Surges and Nightmares

di Darkparadise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - 23 Agosto ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo - 23 Agosto ***


Ero in questo strano posto col mio vicino e altre persone, stavamo ballando.
A un certo punto sono arrivati degli uomini dei quali potevi sentirne la cattiveria, la malvagità che emanavano a pelle. Allora Giorgio, il mio vicino, mi ha preso per mano e mi ha fatta nascondere dietro di lui dicendomi che non avrebbe lasciato che quegli sconosciuti mi facessero del male. Io, all'udire quelle parole, mi son sentita un poco meglio finché non è spuntato mio padre tra di loro. In quel momento ho sentito come se tutto intorno a me stesse crollando.
"Non avere paura di me, piccola" - ha esordito, come se fosse normale che una persona, che pensi sia deceduta quattro anni fa, torni così dal nulla - "non sto cercando di farti niente, voglio solo riavere mia figlia e la mia famiglia come prima di fingere la mia morte" sembrerebbe assurdo ma lo aveva detto per davvero, manco fosse Alison di Pretty Little Liars.
"Come puoi anche solo pensare una cosa del genere? Come puoi credere di tornare e sperare che tutto sia come prima, che noi non ricordiamo di aver scoperto il tuo segreto? Come pretendi di vantare anche solo dei diritti su di me dopo essere scomparso per ben quattro anni e aver fatto finta di morire quando le cose si facevano difficili? Come puoi illuderti che noi potremmo rivolerti? " sputai fuori prima di rendermi conto del mio comportamento.
Poi ho un vuoto ed è tutto confuso come se fossi stata sott'acqua quando succedeva.
Ricordo, anzi so, che era ubriaco ma non mi rendo conto del motivo per il quale ne sono a conoscenza.
Vedo Giorgio stringere la mia mano mentre si avvicina a noi, poi mi strattona fuori, scappando da lui e quegli uomini che sono così oscuri.
 
*

Sono a casa, ma non quella in cui ho sempre vissuto, no è quella vecchia dei miei primi anni di vita. Me ne accorgo anche se al momento per me quella è l'unica dimora in cui io abbia mai vissuto. Però, se davvero così fosse, vorrebbe dire che Giorgio non è il mio vicino e che non ci siamo mai conosciuti. In questo momento non risulta importante e non ci do' peso perché sto piangendo e mio fratello sta cercando di risvegliarmi dai miei pensieri per capire cosa è successo. Lo guardo negli occhi prima di dirgli che lui è tornato, non faccio nomi ma capisce come se sospettasse già di quello che io ho scoperto stanotte.
In quel momento si apre la porta di casa ed entra mio padre barcollante e con gli occhi quasi vermigli, più di quanto non mi fossero già sembrati in quello strano posto. Mio fratello mi spinge verso la mia stanza perché non vuole che io mi faccia male e veda quello che sta per succedere, ma io non lo ascolto e dal corridoio osservo e ascolto tutto, anche se non lo ricordo.
Dopo quello che mi pare parecchio tempo arriva mia madre e quando lo vede scoppia a piangere perché sa cosa vuol dire il suo ritorno.
Poi ho solo immagini confuse e poco chiare, che non saprei come descrivere, prima di svegliarmi in preda al panico nel mio letto. Era solo un brutto e realistico sogno, uno dei tanti.
***

Sono tutta sudata e non per il caldo infernale, è paura. Sono paralizzata, seduta sul letto mentre mi guardo intorno. Non vedo nulla, è troppo buio. Dovrei alzarmi e fare qualcosa, distrarmi dall'incubo che continua a ripetersi nella mia mente.
Poso finalmente la penna ora che ho finito di trascrivere l'elaborazione del mio subconscio. Sono stanca di questo susseguirsi di queste notti insonni. Nessuno di loro capisce quanto sia difficile, soprattutto da quando mi hanno abbandonata tutti. Uno per uno.

