Dreaming Nights di storyteller lover (/viewuser.php?uid=46502)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ombre nell'oscurità dei sogni ***
Capitolo 2: *** Reale, indagine...John ***
Capitolo 3: *** Le amiche sono spesso razionali ***
Capitolo 4: *** In archivio ***
Capitolo 1 *** Ombre nell'oscurità dei sogni ***
Dreaming nights
The Survey of a
Vampire
- TITOLO:
Dreaming nights
- RATING: Giallo
- GENERE: Giallo
- AVVERTIMENTI: //
- COMMENTO DELL'AUTORE (non obbligatorio): Salve ragazze, eccomi qui
finalmente. Questa storia è stata piuttosto sofferta ma
credo che dopo tutto di
essere giunta ad un buon risultato. Vi dico solo che se a me questa
storia è
sembrata strana a voi lo sembrerà ancora di più.
Il finale, lo ammetto, è
insolito, ma alla fine i fili logici della storia si intrecciano.
Ancora grazie
ragazze e buona lettura.
Prologo
Un
lungo
brivido le percorse la schiena, mentre una fresca e inspiegabile
sensazione di
quiete la pervase profondamente.
Sentì,
allora,
il freddo marmo a contatto con la pelle della schiena e la completa
assenza di
qualsivoglia soffio d’aria tutt’intorno…
Aprendo
gli occhi scorse
ampi alti archi di pietra, sormontati da guglie e contrafforti, immersi
nella
totale oscurità di quel luogo. Ecco da un lato stendersi una
grande porta di
legno scuro e ferro battuto, ornata ai lati da due semicolonne scure e
corrose
dal passare del tempo. Voltando lo sguardo, capì di trovarsi
accanto
all’entrata di quella che doveva essere stata una grande
cattedrale, ormai
abbandonata. A separarla dall’ampia navata centrale, sorretta
da due colonnati,
si stendeva una fila di archi a tutto sesto, a poco più di
un metro da dove si
trovava, supina, riversa sul marmo scuro ancora perfettamente liscio,
sul quale
si riflettevano, nonostante la fioca luce filtrante dalle finestre
opache, le
antiche travi in legno.
Solo l’altare,
oltre alla sezione a esso adiacente, era leggermente illuminato. In
tutto il
resto s’insinuava un’oscurità permeante.
Il silenzio echeggiava sinistro tra
gli intarsi di pietra e i porta candele impolverati.
Eppure
era lì,
anche se non riusciva a vederlo. La forza del suo desiderio continuava
ad
opprimere il suo animo, agitandosi nell’oscurità
dei colonnati. Si spostava
rapidamente da una colonna all’altra, da un’ombra
all’altra, celandosi ancora e
ancora… fruscii impercettibili nel suono del silenzio, muti
sussurri di uno
sguardo sfuggente e mortifero la cui presenza incombeva angosciosa in
quel
luogo.
Le
fu subito
accanto, impedendole di muoversi con la sola forza del pensiero.
Torreggiava
adesso sul suo corpo candido e vellutato. Una bramosia repressa e
assetata che
non esitò a stringerla per i fianchi e sollevarla verso di
sé, circondandola
con la sua aurea perversa e fremente, oscura come il male e tuttavia
seducente
nella sua ossessione…
Allora,
un’ondata
di calore la invase, mentre sentiva due mani forti stringerle
disperatamente le
spalle e il suo respiro ansante sul collo… piacere, paura,
pace, tumulto…
cos’altro poteva essere?!
…
“Rebecca…”
“Rebecca…”
To
be continued...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Reale, indagine...John ***
Dreaming nights
Cap. 1
“Oh!”
Sentì un profondo sospiro fuoriuscire dalle proprie
labbra, una volta riaperti gli occhi. Si guardò intorno
freneticamente,
sentendo la fronte fredda e gronda di sudore. Era nella sua stanza, nel
suo
letto, fra le stesse coperte in piuma d’oca di
sempre…
Ma
quella scena continuava a ripresentarsi ancora vivida nella sua mente.
Quelle
sensazioni fremevano ancora dentro di lei, selvagge.
Rebecca?!
S’immobilizzò all’istante. Da dietro la
porta, appena
socchiusa, qualcuno aveva pronunciato il suo nome. Rimase ferma per un
paio di
secondi, incerta se fosse reale o solo frutto di quello che era stato
un incubo…
"Rebecca?!"
Il
cuore le balzò in gola. Nell’oscurità
della stanza cercò a tentoni il fodero
della pistola.
Le
molle del letto scricchiolarono, tradendo il suo movimento.
Scivolò
il più silenziosamente possibile fuori dal letto. Spalle al
muro, grilletto
innescato, pronta ad avvicinarsi e spalancare la porta. Prese un
respiro
profondo. Iniziò a contare: uno, due…Al tre la
porta ormai giaceva, scardinata,
sul pavimento.
“EHI,
EHI, EHI! Abbassa
quell’aggeggio. Sono un vampiro, ma il dolore riesco ancora a
sentirlo!” Una voce
familiare e un viso conosciuto la rassicurarono.
“Ma sei impazzito, John!” Rebecca si
portò una mano alla fronte, sospirando,
finalmente sollevata. Chiuse gli occhi per un istante, appoggiandosi
con la
schiena al muro.
Calmati,
è tutto
ok… è stato solo un sogno…
“Rebecca,
stai bene?”
Il tono preoccupato di John la riportò alla
realtà.
“Sì, scusami. Ma per un attimo ho temuto
che…”
“Che in casa fosse entrato un maniaco squilibrato pronto ad
aggredirti?!” La
interruppe, ma, dallo sguardo terrorizzato di Rebecca, John
capì quanto doveva
averla spaventata. Era molto pallida, aveva gli occhi ancora stravolti
e il
respiro affannato.
