X-men 4 : La rivincita di Magneto.

di emychan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eric ***
Capitolo 2: *** Raven ***
Capitolo 3: *** Logan ***
Capitolo 4: *** Rogue ***



Capitolo 1
*** Eric ***


Disclaimers: I personaggi degli x-men appartengono agli aventi diritto,io li uso gratuitamente e solo per divertimento personale!


Note: Ambientata poco dopo la fine di x-men 3,si rifà solo ai contenuti dei film (anche perché non ho mai letto il fumetto),non ho idea di quanti anni abbia Rogue,ma immagino sia dai 18 in su,perciò farò come se ne avesse 20..:PP


In corsivo I pensieri.


X-men 4 : La rivincita di Magneto.


Cap.1: Eric


Era un pomeriggio assolato come tanti altri, il vento leggero si muoveva tra le foglie degli alberi.

Ragazzi e ragazze correvano lungo i viottoli alberati. Altri andavano in bicicletta ridendo e chiacchierando di cose futili e superficiali.

A nessuno di loro sembrava importare come la sua vita fosse finita in un solo attimo di disattenzione.

Venne distratto da un fruscio d'abiti, un ragazzo dai corti capelli rossi si era seduto all'altro capo del tavolo “Giochiamo a scacchi, nonnetto?” un sorriso malizioso gli illuminava il volto dai tratti grossolani.

Eric, non lo degnò nemmeno di uno sguardo.

Detestava quei mocciosi arroganti e irrispettosi, se solo avesse avuto i suoi poteri... No,non pensarci...

Erano già passati sei mesi, sei lunghi mesi da quando aveva perso la sua battaglia contro gli umani e si era ritrovato suo malgrado a far parte delle loro schiere.

Adesso se ne stava in uno stupido parco a giocare a scacchi con sconosciuti dalla dubbia intelligenza: Eric Leshnerr era proprio caduto in basso e lo aveva fatto con una tale velocità e da una tale altezza da meritarsi un premio.

In un secondo tutto ciò che era stato, che aveva posseduto, tutto il potere, gli ideali, la sua stessa identità, erano scomparsi. Come fosse stato solo un lungo sogno dal quale si era svegliato per rendersi conto di non avere nulla.

Non pensava che fosse una fine ingiusta, probabilmente era il finale più adeguato a qualcuno come lui.

Un uomo così pieno di colpe, di tradimenti, di inganni e violenza... aveva sempre creduto che prima o poi il destino lo avrebbe punito, solo non aveva mai creduto che il conto sarebbe stato tanto salato. La morte sarebbe stata preferibile a quell'umiliazione.

Aveva perso se stesso.

Non era più un mutante.

Non apparteneva più al loro mondo.

Non sei più una di noi.

Di nuovo il volto di Mistica tornò a cacciare i suoi pensieri.

Ultimamente non faceva che pensarla, la ricordava così come l'aveva vista l'ultima volta: inerme e spaventata, con i grandi occhi verdi spalancati in supplica Eric..., l'aveva lasciata indietro senza un secondo sguardo, senza alcun ripensamento.

L'aveva abbandonata a se stessa. In quel mondo che non l'aveva mai voluta e dal quale l'aveva salvata tanti anni fa.

Cosa aveva provato in quei minuti? Aveva sentito il vuoto,la confusione, la paura che aveva sentito lui?

Aveva finito con lo specchiarsi per ore senza riuscire a riconoscersi in quel volto riflesso?

“Allora?Cos'hai, sei sordo?”

Il ragazzino sembrava sempre più seccato, Eric scosse la testa senza rispondergli, che se ne andasse. Non poteva sopportare quella voce stridula e infantile.

Indifferente lo guardò alzarsi mormorando qualcosa tra sé ed allontanarsi, tornò a fissare gli scacchi di metallo, si concentrò con la stessa vaga speranza che provava ogni volta, ma nulla si mosse...

La punizione è adatta al crimine... sorrise amaramente al pensiero, mai parole furono più vere.

E, tra tutte le sue colpe, l'abbandono di Mistica era senza dubbio quella che pesava di più.

Quando l'aveva trovata, tanti anni prima, era solo una bambina impaurita e infreddolita. I suoi genitori avevano cercato di ucciderla abbandonandola a se stessa.

Era fuggita per miracolo da quella gabbia che era diventata la sua casa, con una pallottola nell'addome che la uccideva lentamente e l'animo ferito a morte da chi avrebbe dovuto amarla.

Tutto per una mutazione di cui non aveva colpa, su cui non aveva controllo, ma che la rendeva un mostro agli occhi di tutti.

Nonostante ciò aveva vagato per le strade col suo vero aspetto alla ricerca di qualcuno che l'accettasse per ciò che era e non per ciò in cui poteva trasformarsi e lui le aveva dato quell'aiuto,l'aveva presa con sé senza pensarci due volte.

Lei non aveva mai chiesto perché la volesse tenere, perché volesse prendersene cura e lui non lo aveva mai spiegato.

Non le aveva mai rivelato cosa aveva visto nei suoi occhi quella notte.

Il potere, l'orgoglio... come spiegarlo?

Aveva visto una creatura così simile a lui, dal potere infinito.

Una mutante in grado di capirlo, di capire il suo bisogno di mostrarsi al mondo per ciò che era, di mostrare agli umani che sì,dovevano temerli, dovevano temere la loro superiorità.

Mistica era tutto ciò che cercava in un'alleata: forte, intelligente, indipendente e bellissima.

Senza Mistica, Magneto non avrebbe mai ottenuto nulla. Senza Magneto, Mistica non sarebbe mai esistita.

Lui le aveva insegnato tutto sui mutanti, l'aveva allenata, l'aveva istruita,le aveva insegnato ad essere una regina tra i suoi simili, senza limiti né morale.

In grado di ottenere tutto ciò che desiderava, perché le regine non chiedono mai nulla, prendono e basta.

Ma Mistica ormai non esisteva più, persa nella carne di un'umana qualunque, sacrificatasi per l'uomo che l'aveva salvata anni prima e lui non aveva potuto fare nulla per lei.

Non si sarebbe giustificato, non si sarebbe mascherato dietro falsi motivi come il suo affetto per Mistica o il desiderio di proteggerla, no.

Era stato del tutto egoista, aveva pensato solo a se stesso e alla sua guerra, una guerra in cui un'umana sarebbe stata solo un peso morto.

Eric non amava mentire ed era stato sincero anche con la sua Mistica, non era più una mutante e per questo doveva rimanere indietro.

Non era più una di loro, non era più sua... purtroppo.

No, Eric odiava mentire, al massimo poteva omettere.

Così aveva preferito non dirle che avrebbe combattuto anche per lei, che l'avrebbe vendicata e che, forse, le avrebbe trovato una cura per farla tornare bella come prima. Non poteva dirle tutto questo.

Perché era un capo e i capi devono fare delle scelte, subire delle perdite e Mistica non era altro che una perdita.

Ma adesso anche Magneto non esisteva più.

Era solo Eric, un uomo come migliaia d'altri.

