InFAMOUS: The Darkness's Daughter II

di edoardo811
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pace, finalmente ***
Capitolo 2: *** A volte ritornano... di nuovo ***
Capitolo 3: *** Conti in sospeso ***
Capitolo 4: *** Punto di svolta ***
Capitolo 5: *** L'unione fa la forza ***
Capitolo 6: *** Amnesia ***
Capitolo 7: *** Progressi ***
Capitolo 8: *** Segreti ***
Capitolo 9: *** Jump City ***
Capitolo 10: *** Come un ago in un campo di fieno ***
Capitolo 11: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 12: *** La strada per il paradiso ***
Capitolo 13: *** Una nuova mansione ***
Capitolo 14: *** I Divoratori ***
Capitolo 15: *** Ma questa notte, balliamo ***
Capitolo 16: *** L'inferno in terra ***
Capitolo 17: *** Verità sconvolgenti ***



Capitolo 1
*** Pace, finalmente ***


Ok, non so nemmeno io cosa stia succedendo, ma sta succedendo. Se non l'avete fatto (so che lo avete fatto, ma lasciatemi seguire la procedura), leggete le storie prima di questa, che sono InFAMOUS: The Darkness's Daughter (prologue), InFAMOUS: The Darkness's Daughter e per finire lo spin-off, InFAMOUS: Wrong. Potete trovarle sulla mia pagina autore oppure nella serie apposita da me creata, nel giusto ordine. Sì, sono tre storie, ma purtroppo se volete capirci qualcosa qui avrete bisogno di recuperarvele, mi spiace. 

Non voglio rubarvi altro tempo. Buona lettura, credo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bene e male. Fin da bambini ci insegnano a distinguere l’uno dall’altro. Ci insegnano che noi dobbiamo seguire la via del bene e stare il più lontano possibili da quella del male. Ci insegnano che sono due poli completamente opposti, come il bianco ed il nero. Ci insegnano che non esistono punti di congiunzione, che dal bene non può nascere il male e viceversa. Beh... dopo tutti questi mesi, posso affermare con certezza che questa non è la verità.

Se il bianco ed il nero possono unirsi per formare il grigio, allora anche il bene ed il male possono farlo per creare un qualcosa che, ancora adesso, sfugge in parte alla mia comprensione. Questi due mondi completamente opposti, in realtà sono molto più simili di quanto non si possa credere. Chi siamo noi per giudicare qualcosa, definendolo "giusto" o "sbagliato"?

Perché ci comportiamo bene? Per le persone che amiamo. Per proteggerle, per aiutarle, per far sì che rimangano vicine a noi.

Perché ci comportiamo male? Per le stesse ragioni.

Felicità, amicizia, amore. Sono ciò che noi tutti agogniamo, giorno dopo giorno, mese dopo mese. La ricerca di essi è la ragione principale per cui noi viviamo, per cui noi troviamo la forza di alzarci dal letto ogni mattina, anche qui, in questo mondo distrutto, dilaniato dall’odio e dalla violenza in cui siamo stati catapultati senza preavviso. Sono i valori che ci spingono a non arrenderci mai e, soprattutto, quelli che ci rendono ciò che siamo: esseri umani. E l’essere umano non è perfetto. Tutti possiamo sbagliare, ma ciò non ci rende automaticamente cattive persone.

Con il bene possiamo fare il male, e con il male possiamo fare il bene. È tutta una questione di punti di vista. Le azioni che noi definiamo "sbagliate" di una persona in realtà possono celare dietro di loro uno scopo molto più nobile di quello che possiamo credere, e lo stesso discorso si può fare a parti invertite.

Ormai il confine tra bene e male si sta assottigliando sempre di più, e sta diventando davvero difficile riuscire a distinguere l’uno dall’altro. Non esistono più il bianco ed il nero, ma solo una grande scala di grigi e tocca a noi riuscire a capire se questi sono più spostati verso il primo colore oppure il secondo. È questa è una cosa che io per prima ho sperimentato sulla mia stessa pelle. Io stessa sono sempre stata un’incognita per me stessa. Una bomba sempre più pronta ad esplodere man mano che il tempo passava e tutte le mie speranze iniziavano lentamente ed inesorabilmente a morire. Mostro, Demone, Conduit, questi sono gli appellativi che mi hanno dato in questo lungo periodo. Mi hanno accusato di essere un pericolo, una minaccia per coloro che stavano accanto a me e anche per il mondo intero.

I poteri che ottenuto il giorno in cui la mia vecchia vita è stata trasformata in un lontano ricordo sono sempre stati un tabù, per me. Avevo paura di loro, ero terrorizzata, e per quanto potessero essere nobili le mie intenzioni, c’era sempre quel velo di preoccupazione che aleggiava su di me. Il terrore che loro potessero ribellarsi all’improvviso, che mi costringessero a compiere azioni di cui mi sarei pentita amaramente, il terrore che le persone che io amavo rischiassero la loro stessa vita per colpa mia.

Ed è ciò che successo. Tante persone sono rimaste coinvolte e per un momento anche le poche certezze che mi erano rimaste avevano vacillato. Ho affrontato incredibili difficoltà per colpa di essi, ho attirato molti pericoli sul mio percorso e il mio cammino è stato intralciato molte, troppe volte.

L’unica cosa che ho sempre desiderato era vivere una vita normale, circondata dalle persone che amo: la mia famiglia, i miei amici. E dopo il giorno dell’esplosione, credevo che non avrei mai più avuto modo di poterla riavere. Ma mi sono ricreduta. Certo, la mia vita non potrà mai più essere normale, ma la cosa non mi spaventa. Ora ho di nuovo amici leali, sinceri. In essi ho trovato un rifugio sicuro in cui andare a nascondermi quando tutto sembra perduto, una casa accogliente, calda, sempre pronta a rischiarare i momenti di vita più tenebrosi. Grazie a loro ho imparato di nuovo ad amare e ad avere speranza.

Lucas, Tara, Amalia e anche Ryan. Loro mi hanno aiutata a crescere e ad imparare che, a volte, le cose migliori della vita non richiedono grandi sforzi per essere trovate. Che a volte basta solo trovare il coraggio per dire ciò che si prova realmente per potersi sentire davvero felici, basta solo riuscire ad appianare le proprie divergenze con qualcuno per potersi sentire meglio ed in pace con sé stessi e basta solamente essere lì, al momento giusto, ascoltare e apprendere per poter realizzare quanto le apparenze possano ingannare.

Ho capito che il male, che anche quello più nero e profondo in realtà può ancora celare sprazzi di bianco dentro di esso. Ciò giustifica coloro che hanno compiuto azioni orribili? No. Non lo fa, ma se non altro ci permette di capire che giudicare un libro dalla copertina è sbagliato e che, per ognuna di queste persone, esisterà sempre, sempre, una speranza di redenzione.

Chi agisce per il bene comune o chi lo fa semplicemente perché ama una persona e vuole solamente riaverla indietro, non è davvero malvagio. Chi invece lo fa perché è accecato dall’odio, chi non accetta la verità nemmeno quando questa è davanti ai suoi occhi è colui che davvero deve essere condannato. E questa è una filosofia che adotterò sicuramente nel mio imminente futuro.

Un’epidemia si è abbattuta su di noi e minaccia di porre fine alla vita di chiunque non sia un conduit; non ho idea di come io possa fermarla, ma di una cosa sono certa: proteggerò i miei amici, costi quel che costi. Nessuno dovrà più morire, non fino a quando io potrò fare qualcosa per impedirlo. Ryan è stato già abbastanza, per me.

Ora un viaggio ci attende. E le premesse lo fanno sembrare tutt’altro che semplice.

Mi chiamo Rachel Roth, sono una ragazza adolescente che è stata costretta a crescere prima del previsto.

Sono una conduit e i miei poteri sono il male assoluto.

E con essi, faccio del bene.

Il mio sogno è sempre stato quello di vivere una vita normale, e in parte lo è anche adesso. Ma soprattutto, voglio che tutto questo finisca. Odio, rancore, violenza, sofferenza, opprimono il nostro mondo da fin troppo tempo ormai. È ora di fermarli. È ora che le persone imparino di nuovo ad amare.

Siamo tutti esseri umani: è ora di dimostrarlo.

 

 

 

inFAMOUS: The Darkness’s Daughter

 

Capitolo 1: PACE, FINALMENTE

 

 

Rachel sospirò. Erano minuti interi ormai che la gelida brezza notturna le scompigliava i corti capelli neri, pizzicandole il volto con quei suoi spifferi di ghiaccio. Incrociò le braccia e si appoggiò con la schiena contro al muro. Di fronte a lei, Sub City era un lontano mucchio di pallini gialli e luminosi, scrutata attentamente dall’alto da quei giudici imparziali che erano la luna e le stelle.

Quella città corrotta, oscura, marcia sino al midollo... ora era distante, un ricordo pronto a sbiadirsi con il tempo. Ciò che invece avrebbe faticato di più a sbiadirsi erano gli orribili fatti accaduti a lei ed ai suoi amici, proprio tra quei quartieri apparentemente calmi e pacifici. Cicatrici ormai indelebili che mai sarebbero andate via, marchi impressi a fuoco nella sua mente ed in quella dei suoi compagni; la morte di centinaia di persone innocenti, tra cui Ryan, i terribili scontri a cui aveva preso parte, le altrettanto tremende verità di cui era venuta a conoscenza... avrebbe faticato a superare tutto ciò. Soprattutto perché con molte di queste realtà era, e lo sarebbe stata anche in futuro, costretta a conviverci.

L’unica magra consolazione che aveva era il fatto di essere riuscita a ritrovare Amalia. Si era sempre ritenuta in parte responsabile della sua fuga, ma fortunatamente ogni divergenza sembrava essere stata chiarita, e comunque il tutto si era relativamente risolto senza troppi danni, a parte la piccola ferita della mora a cui lei non aveva esitato a porre rimedio.

La corvina sollevò la propria mano, per poi osservare il bagliore nero opaco che le avvolse il palmo. Erano suoi, ora. I suoi poteri e lei erano diventati finalmente un tutt’uno e adesso aveva una consapevolezza di loro e di sé stessa completamente nuova. Ma sarebbe bastato? Sarebbe riuscita a raggiungere il suo scopo in quello stato? Le parole di Dominick sul Soggetto Zero ancora rimbombavano nella sua mente. Un essere così potente da essere definito il Diavolo in persona, il primo conduit in assoluto, colui che aveva dato inizio a tutta quella follia. Il responsabile dell’apocalisse, letteralmente. Se questo individuo fosse mai davvero riapparso... che cosa sarebbe successo? Sarebbe stata davvero la fine?

C’erano ancora così tante cose da fare... trovare Amalia non era stato altro che il primo punto sulla sua lista. Doveva per prima cosa assicurarsi che sia lei che i suoi amici non corressero più alcun pericolo, dopodiché doveva mettersi a cercare una cura per l’epidemia, sempre prestando attenzione a tutti quei conduit impazziti che, sicuramente, ancora girovagavano a piede libero per il paese. E, per finire, come se non bastasse doveva anche preoccuparsi non solo di un conduit, ma del conduit.

Rachel gettò il capo all’indietro ed espirò, per poi passarsi la mano, tornata normale, tra i capelli. Anche quando pensava di aver finito, dopo aver sconfitto Deathstroke, Jeff e per finire Dominick, in realtà scopriva di essere solamente all’inizio, e anche se ormai conosceva la risposta a molti dei suoi quesiti, altri rimanevano ancora avvolti nelle tenebre. Per il momento, l’unica cosa sensata da fare le sembrava quella di raggiungere la California, per scoprire se questa comunità di sopravvissuti di cui Jade le aveva parlato esistesse davvero. Ne dubitava, ma tanto che cos’aveva da perdere?

A parte il tempo. O i suoi amici. O la sua stessa vita.

Si strofinò le braccia, quando la brezza cominciò a diventare più fastidiosa. Incassando la testa tra le spalle e accantonando quei lugubri pensieri decise di entrare nella stazione. Superò la stanza sul retro in cui Amalia e Tara avrebbero alloggiato, in cui la bionda era già andata a riposare da un po’, e si diresse sulla parte frontale della stazione, dove un tempo si trovavano tutti gli scaffali di quel piccolo negozietto, ormai tutti saccheggiati, rotti o portati via. Le mura erano grigie, sporche e scrostate, ma la vetrata d’ingresso era ancora integra, perlomeno, così l’aria non sarebbe entrata e almeno lì sarebbero stati protetti dal freddo.

Il rumore di passi proveniente dalle sue spalle la fece voltare. Vide Lucas, con le mani in tasca, entrare nella stanza. Non appena i suoi occhi incontrarono il suo volto, la ragazza sentì le proprie guancie in fiamme. Forse... forse il ritorno di Amalia non era la sua unica consolazione. Corvina abbassò lo sguardo quando Rosso si fece più vicino. Sperò che la notte occultasse il colore troppo vivace delle sue goti altrimenti pallide.

«A-Allora...» disse subito, prima che il silenzio si facesse imbarazzante. «... le... le hai parlato?» domandò, trovando la forza di sollevare di nuovo lo sguardo. D’altronde, quello era comunque un argomento serio. Non era il momento di perdere tempo in stupidaggini.

Lo sguardo di Rosso fu molto più chiaro di qualsiasi risposta, ma il ragazzo parlò ugualmente: «No. Non... non me la sono sentita. È appena tornata ed ha appena perso suo fratello... non è il caso di gettare altra benzina sul fuoco. Glielo diremo quando sarà il momento.»

Rachel annuì. «Sì, hai ragione... ma è meglio comunque non aspettare troppo tempo. Altrimenti sarà ancora più difficile, per lei e per noi.»

«Lo so» tagliò corto il ragazzo. La corvina colse diverse vene di irritazione nella sua voce. Ma queste svanirono quasi subito, quando lui sospirò, al che anche lei sentì alcuni nervi sciogliersi. «È solo che... non è facile.»

«Ti capisco, credimi» rispose la conduit, con tono morbido, appoggiando una mano sulla sua guancia. «Ma vedrai che troveremo una soluzione. Te lo prometto.»

«Non fare promesse se non sai se puoi mantenerle...» Il moro mise una mano sopra quella di Rachel, dopodiché la afferrò e la allontanò con un gesto lento, ma deciso.

«Lucas...» mormorò Rachel, ma lui aveva già distolto lo sguardo, per poi darle le spalle ed andare a sedersi per terra, appoggiando la schiena al muro dietro di lui con un verso esausto.

Corvina tenne i propri occhi incollati su di lui, fino a quando questo non chiuse i suoi, probabilmente perdendosi nei propri pensieri. A quel punto, la conduit chinò il capo e si strinse nelle spalle. Non sapeva proprio come comportarsi, con Rosso. Certo, quando erano ancora nel cantiere ed entrambi avevano dichiarato – più o meno – i propri sentimenti, tutto sembrava quasi perfetto... tranne che per quella dannata storia dell’epidemia che continuava ad alleggiare nelle menti di entrambi. Finché avrebbero parlato di altro, le cose sarebbero andate bene, ma il discorso epidemia, quello era un vero e proprio tabù. E il fatto che Lucas avesse cercato di parlare di ciò proprio con Amalia, giusto un attimo prima, sicuramente non rendeva le cose più semplici.

Le sarebbe piaciuto riuscire a rassicurare Rosso, in qualche modo, ma non sapeva come fare, non senza andare a sfiorare con la leggerezza di un elefante quell’argomento così delicato. Sospirò nuovamente, poi tornò ad osservare il ragazzo. Ripensò a tutte le volte in cui lui era stato presente per lei, in cui lui l’aveva aiutata nel momento del bisogno, talvolta con le parole, altre volte, invece, con semplici gesti. Ora la situazione era invertita.

Un sorriso appena percepibile nacque sul volto della corvina, dopodiché si avvicinò lentamente al partner. Se le parole non potevano funzionare, allora anche lei avrebbe optato per i gesti. Gli si sedette accanto, in silenzio, per poi chinare il capo ed appoggiarlo sulla sua spalla.

«Mh?» Rosso abbassò lo sguardo ed incrociò quello di lei. La ragazza teneva gli occhi puntati su di lui dal basso, sempre con l’ombra di quel sorriso stampato sulle labbra. Si osservarono per un breve istante, in cui Rachel sentì il proprio cuore iniziare a battere all’impazzata, dopodiché la conduit percepì il braccio del ragazzo scivolarle dietro la schiena, per poi fare il giro e cingerla su un fianco.

«Rachel...» cominciò Lucas, mentre anche sul suo volto cominciava lentamente a formarsi un sorriso.

«Voglio solo che tu sappia...» lo interruppe lei, mentre sentiva un lieve pizzicore alle goti. «... che sono felice di averti qui accanto a me, in questo momento. E che non passa istante in cui io non ringrazi il giorno in cui ti ho conosciuto. In te ho trovato un alleato, poi una speranza, poi un amico e poi...» Afferrò la sua mano e la strinse con forza. «... qualunque cosa ci sia dopo.»

«Ed io non potrei chiedere persona migliore di te, accanto a me» ammise Rosso, chinando il capo e poggiando la propria fronte tra i capelli di Rachel. Un lungo brivido percorse la spina dorsale della conduit a quel contatto, ma lei non lo avrebbe terminato per nulla al mondo. «Scusami per aver reagito male, poco fa. Non te lo meritavi. Nessuno di voi dovrebbe meritarlo.»

«Non preoccuparti. So che non l’hai fatto con l’intenzione di ferirmi.»

«Non potrei mai farti una cosa del genere.»

«Sì, lo so...» La stretta tra le loro mani aumentò nuovamente. Corvina sentiva il proprio cuore in procinto di esploderle nel petto. Quella sensazione... quella sensazione che solamente in compagnia di Richard era stata in grado di provare, in passato... quanto le era mancata. «... è per questo... che sono qui. Per te.»

Rosso drizzò il capo, per poi allargare quel sorriso dolce, così insolito sul suo volto, eppure così gradevole da guardare. Dopodiché, com’era accaduto nel cantiere a Sub City, entrambi socchiusero gli occhi ed iniziarono ad avvicinarsi con i volti, solo che, questa volta, nessuno avrebbe potuto interromperli. Rachel non sapeva nemmeno cosa stesse facendo con esattezza, sapeva solo che quello era ciò di cui sia Lucas, che lei, avevano disperato bisogno. Infine, le loro labbra si sfiorarono.

Una sensazione del tutto nuova avvolse il colpo di Rachel. Una specie di forte calore nel proprio petto, che cresceva e cresceva a dismisura, avvolgendole tutto il corpo, un piacevole tepore che mai prima di allora aveva mai provato. Nemmeno quando aveva utilizzato i suoi poteri, a pieno controllo, contro Dominick si era sentita così... così bene. Così protetta, al sicuro, lontana dai pericoli di quel mondo devastato in cui erano costretti a vivere.

Si ritrovò come all’interno di una bolla, estraniata da tutto e tutti, fuorché lui, Lucas, colui che era stato l’unico in quel lasso di tempo in cui erano rimasti insieme a riuscire ad infonderle sempre il coraggio di cui aveva bisogno. Poi, qualcosa bussò contro ai denti della corvina, facendola ridestare bruscamente da quello stato di semi coscienza in cui era piombata. Si ritrovò di nuovo nel bel mezzo di quella stanza avvolta nella penombra, stretta tra le braccia di Rosso, con ancora la bocca premuta contro la sua. Solamente in quel momento si rese conto che la cosa umida e calda che le aveva sfiorato i denti, altro non era che la lingua del ragazzo.

Per un istante rimase pietrificata, completamente ignara sul cosa fare esattamente. Un piccolo dettaglio che aveva omesso di specificare, era che quello era il suo primo bacio, in assoluto. Una cosa di cui si era effettivamente vergognata in piccola parte, quella di non avere mai avuto un ragazzo, o tantomeno averne baciato uno, ma dopo tutta la faccenda di Richard, e in seguito l’esplosione, non aveva avuto esattamente il tempo, o la voglia, di dedicarsi a certe cose.

Fino a quel momento si era semplicemente lasciata guidare dall’istinto, era stato il suo corpo ad agire in automatico, facendole baciare Lucas, la mente, invece, era rimasta in disparte. Ma ora che si era resa conto di cosa stava accadendo, il suo cervello si era rimesso in moto e, beh, aveva appena cominciato a mandarla in panico.

Che cosa doveva fare? La lingua di Rosso era ancora lì, in attesa, e lei era immobile come una stupida. Il terrore che lui potesse scoprire di avere a che fare con una alla sua prima esperienza cominciò ad assalirla. Temette che potesse spaventarsi e tirarsi indietro, ma questa era una cosa che non voleva, non poteva, permettere. Perciò strizzò le palpebre e tentò di lasciarsi di nuovo guidare dall’istinto. L’unica cosa che le venne in mente, fu quella di schiudere la barriera dei denti e lasciare che Lucas potesse superarla. E quando ciò accadde, la giovane si rese effettivamente conto che la sensazione di benessere provata poco prima non era nulla in confronto a ciò che venne dopo.

Le braccia di Lucas cominciarono a muoversi con più voga, accarezzandole la schiena, i fianchi ed i capelli, il tutto mentre le loro labbra erano ancora incollate tra loro e le loro lingue si muovevano freneticamente all’unisono, in quella danza di pura lussuria. Rachel sentì ben presto la sua presa sul corpo di Rosso venire meno e percepì la propria schiena scivolare lentamente via dal muro, fino a quando non si trovò sdraiata sul suolo, con il moro ancora, perennemente, chino su di lei. Lo sentiva muoversi, sentiva il suo respiro caldo contro al suo volto, percepiva le sue mani, le sue dita, scorrere dietro di lei, lungo la figura del suo corpo, carezzando ogni lembo di pelle a cui riuscivano ad arrivare.

Brividi uno più gelato dell’altro attraversavano la giovane conduit, la quale sentiva ormai il proprio fiato mancarle, un po’ per l’emozione, un po’ perché davvero non riusciva quasi più a respirare, mentre le sue guancie erano sempre più in fiamme. Se si fosse guardata ad uno specchio in quel momento, probabilmente avrebbe visto un pomodoro al posto della sua faccia. Ma nonostante questo, per nulla al mondo Corvina avrebbe interrotto quel momento, quel contatto così caldo, così piacevole, così... umano.

In quel momento era viva, era protetta, era al sicuro, accettata, amata. Ed era stupendo.

Passarono ancora diversi istanti prima Rosso si separasse da lei. I due si guardarono negli occhi, entrambi con il fiatone e perle di sudore che scivolavano lungo la fronte, con una lieve punta di imbarazzo nello sguardo, ma, allo stesso tempo, un’emozione che entrambi avevano quasi scordato: felicità.

Si scambiarono due tenui sorrisi. Era quasi come se le cose stessero finalmente girando per il verso giusto, per entrambi. Come se, fino a quando sarebbero rimasti insieme, nulla avrebbe potuto preoccuparli, perché potevano sempre contare l’uno sull’altra. Loro erano l’uno la speranza dell’altra. E Rachel si sarebbe tenuta stretta quella speranza, a costo di dover combattere ancora ed ancora contro nemici sempre più potenti e temibili.

Nessuno dei due disse una parola, quello sguardo fu più che sufficiente. Poi, senza alcun preavviso, il ragazzo scese nuovamente su di lei, cercando ancora una volta le sue labbra, la sua lingua ed i suoi fianchi. Questa volta, tuttavia, si spostò anche prima sulle sue guancie, poi sul suo collo, dove si avventò con così tanta decisione da parere quasi un vampiro alla ricerca del suo sangue prezioso.

«Oh!» Questa volta, la corvina si lasciò scappare un gemito, prima di sorpresa, poi, poco dopo, di piacere. Non si rese nemmeno conto di aver avvolto le sue gambe attorno alla vita di Lucas, mentre lui si concentrava sulla pallida carne sotto al mento della conduit, baciando, succhiando e leccando. Corvina gli passò una mano fra i capelli, continuando a gemere e ad ansimare.

«L-Lucas...» mormorò, strofinando le dita sul suo capo.

«Shh» la zittì lui, avventandosi di nuovo sulle sue labbra, costringendola a spalancare le palpebre e a chinare il capo all’indietro. Ciò che era iniziato con un semplice bacio si stava lentamente trasformando in un qualcosa di molto più profondo e lussurioso. E Rachel non sapeva se sentirsi spaventata oppure eccitata da ciò.

Passarono i secondi, poi i minuti. Corvina non seppe con certezza per quanto a lungo proseguirono in quel modo, sapeva solo che se avesse potuto fermare il tempo proprio in quel momento, lo avrebbe fatto. Infine, il contatto tra le loro labbra si sciolse, per permettere ad entrambi di recuperare, nuovamente, il respiro. Si scambiarono un altro sguardo, identico al primo, solamente che questa volta la conduit si sentì molto più confidente, con lui e anche con sé stessa.

Ci fu un istante in cui entrambi parvero pensare ad un terzo round, ma lo sguardo di Rosso mutò all’improvviso, passando dal sereno all’allarmato. Si drizzò sulle ginocchia ed indicò la ragazza. «Le tue mani!»

«C-Che cosa?» domandò lei mettendosi a sedere, ancora parzialmente intontita da tutto l’accaduto, per poi spostare gli occhi sui propri palmi. A quel punto, notandoli entrambi avvolti nel loro classico bagliore nero, strabuzzò le palpebre a sua volta. Agitò le mani, concentrandosi, e il potere svanì quasi immediatamente. A quel punto, di nuovo in imbarazzo, si voltò verso Lucas. «Credo... credo di essermi lasciata trascinare un po’ troppo dall’emozione...» Arrossì subito dopo aver detto quella frase. Cominciò a temere una reazione negativa da parte del moro, ma questo la sorprese abbozzando un sorrisetto.

«Non preoccuparti. Succede anche ai migliori.»

Rachel distolse lo sguardo da lui, doppiamente imbarazzata. Forse una reazione negativa non sarebbe stata poi così male...

«Ehi.» Corvina sentì la mano di Rosso poggiarsi sul suo ginocchio. Si voltò nuovamente verso di lui, per poi notare sul suo volto un’espressione molto più seria, ma comunque rilassata. «Grazie» le disse semplicemente, con un sorriso più sincero.

Alla conduit venne da sorridere a sua volta, poi compì un gesto di cui probabilmente entrambi si sorpresero. Si avvicinò a lui e gli diede un altro rapido bacio sulle labbra. Anche se le sfiorò appena, tuttavia, percepì ugualmente un altro lungo brivido percorrerle il corpo. Non appena si separò tornò a guardarlo. «Di nulla.»

I due ragazzi riacquistarono i loro tenui sorrisi, poi, senza dire altro, si sdraiarono a terra l’uno accanto all’altra per poi rimanere lì, a godersi la reciproca compagnia ed il calore emanato dai loro corpi. Rachel cercò la sua mano e lui la afferrò immediatamente, tenendola stretta. La giovane poggiò poi il capo contro alla spalla di Lucas, per poi sospirare e chiudere gli occhi.

Nonostante tra i due fosse sicuramente lei quella più forte, Rosso riusciva ad infonderle un senso di protezione che fino ad allora mai aveva provato, con nessuno.

Non seppe con esattezza quando si addormentarono, ma fu certa che quella sera difficilmente l’avrebbe scordata.

 

 

 

Sì. Sì, ragazzi, sì. Penso che potrei semplicemente chiudere questa nota d'autore con queste semplici parole, tanto non c'è molto da dire: è qui. E' tutto reale, non ve lo state sognando. Già, questa storia scritta solamente per attirare l'attenzione (e per nessun altro motivo al mondo, nossignore!) è tornata, per il dispiacere di molti e la gioia di pochi (se rientrate nella prima categoria, sappiate che mi bevo le vostre lacrime a colazione, gnam). 

Sinceramente, ho il terrore strafottuto di non riuscire a creare un qualcosa che possa essere degno del suo predecessore, e ho anche il terrore stramegafottuto di fare qualcosa di simile a quello che già in passato ho fatto (non faccio nomi, ma so che alcuni hanno capito... se non avete capito, beati voi ragazzi, beati voi). Tuttavia, per questo microcosmo su Infamous che ho creato ho in mente tante cose, un progetto che se portato a termine potrebbe essere qualcosa di veramente ma veramente bello e vasto, perciò sono fiducioso, dai.  Non aspettatevi aggiornamenti lampo tra un capitolo e l'altro, nella vecchia storia erano uno a settimana, circa, più qualche occasione speciale qua e la in cui erano anche due a settimana, ma qui, se vogliamo che tutto proceda senza intoppi (e senza che qualcuno ammattisca e decida di mandare tutto al diavolo) minimo minimo mi toccherà aggiornare una volta ogni dieci/quindici giorni. Facciamo la seconda. Poi, non sia mai che mi prenda bene ed inizi a scrivere come una locomotiva in corsa come già è successo. 

Perciò... niente, ecco tutto. Wow, come discorso per il mio ritorno faceva veramente schifo. Ma sinceramente, non ho idea di cosa dire. Non è passato poi molto dal mio ultimo aggiornamento, no? Ho portato a termine Wrong e ora sono qui, ad iniziare questa cosa che so già mi manderà al manicomio. Bene! 

Dai, vediamo come va... ringrazio in anticipo tutti quelli che leggeranno e recensiranno, ma tanto per i ringraziamenti ci sarà ancora tempo, in futuro. Lo sapete come sono io, se non ringrazio almeno cinquantasette volte qualcuno non sono contento. 

Rispettando il copione, spero di non aver lasciato indietro nessun errore, ho riletto e riletto, ma tanto lo sapete che qualcosa scappa sempre, purtroppo. Chiedo scusa in anticipo. E chiedo anche scusa per questo capitolo decisamente sotto tono, ma ehi, siamo all'inizio, lasciamo alla storia il tempo di carburare un pochettino (e comunque, ci voleva un momentino di tenerezza da queste due povere anime di Rachel e Lucas, anche se posso assicurarvi che non ci saranno molti altri momenti come questo, non così esagerati, almeno. In futuro, sicuramente sì, ma non molti. Siamo pur sempre su Infamous). E niente, ho finito.

Sì gente, sono tornato. A presto!

 

 

Ah, questa è la theme principale della storia. Perché ho scelto proprio questa canzone? Beh, semplice: perché bisogna ribellarsi al prepotente, bisogna reagire, bisogna combattere, non si deve avere il timore di dire la verità, non ci si deve mai arrendere e sopratutto bisogna sempre, sempre dare il massimo. E questo è ciò che i nostri eroi sanno fare meglio!

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Capitolo 2
*** A volte ritornano... di nuovo ***


Capitolo 2: A VOLTE RITORNANO... DI NUOVO

 

 

Rachel riaprì lentamente le palpebre, infastidita dai raggi di sole che filtravano dalla vetrina del negozio. Mugugnò ancora stanca e parzialmente assopita, poi si rigirò nel suo giaciglio improvvisato per distogliere lo sguardo dalla luce del mattino.

Così facendo, però, si ritrovò a due centimetri dal volto di Rosso. La ragazza sgranò gli occhi per lo stupore notando il ragazzo addormentato così vicino a lei. Ma i ricordi della notte precedente tornarono presto nella sua mente, travolgenti come un fiume in piena. La conduit sentì le proprie goti pizzicare ripensando a ciò che era accaduto, poi scosse il capo per cercare di ricomporsi e si concentrò su Rosso. Dormiva tenendo  il braccio appoggiato sotto la testa a mo’ di cuscino, il sorriso con cui ricordava di averlo visto l’ultima volta era svanito, lasciando spazio ad una espressione molto più severa.

Senza nemmeno accorgersene la giovane rimase ad osservarlo, in silenzio, concentrandosi su ogni minimo particolare del suo volto. Trovò buffo come, nonostante lo avesse curato chissà quante volte, lui continuasse ad avere tutte quelle piccole cicatrici sulla fronte e sulle guance. Trovò meno buffo, tuttavia, il pensiero che quelle cicatrici fossero gli unici ricordi del suo passato. La corvina provò una fitta allo stomaco immaginandosi quella che doveva essere stata l’infanzia di Rosso. Era cresciuto nel Dedalo di Empire, fin da bambino era stato costretto a combattere e rubare per sopravvivere, ed aveva avuto due genitori che lo avevano sempre visto come un errore, un imprevisto, che però erano riusciti a rigirare a loro favore tramutandolo nel mezzo criminale che era diventato.

Mezzo. Perché, comunque, in quei mesi aveva ampiamente dimostrato di aver sempre e solo posseduto un animo nobile e gentile dentro di sé. Anche se talvolta faticava ad ammetterlo. Anzi, molto spesso. Ma Rachel ormai lo conosceva bene, sapeva la verità su di lui e sapeva anche che lui, per lei, per tutti loro, ci sarebbe sempre stato. Ed era per quello che lo amava.

«Oh, cavolo...» Qualcuno parlò all’improvviso, facendole drizzare i sensi. «Ma allora è vero...»

«Abbassa la voce o li sveglierai!» Un’altra voce si unì alla discussione, questa bisbigliando.

«Porca vacca...» proseguì quella che aveva parlato per prima, abbassandosi leggermente di volume. «Passami il telefono Tara, questa non posso farmela scappare!»

Non appena udì il nome della ragazza bionda, Rachel realizzò ogni cosa. Sollevò la testa di scatto, per poi vedere un’Amalia piuttosto sorpresa di vederla sveglia ed una Markov alquanto imbarazzata da quella situazione, a giudicare da come stesse cercando di fare tutto meno che guardare la corvina in faccia.

«Che state facendo?» domandò la conduit dell’oscurità, cercando di trattenere le vene di irritazione dalla propria voce, mentre si rimetteva lentamente a sedere.

«Voi due, piuttosto, cosa stavate facendo?» ribatté Komand’r, con un sorrisetto idiota stampato in faccia.

Rachel inarcò un sopracciglio. «Ehm, dormendo, forse?»

«Certo, è risaputo che i succhiotti appaiono durante il sonno!» asserì ancora la mora, puntando l’indice verso il collo di Corvina, al che la conduit sentì le guance in fiamme e si affrettò a coprire il luogo del misfatto con una mano. Se avesse saputo, avrebbe sicuramente usato i suoi poteri per cancellare quel segno dalla propria pelle. I suoi poteri potevano cancellare un succhiotto? Beh, era pur sempre una sottospecie di lesione della cute, quindi, forse...

«Komi, basta...» mugugnò Tara, tirandola per una manica. «Lasciali tranquilli...»

«Oh, andiamo!» protestò Amalia, con un’espressione quasi offesa. «Hanno avuto tutta la notte per stare tranquilli, ora lasciami divertire ancora un po’!»

La bionda roteò gli occhi. «Sei irrecuperabile...»

«L’hai notato solo adesso?» le chiese Komi, dandole una gomitata scherzosa e strappandole un risolino. Rachel le osservò perplessa, fino a quando non vide l’espressione della mora farsi più seria.

«Ehi, com’è che il tuo ragazzo sta ancora dormendo? In genere era sempre il primo ad alzarsi...»

Corvina si voltò verso di Rosso, il quale effettivamente era ancora completamente assopito. Amalia aveva ragione, lui era sempre il primo ad alzarsi. Se sia Komi che la Markov erano in piedi da più tempo di lui, allora c’era effettivamente qualcosa di anomalo. E Rachel era ben a conoscenza di questo qualcosa. Passò una mano tra i capelli ispidi del moro con fare amorevole, ignorando ciò che le altre due ragazze avrebbero potuto pensare di quel gesto, e rispose: «Non è stata una giornata facile per Lucas quella di ieri, ha bisogno di tutto il riposo necessario per rimettersi in sesto. Quando si sveglierà potremo riprendere il viaggio, nel frattempo potremmo fare colazione. Che dite?»

«Dico che stavo giusto morendo di fame...» rispose Tara, abbracciandosi l’addome, facendo ridacchiare Amalia, che annuì a sua volta. «Per me va bene.»

Rachel fece un cenno di assenso con il capo, dopodiché si alzò in piedi. Prima di uscire dalla stanza in compagnia delle altre due ragazze, si voltò un’ultima volta verso Lucas, il quale continuava a dormire ignaro di tutto e tutti. Anche nel sonno riusciva ugualmente ad apparire in guardia, con quella sua espressione così seria, sembrava quasi che al primo segno di pericolo si sarebbe svegliato all’istante, pronto a combattere. La corvina provò un piccolo moto di nostalgia ripensando a quando sul volto di Rosso quell’espressione non appariva quasi mai. All’inizio della loro collaborazione, ricordava, che lui spesso e volentieri si lasciava prendere dall’entusiasmo, era più esuberante, sereno, sempre pronto a punzecchiare lei e Tara anche nei momenti meno opportuni.

Da quando erano giunti a Sub City, tuttavia, era cambiato profondamente. A cominciare dal loro primo incontro con Jeff Dreamer, fino a quando non avevano entrambi scoperto la verità sulle esplosioni. Negli ultimi giorni Rachel aveva raramente visto un sorriso sul volto del ragazzo, tranne quando era in sua compagnia. Alla corvina spiaceva che il suo partner fosse stato costretto a mutare in quel modo, a causa di tutte le loro sventure, e dopo aver scoperto quale macabro destino lo attendeva, beh... era ormai chiaro che il Red X che amava le battute macabre era solo più un lontano ricordo.

«Rachel, ci sei?» La voce di Amalia la riportò alla realtà con irruenza. La mora sembrava quasi accigliata.

«Arrivo» si affrettò a rispondere la corvina, per poi uscire dalla stanza, ma non senza aver lanciato un’ultima, furtiva, occhiata al ragazzo addormentato.

 

***

 

Fuori il tempo era sereno. Al posto della luna piena della notte precedente, un sole sfavillante si trovava in alto nel cielo, con qualche piccola nuvola bianca di contorno. La strada di fronte alla stazione di servizio era deserta e tranquilla, con il solo suono del fruscio degli alberi sospinti dalla gelida brezza mattutina a rompere la quiete.

Le tre ragazze si spartirono alcune barrette ai cereali per consumare la loro frugale colazione, le stesse barrette che avevano gentilmente preso in prestito agli Underdog proprio a Sub City. O meglio, quelle che Rosso aveva preso. Rachel ancora si domandava come diavolo fosse riuscito ad eludere in quel modo un gruppo così ingente di uomini armati e ad averla fatta franca. Anche se comunque, il fatto che lei, una conduit, fosse andato ad aiutarlo, aveva sicuramente giovato al fattore sorpresa. Senza di esso, probabilmente, non sarebbero mai sopravvissuti.

Oltre a quelle provviste, inoltre, possedevano anche un veicolo, ossia la vecchia auto di Dom e Kev, che sicuramente a nessuno dei due, in particolare al secondo, sarebbe ancora potuta servire. E, per concludere, all’interno del baule avevano trovato delle taniche piene di benzina e anche un borsone con altre provviste, tra cui cibo in scatola, bottiglie d’acqua e altre barrette.

La corvina doveva ammettere che, a conti fatti, la loro situazione non era più così disperata, non come lo era ad Empire City, dove mangiare un pasto diventava quasi una concessione divina. Avevano un mezzo per spostarsi, carburante e anche provviste. Certo, avevano dovuto rischiare la vita diverse volte per procurarsi tutto ciò, ma quello era un dettaglio su cui la conduit preferiva sorvolare.

Dopo l’ennesimo morso di barretta in cui, tuttavia, rischiò di rompersi un dente, la giovane controllò la data di scadenza del suo snack, per scoprire con molta poca sorpresa che questo era scaduto già da qualche mese. E anche le altre due ragazze dovevano essersene accorte, perché masticavano con diversa incertezza a loro volta.

«Cosa non darei per una tisana...» mugugnò Rachel, mettendo via il proprio pasto.

«A me piacerebbe una cioccolata calda...» fece eco Tara, sospirando ed abbassando a sua volta la propria colazione.

«Io mi accontenterei anche solo di un caffè amaro...» concluse Amalia, dando un altro morso alla barretta e finendola del tutto, incurante del mal di pancia che avrebbe rischiato di prendersi. Dopodiché, la mora si chinò sul borsone delle provviste e ci frugò dentro come una mendicante, per poi tirare fuori altre due barrette – Rachel si augurò per lei che queste non fossero altrettanto scadute – e mettersi a divorarle senza ritegno.

Corvina si lasciò scappare un sorrisetto di fronte a quella scena, mentre Tara ridacchiò nuovamente. Komand’r riusciva sempre a sdrammatizzare la situazione, anche se per la conduit era impossibile capire se lo facesse di proposito oppure no.

Poi le ritornarono in mente le sue parole, il segreto che le aveva confidato, ciò che le era accaduto in passato e anche più recentemente, prima tra tutte la morte di Ryan, e si sentì tremendamente dispiaciuta per lei. Nascondeva un grande dolore sotto quell’aspetto che all’apparenza sembrava mite e docile, per via della sua somiglianza fisica con Kori, ma che in realtà celava una personalità davvero esplosiva ed imprevedibile.

«Ci sei mancata Komi» le disse Rachel, mentre questa era intenta a ruminare rumorosamente.

«Lo dici come se invece fossero passati anni» borbottò Amalia, strofinandosi le labbra con l’orlo della manica per ripulirsele dalle briciole. «Sono passati solo due giorni da quando ci siamo separati...»

«Sì, però... senza di te non era lo stesso. Il gruppo era un po’ troppo... poco rumoroso.»

Amalia inarcò un sopracciglio. «Io sarei rumorosa?»

«Sì... cioè, non in quel senso! Insomma... tu sei... sei...»

«Sai sempre come tenere alto lo spirito» la anticipò Tara, prima che Rachel dicesse qualche cavolata di cui si sarebbe sicuramente pentita. La conduit non avrebbe mai pensato che si sarebbe sentita così grata alla ragazza bionda per una banalità del genere.

«Mh...» La mora le squadrò entrambe, scettica, per diversi istanti, dopodiché distolse lo sguardo. «... vi siete salvate in calcio d’angolo» brontolò, per poi tornare ad azzannare la sua colazione.

Per l’ennesima volta Komi riuscì a strappare un risolino a Tara, mentre Corvina sorrise nuovamente. L’attenzione della corvina, poi, si focalizzò sulla stessa Tara. Doveva ammettere che non era mai stata molto entusiasta della sua presenza nel gruppo, ma, allo stesso tempo, non poteva negare il fatto che nell’ultimo periodo buona parte dei suoi pregiudizi sulla ragazza bionda erano stati accantonati.

Un tempo la Markov poteva anche averla infastidita in più occasioni con il suo comportamento tremendamente geloso, ma quelli erano giorni lontani, di quando tutto era ancora normale, di quando la vita non si era ridotta ad un continuo combattere per sopravvivere. Anche Tara aveva sofferto in quei mesi, anche lei aveva perso le persone che amava – la persona che amava ­– nell’esplosione, e anche lei meritava una chance per lasciarsi il passato alle spalle. Se l’era vista parecchio brutta a Sub City e il pensiero di perderla aveva preoccupato Rachel, questo era innegabile, e la conduit era sinceramente felice di essere riuscita a salvarle la vita, con l’aiuto di Amalia, ovviamente.

Inoltre, aveva capito ormai da un pezzo che la Markov teneva a lei, o non l’avrebbe abbracciata subito dopo il loro scontro a Sub City, quando per poco l’aveva fatta fuori, mentre era trasformata in Terra ed era incapace di controllare sé stessa, e tantomeno le avrebbe detto di essere sua amica, dopo il loro combattimento con Dominick. Quindi, alla fine, era felice che anche la ragazza bionda si trovasse lì, con loro, anche perché dava un tocco di colore in più al gruppo, cosa che non guastava mai.

Osservò le sue due compagne di viaggio mentre continuavano a chiacchierare del più e del meno e provò quella sensazione di normalità e serenità che da tanto tempo non provava. Sapeva che quella quiete era solamente effimera, che durante il loro viaggio avrebbero incontrato chissà quanti altri pazzi e squilibrati mentali, ma non le importava: si sarebbe goduta quel momento assieme a loro, e a Rosso quando si sarebbe svegliato, fino a quando non sarebbe terminato.

«Ehi, ragazze.» Una voce proveniente dalle loro spalle fece voltare il trio di compagne, le quali si ritrovarono di fronte un Lucas ancora mezzo assopito, intento a grattarsi dietro al capo con noncuranza. «Che... che fate?»

«Aspettavamo che il bel addormentato si svegliasse!» replicò prontamente Amalia, incrociando le braccia e sfoggiando un sorrisetto arrogante da far impallidire perfino Jeff Dreamer. Dopo quella risposta, Tara roteò gli occhi. «Ecco che ci risiamo...»

Anche Rachel sospirò, pronta all’ennesimo battibecco tra quei due, ma Rosso sorprese tutte quante, perché abbozzò un sorrisetto e scosse il capo. «Non provarci Amalia, questa volta non ci casco.»

Un verso quasi dispiaciuto provenne dalla ragazza mora, mentre il nuovo arrivato si avvicinava al resto del gruppo. Si scambiò un’occhiata con Rachel, breve ma molto, molto esplicita, condita da un sorriso più sincero. Corvina gli rivolse un cenno del capo, con ancora il loro bacio, o meglio, i loro baci, della sera precedente vividi nella sua mente. Poté perfettamente percepire le occhiatine compiaciute che Amalia e Tara si erano scambiate osservando quella scena, ma decise di ignorarle. Era inutile, ormai, cercare di negare cosa stesse accadendo, era chiaro come il sole che tra lei e Rosso fosse nato qualcosa. E pertanto, se volevano convivere al meglio come gruppo, era bene che certe cose saltassero subito fuori, in modo da evitare momenti più imbarazzanti nel futuro.

Una cosa che tuttavia apprezzò, in particolare di Amalia, fu che nessuna delle due ragazze disse qualcosa di sconveniente durante quel breve istante. E di questo fu grata eternamente ad entrambe.

Rosso si chinò poi sul borsone ed afferrò una barretta, una delle poche rimaste, ed iniziò a scartarla. «Prendete tutto quello che avete lasciato dentro» iniziò a dire, per poi dare un morso al suo snack ai cereali. «Tra poco partiamo. Ci aspetta una lunga scampagnata.»

 

***

 

Dall’Atlantico al Pacifico. Più di quattromila chilometri di viaggio per arrivare da lì, dal New Jersey, alla California, dove non sapevano nemmeno se avrebbero davvero trovato ciò che cercavano. Non lo avrebbe mai detto, ma Rachel si sentiva parzialmente emozionata da quel viaggio. Fino a quel giorno l’idea di un tragitto costa a costa non le aveva mai nemmeno sfiorato l’anticamera del cervello, al massimo li aveva visti in qualche film, o letto di essi in qualche libro, ma nulla di più. E invece, in quel momento, si trovava in una macchina lanciata a tutta velocità assieme ai suoi tre compagni di viaggio, in quella che, a conti fatti, si prospettava essere un’avventura degna di nota.

Certo, quella non era una vacanza, assolutamente no. Rosso aveva detto che se non si fossero fermati a fare i turisti da nessuna parte, e che se avessero viaggiato per parecchie ore al giorno a velocità sostenuta, senza staccarsi mai dall’autostrada, avrebbero potuto cavarsela con una settimana, anche di meno secondo le più rosee aspettative. E, sinceramente, a Rachel andava bene così. Certo, le sarebbe piaciuto un mondo poter visitare gli States assieme a Lucas, Tara ed Amalia, ma quello non era il tempo ideale per farlo, non con chissà quanti migliaia di psicopatici, assassini e conduit fuori di testa in circolazione. Chissà quante erano le città ridotte nelle medesime condizioni di Empire e Sub City, con bande di tagliagole che seminavano il caos per le strade e che mietevano vittime innocenti su vittime innocenti. E per quanto Rachel fosse dispiaciuta per coloro che erano costretti a vivere in certe condizioni, sapeva anche di non poter fare davvero nulla di concreto per loro, fuorché impegnarsi per trovare una cura per l’epidemia. Una volta fatto ciò, allora avrebbe rastrellato ogni angolo del paese pur di salvare quante più persone possibili, se fosse stato necessario. Ma fino ad allora, lei, loro, dovevano tenere un profilo basso, evitare di entrare in qualsiasi città e proseguire dritti lungo la superstrada senza deviazioni, sperando di arrivare alla loro destinazione e trovare la famosa comunità ancora tutti interi. Da lì, poi, avrebbero potuto pianificare la loro prossima mossa.

Certo, l’idea di un viaggio così lungo e che avrebbe richiesto così tante provviste e carburante avrebbe sconsolato chiunque, soprattutto considerando che non sapevano nemmeno se la loro ricerca avrebbe dato i risultati sperati, ma tutti loro sapevano che non avevano molte altre alternative; d’altronde, il motivo principale per cui avevano lasciato Empire City era proprio quello, trovare un luogo sicuro in cui vivere. E la comunità, se mai fosse davvero esistita, era il luogo ideale. E in ogni caso, c’erano già Dominick e Kevin ad aver provveduto a tutto il necessario: avevano provviste per settimane e scorte di carburante sufficienti per poter almeno arrivare a ben più di metà strada, perciò per il momento potevano proseguire senza preoccupazioni.

Avrebbero sicuramente dovuto prestare attenzione ad eventuali assalitori, Rosso aveva detto che c’era la possibilità che gli sciacalli potessero creare dei posti di blocco lungo l’autostrada per costringerli a fermarsi e a diventare dei bersagli facili, ma Rachel, con i suoi poteri, non avrebbe avuto troppi problemi a far cambiare idea a qualsiasi malintenzionato abbastanza folle, o stupido, da cercare di rapinarli. Poteva anche contare su Lucas ed Amalia, quando c’era da menare mani o pistole loro due sicuramente non si tiravano indietro, ma era una cosa che preferiva evitare; se poteva cavarsela da sola, evitando così loro rischi inutili, forse sarebbe stato meglio. D’altronde era ancora intenzionata a proteggerli, ad ogni costo.

Il paesaggio sfrecciava accanto a lei ad altissima velocità. Da quando erano partiti la lancetta del contachilometri non era scesa sotto ai cento all’ora, ma la cosa non la preoccupava, visto che l’autostrada era deserta, da entrambi i lati. Era ormai passata un’ora da quando erano partiti, ed avevano sempre viaggiato tenendo bene o male lo stesso ritmo, pertanto, se la matematica non era un’opinione, dovevano essersi allontanati di un centinaio abbondante di chilometri da Sub City. Eppure, al di fuori di carcasse ricoperte di pallottole o bruciate di automobili abbandonate sul ciglio della strada, o addirittura in mezzo ad essa, non avevano visto molte persone in giro. E tutti quelli che avevano incontrato erano stati tutti individui a piedi, che si erano gettati fuori dalla strada non appena avevano visto passare loro, probabilmente per paura di essere rapinati o uccisi. Certo, Rachel era sollevata di vedere qualcuno ancora in giro, finalmente, ma le cose non stavano andando proprio come aveva sperato.  

«Dove saranno tutti quanti?» decise di domandare infine la corvina, tormentata ormai da diversi minuti da quel quesito. Anche se dubitava che Lucas o le ragazze potessero davvero risponderle.

A confermare ciò, Rosso scosse il capo. «Non ne ho idea. Forse le persone sono troppo spaventate per andarsene dalle loro case. E a giudicare da tutte queste macchine distrutte, non fatico a capire il perché. D’altronde...» Il moro si voltò verso di lei, sorridendole. «... non molti possono vantare di avere una conduit come compagna di viaggio.»

«Una conduit che non sia una pazza sanguinaria» borbottò Amalia dal sedile posteriore. «Precisiamo.»

«Non tutti i conduit sono davvero malvagi» obbiettò Tara, apparendo quasi accigliata. «Voi non potete davvero sapere come ci si sente ad avere un potere dentro al proprio corpo. È una cosa tremenda da gestire. Certo, anche io condannavo tutti i conduit una volta, tranne Rachel, ovviamente, ma dopo aver sperimentato in prima persona ciò che loro provano, posso dire di capirli in parte. Non del tutto, ma in parte.»

«Tara ha ragione» asserì Rachel, voltandosi verso i sedili posteriori. «Anche io ammetto di non accettare ciò che fanno i conduit malvagi, ma so che non è facile riuscire a resistere alla tentazione. Non sapete quante volte io stessa sono andata vicina al perdere il controllo... e quando succede non riesci nemmeno a rendertene conto. La vista ti si appanna, non riesci a vedere o sentire più niente ed hai la sensazione di stare facendo la cosa giusta. Ti senti... bene. So che sembra strano da sentire, lo è perfino per me che lo sto dicendo, ma è così. Ciò non giustifica tutti quei conduit che, però, hanno deciso di arrendersi senza combattere. Dominick ad esempio era uno di questi, ma alla fine ha avuto ciò che si meritava. E comunque, non serve essere necessariamente conduit per essere marci sino al midollo. Joseph Wilson, vi dice niente?»

«Non nominare quell’essere» tagliò corto Amalia, con la voce carica di repulsione. «Mai più.»

«Hai ragione, scusa.» Rachel chinò il capo, rendendosi conto che, forse, aveva toccato un nervo scoperto da troppo poco tempo. «Ma avete capito che cosa intendo.»

«Sì, sì ho afferrato.» Komi sospirò, stringendosi nelle spalle. «Ma dovete anche voi mettervi nei panni di una persona normale che si ritrova certi esseri a scorrazzare liberamente per le strade, compiendo genocidi di massa. È normale essere spaventati. È normale arrivare perfino all’odio verso di loro.»

«Questo lo so» annuì Corvina. «Ma ogni medaglia ha due facce. Bisogna avere una visuale più completa di questo mondo per poterlo comprendere meglio.»

«Tsk.» Komand’r distolse lo sguardo, portandolo verso il finestrino. «L’unica cosa che ho compreso di questo mondo è che mi ha portato via tutto ciò che amavo.»

«Non sei l’unica a cui è successo.» Tara le posò una mano sulla spalla, guardandola apprensiva. Amalia si voltò verso di lei, per poi abbassare lo sguardo.

«Sì... hai ragione.»

«Ma non è mai troppo tardi per imparare ad amare di nuovo.» La ragazza bionda le sorrise, al che Komi incassò la testa tra le spalle e si voltò quasi immediatamente, per nascondere il rossore sulle proprie guancie.

«G-Giusto...» balbettò, probabilmente sentendosi ancora di più in imbarazzo.

Un sorriso nacque spontaneo sulle labbra di Rachel di fronte a quella scena, ed anche Lucas, il quale era rimasto in silenzio per tutto il tempo, ma aveva comunque seguito la scena dallo specchietto retrovisore, abbozzò un piccolo ghigno. Perfino Tara ridacchiò sommessamente, per poi lasciarle la spalla ed accasciarsi contro al proprio sedile. «Piuttosto, quanto manca ancora, autista?»

«Mh, circa altri quattromila chilometri.»

«Manca poco allora!»

«Oh sì, è praticamente come se fossimo già arrivati. Guarda là, vedi?» E il ragazzo le indicò attraverso il parabrezza un boschetto in lontananza, con attorno a sé diversi campi un tempo coltivati ed un laghetto che probabilmente all’epoca veniva usato per l’irrigazione. «Quella è la California. Non vedi il mare e le palme?»

«Le spiagge ed i bagnini super sexy...» fece eco la ragazza bionda.

«Le ragazze in topless...» aggiunse Rosso, beccandosi un’occhiataccia da Rachel. Per tutta risposta, quello ridacchiò.

«Ragazze in topless?» Amalia parve rinvigorirsi tutto ad un tratto, per poi sollevare il collo e guardarsi attorno freneticamente. «Dove?»

 I tre compagni spostarono lo sguardo su di lei, perfino Lucas dallo specchietto retrovisore. Poi, tutti assieme, iniziarono a ridere di gusto. Anche Rachel ridacchiò sommessamente. Era proprio in momenti come quello che la ragazza corvina sentiva che le cose potessero migliorare. In quei pochi attimi di serenità, di spensieratezza, quei pochi istanti in cui il loro mondo in rovina non sembrava più un vero e proprio problema, ma solo un ricordo lontano. Certo, quei momenti non duravano mai più di qualche minuto, ma erano sempre e comunque ben accetti dalla conduit, perché, anche se per poco, le ricordavano di quando ancora viveva ad Empire City, quando ancora aveva i suoi amici assieme a lei e nessuna esplosione ancora era avvenuta. Sembrava trascorsa un’eternità da allora. Sembrava trascorsa un’eternità da quando...

«Ehi, là c’è qualcosa!» La voce di Tara interruppe i pensieri della corvina, nonché quel breve momento di ilarità. La ragazza bionda stava indicando un punto imprecisato di fronte a loro, lungo l’autostrada, dove anche Rachel riuscì a scorgere un puntino bianco. Troppo piccolo per essere una macchina, o un qualsiasi mezzo di trasporto.

«Più che qualcosa, sembrerebbe un qualcuno» puntualizzò Rosso, arrivando anche lui alle stesse conclusioni di Rachel.

«Ma chi?» domandò ancora la Markov.

«Non ne ho idea, ma non penso sia nulla di buono...»

Rachel, dal canto suo, non era molto convinta. «Magari ha solo bisogno di aiuto...» suggerì, per poi notare l’espressione scettica del ragazzo alla guida.

«Non ci giurerei troppo. Ma se vuoi possiamo provare a rallentare e vedere che intenzioni ha.»

«E se sono cattive noi lo prendiamo sotto, giusto?» si intromise Amalia, infilando la testa tra i due sedili anteriori, cercando l’approvazione dei due partner.

«Anche no» la liquidò Rosso, mentre Rachel era troppo impegnata ad arrovellarsi per cercare di capire chi fosse quella persona. Una strana sensazione la assalì, mentre aveva quei pensieri, ed iniziò a preoccuparsi. Ormai lo aveva capito che, ogni volta che provava simili sensazioni, le cose si mettevano male. Sperò di sbagliarsi almeno quella volta, ma ne dubitava.

Nel frattempo, Komi ritornò al suo posto, a braccia conserte. «Che palle...»

La distanza tra loro ed il misterioso figuro continuò ad accorciarsi sempre di più, metro dopo metro, e più il tempo avanzava, più Rachel sentiva le proprie interiora attorcigliarsi. Voleva scoprire chi ci fosse là ad attenderli, ma allo stesso tempo dubitava di volerlo sapere per davvero. Forse era solamente qualcuno di appostato lì proprio con lo scopo di farli rallentare, magari per poi farli assalire dai suoi compari appostati chissà dove, ma la corvina ne dubitava. Non sapeva il perché, ma aveva la sensazione – una semplice sensazione a pelle, né più, né meno – che, chiunque egli fosse, fosse da solo. E che fosse lì ad aspettarli già da un bel po’.

Non lo sapeva, non poteva saperlo, pertanto l’unica cosa che rimaneva da fare era aspettare e scoprire chi fosse con il metodo tradizionale.

Ormai a separarli restavano solamente più un centinaio di metri. E più si avvicinavano, più dettagli apparivano alla vista di Rachel. Per prima cosa, quella persona che a prima vista le era sembrato un puntino bianco, indossava effettivamente degli abiti bianchi. Anzi, un solo abito di quel colore, un lungo cappotto che copriva l’individuo dal cappuccio con visiera fino alle ginocchia. Ginocchia che poi erano fasciate sino ai piedi da del nastro del medesimo colore candido. E man mano che questi dettagli le venivano rivelati, la ragazza corvina percepiva le proprie palpebre sgranarsi ogni secondo di più. E quando riuscì a capire l’identità di quella persona, dapprima giunsero l’incredulità, lo stupore, la sorpresa, e poi l’incapacità di accettare tutto ciò.

Non era possibile. Non poteva esserlo. Non aveva alcun senso. Non poteva essere davvero lui, non lì, non in quel luogo, non in quel momento, non a centinaia di chilometri di distanza dal luogo in cui lo aveva visto l’ultima volta, a piedi per giunta! Non era possibile, assolutamente no. Come faceva ad essere arrivato fino a lì? Come... come?

Perfino Lucas, accanto a lei, non sembrava riuscire a credere ai propri occhi.

«Ma... ma quello...» Tara fu la prima a parlare, dopo quell’ultimo pezzo di strada trascorso nel silenzio più abissale. «... quello è un Mietitore!»

«Non un Mietitore qualsiasi...» iniziò a rispondere Lucas, con ancora lo sguardo inchiodato di fronte a lui, faticando a trovare le parole. «Quello... quello è...»

Rachel concluse la frase per lui, sentendosi la bocca piena di sabbia: «Richard...»







La scuola è finita, seeeeeeeeee
Non so perché sto esultando, visto che io l'ho finita già l'anno scorso. E l'anno scorso, in questo periodo, stavo pubblicando gli ultimi capitoli della storia precedente a questa. Non vi tornano in mente un sacco di ricordi bellissimi? Ahhh, che meraviglia.
Che cosa? Richard è tornato? Ah, sì, giusto. Non stavo mica cercando di sviare l'attenzione da questo particolare, dal fatto che questo personaggio continua a sbucare fuori di continuo perché non ho assolutamente idee su come creare dei colpi di scena, assolutamente no. So che la reazione di Rachel è un po'... fiacca, di fronte a questo avvenimento, ma questo è perché mi sono risparmiato per il prossimo capitolo.
Buone vacanze a tutti, e in bocca al lupo ai maturandi (o a chi ha le sessioni universitarie, so che questo è periodo anche per quelle).
Riletto, errori, segnalare, prassi, bla bla bla. Ciao ciao!

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Capitolo 3
*** Conti in sospeso ***


Capitolo 3: CONTI IN SOSPESO

 

 

«Richard?» domandò Tara, sollevando un sopracciglio, per poi alzare la voce, apparendo quasi allarmata. «As-aspetta! Quel Richard? Richard Grayson?!»

«Il perdente che stava con Kori?!» fece eco Amalia, alterandosi di colpo. «Ma che cazzo?!»

Rachel a stento le udì entrambe. Era così sconvolta da quello che stava vedendo che niente e nessuno oramai avrebbe potuto distoglierla dai suoi pensieri. Per tutto il tempo cercò di darsi da sola un motivo valido per giustificare la presenza di Richard, lì, in quel momento, ma ogni tentativo fu vano. Era assolutamente impossibile riuscire a trovare un modo razionale per spiegarsi come lui avesse fatto a raggiungerli, anzi, addirittura a superarli. Forse con la sua supervelocità avrebbe potuto avere una chance di fare ciò... se solo Richard ne avesse ancora avuta una. Da quello che la conduit ricordava, il Mietitore aveva perso i poteri per mano di Dominick giusto due giorni prima, pertanto era praticamente impossibile che li avesse sfruttati per giungere sino a lì. E in ogni caso, perché avrebbe dovuto fare ciò? Perché avrebbe dovuto raggiungerli? E come aveva fatto a scoprire di poterli trovare lì, proprio in quel momento?

Tutti quegli interrogativi la stavano letteralmente divorando dall’interno. Perché tra tutte le persone che avrebbe potuto incontrare nuovamente, Richard forse era quella che desiderava vedere meno. Non tanto perché ce l’avesse con lui in particolare, ma perché lui era quello che più di tutti riusciva a metterla in soggezione. Ogni tanto le capitava ancora di ripensare a ciò che lui le aveva detto e fatto, non solo negli ultimi mesi, ma anche quando ancora vivevano nel collegio, e tutto ciò spesso riapriva ferite che lei credeva ormai cicatrizzate. Ma allo stesso tempo non riusciva ad odiarlo per questo. Mai, con nessuno, si era sentita così divisa dalle proprie emozioni. Era combattuta, in un completo stato di attrazione e repulsione verso di lui, verso l’ombra di quel ragazzo che un tempo lei aveva amato con ogni fibra del suo essere, quel mostro, quell’essere, quel Mietitore, quel... Richard.

«Rachel.» Qualcuno la chiamò. Lei riconobbe immediatamente quella voce, probabilmente l’unica voce che avrebbe potuto distoglierla da quei pensieri, ossia quella di Lucas. La corvina si voltò verso di lui, per poi notare il suo sguardo altrettanto perplesso e, a tratti, preoccupato. «Che cosa facciamo?»

Solo in quel momento, la ragazza notò che il paesaggio attorno a loro aveva smesso di sfrecciare a tutta velocità. Perfino Rosso era rimasto così basito dalla situazione da aver deciso di fermare il veicolo. E anche dai sedili posteriori, le domande di Tara ed Amalia continuavano a piovere su di loro.

«Perché è vestito come un Mietitore?»

«Ma sbaglio, o è lo stesso che ha combattuto contro Dominick?»

«Quindi anche lui è sopravvissuto? È un conduit?!»

«Perché non si è più fatto vivo dopo l’esplosione?»

E mentre tutte questi interrogativi riempivano le orecchie della conduit, la mente della stessa era rimasta completamente concentrata sull’unico che davvero le importava: cosa fare?

Non ne aveva idea. Era pietrificata di fronte alla figura del Mietitore, di fronte a quel volto abbassato e nascosto dalla visiera a forma di teschio del cappuccio.

«Rachel...» Ancora Lucas, il quale ora teneva lo sguardo incollato su Richard a sua volta. «Lo sai che la sua presenza non può essere normale, vero? Sento puzza di bruciato fino a qui.»

Questo la corvina lo sapeva. Anche lei aveva capito ormai che, qualunque fosse la causa della presenza di Robin lì, in quel momento, era un qualcosa che forse era meglio non approfondire. Ma, allo stesso tempo, Rachel voleva scoprire di più, voleva andare fino in fondo a quella faccenda. D’altronde, non doveva avere paura di lui. Si erano parlati, a Sub City, lui le aveva spiegato il perché aveva fatto ciò che aveva fatto, le aveva fatto capire di essere ancora un essere umano, in fondo, e si erano chiariti. E allora perché provava quel senso di angoscia che raramente aveva percepito in altre occasioni?

Ormai interi minuti erano trascorsi senza che nessuno facesse nulla da ambo le parti. In quella autostrada deserta, il singolo Mietitore Richard e i quattro ragazzi all’interno della loro macchina si scrutavano immobili. Solamente una trentina di metri separava i cinque.

«Rachel...» Rosso chiamò ancora la conduit, ma ciò che fece Richard, questa volta, catturò l’attenzione di tutti i presenti, ammutolendo perfino le due ragazze sedute dietro la corvina.

Robin sollevò il capo di colpo, rivelando alla luce del giorno quel volto scarno, prosciugato, bianco come un lenzuolo e macchiato di nero che ormai Rachel aveva imparato a conoscere. Ma, questa volta, anziché le sue iridi azzurre e limpide come il cielo d’estate più sereno che potesse esistere, c’erano due bulbi rossi come il sangue. Corvina sgranò gli occhi, atterrita, mentre diversi versi di sorpresa giunsero dai suoi compagni di viaggio.

«Ma... ma che cosa...» La domanda di Amalia fu troncata di netto dal movimento repentino del Mietitore, il quale mosse rapidamente entrambe le braccia verso di loro, ed un’aura del medesimo colore dei suoi occhi avvolse il suo intero corpo. Fu questione di un istante, ma Rachel ormai aveva imparato bene a riconoscere il pericolo.

Un’onda di energia gigantesca si scaturì da entrambi i palmi di Robin; un ampio raggio di colore bianco, blu, nero e anche questa volta dello stesso colore vermiglio. Questo si proiettò a velocità disumana verso il veicolo e lo avrebbe sicuramente fatto saltare in aria se solo Rachel non avesse generato una barriera protettiva esattamente di fronte ad esso.

Le urla spaventate di Tara ed Amalia si placarono immediatamente dopo che lo scudo di energia nera di Corvina assorbì l’impatto, salvando il mezzo di trasporto, e anche Rachel sentì un nervo sciogliersi. Ma subito dopo il sollievo, la conduit metabolizzò quanto appena accaduto, ed una volta fatto ciò, giunse l’ennesima scarica di brividi, accompagnata da altrettanti quesiti. Com’era possibile? Come aveva fatto Richard ad usare i suoi poteri, di nuovo?! Dominick glieli aveva cancellati! E inoltre, perché non erano nemmeno più come li ricordava? Che cos’era quel bagliore rosso che lo aveva illuminato tutto ad un tratto? Che le cose fossero collegate?

Sicuramente, restare seduta in macchina non avrebbe aiutato a trovare risposte a quei quesiti. E, sicuramente, dopo quell’attacco a tradimento da parte del Mietitore, la conduit era parecchio restia a rimanere ancora immobile senza reagire. Qualsiasi fosse stato il modo grazie al quale Robin fosse giunto sino a lì, con di nuovo i suoi poteri per giunta, ora non contava più niente; lui l’aveva appena attaccata. Anzi, aveva attaccato tutti loro. Aveva appena minacciato di fare del male, o peggio, ai suoi amici e questo era inaccettabile per la corvina. Non aveva idea del perché avesse fatto una cosa del genere, dopo essersi chiarito con lei a Sub City, ed anzi, dubitava perfino che lui stesso sapesse il perché di tale azione, visto e considerato che non sembrava nemmeno in sé, a giudicare dalla quella sua espressione così rabbiosa, ma a lei non importava: doveva fermarlo, subito.

Scese dall’auto senza nemmeno avvertire i propri compagni. Rosso la chiamò non appena aprì la portiera, ma lei lo liquidò immediatamente: «Non intromettetevi.» Le dispiacque tenerlo fuori da quella faccenda, ma forse era meglio così; d’altronde, quella con Richard era una storia che riguardava lei e lei soltanto. E quello, era uno scontro che da ormai fin troppo tempo era stato rimandato.

Avanzò verso il Mietitore, il quale ora aveva di nuovo gli arti abbassati e la osservava con collera crescente. Ad ogni passo mosso dalla corvina, la sua smorfia rabbiosa si contorceva sempre di più. Più lo scrutava, più Rachel ne aveva la certezza: Richard non era in sé. Non aveva motivo di essere così infuriato con lei, sembrava quasi che volesse incenerirla con lo sguardo.

«Richard, ci sei?» domandò la ragazza, ipotizzando che magari dialogando con lui sarebbe riuscita a farlo ritornare in sé. Ne dubitava, ma tentare non le costava nulla. «Che cavolo di prende?»

Robin non rispose. Non a parole, almeno. La seconda onda di energia che le scagliò addosso alla velocità della luce fu sufficiente per permettere alla conduit di capire che il suo vecchio amico di infanzia non era affatto aperto al dialogo in quel momento.

Corvina generò un’altra barriera di fronte a sé, ma questa volta l’impatto con lo scudo di energia fu talmente devastante che l’onda d’urto generata per poco non fece cadere la giovane, che mai si sarebbe aspettata una simile potenza da parte di Richard. Era molto, molto più forte di quanto ricordasse. Avrebbe fatto meglio a non abbassare la guardia, nemmeno per un istante.

Il Mietitore attaccò ancora e Rachel questa volta decise di evitarlo spostandosi di lato, per poi rispondere al fuoco con una delle sue sfere di energia. Richard non si mosse fino a quando il globo oscuro non lo raggiunse. Per un momento Corvina pensò che lo avrebbe colpito, ma poi lui si mosse a velocità sovrumana. Sollevò un braccio e con un colpo secco della mano distrusse la sfera, la quale esplose a mezz’aria di fronte al suo volto. Ma quando la nube di fumo generata dall’esplosione si dissolse, la conduit poté constatare che nessun danno era stato arrecato al volto di per sé già rovinato di Richard. L’unica cosa che era cambiata era che ora il suo cappuccio era abbassato, probabilmente tirato all’ingiù dallo spostamento d’aria, ed ora i suoi spettinati capelli color cenere erano in bella mostra sotto la luce del mattino.

Rachel serrò la mascella. Se voleva vincere, doveva colpirlo con tutta la forza che possedeva. Tuttavia, Robin ripartì immediatamente all’attacco, prima che lei potesse pensare o fare qualsiasi altra cosa. Decine e decine di onde di energia furono scagliate contro di lei a velocità disarmante. Non le avrebbero dato nessuno scampo se non si fosse trasformata in corvo. L’energia nera avvolse il corpo di Rachel, donandole quel tepore e quella sensazione di sicurezza che solamente essa poteva donarle, dopodiché si liberò in aria allargando le braccia ormai tramutate in due grosse ali. Sfruttò il vantaggio dell’altezza ed evitò ogni attacco di Richard con eleganti schivate ed avvitamenti, dopodiché congiunse le ali e rispose al fuoco con un grosso raggio di energia nera, che si schiantò al suolo un istante dopo che il Mietitore si fu spostato con un salto di lato.

Richard cominciò a correre in semicerchio, perennemente avvolto dalla sua aura di energia, continuando a bersagliarla con i suoi attacchi esplosivi. Rachel dal canto suo lo imitò, spostandosi nella stessa traiettoria e seppellendolo sotto un mare di globi di energia e raggi di luce. Esplosioni su esplosioni si susseguivano man mano che i minuti avanzavano e gli attacchi venivano schivati. Coltri di fumo e polvere si generavano in continuazione, sommandosi tra loro e crescendo esponenzialmente di dimensioni. Era impossibile scorgere ciò che stavano facendo alla strada, ma la corvina era abbastanza certa che non fosse un gran lavoro di ristrutturazione.

Il Mietitore era velocissimo. Rachel aveva sempre pensato che tramutata in corvo fosse molto più rapida della maggior parte dei conduit, ma in quel caso si era sbagliata. Robin non era certo veloce come lo era Dominick con l’energia fotonica, ma poco ci mancava. E questo, di nuovo, era strano. Richard non era mai stato così rapido quando era un semplice Mietitore. Qualunque cosa fosse successa, in qualsiasi modo avesse riavuto i suoi poteri, questi erano stati potenziati. Non aveva idea di come fosse possibile una cosa del genere, ma ogni indizio lasciava presagire quello. Quando erano nel cantiere di Sub City Rachel avrebbe potuto spazzarlo via come una foglia se solo avesse voluto, poco importava se Richard era senza poteri o se era stanco per lo scontro contro Dominick, sarebbe stato più debole di lei in ogni caso, anche al massimo delle proprie energie. In quel momento, invece, riusciva addirittura a tenerle testa.

Per diversi minuti andarono avanti in quel modo, tra onde di energia, globi oscuri, schivate, avvitamenti, barriere, il tutto senza mai fermarsi per un solo istante. Mentre Rachel, concentrata come mai era stata, combatteva contro di lui, a tratti scorgeva il Mietitore con gli occhi rosso sangue, a tratti, invece, rivedeva il ragazzo che aveva conosciuto al collegio. Non era facile, per lei, combattere in quel modo, le sue emozioni continuavano a dividerla in due, ma sapeva anche che non poteva più fermarsi ormai.

Nessuno era ancora riuscito ad infierire sull’altro. Questo fino a quando, dopo aver evitato l’ennesimo attacco di Richard, Corvina non si ritrovò di fronte lo stesso Mietitore, il quale doveva aver saltato, raggiungendo un’altezza di almeno dieci metri. La giovane sgranò gli occhi, per poi beccarsi un calcio in piena tempia. La barriera di energia nera che la avvolgeva attutì quel colpo sicuramente molto più devastante, ma fu comunque parecchio doloroso. E ancora più dolorosa fu la caduta, visto che l’oscurità che la copriva si dissolse immediatamente, spezzata dalla potenza di quel calcio.

Corvina precipitò al suolo, gridando. Fortunatamente il suo corpo da conduit era molto più resistente rispetto a quello di un qualsiasi altro umano, altrimenti si sarebbe rotta chissà quante ossa dopo un volo del genere, ma, di nuovo, non fu una bella sensazione per lei. Per diversi istanti non riuscì a muovere le gambe, mentre la schiena era afflitta da fitte lancinanti di dolore. Con uno sforzo da capogiro riuscì a rimettersi carponi, ma sapeva che quello non era sufficiente. Richard atterrò ad una decina di metri di distanza da lei, accucciato su sé stesso ed appoggiando il palmo al suolo quando lo raggiunse, attutendo la caduta. Si rialzò immediatamente in piedi, dopodiché urlò di rabbia e congiunse le mani, per poi sferrarle un’onda di energia molto più grossa delle precedenti. Rachel sgranò gli occhi, osservandola basita ed impotente. Riuscì a percepire il calore e l’elettricità statica di cui quel proiettile era saturo e si preparò ad un impatto devastante, ma una figura oscura proveniente di lato si fiondò su di lei, facendole evitare l’attacco.

Corvina ruzzolò a terra, colta alla sprovvista. Abbassò lo sguardo e vide Rosso sdraiato sul suolo accanto a lei, mentre l’onda di energia del Mietitore passava accanto a loro a velocità inaudita. Questa andò poi a smarrirsi in uno dei campi circostanti, dove esplose generando un boato che fece tremare il terreno. Notando da cosa lui l’avesse appena salvata, Rachel deglutì. «G-Grazie Lucas...»

«Di niente» mugugnò lui, cercando di risollevarsi, per poi sgranare gli occhi. Il suo volto divenne bianco, letteralmente, per il riflesso della seconda onda di energia che stava per raggiungerli. «Oh, cazz...»

Non terminò la frase, perché Rachel sollevò un braccio ed una nuova barriera protettiva spuntò dal suolo per poi avvolgerli entrambi come una bolla, contro la quale l’attacco di Robin si schiantò. Corvina percepì il proprio respiro mozzarsi dopo quell’urto, la bolla si crepò perfino in diversi punti, ma riuscì comunque a reggere tutto l’impatto.

«Grazie Rachel...» sussurrò Rosso ancora atterrito, dopo che la barriera svanì.

«Di niente...» ansimò Rachel, rimettendosi faticosamente in piedi, aiutata dal partner.

I due ragazzi fronteggiarono il Mietitore, il quale sembrava oramai un vulcano incandescente pronto ad esplodere di furia cieca.

«Ma che problemi ha?!» soffiò Lucas, alquanto indignato, per non dire di peggio.

Corvina scosse impercettibilmente la testa, con gli occhi fissi sul suo vecchio amico di infanzia. «Non ne ho idea.»

«Ehi!» Una terza voce si sollevò nell’aria. I tre si voltarono, per poi vedere Amalia e Tara ferme vicino alla macchina, la prima con il fucile puntato verso il Mietitore, la seconda invece con le mani congiunte di fronte all’addome e lo sguardo a metà tra il preoccupato e lo sconvolto.

«Vedi di darti una fottuta calmata o ti trasformo in un colabrodo!» sbottò Komi, accarezzando il grilletto.

«Ragazze!» le chiamò Rachel, preoccupata. «Lasciatelo stare, è troppo pericoloso!»

«Si vede che non sai di cosa sono capace, Roth» replicò Amalia, senza staccare gli occhi dall’ex fidanzato di sua sorella. Ora che Corvina ci faceva caso, se Robin era un vulcano pronto ad esplodere di rabbia, Komand’r sembrava direttamente la cintura di fuoco. E Rachel non faticò a capirne il motivo, anche se sapeva che tutto ciò era dannoso per Amalia. Spesso si lasciava trascinare troppo dalle emozioni, ed in casi come quello ciò poteva essere fatale. Si fidava di Komi, sapeva che era capace di grandi cose, ma con un avversario fuori controllo come Richard, forse era meglio fare un passo indietro. O anche due.

«Che ti è successo, Richard?» domandò poi Tara, con voce flebile. «Credevo fossi nostro amico...»

«Già, bell’amico...» rantolò Rosso a bassa voce cosicché solamente Corvina potesse sentire, digrignando i denti e stringendo i pugni. «Se solo sapeste quello che ha fatto a Rachel...»

Lucas..., pensò la conduit, volgendogli una fugace occhiatina. Ancora pensava a quella notte ad Empire City, quando Robin l’aveva abbandonata mandandole il cuore in frantumi. Ci aveva poi pensato lui, poco per volta, a ricostruirglielo pezzo dopo pezzo e per questo gli era profondamente grata. Però anche lui si stava lasciando trasportare troppo. Richard era un avversario ben oltre la sua portata, ben oltre la portata di tutti loro. Solamente lei aveva una chance di sconfiggerlo, ma prima doveva curare i traumi subiti dal calcio e dalla caduta. Appoggiò una mano sul proprio ventre e cercò di usare i suoi poteri per guarirsi, ma Richard non parve gradire ciò, visto che si fiondò nuovamente su di lei lanciando un grido disumano. Grazie alla sua supervelocità li raggiunse in un baleno e Corvina temette di non riuscire a schivarlo, anche se non ce ne fu bisogno, perché il bersaglio di Robin non era più lei, bensì Rosso. Il moro spalancò gli occhi, dopodiché ricevette un pugno in pieno volto che lo scaraventò a terra, ad un paio di metri di distanza da loro.

Eliminata la prima minaccia, Richard si concentrò su Rachel, la quale era ancora troppo sorpresa per reagire. Anche lei fu colpita e scaraventata per terra, con un lancinante bruciore alla guancia. Sollevò lo sguardo e vide Robin torreggiare su di lei, ma la figura di Lucas riapparve alla visuale, urlando di rabbia e lanciandosi addosso al Mietitore, placcandolo ad un fianco e facendolo ruzzolare a terra. Rachel si raddrizzò, meravigliata dalla rapidità con cui Rosso si era rialzato, poi vide il suo partner inginocchiato accanto a Richard, intento a tenerlo immobilizzato al suolo. Gli sferrò un pugno in pieno volto, producendo un rumore orribile, dopodiché si afferrò una mano e gridò di dolore, come se avesse appena colpito un muro di cemento.

«AH! Figlio di putt...»

Robin non gli concesse il lusso di terminare quell’imprecazione. Si drizzò di scatto come se il pugno ricevuto non lo avesse nemmeno scalfito e gli sferrò una testata sotto al mento, facendolo urlare di nuovo e ribaltandolo. Si sedette a cavalcioni sopra di lui e cercò di sferrare un cazzotto a sua volta, ma Lucas lo bloccò con entrambe le mani, gemendo e facendo una smorfia per lo sforzo. Richard a quel punto sollevò l’altra mano, la quale iniziò ad illuminarsi pericolosamente. Un’onda di energia prese forma sul suo palmo, la quale con su scritto già il nome di Rosso. Lo stesso moro se ne accorse e spalancò gli occhi.

«Ora mi hai proprio rotto!» Prima che chiunque potesse fare qualsiasi cosa, la voce di Amalia tornò a farsi udire, accompagnata da uno sparo. Una chiazza di sangue si dipinse sul fianco del Mietitore, il quale urlò per la prima volta di dolore ed abbassò la mano, facendo svanire l’energia bianca che l’aveva illuminata.

Richard si voltò grugnendo verso Amalia, la quale lo osservava quasi schifata, oltre che incavolata nera. Il Mietitore distolse l’attenzione da Lucas e si alzò in piedi per fiondarsi sulla nuova minaccia. Komi, dal canto suo, non si fece attendere: premette il grilletto ed una scarica di proiettili piombò su di Robin. Il Mietitore, tuttavia, era troppo veloce perfino per loro. E perfino quelli che andavano a segno non sembravano ferirlo davvero gravemente. La stessa Komand’r parve rendersene conto perché la rabbia svanì presto dal suo sguardo, rimpiazzata ben presto dalla sorpresa.

«Komi!» gridò Tara spaventata, mentre Richard le scagliava l’ennesima onda di energia.

«Oh, merda!» esclamò Amalia buttandosi a terra e schivandola per miracolo. Si rimise subito in ginocchio e fece per aprire nuovamente il fuoco, ma Robin ormai l’aveva già raggiunta. Disarmò la ragazza sferrando un calcio al fucile, dopodiché colpì direttamente lei, con un ceffone dalla parte delle nocche in pieno volto. Komand’r urlò di dolore e stramazzò a terra, coprendosi la guancia martoriata. Dopodiché, il conduit si concentrò sull’altra ragazza. Tara spalancò gli occhi ed indietreggiò di un paio di passi, gemendo spaventata. Robin ringhiò e si fiondò anche su di lei, strappandole un grido terrorizzato.

«Non la toccare!» urlò Amalia rialzandosi in piedi alla velocità della luce e aggredendolo con un coltello che aveva estratto da chissà dove. Ancora una volta, Robin fu costretto a voltarsi verso di lei, giusto in tempo per schivare una coltellata che gli avrebbe tagliato la faccia di netto. Komi gridò per la frustrazione e sferzò l’aria diverse volte, cercando di ferirlo, ma lui evitò ogni singolo attacco con estrema rapidità, per poi scansarsi di lato all’ultimo istante, facendo perdere l’equilibrio alla mora che aveva appena tentato un affondo. Le sferrò una ginocchiata all’addome, strappandole un verso soffocato, dopodiché la afferrò per i capelli e la scaraventò a terra.