“Rebecca? C’è qualcosa che non
va?” Le disse nel tentativo di riprenderla.
“Non ti preoccupare, John. Adesso sto meglio. Ho solo bisogno
di un caffè.
Vuo…? Scusa, non l’ho fatto apposta.”
Disse subito dopo, ricordandosi che le
due di notte non era proprio l’ora adatta per un
caffè e, soprattutto, di avere
come partner una creatura della notte, il cui unico sostentamento era
la linfa
vitale degli esseri umani.
“Non fa niente, ci sono abituato.” Le
rispose, gentile come sempre.
Rebecca fece come per andare in cucina, ma lui
l’apostrofò nuovamente.
“Non credo avrai tempo per il caffè!”
Disse. La sua voce tradiva una grave nota
di serietà. Rebecca capì subito.
“Hanno chiamato dalla centrale? Il mio cercapersone
…”
“E’ spento. Per questo sono venuto a cercarti. Dato
che non mi aprivi, sono
entrato dalla finestra” Disse, quasi a volersi scusare per
l’intrusione di poco
prima.
“Dammi solo cinque minuti. Il tempo di vestirmi e possiamo
andare” Disse
Rebecca, allontanandosi velocemente.
“E non hai paura che possa spiarti?” Le chiese John,
ridendo.
“Non credo che a un vampiro gay possa interessare una
donna.” Rispose lei
dall’altra stanza. Si tolse in fretta e furia il pigiama,
rabbrividendo per il
freddo. “Comunque, te l’hanno mai detto che sei
totalmente sprecato? Sul serio,
John! C’è chi farebbe follie per te.”
Disse Rebecca, per nulla maliziosa.
Sapeva che tra lei e John ci sarebbe potuta essere solo una forte
amicizia, ma
tutte le volte che lo presentava ad un’amica questa iniziava
inevitabilmente a
flirtare con lui. Il passo successivo era mostrare gli occhi dolci,
fare le
moine e infine provarci spudoratamente come una gattina in calore. Non
che
Rebecca le biasimasse in alcun modo per questo.
John era alto,
slanciato, con spalle larghe e il petto in fuori. Aveva un corpo
armonico e ben
proporzionato, oltre a un portamento elegante nel camminare. Il suo
viso era
attraente e i suoi occhi verdi erano magnificamente accompagnati da
morbidi
capelli castani.
“È
solo perché sono un
vampiro. Noi desideriamo il vostro sangue, allo stesso modo voi
desiderate noi.
Solo che non ci potrà mai essere uno scambio equo. Voi
cercate l’amore e,
in cambio, donate amore. Noi bramiamo il vostro sangue e in
cambio
rendiamo morte e oblio al vostro amore. Non lo trovi poetico, oltre che
ingiusto?”
Rebecca lo
guardò
accigliata, una volta ritornata nel corridoio. John non aveva mai
ucciso un
uomo, nemmeno subito dopo che era stato infettato da quel vampiro nel
tentativo
di ucciderlo. Eppure, certe volte sembrava che le sacche di sangue
fornitegli
giornalmente dal dipartimento non riuscissero a soddisfarlo
completamente, a
saziare la sua sete.
“Ti sei nutrito a sufficienza sta notte?!” Gli
chiese Rebecca, sospettosa.
“Non come avrei voluto, ma abbastanza da non perdere il
controllo. Il
sangue che ho bevuto sta notte aveva un sapore buonissimo, credo che
riuscirei
a riconoscere il suo donatore, se solo mi passasse davanti.”
“Non sarebbe il caso di andare?” Gli chiese Rebecca
infilandosi il cappotto
nero.
“Direi proprio di sì. Dopo di voi!” Le
disse aprendo la porta e indicandole la
soglia. Rebecca lo oltrepassò, diretta verso
l’ascensore. Sentì la porta
chiudersi e subito John la raggiunse.
“A proposito, ti hanno mai detto che hai un odore
buonissimo?!” Le disse John.
Rebecca si irrigidì, ma gli rispose cercando di sembrare il
più naturale
possibile.
“No, è la prima volta, ma lo prendo per un
complimento.”
“Allora fatti dare un consiglio: cerca di non lasciarne mai
traccia. Stai
sempre vicina a me, vai solo dove io sono già passato e non
ti allontanare per
nessun motivo.” Le disse John, più serio che mai.
“John, che cosa stai cercando di dirmi?” Rebecca
non riusciva a capire da cosa
stesse cercando di metterla in guardia.
“Sai dove stiamo andando?” Le chiese guardandola
negli occhi. Lei scosse
semplicemente il capo, più confusa di prima.
“Poche ora fa è stato rinvenuto il corpo senza
vita di una bambina.”
Rebecca non rispose. Nonostante fossero trascorsi almeno cinque anni da
quando
era entrata nel corpo della squadra investigativa della
città, non era riuscita
ancora ad abituarsi alle brutte notizie.
“Quanti anni aveva?” Chiese a John, mentre la porta
dell’ascensore si chiudeva
dietro le loro spalle.
“Circa sei. Sembrerebbe sia morta non più di
cinque/sei ore fa, ma non è facile
stabilirlo, considerate le condizioni del cadavere.” Le
rispose.
“Cosa le è accaduto?” Rebecca si
sforzò di non chiedergli il nome. Non conoscere
il nome della vittima aiuta a mantenere il distacco, almeno durante il
sopralluogo.
