All the small things

di Sorella_Erba
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. And I thought to myself “Man, I wish I had those pants!”. ***
Capitolo 2: *** 2. A dog that will fetch a bone, will carry a bone. ***
Capitolo 3: *** 3. Maybe - Merlin, you know that conversation we had about knocking... ***



Capitolo 1
*** 1. And I thought to myself “Man, I wish I had those pants!”. ***


All the small things.
{ Tanti, troppi diversi modi per provarci.

  1. And I thought to myself “Man, I wish I had those pants!”.

Era entrato nella camera, turbolento, sorprendendo l’inserviente che era trasalito per l’improvvisa incursione. Via la casacca, via la maglia, gettate alla rinfusa sul letto.
«Li vedi questi?». Batté le mani sulle cosce, sorridendo maligno.
Merlin fece l’espressione più stanca che i suoi lineamenti gli permettessero; ma Arthur non era mai stato un tipo accondiscendente, né dal cuore friabile e dall’animo sensibile.
«Sono sporchi. Umidi». Fece una pausa che lasciò Merlin perplesso. «Bagnati, non so se mi spiego».
«Credo di sì, sire, ma…».
Arthur si avvicinò, con passi misurati, attenti, il ghigno perennemente sulle labbra. Intrappolò quel corpo gracile con estrema facilità, come un predatore con il suo pasto.
«Bene. Toglimeli».

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Capitolo 2
*** 2. A dog that will fetch a bone, will carry a bone. ***


2. A dog that will fetch a bone, will carry a bone.

« Domattina si va a caccia, Merlin », aveva detto Arthur, tutto esaltato, entrando nelle sue stanze e posando sul tavolo spada e scudo. « Vedi di non romperti l’osso del collo inciampando in qualche radice ».
« Non lo farò, sire ». E come al suo solito, Merlin aveva ribattuto con la risposta sbagliata. O meglio, sbagliata in rapporto a ciò che pensava realmente. Se fosse stato un suo maledetto pari, gli avrebbe di certo risposto di star attento al suo, di collo.
Anche se, per quello, c’era già lui.
All’inizio era sembrato tutto fin troppo stravagante e Merlin si era sentito completamente estraneo alla situazione: trovarsi da solo, in una camera in compagnia di Arthur – proprio lui, quel principe ereditario sfrontato e presuntuoso che non riusciva a stimare come proprio destino – lo aveva gettato nella più profonda confusione, avendo sentito montare nel petto una sensazione di disagio che gli aveva pervaso tutto il corpo fino a bloccargli i muscoli. Ogni movimento, anche il più semplice, era risultato essere arduo, e puntualmente Merlin aveva finito per rovesciare qualcosa sul pavimento. E questo, aveva mandato il principe fuori dai gangheri per un numero infinito di volte.
Ripiegò con un sospiro l’ultima maglia e la pose sulla pila che aveva ordinatamente messo su quel pomeriggio, dentro l’armadio, dopo aver sgombrato la tavola dai resti del pranzo, rassettato il letto, spazzato il pavimento, spogliato il principe dell’armatura e portatogli la cena.
Ora, era diverso – lievemente diverso, ma pur sempre costituiva un passo avanti. Le cose erano cambiate e il loro rapporto era migliorato. Se prima c’erano state unicamente parole taglienti sulle loro lingue e scontrosità nei loro sguardi, adesso almeno riuscivano a convivere per l’intero arco di tempo in cui Merlin doveva svolgere i suoi compiti da servitore, senza troppe discussioni. Anche se Arthur, forte della sua posizione preminente, spesso stuzzicava il suo servo con battutine sferzanti, e l’unica cosa che Merlin poteva fare era mordersi la lingua per non ribattere pesantemente.
Circostanze, quelle, molto simili all’attuale.
« Avrei finito con le vostre vesti », informò Merlin, chiudendo l’armadio e voltandosi a fronteggiare il principe.
Arthur, seduto sul seggio davanti al camino, a contemplare le fiamme, un bicchiere di vino stretto in mano, annuì col capo. « Bene ».
Merlin asserì a sua volta, scuotendo la testa e mugugnando. « Be’, col vostro permesso, vorrei ritornare da Gaius… ».
« Ma certo, va’ ».
Merlin batté le mani e sorrise, sospirando di sollievo. « Perfetto, buonanotte sire ».
Non attendeva risposta, tant’è che si era lanciato verso la porta veloce come una saetta. Stava per chiudersela alle spalle, degustando già il piacere di un pasto caldo e di un buon bagno, quando Arthur lo richiamò. Merlin trattenne un’imprecazione a stento, alzando gli occhi al soffitto prima di immettere la testa scarmigliata nell’apertura fra la porta e l’asse.
« Sì? ».
Arthur spostò lo sguardo dal camino per adocchiarlo; per un momento, Merlin vide baluginare nei suoi occhi una strana scintilla.
« Domani staremo tutta la giornata fuori », avvisò il principe. « Tutta. Ho qualcuno da presentarti, non so se hai avuto già il piacere di conoscerlo ».
Merlin aggrottò la fronte, confuso, non capendo dove volesse andare a parare Arthur con quella discussione.
« Ah, vattene a dormire ».



