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di Melodia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Dedicata con tutto il cuore alla Sà, che non mi ha dato una botta in testa quando ha saputo COSA avevo in mente, che ha ascoltato gli infiniti audio che infinito angst addussero agli Achei, che mi ha sostenuta in questo parto fino all'ultimo, che è una ragazza speciale a cui voglio tanto tanto bene <3
 





Se c’era qualcuno che Sarah adorava profondamente, quello era lo zio Arthur.
Più di una persona era rimasta sorpresa dall’affetto, sconfinante nella venerazione, che la ragazzina dimostrava per l’anziano parente.
Zio Arthur, infatti, non era davvero quello che gli altri definiscono una persona affabile: testardo, orgoglioso, sarcastico.
Caratteristiche che con l’età avevano finito per diventare ancora più marcate, avrebbe aggiunto Morgana, la nonna di Sarah e sorella maggiore di Arthur, se fosse stata ancora in vita. Ormai erano passati un paio d’anni e, più di qualsiasi cosa, la ragazza sentiva la mancanza dei loro continui battibecchi e dell’occhiolino complice che le rivolgeva la nonna nel frattempo.
“Tuo zio può anche fare tanto il sostenuto, ma credimi, ha avuto anche lui il cuore tenero.”
A quelle parole, il viso segnato dalle rughe di Arthur inevitabilmente si contraeva in una smorfia di disappunto, ma l’uomo aveva sempre taciuto, chiudendosi nei suoi pensieri.
Sarah si era sempre domandata il perché di quei silenzi improvvisi, che oscuravano il volto dello zio come un velo, ma né i suoi genitori né altri avevano saputo darle risposta. Non che Sarah non ci avesse provato direttamente col sottoscritto.
Checché ne potessero dire i loro conoscenti, Arthur adorava la pronipote.
Ma, fino a quel giorno, non aveva mai ottenuto niente.
“Perché fai domande stupide?” aveva borbottato lo zio, roteando gli occhi azzurro chiaro.
Un classico insomma.
Eppure, quel giorno le cose sarebbero cambiate.

Lo zio Arthur era seduto comodamente sul divano chiaro, nel fresco salotto della sua casa a Chicago.
L’estate era nel suo pieno, il sole illuminava il giardinetto ben tenuto, il cielo azzurro senza una nuvola sembrava portatore di belle speranze.
Sarah entrò sorridente nella stanza, reggendo un vassoio con due bicchieri colmi di the freddo.
“Ecco qua, zio, senza troppo ghiaccio, come piace a te.”
“Mhmh.” Annuì l’uomo, guardando critico il bicchiere.
Sarah scosse impercettibilmente la testa.
Un grazie da parte sua sarebbe stato un evento da segnare sul calendario.
“Allora, oggi non hai chiacchiere da propinare a questo vecchio?” fece Arthur, dopo aver preso un generoso sorso della bibita.
“Dai zio, non sei così vecchio!” lo prese in giro la ragazza. “Finchè mi rispondi per le rime, resti ancora un giovanotto.”
Arthur sbuffò, ma Sarah era consapevole che stesse trattenendo un sorriso.
“In ogni caso, ti avevo portato la videocassetta dell’ultimo film di DiCaprio, così la guardiamo insieme e mi dici che ne pensi.” Aggiunse, estraendola dallo zaino.
“Titanic, non è così?” domandò lo zio, con una voce strana, che non gli aveva mai sentito.
Sarah inarcò le sopracciglia scure. “Sì.. non dirmi che lo hai già visto, eh!” fece scherzosa, sapendo che era quasi impossibile.
Per avere 102 anni era un uomo ancora in buona salute, ma comunque Arthur non amava molto uscire di casa, figurarsi andare al cinema!
“Molto di più.” Rispose, lo sguardo duro e impenetrabile. “Io ero su quella nave.”
Mancò poco che Sarah non avesse un infarto.
Sbattè le palpebre ripetutamente, sicura di aver capito male.
“Zio, tu sul Titanic?! Ma.. come.. perché non me l’hai mai raccontato?” protestò poi.
Uno dei motivi per cui amava tanto Arthur erano proprio per le storie che, con finta malagrazia, le aveva sempre raccontato sin da piccola.
E adesso veniva a scoprire che era uno dei pochi sopravvissuti del Titanic!
“Non è propriamente un argomento di cui mi piace parlare.” Sbuffò l’uomo, il forte accento inglese ancora perfettamente conservato nonostante un’intera vita passata in America. “Dammi una mano ad alzarmi, ti mostro una cosa.” Fece poi.
Appoggiandosi al braccio della ragazza, l’uomo attraversò la stanza.
Sotto un largo specchio, andò ad aprire un cassettone, che si rivelò colmo di fotografie.
“Ecco, questo sono io il giorno della partenza. Bill Queens, il fotografo, la spedì a tua nonna il giorno in cui si seppe del naufragio. Pensava potesse essere il mio ultimo ricordo..” spiegò ironico, tendendole una foto in bianco e nero.
Sarah osservò il gruppo di persone ritratte.
Un uomo di mezza età che sorrideva altero, una giovane donna dalla pelle scura e, al centro, lo zio Arthur.
“Però, eri davvero un bel ragazzo.” Commentò Sarah, impressionata.
Il ragazzo – zio Arthur, insomma – era davvero di una bellezza mozzafiato.
Era vestito elegantemente, con un completo scuro. I capelli chiari erano tenuti ordinatamente su di un lato e dal taschino si intravedeva la catena d’oro di un orologio.
Non doveva avere neanche vent’anni, cosa che contrastava parecchio con l’uomo che adesso stava accanto a sé, dai capelli bianchi e il viso segnato.
“La gioventù vola via in un attimo.” Commentò Arthur, come se avesse intuito i suoi pensieri.
“Chi è lei?” domandò poi la ragazza.
Che sapesse, lo zio non aveva mai avuto una fidanzata. Forse quella donna ne era la spiegazione.
“Gwen Montoya, la mia promessa sposa all’epoca.” Spiegò lo zio. “Suo padre era proprietario di una ricca piantagione di caffè in Brasile. Suppongo che il nostro matrimonio avrebbe mandato in visibilio mio padre.” Aggiunse, storcendo la bocca.
“Oh, ma allora è morta nella tragedia! Mi dispiace..”
“Ma no, ragazzina, certo che non è morta nella tragedia.” Ribattè infastidito l’uomo.
Sarah sentiva di essersi persa qualche passaggio. “Scusa zio, ma se lei, cioè Gwen, era la tua fidanzata e non è morta nella tragedia.. perché, insomma.. non vi siete sposati?” domandò confusa.
Zio Arthur soppesò un attimo la ragazza con lo sguardo.
Poi sospirò profondamente. “Perché il mio grande amore è stato un altro.” Disse grave.
Sarah gli mise la mano su un braccio. “Se ti vai, puoi raccontarmelo.”
“Mi lasceresti in pace in caso contrario?” domandò laconico l’uomo.
Sarah sorrise furba. “Mai.”
Arthur sospirò profondamente. Tutta sua nonna. “Vatti a sedere e mettiti comoda, non sarà una storia breve.”
La ragazza sorrise e, inaspettatamente, si sporse a baciare la guancia dello zio. “Faccio la brava.” Proclamò allegra, scuotendo i lunghi capelli neri. Arthur sbuffò, osservandola andare a sedersi con un balzo.
Chiuse il cassettone e rivolse un’occhiataccia alla foto della sorella sulla mensola.
“Oh lo so che c’è il tuo zampino.” Borbottò con disappunto.
Morgana, nella foto scolorita dal tempo, gli sorrideva beffarda.
 
“Nessuna trasposizione”, iniziò lo zio Arthur, “potrà rendere la reale imponenza del Titanic.
Nei miei 18 anni, ero stato diverse volte nel Continente, avevo attraversato la Manica, raggiunto l’Italia, ma nessun marchingegno avrebbe potuto competere con l’immensa estensione di metallo che si parava di fronte ai nostri occhi.
Nella tua videocassetta, la chiameranno sicuramente la nave dei sogni e, credimi, lo era davvero.
Mi sembra ancora di vedere la folla ammassarsi sul parapetto per salutare conoscenti e familiari, carichi di entusiasmo per il futuro.
Inutile dire che avremmo presto desiderato di non aver mai lasciato le nostre case.”


Arthur batté gli occhi, abbagliato dal riverbero del sole sul metallo del transatlantico.
"E’ davvero imponente.” Commentò ad alta voce Gwen, ferma accanto a suo padre.
“Oh mia cara, sono certo che ci siano navi ancora più grandi. L’importante è che ci porti a destinazione nel minor tempo possibile.”
Arthur roteò gli occhi. Tipico di suo padre contraddire il prossimo, anche sul minimo dettaglio.
“E’ incredibile come tanti poveracci siano riusciti a comprare il biglietto, non trovi, Arthur caro?” continuò ancora la giovane, arpionandogli il braccio con una mano guantata.
“C’è chi è pronto ad investire tutti i propri guadagni, per migliorare la propria condizione.” Rispose mite il giovane.
“E questa plebaglia non ha certo nulla da perdere.” Tuonò Uther, senza degnare di uno sguardo il facchino che gli reggeva con rispetto la porta.

“Tuo padre doveva essere un incubo, zio.”
“Già inizi ad interrompere, signorina?”
Sarah sospirò. “Vai avanti.”

Uther Pendragon era il classico uomo appartenente a una famiglia nobile inglese, ormai decaduta.
Non si poteva più definire ricco da tempo, nonostante si ostinasse a tenere almeno due cameriere e un maggiordomo: non avrebbe certo permesso che suo figlio dovesse prepararsi da sè, non sarebbe certo caduto così in basso!
Arthur fremeva di disgusto ogniqualvolta un estraneo, con il solo scopo di ingraziarselo, osava trovargli una somiglianza con il genitore.
Suo padre aveva gli occhi di un grigio freddo e tagliente, che non avevano mai trasmesso la minima briciola di amore ai suoi due figli.
L’unica cosa che contava per Uther era il loro cognome e l’importanza che ispirava, il sangue, la discendenza.
Arthur rabbrividì al di sotto della giacca nera, uno degli ultimi pezzi pregiati che non erano stati costretti ad impegnare.
Il ragazzo cercò di dipingere sul suo volto l’espressione più rilassata possibile, cercando di dare l’impressione di interessarsi a quanto si discuteva a tavola.
Gwen, al suo fianco, sorrideva civettuola, sbattendo le lunghe ciglia nere confusa quando gli argomenti diventavano troppo complicati per lei.
Mai come quel momento Arthur aveva desiderato sua sorella Morgana accanto a sé.
Avrebbe sistemato tutta la combriccola paterna con una paio di battute acide ben piazzate.
“Ormai non c’è più rispetto per il lignaggio.” Stava proclamando un uomo con un paio di interessanti baffoni bianchi al fianco di suo padre. “Sempre più paesi concedono il suffragio maschile universale, non tenendo più conto dell’importanza della famiglia di provenienza. Qualsiasi sfaccendato ora può avere una voce in politica.” Disse, battendo la mano sul tavolo, con grande assenso degli altri commensali.
“Il sangue ormai conta sempre meno, caro Sir Bingley.” Disse convinto Uther. “Qualsiasi stranezza viene accettata, purchè sia a favore di stranieri e proletari di bassa lega.”
Sir Bingley annuì, facendo ondeggiare i baffoni.
Arthur dovette trattenere a forza un sorrisetto.
“Basti vedere quanto abbiano riempito gli alloggi di terza classe.” Continuò ancora l’uomo. “Siamo sicuri che non proveranno a derubarci, Mr Andrews?”
“Il Titanic dispone di ufficiali addestrati a prevenire qualsiasi inconveniente.”
“Io non mi sento del tutto tranquilla.” Pigolò Gwen, aggrappandosi al braccio di Arthur.
Il ragazzo represse un moto di stizza. Si direbbe che non fosse capace di mantenersi in equilibrio da sola!
“Non si preoccupi, cara. D’altronde il suo fidanzato certamente la difenderebbe.”
Sentendosi chiamare in causa, Arthur forzò un sorriso mite. “Senz’altro, Mr Andrews.”
Alle sue stesse orecchie le parole suonavano ironiche.
Uther, poco più in là, gli rivolse un’occhiata inquisitoria. “Arthur e la signorina Montoya si sposeranno a breve.” Si risolse a dire.
“Così giovani, eppure già sposi?” domandò un uomo anziano in fondo al tavolo.
L’espressione di Uther si congelò per un istante. “Non è mai troppo presto perché un giovane pensi al suo futuro, Mr..?”
“Gaius Brown.” Rispose l’uomo cordiale. “Quanto meno spero si amino profondamente.” Disse, alzando il calice di champagne nella loro direzione.
Gwen sorrise radiosa, stringendosi ad Arthur (il cui braccio non sarebbe stato più lo stesso di quel passo), ma Uther non sembrava completamente soddisfatto.
“L’amore.. una favoletta per consolare i poveri, non trova?” disse sprezzante.
Brown non rispose, limitandosi ad inarcare un bianchissimo sopracciglio.
Arthur sentì improvvisamente mancargli l’aria.
Con una scusa, si allontanò dalla tavola, precipitandosi all’uscita della sala ristorante.