“Sembra che i genitori ne abbiano denunciato la scomparsa da
un paio di
settimane. La sezione minorile si stava già occupando del
suo caso quando
qualche ora fa è arrivata in centrale una segnalazione
telefonica. Un passante
ha visto qualcosa di scuro accanto allo sbocco del fiume. Credeva fosse
un
cane, solo che i cani non portano con sé
l’orsacchiotto per andare a dormire.”
Concluse John in contemporanea con l’arrestarsi
dell’ascensore.
Rimasero in silenzio fin quando, usciti in strada, Rebecca
tirò fuori le chiavi
della macchina.
“Cosa credi di fare?” Le chiese John. Rebecca,
confusa, gli rispose
“Ti sembrerà ovvio ma non credo riuscirei a tenere
il tuo passo. Noi umani
continuiamo ad usare i vecchi metodi tradizionali per spostarci.
Contribuiamo
all’inquinamento atmosferico ma, in mancanza della super
velocità, bisogna pur
arrangiarsi in qualche modo.”
Gli disse, ma lui la riprese seriamente.
“Ci sono due motivi per cui ti ho detto di non allontanarti
mai da me sta
notte. Il primo è che il luogo in cui è stato
rinvenuta la piccola si trova a
soli quattro/cinque isolati da qui. Il secondo, più
importante, è che…”
“Credi che ad ucciderla sia stato un vampiro.” Lo
anticipò Rebecca,
rabbrividendo non solo per il freddo in quella notte piovigginosa e
scura.
“Andiamo” Le indicò la
direzione
“Ti spiego tutto per strada”
“Rebecca…”
“Rebecca…”
Si
voltò
di scatto, gli occhi erano due finestre spalancate per il terrore.
“C’è qualcosa che non va?” Le
chiese John, apprensivo.
“N-no, no. È solo che… Niente. Non sono
molto in me oggi, scusami.”
Fu così che si diressero velocemente verso il fiume.
Meggy
Carson era una bambina come tante altre, con lunghi capelli neri e
delicate
guance rosee. Circa due settimane prima, la madre, Fiona Sommers,
entrando in
camera di sua figlia per svegliarla, scoprì il letto vuoto e
la finestra
insolitamente aperta. Dopo la perquisizione della polizia era stato
trovato
mancante solo un orsetto di peluche, dal quale Meggy non si separava
mai. Dopo
una settimana di ricerche continue, annunci via radio e TV, non si era
saputo
ancora nulla, fino al ritrovamento del suo corpicino esangue tra le
acque del
freddo fiume in quella notte invernale. L’orsacchiotto era
stato trascinato
poco più in là dalla corrente.
Nessun
sospettato, nessun movente o qual si voglia indizio potevano gettar
luce sul
suo strano caso.
“Sei
certo
che sia opera di un vampiro?” Chiese Rebecca, una volta che
John ebbe finito di
parlare.
“Non ne sono sicuro, ma è molto probabile. I
genitori affermano di non aver
sentito nessun rumore insolito, nemmeno un grido d’aiuto. La
bambina è stata
chiaramente spinta ad avvicinarsi per aprire la finestra da qualcosa, o
da
qualcuno.” Disse, marcando di proposito le ultime parole. Lo
sguardo di Rebecca
si fece più attento. Non oltre cinquanta metri
più in là si potevano
chiaramente distinguere le luci lampeggianti delle auto della polizia.
Non più
di dieci o quindici persone tutte riunite intorno a un punto preciso
del fiume.
“Ho
chiesto di non
procedere con la rimozione del corpo. Pensavo avresti voluto osservare
la scena
ancora intatta. La scientifica aspetta solo noi per iniziare il
sopralluogo.”
Le disse John.
“Hai fatto bene, anche se i curiosi non tarderanno ad
avvicinarsi. Dobbiamo
fare in fretta. Tu sei il più veloce e senza dubbio riesci a
vedere molto
meglio di me al buio. Perlustra la zona, vedi se riesci a trovare
un’impronta,
una qualsiasi traccia. Voglio escludere tutte le possibilità
prima di prendere
sul serio in considerazione la tua ipotesi.” Gli disse,
infilandosi i guanti in
lattice.
“Io vado a ispezionare il punto dove si trova il
cadavere.”
Sentì appena la risposta di John. Era una grande fortuna
averlo come partner,
nessuno era più abile di lui. Da molto tempo il corpo di
polizia del paese
collaborava con successo con vampiri in incognito ai casi di omicidio.
Il loro
fiuto era infallibile, la loro mente registrava ogni particolare e la
loro
vista acuta era estremamente utile in casi come quello. Più
di una volta John
le aveva evitato una brutta fine, grazie a una velocità e a
una forza superiori
a quelle di qualunque essere umano. Ricordava di aver parlato con John
di
questo argomento, e rammentava di essere rimasta colpita da un
particolare…
“Alcuni
di noi
possiedono poteri speciali, inspiegabili per così dire. Non
quelli che voi
umani considerate così affascinanti come la lettura del
pensiero o altre cose
del genere. Si chiama offuscamento della volontà della
preda. Ingannano la
mente, confondono i pensieri della loro vittima fin quando questa cede,
e si
abbandona completamente tra le braccia del suo
assassino…”
Scegli
un
punto di fronte a te e procedi in linea retta, per evitare di inquinare
le
eventuali tracce lasciate dall’omicida.
Rebecca cercò di non focalizzare lo sguardo sul corpicino
etereo a pochi metri
da lei. Procedette in maniera rigorosa, secondo quanto le era stato
insegnato
ai corsi di tirocinio ai tempi dell’Accademia.
Perlustrò la zona entro un
raggio di tre/quattro metri dal corpo.