E da umano ogni cosa si era fatta più difficile.

Non conosceva nessuno, non aveva niente e non sapeva dove andare o cosa farne della sua vita.

Con ciò che aveva creato in passato era perfino rischioso farsi riconoscere, per un po' aveva accarezzato l'idea di ritrovare Mistica, di chiederle aiuto.

Certo all'inizio si sarebbe vendicata, non aveva dubbi, forse avrebbe cercato perfino di ucciderlo, ma alla fine, ne era certo, non l'avrebbe fatto.

L'avrebbe perdonato ed aiutato senza bisogno di scuse o parole inutili, perché lei non ne aveva mai avuto bisogno.

Ma poi ci aveva rinunciato.

Perché, cosa avrebbe pensato vedendolo ridotto a quel modo?

Il grande Magneto ridotto così?

Cosa avrebbe provato per lui... pietà? Poteva sopportare tutto da lei, rabbia, rancore, forse anche odio, ma pietà? No.

Preferiva starsene lì come un patetico vecchio, seduto solo al parco.

Era meglio di quell'umiliazione.

Il sole iniziò a tramontare. Eric sospirò guardando un'ultima volta i preziosi pezzi della scacchiera e si alzò.

Il parco cominciava a svuotarsi e preferiva non restare lì da solo.

Una strana sensazione quell'inquietudine che lo avvolgeva ogni volta che si ritrovava da solo al buio, in una strada isolata o in un quartiere malfamato, non l'aveva mai provata prima di allora, fiero come era, sicuro di essere protetto ovunque andasse.

Si sentivano tutti così gli umani? Costantemente minacciati da qualcosa di estraneo?

C'era da stupirsi che sopravvivessero così a lungo...

Uscì dal parco camminando lento lungo il muretto cinto da una ringhiera di metallo arrugginito, desiderando do poterne sentire l'odore e la forza di una volta.

Si calò il berretto sugli occhi cercando di attirare il meno possibile l'attenzione.

Sentì dei passi dietro di sé, ma non ci badò troppo.

Svoltò un angolo e poco dopo un altro, la strada era deserta, i passi dietro di lui si fecero più rumorosi, una strana sensazione di presagio lo colpì.

Svoltò l'ennesimo angolo cercando di percepire i passi che sembravano seguirlo, dandosi dello stupido per la sua paranoia, ma si bloccò di colpo.

Lo stesso ragazzino dai capelli rossi del parco lo aspettava con la schiena poggiata al muretto.

Appena lo vide, gli si avvicinò sorridendo “Guarda chi si rivede”.

Eric non rispose, ma uno strano brivido si fece largo lungo la sua schiena, i passi di poco prima si fermarono dietro di lui.

Senza riuscire a trattenersi diede un'occhiata dietro di sé.

Altri due ragazzi più o meno dell'età del primo, poco più che ventenni, lo guardavano divertiti.

“Ti presento Trevor e Stuart...” continuò il rosso “Vedi, Trevor era convinto di averti già visto da qualche parte...”

Eric scoccò uno sguardo seccato al ragazzo sulla destra, moro, molto alto e robusto “Forse dovrebbe trovarsi un passatempo migliore che fissare gli anziani al parco”

Il rosso esplose in una lunga risata “Sei divertente,ma vedi... credo che avesse ragione. Ricordi i mutanti che mesi fa hanno attaccato l'isola di Alcatraz? Uno di loro... Magneto credo si facesse chiamare, ha distrutto questo enorme ponte, lo ricordi? Il problema era che c'era un mucchio di gente là sopra, ma a lui non è importato...”

Eric alzò un sopracciglio, come se la faccenda non lo riguardasse minimamente “E quindi?”

”E quindi quel tizio ti assomigliava in modo impressionante”

“Sfortunatamente non si può essere ritenuti colpevoli per una somiglianza”

“Non da un tribunale, ma qui non siamo in un tribunale, giusto?”

I due dietro di lui lo circondarono in un attimo senza dargli il tempo di fare nulla, ma ad essere onesti, non c'era molto che potesse fare contro tre ragazzi che avevano la metà dei suoi anni.

Il primo pugno lo raggiunse ai reni togliendogli il fiato, i seguenti lo ridussero in ginocchio con sorprendente velocità.

Cercò di rannicchiarsi in se stesso, di limitare i danni, ma in quelle condizioni era impossibile.

Sentì una costola incrinarsi sotto il peso dei colpi, gridò per il dolore, ma i suoi aggressori non si lasciarono impietosire, anzi...

All'abuso fisico aggiunsero anche quello psicologico.

Uno dei tre gli sputò addosso “Schifoso mutante” gli sibilò contro.

Eric ricordò di altre mani che lo avevano afferrato e colpito, umiliato e insultato anche se con parole diverse, per ragioni diverse, tanti anni prima.

Ora come allora fece appello a quella forza che aveva dentro, quel potere che chiedeva di venire in suo aiuto, ma che era incatenato.

Tese la mano tremante verso quel metallo che per tanti anni era stato la sua salvezza, pregò con tutte le sue forze che andasse in suo soccorso, che rispondesse al suo comando, ma la ringhiera rimase immobile.

Era dunque quella la sua fine? Morire per la rabbia di tre mocciosi ignoranti e violenti? Quale triste destino per il principe della confraternita.

Il sangue gli sgorgò dalla bocca, prosciugando ogni sua forza, il buio lottava per calare sui suoi occhi e ancora quella stupida ringhiera non voleva muoversi.

Ti prego supplicò nella sua mente Ti prego!

Il braccio tremante gli ricadde sull'asfalto, le dita ancora tese in una futile preghiera.

Finalmente i suoi assalitori sembrarono soddisfatti “Non farti più vedere qui intorno mutante!” gli sibilò il rosso con un ultimo calcio e tutti e tre si allontanarono di qualche passo per osservare il loro lavoretto.

Eric li sentì deriderlo, covando una rabbia infinita... O se solo potessi... non ridereste così tanto...

Fu allora che lo avvertì, un lieve formicolio lungo le dita, una sensazione così familiare nella mente e in tutto il corpo.

La ringhiera emise un lieve cigolio, Eric trattenne il fiato spalancando gli occhi .

Sì...

La ringhiera cigolò più forte attirando l'attenzione dei tre ragazzi, ma era già troppo tardi.

Il potere si risvegliò in lui come lava da un vulcano, la ringhiera si spezzò e attorcigliò, colpì i suoi assalitori spazzandoli via come foglie secche, si attorcigliò attorno a loro soffocandone le urla e stritolandoli lentamente.

Eric si alzò da terra spolverandosi i vestiti e asciugandosi il sangue dalle labbra, ad un suo gesto il metallo lasciò andare le sue vittime che scivolarono a terra con un tonfo.

Li guardò sorridendo soddisfatto, le mani ancora deliziosamente formicolanti...Questa è senza dubbio una fortunata sorpresa...

Sembrava che Magneto fosse tornato.

