Roxelana: L'Imperatrice Dell'Est.

di Luxanne A Blackheart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (R) ***
Capitolo 2: *** I (R) ***
Capitolo 3: *** II (R) ***
Capitolo 4: *** III (R) ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***
Capitolo 12: *** XI ***
Capitolo 13: *** XII ***
Capitolo 14: *** XIII ***
Capitolo 15: *** XIV ***
Capitolo 16: *** XV ***
Capitolo 17: *** XVI ***
Capitolo 18: *** XVII - Tuffo nel passato, parte prima. ***
Capitolo 19: *** XVIII - Tuffo nel passato, parte seconda. ***
Capitolo 20: *** XIX ***
Capitolo 21: *** XX ***
Capitolo 22: *** XXI ***
Capitolo 23: *** XXII - Neve e Fuoco. ***
Capitolo 24: *** XXIII ***
Capitolo 25: *** XXIV ***
Capitolo 26: *** XXV ***
Capitolo 27: *** XXVI. ***
Capitolo 28: *** XXVII ***
Capitolo 29: *** XXVIII ***
Capitolo 30: *** XXIX ***
Capitolo 31: *** XXX ***
Capitolo 32: *** XXXI. ***
Capitolo 33: *** Epilogo. ***
Capitolo 34: *** Avviso ***



Capitolo 1
*** Prologo (R) ***


PRIMA DI CONTINUARE, LEGGERE ATTENTAMENTE.
Prima di intraprendere la lettura, caro lettore/trice, vorrei che facessi attenzione su delle cose che ho da dire, per evitare fraintendimenti.
La storia è in fase di revisione. I capitoli revisionati verranno indicati con una ®. Potete continuare a leggere, ma se troverete delle incongruenze di nomi/avvenimenti, rispetto al capitolo precedente sarà proprio per questo motivo. Quindi non vorrei ricevere delle lamentele a riguardo. Cercherò di aggiornare il più velocemente possibile, per consentire a voi nuovi lettori di leggere con calma e tranquillità.
Per quando riguarda i nomi cambiati sono per il momento solo due: da Selim a Süleyman, da Anastasia/Alexandra a Aleksandra.
Vorrei dire inoltre che la storia è ispirata a fatti realmente accaduti. Infatti Roxelana, Ibrahim e il sultano sono realmente esistiti, ma molte cose saranno da me inventate e romanzate, altre, invece, saranno prese dalla realtà. Se vorrete leggere la reale storia da Wikipedia, fate pure. Vi avverto che potreste ricorrere a degli enormi spoilers.
E' disponibile un trailer della storia, vi lascio il link dopo il prologo, per chi volesse vederlo.
Per chi invece, vuole conoscere i prestavolto dei vari personaggi, metterò delle immagini per ogni capitolo. Ma potete immaginarveli come volete!
Tutti i diritti della storia sono riservati e si vieta qualsiasi tentativo di plagio.
Detto ciò, non mi resta che augurarvi una buona lettura e spero che questa storia vi piaccia!
*** ***







PROLOGO.




Rohatyn, Giugno1518.




Era Domenica e c'era odore di torta alle mele nell'aria.
Era Domenica e i Tatari avevano invaso il villaggio.
Era Domenica ed era scoppiato il panico; c'erano donne che gridavano, bambini che piangevano, uomini che cercavano di mettere in salvo le proprie famiglie, combattendo contro quegli animali che avrebbero preso tutto.
Tutti cercavano di rifugiarsi nella chiesa, lì dove suo padre stava tenendo un sermone, prima dell'invasione. Sapevano che davanti alla furia, all'essere spietati e privi di ogni tipo di pietà dei Tatari, nessuno poteva sopravvivere. L'unica soluzione era chiudersi in chiesa e sperare che il Signore li proteggesse.
Ma così non fu.



Le porte in legno scadente del luogo sacro vennero abbattute senza problemi. I Tatari entrarono con le loro sciabole, la lingua dolce così diversa dal russo, e le peggiori intenzioni del mondo.
Aleksandra si strinse intorno al padre, alla madre incinta e alla cinque sorelle più piccole, sperando di scampare a tutta quella furia.
Tutti sapevano che cosa stessero cercando: donne, bambine, ragazzini, uomini da poter mandare ai genovesi per venderli al sultano ottomano, ai califfi o alle varie prestanti famiglie europee. Attaccavano piccoli villaggi, di cui nessuno conosceva l'esistenza, che poi venivano bruciati, cancellati dalle cartine e dalle memorie dei ricchi padroni. Rohatyn era un piccolo villaggio di agricoltori, facilmente rimovibile, ma con un alto tasso di giovani da poter rapire, da poter cancellare dalle loro terre.
Cominciarono a uccidere tutti i vecchi, i disabili, quelli con qualsiasi imperfezione fisica, uno ad uno, senza pietà, senza battere ciglio. Le donne che non servivano loro o quelle malapena passabili venivano prima stuprate e poi sgozzate.
La chiesa ben presto si riempì di sangue, dolore, grida, morte e infine silenzio.
Uno di loro raggiunse Aleksandra e la sua famiglia, nascosti dietro l'altare. Le bambine piangevano, si stringevano tremanti dietro i genitori e a lei, la sorella maggiore, colei che aveva il dovere di proteggerle in assenza di un fratello maggiore. Suo padre, un piccolo prete dai capelli rossi e la pelle lentigginosa, si alzò per cercare di proteggere il suo villaggio e soprattutto la sua famiglia.