Non trovò nulla, fuorché sabbia e detriti. Adesso
veniva la parte più
difficile… il corpo.
Era posto a pochi centimetri dal bagnasciuga, con il viso completamente
immerso
nell’acqua fredda e scura, mentre i capelli, portati dalla
corrente ne coprivano
come un cappuccio nero i lineamenti. Indossava un pigiama color carne a
maniche
lunghe coi piedini. Si trovava in posizione riversa, con le braccia
poste lungo
il busto e il faccino rivolto verso il centro del corso
d’acqua. Nonostante
quell’inverno fosse stato molto rigido, non erano state
riscontrate molte
precipitazioni, e quel fiume, dalla medio/piccola portata annuale, non
era in
grado di trascinare un corpo di quel peso, vista la bassa corrente.
Meggy era stata lasciata lì, adagiata delicatamente sulla
sabbia col suo
orsacchiotto ancora tra le braccia.
Rebecca sperava fortemente che John si stesse sbagliando. Un vampiro
fuori
controllo, assetato di sangue, sadico e perverso persino contro una
bambina di
soli sei anni, avrebbe sicuramente lasciato dietro di sé una
scia di morte
atroce.
Tuttavia, i suoi dubbi furono risolti dall’espressione
turbata sul volto di
John, tornato silenziosamente e senza nulla da riferire.
“Riesci a sentire il suo odore?” Gli chiese, senza
alcuna speranza.
“No, e per di più non ha lasciato orme dietro di
sé. Solo l’autopsia ci darà
conferma delle nostre supposizioni.” Disse soffermando per
poco più di un
istante lo sguardo sul corpicino.
“Credo sia il caso di avvertire la famiglia. Tra poco
sarà l’alba e io non sono
abbastanza forte da sopportare la luce. Lascio a te le questioni
burocratiche…”
“Come sempre del resto.” Disse Rebecca sarcastica.
John le rivolse una sguardo
mellifluo prima di continuare.
“Mi farò vivo io, tu nel frattempo sta fuori dai
guai.” Così dicendo si dileguò
velocemente.
To
be continued..
Bene
ragazzi, questo è il primo capitolo. I personaggi principali
sono apparsi,
magari più avabnti vedremo qualche altra cosa.^^
Passiamo
ai ringraziamenti:
ireat:
grazie
per aver letto e recensito la
storia. Mi rendo conto che è un bell’impegno e ti
ringrazio molto. Come vedi ho
deciso di pubblicarla a capitoli, così da rendere la lettura
meno pesante. Sono
contenta che John ti sia piaciuto, in effetti è un
personaggio che io stessa
apprezzo molto. Per quanto riguarda la caratterizzazione dei vampiri
sono
contenta che anche tu come me sia uno spirito tradizionalista.^^
Allo
stesso modo mi fa piacere che lo stile, l’attinenza al genere
dei polizieschi siano
di tuo gusto. Grazie infinite.^^
Grazie
a
Aya88,
Ghen
e
Psyko
Nekochan
per aver messo
la storia tra i preferiti e a Midnight
Poison
per aver messo
la storia tra le seguite.
Infine
ringrazio tutti coloro che hanno letto.
Spero
che vi sia piaciuta a presto^^
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Le amiche sono spesso razionali ***
Cap. 2
Erano appena le sei del mattino.
Troppo tardi per tornare
a casa ma pur sempre troppo presto persino per andare in ufficio. Il
rapporto
del medico legale sarebbe giunto sulla sua scrivania non prima di
quattro o cinque
ore ancora.
Sentiva la testa scoppiarle e la stanchezza, dovuta al
suo sonno disturbato, l’avrebbe accompagnata per tutto il
corso della giornata.
E quel sogno, così reale eppure sfuggente, così
forte nelle sensazioni che le
aveva lasciato, continuava ad impensierirla. Non aveva voglia di
restare da
sola. Sapeva che altrimenti i suoi pensieri sarebbero inevitabilmente a
quel
sogno, a quel terrore, a quella voce persa nel vento. Per una volta
sentiva il
bisogno di affidare le sue angosce, per quanto potessero sembrare
frivole e
infantili, a qualcuno che potesse capirla. Qualcuno che …
forse… ma certo! Joan
era sempre sveglia a quell’ora del mattino! Tirò
fuori il suo fedelissimo PDA.
Nella voce telefonate recenti ecco
apparire subito il numero che stava cercando.
… Ring…
Ring… Ring…
“Sì?” Rispose una voce grave ma decisa.
“Joan, sono io, Rebecca. Sentì posso passare un
attimo da
casa tua? C’è qualcosa di cui vorrei
parlarti.”
“Posso
concederti
solo mezz’ora di tempo. Devo prendere un volo diretto per
Bristol tra un’ora e
non posso tardare.” Le rispose.
“Mi bastano anche cinque minuti.”
“Ok,
ti aspetto.
Non tardare!”
Questa volta, Rebecca avrebbe avuto
bisogno della sua
macchina.
Parcheggiò senza problemi davanti al portone sotto casa
di Joan. Quel palazzo in vecchio stile vittoriano si stagliava dritto
davanti
ai suoi occhi, in contrasto con gli alti edifici moderni della zona.
Scese
rapidamente dalla vettura, chiudendo la portiera. Una volta
assicuratasi di
aver chiuso la macchina si diresse senza indugio verso la sua meta e
suonò al
terzo citofono partendo dal basso. Dopo pochi istanti, la stessa voce
con cui
aveva parlato al telefono rispose.
“Sì?”
“Joan, sono io,
Rebecca.”
“Sbrigati
a salire,
il mio taxi arriverà tra pochi minuti.”