“Non era la prima volta che ascoltavo quei discorsi, ma mai prima di allora mi avevano procurato un tale effetto di repulsione.
Mio padre e i suoi discorsi di gloria e potere, di come avesse deciso della mia vita in un battito di ciglia, Gwen e le sue smancerie, il disprezzo che aveva mostrato per le parole di quell’uomo, tutto, mi avevano nauseato.
Sapevo benissimo cosa si aspettasse da me.
Sposare la ricca ereditiera era solo il primo passo per poterlo rendere finalmente orgoglioso di quel figlio indegno che il destino aveva voluto lasciargli.
A diciotto anni appena compiuti la mia vita mi sembrava già finita, ancora prima che iniziasse.”

Arthur uscì sul ponte silenzioso, nel gelo del Mare del Nord.
Si strinse meglio la giacca indosso, rabbrividendo fin nelle ossa.
Si sentiva così sperduto, una minuscola figurina vestita di nero nell’immensità dell’oceano scuro.
Non sapeva che dall’alto del ponte superiore un giovane lo stava osservando con curiosità.

Merlin Emrys era tutto ciò che Uther Pendragon avrebbe disprezzato sulla faccia della terra, a partire dalla punta delle sue scarpe consumate fino al berretto calato sui capelli neri e scompigliati.
Eppure, non si poteva dire che Merlin non fosse un ragazzo sveglio.
La figura che si aggirava solitaria per il ponte dabbasso lo incuriosiva non poco.
In una serata del genere, se fosse stato uno dei ricconi della prima classe, sarebbe rimasto al caldo nella propria suite, eh!
La luce delle lanterne brillava debolmente sui capelli biondi del ragazzo, che si stava avvicinando sempre di più al parapetto della nave.
Spero vivamente non sia un imbranato, ci mancherebbe solo che scivoli sul pavimento bagnato, pensò Merlin.
Ma a quanto pare il giovane aveva un buon equilibrio, visto che superò indenne l’ostacolo, e si appoggiò con le mani alle sbarre di ferro.
A quel punto, l’osservazione poteva dirsi conclusa, la scommessa di quindici minuti con Gwaine era ormai stata vinta, eppure Merlin sentì una forza inspiegabile incollarlo lì dov’era.

Ignaro di essere oggetto di tali considerazioni, Arthur scrutava incantato le onde dell’oceano incresparsi sotto ai suoi occhi.
Il blu petrolio si confondeva col cielo notturno.
Estrasse un penny dalla tasca e lo lasciò cadere nel vuoto.
Osservò la monetina roteare nell’aria fredda, un luccichio effimero che precipitava velocemente nelle fauci marine.
Sentì il tintinnio della moneta che urtava le pale e poi, il nulla.
Il tutto era durato una frazione di secondo o poco più.
Arthur si allargò il colletto della camicia con due dita.
Come sarebbe stato liberatorio potersi lasciare cadere come quella monetina, inconsapevole, libero da quel peso opprimente, abbandonarsi all’acqua fredda e abbracciare la pace tanto desiderata.
Non si accorse neanche di aver messo un piede sulla prima sbarra e di essersi issato al di là di essa.
Il metallo sotto le dita intorpidite non sembrava neanche poi così freddo.
Sarebbe stato così facile staccare un dito alla volta e lasciarsi cadere, ma quella forza, la sua vita, sembrava restia a cedere così facilmente.
Arthur strinse le labbra.
Se non ora, quando?
E sarebbe stato libero, finalmente.

“Signore! Signore, non lo faccia!” esclamò una voce.
Arthur chiuse gli occhi, era sicuro si trattasse solo della sua immaginazione.
“Dico sul serio, non lo faccia!”
“Altrimenti?”
Merlin tolse le scarpe e si arrampicò agilmente sul parapetto. “Altrimenti dovrò saltare insieme a lei e, mi creda, non sarei entusiasta di farmi un bagno a quest’ora, con questo freddo poi! e non adesso che ho vinto una scommessa con Gwaine, tra l’altro!”
Arthur sbattè le palpebre, investito dal torrente di parole. “Gwaine?”
Merlin annuì energicamente, nonostante si tenesse in precario equilibrio accanto ad Arthur. “E’ un mio amico, sa? In realtà, ci siamo conosciuti ieri, abbiamo vinto a carte i biglietti di terza classe. Dio, non penso esistano dei giovani più esuberanti di lui, mi creda! Però è uno a posto, tutto sommato.”
Arthur lo guardò con tanto d’occhi. “Io non sono sicuro che lei sia a posto, in realtà.”
Merlin sorrise. “Beh, non sono io che avevo ispirazione suicide fino ad un istante fa.”
Arthur corrugò la fronte. “Sono intenzionato quanto prima a gettarmi.” Proclamò altezzoso. “Se lei non chiacchierasse continuamente di questo Gwaine, ora i miei problemi sarebbero finiti!”
Merlin roteò gli occhi. “In prima classe sono tutti melodrammatici come lei? Non mi ha sentito, prima? Salta lei, salto io. D’altronde non mi sembra tanto intenzionato a farlo sul serio.”
“Cosa glielo fa pensare?” esclamò Arthur, gli occhi puntati al mare impetuoso e un groppo alla gola che sembrava soffocarlo.
“Mi avrebbe semplicemente ignorato.” Disse furbo il ragazzo.
Arthur tentò di deglutire, ma aveva la gola secca.
Istintivamente le mani si serrarono con più forza al parapetto.
Merlin sorrise incoraggiante, non essendosi perso il benché minimo movimento del giovane. “Su, la prego, si tiri indietro. Ora io scendo dall’altro lato e la aiuto ad arrampicarsi, faccia attenzione.”
Arthur, come in un sogno, si vide tendere la mano a quello sconosciuto, che gliela strinse con forza.
Piano, si girò verso l’interno della nave, incontrando il viso di un ragazzo poco più grande di lui, dai grandi occhi azzurri, brillanti come due perle.
Il giovane Pendragon restò per un istante incantato e, probabilmente, fu il motivo per cui mise un piede in fallo e mancò poco che cadesse davvero nelle acque gelide.
Merlin lo tirò con forza, facendolo arrivare steso sul ponte, ammaccato e col fiatone, ma illeso.
“E dire, che sembrava avesse buon equilibrio da lassù.” Fece Merlin, raccogliendogli di terra il cappotto pesante.
“Cosa?” fece il giovane perplesso. Merlin fece spallucce. “Ero sul ponte superiore, quando ha deciso di cimentarsi in acrobazie. Mi chiedevo se fosse un imbranato e, a quanto pare, non avevo tutti i torti.” Commentò furbo.
Arthur arrossì in zona guance. “Lei è davvero irrispettoso, signore, oltre che chiacchierone fino all’inverosimile.” Fece, alzando il naso al cielo.
Il giovane rise. “Non è il primo a dirmelo.” Rispose, per poi tendergli una mano. “Comunque, piacere, Merlin Emrys.”
Arthur ricambiò la stretta, ancora calamitato dagli occhi chiari dell’altro. “Arthur Pendragon.”
“Wow, fa molto romanzo di cavalieri.” Scherzò il giovane, tendendogli il cappotto.
Arthur quasi non si era accorto di star tremando dal freddo. “Voglio ringraziarla per quanto ha fatto. Io.. beh..” balbettò, ma Merlin gli strinse piano l’avambraccio, facendolo tacere.
“Non c’è bisogno che mi spieghi. Sono certo che avesse i suoi motivi e, non si preoccupi, il suo segreto è al sicuro con me.”
Lo sguardo di Merlin, il suo tono di voce, erano così sinceri, che Arthur per un attimo dimenticò anche solo di respirare.
“Io.. in ogni caso, sarei molto felice se domani le andasse di cenare con noi e, se le va, di restare per una partita di carte.” Disse, cercando di sembrare il più possibile sicuro di sé.
In realtà, Arthur si sentiva infinitamente stupido, ma la sola idea che quell’incontro con Merlin si esaurisse in quella serata, gli provocava una stretta dolorosa al cuore.
“Sicuro che un poveraccio della terza classe sarà ben accetto tra persone così raffinate come lei?” domandò il giovane leggermente.
Arthur annuì, nonostante sapesse quanto Uther avrebbe disapprovato l’amicizia con un ragazzo a loro socialmente inferiore.
“Le assicuro che non ci sarebbero problemi.” Ripeté Arthur convinto.
Merlin sorrise da un orecchio all’altro. “Facciamo così: domattina si faccia trovare qua verso le undici. Passeggeremo un po’, fumeremo un paio di sigarette e vedremo se le farà ancora piacere avermi come suo ospite. Che ne dice?” propose poi.
Arthur ricambiò il sorriso, con una gioia che non immaginava neanche potesse esistere fino ad un’ora prima.
“D’accordo.”
“E così fu. L’indomani mi presentai alle undici in punto sul ponte a prua e Merlin era già là, appoggiato coi gomiti al parapetto.
Fu pazzesco, quasi assurdo, pensare che solo la sera prima mi ero recato nello stesso posto con l’intenzione di togliermi la vita.
Avevo le mani sudate e continuavo a lisciarmi il colletto della camicia azzurra che avevo scelto per l’occasione.
Mi sentivo ridicolo, non credere.
Gwen era rimasta sorpresa, vedendomi prepararmi con tanta solerzia, ma non fece domande.
Nonostante la civetteria innata e un’ingenuità che rasentava l’idiozia, era una buona ragazza.
Mio padre mi squadrò sospettoso, i suoi occhi grigi mi inchiodarono alla porta della suite come fossero spuntoni gelidi.
Se solo avesse avuto il minimo sentore della mia agitazione e, soprattutto, a cosa fosse dovuta, non dubitavo che mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani.”