Richard torreggiò su di lei, ma prima che potesse fare altro, due rampicanti di energia nera spuntarono dal terreno ed afferrarono Richard per le braccia, immobilizzandolo e strappandogli un verso di sorpresa.

Il Mietitore si voltò di scatto, verso di Rachel, la quale teneva una mano puntata verso la sua direzione. La giovane trasalì di fronte al suo sguardo incendiario, ma mantenne comunque la concentrazione, in modo che i rampicanti non mollassero la presa su di lui. Robin urlò ed iniziò a dare diversi strattoni, facendo gemere Corvina per lo sforzo di tenerlo imprigionato. Nessuno aveva mai minacciato di liberarsi così facilmente dai suoi lacci di energia prima di allora. La conduit si concentrò e ne fece comparire altri, che andarono ad avvolgersi attorno al suo corpo, alle sue gambe e alle sue braccia, a più ne apparivano, più Robin pareva infuriarsi, più per lei era difficile tenerlo bloccato.

Robin urlò di rabbia, dopodiché allargò le braccia, piegando i rampicanti di Rachel come se fossero fatti di carta. L’aura rossa che lo circondava crebbe di intensità e dimensioni e, poco per volta, l’energia oscura della conduit cominciò ad essere spazzata via; uno dietro l’altro, i rampicanti si dissolsero come neve al sole, fino a quando l’aura non diventò talmente intensa da generare un’onda d’urto talmente forte da sbalzare via la conduit. La ragazza gridò per il dolore e la sorpresa e si ritrovò nuovamente a ruzzolare a terra. Tossì e sollevò il capo, mentre la paura e l’incertezza cominciavano ad assalirla senza lasciarle scampo. Non ci riusciva. Non riusciva a fermarlo. Non sapeva come fosse possibile, ma Richard era diventato una macchina da guerra apparentemente inarrestabile. Ogni suo attacco era stato inutile, ogni suo tentativo di neutralizzarlo era fallito miseramente. L’unica cosa che poteva ancora provare, era cancellargli direttamente i poteri, ma come poteva farlo se nemmeno riusciva ad avvicinarsi a lui?

Anche se quella avrebbe dovuto essere l’ultima delle sue preoccupazioni, visto che ora Richard aveva di nuovo lei come suo bersaglio. Rachel udì un verso provenire da accanto a lei e notò che anche Rosso si stava rimettendo in piedi, per poi rivolgere un’occhiata truce al Mietitore, il quale ora aveva lo sguardo posato su di lui.

«Non le farai... altro male...» rantolò, per poi mettersi in posizione da combattimento. Aveva il naso e le labbra che sanguinavano, più diversi altri tagli e lividi sul volto, ma non sembrava comunque affatto intento ad arrendersi.

«Lucas...» mormorò Rachel.

Robin, dal canto suo, non si fece attendere: ringhiò come un lupo affamato ed entrambe le sue mani si illuminarono di bianco, rosso e azzurro. Due onde di energia enormi iniziarono a prendere forma sui suoi palmi, ma una voce improvvisa distolse da Rosso la sua attenzione: «Fermo, Richard!»

I tre ragazzi si accorsero solo in quel momento di Tara, in piedi alle spalle del conduit, con una pistola puntata verso di lui. Il Mietitore si voltò lentamente, per poi squadrarla quasi perplesso. La bionda, a quel punto, sembrò esitare. La mano con cui teneva la pistola parve tremare leggermente, e anche dalla sua espressione era chiaro che la Markov fosse parecchio incerta sul da farsi.

Rachel serrò la mascella. Non aveva idea di chi le avesse dato quella pistola, ma immaginava che si trattasse di una persona parecchio scorbutica con i capelli neri. Peccato solo che Tara fosse probabilmente la meno adatta per tenere in mano un’arma. Soprattutto se questa era puntata contro un conduit come Richard. 

«T-Ti prego, Richard...» cominciò a dire lei, con un filo di voce che lasciò ben intuire quanto si sentisse inadeguata per quella situazione. «Non... non costringermi a...»

Il Mietitore gridò per l’ennesima volta e la attaccò, strappandole un urlo spaventato. La raggiunse con un semplice scatto, talmente rapido che perfino per l’occhio umano fu difficile percepire i suoi movimenti. Tara non ebbe il tempo nemmeno per sfiorare il grilletto; si ritrovò sbalzata a terra, disarmata, gemendo per il dolore e con un brutto taglio sulla guancia. Richard dopodiché le piantò un piede sopra al collo e iniziò a fare pressione, facendola urlare per il dolore. Sollevò una mano, pronto ad annientarla, ma alle sue spalle giunse Amalia, che si avventò su di lui con nuovamente il coltello tra le mani e stampata in faccia un’espressione di puro odio. «TI HO DETTO DI NON TOCCARLA!»

Richard si scansò, ma non riuscì comunque ad evitare la lama del coltello, che andò a piantarsi sulla sua clavicola, strappandogli un verso soffocato. Ma ciò non fu comunque sufficiente per fermarlo. Sferrò un destro alla mora, mandandola ancora una volta al tappeto, con un sopracciglio spaccato. Robin puntò il palmo contro il volto grondante di sangue di Komi.

«Amalia!» Rosso corse in sua direzione, ma Robin spostò immediatamente la mano verso di lui, per poi sferrare una sfera di energia che si schiantò ai suoi piedi, sbalzandolo via e facendolo gridare di dolore.

«Lucas!» Rachel cercò di rialzarsi per aiutarlo, ma poi notò il palmo di Richard di nuovo puntato verso di Amalia, la quale sembrava trovarsi in uno stato di semi incoscienza. La mano del Mietitore si illuminò di bianco a pochi centimetri dalla faccia della mora. Corvina cercò allora di proiettare una barriera protettiva verso di lei, ma sentì le forze mancarle a causa di una fitta di dolore al petto, dove era stata colpita poco prima. A quel punto, non poté fare altro che osservare impotente la scena, con orrore crescente. Vide l’onda di energia prendere forma e staccarsi dalla mano del Mietitore, per poi fiondarsi sul corpo esanime di Komand’r.

Il tempo rallentò. Rachel gridò inorridita. Ma l’urlo di Tara, fu dieci volte più straziante: «AMALIA!»

La bionda, che si stava rimettendo in piedi, puntò una mano verso di loro. Un bagliore giallo accecò la corvina, mentre la terra sembrò tremare all’improvviso. Vi fu un’enorme esplosione, seguita da una gigantesca coltre di polvere che si sollevò tra il Mietitore e la ragazza esanime.

Per un istante non vi fu altro che il silenzio. Un silenzio irreale, durante il quale Rachel riuscì solamente a percepire il proprio battito cardiaco e il rumore del suo respiro. L’idea che Amalia fosse appena stata uccisa da colui che un tempo era il suo migliore amico minacciava letteralmente di farle perdere completamente il senno. Ma come avrebbe potuto una persona normale come Komi sopravvivere ad un attacco del genere?

La polvere iniziò lentamente a diradarsi. Man mano che il tempo passava, Rachel sentiva una pesante sensazione di angoscia assalirla. Komi non poteva essere morta per davvero. Non poteva, era escluso. Rachel non avrebbe mai potuto accettarlo.

La visuale tornò chiara. E quando ciò accadde, l’angoscia di Rachel svanì, lasciando spazio ad un enorme stupore. Forse perfino più grande di quello provato nel rivedere Richard. Il corpo di Komi era intatto. Il suo volto era completamente illeso, eccezion fatta che per il taglio al sopracciglio. Rachel non credette ai suoi occhi, perfino Richard parve intuire che c’era qualcosa che non andava. Poi Corvina vide: vide alcuni resti di quello che avrebbe dovuto essere un arco di pietra spuntare dal terreno, compiendo una traiettoria che avrebbe dovuto ricoprire il corpo di Komi, e quest’arco era sfondato esattamente nel punto sopra al viso di Komi, quello che Richard avrebbe dovuto colpire.

Rachel spalancò la bocca. Aveva già visto costruzioni di pietra simili, in diverse occasioni. E tra queste, vi era quella in cui lei aveva rischiato la sua stessa vita per mani di quegli affari. Spostò lentamente lo sguardo. Vide Tara, con ancora la mano puntata verso Richard e Komi, anche lei a bocca aperta, paralizzata. O meglio, pietrificata. Letteralmente.

La luce giallognola che poco prima aveva abbagliato Rachel era ancora presente, ed avvolgeva il corpo della Markov, mentre i suoi occhi brillavano della stessa luce ed i suoi capelli si muovevano autonomamente, come sospinti da una qualche corrente d’aria.

Corvina non si capacitava di ciò che stava vedendo. Non credeva che sarebbe mai successa una cosa del genere, ma proprio come con Richard, era successa.

Tara era scomparsa. Al suo posto, c’era Terra.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Punto di svolta ***


Capitolo 4: PUNTO DI SVOLTA

 

 

Per la prima volta da quando quel cruento scontro era iniziato, Robin parve sembrare sinceramente sorpreso, perfino incapace di pensare a quale mossa fare. Per Rachel, invece, nonostante i diversi istanti trascorsi, tutto quello sembrava ancora irreale. Prima Richard, ora Tara, entrambi una volta privati dei loro poteri, adesso, invece, tramutati nelle loro controparti conduit dinnanzi a lei. L’unica differenza era che nessun bagliore rosso proveniva dal corpo della Markov, il che, forse, era positivo. Forse.

Quella che però sembrava più sconvolta da tutto quello, era proprio la ragazza bionda. Dopo essere rimasta paralizzata ad osservare la costruzione di pietra con la quale aveva salvato Amalia, spostò lo sguardo sulle proprie mani, per poi gridare spaventata, forse realizzando solo in quel momento cosa fosse appena accaduto. Per Rachel non fu facile biasimarla per quel motivo, anzi, era più che giustificata. Quel lato che la Markov aveva sperato di dimenticare, quello che sicuramente l’aveva terrorizzata a morte e che l’aveva spinta a compiere azioni orribili, fino ad addirittura desiderare di morire, era riemerso. Come, tuttavia, proprio come con Richard, era impossibile saperlo. L’unica cosa che Rachel sapeva per certo, però, era che Robin si era distratto; e che quella era la sua occasione.

L’energia oscura iniziò ad avvolgerle il corpo, mentre il Mietitore si voltava lentamente verso la rinata conduit della terra. I due si osservarono e Tara cercò di strisciare via da lui, osservandolo terrorizzata. Anche se aveva appena riottenuto i suoi poteri, era evidente che non avesse la più pallida idea di che cosa fare. Diverse fitte assalirono nel frattempo il corpo di Rachel, la quale era ancora molto dolorante dopo la batosta subita poco prima, ma la corvina non si sarebbe fermata, non in quel momento. La figura del rapace nero prese forma attorno a lei, dopodiché, senza perdere un solo istante, si fiondò sul suo bersaglio ancora troppo concentrato su Terra per accorgersi di lei.

Il breve tragitto aereo che percorse fu una delle cose più difficili e dolorose che la ragazza ebbe mai avuto la sventura di fare, ma il peggio doveva ancora venire; si schiantò contro Richard, strappandogli un urlo di dolore, ed entrambi ruzzolarono a terra. Rachel cancellò l’energia nera che la avvolgeva e si ritrovò seduta a cavalcioni sopra il corpo di Robin. Senza perdere un solo istante piantò il palmo della mano sul petto del Mietitore ed usò i suoi poteri per cancellare quelli di lui, come già una volta aveva fatto con Dominick. Non appena le sue dita entrarono in contatto con il corpo del ragazzo e l’energia oscura iniziò a sprigionarsi da esse, la conduit percepì come una fortissima scossa elettrica percorrerla dalle piante dei piedi alla cima dei capelli, strappandole un urlo di dolore quasi disumano. Sentì il proprio sangue iniziare a ribollirle in corpo, letteralmente: fu quasi come se le avessero appena fatto un’iniezione di veleno dritta nelle vene. Mai le era successa una cosa simile, prima di allora. Con Dominick non aveva provato tutto quel dolore, tantomeno con Deathstroke o Hank.

Poi Rachel vide l’energia rossa di Richard sprigionarsi dal suo corpo, avvolgendolo quasi come una calza protettiva. A quel punto la corvina realizzò che, qualunque cosa fosse, stava proteggendo il Mietitore. La stava respingendo, letteralmente. Robin alzò lentamente il capo, per poi scrutarla con quei suoi occhi scarlatti, ringhiando furibondo. Il dolore divenne insostenibile, Corvina urlò ancora più forte, ma non poteva fermarsi; se non fosse nemmeno riuscita a cancellargli i poteri, allora non avrebbe più avuto nessuna idea su come poterlo fermare.

L’energia nera e quella rossa iniziarono a mischiarsi assieme, entrambe cercando di avere l’una la supremazia sull’altra, ma più il tempo passava, più sembrava che la seconda potesse avere realmente la meglio. Cominciò ad avvolgere la mano della ragazza, per poi iniziare lentamente a salire verso di lei, percorrendole il braccio ed annientando ogni traccia della sua energia oscura. Oltre al dolore, Rachel iniziò a provare paura. Qualunque cosa stesse succedendo, non prometteva bene.

Corvina cominciò seriamente a temere il peggio. Chiuse gli occhi, ormai incapace di sostenere il dolore ed ormai senza voce per via di quell’urlo straziante di poco prima. Sentì una lacrima rigarle la guancia e domandò scusa in silenzio a tutte quelle persone che aveva deluso dopo quel combattimento così penoso.

«RACHEL!»

Quel grido le fece riaprire di scatto gli occhi. Vide Rosso correre verso di lei, questa volta brandendo tra le mani il fucile di Amalia. «RESISTI!»

Osservare il proprio partner correre in suo aiuto infuse nel corpo di Rachel una nuova ondata di coraggio. Il dolore per un attimo cessò, lasciando spazio ad una molto più gradevole sensazione di calore dentro al suo petto. Il moro li raggiunse, per poi colpire con violenza la tempia di Richard con il calcio dell’arma. Il Mietitore grugnì di dolore e chinò il capo. L’energia rossa parve avere un attimo di cedimento, e la corvina colse la palla al balzo: con le poche forze che ormai le rimanevano, diede il tutto per tutto ed infuse quanto più potere possibile nella sua mano, dove l’energia nera prese di nuovo forma, questa volta, però, scacciando via quella scarlatta.

Robin fece un verso e cercò di rialzare la testa, per poi spalancare gli occhi alla vista della sua aura vermiglia venire poco per volta spazzata via da quella oscura di Rachel. Fece un verso dapprima sorpreso, poi, poco per volta, sempre più spaventato. Cercò di dimenarsi per sfuggire dal potere di Rachel, ma Rosso non parve gradire quel suo gesto.

«A nanna!» esclamò, sferrandogli un’altra legnata e permettendo a Rachel di avere l’ultima parola. L’oscurità avvolse completamente il corpo di Richard, il quale ormai, impotente, non poté che assistere alla sua stessa fine.

Rachel gridò nuovamente, questa volta per lo sforzo, dopodiché la sua vita si appannò all’improvviso, mentre una fortissima fitta di dolore la trafisse alle tempie. Tutto si oscurò di colpo, attorno a lei, ma nonostante questo, continuò comunque a percepire la sua mano posata sul petto del Mietitore e l’energia nera che continuava a fuoriuscire e a sfrigolare impazzita. E dopo diversi istanti, provò anche qualcos’altro. Qualcosa che mai aveva provato prima di allora. Il nero avvolse ogni cosa, fino a quando lei non venne estraniata completamente dal mondo. E qui, tutto iniziò.

 

***

 

Dolore. L’unica cosa che riusciva a sentire in quel momento. Solamente quello. Una lenta, straziante agonia, che gli attanagliava il petto, la mente, il suo intero corpo.

Tutto era svanito. Tutto quanto, di fronte a lui. Prima era in quel museo, accanto a loro, accanto a lei, alla sua ragione di esistere, l’amore della sua vita. E poi anche lei era stata cancellata, annientata, assieme a tutto il resto.

Quel cratere, quel maledetto cratere in cui si era risvegliato, era l’unica cosa rimasta dopo quanto accaduto. La profonda cicatrice che quell’esplosione aveva lasciato al Centro Storico. Trovare una qualsiasi forma di vita, al suo interno, sarebbe stato impossibile. Non c’era più niente, niente di niente, solo macerie, detriti, polvere e cenere.

L’avevano ridotta in polvere. Lei, il suo sole, la sua vita, ciò che gli donava il sorriso ogni mattino, ogni pomeriggio ed ogni sera, era stata disintegrata. Non l’avrebbe mai più rivista, non avrebbe mai più rivisto il suo sorriso, il suo volto, udito la sua risata, non avrebbe mai più sentito il suo respiro caldo sul suo volto, il tepore dei suoi baci, quei suoi gemiti che si sperdevano nelle notti trascorse avvolti sotto a delle lenzuola stropicciate.

Era andata. Per sempre. Tutto quanto era appena finito, esattamente di fronte ai suoi occhi, senza che potesse fare nulla.

Ed ora era lì, in mezzo a quella landa desolata, da solo, senza più nulla. Un semplice istante era bastato per spazzare via ogni cosa. I suoi amici, l’amore della sua vita, la sua vita stessa e, soprattutto, ogni sua certezza. Le sue mani si erano poi avvolte di quell’energia blu. Quell’energia che in un primo momento l’aveva terrorizzato a morte, ma che, successivamente, sarebbe stata la chiave: la chiave della sua rinascita.

Dopo aver lasciato quel luogo devastato aveva lasciato che i giorni trascorressero, tra i fiumi di lacrime che aveva versato per la morte di Kori e il dolore lancinante al petto che non sembrava volerlo abbandonare per nulla al mondo. Poi, la verità, o presunta tale, era saltata fuori: un attacco terroristico.

Perché? Perché avevano fatto una cosa del genere? Perché avevano distrutto quel quartiere? Non sapevano che c’erano delle persone, lì? Certo che lo sapevano. Era proprio quello il motivo per cui lo avevano fatto. Erano terroristi, del resto. E proprio per questo, lui non li avrebbe mai perdonati. Mai, mai, mai e poi mai.

La città cadeva a pezzi. I Mietitori stavano sorgendo. Lui aveva dei poteri che non si spiegava. Avrebbe potuto fermarli, ma non l’aveva fatto. No, non avrebbe mai fatto nulla per perdere quell’occasione: l’occasione di rinascere dalle proprie ceneri, di abbattere quella barriera che ancora lo teneva inchiodato al passato e gli impediva di superare il dolore. D’altronde, tutto quello che aveva paura di perdere, ormai già lo aveva perso. Non aveva più alcun motivo di restarsene con le mani in mano. Si era unito a loro, aveva subito salito la scala gerarchica e si era ritrovato di fronte lei: Sasha. E lei gli aveva promesso esattamente quello che cercava: potere. Aveva bisogno di tutto il potere possibile per poter trovare coloro che avevano ammazzato la sua Kori. In cambio doveva solamente svolgere qualche lavoro per lei. Nulla di così complicato.

Aveva scoperto che esistevano altre persone come lui. Altri sopravvissuti all’esplosione, altra gente con i poteri. Conduit, così li chiamavano. Da dove diavolo era uscito quel nome? Non aveva importanza. Se era con quell’appellativo che volevano indicare coloro che avevano capacità sovrumane, a lui stava bene.

Empire City stava morendo, lentamente, sotto ai suoi occhi, ma a lui non importava. Non poteva fare più niente, ormai, per salvarla. Se la vita aveva deciso di togliere loro tutto quanto come stava accadendo in quel momento, lui era impotente. Completamente. Non aveva potuto fare nulla per salvare Kori, pertanto avrebbe continuato a non farlo. Non avrebbe fatto come Rachel, o quell’idiota vestito di nero. Loro credevano davvero che avrebbero potuto cambiare le cose, combattendo contro i Mietitori. Poveri illusi. La città era spacciata, ormai. Nulla, nulla poteva salvarla. Ma d’altronde, questa era una cosa che a lui non interessava. Il suo unico scopo era vendicare Kori.

Il veleno di Sasha continuava a bruciare la sua pelle. Il suo aspetto peggiorava sempre di più, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Ormai a stento riusciva a riconoscersi. Presto, lo sapeva, avrebbe perso il controllo e sarebbe diventato un servo di quella donna per il resto della vita. Ma non era intenzionato ad arrendersi facilmente, non ancora, almeno. Avrebbe vendicato Kori, fosse stata l’ultima cosa che faceva in quella sua miserabile vita.

Tuttavia, scoprì ben presto a sue spese che il tempo era forse l’unica cosa in grado di essere più potente della vita stessa: man mano che i giorni, le settimane e i mesi passavano, la parte di lui che ancora era rimasta razionale continuava a dirgli che tutto quello altro non era che una perdita di tempo. Non avrebbe mai trovato i veri responsabili della morte di Kori, non restando ad Empire City, non con il veleno di Sasha che poco per volta si prendeva possesso di lui. Più andava avanti, più ragionare gli veniva difficile, più faticava ad agire per conto proprio. Era una lotta interiore, la sua. Una lunga e stremante guerra di logoramento che alla fine non avrebbe avuto nessun vincitore.

Non aveva più alcun senso resistere. Kori era morta, ormai, non sarebbe più tornata indietro. E nemmeno lui ormai poteva più farlo. Ormai, Sasha si era impossessato di lui. Il veleno stava facendo il suo effetto. Decise quindi di lasciarsi infine soggiogare. Ed era... bello. Finalmente era riuscito a dimenticare le sue emozioni, il suo dolore, la sua sofferenza. Era... libero. Libero da ogni suo fardello. Non aveva più bisogno di vendicare nessuno, non aveva più bisogno di compiere alcun gesto ai limiti della follia. Non aveva più bisogno... di vivere nel passato.

Aveva voltato pagina, finalmente. Richard era morto. E Robin era nato, ergendosi finalmente sulle ceneri del suo vecchio sé stesso, vittorioso.

E Robin, aveva un destino da adempiere. I Mietitori sarebbero finalmente sorti e lui, dopo la morte di Sasha, avrebbe preso il comando. Nessuno, nessuno, sarebbe più riuscito ad arrestare la loro ascesa.

Il mondo ed i suoi sciocchi abitanti avrebbero fatto bene a prepararsi: i Mietitori stavano arrivando.

 

***

 

Rachel riaprì gli occhi all’improvviso, boccheggiando e venendo subito accecata dalla luce del giorno. Si ritrovò a terra per l’ennesima volta, con la testa che girava, il cuore che batteva all’impazzata e la sensazione di star fluttuando per aria. Sentiva i propri muscoli ancora contorcersi per lo sforzo immane di poco prima, la mano bruciare e il sapore metallico del sangue sulle proprie gengive. Decisamente, aveva avuto momenti migliori di quello. Ma almeno era viva, o meglio, era abbastanza sicura di esserlo.

Ogni dubbio svanì quando nel suo campo visivo apparve Lucas, parecchio sfocato, che la chiamò incerto: «Rachel?»

«S-Sì...?» mugugnò lei, al che il moro sorrise trionfale.

«Ben fatto» le disse, aiutandola a mettersi a sedere. La corvina si passò una mano sulla tempia, per lenire il dolore lancinante che non le lasciava tregua. Di fronte a lei, il corpo di Robin giaceva esanime. Il mietitore aveva gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Corvina ripensò a ciò che era appena accaduto: era un qualcosa di completamente nuovo, di diverso, che mai prima di allora era successo. Era... era entrata nella testa di Richard? Non le sembrava vero, eppure... eppure le emozioni che aveva provato, la rabbia, l’odio, il rancore, la sensazione di impotenza percepita mentre il veleno prendeva il controllo del suo corpo... non potevano essere sue. Lei non aveva mai provato nulla del genere, non a livelli così estremi. Quelle... quelle erano le vere emozioni del Mietitore. Quando lui le aveva detto la verità aveva pensato di averlo compreso, ma dopo quanto successo, aveva realizzato che in realtà non aveva davvero capito che cosa avesse provato, nemmeno lontanamente.

Il suo petto si alzava e abbassava ancora, lentamente, segno che era ancora vivo anche se completante fuori combattimento, e segno inconfutabile del fatto che la corvina era riuscita nel suo intento. Lo aveva neutralizzato, e non solo. Aveva anche scoperto delle cose su di lui e su sé stessa. Sinceramente, non sapeva cosa pensare delle informazioni che aveva appena acquisito. Sapeva solo che ora comprendeva il Mietitore molto più di quanto non avesse mai fatto.

Se non altro, almeno, finalmente era tutto finito. E non ce l’avrebbe mai fatta senza una certa persona. La giovane si voltò verso il suo partner e ricambiò il sorriso. Non disse nulla, si limitò a stringerlo in un forte abbraccio, che probabilmente sorprese più lei che lo stesso Rosso.

«Grazie Lucas...» mormorò, appoggiando il mento sulla sua spalla. «Non ce l’avrei mai fatta senza di te.»

«Figurati» replicò lui, accarezzandole dolcemente la schiena. «Siamo una squadra, no?»

Rachel si separò da lui, per poi osservarlo dritto in faccia ed accarezzargli una guancia e sorridere teneramente. «E non solo quello.»

Rosso ricambiò il sorriso e posò una mano su quella di Rachel, per poi stringerla con forza. Tuttavia, un verso proveniente dalle loro spalle costrinse entrambi a voltarsi. Corvina vide Amalia cominciare a rialzarsi lentamente, mugugnando infastidita e strofinandosi la testa. «Mhh... ma che cavolo è successo?»

Una sensazione di sollievo avvolse la conduit, felice di vedere la propria amica sana e salva, ma in quello stesso momento, tuttavia, si ricordò come lei si fosse salvata. O meglio, chi lo aveva fatto. Sgranò gli occhi, per poi voltarsi verso di Tara, della quale si era totalmente dimenticata nella foga del momento.

La bionda tremava come una foglia, aveva lo sguardo fisso sulle proprie mani e continuava ad emettere versi sconnessi, simili a dei guaiti.

«Ma cosa...» sussurrò Lucas, spalancando gli occhi a sua volta. «Tara?»

Terra drizzò il capo di colpo, verso di loro, per poi fare un verso più forte, questa volta spaventato. Strisciò ancora all’indietro, cercando di allontanarsi pure da loro. Rachel porse una mano verso di lei. «Tara, aspetta!»

Con quel gesto, tuttavia, parve allarmarla perfino di più, perché questa gridò di nuovo, questa volta anche più forte. In reazione a ciò, un cuneo di roccia spuntò all’improvviso dal terreno, di fronte ai due ragazzi. Rachel e Lucas sobbalzarono, mentre Terra parve dare ancora di più di matto. Altre stalagmiti apparvero dal nulla, circondando i due partner, mentre la neo conduit continuava a fare versi sempre più disperati con quella sua voce gutturale e disumana. Si premette poi le mani sulle tempie ed abbassò il capo, gridando con quanto fiato avesse in corpo, non facendo altro che peggiorare la situazione.

«Tara, devi calmarti!» urlò Rachel, un attimo dopo che uno di quei cunei per poco non la affettò in due.

«Tara...» sussurrò Rosso, osservandola sbigottito. «No... anche tu no...» Il ragazzo si voltò verso di Rachel, porgendole una mano. «Forza, dobbiamo spostarci da qui o ci restiamo secchi!»

«Ma non possiamo lasciarla lì!» protestò la ragazza indicando la foresta di stalagmiti che si stava sollevando tra loro e la Markov, invadendo tutta quella parte di autostrada. Perfino Richard era scomparso dalla visuale, e la conduit delle tenebre in cuor suo si augurò che non fosse finito affettato.

«Nemmeno io voglio farlo, ma non abbiamo scelta!»

Rachel si arrovellò per trovare una soluzione, anche se alla fine la più semplice era proprio sotto ai suoi occhi. «Potrei cancellare i poteri anche a lei!»

«E come? Sei sfinita! A stento ti reggi in piedi!» Rosso aveva ragione, e lei lo sapeva, ma odiava non poter fare nulla per aiutare un’amica in difficoltà. Già con Amalia era successo e se non fosse stato per la stessa Tara la mora sarebbe finita morta stecchita. Ripensando a Komi, Rachel spalancò le palpebre. Ma non poté nemmeno chiedersi dove fosse finita perché questa sbucò dal nulla tra le stalagmiti, gridando il nome della Markov: «Tara!»

Lucas e Rachel videro la mora correre tra gli spuntoni di rocca, schivandone agilmente uno dietro l’altro ed infilandosi in tutti gli spazi che riusciva a trovare pur di raggiungere al più presto l’amica. Al suono della sua voce, i versi della neo conduit si placarono per un istante. Per un momento gli spuntoni smisero di comparire e la ragazza ne approfittò per riuscire a raggiungere la Markov. Ma non appena si fu sufficientemente avvicinata, la ragazza bionda ricominciò di nuovo a sbraitare ed indietreggiò ancora, spaventata. Un’altra stalagmite apparve dal terreno, esattamente sotto a Komi. La mora sgranò gli occhi sorpresa, cercò di saltare per evitarla ma fu troppo lenta e venne trafitta ad una gamba. Komand’r gridò di dolore e stramazzò a terra, proprio di fronte alla conduit della terra, tenendosi l’arto martoriato e gemendo.

Corvina si mise una mano di fronte al volto, inorridita, e anche Lucas si fece scappare un gemito spaventato.

«T-Tara...» gemette ancora Komi, con la voce rotta dal pianto, ora tenendosi una mano su una gamba e cercando di strisciare verso di lei. «Ti... ti prego...»

«Si farà ammazzare!» esclamò Rosso, per poi voltarsi verso di Rachel. «Resta qui, provo a...»

«Lucas...» lo interruppe lei, con il fiato mozzato, indicandogli le due ragazze. «Guarda...»

Per l’ennesima volta in quella mattinata infernale, Rachel non credette ai suoi occhi. E, allo stesso tempo, sapeva di aver già visto una scena simile a quella. Tara aveva smesso all’improvviso di scappare e di guaire, per rimanere immobile ad osservare Komi, con i suoi occhioni gialli e l’espressione ancora sofferente e spaventata, questa volta, però, anche sorpresa. Di fronte a lei, Komand’r si teneva sui gomiti e la osservava dal canto suo implorante. «T-Tara... va... va tutto bene adesso... ti prego, calmati...»

La mora la raggiunse, poi si drizzò lentamente, gemendo per lo sforzo, e si inginocchiò di fronte a lei, per poi prenderle le mani. «Sono io... sono io, Komi... non voglio farti del male. Non potrei mai fartene. Hai capito?»

Terra la osservò ancora per un momento, con quel suo volto completamente ricoperto da scaglie di pietra, poi, con enorme stupore di Rachel, annuì lentamente. Le stalagmiti cominciarono poco per volta a ritirarsi una dietro l’altra, mentre la neo conduit serrò occhi e mascella, stringendo con forza la presa attorno alle mani di Komi.

«K-Komi...» sussurrò infine, anche lei con voce prossima al pianto. Non c’era più traccia del timbro gutturale di poco prima nel suo tono. E quando riaprì gli occhi, ormai tornati normali, tutti poterono tirare un sospiro di sollievo. Le scaglie di roccia cominciarono a sparire dal corpo della ragazza bionda, fino a quando la sua pelle pallida non riapparve alla luce del sole. La strada ritornò normale, priva di stalagmiti, e anche il corpo di Richard fu di nuovo visibile, privo di ferite particolarmente gravi.

Il pianto di Tara fu l’unico suono che si udì. «Komi... la... la tua gamba...» mormorò la bionda, affranta. «M-Mi dispiace, i-io non... non...»

«Non preoccuparti.» Amalia avvolse un braccio attorno alle spalle di Tara e la trascinò a sé, poggiando il capo contro la sua fronte. «Ho visto ciò che hai fatto. Mi hai salvato la vita. Il resto non conta.»

«Ma... ma stavo per... per...»

«Basta così, Tara. Non è stata colpa tua.»

«Sì invece...» mormorò la bionda, chinando il capo e distogliendo lo sguardo dall’amica. «Sono stata io a perdere il controllo, ho combinato un disastro... è... è solo che... i miei poteri... credevo di averli persi e invece... invece...»

Tara non terminò la frase. Scoppiò in lacrime e si fiondò sul petto della mora, allagandolo. «Oh, Komi! È stato terribile!»

«Lo so.» Amalia le si sedette accanto, tuttavia lasciando che continuasse a sfogarsi su di lei. La cinse per un fianco e la tirò con forza a sé, quasi come se temesse che potesse sparire da un momento all’altro, poi le accarezzò lentamente la schiena ed i capelli. «Lo so.»

Rimase in silenzio, lasciando che la ragazza bionda potesse sfogarsi in tutta tranquillità. Entrambe erano ancora ridotte piuttosto male, il sangue ancora ricopriva buona parte del volto di Komi, più la sua gamba, e anche Tara era ancora ricoperta da tagli e ferite di vario genere.

Rachel e Lucas si avvicinarono alle due ragazze, la prima aiutata a camminare dal secondo. Quando le raggiunsero, la Markov sollevò lo sguardo. «R-Rachel...» sussurrò, osservandola tremendamente angosciata. «Mi... mi dispiace...»

«Ehi.» Corvina si mise lentamente in ginocchio, di fronte a lei, per poi posarle una mano sulla spalla e cercare di sorriderle. «Non piangere. Stiamo tutti bene, no? L’importante è questo.»

Tara la guardò ancora per un istante, con gli occhi ancora zuppi di lacrime, poi si strofinò una manica di fronte ad essi per asciugarseli. Tirò su con il naso ed annuì, riacquistando un po’ di autocontrollo. «S-Sì, hai ragione...» Quando sembrò calmarsi definitivamente, abbozzò un piccolo sorriso ed abbracciò sia lei che Komi, strappando un verso sorpreso ad entrambe.

«Grazie ragazze... davvero, grazie.»

«F-Figurati...» biascicò Amalia, più rossa di un pomodoro. «Io... io ci sarò sempre per te.»

«E lo stesso vale per me» concluse Rachel.

Rimasero strette ancora per un breve istante, durante il quale Rachel poté percepire ogni nervo ancora teso dagli avvenimenti precedenti sciogliersi lentamente, fino a quando anche lei riuscì a capacitarsi del fatto che davvero fosse tutto finito. Lo scontro appena avuto era stato probabilmente uno dei più duri a cui lei si fosse mai sottoposta. Forse perfino più duro di quello con Dominick. Per non parlare poi di quello che era successo con Terra. Se l’erano vista parecchio brutta, questa volta. Fortunatamente, però, tutto era andato per il meglio. Anche se Rachel avrebbe fatto meglio a non abbassare mai più la guardia come aveva fatto in quelle ultime ore, o non se la sarebbe cavata di nuovo in quel modo se si fossero ripresentate situazioni del genere.

Una volta che si furono separate dall’abbraccio, le tre ragazze si rimisero in piedi, con Komi che venne aiutata da Tara per via della sua gamba ferita.

«Ehi, Roth. Intendi fare qualcosa per questa?» domandò la mora alla corvina, indicandosi la ferita che le impediva di camminare correttamente.

«Appena mi sarò ripresa» promise Rachel, la quale solo in quel momento si rese conto di avere ancora un po’ di fiatone.

Tara, nel frattempo, si gettò addosso a Lucas, il quale era rimasto in disparte fino a quel momento, per stringere anche lui in un abbraccio. «Non credere che mi sia dimenticata di te!» esclamò, stringendo saldamente le braccia attorno alle sue spalle, talmente forte da sollevarsi perfino da terra di un paio di centimetri.

Rosso abbozzò un sorriso, ricambiando la stretta. «Sta tranquilla, so che non lo faresti mai.»

A Rachel scappò un altro sorriso osservandoli. Un tempo, molto probabilmente, una scena del genere l’avrebbe fatta esplodere di gelosia, ma in quella circostanza non avrebbe mai potuto farlo. Sapeva che Lucas era affezionato a Tara, come lei lo era a lui, ma sapeva anche che lei, per lui, era più come una sorella minore. E comunque, a sembrare un vulcano pronto ad eruttare dalla gelosia c’era già Amalia, che osservava Lucas quasi come se volesse strangolarlo. Quando poi i due ragazzi si separarono, il moro tornò ben presto a farsi serio.

«Adesso però abbiamo un’altra faccenda di cui occuparci» sentenziò, puntando l’indice verso il corpo ancora privo di sensi di Richard.

«Giusto» sbottò Komi, per poi voltarsi verso di Rachel. «Com’è che non ci avevi mai detto che questo idiota fosse sopravvissuto all’esplosione?»

Rachel provò una fitta di dolore al petto, ripensando al perché di quella sua decisione. «Perché con lui credevo di aver tagliato ogni rapporto.» Ed era vero. Anzi, a dirla tutta, credeva di averlo fatto in ben tre occasioni diverse. La prima subito dopo che lui e Kori si erano fidanzati; la seconda ad Empire City, dopo che le aveva esplicitamente detto di non provare nulla per lei; la terza, infine, a Sub City, dove lui stesso le aveva chiesto di dimenticarla. E ora, invece, era di nuovo lì. Era quasi come se ci fosse una qualche legge universale che impediva categoricamente a loro due di separarsi per più di un certo lasso di tempo.

Strinse i pugni, ripensando a tutto ciò che lui le aveva inferto. Tuttavia, non appena si accorse del silenzio sceso dopo quella sua risposta, si guardò attorno perplessa, per poi notare gli sguardi che le altre due ragazze stavano rivolgendo lei. Sguardi che conosceva molto bene. Sguardi che aveva già visto, sui volti dei suoi vecchi amici. Sguardi di commiserazione. Solo in quel momento si rese conto che, forse, aveva usato un tono di voce un po’ troppo esplicito.

«Ok, ok, direi che può bastare» si intromise Lucas, riportando l’attenzione su di sé, gesto di cui Rachel fu grata. «Dobbiamo decidere cosa fare di lui, non di sapere la storia della sua vita.»

«Come ha fatto a riavere i poteri?» domandò Tara, per poi aggiungere, a bassa voce. «Come ho fatto io, a riaverli...»

«Non è ovvio?» domandò Rosso, con naturalezza. Rachel sollevò un sopracciglio di fronte a quella sua reazione. Anche la ragazza bionda lo guardò carica di aspettativa. «Ve li ha cancellati la stessa persona, ossia Dominick.»

Non appena disse quella frase, la corvina spalancò gli occhi. «Ma certo!» esclamò, felice di avere finalmente ottenuto una risposta. «Dominick non era davvero in grado di usare i miei poteri» cominciò a dire, mentre ripensava a tutto ciò che era successo in quel cantiere e nella sua mente, quando i suoi poteri si erano manifestati a lei sotto l’aspetto di sua madre Arella. «Per questo, credo che non sia mai davvero stato in grado di cancellare poteri. Non in maniera permanente, almeno.»

Lucas annuì. «Già. È probabile che li abbia solamente fatti assopire per un po’.»

Ma questo non spiega l’energia rossa che avvolgeva Richard, pensò ancora Rachel, mordicchiandosi l’interno della guancia. Dubitava che Dominick potesse in qualche modo essere collegato ad essa, anche perché se così fosse stato, allora anche Tara in teoria avrebbe dovuto avere qualcosa di simile. Invece la Terra che avevano appena rivisto non era affatto diversa da quella che avevano conosciuto la prima volta. Robin, invece, sembrava tutto un altro conduit. Per non parlare poi di come quella medesima energia scarlatta lo aveva protetto dai poteri della stessa Rachel. Se non fosse stato per Lucas, probabilmente la ragazza non sarebbe mai riuscita a neutralizzare il Mietitore una volta per tutte.

Pertanto, anche se forse sapevano come avesse fatto a riavere i poteri, Rachel non aveva comunque idea di che cosa gli fosse successo in quei giorni di preciso, né aveva idea di come avesse fatto a trovarli, tantomeno perché lui fosse così infuriato con lei. Ma era intenzionata a scoprirlo. E sapeva anche come: con il potere che aveva appena scoperto di possedere.

«So io cosa fare con lui» esordì.

«Che cosa?» interrogò Rosso.

Rachel si voltò verso di lui. Sapeva che quell’idea non gli sarebbe affatto piaciuta, ma era l’unica cosa sensata da fare. «Portiamolo con noi.»

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Capitolo 5
*** L'unione fa la forza ***


Capitolo 5: L’UNIONE FA LA FORZA

 

 

«Che cosa?!» ripeté Lucas. Pure Amalia e Tara osservarono Rachel basite. La corvina cercò di ignorare quelli sguardi e proseguì: «Sentite, so che vi suona strano, detto da me soprattutto, ma Richard deve rimanere con noi. Gli ho cancellato i poteri, ormai è inoffensivo. Aspetteremo che si riprenda, dopo potremo fargli tutte le domande che vorremo.»

«Non esiste!» esclamò il suo partner, accigliandosi. «Ha appena cercato di ucciderti! Come puoi anche solo pensare che lasciare che rimanga con noi sia una cosa sensata?!»

«Non era in lui mentre lo faceva, e tu l’hai capito meglio di me!»

«Ma non possiamo fidarci! E se perdesse di nuovo il controllo?»

«Non vedo quale minaccia possa costituire, visto che non ha più i poteri.»

Lucas distolse lo sguardo da lei, espirando, dopodiché scosse lentamente il capo. «Tutto questo è assurdo...»

Corvina si piantò le unghie nei palmi. «E il tuo piano quale sarebbe, sentiamo. Vuoi forse lasciarlo qui in mezzo al nulla a marcire?»

«A dire la verità, sì, è quello che questo bastardo si merita.»

Rachel non credette alle proprie orecchie. Puntò l’indice verso il corpo esanime di Rachel, indicandolo al partner e sperando di riuscire a farlo ragionare. «Anche lui è un essere umano, lo sai, vero?»

La risata sarcastica in cui il moro scoppiò subito dopo fece intuire alla corvina che non era affatto riuscita nel suo intento. Lucas chinò il capo, puntandosi le mani sui fianchi, continuando a sghignazzare. «Non posso crederci...»

«A cosa non puoi credere?! Al fatto che io voglia aiutare una persona che ne ha bisogno?!»

«No» ribatté il partner, secco. Sollevò lo sguardo, tornato serio all’improvviso, folgorandola con un’occhiata truce. «Non posso credere che tu ancora provi qualcosa per lui.»

Corvina sussultò dopo quella frase. Indietreggiò, come colpita da uno schiaffo. «C-Che cosa? Ma che stai dicendo?!» Quelle parole erano probabilmente l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di udire. Ma secondo quale perverso ragionamento lei avrebbe ancora potuto provare qualcosa per Richard? Come avrebbe potuto ancora fare una cosa del genere? Come avrebbe potuto ancora nutrire dei sentimenti verso quel verme che le aveva spezzato il cuore? Già, non avrebbe potuto. Poco importava se lui era stato il suo primo amico, poco importava se lui per lei in passato c’era sempre stato, poco importava se grazie a lui lei aveva vissuto i momenti migliori della sua vita, poco importava se... se...

Rachel sgranò gli occhi. Ma cosa le stava succedendo? Lei non provava più nulla per lui! Nulla, assolutamente nulla! E allora... perché non riusciva a rispondere a Rosso? Perché le parole continuavano a morirle in gola? E perché... provava quella sgradevole sensazione al petto?

Abbassò lo sguardo. Rimase così focalizzata su questi pensieri che nemmeno si rese conto del fatto che Lucas si era avvicinato a lei. Quando drizzò il capo se lo ritrovò esattamente di fronte. Corvina trasalì, ma rimase comunque immobile di fronte a quella sua espressione severa. «Allora?» incalzò ancora il ragazzo.

La conduit deglutì, sforzandosi di ignorare il bruciore al petto, e rispose: «Io... non provo niente. Penso solo che dovremmo portarlo con noi perché così, quando si riprenderà, potremo interrogarlo, scoprire cosa gli è successo e perché ci ha attaccati in quel modo.»

«E una volta ottenute queste risposte cos'altro speri di ottenere?»

Ancora una volta, le parole di Lucas la spiazzarono completamente. Era vero, cosa voleva ottenere? Una volta scoperto il perché Robin fosse impazzito, cosa avrebbe fatto? Non lo sapeva. Però, allo stesso tempo, sapeva anche che finché non avesse saputo la verità non avrebbe potuto agire di conseguenza. Era un vicolo cieco.

«Perché non ammetti che non vuoi separarti da lui e basta? Ci risparmieremmo un sacco di chiacchiere inutili» disse ancora Rosso, per poi darle le spalle ed allontanarsi da lei senza nemmeno darle il tempo di rispondergli.

«Lucas...» sussurrò lei, volgendo una mano verso la sua direzione, ma il ragazzo parve non sentirla nemmeno. Rachel abbassò il braccio con un sospiro.

Che razza di situazione..., pensò, amareggiata. Si voltò di nuovo verso il corpo esanime di Richard, colui che sembrava solamente capace di causarle problemi su problemi e scombussolare tutti i suoi piani. Mai si sarebbe aspettata di rivederlo, quel mattino. E ora erano lì, in quell’ennesima situazione schifosa. Sentimenti o no, in ogni caso, Rachel era comunque intenzionata ad interrogare Richard, anche se Rosso non era d’accordo. E comunque, se Lucas era davvero intenzionato ad impedirle di fare ciò, non si sarebbe allontanato in quel modo senza dire più niente. Avrebbe potuto far valere la sua parola da leader del gruppo, ma non l’aveva fatto. Sicuramente non avrebbe gradito la presenza di Richard nel gruppo, ma Corvina avrebbe cercato di parargli di nuovo, magari in privato, e di fargli cambiare idea. Capiva il suo punto di vista, probabilmente si sentiva preso in giro da lei, ma lei amava lui e lui soltanto. E questa era una cosa che lei era intenzionata a fargli capire.

In ogni caso, comunque, non era nemmeno detto che Robin sarebbe rimasto a lungo con loro, magari subito dopo essersi ripreso sarebbe di nuovo svanito, chi poteva dirlo. La ragazza si avvicinò al corpo del Mietitore, scrutandolo con attenzione. Non era cambiato minimamente dall’ultima volta che lo aveva visto. Come avrebbe potuto, erano passati solo due giorni. Però ogni volta che Corvina vedeva Richard ridotto in quelle condizioni, le faceva sempre lo stesso effetto; quelle macchie nere, quei capelli color cenere, quel volto scarno e prosciugato, ogni volta che vedeva ognuna di queste cose, per lei era come la prima.

«Cosa ti è successo...?» domandò, a bassa voce. Conosceva la risposta a quella domanda, il Mietitore stesso gliel’aveva data, ma ciò non significava che per lei fosse stato semplice accettarlo. Non l’aveva mai accettata, a dire il vero. Aveva cercato di mandare giù quella pillola molto più amara di quello che si sarebbe mai aspettata, ma non era mai scesa del tutto. E ora che era di nuovo lì, di fronte a lei, con quel suo aspetto così emaciato, era di nuovo come se quella risposta non l’avesse mai ricevuta.

«Rachel.» Una voce proveniente da dietro le sue spalle la fece voltare. Vide Tara posizionarsi accanto a lei, osservandola con attenzione. «Tutto bene?»

Rachel annuì lentamente. «Sì, va tutto bene.»

Tara piegò un angolo della bocca, per poi posare lo sguardo a sua volta sul corpo di Robin. «Mi spiace per questa situazione.»

«E perché?» Corvina la osservò con aria interrogativa. «Non è mica colpa tua.»

«Lo so, però...» La Markov si strinse nelle braccia. «... anche io c’ero, la sera del ballo. Ricordi? Deve essere stata dura per te.»

«Come fai a sapere della sera del ballo?» domandò Rachel, inarcando un sopracciglio, mentre anche lei ripensava a quell’evento. Quello in cui Richard le aveva spezzato il cuore, la prima volta. Ma Tara non aveva assistito alla scena in diretta.

«Me l’ha raccontato Garfield.»

Sentendo quel nome, la corvina provò un fortissimo senso di nostalgia. E, allo stesso tempo, riuscì ad abbozzare un sorriso amaro. Probabilmente era stato Victor a raccontare al biondo cosa fosse successo, e lui poi l’aveva raccontato alla sua ragazza. «Non sapeva proprio farsi gli affari suoi, vedo...»

«Ti voleva bene» asserì ancora Tara, sospirando. «Per questo... ero gelosa di te. Per questo non mi sono mai comportata come la migliore delle persone, con te. E di questo ti chiedo scusa. Posso solo immaginare la batosta che tu abbia subito, quella sera. Io... davvero, mi vergogno di essere stata così odiosa. Non avrei dovuto. È… è solo che avevo il terrore di perdere Gar. Se fosse successa a me una cosa simile, con lui... non l’avrei superato.»

«Sai, lui mi ha detto una cosa simile, su di te» raccontò Corvina, ripensando anche a quella volta in cui loro due si erano parlati, dopo il fattaccio. «Lui ti amava, Tara. Amava te e te soltanto. Era mio amico, certo, ma nulla di più.»

La Markov annuì lentamente, sorridendo. «Sì, lo so. Ma non siamo qui per parlare di me. Voglio solo che tu sappia che se hai bisogno di aiuto...» Tara le posò una mano sulla spalla, volgendole un cenno di intesa. «... io sarò più che felice di dartelo. E non dare troppo peso alle parole di Lucas, fa così solo perché anche lui non vuole perderti. E credimi, nessuno può capirlo meglio di me in questo momento. Dagli un po’ di tempo per sbollire, poi parlagli. Vedrai che sarà come se tutto questo non fosse mai successo.»

Rachel distese il sorriso, udendo quelle parole. Un po’ le dispiacque di non essere stata amica di Tara ai tempi del collegio. Lei sì che avrebbe potuto supportarla quando ne aveva il bisogno. Annuì, poggiando una mano sulla spalla della bionda a sua volta. «D’accordo. Grazie Tara.»

 «Di nulla.»

«Sì, sì, tutto questo è molto bello, ma direi che ora abbiamo altro di cui occuparci...» Un’altra voce, leggermente più scorbutica, si unì alla conversazione. Amalia stava zoppicando verso di loro, con una vistosa smorfia di dolore stampata in faccia. Si fermò, per poi indicare a Rachel la sua gamba ancora ferita e gocciolante di sangue. «Ti dispiace?»

Rachel si sentì tremendamente in imbarazzo. Si era completamente dimenticata di quella ferita, così come di tutte le altre che ricoprivano il volto di Komi e anche quello di Tara. Borbottò delle brevi scuse, poi si mise all’opera. In quel breve lasso di tempo era riuscita a recuperare un po’ di forze, perciò pensò che non le sarebbe stato difficile curare le sue due amiche.

Poggiò una mano sulla spalla di Komand’r, poi si concentrò. Tuttavia, passarono diversi istanti, molti più di quelli a cui si era abituata, prima che i poteri decidessero di manifestarsi. Corvina sollevò un sopracciglio, ma poi decise di non farci troppo caso. Magari non aveva ancora recuperato abbastanza forze.

Una volta curate entrambe le ragazze, le quali si ripulirono poi del sangue secco che ancora le macchiavano, Rachel concentrò di nuovo l’attenzione su Tara. Aveva ancora una cosa da fare. Si avvicinò alla bionda, sollevando una mano. «Ok, Tara, sei pronta?»

La Markov la squadrò con aria interrogativa. «Per cosa?»

Corvina si fermò. «I tuoi poteri. Non vuoi che te li cancello?»

«Oh!» Tara sgranò gli occhi. «Vuoi... vuoi farlo davvero?»

«Certo, che domande.» Rachel abbozzò un sorriso. «Sei mia amica, e i poteri per te sono un problema, sarò più che felice di...»

«Non mi riferisco a questo» la interruppe la ragazza bionda, sollevando le mani per farle cenno di fermarsi. La corvina sollevò un sopracciglio, ma abbassò ugualmente il braccio. Perfino Amalia aveva spostato lo sguardo su di Tara, sicuramente chiedendosi che cosa stesse intendendo.

«È solo... solo che...» La neo conduit osservò la propria mano, per poi deglutire. Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente. L’aura gialla che la caratterizzava cominciò ad avvolgerle il palmo mentre, poco per volta, le scaglie di pietra iniziavano a ricoprirle tutta la mano, cancellando ogni traccia di pelle.

Rachel la osservò con le labbra dischiuse, assieme a Komi. Quando le placche giunsero fino al polso, la ragazza bionda riaprì gli occhi e l’aura gialla svanì. Sollevò la mano ed osservò la sua creazione molto attentamente, rigirandosela di fronte agli occhi più e più volte. Poi, senza alcun preavviso, le placche si ritirarono lentamente, fino a sparire del tutto e a lasciare di nuovo posto alla pelle rosea della ragazza. A quel punto, la Markov sollevò di nuovo lo sguardo. «Io... non voglio che me li cancelli.»

La reazione sorpresa di Corvina dopo quelle parole fu immediatamente offuscata da quella ben più rumorosa di Amalia. «Che cosa?!» sbottò la ragazza mora, facendo un passo avanti, verso l’amica, guardandola come se provenisse da un altro pianeta. «Sei impazzita? Dopo tutto quello che è successo vuoi davvero tenere quei maledetti poteri?!»

«Sì» rispose Tara, semplicemente. E quella risposta, parve far infuriare Komi ancora di più.

«MA SEI IMPAZZITA?!» ripeté, questa volta urlando perfino. «Credevo che tu ne fossi terrorizzata! Hai perfino chiesto a Wilson di farti fuori, quando eravamo a Sub City, per colpa loro! Ma che diavolo ti prende?! Cosa ti ha fatto cambiare idea tutto ad un tratto?!»

«Komi...»

«E se perdessi di nuovo il controllo?! E se...»

«Komi!» esclamò Tara con più decisione, interrompendola. La Markov sospirò, poi iniziò a far vagare lo sguardo tra Rachel e Amalia. «Sentite, so che può sembrarvi fuori di testa, ma... mi sono appena resa conto che questa cosa potrebbe aiutarci. Insomma, fino ad oggi io sono sempre stata un peso, per voi. Non sono mai stata in grado di difendermi da sola, e le pistole non fanno per me, penso che lo abbiate capito. Ma... con loro...» La neo conduit sorrise, sollevando di nuovo le mani, che si ricoprirono di scaglie un’altra volta. Il suo sguardo era pieno di decisione. «... posso davvero cambiare le cose. Posso aiutare. Pensate anche solo a quello che ho fatto poco fa. Ti ho salvato la vita, Komi. Se non avessi avuto i poteri... Richard ti avrebbe fatta a pezzi.»

Komi abbassò lo sguardo, apparendo quasi imbarazzata. «Dovevi proprio ricordarmelo...?»

«Rachel.» Tara si concentrò sulla corvina, mai l’aveva vista così determinata. «Ascolta, so che non è facile controllare i poteri, e tu lo sai anche meglio di me, però io... io voglio provarci. Sono stanca di essere quella sempre indifesa e da proteggere. Anche io voglio rendermi utile per il gruppo. Anche io voglio mettermi in gioco, ma questa volta per davvero! L’unica cosa che ho fatto per voi, fino ad oggi, è stata portarvi delle provviste. E combattere contro Dominick, ma quella cosa non è andata esattamente a buon fine... voglio poter essere qualcuno su cui possiate contare anche quando c’è da sporcarsi le mani. E se mai dovessi perdere di nuovo il controllo... allora hai la mia autorizzazione a cancellarmi i poteri. A meno che Komi non riesca a farmi tornare di nuovo in me...» disse ancora, volgendo un’occhiata piuttosto eloquente alla compagna.

«E-EH?!» domandò la ragazza mora, diventando paonazza tutto ad un tratto. «M-Ma che stai dicendo?!»

Tara ridacchiò, ma prima che potesse rispondere, diversi colpi di clacson catturarono l’attenzione di tutte loro. Era Lucas, che, salito di nuovo in auto, stava invitando tutte loro, in maniera non molto gentile, a spicciarsi.

«Arriviamo!» replicò la ragazza bionda, per poi voltarsi di nuovo verso di Komi. Si avvicinò a lei, sorridendo. «Stai tranquilla, Komi. Ti copro le spalle!» E subito dopo quella frase, le diede una pacca sulla schiena. O meglio, sulla parte più bassa, della schiena. Non era nemmeno più la schiena, quella, ad essere sinceri.

«AH!» Komand’r gridò di sorpresa, sobbalzando e afferrandosi le natiche. Tara rise nuovamente, poi si allontanò al più presto dalla ragazza più alta per evitare la sua vendetta. La bocca di Amalia era talmente spalancata per la sorpresa che Rachel si domandò come non facesse a sentire dolore.

Pure la corvina, sinceramente, non sapeva più cosa pensare. Anche se il suo cruccio era un altro. Le intenzioni di Tara erano nobili, assolutamente, ma forse stava prendendo quella situazione e i suoi poteri un po’ troppo sottogamba. Li aveva appena riottenuti, senza nemmeno aver mai avuto davvero modo di imparare a controllarli anche solo in minima parte, non poteva certo credere di poter imparare a controllarli da un momento all’altro. Era anche vero, però, che grazie ad essi aveva salvato Komi. E non solo quello, aveva distratto Richard: le aveva permesso di coglierlo di sorpresa e, successivamente, cancellargli i poteri per renderlo inoffensivo. Da un lato, forse era un bene avere un’altra conduit in squadra. Però... Tara era ancora inesperta. Per quanto buone fossero le sue intenzioni, per quanto determinata fosse, le veniva difficile riuscire a darle fiducia, in quella circostanza, almeno.

Corvina sospirò. Era inutile pensarci su. Lei non poteva decidere per Tara. E comunque, poteva sempre cancellarle i poteri se le cose si fossero messe male, come la stessa Markov le aveva detto di fare.

«Hai visto cos’ha fatto?» le domandò Komi all’improvviso, destandola dai suoi pensieri. Rachel la osservò, abbozzando un sorriso, ed annuì.

Pure l’espressione di Amalia iniziò a mutare lentamente, mentre riportava lo sguardo sulla figura di Tara, ormai già entrata in auto. Un sorrisetto iniziò a prendere forma anche sul viso della mora. «Io la distruggo...» borbottò, per poi incominciare ad incamminarsi a sua volta verso la macchina, con un’espressione idiota stampata in faccia. Altri colpi di clacson furono un chiaro segno che Rosso stesse perdendo la pazienza, ma Amalia non si trattenne ugualmente dal dirgli di non metterle fretta, condendo il tutto con diversi appellativi poco carini a lui rivolti.

Rachel osservò tutta quella scena a metà tra la perplessa e divertita, poi tornò ad osservare Richard. «Beh, Richard. Benvenuto nel gruppo.»

 

***

 

Furono ore parecchio imbarazzanti quelle che seguirono. Molto più di quanto Rachel avrebbe potuto aspettarsi. Per tutto il tempo Lucas guidò, chiuso in un mutismo impenetrabile, lo sguardo severo e perennemente incollato allo stradone. Accanto a lui, Rachel aveva spiegato a Tara e Amalia la storia di Robin, di cosa aveva fatto e perché, e più cose erano saltate fuori, più anche loro due sembravano essere sempre più contrarie alla presenza del Mietitore lì con loro. Anche Rosso pareva essersi irritato ulteriormente udendo nuovamente cosa Richard avesse fatto, pertanto Corvina si era sentita terribilmente a disagio mentre parlava. Aveva avuto la leggera impressione di star semplicemente peggiorando le cose. Ma nonostante ciò, nessuno aveva obiettato più nulla sulla sua decisione di portare Robin con loro, il che le aveva procurato un po’ di sollievo.

Il resto del viaggio lo aveva poi trascorso osservando distrattamente il paesaggio che schizzava alla velocità della luce accanto a lei, cercando ripetutamente di trovare le parole giuste da dire per cercare di far valere al meglio le sue ragioni. Tuttavia ogni volta che aveva pensato di aver trovato il giusto coraggio per esprimersi, qualcosa la fermava sempre all’ultimo, e si ritrovava a voltarsi verso i compagni, spalancare la bocca per poi non fare altro che rimanersene zitta ed immobile, sembrando una totale idiota, ed, infine, riportare gli occhi sul finestrino con un sospiro abbattuto.

Se non altro, dietro di lei Amalia e Tara erano comunque riuscite a parlottare di qualcosa, di tanto intanto, anche se era chiaro come il sole che la presenza di Richard, il quale era ancora privo di sensi ed accasciato in maniera scomposta contro alla sua portiera, rendeva parecchio poco confortevole quella situazione.

Tra lei e Lucas, invece, si era creata una barriera che sembrava essere completamente insormontabile. Almeno, per il momento. Rachel si augurò davvero che, dando tempo al tempo, Rosso riuscisse ad accettare la presenza di Robin.

E non è nemmeno detto che rimanga davvero con noi..., continuava a ripetersi la giovane. Anche se, una piccola parte di lei, una che cercava di zittire e reprimere in continuazione, sperava che il Mietitore non li lasciasse. Non c’era nulla di male nello stringere i denti tutti assieme, un alleato in più poteva sempre fare comodo, perlopiù se si trattava di uno come Richard che, buono o cattivo che fosse, aveva dimostrato in più di un’occasione di essere davvero uno tosto. Poteva davvero trasformarsi in una risorsa preziosa... sempre se qualcosa non fosse andato storto. Questo era il suo pensiero principale, ciò di cui cercava di convincersi disperatamente: se fosse rimasto, Robin avrebbe potuto trasformarsi in un buon alleato. Né più, né meno.

Fu solo verso sera che si fermarono in un’altra stazione di servizio abbandonata per potersi preparare per la notte. Avevano fatto diverse pause lungo il tragitto, ma comunque per Rachel, e probabilmente anche per gli altri, fu gradevole sgranchire di nuovo un po’ le gambe. Fece per raggiungere la portiera del sedile in cui si trovava Richard, ma con suo enorme stupore notò che già Rosso lo aveva fatto. Fu il moro ad issarsi sulle proprie spalle il corpo del Mietitore, per poi portarlo all’interno della stazione.

Rachel abbozzò un sorriso. «Grazie» disse, pensando che forse il ragazzo aveva finalmente deciso di perdonarla per quella sua decisione, tuttavia venendo prontamente smentita dal suo silenzio. Non la guardò nemmeno mentre le passava accanto. Corvina lo seguì con lo sguardo, poi chinò il capo e sospirò. Lucas era proprio il re indiscusso della cocciutaggine, doveva rendergliene atto. Anche se, effettivamente, tutto ciò non era necessariamente un male. Anzi, se non fosse stato così cocciuto, e non l’avesse salvata tutte le volte che, invece, l’aveva fatto proprio per via di quella sua peculiarità, probabilmente lei avrebbe fatto una brutta fine già da un pezzo. Il carattere del suo partner era un po’ come una lama a doppio taglio: la sua ostinazione e determinazione erano armi potenti contro ai nemici, ma in situazioni come quella, dove lui si ritrovava ad avere un parere discordante su qualcosa con un membro del gruppo... beh, allora era un altro discorso.

Gli avrebbe parlato, senz’altro. Del resto, ormai la corvina sapeva come riuscire a restituirgli il buon umore.

Entrarono nell’edificio, il quale era pressappoco ridotto nelle medesime condizioni di tutti gli altri: completamente ripulito, con la vetrina rotta e gli scaffali spaccati e rovesciati. Il registratore di cassa era un ricordo lontano e il bancone ed il muro dietro di esso erano ricoperti da fori di proiettile.

«Bel posticino...» commentò Komi, incrociando le braccia mentre si guardava attorno diffidente.

«Già, beh, sarà meglio farci l’abitudine...» borbottò Lucas, fermandosi nel centro della stanza e lasciando cadere Richard al suolo, in maniera decisamente poco delicata.

«Potresti fare più piano?» sbottò Rachel, infastidita da quella scena.

«No.» Rosso non si voltò nemmeno quando le parlò. Drizzò le spalle, poi inspirò. «Se volete cercarmi, sono sul tetto. Un consiglio: non fatelo.» E detto quello si diresse verso la porta sul retro, sempre senza mai voltarsi.

«Wow...» borbottò Amalia, una volta che si fu completamente allontanato. «... non sembra molto felice.»

«Gli passerà» tagliò corto Rachel.

Lo spero, almeno.

«Sinceramente, non lo biasimo» proseguì la mora, lanciando un’occhiata schifata a Richard. «Nemmeno io capisco perché tu abbia deciso di portarlo con noi, anche se è comunque una scelta che non intendo discutere. Però davvero... che problemi hai, Roth? Come puoi davvero fidarti di uno come lui? Dopo quello che ci hai raccontato...»

«Perché potrebbe essere...»

Rachel cercò di rispondere, ma fu subito stroncata. «... un valido alleato, sì, ho capito» tagliò corto Amalia, per poi fare una smorfia. «Almeno fino a quando non ci pugnalerà tutti alle spalle come ha fatto con te.»

Corvina strinse i pugni. Non sapeva perché, ma stava seriamente iniziando ad odiare i pregiudizi verso di Richard. «Ha perso la persona che amava. È stato un duro colpo per lui.»

«Anche io ho perso Kori, Roth, ricordi?» domandò Amalia, incrociando le braccia, severa. Lo sguardo che si scambiarono fu molto più esaustivo di qualsiasi altra parola. Entrambe sapevano perfettamente a cosa la mora si stesse riferendo. E forse fu proprio per quel motivo che, quelle parole, fecero sussultare in quel modo la corvina.

«Ma non mi sono mai unita ad una banda di pazzi criminali per terrorizzare una città ed uccidere dei poveri innocenti.»

La conduit delle tenebre ricevette una fitta di dolore al petto udendo quella frase. Komi aveva ragione, non l’aveva fatto. Nessuno di loro aveva fatto nulla di tutto ciò, nonostante avessero tutti quanti perso le persone che amavano. Però lei non se la sentiva comunque di giudicare Richard. Non dopo essere stata nella sua testa, non dopo aver provato dal vivo ciò che lui aveva provato. Quella sensazione... doveva essere stata troppo da sopportare, per lui. Ciò non cancellava quello che aveva fatto quando era un Mietitore, assolutamente, però... lei non poteva trovare il coraggio di odiarlo. Era impossibile, escluso. Anche lui era un essere umano, anche lui aveva sbagliato e anche lui lo aveva ammesso. Rachel sapeva che lui era pentito, nel profondo, ed era una cosa che era intenzionata a tirargli fuori ad ogni costo.

Tenne lo sguardo fisso su Komi, indecisa se rispondere o meno. Non se la sentiva di darle contro, anche perché ciò che aveva detto era vero. Anche lei aveva perso Kori, anche per lei era importante. E, sinceramente, non voleva che quell’argomento riaprisse vecchie cicatrici, anche se la cosa sembrava già essere successa. Abbassò lentamente gli occhi, decidendo che, per il momento, ciò che si erano dette era abbastanza.

Un verso provenne da Amalia subito dopo. «Mh. Beh, non credo di avere altro da dire, a parte che sto morendo di sonno. Vado a dormire. Vieni anche tu, bionda?»

Tara ebbe un momento di esitazione. Fino a quel momento lei non aveva ancora espresso chiaramente la sua opinione riguardo tutta quella faccenda, ma a giudicare da come stesse facendo vagare lo sguardo tra Rachel e Komi, sembrava quasi che volesse dare ragione ad entrambe. Del resto, anche lei era una conduit ora e anche lei sapeva che convivere con i propri poteri non è semplice, quindi sicuramente poteva mettersi nei panni di Richard molto più facilmente rispetto a Rosso o Amalia. Tuttavia, anche lei parve decidere che quello non era il momento più adatto per mettersi a discutere. Annuì lentamente, rivolgendosi alla ragazza mora. «Sì, andiamo. Buonanotte Rachel.»

«Buonanotte» rispose la corvina, mentre anche le altre due ragazze lasciavano la stanza, portandosi dietro zainetti e sacchi a pelo.

Rimasta sola con il Mietitore, la conduit sospirò profondamente e si lasciò cadere a sedere, accanto a Richard. Osservò il ragazzo, poi scosse lentamente la testa. «Ma perché l’hai fatto, Richard? Perché ci hai traditi tutti?»

Lo sapeva perché l’aveva fatto, lo sapeva perfettamente. Ma era difficile da accettare. Nessuno si fidava più di lui, solamente lei che tra tutti era quella che meno doveva farlo sembrava invece essere disposta a dargli una seconda possibilità. Non poteva odiare una persona come lei, un semplice essere umano, un’altra vittima la cui vita era stata distrutta dall’esplosione. Erano tutti sulla stessa barca, del resto. E inoltre, volente o nolente, la sua mente avrebbe per sempre ricordato Richard con il ragazzo del collegio, quello dal sorriso spontaneo, sincero, dai capelli neri e brillanti, gli occhi azzurri come specchi d’acqua, colui che era sempre riuscito a restituirle il buon umore, anche solo con un semplice sguardo.  

E, osservando Robin, non poté non constatare quanto questo suo ricordo di lui fosse così lontano dalla realtà. Tuttavia, non per molto ancora. Con determinazione, Rachel posò una mano sul suo volto e si concentrò: forse non poteva riavere indietro il vecchio Richard, ma si sarebbe assicurata che anche di Robin non restasse altro che il ricordo.

Con suo enorme stupore, i poteri non si manifestarono immediatamente, come ormai si era abituata. Provò diverse volte ad attivarli, ma non ottenne alcun risultato. La corvina cominciò a spazientirsi. Serrò la mascella e si concentrò profondamente, chiuse gli occhi ed estraniò dalla propria mente qualsiasi pensiero che non fosse quello di Richard e della sua guarigione. Dopo altri diversi istanti, finalmente l’energia oscura si fece viva.

Come aveva immaginato, i suoi poteri guaritrici riuscirono a cancellare poco per volta le macchie nere che ricoprivano il volto del Mietitore, donando anche alla sua pelle un pizzico di colore in più. Dubitava di poter fare qualcosa per il volto scarno e prosciugato, ma con un po’ di cibo probabilmente anche quel problema avrebbe trovato rimedio. Con suo enorme dispiacere, tuttavia, notò che i suoi capelli non riacquistarono nulla del loro vecchio colore. Rimasero sulla medesima tonalità color cenere, anche se comunque, ora che il suo volto era privo di macchie e piaghe, erano uno spettacolo decisamente migliore rispetto a prima.

Ora che era completamente ripulito ed era più semplice riuscire a guardarlo in faccia, sembrava ringiovanito di decenni. Un piccolo sorriso nacque sul volto della corvina, a lavoro concluso. Non era esattamente il Richard che conosceva, ma poteva farselo andare bene. Si ritrovò a sperare che si riprendesse presto; del resto, aveva un po’ di domande da fargli e non desiderava altro che trovare loro risposta. Certo, avrebbe potuto provare a riusare i suoi poteri per entrare nella sua mente un’altra volta e magari scoprire da sola cosa gli fosse successo, ma decise di lasciar perdere; non se la sentiva di invadere così la sua privacy. I suoi pensieri erano suoi e basta, e comunque non sapeva nemmeno se sarebbe di nuovo stata in grado di fare una cosa del genere, non così presto, almeno.

«Scommetto che non vedevi l’ora di farlo.» Una voce ruppe il silenzio all’improvviso, ma Rachel non batté ciglio. Fu parecchio sorpresa di questo suo autocontrollo, ma del resto, sapeva benissimo chi le aveva appena parlato.

«Il tetto non ti ha dato le risposte che cercavi?» domandò, abbozzando un sorrisetto sarcastico.

Lucas incrociò le braccia, facendo un passo avanti ed entrando nella stanza. «Non sei spiritosa.»

Per tutta risposta, Rachel distese il sorriso. Se Lucas era lì, significava che forse aveva avuto un ripensamento. E se Lucas aveva davvero avuto un ripensamento, allora quello sarebbe stato un momento storico. Gli fece cenno di venire a sedersi accanto a lei. Il moro roteò gli occhi, ma obbedì ugualmente. Rachel non avrebbe mai potuto pensare di potersi trovare così vicina allo scoppiare a ridere; vedere il ragazzo cercare di mantenere il suo solito aspetto composto ed autoritario ma allo stesso tempo cadere così facilmente alla sua richiesta era assurdo, nonché assolutamente divertente.

Il suo partner si sedette accanto a lei, tuttavia lasciando tra loro una generosa quantità di centimetri di distanza. Forse non era ancora disposto del tutto ad arrendersi. Peccato che Rachel fosse ora intenzionata a farlo ricredere. Senza dire nulla si avvicinò a lui tutto ad un tratto, per poi chinare il capo e poggiarlo sulla sua spalla, sospirando soddisfatta. Il moro si irrigidì tutto ad un tratto, lasciandosi anche scappare un verso sorpreso, al che la corvina non riuscì più a trattenere una tenue risatina. «Qualcosa non va, Rosso?»

Un grugnito, ora di disappunto, provenne da lui. «Non credere che sia davvero così semplice. Sono ancora contrario alla tua decisione, sappilo.»

«E allora perché sei qui?» sussurrò lei al suo orecchio, sentendo le proprie goti pizzicare all’improvviso. Si avvicinò ulteriormente al ragazzo, poggiando le labbra sul suo collo, strappandogli un gemito sorpreso. Non sapeva cosa stesse facendo con esattezza, ma sapeva che non si sarebbe fermata. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata ed una strana sensazione di calore cominciò ad avvolgerla, non solo al petto.

«Rachel...» la chiamò il ragazzo, dopo che lei ebbe iniziato a ricoprire di baci la zona di pelle sotto al mento di lui.

«Sì?» La giovane si separò dal suo collo, alzando lo sguardo e ritrovandosi a pochi centimetri da quello di Rosso.

I due si guardarono per un breve momento. Per via della penombra la conduit non riusciva a scorgere bene il moro, ma avrebbe giurato che anche lui fosse avvampato. Il ragazzo si schiarì la gola, poi chinò la testa. «Sappi che sono ancora contrario.»

Rachel sollevò un sopracciglio, per nulla preoccupata da quell’affermazione, perché sapeva che c’era ancora qualcosa, sotto. «Ma...?»

«Ma...» Rosso proseguì, sospirando, per poi drizzare nuovamente il capo. «... ma non voglio nemmeno che il nostro rapporto si incrini per così poco. Se tu davvero pensi che questa sia stata la scelta giusta, allora voglio provare a fidarmi. Ma se hai preso un granchio allora non mi farò problemi a rinfacciartelo per il resto del viaggio» concluse, con un sorrisetto.

Corvina ridacchiò. Entrambi sapevano che lui non avrebbe mai fatto davvero una cosa del genere, ma fecero comunque finta che sarebbe accaduto lo stesso. E in ogni caso, la conduit era felice che il partner avesse deciso di darle una possibilità. «D’accordo, mi sta bene. Ora... dov’eravamo rimasti?»

Lucas sorrise. Aprì bocca per rispondere, ma un verso impastato si sollevò in aria all’improvviso, e sicuramente non proveniva da lui. Entrambi i ragazzi spalancarono gli occhi, poi si voltarono lentamente, verso il loro ospite, l’unico che avrebbe potuto produrre un verso del genere in quel momento.

Richard sollevò lentamente il capo, massaggiandoselo e continuando a produrre quei mugugni infastiditi. Rachel e Lucas lo osservarono, in silenzio, separandosi lentamente. Corvina fu felice di vedere che il Mietitore si fosse finalmente ripreso, anche se comunque lo maledisse per quel suo tempismo completamente inadeguato.

L’ex conduit si sollevò sulle ginocchia, aprendo finalmente gli occhi. Osservò il pavimento per un breve istante, apparendo piuttosto confuso, poi drizzò il capo all’improvviso, puntando gli occhi verso i due partner. Solamente quando riuscì a rivedere quelle iridi azzurre come l’acqua, Rachel sentì ogni nervo rimasto teso sciogliersi. Aveva funzionato, lo aveva fatto ritornare in sé. Peccato solo che la parte difficile dovesse ancora arrivare.

«Rachel?!» esclamò il brizzolato, scattando all’indietro all’improvviso, strisciando sul pavimento, spingendosi con i talloni. «Ma... ma che diavolo?! Dove mi trovo?! E tu che ci fai qui?! Che ci fa lui, qui?!» E puntò l’indice contro Rosso, il quale non sembrava per niente felice di vederlo, a giudicare dal suo sguardo.

«Potrei chiedere lo stesso di te...» mugugnò il moro, trattenendo a stento l’irritazione nella sua voce.

Rachel posò una mano sulla spalla di Lucas, invitandolo a mantenere la calma, dopodiché si rivolse al Mietitore: «Richard, ascolta...»

«Robin!» esclamò lui, interrompendola ed alzandosi in piedi. «Mi chiamo Robin! E ti avevo detto di dimenticarmi!»

«Sei tu che non l’hai dimenticata!» tuonò Rosso, alzandosi in piedi a sua volta, stringendo con forza i pugni.

«Lucas!» Rachel imitò i due ragazzi, piazzandosi tra loro. Non avrebbe mai potuto pensare che la situazione potesse sfuggire di mano così in fretta, anche se avrebbe comunque dovuto aspettarselo; Lucas era un testone, ma anche Richard sapeva il fatto suo in quanto a cocciutaggine. Le occhiate che quei due si stavano scambiando era un segnale più che evidente che, se non si fosse intromessa, la situazione sarebbe presto degenerata. «Calmatevi, tutti e due!»

«Mi calmerò solamente quando mi avrete detto cosa sta succedendo!» sbottò Richard, serrando la mascella. «Ve lo chiedo di nuovo: dove diavolo mi trovo?!»

«Siamo molto lontani da Sub City» rispose Rachel, calma. «Anzi, a dirla tutta, siamo molto lontani dal New York in generale.»

Robin sgranò gli occhi. «Che cosa? Ma... ma com’è possibile?!»

«Eravamo in Pennsylvania quando ti abbiamo incontrato» proseguì la ragazza. «Eri in mezzo all’autostrada, fermo. Te lo ricordi?»

«C-Che cosa?» Questa volta Richard esitò. «Ma... che stai dicendo? Come ho fatto ad arrivare fino in Pennsylvania in una notte?»

«E non è tutto» aggiunse ancora Corvina. «Avevi anche i poteri.»

«Io cosa?!»

«Ci hai attaccati.» Rachel non era ancora intenzionata a fermarsi. «Hai provato ad uccidermi. Te lo ricordi?»

«NO!» urlò Richard, chiaramente al limite. «Di che cosa diavolo stai parlando?! Io stavo andando a New Maries dopo aver lasciato Sub City! È impossibile che io abbia...»

«Eppure eccoti qui» lo interruppe Corvina. La ragazza incrociò le braccia, osservandolo severa. «Ascolta, non mi sto inventando quello che ti sto dicendo. Mi avevi detto di dimenticarti, ed io ero intenzionata a farlo, ma TU sei tornato. Non ho scelto io di doverti affrontare. Se fosse davvero dipeso da me, non avremmo mai dovuto essere nemici sin dal principio. Ma tu mi hai attaccata, hai cercato di fare del male a me e ai miei amici, e avevi i poteri. Non serve che provi ad usarli perché te li ho cancellati di nuovo, ma sappi che non solo potevi usarli tranquillamente, erano perfino molto più potenti del normale. Sei proprio sicuro di aver lasciato Sub City per andare a New Maries?»

Robin strinse i pugni. «Sì...» borbottò, a denti stretti.

«E cosa ti è successo durante il tragitto?»

«Io...» Richard si bloccò. Per la prima volta la sua espressione furibonda vacillò, lasciando posto ad una più incerta. «Io... io non... » Il Mietitore si posò una mano sulla tempia, per poi indietreggiare, con lo sguardo improvvisamente vacuo, come se si fosse reso conto solo in quel momento di qualcosa di vitale importanza. «... non me lo ricordo...»

Quelle parole fecero irrigidire la corvina. Avrebbe mentito spudoratamente se avesse detto che, nel profondo, non si aspettasse una risposta simile da parte del suo vecchio amico, ma in ogni caso udirle non fece altro che peggiorare ulteriormente il suo umore riguardante quella situazione in generale.  Se Richard non si ricordava nulla, allora poteva dire addio alle risposte che sperava di trovare. E un altro interrogativo andava ad aggiungersi alla già numerosa lista di interrogativi che possedeva.

«Davvero credevi che andasse diversamente?» il tono di voce grave di Rosso la fece voltare verso di lui. Il moro la osservava a braccia conserte, quasi severo, in attesa di una risposta che entrambi conoscevano molto bene.

Corvina distolse lo sguardo, evitando di rispondere. Sapeva a cosa stava pensando il suo partner, in quel momento. Il fatto che lei si aspettasse che Richard non si ricordasse nulla di ciò che gli era successo non faceva altro che confermare il fatto che lei non rivolesse il Mietitore semplicemente per interrogarlo; lo rivoleva perché non era ancora riuscita a voltare pagina.

E forse era vero. Forse davvero lei non era riuscita a dimenticarsi di Robin completamente. Ma era anche vero che l’unica cosa che lei rivoleva indietro, era il suo amico di infanzia, né più, né meno. Voleva solo che fosse al sicuro, sano e salvo, vivo, assieme a loro. Perché, in qualsiasi modo avrebbero potuto metterla, lui era comunque stato suo amico, nonché una persona molto importante per lei, e sapere che fosse vivo, con lei, la faceva sentire in pace con sé stessa. Richard era l’ultima cosa che le era rimasta della sua precedente vita, l’ultimo rimasto dei suoi vecchi amici, e lei non voleva perderlo. Se ne rese conto solo in quel momento, ma non aveva alcun interesse amoroso nei confronti del Mietitore, non ne aveva più da un pezzo. Non voleva amarlo, tantomeno voleva essere ricambiata da lui, voleva solo che fosse al sicuro. E averlo davanti in quel momento, confuso, con quel suo aspetto scarno, prosciugato, non faceva altro che alimentare questo suo desiderio.

«Posso andarmene ora?» domandò Richard, riportando l’attenzione su di lui.

«Quella è la porta» rispose Rosso prima che la conduit potesse farlo, indicando l’uscita con noncuranza. «A mai più.»

«Lo spero proprio» rantolò ancora Robin, calandosi il cappuccio sul volto, per poi dare le spalle ai due partner e dirigersi verso la porta, curvo su sé stesso.

Corvina lo osservò in silenzio la scena, facendo vagare lo sguardo da Red X a Robin, incredula del fatto che nessuno dei due si fosse curato di chiedere nulla a lei. «NO!» esclamò all’improvviso, facendo irrigidire Richard, che si voltò verso di lei, osservandola quasi adirato.

«Che diavolo vuoi ancor...»

«Ma non ti importa proprio più niente di nessuno?!» urlò la corvina, stringendo i pugni con forza. «Perché ti ostini a voler rimanere da solo?!»

«Vuoi proprio saperlo?» Robin chinò il capo, la visiera del cappuccio oscurò il suo sguardo, cosicché fosse impossibile dedurre cosa stesse pensando davvero. «Perché a nessuno importa di me.»

«C-Che cosa? Ma che stai dicendo, a me...»

«A te, certo» la interruppe lui, drizzando di nuovo lo sguardo, per poi puntare l’indice verso di Lucas, il quale continuava a scrutarlo con diffidenza. «Ma a lui? O a loro?» Questa volta il Mietitore indico un punto verso le spalle dei due partner, dove si trovava il corridoio. Entrambi i ragazzi si voltarono, per poi udire dei versi sorpresi provenire dalla penombra, più un’imprecazione che non fu difficile riconoscere. Komi e Tara sbucarono fuori dal buio, la prima con aria severa e le braccia conserte, la seconda, invece, quasi nascondendosi dietro Amalia.

«Ti abbiamo sentita gridare...» spiegò la Markov, volgendo un rapido sguardo a Rachel mentre si sistemava una ciocca di capelli.

«E vedo che su qualcosa siamo d’accordo» proseguì Komand’r, avanzando senza timore verso il Mietitore ed osservandolo con odio. «Nessuno ti vuole.»

«E nessuno ha mai voluto te» ribatté Robin, tagliente. «Potrai anche assomigliarle, ma tu non sarai mai come Kori.»

