
 
“Grazie per aver badato a lei. Ora ti riporto a casa, andiamo.”
“Ma mi stavo divertendo con loro!”
“Non mi interessa, non è posto per bambini questo.”
 
“Alpha ha una figlia? E si chiama Joe? Non ci credo…”
“In effetti mi chiedevo perché fosse l’unico a non vivere qui, ora si spiega.”
“Beh, in effetti alla descrizione “occhi come i miei, moro, alto e bello” dovevamo aspettarcelo… non ho mai visto occhi così azzurri.”
“Sarà, ma non riesco ad immaginarmelo con una figlia. Chissà quanti anni ha, poi!”
 
I mormorii delle ragazze vennero bruscamente interrotti dalla voce di Alpha, che rivolse al gruppetto un’ultima occhiata prima di girare sui tacchi e allontanarsi con la figlia in braccio:
 
“Ci vediamo stasera, quando torno vi devo parlare. E comunque, ho 33 anni.”
 

 
*

 
Quando la porta del suo ufficio si spalancò Cecily rivolse un sorriso piuttosto rilassato all’uomo che era appena entrato senza bussare, ignorando l’espressione decisamente poco felice di Alpha:
 
“Buonasera caro… Bisogno di qualcosa?”
“Che cosa ci faceva mia figlia qui?”
 
“L’hai trovata? Quegli idioti se la sono fatti scappare mentre ero a Londra. Rilassati, ho solo fatto due chiacchiere con lei… non l’avevo ancora conosciuta, dopotutto.”
 
Cecily sorrise, intrecciando le dita pallide mentre Alpha le si avvicinava, appoggiando le mani sulla scrivania e sporgendosi leggermente verso la donna, guardandola dritta negli occhi:
 
“Non devi avere a che fare con lei. Diana non avrà mai a che fare con tutto questo, mai. Stai lontana dalla mia bambina, Cecily.”
“Rilassati, non le ho fatto nulla… chiedilo a lei. E’ una bambina molto dolce, comunque, ha preso da sua madre?”
 
Il sorriso di Cecily non vacillò e l’uomo contorse la mascella, trattenendo l’impulso di afferrarle il viso e stritolarlo prima di parlare nuovamente:
 
“Perché l’hai fatta portare qui?”
“Lo hai scoperto per caso che era qui, ma in caso contrario te lo avrei comunque detto… non volevo certo rapire tua figlia o cose simili Alpha, volevo che tu sapessi che era qui. Giusto per farti capire che avrei qualcosa a cui aggrapparmi se dovessi giocarmi un brutto tiro. Non ho mai fatto i miei esprimenti su dei bambini, ma potrei sempre cominciare.”
 
Incapace di trattenersi Alpha allungò una mano, stringendo il volto della donna e avvicinandolo di più a lui con uno strattone, guardandola con gli occhi cerulei carichi di un odio che aveva celato per quasi tre anni:
 
“Non ti avvicinare a mia figlia, Cecily. Non azzardarti neanche.”
“Non lo farò, so essere davvero gentile e amorevole volendo… ma ripeto. Giocami un brutto tiro e perderai anche lei.”
 
Cecily non si scompose, non batté ciglio, non provò nemmeno a sottrarsi alla sua stretta. Fu lui a scostare la mano quasi come se si fosse scottato, facendo anche un passo indietro prima di girare sui tacchi e uscire dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.
 
Solo una volta sola Cecily sollevò una mano, sfiorandosi leggermente il viso e facendo una lieve smorfia di dolore, causato dalla stretta fin troppo serrata di quelle dita.
Lanciò un’occhiata allo schermo collegato alle telecamere, guardando Alpha uscire dalla villa prima di Smaterializzarsi dopo aver oltrepassato i confini della barriera magica.
 
Sì, Diana era davvero una bambina adorabile… ma, come sempre, non si sarebbe fatta alcuno scrupolo.
Sapeva che Joseph Richardson era stato un Auror, sapeva che il Dipartimento cercava da tempo di incastrarla… non aveva le prove concrete, certo, ma non era difficile immaginare che Alpha stesse facendo da talpa. E in quel caso, ne avrebbe sicuramente pagato le conseguenze.
 

 
*
 
 
“Come mai quel faccino triste? Non ti dona molto.”
Rose rivolse un sorriso forzato in direzione di Foxtrot, che l’aveva appena raggiunta sulla terrazza con una vaschetta del suo tanto agognato gelato in mano.
 
“Sto pensando ad Hool… prima mi sono detta “vai a parlagli”, ma non ci sono riuscita. Forse sono solo una stupida senza carattere e spina dorsale.”
“Non lo sei Rosie… ci vuole carattere per andare a cavallo, dopotutto. Bisogna imporsi su un animale che è decisamente più forte di te e tu ci riesci. Non sei senza carattere, Rose Williams.”
 
“Grazie, ma non capisco perché non riesco a dirgli quello che provo… sai, non voglio perderlo. Forse ho paura che andrebbe male e di rovinare un rapporto che va avanti da anni.”
“Lo immagino, ma sai che cosa mi ha detto stamattina? Che è stanco di essere solo tuo amico. Mi ha detto che per un sacco di tempo non si è aperto con te perché sa che hai sofferto parecchio… se non è un segnale che tiene a te questo… Forse hai paura di stare male di nuovo, ma non credo che lui ti farebbe questo. Riflettici.”
 
Foxtrot sorrise alla ragazza, dandole una lieve pacca sulla spalla prima di allontanarsi e tornare all’interno della Casa ormai buia e quasi deserta. Rose lo seguì con lo sguardo e sorrise lievemente, non potendo fare a meno di pensare che per quanto fosse cambiato ci fosse ancora un po’ di Cecil dentro quel corpo.









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Angolo Autrice:

Com'era prevedibile il più quotato è risultato essere il nostro amato volpachiotto... e questa volta quasi tutte non ci avete preso, si tratta di Cecil e non di Echo, quindi complimenti a Victoria! 
Come sempre, vi metto i nomi per il seguito:

- Erin
- Hooland 
- Echo 


Vi auguro una buona Domenica, a presto!
Signorina Granger 

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Capitolo 14
*** Hooland Magnus ***


Capitolo 12: Hooland Magnus

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Dove andiamo?”
Hooland Magnus spostò lo sguardo da un genitore all’altro mentre camminava tenendo entrambi per mano, il berretto di lana sbilenco sulla testa e il viso ancor più pallido del solito a causa del clima freddo.
 
“Ti portiamo a vedere le prove, Hool.” 
Sua madre abbassò lo sguardo su di lui, rivolgendogli un tenero sorriso mentre gli accarezzava i ciuffi di capelli castani che uscivano dal cappellino. Il bambino sorrise e annuì, trotterellando sul viale di ghiaia per uscire insieme ai genitori dal grande giardino della casa.
Vivendo in una grande casa coloniale in Scozia, in campagna, ed essendo figlio unico Hooland non era mai riuscito ad intrecciare veri e propri legami con altri bambini… ma non se ne faceva un cruccio ed era sempre ben felice di essere portato a teatro dai genitori, assistendo alle prove della compagnia teatrale della cittadina che ormai l’aveva praticamente “adottato” e lo accoglieva sempre a braccia aperte.
 
Con stupore dei genitori il bambino non aveva mai protestato, non si era mai rifiutato di essere lasciato a teatro mentre loro erano impegnati a lavorare. Anzi, sembrava che il teatro gli piacesse davvero.
 
La presa della mano del padre sulla sua si strinse e il bambino chiuse istintivamente gli occhi, sapendo che di lì a breve si sarebbero Smaterializzati. Quando poco dopo li riaprì, infatti, sorrise nel trovarsi proprio a destinazione.
 
“Ti veniamo a prendere alle cinque… fai il bravo.”
“Va bene.”
Hooland sorrise, rivolgendo un cenno della mano ai genitori prima di trotterellare verso l’ingresso del teatro.
Non aveva ancora capito con precisione di cosa si occupassero i suoi genitori in effetti, ma sua madre diceva sempre che con loro si sarebbe sicuramente annoiato, che probabilmente non avrebbe compreso… i suoi genitori, anche se maghi e per di più entrambi Purosangue, studiavano da anni la tecnologia Babbana per combinarla alla magia.
Non sapevano ancora che di lì a qualche tempo sarebbe diventata anche la più grande passione del figlio.
 
“E’ arrivata la nostra mascotte… Ciao Hool!”
“Ciao Vanessa.”   Hooland sorrise alla donna che gli era praticamente corsa incontro, chinandosi per stampargli un bacio su una guancia e sfilandogli il berretto:
“Anche oggi ci guardi provare? Mi raccomando però, fai attenzione, poi devi darci il voto.”
“Ok.”
La donna lo prese per mano per condurlo verso le file di poltroncine, lasciando che come sempre il bambino si accomodasse proprio davanti al palco per guardare gli attori recitare con gli occhi scintillanti… e ovviamente tutti erano sempre pronti a coccolarlo e viziarlo a dismisura, fornendogli sempre una gigantesca merenda.
 
No, non si faceva un cruccio di non avere amici della sua età… ne aveva trovati altri, dopotutto.

 
*

 
“Che cosa devi dirci? Ha a che fare con qualcosa che dovremo fare domani?”
“In parte. Domani non ci sarà alcun lavoro per voi, relegheremo tutte le operazioni alle altre Squadre… La Dottoressa ha richiesto espressamente che domani affrontiate un test.”
 
“Test?”
 
Alla domanda quasi perplessa di November Alpha aveva annuito, continuando a parlare senza battere ciglio:
 
“Non avete mai evocato dei Patronus da quando siete qui, dico bene?”
 
 
Teneva gli occhi fissi sul soffitto della stanza, senza prestare la minima attenzione al libro che teneva in mano e che fino a poco prima aveva pensato di voler leggere. Continuava invece a pensare a quella strana giornata e a quello che aveva detto ai ragazzi dopo aver riportato Diana a casa, ordinandole di non seguire mai più nessuno senza che lui le dicesse di farlo.
 
Non si fidava minimamente di Cecily DeWitt, come avrebbe potuto quando pochi sapevano cosa fosse in grado di fare alle persone meglio di lui? Cecily conosceva il suo vero nome, aveva insistito personalmente perché si facesse chiamare “Alpha” all’interno dell’associazione, ma Joe era piuttosto sicuro che la donna non lo avesse mai collegato a quella ragazzina che, anni prima, aveva completamente rovinato, una delle sue prime cavie per arrivare ai risultati praticamente perfetti di quel momento. Praticamente, certo, era sicuro che tutti di tanto in tanto avessero dei “flash” più o meno estesi del loro passato, della vita che erano stati costretti ad abbandonare.
No, forse Cecily era troppo sicura di se stessa per fare caso al cognome di una ragazzina che aveva praticamente fatto rapire dieci anni prima per poi sottoporre all’annullamento. E quando si era resa conto di aver fallito l’aveva liquidata, come un sacco dell’immondizia.
Tre anni prima era entrato in quella gigantesca pagliacciata solo per lei, per Melanie, per capire se avesse avuto davvero a che fare con la Dollhouse… e quando aveva messo le mani su dei registri praticamente dimenticati da tutti non aveva più avuto dubbi. E si era ripromesso che, presto o tardi, l’avrebbe fatta pagare a quella donna.
 
Quella donna che ora minacciava anche la sua bambina. Sapeva che era un ex Auror, certo, ed evidentemente aveva non pochi dubbi sul suo conto… del resto Cecily non era tipa da fidarsi del prossimo. E nel suo caso, aveva ragione.
Il giorno seguente tutta la sua Squadra avrebbe dovuto destreggiarsi nell’Incanto Patronus… chissà perché Cecily voleva conoscere le forme degli Attivi. Sicuramente avrebbe cercato di capirlo, l’indomani.
Non prima di aver fatto un giro al suo ex posto di lavoro per chiedere un favore a qualche vecchio amico, certo.
 
Cecily DeWitt non si faceva mai cogliere impreparata, lo sapeva. Ma neanche lui, del resto.
 
“Papà?”       Il flusso di pensieri riguardanti la Dollhouse e in particolar modo la sua fondatrice venne interrotto dalla voce dolce e allegra di sua figlia, portandolo a distogliere lo sguardo dal soffitto, mettendosi a sedere sul letto per guardare la bambina che era in piedi sulla soglia della stanza, tenendo sottobraccio il suo peluche a forma di gufo e un libretto.
 
“Sì?”
“Mi leggi una storia?”
“Certo. Vieni qui… qualche vuoi sentire?”
 
Joseph sorrise, appoggiando la schiena alla testiera del letto mentre la figlia, sorridendo con aria compiaciuta, lo raggiungeva prima di sedersi come sempre tra le sue gambe, appoggiando la schiena sul petto del padre dopo avergli dato il suo libro di favole.
 
“Cenerentola.”
“Ancora? Te la leggo quattro volte alla settimana, ormai la saprai a memoria… in effetti il libro non serve più nemmeno a me.”
“Mi piace Cenerentola! Vorrei essere come lei, così sposerei il principe… dici che ci assomiglio? Sono bionda!”
 
Diana, sorridendo, reclinò il capo per poterlo guardare in faccia, costringendolo a ricambiare il sorriso mentre le sfiorava i capelli chiari ereditati dalla madre:
 
“Magari un pochino…”
 
In effetti sua figlia si era praticamnete fissata con quella storia, una volta gli aveva persino chiesto di trasformare una zucca in una carrozza giocattolo per le sue bambole…
 
“Ma sì, sono bionda, ho un papà a cui voglio tanto bene… e poi non ho la mamma.”
 
Diana continuò a sorridergli, pronunciando le ultime parole con una facilità tale da fargli quasi male. Joseph esitò, continuando ad accarezzarle i capelli prima di annuire, parlando a bassa voce:
 
“Già. Direi che ti manca solo una perfida matrigna con le due terribili figlie al seguito.”
“Quelle non le voglio, non voglio che ti risposi con una donna cattiva.”
 
“No, certo che no… dopotutto sei tu la donna della mia vita, no?”
 
Diana sorrise e annuì, sistemandosi comodamente contro di lui prima di ascoltare ancora una volta la sua storia preferita.
 

 
*

 
“Posso sedermi?”
“Certo.”
Rivolse un lieve sorriso al ragazzino che si era fermato sulla soglia dello scompartimento, che ricambiò prima di andare a sedersi di fronte a lui, accanto al finestrino.
 
“Sei anche tu del primo anno?”
“Sì. Mi chiamo Hooland.”
“Io sono Julian… hai uno strano nome.”
“I miei genitori hanno avuto la brillante idea di chiamarmi così perché adorano l’Olanda, si sono conosciuti lì…”
 
Hooland roteò gli occhi e Julian sorrise:
“Come ti chiamano gli amici?”
“Hool. Ma non ho mai avuto molti amici della mia età.”
“Davvero? Beh, pazienza, c’è sempre una prima volta, no?”

 
*

 
“Prima ci dice che dobbiamo fare un cavolo di test e poi sparisce… da quando Alpha alle 8 non è già qui a fulminarci con lo sguardo?”
“Parla piano, potrebbe anche comparire da un momento all’altro!”
 
Quebec scoccò un’occhiata eloquente in direzione di Foxtrot, che però si strinse nelle spalle e borbottò qualcosa come “sai che paura” mentre Nicholas si avvicinava ai due per prendere posto al tavolo insieme a loro.
Il biondo però si fermò alle spalle di Foxtrot, sfoggiando un sorrisetto prima di schiarirsi rumorosamente la voce, in un modo che ricordava paurosamente proprio Alpha.
Non per niente l’Attivo sobbalzò, affrettandosi a voltarsi verso di lui e sbuffando quando vide che era solo Nicholas, borbottando che non era divertente mentre il Guardiano ridacchiava.
 
“Suvvia Fox, dov’è il tuo senso dell’umorismo? Piuttosto, come mai Rose non ha ancora sfornato un centinaio di dolci? Strano… sta male?”
“No, in realtà è in cucina… magari oggi se la sta solo prendendo comoda, dopotutto non è nemmeno giusto che si alzi presto tutti i giorni solo per noi.”
 
Quebec si strinse nelle spalle, pensando con affetto alla sua Guardiana mentre Foxtrot invece sorrideva quasi con l’aria di chi la sa lunga:
“Non andiamo a disturbarla, credo che al momento sia impegnata in un’importante conversazione.”
 
“Fox, hai l’aria da comare, su chi stai spettegolando?”
“Ciao anche a te Isla… Dicevo solo ai ragazzi che al momento Rose sta parlando con qualcuno… e non dobbiamo andare a disturbarli.”
Foxtrot sorrise alla sua Guardiana, che ricambiò con fare vagamente compiaciuto prima di superare i tre e andare a sedersi con Juliet, November ed Erin.
 
“Secondo voi perché vogliono farci evocare dei Patronus?”
“Forse vogliono solo… insegnarci a farlo? Voi l’avete mai fatto?”
 
November si rivolse alle due Guardiane, che si scambiarono una rapida occhiata prima che Erin annuisse:
 
“Sì, ho imparato… a scuola. E credo anche Isla.”
“Sì. Forse pensano che sia utile per voi, chissà.”
 
In realtà, come Erin e tutti i suoi colleghi sapevano benissimo, anche gli Attivi avevano imparato ad evocare i Patronus durante il loro ultimo anno di scuola… solo che non potevano ricordarlo. Eppure, la DeWitt lo sapeva. Perché voleva che li evocassero di nuovo?
 
Sicuramente Alpha lo sapeva, peccato che quella mattina non fosse ancora arrivato.
 
“Che fine ha fatto Rose? Sta male per caso?”
“No November, non preoccuparti… è in cucina. Ma NON andiamo a disturbarli.”
“LI? Perché, con chi è?”
“Non vi sembra che all’appello manchi un certo spilungone?”
 
Isla sfoggiò un sorriso che November ricambiò, capendo mentre Erin sbuffava, osservandosi pigramente le unghie perfettamente curate, limate e smaltate di rosso cremisi:
 
“Avete poco da fare le comari…”
“A chi ti riferisci?”
“A te, Isla. E anche a te, Juls… insomma, lo sappiamo tutti che anche voi qui dentro avete chi vi fa gli occhi dolci, dopotutto.”
“Erin, non ricominciare con la storia di Carter!”
“Mi sono persa qualcosa?”
 
November si voltò, accigliata, verso la collega ma Juliet si limitò a scuotere il capo e a liquidare il discorso con la mano, mentre Isla invece teneva ancora gli occhi castani fissi sulla bionda del gruppo:
 
“Per quanto riguarda me invece a chi ti riferisci?”
“Che domande, al tuo Attivo! Ma perché qui dentro sono tutti ciechi come talpe…”

 
*

 
“Che cosa ci fa nel bel mezzo della Foresta Proibita un ragazzino? Quanti anni fai?”
“11. Posso salire sulla sua groppa?”
 
Hooland sfoggiò un sorriso, improvvisamente allegro mentre il Centauro che gli stava davanti roteava gli occhi con esasperazione: aveva appena trovato quel bambino gironzolare per il bosco ormai buio con la testa letteralmente per aria, le mani in tasca e impegnato ad osservare gli alberi con aria assorta, quasi come se non fosse per nulla preoccupato di trovarsi da solo nel bosco.
 
“Devi tornare al castello, a quest’ora non è certo posto per chi ha la tua età… Non vi insegnano nulla a scuola?”
“Un sacco di cose in realtà, ma io volevo fare una capatina qui… ma temo di aver perso il sentiero, sa, sono un po’ sbadato. Allora, posso salire?”
Hooland continuò a sorridere, gli occhi chiari quasi luccicanti: adorava i cavalli in effetti, l’idea di poter salire in groppa ad un Centauro era molto allettante… Julian non ci avrebbe mai creduto, e nemmeno Seth. Ginevra sarebbe morta di invidia, mentre probabilmente Rose era già in lacrime e tremendamente preoccupata per lui.
 
Non sapeva, di preciso, da quando fosse lì in effetti… ma si era perso nei suoi pensieri e non aveva fatto caso alla strada.
 
Il Centauro gli rivolse un’occhiata vagamente scettica, non capendo come quel ragazzino potesse aver mutato umore tanto in fretta: lo aveva trovato pensieroso, silenzioso, lo sguardo vacuo e quasi annoiato mentre camminava lentamente sul terriccio. Ora invece sprizzava gioia da tutte le parti, per nulla preoccupato del contesto in cui si trovava.
 
“Va bene, noi non lasciamo i ragazzini nel bosco…”
Aveva appena finito di parlare che Hooland era già salito sul garrese, sorridendo con aria allegra:
“Wow, che figata! Lo fai spesso?”
“Portare sciocchi ragazzini che si addentrano da soli nella Foresta? No, piccolo mago. Ora tieniti, ti riporto a casa.”
 
 
*
 
 
No, no, no… Che cosa sto facendo?
 
Rose sbuffò, mollando il mestolo nella terrina dove stava mescolando l’impasto e mettendosi le mani tra i capelli, scuotendo leggermente il capo e dandosi mentalmente della stupida per la decima volta nell’arco di due giorni: stava per mettere il sale invece dello zucchero nell’impasto della torta… aveva decisamente la testa su un altro pianeta quella mattina.
Un pianeta che portava il nome di “Hooland Magnus”.
 
Forse non era in vena di cucinare, anche se in genere riusciva a rilassarsi proprio in quel modo…
 
L’ex Tassorosso sospirò, sistemandosi distrattamente una cioccia di capelli castani dietro l’orecchio mentre teneva gli occhi azzurri fissi sull’impasto a cui stava lavorando. Appoggiò le mani sul marmo bianco della penisola posta perfettamente al centro della stanza e per qualche istante non si mosse, finché non sentì una voce alle sue spalle:
 
“Credo che a questo punto dovresti aggiungere lo zucchero.”
Rose quasi sobbalzò, voltandosi di scatto e sentendosi sprofondare quando si ritrovò davanti proprio Hooland, che era in piedi a mezzo metro da lei e le rivolse un lieve sorriso.
 
“Lo so… solo che… sto pensando ad altro.”
La ragazza deglutì quando le mani di Hooland si andarono a finire accanto alle sue, poggiandosi sulla superficie liscia e fredda di marmo. Il ragazzo non si mosse ma Rose si ritrasse comunque leggermente, appoggiandosi al mobile mentre l’ex compagno di Casa continuava a tenere gli occhi fissi su di lei:
 
“A cosa stai pensando?”
“A te, credo.”
“Rosie, perché l’altra sera sei praticamente scappata via? Non credo di sbagliarmi quando penso che tu provi lo stesso che provo io. O no?”
 
Il ragazzo inclinò leggermente il capo, quasi cercando lo sguardo sfuggente di Rose che continuava a cercare di non guardarlo in faccia.
 
“Ok, forse mi sbaglio… ma dimmelo, se è così. Forse non avrei dovuto farlo, so che per te è un tasto delicato. Ma siamo amici da tantissimo tempo e credo che io sia stanco di avere solo questo legame con te.”
Hooland sospirò leggermente e Rose sollevò finalmente lo sguardo su di lui, quasi sorpresa dal suo tono di voce, per nulla ironico o annoiato come spesso succedeva a seconda delle occasioni.
Sembrava davvero serio e attento, come di rado lo vedeva.
 
“Rosie, non sono Jason Craig.”
“Lo so. Lo so, credo che non potresti essere più diverso.”
“E allora perché hai reagito così? Hai davvero paura di subire di nuovo quella situazione con me?”
 
“No. Non lo faresti mai.”       Le labbra di Rose si distesero leggermente in un sorriso e Hooland ricambiò, sollevato di sentirle dire quelle parole mentre annuiva, avvicinandolesi leggermente.
 
“Esattamente. E allora qual è il problema?”
“Mi dispiace di averti fatto stare male, di averti fatto pensare che io ti reputi soltanto un amico… mi dispiace se hai pensato che ti abbia paragonato a lui. Non è così.”
 
Provò un’enorme sensazione di sollievo quando ebbe detto quelle cose, quasi come se sentisse di doverle dire da un po’… Hooland invece sorrise mentre si chinava per appoggiare nuovamente le labbra sulle sue, facendo scivolare le mani dal mobile per stringerla a sé.
Con suo sommo sollievo questa volta Rose non si ritrasse, alzandosi in punta di piedi mentre gli circondava il collo con le braccia, accarezzandogli i capelli.
Fu Hooland a staccarsi dopo qualche istante, guadagnandosi un’occhiata confusa da parte della ragazza:
“Aspetta…”
 
Il ragazzo sfoggiò un lieve sorriso divertito mentre la sollevava, facendola sedere sul bancone della penisola:
“… altrimenti divento gobbo.”
“Stupido.”
 
Rose gli rivolse un’occhiata torva ma lui non ci fece caso, sorridendole prima di baciarla nuovamente.

 
*

 
“Sai che ti voglio bene Hool, dico davvero… Ma come ti è saltato in mente?”
“Non è stata colpa mia… Era una specie di scommessa con Seth e Gin! Che male…”
 
Hooland gemette mentre si sfiorava la testa con le dita, le labbra inclinate in una smorfia mentre Julian, seduto accanto a lui in Infermeria, lo guardava come se ritenesse l’amico senza speranza:
“E tu non potevi rifiutarti, mi sembra giusto…”
“Non cominciare a farmi la predica! Però ti prego, non lo devi assolutamente dire a…”
“Sarah? Ok, non glielo dirò.”
 
“No, dicevo a Rose. Altrimenti darà di matto e correrà qui pensando che io sia in fin di vita…”
“HOOLAND!”
La porta dell’Infermeria si spalancò e Rose comparve sulla soglia con gli occhi sbarrati e l’aria allarmata, affrettandosi a raggiungere i due amici mentre Hooland sospirava:
 
“Troppo tardi…”
“Stai bene? Che cosa è successo? Hai perso tanto sangue? Stupido, ma come ti vengono certe idee!”
 
Rose raggiunse il letto dell’amico prima di sedersi accanto a lui, abbracciandolo mentre Julian sorrideva con aria divertita e Hooland roteava gli occhi:
 
“Rosie, sto benissimo, mi hanno messo i punti e tornerò come nuovo…”
“Ma perché l’hai fatto, potevi farti davvero male!”
Rose gli sfiorò la nuca con le dita, guardandolo con sincera preoccupazione mentre l’amico sorrideva, facendo spallucce:
“Beh, sai, scommessa… Come fai a saperlo, comunque? Tu non eri in classe con noi!”
“Me lo ha detto Seth! Siete un branco di imbecilli. Come si fa a scommettere sullo sfondare un banco con una testata!”
 
“Non farne un dramma, sto bene!”
“Rosie, lascia perdere. Ma sono felice che tu non ci fossi, penso che vedendo tutto quel sangue saresti svenuta.”
Julian rivolse un sorriso all’amica, che continuò a stringere Hooland in un abbraccio mormorando che era un vero e proprio idiota.
 
“Rosie, mi soffochi! Julian, dammi una mano!”
“Oh, povero, povero Hooland… ucciso di coccole dalla ragazza più carina della nostra Casa, povero, povero martire…”
 
Julian scosse il capo, sforzandosi di usare un tono drammatico che venne ricambiato da un’occhiata torva. Forse Hooland avrebbe detto qualcosa, ma una voce attirò l’attenzione di tutti e tre i Tassorosso:
“Hool? Che è successo?”
 
“Ciao Sarah…” 
Hooland rivolse un lieve sorriso alla ragazza bionda che era appena entrata in Infermeria, mentre sentendo la sua voce Rose si era staccata dal ragazzo quasi come se si fosse scottata, affrettandosi ad alzarsi mentre la ragazza superava lei e Julian per sedersi accanto al Tassorosso.
 
“Beh, vi lasciamo soli. Julian, andiamo.”
 
Rose rivolse un cenno all’amico, invitandolo a seguirla. Julian si alzò per uscire insieme a lei dall’Infermeria, ma non gli sfuggì l’occhiata quasi malinconica che Rose rivolse ad Hooland e alla sua ragazza.
 
“Come hai fatto a ridurti così, si può sapere? Hool?”
Hooland, che fino a quel momento aveva seguito Rose e Julian con lo sguardo, si riscosse sentendo la voce della fidanzata, affrettandosi a sorriderle:
“Niente, solo una stupida scommessa con Seth. Ho la testa dura io, cosa credete?”

 
*
 

“Ma guarda chi si rivede… che visita gradita!”
Joseph rivolse un lievissimo sorriso all’ex collega e vecchio compagno di Accademia che stava camminando verso di lui… ma ben presto si rese conto che l’uomo non si stava rivolgendo a lui, ma alla bambina che teneva per mano:
“Splendore, vieni a dare un abbraccio allo zio Rick!”
 
“Fa piacere ricevere questa calorosa accoglienza ogni volta…”  Joseph roteò gli occhi ma non riuscì a non sorridere quando Diana, lasciata la sua mano, corse verso l’Auror per abbracciarlo, lasciandosi prendere in braccio.
 
“Sono sempre ben felice di vedere te e la tua bellissima figlia… Principessa, com’è che ogni volta in cui ti vedo sei sempre più carina?”
L’Auror sorrise alla bambina, dandole un pizzicotto sulla guancia e facendola ridacchiare mentre il padre seguiva la scena con cipiglio divertito:
“Se hai finito di corteggiare la mia bambina avrei delle cose da dirti Rick.”
 
“Ok, conosco quella faccia… e sia. Tesoro, vai da Alexandra e Laura, ci penseranno loro a te.”
L’Auror diede un bacio sulla guancia della bambina prima di rimetterla a terra, guadagnandosi un sorriso da Diana prima che trotterellasse verso l’ufficio delle due donne. Come sempre tutti sembrarono ben contenti di vedere la loro “mascotte” e un fiume di Auror si riversò immediatamente nel corridoio per fare le fusa alla bambina.
 
“Ok, direi che come sempre Diana ha i suoi fan a prendersi cura di lei… andiamo nel mio ufficio Joe.”
 
 
Pochi minuti dopo i due erano seduti uno di fronte all’altro nell’ufficio dell’Auror, che rivolse all’amico un’occhiata scettica:
“Allora… sei qui per via della Dollhouse?”
“Non esattamente. Voi volete raderla al suolo e credimi, nessuno lo vuole più di me… Ma Cecily non è stupida.”
“Joe, sappiamo dove si trova la struttura, abbiamo te come testimone a dir poco decisivo… non ci metto niente a portare una ventina di uomini sul posto e dare il ben servito alla dottoressina.”
 
“Ne parliamo da tempo: lei è l’unica che può far tornare normali quei ragazzi. Non è giusto che passino il resto della loro vita, che è ancora molto lunga, con una mente che non è la loro… prima di metterla nel sacco devo capire se posso riuscire a farli tornare com’erano prima. In ogni caso, non sono qui per parlare di questo. Si tratta di Diana.”
“Diana?”
 
Richard inarcò un sopracciglio, guardandolo con stupore. Joseph annuì, parlando con tono piuttosto amareggiato:
 
“Ieri l’ha fatta portare alla Casa. E mi ha fatto capire non molto sottilmente che non si porrebbe il minimo problema a compromettere anche il suo cervello se io dovessi “farle un brutto tiro”. Cosa che sto facendo, per altro… sa che sono un ex Auror, non è stupida. Carter Halon ha visto uno dei tuoi uomini qualche giorno fa, lei ha fatto due più due… insomma, dobbiamo fare più attenzione.”
“Loro sanno qualcosa?”
“No, niente… a parte Nicholas Bennet, lui è un caso a parte. E’ l’unico che sa di me. Ma odia la DeWitt almeno quanto me, ha preso anche sua sorella, non dirà nulla. Anzi, credo che potrebbe esserci utile. In ogni caso, sono venuto qui per chiederti di affidare Diana a qualcuno. Voglio che sia sempre controllata quando non è con me, io non posso badare a lei costantemente… Sto alla Casa per gran parte della giornata, mentre non ci sono qualcuno deve fare in modo che non si avvicinino più a lei.”
 
“Joseph, qui tutti adorano sia lei che te, ci stai aiutando parecchio su quel fronte… non è un problema, farò in modo che non riaccada. Hai la mia parola.”
 

 
*

 
Hai presente i discorsi che faccio di tanto in tanto? Quelli sulle “maschere” che tutti noi portiamo?”
“Intendi quando dici che nessuno di noi è come sembra, che tutti portiamo decine di maschere per piacere agli altri e che in realtà il “siamo tutti unici” è una cazzata? Sì, perché?”
“Beh, ho appena deciso che non vale per Jason Craig. Lui non porta maschere diverse, lui è un grandissimo pezzo di merda proprio come sembra, è la sua unica faccia.”
 
