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Note:Grazie a Cicciolgeiri, thembra e
goku94 per i vostri commenti! Spero che la storia continui a piacervi e che
continuerete a commentare e a guidarmi nel suo sviluppo!!
Note sul capitolo: Probabilmente
alla fine i pensieri di Mistica vi sembreranno un po' confusi e
contorti...il fatto è che non riesco a immaginarmela diversamente!:P
Tratto dal film X-men 3:
”Raven?Raven ti ho fatto una
domanda”
“Non rispondo al mio nome da
schiava”
“Raven Darkholme,è questo il tuo
vero nome giusto?Oppure lui ti ha convinta
che non hai più una
famiglia?”
“La mia famiglia ha tentato
di uccidermi patetico ammasso di carne”
Cap.2: Raven.
La vita non era mai stata
facile per lei. Ad onor del vero non era stata neppure difficile.
Non particolarmente.
Era nata in un quartiere
come migliaia d'altri, da una famiglia di ceto medio che, pur non
essendo ricca, poteva permettersi una vita serena.
Aveva vissuto in una
villetta a due piani col giardino fiorito e la staccionata dipinta di
bianco, in una cameretta tutta bambole e peluches, l'incarnazione del
sogno americano insomma.
A dieci anni il suo unico
problema era l'aspetto fisico, ma anche questo forse era normale.
Quante ragazzine esistevano
al mondo che, come lei, erano bassine e goffe? Con l'apparecchio ai
denti e dei grossi occhiali squadrati? Decine, migliaia?
Lei era una di loro.
Così a sei anni
era stata soprannominata la racchia
Raven o solo la
cozza e il nomignolo l'aveva perseguitata per tutta
l'educazione elementare ed oltre.
Alle medie aveva smesso di
essere coraggiosa e aveva deciso che rinchiudersi in bagno a piangere
invece di andare a lezione per sopportare le continue prese in giro,
pur se poco dignitoso, era pur sempre liberante. Sicuramente
preferibile.
Odiava la scuola, odiava i
suoi compagni, odiava i suoi genitori che l'abbracciavano ripetendole
che era carinissima così.
Non era vero e lei lo
sapeva.
Non aveva forse due occhi
funzionanti come gli altri?
Non era forse in grado di
capire da sola se era brutta?
E la verità
incontestabile era questa... era orrenda.
Così piangeva
nei bagni della scuola e piangeva in camera sua, davanti allo specchio
impietoso che si rifiutava di rifletterla un po' più carina
e pregava ogni giorno con tutte le sue forze che un miracolo la
rendesse bella.
Voleva diventare come
Jennifer, la ragazzina del primo banco con i lunghi riccioli rossi e le
lentiggini, voleva essere Carol con i suoi splendidi occhi azzurri e
nessun orrendo occhiale a nasconderli al mondo. Voleva crescere per
avere il corpo della sua insegnante di matematica, voleva che tutti la
notassero, che tutti la ritenessero bella, ma più di tutto,
voleva potersi guardare allo specchio e piacersi per come era.
Ma sapeva che era
impossibile.
Impossibile
finché un giorno, in un attimo, non lo fu più.
Fu il giorno in cui Raven
iniziò a sparire, il giorno in cui al suo posto Mistica prese forma.
Accadde come per magia, un
istante teneva gli occhi serrati sperando di poter essere come Carol e
l'istante dopo era davvero
diventata Carol! Gli occhi azzurri, i lunghi capelli dorati, la pelle
liscia color pesca, sembrava assurdo eppure era la realtà.
Confusa si portò
una mano al volto, toccandosi con la paura che tutto fosse solo uno
scherzo e la se stessa allo specchio compì lo stesso gesto,
era vero!
Lei era Carol ed era
bellissima, perfetta.
Ma l'illusione doveva
svanire e lo fece in un doloroso formicolio che le
attraversò tutto il corpo lasciandola priva di forze.
Lo specchio
tornò a mostrarle Raven.
E le sembrava ancora
più brutta quell'immagine dinanzi alla gioia di un attimo
prima.
Forse le cose sarebbero
state diverse se, in quell'istante, Raven avesse capito che l'aspetto
non era poi così importante, se la paura fosse stata
sufficiente a non provarci più, ma se così fosse
stato Mistica non sarebbe mai esistita.