“Ok, sono subito da
te.” Rispose Rebecca, chiudendo il portone dietro di
sé. Salì le scale
velocemente fino al secondo piano. Per fortuna l’appartamento
di Joan non si
trovava ai piani superiori. Trovò Joan ad aspettarla sulla
porta. Gli occhiali
sul naso e il tailleur grigio le conferivano un aria molto formale.
“Speravo ci fosse anche il tuo bell’accompagnatore
tenebroso.” L’apostrofò sarcastica.
Joan non riusciva a concepire il fatto che John fosse
gay. O meglio, Joan non riusciva ad accettare il fatto che un uomo
bello e
attraente come John fosse esattamente dall’altra sponda del
fiume nella quale
lei si trovava.
“Non è il mio accompagnatore. Siamo
semplicemente…”
“Sì, sì, voi siete soltanto una
squadra. Lavorate
insieme, trascorrete insieme la maggior parte del vostro tempo, fianco
a fianco
su tutte quelle pratiche e quei verbali. Magari lui ti va a prendere un
caffè,
anzi, sa che lo prendi amaro, nero, scuro, proprio come lui.”
Le disse,
ironica.
“Joan, tra me e John c’è solo un
rapporto di
collaborazione professionale. Al di fuori dell’ambito
lavorativo siamo buoni
amici, nulla di più.”
“Vorresti forse dirmi che non ci hai mai fatto un
pensierino?! Mia cara Rebecca, se dici di no ti disconoscerò
per sempre come
amica.” Joan sapeva essere esasperante, davvero esasperante.
“Sì, Joan, lo ammetto. È forse
l’uomo più sexy mai
apparso sulla faccia della terra.”
“In casa mia di sicuro!” La interruppe Joan,
sorridendo
maliziosamente.
Rebecca la guardò, rassegnata.
“C’è qualcosa di cui vorresti
parlare?” Le disse infine
Joan, recuperando tutt’un tratto il suo fare professionale.
“Più di una a essere sincera.” Fu
l’unica cosa che
Rebecca riuscì a dirle prima di varcare la porta
dell’appartamento.
Rebecca si fidava cecamente di Joan. Nonostante fossero
completamente diverse, sia per gusti che per carattere, erano sempre
state
buone amiche sin dai tempi del college. In quel periodo Rebecca
studiava
criminologia, mentre Joan psicologia criminale. Rebecca sapeva di poter
contare
sulla sua amica e che questa l’avrebbe senz’altro
ascoltata.
“Ho fatto un sogno sta notte… no, no! Era
più un incubo,
ma, ad essere del tutto onesta, non saprei dire cos’altro
potrebbe essere.”
Rebecca continuava a giocherellare col cuscino del divano,
nel soggiorno di Joan.
Quest’ultima poi, seduta di fronte a lei, si limitava ad
ascoltare e ad annuire ogni tanto.
“Stavo dormendo, e, non so come, riuscivo a rendermi
conto di quanto accadeva intorno a me. C’era silenzio, tanto
silenzio e sentivo
una strana ma fresca sensazione, come quando, d’estate, ci si
appoggia alle
pareti per sentirne la temperatura fredda.” Disse cercando di
ricordare nei
minimi particolari quanto aveva sognato quella notte.
“Che punto di vista avevi? Mi spiego, eri in piedi,
nascosta in un angolo, osservavi la scena
dall’alto?” Le chiese, aggiustandosi
gli occhiali sul naso.
“Ero sdraiata, ma all’inizio non riuscivo a vedere
nulla.”
“Quindi la prima parte del tuo sogno è
caratterizzata
solo da sensazioni… mmm… Molto interessante. E
cosa è successo dopo?” Chiese
Joan, molto coinvolta.
“Credo di essermi ritrovata all’entrata di una
chiesa.
Alla mia destra c’era un portone scuro e il soffitto era
così alto che sembrava
scomparire nell’ombra…”
Si fermò per un attimo, sentendo un brivido lungo la
schiena.
“Non so se possa essere considerato attendibile, ma ho
avuto come la sensazione che quello non fosse un luogo
consacrato.” Disse tutto
d’un fiato.
“Cosa intendi?” Le chiese la sua amica.
“Non credo di riuscire a spiegarlo ma lo sentivo. Sapevo
di essere lì e che qualcuno mi osservava.”
“Aspetta, aspetta Rebecca. Rispondimi, prima di andare
avanti. Cosa vuoi dire con non consacrato?
Era una chiesa dissacrata, c’erano simboli, immagini
blasfemiche? Cosa c’era di
così profanatorio da indurti a credere che quella chiesa non
fosse consacrata?”
Ancora una volta Rebecca dovette riflettere prima di
rispondere. Sapeva cosa aveva avvertito in quel momento, ma non
riusciva a
tradurre quelle sensazioni in parole concrete.
“Come ti ho detto, lo sentivo. Come la quiete prima del
sopraggiungere di un terremoto. Io sentivo che quel silenzio era solo
un
artefatto, sapevo che c’era! Mi dispiace ma non riesco a
spiegarlo più di
così…”
“Non ti preoccupare, continua. Cosa hai visto?”
“Non c’era molta luce, solo piccoli spiragli
isolati qua
e là. Ma sentivo che nell’ombra c’era
qualcuno. Non riuscivo a vedere chi fosse
ma sentivo che era lì, dietro le colonne.”
“Cosa faceva?”
“Mi spiava… mi guardava… mi atterriva
con la sua
presenza. Era come se aleggiasse da per tutto. Era più
oscuro dell’ombra in cui
continuava a nascondersi.”