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Capitolo 2
*** Raven ***


llll

Note:Grazie a Cicciolgeiri, thembra e goku94 per i vostri commenti! Spero che la storia continui a piacervi e che continuerete a commentare e a guidarmi nel suo sviluppo!!


Note sul capitolo: Probabilmente alla fine i pensieri di Mistica vi sembreranno un po' confusi e contorti...il fatto è che non riesco a immaginarmela diversamente!:P


Tratto dal film X-men 3:

Raven?Raven ti ho fatto una domanda”

Non rispondo al mio nome da schiava”

Raven Darkholme,è questo il tuo vero nome giusto?Oppure lui ti ha convinta

che non hai più una famiglia?”

La mia famiglia ha tentato di uccidermi patetico ammasso di carne”




Cap.2: Raven.


La vita non era mai stata facile per lei. Ad onor del vero non era stata neppure difficile.

Non particolarmente.

Era nata in un quartiere come migliaia d'altri, da una famiglia di ceto medio che, pur non essendo ricca, poteva permettersi una vita serena.

Aveva vissuto in una villetta a due piani col giardino fiorito e la staccionata dipinta di bianco, in una cameretta tutta bambole e peluches, l'incarnazione del sogno americano insomma.

A dieci anni il suo unico problema era l'aspetto fisico, ma anche questo forse era normale.

Quante ragazzine esistevano al mondo che, come lei, erano bassine e goffe? Con l'apparecchio ai denti e dei grossi occhiali squadrati? Decine, migliaia?

Lei era una di loro.

Così a sei anni era stata soprannominata la racchia Raven o solo la cozza e il nomignolo l'aveva perseguitata per tutta l'educazione elementare ed oltre.

Alle medie aveva smesso di essere coraggiosa e aveva deciso che rinchiudersi in bagno a piangere invece di andare a lezione per sopportare le continue prese in giro, pur se poco dignitoso, era pur sempre liberante. Sicuramente preferibile.

Odiava la scuola, odiava i suoi compagni, odiava i suoi genitori che l'abbracciavano ripetendole che era carinissima così. 

Non era vero e lei lo sapeva.

Non aveva forse due occhi funzionanti come gli altri?

Non era forse in grado di capire da sola se era brutta?

E la verità incontestabile era questa... era orrenda.

Così piangeva nei bagni della scuola e piangeva in camera sua, davanti allo specchio impietoso che si rifiutava di rifletterla un po' più carina e pregava ogni giorno con tutte le sue forze che un miracolo la rendesse bella.

Voleva diventare come Jennifer, la ragazzina del primo banco con i lunghi riccioli rossi e le lentiggini, voleva essere Carol con i suoi splendidi occhi azzurri e nessun orrendo occhiale a nasconderli al mondo. Voleva crescere per avere il corpo della sua insegnante di matematica, voleva che tutti la notassero, che tutti la ritenessero bella, ma più di tutto, voleva potersi guardare allo specchio e piacersi per come era.

Ma sapeva che era impossibile.

Impossibile finché un giorno, in un attimo, non lo fu più.

Fu il giorno in cui Raven iniziò a sparire, il giorno in cui al suo posto Mistica prese forma.

Accadde come per magia, un istante teneva gli occhi serrati sperando di poter essere come Carol e l'istante dopo era davvero diventata Carol! Gli occhi azzurri, i lunghi capelli dorati, la pelle liscia color pesca, sembrava assurdo eppure era la realtà.

Confusa si portò una mano al volto, toccandosi con la paura che tutto fosse solo uno scherzo e la se stessa allo specchio compì lo stesso gesto, era vero!

Lei era Carol ed era bellissima, perfetta.

Ma l'illusione doveva svanire e lo fece in un doloroso formicolio che le attraversò tutto il corpo lasciandola priva di forze.

Lo specchio tornò a mostrarle Raven.

E le sembrava ancora più brutta quell'immagine dinanzi alla gioia di un attimo prima.

Forse le cose sarebbero state diverse se, in quell'istante, Raven avesse capito che l'aspetto non era poi così importante, se la paura fosse stata sufficiente a non provarci più, ma se così fosse stato Mistica non sarebbe mai esistita.

No, quella sera Raven si concentrò e, con lo specchio come suo testimone, riuscì a trasformarsi ancora e ancora, scoprendo di poter diventare chiunque volesse.

Poteva copiare i vestiti, le voci, ogni cosa, le bastava volerlo e il suo corpo le obbediva.

Lentamente il dolore delle trasformazioni svanì lasciando al suo posto solo un lieve formicolio, niente in confronto al grande dono che le era stato concesso.

Raven non esisteva più.

Raven poteva essere chiunque volesse.

La magia si interruppe coi passi di sua madre, la stava chiamando.

Raven si fermò impaurita, cosa avrebbe detto trovandola così?

Sentendola salire le scale, provò a tornare se stessa, per quanto non lo desiderasse affatto, ma quella che mostrava lo specchio non era più Raven.

Inorridita si ritrovò a guardare qualcosa che mai prima d'allora aveva visto.

La sua pelle si era fatta squamosa e blu, spessa come la corazza di un rettile. I suoi capelli neri erano diventati rossi e ispidi.

I suoi occhi erano gialli, come quelli di un gatto.

A nulla valsero i suoi tentativi di tornare alla sua forma originale, Raven ormai non esisteva più.

Presa dal panico finì col gridare a squarciagola, attirando entrambi i genitori nella sua stanza.

Quando videro com'era diventata, entrambi rimasero paralizzati sulla porta.

“Chi... cosa diavolo sei? Dov'è Raven? Raven?” gridò suo padre guardando impaurito nella stanza mentre sua madre la fissava con gli occhi sgranati dalla paura.

“Sono io.. non so cosa è successo, ma sono io” balbettò lei spaventata.

“Non dire sciocchezze, è impossibile...”

Il padre fece per avvicinarsi e Raven vedendolo infuriato non poté fare a meno di indietreggiare impaurita, ma la madre sapeva...

Con quell'istinto che appartiene solo alle donne le era bastato un attimo per riconoscere gli occhi di sua figlia “John...” sussurrò placando il marito e posandogli una mano sul polso ”Credo che dica la verità.”

E mentre guardava i suoi genitori litigare su chi lei fosse, mentre guardava i loro occhi riempirsi di paura e disgusto, Raven capì che il prezzo per avverare il suo desiderio era stata la sua vita, la sua famiglia.

Le ordinarono di non uscire dalla sua stanza, le dissero che presto il medico l'avrebbe visitata e tutto sarebbe andato a posto, ma la verità era che non era sicura di volere che le cose tornassero a posto.

Rimase per ore a fissarsi allo specchio, a fissare quel volto che per ogni persona normale sarebbe stato orribile, ma che a lei in fondo piaceva.

Sì, perché adesso, finalmente era speciale.

Adesso era unica.

Poco importava se agli altri non piaceva.

Piaceva a se stessa, non era sufficiente?

“Pare che i tuoi genitori non ti trovino più così carina, eh?” sorrise sprezzante al suo riflesso che in tutta risposta le sorrise a sua volta, complice di quello strano scherzo del destino.

