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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** BEGIN ***
Capitolo 2: *** NATIONAL ANTHEM ***
Capitolo 3: *** DELPHINIUM ***
Capitolo 4: *** THE CLAN ***
Capitolo 5: *** BLACK ARMY ***
Capitolo 6: *** NON ASPETTATO ***
Capitolo 7: *** DICIASSETTE ***
Capitolo 8: *** BACK TO THE REAL WORLD ***
Capitolo 9: *** MASCHERE ***
Capitolo 10: *** DONE ***
Capitolo 11: *** NEW WORLD ***



Capitolo 1
*** BEGIN ***


(DUE ANNI PRIMA, TRE MESI DALL’INSTALLAZIONE DELLE TRUPPE.)

Non vi erano solo soldati all’interno delle mura da poco costruite della città. Sette giovani provenienti da sette famiglie diverse uscivano quasi contemporaneamente dalle loro abitazioni per riunirsi nelle strade solitamente vuote. Di bianco erano vestiti, o almeno quasi sempre. Avevano un abbigliamento comodo e nelle tasche qualche mazzetto di fiori Delphinium, piccoli e viola che per anni avevano protetto con il loro simbolo pacifico la città. Ora non erano loro ad essere cambiati, ma il cuore degli abitanti.

Minhyuk era il leader del gruppo dei sette. Aveva a malapena ventidue anni, biondo platino fin dalla nascita ma nessuno ne conosceva il vero motivo. Era intraprendente, forte e coraggioso. Era chiaro a tutti che il suo unico punto debole fosse Hyungwon, suo coetaneo. Si conoscevano da più o meno quando erano nella culla ed avevano passato praticamente tutta la loro vita assieme tranne per quel mese all’anno in cui partivano per le vacanze estive con i loro parenti. Inizialmente provavano quel tipo di affetto che accomunavano tutti i migliori amici ma ma ben presto si tramutò in qualcosa di molto più profondo.
Minhyuk e Hyungwon erano gay, più precisamente l’uno la metà dell’altro. Il moro era il suo opposto: alto, estremamente magro, cercava in tutti i modi di non mettersi nei guai e rimanere quanto più tranquillo possibile, debole di costituzione e pallido in volto. Shownu era uno dei più grandi, non aveva mai vissuto una vita semplice per via del padre malato da tempo, per questo nascondeva un’enorme tristezza ed una grande voglia di riscattarsi con il mondo. Non troppo alto e forse l’unico ad aver deciso di rimanere del suo colore naturale: castano. Jooheon, naturalmente marrone, amava da impazzire tingersi di rosso, un rosso fuoco come la rabbia che portava nelle vene. Aveva ventidue anni quando decise di fondare il Clan, con la speranza di poter vivere la vita dolce e spensierata che aveva sempre sognato nell’universo, più colorato di quello che si poteva osservare in tempi.
Wonho aveva ventitré anni e aveva cambiato così tante volte colore di cappelli che gli altri sei oramai ci avevano fatto piena abitudine. In quel momento era biondo. Per via dei continui atti di bullismo nei suoi confronti, via via crescendo, aveva deciso di migliorare il suo corpo al meglio. Era infatti il più muscoloso e attento alla linea, questo suscitava spesso ilarità da parte dei suoi compagni, ma poco gli importava. Erano tutto ciò che gli era rimasto. La famiglia aveva lasciato clandestinamente la città qualche mese prima, dopo l’attacco dei militari neri. Lui non sarebbe mai potuto andar via, sarebbe restato per lottare per la libertà del suo popolo. Nel Clan era molto legato al più piccolo, forse perché gli ricordava suo fratello minore o forse perché si conoscevano da molto più tempo di quanto conoscessero gli altri. Changkyun si chiamava. Quando aveva dieci anni aveva passato tre anni a Boston lontano da tutto e tutti, lontano da Wonho. Tornato in Corea incominciò a farsi chiamare diversamente: I.M. Affermava sempre di essere semplicemente ciò che era: nulla di più, niente di meno e agli altri sinceramente bastava. Ora aveva solamente venti anni ed era uno dei più bravi a maneggiare armi. 
L’ultimo che entrò a far parte del gruppo fu Kihyun, coetaneo di Wonho. Non amava molto parlare e preferiva starsene il più delle volte in disparte oppure insieme a Hyungwon nel campo da calcio, con un coltello alla mano, con gli occhi fermi su di una lattina di alluminio. Gli altri avevano sempre pensato che Kihyun fosse il più bravo a centrare una lama su qualsiasi bersaglio. 

Per tre mesi dopo la comparsa dei soldati, i sette ragazzi si erano organizzati formando “il Clan”; avevano imparato a conoscersi meglio e a fidarsi gli uni degli altri. 
Avevano voglia di vivere, di ricominciare, insieme.

La guerra oramai era vicina. 
Ormai anche quella piccola cittadella che era per secoli stata simbolo di pace e tranquillità era caduta. Aveva lentamente ceduto all’odio, all’egoismo, all’indifferenza. A portare il grigio ed il nero tra le piccole viuzze di quartiere non erano stati solo i militari con le loro mitragliette, coloro stessi che vivevano in quelle case avevano contribuito a far cadere nell’ombra tutto ciò che avevano conosciuto. Da allora raramente si usciva di casa, ci si incontrava con i propri amici, si chiacchierava, si rideva, anche quel piccolo mondo era completamente scomparso.
Fino alla Grande Guerra, almeno.

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Capitolo 2
*** NATIONAL ANTHEM ***


[BUONSALVE A TUTTI! Spero questo capitolo vi piaccia e che cercherete di seguire le mie follie e i miei parti per comprendere il video di All In~ Al prossimo capitolo!] NATIONAL ANTHEM

Era un giorno come un altro nella cittadella. Le nuvole continuavano a non dare la minima speranza di poter rivedere il sole mentre non si alzava neanche una folata di vento ogni tanto. Paradossalmente l’aria era stranamente umida e calda, quasi fittizia. 
Le strade sarebbero state totalmente vuote se non fosse stato per il Clan, oramai stanchi di rimanere chiusi nella vecchia cantina della baracca di Jooheon, i sette ragazzi avevano deciso all’alba di scendere per le vie per provare a divertirsi. Facevano baccano, ridevano, scherzavano, urlavano senza badare alle vite degli altri abitanti, sapevano bene che nessuno sarebbe uscito dai loro gusci per dir loro di far più piano.
Decisero di fare una sosta, sotto il ponte che comunicava le due strade principali. Chi in piedi, chi seduto a terra o su dei cassonetti, erano tutti li.
-Dobbiamo programmare una riunione- disse Shownu continuando ad avere il sorriso sulle labbra –dobbiamo essere pronti a qualsiasi attacco dei- ma fu bruscamente interrotto dal pugno di Kihyun sulla sua spalla destra.
-Dimmi un po’ sei impazzito? Lo sai che siamo costantemente controllati. Vuoi che ci scoprino?!-
Il sorriso sul volto del più alto scomparve, come del resto anche quello degli altri.  “Riconquistare la vita persa” era il loro motto. Alle volte sembrava così naturale far finta di nulla, ingannarsi facendo finta che nulla fosse successo. Ma poi qualcosa arrivava. Una fitta invadeva i loro cuori facendoli svegliare da quel sogno così dolce e pieno di speranze e da un momento all’altro erano di nuovo catapultati nel mondo senza luce di cui tanto avevano timore. 
Minhyuk, seduto al fianco di Hyungwon con un braccio sulle sue spalle tirò fuori un sospiro. Normalmente, per la stagione in cui si trovavano, si sarebbe dovuta intravedere una piccola nuvoletta bianca che volava via dalle sue labbra, al contrario, in quel momento, non uscì nulla. L’aria pareva solo immobile, pesante, come se costretta in uno spazio troppo piccolo.
-Kihyun ha ragione. Lo sappiamo tutti che le strade non sono sicure. Se cadiamo noi sarebbe la fine.-
Shownu chinò il capo verso Minhyuk per una frazione di secondo in segno di scuse e rispetto, così cadde il silenzio. Per un paio di minuti nessuno ebbe né il coraggio né la forza neanche per guardarsi negli occhi, poi una voce seppur sottile si levò, dolce, commossa e piena di vita:

“The autumn skies are void and vast,
high and cloudless;
the bright moon is like our heart,
undivided and true.”