Arthur osservò Merlin per un lungo minuto, indeciso sul da farsi.
Mai come in quel momento dovette fare appello a tutta l’arroganza in stile Pendragon che gli scorreva nelle vene.
“Buongiorno, Mr. Emrys.” Disse, avvicinandosi al giovane.
Merlin ebbe un sussulto di sorpresa. “Dio, Mr. Pendragon, lei certo deve nutrire un amore particolare per le entrate a sorpresa.” Fece, scuotendo la testa.
Arthur sorrise. “Pensava non sarei venuto?”
“Sì.” Rispose il ragazzo, spiazzando Arthur. “Credevo che avrebbe trovato un passatempo migliore per la sua mattinata.”
“Le assicuro di no.”
Merlin lo guardò in un modo tale da farlo sentire trapassato da parte a parte. Poi scosse le spalle, ridendo fra sé.
“Cos’ha da ridere?” borbottò Arthur, punto sul vivo.
“Lei è strano, Mr. Pendragon.” Disse semplicemente il ragazzo. “Ma mi piace.” Aggiunse, facendogli l’occhiolino. “Venga, camminiamo.”
Arthur e Merlin si incamminarono lungo il ponte, passando dinanzi a divanetti lussuosi, dove i passeggeri più ricchi degustavano la propria colazione.
Il sole picchiava forte, nonostante la temperatura fresca di aprile.
“E lei di cosa si occupa?” domandò Arthur, sperando di non apparire stupido.
Effettivamente, Merlin non aveva l’aria di occuparsi di qualcosa o, per lo meno, non di qualcosa che riguardasse sé stesso.
“Mi piace definirmi un artista.”
“Di che tipo?”
“Di quelli che non hanno un soldo per mangiare.” Rispose furbo Merlin.
Arthur arrossì. “Non volevo essere indelicato..”
Merlin agitò una mano. “Non lo è, si figuri. E poi, non mi lamento: in fondo, mi piace la mia vita e penso che, nonostante non possa permettermi molto, valga la pena di essere vissuta così com’è.”
“Lei dice?” disse Arthur piano.
Merlin annuì. “Sediamoci qua, le mostro i miei disegni.” Disse, tendendogli una cartellina di cuoio, tenuta insieme dallo spago.
Arthur scorse i fogli di carta pesante, tutti rigorosamente disegnati a carboncino.
“Sono veramente bellissimi.” Mormorò senza fiato, sfiorando i bordi di ciascun foglio con delicatezza.
La maggior parte erano studi di varie parti del corpo.
Mani, occhi, nasi, appartenenti ora a donne, ora ad uomini, ora a giovani, ora vecchi.
Ognuno di essi con una luce e una caratteristica propria, che lo rendevano unico, incomparabile.
Alcuni erano nudi a figura intera, spesso di uomini.
Arthur non potè fare a meno di sentirsi un po’ a disagio.
“Questo lo ha ritratto diverse volte.” Fece, indicando un giovane in un disegno.
“Lui è Timothée, l’ho conosciuto a Parigi. Mi creda, non si è vissuto a pieno finchè non si ha vissuto a Parigi, nelle banlieu. Offrono una quantità inimmaginabile di soggetti da studiare. ” Spiegò Merlin. “Vede? Gli manca una gamba, ma aveva un gran senso dell’umorismo.”
“Come lo ha conosciuto?” chiese Arthur incuriosito.
Merlin sorrise a mezza bocca. “Nel bordello dove lavorava.”
Arthur sbattè le palpebre e Merlin continuava a sorridere, come se non gli importasse nulla dell’opinione che poteva avere l’altro giovane.
Come se non temesse affatto che l’altro potesse denunciarlo o, in misura minore, scappare a gambe levate, disgustato alla sua sola vista.
Arthur fissò i muscoli finemente scolpiti, dove il carboncino aveva indugiato volutamente di più sul foglio.
Si chiese se la conoscenza fosse stata solo artistica o se ci fosse stato qualcosa altro.
Il solo pensiero gli faceva salire il sangue alle guance.
“Mr. Emrys..” iniziò Arthur, senza sapere bene cosa dire.
Merlin gli mise una mano sull’avambraccio e, nonostante la stoffa della camicia, al giovane Pendragon sembrava di poter sentire nitidamente la sua pelle contro la sua.
“La prego, mi chiami solo Merlin.” Disse, con un tono di voce che ad Arthur sembrò miele liquido nella gola.
“Merlin..” cercò di dire Arthur, ma prima che potesse aggiungere qualcos’altro, una voce imponente tuonò alle sue spalle e il mondo di Arthur si congelò in quell’istante.
“Arthur, cosa ci fai con questo signore?”
Uther era ritto in piedi a pochi passi dal divano, l’espressione fiera e sprezzante, che puntava Merlin come l’ultimo dei miserabili sulla faccia della terra.
Il ragazzo si alzò quasi istantaneamente. “Padre, permettimi di presentarti Mr. Emrys.” Disse, cercando di suonare il più casuale possibile.
Merlin sollevò il cappello e chinò brevemente il capo, ma sul suo volto era dipinto il più ironico e ribelle dei sorrisi.
Arthur notò che la cartellina di cuoio era stata provvidenzialmente ben chiusa.
Uther non ricambiò il saluto, limitandosi a riportare la sua attenzione verso il figlio. “E come hai conosciuto quest’uomo?”
“Ieri sera, mentre ero a passeggiare sul ponte..” iniziò il ragazzo, ma si interruppe di botto.
Cosa avrebbe mai potuto raccontare al padre per giustificare quell’incontro? Certo non poteva raccontare la verità...
“Mr. Pendragon ha perso l’equilibrio.” Intervenne prontamente Merlin, professando una mezza verità.
“L’equilibrio?” ripetè Uther sospettoso.
“Sì.” Confermò Arthur, scambiando un’occhiata con Merlin.
“Volevo guardare le.. le.. le pale e ho perso l’equilibrio. Sarei certamente caduto in mare, se non fosse intervenuto Mr. Emrys.”
“Ti eri sporto per guardare le pale. E Mr. Emrys ti ha salvato.” Disse lentamente Uther.
Arthur annuì.
Mr. Pendragon sembrò soddisfatto da quella spiegazione. “Beh, penso che il minimo che possiamo fare, sia invitare Mr. Emrys a cenare con noi, non trovi, Arthur?”
Arthur sentì Merlin sospirare di sollievo alle sue spalle, ma non si sentiva così sicuro a riguardo.
Sapeva fin troppo bene quanto subdolo e crudele suo padre potesse diventare.

Alle sette e mezza, Arthur uscì dalla suite, dando il braccio a Gwen.
Sentiva la ragazza ciarlare senza sosta, suo padre come una cappa imponente alle loro spalle.
Arthur cercò di mostrarsi il più loquace possibile, ma il nervosismo scorreva veloce sotto pelle.
I corridoi della nave erano ricchi di specchi.
Arthur riuscì a vedersi per un istante, biondo, pallido, accanto a una ragazza vestita di rosso.
Un perfetto estraneo abitante del suo corpo.
Scese lentamente gli scalini, sentendo Gwen lamentarsi per lo strascico dell’abito lungo.
Un passo, poi un altro, passò davanti al ricco pendolo in mogano.
E là, ai piedi dello scalone, c’era Merlin.
Arthur sentì mancargli l’aria nei polmoni.
Era Merlin, ma sembrava non esserlo allo stesso tempo.
Aveva i capelli tirati all’indietro, sembrava piccolissimo nell’abito scuro ed elegante che indossava, chiaramente non suo.
Il giovane notò che si stropicciava le mani in attesa, le labbra corrucciate in una smorfia nervosa.
Arthur espirò lentamente e, in quel momento, Merlin alzò lo sguardo, facendo incrociare i loro occhi.
Azzurro nell’azzurro.
“Merlin!” esclamò Arthur entusiasta.
“Mr. Pendragon.” Salutò il ragazzo rispettosamente, rovinando l’effetto con un occhiolino dei suoi.
Gwen gli rivolse un’occhiata confusa. “Non l’ho vista nei nostri alloggi, signore.”
“Non posso ancora permettermi il costo di un biglietto di prima classe, signora.” Scherzò Merlin, facendole il baciamano.
Arthur si sporse in avanti. “Ha il papillon storto.” Commentò aggiustandolo.
Le guance di Merlin si imporporarono lievemente. “Non sono pratico di questi affari. Gwaine, il ragazzo di cui le parlavo, ha stretto amicizia con un certo Mr. Brown che, giustamente, ha giudicato i miei abiti inadatti a un salone di prima classe. Così, gentilmente ha acconsentito a prestarmi qualcosa.” Spiegò velocemente.
“Spero solo di non sembrare troppo ridicolo.”
Arthur sorrise ampiamente. “Non si preoccupi, sta d’incanto.”

“Soltanto io, mio padre, Gwen e Mr. Brown sapevamo perfettamente da dove provenisse Merlin.
Per il resto, aveva completamente catturato l’attenzione di tutta la tavola, come un diamante rifulge alla luce solare.
Era allegro, spiritoso, si interessava di qualunque argomento.
Io, al suo fianco, sentivo di essere il ragazzo più felice di tutto l’Impero Britannico.
Osservarlo tenere testa ai degni compari di mio padre mi causava un’ebbrezza tale, che mi sentivo ubriaco senza aver bevuto un solo dito di vino.
Era la prima volta nella mia vita che non mi preoccupava lo sguardo di mio padre, che non mi interessava di quello che avrebbe potuto dire.
Merlin era là, con il suo brio, la sua risata coinvolgente, e niente, niente avrebbe potuto spezzare quell’incantesimo di cui mi sentivo preda.”

“Arthur ci ha raccontato che lei è un ottimo artista, Mr. Emrys.” Disse Gwen, tamponandosi la bocca col tovagliolo ricamato.
Merlin sorrise cordiale. “Mr. Pendragon esagera. Cerco semplicemente di vivere la mia vita nel modo in cui più mi piace.”
“E non la spaventa.” Intervenne Uther. “Non sapere cosa le riservi il futuro? Che un minimo passo falso possa distruggerle qualsiasi prospettiva?”
Arthur istintivamente strinse la tovaglia tra le dita.
Riconosceva perfettamente il tono di avvertimento nella voce di suo padre.
“Non direi, Mr. Pendragon.” Rispose Merlin, senza scomporsi. “Sono fermamente convinto che qualsiasi evento improvviso, bello o brutto che sia, renda la vita degna di essere vissuta. Insomma, solo qualche giorno fa, ho dormito sotto un ponte, come avrei potuto prevedere di ritrovarmi qua, questa sera, con persone eleganti come voi, a bere champagne in bicchieri di cristallo? Ogni giorno ha la sua importanza. Ogni minima azione.” Concluse e, forse, fu un’impressione di Arthur, ma il suo sguardo sembrò puntare proprio nella sua direzione.
“Sono d’accordo.” Disse fermo, sicuro.
Uther inarcò le sopracciglia, estraendo un sigaro dal taschino e accendendolo.
“Sono felice che la pensi così. Spero, allora, che il suo soggiorno in terza classe sia il più piacevole possibile.”
Passata una decina di minuti, Merlin si alzò, scusandosi con i commensali, per congedarsi.
Un istante prima di allontanarsi, si chinò casualmente verso Arthur e gli sussurrò all’orecchio: “Se vuoi partecipare a una vera festa, fatti trovare all’entrata degli alloggi della terza classe tra un quarto d’ora. Sarò là ad aspettarti.”
Arthur non ebbe neanche il tempo di annuire, che il ragazzo era già sparito oltre la porta d’ingresso.












note di Lidia: ehm ehm ehm, ehilà fandom! *agita la manina*
Quale miglior modo per scrivere la prima fanfiction Merthur? MA ISPIRANDOSI AL TITANIC OVVIAMENTE.
Penso di aver preso troppo alla lettere quel "I will go down with this ship" ma tant'è..... 
(gelo del pubblico)
Okay, smettiamola di fare ironia sul mio sadismo, okay. 
L'ispirazione è venuta con la personcina sopracitata e dopo 37 infinite pagine, infiniti audio per leggerla, infiniti complessi mentali, ho deciso di postarla uu
Dato che, appunto, è uscita fuori molto più lunga del previsto, ho pensato di suddividerla in due/tre parti che posterò a distanza di qualche giorno ciascuna uu
Fatemi sapere se vi è piaciuta questa prima parte, se vi ha fatto schifo ed è meglio che vada a coltivare i broccoli, anche un MA COSA TI E' SALTATO IN MENTE INSOMMA, tutto ben accetto AHAHAHAHAH
Un bacino e un grazie a chiunque si sia fermato a leggere <3

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Capitolo 2
*** 2. ***


“Non so come attesi pazientemente che i quindici minuti passassero.
Guardavo freneticamente l’orologio, ma le lancette sembravano muoversi più lentamente di proposito.
Non fu troppo difficile allontanarmi, con la scusa di un’indisposizione.
Mio padre, a quel punto della serata, era abbastanza alticcio e Gwen era stata chiamata a giocare a carte al tavolo delle signore.
Uscire all’aria aperta sembrò un balsamo per il mio cuore agitato.
Rientrai nel salone con le mani che tremavano incontrollabili e non mi accorsi neanche dell’occhiata stupita del facchino, quando gli chiesi di scendere all’ultimo livello, alla terza classe, accanto alle caldaie.
Merlin mi stava aspettando, appoggiato allo stipite di una porta.
Aveva slacciato il papillon e aveva tolto la giacca, restando soltanto in camicia e bretelle.
Mi rivolse un sorriso tale che gli illuminò completamente il viso.
Se chiudo gli occhi, Sarah, sento ancora la sua voce vibrare allegra nelle mie orecchie.”