Qualche ora dopo sentì l'arrivo del medico seccato perché obbligato ad una visita a domicilio, sperava almeno che si trattasse di una vera un'emergenza.

Suo padre lo rassicurò sulla gravità della situazione. Sua figlia, disse, era gravemente malata e tutto ciò che avrebbero discusso o visto doveva rimanere in quella casa o sarebbe stata una tragedia, il prezzo non importava.

Il medico lo rassicurò con qualche sciocchezza sul segreto professionale.

Quando la vide il suo volto impallidì, ma non disse nulla.

La visitò in tutta fretta con mani tremanti, come impaurito dalla possibilità di diventare come lei solo toccandola, Raven sorrise tutto il tempo della sua sciocca paura.

Infine, senza nemmeno rivolgerle la parola, uscì in tutta fretta seguito dai suoi genitori.

Rimasta sola, Raven scese dal letto e si avvicinò alla porta per origliare la loro conversazione.

“Non c'è molto che possa fare.”

“Cosa? Intende dire che resterà così? Per sempre?”

“John per favore, ti sentirà se alzi la voce.”

“Come se non vedesse da sola cosa è diventata!”

“John!”

“E' un mostro Jusy! Un mostro! E lui ci sta dicendo che non esiste cura!”

“Mi ascolti Sign. Darkholme, ciò che ha contagiato sua figlia è un fenomeno in larga diffusione negli ultimi anni. La chiamano mutazione e le cause sono ancora fortemente discusse. Per alcuni dipende dai geni, per altri è una semplice malattia, può arrivare in ogni istante e in forme diverse. Ci sono notizie di persone che controllano il metallo, di artigli che spuntano dalle mani o persone che possono entrare nelle nostre menti e controllarle. Certo, la condizione di sua figlia è molto... particolare, ma non si conosce ancora alcuna cura purtroppo.”

“Quindi avevo ragione, è irreversibile.”

Ci fu un attimo di silenzio, quasi come se tutti stessero trattenendo il fiato “Mi dispiace... “ sussurrò infine il medico, sigillando per sempre il destino di un'intera famiglia.

Da quel momento Raven divenne il segreto della famiglia Darkholme.

I suoi genitori la evitavano come la peste, tenendola chiusa nella sua stanza con la scusa della sua malattia.

Non poteva uscire, non poteva alzarsi, era pericoloso, poteva peggiorare.

'Non vuoi stare male, vero Raven?'

Rimasta sola col suo specchio, quel volto così strano lentamente divenne il suo unico punto di riferimento.

Lentamente la sua mente iniziò a sfaldarsi.

La tristezza, la solitudine, il senso di abbandono e tradimento, lasciarono il posto a rabbia e tormento.

Cosa importava se nessuno la voleva?

Cosa importava se nessuno la amava?

Bastava lei per sopravvivere.

Bastava lei per amarsi.

Gli umani erano tutti stupidi.

Superficiali.

Odiosi.

Lei era diversa, non apparteneva più a loro.

Lei era una mutante. Ed era bellissima.

'Lasciali perdere, non ti meritano, sono anche loro come gli altri. Bugiardi. Un giorno ti vendicherai di tutti.'

Strappò tutte le foto, tutti i ricordi della sua vita precedente, tutti i poster e i diari, tutti i quaderni e i libri. Ogni cosa che portasse lo stampo di Raven.

Il solo nome le faceva venire la nausea.

Raven era goffa.

Raven era brutta e stupida.

Raven era schiava della sua condizione umana, ma adesso era libera.

Raven era morta e defunta e non sarebbe mai tornata, mai.

Preferiva morire che tornare ad essere lei.

E, se Raven era morta, quelle persone che la odiavano e la tenevano prigioniera non erano più i suoi genitori, lei non aveva genitori, lei era venuta dal nulla e non aveva alcun padrone.

Le ci vollero mesi, forse anni, non ne era certa, per uscire dalla sua prigione, ma quando finalmente ebbe il coraggio di farlo, lo fece in grande stile.

Un giorno ne ebbe semplicemente abbastanza.

Non voleva più essere un segreto.

Non voleva più stare nascosta.

Voleva uscire e farsi vedere dalla gente.

Che provassero pure a dirle qualcosa, ci avrebbe pensato lei a farsi rispettare.

Era abituata a sentirsi criticare, ma stavolta non sarebbe finita in un bagno a piangere.

Avrebbe smesso anche di indossare vestiti, perché non mostrare al mondo la sua nuova pelle?

Fu con quei pensieri che decise di scendere in salotto.

Trovò suo padre seduto sul divano, con il volto nascosto tra le mani e una bottiglia vuota sul tavolo, l'odore d'alcol e di chiuso rendevano l'aria irrespirabile.

Lo guardò indecisa sul da farsi, attendendo che fosse lui il primo a muoversi, il primo a parlare.

Finalmente parve notarla anche se non la guardò “Cosa ci fai qui? Non ti avevamo detto di restare in camera tua?”

“Ho deciso di non tornarci più.”

“Cosa?” finalmente si degnò di guardarla.

“Mi hai capito benissimo, sono stufa di rimanere nascosta qui. Non sono malata e lo sai bene.”

In tutta risposta l'uomo scoppiò a ridere “E dove vorresti andare, fuori? Ti sei vista ultimamente?”

“Sì e non mi importa.”

“Non ti importa...” mormorò lui sovrappensiero per poi sospirare come sconfitto “Non ho voglia di discuterne ora, vai di sopra Raven.”

“Non chiamarmi così.”

“E' il tuo nome.”

“Non più. Raven è morta e io farò quello che mi pare.”

La bottiglia si schiantò poco lontano dalla sua testa, lasciando una macchia più scura sulla carta da parati, i cocci caddero a terra poco lontani dai suoi piedi.

“Nonostante il tuo aspetto sei ancora mia figlia e mi porterai rispetto come tale!Adesso va' di sopra!”

In tutta risposta Raven incrociò le braccia sul petto e rimase immobile, fissandolo in sfida “Altrimenti?” pronunciò con lentezza.

“Perché fai così? Non ti basta quello che ci hai fatto passare? Non ti bastano le domande dei vicini? Le bugie, le scuse? Tua madre piange ogni giorno, io non so più cosa fare, ogni giorno ci svegliamo con l'incubo che qualcuno ti veda, che qualcuno scopra cosa sei diventata!”

“E cosa sarei diventata?”

“Non farmelo dire, Raven.”

“Un mostro? E' questo che intendi?”

Non ci fu risposta e il silenzio valse più di ogni parola, se c'era una piccola parte di lei che ancora amava suo padre, morì in quell'istante.

“Ora basta” sibilò velenosa “Sono stanca di voi e della gente, sono stufa di vivere in funzione degli altri, di sentirmi dire che non vado bene. Questo è il mio aspetto che lo vogliate o no e sai una cosa?A me piaccio così! Andatevene tutti al diavolo!”

Uscì correndo dal salotto, salì in camera sua a prendere la borsa che aveva preparato per andarsene, ma vedere quei vestiti, quei soldi, tutta quella roba che non era sua, che non le apparteneva, la fece infuriare ancora di più.