Rose rise appena ma Hooland non la imitò, continuando a sfiorarle lo zigomo con il ghiaccio. Quando la ragazza si era presentata in Sala Comune con gli occhi lucidi e in quello stato lui le aveva praticamente ordinato di sedersi e di dirgli cos’era successo quella sera… ma forse, riflettendoci, nemmeno avrebbe voluto saperlo.
 
“Ma come fate a dare gli schiaffi in questa maniera? Fanno dei corsi? Prendete tutta la guancia, è come se l’occhio ti schizzasse fuori dall’orbita…”
Rose sospirò, sfiorandosi il viso con una smorfia mentre Hooland le sorrideva gentilmente, inginocchiato sul pavimento davanti a lei:
“Non tutti li danno.”
“Lo so. Grazie.”   Rose gli rivolse un lieve sorriso mentre il compagno invece sospirò, guardandola con aria grave:
 
“Rose, perché non mi permetti di prenderlo a calci dove non batte il sole? Non dirmi che provi ancora qualcosa per lui!”
“No, certo che no. Ma tra pochi mesi ci diplomeremo, sarà tutto finito… non voglio sollevare un polverone proprio adesso.”
“Pochi mesi non è poi così poco, Rose. Non puoi andare avanti così fino alla fine dell’anno! Prima o poi finirà col farti male sul serio e io non voglio doverti trascinare fino al San Mungo.”
“Non succederà.”
Rose sorrise ma Hooland non ricambiò, sbuffando: non riusciva proprio a capirla, a volte… moriva dalla voglia di ridurre in tanti pezzettini Craig, ma lei sembrava non volere che ciò accadesse. E non capiva il motivo, forse era davvero ancora attratta da lui, nonostante tutto?
 
“Non dovevi studiare con Sarah oggi?”
“Aspetterà. Non ti lascio da sola.”
“Hool, non credo che Jason verrebbe qui se è questo che ti preoccupa.”
 
Hooland non rispose, appoggiando il ghiaccio sul pavimento prima di sporgersi e abbracciare la ragazza:
“Mi dispiace per quello che stai passando, Rose. Sei la persona più dolce che conosca, perché deve succedere proprio a te? E perché non posso defenestrare Craig dalla finestra della Torre di Corvonero?”
 
“Non è male come idea, ma meglio non metterla in pratica.”
“Potrei sempre progettare qualche giocattolino appositamente per lui, sono finalmente riuscito a far funzionare l’elettricità anche dentro le mura di Hogwarts… potrei sempre fargli prendere una bella scossa.”
 
“Smettila… vai da Sarah, muoviti. Ci credo che poi mi odia, se fai tardi per stare con me!” Rose sbuffò, dando all’amico una leggera spintarella per convincerlo ad andare, ma Hooland non si mosse, stringendosi nelle spalle e parlando con il tono più rilassato del mondo:
“Non ti odia. Nessuno potrebbe mai odiarti.”
“Sì che mi odia, lo so.”
“E’ solo gelosa perché sa che ti adoro, e la cosa non le piace.”
 
“Beh, in ogni caso vai, muoviti! Non è carino farla aspettare.”
Hooland avrebbe voluto dirle che avrebbe preferito di gran lunga restare lì con lei ma si costrinse ad ascoltarla, alzandosi e salutandola brevemente prima di avviarsi verso l’uscita della Sala Comune.
 
“Hool?”
“Sì?”
Il ragazzo si fermò, voltandosi con un lieve sorriso e sperando che gli chiedesse di restare… ma Rose si limitò a rivolgergli un lieve sorriso, ricordandogli che non poteva andare a studiare senza i libri.
“Giusto… Che farei senza di te?”
“Beh, ti sei addormentato a lezione due volte, persino ai G.U.F.O., hai perso il treno tre volte e l’anno scorso hai persino scordato di prendere quello per tornare a casa per le vacanze… sei la persona più sbadata e persa nella propria testa che io conosca. Ma adoro fare in modo che tu ricorda le cose.”
 
 
*

 
“Scusate se vi ho fatto aspettare, ma avevo un paio di questioni personali da sistemare prima di venire qui. Ora… come vi ho anticipato ieri sera oggi dovrete quantomeno provare ad evocare i vostri Patronus. I Guardiani sanno già come fare?”
 
Alpha fece vagare lo sguardo sui sei ragazzi, che annuirono mentre Hooland teneva un braccio intorno alla vita di Rose e Isla continuava a lanciare occhiate compiaciute in direzione dei due.
 
“Bene, allora darete una mano ai vostri Attivi. E come sempre siete pregati di non fare troppe domande, dovete fare quello che vi viene detto e basta… L’Incanto Patronus è un incantesimo molto complesso, molto potente ed estremamente importante. Assume forme diverse da persona a persona in base alla personalità e si evoca attraverso ricordi, pensieri felici. Ergo, c’è bisogno di molta concentrazione da parte vostra. Come ho detto, sarete aiutati dai vostri Guardiani, mostrate loro come fare.”
 
Aveva appena finito di parlare quando girò sui tacchi per andarsene, o meglio lasciare la stanza per salire le scale e raggiungere la donna che si era appoggiata alla ringhiera da qualche minuto, osservando i ragazzi con una cartella sottobraccio.
 
“Mi spieghi il motivo di questo test?”
“Ho sottoposto tutti i miei Attivi all’Incanto Patronus, Alpha. I ragazzi hanno imparato ad evocare il proprio Patronus durante l’ultimo anno di scuola… e mi sono premurata, da qualche anno a questa parte, di farmi dire le forme dei ragazzi che mi interessavano da loro o dagli insegnanti per poi annotarli qui.”
 
“E perché ti serve?”
“Le forme cambiano da persona a persona come ben sai… ha a che fare, così come la scelta della bacchetta, con la personalità. Questi ragazzi, chi più chi meno, non hanno più il carattere di un tempo da dopo l’annullamento… eppure, gli altri Attivi che hanno evocato il loro Patronus presentavano la stessa forma rispetto a prima dell’annullamento. La loro personalità era cambiata, la forma del Patronus no.”
 
“In parole povere, è la prova che non hai distrutto del tutto l’impronta cerebrale.”
“Evita di gongolare così platealmente, Alpha. Qui trovi tutti i Patronus degli Attivi prima dell’annullamento, quando saranno riusciti ad evocarli segnali nella seconda colonna… Voglio vedere se anche con loro il test otterrà gli stessi risultati.”
 
Cecily gli consegnò la cartella e, senza aggiungere altro, girò sui tacchi per allontanarsi. Alpha la seguì brevemente con lo sguardo, quasi gioendo interiormente dopo quella conversazione: se le forme rimanevano invariate allora non era cambiati del tutto, c’era ancora un briciolo della loro impronta cerebrale intatta… non doveva fare altro che riportarla del tutto in auge per liberare quegli ignari ragazza dalla loro prigione, rappresentata sia dalla Casa in cui vivevano da due anni sia dalla loro stessa mente compromessa.
 

 
*

 
“Alla buon’ora.”
“Scusa, so di aver fatto tardi… Dovevo chiarire una cosa con Rose.”
“Certo, ci mancherebbe altro.”
 
Il tono acido della ragazza attirò la sua attenzione, rivolgendole un’occhiata in tralice prima che la Corvonero sbuffasse:
“Oh, andiamo… Passi un sacco di tempo con lei ultimamente, persino più del solito. So che siete amici, ma ultimamente non ti sembra di esagerare? Non appena sbatte le ciglia corri da lei.”
“E’ in un momento un po’ difficile, devo e voglio starle vicino. Non capisco perché ti dia tanto fastidio.”
 
“Come fai a non capirlo? Ti comporti come se lei fosse più importante!”
“Sarah, evita di mettermi di fronte ad una scelta tra la mia migliore amica e la mia ragazza, sarebbe sgradevole.”
 
“Davvero? Perché sceglieresti lei? Non sono stupida Hool… Non dico che non devi stare con lei, forse è davvero in un brutto momento, ma evita di ignorarmi platealmente quando c’è Rose Williams nei paraggi.”
 
Il Tassorosso non disse nulla, restando in silenzio e riflettendo sulle parole della bionda… forse in effetti aveva ragione.
“Forse non lo fai di proposito, forse non te ne rendi conto… ma è così.”
Sarah si strinse nelle spalle, abbandonandosi sullo schienale della sedia e guardandolo quasi con esasperazione, come se non capisse come non riuscisse a rendersene conto.
 
“Hooland… credo proprio che dobbiamo parlare.”
 
*
 
 
“Expecto Patronum.”
 
Hooland Magnus sorrise appena nel vedere di nuovo il suo Patronus, un bisonte. Sentì qualcuno ridacchiare alle sue spalle e, voltandosi, si ritrovò davanti proprio Rose.
 
“Trovi il mio Patronus divertente, Rosie?”
“No… o almeno, in parte. Sai, a volte mi ritrovo a guardarti e a chiedermi come fai a muoverti con tanta grazia e fluidità nonostante la tua considerevole stazza. Avete in comune questo, entrambi siete piuttosto imponenti ma vi muovete con estrema tranquillità.”
“Davvero? Anche il tuo Patronus è perfetto per te, un tenero scoiattolino ti descrive alla perfezione.”
 
Hooland sorrise a Rose prima di spostare lo sguardo sul Patronus della ragazza, che gli stava saltellando intorno.
 
A qualche metro di distanza invece Foxtrot stava esultando per essere riuscito finalmente ad evocare il suo, guardando con soddisfazione la sua lince del deserto.
“Hai visto quant’è carina? Quasi quanto me!”
“Spero che sia anche più modesta…”
 
Isla roteò gli occhi prima di agitare pigramente la sua bacchetta, evocando il suo Patronus senza apparente sforzo. Poco dopo, infatti, una volpe artica saltò fuori dalla sua bacchetta, trotterellando sul pavimento e lasciandosi una luminosa scia argentea alle spalle.
La ragazza non batté ciglio mentre il suo Attivo invece guardò il Patronus con tanto d’occhi prima di sollevare lo sguardo e posarlo sulla ragazza, mentre un sorriso si faceva largo sul suo volto:
 
“Isla…”
“Mh?”
“… è una volpe!”
 
“Non ricominciare, ti informo che è sempre stata una volpe, anche prima di conoscerti, piantala di prendermi in giro!”
 
“Un pappagallo?”
Erin inarcò un sopracciglio, osservando il pappagallo argenteo che svolazzava sopra la sua testa mentre la sua leonessa d’argento passeggiava accanto a lei.
 
“Hai da ridire anche sul mio Patronus, LaFont?”
“No, non ho da ridire… però ammetterai che è strano. Tu non sei uno di molte parole…”
“Già, in effetti avrei pensato a qualcosa di diverso, probabilmente. Anche il tuo Patronus mi lascia perplesso, più che ad un felino avrei pensato ad un animale rompiscatole ed irritante, magari un Chihuahua che abbaia in continuazione…”
“I Chihuahua sono carini!”
“Certo… anche tu sei carina, infatti. Così dicono, almeno.”
 
Echo piegò le labbra in un sorrisetto mentre la bionda gli rivolgeva un’occhiata torva, suggerendogli di non prendere in giro il suo Patronus.
 
Nicholas, invece, dopo aver rivolto una rapida occhiata al suo leone d’argento prestò tutta la sua attenzione a Juliet, che invece non era ancora riuscita ad evocare il suo, non completamente formato almeno.
Incapace di resistere, e approfittando che la ragazza non stesse parlando con nessuna delle ragazze, Quebec o Carter – Nicholas le si avvicinò, rivolgendole un lieve sorriso:
 
“Problemi?”
“Non riesco ad evocarlo come si deve… mi sento un’idiota.”
“E’ un incantesimo complesso, Juliet… abbi pazienza. Pensa a qualcosa di davvero bello, che ti fa sorridere solo pensandoci.”
 
La ragazza puntò gli occhi verdi su di lui, osservandolo con lieve curiosità prima di parlare:
 
“Tu a cosa hai pensato? Se posso saperlo, certo.”
“Ad una persona a cui tengo tantissimo. A dei momenti che abbiamo passato insieme tanto tempo fa.”
 
Nicholas sorrise, non potendo dirle che aveva pensato a lei… o almeno, in un certo senso.
 
“E’ difficile. Insomma, io non ho molti ricordi… Non ne ho quasi nessuno risalenti alla mia vita prima di due anni fa, quando sono arrivata qui.”
“Vale anche per gli altri, non sei l’unica. Cerca qualcosa di felice che ti sia successo negli ultimi due anni.”
 
 Juliet annuì, ripetendosi di dare ascolto al ragazzo e di non dare peso a quelle immagini che da qualche tempo avevano iniziato ad affollarle la mente… sembravano dei ricordi, certo, ma non era nemmeno sicura che fossero reali. Non sapeva nemmeno chi fossero quelle persone.
Senza dire nulla, la ragazza si voltò verso il fratello, guardandolo sorriderle.
 
“Perché sei sempre così gentile con me?”
“Non dovrei esserlo?”
“Non lo sei con le altre. Sì, con November… ma con le altre no. Perché?”
 
“Magari tu mi piaci più delle altre.”
 
Nicholas si limitò a sorriderle ma la ragazza non ricambiò, continuando a guardarlo con aria quasi pensierosa, come se stesse cercando di rimettere a posto i pezzi di un puzzle che aspettava di essere completato ormai da troppo tempo.
 
“Noi ci conoscevamo, vero? Da prima di tutto questo.”
Quella domanda fece quasi raggelare il Guardiano, che esitò, non sapendo cosa dire. Non avrebbe dovuto rivelarle il loro legame… ma lei sembrava essere sulla strada di ricordarsi davvero di lui. E aspettava quel momento da davvero molto tempo, ormai.
 
“In un certo senso.”
“Ho sempre avuto una strana sensazione… come se ti reputassi familiare, ma senza riuscire comunque a capire dove o come ci siamo conosciuti.”
 
Siamo cresciuti insieme
Avrebbe voluto dirle questo, ma non lo fece. Non poteva.
 
“Non posso dirti certe cose Juliet… devi capirlo da sola.”
 
Nicholas scosse leggermente il capo prima di muovere un passo indietro, voltandosi per raggiungere November. Ma non gli sfuggì che sopra di loro Alpha li stava guardando, come se avesse seguito la loro conversazione.
 
 
L’Attiva guardò il ragazzo allontanarsi ma non lo seguì, non si mosse, riflettendo sulle sue parole: quindi quelle immagini erano vere? Era lui quel “Nick” che le sembrava di aver sentito nominare?
Ormai non era più sicura di niente.
 
“Come procede?”
La ragazza si voltò, trovandosi davanti Quebec e sorridendogli leggermente, stringendosi nelle spalle:
 
“Potrebbe andare meglio. Tu sei riuscito ad evocarlo?”
“Sì. Sciacallo dorato.”
Il ragazzo accennò all’animale d’argento che gli stava accanto a Juliet sorrise alla vista del Patronus, allungando una mano per sfiorarlo:
 
“Odio ammetterlo, ma sembra proprio che questa volta tu mi abbia battuto Quebec… Non sono ancora riuscita ad evocare il mio.”
“Ce la farai. Non molli facilmente.”
 
Juliet sorrise al ragazzo ma lui non ricambiò, continuando a guardarla attentamente, come se stesse cercando di capire qualcosa.
 
“Va tutto bene?”
“C’è qualcosa tra te e Carter?”
 
Pronunciò quelle parole quasi senza pensarci, desiderando solo di avere una risposta anche se non riusciva a spiegarsi il motivo di tutta quella curiosità.
Juliet non rispose subito, limitandosi a guardarlo con aria confusa mentre arrossiva leggermente:
 
“Perché lo vuoi sapere?”
“L’ho visto uscire dalla tua camera ieri. Non faccio che pensarci. Non so perché…”
“Io...”
 
Juliet esitò, non sapendo cosa dire mentre Quebec annuiva, affrettandosi ad interromperla:
“Ok, ho capito… scusa Juls, non sono affari miei.”
 
“Quebec…”
L’Attiva provò a chiamarlo ma il ragazzo la superò senza darle ascolto, uscendo in fretta e furia dalla stanza mentre il suo Patronus, lo sciacallo dorato, spariva.
Juliet non lo seguì, limitandosi a sospirare e a chiedersi ancora una volta cosa le stesse succedendo prima di mormorare ancora una volta l’incantesimo, pensando agli strani ricordi che avevano iniziato a riaffiorare dentro di lei.
 
Poco dopo la ragazza si permise finalmente di sorridere di fronte al suo Patronus, una tigre.
Allungò una mano per sfiorarla mentre una terza figura le si avvicinava, guardandola quasi con aria compiaciuta:
“Ci sei riuscita, brava.”
“Ciao… non ho visto il tuo.”
 
Per tutta risposta Carter accennò a qualcosa sopra la testa della ragazza, che sollevando lo sguardo si ritrovò a guardare un pipistrello svolazzare sopra di loro.
 
“Un pipistrello? Non l’avrei mai pensato… insomma, tu sei molto più carino di un pipistrello!”
“Ti ringrazio. Che cosa voleva Quebec? Se n’è andato quasi di corsa.”
 
Carter guardò la ragazza con sincera curiosità, ma Juliet si sforzò di sorridere, stringendosi nelle spalle: l’ultima cosa da fare era, probabilmente, parlare proprio con lui della domanda di Quebec.
“Niente di cui preoccuparsi. Non ti ho ancora ringraziato per ieri notte, Carter, stamattina te la sei squagliata.”
“Non ti volevo svegliare.”
 
Il Guardiano non batté ciglio, morendo dalla voglia di chiederle a cosa avesse pensato per evocare il suo Patronus ma senza avere comunque il coraggio di farlo. Lui aveva pensato a lei, ma forse non era il caso di farglielo sapere.
 
 
Qualche metro più in alto Alpha annotò la parola “tigre” accanto al nome di “Kate Bennet”, notando con somma soddisfazione che il suo Patronus non era cambiato, così come quello di tutti gli altri Attivi.
1 a 0, Cecily.

 
*

 
Teneva gli occhi fissi sul palcoscenico dove gli attori stavano recitando, senza vederlo davvero.
Non faceva altro che pensare a Julian da giorni ormai… a come era sparito nel nulla. E nemmeno Rose sembrava aver ricevuto sue notizie.
Possibile che avesse semplicemente deciso di sparire nel nulla senza dire niente a nessuno? Non era l’unico, in effetti. Non aveva notizie nemmeno di Seth o Ginevra.
 
Aveva deciso di andare a teatro per assistere ancora una volta alle prove della compagnia per distarsi, ma continuava a pensarci… si sentiva davvero solo da quando era tornato a casa. Solo, senza i suoi amici, senza Julian, senza Rose… e poi restava sempre quell’incognita: che fare della sua vita?
 
Rose da qualche tempo diceva che le sarebbe piaciuto diventare Medimaga, ma lui non aveva le idee chiare come quelle dell’amica.
Crescendo sia lui che i suoi genitori si erano resi conto che aveva ereditato la loro stessa passione, quell’amore verso la tecnologia, l’interesse a conoscere quella meraviglia a cui i Babbani erano riusciti a dar vita, quel capolavoro che loro maghi si erano persi per interi decenni.
 
Hooland Magnus adorava essere un mago, certo, fare magie, far volare le cose, tramutare gli oggetti, il Quidditch... ma stravedeva per i Babbani, trovava la loro cultura molto affascinante: adorava la televisione, la loro moda, i fumetti, le auto e le moto, le loro macchine fotografiche non immortalavano un singolo momento bloccandolo per sempre. Amava la musica, il teatro, la loro incredibile tecnologia che per anni non era mai entrata in contatto con la magia… ma le cose stavano cambiando, da qualche anno a quella parte.
 
E c’era quella specie di associazione, la Dollhouse… conosceva di fama, come tutti, sia quel nome che quello della sua fondatrice, Cecily DeWitt, la strega che dopo essersi diplomata con il massimo dei voti ad Hogwarts si era laureata ad Oxford in Medicina e specializzata in Neurochirurgia, facendo in contemporanea degli studi di Psicologia.
 
Qualche anno prima aveva unito i suoi studi magici a quelli Babbani e quello era il risultato… era riuscita ad unire scienza e magia servendosi anche di uno dei più grandi cavalli di battaglia dei Babbani, la loro tecnologia.
Non aveva mai rivelato con precisione come avvenissero le sue operazioni, ma Hooland aveva davvero intenzione di scoprirlo.
 
Forse avrebbe dovuto scrivere a Rose, parlarne con lei? Era l’unica che gli era rimasta, dopotutto, e anche se non la vedeva solo da un paio di settimane ne sentiva già la mancanza.
Sarebbe stata un’ottima scusa per vederla, ma non voleva dirle nulla finché non sarebbe stato sicuro al 100%... e lui per primo sapeva di essere tremendamente lunatico, avrebbe potuto benissimo cambiare idea già il giorno dopo.
 
L’ex Tassorosso si disse di smetterla di pensarci e di godersi le prove dello spettacolo come sempre, ma quella storia rimase comunque lì, fissa in un angolo della sua testa insieme a tutte le domande che si legavano ai suoi amici praticamente scomparsi.
Non avrebbe cambiato idea, non in quell’occasione, ma ancora Hooland non lo sapeva. Non sapeva nemmeno che in quel momento Rose Williams stava facendo i suoi stessi pensieri.
 
 
*

 
“Allora?”
“Nessuno dei loro Patronus è cambiato… mi dispiace deluderti.”
Alpha lasciò la cartella sulla scrivania di Cecily, che sbuffò sommessamente mentre l’uomo esitava, osservandola con attenzione:
 
“E’ strano. Perché i loro Patronus non hanno cambiato forma mentre le loro bacchette hanno smesso di rispondere ai comandi come prima dopo l’annullamento? Hai fornito bacchette nuove a tutti loro, se non ricordo male.”
“Corretto. Per una volta non so risponderti… e odio non avere una risposta. C’è qualcosa che ho tralasciato, evidentemente… mi è sfuggito qualcosa durante quelle dannate operazioni.”
 
La donna si morse nervosamente il labbro, tamburellando leggermente le dita sul ripiano di vetro mentre teneva gli occhi chiari fissi su un punto della parete davanti a sé, come se stesse cercando la sua tanto agognata risposta.
 
“A te piace avere sempre il controllo su tutto, Cecily… ma non credo che si possa farlo. Non credo che potrai mai controllare del tutto le loro menti. Ci sei arrivata vicina, certo, ma forse non arriverai mai alla perfezione.”
“Mi spiace deluderti, ma io sono una perfezionista. E alla fine arriverò al risultato che voglio, stanne certo. Ho fatto enormi progressi negli ultimi dieci anni, e continuerà ad essere così.”
 
Certo, se non ti sbatto ad Azkaban prima
 
 
“Beh, ho fatto quello che volevi. Ti lascio sola.”
“Torna pure a casa prima oggi. Non ho altro per te.”
Cecily si abbandonò contro lo schienale della sedia, invitandolo ad andarsene con un lieve cenno della mano pallida. Alpha in un primo momento non si mosse, guardando la donna con sincero stupore: quando era capitata una cosa simile l’ultima volta?
 
Vedendo che non accennava ad andarsene lei si voltò verso di lui, lanciandogli un’occhiata glaciale:
 
“Per l’amor del cielo Alpha muoviti, vai da tua figlia invece di perdere tempo qui.”
“D’accordo… grazie.”
 
Stupito da quella “gentilezza” l’ex Auror si affrettò ad uscire dalla stanza con un sorriso stampato sul volto, morendo dalla voglia di tornare effettivamente a casa con largo anticipo.
 
 
Intanto, al piano terra, Hooland Magnus era seduto su uno dei divani in salotto davanti alla televisione accesa, anche se invece di prestare attenzione allo schermo era impegnato a smanettare sul suo piccolo tablet.
 
“Che cosa fai? Aggiorni la tua lista?”
 
Sentì qualcuno sfiorargli i capelli e immediatamente sollevò il capo, indirizzando un sorriso a Rose e annuendo:
“Diciamo di sì. Ma mi spiace deluderti, tu non ci sei.”
 
Rose prese posto sul divano accanto a lui, rivolgendogli un’occhiata vagamente accigliata:
“Davvero?”
“Davvero.”
 
Hooland si strinse nelle spalle, cercando di non ridere di fronte all’espressione quasi delusa della ragazza.
Le aveva detto già qualche anno prima di quella “lista” che aveva iniziato a stilare molto tempo addietro e che, dopo un po’, da cartacea era diventata digitale, adattandosi al suo proprietario.
Non erano molte le persone che vi rientravano e Hooland, con il tempo, la “aggiornava” eliminando per ogni persona che ne faceva parte qualcuna tra le “maschere” che secondo il ragazzo praticamente tutti portavano.
 
Non sapeva come fosse iniziata quella convinzione, forse proprio dal suo amore per il teatro, la recitazione e la finzione, ma si era convinto fin dalla tenera età che nessuno fosse davvero come si mostrava a primo impatto, che chiunque indossasse una lunga serie di maschere per piacere al prossimo.
Un enorme insieme di facce diverse che mutavano, appartenenti ad una stessa persona.
 
Anche lui, tremendamente lunatico da sempre, sentiva di indossarle a volte… a volte così tremendamente annoiato, pigro, svogliato, quasi silenzioso, altre brioso, pimpante, allegro. A volte quasi s’imponeva di essere in un modo o in un altro, a volte si chiedeva se piacesse davvero alle persone o meno. Gli insulti, le critiche, gli erano sempre scivolati addosso… ma aveva capito, con il tempo, di non essere poi così menefreghista, rendendosi conto che vivere sotto lo stesso tetto dei suoi vecchi amici senza che loro dessero segni di riconoscerlo faceva male. Così come quando una critica veniva da una persona a cui teneva moltissimo, come la ragazza che gli stava accanto in quel momento.
 
“Quindi secondo te anche io non faccio altro che fingere, “recitare”, pensi che io non sia come sembro?”
“No Rosie… nella mia lista faccio una specie di “scrematura”, elimino maschere che persone a cui tengo dimostrano di non indossare, avvicinandomi così alla loro vera “faccia”. Tu non sei nella lista semplicemente perché sei sempre la stessa, sei sempre tu. Sei dolcissima, tenera, goffa e generosa sempre e comunque.”
 
Hooland le sorrise, sistemandole i capelli dietro le orecchie mentre la ragazza ricambiava il sorriso, arrossendo leggermente.
“E’ per questo che mi piaci… Sei praticamente l’unica persona che conosco che non ha mai paura di essere quello che è, che non bada al giudizio degli altri, sei sempre schifosamente gentile e adorabile con tutti, con le tue pantofole a forma di unicorno e il tuo modo di fare da mamma chioccia che si preoccupa per le persone a cui tiene. Ti adoro perché non sai mentire, perché reggi il mio carattere e il mio essere lunatico, riesci a sopportare i miei picchi di energia in cui divento quasi iperattivo e quei momenti in cui sono un insopportabile palla al piede, pigro e svogliato. Non so come tu faccia, ma grazie. Mi conosci e sopporti da anni, ma riesci comunque a restarmi vicino.”
“Hooland, tu non sei una palla al piede… certo, sei molto pigro a volte, ma più che irritarmi mi fai ridere quando mi chiedi di passarti il telecomando perché non hai nemmeno voglia di alzarti… e sono sempre ben felice di starti vicino.”
 
Rose gli sorrise e Hooland ricambiò, intrecciando le dita con quelle della ragazza prima di parlare nuovamente:
 
“Julian, Seth, Gin… sono tutti cambiati. Non sono più gli stessi… vivo con i miei amici come quando eravamo a scuola, ma loro non si ricordano di me, non abbiamo più lo stesso rapporto di prima. Sono tutti cambiati, tu no. Tu sei sempre la mia Rose.”
 
“Perché? Mi vorresti diversa?”
 
Rose sorrise, inarcando un sopracciglio mentre il ragazzo scosse il capo, facendola scivolare sulle sue ginocchia senza smettere di guardarla negli occhi:
 
“No… per nessun motivo. Non sognarti neanche di cambiare.”
Il sorriso della ragazza si allargò, annuendo prima di avvicinarglisi, prendergli il viso tra le mani e baciarlo dolcemente.
 
Quando, pochi minuti dopo, Echo si fermò sulla soglia della stanza e li vide abbracciati sul divano non riuscì a muoversi per qualche istante, tenendo gli occhi chiari fissi sui due ragazzi che si scambiavano sorrisi e carezze.
In effetti era arrivato fin lì per entrare e prendere una cosa, ma quando li vide cambiò idea, decidendo di lasciarli soli e girando così sui tacchi per andarsene.
 
Non seppe perché, ma le sue labbra si piegarono lievemente in un sorriso, felice per la scena a cui aveva appena assistito.
 
Ma perché era felice di averli visti insieme? Insomma, a lui non importava niente di Hooland Magnus e Rose Williams… giusto?

 
*

 
“Lei è Whiskey.”
No, non era Whiskey. Lei era Ginevra Diane Morrison, una tra i suoi migliori amici. Che non vedeva da quasi un mese ormai.
 
Guardando l’Attiva dai capelli rossi allenarsi nella palestra il ragazzo sbuffò, cercando di non ripensare a quando Cecily glie l’aveva presentata la prima volta. Era rimasto ammutolito per un istante, aveva dovuto trattenersi dall’abbracciarla e chiamarla “Ginger” come faceva un tempo, a scuola.
 
Era appoggiato alla ringhiera, impegnato a guardare gli Attivi che, qualche metro più in basso, si allenavano… non solo Whiskey, ma anche Quebec ed Echo, altri due suoi vecchi amici. La nota positiva di averli trovati lì era che avrebbe smesso di chiedersi se stessero bene o che fine avessero fatto, almeno ormai aveva ottenuto le sue tanto sospirate risposte.
 
Però era davvero difficile vivere con loro senza avere più lo stesso rapporto… erano cambiati, tutti e tre, specialmente Julian. Da qualche giorno nella Casa era arrivata anche Rose ed era stata assegnata proprio a “Quebec”, ovvero Seth. Triste, entrambi assegnati a vecchi amici.
Ovviamente la ragazza cercava di non darlo a vedere, ma anche lei soffriva quella situazione… non riusciva nemmeno a rivolgere la parola ad Echo.
 
“Lo so, mancano anche a me.”
Hooland non si voltò, non gli serviva guardarla per riconoscere la voce di Rosie… si limitò invece ad annuire, continuando a tenere gli occhi fissi sui ragazzi con cui un tempo aveva condiviso un sacco di cose.
“Lo so. Echo mi ha detto che quando si è presentato con te sei praticamente scappata via in lacrime, è venuto a chiedermi se per caso non ti avesse fatto qualcosa senza rendersene conto.”
“Mi dispiace, non ce l’ho fatta… lo guardo e non è più lui, neanche lontanamente… rivoglio il mio amico indietro e non posso averlo. Vorrei abbracciarlo ma non posso farlo.”
 
“Beh, puoi sempre abbracciare me… ci sono io, no?”
Hooland si voltò verso la ragazza, che annuì e sorrise, appoggiando la testa sul suo braccio:
“Già… per fortuna ci sei tu.”

 
*

 
Era in piedi, fermo accanto al cancello mentre guardava il fiume di bambini riversarsi nel cortile della scuola.
Era passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta in cui era andato a prenderla all’asilo, e moriva dalla voglia di vederla corrergli incontro.
Quando i suoi occhi si posarono sulla bambina bionda che teneva uno zainetto azzurro sulle spalle e i capelli chiari legati in due treccine sorrise quasi senza volerlo, guardandola posare gli occhi su di lui per poi spalancarli con sorpresa:
 
“Papà?”
“Sorpresa di vedermi Didi? Beh? Non vieni ad abbracciarmi?”
 
La bambina sorrise prima di corrergli incontro, allacciando le braccine alle sue gambe mentre lui si chinava, sorridendo, per sfilarle lo zaino dalle spalle e prenderla in braccio:
“Oggi ti porto a casa io, contenta?”
“Sì! Ma perché questa mattina dopo essere stati da Rick mi hanno portata a scuola due signore?”
“Da oggi quando io non potrò ti accompagneranno sempre loro, tesoro… non preoccuparti, sono amici di papà. Non ti succederà niente.”
 
Joseph diede un bacio sulla testa della bambina, che gli sorrise allegramente prima d’informarlo che aveva fame e voleva fare merenda.
“Quando mai tu non hai fame, Didi?”
“Non mi prendere in giro! Mi fai i pancake al cioccolato?”
 