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Capitolo 2
*** 1 ***


Come mai ascolto sempre queste canzoni?
Non dimentico mai questa domanda, eppure solo ora so come rispondermi. 
Ascolto sempre le stesse vecchie canzoni perché hanno dei ricordi, dei momenti che non posso più riavere e che mi rendono felice e allo stesso tempo triste. Una contraddizione non trovi? Un po' come la vita se ci pensi, nasci per morire, vivi per accumulare soldi perdendo la salute e riacquistandola perdi il denaro. Ti serve l'ossigeno per vivere, ma esso ti uccide. Forse però non dovrei parlarne con te, forse dovrei esporre questi miei pensieri a qualcuno che possa capirmi, non a un menefreghista come te. Ma pure questa è una contraddizione, ma cosa non lo è? Tu dovevi essere colui che mi avrebbe protetto da tutti e tutto, invece proprio tu sei stato a farmi più male, a mostrarmi com'è il mondo quando non ero pronta, a farmi crescere prematuramente. La mia adolescenza dove è? L'hai portata via con quel gesto, mi hai abbandonata e ci hai distrutti. Dovevi essere il mio eroe, non la mia paura. Dovevi salvarmi, non trascinarmi con te all'inferno. Così giovane e così vecchia. Ecco cosa sono, piena di insicurezze che dovevano essere attutite da te per poi riemergere in età avanzata, invece me le hai lasciate e me ne hai aggiunte altre non adatte alla mia adolescenza. Mi hai sbattuto in faccia la realtà mentre io vivevo ancora nelle favole, io ci credevo ancora e tu hai mandato in pezzi il mio mondo immaginario. Perché hai dovuto farlo? Che domanda stupida, una domanda che una risposta non potrà mai avere. Non potrebbe essere diversamente se no vorrebbe dire che non sei davvero sotto terra. 
Tante domande, insicurezze, controsensi e a tutto questo tu non potrai rispondere, aiutare o mettere ordine quindi forse è meglio se la smetto qua.
 
"Cosa scrivi sempre?", alzo lo sguardo su Simone e osservo il suo tatuaggio. È proprio bello, anche se incompleto. Un po' come le mie informazioni.
"Ricorda il patto" rispondo sibillina "io ti aiuto e tu mi dai un posto in cui stare. Nulla più e nulla meno."
"Non ti stanchi mai di essere così algida? Sai, fare amicizia non guasta."
"Non ho tempo per gli amici e stronzate varie" riabbassai gli occhi e chiusi il diario delle mie riflessioni con la chiave. Nessuno doveva leggerlo, era la mia vita e l'unico posto in cui annotare le informazioni che scoprivo oltre che i miei pensieri e incubi costanti. Sogghignó prima di uscire a fumare. Prendo anche io il mio pacchetto di Camel alla menta e lo raggiungo all'esterno.
"Non riesci a starmi lontana nemmeno per qualche minuto" mi scoccò un'occhiata divertita nel dirmelo.
"Cosa non capisci del 'io ti aiuto con la gestione del bar e tu mi dai un tetto sotto cui vivere fino a che ne avrò bisogno?" risposi acida come non mai.
"Calma tigre, rimetti a posto gli artigli che qui nessuno vuole farti del male. Ricordati che ormai ci conosciamo da qualche anno e vivi da me da un paio di mesi, quindi siamo praticamente amici" sorrise furbo, pensando davvero di potersi avvicinare a me, povero illuso.
"Tu ed io non siamo amici, al massimo conoscenti" buttai la cicca della sigaretta e rientrai nell'appartamento di Simone.
“Ricordati che tra un’ora si apre, mia dolcissima amica” urlò provando a sbeffeggiarmi.
 