No, quella sera Raven si
concentrò e, con lo specchio come suo testimone,
riuscì a trasformarsi ancora e ancora, scoprendo di poter
diventare chiunque volesse.
Poteva copiare i vestiti,
le voci, ogni cosa, le bastava volerlo e il suo corpo le obbediva.
Lentamente il dolore delle
trasformazioni svanì lasciando al suo posto solo un lieve
formicolio, niente in confronto al grande dono che le era stato
concesso.
Raven non esisteva
più.
Raven poteva essere
chiunque volesse.
La magia si interruppe coi
passi di sua madre, la stava chiamando.
Raven si fermò
impaurita, cosa avrebbe detto trovandola così?
Sentendola salire le scale,
provò a tornare se stessa, per quanto non lo desiderasse
affatto, ma quella che mostrava lo specchio non era più
Raven.
Inorridita si
ritrovò a guardare qualcosa che mai prima d'allora aveva
visto.
La sua pelle si era fatta
squamosa e blu, spessa come la corazza di un rettile. I suoi capelli
neri erano diventati rossi e ispidi.
I suoi occhi erano gialli,
come quelli di un gatto.
A nulla valsero i suoi
tentativi di tornare alla sua forma originale, Raven ormai non esisteva
più.
Presa dal panico
finì col gridare a squarciagola, attirando entrambi i
genitori nella sua stanza.
Quando videro com'era
diventata, entrambi rimasero paralizzati sulla porta.
“Chi... cosa
diavolo sei? Dov'è Raven? Raven?” gridò
suo padre guardando impaurito nella stanza mentre sua madre la fissava
con gli occhi sgranati dalla paura.
“Sono io.. non so
cosa è successo, ma sono io” balbettò
lei spaventata.
“Non dire
sciocchezze, è impossibile...”
Il padre fece per
avvicinarsi e Raven vedendolo infuriato non poté fare a meno
di indietreggiare impaurita, ma la madre sapeva...
Con quell'istinto che
appartiene solo alle donne le era bastato un attimo per riconoscere gli
occhi di sua figlia “John...” sussurrò
placando il marito e posandogli una mano sul polso ”Credo che
dica la verità.”
E mentre guardava i suoi
genitori litigare su chi lei fosse, mentre guardava i loro occhi
riempirsi di paura e disgusto, Raven capì che il prezzo per
avverare il suo desiderio era stata la sua vita, la sua famiglia.
Le ordinarono di non uscire
dalla sua stanza, le dissero che presto il medico l'avrebbe visitata e
tutto sarebbe andato a posto, ma la verità era che non era
sicura di volere che le cose tornassero a posto.
Rimase per ore a fissarsi
allo specchio, a fissare quel volto che per ogni persona normale
sarebbe stato orribile, ma che a lei in fondo piaceva.
Sì,
perché adesso, finalmente era speciale.
Adesso era unica.
Poco importava se agli
altri non piaceva.
Piaceva a se stessa, non
era sufficiente?
“Pare che i tuoi
genitori non ti trovino più così carina,
eh?” sorrise sprezzante al suo riflesso che in tutta risposta
le sorrise a sua volta, complice di quello strano scherzo del destino.
Qualche ora dopo
sentì l'arrivo del medico seccato perché
obbligato ad una visita a domicilio, sperava almeno che si trattasse di
una vera un'emergenza.
Suo padre lo
rassicurò sulla gravità della situazione. Sua
figlia, disse, era gravemente malata e tutto ciò che
avrebbero discusso o visto doveva rimanere in quella casa o sarebbe
stata una tragedia, il prezzo non importava.
Il medico lo
rassicurò con qualche sciocchezza sul segreto professionale.
Quando la vide il suo volto
impallidì, ma non disse nulla.
La visitò in
tutta fretta con mani tremanti, come impaurito dalla
possibilità di diventare come lei solo toccandola, Raven
sorrise tutto il tempo della sua sciocca paura.
Infine, senza nemmeno
rivolgerle la parola, uscì in tutta fretta seguito dai suoi
genitori.
Rimasta sola, Raven scese
dal letto e si avvicinò alla porta per origliare la loro
conversazione.
“Non
c'è molto che possa fare.”
“Cosa? Intende
dire che resterà così? Per sempre?”
“John per favore,
ti sentirà se alzi la voce.”