“E va bene… Sbatti le palpebre e faccio quello che vuoi, hai capito il giochetto troppo in fretta purtroppo.”










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Angolo Autrice:

Buonasera! Grazie come sempre per i voti e per le recensioni, spero che anche questo maxi-capitolo di quasi 30 pagine vi sia piaciuto... a questo punto i nomi tra cui scegliere ve li metto solo per formalità, sono rimasti solo loro dopotutto:

- Carter 
- Erin 
- Echo 

Ci sentiamo presto con il seguito, a presto!
Signorina Granger 

 

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Capitolo 15
*** Carter Halon ***



Capitolo 13: Carter Halon

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“E’ adorabile…”
La giovane donna sorrise, accarezzando i lisci capelli castani del bambino che teneva tra le braccia mentre con una mano lo aiutava a sorreggere il biberon.
“Come si fa ad abbandonare una creaturina così?”
 
“Immagino che non lo sapremo mai.”
La strega rivolse un’occhiata a suo marito, seduto sul tappeto del salotto mentre guardava i figli gemelli di circa un anno giocare, entrambi con il ciuccio in bocca e i capelli sparati da tutte le parti.
 
 “Secondo te starà bene con noi?”
“Assolutamente. Farò in modo che vada così.”  Faye annuì, lasciando un bacio sulla fronte del nipotino prima di allontanare il biberon, scaturendo una lieve protesta da parte del bimbo. Carter allungò le piccole mani come a volerlo riprendere ma la donna si limitò a ridere e dargli il ciuccio prima di sollevarlo e lasciarlo sul pavimento insieme agli altri due bambini:
“Non fare i capricci… Su, gioca con i tuoi cugini Carter.”
 
Il bambino si voltò verso la zia, guardandola con i grandi occhi verdi prima di sorriderle quasi gioiosamente.
“Sì, è adorabile.”

 
 
*
 
 
Seduto sui gradini sotto al portico di casa teneva gli occhi verdi fissi davanti a sé, in attesa, senza parlare o muovere un muscolo.
Era fermo in quella posizione, con le braccia che stringevano le ginocchia e la schiena leggermente inclinata in avanti, da più di dieci minuti, ma il bambino sembrava non curarsene e continuava ad osservare la strada deserta.
 
Stava per arrivare, ne era certo. Doveva essere così.
 
Si era seduto sotto al portico da solo, non sapendo che qualcuno era rimasto in piedi dietro la finestra della cucina ad osservarlo per tutto il tempo, o almeno finché non si stancò di vederlo in quella situazione, raggiungendolo.
“Tesoro?”
Carter, sentendo una mano sfiorargli i capelli e una familiare voce femminile, alzò lo sguardo per posarlo sulla donna, che gli rivolse un lieve, dolce sorriso:
“Perché intanto non vieni dentro a giocare con Elphias e Holden? Qui fuori fa un po’ freddo.”
“Sto aspettando papà.”
 
Il bambino non batté ciglio, voltandosi nuovamente mentre Faye sospirava, sedendo accanto a lui sul gradino:
“Ok… posso aspettare qui con te?”
“Certo zia.”
La strega sorrise, stringendo il bambino in un abbraccio che stranamente non venne rifiutato: Carter appoggiò la testa sulla spalla della zia, che gli lasciò un bacio tra i capelli castani.
“Pensi che verrà? Doveva venire già la settimana scorsa.”
“Non lo so tesoro… ma sono passati tre mesi, giusto? Vedrai, verrà.”

 
 
*


“Nel mio ufficio. Subito.”
Allontanò il dito dal microfono senza nemmeno aspettare una risposta, interrompendo la comunicazione rapidamente com’era iniziata.
Gli occhi grigio-azzurri di Cecily, che non si erano staccati dalla lettera che teneva tra le mani nemmeno per un attimo, indugiarono sull’indirizzo lasciato in un angolo della pergamena prima di prendere una penna per trascriverlo.
Non erano molti i clienti che ancora le si rivolgevano usando quei mezzi, spesso riceveva telefonate o e-mail, ormai non solo da Babbani ma anche da maghi. Sembrava però che quel cliente, che ormai conosceva da qualche anno, non volesse demordere sui mezzi di comunicazioni tipici della loro “cultura”.
 
“Hai qualcosa per i miei ragazzi?”   Alpha aprì la porta senza nemmeno bussare, indugiando sulla soglia della stanza mentre posava gli occhi chiari sulla Dottoressa, che annuì con fare sbrigativo mentre strappava il pezzo di carta dove aveva scarabocchiato l’indirizzo:
“Diciamo di sì, ma questo non richiede molti Attivi… ne basterà uno.”
 
“Ok, dimmi di che si tratta e deciderò chi mandare.”
“Juliet.”
La Dottoressa porse il foglietto ad Alpha, che la guardò di rimando con la fronte leggermente aggrottata:
“Come?”
“Juliet. Andrà lei stasera… Carter l’accompagnerà, dev’essere lì alle nove.”
 
“Da quando decidi tu chi mandare?”
“Fino a prova contraria il capo qui sono io, Alpha. Tu ci lavori insieme tutti i giorni da due anni, ma non dimenticare chi ha dato vita a quei ragazzi… li conosco meglio di quanto non potranno mai conoscere loro stessi.”
“Non hai dato vita proprio a nessuno Cecily, se non a dei fantocci. Semmai hai strappato delle vite.”
 
Cecily non batté ciglio alle parole dell’ex Auror, limitandosi a lanciargli un’ultima occhiata quasi annoiata prima di tornare a concentrarsi sullo schermo del suo computer.
 
“Questione di punti di vista. In ogni caso andrà Juliet. E non è stata solo una mia scelta, in questi casi lascio che a scegliere sia anche chi mi commissiona il lavoro.”
 
“E che cosa dovrà fare, di grazia? Pensi di informarmi visto che dovrò dirlo a Juliet?”   Alpha inarcò un sopracciglio, parlando con un tono scettico che sembrò non scalfire affatto la donna, che si limitò a parlare utilizzando il suo solito tono pacato e autoritario:
 
“Alle nove. Dai l’indirizzo a Carter. Dì solo questo, non c’è bisogno di sapere altro.”
 
Alpha abbassò lo sguardo, lanciando un’occhiata all’indirizzo prima di annuire, facendo un passo indietro per uscire dall’ufficio. Cecily rimase in silenzio, comportandosi come se fosse già uscito dalla stanza mentre l’uomo pensava all’Attiva in questione, avendo ormai una vaga idea di cosa l’aspettasse.

 
*

 
“Secondo voi è morto?”
“Penso di sì.”
 
Carter, chino accanto al cugino Elphias sul terriccio, guardò Holden allungare una mano per sfiorare con lo spillo il grosso ragno che i tre ragazzini avevano davanti agli occhi.
 
“Sì, è morto. Avevo ragione, ne bastano tre!”
 Holden sfoggiò un sorriso quasi soddisfatto in direzione del cugino e del gemello, che si rialzarono da terra sbuffando per aver perso la scommessa.
 
Da diverso tempo i tre si divertivano a passare il tempo libero nel boschetto vicino casa e i loro giochi preferiti prendevano tormentare gli animali considerati “schifosi” dalla maggior parte della popolazione.
Ormai infilare gli spilli nei ragni era diventata quasi una routine.
“Ho portato il sale… cerchiamo una lumaca!”
 
Elphias sorrise con aria allegra prima di allontanarsi verso gli alberi, guardando dove metteva i piedi per cercare una lumaca.
“Odio le lumache.”
Holden sfoggiò uno smorfia mentre camminava accanto al cugino, che invece sorrise appena:
“A me piacciono gli insetti… tutti dicono che sono orrendi, tua madre li detesta, ma a me non dispiacciono.”
“Sì, ma le lumache sono orribili! Se penso che c’è gente che le mangia!”
 
Carter sorrise, dando al cugino della “mammoletta” mentre qualche metro più avanti Elphias esultava, sostenendo di averne finalmente trovata una.
“Ok, chi vuole avere l’onore di immergerla nel sale?”
 
Probabilmente sua zia Faye non sarebbe stata particolarmente felice di conoscere i giochi preferiti di figli e nipote visto che prevedevano quasi sempre l’uccisione di qualche animale… ma ai tre non importava granché e continuavano a passare i pomeriggi estivi in quel modo, aspettando con ansia che Sebastian li reputasse abbastanza grandi da portarli con sé quando andava a caccia.
Di lì ad un paio d’anni sarebbero anche andati ad Hogwarts e Carter si chiedeva se il loro rapporto sarebbe cambiato una volta a scuola… i gemelli erano diventati per lui i suoi migliori amici, oltre che due fratelli, essendo cresciuti insieme.
E non moriva dalla voglia di separarsene.

 
*
 
 
“Non pensi che dovremmo dirglielo?”
“Che cosa?”
“Come che cosa? Ormai anche i muri sanno che Carter sbava per tua sorella Bennet. Ora che sa che sieste fratelli e non ti guarda più con aria assassina forse dovresti dirgli che a scuola stava con Quebec.”
“E tu come lo sai? Si sono messi insieme all’ultimo anno.”
“Sono riuscita ad estorcerlo a Rose.”
 
Erin si strinse nelle spalle mentre si spalmava la lozione solare sulle braccia, comodamente stesa su un lettino per prendere il sole accanto a Nicholas, i capelli biondi sciolti e gli occhiali da sole calati.
 
“Beh, non penso sia una buona idea. Infondo ora nessuno dei due ricorda l’altro, perché gettare carne sul fuoco senza motivo? E poi abbiamo già appurato che è meglio non rendere Carter Halon geloso, il naso mi ha fatto male per cinque giorni.”
“Oh, povero piccolo Bennet…”
“Piantala. A proposito, dov’è mia sorella?”
 
“Ha detto che sarebbe andata ad allenarsi un po’, io preferisco cercare di abbronzarmi.”
La bionda si allontanò i capelli dal viso mentre, dall’altro lato della piscina, anche Rose, Isla e November prendevano il sole e Foxtrot giocava a pallanuoto con Hooland.
 
“Ragazze, venite a giocare con noi? Non rischiate di sciogliervi lì al sole?”
“No.”
Isla sbuffò leggermente, restando sulla sdraio senza dare segno di volersi muovere. November rise, tirandosi a sedere e sfilandosi gli occhiali prima di alzarsi per tuffarsi in piscina.
 
“A te piace molto nuotare… come mai così restia?”
“Io adoro l’acqua Rosie… ma Fox fa sempre l’idiota, mi prende per i piedi e cerca di affogarmi. E poi mi prende e mi lancia a destra e a sinistra.”
“Non fare la musona, quattro giorni fa non disdegnavi la sua compagnia mentre ti teneva abbracciata, sul cavallo.”
“Solo perché avevo paura di cadere!”
 
“Certo, certo…”
“Non cercare di psicanalizzarmi Rose, qui sono io quella esperta in materia!”
 
Isla sbuffò mentre Rose invece sorrise, sistemandosi distrattamente le spalline del costume intero rosso scuro intrecciato sulla schiena.
“Come vuoi, non ne parliamo allora.”
“Grazie. Bel costume, comunque, è nuovo?”
“Oh, sì, me lo ha regalato Hool.”
 
“Oh, che strano…”
Isla rise mentre l’amica invece sorrise, lanciando un’occhiata al suddetto ragazzo mentre tra le due calava il silenzio per qualche istante. L’americana si sollevò, mettendosi leggermente più dritta sulla sdraio per poter seguire i movimenti dei tre nella piscina, che ormai non facevano altro che ridere e schizzarsi a vicenda.
 
“A cosa stai pensando? A volte mi piacerebbe poter entrare nella tua testa a mia volta Isla…”
“Aspetta e spera cara, io ho faticato parecchio per imparare. Comunque… sai, c’è una cosa che vorrei sapere, credo. Come si chiama davvero Fox?”
Rose esitò, evitando di rispondere subito mentre continuava a guardare i tre, mentre Foxtrot aveva preso di peso November per lanciarla in acqua, ridendo.
 
“Cecil. E visto che mi stai per chiedere anche questo, era un Corvonero.”
“Davvero? Me lo sarei immagino più… Grifondoro, da quello che ho sentito su quella Casa. O magari un Tassorosso come te e Hool.”
“Ora sono molto amici, ma a scuola non era così… era molto amico di November, in realtà.”
 
Isla non disse niente, limitandosi a guardare il suo Attivo mentre Rose invece sorrideva, guardando l’amica quasi con aria divertita:
“Non sono una Legilimens Isla, ma qualcosa mi dice che stai pensando a lui.”
 
“Rose, smettila. Non voglio parlarne.”
“Beh, tu con la storia di Hool sei andata avanti giorni, ora eccoti servite le conseguenze!”
 
“Mi è sembrato di sentire il mio nome… parlate di me?”
Hooland, che senza che le due se ne accorgessero era uscito dalla piscina e si era avvicinato alle loro sdraio, sorrise mentre si sedeva accanto a Rose, sporgendosi per metterle una mano sul viso e baciarla.
 
“Non proprio… oddio, ora ricominciano ad amoreggiare.”    L’americana roteò gli occhi mentre Foxtrot prendeva posto accanto a lei, scostandosi i capelli bagnati dalla fronte e sorridendole:
 
“Beh, in fin dei conti siamo stati i primi ad insistere, Isla. Stavi guardando me, prima?”
“No. Guardavo le piastrelle della piscina.”
 
La ragazza non batté ciglio, afferrando il suo libro per continuare a leggere e sforzandosi di non prestare attenzione al ragazzo che aveva davanti, cercando di non sentire i suoi pensieri.
Finì invece con l’avvampare quando Foxtrot pensò a quanto stesse bene in costume, fulminandolo con lo sguardo:
 
“La vuoi smettere?”
“Non sto facendo niente!”
“Mi stai fissando… e smettila di pensare!”
 
L’americana sbuffò prima di alzarsi e infilarsi le ciabatte per allontanarsi, tenendo il libro in una mano e gli occhiali da sole ancora addosso. Si ordinò mentalmente di smetterla di arrossire mentre Foxtrot invece la seguiva con lo sguardo, quasi confuso.
 
“Che cosa avrò mai fatto questa volta?”
“Lascia perdere Fox.”   Rose rise, ma la voglia di farlo le passò molto in fretta, quando Hooland approfittò della sua distrazione per sollevarla e avvicinarsi alla piscina con tutta l’intenzione di buttarla in acqua.
“Hool, mettimi giù, subito!”
 
“Ops…”
Hooland sfoggiò un piccolo sorriso prima di far cadere la ragazza in acqua, ridacchiando quando la Tassorosso riemerse boccheggiando e dicendogli che era un cretino, sfilandosi gli occhiali da sole per lasciarli sul bordo della piscina.
“Scusa Rosie, mani di burro… Fox, vieni in acqua?”
“Sì, arrivo.”
 
L’Attivo annuì, alzandosi dalla sdraio per raggiungere nuovamente la piscina ma senza più sorridere, continuando a pensare alla rapidità con cui Isla se n’era andata.

 
*

 
“Mi mancherai tantissimo.”
“Anche tu, ma adesso lasciami!”
Carter sbuffò leggermente, lanciando un’occhiata alla zia che però non sembrava voler accennare a scogliere l’abbraccio, continuando a stringere a sé il ragazzino.
 
“Ok… divertiti. Ma non combinare guai, specialmente con i tuoi cugini.”
Faye sorrise, accarezzandogli i capelli e guardandolo quasi con una punta d’orgoglio.
Carter annuì, rivolgendo un sorriso allo zio Sebastian prima di seguire i gemelli dentro il treno. Moriva dalla voglia di iniziare il suo percorso scolastico, aveva sentito tanto parlare di Hogwarts dai suoi zii… aveva passato le ultime settimane in attesa, ma anche se non faceva fatica ad ammetterlo i suoi zii gli sarebbero mancati molto.
 
Dopotutto erano stati loro a crescerlo, l’unica cosa che sentiva di avere in comune con suo padre era il cognome, per il resto suo zio era stato una figura molto più paterna. Non lo chiamava nemmeno più “papà” nelle rare occasioni in cui si vedevano, quando Jensen gli faceva visita circa ogni tre mesi, quando tornava in Cornovaglia dai suoi lunghi viaggi che lo costringevano all’estero come delegato.
 
Quanto a sua madre, non l’aveva mai nemmeno conosciuto, si era defilata subito dopo la sua nascita.
 
Ma Carter Halon non se ne faceva un cruccio: aveva comunque trovato la sua famiglia, stava bene anche senza di loro.


 
*
 
 
“Carter?”
Il Guardiano stava attraversando l’ingresso per andare in camera sua e farsi una doccia dopo essere andato sulla spiaggia a fare jogging, ma la voce di Alpha lo costrinse a fermarsi nel bel mezzo dell’ampia sala:
“Sì?”
“La Dottoressa ha qualcosa per Juliet… devi accompagnarla qui, stasera. Alle nove. Lei sa cosa fare.”
 
“D’accordo.”
Carter prese il foglietto che l’uomo gli porgeva, leggermente confuso: che cosa doveva fare Juliet quella sera? Era strano che mandassero solo loro due, ma Alpha non sembrava avere molta voglia di dargli spiegazioni e il Guardiano dedusse che avrebbe dovuto chiederlo direttamente a lei.
 
Infatti l’ex Auror si limitò a rivolgergli un cenno prima di defilarsi, lasciandolo solo con quel pezzo di carta in mano. Carter lesse l’indirizzo, cercando di ricordare se gli risuonasse familiare ma senza ottenere alcun risultato, così si avviò semplicemente verso le scale per andare a cercate Juliet in camera sua e chiederle spiegazioni.
 
L’Attiva, tuttavia, non era nella sua stanza e non avendola vista nemmeno in piscina Carter dedusse che probabilmente era di sotto ad allenarsi. Mentre, dieci minuti dopo, scendeva nuovamente le scale per raggiungerla dopo essersi fatto una doccia non potè fare a meno di pensare all’espressione quasi amareggiata di Alpha e si chiese che cosa dovesse fare la sua Attiva di tanto eclatante.
 
Non poteva essere niente di troppo pericoloso dopotutto, o non avrebbero mandato soltanto lei.
 
Come aveva previsto la trovò impegnata a prendere selvaggiamente a pugni il sacco di pelle da boxe che lui stesso usava molto spesso. Per qualche istante il ragazzo indugiò sulla soglia della stanza, limitandosi ad osservarla finché l’Attiva non si fermò per riprendere fiato, appoggiando una mano sul sacco e accorgendosi della sua presenza.
 
“Ciao… Non eri andato a correre?”
“Beh, sono tornato. Rabbia repressa?”
“No… cerco solo un modo per non pensare.”
 
Juliet si strinse nelle spalle e Carter le si avvicinò, porgendole la bottiglietta d’acqua che la ragazza aveva lasciato sul tavolo all’ingresso della palestra.
 
“Perché? C’è qualcosa che ti preoccupa?”
“No. Lascia stare, non voglio parlarne.”
 
Juliet scosse il capo, evitando di rispondergli mentre il Guardiano invece l’osservava, chiedendosi che cosa la turbasse.
L’Attiva, che da diversi giorni non faceva altro che pensare alle strane immagini che le capitava di vedere, alla sensazione che provava quando parlava con Nicholas o gli era vicina, a quello che era successo con Carter senza riuscire a capire come comportarsi con lui, aveva iniziato a preoccuparsi anche del comportamento vagamente insolito di Quebec.
 
Le aveva chiesto, due giorni prima, se ci fosse qualcosa tra lei e il suo Guardiano… e non era assolutamente riuscita a rispondergli negativamente, sapendo che avrebbe mentito.
Non ne era certa nemmeno lei, ma sicuramente provava qualcosa per lui… eppure c’era qualcosa che la bloccava.
 
Solitamente passava buona parte del suo tempo libero proprio con Quebec, ma da quel rapido scambio di battute lui l’aveva evitata, cercando di non restare mai da solo con lei.
In un primo momento aveva cercato di parlare con lui ma poi aveva deciso di lasciar perdere, dicendosi che infondo non avrebbe saputo come comportarsi. Perché gli interessava, infondo?
 
“Ti cercavo, Juls… Alpha mi ha detto che stasera devo portarti in un posto, ma sarai sola. Non si è dilungato in spiegazioni, sostiene che tu sappia che cosa fare. E’ così?”
 
Le parole di Carter e il suo tono quasi indagatore la riscossero da quei pensieri, portandola ad abbassare lo sguardo sul foglietto che teneva in mano.
 
“Ti ha dato solo l’indirizzo?”
“Sì, ti devo accompagnare da qualche parte.”
“A che ora?”
“Le nove.”
 
Juliet annuì, evitando di guardare il ragazzo in faccia e cercando al contempo di ignorare l’enorme nodo che le si era formato nello stomaco.
 
“Allora? Che cosa devi fare?”   Carter inarcò un sopracciglio, continuando ad osservarla mentre avrebbe solo desiderato di sparire, o in alternativa sprofondare nel pavimento della stanza.
Alpha aveva ragione, Juliet sapeva che cosa avrebbe dovuto fare… nessuno glielo aveva detto esplicitamente, ma viste le informazioni che aveva a disposizione non le risultava difficile immaginarlo.
 
Eppure, non aveva comunque il coraggio di dirlo a voce alta.
 
“Niente di importante o pericoloso, dovrai solo aspettarmi fuori. Non devi entrare, ci penso io.”
“Come? Io vengo sempre con te, devo assicurarmi che non ti succeda niente… Juls!”
 
Carter sbuffò leggermente, girando sui tacchi per seguire la ragazza che l’aveva superato e stava uscendo dalla stanza.
“Tranquillo, non mi succederà niente.”
 
Niente che già non sappia, almeno
 
La fastidiosa sensazione che sentiva aumentò nel pronunciare quelle parole, mentre Carter la costringeva a fermarsi, prendendola per un braccio:
“Juls… Andiamo. Che cosa vogliono farti fare? E’ così tremendo da non potermelo dire?”
 
Carter sorrise leggermente, forse per smorzare la tensione, ma di fronte all’espressione tetra dell’Attiva tornò immediatamente serio, guardandola con una nota quasi allarmata negli occhi chiari:
 
“E’ così?”
“Devo andare, scusami. Ci vediamo dopo.”
 
L’Attiva fece scivolare il braccio dalla presa del ragazzo per poi dargli le spalle e allontanarsi, lasciandolo ancora una volta a bocca asciutta.

 
*

 
Carter Halon non si era mai sentito affatto a suo agio quando si trovava sotto i riflettori, sotto gli occhi e la bocca di tutti. No, aveva sempre preferito restare in un angolo, nella sua rassicurante ombra, limitandosi ad osservare.
Giocava a Quidditch, come Cercatore nella squadra di Serpeverde, ma non era affatto interessato a diventare Capitano, molto probabilmente se glie l’avessero chiesto avrebbe subito declinato la proposta.
Eppure, nonostante tutto, aveva preso di buon grado la carica di Prefetto: era estremamente piacevole e soddisfacente poter andare dove voleva quando voleva, poteva persino togliere punti ai suoi stessi compagni e spesso si era divertito parecchio a farlo con chi mal sopportava.
 
La cosa che probabilmente più gli piaceva di avere quella spilla appuntata sulla divisa erano le “passeggiatine serali” che poteva fare senza alcun problema, spesso richiedeva di sua spontanea volontà persino le ronde.
Aveva sempre avuto difficoltà a dormire e in quel modo poteva almeno ammazzare il tempo girovagando per la scuola in santa pace, in perfetta solitudine e senza nessuno ad infastidirlo… praticamente non chiedeva di meglio.
 
Di tanto in tanto, quando era piccolo, quando non riusciva a dormire cominciava a girovagare come un’anima in pena per casa, morendo dalla voglia di avere qualcuno con cui parlare ma senza avere il coraggio di andare a svegliare i suoi zii.
A volte però era stata proprio Faye a trovarlo raggomitolato sul divano in piena notte e, sorridendogli, lo aveva portato a dormire con sé e il marito, abbracciandolo finché non si addormentava.
 
Crescendo invece si era limitato ad osservare i suoi cugini dormire, chiedendosi che cosa stessero sognando e cercando di immaginarlo.
 
In effetti i primi tempi ad Hogwarts erano stati strani, senza poter stare con i cugini per tutto il giorno dopo essere cresciuti insieme e condividendo tutto. Non erano tutti nella stessa Casa ma avevano scavalcato quel problema in fretta, scambiandosi le parole d’ordine per potersi fare comunque visita di tanto in tanto.
Non aveva, invece, mai notizie di suo padre… durante le vacanze estive si faceva vedere una o al massimo due volte e durante l’anno scolastico non si faceva sentire mai, eccetto forse per il suo compleanno, a Marzo.
 
Fortunatamente fin da bambino si era abituato a vederlo di rado e non ne sentiva nemmeno la mancanza, così come di sua madre: da bambino, durante le sue rare visite, a volte chiedeva al padre di sua madre ma non aveva mai ottenuto molte informazioni… e ben presto si era reso conto che ciò accadeva non tanto perché il padre non volesse parlarne ma perché nemmeno lui sapeva molto di quella donna.
Carter era riuscito a sapere che si chiamava Kelsie, che lo aveva lasciato al padre ancora in fasce prima di defilarsi e che aveva ereditato i suoi occhi verdi… per il resto, vuoto totale.
E forse nemmeno gli importava di saperne di più, infondo.

 
*


 
“Ho lasciato i piccioncini a rosolare sotto il sole scambiandosi occhiate languide, mi sentivo di troppo… tu che cosa fai?”
 
Foxtrot si avvicinò ad Isla senza smettere di sorridere, guardando la ragazza seduta su uno degli sgabelli in cucina e impegnata a leggere una lettera.
“Sto leggendo.”
L’americana non si scompose quando il ragazzo entrò nella stanza, parlando con un tono piuttosto neutro e continuando a leggere mentre l’Attivo le si avvicinava, sedendosi accanto a lei e sbirciando la lettera con leggera curiosità:
 
“E’ sempre il tuo ex?”
“No, mia madre. Come mai sei così curioso?”
“Penso solo che se ti infastidisce dovresti dirglielo… sono passati due anni, fagli capire che è finita.”
“Glie l’ho fatto capire, credimi, ma evidentemente è un po’ testardo… non fa niente, non è un problema.”
 
Isla si strinse nelle spalle, ripiegando la lettera mentre Foxtrot restava in silenzio, limitandosi a guardarla per qualche istante senza dire niente, finché lei non si voltò verso di lui, osservandolo con leggera confusione:
 
“Che cosa c’è?”
“Niente.”
“Non dici niente. E’ vagamente raro che tu non dica nulla.”
“Ti sto solo guardando.”
 
Il ragazzo piegò le labbra in un sorriso, allungando al contempo una mano per sistemarle una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. Isla non si mosse, irrigidendosi leggermente mentre teneva gli occhi castani fissi sul ragazzo, riuscendo perfettamente a sentire quello che stava pensando in quel momento.
 
E se da una parte quello che sentiva le faceva piacere, dall’altro avrebbe preferito che il ragazzo smettesse di pensare.
 
“Come mai sei scappata via, prima? Sembravi quasi arrabbiata con me.”
“Non ero… arrabbiata con te. E’ colpa mia, questa cosa della Legilimanzia si sta rivelando una specie di condanna… sento i pensieri della gente e a volte non aiuta.”
Isla sbuffò, distogliendo lo sguardo da quello del ragazzo mentre questi si accigliava leggermente, guardandola come se non capisse le sue parole:
 
“Non credo di aver pensato niente di sgradevole su di te.”
“Lo so.”
“Ti sei imbarazzata perché pensavo stessi bene in costume? Oh Isla, sei quasi tenera…”
 
Foxtrot rise, guardandola sbuffare e arrossire nuovamente, borbottando che non era per niente tenera.
 
“Beh, mi dispiace, ma non posso cambiare quello che penso. E neanche quello che provo, in effetti.”
Il sorriso di Foxtrot non vacillò, mentre al contrario la sua Guardiana moriva dalla voglia di scivolare da quello sgabello e fuggire il più lontano possibile, lontano da lui, dai suoi magnetici occhi castani e dalla mano che le stava sfiorando il viso.
 
Eppure non riusciva a muoversi, e quando Foxtrot la costrinse a guardarlo sollevandole il mento si rese conto di non riuscire neanche a distogliere lo sguardo.
 
Maledetto Foxtrot
 
 
Il ragazzo sorrise prima di avvicinarlesi e baciarla, lasciandola di stucco per un attimo… ma poi la Guardiana si ridestò, prendendogli il viso tra le mani e rispondendo al bacio.
O almeno prima di recuperare un po’ di lucidità e allontanarsi di qualche centimetro, scuotendo debolmente il capo:
 
“Fox… non credo sia il caso.”
“Ti ho mai detto che adoro il modo in cui pronunci il mio nome con l’accento da yankee?”
 
Probabilmente, se lui non l’avesse baciata nuovamente, Isla gli avrebbe detto di non chiamarla in quel modo, ma il ragazzo la zittì con le sue stesse labbra, avvolgendo le braccia intorno a lei per stringerla a sé per qualche istante, finché l’americana non si staccò nuovamente:
 
“E’ sbagliato.”
“Perché?”   L’Attivo sospirò, guardandola con leggera esasperazione:
 
“Beh, io sono la tua Guardiana, non penso che sia appropriato…”
“E chi se ne frega.”
 
Foxtrot sbuffò prima di annullare nuovamente la breve distanza che li separava per baciarla.
 
“Dico sul serio! Non so nemmeno se è… permesso! Mi stai ascoltando almeno?”
“No.”    Foxtrot sorrise appena, guardandola sbuffare con leggero divertimento mentre le accarezzava lo zigomo con un dito:
“Beh, per una volta forse dovresti.”
“Tu invece dovresti proprio stare zitta, passerotto.”
 
Foxtrot appoggiò le labbra sulle sue per la quarta volta e Isla, avendo finito le obiezioni, decise di dargli retta e di lasciarlo fare.
Ma sì, alle conseguenze ci avrebbe pensato dopo
 
 
Erin LaFont, tuttavia, non reagì alla scena con lo stesso entusiasmo dei due, fermandosi sulla soglia della cucina sospirando con esasperazione:
 

“Capisco tutto, ma siete la seconda coppietta che trovo in cucina a sbaciucchiarsi nel giro di tre giorni… Questa Casa presto diventerà la scenografia di un film hard per caso? Prendetevi una stanza, qui ci mangiamo!”
 
 
*
 
 
“Come hai detto che si chiama?”
“Dollhouse.”
“Sei sicuro Carter? Insomma, è davvero una buona scelta?”
 
“Zia… Holden sta studiando per diventare un Medimago ed Elphias aiuta te al negozio preparando le pozioni. Hanno trovato la loro strada, io ancora no. Ma voglio trovarla e smetterla di essere un peso per voi, va così da 22 anni.”
 
“Non essere ridicolo, Carter.”  Il tono e l’espressione della donna s’indurirono leggermente, guardando il nipote quasi con una punta di irritazione:
“Non sei mai stato un peso per me e Sebastian… Tuo padre ci ha chiesto di prenderci cura di te e lo abbiamo fatto con piacere, sei a tutti gli effetti il mio terzo figlio.”
 
“Lo so… e non vi ringrazierò mai abbastanza per come vi siete presi cura di me, non mi avete mai fatto sentire di troppo… ma credo che sia arrivato, per me, il momento di volare via. Voglio trovare la mia strada, zia, e non sono mai riuscito ad immaginarmi a lavorare dietro una scrivania al Ministero, né tantomeno come Medimago come Holden. Posso provare, no?”
“Va bene, dopotutto ormai sei adulto. Ma se è qualcosa di losco voglio che ti tiri fuori, capito? Non mi interessa se la paga è esorbitante!”
 
“Zia, non sono più il bambino che correva nel bosco con i gemelli uccidendo ragni, lumache e serpenti! E nemmeno il ragazzino che seguiva lo zio Bas a caccia.”
“Non ne sono tanto sicura, a dire il vero.”
 

*


 
“Non indovinerai mai che cosa ho visto nel pomeriggio, te lo avrei detto prima ma ero andata ad allenarmi un po’… Isla e Foxtrot si slinguazzavano allegramente in cucina, comincio a pensare che sia diventata la stanza ufficiale dove gli idioti ottusi danno finalmente sfogo ai loro sentimenti… Va tutto bene?”
 