“Cosa voleva da te?”
Eccola, eccola lì. La domanda più difficile e,
allo
stesso tempo, più semplice…
“Lui… lui voleva me. Non me in quanto Rebecca, non
me in
quanto donna. Lui voleva me, e basta.” Disse tutto
d’un fiato. Attese un attimo,
ma Joan non parlò.
“E poi… poi mi è venuto vicino. Ed era
forte, così forte
da impedirmi di muovermi, nonostante avessi paura, tanta
paura.”
Sentì le guance colorirsi, e abbassò lo sguardo.
“Ti ha fatto del male? Ha cercato aggredirti in
qualche…”
Joan lasciò volutamente la frase in sospeso, caricandola di
significato. Rebecca
annuì, ma subito dopo cercò di spiegarle cosa
aveva provato.
“Non è come può sembrare,
però. Era forte, ma…non brutale.
E, nonostante fosse terribile, ossessionato, mi ha cullato
finché non ho riaperto
veramente gli occhi.” Disse, ancora imbarazzata, ma con
l’animo più leggero dopo
quella confessione.
Joan si limitò a fissare il vuoto ancora per pochi
attimi.
“Prima di dirti quello che penso, vorrei sapere
qual’era
il colore dominante? Sicuramente, ci sarà stato un colore
principale, oltre il
nero che ti ha colpito.”
Rebecca cercò di richiamare alla mente quanto riusciva a
ricordare.
“Non c’era nero, come la luce non era perfettamente
bianca. Marrone, credo, ma anche rosso scuro, e tutto sembrava essere
rivestito
da una patina opaca” Concluse Rebecca.
Restarono ancora per qualche momento in silenzio, finché
non fu Joan a prendere la parola.
“Sei sicura di stare bene?”
Rebecca la guardò, sorpresa. Tutto si aspettava meno che
Joan le porgesse quella domanda. Dov’era finita la sua amica?
La razionale,
forte, combattiva Joan? Che fine aveva fatto la Joan tanto appassionata
dalla
psiche e dall’inconscio umano?
“Non fraintendermi, Rebecca, ma credo tu sia oltremodo
spaventata. Quello che mi hai raccontato può essere solo la
conseguenza di un
miscuglio di emozioni e fatti apparentemente poco legati fra loro, ma
che il
tuo inconscio ha messo insieme. Forse hai paura di qualcosa, forse
c’è un’ombra
che continui a sopprimere e, forse, nei tuoi sogni questa possiede le
sembianze
di un uomo in nero che cerca di sopraffarti.”
Mentre Joan parlava, Rebecca rimaneva in silenzio, imbarazzata.
Non aveva mai considerato la situazione sotto quel punto di vista.
Chissà perché, nel suo immaginario, aveva
supposto che
quello strano sogno forse potesse avere un qualche riscontro con la
realtà, che
forse c’era davvero un lui misterioso che, buono o cattivo la
desiderasse con
tanto tormento.
“Che mi dici di Simon?” Questa domanda la
riportò dritta
dritta alla realtà.
“Non c’è nulla da dire. È
sempre il solito abile,
attraente, spiritoso e intellettuale collega d’ufficio che va
a letto con la nuova
segretaria bionda del box più avanti invece che con
me.”
Joan iniziò a sogghignare, divertita.
“Sempre la solita Rebecca.” Disse continuando a
ridere.
“Credi che la mia avversione per la segretaria possa
coincidere con il sogno?”
“Oh sì, sicuramente.”
Si guardarono per un attimo prima di scoppiare a ridere.
Era da un po’ che Rebecca non rideva così di
gusto. A dire il vero ne era passato
di tempo da quando aveva parlato con qualcuno di sé stessa.
“Mi prometti che starai più tranquilla?”
Le chiese Joan.
I suoi occhi si spostarono improvvisamente sul quadrante
dell’orologio per poi
sgranarsi all’istante.
“Sono terribilmente in ritardo, scusami tesoro, ma
rischio sul serio di perdere il volo.” Le disse infilandosi
il cappotto.
“Che ore sono?” Le chiese Rebecca.
“Le 6:57 e il mio volo parte tra meno di venti
minuti.”
Uscirono insieme dal portone d’ingresso e Rebecca
aiutò
Joan a caricare i bagagli sul taxi bianco che l’aspettava
proprio sotto casa.
Si abbracciarono e, prima di separasi Joan le sussurrò
all’orecchio:
“Chiamami se hai bisogno di parlare. E non farmi stare in
pensiero.”
Ma già la portiera del taxi si chiudeva e l’auto
partiva
lasciandosi alle spalle un quartiere ancora immerso nel silenzio.
“Rebecca…”
“Rebecca…”
Si voltò di
scatto, trattenendo il respiro. Ma le strade
erano deserte, i balconi vuoti e le imposte ancora chiuse.
Joan aveva proprio ragione, stava diventando paranoica.
Grazie a
tutti per aver letto. Spero vi piaccia
anche questo chappy. Alla prossima.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** In archivio ***
Cap.
4
Attraversò velocemente
il piccolo androne soffermandosi
più sul marmo del pavimento che sui capelli cotonati della
portinaia.
Quest’ultima, per altro, la guardò con i suoi
occhietti piccoli e acquosi
mentre sorseggiava avida il suo caffè.
“Buon giorno” Le disse Rebecca ma non si
curò nemmeno di
sentire la sua risposta, se mai arrivò. Al contrario, si
diresse spedita al
secondo piano estraendo dalla borsa le chiavi e inserendole come
d’abitudine
nella serratura. Lo scatto familiare non tardò a farsi
sentire e la porta si
aprì cigolando appena.