“Mai stato in Irlanda, Mr. Pendragon?” urlò Merlin, per sovrastare la musica e le voci delle persone che li circondavano.
“No! Lei sì?” urlò Arthur di rimando.
Merlin scoppiò a ridere. “Sono irlandese di nascita!” esclamò, calcando volutamente sulla cadenza delle parole.
Poi lo afferrò per una mano e Arthur istintivamente ricambio la stretta con forza, senza la minima esitazione.
Merlin lo trascinò su un palco sopraelevato, dove coppie di ragazzi ballavano a tempo di musica, saltando, andando su e giù, muovendosi senza freni.
“Questi è meglio se li tolga.” Fece Merlin, sfilandogli il colletto inamidato e la giacca.
Arthur lo guardò confuso. “Non vorrà mica farmi ballare?”
“Molto meglio, ballerà con me.” Ghignò Merlin, trascinandolo nella mischia.
Il giovane non ebbe neanche il tempo di protestare che stavano già girando in tondo velocemente, sotto braccio l’uno con l’altro, Merlin che rideva come un matto seguito a ruota da Arthur.
Senza freni, senza inibizioni, senza preoccupazioni di alcun genere.
Era incredibile come solo la sera prima Arthur fosse stato convinto che niente l’avrebbe potuto mai rendere felice, che tutto dovesse concludersi con un salto nelle acque scure dell’Oceano Atlantico.

Arthur non avrebbe mai potuto pensare che una festa lo divertisse tanto.
O che lo facesse sentire tanto libero, senza codici ed etichette da rispettare.
Merlin gli presentò almeno una ventina di persone, che lo accolsero come uno di loro, come una persona di famiglia, tra abbracci e strette di mano.
Conobbe Gwaine, capelli scuri e risata facile, e Percival, un ragazzone scozzese alto quanto un armadio, ma dai modi gentili.
Ci mancò poco che non morisse dal ridere quando Merlin riconobbe Santiago, a suo dire un ragazzo conosciuto in Spagna tre anni prima, e lo mandò lungo a terra con un abbraccio ben piazzato.
Arthur si arrotolò le maniche della camicia e si scostò i capelli sudati dalla fronte. “Usciamo un po’? Sto morendo dal caldo.” Disse, rivolto a Merlin.
“Sicuro. Vieni di qua.” Stavolta fu Arthur a prenderlo per mano, con naturalezza, come se lo facesse da tutta la vita.

A quell’ora tarda, i corridoi che portavano verso l’esterno della nave erano completamente deserti.
Arthur e Merlin canticchiavano a mezza voce una canzone, di cui a stento indovinavano le parole.
“Ti dico che fa così!” protestò Arthur, aggrotando le sopracciglia.
Merlin rise. “Ma se l’hai sentita per la prima volta cinque minuti fa.”
Arthur lo spintonò leggermente, ma sorrideva tranquillo, appagato.
L’aria notturna era gelida, ma entrambi i ragazzi si sentivano talmente inebriati dalla serata appena trascorsa che non ci fecero neanche caso.
Arthur si appoggiò coi gomiti al parapetto della nave, il naso all’insù verso il cielo stellato.
“Ci crediamo uomini così grandi e non siamo che granelli di polvere rispetto a quest’immensità.” Mormorò.
“Non fa che confermare quanto ho detto prima; è meglio essere felici nel tempo che ci è concesso.” Disse Merlin.
Arthur annuì.
Per pochi minuti nessuno dei due parlò, ognuno immerso nei propri pensieri.
“Cosa farai una volta arrivato a New York?” chiese Arthur.
Merlin scrollò le spalle. “Non lo so. Suppongo che cercherò di adattarmi alla vita nella Grande Mela. Dicono che in America ci siano più opportunità, anche per degli squattrinati come me.” Fece ironicamente. “Dio, nonostante tutto, mi mancherà l’Europa. Parigi e Dublino sicuramente.” Aggiunse, accendendosi una sigaretta.
“Parigi è davvero così bella?” domandò Arthur.
Merlin annuì. “Ti senti libero di essere chi vuoi o.. chi sei.” Sussurrò, gettando uno sguardo alle loro mani, fino a poco prima intrecciate.
“Non riesco quasi ad immaginarlo.” Disse Arthur, sorridendo amaro.

In quel momento una stella cadente squarciò per un istante il cielo nero.
“Esprimi un desiderio.” disse, girandosi verso Merlin, ma il ragazzo non stava affatto prestando attenzione al cielo.
Guardava semplicemente lui.
Come se fosse qualcosa di raro e prezioso.
“Perché dovrei?” disse, infatti.
“Dovrei andare adesso.” Sussurrò Arthur.
“Lo so.” Rispose Merlin. Gli si avvicinò, riallacciandogli il colletto e lisciandolo con cura.
Arthur non osò neppure fiatare, calamitato dalla sua espressione concentrata.
“Perfetto.” Disse il ragazzo infine.
Poi, fece l’ultima cosa che Arthur si sarebbe aspettato.
Gli prese la mano destra e vi depose un bacio sulle nocche.
“Buonanotte, Arthur.” Disse con un sorriso, arrotolando il suo nome nella bocca in maniera deliziosa, voltandosi per ritornare negli alloggi della terza classe.
“Buonanotte, Merlin.” Mormorò il giovane tra sé, restando per un istante imbambolato, guardandolo sparire oltre le scale.

“Naturalmente, col senno di poi, mi chiesi come avessi potuto pensare che avrei avuto vita facile.
Ancora oggi, sul finire del millennio, per i ragazzi non è semplice dichiararsi omosessuali, ma non sarà mai orribile come a quei tempi.
Si trattava di essere considerati scherzi della natura, malati, deviati, criminali contro l’ordine morale.
La pena era la galera.
Nel mio caso, la collera di mio padre equivaleva alla condanna ai lavori forzati.
A sedici anni avevo conosciuto un ragazzetto, William, che nella bella stagione, portava la posta ogni mattina, alla porta della nostra villa di campagna.
Ricordo che avesse i capelli rossi e ricciuti e due vispi occhi verdi.
Non successe chissà che cosa, non eravamo tanto stupidi da rischiare nella stessa casa di mio padre.
Eppure, ci colse in flagrante, mentre Will mi carezzava le labbra, al di sotto di un albero in riva al fiume.
Fui frustrato duramente e di Will non seppi più nulla.
Supplicai mio padre, fui vigliacco, giurai e spergiurai che si era trattato solo di un momento di follia, che non si sarebbe mai più ripetuto, che provavo ribrezzo per me stesso.
Se ci penso, mi sento ancora così in colpa.
Dopo il fidanzamento con Gwen, mio padre sembrò calare la guardia: d’altronde, mi ero rassegnato a quella che sarebbe stata la mia infelice condizione per il resto della vita.
Dovevo immaginare che, in realtà, aveva continuato a controllarmi a vista, pur di accertarsi che non macchiassi l’onore dei Pendragon con la mia deviazione.”


Arthur rientrò nella suite con il sorriso sulle labbra.
Si sfilò la giacca elegante e la appoggiò all’attaccapanni all’ingresso della stanza.
Tutto era in ombra, Arthur immaginò che Gwen e suo padre si fossero già ritirati.
Fu per questo che, quando la figura di Uther gli si parò davanti, sobbalzò sorpreso e, quasi in automatico, seppe di avere dipinta in viso l’espressione più colpevole del mondo.
“Padre.” Balbettò. “Pensavo fossi già a dormire.”
Uther sorrise piano, come un cacciatore che osserva la propria preda cadere in trappola.
“Oh no, figlio. Sono stato piuttosto occupato con Sir Bingley e Sir Garber.”
“Ah, capisco. Sarai certo molto stanco adesso.”
Uther rise freddo. “Suvvia, Arthur, il tuo caro padre non è ancora così vecchio e stupido come credi.”
“Io non..”
“Taci.” Intimò Uther. “Mentre stavo giocando a carte, un uccellino mi ha riferito di aver visto qualcosa di molto curioso in giro per la nave. Puoi immaginare cosa?” Proseguì, con calma glaciale.
Arthur ingoiò a vuoto.
Un velo di sudore freddo gli cospargeva la fronte.
“Cosa?” disse, cercando di mostrarsi curioso.
Uther non accennava a smettere di sorridere, con la mani cacciate nelle tasche.
“Tale Mr. Emrys, un pezzente saltimbanco girovago di terza classe, mano nella mano, senza alcun ritegno per la loro oscenità, con.. mio figlio.”
Arthur non ebbe neanche il tempo di pensare di difendersi, di inventare una scusa o di provare a scappare.
Il cervello gli si era annebbiato dal terrore e i muscoli sembravano essersi paralizzati.
Quasi non si accorse del pugno che gli si abbatté sul viso, in pieno zigomo, e poi del secondo, del terzo, del quarto, a cui si aggiunse un calcio nello stomaco e le urla furenti di suo padre, che lo ricopriva di insulti.
Il dolore fisico non era nulla in confronto a quello che provava dentro di sé.
Quel paio di ore erano state sola mera ed effimera illusione, come sempre.
Uther smise per un attimo di picchiarlo ed Arthur sputò sangue a terra, tossendo, cercando di trattenere i conati di vomito.
“Stammi a sentire molto bene, schifoso ragazzino.” Disse suo padre tra i denti, afferrandolo per l’attaccatura dei capelli biondi e avvicinandolo alla sua faccia, gli occhi due tizzoni ardenti di odio.
“Non mi interessa se preferisci prenderlo su per il culo, non mi metterai in condizioni di vergognarmi di te e di disonorare il nome dei Pendragon. Quando arriveremo a New York, sposerai la tua fidanzata e i nostri debiti saranno risanati dalla sua fortuna.”
Uther lasciò la presa, facendolo cadere a terra come un burattino a cui fossero tagliati i fili.
“Per quanto riguarda il tuo amichetto, sono certo che non ti azzarderai a rivederlo.” Riprese poi con noncuranza. “Non vorrai certo che faccia la fine di William Stamford.” Concluse.
Nella penombra della stanza, Arthur lo vide infilare la veste da camera e sciacquarsi le mani in una ciotolina, ripulendosi del sangue del figlio.
“Margaret.” Chiamò poi, rivolgendosi alla loro cameriera. “Il signorino Arthur ha avuto uno spiacevole incontro stasera. Prenditi cura di lui e fa in modo che domani sia presentabile per la sua fidanzata.”
A quel punto, Arthur non riuscì più a trattenersi e vomitò sangue e bile sul tappeto damascato.

“Inutile dire che presi molto seriamente l’avvertimento di mio padre.
Margaret fece il possibile per la mia faccia.
Naturalmente, servire presso una casa nobile, comprende essere pratichi nel nascondere gli abusi che un padrone violento può commettere su moglie e figli.
Quando mi guardai di sfuggita allo specchio, stentai a riconoscere persino le mie stesse fattezze umane.
Il mattino seguente – eravamo al terzo giorno di navigazione – mi fu impedito di lasciare la mia camera da letto.
Nonostante gli sforzi di Margaret, non sarebbe stato difficile indovinare a cosa fosse dovuto il mio aspetto.
A Gwen raccontarono che ero indisposto e febbricitante, pertanto non le fu permesso di accertarsi delle mie condizioni.
La sentii augurarsi con voce affettata che il suo caro Arthur si riprendesse presto. Il viaggio sarebbe stato una tale noia senza di me!
Mi lasciarono poltrire a letto, con la mia cameriera che regolarmente mi applicava pomate ed unguenti per aiutare ad estinguere al più presto le lividure.
Nel mio stato di incoscienza, ovviamente, pensavo a Merlin, a quanto mi avesse reso felice e libero per una serata.
Al suo sorriso largo e sincero, gli occhi azzurri come pietre preziose, la sua risata contagiosa.
Quanto doveva essere stato in pena per me! Seppi in seguito che aveva cercato di parlare con il mio maggiordomo, ma chiaramente ottenne ben poche informazioni.
Ero così preoccupato di quello che mio padre potesse fargli in mia assenza che anche i brevi sonni in cui cadevano erano tormentati di sogni angosciosi.
Non mi importava poi tanto di me stesso, del dolore fisico.
Avrebbe potuto ammazzarmi, cosa me ne sarebbe importato?
No, l’unica cosa per cui ero terrorizzato era Merlin, solo e soltanto Merlin.
Non potevo avere più contatti con lui.
Non potevo esporlo a quel pericolo.
Non potevo permettere che gli accadesse qualcosa di male a causa mia.”