—Per l'amor di Dio, lasciate stare questo villaggio. Vi daremo tutti i soldi che desiderate, tutto il grano e tutto il bestiame, ma non fate del male alle mie figlie o alle altre fanciulle. —




—Taşındı, yoksul lout. - La voce del Tataro rieccheggiò per tutta la chiesa vuota, mentre l'amico ridacchiava, guardando tutte loro con occhi calcolatori e viscidi. Non era rimasto più nessuno, erano tutti stati catturati o erano stati uccisi. Aleksandra si limitava a stringere fra le braccia la sorella più piccola, Anja, di soli tre anni, che spaventata dalle grida e dal sangue, piangeva contro il collo della rossa.




Parlavano un dialetto del turco, con molte interferenze da altre lingue orientali, che a loro era impossibile capire. Il rumore dei massacri e delle violenze continuavano anche fuori dalla chiesa, dove altri suoi amici e conoscenti o venivano uccisi o rapiti.
Suo padre venne picchiato ferocemente e cadde a terra per il forte impatto. Sua madre urlò, correndo verso il marito svenuto e con la faccia insaguinata.
Aleksandra gridò alla madre di farsi indietro, ma ella non la udiva e fu seguita dalla sorella di tredici anni, Olga, sotto gli occhi attenti dei Tatari.
Erano ben in cinque, potevano decidere di prenderle tutte, compresa sua madre incinta, oppure di ucciderle tutte.




La prima che afferrarono fu sua madre, che aveva lontane origini arabe e per questo una parvenza esotica. Ma fu scartata, poiché troppo vecchia.
Cercavano qualcosa di particolare; non si trattava della solita razzia per raccattare più schiavi possibili.




Onu! — Urlò un altro, avendo adocchiato Olga, che cercava di alzare suo padre da terra. Uno dei due scattò verso la tredicenne, afferrandola e trascinandola per le caviglie, incurante delle urla di tutte loro e della donna incinta che si era aggrappata alle braccia dell'altro, supplicandolo. Anche sua madre venne stesa con un sonoro colpo e cadde per terra, sbattendo la testa.




—Lasciatele stare, lasciatela stare, brutti mostri, è solo una bambina! —




Non che lei fosse più grande, avendo sedici anni, quasi diciasette. Aleksandra si alzò, urlando alle più piccole di correre via e nascondersi nelle catacombe, non appena uno dei due Tatari intrufolò le sue sporche mani sotto la veste arancione di sua sorella per controllare che fosse ancora illibata e mentre l'altro guardava divertito. Olga urlava, piangeva e graffiava la mano di quel mostro, mentre Aleksandra, essendosi assicurata che le altre sorelle fossero fuori dai guai, si alzò e aggredì il bastardo che adesso le stava toccando il seno ancora in fase di formazione.




Aleksandra si lanciò sull'uomo, mordendogli la mano che si era intrufolata sotto la veste della piccola. Strinse i denti attorno ad essa talmente tanto da sentire il suo sporco sangue bagnarle la gola e scenderle lungo il mento. Il mercenario la insultò pesantemente, spingendola di lato. In un attimo le fu addosso, colpendola ripetutamente con schiaffi pesanti che le fecero girare la testa; le aveva rotto il labbro e il naso, riempendole la faccia di sangue. La rossa lo spinse via, riuscendo ad allontanarlo da sé. Si alzò dal suolo, sputando sangue misto a saliva e dopo si passò il palmo della mano sulla faccia ripulendosi completamente.




La sorella nel frattempo era riuscita a scappare dalle altre e Aleksandra era rimasta da sola, con due genitori privi di sensi e due uomini molto più forti di lei e soprattutto armati.
La fanciulla imprecò, cercando di colpire di nuovo uno dei due mercenari, i quali risero divertiti dal suo patetico tentativo.