Presto altre sei voci si unirono all’unisono a quella di Wonho, che fino ad allora era rimasto in piedi vicino al muretto di fronte, cantando quello che era stato l’inno della loro patria che tanto amavano ma che ora andava via via sempre più sgretolandosi.
Il lieve momento però fu interrotto dopo qualche secondo da una persona che i ragazzi neanche avevano visto arrivare.
Era un adulto sulla cinquantina, castano e dai lineamenti ben marcati, sembrava furibondo. 
-Hyungwon!- disse l’uomo dirigendosi con passo deciso verso il gruppetto.
-Quante cazzo di volte ti devo dire che non devi mai uscire senza il mio permesso? Eh?-
Il ragazzo si scostò da Minhyuk come se il contatto con la sua pelle lo avesse appena scottato, e si alzò in piedi altrettanto velocemente.
-Padre, io-
Lo schiaffo arrivò subito dopo, in pieno volto. 
Non era la prima volta che il padre alzava le mani su di lui, anzi.  Spesso gli altri erano costretti ad osservare i lividi violacei che sottolineavano il viso magrolino di Hyungwon, o anche tagli e graffi. 
In quel momento, per quelle vie, nessuno ebbe il coraggio di muoversi o fiatare per cercare di soccorrere l’amico.
-Tu e questa fottuta banda di froci. Ne ho fin sopra la testa delle tue stronzate! Se solo ci fosse stata tua madre… Sarebbe davvero delusa da te.-
Minhyuk sentì il proprio fiato rompersi. Conosceva i genitori di Hyungwon fin da quando era bambino. Un tempo avrebbero fatto qualsiasi cosa per preservare la felicità del figlio. La madre era sempre stata una donna piena di esuberanza e gentilezza, amabile con tutto e tutti e come il suo bambino, odiava doversi arrabbiare, tantomeno cadere nella tristezza. Suo marito l’amava davvero e quando morì, si chiuse in se stesso, nel fumo e nell’alcol. 
Quando scoprì che il figlio aveva una relazione con un altro ragazzo fu come se il suo intero mondo fosse crollato per una seconda volta, così cercò in tutti i modi di separarli, ma senza successo.
Dopo aver tirato un calcio ad una lattina abbandonata per strada ed aver urlato un altro paio di parolacce senza senso, girò i tacchi e se ne andò sbattendo forte i piedi per terra.
Mentre gli altri cinque ragazzi si guardarono cupi negli occhi, Minhyuk si avvicinò piano verso la sagoma ancora di spalle ed immobile del suo ragazzo. Gli mise una mano sulla spalla stringendo leggermente il tessuto bluastro della maglia.
-Won… lascialo st-
-Va tutto bene.- disse lentamente Hyungwon.
-Amore me lo puoi dire se stai male, lo sai.-
-Non ho nulla da dire. Sto bene. Ora voglio tornare a casa, ci vediamo dopo.-
Detto questo si liberò dalla presa del biondo e si incamminò di fronte a se senza aggiungere parola. 
-Ehm… Vado anche io… Devo controllare come sta mio padre- aggiunse Shownu guardandosi la punta delle scarpe bianche.
Minhyuk gli rispose solo con cenno della testa. 
-Ehi leader… Vedrai che starà bene.- disse a voce alta I.M al centro tra Wonho e Kihyun –salutaci tuo padre Shownu. Prenditi cura di lui.-
-Lo faccio sempre.-

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Capitolo 3
*** DELPHINIUM ***


DELPHINIUM

Jooheon aveva vissuto per tutta la sua vita nella più completa semplicità. I genitori erano i proprietari di una piccola pescheria e di un’ altrettanto piccola barchetta che avevano soprannominato “Linda”. Era figlio unico e al contrario dei suoi amichetti che da piccoli desideravano con tutto il cuore un compagno di giochi, conservava la felicità di avere l’amore della sua famiglia tutto per se. Jooheon non era mai stato il tipico “figlio modello”, piuttosto iperattivo e ribelle, ma con una forte attenzione su ciò che per lui era giusto o sbagliato e sulle ingiustizie. Con l’adolescenza aveva sviluppato una forte insofferenza verso gli obblighi e le costrizioni a cui era soggetto per colpa della scuola o dei genitori; la sua più grande ambizione era quello di essere libero da tutto e tutti. Eppure pochi anni dopo, alla vigilia del suo ventiduesimo compleanno, dopo l’arrivo dei Militari Neri, cambiò del tutto. La sua famiglia decise di scappare prendendo il largo per cercare la salvezza sulle sponde di altre Nazioni che non fosse la loro, oramai anch’essa caduta. Jooheon ricordava ancora perfettamente le lacrime versate di sua madre, il padre intento a raccogliere quanto più cibo ed acqua possibile in degli scatoloni per poi caricarli sulla loro Linda. Dopo la difficile ma decisa decisione di non partire con loro, di non salire su quella barca, il cuore e la mente del ragazzo furono presto affollati da domande e sensazioni contrastanti.
“Perché scappare?”
“Non avrebbero dovuto farlo.”
“Sarei dovuto partire con loro.”
“Non mi arrenderò mai.”
“Mi mancano.”
“Posso farcela da solo”
Fu così che giorno dopo giorno, Jooheon imparò a dedicare anima e corpo per trovare una soluzione a quelle oppressioni, cercando di combattere come i suoi genitori non avevano avuto il coraggio di fare. 
In rosso.

Si narrava che i fiori di Delphinium, simboleggianti la leggerezza, la pace, il divertimento e la grandezza di cuore, erano stati coltivati sul perimetro della cittadella da colui che ne fu il primo abitante e conquistatore, con l’unico scopo di proteggerla. La legenda affermava che quei piccoli fiorellini viola e blu avessero inoltre un potere curativo su chiunque li ingerisse. 
Jooheon fu il primo a testarne le proprietà. 
Dopo aver compreso l’importanza di quei fiori all’interno della guerra che si sarebbe presto scatenata, decise di costruire una piccola serra nel sotterraneo della baracca dei suoi genitori, sapendo che oramai nessuno ci avrebbe messo più piede. 

-Shownu, volevi vedermi?-
L’interpellato, appoggiatosi qualche minuto prima al muretto sotto casa sua, alzò velocemente lo sguardo verso la voce che aveva appena pronunciato il suo nome e di cui aspettava tanto l’arrivo. 
Jooheon indossava degli scarponi neri sotto ad un pantalone militare, una maglietta nera attillata e la sua coppola a quadri blu preferita poggiata sul capo.
-Amico, adoro quella maglia bianca che hai, poi me la presti eh!- disse sorridendo salutando l’altro con una pacca amichevole sul braccio.
-Non sono sicuro ti andrebbe, Joo. Prova a crescere un altro po’ e poi vedremo-, il rosso fece una smorfia infastidita per poi tornare a sorridere subito dopo.
-A parte gli scherzi, al telefono la tua voce sembrava preoccupata. Stai bene? E’ successo qualcosa?-
Shownu tirò fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni sospirando pesantemente mentre, con la mano destra, giocherellava con la tasca nera dei pantaloncini. Come al solito da qualche mese, il vento non osava ancora soffiare, Dio quanto avrebbe voluto che gli scompigliasse i capelli, come da bambino quando giocava con la bicicletta assieme a suo padre. Ora era solamente tutto molto statico e deprimente.
-Papà sta sempre peggio. L’unica cosa che muove liberamente è la mano sinistra. Tutto il resto è paralizzato.-
Jooheon rimase in silenzio per qualche secondo, avendo notato la tristezza e l’abbandono nella voce del suo amico, poi rispose guardandolo negli occhi e scuotendo leggermente il capo.
-La malattia si era estesa già da troppo tempo quando ci siamo conosciuti… I fiori non hanno avuto effetto, mi dis-
-Non è colpa tua. Lo so, i fiori hanno effetto sulle malattie solo quando si trovano ai primi stadi, non potevi fare nulla per lui.-
Fece una piccola pausa e poi continuò: -Ti ho chiamato per un'altra questione.-
-Lo sai che di me ti puoi fidare- lo incalzò Jooheon.
-Quando ero piccolo, mio padre era già malato. Sapevamo cosa la malattia avrebbe portato in futuro quindi, prima di morire, mia madre lasciò tutti i suoi averi da donna dell’alta borghesia a me, affinché potessi procurarmi da vivere continuando però ad avere cura di papà. Per tredici anni quei soldi ci hanno sfamato, sono sempre stato attento a non sprecarli in cose inutili, me la sono cavata bene, davvero.-
Jooheon di certo non si aspettava quello sfogo. Shownu non aveva quasi mai parlato della sua famiglia prima di allora, almeno non così.
-Ma gli anni sono passati ed oramai riesco a stento a comprare da mangiare, i prezzi sono aumentati, qui cercano tutti di fare più soldi possibili per poi corrompere qualche Guardia e comprarsi dei biglietti di sola andata verso qualche altro paese, insomma… io non credo di poter andare avanti in questo modo mentre gli altri si riempiono le tasche di soldi che dovrebbero servire per tenere mio padre in vita.-
Jooheon trattenne il fiato per un secondo, vedeva nello sguardo del suo amico imbarazzo, tristezza e rabbia. Poteva percepire un animo estremamente turbato. 
-Cosa vuoi che faccia?-
Si guardarono negli occhi, profondi, occhi che avevano visto dolore, sacrifici e sofferenze, troppi per dei semplici ragazzi della loro età; poi Shownu parlò.

Wonho ed I.M erano a casa del più piccolo. Mancava qualche ora alla riunione del Clan ed essendo vicini di casa, avevano deciso di vedersi poco prima per chiacchierare del più e del meno come erano soliti fare un tempo.
-Changhyun…-
Wonho cercò di richiamare l’attenzione dell’amico che continuò però ad avere lo sguardo puntato nel nulla.
-Changhyun!-, nulla da fare.
-I.M!!- il più basso, spaventato da quell’urlo, per poco non cadde giù dal divano.
-Che c’è?!- disse strizzando gli occhi un paio di volte.
-“Changhyun!” ti ho chiamato, tipo ehm… tre volte? A che stai pensando?- rispose stufato Wonho incrociando le gambe sotto di se.
-Non porto il mio nome di battesimo da anni.-
-Prima di tutto non fare il ragazzo vissuto… “Da anni”- il biondo fece un verso seccato con la bocca –poi lo sai benissimo che adoro chiamarti in quel modo. Mi ricorda i miei ti chiamavano per dirti che era pronto a tavola quando venivi a mangiare da me.-
I.M lo guardò sott’occhio e poi sorrise, un sorriso sincero.
-Giusto, credo tu sia l’unico che mi possa chiamare con il mio vero nome anzi, mi sento molto più a mio agio così.-
Wonho afferrò un cuscino bordeaux al suo lato e lo scaraventò in faccia all’amico che prese a ridere di gusto.
-Dai andiamo- disse I.M aggiustandosi la maglia color panna tornando di punto in bianco serio dopo aver guardato l’orologio appeso alla parete azzurrina di fronte, -devo pulire le pistole prima dell’incontro di oggi.-