***
 
Erano le cinque del mattino ed ero stanca morta, stavo odiando Simone e il suo tener aperto il bar a seconda di come andava la serata. Era a dir poco devastante, soprattutto considerando il fatto che non ero qui per lavorare, anzi.
“A domani piccola” mi sorrise mandandomi un bacio un ubriaco che ci aveva provato con me tutta sera.
“Si spera di no”.
“Dovresti rispondere meglio ai clienti, sai?” mi riprese Simone, non perdeva occasione per farlo. Soprattutto grazie al mio bel caratterino che mi sono sempre ritrovata, non sarei mai riuscita nemmeno per sbaglio di rispondere bene a qualcuno figuriamoci di fingerlo! Gli mugugnai in risposta e lanciando lo straccio, con cui avevo appena finito di pulire tavoli e bancone, nel lavello mene andai finalmente a piano di sopra. La prima cosa che feci fu prendere l’accappatoio e un cambio per la doccia calda che mi sarei fatta, poi sarei uscita. Lo so non è proprio sano lavorare otto ore e uscire di mattina presto, al posto di andare poi a dormire come una persona normale.
“Anche oggi esci a vedere l’alba per ‘trovare un po’ di pace’?” cercava sempre di innervosirmi con queste stupide battutine, forse era stupido o non lo capiva che di lui mi importava meno di zero. Io, detto con sincerità, opto per la prima perché dopo una vita che ci conosciamo e quelli che, ormai, sono ben cinque mesi di convivenza uno dovrebbe averlo capito.
“Non intrometterti in affari che non ti riguardano” sibilai prima di chiudere a chiave la porta del piccolo bagno del suo loft. Giustamente perché non mi bastava aver chiesto aiuto all’unica persona che c’era prima, no doveva pure avere l’unico tipo di appartamento dove non esistono delle vere stanze aka non si può avere della privacy.
“Sei la solita acida, Becka. Rimarrai zitella a vita di questo passo, credi a me!” come se mi importasse, quello era l’ultimo dei miei problemi che, a quanto pare, invece era sempre il primo dei suoi. Non che fosse una specie di cavaliere cortese delle poesie del medioevo, era più che altro un donnaiolo; purtroppo per lui da quando in questo loft ci vivo anche io la sua fama è alquanto scesa.
Mi spoglio dei vestiti sudaticci e sporchi a causa del caldo assurdo che faceva nel bar e degli ubriachi che a volte per sbaglio mi facevano arrivare addosso parti dei loro drink rovesciandoli. Accendo l’acqua tiepida ed entro in doccia, è un vero toccasana per il mio corpo stremato, mi insapono e sciacquo per bene. Appena uscita mi avvolgo nell’accappatoio e inizio ad osservare il mio viso allo specchio; da quando sono andata via la mia faccia appare smagrita quindi con gli zigomi più pronunciati, per non parlare dei miei occhi che da un verde oliva quasi marrone sono passati ad un verde brillante. Per quelli potrebbe benissimo essere una mia fantasia, fatto sta che non sono più gli occhi di una bambina da molto tempo, ma non sono nemmeno quelli di una normale diciannovenne, sono troppo profondi per esserlo. Lo sono sempre stati, da quando avevo dodici anni è come se avessi saltato a piè pari l’adolescenza e fossi diventata adulta; questo magari avrà anche influito sul mio comportamento, ma per lo meno non rimpiango nulla.
“Oi! Ti muovi? Voglio farmela anche io una doccia prima di andare a dormire, non esisti solo tu e ricordati che questa è casa mia fino a prova contraria” sbuffai mettendomi la biancheria e i vestiti puliti prima di uscire.
“Tutto tuo, proprietario” sibilai dandogli una spallata passando, mi diressi verso l’armadio e presi il mio diario prima di uscire.
 
 
 
 
SALVE PERSONCINE
 
Ebbene si questo è il primo capitolo, cortino e di poca sostanza lo so. Giuro solennemente che però piano piano si entrerà sempre di più nel vivo della storia e i capitoli si allungheranno.
Fatemi sapere cosa ne pensate e soprattutto se ci sono delle critiche costruttive sarò lieta di ascoltarvi.
 
