Dreaming Nights

di storyteller lover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ombre nell'oscurità dei sogni ***
Capitolo 2: *** Reale, indagine...John ***
Capitolo 3: *** Le amiche sono spesso razionali ***
Capitolo 4: *** In archivio ***



Capitolo 1
*** Ombre nell'oscurità dei sogni ***


Dreaming nights

The Survey of a Vampire

- TITOLO: Dreaming nights
- RATING: Giallo
- GENERE: Giallo
- AVVERTIMENTI: //
- COMMENTO DELL'AUTORE (non obbligatorio): Salve ragazze, eccomi qui finalmente. Questa storia è stata piuttosto sofferta ma credo che dopo tutto di essere giunta ad un buon risultato. Vi dico solo che se a me questa storia è sembrata strana a voi lo sembrerà ancora di più. Il finale, lo ammetto, è insolito, ma alla fine i fili logici della storia si intrecciano. Ancora grazie ragazze e buona lettura. 

 

Prologo

 

Un lungo brivido le percorse la schiena, mentre una fresca e inspiegabile sensazione di quiete la pervase profondamente.
Sentì, allora, il freddo marmo a contatto con la pelle della schiena e la completa assenza di qualsivoglia soffio d’aria tutt’intorno…

Aprendo gli occhi scorse ampi alti archi di pietra, sormontati da guglie e contrafforti, immersi nella totale oscurità di quel luogo. Ecco da un lato stendersi una grande porta di legno scuro e ferro battuto, ornata ai lati da due semicolonne scure e corrose dal passare del tempo. Voltando lo sguardo, capì di trovarsi accanto all’entrata di quella che doveva essere stata una grande cattedrale, ormai abbandonata. A separarla dall’ampia navata centrale, sorretta da due colonnati, si stendeva una fila di archi a tutto sesto, a poco più di un metro da dove si trovava, supina, riversa sul marmo scuro ancora perfettamente liscio, sul quale si riflettevano, nonostante la fioca luce filtrante dalle finestre opache, le antiche travi in legno.
Solo l’altare, oltre alla sezione a esso adiacente, era leggermente illuminato. In tutto il resto s’insinuava un’oscurità permeante. Il silenzio echeggiava sinistro tra gli intarsi di pietra e i porta candele impolverati.

Eppure era lì, anche se non riusciva a vederlo. La forza del suo desiderio continuava ad opprimere il suo animo, agitandosi nell’oscurità dei colonnati. Si spostava rapidamente da una colonna all’altra, da un’ombra all’altra, celandosi ancora e ancora… fruscii impercettibili nel suono del silenzio, muti sussurri di uno sguardo sfuggente e mortifero la cui presenza incombeva angosciosa in quel luogo.
Le fu subito accanto, impedendole di muoversi con la sola forza del pensiero. Torreggiava adesso sul suo corpo candido e vellutato. Una bramosia repressa e assetata che non esitò a stringerla per i fianchi e sollevarla verso di sé, circondandola con la sua aurea perversa e fremente, oscura come il male e tuttavia seducente nella sua ossessione…
Allora, un’ondata di calore la invase, mentre sentiva due mani forti stringerle disperatamente le spalle e il suo respiro ansante sul collo… piacere, paura, pace, tumulto… cos’altro poteva essere?!

“Rebecca…”

“Rebecca…”

 

To be continued...

 


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Capitolo 2
*** Reale, indagine...John ***


Dreaming nights

Cap. 1


“Oh!” Sentì un profondo sospiro fuoriuscire dalle proprie labbra, una volta riaperti gli occhi. Si guardò intorno freneticamente, sentendo la fronte fredda e gronda di sudore. Era nella sua stanza, nel suo letto, fra le stesse coperte in piuma d’oca di sempre…

Ma quella scena continuava a ripresentarsi ancora vivida nella sua mente. Quelle sensazioni fremevano ancora dentro di lei, selvagge.

Rebecca?! S’immobilizzò all’istante. Da dietro la porta, appena socchiusa, qualcuno aveva pronunciato il suo nome. Rimase ferma per un paio di secondi, incerta se fosse reale o solo frutto di quello che era stato un incubo…

 "Rebecca?!"

Il cuore le balzò in gola. Nell’oscurità della stanza cercò a tentoni il fodero della pistola.

Le molle del letto scricchiolarono, tradendo il suo movimento.

Scivolò il più silenziosamente possibile fuori dal letto. Spalle al muro, grilletto innescato, pronta ad avvicinarsi e spalancare la porta. Prese un respiro profondo. Iniziò a contare: uno, due…Al tre la porta ormai giaceva, scardinata, sul pavimento. 

“EHI, EHI, EHI! Abbassa quell’aggeggio. Sono un vampiro, ma il dolore riesco ancora a sentirlo!” Una voce familiare e un viso conosciuto la rassicurarono.
“Ma sei impazzito, John!” Rebecca si portò una mano alla fronte, sospirando, finalmente sollevata. Chiuse gli occhi per un istante, appoggiandosi con la schiena al muro.