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Capitolo 4
*** THE CLAN ***


[Un piccolissima premessa a questo capitolo, mi dispiace moltissimo non aver mantenuto la promessa di aggiornare ogni venerdì ma i problemi aspettano sempre che io faccia qualcosa di sensato nella vita... Tutto questo per scusarmi con chi ha seguito la storia per i soli tre capitoli precedenti e per rincuorarli poiché sono tornata e intendo ricominciare ad aggiornare. Spero non sia troppo tardi! Detto questo, godetevi il capitolo ed a presto!!~]


THE CLAN

Il campanello bussò rumoroso ed insistente per quasi un minuto prima che Jooheon aprì la porta di casa sua.
-Finalmente! Ce ne hai messo di tempo.- disse infastidito Minhyuk ed entrò trascinandosi Hyungwon senza neanche salutare.
Il rosso, allibito, si girò verso gli altri e con solo un gesto della mano li invitò ad entrare. 
-Scusate, ero di sotto.-
-Lascialo perdere, problemi in paradiso.- rispose Kihyun superandolo, dopo di lui fecero lo stesso anche gli altri tre.
Oramai non c’era neanche più bisogno che il proprietario di casa indicasse la strada verso la cantina, di sicuro non era la prima riunione che avveniva da quando si era formato il Clan.
Si vedevano ogni giovedì nella cantina di Jooheon, dove teneva la serra, per discutere sulle prossime mosse che dovevano compiere per rendere più vivibile la vita in quel luogo. Alle volte però, ogni diciassette del mese, rimanevano svegli tutta la notte per compiere “una sottospecie di rito”, come la descriveva sempre I.M non trovando le parole adatte. In quel giorno la serra si riempiva di boccette, provette, scodelle e fornelli che servivano per estrarre dai fiori che coltivavano un elisir bluastro che alcuni di loro paragonavano ad una droga. L’effetto era praticamente immediato: la testa si alleggeriva, i pensieri diminuivano ed il buon umore ritornava sovrano. Effetto diverso lo aveva nel momento in cui uno di loro stesse male, in tal caso, l’intruglio riprendeva le caratteristiche curative del fiore di Delphinium. La cantinola sarebbe stata completamente buia se solo non ci fossero state delle lampade a led che emanavano una luce violetta all’interno della serra a qualche metro di distanza da loro. 
Jooheon, ultimo della fila, senza farsi vedere, prese per il polso I.M che stava tranquillamente entrando nella stanza, e lo tirò dietro la porta lontano dagli occhi degli altri.
-Hai portato le armi che ti ho chiesto?- I.M si liberò malamente della presa e, se prima i suoi occhi erano spalancati, ora guardavano il rosso come se lo volessero uccidere.
-Cristo amico, mi hai spaventato da morire! Sembrava una di quelle scene romantiche scadenti prese da quei film da quattro soldi!- 
Jooheon fece un passo indietro come schifato facendo finta di avere i brividi: -Ma chi cazzo te se fila! Insomma, le hai prese si o no?-
-Si, ovvio che le ho portate, anzi, si può sapere a che cosa ti servono?-
-Poi ti dirò, grazie intanto- e così Jooheon andò a sedersi al centro del semicerchio che gli altri cinque avevano incominciato a formare, seguito da il più piccolo.

-Abbiamo bisogno di fare qualcosa di più forte se vogliamo suscitare qualcosa di davvero grande nell’Armata Nera-
-Hai ragione Shownu, così non andiamo da nessuna parte- rispose Kihyun, poi si controllò dietro per vedere se ci fosse qualcosa e si stese sul pavimento.
-Potremmo andare ad infastidirli più da vicino… non ci toccheranno nemmeno con un dito se siamo attenti, avrebbero troppa paura di perdere aiutanti da parte dei cittadini- rifletté Minhyuk ad alta voce; Hyungwon, a suo fianco, annuì e continuò eccitato: -Potremmo andare domani! E’ la giornata del Cambio, probabilmente ce ne saranno di meno ed è meglio per non rischiare tutto subito- ma fu fermato subito dal gomito del fidanzato che gli andò a colpire subito il petto con una certa violenza.
-Non ci sono domani, lo sai. Devo raccogliere altri fiori attorno alle mura prima che finiscano quelli che già abbiamo qui, non si sa mai.-
-E qual è il problema, scusa? Ci andiamo noi.-
Minhyuk parve agli altri come paralizzato, diventava piuttosto suscettibile quando si trattava di far uscire da solo Hyungwon. 
Wonho, che era stato zitto fino a quel momento, mise una mano sulla spalla destra del leader regalandogli uno dei suoi sorrisi più belli e rassicuranti che potesse avere:
-Andrà tutto bene, baderemo noi a lui.-
Il più alto fissò quella scena con sopracciglia aggrottate ed occhi quasi del tutto sbarrati, Shownu stava per chiedere cosa avesse ma non ne ebbe il tempo materiale perché Hyungwon si alzò di scatto in piedi. La luce della vecchia lampadina giallastra attaccata solo ad un filo sotto al soffitto, illuminò per la prima volta bene il volto del ragazzo magrolino: piccolo, sciupato e pallido, sembrava portare volontariamente l’attenzione su di un nuovo livido che copriva gran parte dell’angolo destro della sua bocca.
-Non ho bisogno che qualcuno badi a me. Me la so cavare benissimo da solo!-
-Si infatti, la tua faccia dice esattamente questo.- disse quasi urlando dalla frustrazione Minhyuk che oramai si era alzato anche lui per fronteggiare il compagno nonostante i centimetri in meno.
Hyungwon parve ferito, ma non disse nulla. Si limitò a guardare gli altri con uno sguardo che pochi riuscirono a sostenere, per poi uscire dalla stanza sbattendo violentemente la porta di legno che produsse prima un cigolio e poi un boato forte a causa dell’eco. 

-Pare che davvero ci siano dei seri problemi tra quei due- disse Shownu a Jooheon una volta salutati tutti gli altri sulla soglia della baracca.
-Già… Ma si amano, prima o poi chiariranno- rispose il rosso –Ah, I.M mi ha dato quello che mi avevi chiesto-
-Per caso gli hai…-
-No, no tranquillo, gli ho detto che gli avrei spiegato tutto più in là e lui non ha fatto domande.-
-Meglio così per ora, tanto dopodomani tutti verranno a sapere cosa abbiamo fatto e non credo che gli altri ci metteranno tantissimo ad arrivare a me-.

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Capitolo 5
*** BLACK ARMY ***


[Come promesso eccomi qui again con un nuovissimo capitolo, spero vi piaccia!!
Baci, Ara~]

BLACK ARMY

Già da due anni prima della caduta, nella cittadella, giravano voci su militari vestiti di nero che vagavano per il mondo conquistando e distruggendo città. In un primo momento venivano raccontate storie per strade, parevano leggende per quanto dettagliate fossero, ma nessuno conosceva davvero quale fosse la realtà. 
Man mano che il tempo passava la paura e la voglia di scoprire, di capire, aumentava angustiando il cuore di anziani, adulti, ragazzi bambini, uomini e donne: “Cosa stava succedendo?”, “Cosa sarebbe accaduto nel mondo? E come sopravviverne?”.
Approssimativamente due anni e forse qualche mese dopo, quella che per settant’anni fu la Repubblica di Corea, ebbe modo di conoscere la verità che si celava dietro quei racconti così crudi.
“L’Armata Nera” venne chiamato l’esercito, vestito appunto interamente di nero, che invase il territorio di Corea partendo dalle coste. Saccheggiarono intere città prima di stabilirsi definitivamente nelle case disabitate di famiglie andate in rovina o che avevano preferito scappare piuttosto che subire, come la famiglia di Jooheon.
I Militari neri avevano portato, più che distruzione in sé e per sé, odio, paura, angoscia ed egoismo: per salvarsi la pelle, il popolo era pronto a tradire, mentire, rubare, addirittura uccidere se ciò avesse aiutato.
Non c’era che dire: il mondo stava decisamente cambiando.

-Se ti aspetti che ti chieda scusa per ieri hai sbagliato di grosso- disse Minhyuk sull’uscio della porta di casa sua. Hyungwon aveva dormito da lui quella sera, il padre era rimasto fuori casa probabilmente a bere in chissà quale vicolo sudicio ed il più alto aveva sviluppato una forte paura del buio quindi aveva preferito di gran lunga sgattaiolare sul divano del fidanzato invece che rimanere da solo. 
-Non mi aspetto nulla da te.- disse Hyungwon tenendo il volto basso sapendo di star mentendo a se stesso.
Sapeva benissimo che Minhyuk era davvero l’unica persona da cui invece si aspettava moltissimo, lo aveva scelto come sua metà proprio per questo motivo e lo amava, Dio se lo amava!
Il biondo platino trattene a stento le lacrime, sentì tutti quegli anni passati a tentare di proteggere l’altro in nome dell’amore che provava, scivolargli addosso come se fosse pioggia.
-Devo andare. Sfrutto l’alba per andare a cogliere i Delphinium.-
Ma in questo momento non si poteva permettere di essere debole, da leader, il Clan contava su di lui.