Komand’r spalancò gli occhi dopo quell’affermazione. La mora si rabbuiò e si conficcò con forza le unghie nei palmi. Ma prima che potesse dire o fare altro – e in qualsiasi caso, sarebbero stati guai per Robin – Tara si fece avanti, piazzandosi tra la sua amica e il Mietitore. «Richard, perché devi comportarti così?» domandò, quasi con tono di rimprovero.

«Vuoi davvero farmi la predica, Markov?» interrogò il brizzolato e trafiggendola con un’occhiataccia. «Proprio tu che non hai sempre fatto altro che approfittarti di chiunque pur di raggiungere i tuoi scopi?»

Come Komi, anche Tara spalancò gli occhi. Richard sembrava aver toccato un tasto dolente, qualcosa di cui solamente lui e la stessa Tara dovevano essere al corrente, perché Rachel non ebbe la più pallida idea di cosa facesse allusione.

«Tsk. Posso capire lei...» Robin puntò l’indice verso Komand’r. «Ma proprio non mi spiego come abbiano fatto ad accettare una come te in questo gruppo. Dovevano essere proprio disperat...»

Non riuscì a terminare la frase. Una stalagmite spuntò all’improvviso dal terreno sotto ai suoi piedi, sfondando le piastrelle del pavimento e fiondandosi dritta verso il suo collo. Il Mietitore spalancò gli occhi, così come tutti i presenti. Il cuneo di roccia si fermò a pochi millimetri di distanza dal mento del ragazzo. Scaglie di pietra ora ricoprivano parzialmente il corpo della Markov, che osservava a mascella contratta Robin con i suoi occhi color giallo vivace.

«Lo sai perché nessuno ti vuole?» domandò Terra, avanzando verso di lui. «Perché sei diventato un grandissimo stronzo!»

«I poteri...» sussurrò quest’ultimo, basito. «Ma... ma allora...»

«Ragazzi, basta!» gridò Rachel, facendo sobbalzare i due e riportando l’ordine. Il cuneo di pietra si ritrasse e anche la ragazza bionda ritornò normale.

«Lo volete capire o no che siamo tutti sulla stessa barca?!» proseguì la corvina, serrando la mascella. «Siamo dei ragazzi rimasti intrappolati in un mondo alla deriva pieno zeppo di maniaci e assassini con poteri sovrannaturali, e voi state qui a litigare come dei mocciosi! È così difficile poter mettere da parte le divergenze per qualche giorno?! Non dico per sempre, non dico per un anno, o per un mese, solo qualche giorno, il tempo di raggiungere la California, a quel punto, se davvero troveremo questa fantomatica comunità, allora ognuno potrà fare quello che vuole! Non potreste stringere i denti per questo breve lasso di tempo, senza lamentarvi ogni cinque dannati secondi?!»

Rachel si voltò verso di Rosso, il quale ora la osservava sorpreso. «Lucas, ascoltami, io non provo più niente per lui, chiaro? Non in quel senso, almeno. Era mio amico e gli sono affezionata per questo e nessun altro motivo. L’unica cosa che voglio è che stia bene, nulla di più, nulla di meno.»

Red X dischiuse le labbra. Gli sguardi dei due partner rimasero incrociati ancora per un breve lasso di tempo, dopodiché il moro sospirò ed annuì. Rachel non si aspettava una simile reazione da parte sua, ma evidentemente non si era ancora accorta del tono proprio tono di voce, determinato come poche volte lo era stato in passato. In quel momento, avrebbe potuto convincere chiunque di qualsiasi cosa.

«Komi» proseguì la conduit, voltandosi verso la ragazza e volgendole un’occhiata più paziente e comprensiva. «Non sei l’unica che voleva un bene dell’anima a Kori, e devi imparare ad accettare questa cosa. Lo so che è difficile, credimi, lo so benissimo, ma devi provarci, o fidati che le cose andranno solo di male in peggio.»

Komand’r la scrutò per un breve momento, per poi chinare il capo quasi rassegnata, rimanendo in silenzio.

«Tara.» Venne il turno della ragazza bionda. Rachel soppesò con gli occhi prima lei, poi il Mietitore. «Non so cosa sia successo tra voi due, nemmeno voglio saperlo, però ti chiedo di portare pazienza, va bene? Ci aspetta un viaggio ancora molto lungo e ci servirà tutto l’aiuto possibile, incluso quello di Richard. Se saremo tutti insieme avremo più possibilità di farcela, mi capisci?»

Tara si mordicchiò il labbro inferiore. «S-Sì... capisco...»

«Bene.» Anche se Rachel aveva appena affermato l’esatto contrario, era davvero curiosa di sapere che cosa intendesse Richard poco prima, ma quello non era né il luogo, né il momento per cercare di scoprirlo. Aveva cose più importanti da fare. E rivolgersi al suo vecchio migliore amico era una di queste.

«Richard» disse, voltandosi finalmente verso di lui. I due ragazzi si guardarono negli occhi e, per la prima volta dopo tanto tempo, in quelle iridi azzurre Corvina non vide più Robin, bensì Richard, il ragazzo che conosceva e che un tempo aveva amato.

La conduit inspirò profondamente. «Ascolta, non è stato facile per me scoprire che per te esisteva solo Kori. Non è stato per niente facile. Ma è una cosa che ho imparato ad accettare. Ho trovato anche io la felicità che cercavo e che ero convinta che solo tu potessi darmi...» disse, osservando Rosso e volgendogli un tenue sorriso. Si sentiva esposta, quasi nuda, a parlare in quel modo delle sue emozioni di fronte a tutti loro, non era una cosa a cui era abituata e che sicuramente avrebbe preferito non fare mai più, ma lei voleva, desiderava con tutta sé stessa, che Richard restasse con loro, in quel gruppo, e se aprirsi in quel modo con i suoi compagni avrebbe contribuito a raggiungere il suo scopo, allora lo avrebbe fatto. Come anche Dominick le aveva detto una volta, quando lei si metteva in testa una cosa, era molto difficile farle cambiare idea. Lucas era cocciuto, vero, ma anche lei non era da meno.

«Non ti chiedo di restare con me come mio amante...» proseguì, riportando lo sguardo su Richard. Amante. Usare quella parola le fece uno stranissimo effetto, ma decise di non dargli importanza. «... ma solo come mio amico. Come l’amico che eri in passato e che spero che tu possa ancora essere. Quello di cui posso fidarmi.» Gli porse una mano. «Io non ti giudico per quello che hai fatto. Ciò che è stato è stato. Anche io ho commesso degli errori, ma sono comunque riuscita a porvi rimedio e sono convinta che anche tu ci riuscirai. Non a tutti sono concesse seconde possibilità, ma io voglio concederla a te. Per favore, Richard. Pensaci.»

Non appena concluse di parlare, il Mietitore rimase a scrutarla in silenzio. Si osservarono attentamente negli occhi a vicenda, senza più proferire parola. Il silenzio era calato nella stanza, le parole di Rachel avevano lasciato il segno in tutti loro, la stessa corvina, ora che aveva taciuto, si era sorpresa di sé stessa; non era la prima volta, quella, in cui lei riusciva con le parole a riportare l’ordine tra i suoi amici. Improvvisamente, le tornarono in mente le parole che le aveva rivolto Lucas una volta, quando l’aveva definita il collante che teneva il gruppo unito. Forse era quello che intendeva. Sperò che le sue parole potessero funzionare anche con Richard.

Un grugnito provenne dal ragazzo di fronte a lei. «Se davvero ho riavuto i poteri e li ho usati per attaccarti contro il mio volere...» cominciò a dire, per poi spostare lo sguardo su Tara, colei che in quel momento passava in una situazione quasi analoga alla sua. «... allora non posso certo restarmene impalato senza scoprire cosa davvero ci sia sotto. Sono stato usato da qualcuno, ed intendo scoprire chi.»

«Anche noi vogliamo farlo» asserì Rachel, con sicurezza.

Robin annuì. Parve quasi che quelle fossero le parole che voleva sentirsi dire. «In tal caso... va bene.» Il Mietitore avvicinò la mano a quella della ragazza. Rachel sorrise trionfale, ma poco prima che potesse sfiorarla, lui parlò ancora, con tono quasi ammonitorio: «Ma sappi che è solo una situazione temporanea.»

Il buonumore di Rachel si affievolì leggermente, ma del resto era stata lei stessa a dire che la cosa non doveva essere permanente.

«Se nel nostro viaggio non troverò le risposte che cerco, allora ci diremo addio, e questa volta per davvero.»

«Mi sta bene» replicò la conduit, per poi stringergli la mano.

Qualcosa le suggeriva che, bene o male, le risposte sarebbero arrivate, ma non durante il viaggio, tantomeno alla loro destinazione. Semplicemente, se Richard l’aveva raggiunta, trovata ed attaccata a centinaia di chilometri di distanza dall’ultimo luogo in cui si erano visti, significava che lei, come al solito, si trovava nel bel mezzo degli eventi e che qualcuno, o qualcosa, ce l’aveva con lei. Ed era abbastanza sicura che questo qualcuno, o qualcosa, non avrebbe tardato a mostrarsi di nuovo sotto altri aspetti.  Non le restava altro che stare attenta ed essere sempre pronta ad ogni evenienza, per evitare che qualcuno dei suoi amici rimanesse coinvolto ancora una volta.

«Quindi... dobbiamo portarcelo dietro?» domandò Amalia, rompendo il silenzio che si era creato ed i pensieri della corvina. Solo in quel momento la conduit delle tenebre si accorse di avere tutti gli sguardi puntati su di lei e su di Richard.

Ma la cosa, anziché allarmarla, la fece sorridere. «Salutate il vostro nuovo compagno.»

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Capitolo 6
*** Amnesia ***


Capitolo 6: AMNESIA

 

 

Quando riaprì gli occhi, non notò traccia alcuna del paesaggio pianeggiante che li circondava fuori dall’automobile. Non riuscì a notare assolutamente nulla, a dire il vero, in quanto un’immensa distesa nera, che non sembrava possedere limiti o confini, si stagliava di fronte a lei in ogni direzione. Nuvole di condensa fuoriuscivano dal suo naso e dalla sua bocca ogni volta che respirava, per via dell’aria gelida che appestava quel luogo senza pietà.

Nonostante quel posto buio e freddo inspirasse tutt’altro che fiducia, lei si sentiva comunque stranamente tranquilla, ed il motivo era piuttosto semplice: conosceva quel luogo. Sempre se luogo poteva definirlo.

Corvina si guardò attorno, abbracciandosi le spalle per cercare di scaldarsi un po’. Non sembrava cambiata molto dall’ultima volta, la sua mente. Non le sarebbe spiaciuto avere un po’ di luce in più, lì dentro. E magari anche il riscaldamento.

Una cosa che tuttavia si domandò fu il perché fosse finita proprio lì dentro un’altra volta. Non ricordava di essere svenuta, o peggio, la sera prima. L’unica spiegazione che le veniva in mente era che forse, i suoi poteri, volevano comunicare di nuovo con lei, ed avevano così deciso di farlo mentre lei era assopita. Fu sorpresa di scoprire che loro potevano arrivare a lei così facilmente, ma del resto, lei non era davvero in grado di poterli gestire. Loro erano come un’entità separata che alloggiavano dentro al suo corpo e alla sua mente e certo, Rachel poteva controllarli, ma alla fin fine erano sempre loro a decidere come e quando. Sapere che non sempre avrebbe potuto avere il controllo di sé stessa le fece provare un moto di angoscia, che però si sforzò di mandare via al più presto; i suoi poteri erano autonomi, certo, ma non avrebbero cercato di renderle la vita difficile di nuovo, come già in passato avevano fatto, lei ne era sicura.

Cominciò a camminare, sempre senza smettere di sfregarsi i palmi sulle proprie braccia per allontanare quel gelo che le stava congelando le ossa, spostando lo sguardo in tutte le direzioni nell’attesa che loro decidessero di manifestarsi. Non passò molto prima che, a conferma dei suoi sospetti, un bagliore bianco apparisse di fronte a lei, squarciando l’oscurità d’improvviso e costringendola a socchiudere gli occhi ormai abituati alla penombra. Una figura umana si delineò in mezzo alla luce, prendendo le sembianze della madre della giovane, Angela Roth. Nonostante l’avesse già vista, la ragazza ebbe un tuffo al cuore quando osservò i lunghi capelli neri della donna ed i suoi lineamenti così simili ai suoi, pronunciati, ma non troppo, e delicati.

«Rachel» asserì la donna di fronte a lei, con tono deciso e lo sguardo serio. Fu un pugno in un occhio per la corvina osservare quella sua espressione, visto che l’ultima volta le era apparsa sorridendo in maniera gentile, e anche un po’ enigmatica. La conduit si domandò perché mai fosse così severa.

«Mamm... cioè...» Rachel esitò. Perché dovevano proprio manifestarsi con l’aspetto di sua madre? Rendevano tutto così strano. «Cosa volete?» domandò, decidendo di tagliare corto.

«Vogliamo solo metterti in guardia.»

Corvina inarcò un sopracciglio. «In guardia? E da cosa? Dal milione e mezzo di pericoli a cui so di dover andare incontro in questo viaggio?»

«Non ci interessa del viaggio. Noi stiamo parlando di quello che è successo con il tuo amico Richard.»

«Richard?» Rachel sollevò un sopracciglio. «Il fatto che abbia di nuovo ottenuto i poteri?»

«Il fatto che fosse più forte. Il fatto che... quell’energia rossa lo stesse proteggendo. Non abbiamo idea di che cosa fosse con esattezza, sappiamo solo che è qualcosa di totalmente nuovo e a noi sconosciuto, qualcosa di potente, perfino più potente di noi. Qualcosa che per poco... non è riuscito ad annientarci.» Angela fece una smorfia. Per un momento Rachel pensò che fosse solo disgustata, ma poi, osservandola meglio e ripensando anche al tremore della sua voce, realizzò ben altro: Arella... i suoi poteri... avevano paura.

«Siamo stati fortunati, quella volta. L’intervento del tuo fidanzato è stato provvidenziale... ma noi dubitiamo che, se mai una circostanza simile dovesse verificarsi di nuovo, riusciremmo di nuovo a cavarcela. Chiunque sia il vero controllore di quell’energia, non tornerà impreparato ad evenienze simili. Ed è per questo che vogliamo dirti di non abbassare la guardia, mai, e di non fidarti di nessuno, nemmeno con i tuoi amici. Non possiamo sapere da dove potranno colpirci di nuovo. Dovrai contare solo su di noi e te stessa.»

Diversi punti in quella frase fecero sgranare gli occhi di Rachel. Il primo, il fatto che i suoi poteri avessero appena definito Lucas il suo "fidanzato". Il secondo, il fatto che secondo loro ci fosse davvero qualcuno dietro alla misteriosa energia rossa che aveva protetto Richard. Il terzo, il fatto che questo qualcuno, sempre secondo loro, sarebbe tornato sulle sue tracce e che pertanto non poteva fidarsi di nessuno. Anche lei si aspettava che presto le cose si sarebbero messe male di nuovo, ma diffidare dei suoi stessi amici? Come avrebbe potuto fare una cosa del genere? Loro erano...  beh, i suoi amici. Gli stessi che in più di un’occasione le avevano guardato le spalle, senza di loro non sarebbe mai arrivata dove invece era arrivata, ed adesso doveva smettere di fidarsi di loro di punto in bianco? Non poteva farlo.

Tuttavia... non credeva che avrebbe mai visto quell’aspetto dei suoi poteri. Credeva che fossero un’entità potente, misteriosa, orgogliosa, ma invece anche loro avevano i loro lati deboli.

Anche loro provavano la paura. E quella, era una delle paure più comuni che potessero esistere: la paura della morte. Loro erano immortali, l’avevano già fatto capire alla ragazza durante il loro primo incontro, tuttavia, durante lo scontro con Richard, erano comunque arrivati ad un passo dalla morte, per via di quell’energia rossa. E la cosa doveva averli scossi più di quanto avrebbe potuto pensare. Ripensò a come dal momento dello scontro in poi avessero faticato a manifestarsi sotto al suo comando, sicuramente le cose erano collegate.

«Non abbiamo idea di con chi o con che cosa abbiamo a che fare» proseguì Angela, osservandola dritta negli occhi. «Sappiamo solo che vuole te. E che può corrompere le menti delle persone, nessuno escluso.»

«Questo sì che mi riempie di ottimismo...» mugugnò la corvina.

«Tieni gli occhi aperti. Stai attenta a chi ti circonda. Se percepiamo qualcosa, te lo segnaleremo» proseguì Arella, ignorandola. La figura della donna spalancò poi le braccia e la luce bianca che l’avvolgeva iniziò a farsi più insistente, fino a quasi accecare la ragazza. «E soprattutto...» disse ancora, prima che il bianco la inghiottisse completamente. «... non perdere il controllo.»

Rachel dischiuse le labbra, udendo quest’ultima frase. «As-aspetta... che intendi dire?»

Non ottenne risposta, solo un lampo di luce candida ancora più accecante, che la costrinse a crearsi una visiera di fortuna con la mano. «Ehi, Angela! Mamma, aspetta!» Il bianco aumentò di intensità, fino a ricoprire tutto ciò che lo circondava, pure la stessa Rachel iniziò a percepire il proprio corpo venire avvolto da esso.

La conduit chiuse gli occhi, soffocando un gemito spaventato. Dopodiché, la luce ricoprì ogni cosa.

 

***

 

Rachel riaprì gli occhi di scatto. Ora, a circondarla, c’era davvero il paesaggio notturno attorno all’automobile. La ragazza si stropicciò le palpebre, mugugnando infastidita da quel brusco risveglio. La sera prima, quando Richard si era unito al gruppo non aveva fatto sogni, né avuto strane visioni, per la seconda notte di fila, cosa che non le era affatto dispiaciuta ed anzi, avrebbe di gran lunga preferito continuare in quel modo, ma evidentemente non poteva proprio sperare qualcosa senza ottenere l’esatto contrario in cambio.

«Rachel.» Qualcuno la chiamò. La ragazza si voltò, per poi notare Lucas, come sempre alla guida, intento a scrutare con attenzione un punto di fronte a lui, oltre al parabrezza. Non sembrava di buon umore. Sui sedili posteriori, pure Tara e Komi apparivano titubanti. Richard, invece, osservava il sedile di fronte a sé con indifferenza.

«Sì?» domandò la corvina, sollevando un sopracciglio. Solo in quel momento, poi, si rese conto del fatto che la macchina era ferma. Il motore era però ancora acceso, segno che erano pronti a partire in qualsiasi momento.

«Che succede? Perché siamo ferm...» Rachel si voltò verso il parabrezza, per poi interrompersi di scatto. Di fronte a loro, il cadavere di un’automobile, un vecchio pick-up, giaceva abbandonato in mezzo alla strada. Non era nulla di insolito, anzi, ormai si erano abituati a ritrovarsi di fronte vecchie auto abbandonate al loro triste destino durante quel viaggio.

Peccato che quello stagliato di fronte a loro in quel momento stesse andando a fuoco, letteralmente. La luce arancione proveniente dalle fiamme costrinse Rachel a socchiudere le palpebre, mentre osservava attentamente il veicolo distrutto, ricoperto da fori di proiettili ed ammaccato in più parti, come se fosse perfino finito fuori strada. Non ci voleva una mente acuta per capire che chiunque fosse il proprietario di quell’automobile era stato inseguito da qualcuno, qualcuno che non aveva buone intenzioni e che era riuscito nel suo intento. E a giudicare dalle fiamme ancora alte, questo inseguimento non doveva essere avvenuto molto tempo prima del loro arrivo. Il che poteva solo significare che chiunque fosse il responsabile di quel disastro, doveva ancora essere nei paraggi. E quello, era un pensiero che doveva aver attraversato le menti di tutti i presenti.

Improvvisamente, sentì le proprie mani formicolare. Abbassò lo sguardo, per poi notare i suoi palmi illuminati dalla sua classica energia nera. La giovane inarcò un sopracciglio. Fortunatamente, la penombra all’interno della macchina nascose bene la luce scura. Scosse le mani un paio di volte e la luce nera svanì, lasciando comunque perplessa la ragazza. Perché i suoi poteri si erano attivati all’improvviso? Ripensò a ciò che le avevano detto. Cercavano forse di farle capire qualcosa?

«Questa è l’unica strada...» mugugnò Rosso, rompendo quel silenzio surreale che si era creato. «Se non proseguiamo da qui, dovremo tornare indietro.»

Rachel si osservò le mani ancora per un istante, rimuginando sul da farsi. I suoi poteri cercavano di farle capire qualcosa, forse che quella non era la strada più sicura da prendere.  I dubbi cominciarono ad assalirla. Tuttavia, notando che l’attenzione di tutti era focalizzata su di lei – perfino Richard la stava scrutando pigramente – si sforzò di prendere una decisione alla svelta, e siccome non voleva preoccupare i propri compagni, decise di proseguire. «Andiamo avanti. Non ci fermeremo solo per colpa di qualche pazzo piromane.»

Lucas abbozzò un sorrisetto, mentre il veicolo si rimetteva in moto. «Era quello che volevo sentir dire.»

Ma non andarono lontano. Non appena aggirarono il pick-up, Rachel sentì l’energia oscura avvolgerle le mani con ancora più insistenza. La ragazza sgranò gli occhi, colta alla sprovvista, poi la portiera anteriore della macchina in fiamme si spalancò all’improvviso ed una figura sbucò fuori dal veicolo, accasciandosi a terra scompostamente. Accadde tutto così in fretta che tutti i presenti rimasero di sasso. Rachel sussultò e da dietro di lei provenne un gridolino spaventato, probabilmente da Tara. Lucas schiacciò prepotentemente il pedale del freno e l’auto si fermò nuovamente. «Ma... ma che cosa...»

Rachel, ancora incredula, aguzzò la vista sull’individuo accasciato sulla strada. Non riusciva a scorgerlo bene, vedeva solo i suoi corti capelli neri ed i suoi vestiti semplici, una giacchetta e dei jeans. Più lo guardava, più l’energia oscura si faceva insistente. La ragazza cominciò a non gradire per niente quella situazione.

Il rumore di una portiera che si apriva la fece voltare di scatto, imitata da Lucas. Spalancò la bocca incredula quando vide Richard scendere dalla macchina, sotto gli occhi atterriti di Tara e di Komi. L’ex Mietitore si avvicinò al corpo con indifferenza, per poi posare un piede sul suo fianco e girarlo di forza sulla schiena, in modo da poterlo guardare in faccia. Corvina non poté non ammirare il suo sangue freddo.

«Respira ancora» sentenziò il ragazzo incappucciato dopo una breve analisi. «Ma potrebbe non durare ancora per molto...» Si voltò verso di Rachel. «Penso che dovresti fare qualcosa...»

Corvina esitò. Doveva... avvicinarsi a quel tizio? Con i suoi poteri che le strillavano a pieni polmoni, per così dire, di fare l’esatto contrario? Ancora una volta, gli sguardi puntati su di lei la costrinsero a prendere la scelta che invece non voleva prendere. Ma quello non era il luogo, né il momento, per avere dei dubbi. Una persona era ferita gravemente ed aveva bisogno di aiuto e lei, volente o nolente, era tenuta a darglielo. Non poteva certo abbandonarlo lì, in mezzo alla strada, sarebbe stato un gesto che non si sarebbe perdonato facilmente, per quanto la scelta migliore potesse essere.

Scese dall’auto con titubanza e si avvicinò alla figura. Sentì le mani andare a fuoco, letteralmente. L’energia nera si fece così insistente che ormai era impossibile per chiunque non notarla, ma se non altro la loro presenza poteva essere mascherata dal fatto che stesse per curare una persona.

Non appena raggiunse Richard, si rese conto con enorme stupore che l’individuo altro non era che un ragazzo, come lei, come loro. Anzi, sembrava perfino più giovane, forse dell’età di Ryan. I capelli neri erano madidi di sudore, gli occhi sbarrati e le guance coperte in più punti da ustioni più o meno lievi. Tracce di sangue, fresco e non, gli imperlavano la fronte ed il labbro inferiore. Un particolare che attirò l’attenzione della conduit furono le sue orecchie, avevano una malformazione che le rendeva leggermente appuntite, non moltissimo, ma comunque abbastanza per far risaltare questa cosa all’occhio.

«Come fa ad essere ancora vivo?» domandò, osservando l’auto in fiamme. Oltre ad essere poco più di un ragazzino, era anche piuttosto minuto, in poche parole, doveva avere un fisico tutt’altro che resistente. Eppure, eccolo lì, uscito indenne, quasi, da una macchina esplosa.

«Evidentemente non è una persona come le altre...» mugugnò Richard, il quale sicuramente stava pensando alla stessa cosa a cui pensava Rachel. «Allora, intendi curarlo o no? Non che mi interessi, eh.»

«Ci stavo arrivando» borbottò la corvina, per poi inspirare profondamente e chinarsi. Deglutì, poi poggiò una mano sul petto del ragazzo, temendo il peggio. I suoi poteri diventavano sempre più insistenti, aveva paura che le sue mani potessero esplodere da un momento all’altro. Tuttavia, con suo enorme stupore, non appena entrò in contatto con il petto dello sconosciuto, l’energia si piegò al suo volere ed iniziò a guarire il ragazzo svenuto. Poco per volta ustioni, graffi e tagli cominciarono a svanire. Quando ebbe finito, la luce nera si ritirò, permettendo alla ragazza di tirare un sospiro di sollievo, anche se comunque la sensazione di disagio che aveva provato fino a quel momento non se ne andò.

Tara, Amalia e Lucas li raggiunsero in quel momento, osservando a loro volta il giovane svenuto.

«Wow...» commentò la mora quando notò con i suoi occhi che respirava ancora. «Questo tizio ha la pelle dura...»

«Che sia un conduit?» domandò Rosso, prendendosi il mento.

«È carino...» osservò infine la ragazza bionda, giocherellando con una ciocca di capelli. Gli sguardi che le rivolsero gli altri due la fecero avvampare. «Che... che c’è?»

Rachel roteò gli occhi, dopodiché riportò l’attenzione sullo sconosciuto. Scrutandolo meglio, effettivamente poteva anche dare ragione alla Markov, tuttavia c’era qualcosa in quel ragazzo che non riusciva a convincerla. Quella sensazione di disagio che stava provando in sua presenza non sembrava intenzionata a svanire. Improvvisamente, sentì le mani ricominciare a formicolare e sussultò. Poi le palpebre dello sconosciuto iniziarono a tremolare, facendola gemere per la sorpresa.

Il ragazzo mugugnò, dopodiché i suoi occhi iniziarono lentamente a riaprirsi, rivelando due iridi scure.

Corvina dischiuse le labbra, sorpresa dalla velocità con cui quello si era ripreso, ma forse era stato anche merito della sua guarigione. Il ragazzo drizzò lentamente il capo, cominciando poi a spostare lo sguardo verso ciascuno dei presenti. La sua vista pareva ancora annebbiata e Rachel dubitò che fosse riuscito davvero a scorgere qualcosa.

Infine, il giovane si massaggiò una tempia, mugugnando di nuovo. «Che... che succede...?» domandò, rivelando un tono di voce pacato e tranquillo, ancora impastato per via del recente risveglio. Batté le palpebre un paio di volte, dopo ritornò a squadrare i ragazzi uno per uno, questa volta apparendo sorpreso. Si soffermò per ultimo su Rachel, la quale era ancora china vicino a lui. «Chi... chi siete? Cosa volete?»

«Va tutto bene» disse lei, riuscendo a reggere il suo sguardo e a mantenere un tono di voce controllato. «Non vogliamo farti del male. Mi chiamo Rachel» si presentò per prima, per poi indicare i propri compagni uno per uno. «E loro sono Tara, Amalia, Lucas e Richard.»

«Come va?» salutò Komi, con un cenno della mano, mentre gli altri rimasero in silenzio. Corvina si domandò che cosa avrebbe potuto pensare quel ragazzo osservando tutti loro, in particolare Richard, il quale, ancora vestito come un Mietitore, aveva uno sguardo che ispirava tutt’altro che fiducia.

Il ragazzo si mise a sedere, continuando a spostare lo sguardo su tutti loro, fino a quando non si accorse dell’auto in fiamme. A quel punto, dischiuse le labbra.

«Ti abbiamo trovato qui per caso» spiegò ancora Rachel. «La tua macchina è distrutta. Anche tu eri conciato male, ma siamo riusciti a soccorrerti in tempo.»

 Lo sconosciuto continuò a massaggiarsi la testa, parve quasi ignorarla. La corvina continuò a parlare. «Ricordi cos’è successo? Qualcuno ti ha attaccato mentre guidavi, o ti hanno inseguito?»

«Io...» cominciò a dire lui, parlando lentamente, quasi come se le parole faticassero ad uscirgli di bocca. «Io non lo so...»

«Non sai chi ti ha attaccato?»

«No…» borbottò lui, per poi spostare lo sguardo verso di lei. Solo in quel momento Rachel si rese conto di quanto smarrito fosse. «Io non... non so niente...»

«Che... che cosa?» domandò la conduit, sbigottita.

Per tutta risposta, lo sconosciuto si prese il volto tra le mani, per poi scuotere la testa. «Non... non ricordo niente...»

«Nemmeno il tuo nome?» chiese ancora la ragazza, schiudendo le labbra. «Non hai un portafoglio, od un cellulare, o qualcosa che possa fornire qualche informazione su di te?»

«Non ho niente...» Lui negò scuotendo il capo ancora una volta. «Non so dove sono, dove stavo andando, chi sono...» lo sconosciuto staccò le mani dal proprio capo, per poi osservarsi i palmi come in trance. «Non... non riesco a ricordare...»

Questo... sì che è un problema..., pensò Corvina. 

«Ma perché perdono tutti la memoria ultimamente?» domandò Komi, con tono accigliato.

«Perché non te ne stai un po’ zitta?» sbottò Richard di rimando.

«E tu perché non...»

«Dateci un taglio» si intromise Rosso. «O in California ci andate a piedi.»

«Ascolta...» continuò Rachel, ignorandoli, posando una mano sulla spalla del ragazzo. «... almeno ricordi che cos’è successo al mondo, giusto? Le esplosioni, le quarantene, i conduit, i...»

«I maniaci che vogliono ucciderti, rapinarti e, o, stuprarti?» domandò lui, facendo una smorfia. «Purtroppo quello lo ricordo.»

«Beh... è già qualcosa» sorrise la conduit, cercando di essere il più accomodante possibile, ma sapeva che non doveva essere facile per lui. E sapeva anche che non era un caso il fatto che si fossero incontrati. Proprio com’era successo con Richard, anche quello sconosciuto non doveva essere capitato sulla loro strada per via di una mera coincidenza. Ma se non altro, lui non sembrava intenzionato ad ucciderla, il che era molto positivo.

«Aspettate... per caso hai detto "California"?» domandò il ragazzo a Lucas.

Il moro annuì. «Sì. Abbiamo sentito che c’è una comunità di rifugiati, laggiù. Vogliamo scoprire se è vero.»

«Una... comunità...» ripeté lo sconosciuto, facendosi pensieroso.

«La conosci? Ne hai sentito parlare anche tu?» domandò Rachel, sperando che magari potesse riuscire a ricordarsi qualcosa.

Ma il ragazzo scosse la testa, cancellando ogni traccia di speranza da dentro la corvina. «Non so perché, ma sento di dover sapere di cosa state parlando... ma proprio non riesco a ricordare. È come... come cercare di ricordarsi un sogno. È tutto così... confuso. È frustrante» aggiunse, stringendo i pugni.

Rachel lo osservò mordicchiandosi l’interno della guancia, pensierosa, dopodiché spostò lo sguardo su di Lucas, il quale stava facendo la medesima cosa. Bastò un semplice sguardo per permettere alla corvina di capire che Rosso stava pensando la stessa cosa che stava pensando lei.

«Ascolta...» cominciò lei, rivolgendosi al ragazzo. «... forse sarebbe più sicuro per te se venissi con noi.»

«Davvero?» domandò lui, sorpreso.

«Davvero?» fecero eco Amalia e Richard, i quali, sorprendentemente, parvero trovarsi d’accordo su qualcosa.

«Davvero» annunciò Rosso, ottenendo l’attenzione dei presenti. «Volete davvero lasciarlo qui da solo, a piedi e senza uno straccio di ricordo?»

Komand’r ammutolì. Abbassò il capo, quasi imbarazzata. «Hai ragione... scusa.»

«Mi hai davvero chiesto scusa?» domandò Lucas, sollevando un sopracciglio.

«Non farci l’abitudine» mugugnò ancora lei, tornando scorbutica come suo solito. Tuttavia, Rachel apprezzò come avesse cambiato idea così in fretta. Del resto, dopo quello che le era accaduto, Komi doveva aver finalmente imparato a mostrare un po’ più di comprensione verso il prossimo. Anche se era una cosa che chiaramente preferiva non far trasparire troppo. 

«E come faremo a starci tutti in macchina?» domandò Richard, il quale, invece, non sembrava ancora convinto.

«Potreste stringervi, magari» ribatté Lucas, incrociando le braccia. «O se preferisci potremmo chiuderti nel bagagliaio. Sinceramente, questa è l’alternativa che mi piace di più.»

«Mi hai tolto le parole di bocca» disse ancora Komi, battendo il pugno contro quello di Rosso.

«Siete ridicoli...»

«Senti chi parla!»

«Ragazzi, vi prego...» Rachel alzò gli occhi al cielo, esasperata. Temette che il ragazzino potesse prenderli tutti per pazzi, ma con suo enorme stupore lo sentì ridacchiare.

«Se con voi è sempre così, allora non vedo perché dovrei rifiutare. E comunque... non mi pare di avere molta scelta. Grazie per avermi aiutato, vi sono debitore. Per fortuna siete passati voi.» Sorrise alla corvina, la quale ricambiò, nonostante per tutto il tempo quella strana sensazione di disagio non l’avesse abbandonata.

Un’altra ragione per cui aveva chiesto a lui di venire con loro, ma che non voleva condividere con gli altri, era proprio quella di scoprire come le cose si sarebbero evolute da quel momento in poi. I suoi poteri l’avevano avvisata poco prima che qualcosa non quadrava e lei, sicuramente, avrebbe tenuto considerazione di ciò. Non avrebbe abbassato la guardia, assolutamente. Avevano incontrato quel ragazzo perché qualcuno aveva voluto così, e lei era intenzionata ad andare fino in fondo a quella faccenda.

Inoltre, quel tizio aveva dimostrato di sapere di cosa stavano parlando, riguardo la comunità, pertanto, anche se non ricordava, forse avrebbe potuto essere di aiuto in qualche modo. Magari avrebbe potuto ritrovare la memoria con il tempo e trasformarsi così in una preziosa risorsa di informazioni. Non sembrava un conduit, di conseguenza non sembrava nemmeno pericoloso, ma forse era troppo presto per dirlo. Sicuramente, se fosse rimasto con loro, Rachel avrebbe avuto modo di capire se di lui poteva fidarsi oppure no.

Nella peggiore delle ipotesi, non avrebbe più riacquisito alcun ricordo, ma se non altro con loro sarebbe stato al sicuro, ed era questo quello che contava. Del resto, come anche Lucas aveva detto, non avrebbero abbandonato un ragazzo indifeso e privo di ricordi nel bel mezzo del nulla, alla mercé di chissà quali malintenzionati, inclusi gli stessi che dovevano avergli distrutto la macchina. La conduit gli porse una mano e lo aiutò ad alzarsi, ottenendo un cenno del capo come ringraziamento.

«E… come dovremmo chiamarti?» domandò Tara, la quale fino a quel momento era rimasta in disparte. «Insomma... se non ricordi il tuo nome dovremmo pur rivolgerci a te in qualche modo...»

«Oh... beh... non... non saprei» rispose lui, facendosi pensieroso. Fece un verso improvviso di dolore e si portò una mano su una tempia, allarmando i presenti, anche se non durò molto. Sembrò rilassarsi quasi immediatamente, anche se continuò a massaggiarsi la tempia e a respirare profondamente. «Ricordo... ricordo che qualcuno mi chiamava Jack, una volta. Ma non so se è il mio vero nome.»

«Alla faccia del cliché» borbottò Richard, roteando gli occhi.

«Chi era questo qualcuno?» interrogò invece Rachel, sperando che forse potessero riuscire a trovare una pista.

Ma il ragazzo scosse di nuovo il capo. «Non me lo ricordo.»

«Beh, ci faremo bastare Jack, allora» concluse la corvina. Almeno non avrebbero dovuto essere loro ad inventarsi un nome per lui, sarebbe stato imbarazzante.

«Benvenuto a bordo amico» borbottò Lucas, per poi dargli immediatamente le spalle. «Forza, è ora di muoversi. Abbiamo perso già fin troppo tempo.»

«Ehm... ok...» replicò Jack, perplesso.

Richard gli passò accanto in quel momento, scrutandolo silenziosamente e con aria tutt’altro che rassicurante.

«Non fare caso a lui, è un po’ scorbutico ma alla fin fine è un bravo ragazzo» lo rassicurò Tara, accennando all’ex Mietitore, sorridendogli e posandogli una mano sulla spalla.

«Ma proprio, alla fine» mugugnò Komi, strappando una risatina a Jack.

«Sì, l’avevo intuito.»

Rachel osservò il gruppo procedere verso la macchina, mentre Tara riempiva il nuovo arrivato di ogni tipo di domande, ad esempio se ricordava ancora quale fosse il suo piatto preferito, o il suo colore, o il suo genere musicale. La sensazione di disagio continuava a tormentarla, come un macigno nello stomaco. Si augurò con tutto il cuore di non aver commesso un errore di cui si sarebbe pentita molto amaramente, chiedendo a Jack di unirsi a loro.

Anche se qualcosa le suggeriva che quello era esattamente ciò che era appena successo.

 

***

 

Rachel cominciò a sentirsi in pena per Jack. Per tutto il tempo Tara ed Amalia non avevano smesso di bombardarlo di domande totalmente inutili, domande a cui spesso e volentieri non sapeva nemmeno rispondere. La corvina si sorprese parecchio della pazienza del ragazzo, il quale per tutto il tempo aveva risposto, o quantomeno provato a rispondere, a ciascuna di esse senza fare storie.

Un discorso diverso si poteva fare per Richard invece, il quale, schiacciato contro alla propria portiera, sembrava stesse per impazzire di rabbia da un momento all’altro.

Infine, la stanchezza parve avere la meglio su tutti loro. Rachel e Lucas proseguirono nel silenzio, la prima con lo sguardo smarrito nel paesaggio notturno, il secondo concentrato sulla guida. Avevano visto diverse stazioni di servizio dove potersi fermare, ma considerando ciò che era successo a Jack, avevano deciso che avrebbero proseguito per tutta la notte, o, perlomeno, fino a quando Lucas avrebbe retto, anche se il ragazzo aveva detto che ce l’avrebbe fatta senza troppe difficoltà.

Inoltre, viaggiare tutta la notte avrebbe contribuito in maniera sostanziosa ad accelerare il loro viaggio. Secondo una breve stima, l’indomani mattina avrebbero dovuto già trovarsi quasi a metà strada, dopo soli tre giorni dalla partenza, anche se forse avrebbero potuto perfino essere molto più oltre, se solo non fosse stato per gli imprevisti in cui erano incappati. In ogni caso, quelle erano cifre che facevano ben sperare la corvina. Il viaggio si stava rivelando molto più pensante di quello che avrebbe immaginato, pertanto meno giorni avrebbero impiegato per arrivare, meglio sarebbe stato.

«Posso chiederti una cosa, Rachel?» La voce di Lucas la riportò alla realtà. La conduit si voltò verso di lui, annuendo. «Certo, dimmi.»

«Stavo pensando... tu non potresti usare i poteri per entrare nella mente di Jack, come hai fatto con Slade? Magari potresti scoprire qualcosa su di lui.»

 Quella domanda lasciò perplessa la ragazza. Sì, in effetti le era successo di capitare nella mente di qualcun altro, e non solo con Deathstroke, giusto il giorno prima le era capitato con Richard. Tuttavia... non era sicura di volerci provare di nuovo con Jack.

«Non credo che ci riuscirei» sospirò, incrociando le braccia ed osservandosi i piedi, pensierosa. «Con Deathstroke ero riuscita a creare una specie di legame, quando gli ho cancellato i poteri. E la stessa cosa è successa con Hank.»

E con Richard...

«Con Jack, invece, non sono sicura di averne creato uno. Mi sono... semplicemente limitata a guarirlo. Sinceramente, non me la sento di provare, si tratta pur sempre della mente di un’altra persona, la parte più complessa e delicata dell’essere umano, e se sbagliassi qualcosa e danneggiassi gravemente Jack? Non voglio rischiare... e comunque, è la sua mente, sono i suoi ricordi, non sono affare mio.» Rachel si strinse nelle spalle, facendo una smorfia. «Ad essere sincera... non avrei mai nemmeno voluto capitare nella mente di Deathstroke... le cose che ho scoperto, le sensazioni che io, che lui, ha provato quella notte... sono state terribili.»

«Hai ragione, scusa se te l’ho chiesto» rispose Lucas, spostando lo sguardo su di lei. «Ero solo curioso, non volevo riaprire vecchie cicatrici.»

«Ehi, tranquillo.» Rachel gli posò una mano sulla spalla, sorridendo flebilmente. «Ormai è storia passata.»

Rosso ricambiò il sorriso, anche se non passò molto prima che lui si facesse di nuovo pensieroso.

«Qualcosa non va?» domandò Rachel, preoccupandosi, realizzando solo dopo averlo chiesto quanto stupida fosse quella domanda.

A parte il fatto che sta per morire? Deve sentirsi davvero alla grande...

«Non è niente, non preoccuparti» rispose invece lui, apparendo molto più pacato di quanto lei potesse immaginare. «È solo che...» Il ragazzo si interruppe, per poi sollevare lo sguardo, oltre il parabrezza, verso il cielo. L’auto cominciò a rallentare all’improvviso. Rachel si allarmò, ma realizzò ben presto che ciò non era dovuto ad un’avaria del veicolo od altro, era Lucas che aveva allontanato il piede dall’acceleratore.

La velocità continuò a diminuire progressivamente, fino a quando non si fermarono. A quel punto, Lucas girò la chiave e spense il motore. Dopodiché, si stravaccò contro al sedile sospirando profondamente.

«Che succede? Sei stanco?» domandò la conduit a quel punto. Ma il ragazzo scosse ancora una volta la testa. Senza dire nulla, aprì la portiera e scese dalla macchina. Rachel lo osservò sempre più perplessa, seguendolo con lo sguardo mentre si spostava di fronte alla macchina per poi appoggiarsi al cofano, tenendo lo sguardo alto, verso le stelle.

Corvina decise ben presto di seguirlo. Scese dall’auto a sua volta e si mise vicino a lui, poggiando i palmi contro il metallo freddo della macchina. «Se c’è qualcosa che ti turba... puoi parlarmene, lo sai.»

«Lo sai cosa mi turba» rispose infine lui, semplicemente. Non lo disse con un tono arrabbiato, o con cattiveria, lo disse con calma, naturalezza, come la cosa reale che era. Rachel sapeva cosa lo turbava, lo sapeva bene, e sapeva anche che perfino quella era stata una domanda stupida, ma in quel momento non aveva idea di che cosa dire, o fare, al di fuori di cercare di consolarlo al meglio delle sue possibilità.

Aprì ancora bocca per parlare, ma poi si interruppe, notando con enorme stupore il piccolo sorriso stagliato sul volto di lui. Solo in quel momento la ragazza si accorse della sua espressione rilassata, quasi... serena, mentre era intento a scrutare il cielo notturno con i suoi occhi color oceano. A quel punto, anche lei sollevò lo sguardo. Le miriadi di stelle e la luna splendente riuscirono a far nascere un sorriso anche sul suo, di volto. Una delle poche cose che quel mondo non avrebbe mai potuto togliere a nessuno di loro, erano quel cielo, quelle stelle, quella luna sempre lì, sempre pronti a rischiarare anche le notti più buie.

«Ti fa sentire insignificante, vero?» domandò Rosso. Rachel annuì, anche se non pensava che quella fosse una domanda da cui lui si aspettava una risposta. Migliaia, anzi, milioni... no, miliardi di stelle, erano stagliate sopra le loro teste. E loro erano solo due ragazzini, due puntini minuscoli, praticamente invisibili, più piccoli di un granello di polvere al loro confronto. 

«Sai...» cominciò a dire il suo partner, sempre senza staccare gli occhi dalle stelle. «... quando ero bambino, ed ero triste, arrabbiato, spaventato o tutte e tre le cose, per colpa dei miei genitori o della mia vita, guardavo sempre il cielo, la sera. E riuscivo sempre a sentirmi meglio, non importava quante legnate mi fossi preso quel giorno. Guardare il cielo, e pensare a quanto grande fosse il mondo in cui viviamo... riusciva sempre a farmi trovare la forza di stringere i denti e continuare ad andare avanti. Perché sapevo, infondo, che la fuori, da qualche parte, in qualche modo, sarei riuscito a trovare la felicità che tanto speravo di trovare. Anche se...» Lucas si voltò verso di lei, per poi distendere il sorriso. Avvicinò una mano al volto della ragazza, accarezzandole una guancia. «... non avrei mai pensato che per trovarla il mondo avrebbe dovuto finire.»

Corvina sentì le goti andare in fiamme, ma non poté non trattenere un altro sorriso a sua volta. «Lucas...» mormorò, per poi mettersi di fronte a lui, appoggiando il capo contro l’incavo del suo collo. Non conosceva molto del passato del moro, ma quel poco che sapeva le era sufficiente per permetterle di capire che non aveva avuto un’infanzia felice. Per niente. «Mi spiace che tu abbia sofferto...»

«Ormai è storia passata» rispose lui, stringendola in un abbraccio. Rachel ridacchiò, cogliendo la citazione, e posò entrambi i palmi contro al petto di lui.

«Ora, però, non dobbiamo più soffrire» sussurrò lui, sfiorandole i capelli con le labbra. «Non dobbiamo più guardare indietro.»

Corvina sollevò il capo, trovandosi a pochi millimetri dal volto di lui. I loro occhi si incontrarono, due sguardi sinceri, rilassati, felici. Felici di trovarsi lì in quel momento, insieme. Perché entrambi sapevano che avrebbero sempre potuto contare l’uno sull’altra, non importava cosa, come, dove o quando.

Una delle portiere si spalancò all’improvviso, producendo un rumore che fece sobbalzare entrambi, costringendo ad allontanare i rispettivi volti. Richard scese dalla macchina proprio in quel momento, stiracchiandosi e facendo diversi versi infastiditi. «Potevate dirlo che vi eravate fermati per sgranchirvi, li dietro siamo stretti come acciughe...» Ma quando si voltò verso di loro, notandoli ancora stretti, parve rendersi conto di aver appena interrotto qualcosa. «Ah, volevate restare soli. Ops.»

Lucas sospirò, sciogliendo lentamente l’abbraccio. Anche Rachel si separò a malincuore, però ormai non c’era più molto da fare, il loro momento era appena finito nello sciacquone.

«Continuate pure se volete, fate finta che io non ci sia. Anzi, ecco.» L’ex Mietitore si voltò, dando loro le spalle. «Non vi guardo neanche. Contenti?»

«Cavolo, ma come sei gentile...» borbottò Rosso, facendo una smorfia.

Un sorrisetto scappò dalle labbra di Rachel osservando quella scena. Quei due sembravano due bambini sempre pronti a litigare per qualsiasi cosa. Richard si voltò, scrutandoli entrambi con la coda dell’occhio. Lo sguardo che rivolse a Red X parve quasi di astio, ma quello che rivolse a Corvina... la ragazza non riuscì ad interpretarlo. Il brizzolato aprì bocca per parlare, ma un potente fischio proveniente da lontano lo fece interrompere. I tre ragazzi si voltarono, uno più sorpreso dell’altro.

Ad una distanza imprecisata, probabilmente una decina di chilometri, una lunga e sottile linea arancione si sollevò da terra, trapassando il cielo notturno come una lancia, producendo quel fischio che aveva attirato le loro attenzioni, fino a quando la cima della linea non esplose come in un fuoco artificiale, illuminando il manto stellato con la sua luce accecante. Rachel socchiuse gli occhi, infastidita. Scintille di luce arancione si sparpagliarono nell’aria a migliaia, poi, poco per volta, iniziarono a svanire. «Ma... che diavolo era?!» domandò esterrefatta.

«Sembrava un razzo segnalatore...» osservò Rosso, con lo sguardo fisso sul punto in cui la striscia di luce arancione ora si stava lentamente affievolendo.

«Un razzo segnalatore?» ripeté la corvina, sempre più stranita. «Vuol dire che qualcuno ha mandato una richiesta d’aiuto?»

«Forse...» rispose Lucas. «... oppure...»

«Oppure è una trappola» concluse Richard, incrociando le braccia. «Per attirare qualche fesso buon samaritano come voi.»

«Detto da uno che ha chiesto a Rachel di curare Jack mi suona parecchio ironico» ribatté Lucas, freddo.

Robin scrollò le spalle. «Tanto l’avrebbe fatto comunque.»

«Smettetela» ordinò Corvina, rimuginando su cosa fare. L’idea che quella richiesta di aiuto non fosse altro che una trappola aveva attraversato anche la sua, di mente, ma se davvero si fosse trattato di qualcuno nei guai? C’era solo un modo per scoprirlo. E comunque... il razzo era provenuto esattamente dalla direzione in cui loro erano diretti. Sarebbero dovuti andare laggiù in ogni caso, o avrebbero dovuto prendere una deviazione che sicuramente avrebbe allungato il viaggio, cosa che né lei, né gli altri, volevano.

Tuttavia, non erano costretti ad andare tutti. Questa volta, avrebbe fatto meglio a procedere con cautela. I suoi poteri non avevano percepito nessuna minaccia, ma lei non voleva fare troppo affidamento su di loro. Ciò che per loro non era una minaccia, avrebbe potuto benissimo esserlo per lei, o per i suoi amici.

«Aspettate qui» asserì lei, provando una strana, ma neanche troppo, sensazione di déjà-vu. «Vado a controllare.»

«Ne sei sicura?» domandò Rosso. «L’ultima volta che sei andata avanti da sola hai incontrato due maniaci...»

«Non erano due maniaci» protestò lei, per poi ripensare a Dom e Kev. «Beh... non del tutto. In ogni caso, non preoccuparti. Se andassimo in macchina rischieremmo di farci notare più facilmente, se ad attenderci ci fosse qualche malintenzionato.» Sorrise, cercando di apparire sicura di sé. «Ma se vado da sola, in volo, la notte mi aiuterà a restare nascosta.»

«A me sembra un buon piano» osservò Richard, prendendosi il mento, ricevendo un’occhiataccia da Lucas. «Che c’è? Dovresti saperlo meglio di me che Rachel sa badare a sé stessa.»

«Vado e torno.» Corvina posò una mano sulla spalla del moro, volgendogli un cenno del capo. Lui non sembrava ancora molto convinto, ma alla fine, la parte razionale di lui, fu costretta a darle fiducia. Del resto, la ragazza aveva ragione, la macchina avrebbe attirato molto di più l’attenzione rispetto ad una conduit delle tenebre.

«Hai mezz’ora» cedette lui alla fine. «Se non torni, o non chiami, entro questo lasso di tempo veniamo a cercarti.»

«Solo mezz’ora? Diavolo amico, dalle un po’ più di fiducia» si intromise Richard. «Io dico almeno un’ora.»

«La pianti?!» esclamò Lucas, accigliandosi. «Nessuno ha chiesto, ed è intenzionato a sentire, il tuo parere!»

«Mezz’ora andrà bene» si affrettò a dire la giovane, scoccando un’occhiata interrogativa a Richard, il quale sollevò le mani in segno di resa e diede loro le spalle un’altra volta. Perché si stava comportando in quel modo?

«Vado e torno» ripeté lei, con tono sicuro, per poi girarsi e chiudere gli occhi. Inspirò profondamente, poi il manto di luce nera iniziò ad avvolgerla, caldo e confortevole come sempre. Pochi istanti dopo, il rapace oscuro si sollevò alto nel cielo, diretto verso il luogo da cui era provenuta la misteriosa richiesta di aiuto.

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Capitolo 7
*** Progressi ***


8: PROGRESSI

 

 

Dopo quelle che parvero altre interminabili ore ed ore di viaggio, il gruppo si trovò finalmente di fronte a qualcosa di nuovo, dopo le infinite pianure e steppe a cui si erano abituati. Certo, non sembrava nulla di positivo, ma era comunque una novità.

Lucas rallentò la macchina, schiudendo le labbra. «Ma che diavolo...?»

Anche gli altri ragazzi rimasero senza parole. Di fronte a loro, decine e decine di automobili, furgoni, camioncini e altri veicoli si trovavano tutti ammassati, formando una barriera lunga centinaia di metri impossibile da valicare in macchina, visto che i veicoli coprivano entrambe le carreggiate dell’autostrada. E non sembravano messe lì a casaccio. 

«E adesso?» domandò Tara, rompendo il silenzio che si era creato.

«E adesso è un bel problema» mugugnò Rosso. E se era colui che sembrava sempre avere una soluzione a tutto a dirlo, allora era davvero un bel problema. «La macchina non passa di qua.»

«Torniamo indietro, allora?» interrogò allora Amalia, infilando la testa tra i due sedili anteriori come suo solito.

«Temo che anche questa non sia un’opzione valida...» brontolò ancora Lucas, accennando con il mento alla spia della benzina. Solo in quel momento Rachel si rese conto che era ancora accesa, e chissà da quanto tempo. La corvina spalancò gli occhi, ricordandosi delle loro risorse di carburante ormai agli sgoccioli.

«Non dovremo mica andare avanti a piedi?!» interrogò Komi, basita.

«Se torniamo indietro rimarremmo a piedi in ogni caso.»

«Ma...»

«Avremmo dovuto occuparci del carburante già da un pezzo...» mugugnò Richard, infastidendo Rosso come suo solito.

Rachel alzò gli occhi al cielo e scese dall’auto, prima che l’ennesima discussione iniziasse tra i due.

«Ehi, aspetta!» la chiamò il partner, scendendo a sua volta. A quel punto, agli altri ragazzi non restò molta scelta.

Rachel si avvicinò alle automobili. Erano molte di più di quante avrebbe potute contarne, a perdita d’occhio. Tutte quante erano arrugginite, ammaccate, molte addirittura carbonizzate. Ma la cosa più sorprendente, era che erano quasi tutte coperte in più punti da quello che aveva tutta l’aria di essere del muschio. E non sembrava naturale. Inoltre, perfino la strada era sprofondata in più punti, diverse pozzanghere di acqua stagnante si trovavano in giro, nonché altri mucchi di quello strano muschio. Forse era dovuto al paesaggio circostante, costituito da diversi acquitrini. Magari il terreno non aveva retto il peso della strada, che di conseguenza era ceduta, ma questo non spiegava comunque la presenza di tutte quelle macchine.

Che cosa è successo qui?

«Jack, ricordi di aver visto roba del genere, durante il tuo viaggio?» domandò la corvina, senza nemmeno voltarsi.

Il ragazzo sussultò, non aspettandosi di essere chiamato in causa. «No, purtroppo no. Mi dispiace.»

«Mh.» La conduit provò una strana sensazione. Sentiva che la strada di fronte a loro era pericolosa, ma allo stesso tempo era convinta che fosse quella giusta da prendere. Del resto, creare una simile barricata voleva dire che qualcuno non voleva che si proseguisse lungo quella strada. E se qualcuno voleva che non si proseguisse, significava che lungo quella strada c’era qualcosa di importante, che non tutti dovevano raggiungere.

«La comunità...» mormorò, senza nemmeno rendersene conto.

«Siamo sulla strada giusta» fece eco Richard.

Corvina si voltò verso di lui, sorpresa. Lo stesso fecero gli altri. L’ex Mietitore, notando i loro sguardi, scrollò le spalle. «Beh? Che avete da guardare? Chi pensiate che abbia lasciato quelle macchine lì, qualcuno che non ha nulla da nascondere, o da proteggere?»

«La California è ancora piuttosto lontana però...» osservò Rosso, prendendosi il mento, stranamente senza accanirsi contro il brizzolato. «Devono proprio aver deciso di fare le cose in grande per essersi spinti fino a qui pur di impedire agli estranei di avvicinarsi...»

«Ma scusate, come può qualcuno raggiungere la comunità se le strade sono bloccate?» domandò Komi, incrociando le braccia, diffidente.

«Questa è la cosa che mi chiedo anch’io» ammise Rachel, abbassano lo sguardo, rimuginando. «Solamente proseguendo potremo scoprirlo.»

«Quindi dobbiamo camminare?»

«Temo di sì.»

«Che palle...» brontolò Amalia, sbuffando come una bambina. «Le borse le porta tutte lui, giusto?» domandò poi, indicando Richard, il quale spalancò gli occhi basito.

«Non oserete...» minacciò lui, sollevando l’indice e puntandolo contro di loro, mentre Tara, Lucas e Komi si osservavano tra loro scambiandosi sguardi complici che non promettevano nulla di buono per il brizzolato. Jack ridacchiò di fronte a quella scena e perfino la conduit si lasciò scappare un sorriso divertito, dopodiché si voltò di nuovo verso le macchine, tornando seria.

Mentre alle sue spalle si udivano le proteste di Richard, la giovane osservò l’orizzonte, smarrendosi nei propri pensieri. Erano sempre più vicini, se lo sentiva dentro. Sì domandò cosa ci fosse in serbo per loro, una volta varcata quella barriera di automobili abbandonate. Di una cosa era sicura: quello era il punto di non ritorno.

Doveva solo sperare che non ce ne fosse davvero il bisogno, di ritornare.

 

***

 

Rachel si sentiva osservata. Era da diversi minuti che quella sensazione aveva iniziato a manifestarsi e, come al solito, se il suo istinto le suggeriva qualcosa, allora era qualcosa di cui tenere conto per davvero. L’ultima volta che si era sentita osservata mentre camminava nel bel mezzo di una strada aveva finito con l’avere ragione, visto che poi aveva incontrato di persona coloro che la stavano osservando.

Non sapeva da quanto tempo, ormai, stavano proseguendo. Avevano superato la barriera di automobili, che si era rivelata molto più lunga di quanto avevano potuto immaginare, ed ora erano lì, intenti a percorrere le centinaia di chilometri che mancavano alla California a piedi.

Sperando che le provviste bastassero. Avevano ancora qualche borsone, perciò non dovrebbero aver avuto problemi, nella peggiore delle ipotesi avrebbero dovuto razionare il cibo. Alla fine Richard non era stato davvero costretto a fare da galoppino, visto che ciascuno di loro trasportava qualcosa, anche se Rachel dubitava che Amalia stesse semplicemente scherzando quando aveva fatto quella proposta. Il lato positivo era che non faceva molto caldo, quindi le loro energie non sarebbero state immediatamente drenate dal clima.

Come di consueto, le ragazze parlottavano del più e del meno, mentre lei e Rosso erano in testa al gruppo, l’uno accanto all’altra, intenti a procedere in silenzio. Del resto, loro due non avevano bisogno di parlarsi in qualsiasi momento per capirsi. La corvina si domandò poi cosa stesse pensando Richard, rimasto al fondo della marcia insieme a Jack. Poteva perfettamente immaginarsi le occhiate furtive che gli lanciava, in attesa del suo primo passo falso. Rachel sorrise a quel pensiero, sentendosi anche estremamente sollevata del fatto che c’era qualcun altro intento a fare ciò che lei avrebbe voluto fare, ossia tenere d’occhio Jack. Non voleva ammetterlo, ma era grata a Richard per come, nonostante tutto, stesse guardando le spalle di tutti loro. Anche lui stava cambiando, ne era sicura. Anche se sicuramente il brizzolato avrebbe preferito tirare le cuoia piuttosto che ammetterlo apertamente.

Rachel si voltò, per volgere una rapida occhiata in direzione dell’ex Mietitore. Doveva essere una cosa veloce, in modo che nessuno se ne accorgesse, ma non appena lo fece, con suo enorme stupore scoprì che anche lui la stava guardando. I loro sguardi si incrociarono e la giovane sentì le proprie interiora attorcigliarsi all’improvviso. Durò un solo istante, ma le sembrò un’eternità. Dopodiché, lui le rivolse un cenno del capo e distolse lo sguardo. La giovane si voltò di nuovo, basita, non sapendo minimamente a cosa pensare. Perché la stava guardando? Per lo stesso motivo per cui lei si era voltata, ossia per via della loro discussione su Jack? Si auto convinse che quello fosse il vero motivo, ma una parte di lei, invece, stava pensando a tutt’altro.

«Tutto ok, Rachel?» domandò Lucas all’improvviso, facendola trasalire.

La ragazza scrollò il capo per ricomporsi al più presto. Per un attimo si era scordata che anche Lucas era uno che non si lasciava sfuggire nulla, e ciò era un errore madornale che non doveva più commettere.

«Sì, sto bene...» replicò lei, con un tono talmente poco convincente che nemmeno lei ci credette.

«Ne sei sicura?» domandò allora Rosso.

Corvina si mordicchiò il labbro inferiore. Ma che diavolo stava combinando?! Era chiaro come il sole che il moro non fosse convinto delle sue parole. Forse... forse avrebbe semplicemente dovuto dirgli la verità. Del resto, poteva fidarsi di Richard, ma non di Lucas, colui che le era rimasto accanto per tutto quel tempo, colui al quale aveva deciso, infine, di donare il suo cuore?

Certo che no.

«Ascolta, Lucas...» Rachel iniziò a parlare, ma qualunque fosse la ragione, si interruppe di colpo. La frase che stava per dire si tramutò in un’altra senza che nemmeno lei se ne accorgesse. «... tu ti fidi di Jack?»

Red X inarcò un sopracciglio. «Di quello sconosciuto che abbiamo trovato in mezzo ad una strada, di notte, mezzo morto? Mi fido di lui tanto quanto mi fidavo di Amalia e Ryan quando li abbiamo incontrati la prima volta, cioè non molto. Ma ora che è qui con noi possiamo tenerlo d’occhio meglio e vedere cosa combina, e se fa qualche cazzata possiamo sempre cacciarlo via a calci.»

Rachel schiuse le labbra udendo quelle parole. Allora... neanche lui si fidava di Jack. Un sorriso cominciò a dipingersi lentamente sul volto della giovane, che si maledisse per aver sottovalutato in quel modo, per l’ennesima volta, Rosso.

«Dal tuo sorriso deduco che era la risposta che speravi di sentire...» commentò ancora il moro, abbozzando un sorriso a sua volta.

La corvina sentì le proprie goti arrossarsi, poi chinò il capo, ridacchiando sommessamente. «Sei il migliore» sussurrò infine, appoggiando il capo sulla sua spalla.

«Anche tu non sei male» replicò lui, avvolgendole un braccio attorno alle spalle.

«Ehi, piccioncini» sbottò Komi da dietro di loro. «Prendetevi una stanza.»

Lucas la liquidò con un cenno della mano, mentre Tara ridacchiava. Rachel ignorò tutti loro, concentrandosi unicamente su Rosso. Le dispiaceva dover sparlare in quel modo di Jack, ma era la verità, non riusciva a fidarsi di lui, e a quando pareva Richard non era il solo che la pensava come lei. E la cosa la fece sentire molto più a suo agio.

Per un momento aveva pensato che potesse fidarsi di Robin e non di Rosso... che stupida. Era ovvio che il moro diffidava di Jack tanto quanto lei, altrimenti non lo avrebbe chiamato "partner".

«Aspetta, hai detto che non ti fidavi di Komi e Ryan quando li hai incontrati. Significa che non ti fidavi nemmeno di me?»

«Non proprio...» Il ragazzo piegò il capo. «... diciamo che con te il discorso è stato diverso. Non potevo fidarmi ciecamente, come sicuramente neanche tu, ma sapevo che le tue intenzioni erano buone. Non mi avresti tradito, ne ero sicuro. E dopo che mi hai raccontato tutte quelle cose su di te, dopo aver visto la tua reazione quando abbiamo incontrato Richard la prima volta, questa mia certezza non ha fatto che rafforzarsi.»

Rachel sentì lo stomaco in subbuglio ripensando a quel giorno. Era passato più di mezzo anno, da allora, eppure ricordava tutto quanto così bene, così vividamente. Abbassò lo sguardo, sospirando profondamente. «Grazie per essermi stato accanto...»

«Nessun problema. Lo rifarei altre mille volte. Ma poi basta, eh.»

Corvina ridacchiò, chinando il capo. «Ricevuto... quindi ti sei fidato di me anche prima che ti raccontassi del mio passato?»

«Diciamo di sì.»

«E come mai?» La ragazza sollevò un sopracciglio, perplessa. «Ero solo una ragazza come tante, conduit per giunta, non ci eravamo mai visti prima. Cosa ti ha spinto a fidarti di me fin dal primo momento?»

«Beh...» Il ragazzo esitò. «Non saprei...»

«Non può essere stata solo una sensazione a pelle, non è roba da te» insistette Rachel, guardandolo negli occhi.

Per la prima volta dopo tanto tempo, Rosso non sembrava davvero in grado di trovare le parole. E la cosa non faceva altro che incuriosire ancora di più la corvina. Ma prima che la discussione potesse proseguire, un rumore orribile si disperse nell’aria. Anzi, più che un rumore, sembrava un verso. Un verso che non piacque per niente alla conduit.

I ragazzi si fermarono di scatto, per poi iniziare a guardarsi attorno, i sensi affinati al massimo. Rachel provò una strana sensazione, fu in quel momento che realizzò perché si era sentita osservata: non erano soli.

Diverse pozze d’acqua nel terreno paludoso accanto a loro esplosero all’improvviso, facendo trasalire tutti i presenti. Da esse fuoriuscirono diverse figure, che atterrarono sulla strada attorno a loro, circondandoli, accompagnati da una pioggia di schizzi d’acqua stagnante. Non appena Rachel le vide meglio, inorridì.

A primo impatto, Corvina non credette nemmeno ai propri occhi, ma più passavano i secondi, più udiva i loro versi, più il tanfo di acqua stagnante si insinuava nelle sue narici, più realizzava che tutto quello era reale.

Non aveva nemmeno idea di come definire ciò che si trovava di fronte a lei. Erano delle creature antropomorfe, qualcosa che mai aveva visto prima. Assomigliavano a degli uomini, ma avevano la pelle ricoperta di squame, chi verdi, chi invece di tonalità più scure come il grigio o il nero, chi invece bianche, gli occhi gialli, le pupille piccole, i musi schiacciati e i denti aguzzi. C’era chi aveva ancora dei capelli e chi invece no, chi sotto le braccia aveva delle membrane simili alle ali dei pipistrelli, alcuni avevano perfino la coda.

Erano... mutanti. Ibridi tra uomini ed animali, rettili perlopiù. Ed erano disgustosi. Credeva che nulla l’avrebbe sconvolta come quella volta in cui aveva incontrato i Mietitori per la prima volta, ma si era sbagliata. Una mezza dozzina di quegli esseri li stava circondando, ringhiando, producendo quei versi che già prima avevano udito, diversi di loro avevano pure della disgustosa bava giallognola che colava dalla bocca. Era evidente che non fossero lì per dare loro il benvenuto.

I ragazzi si strinsero, ritrovandosi disposti in cerchio, mentre quegli esseri continuavano ad avvicinarsi. Rachel si domandò se anche loro fossero dei conduit. Non aveva mai visto alcun tipo di esseri simili a quelli, ma non c’erano molte spiegazioni. O forse, il gene che possedevano loro aveva reagito in maniera diversa, attribuendogli quegli aspetti ripugnanti. Non lo sapeva, sapeva solo che non era affatto intenzionata a trasformarsi nello spuntino di qualche mostro. E lo stesso sicuramente stavano pensando i suoi compagni, perché Komi estrasse la pistola, gli occhi di Tara si illuminarono e Rosso piegò le gambe, pronto a combattere.

Un altro rumore, tuttavia, distolse l’attenzione di tutti i presenti, mutanti inclusi. Un rumore decisamente più conosciuto ai ragazzi, quello di un veicolo. Rachel puntò lo sguardo verso l’orizzonte, dove poté scorgere diversi mezzi dirigersi verso di loro. Non seppe dirsi se questa cosa fosse positiva o meno fino a quando non notò la reazione dei mutanti, i quali si voltarono tutti verso la strada, ignorando bellamente ragazzi, per poi cominciare ad agitarsi. Sembrava quasi che conoscessero quei veicoli, e che non fossero nulla di buono per loro.

Erano una jeep ed un furgoncino, che si fermarono ad un centinaio di metri di distanza da loro. Diversi uomini armati scesero da essi, per poi sollevare i fucili. Uno di loro sparò diversi colpi di avvertimento, rivolti verso al cielo. I mutanti non parvero gradire la cosa, perché si fiondarono verso di loro, urlando e dimenandosi come degli ossessi. Non dovevano brillare di intelligenza, perché così facendo per gli uomini fu molto più semplice aprire il fuoco su di loro. Alcuni di loro furono feriti e fecero dei versi di dolore simili a dei guaiti, dal rumore agghiacciante che fecero accapponare la pelle di Rachel, altri stramazzarono perfino a terra. Non passò molto tempo prima che i pochi superstiti rimasti decisero di battere in ritirata, gettandosi di nuovo negli acquitrini, non lasciandosi dietro altro che i loro guaiti e le loro tracce di sangue marrone scuro.

I ragazzi rimasero in silenzio, ad osservare basiti la scena. Uno degli uomini, lo stesso che aveva sparato i colpi di avvertimento, cominciò poi ad avvicinarsi verso di loro, mentre gli altri rimanevano in prossimità dei veicoli, probabilmente per coprirgli le spalle. Rachel tenne alta la guardia: nonostante quei tizi li avessero appena aiutati, non poteva sapere di potersi davvero fidare.

Quando l’individuo si avvicinò, la corvina non poté non constatare che perfino lui altro non era che l’ennesimo ragazzo. La cosa la fece rilassare in piccola parte, ma rimase comunque sull’attenti. Si concentrò sul suo aspetto: aveva i capelli biondo platino, tanti, tirati all’insù. Era molto pallido, quasi come lei, gli occhi erano chiari, grigi. Avrebbe voluto poter dire di più su di lui, ma non poteva, siccome aveva di fronte al naso e alla bocca una bandana nera, con il ghigno di un teschio stampato sopra. Aveva dei pantaloni mimetici grigi scuri, e una maglietta grigia scura delle maniche corte, che lasciava scoperte le braccia muscolose.

Quella divisa le ricordò molto quella degli Underdog, cosa che non le piacque minimamente. Per non parlare poi del fatto che anche Jeff Dreamer aveva la fissa per i teschi. In poche parole, quel tizio incarnava tutto ciò che Rachel avrebbe preferito non dover più rivedere dopo Sub City. 

Quando li raggiunse, li scrutò uno per uno molto attentamente. Solo in quel momento Rachel si accorse del suo sguardo inquisitore, che mischiato a quella bandana e al colore dei suoi occhi lo rendevano quasi inquietante. Quando poi fu lei quella ad essere osservata, il nuovo arrivato corrucciò la fronte. Parve quasi che la stesse esaminando, molto più attentamente rispetto a come aveva fatto con gli altri. Corvina resse lo sguardo, anche se cominciò a sentirsi a disagio. Che avesse intuito che lei fosse una conduit? Ma da cosa? E anche se così fosse stato, perché avrebbe dovuto squadrarla in quel modo? Passarono diversi istanti prima che si decidesse di distogliere lo sguardo da lei. Corvina sentì i propri nervi sciogliersi all’improvviso.

«State tutti bene?» domandò infine il ragazzo, con tono molto più socievole di quello che Rachel si sarebbe aspettata,  appoggiandosi il fucile su una spalla.

«Sì, anche se avremmo potuto cavarcela anche da soli» rispose Lucas, incrociando le braccia e scoccandogli un’occhiata diffidente.

Diverse rughine apparvero sotto agli occhi del biondo, segno che aveva sorriso, o sogghignato, era difficile capirlo. «Meglio prevenire che curare» rispose, per poi spostare lo sguardo sugli acquitrini. «Mi spiace che abbiate dovuto incontrare i Corrotti in questa circostanza, ma purtroppo è già da diverso tempo che attaccano tutti quelli che passano per di qua.»

«I... Corrotti?» domandò Rachel, perplessa. «I mutanti che ci hanno circondati?»

«Noi li chiamiamo così» annuì il ragazzo. «Vivono in questa zona, aiutano a tenere lontani gli intrusi.»

«Aiutano a...» Rachel si bloccò di scatto. «Aspettate, siete stati voi a creare quella barricata di macchine?» chiese ancora la corvina, mentre iniziava a collegare i puntini.

Il biondo annuì ancora. «Immagino che la vostra destinazione sia la California.»

Rachel dischiuse le labbra e la stessa reazione di stupore ebbero anche i suoi compagni. «Ma... ma allora voi...»

«Venite con me» tagliò corto lui, accennando con il capo al furgoncino. «Abbiamo molto di cui parlare. Ah, il mio nome è Simon. Piacere di conoscervi.»

 

***

 

Il furgone procedeva per la strada dismessa, sobbalzando sopra ogni buca. Al suo interno, i sette ragazzi, contando anche Simon, erano seduti, intenti a discutere tra loro. Rachel osservava la strada che scompariva alle sue spalle, attraverso i vetri delle porte posteriori. Ancora non le sembrava vero.

Ancora non le sembrava vero che Simon e gli uomini che avevano incontrato li stavano portando là. Ancora non credeva che li stavano portando alla comunità.

Era successo tutto così in fretta...

Sapeva che la strada che avevano scelto era quella giusta, ma non avrebbe mai potuto pensare che le cose sarebbero andate così bene ed in così poco tempo. Alla fine perfino i Corrotti non erano stati un problema, per loro, visto che ci avevano pensato Simon e i suoi a farli fuggire. Le sembrava tutto così assurdo, irreale. Due giorni prima erano intenti a brancolare nel buio, diretti verso una meta di cui avevano solo sentito parlare, spinti da una semplice speranza, una speranza che avrebbe potuto rivelarsi completamente vana in qualsiasi momento e far crollare tutto quanto come un castello di carte. Invece ora erano lì, ora era tutto reale. Avevano incontrato persone che li stavano portando verso un luogo sicuro, quella che magari avrebbe potuto essere la loro nuova casa, li stavano portando verso ciò che per la prima volta dopo mesi faceva sperare alla corvina in un futuro più luminoso.

E la cosa la faceva sentire molto bene. Sapere che il lungo ed estenuante viaggio che avevano intrapreso era davvero servito a qualcosa, sapere che per una volta i loro sforzi non erano stati vani, sapere che per la prima volta dopo tempo sarebbero stati al sicuro, la faceva sentire bene come poche volte era stata.

La comunità non era mai stata così reale, e così vicina, come lo era in quel momento.

«Teniamo sotto controllo queste strade ventiquattro ore su ventiquattro» stava spiegando nel frattempo Simon, facendo vagare lo sguardo tra i presenti. Si era tolto la bandana, rivelando il suo volto completamente glabro. Era attraente, Rachel doveva ammetterlo.

«Abbiamo delle torri di vedetta dalle quali possiamo vedere tutto nel raggio di chilometri. Quando qualcuno supera la barricata, noi andiamo a prelevarlo. Ovviamente, però, non possiamo lasciare entrare chi ha brutte intenzioni, ma spesso ci pensano già i Corrotti a farli scappare con la coda tra le gambe.»

«Quindi... quelle bestie sono vostre amiche?» domandò Komi, inarcando un sopracciglio.

«No. Semplicemente, questo è il loro territorio, e loro lo sorvegliano. Noi abbiamo rigirato la cosa a nostro vantaggio. Non sono creature malvage, semplicemente, non vogliono essere disturbate. O meglio, era così, fino ad un po’ di tempo fa’…» Simon sospirò. «Non sappiamo bene cosa sia successo, ma ad un certo punto i Corrotti hanno iniziato ad aggredire chiunque varcasse le barriere, non solo chi creava problemi, e hanno addirittura attaccato diversi dei nostri avamposti, perfino uno dei nostri depositi. In poche parole, da improbabili alleati si sono trasformati anche loro in un problema. Uno dei tanti, di problemi.»

«Depositi?» interrogò Tara, rigirandosi tra le dita una ciocca di capelli.

«Dove custodiamo le nostre provviste. Abbiamo allevamenti e campi coltivati fuori dalla comunità, ovviamente tenuti sotto stretta sorveglianza dal nostro corpo di sicurezza, che ci permettono di avere praticamente tutto ciò che serve, inoltre alcune nostre squadre sono sempre in missioni di ricognizione, alla continua ricerca di viveri e altri civili da portare in salvo.»

«Da quanto tempo fai parte della comunità?» ora toccò a Rosso fare la sua domanda.

«Praticamente da sempre. Quando sono arrivato qui non era da molto che il nostro capo aveva avviato questa cosa, e il nostro corpo di sicurezza non era molto nutrito. Era costituito perlopiù da poliziotti, alcuni militari e volontari. Non è stato difficile per me inserirmi e scalare i ranghi, visto che prima di questo delirio stavo cercando di arruolarmi.»

«Avete un capo?» si intromise poi Rachel, sentendosi quasi in pena per Simon e per la miriade di domande che gli stavano rivolgendo, anche se era abbastanza sicura che lui, ormai, fosse abituato a tutto ciò.

«Sì, diciamo che è colui che ha iniziato tutto quanto. È stato il primo ad iniziare a protestare, a far sentire la propria voce e a cercare di far capire alle persone che tutto quello che nessun governo avrebbe fatto niente per noi e che se volevamo salvarci, avremmo dovuto fare da soli. Le sue registrazioni radio hanno fatto il giro per tutto il paese, scommetto che sono arrivate anche ad Empire.»

La corvina sgranò gli occhi, ripensando ad Empire City, agli schermi giganti sparpagliati per la città, a quell’agitatore con il volto censurato che gridava a tutti quanti che il governo li stava tenendo chiusi in gabbia. Credeva che fosse sparito, che fosse addirittura stato fatto fuori, invece no, invece era stato proprio lui a creare tutto quello. Rachel non avrebbe mai potuto pensare di poter ammirare in quel modo qualcuno che nemmeno aveva mai visto in faccia. E la cosa più sorprendente, quel tizio non era mai stato per davvero ad Empire City, ma trasmetteva da praticamente l’altro lato del paese.

Incredibile...

 «Dobbiamo conoscerlo allora...» osservò Rachel, abbozzando un sorriso. 

«Soltanto gli ufficiali più alti possono parlargli. Nemmeno io posso vederlo, o partecipare alle sue riunioni.»

«Oh.» La conduit si sentì sinceramente dispiaciuta, ma poteva immaginare il motivo di ciò. Del resto, un uomo che doveva occuparsi di dirigere una comunità con chissà quante persone doveva avere il suo gran bel da fare. «Peccato.»

«Quanto manca ancora?» brontolò infine Richard, nemmeno con troppa gentilezza. Per sua fortuna, Simon era molto paziente. 

«Mi spiace, ma ci vuole ancora un po’ di tempo. Siamo ancora a più di cento chilometri di distanza dalla città. Inoltre, prima di portarvi alla comunità dobbiamo passare in uno degli avamposti, per raccogliere i vostri dati e registrarvi, e dovremo anche attribuirvi delle mansioni.»

«Delle mansioni?!» Komi quasi sobbalzò. «Che cosa?!»

«Vi sarà tutto spiegato da uno degli ufficiali, non preoccupatevi. Il mio lavoro, per adesso, è semplicemente quello di portarvi a destinazione sani e salvi. A dire il vero, non ero nemmeno obbligato a rispondere a tutte le vostre domande, ma mi sembrava il minimo, per rendere più leggero il viaggio. Siete stati fortunati ad incontrare me e non un altro dei capitani, come Artemis. Alla prima domanda lei vi avrebbe detto di chiudere il becco e basta.»

«Delle mansioni...» sbottò ancora Amalia, incrociando le braccia. «Che schifo...»

Accanto a lei, Tara ridacchiò, per poi darle qualche pacca di incoraggiamento sulla spalla. «Su, coraggio, non sarà peggio che dover combattere per la propria sopravvivenza.»

«Parliamone...»

Tara ridacchiò ancora, pure Rosso e Simon sorrisero. Rachel, invece, inspirò e chiuse gli occhi, appoggiandosi con il capo contro la superficie di plastica dietro di lei. Tutto quell’ottimismo le aveva fatto scordare quanto esausta fosse. Non vedeva l’ora di arrivare e potersi finalmente fare una vera dormita, sopra un letto morbido, con delle lenzuola pulite e magari Lucas accanto a lei.

Un altro pensiero che non aveva smesso per un solo istante di tormentarla era poi la questione dell’epidemia. Finalmente stavano arrivando alla comunità, vero, però per quanto tempo avrebbero potuto rimanerci? Sinceramente, né lei, né nessun altro avevano pianificato cosa fare una volta arrivati a destinazione, anche perché nessuno di loro sapeva se davvero sarebbero mai arrivati. Ma ora che erano lì, doveva pensare in fretta. Non avrebbe mai potuto trovare una cura per Lucas e tutti quanti restandosene nella comunità, la quale era comunque condannata a prescindere, visto che nessun luogo era al sicuro dall’epidemia. E ora aveva scoperto che avrebbero perfino assegnato loro delle mansioni e dubitava che si potesse rifiutare se si voleva restare.

Corvina si morse un labbro. Solo in quel momento si rese conto che, nonostante tutto, i problemi erano ancora lungi dal risolversi. E lei non aveva assolutamente idea di che cosa fare. In quel momento, la cosa più sensata che le veniva in mente era quella di arrivare a questo avamposto, lasciarsi registrare ed entrare nella comunità. Una volta fatto ciò, avrebbe parlato con Lucas e i suoi compagni per decidere il da farsi. E inoltre forse era quasi giunto il momento di dire a Tara e Komi la verità. Almeno a loro due, glielo doveva.

Le tornò in mente anche Richard, il quale osservava disinteressato il paesaggio fuori dal furgone. Avrebbe davvero fatto come da accordo, e se ne sarebbe andato per la sua strada? Con suo enorme stupore, Rachel si ritrovò a sperare che decidesse di non farlo. Del resto, nemmeno lui aveva ancora trovato le risposte che cercava.

Potrebbe avere ancora bisogno di me... cioè, di noi, di noi...

Rachel sospirò e scrollò il capo per allontanare quei pensieri. Poi, pensò anche a Jack. Non aveva ancora spiccicato una parola fino a quel momento, chissà che cosa gli stava frullando per la mente. Se era già stato nella comunità, probabilmente qualcuno avrebbe dovuto riconoscerlo, prima o poi. Magari avrebbero scoperto più cose sul suo passato. Simon non aveva dato alcun segno di conoscerlo, ma era normale, chissà quante persone e volti aveva visto. Per lui, ormai, era una routine. Tuttavia, il fatto che registrassero tutti quanti, fece ben sperare la corvina. Se Jack era già stato alla comunità, sicuramente era stato registrato. Magari avrebbero scoperto chi era davvero e avrebbero potuto finalmente capire se lui era una minaccia oppure no.

Era probabile che lui stesse pensando alle stesse cose, in quel momento. Non le restava altro che attendere e vedere come le cose si sarebbero messe.

 

***

 

Dopo quattro ore di viaggio, finalmente arrivarono alla loro prima tappa, il famoso avamposto. Erano usciti dall’autostrada già da un pezzo, Rachel non aveva fatto ben caso a che strada avevano preso, perciò si sorprese notevolmente quando, una volta fuori dal furgone, si ritrovò di fronte un paesaggio molto diverso rispetto a quelli a cui si era abituato.

Non avrebbe mentito dicendo che quella era la prima volta nella sua vita che si trovava su delle colline. Era cresciuta ad Empire City, abituata allo squallore e al grigiore della grande metropoli, e fino a quel giorno non avevano fatto altro che viaggiare sull’autostrada, accanto a dei panorami che bene o male erano sempre gli stessi, ma quello, invece, era diverso. Da lì potevano vedere tutto quanto. Potevano vedere l’autostrada, così lontana e minuscola, potevano vedere le altre colline, le pianure in lontananza, i boschi, gli acquitrini. Esattamente sotto di loro, lungo il pendio, si trovavano perfino dei vigneti.