Merlin sospirò stancamente, la mano ancora stretta attorno al pomello della porta.
Se n’era andato. Chiaro l’avesse fatto, visto che la stanza era vuota, silenziosa e pure sottosopra. Al solito, giubbe di diverso colore erano state accatastate sopra le lenzuola disordinate del letto e i resti del cibo della sera precedente erano stati dispersi sulla superficie dell’intero tavolo – e il tavolo, c’è da dire, era abbastanza spazioso. Arthur non mostrava mai quel decoro che era solito esibire durante i ricevimenti o le cene in compagnia del sovrano, mai, e il suo comportamento da padrone pretenzioso significava solo lavoro in più per Merlin… per quanto Merlin si potesse affaccendare come un ossesso. Bastava solo che il principe si allontanasse per qualche ora che lui riusciva a finire lavori di lunga durata in poco più di una manciata di minuti.
Merlin tese una mano nel vuoto della stanza e mormorò parole incomprensibili in una lingua sconosciuta ai più: le vesti si riordinarono compostamente nell’armadio, le lenzuola avvolsero il letto, senza pieghe, e i resti del cibo si raccolsero sul vassoio che, al ritorno, Merlin avrebbe sceso nelle cucine. Soddisfatto, chiuse la porta e ritornò indietro, scendendo le scale e portandosi al cortile. Arthur senza dubbio si trovava nelle stalle, sbuffando in attesa del cavallo pronto e con la solita cricca di compagni che l’avrebbero accompagnato in quella divertente esperienza. Ma arrivato giù alle scuderie, Merlin stentò a credere a quel che aveva davanti: Arthur aveva già sellato ed imbrigliato il suo bianco stallone e ora stava gli strigliando la criniera; dei cavalieri di Arthur, peraltro, non c’era l’ombra.
« Ma… », cominciò Merlin, dubbioso. Arthur lo interruppe col solo sguardo.
« Meglio tardi che mai ».
« Non sono stato avvisato dei vostri spostamenti improvvisi, sire ».
Arthur sbuffò con voce acuta e Merlin udì, seppur non distintamente, le parole ‘spostamenti improvvisi’ ripetute a mo’ di presa in giro.
« Procurati un cavallo, Merlin. S’è fatto tardi ».
Merlin assentì silenziosamente all’ordine e si allontanò in direzione di un box.
« I vostri compagni…? », domandò, accarezzando il puledro scuro e sistemandogli le briglie attorno alla testa.
« Non sono affari tuoi, questi, o sbaglio? », fu la risposta del giovane Pendragon, che gli arrivò smorzata per via della distanza e delle pareti.
Merlin alzò gli occhi al cielo e, redini in mano, condusse in cavallo fuori dalla stalla.
« Ricordi cosa ti ho detto ieri sera? ».
L’inserviente sollevò lo sguardo dal suo lavoro, fermando la striglia sul manto del puledro. Arthur lesse curiosità nei suoi occhi e manco poco che gli scoppiasse a ridere in faccia.
« Dovevo presentarti qualcuno ».
Il principe lanciò un fischio breve ed acuto e Merlin guardò insicuro il sorriso che, in seguito, era spuntato sulla bocca di Arthur. Da fuori la stalla provenne un latrato inferocito e nel giro di pochi secondi Merlin dovette cercare qualcosa, un qualsiasi cosa gli permettesse di stare a qualche metro da terra.
Un cane, e non un cane normale – un piccolo, innocuo cagnolino – bensì un enorme Harrier, accorse al fischio di Arthur e si piantò davanti a Merlin mostrando i denti in una maniera che il ragazzo definì crudele.
« Questo è Brutus », ghignò allegro Arthur, le nocche poggiate ai fianchi e il petto in fuori, portandosi accanto all’animale.
E ti renderà la caccia un inferno, Merlin.