Non era grande come l’ufficio dell’ispettore capo,
ma ci
si faceva l’abitudine e dopo un po’ quella vecchia
scrivania non sembrava poi
tanto male, come il vecchio computer comprato chissà a quale
svendita
promozionale era
meglio di niente. Una
cosa però catturò la sua attenzione. Proprio
accanto al monitor del pc c’era un
caffè e, sotto il bicchiere, un biglietto scritto
frettolosamente…
Ho
parlato con
Taylor, appena arriva fatti dare le chiavi dell’archivio.
Ricordati: sezione 12
in alto nello scaffale a destra: Meggy Carson. Vedrò di
raggiungerti nel tardo
pomeriggio, sole permettendo.
John
ps ti
dovevo un
caffè.
Era ancora tiepido,
pensò Rebecca aprendo il beccuccio e
sorseggiandolo lentamente. Macchiato amaro. Le ritornarono in mente le
parole
di Joan “Magari lui ti va a prendere
un
caffè, anzi, sa che lo prendi amaro…”
John era davvero perfetto. In
più c’era da considerare
che non sono molti gli uomini premurosi che si incontrano ormai e lui,
così
dolce, simpatico, bello come quello stesso sole la cui vista non era in
grado
di sopportare, sarebbe stato davvero il compagno ideale.
Gettò il bicchiere di plastica nel cestino con
più forza forse
del necessario. Ma da quando i vampiri sono gay? Nulla da ridire,
ovviamente,
ma...
“Siamo
pensierose sta mane?”
Si voltò all’istante. Era talmente assorta nei
suoi
pensieri che non lo aveva nemmeno sentito entrare.
Due occhi azzurri incontrarono i suoi e un bellissimo
sorriso la illuminò.
“S-simon! Scusa, non mi ero nemmeno resa conto tu fossi
entrato!”
“In effetti sembravi più interessata a prendertela
con il
cestino della carta.”
Arrossì e lui se ne accorse, anche se lei cercò
di non
darlo a vedere.
Simon si schiarì la voce prima di parlare.
“Mi chiedevo se avessi visto Kimberly?”
“Chi?” Gli chiese Rebecca.
“Kimberly, la signorina Porter?”
Ora tutto era estremamente più chiaro.
Era venuto a chiederle se sapeva qualcosa della nuova
segretaria. Rebecca sentì i muscoli irrigidirsi e strinse i
pugni per trattenere
la rabbia.
“No, non la vedo da ieri pomeriggio. Ora se vuoi scusarmi
devo andare da Taylor.” Disse con voce stretta dirigendosi
verso la porta.
“Vuoi che ti accompagni?” Le chiese ma lei non gli
diede
nemmeno il tempo di finire.
“Conosco la strada e poi, non voglio che Kimberly
senta troppo la tua mancanza,
sarebbe sicuramente devastante per lei tra una telefonata e
l’altra.” E così
dicendo prese a scendere velocemente le scale fino al pianterreno, dove
Taylor
la stava già aspettando.
Osservando la sua espressione alterata Taylor non poté
fare a meno di sogghignare.
“È proprio vero che il buon giorno si vede dal
mattino.” Le disse porgendole una lunga ma sottile chiave in
ottone insieme a un
foglio.
“Grazie Taylor” Rispose Rebecca firmando nella
parte in
basso a destra del foglio. In alto invece, scrisse nella voce CAUSALE “omicidio” e
nel riquadro SOGGETTO
“Margaret Elizabeth Carson”.
Gli occhi di Taylor si soffermarono su quest’ultimo
punto.
“Arrivi tardi, ispettore.”
L’apostrofò sbattendo sulla
sua scrivania il quotidiano di quella mattina. In prima pagina un
titolo
scritto il lettere cubitali diceva:
Giaceva accanto al fiume
abbandonata. I testimoni affermano di non aver visto nessuno.
Rinvenuto il
corpo della bambina scomparsa
La polizia
indaga ma i risultati tardano ad arrivare. Lo strano caso di Meggy
Carson sembra destinato a restare nell’ombra.
|
A fianco una foto in bianco e nero
ritraeva una bambina
dal viso gentile e dagli occhi sorridenti. L’articolo
riassumeva con scarsa
attendibilità quanto fin’ora successo e si
concludeva con l’annuncio e la data
dei funerali nella chiesa locale della città.
“Sembra tu non abbia tempo da perdere, ispettore.”
Disse
Taylor tornando a leggere il giornale.
No, non poteva sprecare altro tempo prima di ricevere il
resoconto del medico legale.
Fu così che aprì la porta in ferro e si diresse
spedita
verso la sua destinazione: sezione 12 in
alto nello scaffale a destra, Meggy Carson. Superò
alti scaffali colmi di
pratiche, verbali, cartelle e documenti vari.
La sezione omicidi irrisolti era contrassegnata dal
numero 12, A, B, C finalmente.
In alto, scaffale di destra. Fece scorrere il dito
dall’alto verso il basso fin quando, quasi a metà
strada, trovò il nome che
stava cercando, Margaret Elizabeth Carson.
Tirò fuori un fascicolo piuttosto pesante e lo pose sulla
prima scrivania che le vide. Controllò che la fotocopiatrice
fosse
perfettamente funzionante prima di sedersi ad esaminare il materiale.
Diede uno sguardo veloce alla scheda generale per poi
soffermarsi più attentamente sui verbali precedenti il
ritrovamento del
cadavere e sulla denuncia della scomparsa.
I
genitori Albert Carson
e Mary Sommers Carson affermano di non aver udito alcun rumore sospetto
o di
aver ricevuto minacce dirette alla loro famiglia.