Calmati, è tutto ok… è stato solo un sogno…

“Rebecca, stai bene?” Il tono preoccupato di John la riportò alla realtà.
“Sì, scusami. Ma per un attimo ho temuto che…”
“Che in casa fosse entrato un maniaco squilibrato pronto ad aggredirti?!” La interruppe, ma, dallo sguardo terrorizzato di Rebecca, John capì quanto doveva averla spaventata. Era molto pallida, aveva gli occhi ancora stravolti e il respiro affannato.
“Rebecca? C’è qualcosa che non va?” Le disse nel tentativo di riprenderla.
“Non ti preoccupare, John. Adesso sto meglio. Ho solo bisogno di un caffè. Vuo…? Scusa, non l’ho fatto apposta.” Disse subito dopo, ricordandosi che le due di notte non era proprio l’ora adatta per un caffè e, soprattutto, di avere come partner una creatura della notte, il cui unico sostentamento era la linfa vitale degli esseri umani.
“Non fa niente, ci sono abituato.”  Le rispose, gentile come sempre.
Rebecca fece come per andare in cucina, ma lui l’apostrofò nuovamente.
“Non credo avrai tempo per il caffè!” Disse. La sua voce tradiva una grave nota di serietà. Rebecca capì subito. 
“Hanno chiamato dalla centrale? Il mio cercapersone …”
“E’ spento. Per questo sono venuto a cercarti. Dato che non mi aprivi, sono entrato dalla finestra” Disse, quasi a volersi scusare per l’intrusione di poco prima.
“Dammi solo cinque minuti. Il tempo di vestirmi e possiamo andare” Disse Rebecca, allontanandosi velocemente.
“E non hai paura che possa spiarti?” Le chiese John, ridendo.
“Non credo che a un vampiro gay possa interessare una donna.” Rispose lei dall’altra stanza. Si tolse in fretta e furia il pigiama, rabbrividendo per il freddo.
“Comunque, te l’hanno mai detto che sei totalmente sprecato? Sul serio, John! C’è chi farebbe follie per te.” Disse Rebecca, per nulla maliziosa. Sapeva che tra lei e John ci sarebbe potuta essere solo una forte amicizia, ma tutte le volte che lo presentava ad un’amica questa iniziava inevitabilmente a flirtare con lui. Il passo successivo era mostrare gli occhi dolci, fare le moine e infine provarci spudoratamente come una gattina in calore. Non che Rebecca le biasimasse in alcun modo per questo.

John era alto, slanciato, con spalle larghe e il petto in fuori. Aveva un corpo armonico e ben proporzionato, oltre a un portamento elegante nel camminare. Il suo viso era attraente e i suoi occhi verdi erano magnificamente accompagnati da morbidi capelli castani.  

“È solo perché sono un vampiro. Noi desideriamo il vostro sangue, allo stesso modo voi desiderate noi. Solo che non ci potrà mai essere uno scambio equo. Voi cercate l’amore e,  in cambio, donate amore. Noi bramiamo il vostro sangue e in cambio rendiamo morte e oblio al vostro amore. Non lo trovi poetico, oltre che ingiusto?”

Rebecca lo guardò accigliata, una volta ritornata nel corridoio. John non aveva mai ucciso un uomo, nemmeno subito dopo che era stato infettato da quel vampiro nel tentativo di ucciderlo. Eppure, certe volte sembrava che le sacche di sangue fornitegli giornalmente dal dipartimento non riuscissero a soddisfarlo completamente, a saziare la sua sete.  
“Ti sei nutrito a sufficienza sta notte?!” Gli chiese Rebecca, sospettosa.
“Non come avrei voluto, ma abbastanza da non perdere il controllo.  Il sangue che ho bevuto sta notte aveva un sapore buonissimo, credo che riuscirei a riconoscere il suo donatore, se solo mi passasse davanti.”
“Non sarebbe il caso di andare?” Gli chiese Rebecca infilandosi il cappotto nero.
“Direi proprio di sì. Dopo di voi!” Le disse aprendo la porta e indicandole la soglia. Rebecca lo oltrepassò, diretta verso l’ascensore. Sentì la porta chiudersi e subito John la raggiunse.
“A proposito, ti hanno mai detto che hai un odore buonissimo?!” Le disse John. Rebecca si irrigidì, ma gli rispose cercando di sembrare il più naturale possibile.
“No, è la prima volta, ma lo prendo per un complimento.”
“Allora fatti dare un consiglio: cerca di non lasciarne mai traccia. Stai sempre vicina a me, vai solo dove io sono già passato e non ti allontanare per nessun motivo.” Le disse John, più serio che mai.
“John, che cosa stai cercando di dirmi?” Rebecca non riusciva a capire da cosa stesse cercando di metterla in guardia.
“Sai dove stiamo andando?” Le chiese guardandola negli occhi. Lei scosse semplicemente il capo, più confusa di prima.
“Poche ora fa è stato rinvenuto il corpo senza vita di una bambina.”
Rebecca non rispose. Nonostante fossero trascorsi almeno cinque anni da quando era entrata nel corpo della squadra investigativa della città, non era riuscita ancora ad abituarsi alle brutte notizie.
“Quanti anni aveva?” Chiese a John, mentre la porta dell’ascensore si chiudeva dietro le loro spalle.
“Circa sei. Sembrerebbe sia morta non più di cinque/sei ore fa, ma non è facile stabilirlo, considerate le condizioni del cadavere.” Le rispose.
“Cosa le è accaduto?” Rebecca si sforzò di non chiedergli il nome. Non conoscere il nome della vittima aiuta a mantenere il distacco, almeno durante il sopralluogo.
“Sembra che i genitori ne abbiano denunciato la scomparsa da un paio di settimane. La sezione minorile si stava già occupando del suo caso quando qualche ora fa è arrivata in centrale una segnalazione telefonica. Un passante ha visto qualcosa di scuro accanto allo sbocco del fiume. Credeva fosse un cane, solo che i cani non portano con sé l’orsacchiotto per andare a dormire.” Concluse John in contemporanea con l’arrestarsi dell’ascensore.
Rimasero in silenzio fin quando, usciti in strada, Rebecca tirò fuori le chiavi della macchina.
“Cosa credi di fare?” Le chiese John. Rebecca, confusa, gli rispose 
“Ti sembrerà ovvio ma non credo riuscirei a tenere il tuo passo. Noi umani continuiamo ad usare i vecchi metodi tradizionali per spostarci. Contribuiamo all’inquinamento atmosferico ma, in mancanza della super velocità, bisogna pur arrangiarsi in qualche modo.”
Gli disse, ma lui la riprese seriamente. 
“Ci sono due motivi per cui ti ho detto di non allontanarti mai da me sta notte. Il primo è che il luogo in cui è stato rinvenuta la piccola si trova a soli quattro/cinque isolati da qui. Il secondo, più importante, è che…” 
“Credi che ad ucciderla sia stato un vampiro.” Lo anticipò Rebecca, rabbrividendo non solo per il freddo in quella notte piovigginosa e scura.
“Andiamo” Le indicò la direzione 
“Ti spiego tutto per strada”