Erin si fermò sulla soglia della stanza di Juliet, posando gli occhi sull’amica e smettendo immediatamente sia di sorridere che di parlare.
L’Attiva annuì, evitando di guardarla in faccia mentre la bionda la scrutava attentamente.
 
“Juls… Perché sei vestita così?”
“Tra poco devo uscire.”
 
Erin lasciò la porta socchiusa, avvicinandosi all’amica per sedersi sul letto accanto a lei. Gli occhi della Guardiana scivolarono dai tacchi alti che Juliet indossava al vestito blu notte piuttosto corto dalle maniche lunghe e aderenti che le lasciava la schiena completamente scoperta.
Erin LaFont non era una ragazza stupida… non aveva sentito di nessuna operazione per quella sera, eppure la sua amica stava per uscire, da sola. E con quei vestiti, la Serpeverde non ebbe modo di nutrire molti dubbi:
 
“Juls…”
La bionda sospirò, allungando un braccio per cingere le spalle dell’amica, che sollevò lo sguardo dal pavimento per posare gli occhi verdi e lucidi su di lei.
 
“Mi dispiace. Carter cosa ha detto?”
“Non so se l’ha intuito.”
“Questo perché, come dico sempre, gli uomini sono dei perfetti imbecilli ottusi… Coraggio tesoro, fatti forza. Andrà tutto bene.”
 
Juliet l’abbracciò, scuotendo leggermente il capo e mormorando che non voleva farlo.
 
“Lo so, ma disgraziatamente non siamo noi a decidere da queste parti. Vieni, ti accompagno di sotto.”
 
Erin, presa l’amica per mano, la costrinse ad alzarsi dal letto per poi seguirla fuori dalla sua camera, sistemandole poi la matita nera leggermente sbavata:
 
“Aspetta, il trucco… Non piangere, altrimenti cola.”
“Magari in questo modo vedendomi cambierà idea e non mi vorrà, chissà.”
 
Juliet si sforzò di sorridere e l’amica ricambiò, accompagnandola lungo il corridoio verso le scale.
“Uscite?”
“Juliet.”
 
Erin rivolse un cenno in direzione dell’amica alla domanda di Quebec, che scrutò la collega per un attimo:
“Vai da sola?”
“Già. Ci vediamo domani Quebec.”
 
Juliet sorrise debolmente al ragazzo prima di superarlo, non avendo alcuna intenzione di fermarsi in chiacchiere con nessuno: in fin dei conti prima sarebbe arrivata e prima sarebbe potuta tornare lì, no?
 
Erin, pregando che Nicholas non le incrociasse, condusse l’amica verso le scale, salutandola prima di scendere: sicuramente il ragazzo avrebbe cominciato a sputare fuoco e sarebbe andato dalla DeWitt per ucciderla se avesse saputo… forse era meglio evitare scenate.
Anche se, come la ragazza immaginava, Quebec la bloccò solo qualche momento dopo con aria per nulla serena, tempestandola di domande:
 
“Dove deve andare? Perché avevate quelle facce? Perché aveva gli occhi lucidi? Perché era vestita in quel modo?”
“Oddio… Quebec, sta’ zitto e fammi parlare se proprio ci tieni a saperlo… anche se forse sarebbe meglio evitare. Ma non dire una sola parola a Nicholas!”
 
 

 
Nel frattempo, al piano terra, Carter si era seduto su uno dei divanetti posti nell’ingresso mentre aspettava che Juliet arrivasse, rigirandosi tra le dita le chiavi dell’auto mentre continuava a chiedersi che cosa dovesse fare la sua Attiva.
In effetti si era infilato nella fodera sia la bacchetta che una pistola, proprio perché non sapeva a cosa stesse andando incontro.
 
Sentendo i passi sulle scale il Guardiano si voltò, aprendo la bocca per chiedere a Juliet se fosse pronta… ma le parole gli morirono in gola nel vederla e non disse nulla.
 
“Possiamo andare, se vuoi.”
Juliet, camminando su quelli che il ragazzo etichettò mentalmente come “trampoli”, si fermò davanti a lui e parlò con un tono piatto, guardandolo inespressivamente. Il Guardiano esitò ma poi annuì, alzandosi lentamente dal divano senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso – inorriditi, mentre qualcosa di spiacevole prendeva forma nella sua testa – o a parlare.
 
La ragazza, che non sembrava avere molta voglia di parlarne, si affrettò a superarlo per uscire dalla porta d’ingresso e Carter, guardandola con quel vestito troppo corto e la schiena completamente scoperta, si ritrovò ad odiare sinceramente Cecily DeWitt e il suo lavoro per la prima volta da quando era nella Dollhouse.
 
*

 
“Ti presento Juliet… Juls, lui è Carter Halon.”
 
Carter posò gli occhi chiari su quella che, si ritrovò a pensare, era una delle ragazze più belle che avesse mai visto. Si diede immediatamente dell’idiota per averlo pensato, ricordandosi che era solo una ragazzina di 18 anni e che avrebbe dovuto proteggerla. La ragazza – Juliet, da quel che aveva capito – ricambiò il suo sguardo senza dire nulla, osservandolo quasi con diffidenza.
 
“Ciao.”
“Ciao Juliet… piacere di conoscerti.”
 
Juliet era una ragazza piuttosto diffidente, non ci aveva messo molto a capirlo… in compenso, ci aveva messo ben di più per avvicinarla.
Ma, dopo cinque mesi, Carter Halon poteva affermare che la ragazza gli piaceva. Era sveglia, ironica, intelligente e curiosa.
 
Era comodamente steso sul suo letto, impegnato a leggere finché la porta della sua stanza non si aprì e Juliet entrò sorridendo, andando a sedersi accanto a lui:
 
“Dov’eri ieri sera?”
“Ciao anche a te Juls… Io sto bene, come va?”
“Oh, smettila! Andiamo, dove ti eri cacciato?”
“So che quando non ci sono ti manco tremendamente Juliet, ma sono affari miei.”
 
La ragazza gli prese il libro dalle mani, sorridendo quasi con aria divertita:
 
“Andiamo… Non c’è molto gossip di cui discutere da queste parti, ne approfitto. Eri con una ragazza? Alpha ha detto che ti eri preso una serata libera.”
“Sì, l’ho fatto. Ma no, non ero con una ragazza. Ridammi il libro!”
Carter sbuffò, mettendosi seduto sul letto per sporgersi e prendere il libro; Juliet invece sorrise, ritraendosi leggermente per non lasciare che lo riprendesse:
 
“E allora che fine avevi fatto, Mr Occhiaie?”
“Ora mi dai anche i soprannomi? Ho già il mio nome in codice per le operazioni Juliet.”
“I miei soprannomi sono molto meglio… coraggio, dimmi dov’eri! Non siamo amici?”
 
Carter sospirò, quasi pentendosi di essere entrato tanto in confidenza con lei prima di annuire leggermente, cedendo:
“Sono andato a trovare la mia famiglia.”
“Non parli mai della tua famiglia… Hai fratelli?”
 
Era vero, non parlava mai della sua famiglia… aveva sempre odiato domande di quel tipo ma, nonostante i suoi sforzi, con lei non riusciva mai a tergiversare o arrabbiarsi:
 
“Diciamo di sì.”
“Diciamo di sì non è una risposta! Parlami di loro. Dev’essere bello avere qualcuno da cui tornare, di tanto in tanto.”
 
Juliet sorrise quasi con una nota malinconica negli occhi chiari e, a quelle parole, Carter non riuscì a non accontentarla, stendendosi sul letto accanto a lei per raccontarle brevemente della sua famiglia e della sua vita al di fuori della Dollhouse, per la quale la ragazza sembrava nutrire una discreta curiosità.
 
Forse la sua non era mai stata una famiglia molto convenzionale, ma parlando con lei, quella sera, si rese conto che almeno ne aveva una da cui tornare.

Lì dentro molti non potevano dire la stessa cosa.
 

*

 
Nessuno dei due aveva proferito parola da quando erano usciti dalla Casa e saliti in auto. Carter guidava tenendo gli occhi chiari fissi davanti a sé, stringendo il volante con tanta veemenza da bloccare momentaneamente la circolazione sanguigna e sbiancare così le nocche.
 
Juliet invece teneva le braccia conserte, la fronte appoggiata al finestrino mentre cercava di non pensare a niente. O almeno, non a quello che sarebbe successo di lì a poco.
Voleva arrivare, voleva che quella serata finisse in fretta… ma allo stesso tempo aveva quasi il terrore di scendere dalla macchina.
 
Carter lanciò un’occhiata alla ragazza con la coda dell’occhio, serrando la mascella mentre continuava a pensare al verme schifoso da cui la stava portando e alla DeWitt, al modo rivoltante in cui vendeva le sue stesse “creature”.
 
E la stava odiando anche perché stava costringendo proprio LUI a portarla nella tana del lupo.
Per non parlare, poi, del fatto che avrebbe dovuto aspettare chiuso in quella macchina, costretto ad immaginare tutto… non l’avrebbe sopportato.
 
Carter Halon respirò profondamente, dicendosi di non pensarci ma senza ottenere grandi risultati, capendo che non sarebbe riuscito a passare oltre. Vedeva Cecily costringere Juliet a fare le cose più disparate da due anni, quasi sempre illegali, ma quello era diverso, quello superava tutti i limiti… se pensava che l’avrebbe accompagnata a vendersi, si sbagliava di grosso.
 
“Fanculo.”
Il borbottio del ragazzo non passò inosservato alle orecchie di Juliet, che si voltò verso di lui mentre il Guardiano, imprecando a mezza voce, inchiodava bruscamente per poi fare un’inversione a U con l’auto.
 
“Carter… Cosa stai facendo?”
“Sai che ti dico Juls? Fanculo. Io non ti ci porto. Questo è troppo, non te lo lascerò fare.”
 
Carter scosse il capo, tenendo gli occhi chiari fissi davanti a sé mentre accanto a lui Juliet sospirava, allungando una mano per sfiorargli il braccio:
 
“Carter, devi portarmi lì. Lo devo fare!”
“No, non devi. Sei una persona Juliet, non un animale da vendere all’asta come ha fatto lei. Non ti ci porto lì, te lo puoi scordare.”
 
“Carter, la DeWitt lo saprà tra meno di mezz’ora e finiremo entrambi nei guai. Ti prego, lascia stare…”
“Con la DeWitt ci parlo io.”
 
Il tono duro e quasi freddo del ragazzo le fecero capire che non avrebbe cambiato idea, costringendola a sospirare mentre si abbandonava contro il sedile di pelle, maledicendo Carter, la DeWitt per non aver mai insegnato ai suoi Attivi a Smaterializzarsi e anche se stessa, perché infondo era felice di quello che stava succedendo. Era felice che Carter non la stesse portando in quella casa, ma allo stesso tempo sapeva che entrambi avrebbero passato dei guai, specialmente lui.
 
E a nessuno piaceva avere a che fare con una Cecily DeWitt contrariata.
 
“Carter… potrebbe licenziarti. Non voglio che tu te ne vada.”
“Lascia perdere Juliet, non cambio idea.”
“Bene, quindi che vuoi fare? Tornare a casa e prendere il toro per le corna, affrontando la Dottoressa?”
 
“No.”
“No?”     Juliet inarcò un sopracciglio, guardandolo con sincera confusione. Carter, che aveva allentato la presa sul volante e sembrava più rilassato rispetto a pochi minuti prima, si voltò verso di lei e le rivolse un piccolo sorriso:
 
“Non torniamo a casa, non subito. Dove vorresti andare?”
 
Era sbagliato, lo sapeva. Lei non doveva andare da nessuna parte con lui, doveva semplicemente fare quello che le era stato detto, come sempre. Anche se questo significava giocare alla escort.
Eppure, anche se di certo li avrebbe aspettati una sfuriata, era comunque felice.
 
E rispose a quella domanda quasi senza pensarci:
 
“Voglio vedere l’oceano.”
 
 
Circa venti minuti dopo Juliet era effettivamente seduta sulla sabbia, i piedi nudi immersi dentro quella sottile polvere dorata e una giacca che Carter aveva fatto comparire addosso.
 
Teneva gli occhi chiari fissi sulle onde che s’infrangevano sulla riva mentre un leggero venticello le accarezzava la pelle e i capelli scuri.
Non sapeva perché, ma l’oceano le piaceva moltissimo… spesso, nel tempo libero, si fermava sulla spiaggia sul retro della villa per guardare l’acqua, che le trasmetteva un enorme senso di pace.
 
Non molto tempo prima Nicholas l’aveva portata proprio su una spiaggia, in effetti… ma aveva ricordi confusi di quella sera, si era ritrovata nel suo letto senza sapere come e poi, uscita dalla camera, aveva trovato Nicholas e il suo stesso Guardiano impegnati a darsele di santa ragione.
 
Sentì dei passi alle sue spalle e un attimo dopo Carter si era seduto sulla sabbia accanto a lei, osservando a sua volta l’acqua mentre teneva le braccia appoggiate sulle ginocchia.
Rimasero così, in perfetto silenzio, finché Juliet non si voltò verso di lui, sorridendogli debolmente:
 
“Grazie.”
“Non mi devi ringraziare… ho molti difetti, ma non ho perso la mia integrità morale. Non può davvero costringerti a fare sesso con qualcuno.”
“Non lo so Carter, forse infondo può. Ma grazie per non avermelo lasciato fare.”
 
“Non sarei mai riuscito a portarti in quel posto.”
Carter scosse leggermente il capo, estraendo dalla tasca dei pantaloni il foglietto dove Cecily aveva annotato l’indirizzo del cliente per ridurlo in numerosi frammenti davanti agli occhi dell’Attiva, che sorrise appena prima di appoggiare la testa sulla spalla del ragazzo.
 
Lo so. Sai, credo che tu abbia davvero un grande cuore infondo, solo che tu stesso fatichi a vederlo.”
 
“Ti prego, non cominciare con i discorsi sentimentali… sei la mia Juliet, non sarei mai potuto rimanere chiuso in macchina immaginando tutto.”
 
A quelle parole Juliet sollevò leggermente il capo per poterlo guardare in faccia, mentre il Guardiano le accarezzava distrattamente la schiena con una mano e teneva gli occhi fissi davanti a sé, osservando l’oceano.
 
Guardandolo l’Attiva ripensò a come si era comportata con lui proprio la sera in cui Nicholas l’aveva portata su una spiaggia, la stessa sera in cui i due si erano picchiati.
Non sapeva se aveva sbagliato o meno a rifiutarlo, ma di certo lo aveva fatto soffrire e poi lo aveva accuratamente evitato per giorni. Non ne avevano mai più parlato e lui sembrava aver deciso di rispettare la sua scelta, evitando di tirare in ballo l’argomento.
 
Non sapeva di preciso che cosa l’avesse frenata, quella sera, ma sapeva di averlo fatto soffrire e non era giusto nei suoi confronti, così come sapeva di provare qualcosa per il ragazzo che le stava accanto.
 
E anche se da qualche tempo non faceva altro che rimuginare, in quel momento Juliet scelse semplicemente di buttarsi: senza dire niente gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla per un istante prima di sporgersi e baciarlo.
Dal canto suo, Carter inizialmente rimase come pietrificato, stupito da quel gesto… dopotutto l’ultima volta era stato lui a baciarla e lei a respingerlo.
Ma non aveva nessuna intenzione di sprecare quel momento e ben presto la strinse a sé, immergendo una mano tra i suoi capelli. Non sapeva che cosa l’avesse spinta a cambiare idea rispetto a poco più di una settimana prima, ma forse doveva solo godersi quel contatto che aveva tanto agognato e non fare domande.







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Angolo Autrice:

Gli zii di Carter si chiamano Faye e Sebastian... a nessuno viene in mente niente? XD 
Comunque sia... beh, direi che ormai il campo di scelta è molto ristretto: Echo o Erin?

A presto, buonanotte!
Signorina Granger 

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Capitolo 16
*** Erin Estelle LaFont ***


Capitolo 14: Erin Estelle LaFont
 
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La risata spontanea, sincera e cristallina di una bambina riempiva il cortile illuminato dal Sole e cosparso di fiori, mentre una piccola figura dai capelli biondi trotterellava in mezzo ad essi con un leggerissimo abitino bianco addosso.
 
“Dove pensi di andare?”
Sentendo, alle sue spalle, la voce del padre la risata della bambina echeggiò nuovamente, correndo sul prato a piedi nudi e con i capelli chiari che scintillavano sotto alla luce naturale, rendendola impossibile da non notare in mezzo ai fiori colorati.
 
Charles LaFont sorrise mentre “inseguiva” la figlia di quattro anni, quasi camminando invece di correre per far finta di non riuscire a prenderla.
Erin, che stava continuando a sgambettare in mezzo al prato, si lasciò sfuggire un piccolo urletto quando sentì due mani afferrarla per la vita e sollevarla, ritrovandosi poco dopo a ridacchiare mentre il padre, sorridendole, se la sistemava in braccio facendole il solletico.
 
“Ti ho presa, piccoletta.”
Charles sorrise alla sua unica figlia, lasciandole un bacio sulla fronte prima di girare sui tacchi e avvicinarsi nuovamente alla casa.
 
“Non voglio tornare dentro… voglio giocare con te.”
“Cucciola, tra poco è ora di pranzo…non hai fame? E poi papà deve tornare al lavoro.”
 
Sentì la bambina sbuffare leggermente, nascondendo il visino nell’incavo del suo collo mentre camminava per tornare dentro casa, evitando di dirle che avrebbe preferito a sua volta restare in giardino, giocando e ridendo con lei.
 
*
 
“DOVE DIAMINE SONO FINITI? Hai chiamato Carter?”
“Ci ho provato, non sono riuscito a mettermi in contatto con lui. Cecily, forse dovresti mandare qualcuno a cercarli, può essere che abbiano avuto un qualche incidente, dopotutto.”
 
“No. Nessun’altro uscirà di qui stasera. Pensaci tu, IO devo andare a placare e a scusarmi con il cliente… ma saprò come sono andate le cose stasera, Alpha, e ti assicuro che nel caso qualcuno pagherà per avermi costretta a fare una cosa che odio tremendamente: scusarmi e strisciare.”
Cecily sbuffò e, con un cenno, fece intendere ad Alpha di essere stato congedato.
Ma l’uomo non si mosse, rimase in piedi e con gli occhi chiari fissi su di lei, ripensando al modo in cui lo aveva costretto a tornare alla Casa, lasciando Diana a casa.
 
“Ho una figlia di quattro anni Cecily. Non può occuparsene qualcun altro?”
 
“Carter Halon e Juliet fanno parte della TUA squadra. E’ affare TUO. Quindi te ne occupi TU.”
 
Il tono di Cecily fece intendere che non avrebbe ammesso repliche sulla questione e Alpha, trattenendosi dal ribattere pesantemente, si vide costretto a girare sui tacchi e uscire dalla stanza, serrando i pugni con irritazione crescente.
 
 
Ma tu guarda che cosa devo fare per te, Mel
 
 
Attraversando il corridoio l’ex Auror finì con l’incontrare Erin, ferma in un angolo ad aspettare. Quando lo vide inarcò un sopracciglio, rivolgendogli un’occhiata quasi scettica:
 
“Allora? Novità?”
“Pare che Juliet non sia mai arrivata a destinazione… Non ci resta che scoprire che fine hanno fatto lei e Carter. Ti ha accennato qualcosa sul non volerlo fare?”
 
“No, certo che no, saltellava di gioia all’idea di prostituirsi.”
 
La bionda gli rivolse un’occhiata quasi carica di disgusto, facendolo sbuffare mentre la prendeva per un braccio, costringendola a camminare e sibilando qualcosa a mezza voce:
 
“Non è stata una mia idea… non piace neanche a me. E’ una barbarie, certo, ma sai come funziona.”
“Certo. La DeWitt dice “salta” e loro devono rispondere “quanto in alto?”.  Ma non credo che sia stata un’idea di Juliet, se non hanno avuto incidenti e hanno cambiato direzione di proposito… Sono “Doll”, sono appositamente programmati per fare quello che gli si dice… perché ribellarsi?”
 
“Può succedere, a volte.”
“Ti riferisci a Viktor? Ne ho sentito parlare. E’ quello che avete dovuto sopprimere perché’ ha quasi ucciso il suo supervisore?”
 
Erin si rivolse ad Alpha con il tono carico di curiosità, desiderosa di vederci più chiari in quella storia che aveva sentito di sfuggita molte volte da quando era arrivata alla Dollhouse, senza però mai saperne i particolari.
“Aveva iniziato a dare di matto… il suo cervello era andato, non era più gestibile. Vedendolo, ho realizzato per la prima volta che c’è una falla in questo sistema. Che il lavoro della Dottoressa non è poi così perfetto.”
 
“E la cosa ti rende felice?”
“Forse. Ora, invece di chiacchierare, sveglia Hooland, o comunque trovalo. Dobbiamo rintracciare la macchina che hanno usato Carter e Juliet.”
 
“Penso che sia stata una sua idea. Di Carter, intendo… è innamorato di lei.”
 
Il mormorio di Erin costrinse Alpha a fermarsi, voltandosi per guardarla in faccia quasi come a volersi accertare che stesse dicendo il vero:
 
“Ne sei sicura?”
“Assolutamente… E forse non è poi un bene, innamorarsi del proprio Attivo, dico bene?”
“Ovviamente no. Coraggio, troviamoli in fretta… più tempo passa, meno la DeWitt sarà contenta.”
 
Erin annuì e si affrettò a seguirlo per fare quello che le aveva detto, trovare Hooland… anche se, infondo, non riuscì a non sorridere, felice per come erano andate le cose alla sua amica quella sera.
 
*
 
“Papà?”
“Che cosa c’è, principessa?”
 
Erin LaFont, appoggiata ai cuscini del suo grande letto a baldacchino, teneva gli occhi chiari fissi su suo padre mentre questi le rimboccava le coperte, sorridendole con affetto.
 
“Perché tu e la mamma non vi sorridete mai? E non vi date gli abbracci?”
Il sorriso svanì immediatamente dal volto del mago, che però allungò una mano per sfiorare i capelli chiari della figlia, cercando un modo per rispondere a quella domanda… come poteva spiegarlo ad una bambina di otto anni?
 
Infondo, però, aveva sempre saputo che prima o poi la figlia si sarebbe accorta del profondo distacco che c’era tra lui e la moglie… chiunque se ne sarebbe accorto, prima o poi.
 
“Beh… Tu perché mi dai gli abbracci?”
“Perché ti voglio bene.”
“E anche io ti voglio bene… Ma io e la mamma forse ce ne vogliamo un po’ meno.”
“Perché?”
 
                         “Vedi… a volte le persone si sposano perché si vogliono bene. Altre volte si sposano per motivi diversi. Ma sono felice di aver sposato la mamma, principessa, perché altrimenti non avrei una bellissima bambina. Forse io e la mamma non ci amiamo poi molto, ma amiamo comunque te.”
 
Charles sorrise, sporgendosi per darle un bacio su una guancia mentre la bambina restava in silenzio, continuando a guardarlo tenendo la sua bambola di pezza sottobraccio come se stesse cercando di elaborare quello che le aveva detto.
 
“Quindi anche io, se mi sposerò, non sorriderò e non darò abbracci?”
“Spero tanto di no, Erin… Faremo in modo che non accada, ok?”
 
La bambina annuì con aria lugubre e quando il padre le chiese se volesse che dormisse con lei acconsentì senza esitare nemmeno per un attimo, lasciando che l’uomo si stendesse accanto a lei per abbracciarla.
 
E prima di addormentarsi, quella sera, Erin LaFont si ripromise di non trovarsi mai intrappolata in un matrimonio senza il minimo affetto come quello dei suoi genitori.
 
*
 
“Hool? Ehy?”
“Mh?”
 
Hooland Magnus aprì pigramente un occhio, cercando di mettere a fuoco la figura che lo aveva svegliato in mezzo al buio della sua camera.
Quando si rese conto di chi si trattasse distese le labbra in un sorriso, allungando un braccio per afferrare la sua mano:
 
“Ah, ciao… visto che sei tu ti perdono per avermi svegliato. Però voglio le coccole.”
 
Fece per attirare a sé Rose con uno strattone ma la ragazza, sbuffando, fece leva sul suo stesso braccio per restare in piedi, guardandolo con leggera esasperazione:
 
“Hool… Ti devi alzare. Davvero, Alpha ha chiesto di te.”
“Che cosa vuole a quest’ora?”
“Non lo so, ma Erin mi ha detto di svegliarti… coraggio, alzati.”
 
“Va bene…”
 
Hooland, sbuffando, si scostò le coperte di dosso e si mise a sedere sul letto mentre Rose, rendendosi conto che il ragazzo non indossava il pigiama ma solo i boxer, arrossiva violentemente per poi squittire che lo avrebbe aspettato fuori dalla porta.
 
L’ultima cosa che la ragazza sentì fu la risata di Hooland, insieme ad un borbottio che suonò molto come “pudica”.
 
 
“Perché sei viola?”
“Niente… L’ho svegliato, comunque.”
 
Rose si strinse nelle spalle mentre Erin, in piedi davanti a lei e appoggiata alla porta chiusa della camera di Whiskey, la guardava con fronte corrugata per un attimo prima di sorridere leggermente, guardandola con aria divertita:
 
“Fammi indovinare… era in mutande.”
“Erin, preferirei evitare questa conversazione.”
“Oh, andiamo Rose, prima te lo slinguazzi senza ritegno in cucina e poi fai la pudica?”
 
“ERIN!”
“Dico solo quello che penso. E quello che ho VISTO. In genere non sono una grande fan delle coppiette innamorate, ma credo di essere felice per voi… Sono del parere che in genere non durino, ma credo che voi due vi amiate sul serio.”
 
La bionda si strinse nelle spalle e Rose sfoggiò un piccolo sorriso, rilassandosi leggermente sentendo quelle parole:
“Davvero? Grazie.”
 
“Sì, insomma, era piuttosto chiaro quando ti ha regalato un completino intimo di pizzo, il messaggio subliminale “te lo regalo perché poi mi piacerebbe togliertelo” era lampante…”
 
ERIN! Io vado di sotto...”
 
Con un piccolo sbuffo Rose girò sui tacchi per allontanarsi e raggiungere le scale, lasciando Erin sola e intenta a ridacchiare leggermente.
Stava aspettando che Hooland uscisse dalla sua camera quando la Guardiana venne raggiunta da un altro collega, visibilmente preoccupato:
 
“Erin… che succede? Dov’è mia sorella?”
“Ciao Bennet… Non lo sappiamo, dobbiamo rintracciare l’auto. Ma non preoccuparti, sono sicura che sta benissimo.”
“Ho sentito che è stata mandata da qualche parte da sola con Carter… perché solo lei? E perché non è arrivata a destinazione?”
 
“Bennet… non dare in escandescenza, ok? Diciamo che Carter ha avuto la brillante idea di cambiare rotta… ma non gli si può dar torto, vista la situazione.”
“Perché? Cosa doveva fare? Qualcosa di così pericoloso?”
 
“Non proprio… diciamo che doveva… passare la serata con uno dei clienti della DeWitt.”
 
La bionda vide il ragazzo sgranare gli occhi chiari con sincero orrore, prima che questi cedette il posto alla rabbia:
 
Cosa? Siamo scesi a questo punto? Non ho mai apprezzato Carter Halon come in questo momento, penso.”
Erin fece per replicare ma s’interruppe quando la porta davanti a loro si aprì e Hooland uscì dalla sua camera borbottando che non si riusciva più nemmeno a dormire in pace in quella Casa.
 
“Scusa Magnus, piccola emergenza… Alpha ti aspetta di sotto. Coraggio, andiamo e troviamo Juliet in fretta, o la DeWitt comincerà a sputare fuoco!”
 
La bionda prese i due ragazzi sottobraccio per trascinarli con sé al piano terra, mentre Hooland annuiva distrattamente, parlando con un tono vago:
 
“In effetti me la vedo molto chiaramente trasformarsi in un drago terrificante come Malefica…”
 
“Non so di che parli Magnus, ma presumo sia una cosa Babbana.”
 
*
 
Erin LaFont era sempre stata, fin dal primo momento, ben felice di essere stata Smistata a Serpeverde. Non le sarebbe piaciuto affatto essere etichettata come “secchiona” finendo tra i Corvonero, o “pallone gonfiato” tra i Grifondoro.
No, era ben felice della sua Casa… anche se forse era il più grande concentrato di malelingue di tutto il castello, anche nei suoi confronti.
Sapeva di non essere particolarmente simpatica o loquace, in effetti era molto selettiva con le sue amicizie ed era perfettamente consapevole di essere spesso molto acida e sarcastica.
 
Aveva un lato più gentile, affettuoso, ma questo si manifestava di rado, solo con le poche persone alle quali riusciva ad affezionarsi davvero.
E tra questi, di certo, non rientravano i ragazzi che le sorridevano quando passava, forse più interessati alle sue lunghe gambe esili che a lei.
 
Qualche relazione l’aveva avuta, in realtà, ma non era mai durate a lungo e sempre per scelta sua: con il tempo, forse perché cresciuta con una coppia come i suoi genitori, si era lentamente convinta di non volersi mai trovare intrappolata in una relazione o in un matrimonio come il loro.
Era diventata piuttosto scettica rispetto al tanto decantato “grande amore” e aveva preso la ferma abitudine di essere, in una relazione, la prima a stroncarla, sempre.
 
Infondo non si era mai affezionata realmente a nessuno di loro, ormai quasi pensava che non si sarebbe mai innamorata.
 
Erin, quando attraversava un corridoio o entrava in aula, sentiva distintamente i mormorii che seguivano il suo passaggio… non sapeva se a parlare fosse l’invidia che alcune compagne nutrivano verso di lei e il suo bell’aspetto, probabilmente in parte era così, ma essere etichettata con certe parole a volte faceva quasi male.
 
Quasi, poi si ripeteva di non darci peso e di continuare dritta per la sua strada, tenere la testa alta e continuare ad essere se stessa, sempre.
Anche quando si sentiva chiamare “sgualdrina”, forse a causa del suo aspetto provocante o per le parole che alcuni ragazzi sibilavano alle sue spalle dopo essere stati rifiutati da lei.
 
Lo era davvero?
Infondo non aveva avuto chissà quante storie, alla fin fine… ma forse doveva solo lasciarli fare.
Fece per tirare la stoffa della gonna che, a causa della sua altezza, le lasciava scoperta una bella porzione di gambe… ma poi si bloccò e non lo fece, dicendosi che quello che dicevano non aveva importanza e non doveva lasciarcisi influenzare.
 
Dicevano che era una sgualdrina? Bene, allora ai loro occhi lo sarebbe stata.
 
*
 
“Non avrei dovuto lasciarmi convincere. E’ stato stupido e avventato.”
“Juls, andrà tutto bene.”
 
“No invece! Ci ucciderà, di sicuro a quest’ora lo saprà già e quando torneremo alla Casa sarà lì ad aspettarci con una forca in mano.”
“Che immagine pittoresca…”
“Dico sul serio! E’ stata una pessima idea, avrei dovuto farlo.”
 
“No, invece, è stata una delle idee migliori che io abbia mai avuto da quando lavoro per lei.”
 
Carter sorrise, apparentemente rilassato mentre guidava e Juliet, seduta accanto a lui sul sedile del passeggero, sbuffava scuotendo leggermente il capo, borbottando che avesse perso la testa.
 
“Juls, avresti anche potuto non lasciarti convincere così in fretta, ma IO di sicuro non avrei cambiato idea in ogni caso. Rilassati, non ti succederà niente, se la prenderà con me.”
“E’ questo il punto, non voglio che tu te ne vada.”
 
Juliet sospirò, continuando a chiedersi se la Dottoressa avrebbe davvero licenziato Carter… conoscendola non era da escludere, ma lei sicuramente non voleva perderlo.
 
Carter invece le sorrise come se non si fosse pentito neanche un po’ della sua scelta, ripensando con gioia al bacio mozzafiato che si erano scambiati in riva al mare.
 
“Non succederà, nemmeno io voglio andarmene… non voglio perderti.”
 
“Perché continui a sorridere, mi dai i nervi! Possibile che tu sia così tranquillo?”
“Non ho paura di Cecily DeWitt, Juls.”
“Beh, forse dovresti.”
 
 
 
“Li hai rintracciati?”
“Rosie, così mi offendi, pensi davvero che non sia in grado di fare una cosa così semplice?”
 