Arthur passeggiava lentamente a fianco di Gwen, nel sole mattutino.
Alla fine, con il piccolo aiuto di cipria e belletto, Margaret era riuscita a coprire gli ematomi più compromettenti.
La supposta malattia gli permetteva di camminare piano, così da non sforzare le costole indolenzite.
“Gwen, ho bisogno di sedermi un momento.” le chiese dopo un attimo, fermandosi accanto a un divanetto.
La ragazza sorrise accondiscendente. “Va bene, Arthur caro, io raggiungerò Lady Moran più avanti. Voi uomini per un raffreddore vi abbattete completamente.” Proclamò con una risatina.
Arthur si sedette, ma dopo un istante sentì qualcuno tirarlo per la manica della giacca.
“Ma cosa.. Merlin?!” esclamò spaventato. “Non dovresti essere qui, è riservato ai passeggeri di prima classe.” Balbettò.
Merlin agitò la mano, come se la cosa non avesse per lui la minima importanza. “Credi davvero che mi faccia questo problema? Perché nessuno ha saputo darmi una spiegazione ieri? Cosa è successo?” domandò a raffica.
Arthur si guardava intorno, preoccupato. “Merlin.. ah.. dannazione! Entra qua dentro.” Imprecò, spingendolo oltre la porta della sala cafè, al momento chiusa.
“Arthur, si può sapere cosa..” iniziò Merlin, ma Arthur aveva chiuso gli occhi in una smorfia di dolore.
Merlin tacque, avvicinandosi a lui, e poggiandogli cautamente un dito sul viso.
Poteva sentire sotto la consistenza inusuale del trucco e non gli fu così difficile indovinare cosa fosse successo.
“Ti ha picchiato.” Sussurrò sconvolto.
Arthur strinse le labbra. “Non.. sì, ma non devi preoccuparti. Era solo arrabbiato e.. e ora sto bene. Per piacere, lasciami stare adesso.” Disse, mettendo la mano sulla maniglia, ma Merlin fu veloce a bloccargli il polso.
“Non preoccuparmi? Spero tu stia scherzando Arthur. Sparisci un giorno intero e ti ritrovo.. conciato così. Come puoi pensare che non mi preoccupi?” riprese, le iridi azzurre che sembravano tremare negli occhi.
“Non devi.. ti prego, Merlin, non lo rendere ancora più difficile.” Supplicò il ragazzo. “Ci conosciamo appena e.. tra pochi giorni arriveremo a New York, io sposerò Gwen e tu dimenticherai anche di avermi incontrato.” Disse con la voce incrinata al solo pensiero.
Merlin scosse lentamente il capo. “Come potrei dimenticarti, testa di fagiolo che non sei altro? Ormai ci sono troppo dentro.. salti tu, salto io, ricordi? Non posso vivere con la consapevolezza che tu non sei libero.”
Arthur deglutì. “E’ la cosa giusta per me.”
“No, non lo è!” urlò Merlin. “Lo so come va il mondo: non ho nulla da offrirti, chiunque ci giudicherebbe un abominio della natura, so benissimo che non sarebbe facile, ma Arthur.” Disse, prendendogli le mani e stringendole forte. “Potrà essere giusto per qualche mese, addirittura qualche anno. Ma poi.. ti spegnerai e dannazione, non posso permetterlo.”
Merlin aveva il fiatone per quanta passione aveva usato.
Arthur si sentiva sul punto di scoppiare in lacrime e l’avrebbe certamente fatto, se la voce di Gwen che lo chiamava dall’esterno non l’avesse fatto sobbalzare.
“Merlin devo..”
“Ti prego, ti prego. Pensaci almeno. Sarò sul ponte, a prua, dove ci siamo conosciuti, ad ora di cena, quando tutti saranno in sala ristorante. Ti prego, Arthur.”

“Le parole di Merlin mi rimbombavano nella testa. Il resto della giornata lo trascorsi in uno stato di trance, a stento rispondevo quando qualcuno mi interpellava.
Volevo abbandonarmi a quel ti prego.
Volevo corrergli incontro e dirgli, sì, scappiamo, andiamo via dove nessuno ci possa più riconoscere.
Ma avevo paura, terribilmente paura.
Paura di mio padre, paura di Gwen, paura del giudizio di tutto il resto del mondo.
Paura di fidarmi.”


Il sole stava lentamente declinando sulla linea dell’orizzonte, spandendo bagliori rossastri sul cielo intorno.
Arthur guardava fuori dalla vetrata, con lo stomaco stretto e i sentimenti ingarbugliati.
Stava per perderlo e non riusciva a reggere questa consapevolezza.
“Va tutto bene, giovanotto?”
Arthur si girò di scatto verso l’uomo che aveva parlato e, con sollievo, notò che si trattava di Mr. Brown.
“Certamente.” Mentì. “Stavo solo pensando.”
Il vecchio sorrise scettico. “Dalla tua espressione, si doveva trattare di una questione abbastanza spinosa.”
Arthur abbozzò un sorriso di scuse. “Abbastanza.”
L’uomo si sedette di fronte a lui. “Avanti, dimmi. E non preoccuparti, non riferirò al tuo caro padre, dubito che potrebbe fornirti aiuto.” Disse, accendendosi la pipa e aspirando una boccata di fumo.
“Si è mai.. trovato in bilico tra due fuochi?” domandò Arthur esitante. “Voglio dire, tra lo scegliere tra cosa è giusto per tutti e cosa è giusto per sé stesso?”
“Come tutti, suppongo.” Rispose Mr. Brown, inarcando il famoso sopracciglio.
“Ecco.. io mi trovo in difficoltà. Se seguissi la prima strada sarebbe tutto più semplice, se prendessi la seconda probabilmente tutto finirebbe complicarsi fino all’inverosimile.”
Mr. Brown aspirò un’altra boccata di fumo. “Se la metti così, ragazzo, è piuttosto facile decidere, non trovi?”
Arthur rise nervosamente. “Forse.”
“Ragazzo, se non intuissi a cosa si riferisca la seconda strada, ti consiglierei certamente di comportarti in modo da evitarti tante noie e problemi. Ma credo che a questo bivio, ci sia il simpatico giovanotto giramondo che ci hai presentato l’altra sera, non è vero?” commentò con semplicità il vecchio.
Arthur arrossì di botto. “Lei.. come.. non..”
“Prendi fiato, non vorrai deciderti di tirare le cuoia proprio ora.” Lo riprese ironico l’uomo. “Ragazzo, forse a costo di grandi sacrifici mi sono conquistato un posto in prima classe, ma non sono certamente rimbecillito come quegli altri signori.” Disse Mr. Brown in tutta tranquillità.
Arthur abbassò lo sguardo. “Mi piacerebbe che non fosse l’unico a pensarla così.”
Mr. Brown aspirò un’ultima, profonda boccata di fumo, umettandosi le labbra, come per ponderare con attenzione le parole successive. “Non tutti la penseranno come me. Anzi, penso che saranno più le persone a darti contro che ad appoggiarti, in primis tuo padre. Ma, la vita è solo tua. Non appartiene a tuo padre, neanche al giovanotto per cui spasimi tanto. E’ tua e devi prendere con coraggio le tue decisioni. Non ti dirò cosa fare, ragazzo, ma quando ormai raggiungi una certa età, ti rendi conto che sia sempre meglio avere più rimorsi che rimpianti.” Concluse, lanciandogli uno sguardo penetrante dal retro degli occhiali rotondi.
“Adesso, fingi di sentirti abbastanza male, ti accompagnerò fuori di qua, senza che tuo padre mandi qualcuno a seguirti e potrai pensare in santa pace.”
Arthur si aprì nel primo vero sorriso in due giorni. “Non so come ringraziarla.”
Il vecchio sbuffò impaziente. “Fai la scelta giusta e mi farai contento.”

L’espediente di Mr. Brown si rivelò vincente.
Vedendolo accompagnato da un uomo, seppur stravagante, ma pur sempre anziano e rispettabile, Uther non si preoccupò minimamente di poter esser stato tratto in inganno.
“Ti lascio qua, giovanotto. Io mi ritirerò nella mia camera.” Disse, congedandosi l’uomo.
“Buona fortuna.” Gli augurò infine.

Rimasto solo, Arthur chiuse per un attimo gli occhi, pensando a quello che sentiva nel cuore.
Valeva la pena portarsi per sempre il rimpianto di non averci provato?
Valeva la pena abbandonare Merlin e aspettare di dimenticarlo?
Nessuno, riflettè Arthur, lo aveva mai fatto sentire così vivo come quel ragazzo.
Come poteva un sentimento così puro essere considerato tanto sbagliato?
Sentendosi sicuro come non mai, Arthur si incamminò a passo spedito verso il ponte di prua.
Il loro posto, effettivamente.
Sentiva il cuore battere furiosamente nelle orecchie, pregava solo che Merlin non se ne fosse andato già.
Gli ultimi metri li percorse quasi correndo, nonostante il dolore lancinante alle costole.
Merlin era di spalle, stagliato contro il cielo tinto di rosso e d’arancio, lo spettacolo mozzafiato del tramonto sull’oceano.
“Merlin!” lo chiamò Arthur ad alta voce.
Stavolta il ragazzo si girò di scatto, la sorpresa incisa in ogni tratto del suo viso pallido.
“Ho cambiato idea.” Disse semplicemente Arthur. “Ci ho pensato e-“
“Sh.” Lo zittì Merlin, con un sorriso dolcissimo dipinto sul volto. “Dammi la mano e chiudi gli occhi.” Disse poi.
Arthur ricambiò il sorriso e, senza dire una parola, gli strinse la mano, serrando le palpebre.
“Sai, i parapetti non sono fatti solo per sporgersi a guardare le pale.” Stava dicendo ironicamente la voce di Merlin, mentre lo guidava a salire dinanzi a sé.
“Se non stai attento, mi ci farai finire di sicuro.” Rispose Arthur, sempre ad occhi chiusi.
“Testa di fagiolo.” Borbottò Merlin divertito. “Ti fidi di me?”
“Certo che mi fido di te.” Rispose l’altro di getto.
Le mani di Merlin guidarono quelle di Arthur sulla ringhiera di acciaio.
Arthur sentiva il vento forte frustrargli il viso e scompigliargli i capelli biondi.
Poi la pressione del corpo di Merlin dietro il suo e le sue braccia che gli circondavano il busto.
Era da pazzi, pensò per un istante il giovane, ma per una volta non gli importava.
“Apri gli occhi adesso.” Sussurrò Merlin al suo orecchio.
Arthur aprì gli occhi e trattenne bruscamente il fiato.
Lì, sulla punta estrema della nave, vedeva il mare avvicinarsi veloce ed impetuoso ai suoi occhi.
“Merlin, sto volando.” Mormorò, senza parole.
Merlin non rispose, intrecciando le loro dita.
Arthur voltò lentamente la testa, fino ad incrociare il suo sguardo.
Gli occhi di Merlin erano totalmente persi, adoranti e chiaramente carichi di amore per lui.
Non seppe dire chi fu il primo a baciare l’altro.
Soltanto, le loro labbra si incontrarono con una delicatezza estrema e le mani di Arthur si strinsero forte alla camicia di Merlin, in un abbraccio che sembrava dovesse durare per sempre, oltre il tempo e lo spazio.

“Non pensi che tuo padre potrebbe tornare all’improvviso?” domandò Merlin titubante, entrando silenziosamente nella suite della famiglia Pendragon.
Arthur emise un verso scettico. “Sa che sono stato accompagnato da Mr. Brown e, inoltre, a quest’ora avranno a malapena servito gli antipasti. Ne avremo per almeno un paio d’ore.” Disse tranquillo.
Merlin sorrise rassicurato e Arthur gli incastrò i polsi dietro il collo.
Stavolta non ebbe esitazione a chinarsi verso di lui per mordergli delicatamente il labbro inferiore.
Non ne avrebbe mai avuto abbastanza, pensò chiudendo gli occhi.
Merlin gli accarezzò i capelli e, quando Arthur approfondì il bacio, un gemito gli uscì dal profondo della gola.
Si staccarono entrambi a corto di fiato.
Merlin gli poggiò la testa nell’incavo del collo, mentre Arthur gli carezzava la schiena.
“Merlin.. vorrei chiederti una cosa.” fece improvvisamente il ragazzo.
“Tutto quello che vuoi.”
“Vorrei.. vorrei che tu mi disegnassi come i tuoi ragazzi francesi.” Sussurrò.
Merlin sgranò gli occhi. “Cioè… senza.. ho capito bene?”
Arthur sentì le guance andargli a fuoco.
“Hai capito benissimo.”
Il ragazzo vide Merlin deglutire. “D’accordo. Ehm.. adesso?”
Arthur annuì.
Merlin prese un respiro profondo. “Uhm.. okay. Io.. io preparo il materiale. Tu.. ehm vai a prepararti.”
Mentre entrava nella stanza guardaroba, Arthur sorrise malizioso tra sé.
In fin dei conti, non era l’unico a desiderare l’altro.