Verde, viola e arancione si mischiavano sotto ai suoi occhi formando un paesaggio stupendo, un paesaggio che la corvina avrebbe potuto rimanere ad osservare tutto il giorno. Quello era il classico paesaggio che un artista avrebbe amato dipingere. Accanto a lei, perfino i suoi compagni sembravano meravigliati da quella vista.

Quando Rachel si voltò, poi, poté constatare che "avamposto" non rendeva per niente giustizia all’edificio di fronte a lei. Un’enorme villa si stagliava dinnanzi al suo sguardo. Era lunga, alta, gigantesca, bellissima, dalle pareti dipinte di nero, con ampie vetrate come finestre ed un pianerottolo di legno sull’ingresso, che andava poi a circondare tutta la struttura. Era così strano vedere un edificio di quel tipo che non fosse stato vandalizzato.

Il giardino era enorme. Un sentiero lo attraversava, giungendo al pianerottolo, mentre diversi roseti lo decoravano. Quando notò questi ultimi, la ragazza rimase senza parole per l’ennesima volta. Non avrebbe mai pensato di rivedere dei fiori, tantomeno delle rose. Era evidente che qualcuno si occupasse di quel giardino periodicamente, o non sarebbe mai stato così curato. Ad un certo punto udì perfino degli uccellini cinguettare. Quel suono fu tanto irreale quanto meraviglioso. Era passato così tanto tempo da quando l’aveva udito l’ultima volta... forse era esagerato, ma per lei quel luogo era un autentico paradiso.

«Forza, andiamo.» Simon ricordò ai presenti che non si trovavano lì in vacanza. Tuttavia, Rachel apprezzò il fatto che avesse lasciato loro un po’ di tempo, prima di richiamarli al dovere. I ragazzi lasciarono lo spiazzale dove i soldati avevano parcheggiato i veicoli e si avviarono lungo il sentiero di ciottoli di pietra, guidati dallo stesso Simon, mentre gli altri militari rimasero accanto ai veicoli, ad attenderli.

Sul pianerottolo, vicino all’ingresso, Rachel vide altri soldati, sfuggiti al suo sguardo poco prima. Questi salutarono Simon con un cenno del capo. Il ragazzo ricambiò, poi spalancò la porta scorrevole, invitandoli ad entrare. Dentro la villa era ancora più bella: davanti a loro, due divani bianchi come la neve, disposti ad angolo retto di fronte ad un televisore enorme e ad un tavolino da caffè, un grosso tappeto bianco copriva il parquet di legno, mentre non molto distante si trovava il ripiano di una cucina talmente moderna che alla corvina parve quasi fantascienza. Le pareti grigie scure erano coperte da quadri e fotografie, perlopiù di altri paesaggi.

Sarebbe stato tutto perfetto, se solo non fosse stato per tutti i soldati armati che girovagavano, i quali ricordarono esattamente a Rachel il perché loro si trovavano lì. Un altro pugno in un occhio, era quel tavolo enorme esattamente in mezzo al salotto, sul quale erano disposti fucili, pistole, monitor e anche uno stranissimo copricapo di lana, simile a quello dei cosacchi russi. Seduto dietro di esso, si trovava un altro soldato. Un altro ragazzo, che non doveva essere nemmeno molto più grande di loro, avrebbe dovuto dire Rachel. Aveva gli occhi verdi e anche lui i capelli biondi, però a differenza del suo commilitone, i suoi erano corti, tagliati a spazzola, proprio come quelli dei militari. Fu proprio da lui che Simon li guidò.

Il militare stava scrivendo su una tastiera, osservando uno dei monitor, ma non appena il ragazzo biondo si avvicinò si voltò verso di lui. «Rapporto, capitano Lawrence» ordinò, con tono autoritario e professionale. Una scena quasi buffa, considerato a che a dire quelle parole era stato uno che non doveva nemmeno essere più grande del suo interlocutore.

Simon sospirò, esausto. Nemmeno lui sembrava molto entusiasta del fatto che quel tizio gli si rivolgesse in quel modo. Accennò con il capo al gruppo di ragazzi. «Nuovi arrivati. Sai già cosa fare, Konstantin.»

«Sissignore!»

Rachel inarcò un sopracciglio. Prima faceva l’autoritario, e dopo rispondeva con un "sissignore"? Quel tizio era strano. Ma allo stesso tempo, la corvina abbozzò un sorriso divertito. Konstantin, così si chiamava a quanto pareva, si alzò poi in piedi, rivelando un fisico molto, molto robusto, anche più di quello di Simon. Il sorriso sparì dal volto della ragazza quando lo notò. Quel ragazzo avrebbe potuto spezzare il suo commilitone in due. Un'altra cosa che catturò la sua attenzione, fu l’enorme stella rossa ricamata sulla sua uniforme, all’altezza del petto.

«Piacere di conoscervi» iniziò il soldato, sorridendo a tutti loro in maniera gentile. «Io sono il capitano Leonid Konstantinovitch Kovar, ed oggi tocca a me occuparvi della vostra registrazione. Immagino che il mio compagno Lawrence ve ne abbia già parlato.»

«Puoi evitare di chiamarmi Lawrence...?» si lamentò Simon, evitando lo sguardo dei ragazzi, il quali avevano cominciato ad osservarlo divertiti.

Konstantin lo ignorò bellamente. «Mentre vi stavate dirigendo qui, ho informato il mio superiore, che ci raggiungerà a breve per discutere con voi del vostro futuro ruolo all’interno della comunità, nel frattempo, però, potremmo cominciare con la vostra registrazione. Dovreste darmi un documento che contenga anche una vostra foto. Allora, chi comincia?»

«Perché dovete sapere le nostre identità?» domandò Rosso per tutta risposta, incrociando le braccia. «Il vero motivo per cui le chiedete?»

Mise parecchia enfasi su quella parola. Rachel si domandò il perché, ma non appena notò lo sguardo che Simon rivolse al moro, la corvina intuì che il suo partner aveva esattamente chiesto ciò che invece non doveva chiedere.

«In questo modo possiamo fare una ricerca incrociata con i database della polizia e scoprire se avete o meno dei precedenti penali» rispose nel frattempo Kovar, facendo strabuzzare le palpebre di Lawrence. «In base ai quali possiamo stabilire se sarete un pericolo, o meno, per la comunità.»

Simon si sbatté la mano sul volto. «Si può sapere perché gliel’hai detto?!»

«Beh... me l’ha chiesto» replicò Konstantin, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

«E ora cosa ti garantisce che nessuno di loro ti dirà di non possedere alcun documento?» chiese ancora il biondo, accigliandosi.

Il ragazzo più robusto spalancò gli occhi, come colto da un’illuminazione. «Oh... beh...»

«Ringrazia che sono solo dei ragazzi e non dei pazzi assassini...» continuò Simon, scuotendo il capo contrariato dalla sbadataggine del commilitone, il quale si stava grattando il capo imbarazzato. Rachel sorrise divertita di fronte a quella scena. Il suo sorriso, tuttavia, svanì quando notò come l’espressione di Lucas fosse diventata quasi infastidita. La giovane inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla.

«Sono certo che nessuno di loro ci mentirà» si giustificò infine Konstantin, probabilmente cercando più di convincere sé stesso che il collega. Dopodiché si schiarì la voce, cercando di ricomporsi. «Dunque, chi comincia?» domandò di nuovo.

I ragazzi si guardarono tra loro. Era chiaro che tutti quanti volessero procedere. Non avevano fatto tutta quella strada per poi tirarsi indietro in quel modo. Era la comunità ciò di cui stavano parlando, il primo, vero e forse anche unico luogo davvero sicuro che potesse esistere in quel mondo dilaniato dall’odio e dalla morte. O forse erano solo quasi tutti a pensarla in quel modo, visto che Lucas ignorò lo sguardo dei propri compagni, perfino quello di Rachel. La corvina si mordicchiò l’interno della guancia, perplessa da quel suo comportamento. Che gli stava succedendo?

«Tara Markov» esordì infine la ragazza bionda, facendosi avanti per prima, estraendo dalla tasca il suo portafogli. «Ecco, questa è la mia carta di identità.»

Il soldato annuì, poi iniziò a trafficare con il computer. Digitò il nome sulla tastiera, probabilmente per cercare eventuali riscontri con il database della polizia, dopodiché mise il documento su uno scanner. Ci volle qualche minuto, infine riconsegnò il documento alla ragazza. «Grazie mille. Prossimo?»

Amalia si diresse al tavolo, mentre Tara tornava indietro. «La patente può andar bene?» chiese, porgendogli la schedina di plastica. Non appena lo fece, Konstantin la squadrò da capo a piedi, con le labbra dischiuse. Komi inarcò un sopracciglio, osservandolo a sua volta. «Che c’è?»

«Eh, cosa?» Il soldato si riscosse, scrollando il capo. «Ehm, no, niente, niente... c-certo che va bene...»

Konstantin, paonazzo, fece il suo dovere. «K-Komand’r Anderson?» domandò, leggendo sopra la patente.

«Sì, Amalia nella vostra lingua.»

«B-Bel nome...»

«Ehm... grazie... credo...»

Il soldato continuò a trafficare con il computer. Quando ebbe finito, comunicò, o meglio, balbettò che la mora era a posto. Komand’r, perplessa, ritornò accanto a Tara, alla quale scappò una risatina divertita.

«Quando si dice amore a prima vista» commentò a bassa voce, dandole di gomito.

«C-Che cosa?!» bisbigliò Amalia, sgranando gli occhi. «Pensi che... oh, Cristo... e adesso chi glielo spiega a quello che non sono interessata?»

Tara ridacchiò ancora più forte, al punto che perfino Simon inarcò un sopracciglio.

Vennero poi i turni di Richard e Rachel. Il primo fu registrato senza problemi, anche se Rachel si stupì parecchio del fatto che né Simon, né Konstantin fecero domande a Robin in merito alla sua tenuta da Mietitore.

Quando toccò a lei, invece, la situazione parve farsi più insolita.

«Roth?» domandò Simon, restituendo alla giovane il suo documento sgualcito, inarcando un sopracciglio.

«Ehm... sì» replicò lei, perplessa.

«Mh. Interessante» commentò il biondo. «Prossimo.» Distolse lo sguardo da lei, ma la corvina continuò comunque ad osservarlo, domandandosi cosa diavolo stesse frullando nella sua mente. Perché da quando si erano conosciuti, non aveva smesso un attimo di trattarla quasi come se fosse diversa da tutti gli altri suoi compagni? Che cosa voleva da lei?

Il turno di Lucas la fece distrarre dai suoi pensieri. Il moro fece un passo avanti, come avevano fatto gli altri, ma la sua espressione non era ancora minimamente cambiata. Fu solo quando parlò, che la corvina si rese conto cosa stesse tramando. Nulla di buono, evidentemente.

«E se mi rifiutassi di rivelarvi la mia identità?» domandò, con voce quasi inacidita.

Rachel si irrigidì, mentre Konstantin aprì bocca per parlare, ma fu bruscamente interrotto da Simon, il quale si fece avanti incrociando le braccia. «Non possiamo accettare degli sconosciuti nella comunità, perché non possiamo sapere chi siano veramente e quali intenzioni abbiano.»

«Qualsiasi persona con un po’ di cervello capirebbe che le vostre intenzioni sono quelle di fare un controllo incrociato» ribatté Lucas, freddo. «Qualunque criminale ormai possiede un documento falso, o addirittura non ne possiede nessuno. Se davvero pensate che questa cosa possa tenervi al sicuro, allora vi sbagliate di grosso.»

«Non sono io che faccio le regole» replicò Simon alzando la voce, avvicinandosi ulteriormente a lui e scrutandolo dritto negli occhi. Sembravano due mastini pronti a sbranarsi a vicenda. Rachel cominciò ad allarmarsi, anche Tara e Komi parvero preoccupate. «Se dipendesse da me, le cose sarebbero molto diverse, ma purtroppo io sono solo un soldato. Questo è il sistema che il nostro sindaco ha creato ed io sono semplicemente tenuto a rispettarlo e a seguirlo.»

«Che problema c’è, Lucas?» si intromise Richard, con un sorrisetto che non aveva nulla di buono. «Hai qualcosa da nascondere?»

Rosso si voltò verso di lui, scrutandolo con odio. Perfino Rachel gli lanciò un’occhiata mista tra la rabbia e lo sbigottimento. Che cavolo gli era saltato in mente?

«Già, Lucas, hai qualcosa da nascondere?» fece eco Simon, avvicinando ulteriormente il volto al suo. Lucas mantenne il sangue freddo, pure di fronte allo sguardo di ghiaccio del soldato, il quale, tra le altre cose, si era perfino rimesso la bandana. Il moro digrignò i denti. Strinse i pugni e la corvina pensò quasi che stesse per colpire il biondo, cosa che non poteva assolutamente permettere. Rapida, afferrò la mano del ragazzo, facendolo sussultare. Lucas si voltò di colpo, sorpreso. A quel punto, Rachel cercò di sorridergli accomodante. Capiva il suo scetticismo, sicuramente temeva che il suo passato potesse causargli dei problemi, ma Rachel era certa che li avrebbero lasciati entrare lo stesso nella comunità. Lucas non era più un criminale, era cambiato e lei lo avrebbe dimostrato con ogni mezzo a sua disposizione se necessario. I due ragazzi si osservarono, in un modo che non poteva non far trasparire il loro profondo legame, poi Rachel gli rivolse un cenno del capo. Voleva tranquillizzarlo, voleva fargli capire che non doveva preoccuparsi di nulla, perché erano insieme. C’era lei a guardargli le spalle. Lucas, a quel punto, chinò la testa, chiaramente riflettendo su quale fosse la cosa giusta da fare.

Infine, il ragazzo espirò profondamente, poi drizzò lo sguardo, tornando a guardare Simon dritto negli occhi.

«Blake. Lucas Blake.»

 

 

 

 

 

Non è stato un periodo semplice per il sottoscritto, e questo (penoso) capitolo arrivato spaventosamente in ritardo ne è la dimostrazione. Chiedo scusa per l'attesa terrificante, ma purtroppo non dipende da me. Cioè, sì, anche da me, ma cercate di capirmi, EFP non è un lavoro e il tempo per esso talvolta scarseggia, talvolta c'è, ma preferisco dedicarmi ad altro. Cercherò di proseguire la storia, ma non aspettatevi più una programmazione fissa. Il prossimo capitolo può arrivare domani come tra un mese. Chiedo scusa, di nuovo. Spero comunque di riuscire a proseguire la storia, ma non voglio fare promesse che potrei non mantenere. Nel dubbio, a quei pochi appasionati che rimangono, dico di tenere alta la speranza, perché come ormai avrete capito io sono uno che cambia idea ogni tre secondi e mezzo. Grazie per la pazienza, scusate ancora, e alla prossima. 

p.s. Sì, Lucas Blake fa pena. Se non vi piace come cognome rimpiazzatelo nella vostra mente con quello che preferite, non me la prenderò a male, tanto questo nome, a parte questo capitolo, avrà l'utilità di una presa elettrica dentro una vasca da bagno e molto probabilmente non verrà mai più nominato. 

Btw, Kostantin è Red Star, Simon invece è un OC, un vecchio amico che probabilmente qualcuno dei lettori veterani riconoscerà.

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Capitolo 8
*** Segreti ***


7: SEGRETI

 

 

Fortunatamente, la scia di luce arancione rimase visibile nel cielo ancora per diversi minuti, permettendo alla giovane di riuscire a trovare il luogo da cui era provenuta con estrema facilità. Ciò che non si aspettava di trovare, comunque, era quell’enorme bosco in cui l’autostrada correva in mezzo. Dall’automobile, a causa della lontananza, e del buio, non era riuscita a scorgerlo, ma ora che si trovava lì poteva notare benissimo gli alti alberi dai rami fitti e ricoperti dalle prime foglie primaverili.  Scoprire che il razzo segnalatore era provenuto da un luogo come quello aveva abbassato notevolmente la possibilità che qualcuno avesse davvero chiesto aiuto.

Rachel si abbassò di quota, iniziando a volare tra le punte degli alberi, in modo da essere ancora più nascosta. Era abbastanza sicura che nessuno l’avrebbe vista in ogni caso, ma prevenire era meglio che curare; del resto, anche se era una conduit, i proiettili facevano male pure a lei. E non doveva nemmeno escludere la possibilità di incontrare qualche altro suo simile.

Infine, vide ciò che da diverso tempo ormai non era più abituata a vedere: automobili completamente intatte, più delle persone radunate vicino ad esse.

Si trovavano esattamente in mezzo alla strada e diversi falò accesi fecero pensare a Rachel che quello si trattasse di una specie di accampamento. La giovane scese fino a terra, rimanendo nascosta tra la vegetazione. Raggiunto il suolo, ritornò in forma umana, rimanendo nascosta dietro al tronco di un grosso albero. Da lì si sporse, osservando perplessa ciò che si trovava di fronte a lei.

Gli uomini erano seduti accanto ai falò, chi con in mano dei barattoli di cibo in scatola, chi con delle birre, chi con delle armi. Era evidente che nessuno di loro avesse bisogno di aiuto. Ma allo stesso tempo, non sembrava nemmeno il luogo per un’imboscata, quella. Come avrebbero potuto tenderne una a qualcuno rimanendo lì, in bella vista?

Uno di loro in particolare catturò la sua attenzione. Era un afroamericano, con i capelli raccolti in delle piccole treccine. Un tatuaggio rosso acceso, in netto contrasto con il colore del resto della pelle, risaltava sopra di lui. Una semplice decalcomania che non sembrava rappresentare nulla di particolare, partiva dalla sua clavicola, scendendo lungo il petto nudo e parecchio muscoloso, ricoprendolo per buona parte, fino ad arrivare alla vita. La cosa che catturò l’attenzione della corvina fu proprio questo tatuaggio, il quale non sembrava nulla di comune. Sembrava quasi... formicolare, sopra la pelle dell’uomo.

Tra gli uomini presenti, quello fu colui che più di tutti lasciò perplessa la ragazza. Qualcosa le suggeriva che non era una persona normale.

Si accorse poi che l’attenzione di tutti era incentrata su uno dei veicoli, un pick-up grigio chiaro. Rachel posò così lo sguardo sull’auto. A quel punto, sentì il proprio sangue gelarsi nelle vene. Due persone si trovavano a terra, un uomo ed una donna, la quale era legata ed imbavagliata. Produceva dei versi terrorizzati dalla bocca e aveva gli occhi gonfi e rossi di pianto. Accanto a lei, il prigioniero maschio giaceva stravaccato contro l’automobile, con un foro di proiettile sulla fronte. Sangue ancora fresco gocciolava dalla testa, ormai il suo intero volto ne era ricoperto.

Una figura, l’unica in piedi, osservava i prigionieri, intenta a stringere una pistola in una mano e a farne roteare un’altra, più grossa ed arancione, nell’altra. Corvina non poteva vederlo in faccia, visto che le dava le spalle, tuttavia poteva vedere i suoi capelli, o meglio, i pochi che gli restavano, ossia due ciuffi tirati all’insù, tinti di verde, disposti ai lati del cranio, dando quasi l’impressione che avesse due corna sulla testa. «Dimmi, anche tu sei in vena di scherzetti?» domandò alla donna, sollevando la pistola arancione, con tono parecchio adirato.

Solo in quel momento Rachel si accorse delle mani libere del prigioniero privo di vita. A quel punto, spalancò gli occhi. Tutto le fu chiaro: quello doveva essere riuscito a liberarsi e a sparare quel razzo segnalatore con quella strana pistola, anche se le cose non erano affatto finite bene per lui.

«No?» proseguì l’uomo in piedi, con la sua voce roca e stridula al tempo stesso. Porse la pistola verso i prigionieri, scrutandoli uno per volta. «Ne sei davvero sicura? Sono certo che se ci riprovi questa volta faranno la fila per venirvi a salvare!»

Non ricevendo alcuna risposta, l’uomo si allontanò da lei, per poi cominciare a camminare avanti ed indietro, gesticolando. «Sai, questa mattina mi sentivo particolarmente di buon umore. Oggi non volevo fare del male a nessuno, sai? Voglio dire, pensa solo al ragazzino di qualche ora fa’, non gli abbiamo torto un capello, gli abbiamo solamente fatto saltare in aria la macchina. Un lavoro veloce e pulito. Perché, vedi...»

L’uomo si chinò di fronte a lei, costringendola ad indietreggiare il più possibile con il capo e a chiudere gli occhi terrorizzata. «... magari non potrebbe sembrare, ma anche io ho un cuore» disse, battendosi il petto con il calcio della pistola, per poi afferrare di colpo i capelli della donna, tirandola verso di sé e facendole emettere un urlo di dolore soffocato dalla benda. «È solo che voi persone, a volte, sapete essere davvero, davvero irritanti!» gridò, per farsi udire sopra i versi disperati di lei, mentre la strattonava. «Perché non potreste per una volta, una sola dannatissima volta, lasciarvi catturare senza fare storie?! Lo volete capire che io non voglio farvi del male?! Avete capito bene, non voglio farlo, ma siete voi che mi costringete!» esclamò, spingendola di nuovo con forza contro il veicolo, facendole sbattere la testa contro la portiera. Quella gridò ancora una volta, poi chinò il capo, iniziando a singhiozzare, forse per il dolore, forse per la paura, forse per entrambe.

«Ecco, visto? È successo di nuovo!» L’aguzzino si sollevò di nuovo in piedi, sospirando esasperato e scuotendo la testa. «Questa è solo colpa vostra, lo sapete?»

Per tutto il tempo Rachel osservò scioccata la scena. Quindi... erano stati loro ad attaccare Jack. E sempre loro avevano rapito quelle persone. Sinceramente, Corvina dubitava che avessero davvero un valido motivo per farlo. A giudicare da come quel tizio parlava e si comportava, non doveva essere altro che l’ennesimo schizzato mentale. La ragazza stava seriamente cominciando a stancarsi di loro.

«Era tuo marito, quello?» chiese poi l’uomo, con voce più calma. La prigioniera continuò a piangere e a fare di tutto per non guardarlo, a quel punto il suo interlocutore parve irritarsi nuovamente. «RISPONDIMI!» urlò, costringendola ad aprire gli occhi. Quella la osservò terrorizzata, per poi annuire freneticamente, con gli occhi che imploravano pietà.

«Sì, capisco. Beh, mi spiace che sia dovuta finire così. Dico davvero. Anch’io avrei preferito che fosse ancora vivo.» L’aguzzino si risollevò sulle proprie gambe, sospirando rumorosamente. «Che ci vuoi fare. La vita a volte da e a volte toglie.»

La donna continuò a piangere, ignorandolo. L’uomo la scrutò dall’alto, poi grugnì. «Ah, al diavolo.» Afferrò di nuovo la donna per i capelli, facendola strillare di nuovo terrorizzata. La fece sbattere a terra con violenza, strappandole un verso soffocato, poi le puntò contro la pistola. Rachel strabuzzò le palpebre. Fu l’unica cosa che riuscì a fare. Lo sparo che si udì riecheggiò a miglia di distanza. La donna giacque poi a terra, senza più emettere un suono, con il capo insanguinato.

La corvina si coprì la bocca, trattenendo a stento un conato di vomito, ed indietreggiò, inorridita da ciò che aveva appena visto. Rischiò quasi di inciamparsi e fare rumore. Si appiattì contro il tronco dell’albero, con il cuore che batteva all’impazzata ed il respiro irregolare. Era successo tutto così in fretta, era bastato un semplice attimo per permettere a quell’uomo di strappare via quella vita innocente. Rachel non aveva avuto neppure il tempo di pensare.

Se solo fossi stata più veloce..., pensò amareggiata, quasi disgustata da sé stessa.

«Chi era incaricato di perquisirli?» domandò poi l’uomo. La ragazza non avrebbe voluto continuare ad assistere a tutto quello, ma con un enorme sforzo decise di farlo comunque. Tornò ad osservare gli individui armati, e notò l’assassino dei due prigionieri mentre si voltava, mostrando un volto pieno zeppo di piercing. Aveva un anello al naso, come i tori, uno sul labbro, un piercing per ciascun sopracciglio più due dilatatori alle orecchie. E quando parlò, Rachel ne vide uno perfino sulla lingua.

«Ero io.» Uno degli uomini si alzò in piedi. Non sembrava avere più di trent’anni, aveva i capelli castani, corti, un volto che la conduit non avrebbe mai scambiato per quello di un criminale, od un assassino.

«Avvicinati» ordinò il capo. Quello obbedì, facendo diversi passi avanti e trovandosi di fronte a lui. «Come hai fatto a non notare questa, mentre li perquisivi?» domandò l’uomo con i capelli verdi, sollevando la pistola del razzo segnalatore.

«Ecco... credo che ce l’avesse nascosta nei pantaloni.»

«Come puoi dirlo?»

«Perché non li ho controllati.»

«E perché non gli hai controllato i pantaloni?»

Il castano esitò. «Beh... non pensavo che avrebbero potuto nascondere qualcosa lì dentro...»

«Oppure non volevi semplicemente mettere le mani lì sotto, ho ragione?» interrogò ancora il capo, la cui espressione pareva indecifrabile. Sembrava accigliato, ma in quel momento sembrava riuscire a mantenere il controllo senza troppe difficoltà.

«Beh...»

«Ehi, io non ti biasimo di certo!» proseguì l’uomo con i piercing, per poi sogghignare. «Insomma, non volevi certo farci fare la figura dei pervertiti, no? Hai fatto bene, hai fatto bene.»

«Davvero?» domandò il castano, apparendo piuttosto sorpreso.

«Ma certo» proseguì il suo capo, per poi rivolgersi al resto della banda. «Anche se una mano nei pantaloni della signora io ce l’avrei messa. E voi, invece?» Scoppiò a ridere, seguito ben presto dalla folla. Anche il castano cominciò a ridere, apparendo improvvisamente più rilassato.

Ma prima che Rachel potesse anche solo pensare che quella scena fosse surreale, il capo della banda tornò serio di scatto, voltandosi veloce come un fulmine e sferrando una poderosa legnata con il calcio della pistola alla tempia del castano, facendolo crollare a terra. Tutti smisero di ridere all’improvviso, mentre l’uomo con i capelli verdi si chinava sul suo sottoposto per continuare ad infierire, colpendolo alla tempia così tante volte da fargliela sanguinare. Un rumore orribile si udì ad un certo punto e Rachel sentì il proprio sangue gelare nelle vede, desiderosa di non scoprire quale ne fosse stata la causa.

«Ti avevo. Dato. Un ordine!» stava esclamando il loro capo, tra un colpo e l’altro. «E tu non l’hai eseguito!»

Andò avanti in quel modo per molto più tempo di quanto Rachel avrebbe potuto pensare. Quando riuscì finalmente a calmarsi, si rialzò in piedi, respirando affannosamente e con la mano ricoperta di sangue. Il volto del suo sottoposto, invece, era ormai una maschera formata dalla sostanza vermiglia.

«La prossima volta...» rantolò, spostando lo sguardo sui propri uomini. «... controllate anche i pantaloni. Chiaro?! E adesso fate sparire questo sacco di merda dalla mia vista» ordinò, dando un calcio al corpo ormai privo di vita ai suoi piedi. «E preparatevi. Ripartiamo immediatamente.»

Rachel osservò gli uomini iniziare lentamente a rialzarsi e a svolgere ognuno la propria mansione. Anche l’afroamericano che aveva visto prima si rialzò, per poi mettersi le mani sui fianchi. Si guardò attorno per un breve momento, poi qualcosa parve attirare la sua attenzione, perché si bloccò all’improvviso. Si voltò poi di scatto, esattamente verso di lei. La ragazza strabuzzò le palpebre alla vista dei suoi occhi: due bulbi rossi e vitrei, privi di iridi e pupille. Trattenne il fiato e si nascose istantaneamente dietro al tronco. Si mise una mano di fronte alla bocca ed attese, immobile come una statua. Diverse perle di sudore scivolarono lungo la sua fronte.

Passarono trenta secondo abbondanti prima che lei decidesse di sporgersi di nuovo. Quando lo fece, riuscì di nuovo a respirare: l’uomo non stava più guardando verso di lei. Corvina sospirò di sollievo, poi si lasciò scivolare contro il tronco. A quel punto, i suoi sospetti erano più che confermati, quel tizio era un conduit, anche se non aveva idea di che genere. I suoi occhi erano molto simili a quelli che aveva avuto Richard quando era fuori controllo, ma c’erano molti fattori che le facevano dubitare che le cose fossero davvero collegate. Vide alcuni di loro trascinare via i tre cadaveri, i due ostaggi più il sottoposto. Si sentì terribilmente in colpa, nonché un’incapace, per non essere riuscita a fare nulla per salvare almeno la donna, ma non avrebbe mai potuto aspettarsi uno scatto d’ira così repentino da parte di quel tizio. E in ogni caso... dubitava che sarebbe davvero riuscita a fare qualcosa per lei, non senza dover combattere contro quei tizi e vista la presenza di quello strano conduit, dubitava che le cose sarebbero finite bene. Avrebbe potuto chiamare i suoi compagni, ma non sarebbero mai arrivati in tempo per aiutarla.

Distolse lo sguardo dagli uomini armati, incapace di reggerlo ancora. Si trasformò immediatamente in corvo e si sollevò in aria, intenzionata ad andare via di lì il più presto possibile, ben conscia che quella donna tenuta in ostaggio, quei versi spaventati e quello sguardo terrorizzato non sarebbero svaniti tanto facilmente dalla sua mente.

 

***

 

Quando Rachel fece ritorno alla macchina, trovò ad attenderla anche Amalia, Tara e Jack. Le prime due erano occupate a parlottare con Rosso, l’ultimo, invece, se ne stava in disparte, appoggiato contro la macchina e lo sguardo basso. Dall’altra parte del veicolo, Richard faceva la medesima cosa. Fu solo quando la corvina scese a terra, ritornando in forma umana, che entrambi alzarono lo sguardo.

«Allora?» domandò Lucas, avvicinandosi a lei. «Scoperto qualcosa?»

Rachel annuì, cupa in volto. «Ho trovato chi ha attaccato Jack.»

Il ragazzo sgranò gli occhi udendo quell’affermazione. «Chi è stato?»

«C’erano degli uomini armati, laggiù. Quello che molto probabilmente era il loro capo ha accennato ad un ragazzo a cui hanno fatto esplodere la macchina... non mi è stato difficile capire di chi parlavano.»

«E il razzo segnalatore? Perché l’hanno sparato?» interrogò ancora Rosso, perplesso.

Corvina sospirò profondamente. «Non sono stati loro. Avevano degli ostaggi. Uno di loro si era liberato ed era riuscito a sparare quel razzo, ma non ha fatto una bella fine... e anche l’altro, sua moglie, è stata uccisa davanti ai miei occhi. Io...» Rachel esitò. Abbassò lo sguardo, per poi scuotere il capo. «Mi... mi dispiace... è successo tutto troppo in fretta, non ho potuto fare niente per loro...»

«Ehi» cercò di rassicurarla Lucas, posandole una mano sulla spalla. «So bene che tu avresti voluto salvarli, ma non devi accusare te stessa per la loro morte. Non è stata colpa tua. Gli unici che hanno colpa sono i loro assassini, lo sai.»

La conduit tenne gli occhi bassi, non trovando la forza, od il coraggio, di incrociare lo sguardo del partner. L’unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento era lo sguardo terrorizzato di quella povera donna.

«E perché questi tizi avrebbero attaccato Jack?» interrogò Tara, facendosi avanti in quel momento.

«Per lo stesso motivo per cui hanno catturato ed ucciso due persone» replicò Rosso. «Nessuno. L’hanno fatto perché gli andava di farlo.»

«Già, ne so qualcosa...» mugugnò Komi.

«E... quei tizi dove sono adesso?» domandò Jack, titubante. Anche lui sembrava parecchio scosso.

Rachel sospirò. «Poco prima che io me ne andassi, il loro capo ha detto loro che stavano per ripartire. Non so dove sono diretti, ma credo che abbiano proseguito dritti. Sinceramente, spero di non doverli mai più rincontrare...»

«Credo proprio, invece, che sarà proprio quello che succederà...» mugugnò Richard, distogliendo lo sguardo da tutti loro.

«Cavolo, tu sì che sai come risollevare l’umore...» borbottò Amalia, roteando gli occhi.

«Non voglio fare il guastafeste» aggiunse Robin, incrociando le braccia. «Sono solo realista. Sono andati dritti, giusto? Quindi, verso ovest. E noi dove stiamo andando?»

«Ovest...» mormorò Corvina.

«Esattamente.»

«Non credo proprio che siano diretti verso la comunità» replicò Rosso, il quale non sembrava per niente desideroso di dare ragione all’ex Mietitore.

«Anche perché non sappiamo nemmeno se esiste davvero» rispose a sua volta Richard, scoccandogli un’occhiata, quasi come gli stesse lanciando la sfida di provare a contraddirlo ancora una volta.  

Lucas serrò la mascella. Rimase in silenzio per un breve istante, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, Jack si intromise, lasciando di stucco tutti i presenti: «No…» mugugnò, posandosi una mano sulla tempia, quasi come se si stesse concentrando talmente tanto da provare dolore. «La comunità... esiste...»

Tutti i ragazzi si voltarono di scatto verso di lui, guardandolo come se provenisse da un altro pianeta.

«Che... che cosa?» Rachel fu l’unica che riuscì a trovare il coraggio di parlare.

«I-Io... io...» Il ragazzino espirò profondamente, per poi scuotere la testa. «... io ci sono stato. Nella comunità, intendo. Non... non riesco a ricordarla bene, però... so che è successo.»

La ragazza corvina lo osservò basita. La comunità... esisteva. Scoprire questa cosa in quel modo, all’improvviso, la lasciò completamente di sasso. Non se l’aspettava, come poteva aspettarselo? Certo, aveva sperato con tutta sé stessa che il loro viaggio potesse condurli dove volevano andare, tuttavia lo scoprire che la comunità esisteva davvero, che non stavano compiendo un’impresa inutile, cambiò drasticamente tutto quanto il suo modo di vedere la cosa.

Sapere che una volta giunti in California avrebbero trovato ciò che cercavano, sapere che avrebbero trovato un luogo sicuro, con altri sopravvissuti, magari perfino altre persone che potevano conoscere, improvvisamente infuse in Rachel una sensazione di fiducia e speranza che poche volte aveva provato. Perché lì non si trattava più solo di lei, ma dell’intera popolazione. La comunità era il primo piccolo, ma grande passo, verso un mondo nuovamente in pace. 

Improvvisamente, fu grata di aver scelto di accogliere Jack nel loro gruppo: nonostante continuasse a sentirsi a disagio in sua presenza, aveva dimostrato di sapere qualcosa di vitale importanza per loro, nonostante la sua memoria smarrita. Chi poteva sapere quante altre cose avrebbe potuto ricordare restando insieme a loro.

«Speriamo che loro non lo sappiano, allora» concluse Richard, distogliendo lo sguardo da tutti loro ancora una volta, quasi con fare altezzoso.

Diversi versi di sdegno si sollevarono tra i ragazzi, infastiditi dalla sua mania di rovinare sempre tutto.

«Oh, andiamo!» sbottò Amalia, accigliata. «Non puoi dirmi che questa volta non l’hai fatto di proposito!»

Richard fece schioccare la lingua, evitando di rispondere, anche se Rachel poté giurare di aver visto un sorrisetto divertito sul suo volto. Tara, nel frattempo, stava facendo i complimenti a Jack per essersi ricordato di una cosa tanto importante, mentre Komi osservava la scena non molto entusiasta, come facilmente prevedibile. La corvina si voltò poi verso di Rosso, il quale stava sorridendo a sua volta. I loro sguardi si incrociarono ed entrambi si scambiarono un cenno di intesa: sarebbero arrivati alla comunità il più presto possibile, ormai Rachel era pronta anche a viaggiare venti ore di fila al giorno se necessario.

«D’accordo, gente» esordì Lucas, ottenendo l’attenzione di tutti quanti. «Direi che qui non c’è più molto da fare. Abbiamo una comunità da raggiungere.»

 

***

 

«D’accordo... sei pronta?»

Rachel inspirò profondamente. No, non era affatto pronta. Le sue gambe parevano gelatina, sentiva lo stomaco tutto attorcigliato e probabilmente nel giro di poco tempo le sarebbe perfino venuta voglia di vomitare. Che razza di comportamento stupido per una scemenza come quella.

Una scemenza che potrebbe valere l’intero semestre..., pensò, con una smorfia.

«Sì, sono pronta.»

Richard sorrise, per poi posarle una mano sulla spalla. «D’accordo, andiamo!»

I due ragazzi procedettero lungo il corridoio, diretti verso una parete sotto la quale una folla di ragazzi si era radunata, ognuno sicuramente con la stessa intenzione di Rachel.

Ci volle diverso tempo prima che i due giovani potessero riuscire a farsi strada tra quella calca di studenti, ma poco per volta si avvicinarono alla parete. Infine, si trovarono di fronte ai tabelloni afflissi.

«Vuoi andare prima tu?» domandò la corvina all’amico, facendo vagare lo sguardo in ogni direzione eccetto che di fronte a lei.

Il ragazzo ridacchiò. «Forse faresti meglio a guardare prima tu, prima che ti venga un collasso.»

Rachel avvampò, poi abbassò lo sguardo. Quanto le sarebbe piaciuto essere sicura di sé come lui. Era una settimana ormai che la giovane si stava torturando interiormente per colpa di quel dannato esame di matematica, mentre Richard non aveva mai avuto nemmeno l’ombra di essere agitato e anzi, spesso e volentieri l’aveva punzecchiata per questo motivo, dicendole di non preoccuparsi, di stare tranquilla, che sicuramente sarebbe passata, e siccome lei era convinta al duecento percento che le gufate esistessero, ogni volta gli aveva quasi urlato di smetterla di dire così, con l’unico risultato di peggiorare solamente la situazione.

E ora erano lì. La corvina non aveva il coraggio di alzare lo sguardo, era quasi pietrificata.

«Vuoi che guardi io per te?» Ora la voce di Richard giunse molto più morbida e gentile. Rachel sollevò gli occhi verso di lui, rispondendo con una supplica muta di farlo, o sarebbe svenuta per davvero.

Il moro ridacchiò. «D’accordo, d’accordo... non posso dire di no a quegli occhi...» rispose, per poi iniziare a cercare il nome della giovane sopra i tabelloni.

La ragazza arrossì spropositatamente dopo quell’affermazione, tuttavia quella sensazione non durò molto.

«Oh, no...» mormorò Richard, smettendo di sorridere improvvisamente, al che la corvina si allarmò per davvero.

«Richard, che succede?» domandò, sentendo i battiti del proprio cuore accelerare all’improvviso per la tensione. Lui si voltò verso di lei, volgendole uno sguardo che mai prima aveva visto su di lui. Sembrava demoralizzato e la cosa non fece altro che peggiorare l’umore della ragazza, che ora si sentiva quasi in procinto di svenire direttamente.

«Mi dispiace...» sussurrò lui, abbassando il capo.

Rachel sgranò gli occhi. Il suo cuore ora saltò un battito.

No, no, no, no, no...

La ragazza cominciò a cercare il suo nome tra i tabelloni, con ansia ed orrore crescenti. A stento riusciva a vedere quali nomi ci fossero su quei fogli, a causa dell’enorme numero di studenti che avevano sostenuto il test e a causa dell’agitazione che ormai minacciava davvero di mandarla all’ospedale. Non le sembrava vero, non poteva essere stata rimandata, aveva studiato così tanto, si era impegnata così tanto, aveva rinunciato ad uscire con Richard così tante volte a causa degli studi, avrebbe dovuto saper fare quel test ad occhi chiusi per via di tutto quel tempo che aveva passato sui libri! Non poteva davvero aver sprecato tutti quei giorni per niente.

Perle di sudore scivolarono lungo la sua fronte, ormai stava quasi per mettersi ad urlare disperata e per la frustrazione, quando finalmente riuscì a leggere il suo cognome. Tremando come una foglia, spostò lo sguardo verso destra, superando il proprio nome, per poi finire con le iridi esattamente sul punteggio che aveva ottenuto. E quando fece ciò, prima sopragiunse lo shock, poi l’incredulità e poi, infine, la rabbia.

80. Aveva preso 80. Era passata a pieni voti. Rachel si voltò verso di Richard, scrutandolo quasi come se volesse incenerirlo.

«Beh, che c’è?» domandò il ragazzo con tono innocente. «Perché mi guardi così?»

«Sei... sei uno stronzo!» esclamò lei, tuttavia cominciando lentamente a sentire i propri nervi sciogliersi. «Mi hai quasi fatto venire un infarto!»

«Addirittura» sogghignò il ragazzo, per poi darle una pacca sulla spalla. «Non devi arrabbiarti così, sei passata!»

«Sì, ma...» la ragazza si interruppe. In effetti... sì, era passata. Era passata!

Rachel sgranò gli occhi, rendendosene davvero conto solo in quel momento. C’era riuscita, aveva passato l’esame, per di più con un bel voto. Lentamente, un tenue sorriso si distese sul suo volto. «Oh... oh cavolo! Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!»

«Sì, Rachel. Ce l’hai fatta» sorrise Richard, avvolgendole un braccio attorno alle spalle. «Dobbiamo festeggiare, che ne pensi?»

La ragazza annuì, entusiasta. «Sì, dobbiamo... ehi, ma tu non guardi il tuo risultato?»

«L’ho già visto sta mattina» ammise il ragazzo. «Sono passato. E avevo già visto anche il tuo.»

«Ma...» Rachel dischiuse le labbra. «E non potevi dirmelo subito che ero passata?»

«E dove sarebbe stato il divertimento?» rispose lui, scoccandole un’occhiatina complice.

La corvina roteò gli occhi, facendo un’altra smorfia. «Hai uno strano concetto di divertimento...» mugugnò, strappandogli una risatina che contagiò suo malgrado anche lei, perché la fece sorridere nuovamente. Non poteva davvero tenere il broncio o addirittura odiare Richard per qualcosa, le era impossibile.

«Che ne dici, ci prendiamo una pizza e ci guardiamo un bel film?» propose lui, stringendola più forte.

Lei annuì, poggiando la guancia sulla sua spalla, felice, serena e rilassata come mai si era sentita, ancora troppo sconvolta da quella bella notizia per crederci davvero. «Mi sembra perfetto.»

«Ehi, scusate, permesso!» gridò qualcuno alle loro spalle. I due ragazzi si voltarono, solo per trovarsi di fronte un Garfield catapultato a tutta velocità verso di loro. Rachel si separò da Richard e si fece da parte, rischiando quasi di venire travolta da biondo, che si piombò di fronte ai tabelloni.

«Gar, fai attenzione!» esclamò Victor, il quale stava giungendo proprio in quel momento.

«Scusate, scusate» farfugliò Logan senza nemmeno voltarsi verso di loro, osservando i tabelloni concentrato come mai lo era stato. Rachel temette che il suo cervello potesse cominciare a fumare da un momento all’altro.

Victor si mise accanto ai due amici, sospirando e scuotendo la testa, sconsolato dal comportamento del ragazzo biondo.

«Andiamo, andiamo, dove cavolo è la ‘L’?» Garfield fece scorrere il dito sui tabelloni, fino a quando non trovò il suo nome. A quel punto, sollevò le braccia al cielo e si mise sulle ginocchia. «SÌÌÌÌÌÌÌ!!!» urlò a pieni polmoni, facendosi sentire probabilmente fino alla dirigenza, dall’altra parte della scuola. «Sessantuno! SESSANTUNO! WHOOOOO!»

I tre ragazzi ridacchiarono osservando quella reazione così esagerata, per un voto così mediocre. Ma del resto, era Logan. Rachel si sorprese del fatto che non si fosse portato dietro una tromba da stadio o dei coriandoli per festeggiare.

«Devo chiamare Tara!» esclamò poi il biondo, rimettendosi in piedi. «Questa sera dobbiamo festeggiare!»

«Voi festeggiate già tutte le sere...» osservò Richard, facendo sghignazzare Victor.

«Ma questa volta è diverso, questo è un festeggiamento per le occasioni speciali!»

«Non voglio sapere quale sia la differenza...» mugugnò Rachel, strappando due risate ai compagni vicino a lei.

Garfield la ignorò, iniziando a smanettare con il cellulare con enfasi. «Bene, vi saluto, ci becchiamo più tardi!» esordì, per poi allontanarsi in fretta e furia ed avvicinandosi il telefono all’orecchio, per poi annunciare alla sua fidanzata la buona notizia.

«E a te, Victor? Com’è andata?» domandò Richard all’afroamericano, dandogli di gomito.

Il massiccio ragazzo gonfiò il petto inorgoglito. «Ho preso ottantasette. Vediamo se riesci a battermi anche questa volta, cervellone.»

«Già, vediamo se il mio novantuno può battere il tuo ottantasette...» replicò Grayson, prendendosi il mento e facendo finta di rifletterci su.

«Novantuno?!» sbottò l’afroamericano, basito. «Ma come diavolo...?!»

«Ritenta, sarai più fortunato» sorrise il moro, battendo il pugno sulla sua spalla. L’espressione da bambino offeso che fece Victor dopo fu una delle cose più divertenti che Rachel aveva visto nei tempi recenti.

I due ragazzi cominciarono a discutere su chi fosse più sveglio di chi, Victor difendendosi dicendo che "non stava tutto il giorno sui libri e che aveva anche una ragazza da portare a cena", Richard invece rispondendo con "alcune persone erano portate per fare determinate cose, altre no". Tuttavia tutto quel discorso giunse quasi come un eco distante alle orecchie di Rachel, la quale era semplicemente troppo felice di potersi trovare lì e di poter condividere quel momento tanto bello quanto banale con degli amici sinceri come loro. Erano cose come quella che riuscivano a farla stare meglio, magari non per molto, ma comunque riuscivano sempre in maniera eccelsa a scacciare i fantasmi del suo passato, e lei adorava quei momenti.

Si rese conto di star ridendo in quel momento, forse per una qualche battuta fatta dai due, e la cosa la stava facendo sentire bene. Tremendamente bene.

I tre ragazzi proseguirono lungo il corridoio, fino alla porta che conduceva fuori, nel cortile. Richard e Victor avanzarono di fronte a lei, spalancandola e continuando a chiacchierare. La ragazza li seguì, uscendo fuori e venendo travolta dalla luce del giorno, così intensa da costringerla a chiudere gli occhi con forza.

Quando li riaprì, tuttavia, non vide nessun cortile di fronte a sé. Di fronte a lei, vide il Centro Storico il giorno dell’esplosione. La ragazza pietrificò all’istante, osservando le macerie, i cadaveri mutilati ed irriconoscibili delle vittime sparpagliati tra i detriti, il cielo tinto di rosso per via degli edifici in fiamme, le sirene che trillavano all’impazzata e gli elicotteri che sorvolavano la zona alla ricerca di sopravvissuti con i riflettori.

Improvvisamente, tutte le belle emozioni provate fino a poco prima svanirono, lasciando invece spazio ad una tremenda angoscia, che le stritolò il petto come una pressa. Ogni cosa le tornò in mente di colpo. Quel luogo... era dove si erano trovati lei ed i suoi amici fino a qualche momento prima.

In quel luogo si erano trovate migliaia di persone, fino a qualche momento prima. Ora era tutto in fiamme. Migliaia e migliaia di vite, di uomini, donne, bambini, animali, erano state spazzate via. E lei era sopravissuta, esattamente nel bel mezzo di quel disastro.

I suoi amici, la sua nuova famiglia, coloro che erano riuscita di nuovo a farla sentire apprezzata, felice, a casa, erano spariti, tutti.

Era andato tutto in frantumi, di nuovo. La ragazza cadde in ginocchio, le guancie scavate dalle lacrime. Non avrebbe mai più rivisto nessuno dei suoi amici, nessuna di quelle persone che le avevano voluto bene e a cui lei stessa aveva voluto bene, anche se non sempre l’aveva dimostrato apertamente.

Era sola. Di nuovo. La ragazza gettò il capo all’indietro: non le restò altro che gridare tutto il suo dolore al cielo.

 

***

 

Rachel si svegliò di soprassalto. Si mise a sedere di scatto, con il fiatone e la fronte madida di sudore. Si guardò attorno, non trovando altro che le pareti di quella stanza in quell’ennesima stazione di servizio in cui si erano fermati. Il suo sguardo cadde poi su Lucas, il quale era addormentato proprio accanto a lei, sulla coperta che avevano posato su quel pavimento. A quel punto, osservando il moro, iniziò lentamente a rilassarsi.

Un incubo. L’ennesimo, per meglio dire. La ragazza sospirò profondamente, massaggiandosi una tempia. Sperava di non doverne avere più, ma a quanto pare qualche forza misteriosa era proprio ostinata a non darle ciò che desiderava. Oltretutto, quell’incubo non era nemmeno stato come gli altri: aveva preso uno dei suoi, pochi, bei ricordi che le erano rimasti, aveva preso tutte le belle emozioni che quel ricordo le aveva trasmesso e le aveva unite all’orrore che aveva provato quando aveva scoperto cos’era successo al Centro Storico.

Le aveva fatto assaggiare quella felicità così genuina, spontanea, che aveva provato in compagnia dei suoi vecchi amici e compagni di scuola e poi gliel’aveva strappata via con brutalità, ricordandole con prepotenza che, quei giorni, mai più sarebbero tornati.

Corvina aveva pensato che ci fosse un limite al sadismo della sua stessa mente, ma, anche in questo caso, si era sbagliata.

La ragazza chinò il capo, continuando ad osservare Rosso, il quale non si era accorto di nulla, sdraiato a terra con un braccio sotto alla testa a mo’ di cuscino. Riuscì a sorriderle flebilmente, guardandolo.

Quei giorni erano lontani, vero, mai più sarebbero tornati, vero, però non doveva più pensarci in quel momento: in quel momento, aveva lui, aveva Komi, aveva Tara e riaveva perfino Richard. E, per finire, la comunità esisteva davvero. Non aveva più motivo di guardarsi indietro e continuare a soffrire per causa di quei ricordi, fino a quando avrebbe avuto qualcosa da poter guardare di fronte a sé.

Passò una mano fra i capelli del ragazzo, distendendo il sorriso, sorprendendosi anche di quanto ispide fossero quelle ciocche color carbone. Per un momento pensò di sdraiarsi di nuovo accanto a lui, tuttavia il suo stomaco brontolò all’improvviso. La conduit fece una smorfia; il brutto di svegliarsi nel bel mezzo del riposo. Si alzò in piedi, diretta verso la macchina dove avevano lasciato i borsoni con le provviste.

Uscì dalla stanza e, girato l’angolo, trovò Jack, appoggiato contro al muro, le braccia conserte e la testa bassa, sicuramente immerso nei propri pensieri. La corvina si fermò di scatto, mentre l’ormai abituale sensazione di disagio che provava in sua presenza tornava a farsi sentire. Realizzò ben presto che avrebbe preferito incontrare chiunque in quel momento, meno che lui. Un po’ le spiaceva pensare cose così sgradevoli nei suoi confronti, in fin dei conti Jack sembrava davvero un bravo ragazzo, ma se c’era una cosa che la conduit aveva imparato, era fidarsi del suo istinto. E se il suo istinto le diceva di non abbassare la guardia, lei obbediva.

Il ragazzo sembrava talmente assorto che per un istante Rachel pensò che non si accorgesse di lei, ma poi sollevò il capo, incrociando il suo sguardo. «Ehi» sorrise.

«Ehi...» rispose lei, cercando di ricambiare il sorriso, sperando di non farlo sembrare una smorfia.

«Non hai sonno?» domandò lui.

«A dire il vero, pensavo di fare uno spuntino...»

«Capito.»

Rachel annuì, poi fece qualche passo avanti. «Beh... a più tardi» salutò, sperando che la conversazione finisse in fretta.

«Aspetta!» esclamò Jack, trattenendola per un braccio, facendola irrigidire come un palo. Si voltò, sollevando un sopracciglio.

Lui si ritrasse, quasi imbarazzato. «Ehm... volevo solo... ecco... ringraziarti come si deve, per ciò che hai fatto per me.»

Corvina corrucciò la fronte, impiegandoci qualche secondo per riuscire a ricordarsi di averlo guarito e di avergli proposto di entrare nel gruppo. Aveva la mente così affollata che faceva fatica a tenere presente sempre tutto. «Sta tranquillo, era il minimo che potessi fare. Siamo tutti sulla stessa barca, no?»

«Sì, lo siamo, però... volevo solo farti sapere quanto ti sono grato. Non ho mai conosciuto nessun conduit come te... beh, non ne sono davvero sicuro, visto che non ricordo niente, però sono abbastanza sicuro che sia così» ridacchiò lui, per poi rivolgerle un cenno del capo. «Sei una brava persona, Rachel. Lucas è molto fortunato.»

La corvina avvampò violentemente. «C-Che cosa? Che intendi dire, scusa?»

«Ehi, non c’è niente di male nello stare insieme a qualcuno. Anzi, è bello sapere che qualcuno riesce ancora a trovare spazio per queste cose nonostante l’inferno in cui viviamo.» Jack distese il sorriso. «Sono felice per voi.»

«Oh, beh...» Rachel non ricordava di essersi mai sentita così in imbarazzo. «Grazie, allora...»

«E di cosa? Ho solo detto la verità» le strizzò l’occhio lui, per poi staccarsi dalla parete. «D’accordo, forse farò meglio a riposarmi ancora un po’, prima che Lucas si svegli e ci obblighi tutti quanti ad alzarci tipo il sergente Hartman. A più tardi.»

«A più tardi» rispose Corvina, con un sorrisetto divertito dopo aver udito quel paragone.

I due ragazzi si separarono e Rachel cominciò a sentirsi sinceramente in colpa per ciò che pensava di Jack. Era davvero un bravo ragazzo. E allora perché il suo istinto continuava a non darle tregua?

Decise di lasciar perdere con un sospiro e si diresse verso l’uscita.  Una volta fuori dall’edificio, venne immediatamente accolta da una folata di aria fredda. Sollevò lo sguardo, verso il cielo tinto di rosso, proprio come nel suo sogno. Una visione molto sgradevole di cui avrebbe volentieri fatto a meno, ma se non altro il rossore in quel caso era naturale, visto che era tardo pomeriggio e il sole stava tramontando. L’idea di continuare il viaggio per la seconda notte di fila non la faceva impazzire, ma dopo tredici ore filate seduti in macchina tutti quanti avevano avuto bisogno di fermarsi per qualche ora, quel pomeriggio, pertanto era inevitabile dover ripartire verso sera. Il lato positivo era che, dopo una nottata del genere, non doveva più mancare molto a destinazione.

La macchina era parcheggiata vicino alle pompe, vuote, di benzina. La ragazza la raggiunse, tuttavia non aspettandosi di trovare altra compagnia: Richard era lì, appoggiato sul cofano, con il cappuccio alzato e lo sguardo perso nella vegetazione dall’altro lato della strada. Si voltò non appena Rachel si avvicinò, talmente rapido che per la ragazza non fu difficile intuire che avesse i sensi acuiti al massimo; un po’ come un felino timoroso di essere disturbato durante il proprio riposo.

I due si osservarono brevemente, ma nessuno disse nulla fino a quando non fu proprio il brizzolato a grugnire a distogliere lo sguardo. Non sembrava per nulla interessato ad iniziare una discussione e alla ragazza andò più che bene. Si avvicinò al bagagliaio e lo aprì, per poi frugare dentro ad uno dei borsoni e recuperare una delle loro barrette stantie. Con un piccolo moto di timore, la giovane si accorse che le provviste stavano cominciando a scarseggiare, e che anche le scorte di carburante non erano più molte. Avrebbero dovuto trovare una soluzione per quel problema, o presto si sarebbero ritrovati a piedi. Sospirò, pensando a come non avesse mai un attimo di tregua, poi chiuse il bagagliaio e scartò il suo frugale spuntino.

Fece quasi per allontanarsi, tuttavia il suo sguardo si spostò quasi contro la sua volontà su di Richard, il quale ora sembrava ignorarla bellamente. Il cappuccio perennemente alzato rendeva difficile poter scorgere il suo volto ed il suo sguardo, pertanto la conduit non poté capire a cosa stesse pensando, ma avrebbe scommesso tutte le scorte di carburante del mondo che si trattasse di Kori.

Corvina ripensò a ciò che aveva provato quando aveva creato quel legame con lui. Ripensò a quel dolore straziante che lo aveva travolto dopo la morte della sua fidanzata. Non era stato per niente bello, ma se non altro ormai per lei era passato... dubitava che la stessa cosa fosse invece successa per l’ex Mietitore. Anche lui nascondeva un enorme dolore sotto quell’abito con le effigi di uno scheletro.

Ripensò anche al suo sogno... e quanto il brizzolato fosse diverso rispetto al moro che andava a scuola con lei. Ogni volta che ci pensava, sentiva il proprio cuore venire trafitto come da una pugnalata.

«Che hai da guardare?» sbottò lui all’improvviso, facendola trasalire. La ragazza si maledisse in silenzio per essersi dimenticata di con chi stesse avendo a che fare in quel momento, ossia Richard, colui al quale non sfuggiva il minimo dettaglio.

«N-Niente...» mormorò lei, distogliendo gli occhi da lui. «Perché te ne stai qui fuori da solo?» domandò, cercando di svicolare in qualche modo.

«Controllo che nessuno ci rubi la macchina» replicò lui, con noncuranza.

«Oh.» Rachel spalancò le palpebre, sinceramente stupita, in senso buono, di quella risposta. Richard che finalmente agiva per il bene del gruppo? Sembrava fantascienza. 

«E comunque, sarei solo anche se restassi dentro» disse ancora il ragazzo, scrollando le spalle, sempre senza degnarla del minimo sguardo.

Rachel provò un’altra fitta al petto udendo quella frase. «Non è vero...» mormorò, tuttavia con poca convinzione. Anche lei sapeva bene a cosa lui si stesse riferendo.

«Ti prego» borbottò ancora il ragazzo. «Là dentro mi odiano tutti. E il sentimento è reciproco.»

«Se solo tu non fossi così ostile nei confronti di chi vuole solamente cercare di starti accanto!» esclamò la conduit.

L’ex Mietitore, a quel punto, si voltò verso di lei. La ragazza sussultò quando vide quel suo sguardo di ghiaccio. Cercò di reggerlo, per apparire sicura di sé e delle sue parole di fronte a lui, ma non ce ne fu bisogno, perché l’espressione del brizzolato si ammorbidì all’improvviso, non apparendo più accigliata od irritata, bensì quasi... affranta. Richard chinò poi il capo, girandosi ancora una volta. «Lasciami solo» ordinò, anche se pure la sua voce parve tremolare lievemente.

Corvina lo osservò sempre più basita. Aprì bocca per rispondere, ma nessuna parola che potesse sembrare utile per quella situazione arrivò in suo aiuto. Non aveva idea di cosa dire, Richard l’aveva spiazzata completamente.

A quel punto, anche la giovane abbassò lo sguardo, per poi voltarsi. Fece per andarsene, ma la voce di Richard sopraggiunse ancora una volta. «Solo una cosa.»

Rachel si voltò di scatto, sorpresa di quanto entusiasta si sentì dopo averlo udito di nuovo. «Sì?»

«Jack» borbottò Richard semplicemente, tornando ad osservarla, ora con l’espressione di pietra di poco prima. «Non mi fido di lui. C’è qualcosa che non quadra con quel tizio. Non l’ho detto prima, di fronte agli altri, perché sapevo che tutti mi avrebbero dato contro, ma so che tu invece non lo faresti.»

La conduit annuì. «Hai ragione, non lo farei.» Rachel si sorprese della fiducia che lui aveva appena riposto in lei. E ancora di più, si sorprese del fatto che anche qualcun altro non si sentiva a proprio agio con la presenza Jack.

«Perché lo pensi?» domandò la ragazza, sperando che lui avesse delle vere motivazioni e che non si trattasse di semplici sensazioni a pelle, come nel suo caso.

L’ex Mietitore non la deluse: «Ha detto di essere già stato nella comunità, giusto?»

«Giusto.» Corvina annuì, cominciando lentamente a capire dove il brizzolato volesse andare a parare.

«E allora che ci faceva lui a più di mille chilometri di distanza dalla California?»

Rachel sentì il proprio respiro mozzarsi. Anche lei se l’era chiesto, poco dopo che l’entusiasmo della scoperta dell’esistenza della comunità era sfumato. «Non lo so» ammise, smorta.

«Se la comunità fosse davvero stata il posto giusto in cui vivere, lui non se ne sarebbe andato» proseguì Robin, dimostrando che, sotto all’aspetto di ex Mietitore, si celava ancora quel ragazzo arguto ed intelligente che la ragazza aveva conosciuto.

E amato...

«Pensi che... qualcosa lo abbia costretto a scappare?» domandò lei, titubante.

«Forse. Forse qualcosa lo ha spaventato. O forse, il motivo per cui non mi fido di lui...» Il tono di voce del ragazzo si fece molto più esaustivo. «... era lui a spaventare loro.»

Corvina dischiuse le labbra, colta come da un’illuminazione. Dal momento stesso in cui aveva incontrato Jack aveva cercato di spiegarsi il motivo per cui si sentiva così a disagio in sua presenza, ma non era mai riuscita a trovarlo. Ora, però, grazie alla deduzione di Richard, forse si era avvicinata alla soluzione.

«Dici che è scappato perché rappresentava una minaccia?»

Richard annuì. «Qualcosa del genere, sì. Anche se comunque rimangono diversi interrogativi. Ad esempio, se davvero fosse stato così pericoloso, non lo avremmo trovato in fin di vita in mezzo alla strada. Però, d’altro canto, se fosse stato un ragazzo normale non sarebbe nemmeno sopravvissuto a ciò che gli è capitato.»

«Non sembra avere dei poteri, però...» obiettò la ragazza.

«Non tutti i conduit ce li hanno. Ricordi Dominick? Non bisogna solo sparare palle di fuoco e raggi laser per essere dei conduit pericolosi.»

Rachel si mordicchiò l’interno della guancia. Ripensò a Dominick, a come il suo potere principale fosse quello di saper semplicemente copiare i poteri degli altri, e poi ripensò anche a Deathstroke. Lui non aveva nessun potere, aveva un semplice fattore di guarigione, eppure era stato uno degli avversari più duri che Rachel aveva mai incontrato. Però, se davvero Jack aveva un potere simile a quello di loro due, perché la gente lo aveva cacciato dalla comunità? Non erano nulla di tanto pericoloso, non nelle mani di un ragazzo normalissimo come lui. C’erano ancora troppi tasselli mancanti per riuscire a trarre un disegno completo.

«So che sembra un’accusa campata all’aria, ma sto solo dicendo di non abbassare la guardia.»

«Non intendo farlo» affermò la giovane con sicurezza.

Robin fece un cenno d’assenso con il capo. «Bene. Grazie per avermi ascoltato.»

«Grazie a te per avermene parlato.»

L’ex Mietitore distolse lo sguardo da lei ancora una volta, avvolgendosi nel silenzio. Non sembrava più intenzionato a continuare la discussione. La ragazza lo osservò ancora un per un momento. Strane emozioni vorticavano dentro di lei in quel momento, per lei fu impossibile riuscire a capire di quali si trattassero. Decise di voltarsi a sua volta e di andarsene da lì, tanto ormai non avevano più nulla da dirsi. Solo in quel momento si rese conto di avere ancora tra le mani la sua barretta, già masticata in diversi punti. La corvina la guardò pigramente. Fece per morderla ancora una volta, ma la fame le era passata all’improvviso. A quel punto sospirò, si mise la barretta in tasca e tornò dentro all’edificio.

Si domandò cosa Lucas avrebbe pensato se lei avesse parlato della faccenda Jack anche con lui, tuttavia... pensò quasi che non era il caso di parlargliene. Rimase sconvolta di quel pensiero, ma era la verità.

Rosso non aveva bisogno di sapere cosa lei e Richard si erano detti. Quello, sarebbe stato il loro piccolo segreto.

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Capitolo 9
*** Jump City ***


Capitolo 9: JUMP CITY

 

 

 

Rachel sorrise, felice del fatto che Lucas avesse detto la verità. Sapeva che lui era diffidente per natura, perciò in parte non era stata sorpresa del suo scetticismo in merito al rivelare il proprio nome, ma se non altro si era deciso di farlo, e non poteva che sentirsi orgogliosa di lui. Strinse più forte la sua mano, allargando il sorriso. Lui ricambiò abbozzandone uno a sua volta, anche se non sembrava molto convinto.

«Nessun documento?» domandò Simon, sollevando un sopracciglio.

Lucas fece una smorfia. «Dubito che i miei genitori abbiano avuto il tempo di andare dall’anagrafe il giorno in cui sono nato, visto che probabilmente erano troppo fatti di crack per rendersene conto.»

«Lucas Blake» digitò nel frattempo Konstantin. Non appena lo fece, tuttavia, non si comportò come aveva fatto con gli altri in precedenza. Anzi, spalancò gli occhi. «Accidenti... qui c’è una bella lista di precedenti...»

Rosso si irrigidì come un palo. Accanto a lui, Rachel si mordicchiò un labbro. Come temeva.

«Ovviamente» borbottò Simon, sempre senza staccare gli occhi di dosso da Lucas. «Non avrebbe fatto una simile sceneggiata altrimenti.»

«Possesso di sostanze stupefacenti, oltraggio a pubblico ufficiale, opposizione all’arresto, guida senza patente, furto d’auto, furto con scasso...»

«Sarebbero anche un po’ affari miei» rantolò Rosso all’improvviso, serrando la mascella. Konstantin ammutolì, mentre Simon gli fece un cenno di fermarsi, tuttavia continuando ad osservare il moro in silenzio. Richard, dal canto suo, sghignazzò sommessamente. Non appena lo udì, Rachel si rabbuiò. Ma da che parte stava? E poi diceva che tutti quanti lo odiavano. Per forza, se si comportava in quel modo.

«E quindi, che intendete fare adesso?» interrogò ancora Lucas, con aria di sfida. «Mi arrestate? Mi cacciate via, dopo tutta la strada che ho, che abbiamo, fatto? Non mi fate entrare nella comunità perché ho rubato qualche gioiello a qualche ricco bastardo che nuotava nei soldi mentre la mia famiglia ed io nuotavamo nei rifiuti, mentre gente come lui...» Ed indicò Richard. «... che ha fatto cose abominevoli dopo le esplosioni può restare semplicemente perché non ha alcun precedente penale?!»

«Io non ho fatto un bel niente, invece» replicò Robin, infastidito. «Non cercare di sviare l’attenzione su di me, sei tu che hai scelto di infrangere la legge.»

«Ma sentitelo! Sei fortunato che potrei venire cacciato via, altrimenti ti avrei già rotto il culo.»

Un’altra risata, questa volta più rumorosa e molto, molto più sarcastica provenne dall’ex Mietitore. «Intendi dire come te l’ho rotto io tutte le volte che ci siamo incontrati?»

«Smettetela, tutti e due» esordì Simon, sollevando una mano. «Tenete le vostre faide lontano da qui. Non ci servono.»

«Ascoltate» si intromise Rachel, stanca di restarsene in disparte mentre Lucas aveva, chiaramente, bisogno di aiuto. Aumentò la presa attorno alla sua mano, poi si fece avanti, frapponendosi tra lui e Simon quasi a fargli da scudo umano. «Vi posso assicurare che Lucas non ha assolutamente cattive intenzioni. Se non fosse stato per lui molto probabilmente nemmeno saremmo arrivati fino a qui! Ci ha guidati, ci ha guardato le spalle e mi ha salvato la vita in diverse occasioni. Lo conosco abbastanza bene da sapere che non è affatto felice delle scelte che ha fatto e che se potesse tornare indietro, cambierebbe ogni cosa. Se non lasciate passare lui, allora non passo neanche io.»

Simon inarcò un sopracciglio dopo quell’affermazione. Pure Rachel si rese conto di quanto assurda fosse stata. Come se a loro importasse davvero di lasciarli entrare nella comunità oppure no. Per loro, non erano altro che due bocche in più da sfamare. Erano Rachel e Lucas ad avere bisogno della comunità, non il contrario. La corvina si sentì terribilmente stupida. Chinò il capo, mentre il ragazzo biondo continuava a scrutarla, in silenzio, esaminandola con quegli occhi di ghiaccio.

«Nemmeno io» asserì Tara all’improvviso, incrociando le braccia. Rachel spostò lo sguardo su di lei, basita.

«E io neppure» fece eco Komi, facendo sgranare gli occhi di Konstantin.

«Ma fate sul serio?» mugugnò Richard, osservando i ragazzi con aria interrogativa.

Rachel, invece, sorrise. Sapeva che ciò che stavano facendo era una cosa tremendamente stupida, ma era comunque felice, perché la stavano facendo tutti insieme. Perfino Rosso stava osservando le altre due ragazze sorpreso, ma con un sorriso a sua volta. Komi batté il pugno contro la sua spalla, mentre Tara gli rivolse un cenno del capo.

Simon, dal canto suo, non aveva fatto altro che osservare la scena in silenzio, con aria indecifrabile. Dietro di lui, Konstantin sembrava si stesse per disperare all’idea di non rivedere mai più Amalia. Infine, Lawrence sospirò. «Rilassatevi, per favore.»

Tutti si voltarono verso di lui, stupiti. Il biondo proseguì: «Sinceramente, per quello che mi riguarda potreste anche tutti quanti fare retrofront. Meno persone, meno problemi. Tuttavia, questo va contro a qualsiasi principio e a quello che davvero è il significato della comunità, ossia fiducia reciproca. Perciò potete stare tranquilli, nessuno di voi sarà cacciato via. E comunque...» Le rughine tornarono sotto agli occhi del soldato. «... il semplice fatto che ci abbia detto il suo vero nome, nonostante sapesse di avere dei precedenti per i quali avrebbe potuto passare dei guai, parla da sé. Poteva inventarsi uno pseudonimo, ma non l’ha fatto.»

«Io ho chiuso con quella vita» esordì Lucas, sicuro di sé.

«E io voglio crederti» replicò Simon, rivolgendogli un cenno del capo. «Chiuderemo un occhio. Ma sappi che sei ammonito. E non lo dico tanto per dire, sarai registrato come potenziale problema. Perciò ti consiglio di restare lontano dai guai, o potrebbe davvero finire male per te. Non voglio minacciarti, ma purtroppo è la verità.»

«Non preoccuparti per me.»

«Non lo sto facendo. Ti sto solo spiegando come funzionano le cose qui. Uomo avvisato, mezzo salvato.»

«Lo terrò a mente.»

Simon annuì. «Bene. Ma visto che non hai documenti, dovremo fartene noi uno provvisorio. Seguimi.»

Il soldato guidò Lucas verso una porta al fondo della sala ed entrambi svanirono dietro di essa, mentre Kostantin continuava ad occuparsi del suo lavoro al computer.  

«Non sai quanto sono felice che dopo questo giorno non dovremmo mai più rivedere la tua faccia da culo» mugugnò Amalia all’improvviso, voltandosi verso Richard.

Lui, per tutta risposta, ridacchiò nuovamente. «Che c’è? Ti da fastidio il fatto che abbia fatto arrabbiare il tuo amichetto? Vorrei ricordarti che è già impegnato...»

«Non è per questo!» esclamò Komi, alzando la voce, facendo perfino sollevare lo sguardo di Konstantin. «Rosso si è fatto un culo titanico per tutti noi! Certo, magari nemmeno io sono stata la migliore delle persone con lui, ma comunque lo rispetto! Anzi, sai che ti dico? Lui è molto più uomo di quanto lo potrai mai essere tu in tutta la tua, spero schifosissima, vita. Perché se tu ti fossi trovato in difficoltà, lui non sarebbe arrivato a rigirare il dito nella piaga come invece tu hai fatto! Mi dai il voltastomaco. Anche io ci ho litigato qualche volta, ma mi hai vista ridere mentre elencavano i suoi precedenti? No, e sai perché? Perché so che lui avrebbe fatto lo stesso per me. Perché lui, è mio amico. Cosa che tu non sarai mai.»

L’espressione divertita svanì dal volto di Richard, il quale, ora, osservava Komi con aria indecifrabile, le labbra serrate. Rachel e Tara, invece, rimasero basite di fronte a quella scena. Rachel, in particolare. Vedere Amalia difendere Rosso, definire lui suo amico... come avrebbe potuto definire ciò a cui aveva assistito? Fantascienza? Forse. In ogni caso, era stato splendido. Era bello vedere Amalia dalla parte di Lucas, per una volta. Anche se sinceramente la corvina dubitava che Komi fosse mai stata davvero contro di lui. Magari all’inizio, quando non si fidava di loro, ma con il tempo probabilmente entrambi non avevano fatto altro che punzecchiarsi semplicemente per divertimento. Un po’ come era anche successo tra Tara e lo stesso Rosso. Perfino Rachel, all’inizio, era stata vittima del sarcasmo del moro.

La porta al fondo della stanza si spalancò all’improvviso. Lucas e Simon riapparvero alla vista, il secondo con in mano una macchina fotografica digitale. Si avvicinò a Konstantin e gliela consegnò, cosicché questi potesse continuare a svolgere il suo lavoro.

Lucas, nel frattempo, osservo il gruppo di compagni, per poi sorridere loro grato. Rachel ricambiò il sorriso, rivolgendogli un cenno di intesa con il capo. Rosso le si avvicinò, per poi darle un bacio su una guancia. «Grazie Rachel. E grazie anche a voi» disse successivamente, rivolgendosi a Komi e Tara. Batté il pugno contro quello di Amalia, poi arruffò i capelli di Tara, strappandole un verso di protesta che li fece ridere debolmente.

Rachel espirò rilassata di fronte a quella situazione. Tuttavia, non ci mise molto a percepire lo sguardo di Simon posato su di lei. Si voltò, per poi incrociare gli occhi del biondo. La osservava a braccia conserte, in silenzio, mentre Konstantin, accanto a lui, si occupava della registrazione di Rosso. La giovane resse lo sguardo del soldato, anche se si domandò perché la stesse scrutando in quel modo. Sembrava volesse dirle qualcosa, ma lei non riusciva proprio a capire cosa. Infine, Lawrence distolse lo sguardo. «Ok, a chi tocca ora?»

«A me.»

Corvina quasi sobbalzò quando udì la voce di Jack. Per tutto il tempo era rimasto in silenzio, in disparte, la conduit si era quasi dimenticata di lui. Beh, aveva commesso un grosso errore.

«Documento?» interrogò Simon.

Jack sospirò. «A dire la verità, speravo che voi poteste aiutarmi. Purtroppo ho... ho perso la memoria.»

«Tu hai... cosa?»

«Non vi sto mentendo. Purtroppo è la verità. Non ricordo niente su di me, sulla mia vita, non so il mio nome, non so chi sono. E non ho alcun documento. Tuttavia...» Jack esitò, probabilmente per la paura di non riuscire a convincerli che quella era la verità. «... ricordo di essere già stato nella comunità. Se sono già stato registrato una volta, forse voi potreste aiutarmi a ricordarmi chi sono.»

«Fammi capire bene.» Simon sollevò una mano, come per fermarlo. «Tu hai perso la memoria, ma ricordi di essere già stato nella comunità?»

«So che sembra assurdo» fece ancora Jack, sospirando.

«Perché è assurdo. Non possiamo lasciare entrare ed uscire le persone come se questa fosse una discoteca, non funziona così. Certo, è possibile andarsene in qualsiasi momento, ma occorre ricevere un permesso speciale per farlo, peccato che da quando io sono in carica come capitano nessuno ha mai chiesto di andarsene, ed è impossibile fuggire di nascosto perché si verrebbe immediatamente individuati.»

«Ma... ma io...»

«Ricordi male, temo. A meno che...» Simon si avvicinò al ragazzino, assottigliando le palpebre. «... tu non sia entrato ed uscito nella comunità di nascosto, senza passare per la registrazione. Cosa altrettanto improbabile, visto che saresti immediatamente stato individuato come clandestino. L’unico modo per poter aggirare tutti questi sistemi di sorveglianza è essere dei conduit con qualche particolare abilità di elusione.»

Jack sgranò gli occhi. «Che cosa? Io non sono un conduit!»

«Non è una possibilità da scartare.»

«E quindi, che cosa volete fare?» domandò il ragazzino, stringendo i pugni ed alzando la voce. Rachel rimase di stucco di fronte a quella reazione. «Non ho scelto io di perdere la memoria!»

«Calmati» ordinò Simon, autoritario. «Non ci è mai capitata una cosa del genere prima e purtroppo, in situazioni come questa, non spetta a me decidere cosa sia giusto da fare, ma spetta ad uno degli ufficiali. Konstantin ha detto che uno di loro sta arrivando, perciò non ci resta che attenderlo.»

Il corpo rigido di Jack parve sciogliersi leggermente dopo quell’affermazione. Forse sperava che questo famoso ufficiale potesse essergli più di aiuto. Tuttavia, le parole di Simon avevano comunque lasciato Rachel perplessa.

«I conduit non possono entrare nella comunità?» domandò, titubante, intimorita all’idea di una possibile risposta negativa.

«Possono, ma non devono creare problemi» rispose Simon, permettendo alla corvina di rilassarsi. Se c’era una conduit che non avrebbe creato problemi, quella era lei.

«Tuttavia, una volta uno di loro ci ha attaccati e ha creato non pochi danni. Non ha fatto vittime grazie al cielo, ma decine e decine di feriti. Purtroppo è sparito subito dopo e non siamo mai riusciti a scoprire chi fosse. Da quel giorno, stiamo premendo affinché il sindaco decida di inserire dei controlli anche per loro, ma per adesso non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta in merito a questo. Perché me lo chiedi?»

Rachel si irrigidì nuovamente. Dopo aver sentito quella storia, non era più molto sicura se dire la verità oppure no. Aprì bocca per parlare, anche se non era nemmeno sicura su cosa dire esattamente, ma un rumore proveniente dall’esterno la salvò. Non avrebbe mai pensato che si sarebbe sentita così felice nell’udire un fuoristrada sgommare su della ghiaia.

«È arrivato!» osservò Konstantin, drizzando la testa.

I ragazzi si voltarono verso la finestra, oltre la quale videro il fuoristrada in questione fermarsi accanto agli altri veicoli. Da questo scese un individuo, da solo, che sbatté la portiera con decisione per poi avviarsi di buona leva verso la magione.

«D’accordo gente, non ho tempo, quindi vediamo di fare in fretta» esordì, spalancando la porta. Avanzò nell’edificio, passando in mezzo al gruppo di ragazzi, che furono costretti a scansarsi visto che lui parve quasi ignorarli. Si avvicinò a Simon e Konstantin, per poi salutare entrambi con un cenno del capo. Dopodiché, si voltò verso Rachel e i suoi compagni, finalmente degnandoli di uno sguardo.

Rachel sollevò lo sguardo per poterlo guardare meglio in faccia. Non doveva avere più di venticinque anni. Il colore dei suoi capelli e dei suoi occhi la fecero immediatamente ripensare a Ryan. Provò una fitta allo stomaco, ma grazie al cielo le similitudini tra lui e il fratellino di Komi finivano lì. I capelli di questo erano più corti, ordinati, e aveva anche le guance ricoperte da una lieve barba. E per finire, Ryan non aveva gli occhiali da vista.

«Dunque» esordì il nuovo arrivato, sfilandosi gli occhiali. «Il mio nome è Roy Harper e sono uno dei due alti ufficiali in carica, nonché il superiore del capitano Kovar, che immagino abbiate già conosciuto.»

Konstantin gonfiò il petto quasi orgoglioso dopo quella frase. Orgoglioso di cosa, Rachel, non poteva saperlo. Forse di essere il capitano. Una cosa che la ragazza non capì, però fu il fatto che lui si era definito il superiore di Kovar, ma non di Simon. Che cosa significava?

«Come Simon e Konstantin vi avranno già spiegato, a me spetta il compito di assegnarvi delle mansioni per quando entrerete nella comunità. Questo perché la comunità, un rifugio che ospita più di ventimila persone, ha bisogno dell’aiuto di tutti quanti per poter continuare ad esistere.» Roy si rimise gli occhiali, sospirando. Sembrava stanco. E non appena Rachel sentì cos’altro aveva da dire, non ci mise molto a capirne il motivo.

«Ci serve qualcuno che lavori nell’ospedale, qualcuno che lavori nella scuola, ci servono operai, elettricisti, idraulici, cuochi, qualsiasi cosa. Non possiamo mandare avanti questo posto da soli, ognuno deve fare la sua parte se vogliamo che la comunità continui ad esistere e a prosperare.»

Comprensibile. Rachel si diede della stupida per non averci pensato prima. Una comunità che ospitava più di ventimila persone non poteva andare avanti da sola. Facendo i dovuti paragoni, quel luogo era come un enorme orologio e i suoi abitanti altro non erano che gli ingranaggi che lo mantenevano in moto. Tuttavia, i dubbi tornarono ad assillarla. Era davvero quello che voleva, diventare uno di quegli ingranaggi?

«Inoltre, lavorando otterrete un compenso, con il quale potrete comprare ciò che vi pare nei negozi e, ovviamente, il cibo per il vostro sostentamento. Non guadagnerete cifre esorbitanti, certo, ma considerando che vi assegneremo un’abitazione per la quale non dovrete pagare affitto o bollette, beh, direi che è un compromesso più che ragionevole.»

«Ci regalerete una casa?!» domandò Komi, spalancando la bocca.

Il rosso annuì. «Potrete viverci insieme o singolarmente, non mi interessa. Abbiamo interi quartieri ancora completamente deserti da riempire.»

«W-Wow...»

Komi non era l’unica ad essere esterrefatta. Anche Rachel e gli altri lo erano. Un lavoro, una casa, un compenso... era tutto così irreale. Tutti loro si erano praticamente scordati che quella era la vita prima delle esplosioni, una vita che mai avrebbero pensato di riavere indietro. E, soprattutto, stava succedendo troppo in fretta. Per quanto tutto bello quello potesse essere, lei sapeva che non sarebbe durato ancora a lungo, con l’epidemia in circolazione. Non poteva fossilizzarsi lì, rischiando di perdere di vista quale era il suo vero obiettivo in quel viaggio, ossia salvare la vita di tutti quanti. Anche se ancora non aveva la benché minima idea di come fare.

«E in base a cosa ci verranno assegnati i lavori?» domandò Tara.

«Questo dipende da voi. Devo sapere che tipo di preparazione avete, cosa vi piacerebbe fare e, soprattutto, se c’è richiesta in quel determinato settore oppure no. Per questo dovrete venire con me e…» Il trillo di un telefono lo costrinse ad interrompersi di colpo. Roy sospirò profondamente, per poi infilare la mano nella tasca dei pantaloni. «Scusatemi, come ho già detto, sono piuttosto impegnato ultimamente...»

Avvicinò il telefono all’orecchio. «Pront...»

Non riuscì nemmeno a finire di parlare. Una voce acuta, sicuramente quella di una donna, esplose dall’altoparlante, costringendo il rosso ad allontanare di scatto il cellulare dalla tempia. «Maledizione!» imprecò Harper, per poi riavvicinare il telefonino. «Mary, Mary calmati maledizione!» gridò, sovrastando la voce dall’altro lato della cornetta. «Che diavolo sta succedendo?!»

La donna riprese a parlare. Non potevano sentire esattamente cosa stesse dicendo, ma non sembravano buone notizie, a giudicare da come sembrava agitata e da come l’espressione di Roy stava mutando dall’accigliato al preoccupato. «Oh, merda...» disse infine Harper, confermando i sospetti di Rachel. «Resisti, sto arrivando.» Chiuse la chiamata, per poi sollevare lo sguardo. «Scusate, devo andare. Riprenderemo la conversazione un’altra volta. Konstantin, vieni con me, Simon, portali alla comunità. So che normalmente non prendi ordini da me, ma questa è un’emergenza. Per questa volta, seguiremo la procedura alternativa.»