Durante la cavalcata in direzione della foresta, Merlin ringraziò mentalmente Dio per la geniale idea di creare i cavalli, mezzo di trasporto sicuro che sapeva tenere alla larga bestie ingrate quali i cani della stazza di quel Brutus.
Da parte sua, Arthur, qualche metro più avanti di Merlin, non poteva far altro che spassarsela più o meno apertamente: le espressioni del suo servitore, ogniqualvolta Brutus gli si avvicinava, erano da riportare su una tela per timore di dimenticarle.
Cosa che infastidiva alquanto Merlin – Arthur non faceva nulla per allontanare la bestia dall’inserviente. Piuttosto, faceva apprezzamenti sulle sue qualità di cattura, e Merlin non riusciva a trattenere brividi di terrore e disgusto.
« Ha un fiuto speciale per una specie altrettanto particolare, sai? », gli aveva detto Arthur, i capelli indorati dai colori dell’alba.
« Oh, davvero? E quale specie? ».
Il ghigno che gli si era allargato sul viso non aveva nulla, nulla di rassicurante.
« Lo scoprirai da te ».
Ora che erano arrivati, Merlin non se la sentiva proprio, di scendere. Arthur, con un balzo aggraziato, smontò dal suo cavallo e cercò un posto adeguato dove legarlo.
« Non scendi? », fece divertito al servo.
« Se magari teneste a bada… ». Merlin si pizzicò il labbro inferiore con gli incisivi ed indicò con un movimento della testa Brutus, accovacciato vicino alle radici di un albero.
« Oh, santo cielo, Merlin ».
Merlin mugolò un momento prima di simulare l’atto di scendere. A quella mossa, il corpo di Brutus scattò repentino sulle zampe anteriori, ponendosi in posizione di attacco.
« Ce l’ha con me, quell’affare ».
Arthur, allontanatosi per legare lo stallone, ritornò sui suoi passi sbuffando. Con entrambe le mani tenne fermo Brutus per il collare, mentre Merlin smontava dal puledro e andava a legarlo vicino al cavallo di Arthur. E mentre armeggiava con le briglie, tentando di allacciare un nodo, udì chiaramente il suono delle zampe di quel dannato cane, attutito dalle foglie secche sparse sul terriccio, e il suo fiato appesantito dalla corsa. Non riuscì a non urlare ai quattro venti un’imprecazione quando Brutus gli si gettò addosso di peso, scaraventandolo malamente a terra, percorrendo di schiena una distanza considerevole dal punto in cui era fermo prima.
La risata di Arthur fu il sottofondo meno appropriato per quella dolorosa scena.
Gli stivali del principe apparvero improvvisamente alla destra di Merlin, rosso in viso, mentre tentava di togliersi di dosso il peso di Brutus, invano.
« Calma, bello, calma ». Il tono della voce di Arthur era parecchio divertito. « Va’ a farti un giro, ora ».
Quel che aveva fatto Arthur e quello che, poi, fece Brutus lasciarono Merlin esterrefatto. Toccandosi con mani tremanti il petto ora libero di alzarsi ed abbassarsi ampiamente, il ragazzo guardò il suo padrone con sguardo allibito.
« Avete lasciato che- ».
Arthur si chinò su di lui e portò un indice alla bocca, sgranando teatralmente gli occhi e riducendo la bocca ad una morbida fessura tondeggiante.
« Sai qual è la specie preferita da Brutus? ».
Merlin continuò ad osservarlo incredulo con una smorfia sul viso.
« Quella degli idioti. Pronto a sopportare un altro peso addosso? ».