La gettò contro il muro in preda alla collera.

Non avrebbe preso niente con sé.

Non aveva bisogno di loro e dei loro soldi.

Sarebbe vissuta con le sue sole forze.

Suo padre la trovò lì, in piedi in mezzo alla stanza, col corpo teso nell'ira.

“Che vuoi ancora?” gridò voltandosi in preda alla rabbia, ma si bloccò nel vederlo.

L'immagine che mai avrebbe scordato in tutta la sua vita.

L'immagine dell'ultimo tradimento.

Suo padre se ne stava in piedi con una pistola in mano e il volto rigato di lacrime “Cerca di capirmi” sussurrò con voce rotta “E' meglio che sia io a farlo, prima che qualcuno ti faccia di peggio”

La confessione di un pazzo, di un uomo che credeva di amarla e l'avrebbe uccisa per quell'assurdo sentimento.

Le sparò due volte, la prima mancò il colpo e la seconda il suo addome prese fuoco. Fu colpa sua, troppo goffa, troppo lenta, non riuscì a reagire in tempo, ad afferrare la lampada dal tavolino e a spaccargliela sulla testa prima che la colpisse.

L'uomo perse i sensi sul colpo rovinandole addosso.

Raven si tirò su ansimante, con gli occhi pieni di lacrime e un dolore terribile in tutto il corpo, il sangue usciva copioso, ma non si sarebbe arresa, non sarebbe morta lì.

Avrebbe dimostrato al mondo cosa poteva fare un mostro come lei.

Si trascinò fuori dalla stanza e giù per le scale, scivolò lungo la parete reggendosi su gambe tremanti fino alla porta.

'La prima volta che esco in chissà quanto tempo e guarda come sono ridotta' pensò tra sé e quasi le venne da ridere all'ironia del momento.

Si lasciò cadere nel vicolo dietro casa sua, tra i bidoni dell'immondizia, sperando che suo padre non venisse a cercarla, sperando che sua madre non tornasse ancora da lavoro, sperando che qualcuno la aiutasse...

Rifiutando di trasformarsi perché iniziare la sua nuova vita nella menzogna non avrebbe avuto senso, che importanza aveva uscire di prigione se poi ci si nascondeva lo stesso?

No, preferiva morire piuttosto.

E probabilmente sarebbe stato così se lui non fosse arrivato.

Il suo salvatore.

Il suo mentore.

I bidoni sembrarono muoversi da soli, spostandosi attorno a lei e creando un passaggio.

Raven li guardò con stupore.

“Ma guarda cos'ho trovato” un ragazzo dai corti capelli neri e gli intensi occhi azzurri la guardava con interesse “Sembra che qualcuno abbia abbandonato un gatto ferito. Ebbene, visto che non ti vogliono più, cosa ne pensi di venire con me?”

Fu così che Eric la prese con sé.

Curò le sue ferite e le insegnò a controllare il suo potere.

Le insegnò ad essere orgogliosa di ciò che era e la chiamò Mistica, perché tutti i mutanti hanno un nome e anche lei ne meritava uno.

Le insegnò a combattere e a difendersi, la tenne al suo fianco trattandola da pari, usandola per i suoi scopi, certo.

Lo sapeva bene, non era certo una stupida, ma non le era mai importato.

Perché Eric aveva bisogno di lei, la riteneva indispensabile, la riteneva unica e questo era più di quanto mai avesse desiderato per sé.

Ma ovviamente anche quella gioia era destinata a svanire.

Alla fine anche Eric l'aveva abbandonata, ormai non aveva più bisogno di lei.

E come dargli torto? Una mutante curata... cosa se ne faceva Magneto di una così tra le sue fila?

Eric voleva solo Mistica, non Raven e Mistica era morta con la cura.

Non sei più una di noi.

Le parole le rimbombarono nella mente risvegliandola dall'incubo che continuava a perseguitarla da mesi.

Raven si mise seduta con le mani tremanti e il cuore martellante nel petto.

Accese la luce e guardò nella stanza come per assicurarsi di essere davvero da sola.

Non faceva che sognare del passato da quando era tornata umana.

Non sei più una di noi.

Certo le cose erano diverse adesso.

O potevano esserlo... forse se avesse parlato con Eric per solo un paio di minuti.

Il fatto era che Mistica era stata forgiata da Magneto, era nata per lui, aveva combattuto e vissuto per lui e adesso non era più sicura di voler combattere se significava farlo da sola, ma Eric non l'aveva cercata perciò non voleva più nulla a che fare con lei.

E Mistica non poteva cercare Eric perché... perché lo odiava.

Mistica non conosceva la parola perdono, non sapeva come darlo, non era nella sua natura.

La sua natura era la vendetta.

Era la rabbia, la collera, l'orgoglio.

Non poteva chiedere ad Eric di riprenderla con sé, sarebbe stato come ammettere che le importava qualcosa di lui e non era vero.

Inoltre non poteva dimenticare il suo tradimento e fare finta di niente.

Avrebbe dovuto vendicarsi.

Non poteva rischiare di trovarselo davanti ed essere consumata dalla rabbia che, lo sapeva, albergava nel suo cuore, avrebbe finito con l'ucciderlo... e lei non voleva fare del male ad Eric.

Non sei più una di noi.

Quanta distanza c'era tra la rabbia e il dolore?

Non lo sapeva, non lo capiva.

Gli mancava Magneto eppure voleva che soffrisse.

Voleva proteggerlo dai suoi nemici eppure voleva vederlo distrutto.

Non sei più una di noi.

Raven fissò la mano ricoperta da lucida pelle squamosa... già le cose adesso sarebbero potute tornare come prima, ma il problema era che lei non otteneva mai nulla gratuitamente.

Un lieve formicolio e la pelle tornò 'normale', rise al pensiero.

Alla fine era di nuovo prigioniera, ma stavolta nessuno sarebbe accorso in suo aiuto.

Perché Mistica viveva per Magneto, ma adesso non gli serviva più.

Perché Mistica era troppo pericolosa, troppo selvaggia e indomabile per essere lasciata libera come prima.

Perché Mistica non sapeva come concedere il perdono ad Eric, perciò era meglio che restasse nell'oblio.



Next: Finalmente alla scuola per mutanti!

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Capitolo 3
*** Logan ***


Ringraziamenti: Grazie a Goku94, Thembra, Only-a-illusion e Cicciolgeiri per i loro commenti, sono felice che Mystica vi sia sembrata azzeccata. E' una delle mie preferite tra gli x-men!Continuate a sostenere la mia storia!!E naturalmente grazie anche a tutti coloro che la leggono in silenzio!


Note: Mi dispiace per la lunga attesa, ma dovevo studiare per gli esami. Per fortuna adesso ho finito e posso dedicarmi di più alle mie storie...Questo capitolo mi ha creato più problemi di quanto pensassi, all'inizio doveva essere dal pov di Bobby, ma poi Logan si è imposto...


Cap.3: Logan.