XOXO

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Capitolo 3
*** 2 ***


Andai ai binari abbandonati e una volta seduta lì aprii il mio diario per leggere tutto quello che avevo scoperto e scritto. Non era facile ciò che stavo facendo, ancora di meno per trovare informazioni; erano passati tanti anni, forse troppi, ma io avevo bisogno di sapere.
 
 
07/04/2015
 
Sono passati quattro anni da quando papà è morto, tre anni da quando mamma ha abbandonato me e Chad a casa di una nostra lontana prozia, ma soprattutto sono due anni che Chad se ne è andato via. Non è mai stata perfetta la nostra vita, litigavo spesso con papà e mamma mi difendeva sempre, Chad era il figlio perfetto per questo non andavamo molto d’accordo. Mamma aveva già deciso da anni che aspettava la nostra maggiore età prima di lasciare papà, non so perché ma ha deciso di farlo prima. Lui non è riuscito a sopportare questa scelta e giovedì sette aprile 2011 a mezzogiorno preciso si è sparato un colpo in testa, non provo dolore per questo suo gesto e non ci ho mai sofferto; non gli volevo davvero bene, non lo sopportavo e avevo molta paura di lui. Al tempo avevo 13 anni e non capii davvero cosa successe, per me papà era come se se ne fosse già andato; non lo vedevo né sentivo mai, era una presenza fantasma. Mamma, nonostante avesse chiesto il divorzio, piangeva tanto e non riuscivo a concepirne il motivo. Un anno esatto dopo ha lasciato me e Chad dalla lontana prozia Olga, una signora di sessantacinque anni che non aveva mai avuto marito o figli. Non fu molto felice all’inizio di trovarci sulla sua porta, alla fine però si affezionò molto a noi, tanto che ancora adesso è triste a causa dell’abbandono di mio fratello. Io non sento la loro mancanza, di nessuno di loro, mi hanno sempre tradita. Mamma sapeva qualcosa di segreto su papà ed è per questo che chiese il divorzio prima dei suoi programmi, Chad ne fu informato dopo la sua morte e io no. Io non fui mai informata, l’unico motivo per cui ho queste informazioni sono la lettera lasciata da mamma per me che avrei dovuto ricevere ai miei ventuno anni, ma che per sbaglio ho trovato molti anni in anticipo, e la lettera che Chad lasciò alla prozia dicendole come mai ci avrebbe abbandonate. Erano lettere che non avrei dovuto leggere, o meglio non ora. In quella di mamma non viene rivelato quel segreto che ha portato alla distruzione della mia famiglia, mi dice solo che sono l’unica che merita delle risposte, la sola che ha il diritto di cercarle. Questo non lo capisco, non lo concepisco. Perché solo io merito delle risposte? Come mai sono l’unica che può cercarle? Infondo siamo due figli non uno, ma soprattutto cosa sa mamma e cosa sa Chad da averli allontanati da me in questo modo?
Vorrei essere una normale diciassettenne, senza segreti da rivelare e senza risposte da inseguire.
 