“Come se non
vedesse da sola cosa è diventata!”
“John!”
“E' un mostro
Jusy! Un mostro! E lui ci sta dicendo che non esiste cura!”
“Mi ascolti Sign.
Darkholme, ciò che ha contagiato sua figlia è un
fenomeno in larga diffusione negli ultimi anni. La chiamano mutazione e
le cause sono ancora fortemente discusse. Per alcuni dipende dai geni,
per altri è una semplice malattia, può arrivare
in ogni istante e in forme diverse. Ci sono notizie di persone che
controllano il metallo, di artigli che spuntano dalle mani o persone
che possono entrare nelle nostre menti e controllarle. Certo, la
condizione di sua figlia è molto... particolare,
ma non si conosce ancora alcuna cura purtroppo.”
“Quindi avevo
ragione, è irreversibile.”
Ci fu un attimo di
silenzio, quasi come se tutti stessero trattenendo il fiato
“Mi dispiace... “ sussurrò infine il
medico, sigillando per sempre il destino di un'intera famiglia.
Da quel momento Raven
divenne il segreto della famiglia Darkholme.
I suoi genitori la
evitavano come la peste, tenendola chiusa nella sua stanza con la scusa
della sua malattia.
Non poteva uscire, non
poteva alzarsi, era pericoloso, poteva peggiorare.
'Non vuoi stare
male, vero Raven?'
Rimasta sola col suo
specchio, quel volto così strano lentamente divenne il suo
unico punto di riferimento.
Lentamente la sua mente
iniziò a sfaldarsi.
La tristezza, la
solitudine, il senso di abbandono e tradimento, lasciarono il posto a
rabbia e tormento.
Cosa importava se nessuno
la voleva?
Cosa importava se nessuno
la amava?
Bastava lei per
sopravvivere.
Bastava lei per amarsi.
Gli umani erano tutti
stupidi.
Superficiali.
Odiosi.
Lei era diversa, non
apparteneva più a loro.
Lei era una mutante. Ed era
bellissima.
'Lasciali perdere,
non ti meritano, sono anche loro come gli altri. Bugiardi. Un giorno ti
vendicherai di tutti.'
Strappò tutte le
foto, tutti i ricordi della sua vita precedente, tutti i poster e i
diari, tutti i quaderni e i libri. Ogni cosa che portasse lo stampo di
Raven.
Il solo nome le faceva
venire la nausea.
Raven era goffa.
Raven era brutta e stupida.
Raven era schiava della sua
condizione umana, ma adesso era libera.
Raven era morta e defunta e
non sarebbe mai tornata, mai.
Preferiva morire che
tornare ad essere lei.
E, se Raven era morta,
quelle persone che la odiavano e la tenevano prigioniera non erano
più i suoi genitori, lei non aveva genitori, lei era venuta
dal nulla e non aveva alcun padrone.
Le ci vollero mesi, forse
anni, non ne era certa, per uscire dalla sua prigione, ma quando
finalmente ebbe il coraggio di farlo, lo fece in grande stile.
Un giorno ne ebbe
semplicemente abbastanza.
Non voleva più
essere un segreto.
Non voleva più
stare nascosta.
Voleva uscire e farsi
vedere dalla gente.
Che provassero pure a dirle
qualcosa, ci avrebbe pensato lei a farsi rispettare.
Era abituata a sentirsi
criticare, ma stavolta non sarebbe finita in un bagno a piangere.
Avrebbe smesso anche di
indossare vestiti, perché non mostrare al mondo la sua nuova
pelle?
Fu con quei pensieri che
decise di scendere in salotto.
Trovò suo padre
seduto sul divano, con il volto nascosto tra le mani e una bottiglia
vuota sul tavolo, l'odore d'alcol e di chiuso rendevano l'aria
irrespirabile.
Lo guardò
indecisa sul da farsi, attendendo che fosse lui il primo a muoversi, il
primo a parlare.
Finalmente parve notarla
anche se non la guardò “Cosa ci fai qui? Non ti
avevamo detto di restare in camera tua?”
“Ho deciso di non
tornarci più.”
“Cosa?”
finalmente si degnò di guardarla.
“Mi hai capito
benissimo, sono stufa di rimanere nascosta qui. Non sono malata e lo
sai bene.”