Tale deposizione è
confermata dai vicini di casa della famiglia Carson.
Ora della presunta
sparizione: 23:54.
Non sono stati
trovati oggetti mancanti per tutta l’abitazione, una volta
effettuato il
sopralluogo…
Seguiva poi la deposizione e
l’interrogatorio avvenuto in
centrale dei due genitori.
Alla domanda “Pensate
possa essere stato un nemico della vostra famiglia?” entrambi
rispondono di
non avere persone avverse nei loro confronti in città.
Considerato
poi il
trasferimento recente dei Carson in suddetta città si
escludono le prime
ipotesi di rapimento e riscatto..
Dopo quasi due ore di ricerche e
studio su quei documenti
Rebecca si vide costretta ad abbandonare la speranza di trovarvi
qualcosa di
utile per proseguimento delle indagini.
Fotocopiò solo qualche dossier riportante le informazioni
generali su Meggy e i suoi genitori. In mancanza di prove o indizi non
restava
altro da fare se non procedere con gli interrogatori e le deposizioni
prima ai
genitori, poi ai vicini fino ad arrivare agli insegnanti e ai compagni
di
scuola. Guardò di sfuggita l’orologio appeso alla
parete di fronte.
Le lancette segnavano le 9:45 del mattino. Non avrebbe
dovuto attendere ancora per molto il rapporto del medico legale. Forse
i
documenti la stavano già aspettando sulla sua scrivania.
Forse si sarebbe
gettata una qualche luce sul caso, sulla morte della piccola Meggy e
sul suo
assassino.
Rebecca ricontrollò l’ora, ma non le porto molto
consiglio. Fu così che raccolse le sue cose e, attraversato
di nuovo quel labirinto
di alti scaffali, chiuse a chiave la porta dietro di sé.
“Grazie Taylor” Gli disse porgendogli la chiave in
ottone.
“Di nulla, ispettore.”
Ma Rebecca aveva già superato la prima rampa di scale,
diretta al secondo piano, nel suo ufficio. Rimase piacevolmente stupita
nel
trovare sulla sua scrivania un piccolo fascicolo imbustato con sopra il
suo
nome.
Nel scartarne la fodera capì che si trattava del rapporto
sull’autopsia e subito iniziò a leggere:
Rapporto
del medico
legale
- Soggetto:
Margaret Elizabeth Carson;
- Età:
anni 6;
- Statura:
1,27 m;
- Peso:19,4
kg;
- Occhi:
castani;
- Capelli:
castano scuro;
- Segni
particolari: //
- Causa
del decesso: annegamento post-trauma cranico a livello
dell’encefalo.
Considerate
le
condizioni in cui è stato ritrovato il corpo e
l’alterazione più o meno
rilevante causata dagli agenti atmosferici ai quali è stato
sottoposto, si può far
risalire l’ora del decesso intorno alle 1:15-1:45 del
medesimo giorno del
ritrovamento.
Non sono stati
riscontrati segni di lotta o violenza sul cadavere, che si presenta
pressoché
intatto se non per un eccessiva rigidità muscolare
trascurabile, considerato il
periodo di permanenza in acqua.
La presenza poi
dell’acqua all’interno dei polmoni rivela che la morte sia avvenuta per
annegamento. Il trauma
cranico riportato, piuttosto profondo, è causa probabile di
una possibile
perdita di conoscenza, seguita o contemporanea alla caduta nel fiume e
all’annegamento passivo.
Sebbene queste
siano le cause probabili del decesso, il corpo presenta
all’altezza dei polsi e
della parte inferiore del collo segni di morsi con probabile perdita di
sangue.
Il cadavere verrà
custodito per le prossime 42 ore per poi essere consegnato ai parenti
della
vittima.
In fede…
Rebecca rilesse più
volte il dossier, soffermandosi ogni
volta sull’ultima parte.
Un vampiro, non c’era altra spiegazione.
Un vampiro…
John aveva ragione e aveva capito tutto fin da subito.
Cosa potevano fare adesso?! Aspettare fin quando un'altra
bambina fosse stata ritrovata morta?!
Nonostante fosse costretta ad attendere l’arrivo di John,
decise di sfruttare il tempo a sua disposizione per cercare nuovo
materiale.
Accese allora il computer e digitò sulla tastiera la voce
vampiri, tra gli schedari della
polizia internazionale, ma scarse erano le notizie riguardanti casi di
omicidio
effettivamente implicanti l’azione di uno o più
vampiri. Per ciò abbandonò
questo iniziale tentativo e, scelto rapidamente uno dei tanti motori di
ricerca,
digitò nuovamente vampiri.
I primi risultati furono deludenti mentre
il tempo scorreva senza che Rebecca ne
avesse nozione alcuna.
Il vampiro
è una figura mostruosa presente, sotto le
più varie forme, nel folclore di tutti i
continenti. È, quasi sempre, un non-morto che per varie
ragioni ritorna dalla
tomba per tormentare e uccidere i vivi, molto spesso succhiando loro il
sangue…
I vampiri, come tramandato dalla tradizione, sono morti
che tornano dalla tomba per succhiare ai viventi l'essenza
vitale…
…chiamati vampir
in Serbia,
wampyr in Bulgaria,
upiór
in Polonia, upyr' in Russia,
si
distinguono non solo per i nomi, ma anche per caratteristiche e modus operandi…
Difficilmente, però,
Rebecca riuscì a risalire a una
qualche fonte attendibile finché non
s’imbatté nel
risultato “Sui
Vampiri” a cura del professore Aldous
Wordsworth.
E s’immerse nella lettura…
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=366817
|