Il biondo annuì, incrociando le braccia. «Va bene, ma che faccio con lui? Ha perso la memoria.» Ed indicò Jack.

Roy si voltò verso di lui, corrucciando la fronte. «Non sapete la sua identità?»

«No.»

Un altro sospiro provenne dal rosso. «Ma proprio adesso doveva succedere? Fai entrare anche lui, non abbiamo tempo da perdere.»

«D’accordo.»

«Muoviti Konstantin.»

«Sissignore!» esclamò Kovar, mettendosi il berretto di lana in testa, per poi alzarsi in piedi di scatto.

I due ragazzi uscirono senza più proferire parola, anche se Konstantin quasi sbatté contro la porta nel tentativo di voltarsi verso Komi ancora una volta.

«Andate con loro» ordinò Simon ai soldati rimasti nell’edificio. «Qui non c’è più bisogno di voi.» Gli uomini obbedirono, lasciando da soli Lawrence e il gruppo. Il capitano espirò, per poi scuotere debolmente la testa. «Di male in peggio» borbottò, per poi avviarsi a sua volta verso l’uscita. «Forza, seguitemi.»

Rachel si mordicchiò l’interno della guancia, perplessa da quella situazione. Si scambiò una rapida occhiata con Lucas, il quale si limitò a sollevare semplicemente le spalle. Non avevano molta scelta. Il gruppo di ragazzi si mise a seguire il soldato, che procedeva a passo spedito verso il furgone. Durante quel breve tragitto, tuttavia, la ragazza ebbe modo di riflettere su ciò che stavano facendo.

Non voleva ammetterlo apertamente, ma tutto l’entusiasmo che la comunità aveva generato in lei stava pian piano cominciando a scemare. Per la prima volta durante quel viaggio, pensò che, forse, quello non era davvero il luogo giusto per lei. La discussione tra Roy e questa fantomatica Mary, in ogni caso, le aveva garantito una cosa: nessun luogo, in quel mondo, sarebbe mai stato davvero lontano dai problemi.

Neppure quel paradiso.

 

***

 

Un silenzio di incertezza era calato sul gruppo. Da quando erano risaliti sul furgoncino, nessuno aveva più aperto bocca. E le domande che Rachel e gli altri avrebbero voluto fare in merito a quella situazione avevano dovuto essere rimandate, visto che Simon si era messo davanti, alla guida, e aveva ordinato loro di rimanere dietro. Sinceramente, la conduit dubitava che lui avesse risposto alle loro domande in ogni caso, visto che in quel momento non sembrava affatto aver testa per quello.

Rachel continuava a pensare. A cosa, nemmeno lei lo sapeva con certezza. La comunità era il luogo che tanto avevano cercato, che tanto avevano sperato di trovare, però lei non avrebbe potuto rimanere lì per sempre. Doveva trovare la cura per l’epidemia, altrimenti l’intera umanità sarebbe stata spacciata, comunità inclusa. Ma, allo stesso tempo, non aveva idea di che cosa fare. Inoltre, non poteva tenersi per sempre le informazioni che aveva ottenuto da Dominick unicamente per sé. Avrebbe dovuto dire la verità, prima o poi. Per il momento, solamente Rosso e Richard erano a conoscenza dell’esistenza dell’epidemia, che lei sapesse.

Dubitava che Simon, Roy, Konstantin e tutti gli altri sapessero niente, così come gli abitanti della comunità. Forse il sindaco sapeva qualcosa, ma non avrebbe mai potuto scoprirlo, se questo non voleva incontrare mai nessuno.

La ragazza sospirò. Per la milionesima volta, l’unica opzione che le veniva in mente era quella di aspettare e vedere che cosa sarebbe successo. Anche se avrebbe fatto meglio a non attendere troppo, visto che, anche se non sembrava, il tempo stava trascorrendo, e forse perfino troppo in fretta.

«Così... ci siamo.» Fu Tara a rompere il silenzio, sollevando lo sguardo tenuto rigorosamente basso fino a quel momento. Il tono di voce era incerto, così come la sua espressione. «Stiamo... stiamo per arrivare.»

Nessuno rispose, non subito almeno. Prima di quello, diverse occhiatine vennero scambiate tra i ragazzi, quasi come per accertarsi che nessuno avesse qualcosa in contrario da dire, o ripensamenti di alcun genere. E Rachel di cose ne avrebbe potute dire eccome, ma così facendo avrebbe anche dovuto fornire spiegazioni, spiegazione che avrebbe preferito dare in qualsiasi momento meno che quello. Perciò si limitò a stringersi nelle spalle, rimanendo in silenzio.

«Già...» mugugnò Komi infine. «Anche se avrei di gran lunga preferito un’accoglienza diversa da questa...»

«Nemmeno qui se la passano bene» borbottò Rosso, sospirando. «Sinceramente, la cosa non mi sorprende affatto. Dobbiamo stare attenti.»

Komand’r annuì, mentre Tara incrociò le braccia e chinò nuovamente il capo. Sembrava sinceramente turbata, ma non sembrava quello l’argomento principale delle sue preoccupazioni. Rachel inarcò un sopracciglio, ma decise di non domandarle cosa le stesse succedendo. Ancora una volta, quello non le sembrava per niente il momento giusto per farlo.

Il suo sguardo cadde poi su Jack. Nemmeno lui doveva passarsela bene. Tra tutti loro, il ragazzino era quello con il futuro più incerto. Erano stati tutti registrati, tutti pronti a proseguire, ma non lui. Non doveva essere una bella sensazione, quella che stava provando. Per la prima volta dopo giorni, la corvina riuscì finalmente a provare empatia verso di lui e una parte di lei sperò che lo lasciassero entrare nella comunità. Anche se un’altra parte di lei, quella più razionale, non si era scordata della sua conversazione con Richard. Fino a quando non avrebbe recuperato la memoria, o fino a quando non si fosse convinta del tutto che lui non fosse un pericolo per lei e per loro, avrebbe continuato a diffidare di Jack. Ma ovviamente, diffidare non significava desiderare che venisse cacciato via, era pur sempre anche lui un essere umano, un ragazzo che in quel momento aveva bisogno di aiuto tanto quanto loro.

Rachel sospirò, appoggiando il capo contro la superficie di plastica dietro di lei. Così tanti pensieri, così tante cose da fare, così tante cose che stavano accadendo... sarebbe riuscita a tenere il ritmo di tutto ciò?

Fuori dal furgone, il paesaggio era cambiato. Ora non c’erano più praterie, campi o acquitrini, ma un’interminabile steppa. Segno che ormai erano vicini, molto vicini alla loro destinazione. Era una questione di qualche manciata d’ore, ormai. In quel momento sì che la comunità era vicina.

Eppure, più la distanza con la meta si accorciava, più i dubbi, e le incertezze, aumentavano.

E così la paura.

Paura di cosa, nemmeno lei lo sapeva.

 

***

 

Qualcosa sbatté contro le pareti del furgone all’improvviso, facendo sobbalzare Rachel, costringendola a riaprire gli occhi che nemmeno ricordava di avere chiuso. Accanto a lei, tutti quanti avevano avuto la medesima reazione. Una cosa che la corvina notò immediatamente, era che le vibrazioni e gli scossoni erano terminati: il furgone era fermo.

Dall’esterno, una voce dal timbro acuto, sicuramente quella di una donna, giunse a gran volume: «Che trasporti qui dentro, Lawrence? Droga? Clandestini?! Favorisci l’immigrazione illegale?!»

Una portiera venne sbattuta. «Artemis, ti prego, non è il momento...» Questo era Simon, il quale doveva essere sceso dal sedile anteriore.

«Oh, andiamo!» La voce femminile protestò. «Perché non stai allo scherzo una buona volta?»

«E tu perché non cresci?»

Le portiere si spalancarono all’improvviso e Rachel fu inondata dalla luce del giorno, che la costrinse ad assottigliare le palpebre infastidita. Simon apparve alla visuale, con le braccia incrociate. Accanto a lui, una ragazza con una lunga coda di capelli biondi spalancò gli occhi scuri quando si accorse del gruppo. «Ma sono tutti dei ragazzi! Come cavolo hanno fatto a sopravvivere?»

«Puoi chiederlo direttamente a loro se vuoi. Forza, tutti giù» invitò Lawrence, con un cenno della mano.

Rachel e compagni obbedirono, ed uno dopo l’altro cominciarono a scendere, scrutati dallo sguardo vigile e anche vagamente divertito della ragazza bionda. «Ciao. Ciao. Come butta? Ciao» stava dicendo, man mano che i giovani le passavano accanto.

Infine, si ritrovarono tutti quanti all’interno di un parcheggio, stipato di altri furgoni neri come quello su cui erano arrivati fino a lì. La corvina si guardò attorno, incuriosita, per poi sgranare gli occhi. I palazzi giganteschi che li circondavano, la strada accanto a loro, separata dal parcheggio da una rete di ferro, le macchine che passavano, la gente che camminava, il cavalcavia dell’autostrada esattamente dietro di loro, sicuramente quello che avevano preso per giungere fino a lì.

Tutto quel grigio, quell’aria calda, quasi asfissiante, il rumore dei motori delle macchine, della gente per strada... erano in una città. Rachel dischiuse le labbra.

«Eh già» commentò la ragazza bionda, notando il suo sguardo e probabilmente quello degli altri. «Benvenuti a Jump City. Benvenuti a casa.»

Jump City..., pensò Rachel, per poi rimanere esterrefatta, mentre collegava, finalmente, tutti i puntini. Quella... era la loro meta finale. Quella era comunità. Jump City. Una città.

Rachel rimase senza parole, meravigliata. Non aveva mai avuto assolutamente idea di cosa aspettarsi da quel luogo, credeva che fosse un piccolo paese, o addirittura una baraccopoli, invece no: era una metropoli. Qualcosa di totalmente diverso dalla villa di collina che aveva visto solo qualche ora prima.

Improvvisamente, la giovane percepì un brivido di eccitazione percorrerle la spina dorsale. Erano riusciti a trasformare una città intera in un luogo sicuro, avevano fatto un qualcosa che a lei non era mai sembrato nemmeno vagamente possibile, non senza l’utilizzo della forza bruta, come avevano fatto gli UDG a Sub City. Eppure... era così.

Per un momento, i dubbi della giovane furono accantonati, rimpiazzati dall’entusiasmo. Forse era banale lasciarsi prendere dall’esuberanza per una roba del genere, ma era necessario osservare il disegno più grande di tutto quello. Un’intera città, salva, protetta dalle intemperie di quel mondo in rovina. Tutto quello permise alla corvina di ricordarsi perché aveva tanto desiderato di raggiungere quel luogo. Perché quel luogo, la comunità, altro non era che un sinonimo della speranza. La speranza che il mondo potesse, un giorno, finalmente risollevarsi da quell’oblio in cui era piombato.

Se ventimila persone, unendo le forze, erano riusciti a far rifiorire una città intera, che cosa avrebbe impedito ai miliardi che popolavano il mondo intero di poter far rinascere tutto il resto? La paura? Forse. Forse la paura dei conduit, della violenza, della morte, avrebbe potuto fermarli, ma la comunità non esisteva solo per proteggere, ma anche per inspirare. Gli uomini avrebbero dovuto guardare quel luogo, Jump City, avrebbero dovuto prendere esempio e cercare di fare lo stesso con le altre città. Cacciare via conduit malvagi, criminali, assassini e ricominciare da capo, come avevano fatto loro.

Rachel pensò che, forse, una sosta di qualche settimana in quel posto non le avrebbe fatto male. Voleva assaporare quella vita, voleva visitare quel luogo, vedere quali sorprese riservasse per lei e per tutti loro. Perché a differenza di tutti le altre città in cui era stata, quella davvero le trasmetteva la sensazione di essere a casa. O forse era solo il caldo clima californiano a farla pensare in quel modo.

«Mhh... però...» La voce della ragazza bionda riportò la corvina alla realtà. Si voltò verso di lei, quasi sentendosi in colpa per averla ignorata fino a quel momento, per poi paralizzarsi quando si accorse della sua espressione. Si era presa il mento e stava osservando Rosso con un sorrisetto malizioso. Si mordicchiò il labbro inferiore, gesto molto, troppo, eloquente, considerato che Rachel era di fronte a lei. «... finalmente un po’ di carne fresca...»

Dopo quell’affermazione, Lucas, resosi conto a sua volta dello sguardo della ragazza, inarcò un sopracciglio. Anche Corvina avrebbe voluto avere una reazione così pacata, anziché spalancare la bocca come un baccalà. Una stranissima sensazione la percorse, sentì il proprio stomaco in subbuglio. Per caso... per caso era gelosa?

«Artemis, per favore...» borbottò Simon, scuotendo il capo.

«Ehi, non è colpa mia se non mi porti mai nessuno di interessante» protestò la ragazza, voltandosi verso il compagno, per poi sogghignare. «O sei forse geloso?»

«Tsk. Nei tuoi sogni.»

«Peggio per te allora... e tu che hai da guardare?» domandò poi Artemis, accorgendosi dello sguardo di Rachel.

La corvina percepì le goti pizzicare per l’imbarazzo. Distolse gli occhi da lei, per poi schiarirsi la gola e ricomporsi. «N-Niente...» Si sentì improvvisamente la persona più stupida dell’universo. Stupida per essersene rimasta lì imbambolata in quel modo e ancora più stupida per non aver nemmeno risposto a tono a quell’oca. Quell’oca che però era più bella di lei sotto praticamente qualsiasi aspetto: abbronzata, alta, ventre scoperto, petto prosperoso, uniforme attillata.

Lei era vestita come un ragazzino, con quella felpa che non lasciava nulla di scoperto, a stento si poteva notare il suo petto, Artemis, invece, sembrava una modella vestita da soldato. Rachel aveva scordato quella sensazione, quella sensazione di inferiorità. Non le era mancata per niente. Era stato per via di una ragazza come Artemis che aveva perso il suo primo vero amore, un pensiero di cui avrebbe fatto volentieri a meno, in quel momento. Forse era per quello che aveva preso così sul serio quello sguardo, le aveva portato alla mente ricordi non troppo felici. 

«Li lascio a te, Artemis» disse Simon nel frattempo, rivolto alla ragazza bionda. «Roy ha detto che con loro dovremo seguire la procedura alternativa. Sai cosa fare... spero.»

«Che significa "spero"? Certo che lo so!»

«Lo sai, non sei famosa per la tua affidabilità.»

«Bada a come parli! Sono capitano da molto più tempo di te!»

«Due settimane...»

«Rimane comunque più tempo!»

Simon sospirò. «Ok, ok, come vuoi tu. Li lascio a te, occupati di loro.»

«Perché, tu dove vai?»

«Da Mary, è nei guai. Sono già andati Roy e Konstantin ad aiutarla, ma preferirei andare anch’io. Dopo quello che è successo ad Allen, ha bisogno di qualcuno di cui si fidi che le rimanga accanto.»

Artemis fece un verso intenerito. «Ti preoccupi per lei! Che tenerone che sei!»

«Ribadisco: cresci, Lian» borbottò Simon, per poi avvicinarsi al furgone. Rachel sgranò gli occhi.

Lian...?

L’espressione della ragazza bionda si indurì all’improvviso. «Non chiamarmi così.» 

Lawrence la ignorò. Risalì sul furgone e lo avvio, abbandonando il parcheggio poco dopo, sotto lo sguardo infastidito di Artemis. La corvina dischiuse le labbra, osservandola nuovamente. Tutto d’un tratto, Rachel cominciò a collegare i puntini. Nel frattempo Artemis, alias Lian, si voltò verso di loro. «D’accordo, seguitemi. Vi porto a fare un tour.»

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Capitolo 10
*** Come un ago in un campo di fieno ***


Capitolo 10: COME UN AGO IN UN CAMPO DI FIENO

 

 

Il rumore della gente che parlava, gli schiamazzi dei bambini che ridevano e correvano, le bancarelle, il clima temperato: c’era un qualcosa di magico in tutto ciò. Forse il fatto che Rachel mai avrebbe creduto di rivedere nulla simile a quello.

Non molto lontano da dove erano scesi da quel furgone si trovava quella via dove, una volta a settimana, si organizzava un mercatino come quello. A quanto pareva, per una volta la fortuna era stata dalla loro parte e avevano avuto occasione di poterlo vedere il loro primo giorno.

Alla guida del gruppo, Artemis stava fornendo varie indicazioni sulla città, sui luoghi principali, sui negozi e così via, ma Corvina non ci stava facendo molta attenzione, presa com’era a guardarsi attorno, meravigliata. Inoltre, continuava a pensare alla scoperta che aveva fatto sulla ragazza bionda. Così, era lei: la sorella di Jade che viveva in California. Rachel aveva sperato di poterla incontrare prima o poi, così da rendere finalmente giustizia a Jade, anche se non si sarebbe mai aspettata di farlo in quella circostanza. Era felice di sapere che stava bene e soprattutto di scoprire che non solo era nella comunità, ma era perfino uno dei capitani e a giudicare dal riguardo che molte persone riservavano verso di lei man mano che camminavano, era anche molto rispettata. Significava che era una che sapeva il fatto suo. Jade sarebbe stata orgogliosa di vederla lì, Rachel ne era certa.

Tuttavia, la conduit era anche a conoscenza degli screzi che c’erano stati tra le due sorelle, pertanto non sapeva nemmeno come parlare di quell’argomento con Artemis. Inoltre, la ragazza bionda non sembrava nemmeno gradire il nome "Lian". Quando si era presentata a loro, lo aveva fatto come Artemis Crock, senza accennare minimamente a quel nome. Forse era solo un nomignolo che le aveva affibbiato Jade, questo avrebbe spiegato la sua riluttanza nel farsi chiamare così da Simon.

«Posso farti una domanda, Artemis?» chiese Rosso ad un certo punto, facendo girare la bionda verso di lui, con espressione maliziosa.

«Tutto quello che vuoi, bel fusto.»

Lucas ignorò il "complimento". «Roy e Simon hanno parlato di una "procedura alternativa". Di cosa si tratta?»

«Niente di che. Semplicemente, dovrete incontrarvi con Roy più tardi, al municipio, così che lui possa finire il suo lavoro con voi. Lo so, "procedura alternativa" la fa sembrare come un qualcosa di trascendentale, ma state tranquilli, non è così.»

«E dov’è il municipio? E come facciamo a sapere quando andare?»

«Quando Roy avrà tempo per farlo mi comunicherà di portarvici, facile. Per questo restate con me e non perdetevi, anche perché non ho alcuna intenzione di venirvi a cercare nel caso succedesse.»

«Mh, d’accordo. Grazie.»

«Sono qui per te, bel fusto. Potrai sempre chiedermi qualsiasi cosa. Qualsiasi.»

Corvina fece una smorfia, udendo quelle parole e, soprattutto, il tono di voce parecchio eloquente della ragazza. Lucas, invece, abbozzò un sorrisetto. «Lo terrò a mente.»

Rachel gli diede una lieve gomitata, attirando la sua attenzione. «Perché non le dici le cose come stanno?» domandò a bassa voce, sperando di non suonare troppo accigliata.

Per tutta risposta, il moro ridacchiò. «Perché non lo fai tu, invece?» interrogò, mantenendo a sua volta il tono di voce basso.

Corvina esitò. Sentì le guance tingersi di rosso, poi distolse lo sguardo da lui. «Beh...»

«Ehi.» Rosso le posò una mano sulla spalla, suscitando in lei una scarica di brividi. La ragazza tornò a guardarlo, per poi notare la sua espressione molto più sincera e addolcita. «Non penserai mica che la prima ragazza con un bel didietro che incontriamo possa farmi dimenticare tutto quello che abbiamo trascorso io e te, vero? Credevo che tu ti fidassi di me.»

«Certo che mi fido, però...» La conduit sentì le goti pizzicare. «... io non... non voglio perdert...»

Lucas la interruppe, posando le labbra contro quelle di lei all’improvviso, facendole strabuzzare gli occhi. Non fu il bacio a preoccuparla, più che altro era il fatto che glielo avesse dato proprio in quel momento, in presenza di tutti. Sentì le guance andare direttamente a fuoco e, nonostante rimasero incollati per brevissimo tempo, per lei sembrarono eternità. E la cosa non fece altro che farla sentire ancora più in imbarazzo.

Quando si separarono, la giovane poté tranquillamente percepire le occhiate di Tara e Amalia piantate su di loro. Un verso intenerito provenne dalle due ragazze, la prima sembrava sincera, la seconda invece pareva più interessata a provocarli.

Rachel, sentendo la propria faccia rossa come un pomodoro, decise di voltarsi da un’altra parte... l’unico problema fu che, così facendo, si girò verso Artemis, la quale era rimasta a fissarli basita a sua volta. Tuttavia, stranamente, Rachel si ritrovò a sorridere di fronte a quell’espressione. Dopo quello che era appena successo, la corvina dubitava che avrebbe mai più rivisto Artemis cercare di flirtare – invano – con Rosso.

Chiusa quella piccola parentesi, il gruppo riprese a muoversi, facendo finta di niente. Nel giro di poco tempo Rachel e Lucas si ritrovarono al fondo di esso, in disparte, lontani dagli sguardi indiscreti degli altri – Amalia e Tara soprattutto.

Rachel sospirò, sollevata. Sollevata di sapere che Lucas non era interessato ad Artemis, anche se poteva benissimo intuirlo fin dal primo momento, ma se non altro ora ne aveva la certezza, e anche sollevata di trovarsi lì, a Jump City, in quella via assieme a tutti i suoi compagni. Di fronte a lei, Richard si guardava attorno pigramente, nascosto dal cappuccio, Jack camminava in silenzio, con per la mente chissà quali pensieri, mentre Komi e la Markov parlottavano con la loro guida turistica.

Era tutto così... tranquillo. Normale. Sereno. Rachel avrebbe davvero potuto abituarsi a tutto quello... se solo non fosse destinato a svanire.

Quel pensiero arrivò come un fulmine a ciel sereno. La corvina sgranò gli occhi, realizzando solo in quel momento quanto tutto quello a cui stava assistendo in quel momento fosse effimero. Le persone che li circondavano, le risate, il brusio della folla, gli schiamazzi dei venditori che annunciavano le loro offerte imperdibili... l’epidemia avrebbe spazzato via ogni cosa.

Rachel sentì le proprie viscere contorcersi all’improvviso. Dovette fare una faccia parecchio angosciata, perché pure Rosso parve accorgersi delle sue turbe. «Rachel, che ti prende?»

La ragazza trasalì udendo la sua voce. Si voltò verso di lui, con le labbra dischiuse. Non seppe come comportarsi. Non voleva guastare quel momento di sincera serenità mettendosi a parlare di ciò che la tormentava, però era anche vero che Lucas era probabilmente la persona più indicata con cui farlo, almeno per quel momento. Sapeva che lui le avrebbe dato ragione. Del resto, anche lui c’era dentro fino al collo in quella situazione.

«Stavo pensando...» cominciò Rachel, per poi sospirare. «... per quanto tempo potremo restare qui? Voglio dire, sono felice di aver trovato questo posto, qui è tutto bellissimo e finalmente saremo al sicuro, però...»

«L’epidemia» la interruppe Rosso, facendosi serio.

Rachel annuì, non trovando la forza di guardarlo in faccia. «Già.»

«Pensi che nessuno sappia ancora niente?»

La corvina scosse la testa. «Ne dubito... molte persone qui non mi sembrano nemmeno... beh... contagiate.»

«Vorrai dire "malate"...» la corresse Rosso, con un sorrisetto amaro, ma con lo sguardo mesto.

«Non mi piace quella parola...» Rachel abbassò lo sguardo, un profondo senso di inquietudine che le stritolava il petto come una morsa.

Lucas le posò nuovamente una mano sulla spalla. «Ne abbiamo già parlato, Rachel. Troveremo una soluzione.»

«Ma è questo il punto.» Corvina sospirò. «Io non... so da dove iniziare. Il mio obbiettivo principale era arrivare fino a qui, e ora che ci sono riuscita devo pensare alla mossa successiva, ma non ho la minima idea di cosa fare. Solo che non posso restare qui.»

«E perché non dovresti? Per quale motivo hai desiderato così tanto di arrivare fino a qui, se poi una volta arrivata pensi già ad andartene?»

«Forse... forse volevo solamente essere certa che voi non correste più alcun pericolo.»

Per la prima volta, Lucas parve confuso. «Che intendi dire, scusa? Perché "voi"?» Il ragazzo si fermò, afferrandola per un braccio, costringendola a guardarlo. Si fece serio in volto. «Non vorrai mica lasciarci qui e andare avanti da sola?»

Rachel esitò. A dire la verità, non lo sapeva nemmeno lei. Ma era un’idea che ultimamente le aveva sfiorato la mente, non voleva dire una bugia. Tuttavia, sapeva anche che Rosso non avrebbe mai accettato una cosa del genere.

La conduit distolse lo sguardo, mordicchiandosi un labbro, pensierosa.

«Mi avevi detto di aver bisogno di me, a Sub City, ricordi? Adesso vorresti rimangiarti tutto quanto?»

«No…» Corvina sospirò, tornando ad osservare quegli occhi blu. «Voglio solo... che tutti siano al sicuro...»

«E lo saranno. Ma solo se lavoriamo insieme. Io e te, contro il mondo.» Lucas sorrise, sembrava davvero convinto delle sue parole. «Troveremo quella dannata cura. E salveremo questa città.»

Rachel riuscì a ritrovare il sorriso. La determinazione di Rosso riuscì a contagiarla, facendole ritrovare un pizzico di fiducia e buonumore. Che svanirono non appena si rese conto di una cosa.

«Un momento... dove sono gli altri?» domandò, guardandosi attorno, non riuscendo più a vedere i suoi amici.

Anche Lucas spalancò gli occhi. Si voltò, realizzando a sua volta cosa fosse successo. Artemis e gli altri erano spariti, inghiottiti dal mercato. Erano da soli.

«Dannazione» imprecò Lucas, mettendosi le mani sui fianchi ed espirando pesantemente. «Ci hanno lasciati indietro...»

Corvina si maledisse in silenzio. Se non si fossero fermati per colpa sua non sarebbero rimasti indietro. Anche se comunque non avrebbe mai pensato che gli altri non si sarebbero nemmeno accorti della loro presenza. Beh, considerando che loro due non partecipavano quasi mai alle discussioni e considerando anche che si erano messi di proposito al fondo del gruppo per non essere disturbati, non c’era nemmeno nulla di poi così strano...

«Che facciamo?» domandò Rachel, perplessa.

«Chiamo Tara.» Lucas estrasse il cellulare, per poi imprecare nuovamente. «Batteria scarica.» Si rimise il telefono in tasca, sospirando. «Non ci resta che cercarli.»

«In mezzo a questo marasma?»

Lucas sollevò le spalle. «Altre idee?»

«No» ammise Rachel, per poi sospirare. «Sarà come cercare un ago in un pagliaio.»

Rosso le avvolse un braccio attorno alle spalle. «Almeno siamo insieme.»

Rachel ridacchiò, stringendosi a lui. «Sì, giusto. Almeno quello.»

 

***

 

Passò almeno un’ora buona prima che i due partner decidessero di gettare la spugna. Non sarebbero mai riusciti a ritrovarli in quel luogo così affollato. Rachel si appoggiò contro ad un muro, stanca e pensierosa. Accanto a lei, Lucas incrociò le braccia, abbassando lo sguardo, rimuginando. «Non ci resta che andare direttamente al municipio e sperare di riuscire ad incrociarli.»

«E come lo troviamo il municipio?» sospirò Rachel, chiudendo le palpebre.

«Chiediamo in giro.»

Corvina sollevò un sopracciglio, mentre Lucas fermava un passante per domandargli dove dovessero andare. Non riuscì ad udire cosa si dissero per via del brusio di sottofondo, ma non ci volle molto prima che Lucas tornasse da lei. Le rivolse un cenno del capo. «Dai, andiamo.»

«Hai capito almeno qual è la strada?»

«Certo.» Sembrava sicuro di sé, tuttavia Rachel non aveva un bel presentimento. «Se ci perdiamo, non te lo perdonerò mai» asserì, stringendosi nelle spalle.

«Invece lo faresti» replicò Rosso, ridacchiando. Rachel fece una smorfia, evitando di rispondere.

I due ragazzi si incamminarono. Si allontanarono ben presto dal mercato, avventurandosi in strade decisamente meno trafficate. Camminarono sul marciapiede, nonostante per strada non passasse alcun veicolo. Rachel si domandò perché non ci fossero veicoli, anche se poteva immaginare la risposta. Non tutti potevano possederne uno, e inoltre dubitava che ci fosse davvero un gran bisogno di automobili; la città non era tanto grande e la gente poteva benissimo spostarsi a piedi.

Tuttavia... c’era qualcosa che non quadrava a Rachel. Non sapeva perché, ma quelle strade non le trasmettevano la stessa sensazione di familiarità che invece le aveva dato la via del mercato. Le strade erano malridotte, così come i marciapiedi, dai quali spuntavano numerose erbacce, anche se alla fin fine la ragazza poteva aspettarsi qualcosa di simile, dopotutto non doveva essere proprio una passeggiata ristrutturare tutto quanto.

Ciò che lasciava perplessa la corvina erano le, poche, persone che avevano incrociato. Erano tutti quanti molto trasandati, malvestiti, e ognuna di esse li aveva squadrati con diffidenza e si era curata di girare al largo da loro. Più osservava quelle persone, più osservava quella strada malridotta, più Rachel si sentiva a disagio. Perfino un cane sdraiato a terra, un grosso pastore tedesco, ringhiò loro quando passarono di fronte a lui e ad un ragazzo, probabilmente il padrone, sedutogli vicino.

«Buono, buono» intimò il padrone, posandogli una mano sul capo e carezzandoglielo. Il cane si calmò immediatamente, poggiando il muso a terra, mugolando.

Rachel osservò quei due, mentre si allontanavano. «Lucas, ma dove siamo finiti?» domandò, voltandosi verso il moro. «Che cos’hanno queste persone? Non sembrano minimamente come quelle che abbiamo incontrato al mercato.»

Lucas storse la bocca in una smorfia perplessa. «Non lo so. Quell’uomo al mercato mi aveva detto di prendere questa strada...»

«Sicuro di aver capito bene le indicazioni?» interrogò ancora Rachel.

«Certo!» esclamò Rosso, voltandosi. Anche se non passò molto prima che paresse avere qualche ripensamento. «Beh... in effetti c’era tanto rumore... magari potrei... aver capito male cosa mi ha detto...»

«Lucas!» Rachel si sbatté una mano sulla fronte, sospirando esausta. «Sei in grado di fare cose incredibili ma non sai come seguire delle indicazioni?»

«Ehi» protestò Rosso. «A Sub City sapevo orientarmi alla perfezione. Non è colpa mia se qui è tutto diverso!»

«Naturalmente, diamo la colpa alla città» ribatté Corvina, evitando di guardarlo per non mostrare il suo sorrisetto divertito. Non capitava spesso che Lucas si sentisse imbarazzato per qualcosa, ma quando accadeva era un momento di rara bellezza. Rachel aveva detto che se si fossero persi non l’avrebbe più perdonato, ma osservare come Lucas si stesse comportando come un bambino con le mani ancora sporche di marmellata la stava divertendo al punto da farle accantonare quel pensiero.

«Forse dovremmo chiedere altre indicazioni» disse infine, riuscendo a ritrovare la serietà.

«Dubito che queste persone saranno felici di darcele» mugugnò Lucas, guardandosi attorno.

Rachel si pizzicò il labbro. Aveva ragione. E nemmeno lei era molto entusiasta all’idea di rivolgersi a quei tizi che non avevano fatto altro che guardarli male. Si guardò attorno, pensierosa, per poi notare qualcosa che catturò la sua attenzione. Si accese di speranza. «Potremmo provare a chiedere lì» disse, indicando al ragazzo un negozio dall’altra parte della strada, con un’insegna molto colorata, vivace, che stonava un po’ con l’ambiente di quella via. Un negozio di fiori, a giudicare dai vasi e dai mazzi rose esposti in vetrina.

«Che ci fa un negozio di fiori qui?» domandò Lucas, perplesso.

«Non lo so, ma sento che i proprietari saranno molto più disponibili di questa gente qua fuori...»

«Mh... concordo.»

I ragazzi si avviarono verso il negozio, trovando la porta vetrata semiaperta, tuttavia con il cartello di "chiuso" sopra.

«Chiuso...» borbottò Rachel, sospirando.

«La porta è aperta però» osservò Lucas, prendendosi il mento.

Corvina si voltò verso di lui, intuendo immediatamente cosa stesse pensando. «Lucas, no. È chiuso, lasciamo stare.»

«Andiamo, dobbiamo solo chiedere un’informazione!» Il ragazzo spalancò la porta, facendo tintinnare una campanella appesa sopra di essa.

«Lucas!»

Troppo tardi, il moro era già entrato. E comunque la campanella ormai aveva sicuramente allertato chiunque si trovasse all’interno in quel momento della loro presenza. Rachel fece un verso esasperato, poi lo seguì. Salì i gradini dell’ingresso e il profumo dei petali e del polline invase le sue narici, lasciandole una piacevole sensazione. Era da tanto che non lo sentiva più.

Da dentro il negozio sembrava più grande che visto da fuori. Rachel passò accanto a diversi scaffali pieni di vasi con all’interno i fiori e relativa targhetta che riportava il nome della specie in questione. La giovane si guardò attorno per diversi istanti, incuriosita. Rimase meravigliata di fronte a delle splendide rose bianche dai grossi petali. La loro targhetta recitava: "Rose Iceberg, Fée des Neiges". Rachel sorrise. Si immagino Lucas mentre gliene regalava una. Avvampò, poi scosse la testa, un’espressione divertita che le attraversava il volto.

Proseguì dritta, arrivando fondo del negozio, di fronte al bancone del registratore di cassa. Qui trovò Lucas... e un passeggino. Rachel, si sarebbe aspettata di trovare tutto, meno che quello. Il moro, che lo stava guardando altrettanto perplesso, si voltò verso di lei non appena si accorse della sua presenza. I due ragazzi si osservarono per un breve momento, dopodiché il ragazzo sollevò le spalle. Sbigottita, Rachel si avvicinò a sua volta al passeggino, per poi trovarci dentro una creatura che non doveva avere più di un anno, il vestitino rosa lasciava ben intendere quale fosse il suo sesso. Dormiva serena, con quel suo visetto piccolo e paffuto. Rachel sorrise intenerita.

Quella neonata sembrava quasi provenire da un’altra dimensione. Considerando quello che il loro mondo era diventato... Rachel non si sarebbe mai aspettata di vederne una. Così piccola, così fragile, così innocente. Dormiva lì, serena, dentro quel passeggino che probabilmente era l’unico mondo che conosceva, o comunque uno dei pochi, totalmente ignara di che cosa stava accadendo al di fuori di ciò.

Una profonda amarezza invase il corpo di Rachel, mentre pensava a quelle cose. Forse avrebbe dovuto smettere di essere così negativa, concentrandosi di più sul lato positivo della cosa. Quella bambina restava comunque una cosa bellissima, perché significava che qualcuno, nonostante tutto, aveva ancora avuto il coraggio di darla alla luce, con la speranza che il mondo potesse migliorare.

Un rumore improvviso catturò l’attenzione dei due giovani. Una porta dietro al bancone, dapprima sfuggita alla vista di Rachel, si spalancò, lasciando uscire una giovane donna con i capelli color rame, che se la richiuse alle spalle canticchiando. Si voltò verso il negozio, sorridendo, per poi urlare spaventata quando si accorse dei due partner.

Rachel e Lucas sobbalzarono, allontanandosi di scatto dal passeggino, entrambi sollevando le mani. La donna li osservò ancora per qualche istante, con gli occhi azzurri spalancati per la sorpresa, tuttavia un verso proveniente dal passeggino costrinse tutti quanti ad osservarlo. Rachel allungò il collo, per poi vedere la bambina sveglia, mentre tastava l’aria con le sue piccole mani e spostava gli occhi castani per guardarsi attorno confusa. La conduit non ci mise molto per capire cosa stava per succedere. La piccola strizzò le palpebre poi divenne paonazza e cominciò a piangere a dirotto, facendo irrigidire la corvina.

«Oh, no! Nonononono!» esclamò la donna, facendo il giro del bancone e correndo dalla piccola. La prese in braccio, cominciando a cullarla. «Non piangere Zoey, non è successo niente! È stata solo colpa della mamma, lo sai che lei è un po’ smemorata!» Avvicinò il volto al suo musino, per poi fare delle smorfie divertenti. «Vero che la mamma lo è? Vero?» domandò ancora.

La neonata spalancò gli occhi e, osservandola, cominciò lentamente a smettere di piangere, per poi iniziare a ridere divertita. La donna strusciò il naso contro quello della figlia, facendola ridere ulteriormente. «Promettimi che non sarai mai sbadata come la mamma, ok? Prometti.»

Per tutta risposta Zoey allungò una mano verso le lunghe ciocche rossastre della donna, per poi cominciare a tirarne alcune.

«Ahi, ahi! Ok, ok, ho capito! Cattiva mamma, cattiva!» La donna allontanò la figlia dal proprio volto, per poi continuare a cullarla, osservandola con uno sguardo ed un sorriso la cui amorevolezza era impossibile da descrivere. Bastò una semplice occhiata per permettere a Rachel di capire che quella che la donna stava tenendo tra le braccia era la più grande ricchezza che possedeva.

«Vi chiedo scusa per la mia reazione eccessiva» disse poi la negoziante, rivolgendosi ai due ragazzi con un sorriso mortificato. «Ma eravamo chiusi, non mi aspettavo che qualcuno entrasse...»

Rachel lanciò un’occhiataccia a Rosso, il quale parve imbarazzarsi. Evitò lo sguardo della partner, per poi cercare di giustificarsi: «La porta era aperta...»

«Oh, cavolo!» La rossa si sbatté una mano sulla fronte, per poi sospirare. «Beh… immagino l’abbiate capito che io non sono molto attenta a ciò che faccio... comunque, ormai siete qui. Cosa posso fare per voi?»

«A dire la verità ci serviva solo un’informazione» spiegò Rachel, la quale si rese conto che la loro interlocutrice, nonostante fosse certamente più grande di loro, non dimostrava più di venticinque anni. Più che una donna, era una ragazza. «Sempre se non è di disturbo.»

«Ma certo che no, chiedete pure.»

«Ci siamo persi, vorremmo sapere come arrivare al municipio.»

«Ah, sì, so come arrivarci!» esclamò la giovane negoziante, per poi indicare verso la porta. «Allora, dovete tornare indietro, verso la JC Avenue, a quel punto svoltate a destra e proseguite per un po’, dovreste vedere un cartello che dice "Main Street", e dopo... no, un momento... forse Main Street era a sinistra... non importa, voi tanto non dovete andare verso Main Street, ma dall’altra parte, quindi verso sinistra... o destra... ehm... comunque, dovreste vedere un grosso palazzo con delle porte a vetro, da lì proseguite dritti e... ehm...»

Notando gli sguardi basiti dei due partner, la ragazza si interruppe, arrossendo imbarazzata. Si mise una mano dietro al capo, con un sorriso di scuse. «Ecco... non è da molto che sono qui e non sono mai stata brava a dare indicazioni... mi dispiace.»

Rachel trattenne a stento una risatina divertita. Sì, quella tizia era decisamente smemorata. Però le era simpatica. «Non importa, grazie lo stesso.»

«Se volete posso accompagnarvi.»

«Cosa? Ma no, non è il caso, davvero» cercò di fermarla Rachel, sollevando le mani.

«Figurati, per me sarà un piacere!» rispose la rossa. «Siete nuovi di qui, giusto?»

«Beh... sì...»

«State tranquilli, conosco molto bene la vostra sensazione. Quando sono arrivata qui il primo giorno non sapevo nemmeno da che parte guardare!»

Lucas e Rachel si guardarono tra loro, perplessi. «Noi non vorremmo chiedere così tanto...» disse ancora Corvina. In effetti le sembrava quasi che si stessero approfittando di lei, nonostante fosse tutta una sua spontanea iniziativa. «E poi come farà per il negozio?»

«Primo, dammi del tu» sorrise la ragazza, mentre posava la sua bambina, nuovamente assopita, nel passeggino. «Secondo, oggi siamo chiusi, io ero venuta qui solo per sistemare alcune cose e annaffiare i fiori, stavo giusto per andare via. Non sarà un problema per me accompagnarvi fino al municipio.»

«In tal caso... grazie di cuore» si arrese infine Rachel, intuendo che non l’avrebbero più convinta a cambiare idea, per poi sorridere quasi amara. «È così strano incontrare qualcuno di così gentile e disponibile dopo così tanto tempo...»

La rossa ridacchiò. «E per me è strano incontrare una coppietta così deliziosa dopo tanto tempo. Di un po’, tornerai qui quando cercherai un fiore per la tua dama, vero?» domandò a Rosso, strizzandogli l’occhio.

Red X divenne paonazzo. Letteralmente. «C-Cosa?»

Rachel dischiuse le labbra, mentre la negoziante ridacchiava una seconda volta, totalmente ignara di essere riuscita a realizzare l’impossibile, ossia far arrossire Lucas.

«Comunque, io mi chiamo Hester» si presentò infine la ragazza, sorridendo caldamente.

«Lucas...» mugugnò Rosso, ancora scosso.

«Rachel» disse infine la conduit, cercando di non ridere di fronte all’espressione del partner. Tuttavia, non appena annunciò il proprio nome, l’espressione di Hester mutò radicalmente.

«Rachel?» domandò, rivolgendole uno sguardo dapprima sorpreso, che poi si trasformò ben presto in uno inquisitorio. Uno sguardo inquisitorio che Corvina non faticò a riconoscere: era lo stesso che era apparso sul volto di Simon, quando ancora erano fuori città ad effettuare la registrazione. Ma perché la faccenda si stava ripetendo? Cosa volevano tutti quanti da lei?

«Sì, Rachel» rispose, perplessa.

«Rachel...» ripeté Hester, chiaramente pensierosa. Si mordicchiò la punta dell’indice. «... per caso... per caso, di cognome, fai... Roth?»

La corvina spalancò gli occhi. Non poté vedere la reazione di Lucas, accanto a lei, ma poteva tranquillamente immaginare che lui fosse altrettanto sorpreso. «S-Sì...» rispose, balbettando per lo stupore. «Come... come fai a… a…»

Non riusciva nemmeno a parlare. E la cosa più sorprendente di tutte, era che Hester sembrava perfino più sconvolta di lei. Cosa che aveva del paradossale, visto che era stata proprio la rossa a sapere il suo cognome senza che le due si fossero mai viste prima in vita loro.

«Oh, cavolo...» mormorò Hester, posandosi una mano sopra la testa.

Di fronte a quella reazione, Rachel cominciò ad allarmarsi. «Cosa? Che succede? Perché conosci il mio nome?»

Quelle domande cominciarono a farsi strada nella sua mente quasi con prepotenza e più passavano i secondi senza che queste ottenessero risposta, più diventavano insistenti, tartassandole la mente.

Hester spalancò la bocca per rispondere, ma il suono di una campanella distrasse tutti loro: qualcuno era entrato nel negozio.

Ma proprio ora?!, pensò Rachel, adirata come poche volte era stata, ma questo solamente perché non aveva ancora sentito la voce del nuovo, o meglio, della nuova, arrivata: «Hester, sei ancora qui?»

Corvina strabuzzò le palpebre. Quella era la voce di una donna. Una voce calma, tranquilla, melodiosa. Una voce che lei conosceva bene... e che fino a quel momento aveva creduto di aver dimenticato.

Anche se era impossibile per chiunque potersi dimenticare una cosa del genere.

La ragazza si voltò di scatto, vedendo colei che stava salendo i gradini. La stessa persona si accorse di lei ed ebbe la sua stessa reazione di stupore. Si guardarono negli occhi, mentre il silenzio calava nel negozio. La mente di Rachel si rifiutò di collaborare con lei, impedendole di riuscire a focalizzare bene ciò che le si stagliava di fronte. Le pareva di scorgere una fotografia sfocata.

Una donna, con dei pantaloni beige, una camicia a quadri bianca e arancione, i capelli neri, corvini, lunghi. Il volto pallido e gli occhi... gli occhi... dello stesso colore di quello della ragazza.

Rachel fece un passo avanti senza nemmeno rendersene conto. Aprì la bocca per parlare, ma da essa non uscì altro che aria. Perfino il suo corpo riusciva a percepire l’assurdità di tutto quello. Perché nonostante fosse perfettamente a conoscenza di chi avesse di fronte, nonostante l’avesse vista già diverse volte dal vivo, anche se non nella realtà, quello non le sembrava vero.

«R-Rachel...» disse infine la donna di fronte a lei, con un velo di incredulità nella voce.

La corvina sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Quante possibilità c’erano? Quante possibilità c’erano affinché una cosa del genere si verificasse? Una su un milione? Su un miliardo? Non lo sapeva. E, in quel momento, era l’ultima cosa che le interessava approfondire.

Poco prima, cercando i suoi amici, aveva asserito che sarebbe stato come trovare un ago in un pagliaio. Beh, ricongiungendosi con quella donna non aveva semplicemente trovato un ago in un semplice pagliaio: lo aveva trovato dentro un campo intero.

Fece un altro passo avanti, sentendo il proprio cuore iniziare a battere all’impazzata. La voce, finalmente, tornò a funzionarle. Quando parlò, le sillabe uscirono a stento dalle sue labbra: «M-Mamma...»






Un veloce, veloccissimo aggiornamento durante la pausa pranzo. Prego, non c'è di che. Sto scherzando, sono io che dovrei ringraziarvi per non aver ancora smesso di leggere la storia (vedo che le visite continuano ad esserci, il che è positivo... credo).
Eh, già. Edoardo, l'autore, solo soletto a scrivere la sua storiella. Solo, contro il mondo. Beh, immagino di meritarmelo, per varie ragioni. Ma sì, chissenefrega, spero che almeno vi piaccia, a me è piaciuto, ma insomma, io sono di parte. Oh, beh, il vantaggio di essere solo soletto è quello di non rischiare di ricevere pareri negativi, no? (Che cosa tristissima...)
Buona giornata!

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Capitolo 11
*** Casa dolce casa ***


Capitolo 11: CASA DOLCE CASA

 

 

Rachel non vide più niente. Non si accorse più di nulla. L’unica cosa che riuscì a percepire, fu l’aria che le sferzava il volto mentre correva verso la donna, con le lacrime che scivolavano dai suoi occhi e ricadevano alle sue spalle.

«Rachel!» esclamò ancora la donna, con voce incrinata, mentre la conduit si fiondava su di lei, stringendola in un abbraccio che fu ricambiato senza un attimo di esitazione.

Una sensazione di calore, sicurezza, protezione e allo stesso tempo di dolore e rammarico invasero il corpo della ragazza. Qualcosa di bello e angosciante al tempo stesso, come una bevanda dal gusto agrodolce. Lacrime di gioia e tristezza scesero lungo le sue guance, dando vita ad un pianto che forse per troppo tempo aveva atteso di poter finalmente irrompere al di fuori di lei, per poter dare sfogo a quelle emozioni che per tanto tempo avevano avuto bisogno di essere liberate.

«Rachel...» singhiozzò ancora la donna. Angela, Arella, non importava come chiamarla, per Rachel altro non era che "mamma". E l’importante era che si trovasse finalmente lì, con lei, a darle quel calore che davvero aveva dimenticato, quel calore che nessuno, nemmeno Rosso, avrebbe potuto darle. Il calore di una madre.

La corvina affondò il volto sulla spalla della madre, piangendo come non aveva mai pianto prima di allora. Le dita di Arella affondarono tra i suoi capelli, mentre la donna sprofondava con il viso tra le ciocche nere. «Figlia mia...» sussurrò, anche lei con la voce rotta dal pianto.

Nulla aveva più importanza in quel momento. I dubbi, le incertezze di Rachel, sul suo futuro, su ciò che la attendeva, su come avrebbe potuto salvare il mondo dall’epidemia, furono messi da parte per poterle permettere di potersi concentrare unicamente su ciò che contava in quel momento, ossia lei, sua madre, la sua famiglia.

La sua famiglia dapprima perduta e ora, finalmente, ritrovata.

I singhiozzi delle due donne furono l’unico suono che si sentì per i minuti successivi. Nessuna delle due sembrava intenzionata a sciogliersi dall’abbraccio, o a parlare, o a fare qualsiasi altra cosa, forse per il timore che quella che ad entrambe pareva una visione si interrompesse di colpo, non lasciando altro che amarezza e pezzi di cuore infranti.

Ma più il tempo passava, più Rachel si rendeva conto che quel momento era più reale che mai e che lei mai si era sentita così viva. Un’illusione non sarebbe mai riuscita a donarle tutte quelle emozioni così strane, contrastanti e belle allo stesso tempo. Quel calore così avvolgente, piacevole, umano, completamente diverso dalla sensazione di freddo che aveva provato quando aveva abbracciato quella proiezione di Angela nella sua mente. All’epoca le era sembrato di abbracciare un palo di fello, questa volta, invece, era tutto vero. Ed era stupendo.

«Non sai... non sai quanto mi sei mancata...» bisbigliò Arella, quando entrambe riuscirono finalmente a smettere di singhiozzare.

«Lo stesso... lo stesso vale per me.»

Finalmente, madre e figlia si separarono, per potersi osservare meglio. La donna posò una mano sulla guancia di Rachel, asciugandole le lacrime, sorridendo confortevole. «Che bella che sei diventata...»

«G-Grazie...» La corvina abbassò lo sguardo, imbarazzata. «A-Anche tu...»

Arella ridacchiò lievemente, mentre Rachel si massaggiò il braccio, con un timido sorriso sul volto. Non sapeva nemmeno cosa dire, cosa fare, come comportarsi. Si sentiva maledettamente impacciata, ma del resto, non avrebbe mai potuto aspettarsi una cosa del genere.

«Sono felice di sapere che stai bene» disse semplicemente.

«Lo sono anch’io. Ci... ci siamo lasciate che eri solo una bambina e ora...» Angela allargò il sorriso. «... ora davanti a me si trova una splendida giovane donna. Sono... sono così orgogliosa di te.»

Rachel osservò la donna con un’espressione di sincera felicità... questo fino a quando il lato negativo di lei non prese nuovamente la meglio. «Già... ci... ci siamo lasciate...» mormorò, rabbuiandosi.

Il sorriso vacillò dal volto della donna, la quale parve non riuscire nemmeno più a reggere lo sguardo della figlia, perché lo abbasso. Era evidente quanto la cosa fosse dolorosa sia per lei, che per la giovane. «Immagino che tu abbia molte domande...» rispose, tornando ad osservare gli occhi violacei della corvina.

«Solo una.» Rachel sentì gli occhi inumidirsi di nuovo. Strinse i pugni, sperando di riuscire a mantenere il proprio autocontrollo ancora per un po’. «Perché?» Quella domanda le uscì dal cuore. Quell’unica domanda che aveva voluto porle dal giorno in cui le loro strade si erano separate.

Angela esitò. Quella singola parola parve pungerla come un ago affilato. Sospirò profondamente. «La risposta è... è molto più complicata di quello che pensi. Credimi, non sai quanto mi piacerebbe poterti raccontare tutta la verità, ma... è una storia molto più complicata di quello che credi, soprattutto da raccontare qui, in questa circostanza. Però puoi stare tranquilla.»

La donna prese la mano della figlia, incrociando il suo sguardo e cercando di sorriderle nuovamente. «Ora che siamo di nuovo insieme, avremo parecchio tempo per raccontarci tutto.»

Rachel osservò la madre, pizzicandosi il labbro, pensierosa. In effetti, Arella non aveva tutti i torti. Qualunque fosse la motivazione che l’aveva spinta a separarsi da lei, non poteva essere qualcosa di cui poter discutere in un negozio di fiori. E poi... forse la corvina avrebbe semplicemente fatto meglio a godersi quel momento, senza pensare troppo a tutti quei se e ma che le tempestavano la mente. Ricambiò il sorriso, annuendo debolmente. «Va bene. Parleremo un’altra volta. Anche perché ora dovremmo proprio andare.»

«Dovremmo?» domandò Angela, perplessa, per poi notare solo in quel momento la presenza di Lucas, il quale si trovava ancora accanto ad Hester vicino al bancone. Probabilmente se ne era rimasto in disparte per non essere d’impaccio alle due donne, ma non appena anche Rachel si voltò e gli fece cenno con il capo di avvicinarsi, lui decise di farsi avanti.

 «Mhh... è carino» commentò Arella, prendendosi il mento.

«Sì...» mormorò Rachel senza nemmeno rendersene conto, per poi accorgersi dello sguardo che le rivolse sua madre. Spalancò gli occhi ed arrossì stupidamente.

Come se non bastasse, Lucas le raggiunse proprio in quel momento. «Salve» si presentò con riguardo. «Lieto di fare la sua conoscenza, il mio nome è Lucas.»

«Piacere...» rispose Arella distrattamente, facendo vagare lo sguardo da lui a Rachel, chiaramente pensierosa. Andò avanti così per qualche istante, fino a quando non si fermò. L’espressione incuriosita di Angela si tramutò ben presto in una di puro stupore, rimpiazzata in altrettanto breve tempo da un sorriso entusiasta. «Non posso crederci...»

«C-Che cosa?» domandò Rachel, anche se già poteva immagine dove la donna stesse per andare a parare.

«Ti sei trovata un fidanzatino!» esordì, con tono di voce circa cento volte più forte di quello che Rachel avrebbe preferito sentire.

«Mamma!» esclamò la giovane, sempre più in imbarazzo. «Ti prego!»

Perfino Lucas spalancò gli occhi e dischiuse le labbra, chiaramente senza parole.

«Oh, Rachel!» gioì Angela, ignorandola bellamente ed abbracciandola di nuovo. «Non hai idea di quanto sia felice! Sei grande, sei bella e hai perfino un ragazzo! Mi stai rendendo la madre più orgogliosa di sempre!»

Corvina si sentì sprofondare. Grazie al cielo non erano presenti anche Amalia e Tara ad assistere a quella scena, o sarebbe davvero morta per la vergogna. «M-Mamma, per favore, n-non abbiamo tempo...» mormorò ancora la ragazza, cercando di liberarsi dalla stretta della donna.

«Sì, sì, scusa.» Angela si separò da lei, strofinandosi l’indice sotto gli occhi. Rachel la osservò basita. Si era... si era commossa? Addirittura?

«Ma perché tanta fretta?» domandò ancora la donna.

«Dobbiamo ancora andare al municipio, per parlare con l’ufficiale Harper in merito alle nostre mansioni» spiegò Rosso, il quale decise di evitare a Rachel l’onere di rispondere, visto che la corvina era ancora abbastanza scossa dalla precedente reazione esagerata di Arella. «Eravamo insieme al capitano Artemis ed i nostri amici, ma ci siamo persi nel mercato e non sapevamo dove andare. Siamo capitati in questa strada, abbiamo deciso di entrare qui per chiedere indicazioni e beh... non serve dire altro.»

«Sì, capisco. In tal caso, lasciate che venga con voi.» Angela sorrise, per poi rivolgere un’occhiatina eloquente a Rachel. «Non voglio separarmi così presto dalla mia bambina.»

«Mamma...» mugugnò di nuovo la giovane. «Ti prego...»

Per tutta risposta, sua madre ridacchiò nuovamente. «Scusa. Tu e Zoey venite con noi, Hester?»

«A dire il vero, ci eravamo già accordati di andarci prima del tuo arrivo» spiegò la giovane dai capelli color rame, avvicinandosi al gruppetto spingendo il passeggino, sorridendo.

«Oh. Beh, allora faremmo meglio a sbrigarci.»

Mentre si preparava ad uscire, e osservava Lucas aiutare Hester a scendere le scale con il passeggino, Rachel percepì di nuovo quella sensazione di calore al petto. Sua madre, Arella, era lì, con lei.

Era alla comunità, aveva i suoi compagni di viaggio, aveva Rosso, aveva trovato Lian, forse aveva stretto una nuova amicizia, e ora aveva perfino Angela.

Non avrebbe mai pensato di poterlo dire davvero, ma forse, per la prima volta in assoluto da quando tutta quella follia era iniziata, otto mesi prima... tutto sembrava essere, finalmente, perfetto. E, per una volta, decise di non pensare più a come tutto quello sarebbe potuto svanire rapido come lo aveva ritrovato.

 

***

 

Rachel si era perfino dimenticata che per arrivare a quel negozio di fiori lei e Rosso avevano dovuto percorrere quella strada malconcia e piena di persone che li scrutavano con diffidenza. Ma ora, mentre la stavano riattraversando assieme alla loro nuova compagnia, tutto quanto le stava tornando in mente alla perfezione. Soprattutto quando incontrarono di nuovo quel ragazzo con il cane, ora intento a rovistare in mezzo a dei rifiuti in un vicolo, affiancato dal suo amico a quattro zampe, il quale aveva già trovato qualche osso da sgranocchiare. Questa volta, concentrato sul suo pasto, ignorò bellamente la corvina e gli altri, mentre il suo padrone si limitò ad osservarli pigramente, con espressione incolore.

«Ma... perché questa gente si comporta così?» domandò Rachel ad Angela, a bassa voce. «Voglio dire... al mercato erano tutti completamente diversi...»

Arella sospirò, distogliendo il suo sguardo altrettanto perplesso e preoccupato dal ragazzo ed il suo pastore tedesco. «Queste sono persone che hanno scelto di non lavorare. Non hanno una casa e non hanno soldi, perciò vivono qui, per strada, alla giornata.»

Rachel dischiuse le labbra. Ora molte cose si spiegavano. Anche se non avrebbe mai immaginato che il non lavorare portasse a quelle situazioni così estreme. «E perché hanno scelto di non farlo?»

«Non lo so. Forse non ritenevano che fosse necessario. Magari non credevano davvero nello spirito della comunità, ma cercavano solamente un luogo dove essere al sicuro dai pericoli esterni. Del resto, non c’è nessuna regola che vieta alle persone di non lavorare. Semplicemente, se non lo fai devi essere pronto alle conseguenze.»

O forse sono semplicemente pigri, pensò Rachel. Anche se comunque, nel profondo, un po’ ammirava il coraggio di quelle persone. Perché ci voleva coraggio, o stupidità, per decidere di vivere in quel modo. E comunque, anche a Rachel non sarebbe spiaciuto non dover lavorare. Non perché fosse pigra, ma perché aveva bisogno di tempo ed energie per concentrarsi su tutt’altro. Più precisamente, su una piccola bazzecola come salvare il mondo.

«Tu invece lavori in quel negozio?»

«Sono la proprietaria» spiegò Arella. «Quando sono arrivata qui, ho iniziato a lavorare come infermiera nell’ospedale, ma poi ho capito che non faceva per me. Ho preso la gestione del negozio dopo che l’ex proprietario aveva deciso di chiudere i battenti. Hester lavorava già lì come commessa, così ho deciso di tenere anche lei, anche perché non potevo certo lasciarla senza lavoro e senza mezzi per provvedere alla sua bambina. Già è costretta a doverla portare nel negozio perché nessuno può occuparsi di lei, sarebbe stato crudele lasciarla senza lavoro. È stato un grosso cambiamento per me, ma sono riuscita comunque a cavarmela.»

«Gli affari vanno bene?» domandò Rachel, sollevando un sopracciglio. Non voleva essere pessimista, o mettere in dubbio la validità del lavoro di sua madre, ma vendere fiori non le sembrava proprio il modo più sicuro per guadagnarsi da vivere.

Angela si strinse nelle spalle. «Sono un po’ altalenanti. Ma quello che ricaviamo ci basta per guadagnarci da vivere. Può non sembrare, ma anche i giardinieri sono richiesti qui, soprattutto dalle persone più benestanti.»

«Ci sono persone benestanti, qui?»

«Quelli che sono qui nella comunità da più tempo. Quelli che vivono nei quartieri più alti e hanno posizioni più privilegiate.»

«Anche qui esistono queste gerarchie?» interrogò Rachel, sinceramente sorpresa. «Credevo che ognuno fosse sullo stesso piano...»

«Ricorda che stiamo pur sempre parlando dei pionieri della comunità. Sono stati i primi ad arrivare e, assieme al sindaco, ad avviare tutto quanto. Mi sembra giusto che abbiamo qualche privilegio in più.»

Rachel distolse lo sguardo, mordicchiandosi l’interno della guancia, pensierosa. «Sì, immagino tu abbia ragione» concluse, per poi lasciare che il silenzio scendesse tra loro per un breve istante.

La corvina sollevò il capo, lasciandosi accarezzare dai raggi del sole, che solo in quel momento si rese conto essere molto più caldo di quello a cui era abituata. Forse era il caso di smettere di andare in giro con quella felpa nera...

«Hai raccontato ad Hester di me, quindi?» domandò, con lo sguardo di fronte a sé, mentre osservava la strada. Ora erano in un’altra via, molto più ben messa e colorata della precedente, con alberi sui marciapiedi e negozi dalle vetrine che esponevano ogni qualsivoglia di merce, da vestiti, a dolci, a scarpe.

Angela, nel frattempo, sospirò. «Sì. Insomma, parlando di Zoey e argomenti del genere, è stato inevitabile menzionarti...»

«E ci sono altre persone che sanno che sono tua figlia?»

«Solamente sua sorella, e i suoi compagni soldati, ma non preoccuparti, loro sono molto discreti. Immagino tu abbia già conosciuto uno di loro, si chiama Simon.»

Rachel spalancò gli occhi. Oh sì che lo aveva conosciuto. Adesso capiva molto bene perché l’aveva guardata in quel modo, quando si era presentata, ma anche prima di dargli i suoi documenti, a dire il vero. L’aveva riconosciuta. Simon aveva capito chi fosse. Forse era anche per questo che aveva lasciato passare lei ed i suoi amici nonostante la sua discussione con Lucas. Un sorriso scappò dalle labbra di Corvina. Dopo quanto aveva appena scoperto, pensò di poter rivalutare Simon. Allora non era un automa privo di emozioni che sapeva solo eseguire gli ordini. Anche lui doveva avere un cuore sotto quell’uniforme grigia scura.

Se lo avesse rivisto, lo avrebbe ringraziato di certo.

«E… il padre di Zoey?» A Rachel era parso di capire che lui non fosse più presente.

L’espressione buia di Angela fece intuire alla Corvina che la sua deduzione fosse corretta. «Se n’è andato dopo le esplosioni. Non so il motivo esatto, Hester raramente ha mai parlato di lui. È un argomento molto delicato, per lei.»

«Capisco.» Un’altra cosa che Rachel non disse, era che il nome di Hester non le suonava completamente nuovo. Era una cosa a cui non aveva prestato molta attenzione all’inizio, complice anche il fatto che aveva appena ritrovato sua madre, ma ora, a mente fredda, quel pensiero continuava a stuzzicarle la mente. Aveva già sentito Hester, da qualche parte. Ma dove?

«Che mi dici di Lucas?»

Quella domanda fece trasalire la giovane, che si voltò verso Angela, per poi notare la sua espressione a metà tra la divertita e la curiosa. Sembrava proprio aver preso a cuore quella faccenda. «Come vi siete conosciuti?»

Corvina sospirò. Per essere una donna adulta, sua madre si stava comportando proprio come una ragazzina pettegola. «Abbiamo unito le forze ad Empire City» iniziò a spiegare, realizzando che, oramai, Arella non avrebbe più smesso di tormentarla fino a quando non avrebbe avuto ciò che voleva. «Eravamo entrambi soli, senza amici, senza alleati. Ci... ci siamo dati una mano a vicenda.»

«Oh» mormorò Arella, per poi apparire dispiaciuta. «Giusto, ho sentito cosa è successo ad Empire. Deve essere stata dura per voi... ma in cuor mio sapevo che te la saresti cavata» sorrise, per poi passarle la mano fra i capelli.

«Sì, io...» Rachel esitò. Si rese conto solo in quel momento che sua madre non aveva la minima idea di che cosa lei fosse in realtà. Non poteva sapere che lei fosse sopravvissuta all’esplosione, non poteva sapere che lei fosse una conduit. Rimase con le labbra schiuse, non avendo la minima idea di che cosa dire. Avrebbe dovuto svelarle il suo segreto? Farlo sarebbe stata la cosa più giusta, Angela era pur sempre sua madre, però... non aveva idea di come avrebbe reagito. Non sapeva come i conduit fossero visti da quelle parti, ma sicuramente non bene a giudicare da ciò che Simon aveva raccontato. Decise di sorvolare su quella questione, almeno temporaneamente.

«All’inizio la nostra alleanza era completamente disinteressata» spiegò ancora, tornando alla risposta precedente. «Però, poi...» Rachel sentì le goti pizzicare. Abbassò lo sguardo, imbarazzata. «... poi è diventata qualcosa di più...»

«Un classico» ridacchiò Angela. «Sono felice per voi.»

Rachel abbozzò un sorriso, dopodiché spostò lo sguardo su Lucas, il quale camminava poco distante da loro, con le mani in tasca e lo sguardo smarrito tra i palazzi della città. Addolcì il suo sorriso, ripensando a tutto quello che il moro aveva fatto per lei. L’aveva sopportata per tutto quel tempo, era tornato quando lei gli aveva voltato le spalle, c’era sempre stato, per lei. A differenza di...

Richard..., pensò la corvina, sentendo il proprio stomaco attorcigliarsi.

Improvvisamente, Lucas svanì dalla sua vista. Al suo posto, intento a camminare accanto a loro, apparve il suo amico di infanzia; quello della scuola, quello che aveva visto nel suo ultimo sogno. Rachel spalancò la bocca. Per un momento rimase incantata di fronte a quella vista, a quel ragazzo dai capelli neri, lucidi, ordinati, i suoi occhi cristallini, i lineamenti morbidi. Richard si voltò poi verso di lei, per poi sorriderle. A quel punto, la conduit sentì il proprio cuore iniziare a battere all’impazzata.

«Rachel?» la chiamò, facendola irrigidire.

La ragazza rimase pietrificata, non sapeva cosa dire, come rispondere.

«Rachel?» ripeté lui, posandole una mano sulla spalla. Trasalì con quel contatto. Batté le palpebre un po’ di volte, confusa per poi ritornare alla realtà. Richard svanì, al suo posto Lucas riapparve alla sua vista.

Rachel si posò una mano su una tempia, mugugnando infastidita.

«Siamo arrivati.» La ragazza spostò lo sguardo verso la direzione indicatale da Rosso, per poi notare un grosso edificio bianco, dall’architettura più rudimentale rispetto agli altri, alla cima di una lunga scalinata.

«Eccoci» mormorò Rachel, sentendo una strana sensazione di pesantezza allo stomaco. Terminata la registrazione in quel luogo, la sua nuova vita nella comunità sarebbe iniziata.

«Ci siamo.» Lucas, accanto a lei, incrociò le braccia. «Forza, andiamo» esordì, per poi salire le scale.

Pure Rachel avrebbe voluto avere tutta quella sicurezza in sé stessa. Era pur sempre il loro futuro l’argomento in discussione. Ma forse, poteva comprendere Rosso: il suo desiderio di schiacciare il pulsante di reset ed iniziare con una nuova vita doveva certamente essere molto più impellente di quello della corvina. Anche lei desiderava voltare pagina, ovviamente, ma Lucas, con il suo passato, non lo desiderava solamente, doveva proprio necessitarlo. Sospirò, poi si voltò verso Angela ed Hester.

«Noi aspettiamo qui» spiegò sua madre, con un cenno del capo. «A dopo.»

Corvina annuì. «D’accordo. A dopo.»

Ma prima che Rachel potesse fare più di tre passi, Arella la afferrò per un braccio. «Aspetta!»

La giovane si fermò, perplessa. «Sì?»

«Ascolta, Rachel...» Angela la lasciò andare, incrociando le mani di fronte al ventre. «... non sai davvero quanto mi dispiace... per... quello che ti ho fatto.»

«Mamma...» rispose Corvina, sospirando. «... ne riparleremo, ok? Adesso devo proprio...»

«Voglio farmi perdonare» la interruppe sua madre, seria in volto. «E... voglio anche recuperare il tempo perduto, quindi... potresti venire a vivere con me.»

Rachel dischiuse le labbra. «Intendi... intendi dire... insieme?»

«Sì, insieme.» Arella sorrise. «La mia casa è tanto grande ed io sono... tanto sola. Che ne pensi? Penserò io tutto quanto, te lo prometto. Non dovrai nemmeno trovarti un lavoro, non subito almeno, così avremo modo di poterci raccontare tutto quanto. Allora, ti va? Puoi anche portare Lucas se vuoi...»

Corvina sentì le guance in fiamme per l’ennesima volta. Tuttavia, quella sensazione durò poco, non appena si rese conto della possibilità gigantesca che le si era parata di fronte. «Quindi... quindi vuoi ospitarmi a spese tue?»

«Ma certo. Sei pur sempre mia figlia, santo cielo. Ti meriti qualche settimana di riposo dopo tutto quello che hai passato.»

«Io... io non so cosa dire...» mormorò Rachel, incredula. «Mamma...»

«Non devi dire nulla di che. Solo... sì o no.»

«Sì. Certo che sì.» Rachel abbracciò la madre, grata. Quello, era esattamente ciò di cui aveva bisogno. Tempo. E sua madre, gliene aveva appena offerta una quantità inestimabile. «Non sai quanto mi sia stata d’aiuto. Grazie, davvero.»

Arella ridacchiò, ricambiando la stretta. «Sono sulla buona strada per essere perdonata, quindi?»

«Penso... penso di sì.» Rachel si separò da lei, addolcendo la propria espressione. «Ma ne riparleremo, ok? Ora devo proprio...»

«Vai, non voglio rubarti altro tempo. Ci vediamo quando hai finito. E sono sempre curiosa di conoscere il resto dei tuoi amici.»

Corvina abbozzò un sorriso. «Sono certa che ti piaceranno.»

Salutò Angela ed Hester, che era rimasta in silenzio ed in disparte, e si affrettò a raggiungere Rosso, il quale si era fermato ad aspettarla. Quando lo raggiunse gli rivolse un cenno del capo. Il moro lo ricambiò e, senza dire altro, i due entrarono nel municipio.

 

***

 

La hall d’ingresso era stretta, lunga, con il pavimento di marmo e diverse sedie di plastica disposte ai lati di essa, probabilmente per attendere, una rampa di scale al fondo della sala che conduceva ai piani superiori e diverse porte chiuse che sicuramente dovevano condurre ai vari uffici.

«Ragazzi!» esclamò Tara andando loro incontro non appena varcarono la soglia. Sembrava sollevata di vederli. Rachel, certamente, lo era. «Ma dov’eravate finiti? Ci stavamo preoccupando!»

«Sappiamo badare a noi stessi...» brontolò Lucas, incrociando le braccia, mentre anche Amalia ed Artemis li raggiungevano. Fu un sollievo per Corvina sapere che loro li stavano già aspettando al municipio. Alle spalle delle altre due ragazze poté notare Jack e Richard, il primo seduto su delle sedie, mentre l’altro se ne stava distante da lui, appoggiato al muro con il capo chinato, chiaramente assorto nei suoi pensieri. Non appena rivide il Mietitore, la conduit percepì una strana sensazione allo stomaco. Distolse lo sguardo da lui, poi si concentrò su Komi. 

«Più che altro pensavamo che non avreste trovato questo posto» stava spiegando la ragazza mora, osservando Rosso con un sopracciglio sollevato. «O che vi metteste a scorrazzare come a Sub City, a fare dio solo sa cosa...»

«Non so a cosa tu ti stia riferendo» replicò Lucas, strappando un sorrisetto a Rachel. Ricordava l’avventura di Sub City; quando Deathstroke li aveva scoperti e gli aveva sparato addosso con un lanciarazzi. E ricordava anche come Ryan avesse definito fantastico tutto quello. Il pensiero del ragazzino fece vacillare il sorriso dal volto della conduit. Quanto avrebbe voluto che anche lui si trovasse lì con tutti loro, al sicuro.

«Sì, beh, arrivate proprio al momento giusto.» Le parole di Artemis distolsero la corvina da quei macabri pensieri. Si voltò verso la bionda, la quale appariva quasi accigliata. «O sbagliato, decidete voi. Roy mi ha contattato poco fa, non potrà occuparsi di voi, oggi. Quindi, anche la procedura alternativa è andata al diavolo.»

«Perché?» domandò Lucas. «Che è successo?» 

«Problemi» mugugnò Lian. «Sempre e solo problemi. Dovrete trovare un posto dove trascorrere la notte e tornare qui domani pomeriggio, mi spiace.»

«E come facciamo a trovarlo?»

«Possiamo assegnarvelo noi, ma in questo caso vi toccherà aspettare qui ancora un po’. Stiamo avendo contrattempi non indifferenti ultimamente, e in assenza di un ufficiale le cose non fanno altro che complicarsi ulteriormente. Dobbiamo aspettare una notifica del responsabile di questa cosa e...»

«Non... credo ce ne sarà bisogno» la interruppe Rachel. La soldatessa spostò lo sguardo su di lei, osservandola pigramente. Sembrava quasi che non volesse nemmeno ascoltarla. Forse non aveva gradito il fatto che il "bel fusto" Red X stesse già con lei, ma quella era solo una teoria, Rachel non poteva saperlo con certezza.

No signore..., pensò la corvina, per poi sospirare ed andare avanti. Un po’ si sentiva in colpa per ciò che stava per fare, ma era una situazione di emergenza, da quello che aveva capito, ed inoltre... sua madre desiderava così tanto di farsi perdonare. «Io so dove potremmo passare la notte. C’è... c’è una persona disposta ad ospitarmi.»

Artemis sollevò un sopracciglio, scettica. «Siete appena arrivati, chi mai potrebbe...»

«Mia madre.»

Lian spalancò gli occhi, ora apparendo sinceramente sorpresa. E lo stesso discorso valeva per Tara e Amalia, le quali osservarono Rachel come se provenisse da un altro pianeta. Pure Richard sollevò il capo, udendola.

«Tua... madre?» domandò Tara, la prima che riuscì a parlare di nuovo. «Ma... ma come...»

Rachel sospirò, poi cominciò a spiegare. Udendo quella storia uscire dalle proprie labbra, si rese conto di quanto, davvero, sembrasse assurda. Già prima la corvina lo aveva pensato, ma raccontando tutto l’accaduto, in quel modo, non faceva altro che rafforzare questo suo pensiero.

Era tutto così... incredibile. Una parte di lei ancora non riusciva a crederci. L’altra, invece, le diceva semplicemente di non porsi domande e di godersi quella che era una delle poche cose buone che le erano capitate fino a quel momento. Non importava come, dove, in che circostanza era accaduto, l’importante era che lei ed Arella fossero, finalmente, di nuovo insieme.

«Angela la fiorista...» mormorò Lian, una volta che il racconto fu concluso. La bionda si prese il mento, per poi scrutare la conduit, quasi come se volesse accertarsi con i suoi occhi che quelle parole fossero vere. «Ma come ho fatto a non accorgermene? Siete due gocce d’acqua...»

«La conosci?» domandò Rachel, sorpresa.

Lian scrollò le spalle. «Conosco la sorella della sua dipendente. Frequentandola ho avuto modo di conoscere anche lei. Ma non sapevo che avesse una figlia.»

«Non l’ha detto a molti, infatti.»

«Quindi... ci ospiterà tutti?» domandò Tara, sorpresa.

«Beh... ecco, credo di sì. Si tratta solo di un giorno dopotutto. Ma vi prego...» Rachel sollevò le mani, osservando i propri compagni con sguardo quasi implorante, specialmente Amalia. «... comportatevi bene. D’accordo?»

«Sta tranquilla» esclamò Komi, dandole una pacca sulla spalla decisamente molto più forte di quelle a cui la corvina era abituata. «Con noi sei in una botte di ferro!»

Il sorriso di Amalia fece dubitare altamente Rachel della sua decisione. Ma ormai era tardi per tornare indietro. La corvina sospirò. «Forza, usciamo da qui.»

 

***

 

«Hai fatto presto» osservò Angela quando Rachel tornò da lei, per poi sorridere. «Sono loro i tuoi amici?»

Corvina annuì, per poi volgere un braccio in direzione dei ragazzi. «Ti presento Tara e Amalia.» Le due giovani salutarono a turno la madre di Rachel.

«Tu saresti la famosa sorella di Rachel, giusto?» domandò Komi, incrociando le braccia, con un sorriso idiota stampato sul volto.

Angela rise, coprendosi la bocca con la mano. «Tu mi piaci» commentò, mentre Rachel si voltava basita verso l’amica, che sghignazzò a sua volta.

La conduit sospirò, per poi indicare i due restanti componenti del gruppo. «Loro invece sono Richard e Jack, si sono uniti a noi da poco, anche se Richard lo conoscevo già da molto tempo.»

«Eravamo a scuola insieme» confermò Robin, sollevando il capo quasi con aria di superiorità. «La conosco da allora. Poteva sempre contare su di me.»

Rachel lo osservò perplessa, dopo quella sua dichiarazione. Sembrava quasi che volesse impressionare Angela. O che volesse semplicemente far imbestialire Lucas. La seconda certamente aveva funzionato.

«Piacere di conoscervi.» Arella chinò il capo in segno di gratitudine. «È bello sapere che la mia bambina poteva contare su di voi.»

«Mamma!» esclamò Rachel, imbarazzata. Le risatine di Amalia e Tara provenienti dalle sue spalle le fecero venire voglia di sotterrarsi viva.

«Ascolta, mamma» riprese Rachel, dandosi un contegno, mentre le altre due ragazze facevano la conoscenza anche di Hester e Zoey. Tara parve innamorarsi della piccina al primo sguardo.

«Purtroppo ci sono stato dei contrattempi e dovremo tornare qui domani, ma siamo senza un posto dove passare la notte. Quindi, ho ripensato alla proposta che mi avevi fatto, e ho pensato che...»

«Devo ospitarvi tutti?» domandò Arella, sorpresa.

La conduit si sentì in imbarazzo. Angela le aveva appena detto di essere disposta ad ospitarla e lei già voleva approfittarsi della sua gentilezza per far dormire a scrocco sei persone a casa sua. Forse non avrebbe dovuto offrirsi per trovare un posto dove trascorrere la notte per tutti loro...

«Non tutti» si intromise Richard. «Io e Jack verremo ricoverati in ospedale. Non ci saremo nemmeno domani.»

«Che cosa?» domandò Rachel, stupita.

«L’ha deciso Roy via telefono, mentre parlava con Lian» spiegò Robin, incrociando le braccia. «Visto che era senza memoria, ha deciso di far ricoverare Jack, farlo vedere da qualche esperto che magari potesse aiutarlo. Siccome io mi trovo in una condizione simile alla sua, ho deciso di aggregarmi. Sarà un vero spasso, dico bene Jack?»

«Eh?» Il ragazzino trasalì, non sembrava essersi accorto della loro discussione fino a quel momento.

«Perciò non preoccupatevi, non rimarremo a rompervi le scatole. Scommetto che non aspettavate altro.»

«Non è vero» rispose Rachel. «E tu lo sai.»

Robin sollevò un sopracciglio. Dopodiché gli sguardi di entrambi si spostarono automaticamente su Rosso, il quale spalancò gli occhi. Il moro sollevò le mani e si voltò, chiaramente preferendo rimanere fuori quella discussione.

L’ex Mietitore e la conduit tornarono a guardarsi. «Vuoi davvero provare a recuperare la memoria?» chiese lei.

«Certo. E inoltre...» Il brizzolato accennò impercettibilmente con il capo a Jack. «... sai già cosa penso.»

«Sì.» Rachel annuì. Robin non era ancora intenzionato a far cadere i propri sospetti su Jack. «Verrò a trovarti.»

«Grazie.» Robin abbozzò un sorriso, per l’enorme sorpresa della conduit. Ma non un sorriso da Mietitore, come lei avrebbe potuto aspettarsi, un sorriso sincero: un sorriso da Richard.

La voce di Angela permise a Rachel di non rimanere immobile come uno stoccafisso di fronte a lui. «D’accordo allora» annunciò. «Questa sera, sarete tutti miei ospiti.»

Anche Corvina sorrise, colpita dall’entusiasmo della donna. «Grazie mamma. Grazie davvero.»

«Quindi è deciso» affermò Lian. «Grazie Angela, ci hai risparmiato un sacco di problemi in più.»

«Figurati Artemis, è sempre un piacere per me potermi rendere utile.»

La ragazza bionda le rivolse un cenno di gratitudine con il capo, poi si rivolse a Richard e Jack. «Seguitemi, vi accompagno all’ospedale.» Artemis espirò profondamente, per poi sollevare il capo, volgendolo verso il cielo. «Questa giornata non finisce più...» borbottò, iniziando a camminare, seguita da Richard e da un più riluttante Jack.

Rachel la seguì con lo sguardo, mordicchiandosi l’interno della guancia. Cominciò a capire perché, a volte, si comportasse come si era comportata con Lucas. Il livello di pressione psicologica a cui doveva sottostare tutti i giorni non doveva essere facilmente tollerabile. Doveva costantemente occuparsi dei cittadini, della loro sicurezza e, in casi come quelli, doveva pure pensare a tutta la spazzatura burocratica. Inoltre, era evidente che fosse in pensiero per Roy e Kostantin. Non doveva essere facile, per lei. Osservandola, le ritornarono in mente Jade e le sue parole all’improvviso, accompagnate da una stretta allo stomaco. Non poteva lasciare che le sue parole, il suo affetto per Lian, più il suo ricordo, venissero dimenticati.

Corvina si fece coraggio, poi fece un passo avanti. «Lian.» Non appena si rese conto di ciò che aveva fatto, spalancò gli occhi. Artemis si irrigidì come un chiodo, per poi voltarsi verso di lei, adirata.

«Scusa, volevo dire Artemis» biasciò la conduit, non riuscendo a reggere il suo sguardo.

«Cosa vuoi?» Il tono di voce della bionda non sembrava molto entusiasta di dover ancora avere a che fare con lei.

«Ascolta...» Rachel le si avvicinò, rimanendo costantemente sotto il suo sguardo scettico. «... devi sapere una cosa. A Sub City, io ho... ho incontrato Jade. Mi ha parlato lei della comunità.»

Artemis spalancò gli occhi, lo scetticismo di poco prima ora completamente rimpiazzato da genuino stupore. «Come sta?» domandò immediatamente, di getto, probabilmente senza nemmeno rendersene conto e con una marcata vena di preoccupazione nella propria voce. Si sarebbe aspettata una reazione molto diversa da quella; credeva che tra le due sorelle non scorresse buon sangue e per questo motivo, per Rachel, fu ancora più difficile dirle la verità. Anche se la sua espressione mortificata dovette parlare al posto suo, perché Lian dischiuse le labbra.

«Oh…» mormorò la soldatessa, per poi abbassare lo sguardo. «Chiaro...»

«Mi dispiace» sussurrò Rachel.

Lian scosse lentamente il capo, il volto privo di espressività; era impossibile capire a cosa stesse pensando. «Quella stupida...» bisbigliò Artemis, per poi strizzare le palpebre. «Ha abbandonato tutte le persone che le volevano bene, me, Roy, anche nostra madre in realtà gliene voleva, solamente perché pensava che i nostri genitori fossero dei mostri. È sempre stata una testa calda e sapevo che si sarebbe cacciata nei guai. Se solo non l’avesse fatto, se solo fossimo rimaste insieme...» La bionda strinse i pugni con forza, la voce le si incrinò perfino. «Stupida, stupida, stupida!» Artemis sollevò di nuovo il capo, per poi osservare Rachel. «Com’è successo?»

«Abbiamo... abbiamo affrontato un uomo, che credo conoscesse vostro padre. Si chiamava Slade. Wilson Slade.»

«Il mercenario?» domandò Lian, sorpresa. «Che ci faceva a Sub City? E perché avete combattuto contro di lui?»

«È… è una lunga storia.»