Arhtur rientrò nel salottino con il cuore che batteva forte.
Merlin stava sprimacciando i cuscini del divano e osservava la luce proiettata dal lampadario di cristallo.
Arthur si schiarì la voce. “Eccomi.” Disse, tenendo in mano la cintura della veste da camera.
“Stenditi là.” Disse Merlin. “E.. ehm.. togliti quella.” Aggiunse nervosamente, le orecchie così rosse che sembravano prendere fuoco.
Arthur ghignò. “Non avrei mai detto che proprio tu fossi così pudico.”
“Senti chi parla.” Borbottò il ragazzo, roteando gli occhi.
Arthur si stese sul divano, appoggiandosi languidamente sui cuscini di seta verde.
“Tieni il braccio più su.” Gli indicò Merlin, con le sopracciglia aggrottate. “Bene.. così. Adesso, cerca di tenere gli occhi fissi a me e di non muoverti.”
“Va bene.” Sorrise Arthur.

Nonostante le prese in giro, Merlin sapeva effettivamente il fatto suo.
Nella stanza si sentivano unicamente i loro respiri e il rumore del carboncino passato sulla carta ruvida.
Arthur avrebbe potuto guardare Merlin disegnare per sempre.
L’espressione concentrata, una ciocca di capelli neri che gli cadeva di continuo sulla fronte e l’idea di essere oggetto di una tale contemplazione gli facevano stringere le viscere in una morsa di puro piacere.
Mentre sfumava le linee di carboncino per creare al meglio i chiaroscuri, Merlin diventò di mille colori e la smorfia che gli arricciò le labbra fu talmente buffa che Arthur dovette trattenersi per non ridere.
“Non vorrei dire, ma mi sembra che lei sia arrossito, Mr. Grande Artista.” Scherzò.
Merlin roteò gli occhi, sorridendo a mezza bocca.
“Non riesco ad immaginare Monsieur Monet che arrossisce.” Lo punzecchiò ancora.
“Questo perché Monsieur Monet dipinge paesaggi e non ha soggetti di tale bellezza a sua disposizione.” Ribattè il ragazzo leggermente.

“So cosa sta passando nella tua testolina con gli ormoni a mille che ti ritrovi, ma Merlin fu un vero professionista per tutta la durata del disegno.
Ergo, non mi saltò addosso.. almeno non in quel momento.
Fu uno spasso vederlo arrossire di tanto in tanto, ma devo ammettere che io non ero in condizioni migliori.
Fu l’emozione più forte mai provata in diciotto anni, fino ad allora.
A ripensarci, mi sembra quasi ironico.
In quelle ultime ore a bordo del transatlantico, mi erano successe più cose di quanto non fosse accaduto in una vita intera.
Era la sera del 14 aprile e, entro poche ore, il Titanic sarebbe entrato in collisione con quel maledetto iceberg.”


“E’ bellissimo.” Disse Arthur, guardando il disegno, una volta che Merlin ebbe terminato e si fu rivestito di tutto punto.
Merlin gli passò un braccio intorno ai fianchi, mettendogli la testa sulla spalla.
“Ne sono felice. Devo dire che anche il soggetto ha aiutato molto.” Scherzò.
Arthur rise. “La ringrazio, signore.” Fece pomposo.
“Però, manca ancora un ultimo dettaglio.” Disse Merlin con un ghignò, affilando accuratamente un carboncino.
Il ragazzo scarabocchiò qualcosa in un angolo del foglio.
Arthur si sporse oltre la spalla di Merlin per leggere e scoppiò immediatamente in una fragorosa risata.
“Rispettosamente dedicato ad Uther Pendragon, Merlin Emrys” lesse a voce alta. “Sai che mio padre ti ammazzerebbe se trovasse un reperto simile?”
Merlin fece spallucce. “Ne sarebbe valsa la pena.”
Arthur ridacchiò e gli schioccò un bacio in testa.

“Ma dove stiamo andando?” protestò Arthur, mentre Merlin lo conduceva attraverso un dedalo di corridoi, nei meandri del transatlantico.
Merlin roteò gli occhi, fintamente esasperato. “Oltre ad essere melodrammatici, in prima classe siete anche impazienti a quanto vedo.”
“Stai forse pensando di redigere un manuale sulle abitudini dei passeggeri di prima classe?” lo prese in giro Arthur.
Merlin sorrise. “Certamente. Con particolare attenzione per una testa di fagiolo bionda di mia conoscenza.” Disse con fare saputo.
“Idiota.” Fece Arthur, ma alle sue stesse orecchie risultava affettuoso.
Dopo aver borbottato un mezzo senti chi parla, Merlin spinse piano una porta.
Paradossalmente, per essere nel locale attiguo alle caldaie, l’ambiente era congelato.
Arthur si strinse nella giacca, rabbrividendo.
“Ed eccoci nel deposito auto del Titanic!” esclamò Merlin, facendo un buffo inchino.
Arthur fece un fischio. “Queste sì che sono auto.” Commentò, avvicinandosi ad osservarne una.
“Pensavo ne avessi qualcuna simile.” Fece Merlin, appoggiato a una vettura di colore rosso.
Arthur ridacchiò. “Magari. Il cognome è tutto quello che ci resta, credimi.” Disse, scrollando le spalle.
Poi aprì lo sportello e tese una mano a Merlin. “Prego signore, vuole accomodarsi?” fece pomposo.
Il giovane scoppiò a ridere, accettando l’invito.
“Certamente, grazie mille.” Arthur si sedette al posto del conducente, atteggiandosi ad esperto pilota.
Merlin si affacciò dal finestrino alle sue spalle con un sorrisetto dipinto sulle labbra. “Non capita tutti i giorni di avere Arthur Pendragon come autista privato.” Commentò divertito.
Il biondo sorrise compiaciuto. “Può dirlo forte, signore. Dove la porto?”
“Su una stella.” Gli sussurrò Merlin all’orecchio, afferrandolo per le spalle e trascinandolo nell’abitacolo.

La risata si spense in un istante sul volto di Arthur, quando si rese conto quanto in realtà lui e Merlin fossero vicini in quel momento, il moro tra le sue braccia, la testa sul suo petto, nient’altro che il rumore dei loro respiri nella macchina.
Merlin gli prese una mano, premendo con delicatezza le labbra su ognuno dei suoi polpastrelli.
“Fai l’amore con me.” Sussurrò Arthur.
Merlin alzò lo sguardo, occhi azzurri che scintillavano dietro le ciglia nere e lunghe.
“Ne sei sicuro?” domandò con un filo di voce.
Arthur annuì.

Le mani di Merlin erano così delicate, quando iniziarono a sbottonare la camicia di Arthur.
Arthur non si era mai sentito così impacciato come in quel momento, eppure, paradossalmente, gli sembrava perfettamente naturale chinarsi a sfiorare le labbra di Merlin, come se non avesse mai fatto altro per tutta la sua vita.
Così giusto da risultargli istintivo.
Un bisogno talmente primordiale, che non riusciva a capire come avesse potuto vivere fino a quel momento senza concederselo.
Quando Merlin si stese sui sediolini foderati di seta, allacciandogli le gambe al busto, Arthur si sentì un po’ morire per lo sguardo assolutamente carico di fiducia e amore che l’altro ragazzo gli rivolse.
Per un attimo, con la testa nascosta nell’incavo del collo di Merlin, Arthur si sentì come sull’orlo di un precipizio.
“Stai tremando.” Mormorò Merlin contro la sua pelle.
Arthur deglutì. “Sto bene.”
Merlin gli passò il pollice sul viso, sorridendo piano. “Ti amo.”
Arthur sorrise di rimando, poggiandogli un bacio sulla bocca. “Ti amo anche io.”
Il gemito di puro piacere che scappò dalle labbra di Merlin gli sciolse qualcosa all’altezza del cuore.
E da lì non furono nient’altro che stelle in terra.
















note di Lidia: **SOBBING INCONTROLLATO IN SOTTOFONDO**
.. no, neanche da autrice riesco a mantenere un certo grado di dignità con questi due T-T
BUON POMERIGGIO BELLEEEEE :*
Innanzitutto, voglio ringraziare di nuovo le quattro bellissime persone che hanno commentato la prima parte, non sapete quanto mi abbiate fatta felice AHHHH  *^* 
Un capitolo abbastanza denso di avvenimenti, non trovate? uu
L'idea originale era di tagliare dopo la scena tra Uther e Arthur - la Sà e Nico, sante loro, me ne hanno dette di tutti i colori e a ragione - ma sarebbe venuto troppo breve come capitolo e non volevo che prendesse più di tre parti c.c Quindi vi ho risparmiato l'ansia AHAHAHHAHAH
Spero che vi sia piaciuta anche questa parte (io ho amato taantissimo scriverla, credetemi) e che le scene tra Arthur e Merlin siano state di vostro gradimento uu
Fatemi sapere nei commenti, un bacione a chiunque stia leggendo e alla prossima - ed ultima - parte, Lidia :*

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Capitolo 3
*** 3. ***




I finestrini della macchina erano appannati.
Arthur notò di sfuggita l’impronta lasciata dalla sua mano, quando per troppa foga l’aveva sbattuta contro il vetro.
Merlin giaceva accoccolato sul suo petto, a coprirli nulla, se non i vestiti sparsi un po’ ovunque.
“Tra poco dovremo andarcene.” Disse Arthur a malincuore, carezzando i capelli neri di Merlin.
“Vorrei che questo momento durasse per sempre.” Rispose il ragazzo, giocherellando con le sue dita.
Arthur gli pose un bacio sulla testa e, istintivamente, lo strinse un po’ più forte a sé.
“Mio padre non ci perseguiterà per sempre.” Disse poi sottovoce.
Merlin annuì assente, la punta del suo naso che gli sfiorava una clavicola.
“Scappa con me.” Disse all’improvviso, parlando direttamente contro la sua pelle.
“Cosa?” fece Arthur confuso.
Merlin alzò la testa, guardandolo negli occhi azzurri. “Una volta arrivati a New York, vieni con me.” Ripetè. “Lasciamoci tutti indietro. Cambieremo nome, identità, passato. Non potranno più separarci.. se vuoi.”
Arthur non potè impedire a due lacrime di formarsi agli angoli degli occhi.
“Certo che voglio.” Rispose con la voce che gli tremava. “Certo che voglio venire con te.” Ripetè più deciso, afferrandogli le mani.
Merlin non rispose, ma si limitò a baciarlo, carico di fiducia, di amore, di certezza per il loro futuro.
“Sai, cara, probabilmente è questa la cosa che mi fa più male, che di notte si veste da incubo e mi soffoca.
Non il ricordo di quegli istanti di terrore puro, quando lottavamo per la nostra vita, contro il freddo, l’acqua, il panico crescente, no.
Quelle promesse così sincere e quanto, Dio, quanto ci credessimo in quel futuro.
Stretto a Merlin non avevo più paura di mio padre, non avevo più vergogna di me stesso e sono certo che per lui fosse lo stesso.
Ci sentivamo invincibili in quelle quattro pareti di metallo, come se il resto del mondo fosse intrappolato al di fuori di una bolla.
Ed era tutto così vero.
Mai, neanche per un momento, ci siamo raccontati una bugia.
Fu mentre risalivamo i corridoi nella pancia della nave che sentimmo il primo scossone.
Fu mentre ci stringevamo forte le mani che le luci si spensero di colpo.
Fu mentre ci guardammo in faccia perplessi che notammo quella pozzanghera d’acqua vicino alla scala che portava al locale delle caldaie, così insolita, così fuori posto.
Fu mentre ci avvicinavamo alle scale che capimmo che qualcosa non andava per il verso giusto.
Solo che non immaginavamo ancora quanto.”