Hooland distolse lo sguardo dallo schermo del computer per voltarsi verso la ragazza, lanciandole un’occhiata quasi offesa che venne subito ricompensata da un sorriso di Rose, che scosse leggermente il capo mentre teneva entrambe le mani sulle sue spalle.
 
“No, certo che no… scusa, sono solo un po’ agitata per la situazione.”
“Ti perdono solo se mi massaggi le spalle.”
 
“Avete finito di tubare? Dove accidenti sono finiti quei due?”
 
“Erin, non fare la guastafeste mentre mi arruffiano Rose… Comunque, a dire la verità, sono abbastanza vicini… anzi, sembrerebbe che l’auto stia proprio tornando qui.”
 
*
 
Scendendo dal treno gli occhi chiari di Erin LaFont vagarono sulle persone che affollavano la stazione, cercando un paio di volti familiari.
Teneva una mano stretta intorno ad uno dei manici del suo baule, sperando che suo padre fosse venuto per aiutarla a trasportarlo… e anche perché non moriva dalla voglia di stare da sola con sua madre.
 
Quando posò gli occhi su un uomo che, sorridendo, si stava avvicinando al vagone provò quasi un moto di sollievo, avvicinandoglisi d’istinto per abbracciarlo.
 
“Mi sei mancato.”
“Ciao Erin… Anche tu ci sei mancata.”
 
La figlia si allontanò leggermente dal padre per rivolgergli un’occhiata quasi scettica, inarcando un sopracciglio:
 
“Ci? Davvero?”
“Erin, non ricominciare… ti vuole bene, lo sai.”
 
La ragazza sbuffò debolmente mentre il padre prendeva il baule per aiutarla a trasportarlo, rivolgendole un’occhiata eloquente come a volerle dire di evitare di sollevare discussioni. Decise di ascoltarlo, decise di volersi godere l’inizio delle sue ultime vacanze estive prima dell’ultimo anno di scuola e di non avere voglia di discutere con sua madre.
 
Non sapeva nemmeno di preciso quando quella situazione ridicola fosse iniziata, ma da qualche tempo la Serpeverde si era resa conto che sua madre nutriva una specie di leggera invidia nei suoi confronti, forse rimpiangendo la giovinezza ormai persa e la bellezza della figlia.
Sentimenti a dir poco ridicoli, a parere della ragazza, da nutrire nei confronti della propria figlia, Erin continuava a chiedersi come fosse possibile avere certi pensieri per qualcuno che tu stessa hai messo al mondo.
 
In fin dei conti, però, lei non era affatto nata da un sentimento vero e proprio. Forse il precario rapporto con sua madre era dovuto anche a questo.
 
*
 
“Smettila di fare quella faccia… Non preoccuparti.”
Carter e Juliet, dopo essere scesi dall’auto, stavano attraversando il piazzale di ghiaia per raggiungere l’ingresso della villa dove, ad attenderli, avrebbero trovato alcuni membri della loro stessa squadra insieme ad Alpha e ad una Cecily DeWitt non proprio allegra.
 
“Puoi sempre dirle che è stata una mia idea, che io mi sono rifiutata…”
“Non so se ci crederebbe, Juls.”
 
Carter accennò un sorriso mentre camminava tenendola per mano, trattenendosi dal farle notare che era molto improbabile che un Attivo si rifiutasse di eseguire un ordine, visto che erano stati programmati a tal proposito.
“Beh, provaci. Non penso che con me se la potrebbe prendere più di tanto, quanto meno non credo che mi licenzierebbe.”
“Non licenzierà anche me, vedrai.”
 
Erano quasi arrivati sulla soglia quando il ragazzo si fermò, prendendole il viso tra le mani per darle un bacio a stampo sulle labbra e poi sorriderle leggermente:
 
“Coraggio… andiamo dentro.”
 
 
 
“Juliet!”
Vedendo entrare l’amica insieme al suo Guardiano Erin scattò in piedi, avvicinandolesi quasi di corsa per poi abbracciarla.
 
“Tutto bene?”
“Sì. Mi spiace se ti sei preoccupata.”
 
Juliet rivolse un piccolo sorriso all’amica, che fece saettare lo sguardo prima su Carter e poi sulle mani intrecciate dei due ragazzi, non riuscendo a trattenere completamente un piccolo sorriso a quella vista.
 
“Carter.”
Sentendo la familiare voce di Alpha Erin si voltò, guardando l’uomo che si era fermato a qualche metro da loro e stava osservando il ragazzo con le braccia conserte e nessuna particolare espressione dipinta sul volto.
 
“La Dottoressa vuole vederti… vai nel suo ufficio.”
“Ovviamente. Dovresti andare a dormire adesso, Juls.”
 
“Non posso andare con lui?”
“No, vuole vedere solo Carter. Erin, accompagnala di sopra.”
 
L’ex Auror rivolse un cenno alla bionda, che annuì mentre prendeva l’amica sottobraccio e Carter le superava per raggiungere le scale, rivolgendo un ultimo sorriso rilassato in direzione di Juliet, quasi a volerla rassicurare.
 
“Vieni, andiamo.”
 
 
 
“In pratica, Carter si è innamorato di Juliet, per questo era geloso di Nick, pensava che il suo attaccamento fosse dovuto a dell’attrazione, quando invece è sua sorella. Però da qualche tempo non hanno più fatto scenate, dici che Nicholas glie l’ha detto?”
 
“Può essere. Ma non sono affari nostri!”
 
Rose rivolse un’occhiata in tralice a Hooland mentre, appoggiati alla ringhiera delle scale del primo piano, osservavano la scena sotto di loro.
“Non serve sottolinearlo, lo so bene!”
“Non provarci, avevi già assunto il tono da comare.”
 
“Beh, in ogni caso… Seth e Kate stavano insieme all’ultimo anno, e lui sbavava per lei già dal quinto, me lo ricordo intento a fissarla con aria da pesce lesso durante le lezioni o in Biblioteca. Ovviamente nessuno dei due ricorda l’altro e ora Juliet sembra provare qualcosa per Carter… anzi, sono entrati tenendosi per mano e dallo scambio di sguardi secondo me è successo qualcosa tra loro… Dici che Carter sa che l’alter ego di Quebec stava con “Juliet” a scuola?”
“A meno che Nicholas non gli abbia detto anche questo no, non credo.”
“E’ proprio un bel pasticcio… chissà come andrà a finire! Non mi hai detto che Quebec si sente un po’ “strano” ultimamente, riguardo a quei due?”
“Così mi ha detto.”
“Magari è una specie di gelosia inconscia che si risveglia… Dopotutto lui ha molto spesso delle “crisi” notturne dove ricorda delle cose, no? Oh, che bell’intrigo, come mi diverto!”
 
“Si Sherlock Holmes, continua con le congetture, io vado a dormire…”
“Io avanzo ancora delle coccole, ti ricordo.”
 
Rose roteò gli occhi quando Hooland le impedì di andarsene placcandola con un abbraccio, sorridendole e dandole un lieve bacio sulla nuca prima di mormorarle qualcosa all’orecchio:
 
“E comunque… Fox mi ha detto che lui e Isla si sono baciati, avevo ragione io.”
 
 
 
“Sicura che vada tutto bene? Sembri un po’ scossa.”
“Spero solo che Carter non passi troppi guai, Erin.”
“Forse innamorarsi della propria Attiva non è una grande idea, infondo… io voglio parlare con Alpha a riguardo, quindi torno di sotto. Ci vediamo domattina, cerca di dormire.”
 
Juliet annuì, fermandosi davanti alla propria camera prima di aprire la porta, mentre Erin girò sui tacchi per attraversare il corridoio a ritroso e scendere al piano terra e parlare con Alpha: voleva chiedergli se avesse idea di cosa avrebbe fatto la Dottoressa al collega.
 
La ragazza era ormai giunta a metà del corridoio semi buio quando si fermò, restando perfettamente immobile per un istante prima di parlare a mezza voce:
 
“Lo so che sei lì. Ti conosco.”
 
“Ho solo sentito un po’ di trambusto e sono uscito a controllare…”
“Certo, sia mai che qualcosa sfugga al tuo controllo. Torna a dormire, Echo.”
 
Erin sbuffò leggermente ma il ragazzo non le diede retta, comparendo dal nulla dietro di lei per poi iniziare a seguirla, camminando ad un passo di distanza:
 
“Qualcuno è nei guai?”
“Carter, non ha fatto come la DeWitt gli aveva detto… e sappiamo tutti che a lei piace quando le persone obbediscono ai suoi ordini. E passerai dei guai anche TU se non fai quello che ti dico, stanne fuori, non sono affari tuoi.”
 
“Dei guai? Che cosa farai riccioli d’oro, mi colpirai con una delle tue mosse da arti marziali?”
“In effetti potrei, magari poi direi alla DeWitt che sei accidentalmente scivolato mentre scendevi le scale… Te l’ho detto Echo, stanne fuori.”
 
La bionda rivolse un’ultima occhiata gelida all’Attivo prima di accelerare, avvicinandosi alle scale per scendere al piano terra mentre Echo, ascoltandola, si era fermato qualche metro più indietro, limitandosi a seguirla con lo sguardo.
 
Chissà che cosa voleva andare a dire ad Alpha…
 
*
                                                                                          
Il giorno del Diploma ormai si stava avvicinando e non poteva esserne che felice: dopo sette lunghi anni sarebbe finalmente uscita da Hogwarts, avrebbe posto fine al suo periodo di studio.
Il suo unico interrogativo, a quel punto, era il seguente: che cosa avrebbe fatto una volta arrivato quel giorno? Che cosa avrebbe fatto quando sarebbe scesa dall’Espresso per Hogwarts per l’ultima volta?
 
Non lo sapeva, non ne aveva idea. Ma di certo non voleva giocare a fare la moglie, non voleva sposarsi molto giovane con qualcuno che non le piaceva e che semplicemente conveniva alla sua famiglia come era successo a sua madre.
Non voleva vivere una vita così grigia e infelice.
 
Erin sbuffò, rigirandosi nel letto e pensando a suo padre, che da un paio d’anni aveva cambiato lavoro. Le aveva parlato spesso di quel suo nuovo impiego e sembrava entusiasta a riguardo… anzi, una volta le aveva suggerito che magari avrebbe potuto intraprendere la sua strada proprio in quel settore.
Non era una cattiva idea, ma non ne era comunque sicura al 100%... Però poteva sempre provarci, dopotutto, in mancanza di ispirazione.
 
*
 
“Pensi che lo licenzierà?”
“Non so che cosa passa per la testa di Cecily DeWitt, non l’ho mai saputo. Ma spero di no, perché in quel caso gli cancellerebbe anche la memoria, Carter non ricorderebbe più la Dollhouse, e neanche Juliet.”
 
Nicholas annuì distrattamente alle parole di Alpha, restando in silenzio mentre rifletteva, così come il suo ex allenatore.
Entrambi alzarono lo sguardo quando sentirono qualcuno scendere le scale, rilassandosi quando si resero conto che era soltanto Erin.
 
“Ah, sei tu… lei come sta?”
“Bene, è un po’ in pensiero per Carter. Ora, visto che tutti gli altri staranno dormendo ormai… Joseph, sei sicuro che l’uomo che qualche giorno fa ha visto fosse un Auror?”
“Assolutamente… il Ministero muore dalla voglia di mettere le mani su questo posto e sbaragliarlo, così come il Dipartimento. Con il tempo, tuttavia, ho capito che questo posto è inscrivibile, non può comparire sulle cartine ed è quindi piuttosto difficile da rintracciare… Per fortuna gli Auror hanno avuto un piccolo “aiutino” interno.”
 
Le labbra dell’uomo s’inclinarono in un sorriso mentre Nicholas, seduto di fronte a lui, sbuffava leggermente, quasi con impazienza:
 
“Se gli Auror sanno dove si trova la Casa perché non vengono qui e non mettono tutto a ferro e fuoco? Quello che la DeWitt fa è illegale al 100%!”
“Ovviamente, ma tu per primo rivuoi indietro tua sorella, giusto? E lei è, si suppone, l’unica che sa come farli tornare com’erano prima dell’annullamento. Prima di dare il via agli Auror voglio capire se c’è un modo per annullare l’annullamento stesso. Erin, tu non sei riuscita a scoprire niente?”
 
“Ancora no, pare che non sappia granché, ma domani gli farò nuovamente visita e insisterò.”
 
La bionda si strinse nelle spalle e Joseph annuì prima di alzarsi in piedi:
 
“Bene. Se succede qualcosa di rilevante a Carter informatemi, in caso contrario ci vediamo domattina… io torno a casa.”
 
“Buonanotte.”
 
Nicholas rivolse un cenno all’uomo, che ricambiò prima di allontanarsi per uscire dalla Casa e Smaterializzarsi oltre i confini, mentre i due ex Serpeverde rimasero per qualche minuto seduti uno accanto all’altro, intenti a parlottare a mezza voce.
 
“Sei riuscito a capire perché anche lui vuole la disfatta della Dollhouse?”
“No, a riguardo è muto come un pesce… Ma non credo che sia solo una semplice talpa inviata dal Dipartimento. Secondo me c’è del personale, quando parla della Dottoressa il suo disprezzo è fin troppo evidente.”
 
“Può darsi, ma sicuramente non ne parlerà con noi, nemmeno sapevamo che avesse una figlia fino ad una settimana fa! E comunque, io continuo a non essere del tutto convinta: chi ci dice che c’è davvero un modo per restituire a tua sorella e agli altri la loro memoria e la loro vecchia personalità?”
 
“Ovviamente nessuno, possiamo solo sperarci.”
Nicholas si strinse nelle spalle ed Erin annuì, sperando che l’ex compagno di scuola non si sbagliasse e che avrebbero trovato il modo per riportare alla “normalità” gli Attivi, senza rendersi conto che Echo, appoggiato alla ringhiera delle scale, aveva seguito con lo sguardo tutta la conversazione.
 
*
 
“Sei sicura?”
“Assolutamente, ho deciso. Potresti parlarci?”
 
“Certo, potrei… se è quello che vuoi.”
“Sì, lo è.”
 
Erin annuì, rivolgendo un sorriso al padre che era seduto di fronte a lei, dietro alla sua scrivania. Il mago annuì distrattamente, senza smettere di guardarla come se stesse riflettendo sull’eventualità:
 
“D’accordo Erin. Ti posso procurare un colloquio con lei, sta cercando dei “Guardiani” per la nuova squadra. Ma per il resto dovrai cavartela da sola, Cecily DeWitt si è fatta da sola e, di conseguenza, non presta attenzione al cognome dei suoi collaboratori, non le importa di chi sei figlio.”
“Benissimo allora. Lasciamici parlare, al resto penserò io.”
 
Erin non si era sbagliata, era riuscita immediatamente ad entrare nella Dollhouse dopo aver parlato con la sua fondatrice. Mai, tuttavia, avrebbe pensato che un giorno si sarebbe ritrovata al punto di progettarne la dipartita.
 
*
 
Teneva gli occhi fissi sul soffitto, incapace di addormentarsi. O meglio, forse nemmeno voleva dormire: ci aveva provato e si era svegliato sudando freddo e con un terribile mal di testa, come spesso gli succedeva.
 
Sbuffò leggermente, girandosi su un fianco e chiedendosi se anche gli altri avessero quegli strani incubi. Juliet sì, ne era certo… ma forse i suoi erano più intensi. A volte si ritrovava persino a disegnare persone che non aveva mai visto su un foglio di carta dopo essersi svegliato, ne aveva fatti decine di un uomo con una pistola in mano, dei guanti di pelle, lo sguardo truce e vestito in modo strano. Altri in cui comparivano cadaveri imbrattati di sangue o una casa in fiamme.
 
Quebec si sollevò, mettendosi a sedere sul materasso e accendendo quasi senza pensarci l’abat-jour posta sul suo comodino, afferrando il blocco da disegno e una matita.
 
Ancora una volta iniziò a disegnare, ma questa volta fece semplicemente un ritratto, disegnando i lineamenti di un viso che, contrariamente agli altri, conosceva molto bene e che vedeva ogni giorno.
 
Fermò la mano solo quando ebbe terminato di contornare il viso con i capelli lunghi, fissando il disegno prima di lanciare la matita dall’altra parte della stanza, prendendosi la testa tra le mani.
 
Juliet. Perché disegnava Juliet?
Perché l’aveva sognata, poco prima?  Solo che quasi non sembrava lei… l’aveva vista ridere, sembrava molto più rilassata ed estroversa della spesso cupa e quasi solitaria Juliet che gli faceva compagnia quasi sempre nelle operazioni.
 
Chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi, e la vide sorridergli con addosso degli strani abiti neri che non aveva mai visto, sembrava quasi una divisa, per poi avvicinarglisi e sederglisi sulle ginocchia.
“Ciao Seth.”
 
Chi accidenti era Seth? Eppure, anche se aveva un suono familiare, specialmente con quella voce, era sicuro che Juliet non gli si fosse mai seduta in grembo… né, tantomeno, lo aveva mai baciato.
 
E poi c’era quello strano fastidio che provava da qualche giorno quando la vedeva accanto a Carter. Non capiva perché lo infastidiva, lei poteva fare quello che voleva con chi voleva.
Non aveva risposto alla sua domanda quando avevano evocato i Patronus e si era convinto di aver ragione, c’era davvero qualcosa tra quei due. Eppure non erano affari suoi… lei poteva baciare o andare a letto con chi voleva, erano sempre stati solo amici.
 
Ma si stava rodendo il fegato lo stesso, e moriva dalla voglia di capirne il motivo.
 
*
 
“E così tu sei Echo.”
“E così tu sei la mia baby-sitter.”
 
Erin piegò le labbra in un accenno di sorriso, continuando a tenere gli occhi verdi fissi sul volto del ragazzo che era seduto davanti a lei.
 
“Non mi definirei propriamente così… insomma, non mi sembri un bambino. Ma potrei sbagliarmi, certo. Comunque, mi chiamo Erin LaFont.”
“Sì, lo so, la Dottoressa me l’ha detto. Perché vuoi fare la baby-sitter?”
 
“Affari miei.”
 
Erin rispose senza battere ciglio e con un tono neutro, continuando ad osservare quello che era appena diventato il suo Attivo con leggera curiosità.
 
Echo invece sfoggiò un piccolo sorriso, guardando la ragazza quasi con cipiglio divertito:
“Sei sicura che riuscirai ad assolvere il tuo compito? Insomma, non sono sicuro che nel corpo a corpo riusciresti a mettere al tappeto qualcuno.”
“Tu dici?”
“Forse più che a questo posto sei adatta a farti scattare fotografie.”
 
“Sapevo che avrei incontrato un cretino che l’avrebbe detto. Io so difendermi alla perfezione Echo, e ti assicuro che sarò in grado, se necessario, di difendere anche te. Certo, sempre se non mi farai arrabbiare.”
 
*
 
“Perché l’hai fatto? E’ stato stupido. E tu non sei affatto stupido, Carter… io non li assumo, li stolti.”
 
“Era giusto così. Quello che voleva farle fare era sbagliato… Sono persone Dottoressa, non animali. Forse ha perso di vista questo punto, ormai.”
“Io non ho perso di vista niente Carter… Tu, invece, forse l’hai fatto.”
 
Cecily inarcò un sopracciglio, appoggiandosi allo schienale di pelle della sedia girevole senza staccare i freddi occhi chiari dal volto del ragazzo, studiandolo con attenzione:
 
“Ti sei innamorato di lei, non è vero?”
Per la prima volta da quando era entrato in quella stanza Carter esitò, non sapendo come rispondere a quella domanda. Invece di parlare il ragazzo abbassò lo sguardo, evitando di guardare la donna sorridere con una punta di soddisfazione, certa di non essersi sbagliata:
 
“Oh, Carter… che pessima idea. Innamorarsi della propria Attiva…”
“Se vuole ridere di me faccia pure.”
“No, non riderò di te, Carter. Infondo, come si suol dire, al cuore non si comanda, giusto? Forse è per questo che non ti licenzierò.”
 
“Come?”

Di fronte al tono e allo sguardo sorpresi del ragazzo Cecily piegò le labbra sottili in un sorriso, continuando a guardarlo con una punta di divertimento nello sguardo:
 
“Sei sempre stato praticamente impeccabile Carter, negli ultimi due anni. Sempre attento, sempre puntuale, sempre pronto a fare ciò che ti veniva detto… e Juliet non si è mai fatta un graffio, forse ora il motivo mi è ancor più chiaro, ma in ogni caso sei stato praticamente esemplare, non sono sicura di volerti perdere. E poi, se sei davvero innamorato di lei, forse potresti essermi ancora più utile, perché ora so per certo che farai in modo che non le accada niente.
Ma disobbedisci di nuovo e ne pagherai le conseguenze, Carter Halon, non mi piace quando qualcosa non va come ho programmato.”
 
*
 
“Non pensi di esserti lasciata prendere un po’troppo la mano? Mi hai distrutto la schiena!”
“Non fare la mammoletta Echo, ti sto solo temprando… e poi non eri tu quello scettico nei confronti della mia forza fisica, quando ci siamo conosciuti?”
 
Erin sfoggiò un sorrisetto soddisfatto in direzione dell’Attivo, che sbuffò massaggiandosi una spalla mentre camminava accanto a lei per uscire dalla palestra dove si erano allenati.
“Ok, ammetto che FORSE ti ho giudicata troppo presto…”
“Oh, beh, del resto lo fanno tutti, sei scusat- UN RAGNO!”
 
Un attimo dopo Erin stava camminando accanto a lui e un attimo dopo Echo si ritrovò con la ragazza ferma alle sue spalle, indicando il minuscolo ragno fermo sulla parete.
 
“Ma che… Erin, è solo un ragnetto!”
“Appunto, un viscido e schifoso aracnide ad otto zampe che corre sui muri e sui pavimenti… che schifo! Uccidilo, per favore.”
“Fammi capire, prima mi metti KO con due mosse e poi hai paura di un ragnetto?”
“Sì! Oddio, sta venendo verso di noi, fallo sparire!”
“Fallo tu!”
“No, mi fa schifo, non lo tocco neanche morta… andiamo, sii gentile per una volta!”
 
Echo roteò gli occhi mentre Erin continuava a nascondersi dietro di lui e a tenergli le mani sulle spalle, implorandolo di uccidere il ragno.
“Senti, non possiamo semplicemente girargli al largo?”
“Sei impazzito? E se poi magari arriva nella mia camera? Non posso sopportare l’idea di condividere il tetto con un ragno.”
“Quante storie… andiamo.”
 
Echo, sbuffando leggermente, prese la ragazza per un braccio per trascinarla lontano dal ragno, ignorando le sue sonore proteste. 






 


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Angolo Autrice:

Buonasera! Chiedo scusa per l'assenza ma, come alcune di voi già sanno, sono tornata da pochi giorni da una settimana di vacanza e di conseguenza non ho avuto modo di scrivere.
Mi spiace, inoltre, di non aver inserito il banner per Erin e per Carter nello scorso capitolo ma da qualche tempo tinypic fa i capricci, li caricherò appena possibile.
Ovviamente il prossimo capitolo sarà quello dedicato ad Echo, nonchè il terzultimo, e dovrebbe arrivare piuttosto in fretta.

A presto e buona serata,
Signorina Granger 

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Capitolo 17
*** Echo ***


Capitolo 15: Echo
 
1504016599868
 
“Julian? Vieni qui, tesoro.”
Il bambino di cinque anni, fermo sulla soglia della stanza, obbedì alle parole della madre, avvicinandosi con leggera titubanza al letto dell’ospedale da lei occupato.
 
Julian si fermò accanto al letto, alzandosi in punta di piedi per sbirciare l’esserino che sua madre teneva tra le braccia, con un minuscolo berrettino rosa in testa, gli occhi chiusi e due piccoli pugnetti che agitava leggermente.
“Hai visto com’è piccola?”
“Molto… quando potrò giocarci?”
 
Marcy rise alla domanda del figlio, allungando una mano per accarezzargli i capelli castani mentre gli assicurava che avrebbe potuto giocare con la sorellina, solo avrebbe dovuto aspettare un po’.
 
“Adesso mi vuoi dire come si chiama? Non me lo hai mai detto mamma.”
“Laureen. Ti piace?”
“Julian è più bello, ma sì… ciao Laureen!”
 
Julian sorrise alla sorellina neonata, allungando un dito per sfiorarle la mano minuscola mentre la madre sorrideva, assistendo alla scena.
 
*
 
Entrò nella stanza senza far rumore come aveva imparato ormai molti anni prima, sorridendo nel scorgere la figura familiare di un uomo che, seduto ad una scrivania, le dava le spalle.
Erin gli si avvicinò con un paio di falcate, chinandosi leggermente per circondargli il collo con le braccia.
 
“Che cosa fai?”
“Ah, ciao… Cominciavo a pensare che ti fossi scordata del tuo vecchio padre, Erin.”
“Sciocchezze… e poi non sei vecchio.”
 
La ragazza sorrise, dandogli un lieve bacio su una guancia mentre il padre, voltandosi verso di lei, le rivolgeva un lieve sorriso.
 
“Sei venuta solo a salutarmi Erin? O devi chiedermi qualcosa?”
“Beh, in effetti… Ci sto davvero pensando ultimamente. So che l’annullamento avviene grazie ad una specie di strano macchinario che avete messo appunto, giusto?”
“Sì, interviene sul cervello con una scarica di magia, ma poi gli Attivi ricevono anche un trattamento manuale per attaccare l’ippocampo e quindi la memoria.”
 
“E non c’è un modo per farli ritornare come prima?”
 
“Perché me lo chiedi, Erin?”
“Curiosità… trovo solo strano, quasi impossibile riuscire ad impiantare una nuova personalità senza lasciare alcun residuo. E’ assolutamente contro natura, davvero non c’è un modo?”
 
Erin inarcò un sopracciglio, osservando il padre attentamente e in cerca di risposte. L’uomo sospirò leggermente, ruotando la sedia girevole per poterla guardare in faccia mentre annuiva:
 
“Ovviamente è contro natura. Ma come tu stessa avrai potuto constatare, non è un processo perfetto. Ci sono stati dei casi in cui gli Attivi sono sfuggiti al nostro controllo, segno che l’amigdala, che regola l’aggressività, è stata troppo danneggiata. La Dottoressa ci ha messo alcuni anni a portare a termine un procedimento corretto, Erin, non è affatto semplice… Certo, a volte l’impronta cerebrale tende a ripararsi da sola.”
“Parli dei loro sogni, delle crisi che hanno mentre dormono?”
“Certo.”
“Quindi l’impronta cerebrale, che voi modificate, tende a ricomporsi da sola… ma non c’è un modo “artificiale” perché ciò accada? Non l’avete mai sperimentato?”
 
“No. Io non ne so niente Erin, ma ormai conosco Cecily DeWitt da diversi anni e so che è molte cose, di certo non ingenua o una sprovveduta… Non ama non avere sempre una risposta, una soluzione a tutto, preferisce prepararsi ad ogni eventualità. Non ne ha mai fatto parola con noi, almeno non che io sappia, ma conoscendola penso che non avrebbe mai ideato un simile processo senza avere una contro-formula a disposizione.”
 
Erin annuì leggermente, riflettendo sulle parole del padre e rendendosi conto che aveva ragione: sicuramente non conosceva la Dottoressa quanto lui, ma era piuttosto plausibile che avesse creato un modo per annullare l’annullamento. Come diceva sempre lei stessa, amava essere “preparata ad ogni evenienza”.
 
 
“Grazie papà.”
 
*
 
“Su, ripeti… Julian.”
“Tato.”
“Julian!”
“Tato.”
 
Julian sbuffò sonoramente mentre invece la sorellina, seduta sul tappeto davanti a lui, sfoggiava un sorriso semi-sdentato.
“Ma perché non riesci a dirlo?”
“Tato!”
 
Laureen, di poco più di un anno, allungò le braccine verso di lui mentre il fratello maggiore si alzava, prendendola per mano e aiutandola a fare altrettanto.
“Secondo me lo fai apposta…”
 
Laureen continuò a ridere mentre muoveva qualche passo un po’ incerto per andare chissà dove, inciampando di tanto nei suoi stessi piedi e cadendo sul pavimento mentre Julian la seguiva, aiutandola a rialzarsi quando scivolava.
 
Il tutto mentre la madre seguiva i movimenti dei due con occhio vigile, sorridendo di fronte a quella scenetta:
“Siete adorabili… Julian, penso che da grande sarai uno splendido fratello maggiore.”
“Ma se non sa neanche come mi chiamo…”
“Dalle tempo, è ancora piccola.”
 
Marcy li raggiunse con un sorriso, chinandosi per prendere in braccio la figlia e scoccare al contempo un bacio sulla guancia di Julian.
“Mamma, non cominciare con le smancerie!”
“Ma senti che paroloni usa il mio piccolo pappagallo…”
“Non sono un pappagallo!”
“Sì invece, chiacchieri in continuazione… sei il mio piccolo pappagallo.”
 
*
 
Non sapeva nemmeno lui che cosa stesse cercando di preciso, continuava a sfogliare con impazienza i registri dei ragazzi che, nel corso di un intero decennio, avevano subito l’Annullamento.
Era partito da quelli più recenti e ormai era arrivato al registro più vecchio, dove la DeWitt si era annotata i nomi dei primi ragazzi su cui aveva fatto esperimenti… in pratica, quelli che non avevano avuto successo e che probabilmente era finiti con il cervello liquefatto.
 
Non sapeva che nome stesse cercando, solo qualcosa di familiare, che potesse essere riconducibile al suo ex istruttore all’Accademia. Era sicuro che Joseph Richardson non fosse una semplice talpa del Dipartimento per scovare la Dollhouse, sbaragliarla e sbattere finalmente Cecily DeWitt in un processo, aveva la sensazione che fosse spinto da qualcosa di più personale.
Un po’ come lui.
 
Quando i suoi occhi chiari indugiarono su un nome femminile che non aveva mai sentito Nicholas si bloccò, osservando quel nome. O, più precisamente, il cognome di quella ragazza.
Melanie Richardson… e la data risaliva a dieci anni prima, era uno dei primi nomi. Sicuramente al tempo era stata una ragazza di circa 18 anni come tutti gli altri, e dieci anni prima Joseph aveva avuto 23 anni. Cinque anni di differenza… poteva essere benissimo sua sorella.
 
Era solo una coincidenza, lo stesso cognome? Anche se, Nicholas ne era piuttosto sicuro, se Richardson era un cognome piuttosto diffuso tra i Babbani non si poteva dire lo stesso per i Maghi, e sapeva per certo che Cecily non aveva mai fatto esperimenti su Babbani.
 
Nicholas rimise in fretta tutti i fascicoli al loro posto dentro al cassetto, sigillandolo come l’aveva trovato prima di uscire dal piccolo scantinato e chiudersi la porta alle spalle per poi allontanarsi nel corridoio deserto con naturalezza, morendo dalla voglia di riuscire a parlare di nuovo da solo con Alpha per chiarire quella situazione.
 
*
 
“Ciao piccola.”
Julian sorrise alla sorellina, che lo guardò di rimando con aria piuttosto malinconica:
“Appena imparo a scrivere bene ti manderò un sacco di lettere.”
“Le aspetterò, intanto ti scriverò io, ok? Fai la brava.”
 
Il ragazzino si chinò per abbracciare la bambina, che ricambiò la stretta prima di lasciarlo andare, guardandolo sorridere ai genitori prima di sparire dentro un vagone.
 
Pochi attimi dopo Julian si sporse dal primo finestrino disponibile, rivolgendo un ultimo saluto alla famiglia e indugiando con lo sguardo su Laureen, che teneva il padre per una mano e lo stava salutando con l’altra.
 
“Ci vediamo a Natale!”
“Divertiti… e fai il bravo!”
Annuì alle parole del padre prima di ritrarsi, allontanandosi dal finestrino e sparendo così dalla vista della famiglia, lasciando i genitori a consolare la sorellina per “avventurarsi” per la prima volta nell’Espresso per Hogwarts, inconsapevole che di lì a pochi minuti avrebbe fatto la conoscenza del suo futuro migliore amico.
 
*
 
“Erin? Ti devo parlare.”
“Ah sì?”
 
La bionda stava scendendo le scale in fretta e furia per trovare Alpha o Nicholas e condividere con loro ciò che aveva sentito dal padre, ma i suoi piani andarono in fumo quando s’imbatté inaspettatamente nel suo Attivo.
Era piuttosto insolito che volesse parlarle, non solo non erano mai stati grandi amici ma lui per primo non era tipo da molte parole.
 