“Rebecca…”

“Rebecca…”

Si voltò di scatto, gli occhi erano due finestre spalancate per il terrore.
“C’è qualcosa che non va?” Le chiese John, apprensivo.
“N-no, no. È solo che… Niente. Non sono molto in me oggi, scusami.”
Fu così che si diressero velocemente verso il fiume.

Meggy Carson era una bambina come tante altre, con lunghi capelli neri e delicate guance rosee. Circa due settimane prima, la madre, Fiona Sommers, entrando in camera di sua figlia per svegliarla, scoprì il letto vuoto e la finestra insolitamente aperta. Dopo la perquisizione della polizia era stato trovato mancante solo un orsetto di peluche, dal quale Meggy non si separava mai. Dopo una settimana di ricerche continue, annunci via radio e TV, non si era saputo ancora nulla, fino al ritrovamento del suo corpicino esangue tra le acque del freddo fiume in quella notte invernale. L’orsacchiotto era stato trascinato poco più in là dalla corrente.

Nessun sospettato, nessun movente o qual si voglia indizio potevano gettar luce sul suo strano caso.

“Sei certo che sia opera di un vampiro?” Chiese Rebecca, una volta che John ebbe finito di parlare.
“Non ne sono sicuro, ma è molto probabile. I genitori affermano di non aver sentito nessun rumore insolito, nemmeno un grido d’aiuto. La bambina è stata chiaramente spinta ad avvicinarsi per aprire la finestra da qualcosa, o da qualcuno.” Disse, marcando di proposito le ultime parole. Lo sguardo di Rebecca si fece più attento. Non oltre cinquanta metri più in là si potevano chiaramente distinguere le luci lampeggianti delle auto della polizia. Non più di dieci o quindici persone tutte riunite intorno a un punto preciso del fiume.

“Ho chiesto di non procedere con la rimozione del corpo. Pensavo avresti voluto osservare la scena ancora intatta. La scientifica aspetta solo noi per iniziare il sopralluogo.” Le disse John.
“Hai fatto bene, anche se i curiosi non tarderanno ad avvicinarsi. Dobbiamo fare in fretta. Tu sei il più veloce e senza dubbio riesci a vedere molto meglio di me al buio. Perlustra la zona, vedi se riesci a trovare un’impronta, una qualsiasi traccia. Voglio escludere tutte le possibilità prima di prendere sul serio in considerazione la tua ipotesi.” Gli disse, infilandosi i guanti in lattice. 
“Io vado a ispezionare il punto dove si trova il cadavere.”
Sentì appena la risposta di John. Era una grande fortuna averlo come partner, nessuno era più abile di lui. Da molto tempo il corpo di polizia del paese collaborava con successo con vampiri in incognito ai casi di omicidio. Il loro fiuto era infallibile, la loro mente registrava ogni particolare e la loro vista acuta era estremamente utile in casi come quello. Più di una volta John le aveva evitato una brutta fine, grazie a una velocità e a una forza superiori a quelle di qualunque essere umano. Ricordava di aver parlato con John di questo argomento, e rammentava di essere rimasta colpita da un particolare…

“Alcuni di noi possiedono poteri speciali, inspiegabili per così dire. Non quelli che voi umani considerate così affascinanti come la lettura del pensiero o altre cose del genere. Si chiama offuscamento della volontà della preda. Ingannano la mente, confondono i pensieri della loro vittima fin quando questa cede, e si abbandona completamente tra le braccia del suo assassino…”