“Che sta succedendo?” chiese Arthur, con un filo di voce, sentendo il vociare dei passeggeri della terza classe crescere sempre di più mentre si avvicinavano agli ascensori.
“Non lo so.” Fece Merlin, aggrottando le sopracciglia. “Non capisco, perchè tutte quelle persone sono ammassate là davanti? Gwaine? Gwaine!” urlò, chiamando il nome dell’amico.
Gwaine si girò di scatto, il nervosismo inciso in ogni linea del suo volto, i bei capelli lunghi arruffati ai lati del viso.
“Merlin, sei qua, grazie al Cielo!” esclamò, avvicinandosi all’amico. “Pensavamo che ti fosse successa una disgrazia..” borbottò, passandosi una mano sul viso.
“Perché? Che sta succedendo?” intervenne Arthur.
Gwaine gli rivolse un’occhiata cupa. “Non lo sappiamo con certezza, ma.. la nave potrebbe aver urtato un iceberg. Avete sentito lo scossone di prima? Beh.. non so cos’altro avrebbe potuto far traballare questo mostro. Gli ufficiali ci hanno fatto radunare qua e ci hanno ordinato di prendere i giubbotti gonfiabili, eppure non aprono ancora queste cazzo di porte, cosa state aspettando?!” esclamò il ragazzo a gran voce, agitando il pugno per aria.
La folla per tutta risposta rumoreggiò più forte.
Arthur, da parte sua, non sapeva come reagire.
Un iceberg.
Un maledettissimo ammasso di ghiaccio.
Ricordò vagamente quanti compartimenti allagati avrebbe potuto sopportare il transatlantico senza affondare.
Avevano dato ordine di prendere i giubbotti, eppure non li facevano salire verso i ponti superiori.
Evidentemente, cercavano di dare la precedenza ai passeggeri di prima classe.
Quelli come suo padre. Come Gwen.
La terza classe avrebbe trovato il modo di cavarsela.
Deglutì a vuoto e vide che Merlin era sbiancato tutto di un colpo.
Gli afferrò la mano e strinse forte, sentendo il calore della sua pelle infondergli forza nelle vene.
“Dobbiamo assolutamente uscire da qua. Tutti.” Disse deciso.
Merlin annuì al suo fianco. “Abbiamo un appuntamento a New York che non possiamo assolutamente perdere.” Aggiunse, accennando un sorrisetto.
“Iniziammo a spingere.
A urlare.
Eravamo pressati contro centinaia di persone, uomini, donne con i bambini in braccio, vecchi, giovani.
I minuti passavano inesorabili, ricordo che era intorno alla mezzanotte.
Non sapevamo cosa stesse succedendo, eravamo intrappolati in una scatola di metallo che si stava lentamente riempiendo d’acqua.
So che molti dei passeggeri di prima e seconda classe pensarono ad uno scherzo, che restarono ignari di tutto fin quando non fu chiaro che la nave stava per inabissarsi.
Noi, vivemmo il vero terrore.
Non contavamo.
A furia di spingere, i cardini dei cancelli in metallo presero a cigolare sempre più insistentemente.
Fu allora che un sottoufficiale, poco più di un ragazzino, pallido e spaventato si decise a girare la chiave nella toppa e farci passare.
Ci dissero di lasciar passare prima le donne e i bambini, di non accalcarci sulle lance.
Mi chiedo anche solo come pensassero fosse possibile gestire il panico, quando dietro le sue spalle un mostro d’acqua lotta per inghiottirti.”

Arthur e Merlin furono tra gli ultimi ad uscire all’aperto.
“Certo che fa freschino qua fuori, non trovi?” disse Merlin, battendo i denti e stringendosi addosso il suo cappotto sottile.
Arthur gli mise un braccio intorno le spalle, stringendoselo addosso.
“Cerchiamo di capire cosa sta succedendo, poi penserò a trovarti qualcosa di più pesante.”
Merlin ridacchiò. “La nave imbarca acqua e tu pensi a fare shopping?”
Arthur sorrise. “Aggiungilo al tuo saggio sui passeggeri della prima classe.”

La situazione sul ponte era surreale.
Arthur notò subito gli ufficiali in divisa bianca aiutare le signore impellicciate a salire a bordo delle lance, riconobbe persino qualche amica della sua promessa.
Lo smarrimento dei passeggeri di terza classe strideva in maniera sorprendente alla tranquilla indifferenza di quelli più ricchi.
Come se si stesse trattando di una divertente messinscena.
Arthur vide uomini conversare del più e del meno affacciati al parapetto, i musicisti accordare i violini per un altro valzer.
“Se continuano a calarle giù semivuote, ben presto non ci sarà più spazio per noi altri.” Disse Merlin teso.
Arthur non rispose. Si limitò a stringere più forte la mano sulla sua spalla.

“Arthur! Arthur! Sei qua!” urlò improvvisamente una voce ben nota.
Il giovane, sentendosi chiamare, si girò di scatto.
Gwen gli si lanciò direttamente tra le braccia, perfettamente agghindata per la cena di gala, solo il volto che tradiva la preoccupazione.
“Gwen, non dovresti essere qua, dovresti essere su una delle scialuppe.” Fece Arthur afferrandola per le spalle.
"Oh, lo so, ma non potevo pensare di andare via senza di te e tu dove..” iniziò, per poi rendersi conto della presenza di Merlin alle spalle del fidanzato. “Signor Emrys..” balbettò confusa, lasciando vagare lo sguardo dall’uno all’altro.
Merlin arrossì e distolse lo sguardo.
“Tuo padre aveva ragione, dunque.” Disse soltanto la ragazza, impallidendo.
Arthur gemette di frustrazione. “Gwen, credimi, non è questo il momento di discuterne.”
“Invece io penso che lo sia, Arthur! Perché mi fai questo? Cosa diranno tutti a Philadelphia?!” strillò la fanciulla con le lacrime agli occhi.
“Gwen, lo capisci che la nave sta affondando e che potremmo non arrivarci mai a Philadelphia?” urlò Arthur perdendo la pazienza, facendola sobbalzare. “Devi salire su quelle benedetta scialuppa e pensare a tenerti stretta al salvagente.” Riprese il ragazzo, addolcendo il tono della voce. “Non posso permettermi di vederti morire, capito?”
Gwen, in lacrime, annuì, gli occhi scuri dilatati dallo spavento.
“Signorina Montoya, lasci che l’accompagni alla sua scialuppa, la prego.” Disse Merlin, offrendole la mano.
La giovane gli rivolse un’occhiata indecifrabile, probabilmente un misto di gelosia e paura.
“La ringrazio, signor Emrys.” Disse semplicemente, accettando il suo aiuto.
Vedendo Merlin aiutare Gwen ad arrampicarsi sulla barca, Arthur sentì di amarlo un po’ in più.

Poco prima di sedersi, la ragazza si chinò verso il giovane, il tanto che bastava per sussurragli qualcosa all’orecchio.
Merlin annuì e si allontanò di un passo, rivolgendole un piccolo inchino, per poi riavvicinarsi ad Arthur.
La lancia fu calata verso il basso e i due videro Gwen diventare un puntolino rosso, confuso tra le altre dame, sempre più piccolo nel grande oceano scuro.
“Gwen mi ha avvertito.” Disse Merlin di punto in bianco.
Era teso, il tono di voce che tratteneva una sorta di placida ira. “Tuo padre ha spiattellato a voce alta tutto il suo disgusto per noi froci e ha minacciato di volerci morti.”
Arthur si strinse nelle spalle. “Non me ne sorprendo.” Iniziò, ma la smorfia che fece Merlin lo costrinse tacere.
“Ha una pistola. E a quanto pare, non si farà scrupoli ad usarla su entrambi.”

Nel momento esatto in cui Merlin finì di parlare, qualche metro distante da loro la figura di Uther si stagliò sul nero della notte.
“Dannazione.” Imprecò Arthur tra i denti, notando come la rabbia avesse stravolto i lineamenti di suo padre.
Non ebbe neanche il tempo di pensare che Merlin lo aveva già afferrato per una mano, trascinandolo all’indietro lungo il ponte, dritto verso lo scalone di accesso alla prima classe.
“Non provare a farti ammazzare adesso, signor Pendragon.” lo ammonì Merlin col fiatone, mentre correvano sotto gli sguardi increduli dei pochi passeggeri rimasti nell’atrio dorato, saltando gli scalini a due a due.
“Fatemi passare immediatamente.” sentirono esclamare imperiosamente da Uther, che evidentemente non aveva la loro stessa agilità.
“Dove andiamo?” ansimò Arthur, quando giunsero alle porte degli ascensori. Merlin si guardò rapidamente intorno, poi gli indicò delle scalette sulla sinistra.
“Di là si accede alla sala fumatori e a quella del biliardo, le finestre sono facilmente sbloccabili, da quelle potremmo passare di sopra.” Spiegò velocemente, afferrando Arthur per mano.
Nonostante la situazione disperata, Arthur non potè fare a meno di prenderlo in giro. “E tu, tutte queste cose come le sai?”
Merlin roteò gli occhi, ma sorrise a mezza bocca. “Un certo signor Pendragon era sparito dalla circolazione, senza che io sapessi nulla e, in qualche modo, dovevo pur indagare.”
Arthur aveva appena spalancato la porta che un colpo di pistola risuonò alle loro spalle.
“Pensavo di averti avvisato, di essere stato abbastanza chiaro.” Urlò la voce tonante di Uhter.
Merlin non perse tempo e trascinò Arthur dietro il bancone del lussuoso bar.
Udirono un altro colpo di pistola e un sinistro scricchiolio di legno scheggiato.
“Preferisco vederti morto che frocio.” Sputò ancora l’uomo, sbattendo la porta contro il muro.
Arthur non potè impedirsi di trasalire.
Il sano, vivido terrore che gli aveva sempre ispirato suo padre, nonostante si fosse attenuato nelle ultime ore, vibrava al di sotto delle sue costole.
Merlin gli strinse più forte la mano, respirando appena.
Uther scaraventò una sedia per terra, rovesciò un tavolo, i due ragazzi potevano vederlo dallo specchio dietro il bancone.
“Cosa c’è? Avete paura che il paparino vi faccia del male?” urlò, con una risata orribile, facendolo apparire sempre più simile a una maschera mostruosa.
L’uomo sembrò notare in quel momento un’ulteriore porta, dal lato opposto della stanza, verso cui si avvicinò a passo deciso.
Credendo ormai scampato il pericolo, i due ragazzi si gettarono fuori dal loro nascondiglio, pronti a lanciarsi verso l’altra uscita, ma evidentemente erano stati troppo precipitosi.
Uther non aveva ancora abbandonato la stanza e, al rumore, si girò di scatto.
Arthur pensò che fosse davvero finita e, istintivamente, si parò davanti a Merlin. In quel momento, però, la nave ebbe uno scossone violentissimo e la corrente venne meno del tutto.
“Ma che diavolo..” ebbe modo di imprecare Uther, quando un altro scossone gli fece perdere l’equilibrio, facendolo precipitare oltre le scale di servizio.
Arthur non sentì il tonfo del corpo di suo padre.
Non sentì il sospiro di sollievo uscirgli immediatamente dalle labbra.
Un altro rumore ben più fragoroso coprì ogni altro pensiero.
Il ruggito dell’acqua aveva raggiunto anche il loro livello.
“Mi domando come io e Merlin siamo sopravvissuti tanto da arrivare ancora con tutte le membra intatte in acqua.
Vedi, cara, il Titanic inabissandosi verso il fondo dell’oceano si spezzò in due parti.
Sembra quasi assurdo pensare a come tutte quelle tonnellate di acciaio e legno si siano piegate come un grissino sotto la forza di semplice acqua salamastra.
Mio padre cade in quel buco nero, quasi come se le porte dell’inferno si fossero spalancate sotto i suoi piedi.
Non mi ritengo un grande uomo, ma non posso negare di non aver provato niente né in quel momento, né negli anni a venire.
Di tutte le vite che sono andate perdute quella notte, probabilmente lui era il meno innocente di tutti.
Voglio risparmiarti i dettagli di quei momenti spaventosi, anche perché credo che la scenografia della tua videocassetta sarà sufficientemente esaustiva.
Merlin ed io riuscimmo a malapena ad uscire da una delle finestre, che l’acqua gelida già ci bagnava le caviglie.
Uscimmo fuori e capimmo in un batter d’occhio che la situazione era ancora più disperata di quello che sembrasse.
Le lance non erano state sufficienti e gran parte dei passeggeri era ancora a bordo, attaccata ai corrimani, a qualsiasi cosa, per non farsi trascinare verso il fondo della nave che si inclinava sempre di più.
Gente che urlava, che piangeva, che invocava la madre.
Chi raccomandava la propria anima a un Dio che quella notte non ebbe pietà di noi.
In seguito mi raccontarono che i musicisti dell’orchestra suonarono finchè non fu per loro impossibile reggersi in piedi sul ponte inghiottito dalle onde.
Le note dei violini sembravano aleggiare ancora per aria, quasi a voler addolcire la nostra tragedia.
L’impatto con l’acqua gelida fu spaventoso.
Mi sentii come se mille lame stessero cercando di perforare i miei polmoni, di azzannare il mio cervello.
Ogni bracciata per restare a galla mi costava uno sforzo immane.
Sentivo i muscoli di piombo, la vista mi si era completamente oscurata.
Pregavo solo che finisse.
Dicono che l’inferno sia fatto di fuoco e fiamme.
Per me, da quella notte, l’inferno non è altro che ghiaccio e acqua salata.”