Echo però annui, osservandola con attenzione prima di parlare:
“La parola “annullamento” ti dice niente? Perché io non l’avevo mai sentita, prima di ieri sera… eppure, suonava importante.”
 
Alle parole del ragazzo Erin si sentì praticamente raggelare, maledicendo la tendenza del suo Attivo ad ascoltare ed osservare qualunque cosa restando in un angolo buio:
“Ti avevo detto di tornare a dormire, ti avevo detto di non impicciarti!”
“Vero, l’hai fatto, ma come tu stessa hai detto una volta NON sei la mia baby-sitter. Non sono strettamente tenuto ad ascoltarti, dopotutto.”
 
Echo piegò le labbra in un piccolo sorriso mentre Erin invece sbuffò, superandolo e borbottando che aveva altro da fare invece che fermarsi a parlare con lui. Il ragazzo però non sembrò della stessa opinione perché la seguì, parlando senza battere ciglio:
 
“Dico sul serio, Erin. Tu, Nicholas e Alpha sembravate una banda di cospiratori… C’è qualche problema? E che cos’è questo “annullamento”?”
“Non c’è nessun problema Echo… e l’annullamento non è niente che ti debba interessare. Vai a prendere a calci qualcosa o a sparare come tutti gli altri, io ho da fare.”
“Certo, immagino, vai a continuare a cospirare… se cerchi Nicholas è in cucina. E chi era quell’uomo da cui sei andata stamattina? Hai una relazione con uno dei ricercatori della DeWitt?”
 
“Io non… è mio padre. E comunque non sarebbero affari tuoi.”
Erin sbuffò, scoccandogli un’occhiata truce prima di accelerare il passo, allontanandosi in fretta.
Forse avrebbe voluto seguirla ma sapeva che lei non l’avrebbe presa bene e molto probabilmente non gli avrebbe detto nulla, oltre ad assestargli un doloroso calcio rotante. Echo non si mosse, limitandosi a seguirla con lo sguardo e ripensando ancora una volta alla conversazione che aveva avuto la sera precedente con Nick e Alpha.
 
C’era qualcosa di strano, lo sentiva. Qualcosa stava succedendo, ma di certo lei non ne avrebbe mai fatto parola. Aveva dormito malissimo la notte precedente, aveva continuato a pensare a quello che aveva sentito, in particolare quella fastidiosa parola: “annullamento”. Non aveva bel suono, anche se non sapeva a cosa si riferisse.
Da quel che aveva capito i tre avevano parlato di “porre fine” a qualcosa. Ma cosa?
 
*
 
Aveva passato gli ultimi due anni a guardare suo padre fare magie, fantasticando sul momento in cui anche lui le avrebbe imparate… non vedeva l’ora di arrivare ad Hogwarts, il magnifico castello di cui aveva tanto sentito parlare dal padre.
Un po’ la sua famiglia gli mancava, certo, ma concentrandosi sulle affascinanti materie che gli venivano insegnate e sugli amici che si stava facendo riusciva a non pensarci più di tanto.
 
In particolare aveva preso in simpatia fin dal primo momento una sua compagna di Casa, dal nome dolce quasi quanto il suo carattere. Non avrebbe mai pensato di diventare tanto amico di una ragazzina ma si era reso conto in fretta di adorare Rose Williams, sempre così gentile, dolce e sorridente.
E poi c’era Hooland Magnus, certo, altro suo compagno di Casa… Julian lo aveva trovato fin da subito estremamente divertente. Certo, forse un po’ particolare, ma gli piaceva molto.
 
“Hool è tanto che non si vede… secondo te sta bene?”
“In effetti non so dove sia… ma sono sicuro che salterà fuori, vedrai.”
Julian, seduto su un divano nella sua Sala Comune, alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo per Pozioni per rivolgere a Rose un piccolo sorriso, quasi a volerla rassicurare.
 
Ormai si stava facendo buio e del loro amico nessuna traccia… dove si era cacciato? Rose si faceva più irrequieta ogni minuto che passava, in pena per il suo amico, ma Julian era certo che Hooland presto sarebbe ricomparso con un sorriso stampato sulle labbra e una stramba storia da raccontare.
 
In effetti quando, il mattino dopo, lo vide Julian potè ascoltare di un’assurda storia: a quanto sembrava Hooland si era perso nel bosco e poi si era fatto riportare al castello nientemeno che da un Centauro.
Se non altro, con un amico così, non si annoiava mai.
 
*
 
Entrò in cucina con un enorme sorriso sulle labbra, puntando immediatamente gli occhi su una delle tre ragazze già presenti nella stanza. Passò davanti ad Erin e Nicholas, che stavano parlottando a bassa voce, per raggiungere Isla e abbracciarla da dietro, stampandole un bacio su una guancia:
 
“Buongiorno, passerotto.”
“Ciao Fox… Devi proprio continuare a chiamarmi così?”
“Mh-mh.”
 
Foxtrot si limitò ad annuire mentre Isla si voltava verso di lui, avvicinandolesi per baciarla dolcemente sulle labbra. Il tutto mentre Rose, impegnata ai fornelli come suo solito, ridacchiava:
 
“Tra rose e fior, nasce l’amor…”
“Proprio tu parli? Come mai Hooland non è già qui a cercare di distrarti per rubare cibo extra? E comunque, qualcuno sa se Carter l’ha passata liscia?”
“Ieri sera l’ho visto andare in camera sua, credo che la DeWitt non lo abbia licenziato.”
 
Mentre Foxtrot, Rose e Isla discutevano su quello che poteva essere successo a Carter Erin rivolse un’occhiata in tralice a Nicholas, invitandolo ad alzarsi:
“Andiamo a cercare Alpha… vi devo parlare. Lontano da occhi e orecchie indiscrete.”
 
*
 
“Non amo fare i turni serali, ma in tua compagnia non è così male.”
“Per fortuna che l’hai detto, iniziavo ad offendermi!”
Julian sorrise alle parole dell’amica, mettendo un braccio sulle spalle di Rose per attirarla a sé e darle un bacio sulla tempia.
 
La ragazza gli sorrise con affetto, prendendolo sottobraccio mentre Julian le rivolgeva un’occhiata eloquente:
“Parlando di te, Rosie… C’è qualcosa tra te e Jason Craig? Chiunque se ne accorgerebbe, dopotutto.”
“Beh… diciamo di sì. Secondo te gli piaccio?”
 
“Non saprei, ma dal modo in cui ti guarda penso proprio di sì.”
“Come se TU non avessi ragazze che ti lanciano occhiate languide, Julian Jones. La tua faccia e il tuo carisma fanno conquiste.”
“Sarà anche vero, ma non mi interessa. Non cercare di sviare la conversazione su di me, Rosie! So che c’è qualcosa tra voi due, e se ti rende felice può solo farmi piacere… Ovviamente, se dovesse farti stare male vieni a dircelo, così io e Hooland possiamo pianificare ai suoi danni.”
 
Julian sorrise, pronunciando quelle parole con un velo di ironia mentre Rose invece sbuffava leggermente, non potendo immaginare che di lì ad un anno le cose con Jason avrebbero preso una piega ben diversa, per niente positiva.
 
*
 
Bussò alla sua porta con impazienza e preoccupazione, quasi temendo di fargli quella domanda. Non lo aveva più visto dalla sera prima, quando era stato fatto chiamare dalla Dottoressa… e temeva di sentirsi dire che avrebbe dovuto lasciare la Casa e quindi la Dollhouse.
 
La porta della camera di Carter si aprì e il ragazzo comparve davanti a lei, rivolgendole un lieve sorriso:
“Oh, ciao.”
“Ciao… Allora? Che cosa ha detto? Te ne devi andare? Le hai detto che era stata una mia idea?”
“No e no, Juls… Non me ne vado e non le ho detto che è stata una tua idea, sappiamo entrambi che non è così. Mi sono preso una bella strigliata, ma rimango qui.”
 
Al sentire quelle parole Juliet sorrise, avvicinandoglisi di un passo per prendergli il viso tra le mani e baciarlo con trasporto mentre Carter la prendeva per la vita, incollandosela al petto e sorridendole quando si staccarono:
 
“Perché non me lo hai detto ieri sera? Mi hai lasciata in pena per ore!”
“Pensavo dormissi… eri davvero preoccupata?”
“Certo.”
 
Juliet annuì e il sorriso di Carter si allargò, quasi stentando a credere alla piega che le cose avevano preso tra di loro solo la sera precedente… gli sembrava quasi impossibile.
Così come il non essere stato cacciato dalla Dottoressa. Ma ovviamente ne era felice, non tanto per il lavoro che avrebbe perso ma per la sua Attiva.
 
“Beh, direi di non pensarci più… coraggio, andiamo a fare colazione.”
Carter accennò col capo alle scale e Juliet annuì, lasciando che il suo Guardiano la prendesse per mano per attraversare insieme il corridoio dove alloggiava tutta la squadra e scendere al piano inferiore.
 
*
 
Quando aveva scoperto cosa stesse succedendo tra Rose, la sua migliore amica, e il suo ragazzo Julian aveva dovuto appellarsi a tutto il suo buonsenso per non andare dal Corvonero e ridurlo a brandelli… oltre allo sforzo immane che aveva fatto per non parlarne con Hooland.
Sentiva che era sbagliato, non poteva tenerlo all’oscuro, non era giusto. Ma aveva promesso a Rose che non ne avrebbe fatto parola con nessuno, così aveva trovato il modo di far sapere la verità all’amico senza infrangere quel patto: conosceva i turni di Rose e aveva detto ad Hooland di aspettare sveglio in Sala Comune un mercoledì sera, certo che quando Rose sarebbe rientrata lui si sarebbe accorto di qualcosa.
 
Così era stato, i due avevano parlato e la mattina dopo Hooland gli aveva chiesto da quanto lo sapesse. Solo una settimana, in realtà, e per fortuna l’amico non se l’era presa, così come Rose.
Dopo quasi un mese i due cercavano solo di convincere l’amica a denunciare quello che stava subendo, senza però grandi risultati.
 
Non poteva andare avanti così fino alla fine dell’anno, lo sapevano tutti e tre… ma forse Rose si rifiutava di vedere come stavano veramente le cose.
 
Era tardo pomeriggio e Julian era andato in Biblioteca per rimettere a posto un paio di libri che aveva preso in prestito per una ricerca di Erbologia. Sapeva che Hooland era in Sala Comune, si erano salutati poco prima, ma non vedeva Rose da quando le lezioni erano terminate.
 
Aveva la fastidiosa sensazione che fosse proprio insieme a Craig e ne ebbe la conferma quando, attraversando la grande Biblioteca per raggiungere il reparto giusto, s’imbatté proprio nella sua amica. E con lei Jason Craig, che la stava visibilmente infastidendo.
 
Julian si fermò di colpo, restando immobile per qualche istante mentre teneva gli occhi verdi fissi sulla scena. Sapeva che se avesse usato la magia in Biblioteca per Schiantarlo avrebbe passato dei guai, ma allo stesso tempo moriva dalla voglia di farlo.
 
“Jason, smettila.”
Rose, seduta su una sedia, cercò di allontanare da sé il ragazzo ma senza grandi risultati.
“Jason…”
Premette le mani sul petto del Corvonero, cercando di spingerlo dal suo stesso corpo mentre lui le teneva una mano sulla spalla, inchiodandola sulla sedia mentre le lambeva il collo con le labbra, mormorandole di tacere.
 
“Credo che ti abbia detto di smetterla. Forse non ci senti?”
Sentendo la voce familiare di Julian Rose aprì gli occhi, quasi sorridendo di sollievo mentre il compagno di Casa, fermo davanti a lei, metteva una mano sulla spalla di Jason per poi allontanarlo bruscamente dall’amica.
 
“Jones, puoi farti i cazzi tuoi?”
“Non me ne frega proprio niente di te Craig, ma se c’è di mezzo Rose allora non sto a guardare. Rosie, andiamo.”
 
Julian rivolse un’occhiata quasi disgustata al Corvonero mentre prendeva l’amica per mano, guardandola alzarsi e prendere la borsa prima d seguirlo, sistemandosi in fretta e furia la camicia bianca.
 
“Vai davvero con lui, Rose?”
“Certo che viene con me. Tu invece va’ a farti una doccia fredda, ti servirà.”
 
Julian scoccò un’ultima occhiataccia al ragazzo prima di sparire insieme all’amica, che appoggiò la testa sulla sua spalla prima di mormorare qualcosa con un filo di voce:
“Grazie.”
 
*
 
“Quindi secondo tuo padre c’è un modo?”
“Sostiene di sì, ma ha detto di non saperne niente… e ha senso, credo sia una cosa che la DeWitt terrebbe solo per sé. Prima che tu me lo chieda Bennet NO, mio padre non la sta coprendo… lo conosco, e mi fido di lui, non mi mentirebbe.”
 
Erin incrociò le braccia al petto con aria risoluta, parlando con tono piuttosto fermo mentre scoccava un’occhiata eloquente in direzione dell’ex compagno di Casa, che sollevò entrambe le mani:
 
“Ok, va bene, mi fido. Non ci resta che capire QUALE sia questo modo. Tu non sei sai nulla?”
“No, niente, non ne ha mai fatto parola… del resto dubito che Cecily si sia mai fidata di me al 100%, sa che sono stato un Auror dopotutto. Ma è molto testarda e piuttosto diffidente con chiunque, dubito che potremmo riuscire ad estorcerle informazioni a riguardo se non ne ha parlato nemmeno con tuo padre, Erin.”
 
“E allora che si fa? Non possiamo aspettare certo in eterno, giusto? Sono passati due anni da quando la nostra squadra si è formata, ma ci sono Attivi che sono qui da anche più tempo. Hanno subito già a sufficienza questa mostruosità, sono ridotti a delle marionette nelle mani della donna che dice di averli aiutati quando invece li ha privati della loro memoria e della loro stessa identità.”
“Per non parlare delle loro famiglie, che nemmeno li ricordano.”
 
Nicholas si rabbuiò leggermente, pensando con un nodo allo stomaco ai suoi genitori che, negli ultimi anni, andava a trovare piuttosto di rado: era molto difficile guardarli e parlare con loro senza dirgli che avevano anche un’altra figlia. Era difficile vederli sorridere e vivere serenamente una bugia.
 
“So meglio di voi che tutto questo è sbagliato. Ma da quando sono arrivato qui il mio punto fisso è sempre stato questo, porre fine alla pagliacciata di Cecily DeWitt, nessuno la odia più di me. E questo vuol dire non solo sbatterla nelle aule del Wizengamot, vuol dire anche annullare quello che ha fatto a quei poveri ragazzi e alle loro famiglie.”
“Riportare i ricordi alle famiglie non sarà difficile, il problema sono gli Attivi.”
Erin sbuffò debolmente mentre invece Nicholas continuò a tenere gli occhi chiari fissi su Joseph, esitando per un attimo prima di parlare:
 
“Ha preso tua sorella, vero? Anni fa. Ho letto i registri, quelli che ormai nessuno riprende più in mano… c’è una Melanie Richardson che è stata portata qui e “annullata” dieci anni fa, quando la Dottoressa stava ancora facendo esperimenti.”
 
“Sì… era mia sorella.”
“Davvero? Che cosa le è successo?” 
 
Erin sgranò gli occhi chiari, sorpresa da quella rivelazione mentre l’ex Auror sospirò, passandosi una mano tra i capelli neri:
 
“Beh, è stata portata qui, non l’ho più vista da quando l’ho accompagnata a prendere il treno per concludere l’ultimo anno ad Hogwarts dopo Natale. Solo che, come ha detto Nicholas, erano i primi tentativi… Cecily DeWitt sarà anche una perfida, cinica stronza ma è molto intelligente, e brava in ciò che fa. Ma nessuno è così geniale da arrivare alla soluzione al primo tentativo, nemmeno lei. Ho avuto notizie di mia sorella solo tempo dopo, l’hanno trovata viva ma senza un briciolo di memoria, con il cervello irrimediabilmente rovinato, incapace di formulare frasi. E’ caduta poco dopo in coma vegetativo, il cervello non reggeva più.”
 
E poi ho dato il consenso per ucciderla
 
“Ecco perché sei qui… non ti ha mandato il Ministero, hai scelto tu. Per vendicare tua sorella.”
“E per capire se i miei dubbi erano fondati, al tempo non ero sicuro che fosse stata effettivamente manomessa dalla Dollhouse. Ma ho messo le mani sugli stessi registri di cui forse persino Cecily non rammenta l’esistenza e ho trovato il suo nome, come te Nicholas. Mia sorella è morta per colpa di questo posto, spero davvero che la tua abbia una sorte diversa.”
 
“Quindi che si fa? Aspettiamo in eterno? Cecily non ci darà mai se c’è o meno un modo per riportare gli Attivi come prima, non lo farebbe mai. E a trovarlo da soli potremmo metterci mesi, tiene sempre tutte le sue dannate cose sigillate con la magia o protette con centinaia di password.”
“Triste ma vero, Erin. No, non possiamo aspettare in eterno, prima o poi capirebbe cosa stiamo cercando di fare… Hai detto che Echo ha sentito la nostra conversazione ieri sera, no? Non possiamo permettere che ciò accada di nuovo. Io credo che sia arrivato il momento di fare concretamente qualcosa, posso scrivere al Dipartimento in ogni momento: questo posto è super protetto con la magia, trovarlo è difficilissimo, ma con una talpa all’interno per gli Auror non sarà un problema venire qui e prendere quella donna con la forza.”
 
“Quindi vorresti lasciar intervenire gli Auror ed estorcere alla Dottoressa il modo per far tornare gli Attivi normali solo in seguito?”
“Quello che sta facendo è decisamente illegale, le si potrebbe proporre un patteggiamento. E’ intelligente, accetterà. Il problema è che ha fatto firmare agli Attivi, così come a voi, diversi contratti: ha l’autorizzazione firmata da tutti loro per l’annullamento, ovviamente in quasi tutti i casi costretti con la Maledizione Imperius. Io stesso ho preso gran parte di loro e li ho trascinati qui con la forza quando stavano per tornare a casa con il treno, a quel punto la Dottoressa parlò con loro, gli spiegò cosa volesse fare, gli propose di sottoporsi all’operazione… ovviamente tutti rifiutarono, eccetto Seth, ma Cecily fa così, finge di chiederti il consenso quando in realtà ha già deciso. Ora, ha i contratti firmati, ma è comunque perseguibile legalmente: usare le Maledizioni senza Perdono è un reato, e fortunatamente abbiamo un testimone a riguardo di cui nessuno dubiterà.”
 
“Ovvero?”
“Me.”
 
*
 
Sorrise nel guardare il suo Patronus, un pappagallo. Non riuscì proprio a non pensare a sua madre, che era solita chiamarlo proprio così per la sua fluente parlantina.
Il settimo anno stava per finire ma non se ne faceva un crucio, sicuramente Hogwarts gli sarebbe mancata ma moriva anche dalla voglia di iniziare la sua nuova vita una volta terminata la scuola, di vivere la vita reale oltre il castello.
 
Gli occhi chiari del ragazzo si spostarono dal suo Patronus quando iniziò a sentirsi osservato, guardandosi intorno per averne la conferma.
In effetti c’era qualcuno che lo stava guardando, e anche quando i loro occhi s’incrociarono quella donna bionda non accennò a distogliere lo sguardo, studiando il Tassorosso con attenzione.
 
Era sicuro di averla già vista da qualche parte, forse proprio a scuola, ma non ricordava con chiarezza come si chiamasse. Eppure non riuscì a restare indifferente di fronte al suo sguardo, provando quasi una strana sensazione davanti a quegli inquisitori occhi chiari e piuttosto gelidi.
Una sensazione che non aveva proprio niente di piacevole.
 
*
 
Erin saliva le scale quasi due gradini alla volta, diretta in cucina per cerare i suoi “colleghi”: Alpha le aveva detto di cercare Isla, Rose, Hooland e Carter e di parlare con loro, spiegargli cosa stesse succedendo e avvisarli.
Quando lei gli aveva chiesto, di rimando, che cosa avrebbe dovuto fare se qualcuno di loro si fosse dimostrato “contrario” Alpha si era limitato a dirle di ricordare loro che avrebbero avuto delle conseguenze da affrontare in seguito se avessero deciso di appoggiare la DeWitt fino alla fine.
Il tutto mentre lui avrebbe scritto al suo amico Capo degli Auror e Nicholas avrebbe dovuto occuparsi degli Attivi della loro squadra: a sentire l’ex Auror gli Attivi avrebbero potuto reagire in qualunque modo di fronte ad una specie di invasione, e non era il caso che si ferissero attaccando gli Auror… così aveva dato al Guardiano una valigetta piena di siringhe e gli aveva semplicemente detto di “metterli a nanna” prima dell’arrivo dei suoi vecchi colleghi.
 
Entrando in cucina Erin sorrise con sollievo nel trovare tutti i compagni, affrettandosi a parlare:
 
“Scusate? Dovrei parlare con Isla, Rose, Carter e Hooland… ragazzi, potete lasciarci soli? Ho un paio di cose da dire da parte di Alpha.”
“Certo.”
 
Juliet annuì prima di scivolare dal suo sgabello, uscendo dalla cucina senza obbiettare insieme a November, seguite subito dopo da Quebec e Foxtrot. Echo invece esitò, scoccando un’occhiata piuttosto scettica alla sua Guardiana prima di uscire a sua volta dalla stanza, lasciando i Guardiani soli.
 
“Allora, che cosa vuole Alpha? Abbiamo un’operazione?”    Carter inarcò un sopracciglio, guardando la bionda chiudere la porta della stanza con gli occhi chiari carichi di curiosità, così come tutti gli altri.
“Diciamo che una è già in corso… statemi a sentire e aprite bene le orecchie, non so quanto tempo abbiamo.”
 
*
 
Mentre correva Echo sbuffò, scoccando un’occhiata torva in direzione della sua Guardiana, impegnata nella sua stessa operazione dopo essersi sfilata i tacchi:
“Dovevi proprio metterlo KO e far saltare la copertura, LaFont?”
“Non farmi la predica Echo, io me ne stavo seduta al bancone del bar a farmi gli affari miei come d’accordo mentre tu facevi il resto, dovevo solo controllarti a vista… Ma poi è arrivato il solito imbecille che si è messo a fare il simpaticone e ad allungare le mani. Non me ne sto certo con le mani in mano.”
 
Erin sbuffò, ripensando con irritazione al fastidioso tipo che aveva atterrato poco prima, abbandonando il suo Martini sul lucido bancone di mogano per saltare letteralmente sulle spalle del tipo e torcergli il collo usando le gambe come leva.
“L’ho visto… Ero a tanto così dallo scoprire il codice della cantina, complimenti.”
“Oh, insomma, che tragedia, non l’ho mica ammazzato!”
 
Echo roteò gli occhi, evitando accuratamente di replicare – non voleva certo fare la stessa fine di quel poveraccio – mentre uscivano dall’albergo. Senza dire niente Erin lo prese prontamente per un braccio per Smaterializzarsi insieme a lui, sparendo dal piazzale pieno di costose auto per poi ricomparire davanti alla Casa.
 
“Bene… ad Alpha lo dici tu, comunque.”
“Perché io? Sei tu l’Attivo, TU dovevi occupartene!”
“Sì, ma tu sei la mia Guardiana, dovevi assicurarti che portassi a termine il compito…”
“Bene, ce la giochiamo allora: testa parli tu, croce lo faccio io.”
 
*
 
Nicholas guardò la siringa che teneva tra le dita, ripensando alle parole di Alpha: a sentire il suo ex istruttore gli Attivi avrebbero semplicemente perso conoscenza per diverse ore, non rischiando così di intralciare l’intervento degli Auror nella Casa. Avrebbe dovuto addormentarli e poi portarli semplicemente nelle rispettive camere, facendoli sparire per un po’. Avrebbe voluto chiedere ad Alpha dove avesse trovato quella roba, ma forse le siringhe erano solo il risultato di un’accurata ispezione dei laboratori.
 
In fin dei conti, probabilmente nella loro testa quello che facevano non era nulla di esageratamente scorretto, non avevano idea che la Dottoressa avesse fatto rapire dei ragazzini appena diplomati, costretti a firmare un contratto e poi fatto un’operazione su di loro.
 
No, loro probabilmente vivevano sotto una campana di vetro.
 
Nicholas sospirò, ripetendosi che lo faceva per il loro bene mentre attraversava il corridoio praticamente deserto, guardando November camminare qualche metro davanti a lui:
 
“November?”
“Ah, ciao… Tu non partecipi alla “riunione”?”
“No, io… so già tutto.”
Nicholas si fermò davanti a lei, prendendola per un braccio per impedirle di allontanarsi:
 
Scusa, November.”
La ragazza lo guardò con espressione confusa, ma non ebbe il tempo di chiedergli di cosa stesse parlando: un attimo dopo sentì un ago perforarle la pelle del braccio.
 
“Nick, che cosa…”
“Non preoccuparti, andrà tutto bene. Ora chiudi gli occhi e basta.”
 
*
 
Quando un gufo dall’aria familiare aveva picchiettato alla sua finestra non aveva esitato ad aprirla, lasciando che il rapace entrasse nel suo ufficio per slacciare e leggere la lettera che teneva legata alla zampa.
 
Aveva riconosciuto subito la calligrafia ormai ben nota di Joseph… e un piccolo sorriso quasi vittorioso comparve sul volto del mago nel leggere delle righe che aveva atteso a lungo: il suo via libera, finalmente.
Richard si alzò, uscendo dall’ufficio senza smettere di sorridere prima di parlare a voce alta:
 
“Joanne, raduna gli altri… abbiamo una stronza da andare a trovare, finalmente.”
 
*
 
“Io sono d’accordo. Insomma, molti di loro erano miei amici. Quando sono arrivato qui non me ne rendevo conto, ma è tutto terribilmente sbagliato… e sono certo che la pensate così anche voi, alla fine.”
 
Alle parole di Hooland Rose annuì, esitando per un attimo prima di rivolgersi ad Erin:
“Ha ragione Hool. E’ la cosa giusta, che tornino com’erano prima.”
 
“Mi fa piacere sentirlo… al momento Nicholas li sta sedando, non preoccupatevi, è solo per tenerli lontani dai guai, lo farà anche con quelli della Charlie e della Bravo. Sono sicura che se decidete di aiutarci non dovrete pagare alcuna conseguenza, in fin dei conti possiamo essere considerati tutti “complici” della DeWitt, ma Alpha potrà benissimo togliervi dai guai. Se prendete la scelta giusta, ovviamente.”
 
Gli occhi verdi di Erin si soffermarono su Isla e Carter, che ancora non avevano proferito parola da quando lei aveva smesso di parlare.
Isla, che fino a quel momento si era limitata a fissare un punto indefinito del muro, si voltò finalmente verso di lei:
 
“Torneranno alla loro vera personalità? Riacquisteranno la memoria?”
“Beh, ci proveremo.”
Isla annuì leggermente, non potendo fare a meno di pensare a Foxtrot. Voleva davvero che le cose andasse così? Voleva davvero che ritornasse ad essere Cecil?
Certo, era giusto e lo sapeva, ma non lo voleva nemmeno perdere. Anche se forse doveva pensare nell’interesse del ragazzo e non nel suo.
 
“Ok. Ci sto. Carter?”
“Se è per il bene di Juliet… allora va bene.”
 
“Eccellente.”








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Angolo Autrice:

Buonasera! Eccomi qui anche con l'ultimo capitolo dedicato ad un personaggio preciso... Il prossimo "chiuderà il cerchio", diciamo, e poi ovviamente ci sarà l'Epilogo. 
Ci sentiamo presto, spero, con l'ultimo capitolo!

Signorina Granger 

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Capitolo 18
*** L'annullamento ***


Capitolo 16: L’annullamento


 
“Che cosa diamine credi di fare? Toglimi immediatamente le mani di dosso.”
“Onestamente, non credo che tu sia più nella posizione di dirmi che cosa fare, Cecily.”
 
Joseph continuò a camminare con falcate lunghe e decise, attraversando un corridoio che tante volte aveva percorso mentre teneva una mano stretta intorno al braccio sottile di Cecily, costringendola a seguirlo e ignorando deliberatamente i suoi tentativi di divincolarsi e le sue proteste.
La donna contorse la mascella, ripiangendo di non avere la sua bacchetta a portata di mano… no, gli Auror avevano pensato bene di prendergliela e ovviamente senza magia non poteva fare proprio niente, tantomeno non trattandosi di qualcuno che aveva il doppio della sua forza fisica.
 
“Dove accidenti mi stai portando, Alpha?”
“A questo punto gradirei che tu mi chiamassi Joseph. E comunque, dovresti saperlo, no? Questa è casa tua.”
 
Il tono gelido dell’uomo e il fatto che continuasse a parlare senza guardarla o senza smettere di camminare non contribuì a renderla più tranquilla, chiedendosi che cosa volesse.
Le aveva chiesto, poco prima, se ci fosse un modo per far tornare gli Attivi alla loro impronta cerebrale originaria… e lei ovviamente si era rifiutata di rispondere, al che lui l’aveva presa e trascinata praticamente di peso al piano di sopra.
 
Certo, sapeva dove si trovavano… in quella parte della casa c’erano i laboratori.
 
“Non vorrai mica…”
“Entra.”
 
Joseph aprì una porta, costringendola a seguirlo nella stanza mentre gli occhi chiari e quasi sempre freddi di Cecily si posavano immediatamente su un lettino reclinabile decisamente familiare, collegato ad una macchina.
“Che cosa vuoi fare, annullarmi il cervello?”
“Forse, se non ti decidi a parlare. Siediti, avanti.”
 
Senza tante cerimonie l’ex Auror la spinse sul lettino, piazzandosi davanti a lei e continuando a scrutarla con odio, le braccia conserte e la mascella contratta.
 
“Allora, Cecily. So che c’è un modo, dimmelo.”
“Scordatelo. Non mi priverò della soddisfazione di sapere che quei ragazzi non torneranno mai com’erano prima, che non avranno indietro la loro vita. Devo ammetterlo, hai vinto tu, ma non mi toglierai anche questo.”
“Lo capisci che ci sarà un lungo processo, vero? Lo capisci che tutto quello che hai fatto negli ultimi dieci anni va pesantemente contro qualunque legge, anche morale? Fossi in te io accetterei, Cecily, forse un patteggiamento ti farà comodo, magari potremmo ridurre la tua pena… Ti consiglio di non continuare a provocarmi, perché ho la sensazione che la mia parola sarà determinante, da qui in avanti.”
 
Cecily non si mosse né parlò, limitandosi a ricambiare lo sguardo dell’uomo quasi con sfida mentre Joseph, sporgendosi verso di lei, le afferrava il volto con una mano:
 
“Te lo chiedo ancora. Come?”
“Non puoi costringermi a parlare, Alpha.”
“Oh, beh, tu sei un’esperta, dico bene? Negli ultimi anni non hai fatto altro che costringere dei ragazzi a fare ciò che volevi in cambio di esorbitanti somme di denaro… ma neanche tutto il tuo cervello e i tuoi soldi ti tireranno fuori da questa storia, Dottoressa. E non sai quanto sarà bello per me vederti precipitare.”
 
“Perché? Perché tutto questo? Eri in combutta con gli Auror, certo… ma perché?”
“Perché? Evidentemente c’è qualcosa su di me che ti sei fatta sfuggire, Cecily.
 
“Io so un sacco di cose su di te, Joseph Richardson. Conosco il tuo nome, so che ad Hogwarts eri un Serpeverde, so che sei stato un Auror, diplomato a pieni voti in Accademia, oltre al lavoro sul campo ti occupavi anche dei ragazzini, che tenero da parte tua… So che sei stato sposato, so che hai una figlia di quattro anni e che tua moglie è morta di parto. Le informazioni su di te non mi sono mai mancate, Joseph.”
“Davvero? Mi spiace deluderti, ma anche tu hai commesso un errore. Ti sei fatta sfuggire l’unica informazione che hai sempre avuto sotto al naso. Ti dice niente il nome Melanie? Melanie Richardson? Era una ragazzina a cui hai rovinato il cervello dieci anni fa, ma forse la brillante Dottoressa non rammenta i nomi di quelle incuranti marionette che ha usato e poi buttato via quando ha capito che non le sarebbero state utili.”
 