Shownu, Kihyun, Hyungwon, Wonho, I.M e Jooheon, come avevano stabilito il giorno prima, scesero per le stradine grigie e spoglie per cercare di avere un contatto ravvicinato con le guardie che non avevano ancora ricevuto il Cambio. 
(Ogni settimana i militari ruotavano, ritornando sulle proprie navi lasciando spazio ad altri che prendevano quasi subito il loro posto.)
Indossavano tutti abiti estremamente comodi per potersi arrampicare o muoversi con più libertà. La cittadella era un agglomerato di case che si sviluppava in altezza; non vi erano mai stati tanti colori ma ultimamente pareva che anche quei pochi tetti rossi, arancioni o color legno pregiato, fossero più smorti.
Jooheon, con la sua solita maglia nera attillata e la sua coppola a quadri blu, camminava stretto a Kihyun con un braccio attorno alle sue spalle minute; avanti a lui c’era Shownu che sembrava molto preso in una conversazione con Hyungwon, o forse stava semplicemente tentando di tirargli su il morale. Invece indietro, a poco più di un metro da lui, camminavano I.M e Wonho troppo persi nei loro pensieri per scambiarsi due parole.  
-Ci stiamo divertendo, tutto molto bello ma forse dovremmo dividerci ed andare a compiere quello per cui mi avete fatto alzare all’alba questa mattina- disse con un tono vagamente acido Kihyun bloccandosi all’improvviso tanto che Jooheon e gli altri due dietro per poco non caddero.
-Sempre simpatico tu, eh- disse ridendo Wonho, poi con un salto scese dal muretto dove stavano camminando tutti e continuò: 
-Comunque si, forse è meglio se ci dividiamo. Ehm… siamo pari, tre e tre?-
Gli altri si guardarono, voltando a destra e sinistra il capo e poi annuirono.
-Io, Wonho e Kihyun torniamo verso il confine del nord. Shownu, Jooheon e Hyungwon, voi andate verso la costa, lasciamo il difficile a voi molto volentieri- disse I.M facendo un occhiolino accompagnato da un cuore fatto non le due dita della mano.
-Non ti voglio mai più vedere.- E questa fu l’ultima cosa che disse Jooheon prima di trascinare via gli altri due verso il mare. 

Camminarono per più di due ore fino ad arrivare ad un punto evidentemente molto vicino al porto, per via del pungente odore di acqua salata. Svoltato l’angolo, sulla strada principale, notarono una bancarella composta da scarpe di tutti i tipi: stivali, sandali, scarpe da ginnastica.
A vendere vi erano due uomini sulla mezza età, vestiti interamente di bianco e appena di fronte a loro, intenti a minacciarli con lunghe armi, quattro uomini dell’Armata Nera.
Bingo.
-Oh oh oh ma guardate un po’ che abbiamo qui!- urlò Jooheon piazzandosi subito davanti la bancarella in segno di protezione.
I quattro uomini si irrigidirono di poco ma a parte questo non sembrarono dare segni di debolezza, neanche parlarono. Indossavano un’uniforme tutto d’un pezzo, un giubbotto anti-proiettili che andava a coprire il busto e la schiena ed un casco, anch’esso nero, con una visiera trasparente che cadeva sui loro occhi.
Shownu si sedette sulla tavola di legno, circondato dalle scarpe e senza distogliere lo sguardo dai “nemici” nemmeno un secondo.
-Dov’è finita la gentilezza verso dei poveri anziani indifesi?- poi si accorse di quello che aveva appena detto e si girò verso i quest’ultimi 
–Senza offesa…-
Jooheon si avvicinò al più giovane delle Guardie e si puntò l’estremità della mitraglietta che il più alto aveva tra le mani, sulla fronte, poco più sopra della visiera del cappello che tanto adorava. Aveva uno strano sorrisetto sulle labbra, come se fosse fuori di sé, come se amasse la scarica di adrenalina che si era ampliata per tutto il corpo data dal desiderio di ripicca e di morte.
Mentre i suoi amici provocavano con azioni e parole e le guardie rimanevano al loro posto quasi senza dir nulla, a parte qualche ammonizione, forse sia per paura sia per pietà, Hyungwon cacciò dalla tasca uno stelo adornato da piccoli fiori bluastri di Delphinium.
Il suo volto era così tranquillo e sincero, non arrabbiato. Annusò quel mazzetto prima di avvicinarsi alla quarta Guardia rimasta in disparte e posarglielo nel taschino dell’uniforme nera come il buio di cui tanto aveva paura ed odiava.
“Ciò che voglio io non è guerra, ma Pace. Spero solo che questi fiori aiutino a comprenderlo.”

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Capitolo 6
*** NON ASPETTATO ***


[BUONSALVE A TUTTI!! Si lo so, se state seguendo questa mia grandissima follia di sicuro mi aspettavate domani sul tardi oppure speravate di esservi liberati di me... Se è così, sono desolata di essermi anticipata di un giorno allora xD Ma a parte gli scherzi domani non avrei avuto tempo quindi eccomi qui con un nuovo capitolino tutto per voi!! 
Spero vi piaccia~~]

NON ASPETTATO

Dopo ore nel tentativo di trovare anche una sola Guardia tra le colline del Nord, il gruppo di Kihyun, Wonho e I.M si arrese. 
-Probabilmente si saranno concentrati verso la costa, forse gli altri avranno avuto più fortuna di noi- aveva suggerito Kihyun prima di salutare ed avviarsi verso un vecchio Hotel disabitato dove dimorava da qualche mese. 
-Puoi entrare se vuoi- disse Wonho tenendo aperta la porta, I.M guardò poco meno di due metri più avanti, verso il terrazzino di casa sua, lo stenditoio con le sue vecchie magliette e calzini bucati, poi si voltò e superò con lo sguardo la sagoma del suo amico, posandolo sul vecchio tavolo di vetro che dominava il salotto in cui aveva passato praticamente tutta la sua infanzia.
-Credo che rimarrò un po’ qui con te- così accettò.
Come al solito la stanza era spoglia quasi di tutto, a parte quel tavolo di vetro verdognolo, un paio di davanzali sul lato sinistro ed un divanetto massimo tre persone, appena sotto.
-Ti posso fare una domanda?- disse I.M buttandosi a peso morto sul divano rosso.
-Ci siamo fatti mai dei problemi noi due?- urlò di risposta Wonho dalla cucina (prima stanza sulla destra subito dopo l’entrata), I.M d'altro canto continuò calmo e con un tono di voce che usava normalmente.
-Clara… quella ragazza in quinto liceo, alla fine te la sei fatta?-
Come se fossero magicamente vicinissimi l’uno all’altro, il più piccolo sentì il tonfo di una bottiglia di vetro che si spaccava al suolo, accompagnato da forti colpi di tosse.
-Ehi, tutto bene? Hai bisogno di una mano lì?- chiese il castano aggrottando la fronte cercando di capire cosa stesse succedendo.
-No no, tutto bene. Dammi un secondo e arrivo- fu la risposta immediata.
Clara. Una compagna di classe del più grande che aveva provato in tutti i modi di attirare la sua attenzione. Avevano entrambi diciotto anni al tempo e per colpa dell’adolescenza Wonho si era alla fine lasciato abbindolare da quella ragazzetta insignificante. Il più piccolo ricordava perfettamente quando li vide avvinghiati, intenti a baciarsi, contro i cancelli della scuola. Un poco ci era rimasto male poiché di solito erano abituati ad entrare nell’edificio assieme, ma aveva lasciato correre per quella volta.
Mentre ripensava a quei momenti di qualche anno prima, Wonho comparve dalla cucina con due birre in mano ed uno strofinaccio bagnato sul braccio sinistro, ne porse una all’altro e gli si sedette affianco facendo prima un sorso dalla sua.
-Allora? Cosa stavamo dicendo?-
-Tu e Clara sembravate piuttosto affiatati- riprese I.M come se niente l’avesse bloccato prima dal parlare.
-Changkyun, davvero mi stai chiedendo se io e quella, in quei due mesi in cui siamo stati “assieme”, abbiamo fatto sesso?- disse esasperato gesticolando con la mano libera. Dall’imboccatura della bottiglia fuoriuscì un quarto della birra appena aperta, andando a macchiare il volto e parte della maglietta di Wonho che imprecò sonoramente guardando il casino che stava combinando.
-Che cazzo di macello…-
-E tutto solo per una domanda stupida e innocente.- cantilenò il più basso accennando ad una risata.
Il biondo lo fulminò con uno sguardo truce e decise che forse sarebbe stato molto meglio se la bottiglia l’avesse appoggiata sul tavolo di fronte.
-Non so cosa tu abbia capito da quelle pochissime volte che ci hai visti assieme, ma se hai dedotto che fossimo una coppietta felice ed innamorata, sei andato a sbattere contro un palo megagalattico.-
I.M portò entrambe le gambe sul divano, incrociandole, e lasciò che la testa si appoggiasse sul cuscino dietro di lui. Chiuse gli occhi immaginandosi Clara ancora nella vita di Wonho ed una leggera fitta gli attraversò lo stomaco.
-Non ho affatto dedotto questo.- disse in fine sotto voce –Di sicuro non sei un tipo che si innamora di una sciacquetta qualsiasi-. 
-E allora perché stiamo affrontando questo discorso?-
L’altro continuò ignorando completamente la domanda: 
-D’altronde non serve per forza l’amore per scopare, quindi...-
Wonho alzò entrambe le braccia al cielo in segno di frustrazione.
-Smettila di utilizzare questi termini, ok?!-
I.M aprì di scatto gli occhi girando il volto verso di lui: -Quali? Trombare, farsi, scopare? Oppure-
-Changkyun smettila! No, non ci ho fatto sesso! Non me la sono trombata, fatta o scopata. Non è successo niente di niente. Neanche mi piaceva, Cristo!-
Changkyun serrò così forte gli occhi che la testa prese a fargli male, non li riaprì neanche quando si sporse in avanti scaraventandosi sull’altro unendo violentemente la propria bocca alla sua. Non gli serviva vedere dove il suo migliore amico fosse, lo percepiva: il calore che emanava, i piccoli movimenti che faceva.
Il più piccolo non voleva sapere se invece Wonho li tenesse aperti, né se stesse a proprio agio sotto il peso del suo corpo, e né se aveva mandato tutti quegli anni passati assieme a puttane. I.M sentiva solamente il sapore della sua bocca, la morbidezza della sua pelle ed il suo odore naturale che oramai conosceva quasi come se fosse il proprio.
Le braccia del biondo erano distese lungo i suoi fianchi, i pugni serrati, il petto si muoveva su e giù a ritmi irregolari assieme alle sue labbra che si scontravano con le altre fameliche ma all’unisono; un brivido partì dalla base della nuca, I.M percepì perfino quello. 
Quella scarica elettrica si irradiò nelle punte delle sue dita, che andavano carezzando i capelli biondi e soffici, gli attraversò il corpo fino ad arrivargli al cuore. 
Dal nulla, si sveglio. Si staccò leggermente tenendo ancora gli occhi chiusi, evitando qualsiasi tipo di contatto visivo.
La mano destra ora sulla guancia di Wonho, quella sinistra sul petto.
-Sai di birra…-
Detto questo si alzò altrettanto velocemente di come aveva fatto iniziare tutto quello, attraversò la stanza, aprì la porta ed uscì cercando di non sbatterla troppo.
“Che coglione, che coglione, che coglione. Che fottuto coglione!”
“Non voglio sapere, non voglio capire, voglio solo scomparire. Andare quanto più possibile lontano da qui!”
Non fece neanche due metri ed aprì il portone di casa sua, chiudendoselo alle spalle.