«Purtroppo non ho il dannato tempo per le storie lunghe» sospirò Artemis, massaggiandosi una tempia. Se prima sembrava stanca, ora pareva distrutta. «Me la racconterai un’altra volta. Ma… apprezzo che tu me l’abbia detto.»

«Non c’è problema. Era giusto che lo sapessi. Ti voleva bene, te ne voleva davvero. Il suo ultimo pensiero sei stata tu.»

«Dici... dici sul serio?»

«Sì.»

Un sorriso cominciò a prendere lentamente forma sul volto della bionda, che chinò il capo. «Mi... mi fa piacere saperlo… grazie, Rachel.»

«Prego.»

Le due si scambiarono un cenno, dopodiché la soldatessa proseguì per la sua strada insieme ai due ragazzi. Richard rivolse a Rachel un’occhiata incuriosita, ma non si fermò a chiederle nulla. Era chiaro che quella storia lo avesse incuriosito. In ogni caso, Rachel fu felice di essere riuscita ad allentare la tensione tra lei e Lian. Era una brava ragazza, semplicemente… era anche parecchio stressata.

«Jade la conosceva?» domandò Rosso, sorpreso.

Rachel annuì. «Era sua sorella.»

«Non me l’avevi detto...»

«Abbiamo avuto altro a cui pensare.»

«Sì... hai ragione.»

«Povera ragazza...» mormorò Hester, stringendosi a Zoey. «Le esplosioni... hanno sconvolto le vite di tutti quanti. È… è disgustoso...»

Angela abbassò lo sguardo, con espressione mesta. Pure Komi e Tara si strinsero nelle spalle, mentre Rosso incrociò le braccia, corrucciato. Corvina osservò tutti i presenti, per poi pensare a quanto fossero vere le parole della giovane madre. E pensò anche alla stessa giovane madre. Non doveva essere facile crescere una figlia da sole, non dopo le esplosioni, almeno. Per fortuna Hester e Zoey erano al sicuro nella comunità, altrimenti Rachel non avrebbe potuto immaginare come sarebbero potute sopravvivere in una città come Empire.

«Coraggio, non abbattiamoci proprio ora» disse Angela, poggiando una mano sulla spalla di Hester. «Anche tu sarai mia ospite a cena, questa sera. Va bene?»

«Certo» sorrise la rossa. «Una cena gratis non si rifiuta mai.»

«Non preoccuparti, verrà tagliata dalla tua prossima busta paga.»

Hester spalancò la bocca.  «Non... non dici sul serio, vero?»

Arella ridacchiò, tuttavia senza risponderle, lasciandola con la mascella a pendere verso il basso. «Coraggio, andiamo» esordì la donna, mettendosi a camminare. «Vi preparerò una cena coi fiocchi. Sono certa che non vedevate l’ora di poter finalmente mettere qualcosa di decente sotto i denti!»

 

***

 

Quando Angela aveva detto di avere una grande casa, Rachel si era aspettata un grande appartamento, o una roba del genere; di sicuro non una villetta. Una casa a due piani, con ben tre camere da letto, tra cui quella degli ospiti, un bagno per ciascuna camera e perfino mansarda e seminterrato.

Arella aveva spiegato che, nonostante non fosse stata una dei pionieri, era comunque arrivata prima di molte altre persone nella comunità, pertanto era riuscita ad accaparrarsi quel posticino niente male.

La sensazione che Rachel provò dopo, quando l’acqua calda della doccia cominciò a scorrere sul suo corpo nudo, fu impareggiabile. Potersi finalmente fare una doccia dopo così tanto tempo era stato un vero dono dal cielo, e sicuramente una delle cose per cui poteva essere più grata in assoluto a sua madre. Potersi finalmente coccolare un po’, massaggiarsi le braccia, la cui pelle non doveva essere stata così morbida e profumata da mesi e mesi, lavare via dai capelli tutta quella polvere e sporcizia che si erano accumulati con il tempo. Le sembrò quasi di rinascere dal corpo della sua vecchia sé stessa, come se quell’acqua calda stesse cancellando via da lei ogni traccia del suo passato, ed effettivamente non era poi un ragionamento così errato: ora era nella comunità, era con sua madre, aveva nuovi amici, aveva Lucas. Quella doccia altro non era che l’ennesima prova materiale che, finalmente, poteva smetterla di lottare per la propria sopravvivenza.

Uscì fuori, passeggiando sulle piastrelle di marmo fredde, lasciandosi dietro una scia bagnata che, sicuramente, sua madre non sarebbe stata entusiasta di vedere. Forse avrebbe fatto meglio ad asciugarla più tardi. Si asciugò il corpo con l’accappatoio e degli asciugamani, dopodiché si mise di fronte allo specchio per occuparsi dei capelli. Erano decisamente più lunghi rispetto all’ultima volta che aveva prestato loro attenzione, mesi prima. Il carré che l’aveva contraddistinta così tanto ai tempi della scuola ora era quasi scomparso, a causa della maniera disomogenea con cui i capelli erano cresciuti, ma non erano comunque molto lunghi. Se non altro, così non assomigliava più ad un ragazzino, ma ad una ragazza con i capelli corti e basta, il che era già un passo avanti. Da lì, poté anche constatare che, malgrado la scarsa alimentazione, il suo corpo non ne aveva risentito particolarmente. Era dimagrita, certo, ma fortunatamente non era scheletrica come aveva creduto, e le sue linee si potevano ancora distinguere piuttosto bene. La cosa non le importava particolarmente, ma se non altro era bello vedere come il suo corpo avesse resistito a tutte le intemperie a cui era stato sottoposto.

Una volta fuori dal bagno, vestita con i suoi jeans ed una semplice t-shirt grigia, si stravaccò sul letto matrimoniale, inebriata dal profumo della stanza pulita e dello shampoo che aveva usato. Sprofondò sul materasso, sospirando in parte esausta ed in parte estasiata da tutto quello. Se si trovava in un sogno, allora non voleva più svegliarsi.

Si guardò attorno, esaminando distrattamente le pareti bianche, pulite ed intatte a differenza di quelle a cui si era abituata, più lo spoglio arredamento della stanza, l’armadio a due ante di legno, i comodini ai lati del lettone e il grosso lampadario che pendeva sopra la sua testa. Quella era la camera degli ospiti, con letto matrimoniale, dove lei e Rosso avrebbero alloggiato, mentre Tara e Komi sarebbero rimaste in quella con i letti singoli. Rachel socchiuse gli occhi, stanca, ma Lucas entrò nella camera proprio in quel momento. «Ehi, hai finito con la doccia?»

Quando la ragazza rispose di sì, Rosso annuì. «Bene, la faccio anch’io allora.»

«Gli asciugamani sono nel mobile sotto la specchiera.»

Lucas sollevò il pollice, per poi entrare nel bagno a sua volta. Rachel lo seguì con lo sguardo, fino a quando questi non si richiuse la porta alle spalle. A quel punto, la corvina riadagiò il capo contro il cuscino. Non passò molto prima che il rumore dell’acqua che scorreva nella doccia cominciasse a farsi sentire di nuovo.

Fu quasi inevitabile per Rachel immaginare il corpo muscoloso e graffiato del ragazzo sotto il getto caldo. La ragazza si sentì avvampare, dopodiché scosse il capo, cercando di allontanare quei pensieri assolutamente non da lei. Rimase quindi sdraiata, con gli occhi chiusi, riposandosi dopo quella giornata tutto sommato parecchio stancante, con il rumore del getto della doccia in sottofondo. Il letto era morbidissimo, e dopo aver passato così tanto tempo a dormire su pavimenti sporchi e freddi, le sembrava perfino che la stesse coccolando.

Per un momento le parve quasi di potersi addormentare lì, quando la porta del bagno di aprì all’improvviso. Lucas uscì con i capelli ancora bagnati e con indosso una maglietta delle maniche corte nera, decisamente troppo piccola per lui a giudicare da come fossero chiaramente visibili le linee degli addominali sul busto, ma come il ragazzo aveva già detto, non aveva mai potuto vantare di un guardaroba particolarmente grande. E, anche questa volta, la corvina si ritrovò a comportarsi decisamente poco da "Rachel", mentre si drizzava a sedere sul bordo del materasso e rimaneva incantata a fissare il corpo del partner. Non lo aveva mai detto apertamente, ma il suo fisico le era sempre piaciuto. Non troppo muscoloso, ma nemmeno troppo gracile. Era un connubio perfetto tra le due cose, chiaramente dovuto alla frenetica vita che aveva vissuto prima delle esplosioni.

«Rachel?» domandò il ragazzo, riportandola alla realtà, con uno strano sorriso. «Tutto ok?»

La giovane sussulto. «Ahm... sì, certo...»

«Sicura? Ti eri incantata...»

Rachel sentì le guance bruciare. «N-Non è vero...»

«Ehi, non c’è niente di male in questo» proseguì Rosso, incrociando le braccia, sghignazzando. «Anche a me piace vederti finalmente senza quel maglione...»

Dopo quell’affermazione, perfino un pomodoro sarebbe stato meno rosso della corvina. Senza che nemmeno se ne rendesse conto, Lucas si era avvicinato al lei, sempre mantenendo le braccia conserte. La ragazza lo osservò imbarazzata, per poi decidere di darsi finalmente un contegno. Oramai il peggio era passato, erano tranquilli, al sicuro, non era più costretta a rimanere sempre seria e vigile. Anche lei era pur sempre un’adolescente, anche lei poteva permettersi di comportarsi come tale. Poteva lasciare uscire le proprie emozioni, almeno per una volta, che male ci sarebbe stato? Aveva bisogno di momenti come quello. Tutti quanti ne avevano. Sorrise, per poi adagiarsi nuovamente sul materasso, facendo cenno a Rosso di imitarla. Non dovette ripeterlo due volte: poco dopo, si trovava immobilizzata sul lettone, con Lucas messo a carponi sopra di lei.

I due si scambiarono uno dei loro sguardi, uno dei loro sorrisi, e per il resto non servì altro. Rosso si abbassò su di lei, cercando e catturando immediatamente le labbra di Rachel fra le sue. La ragazza sentì lo stomaco in subbuglio, più quella sensazione di calore che le attraversava tutto il corpo, ogni centimetro di pelle, facendola fremere. Sentiva il respiro caldo del partner scivolare sul suo volto, mentre le loro labbra e le loro lingue rimanevano premute tra loro, in uno di quei baci diversi dagli altri, più voraci, più bramosi, più desiderosi. Corvina sentì il corpo del ragazzo avvicinarsi sempre di più al suo, fino a quando non si trovò sopra di lei nel vero senso della parola. Percepì le sue mani dal tocco incredibilmente morbido, caldo e perfino ancora un po’ umido dopo la doccia, adagiarsi sul suo ventre, facendola rabbrividire. Un gemito le sfuggi dalle labbra quando le dita del partner si insinuarono sotto la t-shirt, sfiorandole la pelle delicata.

Lucas separò le labbra dalle sue, per poi cominciare a disseminare baci ovunque potesse, sotto il suo mento, sul collo, sulle guance, mentre le tastava i fianchi con i palmi. Rachel boccheggiò, passandogli una mano fra i capelli umidi, incitandolo a proseguire. Cominciò a capire dove la cosa stesse andando a parare, cominciò a capirlo molto bene. E avrebbe mentito dicendo che la cosa non la intimoriva. Non aveva mai baciato un ragazzo prima di Lucas, cosa di cui ancora si vergognava, quindi figurarsi essere arrivata fino a quel punto. Non sapeva come il suo corpo avrebbe potuto reagire a tutto ciò, ma soprattutto il suo pensiero costante era quello di spaventare Rosso con la sua inesperienza, spingendolo addirittura a farlo allontanare da lei.

Percepì una brezza gelida sul bacino, mentre la sua maglietta veniva sollevata lentamente, ed emise un verso sorpreso. Lucas separò le labbra dalla sua pelle, per poi sollevarsi con il capo per guardarla. I due si osservarono. Rachel sentiva ogni centimetro del suo volto bruciare, ma anche Rosso sembrava essere avvampato.

«Rachel...»

«Lucas…»

I loro sguardi rimasero a lungo piantati l’uno sull’altro, il tempo parve quasi fermarsi. Poi, lentamente, gli occhi del moro si spostarono sul ventre ora scoperto della conduit. Rachel lo osservò a sua volta, continuando a sentire quel calore divorarla dall’interno. Quel calore che lei sapeva bene da dove proveniva, anche se non voleva ammetterlo. Avrebbe potuto continuare a fingersi ingenua ed inesperta quanto voleva in quella materia, ciò non le avrebbe comunque impedito di capire cosa stesse accadendo al suo corpo. C’erano casi in cui la sua mente poteva avere il sopravvento sul resto, ma non era quello; credeva che combattere con i propri poteri per avere il controllo di sé stessa era stato difficile, ma non era niente se paragonato al cercare di reprimere i propri istinti in un momento come quello.

Il suo corpo lo desiderava, lo stesso Rosso, ancora lì, in attesa, lo desiderava. Era la sua mente che, come al solito, cercava invece di frenarla, di fermarla, di farle riacquistare quel controllo di cui sapeva di aver bisogno ma che allo stesso tempo non rivoleva. Per una volta voleva sentirsi proprio come non aveva mai avuto modo di sentirsi prima di allora, voleva anche lei provare quelle sensazioni, voleva dimostrare a sé stessa che non doveva esserne spaventata, voleva... voleva sentirsi come tutte quelle ragazze che non erano mostri possessori di poteri paranormali. Voleva sentirsi umana. E non c’era niente di più umano di quello.

Avvolse le braccia attorno alla schiena di Lucas, tirandolo a sé, e lui non si lasciò di certo pregare. Tornarono ad abbracciarsi, ad accarezzarsi, a baciarsi, mentre Rachel, sempre più inebriata, avvolgeva le gambe attorno alla vita del moro come già in passato aveva fatto, questa volta, però, con molta più insistenza. Sentì il proprio basso ventre premersi contro quello duro del ragazzo, e quel calore che cresceva dentro di lei come il fuoco di una fornace farsi sempre più forte, sempre più insistente.

Ma proprio quando credeva di essere arrivata al limite, qualcuno bussò alla porta, chiamandola ad alta voce: «Rachel?»

La ragazza sgranò gli occhi, lo stesso fece Lucas: era Angela. I due si schiodarono istantaneamente l’uno dall’altra, Rosso si mise seduto accanto a lei, mentre la giovane sentiva ancora quel calore che ormai non voleva proprio più abbandonarla in mezzo alle proprie gambe.

«S-Sì?» biascicò Rachel, non sapendo se poter definire provvidenziale l’arrivo di sua madre in quel momento oppure dannatamente inopportuno.

«Volevo solo dirvi che la cena è pronta e che le vostre amiche sono già sotto. Se che è presto, però ho pensato che aveste fame, dopo tutta la strada che avete fatto…»

«O-Ok mamma, scendiamo subito.»

«Va bene, vi aspettiamo allora.»

Rachel trattenne il respiro fino a quando non udì i passi della donna allontanarsi. A quel punto, espirò profondamente e sprofondò di nuovo sul materasso. Accanto a lei, Rosso distese la bocca in una strana espressione. «Beh... se non altro ha bussato…»

Corvina si risollevò, guardandolo inarcando un sopracciglio.

«Che c’è?» si difese lui. «Pensa se fosse entrata senza dire niente. Che avremmo fatto?»

I due si osservarono per un breve momento. Dopodiché, cominciarono entrambi a ridere sommessamente, ripensando all’enorme figuraccia che si erano evitati per un pelo.

«Forza, raggiungiamo gli altri» esordì la giovane, alzandosi in piedi.

«Dobbiamo proprio? Perché non lasciamo che inizino senza di noi…» propose Rosso, afferrando Rachel per una mano.

«Certo, così Amalia e Tara avranno tutto il tempo che vogliono per potersi inventare chissà cosa su di noi e raccontarlo a mia madre» ribatté Rachel.

«Mh. Giusto.» Lucas si alzò a sua volta, sospirando. «Ma proprio ora dovevano interromperci?»

«Non preoccuparti, riprenderemo più tardi» propose Rachel, senza nemmeno rendersene conto. E non appena lo fece, avvampo. Aveva davvero appena detto quello che aveva appena detto?

Sì...

Rosso, nel frattempo, ridacchiò. «Non vedo l’ora.»

I due uscirono dalla stanza e si diressero verso il piano di sotto. Inutile dire che, per il quarto d’ora successivo, Rachel non riuscì a ripensare ad altro che a quella sensazione che aveva provato insieme a Lucas.

E a quanto, nel profondo, non desiderasse altro che poterla provare ancora una volta.








Non ho riletto il capitolo, se notate errori e/o atrocità di vario genere, segnalatemeli pure, grazie, se vi va. Mi dispiace, ma il mio tempo è quello che è, ma ho fiducia in me stesso e confido sul fatto di aver scritto un qualcosa di quantomeno presentabile. Ah, presto uscirà una sorpresina sempre made by me, e non riguarda né InFamous, né The Good Left Undone, ma sarà comunque sui TT. Proprio così, Edoardo ha finalmente scritto qualcosa di nuovo. Restate sintonizzati gente!


p.s Macchine Mortali (The Hungry City) uscirà al cinema. Hype ne abbiamo? Io ni. Spero che non mi rovinino Hester, anche se il trailer non mi ha convinto... mh, vedremo. Comunque sia, voglio precisare una cosa: la Hester che appare nelle mie storie è un riferimento alla Hester del libro di Reeve (all'inizio era proprio lo stesso personaggio, "crossoverizzato"). Con il tempo, tuttavia, la mia Hester ha cominciato ad assumere una identità tutta propria ed ora sono praticamente due personaggi completamente diversi. Ho deciso, comunque, di lasciare il suo nome inalterato perché ormai questa Hester fa parte della grande famiglia dei miei OC e quindi non me ne separerò tanto facilmente, sorry (proprio come difficilmente mi separerò da Lucas. Nonostante Red X sia palesemente Jason Todd, ormai Lucas è un personaggio canonico nelle mie storie, pertanto sarebbe triste non vederlo più apparire). Grazie per l'attenzione, buon proseguimento!

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Capitolo 12
*** La strada per il paradiso ***


 

Capitolo 12: LA STRADA PER IL PARADISO

 

 

Quando Rachel aveva sentito la frase "cena con i fiocchi", si era aspettata qualcosa di decisamente diverso rispetto a quello. E la stessa cosa sicuramente stavano pensando Tara e Amalia. Non Lucas però, visto che stava letteralmente divorando il suo piatto di verdure.

«Signora» disse, rivolto ad Angela, sollevando la mano in segno d’approvazione. «Dieci su dieci.»

Arella ridacchiò. «Troppo buono.»

Loro due, più Hester, sembravano gli unici ad apprezzare davvero la cena. Rachel non riuscì a capire se Lucas stesse semplicemente cercando di ingraziarsi sua madre oppure se davvero gli piacesse il cibo. Anche a lei piacevano le verdure, certo, ma dopo mesi passati a mangiare scatolame, barrette dalla dubbia commestibilità e bere acqua calda, un hamburger e delle patatine fritte, per quanto poco sani, non le sarebbero dispiaciuti.

Era anche vero, però, che la fame faceva da padrona, e che il cibo caldo preparato in casa era sicuramente meglio di quello gelato e spesso insapore di quello in scatola, ragion per cui stava mangiando senza fare storie. E tutto sommato, era buono. Deludente, ma buono. Ed era inutile negare la vagonata di bei ricordi che quel piatto di verdure le stava trasmettendo. Il tepore dei pasti preparati da sua madre… aveva trascorso l’intera adolescenza senza poterlo più sentire. Era bello, provarlo di nuovo. Bello e nostalgico al tempo stesso.  

Tara e Amalia, invece, sembravano di tutt’altro avviso. Un bradipo sarebbe stato più veloce di loro ad infilarsi la forchetta in bocca. Una cosa che Rachel notò immediatamente, era che anche loro si erano lavate e cambiate. Komi indossava una maglietta viola scollata, che lasciava ben in vista e senza troppi complimenti parte delle spalle, più, chiaramente, le braccia tatuate. Rachel aveva visto quei tatuaggi solo una volta e quasi si era dimenticata di loro. Una cosa che non aveva mai detto, era che le piacevano un sacco, e che su Amalia stavano perfettamente. Tara, invece, si era tolta la sua giacchetta per poter stare anche lei in t-shirt.   

La cena venne consumata in tranquillità. Si chiacchierò del più e del meno sulle vicende vissute da ambo le parti, senza mai scendere troppo nei dettagli, anche per non riaprire cicatrici che, forse, non erano nemmeno ancora chiuse. 

«Allora, che programmi avete per questa sera?» domandò infine Angela, quando gli argomenti furono esauriti.

Quella domanda lasciò Rachel perplessa. «Non saprei… che programmi potremmo avere? Siamo appena arrivati…»

«C’è un locale in città» spiegò Hester, con un sorriso. «Dove moltissimi ragazzi, e anche adulti, si radunano di sera. Potreste farci un salto.»

«Già, ne avreste bisogno» annuì Arella. «Rachel, abbiamo molto da dirci, ma penso che la nostra chiacchierata può aspettare ancora un giorno. Per prima cosa, voglio che tu possa, finalmente, divertirti un po’.»

«Io… non saprei.» Fu una vera sorpresa, per Rachel, sapere che esisteva un locale del genere nella comunità. Non si sarebbe mai aspettata che pure certi tipi di cose potessero rivedere la luce del giorno, non così presto almeno.

«Noi ci andiamo» asserì Amalia, riacquistando improvvisamente il vigore perduto durante la cena, mentre Tara annuiva accanto a lei.

Rachel spostò lo sguardo su Lucas, perplessa. «Che ne pensi?»

Il ragazzo sollevò le spalle. «Perché no?»

«Splendido!» annunciò Angela, senza che Rachel potesse neppure dire la sua a riguardo. «Allora divertitevi!»

Corvina corrucciò la fronte. Non era mai stata tipo da frequentare locali, ma... un’uscita con i propri amici non poteva certo rifiutarla. Era passato così tanto da quando ne aveva fatta una… finalmente, potevano sentirsi di nuovo adolescenti, tutti insieme. Sarebbe stato un bel momento, ne era certa.

La ragazza sorrise senza nemmeno rendersene conto, emozionata, per poi prendere una generosa forchettata di verdure. «Ma sì, perché no?» ripeté, per poi infilarsi il cibo in bocca.

 

***

 

Il locale sul ciglio della strada era il luogo su cui gli sguardi di tutti erano concentrati. Da dentro si poteva udire provenire della musica soffusa, mentre dall’esterno un’insegna a neon azzurri brillante annunciava sotto il cielo della sera da poco calata: "Nighthawk".

Rachel si strinse nelle spalle sotto la felpa nera. Non faceva tanto freddo, ma quello fu un gesto dettato più dal nervosismo che dal clima. I ragazzi si guardarono tra loro, aspettando che uno di loro facesse la prima mossa. Non sapeva perché, ma finiva sempre così quando si andava in un posto nuovo come quello. Toccò a Komi l’ingrato compito. «Beh… andiamo» asserì, avviandosi per prima.

Entrarono nel locale, venendo immediatamente accolti dal suono della musica ad alto volume ed il brusio delle decine, forse centinaia, di persone all’interno. Rachel si guardò attorno, sorpresa dall’elevato numero di giovani che poté vedere seduti ai tavoli o al bancone o intenti a ballare nella pista. Fu bello poter vedere così tanti ragazzi tutti insieme, intenti a fare ciò che riusciva loro meglio, ossia divertirsi. Era quasi come se il mondo al di fuori di quel locale, per loro, non esistesse, e la cosa strappò inevitabilmente un sorriso alla corvina. Inoltre, era grata di sapere che così tanti giovani fossero riusciti a raggiungere la comunità, anche se credeva che i soldati avessero comunque dato il loro contributo per essere riusciti a fare ciò. In ogni caso, nonostante non le fossero mai piaciuti posti come quello, era bello trovarsi lì. Le fece tornare alla mente il Neon di Empire, prima dell’esplosione.

«Però, c’è un sacco di gente» commentò Lucas, incrociando le braccia.

«Eh già…» fece eco Komi, allungando il collo. Verso cosa, Rachel non voleva saperlo. «Ehi, io sto ancora morendo di fame. Ci prendiamo qualcosa?»

«Con quali soldi?» domandò Rosso.

«Ti prego. Non servono i soldi…» La mora indicò il proprio corpo con un lento movimento delle mani. «… quando hai questo. Mi basta abbindolare qualche fesso e mi farò offrire perfino sua madre» asserì, senza mezzi termini. Rachel sollevò un sopracciglio, ma con un sorrisetto divertito.

«Sembra divertente» si aggregò Tara.

«Oh, lo è. Ti unisci a me, biondina?»

«Certo, muoio di fame anche io!»

Le due ragazze si sorrisero, poi si allontanarono, dirette verso la loro prima vittima. «Li faremo strisciare ai nostri piedi!» esordì ancora Amalia, prima che le loro voci si smarrissero insieme alle altre nel locale.

«Non approvo molto ciò che vogliono fare…» borbottò Lucas, per poi piegare il capo. «… ma è anche vero che se qualcuno è talmente idiota da cascare in un trucco simile merita di essere fregato…»

«Potevano mangiare a casa di mia madre…» aggiunse Rachel, con un sospiro.

«Stiamo parlando di Tara e Amalia, lo sai che loro due vivono nella loro dimensione.»

Rachel ridacchiò. «Sì, hai ragione… beh, che facciamo?»

«Non ne ho idea. Non sono mai stato tipo da certi posti… magari ci sediamo?»

Rachel annuì. «Sì, mi sembra un inizio» convenne, sfilandosi la giacchetta, visto che dentro faceva decisamente più caldo che fuori. Una cosa di cui non poté non accorgersi, furono i diversi sguardi che ricevette mentre cercavano un tavolo libero, sguardi che non avrebbe ricevuto se fosse rimasta coperta, ne era sicura. 

Quando trovarono un tavolo libero, Rachel si sedette con un sospiro, Lucas accanto a lei. «Troppi guardoni, per i miei gusti…» commentò il moro, strappando una risatina nervosa a Rachel.

«Guardare ma non toccare…»

Rosso avvolse un braccio attorno alle spalle della corvina, borbottando: «Se ci provassero non ritornerebbero a casa sulle loro gambe.» 

Rachel ridacchiò un’altra volta. «Ti cacceresti nei guai in questo modo solo per me?»

«Come se non l’avessi mai fatto prima…» replicò lui, scoccandole un’occhiatina.

La conduit piegò il capo. «Colpita e affondata.»

Ora toccò a Lucas ridacchiare, mentre stringeva con più forza la partner.

«Ehi, ragazzi.» Una voce li chiamò all’improvviso, facendoli voltare. Artemis era in piedi di fronte al tavolo, sorridente. Senza la divisa, e con quell’espressione rilassata, sembrava quasi un’altra persona. «Non pensavo di trovarvi qui.»

«Nemmeno noi lo pensavamo» rispose Rosso, sollevando le spalle. «Ma eccoci qui.»

«Ti prendi anche tu una pausa?» domandò Rachel.

Lian sospirò. «Devo, o rischio di impazzire. Vi spiace se mi siedo? Mi piacerebbe riprendere la nostra conversazione, Rachel…»

«Certo.» Rachel non si era certo scordata che avevano ancora molto da dirsi. Le sarebbe piaciuto potersi rilassare ancora un po’ con Rosso, ma doveva quella conversazione ad Artemis. «Accomodati pure.»

«Grazie. Volete qualcosa da bere? Offro io.»

«Ma no, non è necessario.»

«Troppo tardi. Ehi!» Artemis fermò un cameriere. «Puoi portarmi una bionda media? Voi due che prendete?»

Rachel la osservò incredula. Le aveva appena detto che non volevano prendere nulla, eppure…

«Anche per me» asserì Rosso, interrompendo i pensieri della corvina, che lo guardò accigliata. «Ehi, che c’è?» chiese lui, accorgendosi del suo sguardo.

Corvina sospirò, per poi guardare il cameriere. «Io prendo un caffè.»

Il cameriere si annotò l’ordinazione, poi si congedò. «Perché solo un caffè? Non devi mica guidare» osservò Lian, con un sorrisetto.

«Non mi piace bere» si giustificò Rachel, con una scrollata di spalle. «E… mi mancava il caffè.»

Artemis ridacchiò. «Immagino. Ma ora, dimmi…» La bionda tornò seria all’improvviso. «… che cosa è successo a Sub City?»

«Come ti ho già detto, è una lunga storia.» Rachel inspirò profondamente, cercando di riordinare innanzi tutto le idee. Erano successe talmente tante cose che l’ultima cosa che voleva era sbagliare o confondere gli eventi. Racconto praticamente tutto quello che era successo tra le due fazioni rivali di Sub City, gli Underdog e i Visionari, che Jade faceva parte proprio di quest’ultima. Spiegò che gli UDG controllavano la città e che ai Visionari, questa cosa, non andava bene. Spiegò che loro si erano uniti alla banda di Dreamer, ma solo temporaneamente, e che si erano scontrati con Deathstroke stesso. Omise, tuttavia, tutto ciò che riguardava il gene conduit, le vere intenzioni di Slade e, naturalmente, il fatto che sia lei che Tara avessero dei poteri.

«Tipico di Jade» sospirò Lian. Sembrava quasi nostalgica. «Doveva sempre ribellarsi al tiranno di turno. Che fosse nostro padre o, in questo caso, gli Underdog.»

Non sembrava molto sorpresa, ancora. Solamente quando parlò anche di Jeff Dreamer la ragazza bionda spalancò le palpebre.

«Jade… obbediva agli ordini di qualcuno?!» domandò, atterrita. «Sicura che fosse davvero lei?»

«Sicurissima. Credimi, non sai quanto mi piacerebbe sbagliarmi in questo momento…»

Artemis si pizzicò un labbro, per poi annuire. «Cavolo… questo Dreamer ci doveva saper davvero fare con le parole…»

«Le parole lo hanno portato a beccarsi un proiettile in fronte» si intromise Rosso, con una smorfia disgustata. Nonostante il tempo trascorso, era chiaro come il suo astio nei confronti del defunto Joseph non fosse ancora passato. «Ha manipolato i suoi uomini per tutto il tempo, giocando con le loro emozioni. Ha fatto la fine che meritava.»

Nell’udire quelle parole, Lian chinò il capo. Anche Rachel provò una fitta al petto, ripensando alle bellissime parole che Jade aveva speso per il suo leader, inconsapevole del fatto di star venendo semplicemente usata.

«Mi dispiace per Jade. Non sai quanto» mormorò Rachel, non trovando la forza di guardarla negli occhi.

Lian si strinse nelle spalle, sospirando. «Ha combattuto contro Deathstroke in persona. Era ben conscia di cosa la attendeva, ma l’ha comunque fatto.»

«Sì, lo ha fatto. Senza paura e senza rimorsi. Lo ha fatto perché voleva lasciare Sub City. Voleva trovare te.»

La soldatessa chinò il capo, per poi scuoterlo lentamente, mesta. «C’erano altri modi per potermi dimostrare che mi voleva bene. Non si è mai comportata come una vera sorella, per me è sempre stato quasi come se lei non ci fosse. Però…» Lian si interruppe, per prendere una lunga boccata d’aria. «… però se voleva farmi cambiare idea su di lei… ci è riuscita. Sono fiera di lei. Ha affrontato Deathstroke, e lo avrebbe perfino ucciso se lui non fosse stato un conduit. È sempre stata una tosta, per quanto impulsiva. E non voglio mentire, non sarei un capitano oggi se non avessi preso ispirazione da lei. In parte… l’ho sempre ammirata.»

«Sono certa che anche lei sarebbe fiera di te, in questo momento» affermò Rachel, posando una mano su quella della soldatessa, rimasta immobile sul tavolo accanto al bicchiere di birra ancora mezzo pieno.

Artemis sorrise. «In ogni caso… adesso è finalmente libera. Mi mancherà. Mi mancherà tantissimo. E… sarà dura dirlo anche a Roy…»

«Roy?» Rachel sollevò un sopracciglio. Artemis lo aveva già accennato in merito alla discussione su Jade, ma la corvina non aveva capito il perché. «Cosa c’entra?»

«Io, Jade e Roy siamo praticamente cresciuti insieme. Lui è sempre stato come un secondo fratello per me, anche se non sempre andavamo d’accordo, mentre Jade è… era, la sua ex fidanzata. Tecnicamente, non si sono mai lasciati, ma è come se fosse successo quando lei è scappata. Roy… non si è mai ripreso da allora. Lei non gli aveva detto niente. Non aveva detto nulla a nessuno. Dio solo sa da quanto stesse programmando quella fuga…»

Rachel piegò il capo, incupendosi sopra la tazzina di caffè. «Mi dispiace… per la sua morte.»

«E di cosa? Tu non ne puoi di nulla. Non è colpa tua.»

Corvina sussultò. La vista di Jade che veniva trapassata da Deathstroke esattamente di fronte a lei balenò nella sua mente, facendole provare una fitta di dolore allo stomaco. Una mano si posò sulla sua spalla, facendola trasalire. Si voltò, osservando l’espressione seria di Lucas. «Ha ragione» asserì il moro. «Non è colpa tua.»

Rosso sapeva benissimo quali fossero i tormenti della conduit. Sapeva che lei, in realtà, si accusava per davvero della morte di Jade, e pertanto non voleva che lei ne soffrisse per questo. La ragazza lo guardò riconoscente, poi sospirò. Tornò a bere il proprio caffè, ormai tiepido, ma decisamente molto più buono di molte delle cose che aveva mangiato o bevuto nei tempi recenti.

Artemis si stravaccò contro lo schienale del divanetto, sospirando, per poi sorseggiare la sua birra. «Beh, grazie per la chiacchierata, Rachel. Ammetto di avervi sottovalutati. Ne avete viste di tutti i colori, la fuori…»

«Puoi dirlo forte» mugugnò Rosso, strappando una risatina a Rachel.

«Beh, ormai siete qui, e visto che questo è un locale e non un mortorio, direi che forse è il caso di divertirsi un po’, non credete?» Lian si alzò in piedi, puntando i palmi sul tavolo, volgendo loro uno strano sorriso. «Perché non venite a ballare un po’?»

Rachel per poco non si soffocò con il caffè. «B-Ballare?!»

Perfino Rosso rimase parecchio sorpreso. I due partner si guardarono tra loro, perplessi. «Ehm…» cominciò la corvina. «… noi non siamo proprio tipi da…»

«Oh, ma smettila!» la liquidò Artemis, tirando Lucas per la manica e costringendolo ad alzarsi con un verso sorpreso. «Se non ti sbrighi ti rubo il ragazzo, Rachel…»

Corvina sgranò gli occhi. Sapeva che non lo avrebbe fatto davvero, ma… continuava sempre ad essere parecchio sulla difensiva quando si trattava di quell’argomento. Fece per replicare, ma una nuova canzone cominciò a risuonare nel locale, introdotta da un simpatico motivetto di chitarra elettrica e dalla voce di quella che sicuramente doveva essere una giovane cantante, o almeno, doveva esserlo quando la canzone era stata registrata la prima volta. Artemis si illuminò, voltandosi verso la pista. «Oh, adoro questa canzone! È perfetta per ballare! Allora, Rachel, noi andiamo, tu se vuoi raggiungici…»

«Che cosa?» domandò Rosso, venendo totalmente ignorato da Lian, che cominciò a trascinarselo dietro. La conduit osservò la ragazza bionda mentre cercava di portarsi via il suo partner, da sotto il suo naso, e sentì le proprie mani stringersi a pugno in automatico. Ed ecco che Rachel diede nuovamente il benvenuto alla gelosia.

«Ehi!» Corvina fermò Artemis, alzandosi in piedi di colpo. «Te lo puoi scordare. Ci ballo io con lui!»

«E-Eh?» Lucas cominciò a far vagare lo sguardo tra le due ragazze, con espressione atterrita.

Artemis, invece, ridacchiò. «L’hai detto, ora non puoi rimangiartelo.» Mollò la presa dal moro. «È tutto tuo. E ora tutti in pista, forza!»

«Posso dire una cosa?» si intromise Lucas.

«No!» lo zittirono le due ragazze, lasciandolo a bocca aperta.

Mentre la canzone entrava nel vivo, i tre si trovarono nella pista, con Rachel e Rosso disposti l’uno di fronte all’altra. La corvina sapeva che tutto quello altro non era stato che uno sporco trucco di Lian per costringerli a scendere in pista. Avrebbe dovuto essere indignata per la cosa, ma in realtà… doveva ammetterlo, era emozionata. Rachel non aveva bei ricordi legati a balli in generale, quindi quella, forse, era l’occasione giusta per voltare pagina una volta per tutte. Non aveva mai avuto l’occasione di ballare con Richard, quella fatidica notte, ma in compenso avrebbe ballato con Lucas, il suo partner, il suo "ragazzo". Inoltre, desiderava potersi sentire un’adolescente almeno per una sera, e quale modo migliore di fare ciò se non ballare?

Nel frattempo, Rosso si guardò attorno, con diffidenza, cercando di stare il più lontano possibile dalle possibili manate che avrebbe potuto ricevere da quegli occupanti della pista che pensavano di essere da soli. «Improvvisamente l’epidemia non mi sembra poi così male…» commentò, strappando una risatina alla corvina.

Lucas non sembrava proprio entusiasta di trovarsi lì, ma se davvero nemmeno lui avesse voluto ballare, si sarebbe rifiutato fin da subito. Forse anche lui era curioso di sapere cosa volesse dire scatenarsi come stavano facendo tanti altri giovani vicino a loro. Del resto, nemmeno lui doveva aver avuto chissà quanto tempo per andare in discoteca quando ancora viveva ad Empire.

«Almeno siamo insieme» sorrise Rachel, prendendolo per mano.

«Certo, così se uno dimenticherà mai questo momento tremendamente imbarazzante l’altro potrà ricordarglielo…»

«Andiamo… non… non può essere poi così male…» Corvina iniziò a muoversi, con molta esitazione. Non aveva la minima idea di come si ballasse, ma dubitava che esistesse un metodo specifico, in casi come quello. Tutto quello le sembrava così assurdo, però… non voleva fermarsi. Non voleva ammetterlo, ma stava davvero cominciando a divertirsi.

«Non puoi fare sul serio…» commentò Lucas, guardandola, anche se un mezzo sorriso si trovava anche sul suo volto.

«Sono così terribile?» domandò lei, continuando a muovere braccia e gambe, dapprima con incertezza, ora sempre con più convinzione. «A me… sembra di andare bene!»

Rosso ridacchiò, per poi scuotere il capo. «Quello ti sembra andare bene? Guarda e impara!»

Il ragazzo sciolse il suo corpo dapprima rigido, iniziando a muovere la testa, le braccia e le gambe al ritmo di quella canzone pop punk. Una scena tanto divertente quanto irreale.

«Che cosa dovrei imparare, scusa?» lo punzecchiò lei, senza riuscire a smettere di sorridere. «Sembri una scimmia ammaestrata!»

«Da quale pulpito!»

I due ragazzi si osservarono per un breve istante, per poi iniziare a ridere all’unisono. Si avvicinarono tra loro, studiandosi in ogni dettaglio, sorridenti, felici, rilassati. Tutti quanti attorno a loro erano spariti, rimanevano solamente i due partner. La pista, ormai, era solo per loro due, per quei due giovani aggraziati come elefanti.

Nel giro di un attimo, le loro labbra si incrociarono in un dolce bacio, esattamente lì, nel bel mezzo della folla, con la musica alta, con la cantante che strillava qualcosa in proposito ad una strada per il paradiso. Tra tutti i baci che si erano scambiati, quello fu sicuramente il preferito di Rachel. Perché nonostante fossero presenti chissà quante persone, la corvina non si sentì minimamente a disagio per esso. Forse per la voga del momento, forse perché non c’era nulla di male, alla fine, nel baciarsi in quel modo. Sapeva solo che quel momento aveva qualcosa di speciale e che difficilmente lo avrebbe scordato. Aveva desiderato di potersi sentire di nuovo una ragazza, e non esisteva certamente modo migliore di quello.

I due partner rimasero stretti, immobili, ad assaporare il dolce tepore del loro bacio, mentre la canzone parlava di quanto l’amore fosse crudele ma, allo stesso tempo, di quante vite fossero state salvate da esso. Quella di Rachel, sicuramente.

Quando Rosso e Corvina si separarono, si scambiarono un dolce sorriso.

«Visto?» domandò lei, con un po’ di fiatone. «Non è poi così male…»

«Solo perché ci sei tu con me» rispose lui, facendola avvampare. «Altrimenti a quest’ora sarei già andato a sotterrarmi vivo.»

Rachel ridacchiò di nuovo, poggiando il capo contro il suo petto, lasciandosi cullare da lui. «Esagerato…»

«Accidenti!» esclamò Artemis, arrivando alle loro spalle all’improvviso. «E meno male che non eravate tipi da ballare!»

I giovani si voltarono verso di lei di scatto. Si erano dimenticati del fatto che per tutto il tempo Lian era rimasta con loro, anche se sulla pista si erano brevemente divisi.

La corvina sentì le guance colorarsi di nuovo e distolse lo sguardo da lei. «Ehm… beh…»

Un forte tonfo improvviso. La terra tremò, le luci del locale sfarfallarono. La musica si interruppe perfino. Rachel stessa si interruppe, voltandosi attorno, sorpresa. «Ma… ma che cavolo…»

La sua domanda si spense quando un secondo boato sopraggiunse. Questa volta, accompagnato anche da un rumore terribile. Un rumore stridulo, acuto, che fece sbiancare Lian. Versi sorpresi si sollevarono all’interno del vocale, tutti i presenti cominciarono far vagare lo sguardo in giro, confusi. In mezzo a loro, Rachel poté scorgere perfino Tara e Amalia con ancora per le mani due bicchieri pieni di chissà quale superalcolico e delle porzioni di patate fritte.

«Restate tutti dentro!» urlò Artemis, sollevando le braccia per farsi notare. «Non uscite a meno che non ve lo ordini io, avete capito?!» Non attese alcuna risposta. Si precipitò verso l’uscita senza più voltarsi. Rachel sollevò un sopracciglio. Non riuscì a capire cosa fosse successo, ma dubitava che fosse qualcosa di positivo. Nello stesso momento, Komi e Tara li raggiunsero nella pista. I quattro si scambiarono degli sguardi incerti.

«Disobbediamo?» domandò Amalia, la quale stava ancora masticando le patatine, incurante. Solo lei poteva mangiare in quella situazione.

«Direi di sì» concordò Rosso, con un sospiro. «Andiamo a vedere.»

 

***

 

Trovarono Artemis con il cellulare premuto all’orecchio, intenta ad osservare come in trance in punto in alto nel cielo, di fronte a lei. «Rispondi, maledizione, rispondi…» stava sussurrando. Non si accorse di loro fino a quando non la raggiunsero. «Ehi, che diavolo state facendo?! Avevo detto di…»

Un altro di quei versi striduli provenne da sopra le loro teste, facendola sobbalzare. Rachel si voltò verso l’origine di quel rumore, per poi sgranare gli occhi. E la stessa cosa, fecero i suoi amici. In mezzo al cielo stellato si trovava una gigantesca figura fatta di energia bianca accecante. Un conduit, sicuramente. Ma il peggio doveva ancora arrivare. La figura… era quella di un gigantesco rapace, simile a quello in cui si trasformava lei sotto ogni aspetto tranne che per il colore esattamente opposto al suo, bianco splendente, e anche per le dimensioni: questo, infatti, era grosso almeno il doppio della forma in cui si trasformava la corvina.

«Ma… ma che cosa…» biascicò lei, senza nemmeno trovare le parole. Il conduit volava nel cielo, emettendo quei versi, sputando raggi di luce dalla bocca e andando a sbattere contro i palazzi più alti, producendo quegli scossoni che facevano tremare il suolo.

«Quello è il conduit che ci ha attaccati tempo fa…» spiegò Artemis, serrando la mascella. «È tornato...» La ragazza tornò a guardare il cellulare. «Simon non mi risponde… Roy e Kostantin sono fuori con Mary… Allen è all’ospedale… sono… sono…» Lian deglutì, osservando di nuovo il rapace bianco. «… sono da sola…»

Rachel non credeva che avrebbe mai visto la ragazza così angosciata. Si era così abituata al suo sorriso confidente e sicurò di sé che pensava che nulla potesse intimidirla.

«Non sei da sola» si intromise Rachel, per poi mordersi la lingua. Stava quasi per dirle di poterla aiutare, di essere una conduit, ma vista la situazione, temette che la cosa potesse essere controproducente. «Non ci sono i tuoi soldati?» domandò, come ripiego.

«Sì, ma…» Lian sospirò. «Sentite io me la caverò, ma voi tornate dentro, ok? Questo non è posto per voi. So che vi sarete già trovati in situazioni come questa, ma non posso lasciare che dei civili vengano coinvolti, ne va del mio ruolo di capitano.»

Corvina si scambiò un rapido sguardo con i propri compagni, i quali non parevano molto convinti di quella situazione, poi si rivolse nuovamente alla soldatessa. «Va bene. Fai attenzione però.»

«Non preoccuparti per me. Andate.»

I ragazzi si separarono. Lian prese a correre, avvicinandosi di nuovo il telefono alle orecchie, probabilmente in cerca di aggiornamenti in merito a quella situazione. I quattro compagni, invece, si fermarono poco prima dell’ingresso del locale.

«Vogliamo davvero ascoltarla?» domandò Komi. «Possiamo prendere quel conduit a calci in culo senza problemi.»

«Avete notato…» cominciò Tara. «… la sua somiglianza con Rachel?» Scoccò un’occhiatina alla corvina, che dal canto suo si strinse nelle spalle.

«Sì» replicò Rosso. «Non mi piace per niente questa faccenda. Ma dopotutto, non è la prima volta che un conduit ha un potere simile a quello di un altro. Semplicemente, dobbiamo stare attenti.»

«No» affermò Rachel improvvisamente, con sicurezza. «Voi restate qui. Lo affronterò da sola.»

«Cosa? Perché?» scattò immediatamente Lucas, che come al solito non gradiva doverla lasciare da sola.

«Perché non voglio che sappiano subito la verità» rispose Rachel, calma. «Se ci vedono combattere insieme, capiranno immediatamente che sono io la conduit nel gruppo. Ma se mi trasformo e rimango da sola, posso rimanere anonima. Inoltre, Artemis vi ha dato un ordine, non potete disobbedirle così.»

Lucas storse la bocca in un’espressione pensierosa. Non sembrava molto felice della decisione di Rachel, ma sicuramente sapeva che lei aveva ragione. Non sapevano come avrebbero reagito nella comunità se avessero scoperto che Corvina era una conduit, ma dubitavano l’avrebbero ancora accolta a braccia aperte.  E disobbedire ad un ordine di un capitano, per giunta, sicuramente non avrebbe aiutato il moro.

«Se mi serve aiuto, ve lo farò sapere. Non preoccupatevi.»

Rosso annuì, rassegnandosi, per poi raccomandarsi come suo solito: «Sta attenta.»

«Lo farò.»

Mentre i suoi tre compagni tornavano nel locale, la conduit si infilò in un vicolo lì vicino, assicurandosi prima di non essere vista da nessuno. Una volta nascosta in mezzo alle tenebre, lontana da occhi indiscreti, chiuse gli occhi e si concentrò, mentre percepiva l’energia oscura cominciare ad avvolgerla. Poco dopo si era sollevata in cielo, diretta a grande velocità verso il proprio bersaglio.

Man mano che si avvicinava al rapace bianco, una sgradevole sensazione si insinuava dentro di lei. Una sensazione di disagio che era abbastanza convinta di aver già provato in passato. Non riusciva a spiegarsi come quella creatura potesse essere così simile a lei. Forse era davvero un conduit con dei poteri simili ai suoi, come anche Lucas aveva detto, ma dopo quanto successo con Dominick, lei aveva creduto di essere davvero unica. E il pensiero che qualcun altro che non fosse lei avesse tra le mani un potere così potente come il suo, non le infondeva alcun tipo di coraggio. Bastava solamente giudicare in base a come quel rapace bianco si stava comportando: sembrava fuori controllo. Diverse cappe di fumo si erano sollevate sotto di lui, sicuramente dai punti che aveva colpito con i propri raggi di energia, e più la corvina era vicina, più poteva sentire, provenienti dalla strada sotto di lei, le grida spaventate delle persone coinvolte dagli attacchi.

Riuscì a scorgere perfino Artemis, intenta a correre verso il rapace, con il cellulare ancora premuto all’orecchio. Non parve accorgersi di lei, per il momento, e a Rachel andò benissimo così. Anche se, presto, chiunque l’avrebbe notata in ogni caso.

Avvicinandosi, poté davvero constatare quanto quell’essere fosse davvero più grande di lei. La ragazza deglutì, ma ormai non poteva, e non doveva, tirarsi indietro. E in ogni caso, le dimensioni non significavano nulla.

Non ci provò nemmeno a ragionare con lui, gli si fiondò addosso, piantando gli artigli sulla sua schiena, facendolo strillare per il dolore.

Ora sono io la tua avversaria!

Il rapace bianco si voltò, per poi scrutarla con i suoi occhi rossi come il sangue, il medesimo colore di quelli della corvina. Spalancò la bocca e le indirizzò un raggio di luce, che lei scansò con un avvitamento. Congiunse le ali e rispose al fuoco, colpendolo ad un’ala. Il corvo strillò nuovamente e per poco non precipitò, a causa dell’ala ferita, ma riuscì a rimanere in volo sbattendo i propri arti un paio di volte. 

Tentò di andare a segno con un altro raggio luminoso, ma la ragazza riuscì ad evitare facilmente anche questo, che andò ad esplodere alle sue spalle. Dopo quello, perfino ad Empire City si sarebbero accorti del loro scontro.

Il conduit strillò ancora una volta, questa volta per la frustrazione. Osservando il suo comportamento, per Rachel fu chiaro come il sole come questo non avesse la minima idea di come usare davvero i propri poteri. Era fuori controllo, attaccava semplicemente ogni cosa gli si parasse di fronte ed era probabile che non sapesse nemmeno sfruttare appieno il proprio potenziale. Il corvo di luce bianca tornò alla carica, ma lei non si fece cogliere impreparata.

I due volatili fatti di luce ingaggiarono un combattimento aereo furibondo, avvinghiandosi tra loro, beccandosi e scambiandosi artigliate che avrebbero strappato di netto le loro carni se non fosse stato per l’energia che proteggeva i corpi di entrambi. Rachel non voleva mentire, ma, per quanto incosciente, il suo avversario era molto forte. I suoi attacchi erano incredibilmente dolorosi, probabilmente in quel momento la corvina era molto più ferita di quanto potesse immaginare.

La strategia che la giovane fu costretta ad adottare per non rischiare di essere sconfitta fu quella di sfruttare la propria agilità per attaccare per prima, ed evitare attacchi a sua volta. La sua inferiorità di stazza era notevole, e anche quella di potenza fisica, ma lei, grazie al suo autocontrollo, possedeva un vantaggio non indifferente. Il rapace bianco in quel momento non vedeva altro che rosso, lei, invece, riusciva a vedere tutto quanto.

I due si separarono. Il rapace bianco si allontanò da lei con due battiti d’ali, per poi spalancare il becco e indirizzarle uno dei suoi devastanti raggi di energia. Rachel non si fece attendere e congiunse le ali, rispondendo al fuoco.

Le due onde di luce questa volta si scontrarono tra loro, causando un boato nell’aria che probabilmente attirò l’attenzione di mezzo paese.

Rachel poté udire il rumore di diversi veicoli che arrivavano a gran velocità sotto di lei, per poi arrestarsi bruscamente facendo fischiare le gomme. La ragazza abbassò lo sguardo, per poi notare la strada stiparsi di soldati. Alcuni aiutarono i civili a mettersi al sicuro, altri, invece, puntarono le armi verso il rapace bianco. Ma non appena si accorsero anche della presenza di lei, e di come i due conduit si stessero affrontando, tutti quanti si immobilizzarono. Corvina poté scorgere perfino Artemis, rimasta a bocca aperta di fronte alla scena.

Non farai del male a queste persone!, asserì Rachel, con il pensiero, riportando l’attenzione sul suo avversario. Non tutti i conduit sono malvagi, ed io lo dimostrerò!

Aiuto…

Una voce roca rimbombò nella sua mente. Rachel sgranò gli occhi. La distrazione le fece perdere la concentrazione, ed il suo raggio di energia fu ben presto spazzato via da quello bianco del suo avversario. La luce bianca la raggiunse, colpendola al petto e sbalzandola via, facendo emettere al corvo uno strillo di dolore. Corvina volteggiò nell’aria un paio di volte, per poi riprendersi, scuotendo la testa. Osservò il rapace albino, basita. Le aveva… le aveva appena parlato? Con il pensiero?!

Riesci… riesci a sentirmi?, provò a chiedere, cominciando a temere di essere impazzita.

Quello, per tutta risposta, strillò nuovamente, per poi fiondarsi su di lei sfoderando gli artigli. Quella voce roca tornò a farsi sentire.

Aiuto…

Il corvo raggiunse Rachel, colpendola con violenza e facendola gridare di nuovo. La ragazza cominciò a non capirci più nulla; se non altro, il dolore le permise di realizzare che il suo avversario non si sarebbe fermato per nessuna ragione.

Corvina serrò la mascella, poi scacciò il nemico beccandolo con forza nel collo, facendo breccia tra l’energia candida e costringendolo a separarsi da lei con un altro strillo di dolore. La ragazza lo osservò, non sapendo più cosa pensare. Riuscivano a comunicare, non sapeva come, ma ci riuscivano. Anche se, purtroppo, la mente non riusciva ad avere la meglio su quel corpo di luce bianca.

Il rapace strillò di nuovo, per poi spalancare il becco, pronto per colpire di nuovo. Rachel serrò la mascella. Non sarebbe mai riuscita a ragionare con lui in quella circostanza. Era costretta a neutralizzarlo.

I loro raggi di energia cozzarono nuovamente tra loro. Corvina gemette, faticando, questa volta, a riuscire a tenere testa all’avversario. Cominciò ad accusare il colpo ricevuto poco prima, ed il dolore le impedì di concentrarsi a sufficienza. La luce bianca cominciò ad avere la meglio su quella nera, e la ragazza cominciò a temere di non riuscire a vincere il confronto.

Abbassò lo sguardo, sperando almeno che per le strade tutti i civili fossero al sicuro. Ovviamente, era l’esatto contrario. Tutte le persone che fino a poco prima erano impegnate a mettersi in salvo, ora si trovavano immobili, troppo concentrate sullo scontro tra i due conduit per potersi spostare. Perfino Artemis ed il resto dei soldati sembravano pietrificati. Rachel strinse i denti. Non poteva fallire, non di fronte a tutti loro. Se lei fosse stata sconfitta, nulla avrebbe impedito a quell’essere di avventarsi sui civili e sui soldati per poi mietere chissà quante vittime. Lei era l’unico ostacolo che si frapponeva tra quel conduit e la gente innocente sotto di loro, e lei non era per niente intenzionata a deluderli.

Gridò con quanto fiato avesse ancora nei polmoni, per poi concentrare tutta l’energia che le era rimasta in quell’attacco. L’onda di energia oscura crebbe di dimensioni ed intensità, per poi iniziare a spazzare via quella più chiara, cancellandola come neve al sole.

Mi dispiace.

Aiuto…

L’energia oscura raggiunse il rapace bianco. Vi fu un’esplosione che scaraventò via la giovane, mentre una nube di fumo si sollevava, ricoprendo il conduit di luce chiara. Il suo strillo di dolore si sollevò in aria, e per Rachel fu uno dei rumori più terribili che ebbe mai la sfortuna di sentire. Anche perché non lo sentì solamente con le proprie orecchie, ma anche con il proprio pensiero. La voce roca emise un urlo straziante, che fece pulsare le tempie della giovane. Era quasi come se lei stessa stesse uccidendo la persona che tanto implorava il suo aiuto. Corvina cominciò a credere che avrebbe iniziato a gridare a sua volta, a causa di quella sensazione insostenibile, ma poi la voce si affievolì all’improvviso, proprio quando anche lo strillo del conduit cessò di esistere.

Sentendo le orecchie quasi fischiare in mezzo a quel silenzio assordante, la ragazza rimase in volo, con il fiatone, nell’attesa che la nube si diradasse. Non avendo visto il rapace precipitare, cominciò a temere che fosse ancora in grado di combattere, ma non appena il fumo svanì, ciò che constatò fu ancora più sorprendente: il conduit era svanito. Il gigantesco corpo del rapace bianco non si poteva scorgere da nessuna parte, tantomeno il possibile corpo umano che doveva essersi trovato all’interno di esso. Era come se il suo avversario non si fosse mai trovato lì.

Rachel rimase senza parole. Quello, era sicuramente un potere che non avevano in comune. E con la sparizione di quel conduit, sparivano anche tutte le possibili risposte alle domande che avevano preso forma nella sua mente. Controllò con lo sguardo i danni lasciati dal loro scontro. Fortunatamente, non erano molti, anche perché si erano sempre tenuti ad alta quota. Questo, tuttavia, non rendeva i danni lasciati dal rapace bianco in precedenza meno gravi. Diverse fumarole si sollevavano ancora dagli edifici che aveva colpito, i quali possedevano diverse porzioni di muro mancanti e le finestre frantumate. Diversi cumuli di detriti si erano formati per la strada, e la corvina sperò che nessuno fosse rimasto colpito.

Tornò a posare lo sguardo sulle persone sotto di lei. Se non altro, almeno loro erano al sicuro. E quando la giovane notò perfino Rosso, Komi e Tara tra la folla, non poté non fare un verso di disappunto, anche se con un sorrisetto. Non poteva nemmeno negare il fatto che apprezzasse come i suoi amici volessero semplicemente guardarle le spalle, nonostante tutto. Tuttavia, ora doveva sbrigarsi ad andarsene, per poi tornare normale e raggiungerli, prima che qualcuno notasse la sua assenza.

Fece per andarsene via in volo, ma non appena piegò le zampe, una fitta di dolore la colpì a tutto il corpo, facendole emettere un altro grido. Cominciò a precipitare, sbattendo le ali e scalpitando disperatamente, ma il suo corpo sembrava aver perso la capacità di volare. Sentì le grida spaventate delle persone, e quelle dei soldati che intimavano ai civili di allontanarsi, ma erano flebili, lontane. Corvina si schiantò al suolo nel bel mezzo della strada. Il corpo da rapace attutì buona parte dell’impatto, ma ciò non le impedì comunque di provare dolore in ogni centimetro del proprio corpo, più il sapore del sangue tra i denti. Non osò immaginare cosa sarebbe successo se l’energia nera l’avesse abbandonata prima di toccare il terreno.

Con le ali tremanti per il dolore e la fatica, il rapace cercò di rimettersi in piedi, anche se forse quello era pretendere troppo dal suo corpo così ammaccato. La ragazza crollò a terra con un gemito, sotto gli sguardi atterriti di tutti, i suoi tre amici in primis. Rachel fece una smorfia e maledisse la sua sfortuna, anche se avrebbe dovuto aspettarselo: i danni che il corvo di luce bianca le aveva inflitto non erano affatto roba da poco. La ragazza cominciò a pensare che se quel conduit avesse saputo controllare davvero i propri poteri, non avrebbe avuto speranze.

Nel giro di poco tempo, poté cominciare a sentire l’energia nera che la avvolgeva dissolversi. Rachel sgranò gli occhi. Se la sua forma da rapace fosse scomparsa in quel momento, chiunque avrebbe scoperto la verità. Cercò di rialzarsi e di sfruttare le poche forze che le erano rimaste per scappare, ma non aveva tenuto in considerazione il fatto che, di forze, non ne aveva più nessuna. La luce nera si ritirò di nuovo all’interno del suo corpo, scoprendola poco per volta. Non poté fare nulla, fuorché guardare impotente le persone di fronte a lei spalancare gli occhi per la sorpresa man mano che la verità si faceva loro chiara, Artemis prima tra tutti.

Rachel si maledisse silenziosamente. Bastava solo uno sforzo, un semplicissimo, ultimo sforzo per poter scappare e nascondersi prima che la trasformazione finisse. Ed invece aveva rovinato tutto, di nuovo. Ora chiunque sapeva che lei, la nuova arrivata, era una conduit.

Infine, tutta l’energia svanì, lasciando il corpo di Rachel in bella vista. La ragazza gemette, ancora messa a carponi dentro il cratere che aveva creato. Si sentì sepolta da tutti quegli sguardi indagatori, alcuni semplicemente sorpresi, altri, invece, quasi disgustati.

«R-Rachel?» domandò Artemis, con un fil di voce. «Ma… ma che cosa…»

Corvina la osservò dal basso, incapace di aprire bocca, anche solo per cercare di negare la realtà in un ultimo, disperato, tentativo. Poi, prima che potesse dire, fare o pensare qualsiasi altra cosa, le forze le mancarono del tutto, e la conduit si accasciò a terra priva di sensi.

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Capitolo 13
*** Una nuova mansione ***


Capitolo 13: UNA NUOVA MANSIONE

 

 

Dolore. Nient’altro che dolore. Il lento trascinarsi di peso lungo la strada su delle gambe ormai incapaci di sostenere nemmeno il proprio stesso peso era un autentico tormento. Un immenso stradone avvolto nel buio della notte si stanziava di fronte a loro, circondato dalla vegetazione e decorato da lampioni e veicoli abbandonati o distrutti, in un luogo che lei non conosceva, molto probabilmente, tuttavia, fuori da Sub City. Quanto lontano dalla città, tuttavia, era un mistero. Nessuno si trovava in giro, l’unico presente era lui, la mente dietro la mente, l’unico, vero, burattinaio.

Dominick.

Il ragazzo avanzava lentamente, ogni passo era una fitta di dolore allucinante, il respiro era debole, stanco, i muscoli delle gambe erano come atrofizzati. La sua mente, invece, era un turbinio confuso di volti e nomi.

Il castano stava pensando. Pensava alla moglie, al figlio perduto, al suo deceduto migliore amico, pensava a tutto ciò che aveva fatto, causato, il male di cui lui stesso era stato portatore. Il mostro che era diventato.

Il dolore fisico e mentale lo stavano consumando, si sentiva male, malissimo, male come mai lo era stato in vita sua. Solamente in quel momento riusciva a capire come i suoi poteri lo avessero ingannato per tutto quel tempo. Con loro si era sentito forte, imbattibile, insuperabile, bene come non mai, ma quella era sempre e solo stata una visione distorta della realtà. Era stato corrotto da essi. Era stato usato da loro, quando in realtà credeva di essere lui ad avere il vero comando. Ed ora ne pagava le conseguenze. Ora erano tutti andati, non c’era più nessuno, era solo, completamente solo.

Dopo aver sepolto il corpo di Kevin aveva proseguito per la sua strada solitaria, stanco, spossato e con le ossa doloranti dopo lo scontro con Rachel, senza una meta, un’idea ben precisa su cosa fare o dove andare. Semplicemente, camminava. E ora, a distanza di giorni, forse settimane, nulla era cambiato. Non aveva idea di dove fosse finito, sapeva solo che quella città era messa davvero male.

«Vai da qualche parte, Dominick?» Una voce ruppe il silenzio all’improvviso, distruggendo le mura invisibili che l’ex conduit aveva creato attorno a sé per immergersi nei propri pensieri. Una voce bassa, profonda, quasi suadente, ma allo stesso tempo dura e fredda come il marmo.

Il castano si voltò, sorpreso, per poi ritrovarsi di fronte un uomo. Questo aveva i capelli lunghi, neri, il volto glabro, di una bellezza glaciale, ed aveva indosso un completo blu elegante. Dom non lo aveva mai visto prima.

«Mi domando cosa tu possa fare ora, nelle condizioni in cui sei ridotto e, soprattutto, considerando il fatto che non ti rimane nessun posto dove andare» proseguì l’individuo misterioso, avvicinandosi a lui camminando con una postura perfettamente eretta ed osservandolo dall’alto, con una confidenza di sé stesso che Rachel sapeva appartenere solamente ad una determinata categoria di individui: quelli da evitare ad ogni costo.

«Chi... chi diavolo sei?!» rantolò il castano, facendo un passo indietro contro la sua volontà. Ebbe una sensazione di dèjà vu. Era così che si era sentito Hank quando si era ritrovato di fronte due pazzi sconosciuti dall’aria poco raccomandabile? Se sì, allora sia lui che Kev erano stati proprio due autentici bastardi. Anzi, solo lui. Kevin non aveva mai voluto fare davvero ciò che aveva fatto.

«Una persona che non ha mai apprezzato particolarmente il tuo comportamento.» L’uomo si fermò, incrociando le braccia e squadrandolo con quella sua aria di superiorità irritante ed inquietante al tempo stesso. «Non ho mai gradito il tuo voler diventare sempre più forte, la tua sete di potere così eccessiva, il tuo desiderio di elevarti sopra tutti gli altri conduit per poter diventare il conduit, e, soprattutto, non mi è mai piaciuto come tu abbia anche solo osato pensare di poterti paragonare ad un dio.» L’individuo misterioso sollevò l’indice, per poi puntarglielo con fare accusatorio. «Tu, caro Dominick, sei quanto ci sia di più lontano possibile dall’essere un dio. Il fatto che una ragazzina completamente ignara di cosa i suoi poteri siano davvero in grado di fare ti abbia battuto parla già di per sé. Nessuno dovrebbe peccare di superbia in questo modo, soprattutto uno come te, un conduit difettoso, che nemmeno possiede dei poteri propri ma, anzi, è costretto a rubare quelli degli altri. Tu mi disgusti, Dominick.»

«Ti sbagli» sibilò Dom, stringendo i pugni. «Copiare era il mio potere. Non ero difettoso, ero unico. E se solo avessi ancora tutti i miei poteri te lo avrei dimostrato già dal momento stesso in cui hai aperto quella dannata fogna che hai al posto della bocca!»

Non credeva che avrebbe mai più rimpianto i propri poteri, soprattutto in un momento come quello, ma pur di vedere quel maledetto tizio inquietante tacere avrebbe fatto quello ed altro. L’ultima cosa di cui aveva bisogno, era uno stronzo altezzoso che gli faceva la predica per quanto lui stesso fosse stato altezzoso. Il toro che dava del cornuto all’asino, in poche parole.

«Dici bene: se solo avessi. Vedi, Dom, per tutto questo tempo hai cercato di essere tu il conduit. Ma c’è un problema: non puoi ricoprire la carica che già qualcun altro…» l’individuo si indicò. «… sta già ricoprendo.»

Dom dischiuse le labbra, mentre la realtà appariva finalmente nitida di fronte a i suoi occhi. Quell’uomo… quell’uomo di fronte a lui… era… era davvero…

Il castano strinse i pugni e serrò la mascella. «Tu…» sussurrò, percependo la propria collera aumentare a dismisura. «Sei… sei stato tu…»

La sua vita riapparve di fronte ai suoi occhi. Sua madre ammalata in un lettino d’ospedale, suo padre che se ne andava di casa, la polizia che lo inseguiva, lui e Kevin che si leccavano le ferite mentre si spartivano un magro malloppo, la ragazza di cui si era innamorato e che aveva poi sposato, cambiandogli la vita, il loro bambino, la sua famiglia, quello che aveva creduto fosse un nuovo inizio per tutti loro. E poi… quell’enorme cratere. Le fiamme, gli elicotteri, le sirene e… il corpo di Rick stretto tra le sue braccia.

«Tu mi hai portato via tutto!» urlò, per poi correre verso di lui, ignorando il dolore, la stanchezza, tutto quello che avrebbe potuto frenare la sua corsa. A stento si era retto in piedi fino a quel momento, ma di fronte a lui, di fronte a quel bastardo, niente e nessuno avrebbero potuto fermarlo. Sollevò una mano, pronto a sfondare il cranio di quell’uomo con le nocche. «Mi hai rovinato la vita, BASTARDO!»

Improvvisamente, senti una terribile sensazione di freddo all’addome. Si fermò di colpo, il pugno distante pochi centimetri dal volto di quell’individuo, che sorrideva quasi divertito. «No, Dom, io non c’entro niente. Hai fatto tutto da solo.»

Il castano crollò in ginocchio, con un gemito. Di fronte a lui, l’uomo rise. Dominick batté le palpebre, con il respiro sempre più pesante. «Che… che diavolo mi hai fatto?!» rantolò, percependo la propria maglietta iniziare ad inumidirsi all’altezza del petto. Abbassò lo sguardo, per poi notare come fosse oramai zuppa di sangue. Un verso sconnesso fuoriuscì dalle sue labbra.

«Non ho bisogno di muovere nemmeno un dito per sbarazzarmi di un moscerino come te» proseguì l’individuo in piedi.

Dominick sollevò di nuovo lo sguardo. Ora il sangue colava anche dalla sua bocca. Tutta l’energia donatagli dall’adrenalina poco prima era svanita ed anzi, si sentiva perfino peggio di prima. Poteva tranquillamente percepire la propria vita abbandonare il suo corpo man mano che i secondi passavano. Faceva freddo, tanto freddo. Era così che si erano sentite le sue vittime?

«Avrei quasi potuto risparmiarti, comunque. Nonostante tu fossi difettoso, saresti stato un fantoccio perfetto nelle mie mani, ma purtroppo per te, ho trovato il tuo rimpiazzo ideale. Addio, Dominick. Se ti può consolare, non avresti mai avuto alcuna speranza contro di me.»

Il castano sentì solamente un terzo di quelle parole. Il suo udito era ovattato, e la sua vista offuscata. Oramai faticava perfino a capire se quella era tutta un’illusione, oppure la crudele realtà. Chiuse gli occhi, dato che ormai faticava perfino a tenere sollevate le palpebre. Non appena le riaprì, di fronte a lui non c’era più nessuno. Il ragazzo boccheggiò, sorpreso, anche se la sua preoccupazione più grande, in quel momento, era un’altra.

Il sangue continuava ad uscire dalla ferita, il dolore era insopportabile e non aveva alcuna forza per potersi rialzare. Era davvero quella, dunque, la sensazione che aveva inflitto alle persone che aveva eliminato durante la sua folle caccia ai poteri?

«Tu mi hai… portato via tutto…» sussurrò, al vuoto. Dopodiché cadde in ginocchio.

Kevin aveva ragione. Rachel aveva ragione. Tutti quanti avevano ragione. Era diventato un mostro, ma alla fine aveva fatto la fine che meritava di fare. Se quella era davvero la conclusione dei suoi giorni, era felice di potersene andare sapendo di essere stato fermato in tempo da Rachel, prima di diventare un genocida. Era rimasto coinvolto in quel circolo malato dei poteri, dei conduit e delle esplosioni per fin troppo tempo, e da una parte era felice di poterne finalmente uscire.

Dall’altra, tuttavia, era costretto a mangiare giù un boccone molto amaro.

Hester.

Non sarebbe mai più riuscito a rivederla. Ma anche se fosse sopravvissuto, dubitava che avrebbe mai trovato il coraggio di tornare da lei, dopo quello che era successo tra loro. Se solo non avesse mai perso la testa per i poteri… avrebbe potuto proteggerla, avrebbero potuto continuare a rimanere insieme, forse… forse avrebbero perfino potuto costruirsi una nuova vita, insieme. Invece lui aveva mandato tutto a puttane, come al solito. 

Ed ora che era a conoscenza del fatto che quel porco che lo aveva appena ridotto in fin di vita fosse in circolazione, ora che sapeva che avrebbe potuto arrivare a lei, le cose non facevano altro che peggiorare.

Col senno di poi, sapeva che contro di lui non aveva mai avuto una vera chance. Solamente incontrandolo, aveva realizzato quanto abissale fosse la loro differenza, e nemmeno tutti i poteri esistenti sul pianeta combinati sarebbero riusciti a renderlo più forte, o anche solo al suo livello. Dopo quanto appena accaduto, dubitava seriamente che ci sarebbe mai stato qualcuno in grado di fermarlo. La cosa lo lasciava in preda allo sconforto totale, ma oramai lui non poteva fare più niente. Era un uomo spezzato, senza più valori, senza più dignità, senza più nulla. Tutto quanto gli era stato strappato via, e quel poco che ancora poteva essergli rimasto ora era in pericolo. Non poteva far altro che sperare che qualcun altro riuscisse in ciò in cui lui aveva fallito miseramente: diventare più forte del Soggetto Zero.

E se doveva pensare a qualcuno che aveva una possibilità di riuscire in questo, quel qualcuno era la stessa persona che lo aveva sconfitto, ossia Rachel.

I suoi ultimi pensieri andarono a lei. A quella giovane donna piena di forza di volontà, di coraggio, dal cuore d’oro. Lui aveva fallito, ma sapeva che, invece, lei non lo avrebbe fatto. Se solo avesse potuto, glielo avrebbe detto di persona, ma ormai era troppo tardi.

Lei era l’unica che aveva una possibilità, e Dom sperò che riuscisse a sfruttarla. Per Hester, per tutto il paese, per l’intera razza umana. 

Dominick digrignò i denti. «Uccidilo… Rachel… uccidi quel bastardo…»

Il ragazzo crollò a terra con un gemito. Quello fu l’ultimo suono che fuoriuscì dalle sue labbra.

 

***

 

Rachel riaprì gli occhi di scatto, soffocando un grido all’ultimo istante. Una luce bianca accecante la costrinse ad assottigliare le palpebre brevemente, mentre gocce di sudore le imperlavano la fronte e le sue mani stringevano con forza una ruvida coperta.

La ragazza chinò il capo, inspirando ed espirando rumorosamente, massaggiandoselo. Cos’era successo? Dove si trovava?

Si guardò attorno, confusa. La luce bianca che l’aveva abbagliata altro non era che il colore delle pareti della stanza in cui si trovava. L’odore di pulito e di disinfettante, più il suo giaciglio scomodo come un letto di spine e la tenda che lo circondava da un lato le fece capire di trovarsi in una stanza d’ospedale. Ma come c’era finita lì?

L’ultima cosa che ricordava era… la strada. E il suo scontro con il conduit bianco. E la gente che la osservava sconvolta, tra cui Artemis. Era stata lei a portarla in quel luogo?

La testa le faceva un male terribile, dopo quello a cui aveva appena assistito, poi, avrebbe di gran lunga preferito sbatterla direttamente contro una parete per poi crollare di nuovo, sicuramente il dolore sarebbe stato alleviato.

Dominick… era morto. Era stato ucciso… dal Soggetto Zero. Rachel sentì la propria pelle accapponarsi. Mai aveva pensato che lo avrebbe visto di persona. Certo, lei non era stata davvero lì, ma era praticamente come se lo fosse. Aveva sperato fino all’ultimo che fosse davvero sparito dalla circolazione, ma in cuor suo l’aveva sempre saputo che, prima o poi, si sarebbe fatto vivo. E a giudicare dalle sue parole, era come se lui fosse sempre stato presente. Conosceva Dominick, conosceva ciò che l’ex conduit copiatore aveva fatto ed era abbastanza sicura che conoscesse anche lei, nonostante non fosse stata menzionata per nome.

Non voleva mentire, la cosa la spaventava, e non poco. Dominick era stato annientato. Certo, non aveva i poteri per difendersi, ma lo stesso castano aveva affermato di non avere chance contro di lui, con o senza di essi. Secondo lui, l’unica ad avere una possibilità era lei. E la cosa, anziché rassicurarla, aveva l’effetto contrario. Sentì il peso delle responsabilità schiacciarla come un camion. Che cosa avrebbe fatto se il Soggetto Zero fosse arrivato lì nella comunità? Sarebbe riuscita a fermarlo? Quei pensieri non le avrebbero più dato tregua, ne era certa.

E per finire… Hester. Ecco dove l’aveva già sentita. Era la compagna di Dominick, quella che aveva accennato Kevin, la madre di Rick… e anche di Zoey, la quale probabilmente aveva dovuto trovarsi nel grembo della fiorista un mese o poco più prima delle esplosioni. Oltre ad Artemis, ora avrebbe dovuto informare anche lei. Non era obbligata a farlo, certo, però… non voleva disonorare le memorie di Dom in quel modo, che oltretutto era spirato senza nemmeno sapere di essere diventato padre di un’altra splendida creatura. Aveva sentito il suo dolore, aveva capito di aver sbagliato, aveva capito di essersi comportato in maniera scorretta e si era pentito, aveva chiesto scusa ed aveva accettato le conseguenze delle sue azioni. E Rachel non poteva che ammirarlo per questo.

Un rumore improvviso proveniente alla sua destra la fece voltare di scatto. Vide la tenda spostarsi lentamente, permettendole di scorgere l’uomo che si trovava dietro di essa. «Ah, sei sveglia» osservò, con un sorriso. La tenda venne spostata del tutto, permettendole di accorgersi che quello che all’inizio le era parso un dottore altro non era che un altro paziente, a sua volta sdraiato nel suo lettino.

Un uomo che doveva essere sulla trentina, con i capelli lunghi e una corta e curata barba. Indossava una canottiera nera, che lasciava scoperte le braccia notevolmente muscolose, più una vistosa fasciatura che doveva coprirgli l’intero petto.

«Ehm…» iniziò lei, confusa. «Sì…»

«Eri messa piuttosto male l’altra sera» proseguì lui, sistemandosi meglio contro lo schienale del lettino. «Non vedevo Artemis così preoccupata per qualcuno da molto tempo. E dopo quello che mi ha raccontato, posso comprenderla benissimo. Ci hai reso un grande favore ieri sera, te ne sono grato.»

Più l’uomo parlava, più la corvina non ci capiva niente. «As-Apetta… Artemis mi ha portata qui?»

«Sì. Mi ha detto che sei stata tu a scacciare lo Yatagarasu.»

«Chi?!»

Il suo interlocutore piegò in capo, quasi in un cenno di scuse. «Giusto, tu non lo sai. È il nome che abbiamo dato a quel conduit, lo Yatagarasu. Lo so, non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro, però ci sembrava un bel nome.»

«Oh…» mormorò Rachel, annuendo lentamente.

«In ogni caso, hai fatto un ottimo lavoro. È bello poter finalmente conoscere una conduit che difende i più deboli, anziché attaccarli senza motivo. Siete una specie più unica che rara. A proposito.» L’uomo sollevò la mano, frapponendola tra loro. «Io sono il capitano Allen. Lieto di conoscerti.»

Non appena udì il suo nome, la giovane spalancò gli occhi. Ecco, dunque, chi era questo Allen che in più di un’occasione era stato nominato. E questo spiegava anche perché aveva parlato al plurale quando aveva detto di doverle un favore, anche lui faceva parte del corpo di sicurezza. La ragazza abbozzò un sorriso, per poi stringere la mano. «Il piacere è tutto mio. Io sono Rachel.»

«La figlia di Angela, giusto?» domandò ancora l’uomo.

«Sì, io…» Rachel si interruppe, sgranando gli occhi. Si era totalmente dimenticata di sua madre. Chissà che cosa aveva pensato quando aveva scoperto che sua figlia era una conduit, e chissà come aveva reagito quando aveva scoperto che era finita in ospedale, reduce da un combattimento furibondo con un altro conduit. Il tutto, naturalmente, la stessa sera in cui l’aveva lasciata uscire convinta che si sarebbe semplicemente divertita insieme ai propri amici. Sicuramente Arella aveva fatto i salti di gioia quando Artemis, o chissà quale soldato, era andata ad informarla dell’accaduto.

«Era qui qualche minuto fa’» disse Allen, interrompendo i suoi pensieri. «Ma è andata a prendersi un caffè. Peccato che si sia persa il tuo risveglio, è rimasta con te per tutto il tempo. Era molto preoccupata.»

«Preoccupata?» Rachel sentì lo stomaco alleggerirsi. Inoltre… era rincuorante sapere che sua madre era rimasta con lei. Sì, era molto bello riavere una madre.

«Preoccupata, sorpresa, arrabbiata perché non glielo avevi detto e… orgogliosa» concluse l’uomo, con un sorriso. «Molto orgogliosa di sapere che la sua bambina era un’eroina.»

Il sollievo svanì ben presto dal corpo di Rachel, che sentì le guance pizzicare. «Ha… ha detto così? La sua… "bambina"?»

Allen ridacchiò. «La cosa ti turba?»

«Molto» mugugnò lei, strappandogli una risata più grossa, e anche contagiosa, perché la ragazza si ritrovò suo malgrado a sorridere.

Allen si sistemò meglio sul suo lettino, per poi sospirare profondamente, questa volta, con un moto di amarezza nello sguardo. «Sii solamente felice per averla ritrovata. Voi due siete molto fortunate…»  credimi.»

«Lo so» rispose Rachel, intuendo che per lui, invece, le cose non fossero andate altrettanto bene, e pertanto preferendo aggirare quella questione.

«In ogni caso, la voce su di te si è espansa in fretta» proseguì Allen, con lo sguardo smarrito di fronte a sé. «Hai perfino fatto scomodare il sindaco. Ha convocato tutti i suoi sottoposti, i due ufficiali e tutti i capitani eccetto me, visto che per un po’ da qui non posso ancora muovermi. Sono ore che stanno discutendo su cosa farne di te. Roy, Mary, Simon e Konstantin non hanno nemmeno avuto il tempo di farsi medicare in maniera adeguata, quando sono tornati dalla loro ultima missione. Non vedevo tutto questo movimento al municipio da mesi. Ci hai… dato una bella gatta da pelare, devo essere sincero.»

«In… in che senso stanno discutendo su di me?» domandò Rachel, perplessa.

«Devono decidere cosa fare, di te.»

Quella frase le fece accapponare la pelle. Sapere che il suo destino sarebbe dipeso da qualcun’altro, sapere che avrebbe potuta essere separata dai propri amici e da sua madre, o peggio, far finire pure loro nei guai, era insopportabile.  

«Ma cosa c’è da decidere?!» domandò, alzando la voce senza nemmeno rendersene conto. «Se non fosse stato per me quel conduit avrebbe raso al suolo tutto quanto! Dovrebbero essermi grata per ciò che ho fatto, non mettersi a sparlare di me su dio solo sa cosa!»

«Calmati» asserì Allen, tornando a guardarla, serio in volto. Un’espressione totalmente diversa rispetto a quella a cui lui l’aveva abituata. «Questo temperamento sicuramente non gioverà alla tua causa. È vero, hai reso un grande servigio alla comunità, ma i conduit non hanno una bella fama, le persone sono spaventate da loro. Purtroppo, è una situazione delicata, questa. Ma se vuoi il mio parere, nulla ti accadrà, anzi.» Il capitano incrociò le braccia, abbozzando un altro sorriso. «Secondo me, ti chiederanno di unirti al nostro corpo di sicurezza. Una conduit come te può sicuramente tornarci comodo, anche se prima dovremo accertarci che tu non costituisca un pericolo, ma sconfiggendo lo Yatagarasu sicuramente ti sei già guadagnata un bel po’ di punti.»

Dopo quelle parole, la giovane riuscì a rasserenarsi un minimo. Rachel sospirò, sprofondando di nuovo sul lettino. «Scusami. È che… ho troppe cose per la mente…»

«Non preoccuparti» sorrise Allen, per gemere di dolore. «Ah, dannazione…» borbottò, sfiorandosi il petto fasciato, evitando di toccarlo direttamente, probabilmente perché faceva troppo male per farlo.

Osservandolo, la ragazza piegò il capo. «Che ti è successo?»

Il capitano fece una smorfia. «Due Corrotti. Uno l’ho mandato a dormire, con il collo girato al contrario, l’altro mi ha trafitto al petto. Sono sopravvissuto per miracolo. Come se non bastasse, la ferita si è infettata e non ne vuole sapere di richiudersi. Mi fa male ogni volta che provo a muovermi e l’unica cosa che posso fare è rimanere qui a farmi imbottire di morfina…»

Rachel annuì, osservando le bende sul suo petto come in trance. Aprì e chiuse la mano un paio di volte, pensierosa. La ragazza si sedette sul bordo del letto. L’uomo, accorgendosi del suo sguardo, sollevò un sopracciglio. «Che ti prende?»