Era notte alla scuola per mutanti Xavier. Tutti gli studenti stavano già dormendo ed ogni cosa era avvolta dal silenzio.

Al terzo piano, in una stanza isolata da tutte le altre, Logan se ne stava seduto sul davanzale della finestra con un sigaro spento in bocca e una bottiglia mezza vuota di birra in mano.

Tempesta lo aveva convinto a rimanere lì in qualità di insegnante.

Ancora non capiva come si fosse lasciato convincere, forse era stato lo sguardo supplichevole della donna o la menzione delle tante perdite subite dal corpo insegnanti, ma qualcosa gli diceva che l'intervento di Rogue aveva avuto un peso decisivo nella sua scelta.

Così adesso era insegnante di educazione fisica, l'unica materia che aveva accettato.

Tempesta aveva provato a scaricargli letteratura inglese, inutile dire che le aveva riso in faccia.

Lui a insegnare Shakespeare e Wordsworth? Ridicolo.

Certo, la nuova preside non aveva preso bene il suo rifiuto così sfacciato e l'aveva punito in modo a dir poco crudele, nonostante si ostinasse a negarlo.

Dal giorno successivo tutti sapevano che Bobby Drake era stato nominato professore di letteratura inglese.

Strana coincidenza, no?

Adesso il moccioso si sentiva in diritto di dargli del tu e sbattergli in faccia la sua relazione con la ragazzina di continuo.

Crescendo era diventato ancora più insopportabile, cosa che aveva del miracoloso in sé.

Marie sembrava non considerarlo tale purtroppo... e nemmeno Tempesta.

Ogni volta che rispondeva a dovere a qualche provocazione di quel Bobby ( perché era sempre lui a cominciare) una delle due era sempre pronta a rimproverarlo, neanche fosse un bambino!

Lascialo stare Logan, non ti vergogni a prendertela con qualcuno che ha meno della metà dei tuoi anni?”

Logan, vuoi lasciar perdere il mio ragazzo? Se continui così penserò che sei geloso!”

Da quando aveva ottenuto la cura e perso i suoi poteri la ragazzina era a dir poco raggiante.

All'inizio del nuovo anno scolastico in molti avevano messo in dubbio la sua permanenza lì, non essendo più una mutante in effetti Marie aveva ben pochi motivi di rimanere all'istituto, ma Tempesta non voleva lasciarla andare e aveva offerto un posto da insegnante anche a lei.

Scelta più che azzeccata.

La sua classe di storia era una delle più amate dagli studenti, sembrava che insegnare fosse la sua vocazione, lo stesso Logan una volta era rimasto accanto alla porta ad ascoltare una sua lezione e ne era rimasto affascinato.

D'altronde, parlare tanto era uno dei maggiori passatempi dela ragazzina, lui lo sapeva bene.

Quello e stare con 'il suo fidanzato' sembrava.

Nel giro di sei mesi quei due sembravano aver recuperato anni di vita persi.

Non facevano che stare appiccicati, ormai erano lo zimbello degli studenti.

Non biasimava Rogue, la ragazzina ne aveva passate di tutti i colori, se c'era qualcuno che meritava un po' di serenità era proprio lei.

No, era quel Bobby che non poteva soffrire.

Lui e le sue mani lunghe, non capiva che la ragazzina era ancora troppo giovane?

Non capiva che correvano troppo?

Passi per gli abbracci, il tenersi per mano, lo stare seduti appiccicati su un divano enorme con quaranta gradi all'ombra, i baci ( che comunque potevano risparmiarsi ), ma non gli sembrava di esagerare?

E perché Marie non gli metteva un freno? A lui e ai suoi ormoni chiaramente impazziti.

Bobby era pur sempre un adolescente e gli adolescenti sono pericolosi.

Lui lo sapeva bene, fin troppo.

E se il moccioso si fosse spinto oltre?

Se avesse fatto pressioni di qualsiasi tipo a Marie e questa, ancora insicura di sé, avesse ceduto per paura di perderlo?

Non era una teoria così folle.

Marie aveva già vent'anni certo, ma sentimentalmente ne aveva molti di meno.

Aveva baciato un solo ragazzo prima di Bobby e lo aveva mandato in coma, non certo classificabile come esperienza. Era una bambina in quel senso...ed era compito suo proteggerla.

Il problema era che non poteva iniziare un discorso simile con Marie, l'avrebbe imbarazzata (per non parlare di se stesso) e a Bobby non voleva mettere idee strane in testa, poteva provarci solo per fargli un dispetto... il vile mostriciattolo.

Sorrise compiaciuto al nomignolo che si era inventato per il ragazzo, una delle sue migliori creazioni.

Anche Bobby mille tentacoli non era male, peccato non poterli usare ad alta voce.

Marie e Tempesta non avrebbero apprezzato purtroppo, non avevano il minimo senso dell'umorismo.

Un grido improvviso lo riscosse dai suoi pensieri.

Logan saltò su subito, la bottiglia gli scivolò dalla mano infrangendosi a terra e lasciando una chiazza più scura sul pavimento riempiendo la stanza dell'odore acre della birra versata.

Storse il naso per il fetore, coi suoi sensi più sviluppati era quasi insopportabile.

Ascoltò con attenzione i rumori della scuola, ma tutto restò immobile.

Nessuno sembrava essersi svegliato, nessun rumore di passi o voci... che si fosse immaginato tutto?

Dopo qualche minuto di tensione si rilassò, forse qualcuno aveva acceso una televisione, era già accaduto in passato che si fiondasse in camera di qualche studente con gli artigli sfoderati... Tempesta gli aveva fatto una ramanzina di ore su come ragionare prima di terrorizzare gli studenti... che esagerata.

Sospirando si passò le mani sul volto, forse era solo un po' stanco, era meglio dormire un paio d'ore. Sperando di non essere visitato dai soliti incubi.

Aveva appena fatto due passi verso il letto quando un altro grido, stavolta più forte e spaventato del primo, attraversò la scuola facendogli accapponare la pelle.

Conosceva quella voce.

Col sangue che gli rimbombava nelle orecchie, Logan corse fuori dalla stanza e giù per le scale che lo dividevano dagli altri insegnanti, per una volta maledicendosi per il suo bisogno assurdo di privacy.

Arrivato alla stanza giusta spalancò la porta con forza “Marie!” ma rimase bloccato sulla soglia.

Rogue era rannicchiata sul letto col volto rigato dalle lacrime.

Aveva i capelli arruffati e la maglia del pigiama sbottonata, quando lo vide si coprì tremante col lenzuolo.

Logan sentì una strana furia scorrergli nel sangue a quella vista.

“Logan...” squittì spaventata “io... Bobby...”

Nel sentire quel nome pensò con soddisfazione che finalmente avrebbe ucciso il ragazzo e Tempesta non avrebbe avuto nulla da rimproverargli questa volta, perché era chiaro cos'era successo lì, giusto?

A quel pensiero un' altra ondata di calore lo attraversò facendogli estrarre gli artigli.

L'avrebbe squartato...tanto per iniziare, poi chissà...sarebbe andato ad istinto....