Il telefono di Jooheon squillò che erano appena le sette di sera.
-Pronto?-
-Jooheon, sono Shownu.-
-Bene, ti aspettavo. Dimmi tutto.-
-Domani la riunione l’abbiamo di pomeriggio, giusto?-
-Dimentichi che è giovedi diciassette domani? Abbiamo il rituale.-
-Saremo impegnati tutta la notte ma a me interessa la mattina.-
-Due ore dopo l’alba nella strettoia di fronte al vecchio negozio?-
-Due ore dopo l’alba lì.-
-…Sei sicuro?-
-Non ho altra scelta.-
-Come desideri allora.-

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Capitolo 7
*** DICIASSETTE ***


[Buonsalve a tutti!! 
Sta volta oltre ad augurarvi buona lettura volevo scusarmi per i capitoli che si stanno facendo, credo, ogni volta più corti... Potrà sembrare "non professionale" ma in tutta onestà non tengo conto di lunghezze varie quando scrivo. La maggior parte delle volte chiudo un capitolo quando ho la sensazione che vada bene terminarlo in quel modo, non mi spingo avanti. 
Spero di essermi spiegata xD
Ora vi lascio al capitolo, buona lettura!!
-Ara~]

DICIASSETTE

Erano le sei di mattina quando Jooheon si intrufolò nello stretto di fronte al vecchio negozio dei suoi nonni dove aveva l’appuntamento con Shownu, che era lì ad aspettarlo già da due ore.
-Che cazzo di fine hai fatto?- esclamò nonostante l’espressione seria e pacata. Jooheon alzò la mano e gli dette una leggera pacca sul braccio, fu in quel momento che il più alto notò il borsone. Nero, che gli occupava più o meno tutta la lunghezza della schiena e quasi del tutto vuoto.
-Guardie nel mio distretto, non me lo aspettavo sinceramente. Ho dovuto fare attenzione, se ci scoprissero con delle armi saremmo nei guai seri e abbiamo un rituale da svolgere sta notte-
Shownu, troppo preso dal momento, si trovò ad annuire solamente. Jooheon notando lo sguardo deciso e fermo dell’amico, decise di non esitare più e si levò dalle spalle lo zaino, lo aprì e glielo mostrò. 
Il castano infilò una mano nell’apertura creata dalla zip e cacciò di poco una delle due armi generosamente offerte da I.M: una revolver marrone. 
Si sorrisero e nascosero subito le pistole all’interno del pantalone.
-Heon, uno dei cinque negozi più ricchi anche dopo la venuta delle guardie è quello che vendeva gioielli alla fine di questa strada. Ore commercia un po’ di tutto-
-Qual è il piano?-
-Entriamo, mentre io punto immediatamente il cassiere, tu blocchi le altre eventuali persone all’interno. Dobbiamo essere veloci, e ricorda che dobbiamo solo spaventarle per farci dare i soldi. Niente di più e nulla di meno.-
Jooheon parve giusto per una frazione di secondo un po’ dubbioso: 
-Come facciamo se ci riconoscessero?-
Shownu fece un paio di passi uscendo dalla strettoia e svoltò a destra seguito dal rosso che continuava ad attendere una risposta.
-Viviamo nella più completa anarchia, l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura sono i Militari Neri. La nostra gente non ha più voce in capitolo in questo mondo, siamo soli-
Detto questo si incamminarono.

Nella vecchia gioielleria vi erano solo un paio di persone oltre a quella che aveva il compito di fare da guardia ai soldi. Fu proprio per questo che fu facile come bere un bicchier d’acqua rubarglieli. Shownu avrebbe odiato compiere un gesto così codardo e malvagio, almeno in una situazione normale. Ma in quel momento, con il padre in fin di vita, pochi soldi nella tasca ed una miriade di medicinali da comprare assieme a cibo e vestiti, proprio non ci aveva visto altra via d’uscita. Erano entrati nel negozio facendo un gran baccano, Shownu si precipitò alla cassa puntando la pistola sul vetro trasparente con dei piccoli fori.
“Dammi subito tutti i soldi che avete!”
Aveva urlato e l’uomo spaventato a morte aveva ubbidito consegnandogli tutti i soldi che aveva a portata di mano. Fu strana la sensazione provata in quel momento: l’adrenalina veniva costantemente trasformata nel pensiero di non essere poi così tanto diversi dalle Guardie, che venivano criticate da loro stessi ogni singolo minuto. “E’ per una giusta causa”, si convincevano. E forse avevano anche ragione. Così, dopo aver ammucchiato una grande somma di denaro nello zaino nero che si erano trascinati dietro, i due ragazzi corsero via verso casa di Jooheon, forse anche più veloce del vento che tirava caldo, dolce e composto quella mattina.

Ore più tardi verso le sette di sera passate, poco prima che calasse del tutto il sole, anche gli altri componenti del Clan entrarono nella baracca dove il proprietario aveva costruito la serra; quella notte avrebbero dovuto trasformare parte dei fiori di Delphinium in elisir. 
Minhyuk, che il giorno prima ne aveva raccolti di altri, li teneva legati assieme con un laccio in un cestino di vimini. Attraversata di fretta la porta di legno che separava le scale dallo scantinato, andò a sbattere contro Wonho che si girò spaventato.
-Scusa, non ti avevo visto- il biondo si lasciò andare di colpo rilassando i muscoli delle spalle 
–Ed io non ti avevo sentito arrivare…-
-E’ che andavo di fretta, ho fatto tardi-.
-Non preoccuparti- disse Wonho guardando in basso –Ancora non siamo tutti, Changkyun ancora si deve far vedere-.
-Strano… Non è venuto con te?-
Il biondo emise un verso come a dire di no e Minhyuk, capendo di aver toccato un tasto dolente, entrò andandosi a sedere nel cerchio affianco a Hyungwon che dapprima gli aveva riservato un posto.
Alla fine I.M arrivò, tutto trafelato ma arrivò ed oltre a due enormi occhiaie e al fatto che si andò a sedere non più vicino a Wonho ma di fronte, pareva non essere cambiato di una virgola.
L’elisir fu pronto in poco più di quattro ore così, Jooheon prese tra le mani una ciotola piena del liquido bluastro e la alzò verso il soffitto.
-Che questi fiori ci possano guidare verso la libertà!- urlò per poi berne un sorso e passarla a Wonho che gli stava affianco. Il biondo cenere fece lo stesso, poi toccò a Shownu, Hyungwon, Minhyuk, Kihyun ed I.M, con il quale si chiuse il cerchio.
Con delle tempere si aiutarono a vicenda a disegnarsi sul volto delle linee di colori diversi: il giallo simboleggiava la fortuna, il blu la pace, il bianco l’innocenza ed il rosso la voglia di vivere.
Pochi secondi dopo aver bevuto e potevano già sentire il fluido nuotare verso il loro cervello, annebbiando la vista, alleggerendo il corpo. I sette ragazzi adesso vagavano in un mondo con solo loro protagonisti, si contorcevano così come la loro mente diceva di fare.
Il leader ed il suo ragazzo videro i problemi, l’orgoglio, il dolore, rompersi come una barriera davanti ai loro occhi che fungevano da specchio per le loro anime ora prive di qualsiasi catena. Si abbracciarono, stretto l’uno all’altro come fossero un tutt’uno e poi Minhyuk lo baciò, sprigionando quella dolcezza che un po’ aveva perso in quei mesi così difficili.
Jooheon rideva, smettendo finalmente di pensare e ripensare alla sua famiglia lontana. Shownu teneva d’occhio il borsone nero appoggiato in un angolo della stanza, abbandonandosi alla felicità di poter salvare suo padre ancora una volta. Wonho, invece, aveva gli occhi fissi puntati su Changkyun e Kihyun fronte contro fronte, le labbra del suo migliore amico piegate in un sorriso che raramente mostrava ad altri e in quel momento non poté fare a meno che pensare che quelle labbra erano, anche solo per qualche secondo, appartenute a lui e lui soltanto.