La presa della mano dell’uomo sul volto della donna si strinse, e Joseph non riuscì a trattenere un sorriso carico di soddisfazione nel cogliere lo stupore balenare, per una volta, sul volto della Dottoressa che tanto odiava essere colta impreparata.
 
“Era tua sorella…”
“Già. E se l’ho persa è stato merito tuo, Dottoressa. Sono tre anni che aspetto di poterti dare il ben servito e sbatterti in un aula del Wizengamot. E non sai con che soddisfazione mi godrò lo spettacolo…”
“E ora che cosa vuoi fare, Joseph? Mi vuoi sottoporre al trattamento per ripicca?”
 
Cecily inarcò un sopracciglio, continuando a parlare con quel tono supponente e l’espressione carica di sfida che Joseph aveva tanto imparato a conoscere e ad odiare nel corso degli ultimi anni. Ma non perse la calma, come sicuramente lei voleva, si limitò a sfoggiare un piccolo sorriso, sollevando le sopracciglia con teatralità:
 
“L’annullamento? Oh, no, per niente. Voglio che il tuo prezioso cervello rimanga intatto, voglio che tu non dimentichi mai gli ultimi anni, quello che hai fatto a tutti quei ragazzi e alle loro famiglie. Voglio che mai tu possa dimenticare la mia faccia, la persona che ha mandato a monte la tua preziosa messa in scena, a cui hai tanto lavorato. Ora non vuoi parlare? Lo farai. Io non sono un mostro come te, non rovino il cervello delle persone… ma farò personalmente in modo che questa macchina venga polverizzata, e allora, finalmente, il tuo giochetto finirà.”
 
*
 
Joseph Richardson mantenne la promessa fatta: pochi giorni dopo tutti gli Attivi della Dollhouse vennero trasferiti al San Mungo, tenuti sotto costante osservazione mentre i Medimaghi facevano esami su esami, cercando di capire come riportare il loro cervello allo stato originario.
Tutti i Guardiani e i collaboratori di Cecily DeWitt vennero interrogati a lungo dagli Auror nei giorni che seguirono, alcuni riuscirono a sfuggire alle accuse grazie alle parole dello stesso ex Auror: tutti i Guardiani della sua squadra più Charles LaFont.
 
Alla richiesta di riprendere il suo lavoro al Dipartimento Joseph accettò senza esitazioni, chiedendo in cambio al vecchio amico Richard solo una cosa: voleva vedere Cecily DeWitt affondare, insieme a tutti i clienti che aveva accumulato nel corso degli anni, i cui nomi vennero divulgati quando gli Auror misero le mani sul computer della donna.
Come aveva previsto, prima dell’inizio del processo le venne proposto di patteggiare… grazie al suo denaro la donna era riuscita a procurarsi degli ottimi avvocati e questi le consigliarono vivamente di accettare: infondo ormai la Dollhouse era finita, che cosa aveva da perdere?
 
Eppure, sembrava ancora restia a parlare.
 
 
“E’ testarda, ma forse insistendo cederà. Avete rintracciato le loro famiglie, intanto?”
“Sì… vuoi che procediamo con il ripristino della memoria? Meritano di ricordare dei loro figli.”
“Ovviamente… ma è meglio aspettare che gli Attivi abbiano i loro ricordi. Non vorrei che delle famiglie iniziassero a cercare strenuamente dei ragazzi che non le ricordano.”
 
*
 
“Posso vederlo?” Quando il medimago annui Isla fece lo stesso, aprendo lentamente la porta della stanza che era stata destinata a Foxtrot, Quebec ed Echo da quando erano stati trasferiti al San Mungo. Non c’erano stati ancora miglioramenti con gli esami e anche se odiava ammetterlo ne era quasi felice.
Almeno poteva godersi il suo Foxtrot ancora per un po’.
 
“Fox? Posso entrare?”
“Isla! Certo… è bello vederti.”
 
Un sorriso sincero increspò il bel volto del ragazzo, che la strinse in un abbraccio non appena gli fu abbastanza vicino. L’americana si sforzò di rispondere al sorriso, sedendo sul letto del ragazzo, di fronte a lui.
“Come stai?”
“Non lo so, continuano ad imbottigliarci di farmaci… e ho il braccio più perforato di quello di un drogato, ormai. Mi dici che cosa sta succedendo? Noi non ci capiamo più niente.”
“Lo so, mi dispiace… spero che presto le cose cambino, ma per ora dovete restare qui. Devono… assicurarsi che stiate bene.”
 
Isla abbassò lo sguardo, incapace di guardarlo in faccia senza dirgli la verità mentre la mano di Foxtrot, appoggiata sul materasso del letto, si avvicinava alla sua, sfiorandola.
 
“Io sto benissimo, e anche gli altri. Solo vorremmo sapere cosa sta succedendo.”
“Mi dispiace, vorrei parlartene, ma non posso dirti come molto. Forse presto ti sarà tutto più chiaro, se le cose andranno come devono andare.”
 
“Mi basta che tu continui a passare a salutarmi di tanto in tanto, passerotto. Un po’ mi manchi dopo aver passato due anni sempre insieme.”
 
Foxtrot sorrise, mettendole una mano sul viso e sporgendosi per baciarla. Tuttavia Isla si scostò, affrettandosi a scivolare dal lettino del ragazzo:
“Scusa, devo andare adesso. Echo e Quebec dovrebbero tornare presto, stanno facendo degli esami.”
 
Colse lo sguardo confuso del ragazzo ma non gli diede il tempo di parlare, girando sui tacchi e quasi scappando fuori dalla stanza.
 
*
 
E poi, alla fine, ci erano riusciti. Dopo che tutti i progetti, i macchinari e gli intrugli trovati nella Casa erano stati confiscati ed esaminati e nel caso dei primi due distrutti Cecily DeWitt aveva accettato di parlare faccia a faccia con Joseph Richardson, per la prima volta da quando il processo era iniziato.
 
L’Auror guardò la donna entrare nella stanza e si stupì nel trovarla diversa da come l’aveva sempre vista, i capelli non più così in ordine e senza i suoi costosi abiti addosso o un paio di Louboutin.
La guardò prendere posto di fronte a lui senza battere ciglio, aspettando che fosse lei la prima a parlare… ma Cecily non lo fece, forse non volle dargli quella soddisfazione perché si limitò a ricambiare il suo sguardo, osservando con gli enigmatici occhi grigio-azzurri.
 
“Dottoressa, ho sentito che volevi vedermi… Posso ancora chiamarti “Dottoressa”? Sei stata radiata dall’albo, se non sbaglio.”
“Sì, e lo sai benissimo, ma ciononostante per te rimango ancora Dottoressa.”
 
Il suo tono acido non lo scalfì minimamente, limitandosi a sorriderle con soddisfazione crescente.
“Come ti pare. Comunque… hai finalmente deciso di darmi ascolto e di patteggiare, Cecily? Perché penso che tu sia troppo intelligente per decidere di non farlo solo per mero orgoglio.”
 
Dopo un attimo di esitazione, quasi come se stesse prendendo definitivamente quella decisione, Cecily annuì, parlando con tono pacato:
“Hai ragione, probabilmente sono troppo intelligente. Ti dirò come fare Richardson, ma IO non posso e non farò niente.”
“Che cosa vuoi dire? Se è l’ennesimo giochetto…”
“Nessun giochetto, sono serissima. Posso dire come fare, ma io in prima persona non muoverò un dito… dovranno essere i loro Guardiani a farlo, a DECIDERE, se farlo o meno. Ricordi tutti quei contratti? Su una cosa hai sempre avuto ragione, non sono una sprovveduta… Gli Attivi sono affidati ai loro Guardiani in tutto e per tutto, saranno loro a farlo, non è niente di troppo complicato… devi solo far recuperare un paio di cose dalla Casa, sperando che non abbiate distrutto tutto il contenuto dei laboratori.”
 
Cecily sfoggiò un piccolo sorriso e Joseph contorse la mascella, sperando la stessa cosa.
“Bene. Firma qui, allora… e spiegami questa storia per filo e per segno, riferirò personalmente ai ragazzi quando li vedrò.”
 
*
 
Nicholas Bennet si chiuse la porta alle spalle, indirizzando un lieve sorriso alla ragazza bionda che era seduta su una delle quattro sedie inchiodate alla parete del corridoio.
“Ciao… Tu hai già “finito”?”
“Sì. Non ho esitato neanche per un momento, ma temo che lo stesso non si potrà dire di qualcun altro… Quanto a te, non ti ho mai visto sorridere così.”
 
Erin inclinò le labbra in un lieve sorriso mentre Nicholas annuì, avvicinandosi all’ex compagna di Casa e collega per sedersi accanto a lei, appoggiando il capo contro il muro:
“No, per me non è stato molto difficile. Certo, mi ero davvero affezionato a November… ma è giusto che riabbia indietro la sua vita. La pozione che abbiamo iniettato ridarà loro tutti i ricordi che sono stati resettati, l’ippocampo si aggiusterà. Ma Joseph ha detto che non perderanno i ricordi degli ultimi due anni.”
“Lo so, e ne sono felice… Quando ho avuto quella siringa tra le mani non ho avuto nessuna esitazione con Echo, ma non posso fare a meno di chiedermi… Tu la conoscevi forse meglio di chiunque. Pensi che le piacerò ancora?”
Nicholas sorrise, annuendo quasi intenerito dal tono vagamente preoccupato e malinconico della bionda:
 
“Sì, penso di sì. Sappiamo entrambi che sei molto di più di una bella faccia e due gambe lunghe che indossano abiti striminziti, Erin. Tuo padre è stato lasciato andare, spero.”
“Gli hanno fatto qualche domanda, nulla di più per fortuna… ora mi chiedo solo che cosa faremo. Tu, immagino, tornerai sulla strada da Auror, ma io non so proprio cosa farò.”
“Sono sicuro che troverai la tua strada Erin, come tutti noi. Ora spero solo di poter abbracciare presto mia sorella… Quanto tempo ci vorrà perché faccia effetto?”
“Un paio d’ore, credo. Quando si sveglieranno dovrebbero ricordarsi tutto… e anche la loro vecchia personalità dovrebbe ricostruirsi, progressivamente.”
 
Erin si strinse nelle spalle e Nicholas annuì mentre un’altra delle porte si apriva per poi richiudersi subito dopo, permettendo ad una Rose piuttosto allegra di avvicinarsi al duo.
“Ciao… avete già fatto?”
“Sì. Tu hai avuto problemi?”
“No, Seth era un bravo ragazzo, sono felice che stia per “tornare”. Isla mi preoccupa, però.”
 
“E anche Halon era parecchio scosso, stamattina. Oh, ciao Magnus.”
Un Hooland pimpante raggiunse il trio, mettendo un braccio sulle spalle di Rose per poi chinarsi e lasciarle un bacio sulla tempia, sorridendo:
“Non vedo l’ora di abbracciare Ginger! E Seth, ovviamente… e Julian.”
“Mi manca tantissimo.”
 
Rose annuì con un piccolo sorriso, pensando con affetto al suo vecchio amico, che ormai non “vedeva” da anni. Certo, tecnicamente non si erano mai persi di vista, se non per le prime settimane, ma non era stata certo la stessa cosa.
 
“Anche a me, come di certo a Nick mancherà sua sorella… Isla e Carter sono ancora dentro?”
“Già… immagino che per loro sia più difficile.”
 
*
 
Era immobile, seduta su una sedia accanto al lettino dove lo avevano sistemato, gli occhi scuri incapaci di staccarsi dal suo volto rilassato mentre teneva la siringa stretta in mano.
Non era difficile, doveva solo iniettargli quella pozione… perché era lì da dieci minuti senza riuscire a farlo?
 
Isla Robertson non era mai stata indecisa, o titubante. Isla Robertson sapeva sempre quello che voleva, se faceva qualcosa era perché ne era sicura, sempre.
Isla non indugiava, non aveva ripensamenti.
O almeno, questo prima di entrare nella Dollhouse, prima di diventare una Guardiana, prima di conoscere Foxtrot, prima di innamorarsi di lui.
               
“Io te l’avevo detto.”
La sua voce ruppe il silenzio tombale della stanza e, ne era consapevole, risuonò rotta e incrinata mentre continuava a ripetersi di non piangere.
“Te l’avevo detto, che non era una buona idea… sono la tua Guardiana, no? Perché ho deciso di darti ascolto quel giorno?”
 
L’americana sospirò, deglutendo a fatica mentre si sporgeva leggermente, sfiorando il volto del ragazzo profondamente addormentato con le dita.
 
“Lo so che è giusto così… Hai una famiglia che ti aspetta da tempo, anche se ancora non lo sa. Nessuno dovrebbe perdere la memoria, nessuno dovrebbe perdere la propria famiglia e la propria identità, ma mi rendi davvero difficile fare la cosa giusta questa volta.”
 
Lo conosceva da più di due anni… conosceva così bene quel ragazzo, il suo Fox pasticcione. Sapeva sempre cosa pensava anche solo guardandolo, e non solo grazie alle sue abilità di Legilimens. Sapeva che cosa faceva quando era nervoso o felice, conosceva la sua risata e sapeva persino che cosa gli piaceva mangiare.
 
Lo conosceva davvero bene, ma all’improvviso sentiva di avere davanti un estraneo. Perché, in fin dei conti, lei conosceva Foxtrot, non Cecil. Non aveva idea di chi fosse.
Sarebbe riuscita a guardarlo in faccia, guardare quello stesso sorriso, senza però riconoscerlo?
Sarebbe riuscita a guardarlo e a leggere i suoi pensieri? Forse non avrebbe retto rendendosi conto che lui, Cecil, non era minimamente attratto da lei.
 
“Non so chi tu sia… ma ti auguro buona vita, Cecil Krueger. Quanto a te, mio caro Fox… credo proprio che mi mancherai moltissimo.”
Isla si sporse, lasciando un lieve bacio sulle labbra del ragazzo mentre avvicinava la punta della siringa al collo di quello che, al suo risveglio, non sarebbe più stato Foxtrot bensì Cecil.
Gli iniettò quel maledetto intruglio con un gesto secco, deciso, certa che se avrebbe esitato avrebbe potuto non riuscire a farlo fino in fondo.
Poi si alzò, allontanandosi dal letto per raggiungere la porta chiusa e gettare la siringa vuota nel cestino. Si voltò solo una volta prima di uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle, lanciandogli un’ultima, fugace occhiata prima di andarsene.
 
*
 
“Ho sentito che stai avendo qualche remora.”
“Che cosa ci fa qui?”
Carter parlò senza nemmeno staccare gli occhi dal volto di Juliet, continuando a studiare quei bei lineamenti che lo avevano lasciato incantato fin dal primo momento. Quasi come se volesse imprimerli nella sua testa.
Non si voltò sentendo la familiare voce vagamente melliflua della Dottoressa, sentendo i suoi passi prima che la donna si avvicinasse al lettino, osservando la sua “creatura”.
“Beh, sono venuta a scambiare un paio di parole con uno dei miei ex dipendenti, non credo sia ancora classificabile come reato… mi hanno permesso di fare un giretto qui, controllare che tutti voi facciate il vostro dovere nel modo corretto. Sai, non sei costretto a farlo.”
 
“Lo so. Ma lo devo fare.”
Carter serrò la mascella, sibilando quelle parole a denti stretti e quasi con fatica, mentre il suo buon senso e la sua coscienza combattevano contro i suoi stessi sentimenti, razionalità contro emotività, testa contro cuore.
 
“Immagino che moralmente dovresti, sì… Ma sappiamo entrambi che sei innamorato di lei, no? Ti sei innamorato di un’Attiva Carter, e non una qualunque… la TUA. Te l’ho detto, non è stata una grande idea.”
“Crede che sia divertente per me questa situazione? No, non lo è affatto. Crede che abbia scelto, che sia felice? Forse se non mi fossi innamorato di lei sarebbe tutto molto più facile adesso.”
 
“Senza dubbio lo sarebbe, i tuoi colleghi sono tutti qui fuori, hanno già fatto… Ho incrociato Isla in effetti, è uscita dalla stanza di Foxtrot quasi di corsa, credo avesse gli occhi lucidi. Forse teneva al suo Attivo più di quanto non pensassimo, come te.”
 
Carter non rispose, continuando a rigirarsi la siringa tra le dita mentre Cecily si spostava, facendo il giro del lettino per poterlo guardare direttamente in faccia. Sentì i suoi penetranti occhi chiari studiarlo ma si sforzò di non guardarla, continuando a concentrarsi su Juliet finché non sentì di nuovo la sua voce parlare in poco più di un sussurro:
 
“So a cosa stai pensando, Carter.”
“No, non lo sa. Da quello che ha fatto per anni, non credo che ci sia un briciolo di amore verso il prossimo in lei.”
“Le persone che hanno potuto dire di conoscermi sono davvero poche Carter, non fare insinuazioni se non ti sei prima informato… è un consiglio che voglio darti. Non sono una Legilimens, ma ti assicuro che SO a cosa stai pensando in questo momento, so perché ancora non le hai permesso di tornare a quella che era un tempo.”
 
Carter non rispose, assolutamente certo che la donna non stesse mentendo e che avesse intuito benissimo ciò che lo tormentava ormai da giorni, da quando gli Auror avevano fatto irruzione nella Casa.
“Juliet prova davvero qualcosa per te, Carter.”
 
“Davvero lo pensa?”
“Sono le mie creature, Carter… esistono grazie a me. La ragazza per cui tu faresti di tutto esiste grazie a ME. Forse questo è stato un grande errore da parte mia… Li ho resi troppo umani. Non erano delle bambole, non abbastanza, con il tempo hanno iniziato a provare sentimenti sempre più forti per chi li circondava. Non sono riuscita a disumanizzarli abbastanza.”
“Non sono animali da vendere all’asta, ma lei li ha sempre trattati così… glie l’ho già detto una volta.”
 
“Beh, ormai le cose sono andate così… Juliet, così come tutti gli altri, era in grado di provare sentimenti. E so per certo che tu non le eri indifferente, Halon. No, Juliet ti ama davvero… Ma la domanda che ti stai ponendo con insistenza è: Kate sarà in grado di fare altrettanto? Inoltre, mi chiedo se TU per primo saresti in grado di continuare a starle vicino… Tu non conosci Kate Bennet, ma io ne so abbastanza per dirti che sono due persone diverse. Riusciresti a stare accanto ad una persona che ha lo stesso aspetto di quella che ami, ma che non è lei?”
 
“Vada via. Esca.”
 
Carter scattò in piedi, facendole cenno di uscire mentre Cecily sorrideva, annuendo e allontanandosi dalla sua Attiva:
 
“Come preferisci Carter… è stato bello fare due chiacchiere con te, eri uno dei miei preferiti. Immagino che ci vedremo in aula quando testimonierai.”
Il ragazzo la guardò uscire dalla stanza, raggiungendo l’Auror che l’aspettava fuori dalla porta per tenerla d’occhio, per poi rivolgersi di nuovo a Juliet, sospirando mentre sedeva sul letto, accanto a lei.
Allungò una mano per sfiorarle i capelli, sforzandosi di non continuare a sentire le fastidiose parole della DeWitt che gli rimbombavano nella mente. Infondo sapeva che aveva ragione, non riusciva a smettere di pensarci e a chiedersi quelle medesime cose.
 
“Sono stato proprio un idiota, vero? Ha ragione lei, è stata una pessima idea. Non pensavo che sarebbe mai arrivato questo giorno, egoisticamente, lo ammetto. Possibile che debba avere quel tono supponente di chi sa di aver ragione anche adesso?”
 
Il ragazzo sbuffò leggermente, quasi sperando che la ragazza aprisse gli occhi e gli rispondesse, per prendere in giro la DeWitt insieme a lui.
Ma non sarebbe successo, lo sapeva. No, quando avrebbe aperto gli occhi non ci sarebbe più stata traccia di Juliet, ci sarebbe stata soltanto Kate… e probabilmente era giusto così, anche se non gli piaceva pensarlo.
 
La Dottoressa aveva ragione, ancora una volta: non solo si chiedeva se Kate sarebbe riuscita a provare qualcosa per lui come aveva fatto Juliet… lui stesso sarebbe riuscito ad amare una persona diversa ma che continuasse a ricordargli dolorosamente lei?
 
Ci pensava da giorni, ma non era comunque riuscito a trovare una risposta.
 
Carter si avvicinò leggermente alla ragazza, rivolgendole un ultimo, debole sorriso prima di decidersi e infilarle lago alla base del collo, iniettandole il filtro che avevano trovato nella considerevole scorta della DeWitt.
Solo quando il liquido violaceo si esaurì nella siringa il ragazzo estrasse l’ago, sporgendosi verso di lei per lasciarle un ultimo bacio su una guancia:
“Non mi dimenticherò facilmente di te, Juls.”
 Poi Carter si alzò e uscì dalla stanza, senza voltarsi indietro.
 
*
 
Aprì gli occhi pigramente, sentendosi piuttosto intorpidita, quasi dolorante come se non si fosse mossa per un lungo lasso di tempo.
Si mise lentamente a sedere, sfiorandosi la testa che le girava leggermente con le dita mentre si guardava intorno, confusa.
Dov’era?
 
Poi tutto iniziò ad esserle i chiaro, i nodi si sciolsero e un fiume di volti, nomi, ricordi, parole, conversazioni e immagini le invasero la mente, ripensando a tutto quello che era successo negli ultimi due anni… Il treno che non aveva mai preso, Alpha, poi il buio, si era svegliata in una stanza buia insieme a Kate, Cecil e altri loro compagni di scuola… accolti da una donna bionda, la Dottoressa, che aveva parlato loro di un’assurda operazione. Aveva rifiutato, sì… ma ricordava comunque di aver firmato, di aver dato il suo consenso.
Li aveva raggirati con la magia, ovviamente.
 
E poi la sua famiglia. I suoi fratelli, i suoi genitori… Kate, Cecil. Come si chiama?
Keller. Il suo nome era Keller Reynolds.
Per la prima volta dopo due anni ricordava tutto quanto… non aveva alcun vuoto di memoria, ricordava benissimo anche i due anni passati alla Dollhouse. Alpha, Nicholas… Kate che era diventata Juliet, Cecil che era diventato Foxtrot.
 
Scivolò lentamente giù dal lettino, barcollando leggermente mentre si avvicinava alla porta chiusa della stanza, camminando a piedi nudi sul freddo pavimento liscissimo.
Aprì leggermente l’anta e subito un mare di voci, tutte familiari, giunsero alle sue orecchie.
 
Sentì una specie di grido strozzato e poi vide Rose Williams quasi correre verso qualcuno alle sue spalle, qualcuno che voltandosi scoprì essere Julian Jones… o Echo, certo.
“Rose?”
“Sei davvero tu… Julian!”
 
Keller sorrise leggermente mentre i due amici si abbracciavano, lui sorridendo e lei praticamente in lacrime. E poi ovviamente vennero raggiunsi da Hooland, che coinvolse i due in un abbraccio collettivo borbottando all’amico che era felice di vederlo ma che se pensava di fregargli la ragazza si sbagliava di grosso.
 
Gli occhi di November vagarono sui restanti presenti, cercando qualcuno di preciso con lo sguardo. Intercettò quello di Nicholas, che le sorrise e accennò con il capo verso una porta che si stava aprendo, proprio accanto a lei.
Un sorriso incurvò le labbra della Corvonero nel trovarsi davanti a quello che per anni era stato uno dei suoi migliori amici, abbracciandolo quasi senza pensarci.
 
“Ciao, Keller. Mi sei mancata, credo.”
“Anche tu mi sei mancato Cecil… Kate?”
 
Entrambi si voltarono verso Erin e Nicholas, ma il ragazzo scosse il capo:
“Non è ancora uscita.”
 
“Non vedo l’ora di abbracciarla… siamo sempre state insieme ma è come se non la vedessi da anni, è strano.”
“Oh, credimi Keller… lo so.”
 
Nicholas sfoggiò un lieve sorriso, quasi divertito dalle parole della sua ex Attiva mentre invece Cecil, senza smettere di sorridere, faceva scivolare le braccia dal corpo dell’amica, guardandosi intorno con un velo di impazienza mentre scioglieva l’abbraccio:
 
“Isla dov’è? Non viene a salutare proprio adesso?”
 
Nicholas ed Erin si scambiarono un’occhiata incerta, prima che la bionda si schiarisse leggermente la voce:
 
“Beh, a dire la verità Foxt… Cecil. A dire la verità, Isla non c’è.”
“Come sarebbe a dire che non c’è?”
 
“Beh… è andata via un paio d’ore fa. E’ uscita dalla tua stanza ed è praticamente corsa via, ho provato a parlarle ma ha detto che voleva andarsene prima che vi svegliaste. Mi dispiace, Cecil…”
 
Il Corvonero si voltò verso Rose, che aveva appena parlato e lo guardava con gli occhi azzurri sinceramente dispiaciuti:
“Sai dov’è andata?”
“Ha detto che visto che ormai questa storia è finita… beh, ha detto che niente la legava all’Inghilterra e che voleva tornare dalla sua famiglia in America.”
“IN AMERICA? Non può andare in America… merda!”
 
Cecil sbuffò prima di allontanarsi in fretta e furia, quasi correndo via e ignorando i richiami dei compagni:
“Aspetta, vi devono visitare!”
“Lascia perdere Rose, tornerà… dici che prova ancora qualcosa per lei?”
“Non lo so, ma spero davvero di sì. Fox ti mancherà?”
“Molto… ma almeno ho ritrovato Julian. Nanetto, mi sei mancato!”
 
Hooland sorrise, allegro come un bambino la mattina di Natale mentre afferrava Julian con un braccio e iniziava a grattargli energicamente la testa con una mano come aveva fatto per anni, ignorandole le sue lamentele:
“Smettila Hool! La mia altezza è perfettamente nella media, sei TU che sei un gigante!”
 
 
“Quello sarebbe Julian? Mi ci vorrà un po’ per abituarmi al cambiamento, credo…”
Erin inarcò un sopracciglio mentre teneva gli occhi fissi su Julian, parlando con tono dubbioso mentre Nicholas, in piedi accanto a lei, sorrideva.
Il ragazzo fece anche per risponderle ma si bloccò sul nascere quando si sentì chiamare da una voce flebile, ma senza dubbio impossibile da non riconoscere:
 
Nick?”
 
Il ragazzo si voltò, mentre il silenzio era calato sul piccolo gruppo nel corridoio del San Mungo.
Nicholas Bennet si voltò e, per la prima volta dopo quasi tre anni, ebbe la certezza di avere di fronte sua sorella. Non una ragazza che aveva il suo aspetto e basta, sua sorella Kate.
 
“Katie…”
Nicholas sorrise quasi senza accorgersene, muovendo istintivamente qualche passo verso di lei mentre la ragazza ricambiava il sorriso, avvicinandoglisi quasi di corsa per gettargli le braccia al collo, gli occhi lucidi.
“Mi sei mancato, fratellone…”
“E’ bello poterti abbracciare, finalmente… Non immagini quanto sia stato difficile aspettare tanto.”
 
Nicholas sorrise, lasciandole un bacio tra i capelli mentre la stringeva a sé con decisione, quasi temendo inconsciamente che qualcuno potesse portagliela via di nuovo.
Ma sicuramente non l’avrebbe più permesso, non l’avrebbe più lasciata andare.
 
La ragazza sciolse l’abbraccio per poterlo guardare in faccia, sorridendogli con gli occhi verdi colmi d’affetto, di gioia e probabilmente anche di un sacco di altre cose a cui sul momento il ragazzo non badò.
“Carter non c’è? Vorrei parlargli…”
“E’ andato via, ma sono sicuro che lo vedrai presto.”
Juliet annuì, sorridendogli e Nick si limitò a ricambiare il sorriso prima che la sorella minore si voltasse, rivolgendo la sua attenzione alla sua vecchia migliore amica per abbracciare anche lei.
 
Ginevra, Julian, Keller, Cecil, sua sorella… si erano tutti svegliati, ad attenderli persone che avevano aspettato di poterli riabbracciare per anni.
Ormai, mancava solo uno tra gli Attivi della loro squadra.
 
Kate era impegnata a parlare con Keller, sorriderle, chiederle dove fosse Cecil… non si accorse minimamente del ragazzo piuttosto alto che aveva appena fatto la sua comparsa nel corridoio, gli occhi eterocromatici leggermente vacui che vagarono sui vecchi compagni di scuola come se stesse cercando qualcuno in particolare. E si soffermarono inevitabilmente su di lei, anche se gli dava le spalle.
Nicholas lo guardò senza osare dire niente, chiedendosi come si sarebbe comportato con sua sorella… come tutti i presenti sapevano erano stati insieme durante l’ultimo anno di scuola.
Ma da quel che aveva capito Seth era stato l’unico a sottoporsi all’annullamento senza subire la Maledizione Imperius… lo aveva fatto spontaneamente e molto probabilmente Kate lo sapeva, lo ricordava.
Non era sicuro che avrebbe reagito bene… e poi c’era da considerare Carter, che come Isla non c’era e se n’era andato da un paio d’ore.
 
“Kate.”
La ragazza smise di parlare con Keller, esitando prima di voltarsi verso la fonte della voce.
Seth le rivolse un lieve sorriso ma l’ex fidanzata non ricambiò, limitandosi ad osservarlo:
 
“Ciao Seth.”
 
Keller si rivolse a Nicholas, consigliandogli con un cenno del capo di togliere il disturbo:
Lasciamoli da soli.”
Con un mormorio l’ex Corvonero lo prese per un braccio, allontanandolo mentre Erin annuiva, imitandoli e suggerendo a voce alta di andare a cercare Cecil, rivolgendo un inequivocabile cenno in direzione di Hooland, Rose e Julian.
 
Hooland non sembrò particolarmente felice di doversene andare, forse avrebbe voluto salutare l’amico appena ritrovato o ancor meglio assistere alla conversazione tra lui e Kate… ma l’occhiata piuttosto eloquente di Rose lo convinse a lasciar perdere, allontanandosi di malavoglia insieme a lei, Julian e gli altri.
 
Quando rimasero finalmente soli Seth sorrise, avvicinandosi alla ragazza e sollevando una mano per sfiorarle il volto:
 
“E’ bello vederti… E’ come se mi fossi svegliato da un lunghissimo sogno, ma credo che tu mi sia mancata comunque.”
La ragazza si ritrasse, continuando a non rispondere al suo sorriso e limitandosi a ricambiare il suo sguardo, osservandolo con attenzione.
Di fronte a quel gesto Seth esitò, sospirando prima di abbassare lentamente la mano: era comprensibile, dopotutto… non poteva aspettarsi che lei lo accogliesse a braccia aperte.
“Kate, lo so che…”
“Che cosa, Seth? Che cosa sai? So per certo che SAPEVI quello che voleva farci la DeWitt, dell’annullamento… ora a cosa ti riferisci?”
“Kate, te lo giuro, non avevo idea che volesse farlo a TE. Avevo solo… preso la sua offerta in considerazione. Volevo parlartene, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo, non sapevo quando farlo…”
“QUANDO? Forse la sera prima di andarcene da Hogwarts sarebbe stato un buon momento, non pensi? Quando ti ho detto “Seth, voglio perdere la verginità con te stasera”, forse avresti dovuto rispondermi “Ok, prima però dovresti sapere che da domani sparirò nel nulla”. Forse invece di dirmi che mi amavi e illudermi avresti dovuto dirmi QUESTO. Dimmi Seth, che cosa sarebbe successo se la DeWitt non avesse incluso anche me nel suo progetto? Avrei passato settimane, mesi a disperarmi perché eri sparito nel nulla, a cercarti? Tu lo sapevi. Dovevi parlarmene.”
 
“Lo so, mi dispiace… se potessi tornare indietro lo farei. Ma non avrebbe cambiato le cose, mi avrebbe costretto anche contro la mia volontà, come ha fatto con te e gli altri.”
Non è questo il punto!”
 
Il tono di voce di Kate si alzò di un’ottava e Seth rimase in perfetto silenzio, non sapendo cosa dire mentre la guardava, morendo dalla voglia di abbracciarla e baciarla ma sapendo che in quel momento lei lo avrebbe preso a pugni, probabilmente.
 
“A prescindere da ciò che sarebbe successo… Dovevi dirmelo. Dicevi che ero “l’unica cosa bella che ti fosse capitata in quell’anno”, ma forse non ti rendevo felice a sufficienza.”
“Non è questo, lo pensavo davvero… lo penso anche ora. Sei stata una boccata d’aria dopo mesi di apnea, Kate. Ti prego, cerca di capire, è stato un anno molto difficile per me, volevo dimenticare quello che era successo… anche se voleva dire dimenticare anche te. Quando mi sono svegliato in quella stanza, insieme a voi, e ti ho vista… non lo so, da una parte volevo dirti di scappare e dall’altra ero quasi felice, almeno non avresti passato la pena di cercarmi e aspettare un mio ritorno.”
 