Scegli un punto di fronte a te e procedi in linea retta, per evitare di inquinare le eventuali tracce lasciate dall’omicida.
Rebecca cercò di non focalizzare lo sguardo sul corpicino etereo a pochi metri da lei. Procedette in maniera rigorosa, secondo quanto le era stato insegnato ai corsi di tirocinio ai tempi dell’Accademia. Perlustrò la zona entro un raggio di tre/quattro metri dal corpo.
Non trovò nulla, fuorché sabbia e detriti. Adesso veniva la parte più difficile… il corpo.
Era posto a pochi centimetri dal bagnasciuga, con il viso completamente immerso nell’acqua fredda e scura, mentre i capelli, portati dalla corrente ne coprivano come un cappuccio nero i lineamenti. Indossava un pigiama color carne a maniche lunghe coi piedini. Si trovava in posizione riversa, con le braccia poste lungo il busto e il faccino rivolto verso il centro del corso d’acqua. Nonostante quell’inverno fosse stato molto rigido, non erano state riscontrate molte precipitazioni, e quel fiume, dalla medio/piccola portata annuale, non era in grado di trascinare un corpo di quel peso, vista la bassa corrente.
Meggy era stata lasciata lì, adagiata delicatamente sulla sabbia col suo orsacchiotto ancora tra le braccia.
Rebecca sperava fortemente che John si stesse sbagliando. Un vampiro fuori controllo, assetato di sangue, sadico e perverso persino contro una bambina di soli sei anni, avrebbe sicuramente lasciato dietro di sé una scia di morte atroce.
Tuttavia, i suoi dubbi furono risolti dall’espressione turbata sul volto di John, tornato silenziosamente e senza nulla da riferire.
“Riesci a sentire il suo odore?” Gli chiese, senza alcuna speranza.
“No, e per di più non ha lasciato orme dietro di sé. Solo l’autopsia ci darà conferma delle nostre supposizioni.” Disse soffermando per poco più di un istante lo sguardo sul corpicino.
“Credo sia il caso di avvertire la famiglia. Tra poco sarà l’alba e io non sono abbastanza forte da sopportare la luce. Lascio a te le questioni burocratiche…” 
“Come sempre del resto.” Disse Rebecca sarcastica. John le rivolse una sguardo mellifluo prima di continuare.
“Mi farò vivo io, tu nel frattempo sta fuori dai guai.” Così dicendo si dileguò velocemente.

 

To be continued..

Bene ragazzi, questo è il primo capitolo. I personaggi principali sono apparsi, magari più avabnti vedremo qualche altra cosa.^^
Passiamo ai ringraziamenti:

ireat: grazie per aver letto e recensito la storia. Mi rendo conto che è un bell’impegno e ti ringrazio molto. Come vedi ho deciso di pubblicarla a capitoli, così da rendere la lettura meno pesante. Sono contenta che John ti sia piaciuto, in effetti è un personaggio che io stessa apprezzo molto. Per quanto riguarda la caratterizzazione dei vampiri sono contenta che anche tu come me sia uno spirito tradizionalista.^^
Allo stesso modo mi fa piacere che lo stile, l’attinenza al genere dei polizieschi siano di tuo gusto. Grazie infinite.^^

Grazie a Aya88, Ghen e Psyko Nekochan per aver messo la storia tra i preferiti e a Midnight Poison per aver messo la storia tra le seguite.
Infine ringrazio tutti coloro che hanno letto.

Spero che vi sia piaciuta a presto^^

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Capitolo 3
*** Le amiche sono spesso razionali ***


Cap. 2

Erano appena le sei del mattino. Troppo tardi per tornare a casa ma pur sempre troppo presto persino per andare in ufficio. Il rapporto del medico legale sarebbe giunto sulla sua scrivania non prima di quattro o cinque ore ancora.
Sentiva la testa scoppiarle e la stanchezza, dovuta al suo sonno disturbato, l’avrebbe accompagnata per tutto il corso della giornata. E quel sogno, così reale eppure sfuggente, così forte nelle sensazioni che le aveva lasciato, continuava ad impensierirla. Non aveva voglia di restare da sola. Sapeva che altrimenti i suoi pensieri sarebbero inevitabilmente a quel sogno, a quel terrore, a quella voce persa nel vento. Per una volta sentiva il bisogno di affidare le sue angosce, per quanto potessero sembrare frivole e infantili, a qualcuno che potesse capirla. Qualcuno che … forse… ma certo! Joan era sempre sveglia a quell’ora del mattino! Tirò fuori il suo fedelissimo PDA. Nella voce telefonate recenti ecco apparire subito il numero che stava cercando.

… Ring… Ring… Ring…

“Sì?” Rispose una voce grave ma decisa.
“Joan, sono io, Rebecca. Sentì posso passare un attimo da casa tua? C’è qualcosa di cui vorrei parlarti.”

“Posso concederti solo mezz’ora di tempo. Devo prendere un volo diretto per Bristol tra un’ora e non posso tardare.” Le rispose.
“Mi bastano anche cinque minuti.”

“Ok, ti aspetto. Non tardare!”

Questa volta, Rebecca avrebbe avuto bisogno della sua macchina.
Parcheggiò senza problemi davanti al portone sotto casa di Joan. Quel palazzo in vecchio stile vittoriano si stagliava dritto davanti ai suoi occhi, in contrasto con gli alti edifici moderni della zona. Scese rapidamente dalla vettura, chiudendo la portiera. Una volta assicuratasi di aver chiuso la macchina si diresse senza indugio verso la sua meta e suonò al terzo citofono partendo dal basso. Dopo pochi istanti, la stessa voce con cui aveva parlato al telefono rispose.

“Sì?”
 
“Joan, sono io, Rebecca.”
“Sbrigati a salire, il mio taxi arriverà tra pochi minuti.”