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Capitolo 8
*** BACK TO THE REAL WORLD ***


BACK TO THE REAL WORLD

La notte passò così velocemente che i sette ragazzi a stento se ne accorsero. Passato l’effetto dell’elisir si accasciarono tutti quanti l’uno sull’altro per poi prendere sonno poco dopo, stravolti. 
Quella notte non furono in grado di sognare.
La mattina seguente il primo ad alzarsi fu Kihyun, si levò di dosso I.M che ancora teneva gli occhi chiusi e respiro pesante ed uscì dalla casa. Attraversò un paio di isolati e prese la strada principale che portava all’hotel in cui viveva. Salì sul muretto e continuò a camminare di fronte a se fin quando non perse l’equilibrio storcendosi la caviglia e cadendo con un gran botto di schiena.
Un dolore lancinante al piede lo investì di colpo costringendolo ad appoggiarsi al muretto da cui era caduto ed alzarsi facendo perno sull’altro arto. 
-Maledizione…- imprecò con voce sottile e tagliente per poi incominciare a trascinarsi verso casa sua oramai non troppo lontana.

-Torni a casa?- disse Wonho bloccando I.M sulla porta, il più piccolo proprio non lo aveva sentito alzarsi, se se ne fosse accorto prima avrebbe di sicuro accelerato il passo per non trovarsi in quella situazione. Non trovando via di scampo accessibili, fece un bel respiro, si girò verso di lui ed annuì lasciando che i suoi occhi si posassero successivamente sulle sagome ancora addormentate degli altri, specialmente di Minhyuk e Hyungwon ancora abbracciati.
-Vengo con te, ho bisogno urgentemente di una doccia- detto questo si incamminarono assieme. Non aprirono bocca neanche una volta durante il tragitto nonostante camminassero vicini, di certo era una situazione imbarazzante e strana per entrambi, essendo abituati a comportarsi da migliori amici. Ci misero circa dieci minuti per arrivare sotto casa del più grande il quale invitò l’altro ad entrare ma si rivelò subito una pessima idea: appena I.M vide il divano rosso quasi al centro della solita stanza ebbe un colpo al cuore.
Tutto d’un tratto si ricordò di quello che successe tra loro due giorni prima, della sua sfrontatezza, delle labbra del proprio migliore amico sulle sue, del suo odore...
–Ehm, mi sono appena ricordato che ho bisogno di tornare a casa anche io. Ci vediamo, eh?- esclamò  uscendo di corsa dalla porta. Il biondo, stressato da quel comportamento che stava incominciando a reputare assurdo fece dietro front ed uscì anche lui praticamente urlando per farsi sentire.
-Aspetta Lia- 
Wonho si bloccò di colpo maledicendosi in tutte quelle poche lingue che aveva studiato e sperando con tutte le sue forze che I.M non avesse sentito, ma le sue preghiere non furono bene accolte. Il più basso si fermò a pugni serrati e testa bassa dandogli le spalle.
-Changkyun, ti prego scusa… Non volevo chiamarti in quel modo, scusa-.
-Non mi chiamare con il mio vero nome- disse I.M girandosi verso l’altro ragazzo. A Wonho si strinse lo stomaco vederlo in quello stato: espressione più ferita che arrabbiata, gli occhi velati da lacrime.
-Mi hai sempre permesso di essere al tuo fianco solo perché ti ricordavo Liam, vero?-
-I.M ti supplico, non-
-Il tuo fratellino che morì in quell’incidente quando avevi dieci anni. Avevo la sua stessa età. Te l’ho sempre ricordato.-
-No, non è come dici-
Il castano si avvicinò a lui fermandosi a pochi centimetri dal suo volto.
-E allora com’è? Mh? Non saremmo diventati neanche amici se non fosse stato perché ti ricordavo Liam- tirò fuori tutto il fiato che aveva nei polmoni, facendo un passo in dietro con le mani sul volto, non pareva il ragazzo deciso e spensierato che tutti conoscevano, ora era fragile, come spaccato a metà.
-Changkyun hai ragione, la prima volta che ti vidi da bambino decisi che mi sarei preso cura di te poiché assomigliavi a lui. E’ vero. Eri un bambino così solare, intelligente e nascondevi una grande dolcezza e vulnerabilità-.
Il suono di un singhiozzo arrivò alle orecchie di Wonho aiutato dal vento paradossalmente caldo di una giornata in pieno Settembre.
-Changkyun ascoltami. Incominciai a crescere e tu con me, sempre al mio fianco, così incominciai a comprendere… Tu non eri mio fratello. Mio fratello era morto anni prima. Tu eri molto, molto di più. Eri il mio braccio destro, sei parte della mia anima, di me! E prima... Non so perché ma vederti così indifeso mi ha riportato indietro negli anni, a Liam che veniva rincorso da mio padre perché era arrivata l'ora del bagno, a noi due bambini...-
Wonho si avvicinò lentamente al compagno che si era accovacciato per terra qualche secondo prima, ancora con le mani attaccate al volto.
-Changkyun… Non avrei voluto dirtelo in queste circostanze e in questo modo, avevo già deciso di parlarti quando ti ho invitato prima a casa-
-Cosa? Che non vuoi più essere il mio migliore amico perché ti ho baciato? Scusa se te lo dico ma non mi interessa, mi piaci e-
Il biondo si buttò sul più basso coprendogli la bocca con una mano. Erano quasi del tutto stesi l’uno sull’altro in una sporca stradina grigia, di fronte alle loro case ma occhi negli occhi. 
I.M trattenne il fiato, trovandosi il volto del biondo fin troppo vicino.
-La smetti di credere che tu abbia sempre ragione? Anche tu mi piaci e quel bacio… In questi due giorni ho capito di aver aspettato così tanto che tu lo facessi, che tu mi dessi il coraggio di aprire gli occhi- fece scivolare la mano dalla bocca al lato destro della testa. I.M non ci pensò due volte e si piegò una seconda volta per baciare le labbra di quello che fino a quel momento era stato il suo migliore amico.
Nessuno dei due aveva la più pallida idea di cosa fosse cambiato nei loro cuori, ma la sensazione di essere a stretto contatto l’uno con l’altro tranquillizzava i battiti dei loro cuori, cullandoli.
-Vieni a casa, ti offro una birra-
Changkyun accettò con un sorriso.

Shownu, con il borsone nero pieno di soldi sulle spalle varcò la porta di casa eccitato, chiamando a gran voce il padre da cui però non ricevette alcuna risposta. Gli ci volle poco più di un minuto per entrare nella sua camera, vedere il lettino completamente vuoto se non per un paio di vestiti e lasciar cadere tutti i soldi che aveva preso il giorno prima sul pavimento gelato.



[BUONSALVE A TUTTI!!! Come al solito spero vi sia piaciuto questo nuovo capitolino, spero non vi stia annoiando~~ In più oramai non manca molto per arrivare alla fine... *piange*
Se avete voglia di dirmi le vostre opinioni sono sempre qui pronta per scleri, consigli, critiche etc...
Ci aggiorniamo settimana prossima!!
Baci, Ara~]

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Capitolo 9
*** MASCHERE ***


MASCHERE

Per Shownu fu la prima volta in cui sentì tremare la terra sotto i propri piedi. In un colpo solo la persona che più amava nella sua vita e la sicurezza di avere un compito in quel mondo, erano scomparse. Rimase a lungo come pietrificato davanti a quel lettino privo oramai di vita, fissava inorridito e disperato quei pochi panni che erano appartenuti a suo padre, ora ben piegati sulla parte centrale. Ci aveva messo delle settimane per guadagnarsi i soldi per comprarli, visto che i fondi della madre erano già finiti da qualche tempo aveva lavorato come calzolaio assieme ad un amico di famiglia. Poi arrivò l’Armata Nera e così scomparve sia la bottega sia l’amico di famiglia, probabilmente era scappato come tutti gli altri codardi della cittadella. 
Shownu per il padre avrebbe fatto di tutto, perfino rapinare un negozio, mettere dei soldi in un borsone e tornare a casa fingendosi soddisfatto di sé. Ma adesso il ragazzo che era rimasto forte e con i piedi per terra per tutta la sua vita si trovava all’interno di un vortice di dolore che non aveva mai provato prima. Era al corrente della malattia da quando era piccolo, sapeva se ne sarebbe andato un giorno, ma per lui quel giorno non sarebbe mai arrivato del tutto, il padre non sarebbe morto, mai, almeno non fin quando ci sarebbe stato a badare a lui, eppure su quel lettino bianco non c’era più nessuno.
Le guardie avranno portato via il corpo; mesi prima, avevano scritto su di un registro i nomi degli abitanti gravemente malati o portatori di handicap, a questi era riservato un trattamento speciale: ogni due giorni due Guardie sarebbero andate a controllare la loro salute per tenere la situazione sotto controllo. Evidentemente lo avevano trovato già morto; fu strano dover rendersi conto che non solo non vi era più nessuno di cui prendersi cura, ma che se ne era andato senza che lui avesse potuto fare qualcosa, senza un addio vero e proprio.
Shownu non seppe quando precisamente incominciò a piangere, quando appoggiò un rametto di Delphinium su quei vestiti piegati, né tantomeno quando svuotò la sacca nera di soldi sul lettino e li fece prendere fuoco con un accendino antico che di solito utilizzava per accendere i fornelli.