Kate non disse niente, evitando di guardarlo in faccia mentre Seth le sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, continuando a tenere gli occhi fissi su di lei:
“Kate… Quella sera ti ho detto che ti amavo. Ti amo anche adesso, non è cambiato niente.”
“Sì invece. Sono cambiate molte cose, temo.”
 
La ragazza fece un passo indietro, allontanandosi leggermente da lui mentre scuoteva il capo. Seth sentì una specie di incudine affondare nel suo stomaco mentre deglutiva, parlando con un tono fin troppo calmo:
“Ha a che fare con Carter?”
“Forse… anche. Ma a prescindere da Carter, credo di aver bisogno di un po’ di tempo. Scusami, vado a cercare Cecil, voglio salutarlo.”
 
Prima di dargli il tempo di ribattere Kate girò sui tacchi, allontanandosi rapidamente per raggiungere il fratello e gli amici.
Seth non ebbe il coraggio di fermarla, guardandola allontanarsi senza muovere un passo per raggiungerla.
Aveva ragione, aveva sbagliato a non dirle nulla, a pensare di poter scappare dalla sua stessa vita senza che ci fossero conseguenze… però non sopportava affatto l’idea di perderla di nuovo.
 
 
 
                  
 
 

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Angolo Autrice:

Buonasera!
Eccomi a tempo di record anche con questo capitolo, spero davvero che vi sia piaciuto.
Ora l'unico interrogativo che vi resta è... che ne sarà delle coppie? Ovviamente avrete la risposta nell'Epilogo, che dovrebbe arrivare tra un paio di giorni. 
A presto con l'ultimo capitolo!

Signorina Granger 

 

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Capitolo 19
*** Epilogo ***


Dollhouse



Epilogo


 
Chiuse lo sportello del taxi che l’aveva accompagnata da Londra a casa sua con le mani quasi tremanti, osservando l’edificio che le stava davanti quasi stentando a credere di essere arrivata.
Non vedeva quel posto dalle vacanze di natale dell’ultimo anno di scuola… erano passati più di due anni.
 
Keller deglutì, muovendo qualche passo avanti per raggiungere il vialetto di ghiaia che l’avrebbe portata dritta alla porta d’ingresso, chiedendosi come sarebbe stato rivedere e riabbracciare la sua famiglia, i suoi genitori e i suoi fratelli.
La risposta non tardò ad arrivare, visto che non era nemmeno arrivata alla cassetta della posta quando la porta d’ingresso si spalancò e una donna decisamente familiare comparve nella sua visuale, sorridendole:
 
“Keller!”
“Mamma…”    La ragazza sorrise, avvicinandosi alla madre che la raggiunse praticamente di corsa per poi stringerla in un abbraccio, mettendole una mano tra i capelli mentre piangeva silenziosamente.
“Mi sei mancata mamma…”
“Tesoro, anche tu. Anche se per due anni non ho ricordato nemmeno di aver avuto una sesta, meravigliosa figlia.”
 
Madison Reynolds sorrise alla figlia, gli occhi ancora lucidi mentre anche suo padre le raggiungeva, sorridendo alla figlia minore prima di abbracciarla:
“Cucciola… stai bene?”
“Benissimo. Adesso posso finalmente dirlo. Dove sono i ragazzi?”
 
Poco dopo venne raggiunta e abbracciata da tutti i suoi fratelli: Zane, di ormai 28 anni, Lucas, Amy e persino sua sorella Clare con cui aveva avuto un rapporto leggermente conflittuale.
 
West?”
Keller si rivolse alla madre con tono quasi speranzoso, morendo dalla voglia di abbracciare il suo fratello preferito, nonché ex compagno di giochi, di guai e praticamente migliore amico.
 
La donna sorrise, accennando con il capo alla porta dove, in effetti, Keller non si era accorta si era fermato suo fratello, osservando la scena con sguardo quasi vacuo.
“Beh? Non mi vieni a salutare?”
“Keller…”
Un sorriso si fece largo sul volto del ragazzo, che dopo aver esitato raggiunse genitori e fratelli per abbracciare la sorella minore.
“Non mi ricordavo di te, ma mi sei mancata lo stesso.”
“Anche tu fratellino, anche tu.”
 
*

 
“Cecil!”
Cecil Krueger non ebbe nemmeno il tempo di dire, fare o pensare niente: si era Materializzato nel grande giardino della tenuta della sua famiglia, a pochi metri dall’ingresso del maniero, e sua madre gli era corsa incontro per soffocarlo con un abbraccio.
 
“Ciao mamma…”
Il ragazzo sorrise, ricambiando l’abbraccio mentre la donna gli accarezzava il viso, quasi a volersi assicurare che fosse realmente davanti a lei mentre lo guardava con gli occhi lucidi:
“Sei diventato più alto di me… sei cresciuto tantissimo.”
“Non ci vediamo da tre anni, da prima del mio ultimo anno. Vi sono mancato?”
 
“Se penso che ti hanno tolto due interi anni di vita… se penso che ti hanno tolto dalla mia testa. Li farei a fette, se potessi!”
“Non è il caso, lascia perdere… mi sei mancata. Sundance come sta?”
“Bene, ci siamo presi cura di lui in tua assenza, forse non ti riconoscerà neanche.”
 
La donna gli sorrise, guardandolo con affetto senza riuscire a trattenere le lacrime mentre una terza figura si avvicinava al duo quasi di corsa, stringendo figlio e moglie contemporaneamente in un abbraccio.
“Ah, ciao papà…”
 
Con la coda dell’occhio Cecil scorse anche la familiare, anche se leggermente cambiata dopo i tre anni di separazione, figura di suo fratello maggiore Dominic.
 
“Ciao Dom. Non mi vieni a salutare?”
 
Cecil inarcò un sopracciglio nel rivolgersi al fratello, che stava seguendo la scena quasi imbambolato, come se non riuscisse a credere di avere quello spettacolo davanti agli occhi. Ma alle parole del fratello si riscosse, avvicinandoglisi e abbracciandolo con slancio, dandogli una pacca sulla schiena e stringendolo in un modo che Cecil nemmeno ricordava di aver mai provato.
 
“E’ bello vederti.”
“Anche per me… ma non mi fermo a lungo, temo.”     Cecil sorrise, sciogliendo l’abbraccio con il fratello mentre sia Dominic che i genitori lo guardavano con gli occhi fuori dalle orbite:
 
“No?”
“No mamma… muoio dalla voglia di fare una passeggiata a cavallo, di vedere la mia camera e fare una dormita nel mio letto… e anche di sentire che cosa mi sono perso in questi due anni, ma a breve parto. Ho una visita a New York da fare.”

 
*

 
Sentendo suonare il campanello Erin era andata ad aprire certa che fosse una visita per i suoi genitori o magari l’ennesimo giornalista che la supplicava di concedere un’intervista dopo che la storia della Dollhouse era trapelata con il processo di Cecily DeWitt, la sua condanna e la sua pena di 10 anni.
Invece aprendo la porta la bionda rimase letteralmente di stucco, trovandosi davanti una persona che conosceva piuttosto bene – o almeno in parte – ma che probabilmente non avrebbe nemmeno pensato di rivedere dopo la conclusione del processo a cui entrambi avevano testimoniato.
 
“Ciao, Erin.”
Echo – Julian, si corresse subito mentalmente – le rivolse un sorriso cordiale che mai gli aveva visto sul volto in ben due anni, mentre l’ex Guardiana continuava a guardarlo con sommo stupore:
“Ciao… che ci fai qui?”
“Sono riuscito a trovare il tuo indirizzo e ti volevo salutare… posso entrare?”
“… certo, scusa.”
 
La ragazza si spostò dalla soglia per farlo passare e pochi minuti dopo erano seduti uno di fronte all’altra sulla terrazza, due bicchieri di thè ghiacciato davanti mentre il Sole batteva sulle loro teste.
 
“Allora… come stai? Hai rivisto la tua famiglia, immagino.”
“Sì, è stato strano, ma non vedevo l’ora di rivedere i miei genitori e la mia sorellina.”
“Hai una sorellina?”
“Sì, ormai ha 15 anni.”
 
Erin annuì, faticando ad immaginare Echo in versione fratello maggiore… era strano, aveva davanti una persona che le era molto familiare, ma non era neanche più la stessa.
 
“Come mai sei qui, Ec- Julian.”
“Non c’è problema, non fa niente, è comprensibile confondersi con il nome… Comunque credo di volermi quasi “scusare” con te, so di non essere stato molto simpatico quando ero il tuo Attivo. Ma credimi, sono una persona molto diversa.”
“Sì, così mi hanno detto. Non preoccuparti, nemmeno io sono un tipo facile… e poi infondo discutere con te era diventato divertente, anche se eri un gran rompipalle.”
 
Erin gli sorrise amabilmente e Julian annuì, non riuscendo a ricambiare:
“Sì, lo so… Ma fidati, con la mia vera personalità sono a dir poco adorabile. Secondo me mi adoreresti e potremmo diventare grandi amici, Erin LaFont.”
“Dici? Io non penso proprio.”
Secondo me invece sì.”
 
*
 
 
“Stai pensando a lui? Anzi, mi chiedo a chi dei due, a questo punto.”
 
Nicholas Bennet, appoggiato allo stipite della porta della camera di sua sorella, sorrise mentre teneva gli occhi chiari fissi su Kate, seduta sulla finestra per leggere con lo sguardo puntato sull’oceano e le gambe stese, sollevate con i piedi nudi appoggiati alla parete.
 
“Non hai idea della confusione che ho passato, Nick.”
“Davvero? Che “hai passato”? Quindi ora l’hai risolta? Kate… so che eri arrabbiata con Seth, ma è passato quasi un mese. Sono sicuro che si sta crogiolando nella sofferenza, di certo si è davvero pentito. Quanto a Carter… vi siete chiariti quando sei tornata in te, certo, ma anche lui prova qualcosa per te.”
 
“Non lo so Nick… forse amava Juliet, ma Kate? Potrebbe amare Kate? Non siamo la stessa persona Nick, tu lo sai bene.”
“Lo so. Ma so anche che ormai non potrai mai essere esattamente la stessa Kate di prima, ci sarà sempre qualcosa di te che richiamerà Juliet. E forse è un bene… devi decidere tu sorellina, io voglio solo che tu sia felice, finalmente. Nessuno dei due merita di essere lasciato con il fiato sospeso, credo.”
 
“Quando ero nella Casa… provavo davvero qualcosa per Carter. Ma non so se è così anche ora, anche se quando l’ho visto durante il Processo qualcosa ho sentito, senza dubbio. E a scuola provavo qualcosa per Seth, ma oltre a quello che ha fatto sono passati due anni, siamo entrambi cambiati, potremmo stare ancora bene insieme? Oddio, è strano parlarne con te, forse dovrei chiamare Keller o Erin.”
Perché, non vado bene come consulente sentimentale?”
“Sei mio fratello maggiore, non posso parlare di ragazzi con te, anche perché li conosci tutti e due!”
 
“Come vuoi, io ti dico solo questo: so che infondo hai scelto, Kate. Sai chi e cosa vuoi, ne sono sicuro. Perciò fai come hai sempre fatto, vai a prendertelo.”

 
*

 
“Rosieee!”
“Che c’è?”
Vieni di sotto, c’è un ragazzo molto alto che chiede di te!”
 
Al sentire le parole della madre Rose quasi scattò in piedi, correndo fuori dalla sua camera per gettarsi sulle scale, sperando che Hooland non si fosse ancora imbattuto nei suoi fratelli.
 
“Quindi… alla fine state insieme.”
“Già.”     Hooland si sforzò di sorridere mentre era seduto sul divano, con tre ragazzi di fronte. Aveva conosciuto di sfuggita i tre fratelli maschi di Rose a scuola, ma non li vedeva da parecchio… e al tempo ovviamente loro non stavano insieme.
 
I gemelli, che si erano appena Diplomati, lo scrutarono con aria torva insieme al fratello Renan di 16:
“Il suo ultimo ragazzo non ci piaceva granché.”
“Oh, nemmeno a me, abbiamo qualcosa in comune.”
 
Hooland sorrise e i volti di Robert e Rickon si rilassarono leggermente, proprio mentre una Rose sorridente spuntava nel salotto:
“Hool! VOI TRE, lo state spaventando? Fuori.”
“Rose, solo perché sei la maggiore…”
“Uno, due e tre. Fuori dai piedi!”
 
Il tono fermo della ragazza quasi lasciò di stucco Hooland, che si ritrovò a guardare i tre, tutti il doppio della sorella praticamente, uscire in fila indiana dalla stanza a capo chino.
La ragazza si rivolse poi a lui, sorridendogli con dolcezza mentre si avvicinava per sedersi accanto a lui:
 
“Ciao… Perché non mi hai detto che passavi, ti avrei messo in guardia dai miei fratelli!”
“Dopo Craig è normale che siano un po’ protettivi Rosie. Ma non preoccuparti, ho già conquistato tua madre.”
“Oh, non avevo dubbi a riguardo…”
 
“Roose! Mi aiuti a fare i compiti? Oh, ciao!”
 
Una ragazzina bionda e dagli occhi azzurri fece capolino nella stanza, sorridendo con l’aria di chi la sa lunga al loro ospite:
“Dopo Roxy, ora sono impegnata… Hool, ti ricordi di mia sorella Roxanne? Era al primo anno quando noi eravamo all’ultimo, ora ha finito il terzo.”
“Ma certo, ciao Roxanne! Sei cresciuta parecchio. In che Casa sei?”
“Grifondoro. Beh, è stato bello vederti, ma vi lascio soli… ci vediamo dopo!”
 
Roxanne sfoggiò un sorrisetto prima di defilarsi ridacchiando, e Rose si affrettò a proporre al ragazzo di andare a fare una passeggiata a cavallo, giusto per evitare di incontrare i suoi numerosi fratelli.
I due erano però appena usciti di casa quando una bambina, con addosso dei minuscoli stivaletti e una piccola salopette, li raggiunse con un gran sorriso stampato sul volto, rivolgendosi subito ad Hooland con aria allegra:
“Ciao, io sono Ruby!”
“Ciao Ruby, tua sorella mi ha parlato tanto di te, tu devi essere quella bella… Io sono Hool.”
Hooland sorrise, stringendo delicatamente la mano che la bambina di nove anni gli porgeva, osservandolo con i vivaci occhi azzurri luccicanti:
 
“Sei il fidanzato di Rose?”
“Ruby, vai dentro da Roxy, io vado a fare una passeggiata… ma perché sono tutti così interessati alla tua vita privata?”
Tesoro non è questo, è che io ispiro simpatia e vogliono tutti conoscermi…”
 
*
 
 
“Rose, ti dico di no. No, non esco. No, sto qui a guardare Scandal con mia sorella e poi mangio dei cookies. Sì, ho indosso le pantofole fluffy a forma di coniglio, avevi ragione, sono comodissime… Sì, ti richiamo. No, non ho più parlato con Foxtrot. No, non lo vado a cercare. Sì, ti voglio bene. Salutami Hool!”
 
Nel momento stesso in cui pose fine alla chiamata Isla sospirò, lasciandosi cadere sul suo letto da una piazza e mezza e abbandonando il telefono sul copriletto, felice di poter almeno sentire Rose molto spesso grazie ai telefoni.
Essere entrambe Mezzosangue era una fortuna, a conti fatti.
 
L’americana puntò gli occhi castani sul vetro della finestra, osservando distrattamente l’Empire State Building. Si stava chiedendo a quale puntata di Scandal fosse arrivata – chiedendosi anche perché la sua esistenza fosse diventata tanto triste da non avere voglia di fare assolutamente niente – quando sua sorella aprì la porta della sua camera, facendo capolino nella stanza:
 
“Isla, vieni di sotto, hai una visita… E ti consiglio di renderti presentabile, perché non è niente male.”
“Non mi interessa.”
Isla sbuffò, rotolando su se stessa e affondando il viso nel suo cuscino mentre Olivia sbuffava, borbottando quanto fosse senza speranza:
 
“Che ti è successo in Inghilterra, non ti riconosco più! Si direbbe che tu stai soffrendo pene d’amore…”
“Non ne voglio parlare.”
“Come ti pare, ma scendi comunque… io ora esco, ci vediamo dopo, dobbiamo vedere la terza di Scandal.”
 
“…”
“SEI ANDATA AVANTI SENZA DI ME?”
“Scusa, mi annoiavo…”
Isla rotolò nuovamente su se stessa per rivolgerle un sorriso carico di scuse, mentre Olivia sbuffava e borbottava un mezzo insulto prima di sparire, uscendo dalla sua camera.
A quel punto alla Wampus non restò che alzarsi, fregandosene del proprio aspetto e preoccupandosi solo di sfilarsi le pantofole fluffy prima di uscire dalla stanza, chiedendosi chi avesse disturbato la sua quiete.
L’attico era deserto, sua madre e suo padre erano al lavoro, suo fratello in vacanza e sua sorella a quanto pare stava per uscire… quando Isla scese al piano terra si guardò intorno in cerca di un qualche ospite, e quando i suoi occhi castani si posarono sul tavolo di vetro dove mangiavano perse più di un battito:
 
Merda
 
C’era Foxtrot. O Cecil, il concetto era quello. La ragazza si immobilizzò, stentando a crederci e chiedendosi se non potesse correre a nascondersi sotto al letto o dentro l’armadio mentre il ragazzo ancora non si era accorto di lei, impegnato a tamburellare le dita sul tavolo con impazienza mentre osservava il panorama dalla grande finestra che aveva di fronte.
 
Forse però si sentì osservato, perché si voltò verso di lei prima di darle il tempo di darsi alla fuga, come aveva fatto qualche settimana prima.
Le labbra del ragazzo si stesero subito in un sorriso e, disgraziatamente, Isla seppe di non poter più scappare visto che le sue gambe erano appena diventate di gommapiuma, dinanzi a quel gesto:
“Isla… è bello vederti, finalmente.”
“Ciao. Che ci fai qui?”
 
“Beh… visto che sei scappata prima che mi svegliassi, ho pensato di passare per salutarti e chiarire come stanno le cose.”
Isla scese lentamente gli ultimi gradini che le restavano, avvicinandoglisi con leggera titubanza per poi sedersi accanto a lui. Si chiese come avesse avuto il suo indirizzo e poi maledisse mentalmente Rose:
 
Maledetta, ecco perché mi ha chiesto l’indirizzo per scrivermi! Non ci si può fidare nemmeno delle persone dolci come lei ormai!
 
“Insomma… sei andata via subito, non mi hai nemmeno dato il tempo di dirti come stanno le cose ora che sono tornato in me, Cecil.”
 
Bene, ora mi dirà che con la sua personalità originaria mi trova una rompipalle cronica, magari anche cessa…
Isla rimase impassibile e in silenzio mentre invece Cecil aveva abbassato lo sguardo, quasi come se fosse a disagio.
 
Isla aveva appoggiato entrambe le mani sul ripiano di vetro del tavolo e Cecil ci fece cadere sopra gli occhi castani, trattenendosi dall’allungare le sue per prenderle, come aveva cercato di fare giorni prima al San Mungo, quando era ancora Foxtrot.
“Insomma… vorrei capire perché sei andata via. Pensi che ora che non sono più Foxtrot non possa piacerti più?”
“Come?”
“Mi ci sto arrovellando da settimane, Isla… non capisco perché te ne sai andata di corsa.”
 
Cecil sollevò lo sguardo per guardarla negli occhi e una specie di voragine inghiottì stomaco, fegato e quant’altro della ragazza quando si rese conto di quanto l’avesse fatto stare male, in quel momento le sembrava quasi un cucciolo ferito.
 
“Io… Veramente pensavo… Avevo paura che ti saresti svegliato come Cecil, che ti saresti ricordato della tua vita, magari di avere anche una ragazza per quel che ne sapevo io… Insomma, avevo paura che ti saresti svegliato e non ti sarei più piaciuta, ecco.”
“Davvero?”
 
Cecil la guardò con una punta di perplessità prima di rilassare il volto in un sorriso, mettendo finalmente una mano sulla sua. E questa volta, con suo gran sollievo, lei non si ritrasse.
“Isla… per essere molto intelligente sei stata davvero stupida. Ok, sono sincero, non so se mi sarei preso una colossale cotta per te se ci fossimo conosciuti tre anni fa… ma anche se sono tornato ad essere Cecil, mia piccola yankee, ci sarà sempre un po’ di Fox in me. Sono ancora, in parte, il ragazzo che hai conosciuto nella Dollhouse e che ti piaceva. E ti assicuro che provo qualcosa per te anche oggi, se non mi credi fruga nella mia mente.”
 
Cecil sollevò la mano della ragazza, baciandone il dorso mentre Isla lo guardava con gli occhi scuri carichi di stupore e un’ombra di sorriso sul volto nel rendersi conto che aveva ragione, non le stava mentendo.
 
“Perciò… se vuoi ancora stare con me io sono qui, Isla. Sono venuto fin qui per prendermi ciò che voglio e non accetterò facilmente un no, voglio che tu sappia che se adesso mi dovessi rifiutare potresti trovarmi appostato fuori dal palazzo nei prossimi giorni.”
Senza riuscire a trattenersi Isla rise appena, guardandolo sorriderle quasi con aria speranzosa:
 
“Io… Adoravo Foxtrot. E credo di morire dalla voglia di conoscere anche Cecil.”
“Sono ancora il tuo Fox Isla, lo sarò sempre. Quindi… posso baciarti adesso? Perché dopo tutto questo tempo per me è davvero difficile starti vicino senza toccarti, Isla.”
 
Di fronte al tono quasi grave del ragazzo Isla annuì, sorridendo mentre Cecil la imitava con sollievo prima di alzarsi, chinandosi su di lei per baciarla con passione, staccandosi di tanto in tanto per dirle parole sconnesse mentre le accarezzava i capelli:
“Grazie al cielo… sai che avevo quasi paura che fossi tornata col tuo ex?”
“Credo che lui un pensierino ce l’abbia fatto, l’ho visto poco tempo fa…”
“Pensierino un cavolo, che si metta in fila. Anzi, nessuna fila, sei mia e basta.”
 
Isla si lasciò sfuggire una piccola risata ma Cecil non la imitò, restando perfettamente serio:
“Guarda che non sto scherzando… Mi sei mancata, passerotto.”   Il ragazzo si lasciò sfuggire un piccolo sospiro di sollievo mentre chiudeva gli occhi, appoggiando la fronte contro quella di lei e parlando a bassa voce, ad un soffio dalle sue labbra.
“Anche tu Fox. Posso chiamarti così?”
“Certo. E comunque, piccola yankeevorrei farti notare che hai ancora il pigiama con le volpi.”
 
*
 
 
Steso sul letto, teneva un quaderno bianco che aveva iniziato ad usare come blocco da disegno in mano mentre ci tracciava pigramente delle linee sopra, sovrappensiero.
Quando, ancora una volta, si rese conto di CHI stesse ritraendo sbuffò sonoramente, lanciando con un gesto secco il quaderno oltre il letto, dall’altra parte della stanza.
Seth Redclaw abbandonò il capo sul cuscino, fissando lo sguardo sul soffitto bianco della stanza.
 
Da quando aveva lasciato il Sa Mungo, tre settimane prima, era tornato dallo zio paterno e aveva accettato di vivere con lui in attesa di sistemarsi da solo. In effetti il processo aveva garantito a lui e a tutti gli Attivi una somma di denaro non indifferente come “risarcimento”, ma Seth non l’aveva nemmeno toccata, anzi per il momento non aveva nemmeno voglia di mettersi a cercare una casa, non era del tutto sicuro che vivere da solo gli sarebbe piaciuto.
Non sapeva che cosa avrebbe fatto della sua vita… Alla fine del suo ultimo anno ci aveva pensato solo di sfuggita, troppo impegnato a prendere in considerazione la proposta della DeWitt. Ovviamente, come suo solito, aveva ottenuto voti altissimi ai M.A.G.O. e con la sua storia ormai di dominio pubblico trovare un lavoro al Ministero non sarebbe stato molto difficile… ma per il momento non aveva affatto le idee chiare su niente.
 
L’unica cosa di cui era certo era che gli mancava la sua famiglia, che avrebbe voluto riabbracciarla come tutti gli altri, e che avrebbe voluto avere Kate Bennet accanto a sé in quel momento. In un modo o nell’altro, lei riusciva sempre a far diventare tutto più semplice.
Aveva rivisto Rose e Hooland da quando il processo era finito e gli aveva fatto un immenso piacere vederli piuttosto felici e sorridenti, lei gli aveva detto che si sarebbe finalmente iscritta a Medimagia… se non altro, qualcuno di loro le idee chiare le aveva.
 
Kate, Kate, Kate
 
Chissà cosa stava facendo in quel momento, chissà dov’era. A casa con la sua famiglia? Non sapeva nemmeno se fosse tornata insieme a Carter.
Si erano incrociati un paio di volte durante il processo quando erano stati chiamati a testimoniare, lui aveva provato a parlarle ma lei aveva sempre cercato di evitarlo, trattandolo in modo piuttosto freddo e distaccato.
Si era detto di non infastidirla, di non starle addosso… e non l’aveva più vista, né sentita. Si era limitato a scrivere a Nicholas, una settimana prima, per chiedergli come stessero: lui aveva intenzione di finire il percorso all’Accademia e, a sentire il Serpeverde, sua sorella stava bene, solo aveva “molto a cui pensare”.
Non si era dilungato in spiegazioni, ma Seth aveva la netta sensazione che anche lui rientrasse in quel “molto”.
 
Ma magari aveva scelto di stare con Carter… ovviamente non gli faceva piacere, per niente, ma probabilmente avrebbe dovuto semplicemente accettarlo.
Si stava arrovellando sulla questione, immaginandoli insieme e mandandosi di conseguenza il sangue al cervello, quando qualcuno bussò alla porta e subito dopo suo zio comparve sulla soglia, rivolgendogli un sorrisetto:
“Seth, smettila di fare il lupo solitario… qui c’è una graziosa signorina che vuole vederti.”
 
Seth fece per dirgli che non gli interessava a meno che non si trattasse di Ginevra, Rose o al massimo Kate… fece per chiedere a suo zio se avesse detto come si chiamava ma l’uomo se l’era già squagliata, lasciando il suo posto ad una ragazza effettivamente molto familiare.
Il Grifondoro si sollevò, mettendosi lentamente a sedere sul letto senza riuscire a staccare gli occhi da Kate, che gli rivolse un lieve sorriso:
 
“Ciao. Posso entrare?”
“Certo… Entra pure.”
 
Seth annuì, cercando di formulare pensieri o frasi sensati nonostante il suo cervello fosse andato in tilt non appena l’aveva vista.
Kate si chiuse la porta alle spalle, facendo vagare lo sguardo nella stanza e immediatamente il ragazzo si pentì di aver lasciato le sue cose alla rinfusa, in particolare un sacco di disegni che la ritraevano.
 
La Corvonero fece per avvicinarglisi, fermandosi per raccogliere il suo quaderno finito sul pavimento e sorridendo appena nel vedere un suo ritratto.
Nessuno dei due disse niente, ma entrambi finirono col ripensare al loro primo bacio.
 
“Questo è vecchio?”
“No. Sei ancora il mio soggetto preferito, Kate. Siediti.”
La ragazza si sistemò sulla sedia sistemata davanti alla scrivania, esitando per un attimo prima di parlare mentre Seth continuava ad osservarla, chiedendosi perché fosse andata da lui.
 
“Allora… Perché sei qui?”
“Io… ci ho pensato, Seth. A quello che ti ho detto quando mi sono “svegliata”, a quello che è successo nella Casa e anche a come eravamo ad Hogwarts. Forse sono stata un po’ brusca, ma dopo averci riflettuto a mente lucida credo di capire perché non me l’hai detto, anche se avresti dovuto.”
“Davvero?”
“Davvero. Infondo forse è stato un bene che le cose siano andate così, per me eri davvero molto importante e non so come avrei fatto, passare due anni senza nemmeno ricordarmi di te… A Juliet Quebec piaceva, come ben sai, forse ho sempre saputo, infondo, che c’era qualcosa tra di noi.”
 
“Ero molto importante per te?”
“Sì. E lo sei anche ora…. Sono una persona un po’ diversa Seth, come credo anche tu, non penso sarò mai le stessa Kate che hai conosciuto ad Hogwarts. Ma i miei sentimenti per te non sono cambiati, ci ho riflettuto a lungo e ho capito che mi mancavi, sono venuta per scusarmi ma anche per dirti che, se mi vuoi ancora, io sono qui. Per te. Siamo entrambi diversi, ma possiamo… riprovarci.”
 
Di fronte a quella confessione Seth esitò, quasi stentando a crederci mentre Kate lo osservava di rimando con leggera titubanza, come se davvero temesse in un suo rifiuto. Ma un istante dopo, quando Seth si alzò dal letto per raggiungerla, inginocchiarsi di fronte a lei e baciarla con foga, dovette ricredersi.
 
Dopo qualche istante Seth si staccò, allontanando di qualche centimetro il viso dal suo per sorriderle, prendendole il volto tra le mani:
“E me lo chiedi anche? Certo che ti voglio, stupida… ti ho sempre voluta.”
Un sorriso si fece largo sul volto di Kate per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare prima di annullare nuovamente la distanza che li separava, appoggiando le labbra sulle sue.
Gli appoggiò una mano sul petto, all’altezza del cuore, prima di staccarsi di nuovo, guardandolo con un sopracciglio inarcato:
 
Batte così forte per me?”
Contrariamente alla prima volta in cui glie l’aveva chiesto Seth annuì, sorridendole prima di darle una risposta:
“Ci puoi scommettere, Katie.”
 
*


Camminava tenendo lo sguardo fisso davanti a sé, sapendo perfettamente dove doveva andare mentre la sua mano stringeva delicatamente quella più piccola della figlia, che trotterellava accanto a lui senza dire una parola.
Diana parlò solo quando insieme al padre si fermò davanti alle due lapidi, alzando lo sguardo per posare gli occhi cerulei, così simili ai suoi, sul volto dell’uomo:
 
“Papy, è qui che c’è la mamma?”
“Sì… e anche la zia. Ti sarebbero piaciute tantissimo, Didi. E di sicuro ti avrebbero voluto molto bene.”
 
Joseph sorrise, accarezzando la nuca della figlia con affetto prima di voltarsi di nuovo verso le lapidi, sistemate una accanto all’altra: lì riposavano Melanie Richardson, morta a 19 anni, e Clare McClane in Richardson, morta a 29. Entrambe troppo presto.
 
Diana, senza dire niente, si avvicinò per sistemare i fiori prima sulla tomba della zia e poi su quella della madre, soffermandosi su quest’ultima per sfiorare la sua foto con le dita:
“Ciao mamma.”
 
Joseph inclinò le labbra in un sorriso, chinandosi per prendere la figlia in braccio senza dire niente, gli occhi fissi sulle due lapidi.
Per una volta era lì, finalmente sereno, e insieme a tutte le sue donne. 








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Angolo Autrice:

Ed eccoci anche alla conclusione di questa storia... mi auguro davvero che vi sia piaciuto, spero che ora Em smetterà di odiarmi e che chi sperava che Kate finisse con Carter non se la sia presa troppo.
Ovviamente un enorme grazie a chi ha partecipato alla storia, mandandomi questi fantastici OC: Shiori Lily Chiara, Phebe Junivers, Gin24,  victoria black, Fiamma Erin Gaunt, Ms Mary Santiago, blackwhite_swan, Sesilia Black e Kyem13_7_3. Grazie per aver partecipato e seguito la storia, è raro dover eliminare un solo personaggio quindi grazie per la presenza costante, spero davvero che vi sia piaciuta.
Inoltre, grazie a tutte le persone che hanno messo la storia tra Seguite, Preferite e Ricordate anche se non partecipavano.

Ora... come alcune di voi forse hanno già ipotizzato perchè mi seguono da tempo, ho deciso che per questa storia scriverò una Raccolta di OS, una per ogni coppia dove compariranno ovviamente anche gli altri OC.
La prima dovrebbe arrivare in fretta, quindi di certo ci sentiremo presto.

Un bacio,
Signorina Granger 

 

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