“Ok, sono subito da te.” Rispose Rebecca, chiudendo il portone dietro di sé. Salì le scale velocemente fino al secondo piano. Per fortuna l’appartamento di Joan non si trovava ai piani superiori. Trovò Joan ad aspettarla sulla porta. Gli occhiali sul naso e il tailleur grigio le conferivano un aria molto formale.
“Speravo ci fosse anche il tuo bell’accompagnatore tenebroso.” L’apostrofò sarcastica.
Joan non riusciva a concepire il fatto che John fosse gay. O meglio, Joan non riusciva ad accettare il fatto che un uomo bello e attraente come John fosse esattamente dall’altra sponda del fiume nella quale lei si trovava.
“Non è il mio accompagnatore. Siamo semplicemente…”
“Sì, sì, voi siete soltanto una squadra. Lavorate insieme, trascorrete insieme la maggior parte del vostro tempo, fianco a fianco su tutte quelle pratiche e quei verbali. Magari lui ti va a prendere un caffè, anzi, sa che lo prendi amaro, nero, scuro, proprio come lui.” Le disse, ironica.
“Joan, tra me e John c’è solo un rapporto di collaborazione professionale. Al di fuori dell’ambito lavorativo siamo buoni amici, nulla di più.”
“Vorresti forse dirmi che non ci hai mai fatto un pensierino?! Mia cara Rebecca, se dici di no ti disconoscerò per sempre come amica.” Joan sapeva essere esasperante, davvero esasperante.
“Sì, Joan, lo ammetto. È forse l’uomo più sexy mai apparso sulla faccia della terra.”
“In casa mia di sicuro!” La interruppe Joan, sorridendo maliziosamente.
Rebecca la guardò, rassegnata.
“C’è qualcosa di cui vorresti parlare?” Le disse infine Joan, recuperando tutt’un tratto il suo fare professionale.
“Più di una a essere sincera.” Fu l’unica cosa che Rebecca riuscì a dirle prima di varcare la porta dell’appartamento.
Rebecca si fidava cecamente di Joan. Nonostante fossero completamente diverse, sia per gusti che per carattere, erano sempre state buone amiche sin dai tempi del college. In quel periodo Rebecca studiava criminologia, mentre Joan psicologia criminale. Rebecca sapeva di poter contare sulla sua amica e che questa l’avrebbe senz’altro ascoltata.
“Ho fatto un sogno sta notte… no, no! Era più un incubo, ma, ad essere del tutto onesta, non saprei dire cos’altro potrebbe essere.”
Rebecca continuava a giocherellare col cuscino del divano, nel soggiorno di Joan.
Quest’ultima poi, seduta di fronte a lei, si limitava ad ascoltare e ad annuire ogni tanto.
“Stavo dormendo, e, non so come, riuscivo a rendermi conto di quanto accadeva intorno a me. C’era silenzio, tanto silenzio e sentivo una strana ma fresca sensazione, come quando, d’estate, ci si appoggia alle pareti per sentirne la temperatura fredda.” Disse cercando di ricordare nei minimi particolari quanto aveva sognato quella notte.
“Che punto di vista avevi? Mi spiego, eri in piedi, nascosta in un angolo, osservavi la scena dall’alto?” Le chiese, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“Ero sdraiata, ma all’inizio non riuscivo a vedere nulla.”
“Quindi la prima parte del tuo sogno è caratterizzata solo da sensazioni… mmm… Molto interessante. E cosa è successo dopo?” Chiese Joan, molto coinvolta.
“Credo di essermi ritrovata all’entrata di una chiesa. Alla mia destra c’era un portone scuro e il soffitto era così alto che sembrava scomparire nell’ombra…”
Si fermò per un attimo, sentendo un brivido lungo la schiena.
“Non so se possa essere considerato attendibile, ma ho avuto come la sensazione che quello non fosse un luogo consacrato.” Disse tutto d’un fiato.
“Cosa intendi?” Le chiese la sua amica.
“Non credo di riuscire a spiegarlo ma lo sentivo. Sapevo di essere lì e che qualcuno mi osservava.”
“Aspetta, aspetta Rebecca. Rispondimi, prima di andare avanti. Cosa vuoi dire con non consacrato? Era una chiesa dissacrata, c’erano simboli, immagini blasfemiche? Cosa c’era di così profanatorio da indurti a credere che quella chiesa non fosse consacrata?”
Ancora una volta Rebecca dovette riflettere prima di rispondere. Sapeva cosa aveva avvertito in quel momento, ma non riusciva a tradurre quelle sensazioni in parole concrete.
“Come ti ho detto, lo sentivo. Come la quiete prima del sopraggiungere di un terremoto. Io sentivo che quel silenzio era solo un artefatto, sapevo che c’era! Mi dispiace ma non riesco a spiegarlo più di così…”
“Non ti preoccupare, continua. Cosa hai visto?”