Minhyuk era tornato a casa sua la mattina presto, subito dopo aver riaccompagnato Hyungwon nella sua. Abitavano a due isolati di distanza ma pareva sempre troppa. Si erano lasciati dicendosi che si sarebbero rivisti, da soli per la prima volta da tempo, il pomeriggio verso le sei stesso nella piazza maggiore. 
La loro relazione si era mano a mano complicata in quegli ultimi mesi: con Minhyuk a capo del Clan, aveva sviluppato un forte senso di protezione nei confronti del suo ragazzo, ma non sempre andava bene e spesso si era trovato in situazioni in cui era costretto a sforzarsi per non reagire.
Il platino, dopo una breve pennichella, indossò di corsa la sua solita felpa blu scolorito e anonimo con tanto di cappuccio, il gilet marroncino, i vecchi pantaloncini neri ed uscì. Aspettò per un’ora intera in quella piazza ma inutilmente, del moro non vi era nessuna traccia. La mente di Minhyuk fu aggredita ma mille pensieri diversi, ma soprattutto dalla preoccupazione.
“E’ successo di sicuro qualcosa, mi avrebbe avvertito se non fosse venuto.”
“Ti prego, fa che stia bene…” fu la frase che più si ripeté in mente correndo verso casa dell’altro, che raggiunse in pochi minuti.
-Hyungwon sei lì dentro?- prese a gridare sbattendo forte le mani a pugno sulla porta di legno.
-Hyungwon, ti supplico, se sei lì-
-Si, sono qui. Ora vattene- si levò una vocina flebile che però Minhyuk sentì forte e chiaro e non fu in grado di ignorarla, né fare quello che aveva appena chiesto. C’era decisamente qualcosa che non andava in quella situazione, così prese quel po’ di rincorsa che gli bastò ad aprire la porta con una spallata. Hyungwon era esattamente di fronte a lui, nell’ultima camera visibile per via del separé completamente spalancato, a gambe incrociate sotto una delle poche finestre della casa. Una decina di libri strappati erano sparsi sul pavimento, in un angolo perfino un vecchio televisore, mentre sulla parete frontale un letto posto stranamente in verticale, appoggiato del tutto al muro. 
Minhyuk si avvicinò piano, il volto di Hyungwon era coperto da un passamontagna bianco che lasciava scoperto solo gli occhi e la bocca, il platino si accovacciò davanti a lui e sospirò.
-Hyungwon sono io- disse guardandolo, solo che l’altro non lo poteva sapere poiché a testa bassa.
-Si lo so.-
-Che è successo? Perché non sei venuto? Che stai facendo qui a terra?-
Minhyuk conosceva bene l’abitudine del più alto a coprirsi il volto quando era triste o ferito, a modo suo lo faceva sentire più sicuro.
-Non sono affari tuoi.-
-Io invece credo di si. Tu sei un affare mio Won…- fece una piccola pausa –Ma non posso aiutarti se non mi dici cosa c’è che non va-, detto questo provò a sfilargli via il passamontagna dal viso. Il moro si irrigidì scansando in tutti i modi le mani dell’altro, che però continuavano ad insistere.
-Smettila di girarti Won, non capisco perché ti stai nascondendo così da me-. 
Minhyuk finalmente riuscì a prendere il lembo di quella copertura bianca, non capiva se perché era stato abbastanza veloce o perché Hyungwon finalmente si stava arrendendo, ed incominciò a tirare in alto per togliergliela. 
E desiderò davvero tanto non averlo fatto.
La palpebra dell’occhio destro era ricoperta di sangue ancora fresco, sul naso vi era un taglio abbastanza profondo, mentre il lato sinistro della bocca era violaceo per colpa di un grosso livido, ma sempre più piccolo rispetto a quello che gli ricopriva gran parte della guancia sullo stesso lato.
Il biondo platino lo aveva già visto ferito ma mai, mai in quelle condizioni. Si guardarono per un secondo, Minhyun con l’aria ammonitrice e furiosa, Hyungwon con aria afflitta ed arresa, poi il più grande si alzò velocemente e senza dire una parola, uscì dalla casa sbattendo forte la porta dietro di sé.
Corse come non fece mai in tutta la sua vita, attraversò stradine e tagliò per vicoli oscuri fino ad arrivare alla porta di I.M a pochi minuti dalle otto, ora in cui era sua abitudine cenare.
-E tu che ci fai qua?- disse Minhyuk non appena Wonho aprì l’uscio.
-Beh io…-
-Senti lascia stare- tagliò corto i più alto -Me lo racconterai un’altra volta. Dov’è I.M?-
-Sono qui- disse l’interessato comparendo alle spalle del biondo 
-Cos’è tutta questa fretta?-
Minhyuk assottigliò gli occhi lasciando trapelare tutta la sua rabbia ed inquietudine.
-Prendete quanta più benzina avete come scorta e seguitemi.-
-Ma…- provò a dire Wonho girandosi dalla parte di I.M notando il suo stesso sguardo confuso.
-E’ un ordine.-

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Capitolo 10
*** DONE ***


[Ebbene si, siamo arrivati al penultimo capitolo di questa storia... La settimana prossima vi aggiornerò sulle novità ma per ora vi posso solo chiedere scusa per il ritardo e augurarvi buona lettura~
Baci, Ara]

DONE

I.M e Wonho, al suono autoritario della voce del loro Leader, rientrarono velocemente nella casa del più piccolo oltrepassandola tutta in lunghezza fino ad arrivare alla vecchia cantinola nel quale il proprietario della casa teneva armi ed arnesi vari. Nell’angolo sulla destra c’era una tanica bianca di benzina con il tappo rosso; in poco più di un minuto furono di nuovo fuori e consegnarono il serbatoio a Minhyuk che fece segno di seguirlo ed andare con lui.
-Lo ha picchiato di nuovo?- disse sbalordito Wonho, dopo aver ascoltato tutto il racconto dell'amico, schiudendo le labbra.
-Non posso aspettare chelo uccida. Non posso più aspettare- ripeté il platino girandosi verso la strada principale, ma prima di mettersi a camminare cacciò dalle tasche del gilet due passamontagna bianchi, uguali a quelli di Hyungwon e li porse agli altri due.
-Mettete questi. Quel bastardo deve sapere per chi stiamo facendo tutto questo. Dovrá pentirsi di essere nato.-
Detto questo incominciarono a camminare: Minhyuk al centro, leggermente più avanti degli altri due vista l'andatura più veloce, Wonho alla sua sinistra e I.M sul lato opposto; una camminata decisa, pronta a smuovere la terra, mossa solo ed esclusivamente dalla rabbia e dalla voglia di vendetta.
Oltrepassarono il ponte dove erano soliti divertirsi e dopo poco meno di un’oretta erano già arrivati a destinazione: un altro dei cinque negozi più ricchi della cittadella, era del padre di Hyungwon dove vendeva stoffe delle più pregiate al mondo.
-Dobbiamo fare un lavoro veloce e preciso. Non deve rimanere più nulla lì dentro-
-La benzina è poca, come facciamo?- chiese Wonho.
-I tessuti prendono facilmente fuoco, così come il resto del fabbricato visto che è di legno. Ci basterà quella che abbiamo, fidati.- gli rispose I.M facendogli un occhiolino.
Alla fine fu fin troppo facile ridurre in cenere l’edificio. Dopo essere stati attenti ad aver ricoperto quanto più possibile gli interni di benzina, Minhyuk, con l’aiuto di un fiammifero, fece salire al cielo una fiamma ardente fatta di fuoco e fumo, assieme ad un boato terrificante. 
L’enorme "X" dipinta sulla finestra più alta era ben visibile da lunghe distanze, simbolo che i tre ragazzi erano stati lì.
In men che non si dica il posto fu circondato da Guardie dell’Armata e nonostante fossero vestiti come la notte attorno a loro, le loro sagome si distinguevano perfettamente, così come quella del padre di Hyungwon, evidentemente nei paraggi ed incuriosito da quella strana luce che le fiamme rossicce emanavano. Quell’uomo che tanto aveva tormentato il figlio entrambi, psicologicamente e soprattutto fisicamente, era ora in preda al panico, osservando senza che potesse fare qualcosa, l’ultimo poco della sua vita che andava in frantumi.
Intanto, Minhyuk, Wonho ed I.M erano ad una cinquantina di metri di distanza a volti scoperti e nascosti dal buio, fissando la scena. Nonostante avessero compiuto la loro tanto bramata missione con successo, nessuno dei tre aveva accennato ad un sorriso, così come nessuno aveva osato proferire parola nel viaggio di ritorno. Avevano contribuito a distruggere una vita, e la voglia di credere di averlo fatto per un’ottima ragione automaticamente non annullava del tutto il pensiero di avere molto più in comune con le Guardie di quanto credessero. Ci avevano fatto l’abitudine a quei pensieri, ma non potevano negare che il mondo fosse cambiato e loro con esso. Quei sette ragazzi facevano parte del Clan e come tali avrebbero fatto di tutto per eliminare le ingiustizie che vedevano sopprimere la loro, una volta grande, nazione.
Minhyuk, arrivati alla casa del più piccolo salutò i due con la mano, ringraziandoli con uno sguardo sincero e se ne andò percorrendo la via da cui era venuto in precedenza.
-Rimani qui per sta sera- disse I.M guardando il biondo. 
-Non mi va di rimanere da solo per oggi.-
Wonho sorrise e varcò la porta, la maglietta sporca di cenere.
-Il bambino ha paura?- disse scherzosamente, ma non appena vide la faccia seria di I.M incominciò a dubitare che l’altro l’avesse presa bene.
-Si, ho paura che ci vengano a prendere questa notte, ci ucciderebbero, o peggio ci torturerebbero o imprigionerebbero e questa forse sarebbe l’ultima occasione per poterti guardare negli occhi.-
Wonho fece un paio di passi verso di lui, senza neanche pensarci, e gli posò una mano dietro la nuca attirandolo in un bacio.
Entrambi chiusero gli occhi cullati dalla morbidezza delle loro labbra e dal loro odore che si mescolava in uno mai sentito prima. Passarono i minuti e I.M, mosso da una voglia irrefrenabile di stringersi ancora di più al biondo, lo incominciò a spingere verso l’interno della casa ma senza mai interrompere il contatto tra le loro bocche. Arrivarono alla sua camera da letto evitando miracolosamente sedie, scarpe ed oggetti vari che ostruivano loro il passaggio. 
Il più piccolino con un’ultima spinta fece cadere Wonho sul materasso e lui sopra, al centro tra le sue due gambe.
-Ogni volta che parli mi deprimo- disse col fiatone Changkyun facendo scorrere le sue mani sul corpo del più alto fino ad arrivare ai lembi della sua maglietta che tirò in su per levargliela del tutto e fermarsi per un secondo ad ammirare la pelle nuda e lattea che pareva urlargli di martoriarla dolcemente con morsi e baci 
–Forse ti dovrei far stare zitto per una buona volta… prima che sia troppo tardi-
Wonho si alzò quel poco che bastava per arrivare a premere le proprie labbra sul collo dell’altro lasciando delle piccole scie di baci che fece arrivare fino al lobo dell’orecchio, lì si staccò di qualche millimetro per poi sussurrare: -Ti supplico Changkyun, fallo.-
-Accontentato.-