“Dov'è lui?” sibilò con voce roca per la rabbia.

Rogue indicò tremante l'altro lato del letto “Io non volevo Logan, mi dispiace così tanto... “

L'avrebbe fatto a pezzi.

Con furia, Logan attraversò la stanza, girò intorno al letto e trovò la sua preda riversa a terra, chiaramente la ragazzina l'aveva messo fuori combattimento.

Ben ti sta piccolo verme... e questo è solo l'inizio, te lo garantisco.

“Marie... Logan, cosa è successo?”

Tempesta, Kitty e alcuni altri studenti comparvero sulla porta, chiaramente attratti dalle urla di poco prima.

Logan cercò le parole giuste per rispondere, doveva dire la verità a Tempesta, ma non voleva neanche che tutta la scuola sapesse gli affari della ragazzina, inaspettatamente fu Rogue stessa a rispondere.

“Noi stavamo...stavamo...” si interruppe per cercare di riprendere fiato “Ci stavamo baciando, non so com'è successo, all'improvviso mi sono sentita come se avessi di nuovo i miei poteri, come se stessi assorbendo B-Bobby, ma non riuscivo a fermarmi e Bobby si è messo a gridare, così l'ho lasciato ed è caduto a terra... mi dispiace! Io non volevo! Non pensavo potessero tornare! Credevo di essere guarita!” concluse scoppiando a piangere.

Tempesta annuì e corse subito accanto al ragazzo controllandone le condizioni fisiche, Kitty subito dietro di lei, pallida e spaventata.

Logan rimase dov'era, incapace di reagire.

Aveva preso un abbaglio, questo era chiaro.

Aveva reagito irrazionalmente, normale visto che si trattava della ragazzina.

Quando si trattava di lei chissà perché il cervello non gli funzionava più tanto bene, ma dannazione... chi poteva pensare che i suoi poteri tornassero così all'improvviso?

“Logan noi portiamo Bobby in infermeria, pensa tu al resto va bene?”

Tempesta gli fece un cenno verso Rogue, al quale annuì lievemente, ed uscì aiutata da uno degli studenti a portare via Bobby lasciando lui e Marie da soli.

“Logan... starà bene?” sussurrò lei con voce tremante.

“Sì, non preoccuparti...”

Almeno spero... pensò tra sé.

In realtà il ragazzo sembrava in pessime condizioni, ma ad essere sincero, adesso non sembrava certo la cosa più saggia da dire.

Marie era ancora sul letto, i singhiozzi disperati di poco prima avevano lasciato posto a un pianto silenzioso e, in qualche modo, più orribile del precedente.

Sospirando, Logan andò a sedersi al suo fianco e la avvolse completamente nel lenzuolo, stando attento a non toccarla la trascinò verso di sé e l'abbracciò.

“Coraggio...“ le disse “Andrà tutto bene.”

“Logan... perché succede sempre a me? Me lo merito?”

“No ragazzina, nessuno merita una cosa simile e tu meno di tutti... credimi.”

Credimi.


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Capitolo 4
*** Rogue ***


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Disclaimers: Nel primo capitolo.

Cap.4: Rogue.

In corsivo i pensieri.

Seduta davanti allo specchio, nella stanza in penombra, Rogue si asciugò le lacrime per l'ennesima volta.

Negli ultimi giorni tutte le sue energie sembravano essersi concentrate in quell' unico gesto.

I suoi occhi stanchi e arrossati erano testimonianza del grande dolore che le lacerava il petto impedendole perfino di respirare, tanto era forte.

Eppure sapeva che doveva riuscire a farsi coraggio.

Doveva alzarsi e affrontare gli altri.

Almeno quel giorno.

Lo doveva a se stessa e a lui... soprattutto a lui.

''Assassina! Come hai potuto farlo? Si fidava di te!''

Scosse la testa nel vano tentativo di scordare quella voce, quegli insulti cosí dolorosi quanto veri.

Kitty non c'era certo andata leggera con lei.

Ma, in fondo, perché avrebbe dovuto?

Ogni sua parola era stata meritata.

In verità avrebbe meritato anche di peggio, ma come al solito Tempesta e Logan si erano intromessi  per difenderla.

Stupidi... tutti e due.

Non era la prima volta che faceva del male a qualcuno che amava.

Non era la prima volta che la chiamavano mostro o assassina.

L'unica differenza era che stavolta aveva superato un limite pericoloso.

Questa volta non c'era modo di tornare indietro, non c'era conforto o perdono possibile.

Stavolta era davvero diventata un azzardo per chiunque le stesse accanto.

Per chiunque fosse cosí sciocco da volerle bene.

Lo sapeva bene, lo aveva sempre saputo, ma aveva fatto finta di nulla.

Aveva finto di potersi controllare, di poter sfuggire alla condanna che il destino le aveva imposto, ma la verità era che non c'era via di fuga e adesso era troppo tardi per aggiustare le cose.

Non importava che Tempesta l'abbracciasse per dimostrarle che non aveva paura e le ripetesse che non era colpa sua, che non poteva saperlo.

Lei non capiva, non fino in fondo.

E Logan...

Che aveva provato la sua stessa sofferenza, la solitudine.

Lui poteva capire il suo bisogno di restare sola, di allontanarsi dagli altri per proteggerli, ma anche lui si rifiutava di farlo.

Accecato dal suo affetto, vedeva solo la ragazzina di pochi anni prima, spaventata e infreddolita, ma non era piú la stessa persona.

Qualcuno bussò alla porta, ma lei non rispose.

Sapeva già chi era.

Si era fatto tardi, doveva prepararsi e uscire, ma non trovava la forza per riuscirci.

Logan la chiamò, bussando ancora alla porta.

Di nuovo Marie non rispose.

Non era che Logan la infastidisse, anzi... ma era proprio questo il problema.

Per molte ragioni diverse.

In parte la faceva sentire a disagio averlo sempre intorno pronto a difenderla se qualcuno la offendeva, sempre a fissarla con quell'aria preoccupata e incerta, come se avesse paura di dire la cosa sbagliata distruggendola definitivamente.

Era strana questa sua affidabilità.

Logan era uno di quegli uomini sempre pronti a combattere per difendere chi amano, ma  incapaci di affrontare un qualsiasi problema sentimentale.

Posto davanti alla parola emozione, Logan fuggiva veloce come il vento e. quando tornava. lo faceva come se nulla fosse accaduto in passato.

Eppure stavolta le era rimasto accanto.

Impacciato nelle parole e nei gesti, incapace di trovare il modo giusto per aiutarla, per alleviare il suo dolore, ma sempre lí... vicino a lei.

Forse anche Logan poteva crescere.

A quel pensiero si lasciò sfuggire un piccolo sorriso amaro.

Era un peccato che avesse deciso di crescere proprio ora... quando ormai era tardi per ogni cosa.

Lo sguardo le cadde sulla piccola scultura di ghiaccio che Bobby le aveva regalato il suo primo giorno alla scuola per mutanti .

''Io sono Bobby, tu come ti chiami?''