Arthur sprofondava lentamente verso il basso.
Non riusciva a farsi obbedire dalle sue braccia.
Sarebbe stato così facile chiudere gli occhi, riposarsi anche solo per un minuto..
Merlin lo avrebbe preso in giro, la prima classe rammolliva le persone.
Ma avrebbe capito, Merlin.. Merlin..

Arthur si sentì afferrare per i capelli con forza sorprendente.
L’istante successivo i suoi polmoni si riempivano di nuovo di aria e combattevano per espellere anche ogni minuscola goccia d’acqua residua.
Il ragazzo si ritrovò aggrappato a che cos’era? Una porta? Un pannello di legno? Completamente zuppo d’acqua e alla mercè del freddo polare.

“Arthur? Arthur? Stai be-bene?” Fu la voce di Merlin a riportarlo alla realtà, a ricordargli che ormai il Titanic non esisteva più e che loro due non erano altro che un mucchietto di membra disperse nel Mare del Nord.
“Ho freddo.” Articolò, la voce che gli usciva a stento.
“No-non ti preoccupare, tra poco arriveranno i so-soccorsi.” Disse Merlin, la voce incoraggiante, nonostante i denti che battevano forte.
Arthur istintivamente cercò di tirarlo sul suo salvagente di fortuna, ma non aveva neanche fatto mezzo movimento che quello minacciò di ribaltarsi del tutto.
“No-non ti preoccupare.” Fece il ragazzo, scuotendo la testa con forza. “Io già ho fa-fatto i miei bagni nell’acqua ge-gelata, in pri-pri-prima classe non ti avranno a-abituato a dovere.” Scherzò, appoggiandosi con i gomiti al bordo di legno.
Arthur cercò di ridere, ma dalla sua gola non uscì altro che uno stridio, come se le corde vocali gli si fossero arrugginite.
“A-adesso, dobbiamo a-aspettare, arriveranno pre-presto, vero, Arthur? Sto pe-pensando di fare reclamo una vo-volta a New York.” Disse convinto, arricciando il naso.
“So-sono d’accordo.” Fece Arthur debolmente, sorridendo appena.
Merlin gli strinse le mani tra le proprie, scaldandole con il fiato che gli rimaneva.
Intorno a loro, il rumore degli altri passeggeri che si arrabattava per mantenersi a galla, per non morire assiderati, il fischio continuo di uno dei pochi ufficiali accanto a loro, squarciavano l’aria immobile come colpi di cannone.
“Ho così so-sonno.” Balbettò Arthur tremando tutto.
Merlin gli sfregò le mani sulle braccia. “No-non ci provi nemmeno ad ad-dormentarsi, signor Pendragon? Ca-capito? Do-dovessi ca-cantarti tu-tutto l’inno na-nazionale, no-non devi addormentati.” Disse con energia.
Arthur poggiò la fronte contro quella di Merlin e annuì piano.

I minuti passavano lenti, quasi crogiolandosi nella loro disperazione.
Merlin ripeteva come un mantra che presto li avrebbero trovati, che sarebbe tutto finito.
Che la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata pretendere una coperta e una cioccolata fumante.
Ma, man mano, la sua voce si faceva sempre più incerta e gli spasmi alla gola più incontrollabili.
Le voci intorno a loro andavano affievolendosi.
Tra le ciglia ghiacciate, Arthur notò le labbra di Merlin essersi fatte viola, di una colore quasi nerastro.
Istintivamente premette la bocca sulle loro mani intrecciate.
Ogni pensiero sfumava nel cervello, ogni sentimento e azione che non fosse strettamente collegata al freddo, al dolore nelle ossa e nella pelle, sembrava non poter esistere.
Eppure Merlin era l’ultimo filo che lo legava al mondo dei vivi.
“Ti-ti amo ta-tanto.” Disse di punto in bianco.
Voleva che il ragazzo lo sapesse.
Doveva saperlo.
“No-non mi di-dirai addio, te-testa di fagiolo.” Disse Merlin ogni parola sembrava costargli uno sforzo immenso.
“Tu de-devi vivere. No-non puoi rinunciare. No-non ora che sei libero.”
Arthur scosse la testa. “Ho tr-troppo freddo.”
Merlin sciolse per un attimo la presa dalle sue mani e gli strinse i capelli tra le dita.
“Vi-vincere quei biglietti è sta-ta la cosa più be-bella che mi sia su-successa in vi-vita mia, lo sai, Arthur?” disse, la voce che gli tremava ad ogni respiro. “E non ca-cambierei niente. Capito? Nie-ente.”
Merlin gli carezzò la guancia, i suoi occhi azzurri che ancora non si rassegnavano, ancora carichi di amore. “Promettimelo. Promettimi che vivrai. Promettimi che, qualsiasi co-cosa succeda, andrai avanti. Promettimelo.”
Arthur annuì a scatti. “Te lo prometto, Merlin. T-te lo prometto.”
Merlin sorrise e chiuse gli occhi. “Ti amo a-anche io.”

Passarono quelle che sembrarono ore.
Arthur pensava a tratti di essere morto e che l’oceano silenzioso che lo circondava non fosse altro che l’anticamera dell’inferno.
Una luce illuminò per un momento il suo viso.
“Ecco, questi sono i dannati che vengono a prendermi.” Pensò il ragazzo, socchiudendo le palpebre.
“C’è nessuno qui? Rispondete!”
Ci siamo noi, avrebbe voluto dire Arthur, ma si sentiva la gola come piena di ovatta.
“C’è nessuno?” ripetè ancora la voce.
Arthur alzò la testa e la vide, la sagoma della scialuppa che si stagliava dietro il fascio di luce.
“Me-Merlin! Me-Merlin!” chiamò con un filo di voce. “Ve-vengono a prenderci! Me-Merlin!”
Arthur scosse il ragazzo, le cui mani erano ancora serrate al suo polso.
“Me-Merlin.” Ripetè ancora, scuotendolo.
Il giovane non si mosse.
Merlin aveva gli occhi chiusi, la pelle pallida che scintillava sotto la luce lunare.
Il ghiaccio incrostato nei suoi capelli sarebbe potuto passare per cristallo, degna corona di una creatura eterea, angelica.
Arthur avrebbe voluto avere la forza di piangere.
Continuava a scuoterlo, tremando, sentendo il panico raggiungere il suo culmine ed esplodere dietro le palpebre.
“No-non mi lasciare.” Sussurrò, stringendo la mano gelata dell’altro, aspettando invano che ricambiasse la stretta, che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene.
 
“E’ stato per la promessa che, dopo un tempo infinito ho smesso di guardarlo.
In lontananza, il fischietto dell’ufficiale brillava debolmente sotto la luce della luna.
Sarei voluto morire, Sarah, e e sarebbe stato così facile.
Ero stanco, come non lo ero mai stato prima di allora.
Merlin era morto.. che ragione avevo di continuare ad andare avanti?
Avrei potuto pensare a tua nonna, al fatto che nonostante tutto una parte della mia famiglia mi aspettava ancora a braccia aperte, ma non ci riuscivo.
In così pochi giorni, un ragazzo normalissimo era riuscito a farmi vivere davvero.
E non ho amato nessun altro, non dopo lui.
E’ per quell’amore che ho trovato la forza di staccare le nostre mani: la sua destra si era congelata con la mia.
Nella mia testa rimbomba la promessa che mi aveva strappato.
Penso che già in quei minuti avesse capito che non si sarebbe salvato, che il gelo avrebbe avuto la meglio.
Probabilmente, lo sapeva già quando ha rinunciato a salire su quella piattaforma di legno.
L’ho visto sparire nelle acqua dell’oceano, i capelli neri che gli ondeggiavano sulla fronte e il viso illuminato dalla luna.
Sembrava un angelo in un inferno di ghiaccio.
Sono scivolato in acqua, meccanicamente ho strappato il fischietto dalle labbra congelate dell’uomo e ho iniziato a soffiare.
Il resto probabilmente lo puoi immaginare.”

“Come si chiama giovanotto?”
Arthur sbattè lentamente le palpebre.
La Statua della Libertà era davvero così enorme e scintillante come dicevano.
L’uomo ripetè la domanda, poggiandogli una mano sull’avambraccio.
Arthur si riscosse lentamente.
Morgana probabilmente lo stava cercando, confusa tra i parenti dei pochi superstiti.
“Pendragon.” Disse piano. “Arthur Emrys Pendragon.”




Lo zio Arthur si poggiò mollemente allo schienale del divano, socchiudendo gli occhi, il volto contratto in un’espressione di dolore che il tempo non aveva saputo curare.
Sarah piangeva in silenzio, con amarezza.
Non trovava le parole. Merlin era morto, ma il dolore era di Arthur.
Un uomo cinico, freddo, sarcastico che, da più di ottant’anni, conservava gelosamente nel suo cuore un sorriso spezzato.
Lo zio riaprì gli occhi e mise una mano sulla gamba della nipote, sentendola singhiozzare.
“Merlin era un ragazzo normalissimo, non credere. Eppure mi ha salvato, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. Se non fosse stato per lui, la mia vita sarebbe finita in quel primo giorno di viaggio.” Disse pacatamente.
Sarah rabbrividì.
Arthur sulla prua della neve, con i capelli frustrati dal vento, senza altra miglior uscita di quel salto nel vuoto.
Istintivamente poggiò la testa sulla sua spalla, sentendo che la storia non era ancora finita.
“Dal giorno della sua morte, lo rivedo ogni notte, il mio grande, radioso peccato*.” Aggiunse sorridendo l’uomo, lo sguardo perso nel vuoto.
“Non ho mai raccontato questa storia a nessuno, non mi è rimasto nulla di Merlin, se non il suo cognome prima del mio, neanche una foto. Ha vissuto per tutti questi anni nei miei ricordi e ogni cosa l’ho fatta in nome di quella promessa. A volte se chiudo gli occhi, riesco quasi a vederlo.”
Sarah si sporse a passare un pollice sulla guancia rugosa dello zio.
Una sola lacrima luccicante era scesa dagli occhi azzurri di Arthur.
“Lo ami ancora? Dopo tutti questi anni?” chiese la ragazza, poggiandogli la testa contro la spalla.
Arthur sorrise. “Per altri mille ancora.”













*citazione dal film Poeti dall'Inferno

note di Lidia:
...
...
ehm...
buonsalve a tutti ^^' facciamo finta che non sia successo niente, okay? a parte il fatto che abbia accoppato Uther /QUANTO SONO STATA FELICE DI FARLO AHHHHH/ 
sapevamo già dall'inizio come sarebbe andata a parare, mi dispiace T-T Spero solo che questo momento di puro angst non sia venuto fuori troppo male e che abbia saputo trasmettervi tutto il mio dolore T-T 
Non so davvero commentarlo, sono sconvolta da me stessa AHAHAHAH
Solo, l'ultima frase di Arthur è una cit sadicissima direttamente da "A Thousand Years" che è l'inno dei Merthur e sì, sono una persona molto angst, me ne rendo conto x.x
E niente, spero che vi sia piaciuta anche quest'ultima parte (fatemi sapere nelle recensioni uu) e colgo l'occasione per ringraziare tutte le persone che hanno commentato, aggiunto la storia alle seguite, ricordate e preferite, non potete capire quanto abbia urlato (SONO SERIA) e quanto conti per me ** Grazie di cuore, vi voglio bene <3
Un bacione, angstissimamente vostra Lidia <3


 

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