Jooheon arrivò all’appartamento di Kihyun verso le sette della stessa sera in cui aveva ricevuto la telefonata e con un paio di stampelle sotto il braccio, la porta era aperta quindi non ebbe problemi ad entrare. Trovò l’amico seduto sul divano dietro al tavolino di vetro e con il piede destro fasciato su di esso.
-Amico, grazie di essere venuto!-
-E di che- rispose Jooheon sorridendogli e dandogli il cinque a mo’ di saluto –Poi casomai dopo mi racconti come diamine hai fatto, mh?-
Kihyun rise e si spostò di poco per fare spazio all’altro che poggiò prima le stampelle affianco al divanetto.
Passarono tutta la notte a parlare del più e del meno, ridendo e scherzando per qualsiasi cosa per la prima volta dopo tanto, senza pensarci troppo, ignari di quello che fosse successo quella notte agli altri

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Capitolo 11
*** NEW WORLD ***


[Buonsalve!! La scuola mi uccide e non sono riuscita a postare proprio nulla... 
Quindi eccomi qui con l'ultimo capitolo di questa serie che tanto ho amato scrivere. 
Non so se vi interessi ma ho scritto già i primi capitoli del continuo, potete benissimo tirare ad indovinare a quale video è ispirato xD, aspetterò il momento giusto per incominciare a pubblicare ma di sicuro non sparirò.... Almeno credo.
Grazie a tutti quelli che hanno seguito questa pazzia, ne sono davvero grata, e grazie mille per le splendide recinzioni ricevute.
A prestissimo!!]

NEW WORLD

Minhyuk non dormì neanche un secondo quella notte, troppe cose a cui pensare. Essere un leader significava avere su di se delle grandi responsabilità, ma essere il Leader del Clan significava avere la responsabilità di ben sei vite al di fuori della sua e non era cosa da nulla. Così la mattina dopo decise di alzarsi presto, aveva continuato a girarsi i pollici nel letto per troppo tempo, vestirsi con gli stessi panni della sera precedente ed uscire. La meta era decisamente troppo semplice da indovinare: casa di Hyungwon. Aveva il dovere di controllare come stesse, se avesse bevuto, mangiato, se si fosse lavato, curato le ferite, se avesse pensato a lui di tanto in tanto, ma specialmente doveva accertarsi che il padre non avesse detto che era stato proprio lui ad incendiargli il negozio, facendoli cadere automaticamente in una povertà che in quel momento proprio non ci voleva. Fece la stessa strada che aveva fatto almeno un milione di volte nella sua vita, fino ad arrivare alla piccola casetta di legno che conosceva altrettanto bene, quasi quanto la sua. Non ebbe bisogno neanche di avvicinarsi per notare che la porta principale era solo socchiusa, nessun blocco né chiave sia all’interno che all’esterno; la paura lo assalì, entrò in quella casa per la seconda volta in neanche un intero giorno con il cuore in gola, spaventato per quello che sarebbe potuto succedere. 
Il salone, la cucina e le due camere da letto erano esattamente come le aveva viste la sera prima e di Hyungwon neanche l’ombra. Passando accanto al bagno dette una rapida occhiata che però lo costrinse ad arrestarsi all’istante; era spoglio di qualsiasi oggetto e le mattonelle di un bianco splendente gli donavano un’inquietante luminosità bianchiccia. Sul lato destro accanto alla porta di emergenza vi erano delle piante poste in dei vasi che si arrampicavano per un metro più in su fino ad arrivare al muretto anch’esso bianco, tra la parete più lunga e quest’ultimo, una vasca con una pompa sul pavimento accanto. La vasca era completamente piena d’acqua, fino all’orlo, e dentro un corpo troppo lungo per entrarci completamente.
-Hyungwon…- chiamò sottovoce Minhyuk, ma nulla, anche se fosse stato vivo comunque non avrebbe potuto sentirlo visto che teneva la testa interamente sotto l’acqua, comprese le orecchie.
Il platino si avvicinò a passo lento e triste fino ad arrivare al muretto che usò per sedersi, gli occhi erano fermi sul volto del ragazzo sfigurato dall’acqua. 
“Che cazzo hai fatto, mh? Era da tanto che avevi intenzione di farlo, vero? E non me lo avevi detto… non me ne hai mai parlato, in realtà non lo hai mai fatto in generale. Devi aver sofferto davvero tanto ed io non ti ho mai protetto a sufficienza evidentemente. Mi dispiace amore mio. Scusa per averti costretto a tutto questo, scusami.”
In realtà non riusciva a pensare ad altro guardando quello che era il suo ragazzo. Mise lentamente una mano all’interno della tasca destra dei pantalone e cacciò fuori una boccetta di vetro contenente un liquido bluastro, estratto di Delphinium che il Clan aveva creato l’ultima “riunione del diciassette” che avevano tenuto. Aprì il tappo trasparente e versò interamente il suo interno nella vasca che si colorò anch’essa di un blu chiaro. 
-Si fotta il Clan. Si fotta tutto. Non avrebbe senso senza te al mio fianco. Spetta a te decidere. Non ti darò un occasione di ritornare in un mondo che non ha fatto altro che farti del male e ricordarti che sei inadeguato, che ora il concetto di Pace non ha più senso. Ti darò un occasione di ritornare da me, l’unico mondo che è ancora capace di amarti veramente. Ti aspetterò e se non vorrai che funzioni, allora morirò qui con te… Tanto ora sono solo un corpo che respira.-
Minhyuk disse quelle parole con una calma straziante che gli apparteneva fin da quando era bambino; il coraggio porta via la paura, così come l’amore, trasformandola in un essere senza effetti sull’animo umano. Minhyuk in quel momento aveva avuto il coraggio di rinnegare qualsiasi cosa, ascoltando il suo cuore che pareva oramai congelato da anni. 
Entrò nella vasca, il gelo dell’acqua gli penetrava la pelle, si strinse di più al compagno in modo da tenere il volto soffocato nel suo collo, la mano scivolò per tutta la lunghezza del suo braccio fin quando non trovò la mano morbida, se pur spugnata, dell’altro. Percepì quelle dita sottili come se fossero l’unico modo per rimanere in vita, e dopotutto le cose stavano proprio in quel modo.
Fece un ultimo grande respiro e si lasciò andare chiudendo gli occhi, non seppe per quanto tempo rimase in quella situazione fin quando non si sentì stringere la mano debolmente. 
Hyungwon aveva deciso e Minhyuk giurò che mai si era sentito così vivo prima di quel momento.

EPILOGO
(Un mese dopo.)
Kihyun prese a correre per le vie principali della cittadella con il sangue che gli pulsava velocemente nelle vene, le stampelle che lo stavano aiutando nella guarigione del piede fratturato erano esclusivamente d’intralcio in quel momento, così decise di buttarle a lato della strada con una spinta decisa. Se pur zoppicando corse quanto più velocemente poté fino ad arrivare a casa del più piccolo del gruppo. Spalancò la porta e senza neanche accertarsi su chi ci fosse e chi no urlò con il poco fiato che gli era rimasto:
-Le Guardie stanno attaccando! Hanno bruciato qualsiasi cosa ci fosse sulla costa. Chiamate gli altri, che venissero qui. Dobbiamo scappare, non abbiamo più tempo ormai!-
Mentre I.M scattò verso il telefono per digitare un numero conosciuto a memoria, Wonho si fece avanti aiutando Kihyun a sedersi.
-Che cosa hai visto? L’Armata non si era mai comportata in questo modo prima…-
-E’ cambiato qualcosa. Le strade per arrivare qui sono piene di cenere, ho sentito le urla dei pochi abitanti rimasti, stanno radendo tutto al suolo…-
Il biondo si girò preoccupato verso I.M che stava parlando con qualcuno a telefono facendo ampi gesti con la mano:
-Quanto tempo abbiamo Hyun?-
-Due, massimo tre ore.-
-Maledizione… Si, si ho capito. Dì a Shownu di avvisare Minhyuk e Hyungwon, venite tutti e quattro qui il più presto possibile. Vi farò trovare pronti armi e vestiti- fece una pausa ed annuì a quello che Jooheon gli stava dicendo attraverso la cornetta.
-Sbrigatevi e fate attenzione.-

Poco prima di una mezz’oretta dopo tutti e sette i ragazzi del Clan erano fuori casa, vestiti interamente di bianco, con decine di cinghie sul pantalone e bretelle che nascondevano e tenevano ben salde le ricariche per le mitragliette, anch’esse bianche, che avevano tra le mani puntate in qualsiasi direzione attorno a loro, pronte a fare fuoco.

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