Hadha yakfi.—




Un uomo entrò all'improvviso nella chiesa. La sua voce possente fece fermare entrambi i Tatari, che si inchinarono quando li raggiunse.



Wajadha hadayatana. Aleabd ladayna Sultan!—




Aleksandra ebbe l'opportunità di alzarsi e ripulirsi di tutto il sangue. Osservò l'uomo, che decisamente non era un Tataro.
Egli la osservò attentamente, girandole intorno lentamente e senza mai toccarla. Le sue scarpe lussuose si erano sporcate di sangue, mentre la sua divisa color porpora da alto funzionario politico era impeccabile, senza nessun tipo di imperfezione. Trovò finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi e poté scorgere i lineamenti da dietro le sue lunghe ciglia scure e lunghe. Era affascinante, ciò che molte donne definirebbero bello; i capelli ricci e scuri si arricciavano alle tempie dal sudore, donandogli un aria da Nerone, imperatore spietato e gelido. Una leggera barbetta scura gli incorniciava i lineamenti, dandogli un'aria parecchio enigmatica, aggiunta ai suoi glaciali e freddi occhi verdi-castani. Doveva avere circa trent’anni, o giù di lì.




La studiava mentre cercava di non mostrare la sua paura, la sua preoccupazione e il fatto che le sue gambe tremassero come foglie.
Era impaurita, ma coraggiosa. Non era bella come la favorita del sultano, tuttavia c’era qualcosa in lei… Forse i capelli rossi? Gli occhi azzurri da cerbiatta? O la spavalderia che essi dimostravano?




Wa’na ‘afham laghti?— Domandò l’uomo, guardandola negli occhi. La ragazza scosse il capo, non sapendo che cosa quelle parole significassero. L'unica lingua che parlava e comprendeva era il russo, dai suoni gutturali e freddi, proprio come la sua terra.




—Io sono Ibrahim Pargali Pascià, il Gran Visir del sultano. –Disse in russo. La sua espressione era impassibile e severa. Non c'era nessuna traccia di accento nella sua pronuncia, era perfetta, immacolata.– Adesso verrai con noi. Sarai la schiava del Sublime Sultano del Sublime Impero Ottomano, Kanunî* Sultan* Süleyman. Sarai il suo regalo di compleanno. —




—No, no, vi prego! — La ragazza scosse il capo in preda al terrore e alle lacrime.




—Non servirà a niente supplicarci o dimenarsi. Tu verrai a Costantinopoli con noi. D’ora in poi sarai proprietà del sultano, solamente a lui dovrai obbedire. Non hai più un nome, non hai più origini, non hai più una lingua e una religione, tranne quelle che ti verranno imposte. Dimenticherai ogni cosa della tua vita precedente. —




—Vi prego, abbiate pietà!—




—Il tuo nome adesso è Roxelana per via dei tuoi capelli rossi come il fuoco. —




Ibrahim Pascià diede l’ordine di prendere la ragazza. Murat e Umut, questi erano i nomi dei Tatari, l’afferrarono per le braccia e i capelli trascinandola sul suolo freddo e roccioso, ignorando le sue inutili proteste. La veste bianca e di materiale semplice che indossava, si sollevò rivelando un paio di gambe magre, quasi scheletriche, puntellate di lentiggini chiare. Il continuo trascinare il suo corpo al suolo le graffiò la pelle fino a farla sanguinare, lì dove la veste si era sollevata.




La rossa guardò i suoi genitori, adesso svegli e in lacrime. Pianse, cercando disperatamente di liberarsi dalla presa ferrea dei due uomini.
Ibrahim distolse lo sguardo da quelle scena patetica e si girò verso la famiglia. Aiutò la donna gravida a sollevarsi dal suolo e dopo fece la stessa cosa con il pover'uomo. Successivamente buttò su una sedia in legno due sacchetti in monete d’oro; avevano sofferto abbastanza.




Pozhaluysta, pozabot'tes' o moyem rebenke. – Disse la donna, afferrando Ibrahim per il colletto della giacca. Il Gran Visir annuì, non potendo negare una piccola speranza a quei poveri malcapitati.




La donna gli baciò le mani grata della sua misericordia e pianse correndo dal resto delle figlie, uscite dalle catacombe dopo aver sentito la calma e il silenzio, baciandole una da una con egual affetto.
Ibrahim uscì da quella baracca, evitando i corpi senza vita circondati da mosche e si chiuse la porta alle spalle. Osservò la gabbia in cui erano state rinchiuse venti ragazze, venti schiave. Erano tutte molto giovani e di origini russe/ucraine. Avevano tutte capelli scuri ed occhi chiari, tutte tranne lei.
La rossa dalla lunga treccia e la pelle bianca come il latte.
Aveva smesso di piangere e supplicare a differenza delle altre e adesso guardava il cielo e la luna con sguardo assente. Quando si accorse dello sguardo di Ibrahim, i suoi occhi si tinsero di odio.