“Non c’era molta luce, solo piccoli spiragli isolati qua e là. Ma sentivo che nell’ombra c’era qualcuno. Non riuscivo a vedere chi fosse ma sentivo che era lì, dietro le colonne.”
“Cosa faceva?”
“Mi spiava… mi guardava… mi atterriva con la sua presenza. Era come se aleggiasse da per tutto. Era più oscuro dell’ombra in cui continuava a nascondersi.”
“Cosa voleva da te?”
Eccola, eccola lì. La domanda più difficile e, allo stesso tempo, più semplice…
“Lui… lui voleva me. Non me in quanto Rebecca, non me in quanto donna. Lui voleva me, e basta.” Disse tutto d’un fiato. Attese un attimo, ma Joan non parlò.
“E poi… poi mi è venuto vicino. Ed era forte, così forte da impedirmi di muovermi, nonostante avessi paura, tanta paura.”
Sentì le guance colorirsi, e abbassò lo sguardo.
“Ti ha fatto del male? Ha cercato aggredirti in qualche…” Joan lasciò volutamente la frase in sospeso, caricandola di significato. Rebecca annuì, ma subito dopo cercò di spiegarle cosa aveva provato.
“Non è come può sembrare, però. Era forte, ma…non brutale. E, nonostante fosse terribile, ossessionato, mi ha cullato finché non ho riaperto veramente gli occhi.” Disse, ancora imbarazzata, ma con l’animo più leggero dopo quella confessione.
Joan si limitò a fissare il vuoto ancora per pochi attimi.
“Prima di dirti quello che penso, vorrei sapere qual’era il colore dominante? Sicuramente, ci sarà stato un colore principale, oltre il nero che ti ha colpito.”
Rebecca cercò di richiamare alla mente quanto riusciva a ricordare.
“Non c’era nero, come la luce non era perfettamente bianca. Marrone, credo, ma anche rosso scuro, e tutto sembrava essere rivestito da una patina opaca” Concluse Rebecca.
Restarono ancora per qualche momento in silenzio, finché non fu Joan a prendere la parola.
“Sei sicura di stare bene?”
Rebecca la guardò, sorpresa. Tutto si aspettava meno che Joan le porgesse quella domanda. Dov’era finita la sua amica? La razionale, forte, combattiva Joan? Che fine aveva fatto la Joan tanto appassionata dalla psiche e dall’inconscio umano?
“Non fraintendermi, Rebecca, ma credo tu sia oltremodo spaventata. Quello che mi hai raccontato può essere solo la conseguenza di un miscuglio di emozioni e fatti apparentemente poco legati fra loro, ma che il tuo inconscio ha messo insieme. Forse hai paura di qualcosa, forse c’è un’ombra che continui a sopprimere e, forse, nei tuoi sogni questa possiede le sembianze di un uomo in nero che cerca di sopraffarti.”
Mentre Joan parlava, Rebecca rimaneva in silenzio, imbarazzata. Non aveva mai considerato la situazione sotto quel punto di vista.
Chissà perché, nel suo immaginario, aveva supposto che quello strano sogno forse potesse avere un qualche riscontro con la realtà, che forse c’era davvero un lui misterioso che, buono o cattivo la desiderasse con tanto tormento.
“Che mi dici di Simon?” Questa domanda la riportò dritta dritta alla realtà.
“Non c’è nulla da dire. È sempre il solito abile, attraente, spiritoso e intellettuale collega d’ufficio che va a letto con la nuova segretaria bionda del box più avanti invece che con me.”
Joan iniziò a sogghignare, divertita.
“Sempre la solita Rebecca.” Disse continuando a ridere.
“Credi che la mia avversione per la segretaria possa coincidere con il sogno?”
“Oh sì, sicuramente.”
Si guardarono per un attimo prima di scoppiare a ridere. Era da un po’ che Rebecca non rideva così di gusto. A dire il vero ne era passato di tempo da quando aveva parlato con qualcuno di sé stessa.
“Mi prometti che starai più tranquilla?” Le chiese Joan. I suoi occhi si spostarono improvvisamente sul quadrante dell’orologio per poi sgranarsi all’istante.
“Sono terribilmente in ritardo, scusami tesoro, ma rischio sul serio di perdere il volo.” Le disse infilandosi il cappotto.  
“Che ore sono?” Le chiese Rebecca.
“Le 6:57 e il mio volo parte tra meno di venti minuti.”
Uscirono insieme dal portone d’ingresso e Rebecca aiutò Joan a caricare i bagagli sul taxi bianco che l’aspettava proprio sotto casa.
Si abbracciarono e, prima di separasi Joan le sussurrò all’orecchio:
“Chiamami se hai bisogno di parlare. E non farmi stare in pensiero.”
Ma già la portiera del taxi si chiudeva e l’auto partiva lasciandosi alle spalle un quartiere ancora immerso nel silenzio.