Non so perché rileggevo sempre tutto da capo, ne avevo bisogno a livello emotivo; dovevo sempre ricordarmi chi ero, da dove venivo, ma soprattutto perché facevo tutto ciò. C’erano volte che avrei lasciato perdere, ci avevo tentato ma poi non arrivavo da nessuna parte, anzi peggioravo. Avevo passato gli ultimi tre anni pensando solo ad un modo per andarmene dal paesino in cui vivevo con la prozia Olga, tutti ci avevano sempre guardato malissimo, a me e Chad, eravamo gli strambi fratelli abbandonati dai genitori, anche se in due modi diversi. Eravamo gli ultimi arrivati, gli sconosciuti con un passato che non si conformava alle solite famiglie e questo fece sì che io mi chiudessi sempre di più in me stessa. Chad era riuscito ad ambientarsi, era entrato nella squadra di atletica ed essendo bravo ebbe un posto di rilevanza anche a livello di popolarità seppur leggermente emarginato; io ero la sua sorellina con problemi di socializzazione, un carattere difficile e uno sguardo vuoto, assente. Non ero mai andata a genio a nessuno dei miei coetanei, non avevo amici e non desideravo averne. Andavo avanti solo pensando a come fuggire, da tutto e tutti, da me stessa in primis. Mi avevano etichettata come lo zombie, il fantasma e nomi del genere. Il mio tempo libero lo passavo in camera mia, se pioveva, oppure in qualche posto disperso e lontano da tutti, nelle poche giornate di sole che ci concedeva il clima. L’unica che mi avesse sempre seguita era la mia mente, poi il mio diario quando Chad se ne andò, ma in particolare dalla scoperta di quelle due lettere. Le avevo rubate alla prozia Olga e me ne ero andata, avevo finito la scuola e lì non c’era più posto per me, almeno non per quello che volevo perché alla fine avevo trovato un obbiettivo, qualcosa da fare. Non pensavo sarebbe stata così ardua, all’inizio vivevo a stento coi pochi soldi guadagnati dalle paghette e vivevo in squallidi bed & breakfast alla ricerca costante di un lavoro. Nel tempo che mi rimaneva cercavo informazioni utili al mio scopo, poi ero approdata qui, alla mia città natale. Non dei miei, ma la mia. Ero in cerca di una casa stabile e di un lavoro, fu così che incontrai Simone. Non lo vedevo da anni ormai, da prima della catastrofe e feci fatica a riconoscerlo; al contrario, lui, non ebbe dubbi sul fatto che io ero davvero io. “Becka! Mio dio quanto tempo che non ti vedo, ma dove eri sparita? Stai bene? Avresti per lo meno potuto farti sentire o avvertirmi del tuo trasferimento, non sai quanto sono stato in ansia all’inizio. Eri come scomparsa nel nulla, poi fortunatamente tua madre ha avvertito la scuola, quindi anche me, che ve ne eravate andati via per lasciare tutto alle spalle e ricominciare. Come sta tua madre e tuo fratello?” . Fu così che si approcciò a me nel suo bar, che manco sapevo ne avesse uno, ma dopo tutto quel tempo sarebbe stato difficile. Non risposi a quasi nessuna delle sue domande, gli dissi solo ciò che mi serviva senza dargli alcuna spiegazione. Cominciai a lavorare per lui e vivere da lui, il mio migliore amico, o almeno lo era prima. Non faceva domande e questo lo apprezzavo, ma cercava sempre di ritrovare in me la persona che ero; purtroppo era morta, la ragazzina che conosceva non c’era più, aveva dovuto lasciare il posto a un involucro vuoto e pieno di punti interrogativi.
Se in partenza avevo trovato informazioni facili, da quando ero tornata dove tutto aveva avuto inizio, per me, era difficile trovare anche solo uno stralcio di quello che mi serviva. Sapevo troppo poco sulla mia famiglia, su mio padre. C’erano poche informazioni persino in città e quindi per me la situazione era ardua, non potevo arrendermi. Come mi era stato detto ero l’unica a poter cercare, però nessuno voleva aiutarmi.
 