In tutta risposta l'uomo
scoppiò a ridere “E dove vorresti andare, fuori?
Ti sei vista ultimamente?”
“Sì e
non mi importa.”
“Non ti
importa...” mormorò lui sovrappensiero per poi
sospirare come sconfitto “Non ho voglia di discuterne ora,
vai di sopra Raven.”
“Non chiamarmi
così.”
“E' il tuo
nome.”
“Non
più. Raven è morta e io farò quello
che mi pare.”
La bottiglia si
schiantò poco lontano dalla sua testa, lasciando una macchia
più scura sulla carta da parati, i cocci caddero a terra
poco lontani dai suoi piedi.
“Nonostante il
tuo aspetto sei ancora mia figlia e mi porterai rispetto come
tale!Adesso va' di sopra!”
In tutta risposta Raven
incrociò le braccia sul petto e rimase immobile, fissandolo
in sfida “Altrimenti?” pronunciò con
lentezza.
“Perché
fai così? Non ti basta quello che ci hai fatto passare? Non
ti bastano le domande dei vicini? Le bugie, le scuse? Tua madre piange
ogni giorno, io non so più cosa fare, ogni giorno ci
svegliamo con l'incubo che qualcuno ti veda, che qualcuno scopra cosa
sei diventata!”
“E cosa sarei
diventata?”
“Non farmelo
dire, Raven.”
“Un mostro? E'
questo che intendi?”
Non ci fu risposta e il
silenzio valse più di ogni parola, se c'era una piccola
parte di lei che ancora amava suo padre, morì in
quell'istante.
“Ora
basta” sibilò velenosa “Sono stanca di
voi e della gente, sono stufa di vivere in funzione degli altri, di
sentirmi dire che non vado bene. Questo è il mio aspetto che
lo vogliate o no e sai una cosa?A me piaccio così!
Andatevene tutti al diavolo!”
Uscì correndo
dal salotto, salì in camera sua a prendere la borsa che
aveva preparato per andarsene, ma vedere quei vestiti, quei soldi,
tutta quella roba che non era sua, che non le apparteneva, la fece
infuriare ancora di più.
La gettò contro
il muro in preda alla collera.
Non avrebbe preso niente
con sé.
Non aveva bisogno di loro e
dei loro soldi.
Sarebbe vissuta con le sue
sole forze.
Suo padre la
trovò lì, in piedi in mezzo alla stanza, col
corpo teso nell'ira.
“Che vuoi
ancora?” gridò voltandosi in preda alla rabbia, ma
si bloccò nel vederlo.
L'immagine che mai avrebbe
scordato in tutta la sua vita.
L'immagine dell'ultimo
tradimento.
Suo padre se ne stava in
piedi con una pistola in mano e il volto rigato di lacrime
“Cerca di capirmi” sussurrò con voce
rotta “E' meglio che sia io a farlo, prima che qualcuno ti
faccia di peggio”
La confessione di un pazzo,
di un uomo che credeva di amarla e l'avrebbe uccisa per quell'assurdo
sentimento.
Le sparò due
volte, la prima mancò il colpo e la seconda il
suo addome prese fuoco. Fu colpa sua, troppo goffa, troppo
lenta, non riuscì a reagire in tempo, ad afferrare la
lampada dal tavolino e a spaccargliela sulla testa prima che la
colpisse.
L'uomo perse i sensi sul
colpo rovinandole addosso.
Raven si tirò su
ansimante, con gli occhi pieni di lacrime e un dolore terribile in
tutto il corpo, il sangue usciva copioso, ma non si sarebbe arresa, non
sarebbe morta lì.
Avrebbe dimostrato al mondo
cosa poteva fare un mostro come lei.
Si trascinò
fuori dalla stanza e giù per le scale, scivolò
lungo la parete reggendosi su gambe tremanti fino alla porta.
'La prima volta
che esco in chissà quanto tempo e guarda come sono ridotta' pensò
tra sé e quasi le venne da ridere all'ironia del momento.
Si lasciò cadere
nel vicolo dietro casa sua, tra i bidoni dell'immondizia, sperando che
suo padre non venisse a cercarla, sperando che sua madre non tornasse
ancora da lavoro, sperando che qualcuno la aiutasse...