Per un istante assaporò la gioia di quel momento, quando aveva creduto di aver finalmente trovato il suo posto nel mondo.

Il sogno di una bambina ingenua...

"Marie? E' tardi."

La voce di Logan le arrivò inaspettatamente vicina, sussultando lo vide attraverso lo specchio.

Di nuovo quello sguardo preoccupato.

In silenzio annuì, ma rimase seduta.

Non si fidava della sua voce, non voleva scoppiare a piangere davanti a lui...non di nuovo.

Aveva sempre desiderato mostrarsi forte, indipendente.

Voleva che Logan la ammirasse per quanto era cresciuta.

Voleva che finalmente la riconoscesse per ciò che era: una donna.

E invece si ritrovava sempre a dover essere salvata da lui. 

E ormai era troppo tardi perché Logan la vedesse in qualsiasi altra luce.

"Marie?" le posò le mani sulle spalle, lentamente, con attenzione.

Probabilmente per paura di spaventarla, forse per paura di toccare la sua pelle traditrice, pensare che poteva ucciderlo con cosí poco... lui che era sopravvissuto a cosí tanto.

Sospirando indossò i lunghi guanti di velluto nero che aveva sotterrato in fondo ad un cassetto con la speranza di non vederli mai piú.

Le mani si strinsero rassicuranti intorno alle sue spalle prima di lasciarla andare.

Rogue si alzò facendogli cenno di precederla.

Logan sembrò sul punto di dirle qualcosa, ma come ogni volta, perse il coraggio ed uscì in silenzio.

Marie non era stupita, né delusa.

Con gli anni aveva scoperto tutte le sue stranezze, tutte le contraddizioni e si era irrimediabilmente affezionata a ciascuna di esse.

Aveva imparato a capirlo senza bisogno di parole, perché gli occhi di Logan parlavano molto di piú delle sue labbra.

E sapeva cosa cercava di dirle da mesi, da giorni....

                                                              ....ormai era troppo tardi per ascoltarlo.

Era troppo tardi per far nascere qualcosa che una volta aveva desiderato con tutta se stessa, ma che ormai la faceva sentire marcia dentro.

Logan era stato il suo sogno.

Il primo vero amore.

Quello a prima vista, che ti scuote dentro e che rimane nel cuore per sempre.

Si era innamorata del suo dolore, della sua malinconia, di quel peso che sembrava portarsi sulle spalle ovunque andasse e aveva desiderato condividere quel peso per rendere piú serena la sua esistenza.

Aveva sognato di avvicinarsi a lui, di essergli amica e, forse un giorno, qualcosa di piú.

Ma le loro strade non erano fatte per unirsi.

Si incontravano, sì.

Si intrecciavano decine di volte, ma non si legavano... mai.

Cosí era arrivata Jean coi suoi unici poteri, con la sua forza, bellezza, perfino intelligenza.

Lei era ciò che ogni donna desiderava diventare.

Tutto ciò che Rogue sentiva di non essere.

Perciò si era fatta da parte, aveva guardato mentre Logan si innamorava di un'altra, ingoiando l'invidia e la delusione, ripetendosi che andava bene anche cosí, che un giorno, forse, Logan si sarebbe accorto anche di lei.

Ma non era accaduto.

Logan se ne era andato lasciandola da sola con una ferita troppo profonda da curare e le loro strade si erano divise ancora una volta.

Bobby era arrivato allora.

Come il classico principe azzurro, si era fatto spazio nella sua vita e nel suo cuore diventando indispensabile come l'aria che respirava.

Col suo aiuto la piccola Marie era cresciuta mettendo da parte il suo sentimento per Logan, convincendosi che fosse solo una cotta infantile.

E quando Logan era tornato, ad attenderlo c'era una donna.

Ma Logan ancora non riusciva a vederla, troppo accecato dalla bella Jean.

Cosí, ancora una volta, Rogue si era fatta da parte, stavolta per sempre... sarebbe stata sua amica, lo avrebbe aiutato e confortato, ma aveva capito ed accettato che il suo sogno non era destinato ad essere realtà.

Lentamente Bobby aveva preso il posto di Logan e lei era stata felice.

E, quando Jean era morta, aveva cercato di aiutare Logan, ma non era tornata sui suoi passi perché ormai era Bobby il suo futuro.

Attorno a lei il vociare sembrò farsi piú intenso strappandola ai suoi pensieri per rigettarla in quella realtà fatta di sguardi impauriti e carichi di rabbia.

''Cosa ci fa ancora qui?''

''Non la terranno come insegnante?''

''Non posso credere che sia venuta''

Dalla parte opposta del largo cerchio di ragazzi, Kitty la fissò piangendo.

Rogue tremò lievemente di fronte a quello sguardo carico d'odio, ma non distolse gli occhi.

No, voleva tenerlo impresso nella mente.

Voleva ricordare ciò che aveva fatto.

Ciò che era davvero.

La mano di Logan si strinse attorno alla sua, ma la ragazza non ricambiò la stretta.

Eppure nonostante i suoi sforzi, quel piccolo gesto fu sufficiente a darle coraggio, a riscaldarle il cuore.

"Andrà tutto bene ragazzina, vedrai."

Come scottata Rogue si sottrasse al contatto e si allontanò di un passo da Logan  ignorando il suo sguardo ferito.

Non ce l' aveva con lui, non voleva fargli del male... ma ormai era tardi per tutto questo.

''Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare...''

Kitty singhiozzò tra le braccia di Tempesta mentre la donna, con gli occhi lucidi, cercava inutilmente di trattenere il suo dolore.

''Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male perché tu sei con me...''

I ragazzi scoppiarono in lacrime attorno a lei, mentre in cielo il sole continuava a brillare come prendendosi gioco di tutti loro.

Rogue sentí le lacrime scivolarle sulle guance, ma non emise alcun suono.

Non piú....

''Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita...''

Ormai era tardi per ogni cosa.

Perché la strada di Bobby era stata cancellata per sempre e nessuno avrebbe mai potuto rimediare a questo.

I suoi sciocchi sogni infantili non avevano piú senso.

Non erano piú giusti.

Per questo doveva andarsene.

Separare per sempre il suo destino da quello di Logan, anche se questo le avrebbe provocato un terribile dolore.

Anche se questo avrebbe ferito profondamente Logan.

Perché ormai era tardi per ogni cosa....

Ormai Bobby Drake non esisteva piú e tutto a causa della sua orribile mutazione....

''...e abiterà nella casa del Signore per lunghissimi anni.....''

Tbc...

Note: grazie a tutti quelli che hanno lasciato un commento!E grazie a tutti quelli che leggono senza commentare, spero che la storia continui a piacervi!

La morte di Bobby non era in progetto,all'inizio doveva stare con Kitty,ma proprio non riuscivo a scrivere il capitolo...lo trovavo troppo scontato e anche cattivo verso Bobby..:P...che ne pensate della mia scelta?

A parte questo mi scuso per la lunga attesa, il prossimo dovrebbe arrivare piú in fretta visto che per metà è già scritto!!

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