“Rebecca…”
“Rebecca…”

Si voltò di scatto, trattenendo il respiro. Ma le strade erano deserte, i balconi vuoti e le imposte ancora chiuse.
Joan aveva proprio ragione, stava diventando paranoica.

To be continued..

Grazie a tutti per aver letto. Spero vi piaccia anche questo chappy. Alla prossima.

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Capitolo 4
*** In archivio ***



Cap. 4

Attraversò velocemente il piccolo androne soffermandosi più sul marmo del pavimento che sui capelli cotonati della portinaia. Quest’ultima, per altro, la guardò con i suoi occhietti piccoli e acquosi mentre sorseggiava avida il suo caffè.
“Buon giorno” Le disse Rebecca ma non si curò nemmeno di sentire la sua risposta, se mai arrivò. Al contrario, si diresse spedita al secondo piano estraendo dalla borsa le chiavi e inserendole come d’abitudine nella serratura. Lo scatto familiare non tardò a farsi sentire e la porta si aprì cigolando appena.
Non era grande come l’ufficio dell’ispettore capo, ma ci si faceva l’abitudine e dopo un po’ quella vecchia scrivania non sembrava poi tanto male, come il vecchio computer comprato chissà a quale svendita promozionale era meglio di niente. Una cosa però catturò la sua attenzione. Proprio accanto al monitor del pc c’era un caffè e, sotto il bicchiere, un biglietto scritto frettolosamente…

Ho parlato con Taylor, appena arriva fatti dare le chiavi dell’archivio. Ricordati: sezione 12 in alto nello scaffale a destra: Meggy Carson. Vedrò di raggiungerti nel tardo pomeriggio, sole permettendo.

John

ps ti dovevo un caffè.

Era ancora tiepido, pensò Rebecca aprendo il beccuccio e sorseggiandolo lentamente. Macchiato amaro. Le ritornarono in mente le parole di Joan “Magari lui ti va a prendere un caffè, anzi, sa che lo prendi amaro…”

John era davvero perfetto. In più c’era da considerare che non sono molti gli uomini premurosi che si incontrano ormai e lui, così dolce, simpatico, bello come quello stesso sole la cui vista non era in grado di sopportare, sarebbe stato davvero il compagno ideale.
Gettò il bicchiere di plastica nel cestino con più forza forse del necessario. Ma da quando i vampiri sono gay? Nulla da ridire, ovviamente, ma...
“Siamo pensierose sta mane?”
Si voltò all’istante. Era talmente assorta nei suoi pensieri che non lo aveva nemmeno sentito entrare.
Due occhi azzurri incontrarono i suoi e un bellissimo sorriso la illuminò.
“S-simon! Scusa, non mi ero nemmeno resa conto tu fossi entrato!”
“In effetti sembravi più interessata a prendertela con il cestino della carta.”
Arrossì e lui se ne accorse, anche se lei cercò di non darlo a vedere.
Simon si schiarì la voce prima di parlare.
“Mi chiedevo se avessi visto Kimberly?”
“Chi?” Gli chiese Rebecca.
“Kimberly, la signorina Porter?”
Ora tutto era estremamente più chiaro.
Era venuto a chiederle se sapeva qualcosa della nuova segretaria. Rebecca sentì i muscoli irrigidirsi e strinse i pugni per trattenere la rabbia.
“No, non la vedo da ieri pomeriggio. Ora se vuoi scusarmi devo andare da Taylor.” Disse con voce stretta dirigendosi verso la porta.
“Vuoi che ti accompagni?” Le chiese ma lei non gli diede nemmeno il tempo di finire.
“Conosco la strada e poi, non voglio che Kimberly senta troppo la tua mancanza, sarebbe sicuramente devastante per lei tra una telefonata e l’altra.” E così dicendo prese a scendere velocemente le scale fino al pianterreno, dove Taylor la stava già aspettando.
Osservando la sua espressione alterata Taylor non poté fare a meno di sogghignare.
“È proprio vero che il buon giorno si vede dal mattino.” Le disse porgendole una lunga ma sottile chiave in ottone insieme a un foglio.
“Grazie Taylor” Rispose Rebecca firmando nella parte in basso a destra del foglio. In alto invece, scrisse nella voce CAUSALE “omicidio” e nel riquadro SOGGETTO “Margaret Elizabeth Carson”.
Gli occhi di Taylor si soffermarono su quest’ultimo punto.
“Arrivi tardi, ispettore.” L’apostrofò sbattendo sulla sua scrivania il quotidiano di quella mattina. In prima pagina un titolo scritto il lettere cubitali diceva:

Giaceva accanto al fiume abbandonata. I testimoni affermano di non aver visto nessuno.

Rinvenuto il corpo della bambina scomparsa

La polizia indaga ma i risultati tardano ad arrivare. Lo strano caso di Meggy Carson sembra destinato a restare nell’ombra.

A fianco una foto in bianco e nero ritraeva una bambina dal viso gentile e dagli occhi sorridenti. L’articolo riassumeva con scarsa attendibilità quanto fin’ora successo e si concludeva con l’annuncio e la data dei funerali nella chiesa locale della città.
“Sembra tu non abbia tempo da perdere, ispettore.” Disse Taylor tornando a leggere il giornale.
No, non poteva sprecare altro tempo prima di ricevere il resoconto del medico legale.
Fu così che aprì la porta in ferro e si diresse spedita verso la sua destinazione: sezione 12 in alto nello scaffale a destra, Meggy Carson. Superò alti scaffali colmi di pratiche, verbali, cartelle e documenti vari.
La sezione omicidi irrisolti era contrassegnata dal numero 12, A, B, C finalmente.
In alto, scaffale di destra. Fece scorrere il dito dall’alto verso il basso fin quando, quasi a metà strada, trovò il nome che stava cercando, Margaret Elizabeth Carson.
Tirò fuori un fascicolo piuttosto pesante e lo pose sulla prima scrivania che le vide. Controllò che la fotocopiatrice fosse perfettamente funzionante prima di sedersi ad esaminare il materiale.
Diede uno sguardo veloce alla scheda generale per poi soffermarsi più attentamente sui verbali precedenti il ritrovamento del cadavere e sulla denuncia della scomparsa.