«Fidati di me» rispose lei, alzandosi in piedi. Per un attimo le sue gambe quasi la tradirono, facendola cadere a terra, ma riuscì a mantenere l’equilibrio. Chissà per quanto tempo era rimasta sdraiata in quel letto. A giudicare dalla fatica con cui si reggeva in piedi, dovevano essere passate almeno dodici ore.

«Cosa vuoi far…» Allen si interruppe, con un gemito, quando Rachel posò con delicatezza il palmo della mano sul suo petto. L’energia nera si liberò da esso, avvolgendo le fasciature sul corpo del capitano, che rimase a bocca aperta. «Ma… ma cosa…»

All’inizio sembrò spaventato, ma quando i poteri curativi della giovane iniziarono a fare effetto, nel giro di poco tempo l’uomo si ritrovò a chiudere gli occhi, per poi sospirare di sollievo. Quando Rachel terminò il suo lavoro, allontanò la mano, con un po’ di fiatone. Forse aveva usato i suoi potei troppo presto, si era appena risvegliata del resto, ma non voleva più vedere Allen soffrire per il dolore di fronte a lei. E quando questi si rese conto di ciò che era appena successo, schiuse le labbra. Si mise a sedere sul letto, per poi toccarsi il petto, dapprima con incertezza, poi sempre con più sicurezza. Non appena capì di non provare più dolore, si voltò verso di lei. «Come hai fatto?»

«I miei poteri» spiegò lei, tornando a sedersi sul suo letto, con la testa che le girava leggermente. «Posso usarli per guarire quasi tutte le ferite… non tutte però. Inoltre, più la ferita è grave, più è difficile per...»

Si interruppe, quando l’uomo saltò giù dal letto con un colpo di reni, atterrando perfettamente in piedi e mostrando un’agilità impressionante. «Accidenti, è bello potersi muovere di nuovo!» esclamò, per poi voltarsi verso di lei. «Grazie Rachel.»

La giovane abbozzò un sorriso. «Prego.»

Allen si tolse la canottiera, per poi cominciare a togliersi le fasce attorno al suo petto. La ragazza spalancò inevitabilmente gli occhi osservando il suo fisico. Quanto l’uomo rimosse tutte le bende, si osservò il petto completamente liscio ed integro. «Incredibile…» sussurrò, sfiorandosi il punto in cui, probabilmente, prima si doveva essere trovata una grossa ferita. Mentre lo guardava, la ragazza notò diversi tatuaggi sul suo fianco. Le lettere "AJ", con sotto riportate diversi numeri, che sembravano delle date. Rachel sollevò un sopracciglio, incuriosita, ma l’uomo si rimise la canottiera, coprendoli.

La ragazza fece per parlare di nuovo, ma la porta della stanza si spalancò di colpo, facendola voltare. Vide Angela sull’ingresso, con un bicchiere di caffè in mano, sgranare gli occhi. «Rachel!» Entrò nella stanza di corsa, avvicinandosi a lei e posandole una mano sulla fronte, per chissà quale motivo. «Stai bene?»

«Ehm… sì… perché mi tocchi la fronte, non ho la febbr…»

«Mi hai terrorizzata!» esclamò Arella, interrompendola brutalmente. «Hai idea di cosa significhi essere svegliati nel cuore della notte da un soldato che viene a dirti che tua figlia è finita all’ospedale, dopo aver combattuto contro un conduit gigante per giunta?!»

Rachel sentì le guance colorarsi per l’imbarazzo, sia per la sceneggiata che Angela stava facendo, sia perché, del resto, aveva ragione. «Mi dispiace» mormorò la ragazza, abbassando lo sguardo. «Non volevo che tu lo scoprissi in questo modo che ero una conduit…»

Angela sospirò, sedendosi accanto a lei. «Non devi preoccuparti. Non mi importa se sei una conduit, tu rimani sempre mia figlia.  È solo che… ho temuto per la tua vita. Ci… ci siamo appena ritrovate e…»

Rachel le posò una mano sulla spalla, per rincuorarla. La donna si voltò verso di lei. Solo in quel momento Corvina notò le sue occhiaie e il suo sguardo tremendamente stanco. Sicuramente aveva passato la notte in bianco, solo per lei. La giovane si sentì tremendamente in colpa. Senza dire nulla, abbracciò la donna, affondando il volto sulla sua spalla. «Non accadrà più, te lo prometto.»

«Non devi farmi promesse, Rachel» rispose Arella, ricambiando con forza l’abbraccio. «Ciò che hai fatto è stato comunque incredibile. Hai salvato molte persone innocenti, ieri sera, e per questo non potrei essere più fiera di te. È solo che… ho avuto paura di perderti di nuovo.» Angela ridacchiò, accarezzandole i capelli. «Non preoccuparti, non sono arrabbiata con te. Non potrei mai esserlo.»

Corvina annuì, riuscendo a tranquillizzarsi. «E… dove sono Lucas e le ragazze?»

Angela sospirò. «Avrebbero voluto venire anche loro a controllare come stavi, ma purtroppo non glielo hanno permesso. Lucas era molto arrabbiato, ma ha comunque accettato la cosa, anche per non creare problemi. Loro sono tornati a casa, a me, invece, hanno permesso rimanere con te, visto che sono tua madre. Ti hanno perfino ricoverata qui, nell’ala riservata ai militari, per ragioni di sicurezza.»

Il pensiero di Rosso preoccupato per lei fece avvampare la giovane, che tuttavia apprezzò il suo desistere. Siccome era già segnato come potenziale problema, l’ultima cosa che voleva era che si cacciasse nei guai solo per lei.

«A proposito, hai conosciuto…» Angela si interruppe, quando si accorse di Allen, sorridente, appoggiato contro la finestra al fondo della stanza. La donna spalancò la bocca. «Allen! Ma… che ci fai in piedi?»

«Tua figlia è speciale, Angela» replicò lui, allargando il sorriso.

Arella osservò prima lui, poi la corvina, cominciando a mettere insieme i pezzi. «Lo hai… lo hai guarito?!» domandò, atterrita.

«Direi che mi ha perfino "migliorato"» rispose il soldato, allontanandosi dalla finestra. «Non credo di essermi mai sentito meglio.»

Rachel distolse lo sguardo, sentendosi quasi in imbarazzo. «Non ho fatto nulla di speciale…»

«A parte curarmi da una ferita da cui rischiavo di non riprendermi?»  domandò lui, incrociando le braccia.

«Rachel… questo è fantastico!» esclamò Angela, stringendola per le spalle. «Non credevo che i conduit potessero fare una cosa simile!»

«Beh… non tutti possono» spiegò lei, venendo stretta con ancora più forza dalla madre di conseguenza.

«Ma allora Allen ha ragione! Sei davvero unica!» strillò lei, letteralmente, facendola sentire dieci volte più in imbarazzo.

«Mamma, per favore…»

«Scusa, scusa» mugugnò lei, ma con un sorrisetto sulle labbra.

«Faremo meglio a chiamare i dottori, dire che ti sei ripresa» proseguì Allen, voltandosi verso la porta. «Se permettete, ci penso io. Ho bisogno di sgranchirmi le gambe…»

L’uomo uscì dalla stanza, seguito con lo sguardo dalle due donne. Tuttavia, non appena si rese conto di come Angela lo stesse guardando, alla ragazza venne da ridacchiare. «È troppo giovane per te, mamma.»

«Cosa?!» squittì lei, voltandosi di colpo, diventando paonazza. «M-Ma che stai dicendo?!»

«Non fare la finta tonta, lo stavi guardando come io guardavo la mia prima cottarella al liceo…»

«Non è vero!»

Rachel roteò gli occhi, con un sorrisetto divertito. «Certo. Come no.»

Arella fece un’espressione da bambina offesa, per nulla adatta ad una come lei. Distolse lo sguardo, impettita. «Razza di screanzata, guarda che lui ha più di quarant’anni!»

«Appunto. Troppo giovane per te.»

«Tu vuoi ancora avere un tetto sulla testa, giusto?» la minacciò la donna, con un filo di voce, osservandola con sguardo glaciale. Notandolo, Rachel realizzò da chi li aveva ereditati.

«Ok, ok, la smetto» borbottò la corvina, nascondendo un sorrisetto divertito, per poi lanciarle un’occhiatina maliziosa. «Anche se prima l’ho visto senza canottiera…»

«Com’è?» scattò subito Arella, strappandole un’altra risatina. «Aveva la V?»

Rachel si sdraiò sul letto, questa volta tappandosi la bocca e soffocando all’ultimo una risata ancora più grossa.

«Ehi! Smettila! È una cosa seria questa!»

La giovane la ignorò. Non credeva che avrebbe mai potuto trovare così divertente una stupidaggine come quella, come non credeva che sarebbe mai riuscita a ridere il quel modo con qualcuno che non fossero i suoi amici, ma stava succedendo e lei non poteva essere più felice.

«Questa è la prima volta che ti sento ridere, sai?» domandò infine Angela, arrendendosi, con un sorriso.

Rachel si tirò di nuovo su, calmandosi, ora con un sorriso imbarazzato. «Beh… è bello riavere una madre da far disperare.»

«Ed è bello riavere una figlia per cui disperarsi.»

Questa volta, entrambe ridacchiarono. Il silenzio scese tra loro, e la ragazza si sdraiò nuovamente, immergendosi nei propri pensieri. Ancora non aveva smesso di pensare alla sua visione. Aveva così tante cose per la testa… si sorprendeva di non essere ancora impazzita, davvero.

La porta si spalancò di nuovo di colpo, costringendola a rialzarsi. Si voltò, per poi rivedere Allen. «Indovinate un po’ chi ho trovato» affermò, per poi entrare nella stanza, seguito non da un dottore, bensì da Roy Harper. Il rosso entrò nella stanza, per poi posare lo sguardo su Rachel. La ragazza poté notare immediatamente i diversi graffi di cui il volto era ricoperto. «Vedo che sei piena di sorprese» commentò l’ufficiale, incrociando le braccia, mentre accennava con il capo ad Allen e, probabilmente, alla sua miracolosa guarigione. Rachel non riuscì a decifrare il suo tono, ma non sembrava risplendere di felicità.

«Pensi di poter uscire da qui oggi stesso?» domandò ancora.

La ragazza corrucciò la fronte, perplessa. «Sì, credo di sì. Sto bene, non ho più motivo di…»

«Bene. Vieni con me allora» la interruppe lui, uscendo senza nemmeno darle il tempo di rispondere. Rachel rimase a bocca aperta. Osservò la porta, dopodiché sua madre, che sollevò le spalle, perplessa tanto quanto lei. Realizzando di non avere molta scelta, la corvina si alzò, sospirando. Fece per avviarsi verso la porta, quando Allen la trattene, posandole una mano sulla spalla.

«Ignoralo, fa sempre così» borbottò il capitano, strappandole un sorriso, per poi avviarsi a sua volta verso la porta. «Forza, andiamo. Non vedo l’ora di respirare un po’ di aria fresca…»

«Vai anche tu?» domandò Angela, sorpresa. «Ti sei appena rialzato dopo settimane…»

«Ragion per cui ho un sacco di tempo da recuperare» replicò lui, confidente, uscendo dalla stanza.

Le due osservarono la porta in silenzio per un breve momento, prima che Arella lo rompesse con un sospiro. «Se li porta proprio bene i suoi anni…»

Corvina la scrutò perplessa, per poi ridacchiare nuovamente, accompagnata da un sorriso di Angela.

 

***

 

Roy non era l’unico militare ad essere venuto a prenderla, a quanto pareva. Non appena mise piede fuori dall’ospedale, la corvina poté notare una dozzina di uomini armati, appostati contro a tre fuoristrada, ad attenderla. In un primo momento temette il peggio, pensò che fossero lì per arrestarla, o portarla via, o farle chissà che cosa, ma non appena tra di loro si districò Amalia, sorridendole sollevata, la ragazza riprese a respirare correttamente. Corvina fu lieta di sapere che anche lei, e quindi anche gli altri, stessero bene. Aveva temuto che per via della loro relazione con lei, una conduit, fossero finiti nei guai, ma fortunatamente così non era stato. E in ogni caso, l’attenzione di tutti loro non era nemmeno posata su di lei, ma su di Allen. Il capitano fu accolto quasi come un eroe dal resto dei soldati, i quali lo salutarono con strette di mano e pacche sulle spalle. Tra di loro poté perfino notare Simon, che questa volta non le rivolse alcuna occhiata ambigua, per suo enorme sollievo. Alle sue spalle, invece, Rachel poté udire Roy parlottare con Angela.

«Roth!» la salutò nel frattempo Komi, avvicinandosi a lei, tenendo una sigaretta accesa tra le dita. «Tutto ok?»

«Sì, grazie. Ma…» Rachel osservò i militari, perplessa, per poi accorgersi di come la mora fosse vestita: pantaloni grigi mimetici, maglietta dalle maniche corte nera, giubbotto antiproiettile, occhiali da sole a goccia appoggiati alla fronte e perfino un fucile a tracolla. Corvina dischiuse le labbra, osservandola. Le passò perfino di mente la domanda che stava cercando di farle poco prima.

«Roth? Ti senti bene?» domandò Amalia, notando il suo sguardo, per poi sogghignare. «Ti piace la mia tenuta da sexy soldatessa?»

«E-Eh?!» Rachel trasalì, strappando a Komi una risatina.

«Rilassati» la calmò l’altra, tornando seria. «Oggi Rosso, Tara ed io siamo andati al municipio come Harper ci aveva detto, e ci hanno assegnato le nostre mansioni. Io e Rosso siamo nel corpo di sicurezza, Tara invece farà assistenza nella scuola. Non ha detto a nessuno di essere una conduit» spiegò, a voce più bassa. «Credo che voglia mantenere il segreto ancora per un po’.»

«Oh» commentò Rachel, sorpresa di sapere che, nonostante tutto, i suoi amici fossero lo stesso andati al municipio, e che avessero trovato la loro mansione così in fretta. E poteva anche comprendere la decisione di Tara. Una sola conduit in quel gruppo era già stata più che sufficiente per attirare l’attenzione. Sinceramente, la corvina dubitava che la Markov avrebbe ancora preferito tenere i suoi poteri, dopo quel giorno, probabilmente le avrebbe chiesto di cancellarglieli alla prima occasione. «E Lucas? Lui non è qui con voi?» domandò, confusa.

«È con Artemis, in un’altra squadra» spiegò Komi, con una scrollata di spalle, per poi abbozzare un sorrisetto. «Quando scoprirà che ti ho rivista prima di lui non la prenderà bene…»

Rachel non faticava ad immaginarlo. Sinceramente, anche lei avrebbe preferito vedere prima lui, non che avesse qualcosa contro di Komi. «E perché tu e questi soldati siete qui?»

«Per prelevarti» sorrise Amalia. «Anche tu fai parte del corpo di sicurezza.»

Corvina sgranò gli occhi. «C-Cosa?!»

«Proprio così!» esclamò una terza voce. Le due ragazze si voltarono, per poi vedere Konstantin avvicinarsi a loro, stringendo tra le mani uno strano tubo grigio, di metallo. Il biondo sorrise raggiante. «Dopo la riunione di oggi, il sindaco e gli ufficiali hanno deciso di darti una possibili…»

«Non ci posso credere!» esclamò Amalia, sbalordita, osservando il tubo tra le mani del soldato. «Fumi davvero quella roba?!»

Konstantin si voltò verso di lei, in parte confuso, probabilmente per essere stato interrotto per un motivo così stupido, in parte imbarazzato perché doveva ancora essere innamorato perso di lei. «B-Beh…»

«Dà qua, hipster!» ordinò Komi, strappandogli l’aggeggio dalle mani, per poi infilarsi il suo beccuccio tra le labbra. «Devo schiacciare qui, giusto?»

«A-Aspett…»

Konstantin non riuscì a fermarla in tempo. La ragazza premette il tasto sopra il tubo ed inspirò profondamente, per poi strabuzzare gli occhi ed allontanarsi la sigaretta elettronica dalla bocca di scatto, tossendo all’impazzata, mentre una nuvola di vapore si disperdeva nell’aria. «Ma… ma che diavolo…» rantolò, senza voce, con una smorfia di dolore misto a disgusto sul volto. Sembrava quasi che stesse per vomitare.

«Ho cercato di avvisarti» borbottò il biondo, mettendosi una mano dietro la testa. «L’ho regolata al massimo…»

Komi era piegata in due, letteralmente. «Ma… ma come fai a fumare questa roba…?» sussurrò, con voce roca, per poi restituirgli il tubo. «Stavo per rimanerci…»

«Ecco, io…» Kovar sembrava imbarazzato come non mai. Come se quella fosse stata davvero colpa sua. Rachel fu costretta un’altra volta a coprirsi la bocca, o si sarebbe messa a ridere di nuovo, di fronte a quella scena.

«Come Konstantin stava dicendo…» borbottò Roy, arrivando alle sue spalle, scocciato. «… oggi verrai in missione con noi. Sarà una prova per testare le tue capacità, e per capire se possiamo davvero fidarci di te. So cosa stai pensando, hai già abbattuto lo Yatagarasu, dovrebbe bastare per farti guadagnare la nostra fiducia, ma purtroppo non funziona così, non con noi. Hai ancora parecchia strada da fare.»

Sempre gentilissimo…, pensò Rachel, tenendosi quelle parole per sé per ovvie ragioni.

«Io raggiungerò Artemis. Konstantin, vieni con me. Roth e Anderson, raggiungete quel gruppo di soldati. Il vostro superiore per questa missione vi dirà tutto quello che dovete sapere. Buona fortuna.»

«Buona fortuna» fece eco Konstantin, il quale non riuscì nemmeno ad alzare lo sguardo verso di loro.

«Sì, sì, certo…» brontolò Komi, che ancora non sembrava essersi ripresa dal fatto di poco prima.

L’ufficiale e il capitano si allontanarono.

«Vado anch’io» affermò Angela, rimasta alle loro spalle per tutto il tempo. «Stai attenta, Rachel.»

La corvina si voltò verso di lei, per poi rivolgerle un cenno di assenso del capo. «Non preoccuparti, lo farò. Ci vediamo questa sera.»

Arella sorrise. «D’accordo. A sta sera. Ah, e non fate impazzire Mary.»

Rachel sollevò un sopracciglio. Volle chiederle di più, ma una brusca voce femminile la costrinse a fermarsi: «Voi due.»

Le due ragazze si girarono di scatto, per poi ritrovarsi di fronte una donna in uniforme, alta, perfino più di Komi, slanciata, con lunghi capelli neri che le ricadevano lungo le spalle. Gli occhi erano di un azzurro glaciale, a stento visibili per via della sua disordinata frangia. Era bella, anche se non sembrava prendersi molta cura di sé.

«Ehm…» Rachel cercò di rispondere, ma venne interrotta nuovamente.

«Sei quella che ha guarito Allen» osservò la soldatessa, mentre spostava lo sguardo su di lei. Lo disse con tono ed espressione incolori, indecifrabili.

«Beh… sì» rispose Corvina, incerta. Per un momento pensò perfino che la donna non avrebbe preso bene la cosa, ma così non fu.

«In tal caso… grazie» rispose la soldatessa, incrociando le braccia. «Io sono Marianne. Sono il secondo ufficiale in carica e oggi farete parte della mia squadra.»

«Quindi saresti tu Mary?» domandò Amalia.

L’ufficiale parve incupirsi. «Odio quel nomignolo.»

«Davvero?» Komi corrucciò la fronte. «Ma allora perché ti chiamano tutti così?»

«Perché sanno che mi fa arrabbiare!» esclamò Marianne, voltandosi verso la sua squadra mentre lo diceva. Rachel vide Simon e Allen scambiarsi uno sguardo di colpevolezza, per poi voltarsi da un’altra parte e fare finta di nulla. La donna sollevò gli occhi al cielo, sospirando esasperata. «È tornato da cinque minuti e già vuole farmi ammattire.» Tornò a guardare le due ragazze. «Seguitemi.»

Le tre donne tornarono alle automobili, sulle i quali i soldati stavano già salendo. Rachel e Amalia salirono su quella dell’ufficiale, per ordine di quest’ultima, insieme ad Allen, mentre Simon sarebbe andato con gli altri soldati. Il biondo salutò Rachel con un cenno del capo, che la ragazza ricambiò – ancora non aveva scordato il favore che gli doveva – mentre il capitano più anziano si sedeva sul sedile del passeggero, accanto a Mary. L’idea di dover andare via così presto non faceva impazzire la corvina, ma purtroppo, se non voleva essere cacciata dalla comunità, era costretta ad obbedire.

Non aveva la più pallida idea di dove fossero diretti, né che cosa avrebbero dovuto fare, anche se sicuramente Marianne le avrebbe spiegato tutto. Forse. Rachel sospirò, spostando lo sguardo fuori dal finestrino, osservando gli interminabili palazzi della città e le persone a passeggio sfrecciare accanto a lei, preparandosi psicologicamente per il momento in cui tutto quello sarebbe svanito, rimpiazzato dal desolato mondo che si trovava al di fuori della comunità.






No, non mi sono dimenticato di questa storia, non preoccupatevi. Tempo, gente. Il tempo, e la pazienza, sono gli elementi chiave. Spero che esista ancora qualcuno a cui questa storia importi qualcosa, escluse ovviamente le fantastiche Sara e Rose. Troppo smielato? Chiedo scusa. Grazie ad entrambe comunque. Ok, alla prossima!

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Capitolo 14
*** I Divoratori ***


Capitolo 14: I DIVORATORI

 

 

Rachel aveva quasi scordato che al di fuori dei grigi palazzi e le strade affollate di Jump City ci fossero tutti quei terreni così paludosi. Non ne era molto sicura, ma era comunque abbastanza convinta che la California non avrebbe dovuto essere così. Che le esplosioni avessero avuto addirittura un impatto tale da trasformare l’ambiente?

«Dov’è che staremmo andando?» domandò Amalia, spostando lo sguardo dal finestrino ai due soldati seduti davanti.

«Quaranta chilometri a sud della comunità» rispose Marianne, gli occhi concentrati sulla strada di fronte a lei. «I nostri radar hanno rilevato una gigantesca fonte di calore in quel settore.»

«Quaranta chilometri?» domandò Allen, voltandosi sorpreso.

«Così lontano?» fece eco Amalia, sollevandosi gli occhiali da sole, perplessa.

«Così vicino, vorrai dire» la corresse l’uomo, per poi sospirare, appoggiandosi al sedile. «L’ultima volta erano a più di novanta chilometri da qui… che diamine sta succedendo, Mary?»

«Primo, non chiamarmi Mary. Secondo, sei stato fuori dai giochi per un po’, Jones. Francamente, non so nemmeno perché ti ho lasciato venire con me oggi, visto che sei appena uscito dall’ospedale.»

«Questo non risponde alla mia domanda.»

«Ci stavo arrivando» mugugnò Marianne. «Più passa il tempo, più le fonti di calore si avvicinano.»

Rachel cominciò a non capirci più nulla. «Fonti di calore? Che cosa intendete?»

«Enormi gruppi di Corrotti. Centinaia e centinaia di unità, per l’esattezza» spiegò Marianne.

«Stiamo andando a combattere centinaia di mutanti incazzati neri?» interrogò ancora Amalia, atterrita.

L’ufficiale piegò il capo. «Tecnicamente, questa è solo una missione di ricognizione. Ma se le cose dovessero mettersi male, e pregate che non succeda, allora sì, potremmo doverli respingere. Tanto, prima o poi, dovremo comunque farlo, non possiamo restarcene qui a guardare come invece vorrebbe quell’idiota che se ne sta sempre seduto nel suo ufficio…» borbottò.

Corvina sollevò un sopracciglio. Parla del sindaco?

«Calmati Marianne» suggerì Allen, posandole una mano sulla spalla. «Quei mostri non arriveranno a casa nostra. Non glielo permetteremo.»

La donna spostò brevemente lo sguardo su di lui. Sembrava esausta, anche più di Roy ed Artemis. Sospirò, poi annuì. «Lo spero.»

Rachel si mordicchiò il labbro inferiore, poi abbassò lo sguardo. Accanto a lei, scorse Komi stringersi nelle spalle. «Cosa sono?» mormorò la mora. «I Corrotti, intendo. Che cosa sono? Da dove saltano fuori?»

«Crediamo fossero umani, prima delle esplosioni» rispose Allen. «Ma non sappiamo se sono state le esplosioni a renderli così, o se si tratta di un effetto collaterale delle radiazioni.»

«O peggio» aggiunse Mary, cupa in volto. «Se si tratta di un conduit che ha giocato a fare dio con loro, trasformandoli in bestie senza ragione. Io ritengo che sia andata così.»

Quelle parole fecero sgranare gli occhi di Rachel. Ripenso a Sasha, e a ciò che aveva fatto ai Mietitori. La cosa era quasi analoga. Per quanto lugubre ed inquietante, la teoria di Mary sembrava quella con più fondamento.

«Devi smetterla di parlare così, spaventi le persone, lo sai?» brontolò Allen, scoccando un’occhiata a Mary.

«Oh, scusami tanto. Ho dimenticato che non dobbiamo dire alle persone che non vivono in un mondo fatato e che le strade non sono fatte di zucchero filato e sogni. Chiedo scusa, la prossima volta mi metterò a dire a tutti quanti che Babbo Natale e le pentole con l’oro alla fine degli arcobaleni esistono davvero. Contento?»

Allen roterò gli occhi e sospirò. Non rispose, intuendo che oramai la donna era entrata nell’umore sbagliato per poter discutere con lei.

«Questa è peggio di me» sussurrò Amalia a Rachel, strappandole un sorrisetto, alleggerendo, almeno per il momento, la pesantezza allo stomaco che la corvina stava provando.

 

***

 

Proseguirono a lungo, fino a quando non uscirono dalla strada principale per inserirsi in una sterrata che conduceva nei meandri di una fitta boscaglia. La jeep rimbalzò a lungo sopra la strada dissestata fino a quando, finalmente, non giunsero a destinazione, un piccolo spiazzo in cui la strada veniva interrotta, divorata dalla paludosa vegetazione. Ormai era impossibile raggiungere qualsiasi fosse il luogo a cui portava in macchina.

«Ci siamo, tutti fuori» ordinò Marianne, spegnendo il motore e saltando giù dal veicolo, seguita immediatamente dagli altri tre passeggeri. Altri quattro soldati, capitanati da Simon, scesero dalla seconda jeep, raggiungendoli.

Rachel si guardò attorno, stringendosi senza volerlo nelle spalle. Una strana nebbia si era sollevata, una nebbia che nell’autostrada non era affatto presente. Era diventata sempre più fitta man mano che erano proseguiti nella vegetazione e il sole, dapprima alto nel cielo, ora faticava a penetrarla con i propri raggi.

L’umidità era percepibile nell’aria, diventata notevolmente più fredda. Molteplici versi provenivano dalla boscaglia, chiaramente degli anfibi che dovevano abitare quel luogo paludoso. Di nuovo, Rachel non era molto sicura che quella fosse davvero la fauna tipica californiana. Accanto a lei, i soldati si guardavano attorno, imitandola, bracciando le armi. Allen era immobile, a braccia conserte, mentre Amalia era l’unica che girovagava con cautela, probabilmente troppo nervosa per potersene stare ferma come gli altri.

«Simon, rilevi qualcosa?» domandò Marianne, osservando il giovane capitano, che posò lo sguardo su un marchingegno che teneva tra le mani, probabilmente un radar.

«Sì. Una grossa macchia di calore ad un miglio e mezzo a nord-ovest da qui. Probabilmente un largo gruppo di Corrotti.»

«O qualcosa di largo e basta» brontolò l’ufficiale, che proseguì con il suo ormai classico tono scontroso: «Diamoci una mossa. Odio questo posto.»

«Decisamente peggio di me…» sussurrò Amalia, accanto a Rachel. Non voleva mentire, la corvina era felice che almeno Komi fosse con lei. Anche se nemmeno Lucas le sarebbe spiaciuto…

Ripensare al partner, fece sorgere una domanda dentro di lei. Dubitava che Mary le avrebbe risposto, e comunque sembrava indaffarata con Simon. Fortunatamente, Allen sembrava molto più disponibile.

«Dove sono Roy e la sua squadra?» domandò al capitano, a bassa voce. «Credevo sarebbero venuti con noi.»

«A quanto pare un gruppo di Corrotti ha attaccato di nuovo uno dei nostri depositi, a cinquanta chilometri dalla comunità» spiegò Allen. «Roy è stato incaricato di occuparsene con la sua squadra.»

«Oh» mormorò Rachel, delusa. Anche se, da un lato, era felice di ciò. Se lei, una conduit, era stata scelta per partecipare a quella missione, e non all’altra, significava che quella era potenzialmente più pericolosa, pertanto era felice di sapere che anche Rosso non fosse presente. Sapeva benissimo che poteva badare a sé stesso, ma prevenire era meglio che curare.

«Sta tranquilla, rivedrai presto il tuo ragazzo» la punzecchiò Amalia, dandole una gomitata.

Rachel sentì le guance pizzicare, soprattutto perché Allen aveva sentito e aveva sorriso, e distolse lo sguardo da lei. Non appena la sentì ridacchiare, la corvina fece una smorfia. Un’idea folle le attraversò la mente all’improvviso, donandole un sorrisetto malefico. Si voltò di nuovo verso la mora, per poi osservarla con sufficienza. «Hai salutato Tara prima di partire per la missione?»

«C-Cosa?!» L’espressione di Amalia mutò radicalmente e la pelle del suo volto si tinse di un rosso acceso. «Che cavolo dici?!»

«Scommetto che ti si è gettata addosso implorandoti di non farlo, e che in questo momento è seduta da qualche parte, stringendo forte tra le mani l’oggetto che le hai regalato prima di partire, preoccupata a morte per te e cercando di ricacciare indietro le lacrim…»

«Ok, ok, basta, basta!» la frenò Amalia, accigliandosi. «Per prima cosa, non le ho regalato un bel niente. Sì, l’ho salutata, ma non è stato nulla di melodrammatico, lei sa benissimo che so badare a me stessa!»

«Peccato. Sarebbe stato il momento perfetto per farti avanti…»

«Roth!» Komi spalancò la bocca. «Ma si può sapere che ti prende?!»

«Siete davvero carine insieme, lo sai?»

«Va bene, va bene, ho capito, non ti stuzzicherò con la storia di Rosso. Dacci un taglio ora» mugugnò Komi, distogliendo lo sguardo da lei come una bambina offesa.

«Brava ragazza» replicò Rachel, con un sorrisetto spavaldo, accorgendosi solo allora di come per tutto il tempo Allen le avesse osservate con un sopracciglio alzato. Corvina gli rivolse una scrollata di spalle, strappandogli una risatina.

Perdendosi in quelle chiacchiere, Rachel non si era nemmeno resa conto che la nebbia stava diventando ancora più fitta. Poteva ancora vedere molto bene la strada di fronte a lei e lo spazio che la circondava, ma tra gli alti alberi era impossibile scorgere qualcosa. Il silenzio calò tra i soldati, rimpiazzato unicamente dal rumore dei loro passi sul suolo. Nonostante la conduit avesse i sensi acuiti al massimo, i suoi poteri sembravano ancora assopiti. La ragazza sapeva che se si fosse trovata in pericolo, loro l’avrebbero avvertita, ma in quel momento questi non le stavano dando il minimo cenno. Forse non c’era nulla di pericoloso attorno a lei. Non per loro, almeno. Da una parte, la cosa la rincuorò, dall’altra, i suoi poteri avevano concetti particolari di pericolosità. Ciò che per loro non era nulla di grave, per lei avrebbe potuto essere mortale.

Non poté nemmeno finire di pensarlo, che la terra tremò, colpita da un forte scossone. I soldati si fermarono di scatto, sollevando le armi e guardandosi attorno, sorpresi.

«Ma cosa…» La domanda di Amalia fu stroncata di netto da Marianne, che sollevò una mano per zittirla.

L’ufficiale fece vagare lo sguardo tra la vegetazione, per poi grugnire infastidita. «Non fate rumore» ordinò, con voce moderata, per poi proseguire, seguita da Simon, il quale ora osservava il radar parecchio più assorto, e il resto del gruppo.

Mentre proseguivano, altri scossoni si susseguirono, insieme ai rumori di qualcosa che si rompeva e che cadeva, molto probabilmente alberi. Rachel cominciò a farsi un’idea di cosa stesse accadendo, ma prima che potesse accertarsene, la terra esplose, esattamente di fronte al gruppo di uomini. Marianne e Simon, in cima al gruppo, arretrarono di scatto, mentre davanti a loro una gigantesca figura sbucava fuori dal suolo.

Non appena Rachel la vide, inorridì. Era un essere su quattro zampe, grosso quanto un furgoncino, ricoperto da scaglie marroni, simili a quelle di uno scarabeo. Gli arti erano piegati in maniera anormale, quelli anteriori avevano le zampe, simili a grossi artigli, rivolte verso l’interno del corpo, mentre quelli anteriori si piegavano per ben due volte prima di arrivare agli artigli, sempre rivolti verso l’interno. Due lunghe protuberanze di estendevano dagli arti anteriori, arrivando all’altezza di una grossa escrescenza appuntita che si trovava su quella che doveva essere la sua schiena.

E per finire… il suo muso. Il suo muso era una delle cose più raccapriccianti che Rachel ebbe mai la sfortuna di guardare. La pelle era biancastra, come quella dei Corrotti che aveva già incontrato, ma le somiglianze finivano lì. Due protuberanze si estendevano dalla sua mascella, prendendo la forma di una specie di tenaglia, un’altra, invece, si sollevava da esattamente in mezzo ai minuscoli occhietti gialli, a malapena distinguibili a causa di tutte le macchie che ricoprivano quella particolare parte del suo corpo. Denti affilati come rasoi, di un giallo disgustoso, spuntavano dalla sua mandibola.

Qualunque fosse quella cosa, era orribile. E, sicuramente, in passato non doveva essere stato un umano come gli altri Corrotti. A giudicare da come fosse sbucato fuori dal terreno, avrebbe potuto essere stato un animale, od un insetto.

«Un Devastatore…» sussurrò Allen, afferrando il proprio fucile, ben presto imitato dagli altri soldati, anche Komi e Rachel si prepararono al combattimento. Notando tutte quelle armi puntate su di lei, la creatura si innervosì ancora di più, perché emise un ruggito di frustrazione, come quello di un animale in trappola, e nel giro di pochissimi istanti dalla vegetazione saltarono fuori una mezza dozzina di Corrotti, sbattendo le membrane e ruggendo a loro volta contro di loro.

«Cazzo…» rantolò Marianne, mentre i mutanti si avvicinavano lentamente a loro, muovendo gli arti freneticamente e studiandoli. «Mantenete la posizione!» ordinò la donna, puntando a sua volta il fucile contro di loro. Nel frattempo, altri Corrotti continuavano a sbucare fuori dalla palude, crescendo sempre più di numero, fino quasi a superarli per almeno due ad uno.

E quando Rachel credette che le cose non potessero peggiorare, il terreno tremò ancora, e ancora, e ancora. Tutti quanti poterono sentire senza troppe difficoltà gli alberi continuare a crollare accanto a loro e gli scossoni farsi sempre più forti, come se l’origine di essi si stesse avvicinando sempre di più. Rachel scorse Simon abbassare di nuovo la testa sul radar, per poi imprecare: «Oh, merda…»

Nessuno poté chiedergli cosa gli fosse preso. Un ruggito dieci volte più potente di quello del Devastatore si sollevò in aria, costringendo tutti quanti, perfino gli stessi mutanti, a distogliere l’attenzione dai reciproci avversari. In mezzo alla vegetazione, attraverso la nebbia, poterono scorgere una figura gigantesca, grossa almeno il triplo rispetto a quella della creatura sbucata fuori dal terreno.

«Non… non può essere…» sussurrò Allen, con un filo di voce, osservandola.

La creatura avanzò, sbucando fuori dalla nebbia e prostrandosi in un altro terrificante ruggito, che fece tremare il suolo. Anche se i timpani che rischiavano di scoppiare, non erano la preoccupazione maggiore di Rachel. Non dopo che ebbe visto quella creatura dal vivo.

Un mostro corazzato alto minimo sei metri, l’essere più grosso che Rachel ebbe mai incontrato, che faceva sembrare il Devastatore un piccoletto. I pochissimi lembi di pelle scoperti, solamente quelli per permettere agli arti posteriori ed anteriori di compiere i loro gradi di movimento, erano di colore violaceo. Il muso, se così poteva essere definito, era composto semplicemente dalla sola, gigantesca bocca, le cui fauci erano formate da grossi denti aguzzi. Non c’era traccia di occhi o naso, e se c’erano, allora erano coperti dalla corazza che percorreva anche tutto il resto della schiena.

«C-Che diavolo è quel coso?!» domandò Amalia, inorridita.

«Un… un Divoratore…» rispose Allen, come ipnotizzato dalla bestia. «Lo abbiamo visto solo una volta, mesi e mesi fa’, a più di cento chilometri da qui…»

«Era lui da solo la fonte di calore…» osservò Simon, con ancora il radar in mano. «Non un gruppo di Corrotti…»

Rachel si guardò attorno, sconvolta. C’erano almeno dodici Corrotti, un Devastatore, che malgrado tutto rimaneva una minaccia da non sottovalutare, e ora perfino un Divoratore, probabilmente la creatura più grossa, orripilante e minacciosa che avesse mai visto. Questa li scrutò per un breve istante, anche se la conduit avrebbe voluto sapere come facesse a scrutare, visto che non aveva gli occhi, ma non poté rimuginarci su più di tanto perché questa ruggì un’altra volta, eruttando dalle proprie fauci una schifosissima sostanza verdognola, che precipitò sul gruppo di soldati.

«VIA!» urlò Mary, mentre gli uomini si sparpagliavano per non farsi colpire. Qualunque cosa fosse quella roba, lasciò dei crateri non indifferenti sul suolo. Nello stesso momento, anche il Devastatore ed il resto dei mutanti partirono all’attacco, generando il caos.

«Roth!» gridò ancora Marianne, mentre i boati dei fucili dei soldati che si difendevano iniziavano a risuonare tra la vegetazione. «Noi pensiamo ai Corrotti e al Devastatore, tu occupati del Divoratore!»

Corvina annuì, anche se quell’idea non le piaceva per niente. Non che avesse molta scelta, però. Si sollevò in cielo, trasformata, mentre sotto di lei una battaglia cruenta infuriava. Poté scorgere Amalia riuscire a far fuori un paio di mutanti, mentre altri soldati si concentravano sul Devastatore, il quale si rintanò di nuovo nel terreno, con una velocità tale che sembrava quasi che per lui quella fosse acqua. Poco dopo, spuntò di nuovo fuori, ad una decina di metri di distanza da dove si era trovato poco prima, aggredendo a sua volta i soldati con la propria bava verdastra.

La giovane avrebbe voluto poter essere d’aiuto anche per loro, ma in quel momento, di fronte a lei, c’era una minaccia più grossa di cui occuparsi. Mentre fluttuava nell’aria di fronte al Divoratore, non riuscì a credere al fatto che i suoi poteri non l’avessero avvertita di quell’essere. Davvero per loro un abominio simile non scaturiva una minaccia? Quanto avrebbe voluto avere lo stesso sangue freddo che avevano loro. Non voleva mentire, quella bestia la terrorizzava. E quando questa ruggì di nuovo, questa volta verso di lei in particolare, non ebbe idea di come riuscì a mantenere il controllo. Ancora una volta, il Divoratore rigettò contro di lei quella sostanza non meglio identificata, e Rachel fu costretta a scansarsi per evitarla. Non aveva idea di cosa fosse con esattezza quella roba, ma non si sarebbe stupita se fosse stata incredibilmente corrosiva.

Osservando poi la creatura, in particolare le sue fauci spalancate, la ragazza pensò di aver appena trovato il suo punto debole. La sua gola rosa, infatti, per ovvie ragioni non era coperta dalle placche protettive. Senza perdere altro tempo, scagliò un raggio di luce dritto tra i suoi denti. L’impatto fece ruggire di dolore la bestia, che pestò le zampe a terra con forza, facendola scuotere, per la frustrazione. Ovviamente, sarebbe servito molto di più che quel semplice colpo per abbatterla, ma se non altro ora la giovane sapeva cosa fare.

Il Divoratore la bombardò con una pioggia di quella disgustosa melma, costringendola a volargli intorno per rimanere al sicuro. Continuò a rispondere al fuoco, facendogli ingoiare i suoi proiettili di luce nera, ma man mano che connetteva, il Divoratore iniziò ad aprire la bocca sempre in maniera più sporadica. Si stava adattando. La ragazza serrò la mascella. Sperare che quel bestione si lasciasse colpire come un sacco da boxe forse senza realizzare cosa stesse succedendo era troppo.

Qualcosa la colpì alla caviglia mentre aveva quel pensiero. La ragazza sgranò gli occhi, mentre sentiva il proprio pantalone inumidirsi all’improvviso all’altezza del punto colpito. Abbassò lo sguardo, per poi realizzare che qualcosa di rosa e viscido le si era attorcigliata attorno. Prima che potesse pensare qualsiasi altra cosa, fu trascinata con uno strattone verso il Divoratore. Osservando le sue fauci spalancate farsi sempre più vicine, mentre quella roba rosa si ritraeva lentamente nella sua gola, l’orribile verità si fece chiara agli occhi di Rachel. La ragazza urlò a pieni polmoni, per poi puntare entrambe le ali verso la lingua del divoratore. Sferrò un altro dei suoi attacchi, centrandola, e costringendo la creatura a lasciarla andare mentre ruggiva per il dolore ancora una volta.

La ragazza si allontanò in volo alla svelta, per recuperare fiato, non tanto per la fatica, ma per via della disgustosa prospettiva di essere quasi diventata lo spuntino di quella bestia. Il Divoratore, nel frattempo, rimase a scuotere il capo freneticamente, con la lunga lingua rosa e sottile che si ritraeva tra i suoi denti. Rachel serrò la mascella, poi gridò nuovamente, questa volta di rabbia, e lo tempestò con tutto ciò che aveva, incurante del fatto che molti dei suoi attacchi andarono a cozzare contro la sua corazza.

Lo scontro proseguì. I raggi neri si abbattevano sulla creatura come pioggia, mentre questa, dal canto suo, rispondeva ruggendo e vomitandole quella robaccia verde addosso. Sotto di lei, spari e urla continuavano a riecheggiare, così come i versi degli altri Corrotti. Rachel avrebbe voluto abbassare lo sguardo per controllare la situazione, ma non poteva permettersi di distrarsi. Non le restava altro che augurarsi che stessero tutti bene, Komi in particolare. E comunque, oramai era troppo concentrata sul Divoratore.

Senza nemmeno rendersene conto, diverse nuvole di fumo nero avevano cominciato a sollevarsi da terra, mentre lei attaccava sempre con più forza la gigantesca creatura. Ogni secondo passato ad osservarla non faceva altro che accrescere il desiderio della conduit di abbatterla, specialmente dopo che aveva appena cercato di divorarla in un sol boccone. Anche se erano ancora piuttosto lontani, non poteva permettere che quella creatura si avvicinasse ulteriormente alla comunità. L’idea che quel Divoratore potesse avvicinarsi a qualcuno come Hester, Angela, o perfino Zoey, la ripugnava. Lei era l’ultimo ostacolo che rimaneva tra quella bestia, e la città. E lo avrebbe fermato, ad ogni costo.

Congiunse le ali, urlò a pieni polmoni un’altra volta, dopodiché un raggio di luce molto più grosso ed intenso dei precedenti si diresse verso le fauci del Divoratore. Questo chiuse la bocca un attimo prima di essere colpito, ma fu tutto vano: il raggio centrò in pieno uno dei suoi enormi denti, facendoglielo saltare di netto dalla bocca. L’incisivo lungo almeno un metro cadde a terra con un boato, mentre l’essere ruggiva di nuovo, dimenandosi per il dolore.

Rachel sgranò gli occhi: quella era la sua occasione.

ORA!

Urlò nuovamente con quanto fiato aveva in corpo, pronta per l’attacco finale. Mentre puntava le ali contro la bestia, una sensazione del tutto nuova le attraversò il corpo. Non l’aveva mai provata prima, non era nemmeno sicura di poterla davvero descrivere. Si sentì come se un’incredibile ondata di energia l’avesse appena investita, rinvigorendola interamente, per poi riversarsi fuori dalle sue braccia immediatamente dopo. Solamente in quel momento, Rachel notò le nuvole di fumo nero che oramai avevano circondato sia lei che il Divoratore, impedendole perfino di scorgere cosa stesse accadendo ai soldati e al Devastatore, e, con enorme sorpresa, realizzò che erano opera sua. Decine e decine di rampicanti di energia nera fuoriuscirono da esse, avvolgendosi attorno al Divoratore lungo tutto il suo corpo, immobilizzandogli tutti e quattro gli arti, mentre altri due puntarono alle sue fauci. Si attorcigliarono attorno a due dei suoi denti, per poi spalancargli la bocca con una semplicità quasi disarmante. Il mostro ruggì di protesta e cercò di dimenarsi, ma i lacci di luce non lo lasciarono nemmeno per un istante. La sua gola rimase esposta, priva di difese, mentre lei infliggeva l’ultimo attacco.

Un boato devastante si susseguì dopo l’impatto. Il proiettile di energia copi il punto debole, facendo, questa volta, emettere dal Divoratore uno strillo di dolore vero e proprio, che probabilmente fu udito perfino alla comunità.

I rampicanti cominciarono a ritrarsi poco per volta, permettendo al Divoratore di muoversi di nuovo, o perlopiù, barcollare. Una cascata di liquame verdastro cominciò a fuoriuscire dalla sua bocca ancora spalancata, prima che il mostro crollasse a terra, con un boato che fece tremare il suolo. Il fumo nero cominciò lentamente a svanire, il tutto sotto gli occhi di Rachel, che ancora si trovava in cielo, ad osservare la scena con il fiato pesante. Non aveva la più pallida idea di cosa fosse appena successo, ma era successo: aveva abbattuto quel bestione. Non appena aveva pensato alle persone in pericolo nella comunità, a quelle che conosceva in particolare… era quasi come se avesse smesso di vederci. Aveva piegato il Divoratore al suo volere quasi come se fosse stato un animaletto qualsiasi e lo aveva abbattuto come una mosca.

Era davvero stata lei a farlo? O erano stati i suoi poteri?

Cominciò lentamente a scendere di quota, fino a quando non toccò terra, dove tornò in forma umana. A quel punto, si osservò le mani, pensierosa. Era stato il pensiero di quelle persone in pericolo ad infonderle quella forza improvvisa?

«Roth» la voce di Komi, proveniente alle sue spalle, la fece voltare. Non appena si ritrovò di fronte la mora, piuttosto malconcia, certo, ma viva e vegeta, la corvina si sentì tremendamente sollevata. «Tutto bene?»

«Sì» annuì Rachel. «Voi invece?» Si guardò attorno, approfittando anche del fatto che le nuvole nere erano scomparse. Non appena vide il corpo del Devastatore sdraiato a terra, crivellato di proiettili e ricoperto di sangue marroncino, la conduit rimase a bocca aperta.

«Ehi, che ti aspettavi?» domandò Amalia, con un ghigno. «Non siamo mica gli ultimi dei fessi. Il bastardo era un osso duro, certo, ma nulla che una buona dose di piombo non potesse sistemare.»

Rachel osservò sorpresa prima la giovane, poi il gruppo di Corrotti privi di vita, poi il resto dei soldati. Sembravano tutti quanti stare bene. Tutti quanti malridotti, certo, ma vivi. La giovane sorrise. «Bel lavoro.»

«Stai scherzando?» Komand’r le diede una pacca sul braccio. «Tu hai fatto un ottimo lavoro! Hai steso quel… quel… coso.» Ed indicò il Divoratore, per poi sorriderle. «Esiste qualcosa che possa fermarti?»

Era una palese domanda retorica, eppure, per un istante, Rachel avrebbe quasi voluto risponderle di sì. Ma, fortunatamente, l’arrivo di Allen e Mary le impedirono di aprire bocca. I due osservarono il Divoratore. Allen incrociò le braccia, visibilmente impressionato, mentre Mary storse la bocca in un’espressione indecifrabile. Sembrò rimuginare per un breve momento, prima di annuire. «Sapevo di potermi fidare di te, Roth.» Spostò lo sguardo su di lei, per poi abbozzare un sorriso, il primo che la corvina le vide rivolgere a qualcuno. «Benvenuta in squadra»  

Anche Rachel si ritrovò a sorridere. A quando pareva, aveva passato la prova di fiducia a pieni voti. In quel momento, si sentì privata di un altro fardello non indifferente.

«E anche tu, Anderson. Per essere una novellina, te la sei cavata piuttosto bene.»

Komi sogghignò. «Far fuori stronzi è la mia specialità.»

«Cerca di sfruttarla bene anche in futuro allora, perché sicuramen…»

Un altro ruggito che fece tremare il terreno costrinse l’ufficiale ad interrompersi e distrusse in un solo istante quel momento di serenità che si era creato. Tutti i presenti alzarono lo sguardo sorpresi. Tutti eccetto Simon, il quale corse incontro al suo superiore. «Marianne!» esclamò, porgendole il radar. «Guarda…»

Mary afferrò lo strumento senza perdere un solo istante. Non appena posò gli occhi sullo schermo, sbiancò. Il ruggito, nel frattempo, si fece di nuovo sentire, ma questa volta non era da solo. Quello che all’inizio Rachel scambiò per un eco, altro non era che un secondo ruggito, accompagnato da un terzo. Questi segnali, uniti allo sguardo di Marianne, non erano per niente qualcosa di buono. La terra ricominciò a tremare, ora con molta più frequenza. Prima che chiunque potesse chiedere all’ufficiale, o a Simon, cosa avessero visto, dal terreno spuntarono fuori altri due Devastatori, spalancando le fauci, ostili verso di loro, mentre dalle acque paludose cominciarono ad uscire altre decine e decine di Corrotti.

Rachel sgranò gli occhi, osservando quella nuova ondata di nemici, molto più massiccia della precedente. E quando scorse, tra la nebbia, ben tre figure gigantesche avvicinarsi sempre di più, sentì le gambe trasformarsi in gelatina.

«Mio Dio…» sussurrò Allen, facendo cadere le proprie braccia a peso morto lungo i fianchi, lasciando che la punta del fucile che stringeva sfiorasse il suolo.

«RITIRATA!» urlò Mary, un istante prima che i Corrotti e i Devastatori partissero alla carica. Nessuno dei soldati se lo fece ripetere due volte.

Mentre fuggivano da quel luogo infestato dai mutanti, un altro numero spropositato di Corrotti continuò a fuoriuscire dagli stagni, cercando di rallentarli e di tagliare loro la strada. Lo stesso valeva per i Devastatori, Rachel ne vide sbucare fuori dal terreno almeno altri sei, il tutto mentre i tre Divoratori, ancora lontani, marciavano lentamente verso di loro, continuando a ruggire e a far tremare il terreno.

Corvina e i soldati scacciarono i Corrotti che si avvicinavano troppo a loro, mentre erano costretti ad evitare direttamente i Devastatori. Rachel, dall’alto, cercò di coprire i propri compagni come meglio poteva, soprattutto sbarrando la strada ai conduit più grossi, tenendoli lontani con del fuoco di soppressione e intralciandoli con dei rampicanti, ma erano troppi, anche per lei, ed inoltre stava cominciando ad accusare la stanchezza.  Del resto, aveva appena abbattuto un Divoratore, e non era stato facile, inoltre non si era nemmeno ripresa del tutto dallo scontro della sera precedente.

Finalmente riuscirono a raggiungere di nuovo le macchine. Mentre i soldati si affrettavano a salire sulle vetture, Rachel rimase in cielo, a fare da capro espiatorio, attirando l’attenzione dei Corrotti su di sé. Non appena i veicoli si allontanarono a tutta velocità, la ragazza si affrettò a raggiungerli, mentre sotto di lei continuavano le urla disumane di quegli esseri, i ruggiti e la pioggia di melma verde che cercavano di scaraventarle addosso.

 

***

 

«No, Jones, non capisci nulla, come al solito!» stava urlando Mary, mentre Rachel atterrava nella piazzola di sosta dell’autostrada, dove i veicoli dei militari si erano fermati.

Amalia era distante da loro due, chiaramente scossa da ciò che era accaduto poco prima, a giudicare da come continuasse a guardarsi attorno, con i sensi affinati al massimo. Simon, invece, era in silenzio, appoggiato al suo fuoristrada, a braccia conserte.

«Marianne, ascoltami…» cercò di dire ancora Allen, l’unico che a quanto pareva sembrava avere il coraggio di discutere con lei.

«No, razza di idiota, ascoltami tu!» lo interruppe l’ufficiale, ricordando a tutti quanti il perché con lei era meglio non avere a che fare, per poi puntare l’indice verso la palude da cui erano arrivati. «Si stanno avvicinando sempre di più, lo capisci o no?! Non possiamo affrontarli!»

«E pensi davvero che evacuare sia la cosa migliore?!»

Mary si avvicinò all’uomo, puntando ora l’indice verso il suo collo. «Ci sono mia sorella e mia nipote, a Jump City» disse, con un sussurro, quasi come se quella non fosse un’affermazione, ma una minaccia di morte rivolta verso di lui. «Io non permetterò a quelle bestie di avvicinarsi a loro!»

«Non accadrà» proseguì Allen, sollevando le mani, cercando di farla ragionare. «Possiamo sconfiggerli.»

«Certo, possiamo sconfiggere i Corrotti. Ma i Devastatori? E i Divoratori?! Credi davvero che quelli che abbiamo incontrato erano gli unici?! Dimmi, Jones, cosa pensi che accadrà quando venti di quei cosi arriveranno alla città? Eh?!»

Per tutta risposta, Allen protese un braccio verso di Rachel. «Abbiamo anche noi la nostra arma.»

Corvina, realizzando di essere al centro dell’attenzione, sussultò. Nel frattempo, Mary la scrutò sollevando un sopracciglio, scettica, nessuna traccia dell’ufficiale gentile e cordiale che aveva conosciuto poco prima rimasta dentro di lei.

Fece schioccare la lingua, in segno di disappunto. «Ma se quell’incapace a stento si regge in piedi! Guardala, è ridicola!»

Rachel sgranò gli occhi, sentendosi perfino offesa da quelle parole. Era vero, era esausta, ma essere definita "incapace" e "ridicola" in rapida successione non era gradevole, per niente, soprattutto considerando ciò che aveva appena fatto per tutti loro. Anche se comunque la conduit non se la sentiva di biasimare la donna. Sapeva che l’ufficiale non pensava davvero quelle cose, giusto mezz’ora prima le aveva detto di essere felice di averla dalla sua parte, semplicemente, la tensione del momento la stava facendo andare fuori dai gangheri. Sembrava quasi sull’orlo di un esaurimento nervoso.

Ma quello che Rachel comprendeva, spesso, non era compreso dalle persone che la circondavano. «L’incapace che però ha appena salvato quel bel culo che ti ritrovi!» si intromise a tal proposito Amalia, puntando l’indice a sua volta verso l’ufficiale. «Dovresti esserle grata anziché vomitarle addosso stronzate!»

«Komi, no» cercò di placarla Rachel, ma ormai Mary si era già voltata verso di lei.

«Prego?!» domandò, spostando l’attenzione sulla ragazza. Osservandole, Rachel deglutì. La corvina apprezzò il gesto di Amalia, che si era fatta avanti per proteggere l’onore della sua amica, ma sapeva anche che si era trattato di un gesto assolutamente inopportuno, considerando i caratteri esplosivi di entrambe le soldatesse.

«Calmatevi, per favore» decise di farsi avanti, frapponendosi tra le due donne, venendo ben presto aiutata da Allen e Simon, che trascinarono via quasi di peso l’ufficiale dalla novellina, prima che la situazione degenerasse del tutto.

Mary si liberò dalla presa dei due soldati con uno strattone, per poi osservare con sguardo incendiario sia loro che Amalia. Dal canto suo, Komand’r si tranquillizzò, lasciando che Rachel la allontanasse a sua volta dalla donna.

«Ma come fai, Roth?» borbottò la mora, una volta distante dal resto dei soldati, incrociando le braccia.

Rachel sollevò un sopracciglio. «A fare cosa?»

«A lasciare che certe persone parlino male di te nonostante tu possa far pentire loro di essere nate» rispose, indicando le sue mani, o meglio, ciò che le sue mani potevano fare. Una domanda che la stessa conduit si era anche posta, in passato, anche se alla fine la risposta giusta era sempre giunta in suo aiuto.

«Perché se lo facessi non sarei più dalla parte della ragione» spiegò, con calma.

«Beh... la parte della ragione sembra parecchio triste.»

«Infatti lo è… ma è l’unica scelta che ho.»

«Anche questo è parecchio triste.»

«Lo so.»

«Faremo rapporto al sindaco, sono certo che lui saprà cosa fare» stava dicendo nel frattempo Allen a Mary, sperando di essere in grado di placarla.

La donna fece un verso di assenso, per nulla convinto, poi sospirò. «D’accordo, ripartiamo. Salite in macchina, forza.»

Sembrò perfino dimenticare il diverbio appena accaduto, visto che non disse nulla quando sia Amalia che Rachel salirono in auto con lei. Corvina si appoggiò allo schienale, sospirando profondamente. Mary non era certo l’unica preoccupata per quella situazione. Come se non bastasse, i soldati credevano davvero che lei avrebbe potuto essere d’aiuto. Certo, poteva affrontare un Divoratore da sola, ma tre? Cinque? Dieci? La giovane rabbrividì al solo pensiero. Si domandò se il Soggetto Zero, invece, sarebbe stato in grado di abbatterne così tanti. Il pensiero che anche lui potesse fallire magari avrebbe potuto rincuorarla, far cadere questo alone di immortalità che si aggirava attorno a quell’uomo, ma più ci pensava, più sentiva che, sì, sarebbe riuscito a vincere. E così le sue considerazioni ebbero l’effetto opposto su di lei.

Corvina si prese il volto tra le mani. L’epidemia, il Soggetto Zero, Richard posseduto, Jack, e ora anche i Corrotti. Le sembrava di trovarsi in un labirinto.

Spostò lo sguardo verso il finestrino. Per il resto del viaggio, rimase ad osservare i terreni paludosi che sfrecciavano accanto a lei, immersa nei propri pensieri.

 

 

 

 

 

Devastatori (fun fact, in inglese si chiamano "Ravagers". Manchi a quasi tutti noi Rose):

Risultati immagini per infamous 2 ravagers

Divoratori:

Questi sono i corrotti invece, non credo di aver ancora postato una loro immagine:

Risultati immagini per infamous 2 corrupted

Grazie per aver letto, troppo buoni davvero. *Depressione intensifies*

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Capitolo 15
*** Ma questa notte, balliamo ***


Capitolo 15: MA QUESTA NOTTE, BALLIAMO

 

 

 

Quella giornata sembrava interminabile. Fu solo quando, finalmente, rifecero il loro ingresso all’interno della comunità che Rachel pensò che fosse finalmente finita. L’unica cosa che voleva fare ancora era rivedere Lucas, per parlargli, per sapere se stava bene, dopodiché nulla le avrebbe impedito di sprofondare nel suo letto a casa di Angela.

Quando la macchina si fermò, Rachel scese, con le gambe intorpidite, esausta. Alle sue spalle poteva ancora udire Allen, Marianne e Simon discutere tra loro, mentre Amalia sembrava tutto meno che interessata alla faccenda.

Corvina rimase in attesa di un via libera da parte del suo ufficiale, visto che dubitava di potersene andare senza dire nulla a nessuno. Mentre faceva vagare distrattamente lo sguardo attorno a sé, si rese conto che i veicoli militari si erano fermati esattamente di fronte all’ingresso dell’ospedale. Non appena la conduit notò l’insegna dell’edificio in questione, un pensiero attraversò la sua mente. Si ricordò di Richard, ricoverato la dentro chissà dove, e si domandò se la sua convalescenza avesse portato ai risultati sperati, o perlomeno a qualche miglioramento.

 «Io vado a vedere come se la passa Tara» annunciò Amalia all’improvviso, apparendole accanto. «Vieni con me?»

Rachel si voltò sorpresa, per poi accorgersi di come il gruppo di militari si stesse smaltendo. Probabilmente avevano ottenuto la giornata libera senza che lei nemmeno se ne fosse accorta. «Mi piacerebbe, ma prima voglio fare una cosa. Ci vediamo questa sera a casa, va bene?»

Amalia scrollò le spalle. «Come ti pare. A più tardi.»

«A più tardi.»

La corvina rimase da sola, felice che la mora non le avesse chiesto ulteriori spiegazioni. Si voltò di nuovo verso l’ospedale, poi annuì con decisione.

 

***

 

Rachel detestava gli ascensori. Ogni volta che ne prendeva uno temeva che si bloccasse, lasciandola chiusa al suo interno per il resto della sua esistenza. Certo, ora che era una conduit probabilmente sarebbe riuscita a liberarsi in ogni caso, ma preferiva comunque che ciò non accadesse.

Le porte si spalancarono e la ragazza uscì fuori, ritrovandosi in un pianerottolo immerso nella penombra. Di fronte a lei, un piccolo atrio che conduceva ad una porta tagliafuoco chiusa, alla sua sinistra, la tromba delle scale. Rachel si guardò attorno, perplessa. La donna alla reception non le era stata di grande aiuto, aveva blaterato qualcosa in merito al terzo piano dell’ala est dell’ospedale, mentre sembrava più impegnata a studiare il modo di mettersi in salvo da lei che aiutarla per davvero. Corvina grugnì infastidita ripensando al terrore generale che ancora sicuramente alleggiava attorno a lei, poi sospirò e tirò dritto verso la porta, tanto non c’era nessuno in giro in grado di aiutarla.

Si ritrovò in un lungo corridoio, anch’esso scarsamente illuminato. L’odore di chiuso, misto a quello dolciastro dei disinfettanti e delle macchine ospedaliere si insinuarono nel suo naso, assieme all’aria umida e calda. Una cosa che senza dubbio detestava più degli ascensori erano gli ospedali, e quell’aria deprimente che erano sempre in grado di trasmettere.

Come prima, nessuno era presente. Rachel esitò, incerta sul da farsi. Avrebbe voluto provare a chiamare qualcuno, un dottore, un infermiere, ma non voleva disturbare alcun paziente. Storse la bocca, poi si avviò verso una delle numerose stanze. La prima aveva la porta chiusa, così la giovane si limitò semplicemente a sporgersi sulla finestrella di vetro su di esso. Non appena lo fece, un desolante spettacolo si palesò di fronte a lei: una mezza dozzina di lettini, con altrettante persone sdraiati su di essi. Alcune dormivano, altre erano sveglie. Queste ultime non sembrava se la stessero passando bene, a giudicare da come si muovevano e dalle espressioni che facevano. La ragazza deglutì, inquietata. Se si concentrava, poteva perfino sentire alcuni gemiti provenire dall’interno. Allontanò lo sguardo, prima che ciò che aveva visto iniziasse a turbarla più del dovuto.

Si diresse verso la seconda stanza, chiusa come la prima, e con al suo interno pazienti che versavano nelle medesime condizioni dei precedenti. Questa volta, la corvina sentì i battiti del proprio cuore accelerare, mentre un oscuro presentimento iniziava a farsi strada dentro di lei. Lo stesso accadde quando si ritrovò di fronte prima alla terza, e poi alla quarta stanza. Ormai era chiaro che avesse sbagliato piano, perché, qualunque cosa avessero quelle persone, di certo non era amnesia.

Sull’orlo di una crisi di panico, la giovane si ritrovò di fronte alla porta della quinta ed ultima stanza. Sperare di trovarci qualcosa di diverso era davvero troppo. E più osservava quelle persone sdraiate contorcersi doloranti, più quell’oscuro presagio la divorava dall’interno. Tutte loro dovevano avere la medesima malattia. E questa, non sembrava nulla di comune.

«Ragazzina.» Rachel non riuscì a trattenere un gridolino e si voltò di scatto, spaventata a morte, per poi ritrovarsi di fronte lo sguardo e l’espressione severe di un uomo. A giudicare dalle rughe e dalle striature di capelli grigi, doveva essere sulla cinquantina, mentre il camice bianco non lasciava dubbi sulla sua mansione in quel luogo. Il dottore si sfilò pazientemente gli occhiali da sopra il naso, per poi sospirare. «Cosa ci fai qui?»

«I-Io…» balbettò lei, mentre i suoi nervi si rilassavano e le mani smettevano di tremolare. Per poco non lo aveva attaccato con i suoi poteri. «Temo… temo di aver sbagliato piano.»

«Già, lo temo anch’io. Devo chiederti di andartene. Queste persone hanno bisogno di non essere disturbate.»

«Io…» ripeté Rachel, per poi distogliere lo sguardo dagli occhi scuri del dottore ed annuire. Il cuore le batteva ancora forte nel petto per lo spavento preso. Sperò solo che le mani non si fossero illuminate, mentre nel frattempo, dentro di lei, i suoi poteri si stavano ancora agitando. «Sì. Me ne vado.»

«Dov’eri diretta?» le domandò ancora l’uomo, una volta che furono fuori dal corridoio, nel pianerottolo. «Forse posso aiutarti.»

«Cercavo il reparto in cui hanno ricoverato alcune persone affette da amnesia. Alla reception mi hanno riferito che si trattava del terzo piano dell’ala est, ma a quanto pare non era così.»

«Est?» chiese il dottore, abbozzando un sorriso gentile. «Lo sai che questo è il lato ovest, giusto?»

«Oh.» Rachel si sentì avvampare, imbarazzata dall’errore stupido che aveva commesso, ma, a sua discolpa, non era mai stata solita frequentare ospedali. «Mi dispiace, è che sono nuova da queste parti, è questo posto è un labirinto…»

«Sì, lo so che non sei di qui» continuò il suo interlocutore, paziente. «Ed è un privilegio per me conoscere l’eroina che ha scacciato la Bestia giusto l’altro giorno.»

«Accidenti, la voce si è proprio sparsa in fretta…» borbottò Corvina, mettendosi una mano dietro al capo. Il suo sguardo scivolò inevitabilmente sulla targhetta identificativa del dottore, sulla quale lesse il suo nome: Bernard Smith.

«In ogni caso, non ti sarà difficile trovare ciò che cerchi. Torna al piano terra e percorri la strada opposta a quella che hai preso, fino al primo ascensore.»

Rachel abbozzò un sorriso. «Lo terrò a mente.»

Smith annuì, ricambiando il sorriso. «Bene. Buona giornata.»

L’uomo si voltò, diretto nuovamente verso il suo reparto. Rachel lo osservò, mentre le ritornavano in mente i pazienti che aveva visto. La sua bocca si mosse contro il proprio volere: «Aspetti!»

Il dottore si fermò, per poi voltarsi sollevando un sopracciglio. «Sì?»

Corvina esitò. Si domandò perché lo avesse chiamato, dato che non sapeva nemmeno cosa chiedergli con esattezza, e lo stomaco ancora in subbuglio di certo non aiutava. Voleva saperne di più di quei pazienti, di qualsiasi malore avessero, ma allo stesso tempo era come se non avesse bisogno di quelle informazioni, perché già le possedeva. Ma aveva bisogno di una conferma, doveva capire se i suoi sospetti erano fondati, o se era completamente fuori strada. Sperava per la seconda, ma oramai sapeva bene che era una battaglia persa.

«Quelle persone…» cominciò, incerta, ponderando sulle esatte parole da usare, optando, infine, per la soluzione più rapida, ma non per questo più facile. Indicò la porta tagliafuoco. «… quelle persone ricoverate lì dentro… hanno… hanno contratto l’epidemi…»

Non riuscì nemmeno a terminare la frase, a causa dell’espressione esterrefatta che il dottore le rivolse. Per un momento la giovane credette di aver detto davvero qualcosa di al di fuori dal mondo, o perlomeno, dal mondo di quell’uomo. Del resto, doveva proprio essere andata fuori di testa per menzionare una cosa simile ad un uomo che mai aveva visto prima di allora, ma allo stesso tempo, sentiva che quel dottore avrebbe capito di cosa stava parlando. Non sapeva perché, ma quel Bernard Smith le infondeva una strana sensazione di sicurezza. Sentiva che era un uomo di cui poteva fidarsi.

E la sua risposta, non fece che rafforzare questa sua convinzione: «Come fai a saperlo?» domandò semplicemente egli, con un filo di voce, le labbra così assottigliate da formare una riga. Il suo sguardo era indecifrabile, così come la sua espressione. La stavano chiaramente studiando, volevano capire se era sicuro parlare di quell’argomento con lei, in quel momento, in quel luogo, e soprattutto sembrava che volessero capire se Rachel sapeva davvero di cosa stavano parlando. Purtroppo, era così.

«Ho… ho conosciuto un conduit, molto… molto lontano da qui, che sapeva la verità. Lui mi ha spiegato tutto. A me e a due miei amici, ma loro non ne hanno ancora fatto parola con nessuno. Lei è… è la prima persona al di fuori di loro con cui ne parlo.»

«E dov’è questo conduit, adesso?»

«È… è morto.»

«Capisco.» Smith incrociò le braccia, per poi chiudere gli occhi e sospirare profondamente. Estrasse gli occhiali dal taschino del camice e diede una pulita alle lenti con la manica, per poi indossarli nuovamente. «Sì, queste persone hanno contratto la malattia.»

Rachel si sentì irrigidire al suono di quelle parole. Ma allo stesso tempo, non era davvero sorpresa. Nel momento stesso in cui aveva visto quei lettini, aveva sentito qualcosa scattare dentro di lei. Il suo corpo, il suo istinto, entrambi avevano reagito a quella vista, dandole una sensazione di disagio difficile da identificare. Era quasi come se i suoi poteri avessero percepito la malattia e avessero di conseguenza cercato di comunicare con lei.

«E… le loro condizioni… come sono?»

Smith respirò profondamente dal naso. Lo sguardo mesto che le rivolse fu ben più significativo delle semplici parole. «Critiche. Molto critiche. Oramai loro si trovano nello stadio avanzato della malattia, e non c’è niente che io possa fare, fuorché tentare di diminuire il loro dolore, ma gli antidolorifici non sembrano funzionare con tutti. Inoltre… il numero dei ricoverati non fa che aumentare. Non ho idea di come ce la caveremo.»

«I conduit… sono immuni alla malattia. Questa informazione non può essere di aiuto in alcun modo?»

Il dottore scosse la testa. «Ne ero già al corrente. So tutto quello che c’è da sapere in merito a questa faccenda, e purtroppo no, non c’è nulla che possa fare. Anche se…» L’uomo parve intento a dire ancora qualcosa, ma poi si interruppe, scuotendo nuovamente il capo. «No, non può funzionare.»

«Cosa?» domandò Rachel, accendendosi di speranza. «Esiste un modo per fermarla? La prego, me lo dica. Io posso aiutarla.»

«Non voglio mettere in dubbio la tua buona fede, ma no, meglio che non ti dica altro. Non c’è niente di certo, purtroppo, e non voglio dare false speranze a nessuno.»

«La prego» ripeté Rachel, facendosi avanti. «Preferisco avere una speranza, vera o falsa che sia, piuttosto che non avere nulla. Qualsiasi cosa sarebbe meglio di ciò che sto provando adesso. Io… io…» Rachel si fermò, per poi inspirare profondamente. Serrò gli occhi, per cercare di non mettersi a piangere, poi espirò: «Il mio ragazzo è malato, ed io non… non posso accettare di perderlo. Gli ho promesso che lo avrei salvato, ma più passa il tempo, e più temo di non poterci riuscire. Io… ho bisogno di sapere tutto quello che c’è da sapere. Le assicuro che non ne farò parola con nessun altro.»

L’uomo la soppesò con lo sguardo per un breve momento, per poi sospirare. «L’anti gene.»

«Cosa?» domandò lei, credendo di aver capito male.

«L’anti gene conduit» ripeté il dottore, con calma. «La controparte del gene conduit originale. Proprio come il suo gemello, non è un gene posseduto da tutti, ed è in grado di annullare gli effetti dell’epidemia e dei gas emanati dal Soggetto Zero. Ma a differenza del gemello, questo può essere trapiantato di corpo senza causare effetti mortali.»

«Quindi… è possibile salvare anche chi non possiede il gene conduit se si trovasse un portatore dell’anti gene!» esclamò Rachel, spalancando la bocca. «Ma… ma allora… allora esiste una possibilità!»

«Rallenta. Sei a conoscenza della media di persone che possiedono il gene conduit, giusto?»

«Sì, una su cento.»

«L’anti gene è posseduto da una su diecimila.»

Rachel spalancò gli occhi, la sensazione di sollievo appena provata si tramutò nuovamente in schiacciante oppressione. «Che cosa?!»

«E a differenza del gene conduit, questo non conferisce poteri, siccome ha effetti opposti.»

«Quindi… chi lo possedeva, ma è stato colpito dalle esplosioni…» mormorò ancora Corvina, sempre più sconcertata.

«Non è sopravvissuto. Quindi le probabilità si riducono ancora di più.»

«Ma… ma allora a cosa serve l’anti gene?» domandò Rachel, sempre più confusa. «Qual è il suo scopo, se non permette nemmeno di sopravvivere alle esplosioni?»

«Serve a controbilanciare gli effetti del gene normale. Vedi, un tempo questi due formavano un gene unico, ma che si è diviso millenni fa a causa dell’evoluzione dell’uomo e dell’adattamento dell’organismo umano a nuove condizioni di vita. Per questo il Soggetto Zero non lo ha mai menzionato in nessuno dei suoi diari, non voleva che si scoprisse la verità sull’unica cosa che, di fatto, poteva annullare tutto ciò a cui stava lavorando.»

«E… e lei come fa a sapere tutto questo?»

«Purtroppo, temo di non poterti rispondere. Sappi solo che anche io ho compiuto delle ricerche in merito, ragion per cui il sindaco stesso mi ha affidato questo compito.»

«Anche il sindaco sa la verità, dunque.»

«Sì.»

Rachel si massaggiò una tempia, mugugnando per la stanchezza. Tutte quelle informazioni rischiavano di farle scoppiare la testa. Era passata dal non sapere nulla al sapere anche troppo nel giro di pochissimi minuti. Una possibilità le si era presentata di fronte, per poi esserle sottratta rapida com’era apparsa. Uno su diecimila. Era come cercare un ago non in un pagliaio, ma in un intero fienile.

«E… e allora che cosa faremo?» sussurrò, chinando il capo. Più che al dottore, quella domanda la rivolse a sé stessa. Qual era il prossimo passo da fare? Verso quale direzione?

«Non lo so.» Smith sospirò, per poi avvicinarsi a lei. Le posò una mano sulla spalla, costringendola ad alzare lo sguardo. Le rivolse un tenue sorriso di incoraggiamento. «Abbi fede. Non è una faccenda di cui molti sono a conoscenza, soldati inclusi, ma ci sono molti ingranaggi in moto in questo momento. Non ci lasceremo sopraffare da questa piaga senza combattere. Tu, però, non devi fare parola con nessuno di quello che ti ho detto. Lascia fare a noi, va bene? E appena hai finito qui, torna dai tuoi cari. Avete bisogno l’uno dell’altro, in questo momento.»

Rachel trovò la forza di abbozzare un sorriso. Raramente una persona era riuscita a trasmetterle belle sensazioni come quel dottore. Non lo conosceva, non lo aveva mai visto prima, ma sapeva di potersi fidare di lui. Sentì ogni peso che la affliggeva svanire lentamente. Inoltre, Smith aveva ragione, doveva tornare da sua madre e da Rosso al più presto, ma prima, doveva concludere la sua missione in quel luogo.

Si congedò dal medico, che le rivolse un ultimo caloroso sorriso, e ritornò sui suoi passi. Solamente quando si ritrovò nell’ascensore si rese conto di quanto tesa fosse rimasta fino a quel momento. Sbuffi di vapore nero iniziarono a fuoriuscire dai suoi palmi. La giovane si abbandonò contro la parete metallica con un profondo sospiro, poi scosse nuovamente il capo, strofinandosi le palpebre. Di quel passo, sarebbe collassata prima della fine della settimana.

Pochi minuti dopo si ritrovò nel corridoio giusto, visto che qui trovò diverse infermiere girovagare ed i pazienti nelle stanze sembravano molto più in forma di quelli che aveva visto nel lato est. Una delle giovani donne in tenuta ospedaliera le indicò la stanza dell’ex Mietitore, specificando che aveva solamente dieci minuti di tempo per poterlo visitare. Trovò Richard nell’ultima stanza, seduto sul letto, rivolto verso la finestra. Dava le spalle alla porta, perciò non vide Rachel entrare. La corvina fece per chiamarlo, ma quello grugnì, voltandosi. «Cosa vuoi?»

Corvina sussultò. Perché doveva proprio usare quel tono così scontroso? «Sono solo passata a controllare come stavi.»

«Ah.» Robin la soppesò con lo sguardo ancora per un momento, poi con un cenno del capo le fece segno di sedersi accanto a lui.

Che modi…

Rachel si avviò verso il letto, mentre osservava brevemente il resto della stanza. C’erano altri tre giacigli, ma ognuno di essi era vuoto. Probabilmente così era meglio sia per Richard, che per qualsiasi altro malcapitato che avrebbe potuto trovarsi in stanza con lui.

«Allora…» cominciò lei, una volta sedutogli accanto. Gli diede una rapida occhiata per vedere come stava. Per prima cosa non aveva più indosso il suo abito da Mietitore, il che era un miglioramento notevole. Faceva quasi effetto vederlo con indosso jeans e maglietta. Senza quei vestiti da psicopatico e senza più le macchie sul volto, sembrava quasi un ragazzo normalissimo. Quasi, perché i capelli grigi rimanevano, ma Rachel avrebbe mentito dicendo che non le piacevano nemmeno un po’. «… come ti senti?»

«Come l’ultima volta che ci siamo visti. Nulla dei trattamenti che ho subito mi sono stati d’aiuto. Cercano di farmi tornare la memoria mostrandomi immagini, facendomi sentire suoni, rumori, tutto quello che la mia mente potrebbe associare ai miei ricordi smarriti, ma non sta funzionando niente.» Il brizzolato abbozzò un sorrisetto. «Penso che non sia necessario dire che più passa il tempo più odio chiunque qua dentro.»

«Chissà perché non sono sorpresa» replicò Corvina, sorridendo a sua volta.

«Vedo che non hai saputo resistere alla tentazione di dare nell’occhio» proseguì Richard, tornando serio, gli occhi perennemente incollati al paesaggio di periferia al di fuori della finestra.

«Di che parli?» domandò la giovane, confusa, salvo poi fare mente locale. «Oh. Lo Yatagarasu.»

«Già. La nostra buona Sammaritana non poteva certo permettere che qualcuno si facesse male, ieri sera.»

Rachel si incupì. «Non sei spiritos…» Si interruppe, quando si accorse dell’espressione di Richard, che si voltò verso di lei per la prima volta. Non era duro, o severo, come al solito. Sembrava quasi… colpito. Da lei, dal suo gesto.

«Ho visto lo scontro da qui» spiegò ancora lui, accennando alla finestra, tornando a sorriderle. «Gli hai proprio fatto capire chi comandava. Esattamente come con Dominick. Sei stata brava.»

«Beh… grazie» rispose lei, sorpresa di vedere Richard non solo sorriderle, ma anche farle dei complimenti. Ma non durò molto, dato che il brizzolato ritornò ben presto alla sua espressione più tipica.

«E a proposito di ieri sera…» proseguì, rabbuiandosi. «… Jack.»

«Jack?» Rachel sollevò un sopracciglio, mentre il ragazzo le tornava in mente. Si sentì quasi in colpa per essersi dimenticato di lui, ma per la sua mente erano passate così tante cose che per lei era stato impossibile tenere a mente tutto. «Che è successo?»

«Mentre combattevi contro quel conduit, ho sentito delle grida provenire dalla sua stanza» spiegò Richard, abbassando la voce. «Ho provato a controllare che diamine stesse succedendo, ma non mi hanno lasciato passare. Questa mattina, però, sono riuscito ad andare in camera sua mentre stava ancora dormendo, e ho visto dei segni sopra le sue caviglie e i suoi polsi.»

Rachel cominciò lentamente a capire dove stesse andando a parare. «Lo hanno… lo hanno legato al letto?»

Richard annuì. «Quello che credo anch’io. Anche se non ho idea del perché. Ho sentito alcune infermiere borbottare tra loro, dicono che abbia avuto una crisi di panico alla vista dello Yatagarasu e che hanno dovuto legarlo per impedirgli di fare qualche cazzata, ma fatico a credere la parte della crisi di panico. Secondo me c’è qualcos’altro sotto, qualcosa che nessuno ancora sa.»

«Tu hai qualche idea?»

Il brizzolato scosse il capo. «No, ma lo scoprirò. Pensi davvero che io mi sia fatto ricoverare solo per la mia amnesia?»

«A dire il vero, non proprio» sorrise ancora una volta Rachel. «Immaginavo che non volessi ancora staccare gli occhi da Jack.»

«Tu sì che mi conosci.» L’ex Mietitore le lanciò uno sguardo complice, al quale la corvina non riuscì a resistere, visto che distolse gli occhi quasi immediatamente, pregando di non essere arrossita.

«E come vanno le cose per te?»

Rachel si strinse nelle spalle. «A parte il conduit gigante che ho scacciato, il fatto che io sia svenuta di fronte a tutti quanti, il fatto che mi hanno reclutata nel corpo di sicurezza per andare a combattere un esercito di Corrotti che marciano inostacolati verso la comunità? Mi sento uno schifo.»

«Pure tralasciando tutto quello?» domandò Robin, con tono leggermente divertito.

«Già. Immagina come possa sentirmi se considerassi tutto.»

«Una favola.»

«Naturalmente!»

I due ragazzi si guardarono, poco prima che un’altra risata soffusa uscisse dalle loro labbra. Era bello per Rachel vedere Richard svagarsi un po’. Sembrava finalmente che avesse imparato a sentirsi di nuovo a suo agio in sua compagnia. Le cose tra loro non sarebbero certamente state più come prima, ma erano pur sempre stati ottimi amici in passato, e nulla avrebbe impedito loro di continuare ad esserlo.

«E poi…» riprese Rachel, ricordandosi della sua conversazione con Smith. «… ho conosciuto un dottore, poco fa. Uno che…» abbassò la voce, riducendola ad un sussurro. «… sa dell’epidemia.»

Richard spalancò gli occhi. «Che cosa?»

Rachel inspirò profondamente, poi raccontò tutto. Spiegò come si fosse trovata nell’ala sbagliata dell’ospedale, gli parlò del dottor Smith e della loro conversazione, senza tralasciare nulla, tantomeno la parte più importante di tutte. Nonostante Smith le avesse chiesto di non farne parola con nessuno, non poteva lasciare Richard, e Rosso successivamente, fuori da quella faccenda. Non sapeva come il brizzolato avrebbe potuto reagire a quelle informazioni, ma avrebbe mentito se avesse detto che non sperava di poter avere una sua opinione in merito.

«L’anti gene conduit…» borbottò Robin, una volta terminato il racconto.

«Che ne pensi?» domandò la corvina, speranzosa. «Credo che se riuscissimo a trovare un portatore… potremmo davvero poter salvare il mondo.»

L’ex Mietitore storse la bocca in una strana espressione, voltandosi verso di lei. Non appena notò il suo sguardo smorto, Rachel sussultò. «Penso che non dovresti riempirti di false aspettative.»

«Cosa? Perché?» scattò subito la giovane. Se c’era una cosa che aveva fatto, quella era stata proprio credere che l’anti gene potesse essere la soluzione di quel dannato enigma. Ed ora Richard le diceva di lasciar perdere?

«Perché…» riprese il brizzolato. «… per prima cosa, non possiamo sapere se quello che quell’uomo ti ha detto corrisponde al vero. Magari si è inventato questa cosa solamente per tranquillizzarti. Francamente, com’è possibile che un dettaglio così importante salti fuori solo adesso? Dominick non lo sapeva?»

«Smith mi ha detto che il Soggetto Zero non l’aveva riportato da nessuna parte. Francamente, a questo punto dubito perfino che ne fosse a conoscenza.»