 
09/04/2015
 
Sono andata via dalla casa della prozia Olga, ho preso i miei risparmi e mi sono messa sulle tracce di mia mamma. Sapevo da quello che mi è sempre stato raccontato che era originaria di una cittadina lì vicino, per quello mi ci sono diretta. Purtroppo non sanno molto, conoscono molto bene il suo passato ma da quanto se ne andò pare che sia tornata qui solo una volta tre anni fa. Dicono si sia fermata per una settimana circa prima di ripartire per il sud. Non è chissà che cosa, considerando che potrebbe essersi poi fermata ovunque e che dopo tutti questi anni anche se mostrassi una sua foto nessuno se la ricorderebbe. Però tentar non nuoce, massimo arrivo ad un buco nell’acqua.
Aveva un passato molto interessante in compenso, ho iniziato a conoscere meglio la donna che è diventata mia madre, forse così potrei capire meglio anche il suo modo di ragionare. Si, è un’utopia ma chissà magari qui trovo qualcosa che le apparteneva come un diario o qualcosa del genere e potrò per lo meno leggere i suoi pensieri da adolescente. La cosa che mi lascia perplessa è che non ci abbia mai portato in questo posto, ci ha sempre detto che i suoi genitori erano morti quando era piccola. La sua vita consisteva in bugie ben architettate, spero che per lo meno il suo cognome da nubile sia vero. Potrei anche avere una chance di trovare i miei nonni, vedere qualcosa del suo passato insieme ad avere informazioni migliori e più attendibili.
 
Interruppi la mia lettura siccome con la coda dell’occhio vidi una figura. Era un ragazzo con un cappuccio a coprirgli il volto e camminava verso la mia direzione, presi paura e raccolsi tutte le mie cose per andarmene il prima possibile. Per mia sfortuna alzandomi andai a sbattere contro l’incappucciato che alzò il viso e riuscii a scorgere i suoi occhi color pece, mi ci persi dentro per quanto erano profondi.
“Scusami avrei dovuto guardare dove stavo andando, ti sei fatta male?” non presi la briga di rispondergli e finendo di sistemarmi mi scostai andandomene. Più mi allontanavo più sentivo i suoi occhi che mi seguivano, di sicuro si starà chiedendo che problemi ho. Penserà che sono una stramba, forse anche pazza, ma non mi importa tutti mi giudicano da sempre quindi mi scivola addosso senza problemi.
 
***
 
Quando rientrai nel loft di Simone lo trovai addormentato profondamente sulla poltrona con la testa appoggiata alla mano, aveva un pigiama davvero divertente con su degli orsetti. Trattenni a stento una risata e andai a buttarmi sul letto per dormire, non ebbi fortuna perché il microcefalo si era destato e mi saltò addosso per farmi il solletico. Per un po’ cercai di divincolarmi dalla sua tortura, poi riuscii a trovare un’apertura e spingerlo sull’altro lato del letto.
“Brutto microcefalo! Ti è per caso scappato l’ultimo neurone che ti era rimasto?” urlai fingendomi furiosa anche se in realtà ridere mi aveva fatto bene.
“Al contrario tuo io li possiedo tutti i miei neuroni, di conseguenza è impossibile che ne abbia solo uno e che per di più sia pure scappato. Con chi credi di avere a che fare, eh?” si vantò prendendo una ciocca dei miei capelli tra le sue dita affusolate e tirando leggermente a ogni parola.
“Ahia! E smettila idiota, così mi farai diventare pelata” dissi schiaffeggiando via la sua molesta mano dalla mia povera ciocca.
“Tzè, manco strappandoli come ciuffi d’erba ti si farebbe diventare pelata e hai pure il coraggio di lamentarti per una misera ciocchetta” lo allontanai ancora prima di ributtarmi a pancia in giù con la faccia spiaccicata nel cuscino, ma non voleva proprio saperne di lasciarmi in pace, anzi iniziò a muovere il letto.
“Tu non stavi dormendo?” soffocai nel cuscino la disperazione messa nella frase.
“Ero in dormiveglia, ti stavo aspettando sai? Anche se tu non vuoi io mi preoccupo per te, anzitutto perché esci nell’orario in cui tutti gli ubriaconi tornano a casa e poi perché sei femmina. So che pensi di avere una specie di missione da portare a termine in questo mondo, ciò però non ti esula dall’essere in qualche modo una persona normale che corre rischi”.
“Non mi interessa la tua morale, torna a dormire così potrò farlo anche io perché non sarai occupato a disturbare il mio riposo” e per concludere la nostra simpatica chiacchierata gli lanciai un cuscino addosso.

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