Rifiutando di trasformarsi
perché iniziare la sua nuova vita nella menzogna non avrebbe
avuto senso, che importanza aveva uscire di prigione se poi ci si
nascondeva lo stesso?
No, preferiva morire
piuttosto.
E probabilmente sarebbe
stato così se
lui non fosse arrivato.
Il suo salvatore.
Il suo mentore.
I bidoni sembrarono
muoversi da soli, spostandosi attorno a lei e creando un passaggio.
Raven li guardò
con stupore.
“Ma guarda cos'ho
trovato” un ragazzo dai corti capelli neri e gli intensi
occhi azzurri la guardava con interesse “Sembra che qualcuno
abbia abbandonato un gatto ferito. Ebbene, visto che non ti vogliono
più, cosa ne pensi di venire con me?”
Fu così che Eric
la prese con sé.
Curò le sue
ferite e le insegnò a controllare il suo potere.
Le insegnò ad
essere orgogliosa di ciò che era e la chiamò
Mistica, perché tutti i mutanti hanno un nome e anche lei ne
meritava uno.
Le insegnò a
combattere e a difendersi, la tenne al suo fianco trattandola da pari,
usandola per i suoi scopi, certo.
Lo sapeva bene, non era
certo una stupida, ma non le era mai importato.
Perché Eric
aveva bisogno di lei, la riteneva indispensabile, la riteneva unica e
questo era più di quanto mai avesse desiderato per
sé.
Ma ovviamente anche quella
gioia era destinata a svanire.
Alla fine anche Eric
l'aveva abbandonata, ormai non aveva più bisogno di lei.
E come dargli torto? Una
mutante curata... cosa se ne faceva Magneto di una così tra
le sue fila?
Eric voleva solo Mistica,
non Raven e Mistica era morta con la cura.
Non sei
più una di noi.
Le parole le rimbombarono
nella mente risvegliandola dall'incubo che continuava a perseguitarla
da mesi.
Raven si mise seduta con le
mani tremanti e il cuore martellante nel petto.
Accese la luce e
guardò nella stanza come per assicurarsi di essere davvero
da sola.
Non faceva che sognare del
passato da quando era tornata umana.
Non sei
più una di noi.
Certo
le cose erano diverse adesso.
O potevano esserlo... forse se
avesse parlato con Eric per solo un paio di minuti.
Il fatto era che Mistica
era stata forgiata da Magneto, era nata per lui, aveva combattuto e
vissuto per lui e adesso non era più sicura di voler
combattere se significava farlo da sola, ma Eric non l'aveva cercata
perciò non voleva più nulla a che fare con lei.
E Mistica non poteva
cercare Eric perché... perché lo odiava.
Mistica non conosceva la
parola perdono,
non sapeva come darlo, non era nella sua natura.
La sua natura era la
vendetta.
Era la rabbia, la collera,
l'orgoglio.
Non poteva chiedere ad Eric
di riprenderla con sé, sarebbe stato come ammettere che le
importava qualcosa di lui e non era vero.
Inoltre non poteva
dimenticare il suo tradimento e fare finta di niente.
Avrebbe dovuto vendicarsi.
Non poteva rischiare di
trovarselo davanti ed essere consumata dalla rabbia che, lo sapeva,
albergava nel suo cuore, avrebbe finito con l'ucciderlo... e lei non
voleva fare del male ad Eric.
Non sei
più una di noi.
Quanta distanza c'era tra
la rabbia e il dolore?
Non lo sapeva, non lo
capiva.
Gli mancava Magneto eppure
voleva che soffrisse.
Voleva proteggerlo dai suoi
nemici eppure voleva vederlo distrutto.
Non sei
più una di noi.
Raven fissò la
mano ricoperta da lucida pelle squamosa... già le cose
adesso sarebbero potute tornare come prima, ma il problema era che lei
non otteneva mai nulla gratuitamente.
Un lieve formicolio e la
pelle tornò 'normale',
rise al pensiero.
Alla fine era di nuovo
prigioniera, ma stavolta nessuno sarebbe accorso in suo aiuto.
Perché Mistica
viveva per Magneto, ma adesso non gli serviva più.
Perché Mistica
era troppo pericolosa, troppo selvaggia e indomabile per essere
lasciata libera come prima.
Perché Mistica
non sapeva come concedere il perdono ad Eric, perciò era
meglio che restasse nell'oblio.
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