«Ma davvero?» Richard sollevò un sopracciglio. «Scusami, ma sento puzza di bruciato.»

Rachel si incupì. Non sapeva il perché, ma l’idea che qualcuno potesse denigrare le idee di quel medico la faceva imbestialire. Era un brav’uomo, era stato gentile con lei, e stava lavorando ad una cura per l’epidemia, cosa che praticamente nessun altro stava facendo. Come si poteva pensare che fosse un impostore? Che cosa avrebbe avuto da guadagnare mentendo?

«Ma mettiamo anche in caso che ciò che ti ha detto sia vero» puntualizzò Robin, sollevando un indice, per fermarla da qualsiasi possibile intervento. «… una possibilità su diecimila? Ma davvero? Ti rendi conto di quanto diamine sia raro un portatore, sì? Già solamente prendendo in considerazione tutta la comunità, se le probabilità fossero favorevoli al cento percento, ne esisterebbero solo tre! E tu hai idea di come riuscire a trovarli?»

«Beh…»

«Pensi che se il sindaco se ne uscisse con l’idea di sottoporre tutti quanti ad un test del DNA la gente non sospetterebbe nulla? Pensi che tutti quanti accetterebbero? Sicuramente vorranno risposte, e se la verità sull’epidemia dovesse davvero venire a galla, si scatenerebbe il panico. Ma anche se riuscissero a tranquillizzarli grazie alla storia dell’anti gene, cosa pensi che accadrebbe se non riuscissero nemmeno a trovare un portatore sano? Si solleverebbe solamente un polverone per niente, e a quel punto pure la comunità sprofonderebbe nell’anarchia, visto che le persone saprebbero di essere comunque destinate a morire.»

Più Richard parlava, più Rachel doveva ammettere che quelle parole erano vere. E, allo stesso tempo, più si sentiva infuriata con lui. Dannazione, aveva appena scoperto che non tutto era davvero perduto, e lui doveva arrivare a fare il guastafeste come al solito? Certo, le sue considerazioni erano più che legittime e logiche, ma, in quel momento così difficile, Rachel avrebbe preferito tutto fuorché sentirle. Inoltre, non sapeva il perché, ma non sopportava l’idea che qualcuno potesse denigrare le idee del dottor Smith. Non lo conosceva nemmeno, praticamente, ma aveva subito capito che era uno di cui fidarsi.

«Ehi, ma mi hai ascoltato?» La voce di Richard la riportò alla realtà. La ragazza si voltò verso di lui, facendo una smorfia. «Purtroppo sì.»

«Purtroppo?» Robin sollevò un sopracciglio. «Ma… non eri stata tu a chiedermi un parere?»

«Sì, ma non uno che mandasse all’aria tutte le mie aspettative…» replicò lei, infastidita.

«Aspettative? Quali aspettative?» domandò il brizzolato, abbozzando un sorrisetto amaro. «Davvero credevi che esistesse un modo così veloce ed indolore per poter salvare il mondo? Ormai l’epidemia ha fatto il suo corso, e se ci sono già diverse persone ricoverate, allora la situazione è molto più grave del previsto. Non rimane molto prima che…» L’ex Mietitore si interruppe, quando si rese conto dello sguardo incendiario che Rachel gli stava rivolgendo.

«Grazie… per la chiacchierata…» sibilò lei, per poi alzarsi dal letto e dargli immediatamente le spalle.

«Eh? Cos…» Richard si interruppe. Non poteva vederlo, ma era chiaro che la stesse osservando come un baccalà. «Rachel, che ti prende? Rachel!»

La ragazza lo ignorò. Spalancò la porta della stanza ed uscì mentre il suo amico di infanzia continuava a chiamarla.

 

***

 

Credeva che facendosi una camminata sarebbe riuscita a sbollire la rabbia. Si era sbagliata di grosso. Per tutto il tragitto verso casa di sua madre, non aveva fatto altro che ripensare alla sua conversazione con Richard, e la cosa, naturalmente, non aveva fatto altro che peggiorare il suo umore. Non sapeva perché, ma proprio non riusciva a scollarsi di dosso quel nervoso, quella sensazione di rabbia nei confronti del suo vecchio amico. Si sentiva come se lui si fosse preso gioco delle sue idee, cosa che non era assolutamente successa, lui non poteva sapere quanto a cuore avesse preso quella faccenda, ma se davvero erano ancora gli stessi amici che erano un tempo, avrebbe dovuto capirlo da solo.

Era quasi come se lui avesse già gettato la spugna, come se si fosse già rassegnato all’idea di vedere il mondo spazzato via dall’epidemia. Ora che Rachel ricordava, il brizzolato possedeva ancora il suo gene conduit, pertanto lui sarebbe sopravvissuto all’epidemia. Probabilmente a lui bastava solamente quello, sopravvivere, non importava quanti altri milioni di innocenti, invece, avrebbero fatto la fine opposta.

Non riusciva a capacitarsi del fatto che Richard potesse davvero pensare una cosa simile, ma del resto, era cambiato, e non poco. Sperare di rivedere il suo vecchio compagno di scuola, quello dai nobili ideali, quello sempre pronto a lottare per il bene dei più deboli, era quasi impossibile ormai.

Ad aprirle la porta di casa fu, sorprendentemente, Hester. La rossa le sorrise calorosamente. «Rachel! Ti senti meglio?»

Non appena la vide, alla corvina tornò immediatamente in mente il terribile sogno che aveva fatto. Una fitta di dolore le colpì lo stomaco quando si accorse dell’espressione gentile, rilassata, serena della giovane madre, la quale era completamente ignara di cosa era successo dall’altra parte del paese all’uomo che, a sua insaputa, era ancora innamorato di lei, e che era diventato padre di un’altra splendida bambina.

«S-Sì, sto molto meglio ora, grazie…» Rachel non aveva la più pallida idea di come avesse fatto a risponderle, ma fu proprio così che riuscì a svicolare da quella situazione che si stava facendo molto più dura del previsto. Non credeva di essere pronta per affrontare quella discussione con lei, così presto per giunta, dopo tutto quello che era successo.

«Dove… dov’è mia madre?» domandò, una volta entrata, facendo di tutto per non guardare l’altra ragazza negli occhi.

«Aveva alcune commissioni da sbrigare, e mi ha chiesto se potevo rimanere qua per aspettarti, anche se non credevo saresti tornata così presto.»

«Oh, d’accordo. Beh… io sono in camera mia, se mi cerchi.»

Hester annuì. «Va bene, buon riposo.»

«Grazie… ne ho bisogno.»

Le due ragazze si congedarono, dopodiché Rachel cominciò a salire le scale. Aveva in mente di sprofondare nel suo letto non appena varcata la soglia, ma non appena spalancò la porta, trovò una sorpresa ad attenderla: Rosso era seduto sul bordo del materasso. Il moro sollevò la testa non appena lei mise piede nella stanza.

«Oh» mormorò Rachel, stupita. «Non… non sapevo ci fossi anche tu…»

«Già, l’avevo intuito» replicò lui, con tono duro. Non sembrava stesse eludendo solamente a quella situazione in particolare. Rachel non capì a cosa si stesse riferendo, ma il partner non aveva ancora finito: «Mi hai fatto preoccupare, l’altra sera.»

Rachel distolse lo sguardo, imbarazzata. «Lo so… mia madre me l’ha detto.»

«Lo sapevi, quindi.»

«Beh… sì. Ma lo potevo benissimo intuire anche se Angela non mi avesse detto niente. Ti conosco ormai, Lucas.»

«Se davvero era così ovvio, perché allora…» Lucas si alzò in piedi, osservandola con espressione fredda. Molto più fredda di quanto Rachel avrebbe potuto pensare, considerando anche cosa era accaduto. «… hai preferito passare a trovare il tuo caro amico, per il quale hai detto di non provare più niente, prima di tornare qui?»

Rachel spalancò gli occhi. E lui come faceva a saperlo? Rachel non ne aveva parlato con nessuno, solamente ad Amalia aveva detto che si sarebbe fermata da un’altra parte prima di tornare a casa, ma non le aveva detto dove! Aprì la bocca per rispondere, ma poi si interruppe. Realizzò che tutta quella preoccupazione era totalmente inutile. La sua espressione sorpresa mutò radicalmente, trasformandosi in una più rigida. «E a te cosa importa, scusa? Vorresti dirmi che non sono libera di fare cosa voglio?»

«Non ho detto questo.»

«Ma davvero?» soffiò lei, irritata. «Dal tuo tono sembrava l’esatto contrario.»

«Dico solo che mi sarebbe piaciuto essere avvisato al tuo ritorno dalla missione, prima. Dopo avresti potuto fare tutto quello che volevi.»

Quella risposta probabilmente era la peggiore che la giovane potesse ricevere. Sempre più sull’orlo di infuriarsi, replicò: «Quindi, ricapitolando, solamente perché ti ho permesso di ficcarmi la lingua in bocca un paio di volte, ora io sono solamente di tua proprietà e tutto quello che faccio deve prima essere discusso con te. Ho ragione?»

Lucas sospirò. «Ascolta, lo capisco cosa stai cercando di fare. E credimi, non funzionerà. Non credere di poter far sembrare me quello dalla parte del torto, perché non…»

«No, infatti, hai ragione, la colpa è solo mia!» esclamò la conduit, allargando le braccia, per poi sorridere in maniera sarcastica. «Sono io che mi sono dimenticata di aggiornare Rosso su ogni movimento che faccio in sua assenza! Hai ragione, avrei dovuto accantonare tutti i miei pensieri e concentrarmi solo ed unicamente su di te, perché, del resto, nel mondo ci sei solamente tu!»

«Rachel…»

«Non c’è una maledetta epidemia che minaccia l’intera popolazione mondiale, non c’è un esercito di Corrotti che marcia verso la città, non c’è un pazzo psicopatico chiamato Soggetto Zero di nuovo in circolazione, non c’è…»

«Aspetta» la frenò Lucas, assumendo un’espressione sorpresa. «"Di nuovo"?»

«L’ho sognato» tagliò corto lei. «Già, scusa se non ti ho detto nemmeno questo, suppongo che avrei dovuto farlo nel momento stesso in cui mi sono svegliata, mentre pensavo a come spiegare ad Hester che suo marito Dominick era stato ammazzato proprio dal Soggetto Zero. Oh, giusto, non potevi sapere che la ragazza che Dom ha fatto scappare era proprio Hester, ma che sbadata che sono, come ho fatto a dimenticarmelo, del resto non ho mai niente a cui pensare, io!»

Senza nemmeno rendersene conto, aveva continuato ad avvicinarsi al partner man mano che parlava. Ormai, pochi centimetri li separavano. Malgrado tutto, Rosso non si era mosso di un centimetro. Rachel non poteva vedersi, ma dubitava di avere un aspetto particolarmente rassicurante, in quel momento. Doveva ammirare Lucas per il suo sangue freddo, questo era certo.

«Ma non preoccuparti, d’ora in poi lascerò perdere tutto quanto, tutto!» Cominciò a puntellarlo sul petto con insistenza, ma nemmeno quello parve riuscire a smuoverlo. «L’epidemia, i Corrotti, il Soggetto Zero, il maledetto Yatagarasu, Jack, Richard, mia madre, ogni maledetta cosa, così da poterti tenere aggiornato anche quando dovrò andarmene nel maledetto bagno, perché non sia mai che io esca dal tuo campo visivo per più di tre maledetti secondi!»

Proprio come prima, senza nemmeno rendersene conto stava lasciando uscire tutta la sua frustrazione, tutta la sua rabbia, tutto ciò che aveva tenuto accumulato dentro di lei, e lo stava riversando sul partner, che forse nemmeno si meritava di essere il bersaglio di tutto ciò, ma ormai Rachel era come un fiume in piena ed era impossibile da fermare.

Tutto quello che era successo, tutte le informazioni accumulate dentro di lei, la rabbia che aveva provato per il comportamento di Richard, tutte le sue ansie, paranoie, preoccupazioni per la storia dell’epidemia, ogni cosa stava venendo fuori per colpa di una motivazione stupidissima. Ma purtroppo, quelli erano i rischi del portarsi dentro troppe cose senza mai avere l’occasione di sfogarsi: ad un certo punto, la più piccola delle scintille può scatenare il più furioso degli incendi.

«Chissene frega di cosa sta passando Rachel in questo momento, chissene frega di tutte le cose a cui deve pensare, chissene frega e basta! L’unica cosa che conta, qui, è che Rosso sappia quello che fa la sua, aperte virgolette, ragazza, chiuse virgolette! Non sapevo di avere il tuo nome tatuato su un fianco, sai? Magari faresti meglio a mettermi direttamente un guinzaglio, almeno così ti risparmieresti il dover rimanertene seduto in camera mia ad aspettarmi come una madre con il figlio che non è rientrato entro il coprifuoco!»

Finalmente, si fermò. Aveva il fiato grosso, a causa di tutte quelle parole versate in così poco tempo, a causa della stanchezza fisica, mentale ed emotiva che non sembrava volerla abbandonare, a causa di tutto quello che le era, che le stava e che le sarebbe successo. La sua mente in quel momento era un turbinio confuso di immagini, ricordi, sensazioni. Accanto al sogno che aveva fatto, alla vista di Dominick morente e del Soggetto Zero, c’era Richard che faceva il suo discorso sul fatto che l’anti gene conduit non rappresentasse davvero la salvezza del mondo.

Incrociò lo sguardo di Rosso, che era rimasto in silenzio, inespressivo, immobile, fino a quel momento. «Hai finito?» le domandò, senza mutare minimamente la propria espressione.

Ancora con il respiro pesante, Rachel lo osservò per un altro breve momento. Scosse la testa, prima di afferrarlo per l’orlo della maglietta e tirarlo a sé. «No.»

Probabilmente, quella era la prima volta che a baciarlo per prima era lei. Solamente quando le loro labbra si unirono, Rosso parve essere colto alla sprovvista. Si irrigidì come un chiodo e sgranò gli occhi, sicuramente atterrito da quel cambio di umore così repentino da parte di Rachel.  Nel giro di poco tempo, tuttavia, il suo corpo si ammorbidì e le palpebre si richiusero. Mentre le loro lingue si intrecciavano, un altro pensiero attraversava la mente di Rachel, quello che probabilmente era il più importante di tutti: il dottor Smith che, semplicemente, le diceva di trascorrere più tempo con le persone sue care.

Se davvero l’anti gene non avrebbe funzionato, allora Rachel avrebbe sfruttato ogni momento rimastole per poter fare ciò che desiderava maggiormente, ossia circondarsi dalle persone che amava, specialmente quella che stava stringendo in quel momento.

L’indomani il mondo sarebbe anche potuto finire, per quello che ne sapeva lei. Ma quella sera, invece, non sarebbe successo. Quella sera entrambi stavano bene, ed erano insieme. Nient’altro aveva importanza.

Si ritrovarono sdraiati sul materasso senza che nemmeno lei ci facesse caso, talmente era presa dall’euforia e dal calore di quel momento. Sentì le mani di Lucas insinuarsi sotto alla sua maglietta, come già era successo in passato. E, proprio come era successo in passato, rabbrividì, ma questa volta di eccitazione.

Allontanò le sue labbra da quelle del moro per un breve momento per potersi drizzare a cavalcioni su di lui e togliersi da sola la felpa, per poi lanciarla via. Sotto di lei, Lucas fece lo stesso, eliminando la maglietta e rimanendo a petto nudo. Rachel si chinò nuovamente su di lui, cercando con furore ancora una volta le sue labbra, quasi come se temette che queste potessero svanire da un momento all’altro. Lui la accolse, avvolgendo entrambe le braccia attorno alla sua schiena e stringendola con forza, avvicinandola al suo corpo, facendoli aderire, causandole un’altra scarica di brividi. Rachel poteva tranquillamente percepire il rigonfiamento dei pantaloni di Lucas poco al di sotto della sua vita, ma lui non era di certo l’unico a cui, in quel momento, l’interno coscia si trovava in fiamme.

Si separarono ancora una volta, per permettere a Rosso di poter sollevare la maglietta di Rachel, la quale non oppose alcuna resistenza, malgrado il cuore che le batteva all’impazzata e le guance che dovevano essere rosse come non mai. La corvina avrebbe mentito dicendo che quello che stava accadendo non la impensieriva nemmeno un poco, ma ormai era stanca di rimandare quel momento e, soprattutto, era stanca di sentirsi oppressa da tutto ciò che stava accadendo. Aveva bisogno di sfogarsi, aveva bisogno di allontanare i pensieri nefasti che le attanagliavano la mente. Aveva bisogno di quello, almeno una volta.

Non appena la maglietta le fu tolta di dosso, percepì una scarica di freddo lungo la schiena ed il ventre. L’aria della stanza doveva essere molto più fredda di quello che aveva creduto, o forse era semplicemente lei a non essere abituata a trovarsi solamente in reggiseno. Lucas la tirò di nuovo a sé, e questa volta fu lei a non opporre resistenza.

Si rigirarono sul materasso e fu Rosso a trovarsi sopra la corvina. La prese per le mani, intrecciando le sue dita tra quelle della conduit, e gliele immobilizzò ai lati del capo.

«Ti amo» sussurrò lui.

Un’altra scarica di brividi attraversò la schiena della conduit. «Anch’io» rispose, tutto d’un fiato, prima che le loro labbra si intrecciassero di nuovo.

La presa attorno alle sue mani si allentò, poco prima che le dita di Rosso si infilassero dietro la sua schiena. Rachel chiuse gli occhi, inerme, mentre l’ultima protezione rimasta al suo petto veniva rimossa. Nessuno prima di allora aveva mai visto i suoi seni, a stento li aveva mai visti lei stessa. Essere esposta in quel modo le fece contorcere le interiora per l’angoscia. Tuttavia, Lucas non parve prestare più attenzione del dovuto al suo corpo, perché si abbassò ancora una volta su di lei, coprendole il petto con il proprio, per baciarla nuovamente.

Tutto quello era quasi surreale, per lei. Lei, che aveva visto il primo amore della sua vita svanirle di fronte non una, non due, ma ben tre volte, ora era stretta a petto nudo tra le braccia di Lucas, probabilmente l’unica cosa buona che era riuscita a trovare ad Empire City, e probabilmente l’unica cosa che l’aveva tenuta ancorata alla speranza anche quando tutto quanto sembrava essere perduto.

Sentì i suoi pantaloni venire abbassati delicatamente e le venne un groppo alla gola, ma non impedì al ragazzo di proseguire. Quando sulle sue gambe percepì molta più aria di quella che era abituata a sentire, le scappò un gemito. Udendolo, Lucas si fermò all’improvviso. Rachel riaprì gli occhi che nemmeno ricordava di aver chiuso, incrociando il suo sguardo e diventando, per quanto possibile, ancora più rossa in volto. Fino a quel momento, forse, Rosso non si era accorto della sua inesperienza, ma in quel momento, notando quanto fosse tesa, era impossibile non accorgersi di ciò. «L-Lucas…» cominciò, temendo di aver appena rovinato quel momento.

Rosso la interruppe, appoggiando la fronte sulla sua, guardandola apprensivo «Possiamo fermarci qui, se non te la senti di continuare. Per me non c’è problema.»

Quel gesto e quelle parole la lasciarono di sasso. Lo aveva detto con una calma ed una naturalezza al di fuori dal mondo, quasi come se, in realtà, lui avesse sempre saputo che quella era la prima volta che lei aveva rapporti di quel tipo. A quel punto, la ragazza si ricordò che quello di fronte a lei non era un individuo qualsiasi. Se uno come Lucas non si fosse accorto di una cosa tanto evidente come quella, allora nessun altro avrebbe potuto farlo. Rachel inspirò profondamente, per poi affondare di nuovo le labbra su quelle del partner.

Quando si separarono, riuscì ad abbozzare un tenue sorriso. Era spaventata, vero, ma nemmeno la metà di quanto, invece, fosse emozionata. Forse non era pronta, forse non lo sarebbe mai stata, ma non aveva importanza: il semplice fatto di condividere quel momento con qualcuno come lui le era più che sufficiente. Se non si fosse concessa a lui, in quel giorno, allora non lo avrebbe mai più fatto con nessuno. Lucas era la persona che le era rimasta accanto, che l’aveva aiutata, supportata, e lei non si sarebbe mai stancata di ripeterselo. E lo amava, lo amava con tutta sé stessa, e nemmeno questo mai si sarebbe stancata di ripetersi.

«Voglio… voglio che tu vada avanti» sussurrò, accarezzandogli una guancia.

Il moro annuì debolmente, posando la sua mano su quella di lei. «Non ti farò del male. Te lo prometto.»

«Lo so» rispose lei, prima di baciarlo nuovamente. La biancheria intima fu rimossa, lasciando quella parte del suo corpo completamente scoperta ed in balia dell’aria fredda della stanza. O forse non era l’aria ad essere fredda, ma la sua carne ad essere rovente. Non lo sapeva, e non aveva importanza. Udì il rumore dei pantaloni di Rosso abbassarsi e chiuse gli occhi, gettando il capo all’indietro, appoggiandolo sul cuscino. Inspirò profondamente. Era pronta, anche se non lo era davvero.

Quando lui cominciò lentamente a penetrarla le scappò un altro gemito, questa volta di dolore. Si morse un labbro, mentre i fianchi di Lucas cominciavano ad avvicinarsi ai suoi. Quella che era una sensazione angosciante, tuttavia, man mano che il corpo del moro si premeva contro il suo, cominciò a trasformarsi in qualcosa di molto più gradevole. I suoi mugugni tramutarono lentamente in sospiri, mentre il suo corpo cominciava a muoversi in sincronia con quello del partner, accogliendolo anziché respingendolo.

Mentre l’amplesso proseguiva e i gemiti di Rachel divenivano sempre più presenti, più costanti e più rumorosi, le labbra di Lucas continuarono a ghermire lembi di pelle sul suo volto, sul suo collo e, successivamente, scesero anche al livello dei suoi seni. Non appena Rosso baciò uno di questi, un gridolino di sorpresa, misto ad eccitazione, si sollevò dalla gola di Rachel. Avvolse le braccia attorno alla schiena del moro, stringendola con forza e tirandolo, per quanto possibile, ancora di più verso di lei. In quella stanza non c’erano più lei o lui, ma solamente più loro. Il calore dei loro corpi si unì, ed i loro sospiri si mischiarono come gli strumenti musicali di un’orchestra pronta a comporre una nuova sinfonia. 

«T-Ti amo…» ripeté ancora lei, ottenendo come risposta un bacio molto più appassionato dei precedenti.

«Ti amo anch’io.»

Quelle, erano le parole di cui per tutta la vita aveva avuto bisogno. Quello, era ciò che aveva cercato di per tanto tempo. Quello, quella sensazione, era ciò che sentirsi umani significava.

E quel momento sarebbe per sempre rimasto impresso nella sua mente come il momento in cui, per una volta, non si era più sentita un ibrido, un demone, un mostro od uno scherzo della natura, ma ciò che lei in realtà era sempre stata: una ragazza normalissima.

 

 

 

 

 

Ehi, questa è l'altra storia che nessuno legge, proprio così. E quella qua sopra era proprio una scena di rapporto carnale tra Corvina e Rosso X (anche se qua possiamo considerarli proprio Rachel e Lucas, quasi come se fossero due OC, ma comunque di base sono sempre loro). Tanto nessuno la leggerà mai, quindi chissene, no? Nel dubbio, ci siamo levati la prima, ed unica, scena erotica presente in questa storia, nonché la prima che io abbia scritto dopo tantissimo tempo (l'ultima risaliva ad HoS, anche se ne avevo scritta pure una per tglu anche se poi l'ho rimossa dal capitolo). Troppe informazioni inutili, chiedo scusa. Bye bye!

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Capitolo 16
*** L'inferno in terra ***


Capitolo 16: L'inferno in terra

 

 

Rachel riaprì lentamente gli occhi, mugugnando sommessamente. Per un secondo, pensò che attraverso la finestra avrebbe notato alcuni raggi del sole mattutino filtrare nella stanza, poi realizzò che quello sarebbe stato impossibile, visto che era quasi sera.

La ragazza si mise a sedere sul materasso, intorpidita. Le coperte le scivolarono da addosso, lasciandola a petto nudo. Non appena se ne rese conto, squittì sorpresa e si coprì con le lenzuola. La vista della sua carne scoperta le riportò alla memoria cosa fosse successo non molto tempo prima. Sentì le goti pizzicare, mentre i dettagli riaffioravano nella sua memoria.

Abbassò lo sguardo, pizzicandosi il labbro inferiore, ripensando alle mani di Rosso che percorrevano il suo corpo, spogliandola con delicatezza, e le sue labbra che assaporavano la sua pelle. Un lieve dolore, proveniente dall’interno coscia, non fece altro che confermare tutto quanto: era successo. Lei e Lucas… si erano davvero amati.

Un tenue sorriso illuminò il volto della corvina. Si erano amati… ed era stato bellissimo. Ridacchiò contro il proprio volere, come una ragazzina. Si sentì stupidamente infantile per quel motivo, ma allo stesso tempo, non poteva biasimarsi. Era passata dal non credere più nell’amore a trovare un’altra persona in grado di darglielo, in tutti i sensi. Se giusto un anno prima le avessero detto che si sarebbe trovata in quella situazione, non ci avrebbe mai creduto. E invece, eccola lì, sdraiata nuda nel letto che aveva condiviso con un ragazzo mozzafiato.

Nel letto di sua madre, tra l’altro. Quel pensiero la fece arrossire ancora di più. Chissà se l’avesse vista lì, in quelle condizioni, come avrebbe reagito…

Decidendo che era meglio non scoprirlo, la ragazza uscì dal letto. Lucas non c’era nella stanza, probabilmente si era alzato mentre lei era ancora assopita. Prima di vestirsi, tuttavia, Rachel decise di andare in bagno a darsi una rinfrescata, perché malgrado tutto quella mattina lei aveva pur sempre avuto un incontro ravvicinato con dei Corrotti, perciò il suo corpo non doveva aver emanato il migliore degli odori. Si sentì in imbarazzo per l’ennesima volta realizzando di essersi avventata su Rosso in quelle condizioni, ma lui non sembrava esserne rimasto particolarmente dispiaciuto. O forse aveva semplicemente fatto finta di nulla.

Rachel prese della biancheria pulita ed entrò nel bagno, dove cominciò a lavarsi le mani e la faccia al lavabo. Mentre si massaggiava il viso con l’acqua e il sapone, finì inevitabilmente con il guardare lo specchio di fronte a sé. Con una mano si accarezzò lentamente i lineamenti del viso, osservando il proprio riflesso compiere lo stesso movimento. Rimase inspiegabilmente incastonata nei suoi stessi occhi viola. Continuò ad osservare il proprio volto, ad accarezzarlo, a girarsi e rigirarsi per controllare entrambi i propri profili.

Si era già specchiata in passato, ma mai prima di allora si era sentita in quel modo. Fino ad allora aveva guardato lo specchio e non aveva provato altro che indifferenza, ma in quel momento, invece… le pareva quasi di essere carina. Bella.

Sapeva di non essere mai stata un mostriciattolo, anzi, all’epoca del collegio diversi ragazzi le avevano fatto la corte non per caso, ma lei non aveva mai dato loro particolare retta, non aveva mai creduto davvero che lei meritasse davvero certe avances, ma in quel momento, osservando il suo viso pallido e magro, i suoi occhi viola e le sue labbra carnose, doveva ammettere che, dopotutto, lei non aveva nulla da invidiare rispetto alle altre ragazze che conosceva.

E la sua bellezza non si fermava solo lì. Osservò il proprio petto e, allontanandosi leggermente, poté anche ammirare le proprie gambe e i fianchi. Non era perfetta, certamente, i suoi seni non erano molto grossi, ma erano sodi, così come i glutei. Le si vedevano alcune costole, soprattutto se si distendeva, e le sue gambe erano magre, ma non troppo, le provviste che avevano trovato a Sub City sicuramente avevano aiutato a mantenerla più in carne di quanto avrebbe potuto credere. La sua pelle era liscia, morbida e completamente glabra. Molto pallida, certo, ma era un colore che a lei non spiaceva, faceva risaltare di più il viola dei suoi occhi.

Sorrise. Non si era mai vista sotto quella luce prima di quel momento. Lei non era mai stata vanitosa, era un miracolo che quella parola fosse anche solo presente nel suo vocabolario, però doveva ammetterlo, era una bella ragazza. E il motivo per cui mai prima di allora aveva davvero compreso quel lato di sé, era che non si era mai sentita davvero apprezzata da qualcuno. Realizzò che Lucas non solo l’aveva aiutata a sentirsi di nuovo una ragazza normale… le aveva anche restituito la sua femminilità. Il fatto che un ragazzo l’avesse amata, le aveva fatto capire che lei poteva essere bella, o perfino sensuale, tanto quanto Amalia, Tara o Artemis.

E forse Lucas poteva aver sempre omesso complimenti riguardanti il suo aspetto, o il suo corpo, rivolti a lei, però era sicura che Rosso pensava che Rachel fosse bella tanto quanto lei lo pensava di lui. Perché era vero, lei pensava che Lucas fosse un bel ragazzo, nonostante lo amasse non solo per il suo aspetto, ma anche per come fosse interiormente.

L’aspetto fisico non era mai stato un argomento che aveva riguardato la loro relazione, o almeno, non in quel modo. Fu come se gli occhi di Rachel si fossero aperti tutto ad un tratto. Sicuramente il rapporto tra loro due non sarebbe affatto cambiato, anzi, ma per la corvina fu comunque gradevole riuscire non solo a sentirsi una ragazza, ma anche a vedersi come tale dopo tantissimo tempo.

«Rachel?» Una voce proveniente dalla camera da letto la chiamò. La ragazza non ci mise molto a capire di chi fosse. Indossò la biancheria intima ed uscì, ritrovandosi di fronte al partner, che la osservò sorpreso.

«Ehi…» mormorò, abbozzando un sorriso, gesto che venne subito ricambiato da lui.

«Ehi.» Rosso le si avvicinò, per poi posarle una mano sulla guancia, facendola avvampare. La accarezzò dolcemente con il pollice, suscitando una scarica di brividi dentro di lei. Rachel posò la propria mano su quella di Lucas e i due si guardarono negli occhi per un breve momento.

«Tutto ok?» ruppe il silenzio lui.

Rachel annuì. «Sì.»

Ancora silenzio. I loro sguardi rimasero ancora incrociati tra loro, fino a quando Rachel non si gettò contro al petto di Lucas, stringendolo in un forte abbraccio. La ragazza sospirò compiaciuta, premendo il proprio corpo contro quello del partner malgrado l’imbarazzo provato dall’essere ancora mezza nuda.

Dopo un attimo di stupore, Rosso ridacchiò, avvolgendola attorno ai fianchi. «Sei bellissima» le sussurrò.

Corvina distese il sorriso, appoggiando il mento sulla spalla del compagno.

Ancora in quel momento, ripensare ai fatti di prima, pensare che… che avesse fatto l’amore per la prima volta, le suscitava decine di emozioni contrastanti. Da un lato non credeva di aver davvero fatto ciò che aveva fatto, ma dall’altro… non poteva sentirsi più soddisfatta, e in pace con sé stessa. Di una cosa era sicura, non era affatto pentita, anzi.

«Scusa per… prima» continuò Rosso, allontanandosi momentaneamente da lei per tornare a guardarla. «Quando sei tornata a casa. Non avrei dovuto farti il terzo grado in quel modo.»

«No, Lucas, la colpa è mia. Ero… ero stanca e… ho esagerato.» Rachel posò una mano sul suo petto, strofinandola sulla maglietta nera. «Non ti meritavi quella reazione da parte mia.»

«Ti perdono… se tu perdoni anche me» propose Lucas, accarezzandola tra i capelli.

«Andata» annuì lei, appoggiando le labbra sulle sue. Il bacio che si scambiarono fu esattamente come tutti gli altri che si erano dati in passato, perciò fu fantastico come sempre.

Quando si separarono, Lucas accennò con il capo alla porta. «Tua madre mi ha chiesto di controllare che fossi sveglia, ti aspetta per la cena.»

«Mi vesto e scendo» affermò Rachel, sciogliendosi dalle braccia del partner.

«Hai… hai detto a mia madre che stavo dormendo?» domandò la ragazza, mentre indossava un paio di pantaloni puliti.

«Sì, ho detto che la ricognizione ti ha stancato molto» rispose Lucas. «Sarei voluto rimanere con te, ma non volevo che qualcuno si infilasse nella stanza e… beh, ci vedesse nudi.» Il moro sorrise divertito. «Pensavi che le avessi raccontato cosa abbiamo fatto?»

«N-No… certo che no…» mormorò lei, avvampando. «Solo… solo che…»

 «Rachel.» Lucas incrociò le braccia, il sorrisetto che si increspava. «Stiamo insieme, abbiamo dormito assieme per tutte le ultime settimane e ora abbiamo una camera tutta per noi. Pensi davvero che tua madre creda che stiamo aspettando il matrimonio?»

Finito di indossare anche una nuova maglietta, Rachel abbassò leggermente lo sguardo. «Beh… no, però…» La corvina si interruppe, senza nemmeno sapere cosa dire con esattezza. Si rese conto che quelle preoccupazioni erano completamente inutili e non facevano altro che cercare di rovinare tutto quello che era successo. Lucas aveva ragione, non doveva preoccuparsi. Era una donna, ormai, e se lei per prima non riusciva a capacitarsene, allora nessun altro avrebbe potuto farlo.

«E poi, io sono più preoccupato per Tara e Amalia» proseguì Rosso, storcendo le labbra in una smorfia. «Quando lo scopriranno non ci lasceranno più in pace…»

«Perché, ora lo fanno?» domandò Rachel, sorridendo di nuovo.

«Giusta osservazione. Dai scendiamo.» Lucas sorrise. «Angela ha ordinato la pizza.»

«Pizza?!» esclamò Rachel, ogni traccia della femminilità di cui tanto aveva pensato poco prima che svaniva nel nulla. Quanto era passato dall’ultima volta che aveva mangiato la pizza, cento anni? «Perché non l’hai detto subito?!»

Rosso ridacchiò. Senza perdere altro tempo, i due ragazzi uscirono dalla stanza.

 

***

 

Rachel avrebbe potuto abituarsi a tutto quello. Il letto comodo di casa di sua madre, dormire con Lucas, la compagnia di Amalia e Tara e ora anche dei suoi colleghi di lavoro. Marianne, Simon e Allen erano persone per bene, e nonostante l’ufficiale fosse un po’ scostante, cominciò ad affezionarsi a loro, inoltre lavorare con una faccia amica come Komand’r era sicuramente gradevole. La mora era sempre pronta a ravvivare il morale di tutti con le sue uscite.

Le giornate trascorsero tranquille, stranamente, i Corrotti erano sempre sparpagliati attorno alla città, ma non videro altri Divoratori o Devastatori, il che era sicuramente un bene.

La sera la passava assieme a Lucas. Passeggiavano nella via centrale di Jump City, mano nella mano, cenavano fuori, una volta tornarono pure in quel locale a ballare insieme. Ormai la gente aveva imparato a riconoscerla al primo sguardo, la sua battaglia col corvo di luce bianca era arrivata alle orecchie di tutti. Erano lontani ormai i giorni in cui si nascondeva ad Empire, quando passava in mezzo alla folla senza che nessuno riuscisse nemmeno a vedere sotto al suo cappuccio. Alcune persone sembravano nutrire astio verso di lei, in quanto conduit, ma a parte brutte occhiate nessuno ebbe il coraggio di farsi avanti, scoraggiati anche dall'aspetto poco rassicurante del suo partner. Altri, invece, a volte la salutavano e le rivolgevano cenno di rispetto.

Era bello poter passare quel tempo assieme a Lucas. E, naturalmente, ebbero altri rapporti. Passarono alcuni giorni tra il primo ed il secondo, perché nonostante tutto Rachel si sentiva ancora insicura, ma Lucas non le mise fretta. Tuttavia, dopo essersi amati nuovamente, la corvina cominciò a sentirsi più a proprio agio.

Sapeva che c’era un’epidemia, sapeva che il Soggetto Zero era a piede libero, sapeva molto bene tutto quanto, ma cercava di non pensarci e di trascorrere ogni momento della propria giornata nel migliore e più positivo dei modi. Del resto, era passata solamente una settimana. Dopo i mesi trascorsi a lottare per sopravvivere ad Empire, e la terribile esperienza di Sub City, fu bello per lei staccare un po’ la spina. E lo stesso sicuramente valeva per i suoi amici.

Tara sembrava più a proprio agio con i propri poteri. Una sera era entrata in camera di Rachel per parlare con lei, e le aveva chiesto qualche consiglio su come tenerli sotto controllo. All’inizio la bionda era spaventata dall’idea di fare del male a qualcuno con essi, soprattutto ai bambini a cui doveva badare, ma grazie a Corvina e ai giorni tranquilli trascorsi assieme riuscì poco per volta a rilassarsi. Ancora, tuttavia, non voleva che le venissero cancellati. Sapeva che i Corrotti erano vicini e, se le cose si fossero messe male, era determinata ad aiutare, cosa che Rachel, in parte, ammirava.

Da un lato, avrebbe voluto che la bionda rinunciasse ai suoi poteri, così avrebbe avuto una preoccupazione in meno, ma era la sua vita, il suo corpo, Corvina non poteva decidere per lei. Poteva solo sperare che mantenesse davvero il controllo. Se non altro, era bello vedere Tara fidarsi di lei. Era bello poterla chiamare amica. L’amicizia con la Markov era una di quelle cose di cui Rachel non sapeva di aver bisogno fino a quando non l’aveva ricevuta, anche se la bionda, certe volte, sembrava essere un po’ schiva, soprattutto riguardo il proprio passato e la propria famiglia.

Amalia continuava a tenere il suo solito atteggiamento, sprezzante, arrogante, irriverente, ma era impossibile non notare la tristezza nei suoi occhi nei momenti in cui rimaneva sola ed in silenzio, specialmente durante le pattuglie assieme al corpo di sicurezza. Sicuramente pensava a Ryan e a Kori e nessuno poteva biasimarla per questo. Cercava di nascondere il proprio dolore con i suoi sorrisi, ghigni e battutine, ma non sempre ci riusciva. Tuttavia la sua malinconia sembrava attenuarsi quando era assieme a Tara e presto cominciò ad aprirsi anche di più con Rachel. Una volta, durante un turno di pattuglia, le aveva raccontato di come si era sentita quando gli Underdog avevano rapito Tara, di cosa aveva provato e di come si era incolpata per il rapimento della loro amica. Era stato terribile per lei, ma per fortuna le cose si erano risolte. Poco dopo, le parlò anche di Ursula, una gentile donna che l'aveva aiutata e trattata come una figlia malgrado l'avesse appena conosciuta. Quando le aveva parlato della sua morte, perfino Rachel aveva provato una fitta al cuore. Da come Amalia l'aveva descritta, sembrava un angelo sceso in terra. Ancora una volta la crudeltà del loro mondo tornò ad abbattersi con violenza su di lei.

Corvina già era a conoscenza del lato più umano di Amalia, ma ogni volta che la mora raccontava scorci del proprio passato, il dolore provato per il rapimento di Tara, la morte di Ursula, o le difficoltà che all’inizio aveva avuto a causa dei suoi sentimenti e della sua sessualità, Rachel si sentiva più vicina a lei. Anche se avrebbe preferito che non le raccontasse delle sue avventure notturne nelle discoteche, ma era palese che Amalia amasse farla sentire a disagio e che pertanto non avrebbe mai smesso di tormentarla con le sue storie vietate ai minori. Certe volte, palesemente, si metteva a flirtare con lei, e Corvina non riusciva mai a capire se scherzasse o se fosse seria. Sicuramente, a Lucas non sarebbe piaciuto se l’avesse scoperto. O forse sì?

E poi… c’era sua madre. Nonostante fossero trascorsi diversi giorni, un alone di imbarazzo aleggiava ancora nell’aria quando erano sole. Ogni volta che Rachel avrebbe voluto domandarle perché l’avesse abbandonata, le parole le morivano in gola e Arella sembrava quasi voler evitare la questione a tutti i costi. Era frustrante, per Corvina, il fatto che un argomento così importante che riguardava le vite di entrambe fosse anche un simile tabù, ma allo stesso tempo, erano di nuovo assieme. Era davvero così importante ciò che era accaduto in passato? Del resto, aveva conosciuto i suoi stupendi amici grazie a quanto era successo. Victor, Garfield, Kori e Richard prima, Tara, Amalia e Lucas dopo. Aveva sofferto, aveva pianto, ma tutto quello sarebbe successo comunque, anche se fosse rimasta con Angela, perché le esplosioni avrebbero devastato le loro vite in ogni caso.

Se era cresciuta, se era diventata più forte, in parte era merito anche di ciò che Arella aveva fatto. Angela amava sua figlia, e Rachel amava sua madre, l’importante era quello, e nient’altro. La verità poteva attendere ancora un po’. Del resto, nemmeno Rachel era sempre stata sincera con gli altri.

La storia dell’epidemia ancora la turbava. Avrebbe voluto raccontare la verità, ma non ne aveva mai il coraggio. Lucas cercava di non tossire troppo in sua presenza, ma non sempre ci riusciva. Ed ogni volta che lo vedeva soffrire a causa di qualche strano dolore, Rachel sentiva gli occhi inumidirsi. Avrebbe tanto voluto fare qualcosa, per lui. Ma cosa? Quella domanda era la ragione per cui, molte notti, aveva faticato ad addormentarsi.

Poi, una sera, ricevette visite. Sua madre aveva bussato – grazie al cielo – e lei e Lucas si erano rivestiti in fretta e furia e si erano dati una sistemata prima di scendere in salotto.

Ancora un po’ imbarazzati, i due partner trovarono ad aspettarli Marianne ed Allen. Tara e Amalia erano fuori, chissà dove a fare chissà cosa, ma era palese che i soldati non cercassero loro. L’ufficiale teneva Zoey in braccio, sorridendo intenerita.

«Hai una figlia stupenda, Hester» le disse Allen, addolcito a propria volta.

La ragazza con i capelli color rame, seduta sul divano, sorrise. Quando non lavorava nel negozio, spesso andava a casa di Angela per tenerla in ordine, sempre su compenso della madre di Rachel, e non era raro trovarla a cena da loro. Era chiaro che, più che capo e dipendente, lei e Arella fossero ottime amiche.

Quando i due soldati notarono Rachel, l’ufficiale saluto la piccola. «Ehi, ora la zietta deve andare, ma tornerà presto, non…» Si interruppe quando la creaturina le tirò i capelli. «AHI!»

La donna posò Zoey tra le braccia della sorella, borbottando: «Devi fare qualcosa per Zoey, non può continuare a tirare i capelli di tutti!»

«Andiamo, Mary, è solo una bambin-AHI!» La piccola rise di gusto quando agguantò anche alcune delle sue ciocche rosse.

Hester guardò la figlia indispettita, mentre una risata si sollevava tra Angela e i due soldati, presto imitata dalla stessa giovane madre.

Anche Rachel sorrise, sciogliendosi di fronte a quella scena così dolce. Ma la felicità durò poco. Marianne si rivolse a lei, schiarendosi la voce: «Dovresti venire con me e Allen, se non ti dispiace. So che non sei in servizio, ma è urgente.»

«Perché? Che succede?»

«Un incendio» borbottò Allen. «Nella foresta, a quaranta chilometri da qui. Si sta allargando in fretta. È stata indetta una riunione per decidere cosa fare. Lui ha chiesto che partecipassi anche tu.»

«Lui… chi?»

«Il sindaco» spiegò Marianne, arricciando il naso. «Finalmente ha capito che la situazione sta degenerando.»

 

***

 

Rachel non sapeva cosa pensare. Avrebbe conosciuto… il sindaco? Lo stesso misterioso sindaco che non sembrava voler mai vedere nessuno? Non sapeva se sentirsi onorata o spaventata.

Naturalmente non permisero a Lucas di venire con loro. Era solo un soldato semplice, oltretutto già ammonito. Il poveretto non poté fare altro che incassare la testa tra le spalle ed annuire, per poi salutare Rachel con un rapido bacio, anche se la corvina avrebbe preferito non trovarsi di fronte ad Arella in quel momento. Il suo sorrisetto le ricordò quasi quelli di Tara e Amalia. Perfino sua madre doveva essere pettegola?

Ed ora erano lì, diretti a piedi verso il municipio. Molti soldati si erano diretti con i veicoli verso il luogo dell’incendio, il cui bagliore arancione ora si poteva scorgere all’orizzonte. Dovevano arrestare il suo cammino prima che divorasse ogni cosa, anche se Corvina non sapeva bene come avrebbero fatto. Si augurò che nessuno si facesse male.

Avrebbe mentito se avesse detto che, malgrado la curiosità di incontrare il sindaco, non avrebbe preferito trovarsi ancora in camera con Lucas. Ripensare al partner la fece sentire subito meglio.

Procedettero per un po’ in quel modo, senza parlare, fino a quando diversi colpi di tosse provenienti da Marianne fecero sussultare la ragazza.

«Ah, maledizione…» mugugnò l’ufficiale. «Questa tosse non vuole saperne di andarsene…»

«Ti sei presa l’influenza?» domandò Allen, con un sorrisetto divertito.

«Simon deve avermi contagiata… gliel’avevo detto di prendersi un periodo di pausa…» borbottò Marianne, infastidita.

«Probabilmente non voleva deludere il suo comandante» suggerì ancora Jones.

Mary grugnì. «Meglio delusa che ammalata… l’ultima volta che l’ho vista, perfino Artemis tossiva. Quel pazzo ci contagerà tutti.»

Allen ridacchiò. Corvina, invece, non se la sentiva affatto di ridere, perché lei sapeva benissimo cosa, in realtà, fosse la causa di quella tosse. Marianne, Simon ed Artemis erano stati già tutti contagiati. E chissà quante altre persone lo erano. Il peso della realtà tornò nuovamente a schiacciarla. L’effetto dell’isolamento nella bolla "Lucas" di poco prima svanì quasi istantaneamente. L’unica cosa rimasta, era il vago ricordo del tepore del suo corpo e dei suoi baci.

«Allora» esordì Allen, affiancandola. «Tutto bene?»

Rachel annuì, anche se non era del tutto esatto. Oltre ad essere angosciata, si sentiva ancora parecchio confusa riguardo ciò stava accadendo attorno a lei. «In… in che senso la situazione sta degenerando?» domandò, ricordandosi le parole esatte usate da Marianne poco prima.

«Nel senso che sembra che l’inferno sia arrivato in terra giusto a qualche chilometro da qui» spiegò l’ufficiale, indicando con un pollice verso l’orizzonte tinto di arancione.

«Abbiamo paura che si tratti di qualche conduit piromane» aggiunse Jones, con un sospiro. «Non serve dire che questo non fa altro che peggiorare le cose.»

Mesta, Rachel annuì una seconda volta. «Volete che vada in ricognizione?»

«Ci penseranno i nostri uomini, non preoccuparti» rispose ancora Allen. «Ora dobbiamo solamente andare a questa riunione ed attendere nuove direttive.»

«Va bene.» Rachel fece vagare lo sguardo sui due soldati. Il capitano sembrava piuttosto teso, anche se non lo dava molto a vedere. Mary, d’altro canto, non sembrava nemmeno provare a tenere celato il proprio nervosismo. Camminava con passo spedito, i pugni stretti e la mascella contratta. Era rigida come un chiodo, ed il fatto che si muovesse così rapidamente malgrado ciò era quasi buffo da guardare. Peccato che quello era il momento più sbagliato in assoluto per mettersi a ridere. Inoltre, osservandola, pensò ad Hester. Così, erano sorelle. Non sapeva se di sangue o meno, visto le loro differenze non poco notevoli eccetto il colore degli occhi, ma era anche vero che Marianne doveva essere più grande di cinque o sei anni. Un po’ le ricordarono Stella e Amalia, una rossa di capelli, l’altra mora. Tutto ciò non fece che angosciarla ancora di più.

«Che hai da guardare?» La domanda dell’ufficiale la fece sussultare. Imbarazzata, Rachel distolse lo sguardo. «Niente, scusa…» rispose. Tuttavia, quando un pensiero le attraversò la mente, ritornò a guardarla. «Tu… tu conoscevi Dominick?»

Non appena pronunciò quel nome, qualcosa scattò dentro entrambi i soldati. Allen si schiarì la gola e si voltò verso un’altra parte, mentre Marianne parve incupirsi dieci volte di più. «Lo psicopatico che ha sposato mia sorella. Purtroppo lo conosco. Purtroppo, era mio amico. Se lo rincontrassi ora, tuttavia, penso proprio che lo ucciderei con le mie stesse mani. Perché me lo chiedi? Lo hai incontrato?»

«Io… sì. A Sub City. Ha cercato di uccidermi.»

Marianne fece schioccare la lingua. «Wow, che sorpresa. C’era anche Kevin con lui?»

«Sì. È stato un suo complice per un po’.»

Questa volta, la donna scosse la testa, quasi delusa. «Ancora non capisco perché lo abbia fatto. Lui era molto meglio di così. Spero solo che almeno stia bene.»

Quelle parole colpirono Rachel come un pugno allo stomaco. Avrebbe dovuto dirle la verità, dirle che Kev era morto, per mano dello stesso Dominick? L’idea di spezzarle il cuore in quel modo la ripugnava, però non poteva tenerla all’oscuro della verità. Inoltre… sperava che fosse proprio lei a raccontare ad Hester cos’era successo a suo marito. Erano sorelle, Mary la conosceva molto meglio di quanto invece potesse farlo Rachel, lei avrebbe saputo come dirglielo nel migliore e più delicato dei modi. Aveva paura di come Marianne avrebbe reagito sapendo di quella notizia, soprattutto considerando tutto quello che stava passando in quel momento, tuttavia la conduit non poteva più portare quel fardello dentro di sé. Inoltre, anche Allen avrebbe potuto essere di aiuto, in qualche modo. Sicuramente la sua presenza sarebbe stata di conforto, per Mary.

«Ascolta… Marianne. A Sub City… sono successe parecchie cose.»

Mary si voltò verso di lei, con un sopracciglio inarcato. Mentre il loro viaggio verso il municipio proseguiva, Rachel prese un profondo sospiro e cominciò a raccontare. Dapprima, la donna la ascoltò perplessa, ma man mano che proseguiva, le sue espressioni mutarono notevolmente. Passarono dal disgusto, quando Rachel parlò della sete di potere di Dom, alla ben più marcata tristezza quando le parlò dapprima della redenzione di Kevin, e poi della sua morte.

«Era una brava persona…» mormorò l’ufficiale, con gli occhi inumiditi. «Ha aiutato me ed Hester a raggiungere la comunità, sai? Nonostante riuscisse a malapena a controllare i suoi poteri, ci ha protette per tutto il viaggio. Avrebbe potuto restare con noi, ed invece ha deciso di seguire quel folle. Meritava molto di più di fare quella fine.» Strinse i pugni, con più forza. «E cosa è successo a Dominick?»

«L’ho sconfitto. E l’ho fatto ritornare in sé. Quando si è reso conto di quello che aveva fatto… ha quasi dato di matto. Mi ha spiegato cosa gli fosse successo e… mi ha detto di Rick.»

«Non è mai riuscito ad accettarlo.» Mary sospirò, per poi scuotere il capo. «Ma questa non era una motivazione valida per fare terra bruciata attorno a sé. Hester non si meritava quello da lui. Soprattutto considerando che la morte di Rick aveva distrutto anche lei. E soprattutto, perché all’epoca era anche incinta di Zoey. Nessuno di noi si è meritato ciò che lui ci ha fatto.»

«Alcune persone… sono più fragili di altre» osservò Rachel. «Non intendo giustificarlo per le sue azioni, però… trovo che sia sbagliato dargli la colpa di tutto.»

«Stronzate» sbottò Allen, rimasto in silenzio per tutto quel tempo. Sia Rachel che Mary si voltarono verso di lui, sorprese da quella reazione. Il sempre calmo e pacato Allen, ora stava mostrando qualcosa di completamente nuovo della sua personalità. «Io ne avevo quattro, di figli. E anche una moglie.» Le vene sulle sue braccia pulsarono, quando anche lui strinse i pugni. «E ho forse distrutto la vita dei miei cari, per questo? No. Dopo essere caduto, mi sono rialzato e sono andato avanti. Nonostante volessi semplicemente morire, sapevo che quello non era ciò che la mia famiglia voleva. Loro avrebbero voluto che continuassi a combattere, a resistere, perché anche se non c’erano più, loro avrebbero continuato a vivere attraverso di me. Sono arrivato alla comunità ed ho fatto ciò che andava fatto, mettendomi ad aiutare a ricominciare tutte quelle persone che, come me, hanno perso tutto. Non ho distrutto gli altri, ma li ho aiutati a ricostruire. È questo quello che si fa, perché nessun altro meglio di me, di noi, può comprendere il loro dolore.»

Rachel non sapeva cosa dire. Perfino Marianne, che doveva conoscere Allen da diversi mesi, sembrava sorpresa. Probabilmente nemmeno lei era mai stata a conoscenza di ciò che il soldato aveva perso. Jones chinò il capo, espirando profondamente, per poi scuoterlo. La donna gli posò una mano sulla spalla, facendolo raddrizzare. I loro sguardi si incrociarono, e lei gli rivolse un cenno, apprensiva come probabilmente non era mai stata con qualcuno al di fuori della sorella o della nipote. «Mi dispiace» mormorò. I due si osservarono per un breve istante, fino a quando Allen non annuì lentamente, e Mary allontanò il braccio da lui.

«Tutto questo solamente per colpa di qualche gioco dei poteri più forti» proseguì Marianne, questa volta tornando ad essere disgustata. «Hanno deciso di bombardarci, di giocare con le nostre vite, per dio solo sa quale ragione. Ma non esiste ragione che tenga. Non avevano alcun diritto di rovinare così le vite di tutti. Le loro idee, i loro sogni, non sono affatto migliori dei nostri.»

Corvina si mordicchiò l’interno della guancia, pensierosa. Come avrebbe potuto spiegarle anche che, invece, le esplosioni erano accadute per cercare di salvare invece la vita di tutti loro?

Non è il momento, per quello, si ricordò.

«C’è dell’altro» disse ancora, attirando nuovamente l’attenzione dei soldati.

«Cosa? Ancora?» interrogò Mary.

Rachel annuì. «Dominick… è morto.»

Un gemito sorpreso scappò dall’ufficiale, che malgrado le sue parole di poco prima, parve davvero scioccata. «L’hai… l’hai ucciso tu?»

«No. Vedete…» La conduit si interruppe. Avrebbe dovuto raccontarle anche come aveva sognato Dominick? Tutte quelle informazioni in una volta sola forse sarebbero state eccessive. «… io… so solo che è successo. È stato un altro conduit, a farlo. E… gli ultimi pensieri, le ultime parole di Dom… erano rivolte ad Hester. Lui sapeva di avere sbagliato, si è pentito di ciò che ha fatto, ma sapeva anche che non esiste perdono, per lui. Voleva solo che… che Hester sapesse che lui l’amava ancora. Per quanto questo possa valere. Avrei voluto dirlo direttamente a lei, ma non credo di esserne in grado.»

Marianne scosse lentamente la testa. «Sia Kevin… che Dominick…» La donna sospirò pesantemente. «Non posso crederci…» Si voltò verso di lei. «Racconterò io ad Hester cos’è successo, non preoccuparti. Tu hai fatto già troppo. E poi… credo che anche Hester amasse ancora Dom, nel profondo. Non sarà un finale tutto rosa e fiori, ma sono felice che questa storia abbia finalmente una conclusione.»

Corvina trovò la forza di sorridere. «Grazie, Marianne. Davvero.»

«No, Roth, grazie a te.» L’ufficiale ricambiò il sorriso, sembrando quasi ammirata. «Ne hai passate tante, devo ammetterlo. Sei una con le palle.»

Una risatina fuoriuscì dalle labbra della conduit.

 

***

 

Rachel non era più entrata in quel luogo, a differenza dei suoi compagni di viaggio. La sua mansione le era direttamente stata assegnata in ospedale ed era diventata un soldato senza che potesse nemmeno dire qualcosa in proposito. Tuttavia, era abbastanza sicura che in quella stanza del municipio nessuno dei suoi amici fosse entrato.

Un grosso tavolo con otto sedie, tre per parte e due per i capitavola, riempivano la maggior parte dello spazio, occupato per il resto da diverse librerie riposte contro le pareti, ricolme di tomi e cartelline. Oltre a stanza per gli incontri, probabilmente fungeva anche da archivio.

Artemis, Simon, Konstantin e Roy erano già tutti seduti al loro arrivo. L’ufficiale era in cima, accanto al capotavola, seguito da Kovar e la bionda, mentre dall’altro lato Simon, senza bandana per l’occasione, era seduto da solo di fronte alla ragazza. Lian salutò Rachel con la mano, mentre Simon e Konstantin si limitarono ad un cenno del capo. Roy, dal canto suo, alzò a malapena gli occhi dal telefonino. Marianne andò a sedersi sul posto accanto al capotavola, esattamente di fronte a Roy, mentre Allen occupò il posto centrale tra lei e Lawrence. Rachel si accomodò sull’altro posto a capotavola, l’unico rimasto libero. La cosa la fece sentire piuttosto a disagio, considerando che il sindaco, con tutta probabilità, si sarebbe seduto esattamente di fronte a lei sull’altro lato.

«Allora, Simon…» cominciò Artemis, appoggiando i gomiti sul tavolo ed osservando il biondo con un sorrisetto. «Sicuro che sia una buona idea startene chiuso in questo spazio così stretto con tutti noi? Non sia mai che anche l’eroina della città si ammali per colpa tua…»

«Falla finita…» mugugnò Lawrence. «Io non c’entro niente, è stata la mia squadra ad ammalarsi per prima. Loro hanno contagiato me…»

La ragazza ridacchiò. «Sei bellissimo quando ti offendi.»

Simon grugnì infastidito, beccandosi una pacca di consolazione sulla spalla da Allen, che stava ridacchiando. Il ragazzo sospirò pesantemente, per poi rivolgere al capitano più grande un sorrisetto. Osservandolo e, soprattutto, notando lo sguardo del biondo, Rachel poté facilmente intuire che Jones fosse il suo mentore. Quella scena, malgrado tutto, riuscì a farla sciogliere leggermente. Non conosceva il passato di Simon, ma non si sarebbe stupita di sapere che anche lui fosse rimasto senza genitori e che pertanto vedesse Allen come una figura paterna.

Perfino Roy e Mary avevano sorriso, di fronte a quella scena. Rachel osservò poi Artemis. Voleva provocare Simon, ma era ben chiaro il suo nervosismo. Del resto, nemmeno lei doveva aver mai visto il sindaco, prima di quel momento. Nessuno dei capitani lo aveva mai visto.

La porta dal lato opposto della stanza si aprì all’improvviso. Konstantin si alzò in piedi, venendo tuttavia folgorato con lo sguardo da Harper. «Ma che cavolo fai? Siediti» sbottò il rosso. Il soldato avvampò, tornando a sedersi, mentre nella stanza faceva il suo ingresso il famoso sindaco. Il fatto che Rachel non avesse idea di cosa aspettarsi da quell’uomo fu probabilmente il motivo per cui, quando lo vide, non rimase particolarmente sorpresa. L’alone di mistero che per tutto quel tempo lo aveva circondato le aveva fatto credere che fosse chissà che cosa, invece era un semplice uomo con un completo elegante, sulla cinquantina, stempiato e con i capelli brizzolati. La mascella lunga, squadrata, gli occhi così chiari da sembrare cristallini, alcune rughe sul viso completamente glabro.

«Grazie per essere venuti» annunciò, con voce calma, morbida, molto di più di quanto Rachel avrebbe potuto aspettarsi. «Lieto di conoscerti di persona, signorina Roth» disse ancora, rivolto a lei, rivolgendole un sorriso. «Io sono Sebastian Sangre. Sono il sindaco di questa piccola comunità.» Il sindaco appoggiò entrambi i palmi sul tavolo, vicino al proprio posto, puntando il suo sguardo proprio su di lei. «Immagino che tu abbia già sentito la mia voce, diversi mesi fa, ad Empire City.»

Rachel annuì. «Sì, mi ricordo.» Era stato proprio grazie ad una soffiata del misterioso agitatore di Empire che lei aveva conosciuto Rosso. In un certo senso, era stato proprio quell’uomo a cambiarle la vita. «Ma come faceva a sapere di quelle provviste?»

«Beh…» L’uomo piegò leggermente il capo. «Può non sembrare, ma me la cavo piuttosto bene con i computer. Dalla mia tranquillissima postazione potevo accedere a qualsiasi terminale di tutto il paese e monitorare tutti i movimenti del nostro governo. Non hai idea di quante cose io abbia scoperto…»

Quando pronunciò quelle parole, Rachel notò qualcosa di diverso nel suo tono di voce. Uno strano luccichio aveva pervaso i suoi occhi, qualcosa che solamente lei parve notare. A quel punto, la corvina non ebbe più dubbi: anche lui sapeva dell’epidemia. E probabilmente sapeva anche che lei sapeva. Che fosse stato il dottor Smith a dirglielo? Non poteva esserne sicura, ma qualcosa le diceva che, no, il dottore non c’entrava nulla. C’era qualcosa in quell’uomo, Sebastian, che non la convinceva del tutto. Avrebbe fatto meglio a non abbassare la guardia.

«Taglia corto, Sebastian.» Marianne incrociò le braccia, diffidente. «Perché ci hai chiamati?»

«Suvvia, Marianne, non vuoi neanche lasciarmi il tempo di presentarmi? Perfino i nostri capitani mi vedono a malapena.» A quelle parole, Simon, Konstantin ed Artemis drizzarono il capo. Non Allen, però. Forse lui aveva già partecipato a quelle riunioni, in passato.

«Ha ragione, Sebastian» proseguì Roy.  «Cosa succede? Non hai mai convocato tutti noi in questo modo.»

L’uomo sospirò. «Suppongo che girarci attorno non farà altro che rendere ancora più difficile la situazione. Vedere, quello che devo dirvi sarà affatto semplice per voi da digerire, ma purtroppo è una realtà che non possiamo più ignorare. Inoltre, devo avere la vostra parola: ciò che sto per dirvi, dovrà rimanere dentro questa stanza.»

I presenti cominciarono a guardarsi tra loro perplessi, poi diedero la loro parola. Tutti, eccetto Rachel, che aveva il terribile sospetto di sapere già cosa Sebastian stesse per dire loro.

«Vedete, tutti noi… corriamo un grave pericolo.»

Ogni dubbio svanì in Rachel quando udì quella frase.

 

 

 

 

 

Salve ragazzi. No, non sono morto. Mi sa che questa frase l'ho già scritta diverse volte, ma non ricordo molto bene, è passato un po' di tempo. Scusate per l'attesa. E sì, è un po' scarno questo capitolo, ma sapete come si dice, la quiete prima della tempesta o quel che è. Perché sì, gente, la tempesta è molto vicina. Anche se "vicina" è una parola che stona un po' con l'attesa straziante a cui vi sottopongo, ne prendo atto, ma purtroppo la faccenda è questa. La storia continuerà con questi ritmi, ahimé. Spero che con il periodo natalizio io possa trovare più tempo per scrivere, ma non ci metterei la mano sul fuoco, perché potrebbe perfino darsi che io debba partire per un po'. Quindi... sì, se volete odiarmi per colpa dell'attesa a cui vi sottopongo fate pure. Io sono solo felice del fatto che questa storia venga letta da qualcuno. 

Bene, ho detto tutto, alla prossima!

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Capitolo 17
*** Verità sconvolgenti ***


 Capitolo 17: VERITÀ SCONVOLGENTI

 

 

 

Ascoltare nuovamente la storia del Soggetto Zero e di tutto quello che era successo fu molto più difficile di quanto lei potesse immaginare, malgrado lei ne fosse già a conoscenza. Probabilmente quello era l’effetto che faceva udirla fuoriuscire dalle labbra di qualcun altro. Inoltre, osservare le reazioni sconvolte del resto dei soldati non aiutava di certo. E a peggiorare il tutto, c’era la consapevolezza del fatto che il Soggetto Zero fosse riemerso dall’anfratto in cui sembrava essere svanito.

Mentre Sebastian parlava, Rachel si strinse nelle spalle e chiuse intensamente gli occhi, trattenendo a malapena un sospiro angosciato.

«Quindi… quindi siamo tutti morti» concluse Marianne, a racconto finito, durante il profondo silenzio che era calato.

Simon era diventato pallido come un lenzuolo. Accanto a lui, Artemis continuava a lanciargli occhiate nervose. Dovevano aver capito che la sua tosse in realtà non era solo un’influenza qualsiasi. Allen, Roy e Konstantin invece erano pietrificati. Nessuno di loro sembrò trovare la forza di parlare.

«Allora?! Che hai da dire?!» esclamò di nuovo Marianne, rivolta a Sebastian, che nel frattempo era rimasto in silenzio. «Che cosa facciamo?! Non possiamo restare immobili e farci divorare da una malattia! Deve esistere una cura!»

«La stiamo cercando» si intromise un’altra voce. Nella stanza entrò il dottore che Rachel aveva incontrato, Bernard Smith. Aveva indosso il camice, gli occhiali e la barba e i capelli brizzolati erano in perfetto ordine. «Ma non è così semplice.»

Marianne osservò il dottore, con uno sguardo scettico. «E questo chi sarebbe?»

«Il dottor Bernard Smith. L’unico oltre a me a sapere la verità. Da un paio di mesi a questa parte mi sta aiutando in segreto a trovare una soluzione» spiegò Sebastian, portandosi le mani dietro la schiena.

«Non l’ho mai visto prima di oggi. Eppure all’ospedale ci sono andata spesso, a trovare i miei compagni morti per proteggere questo buco di comunità» sibilò l’ufficiale, collerica.

Rachel non poteva biasimarla per come si stava comportando. La scoperta della verità doveva averla davvero sconvolta. Spostò lo sguardo verso Bernard, che dal canto suo era rimasto impassibile, con uno sguardo venato di tristezza.

«Ci sarebbe un modo, in realtà» disse il dottore, aggiustandosi gli occhiali sopra il naso, prima di chiudere gli occhi e sospirare profondamente.

Rachel pensò che avrebbe raccontato anche a loro la storia sull’anti-gene conduit. In effetti, se anche i presenti in quella stanza fossero venuti a conoscenza della faccenda, avrebbero potuto cominciare a mobilitarsi. Magari avrebbero potuto effettuare dei test sugli abitanti della comunità, o cose del genere.

Stava attendendo quasi con il fiato sospeso la spiegazione del dottore. E anche gli altri sembravano sulle spine, perché Sebastian si schiarì la voce, sorpreso tanto quanto gli altri. «Che modo, Smith? Non me ne hai mai parlato.»

Corvina schiuse le labbra. Bernard le aveva detto che invece il sindaco sapeva tutto. Un sorriso apparve sul volto del dottore, mentre si sfilava gli occhiali. Rachel sentì la pelle delle braccia accapponarsi all’improvviso, mentre tutti i suoi sensi la avvisavano di un pericolo imminente.

«È semplice, amici miei» disse Smith, prima di spalancare gli occhi. «Basta che moriate tutti prima.»

«ATTENTI!» urlò Rachel, creando una barriera, prima che un’esplosione proveniente dal medico investisse tutta la stanza. L’unica cosa che lei era riuscita a vedere, prima che la luce consumasse tutto, erano gli occhi interamente rossi del dottor Smith.

Tutto si fece nero. Odore di fumo e bruciato le invase le narici, mentre il calore invadeva il suo corpo. Udì dei colpi di tosse, e delle grida spaventate. Riuscì a riaprire gli occhi e vide lo studio in cui si erano riuniti completamente distrutto. I mobili erano rovesciati, il tavolo spaccato, le pareti annerite e una pioggia di polvere e detriti stava cadendo dal soffitto crollato.

Tra le macerie, Rachel intravide anche i corpi: Konstantin, Allen, Roy, Marianne e Sebastian. Rivolti a terra, schiacciati dai detriti, a mollo nel loro stesso sangue.

«No» sussurrò, con il cuore stretto in una morsa di angoscia. «N-No…»

«Tu saresti l’unica in grado di fermarmi, dico bene?»

Quella voce la fece rabbrividire da capo a piedi. Rachel drizzò la testa, accorgendosi di Smith ancora in piedi, ancora perfettamente intatto in mezzo alla devastazione della stanza. Le sorrise, con quegli occhi fatti interamente di luce rossa, la stessa che Rachel già aveva visto e che già le aveva suscitato quella sensazione di terrore puro.

L’aspetto del medico cominciò a mutare: le rughe svanirono, i capelli si scurirono e si allungarono, perfino l’abito cambiò, rimpiazzato da un completo elegante.

«C-Che cos’è successo?» sussurrò Artemis, stesa a terra accanto a lei, assieme a Simon. Loro erano gli unici che Rachel era riuscita a proteggere con la sua barriera. La ragazza si rimise faticosamente sui gomiti, ma Rachel fece a malapena caso a lei.

In mezzo alla stanza non c’era più Bernard Smith: c’era il Soggetto Zero.

«Allora, Rachel. Sto aspettando. Fermami, forza.» L’uomo sogghignò, facendole cenno con la mano. «Sconfiggimi.»

Rachel non riusciva a muoversi. Non riusciva nemmeno a respirare. Era paralizzata dalla paura e dallo stupore.

«Non vuoi fare nulla? Peccato. Allora lascia che sia io a fare la prima mossa.» Il Soggetto Zero alzò una mano e al suo comando un tentacolo di luce rossa spuntò dal terreno, avvolgendosi al collo di Rachel, strappandole un grido strozzato.

La ragazza tentò di liberarsi, ma sentì le forze mancarle. La vista le si appannò, ogni cosa cominciò a farsi buia. Afferrò il tentacolo con le mani, ma le allontanò subito per via del bruciore immenso che avvertì. Era come se fosse fatto di fuoco solido. Anche il collo cominciò a bruciarle, mentre alzava la testa, incapace di respirare. Sentì alcune lacrime scivolarle dagli occhi e si vergognò di essere così patetica.

Tutto si sarebbe aspettata, quel giorno. Tutto meno che quello.

«Devo ammetterlo: raccontarti quell’idiozia sull’anti-gene conduit è stato davvero elettrizzante. Il modo in cui ci hai creduto, poi… davvero, mi sono quasi sentito in colpa. Quasi.» Il tentacolo strinse più forte e Rachel lanciò un altro gemito. «Avanti, demone, che cosa ti succede? Dov’è finita l’ultima speranza dell’umanità?»

Le forze abbandonarono il corpo della conduit. Smise di lottare, di dimenarsi. Le palpebre si appesantirono e il collo non riuscì più a reggere la testa. L’unica cosa a cui riuscì a pensare, mentre sentiva la vita abbandonarla, era Lucas.

Aveva fallito. Non era riuscita a salvarlo. Non aveva mai fatto nulla per lui, nulla. E aveva appena perso l’unica occasione che aveva per fargli capire quanto tenesse a lui, quanto davvero lo amava.

Era patetica.

Udì un urlo straziante. La presa al collo si allentò all’improvviso e riuscì a respirare di nuovo correttamente. Riaprì gli occhi e vide il Soggetto Zero riverso contro una parete della stanza. Di fronte a lui, c’era Simon. O meglio, la divisa era quella di Simon. Il corpo, invece, era molto diverso.

Aveva la pelle squamosa, membrane come quelle degli anfibi che spuntavano da sotto le braccia, le mani munite di unghie appuntite.

«Ma… ma cosa…» riuscì a gemere Rachel, prima che lui si voltasse verso di lei, mozzandole il fiato. Aveva gli occhi gialli, acquosi, e la mascella sporgente da cui spuntavano denti affilati come coltelli. Era… era un Corrotto.

«Alzati, Demone» ringhiò lui. «Non posso batterlo da sol…»

Un raggio di luce rossa lo investì, scaraventandolo contro la parete opposta e sfondandola, aprendo un buco che dal municipio si affacciava sopra la strada. «Maledetto mutante» ringhiò il Soggetto Zero, rialzandosi in piedi, con la tempia che sanguinava copiosamente. Il taglio si richiuse a vista d’occhio di fronte a Rachel, che era sempre più sconvolta. «Quando avrò finito qui, sterminerò anche tutte quelle bestie senza cervello.»

Puntò le mani verso la ragazza, che questa volta si fece trovare pronta. Non era sopravvissuta per puro miracolo per farsi abbattere di nuovo da lui. La luce la investì, ma la barriera di energia nera che sollevò attorno a sé la protesse. Sentì di nuovo il respiro mozzarsi e un fortissimo dolore al petto. Il naso cominciò a sanguinarle, mentre usava tutte le sue forze per resistere a quell’attacco che non avrebbe lasciato alcuno scampo.

La barriera cominciò a creparsi. Rachel sgranò gli occhi, soprattutto perché Lian era ancora lì, a terra, in stato di semi coscienza. «Lian! Vattene da qui!» le urlò, disperata. «Fai evacuare la città! Fai…»

La luce rossa crebbe di intensità, sfondando la barriera. Rachel gridò e venne colpita, ritrovandosi catapultata in strada, seguita da una pioggia di calcinacci e urla terrorizzate. Sentiva ogni singolo osso nel corpo rotto, ma riuscì comunque a rimettersi in ginocchio, tossendo e sputacchiando sangue. Drizzò la testa verso la parete sfondata del municipio e vide il Soggetto Zero uscire dal varco con un salto, per poi atterrare di fronte a lei, dall’altra parte della strada. Si guardò attorno, sogghignando alla vista di tutti i civili sconvolti che erano rimasti paralizzati dallo stupore. Dopodiché, allargò le braccia e una miriade di rampicanti di luce spuntò dal terreno, afferrando chiunque capitasse a tiro.

Urla strazianti si sollevarono, mentre i tentacoli uccidevano un civile dietro l’altro, trafiggendoli alla schiena, soffocandoli, impalandoli o decapitandoli. In pochi istanti, nella strada fu il caos.

«FERMATI!» urlò Rachel, scaraventandogli un globo di luce nera, che detonò al contatto. I tentacoli si diradarono e il Soggetto Zero barcollò, prima di riacquistare il suo ghigno. «Tutto qui?»

Sollevò di nuovo le mani, ma prima che potesse fare altro, vi fu una raffica di esplosioni. Alcuni soldati stavano correndo verso di lui, i fucili in mano, mentre altri aiutavano i civili a fuggire. I proiettili rimbalzarono addosso al Soggetto Zero senza scalfirlo, ma in compenso strappandogli una smorfia furibonda. «Maledetti insetti.» Alzò una mano verso di loro. «Questa è una questione tra dei. Toglietevi di mezzo.»

I corpi dei soldati brillarono all’improvviso, strappandogli delle grida sorprese. Poi esplosero in una pioggia di organi spappolati e sangue. Rachel non riuscì a capacitarsi di cosa i suoi occhi le stessero mostrando. Aveva visto cose orribili, in quei mesi, ma mai niente del genere. Si accorse di tremare come una foglia, mentre il cuore rischiava di schizzarle fuori dal petto. Quello non era un avversario comune. Non poteva batterlo. Non aveva alcuna speranza.

«Dunque, stavamo dicendo…» Il Soggetto Zero riportò lo sguardo su di lei. Rachel strinse i denti. Doveva pensare, e in fretta.

Da un cumulo di macerie poco distante, Simon uscì fuori con un urlo. Ora non sembrava nemmeno più umano: la pelle era bianca cadaverica e aveva le stesse mandibole affilate dei Corrotti. Sembrava anche più alto e muscoloso.

«Allora non avete capito…» Gli occhi del Soggetto Zero brillarono, mentre puntava la mano contro Simon. «Basta seccator…»

Si interruppe, quando i tentacoli di Rachel spuntarono dal terreno sotto di lui, afferrandolo per le gambe e le braccia. Rachel si concentrò e puntò entrambe le mani verso di lui, poi gridò a perdifiato.

Un dolore accecante le pervase il corpo, quando provò a cancellare i poteri del Soggetto Zero. Era come tentare di abbattere una barriera invalicabile con uno scalpello rotto. La ragazza interruppe il contatto immediatamente, realizzando che di quel passo si sarebbe soltanto uccisa da sola.

«Che cosa pensavi di fare, Demone di Empire City? Credevi davvero di potermi cancellare i poteri così?»

Rachel cadde in ginocchio, con il respiro affannato e i nervi di tutto il corpo in fiamme. Vide Simon fiondarsi contro di lui e tentò di fermarlo, ma era troppo tardi: l’uomo lo trafisse con un raggio di luce e lo lasciò a terra, con un foro nel petto grosso quanto una testa. «Sparisci, parassita.»

«No!» gridò Rachel, inorridita. Un raggio di luce puntò anche lei e fu costretta a schivarlo. Corse lungo la strada e lasciò che l’oscurità la avvolgesse: si trasformò in corvo e si librò in volo, conscia di non avere speranze contro di lui.

Doveva allontanarsi, cercare i suoi amici, riprendere le forze e…

Il Soggetto Zero apparve di fronte a lei all’improvviso, sferrandole un pugno contro la corazza di tenebre: «Dove stai andando?»

Rachel gridò e venne sbalzata via, precipitando sul tetto di un palazzo poco distante. Il corpo di rapace si sfaldò, lasciandola in balia dell’aria. Riuscì a malapena a vedere il Soggetto Zero mentre scendeva verso di lei, in piedi a mezz’aria, circondato da luce scarlatta. «Non l’hai ancora capito, Demone? Tutto quello che sai fare tu…» I rampicanti disseminarono il tetto attorno a lei, circondandola. «… io lo so fare meglio!»

«TU!»

Una voce fece rimbombare la terra. Per l’ennesima volta, Rachel sgranò gli occhi. Anche il Soggetto Zero si voltò sorpreso.

Lo Yatagarasu apparve tra i grattacieli, precipitandosi addosso all’uomo sospeso a mezz’aria. «MUORI, ASSASSINO!»

I due corpi si scontrarono tra loro, in un susseguirsi di urla e luci accecanti. Si allontanarono dal palazzo e Rachel corse verso il bordo, osservandoli sconvolta.

«Rachel!»

La ragazza abbassò la testa e vide Richard, in strada, sbracciarsi verso di lei. «È Jack! Ho capito! Lui è…»

Lo Yatagarasu venne scaraventato via dal Soggetto Zero, che urlò frustrato. «Hai così tanta fretta di morire anche tu, moccioso?! Bene, ti accontento subito!» Puntò la mano verso il gigantesco volatile di luce bianca, e Rachel fece lo stesso con lui, colpendolo al fianco e strappandogli un mugugno sorpreso.

Si trasformò in corvo e si fiondò contro l’uomo, venendo subito seguita dallo Yatagarasu. Non aveva idea di cosa stesse succedendo, del perché quell’essere fosse tornato, ma non aveva importanza: anche lui aveva come bersaglio il Soggetto Zero, e mai come in quel momento Rachel si sentì felice di rivedere un vecchio nemico.

I due volatili concentrarono gli attacchi sull’uomo, che questa volta sembrò costretto a rimanere sulla difensiva. «Schifosi bastardi!» gridò, difendendosi dai loro attacchi in contemporanea, senza mai riuscire a ricambiare. «Me la pagherete cara!»

«MOSTRO! È SOLO COLPA TUA!»

Rachel non credeva di essere mai stata più d’accordo con qualcuno.

I loro attacchi sembrarono sortire effetto: il Soggetto Zero cominciò a rallentare, fiaccato e ferito. Ogni abrasione, ogni taglio, ogni sfregio guariva all’istante sul suo corpo, ma erano sempre di più, sempre più incisivi, e nemmeno quel fattore rigenerante così potente sembrava riuscire a reggere il passo con i poteri del conduit di luce e di tenebre combinati.

Fu proprio con quel pensiero, che Rachel sgranò gli occhi.

Erano due volatili: uno bianco, uno nero.

Luce. Tenebre. Ying e Yang. 

Il bene che c’è nel male… e il male che c’è nel bene.

Arrischiò uno sguardo verso lo Yatagarasu e ripensò al loro scontro, alle parole sconvolte che le aveva rivolto, a quella richiesta di aiuto e a quel grido spaventato, terrorizzato che l’aveva quasi fatta scoppiare a piangere.

«Chi… chi sei tu?» domandò, con la mente, come già una volta aveva fatto.

«Non lo so. Ma so che non devo abbandonarti» rispose la voce nella sua testa, questa volta però non era roca e incrinata come l’ultima volta: era chiara, nitida. Ed era anche terribilmente famigliare. Rachel rabbrividì sotto la sua corazza di oscurità.

«Jack…?»

«Non è quello il mio vero nome. Ma sì, sono io.»

Se solo non fosse stata nel bel mezzo di una battaglia che avrebbe decretato il destino della razza umana, Rachel si sarebbe pietrificata a cinquanta metri d’altezza e sarebbe rimasta immobile come una statua.

«Bene, vedo che state facendo conoscenza!»

Rachel gridò. E anche lo Yatagarasu emise un profondo gemito. Il Soggetto Zero aveva appena parlato ad entrambi con la mente. Tra le ferite, le luci che balenavano in ogni direzione e l’aria che sferzava come una frusta, la conduit riuscì ancora una volta a notare il sorriso sadico dell’uomo. «Te l’ho già detto, Rachel. Tutto quello che sai fare tu, io lo so fare meglio. E lo stesso vale anche per te, Jacob.»

«Bastardo» sibilò Jack. Anzi, Jacob. 

«L’unico bastardo sei tu, Jacob. O almeno, lo eri fino a qualche minuto fa.» Il Soggetto Zero distese il suo ghigno. «Ma adesso papà è tornato.»

Jacob smise di muoversi e attaccare all’improvviso, pietrificandosi come lei aveva quasi fatto. Un raggio di luce cremisi lo centrò in pieno, scaraventandolo via. Il suo urlo di dolore esplose nella mente di Rachel, facendo gridare anche lei. Lo Yatagarasu si schiantò contro un grattacielo e ci sprofondò, senza più riapparire.

«Lui non mi è mai piaciuto» gracchiò il Soggetto Zero, abbassando le braccia e smettendo di attaccare per un momento. «È sempre stato troppo debole, e remissivo. Un piccolo codardo che non ha fatto altro che scappare per tutta la vita. E poi, ha un’indole troppo buona. Può essere un problema. Tu, invece, Rachel… tu hai sempre avuto qualcosa di più.»

Rachel rimase a volteggiare di fronte a lui, sconvolta.

«Angela non ti ha mai parlato di me, vero? No, certo che no, dopotutto ti ha abbandonata. Immagino che tu ti sia sempre chiesta “perché”. Dico bene?»

Corvina non rispose. Non fiatò nemmeno. La sua mente si rifiutava di collaborare con lei. Il ghigno del Soggetto Zero e i suoi occhi terrificanti occuparono tutto quanto.

«Sii felice, Rachel. Hai passato tutta la vita credendo di essere sola, e adesso hai scoperto sia di avere un padre, che un fratello.»

Il Soggetto Zero divenne più grosso. Il suo corpo cominciò ad espandersi e cominciò a brillare di una luce così accecante che era quasi impossibile riuscire ad osservarla. Nel giro di pochi istanti, al posto di quell’uomo, c’era un gigante alto quaranta metri, con quattro occhi, la pelle rossa e enormi corna che spuntavano dalle tempie.

«Quando avrò finito con voi, il mondo intero si piegherà al mio cospetto!» tuonò, con voce così possente da far battere i denti della ragazza. «Mi hanno dato molti nomi, nel corso di questi anni, Rachel. Sai qual è il mio preferito? Trigon. Come un antico spirito malefico azteco. Un demone così crudele e spietato da sterminare migliaia e migliaia di persone. Ho deciso che sarà questo il nome con cui verrò ricordato, quando sarò il sovrano di questo patetico pianeta. Sarà questo il mio nome da nuovo dio!»

Anche da gigante, aveva ancora quel ghigno. «E tu, figlia mia, che cosa farai? Intendi morire qui per mano mia, come tutti gli altri… oppure ti unirai a me?»

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