N/A.

Perdonatemi eventualmente se troverete degli errori, vado di fretta xD Vi ringrazio per le vostre righe, avete fatto la mia giuoia.

tinebrella – Iiiiooo, iooo! *O* Ormai lo sai anche meglio di me: ispirano proprio scene ridicole e sporcellose, questi due xD Ti adoro <3

harderbetterfasterstronger – Aw, grazie mille! Spero che quest’episodio sia stato altrettanto allettante del precedente xD

cainhx – Guarda, questa raccolta è stata scritta principalmente per soddisfare il mio schifoso desiderio di vedere Arthur che, nelle situazioni meno adatte, stuzzica l’appetito sessuale di Merlin. Sono un disastro, lo ammetto, ma che vogliamo farci. Saranno tutte così xD

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Capitolo 3
*** 3. Maybe - Merlin, you know that conversation we had about knocking... ***


  1. Maybe - Merlin, you know that conversation we had about knocking...
Double-drabble (215 words).
 
«Oh».
La prima cosa che avrebbe voluto (e forse dovuto) fare, era piantarsi due dita negli occhi. Già.
Non che mai avesse creduto (e forse pensato… o immaginato) che Arthur, Arthur Pendragon, non provasse un bisogno simile.
Era mattina, e si sa che la mattina è naturale ritrovarsi in fastidiose condizioni di visibile ardore. E il principe era umano, per quanto si sforzasse di mostrarlo il meno possibile. Un ragazzo. Come lui.
Poteva perfettamente capire.
«Mer… Merlin».
Solo che in quel momento era disteso fra le lenzuola scomposte, senza fiato (e forse non solo per via del suo non così inaspettato ingresso); aveva le guance umide e rosse, gli occhi lucidi e ancora sul viso impressa l’espressione stordita di chi s’è totalmente abbandonato alle proprie fantasie. E ragionare e capire diventava una vera sfida.
Merlin boccheggiò e tentennò un istante, prima di correre letteralmente fuori e lasciarsi Arthur dietro alle porte delle sue stanze.
 
 
«Non volevo. Mi dispiace».
Stranamente la cena, quella sera, sembrava avere un sapore gradevole. O forse era la situazione a rendere gradevolmente saporita la brodaglia preparata da Merlin.
«Se ti prendessi la briga di bussare… Ne abbiamo discusso molte, molte volte».
«Vedete, io… io non ho una buona memoria».
«Oh. Ho appena trovato il modo per fartelo ricordare».
Quel maledetto ghigno.
 
A Val, che mi manca tanto.
 
 
N/A.
 
Io… mh. Mi dispiace. Davvero ;_; Non ho scuse e perciò mi sto zitta, sperando che questo affarino (ispirato dalla battuta di Arthur nell’ultimo episodio della prima serie – Merlin, you know that conversation we had about knocking – usata anche nel titolo) riesca a far breccia e a farmi perdonare. Non so se ritornerò ad aggiornare con la stessa costanza (?) di un tempo: secondo trimestre, e gli esami di maturità si fanno sempre più vicini.
Ringrazio chi ha commentato la one-shot precedente e fuggo <3 Bacione!

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