I genitori Albert Carson e Mary Sommers Carson affermano di non aver udito alcun rumore sospetto o di aver ricevuto minacce dirette alla loro famiglia.
Tale deposizione è confermata dai vicini di casa della famiglia Carson.
Ora della presunta sparizione: 23:54.
Non sono stati trovati oggetti mancanti per tutta l’abitazione, una volta effettuato il sopralluogo…

Seguiva poi la deposizione e l’interrogatorio avvenuto in centrale dei due genitori.
Alla domanda “Pensate possa essere stato un nemico della vostra famiglia?” entrambi rispondono di non avere persone avverse nei loro confronti in città.

Considerato poi il trasferimento recente dei Carson in suddetta città si escludono le prime ipotesi di rapimento e riscatto..

Dopo quasi due ore di ricerche e studio su quei documenti Rebecca si vide costretta ad abbandonare la speranza di trovarvi qualcosa di utile per proseguimento delle indagini.
Fotocopiò solo qualche dossier riportante le informazioni generali su Meggy e i suoi genitori. In mancanza di prove o indizi non restava altro da fare se non procedere con gli interrogatori e le deposizioni prima ai genitori, poi ai vicini fino ad arrivare agli insegnanti e ai compagni di scuola. Guardò di sfuggita l’orologio appeso alla parete di fronte.
Le lancette segnavano le 9:45 del mattino. Non avrebbe dovuto attendere ancora per molto il rapporto del medico legale. Forse i documenti la stavano già aspettando sulla sua scrivania. Forse si sarebbe gettata una qualche luce sul caso, sulla morte della piccola Meggy e sul suo assassino.
Rebecca ricontrollò l’ora, ma non le porto molto consiglio. Fu così che raccolse le sue cose e, attraversato di nuovo quel labirinto di alti scaffali, chiuse a chiave la porta dietro di sé.
“Grazie Taylor” Gli disse porgendogli la chiave in ottone.
“Di nulla, ispettore.”
Ma Rebecca aveva già superato la prima rampa di scale, diretta al secondo piano, nel suo ufficio. Rimase piacevolmente stupita nel trovare sulla sua scrivania un piccolo fascicolo imbustato con sopra il suo nome.
Nel scartarne la fodera capì che si trattava del rapporto sull’autopsia e subito iniziò a leggere:

Rapporto del medico legale

  • Soggetto: Margaret Elizabeth Carson;
  • Età: anni 6;
  • Statura: 1,27 m;
  • Peso:19,4 kg;
  • Occhi: castani;
  • Capelli: castano scuro;
  • Segni particolari: //
  • Causa del decesso: annegamento post-trauma cranico a livello dell’encefalo.

Considerate le condizioni in cui è stato ritrovato il corpo e l’alterazione più o meno rilevante causata dagli agenti atmosferici ai quali è stato sottoposto, si può far risalire l’ora del decesso intorno alle 1:15-1:45 del medesimo giorno del ritrovamento.
Non sono stati riscontrati segni di lotta o violenza sul cadavere, che si presenta pressoché intatto se non per un eccessiva rigidità muscolare trascurabile, considerato il periodo di permanenza in acqua.
La presenza poi dell’acqua all’interno dei polmoni rivela che la morte sia avvenuta per annegamento. Il trauma cranico riportato, piuttosto profondo, è causa probabile di una possibile perdita di conoscenza, seguita o contemporanea alla caduta nel fiume e all’annegamento passivo.
Sebbene queste siano le cause probabili del decesso, il corpo presenta all’altezza dei polsi e della parte inferiore del collo segni di morsi con probabile perdita di sangue.
Il cadavere verrà custodito per le prossime 42 ore per poi essere consegnato ai parenti della vittima.
In fede…

Rebecca rilesse più volte il dossier, soffermandosi ogni volta sull’ultima parte.
Un vampiro, non c’era altra spiegazione.
Un vampiro…
John aveva ragione e aveva capito tutto fin da subito.
Cosa potevano fare adesso?! Aspettare fin quando un'altra bambina fosse stata ritrovata morta?!
Nonostante fosse costretta ad attendere l’arrivo di John, decise di sfruttare il tempo a sua disposizione per cercare nuovo materiale.
Accese allora il computer e digitò sulla tastiera la voce vampiri, tra gli schedari della polizia internazionale, ma scarse erano le notizie riguardanti casi di omicidio effettivamente implicanti l’azione di uno o più vampiri. Per ciò abbandonò questo iniziale tentativo e, scelto rapidamente uno dei tanti motori di ricerca, digitò nuovamente vampiri.
I primi risultati furono deludenti mentre il tempo scorreva senza che Rebecca ne avesse nozione alcuna.

Il vampiro è una figura mostruosa presente, sotto le più varie forme, nel folclore di tutti i continenti. È, quasi sempre, un non-morto che per varie ragioni ritorna dalla tomba per tormentare e uccidere i vivi, molto spesso succhiando loro il sangue…
I vampiri, come tramandato dalla tradizione, sono morti che tornano dalla tomba per succhiare ai viventi l'essenza vitale…
…chiamati vampir in Serbia, wampyr in Bulgaria, upiór in Polonia, upyr' in Russia, si distinguono non solo per i nomi, ma anche per caratteristiche e modus operandi

Difficilmente, però, Rebecca riuscì a risalire a una qualche fonte attendibile finché non s’imbatté nel risultato “Sui Vampiri” a cura del professore Aldous Wordsworth.
E s’immerse nella lettura…

To be continued..

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