Il Gran Visir rimase colpito e sorpreso da tutta quella forza d’animo e sapeva, in cuor suo, che ella avrebbe portato problemi.
Dopo averle lanciato un’ultima occhiata di ammonimento, salì sulla sua lussuosa carrozza in direzione Costantinopoli.
Murat e Umut non erano con lui, bensì a capo della gabbia che trasportava le schiave. Quando sarebbero giunti nella capitale le avrebbero vendute al miglior offerente e la più bella sarebbe andata al suo sultano come regalo di compleanno, la più bella oltre Roxelana.
Il loro destino ormai era segnato.






 

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Capitolo 2
*** I (R) ***


I









Ci avrebbero impiegato circa un mese per raggiungere Palazzo Topkapi, sede reale del sultano e della sua corte. Avrebbero avanzato velocemente lungo tutto il territorio russo, evitando eccessive pause, per arrivare al porto di Sochi, dove avrebbero preso una nave che li avrebbe portati a Costantinopoli. Lì, le schiave, avrebbero dovuto sottoporsi al Controllo, impiegato dalla Valide Sultana, madre del sultano, e dal capo degli Eunuchi Neri, così chiamati poiché sottoposti all’evirazione completa.




Ibrahim era deciso a giungere il giorno prima del compleanno del sultano Süleyman, suo grande amico e padrone, per renderli il suo speciale presente. Per questo motivo aveva intenzione di razionare le pause, anche se questo significava doversi torturare per tutto lo scomodo viaggio.


Infatti viaggiavano da due giorni e le gabbie sulle quali le ragazze erano state ammassate, più la lussuosa carrozza di Ibrahim si erano fermati solamente una volta, per consentire a quest'ultimo di fare i suoi bisogni.




Le strade erano pietrose e piene di buche, dentro le quali le ruote in legno delle carrozze faticavano ad uscire. Ogni villaggio di contadini che sorpassavano era più malfamato del precedente e la puzza di sterco di mucca, feci umane e Allah sapeva cos’altro, diventata sempre più insopportabile. Odiava profondamente la Russia e tutta la sua ignorante popolazione di contadini e zoticoni.




Ibrahim Pascià sentiva la testa pesante a causa dei continui e bruschi movimenti della carrozza. Questo era uno dei motivi per cui preferiva viaggiare con il suo fedele destriero nero, Xantos, poiché niente poteva essere comparato al sentimento di libertà del quale il suo corpo veniva pervaso, quando il cavallo si muoveva sulla terra, galoppando veloce come il vento. Poteva sentirsi un dio, padrone del mondo, con l’aria fresca che gli soffiava in volto scompigliandogli i folti capelli neri.


Non ce la faceva più; doveva cambiare aria e far fermare anche le ragazze, che di certo non potevano avere un aspetto malfamato, stanco e puzzolente durante la vendita a Costantinopoli e soprattutto davanti alla madre del sultano.


Diede l’ordine di fermare la carrozza e il cocchiere fece come gli fu ordinato, quando giunsero in prossimità di una locanda costruita in legno.




Il Gran Visir non sprecò la sua attenzione nel leggere il nome che l’insegna riportava, era sicuramente impronunciabile. Conosceva molte lingue, tuttavia il russo non era tra le sue preferite. Il greco era la sua lingua madre a cui era molto legato e affezionato; conosceva perfettamente anche l’albanese, l’italiano e lo slavo oltre al turco e l’arabo.
Era il Gran Visir, doveva essere istruito e saper parlare tutte le lingue per svolgere al meglio il suo lavoro.




Ibrahim si passò una mano fra i capelli neri, spettinandoli dalla loro piega perfetta; scese dalla carrozza e si diresse verso la gabbia arrugginita che conteneva le schiave.
Erano ammucchiate una vicino all’altra mentre cercavano di riscaldarsi mani e piedi. Indossavano semplici vesti leggere, quindi pativano più il freddo di quanto lo sentisse Ibrahim o i due mercenari. Si trovavano d'estate, ma la notte le temperature scendevano incredibilmente.




Si concentrò su Roxelana, che tremante e rannicchiata in se stessa, aveva poggiato il capo sulle ginocchia. Del suo viso poteva solamente ammirare gli occhi azzurri, che la guardavano con la stessa scintilla di odio e vendetta. Per lei, era lui l'unico fautore di tutte le sue disgrazie, colui che le aveva fatto perdere tutto, che l'aveva denazionalizzata. Ibrahim era l'erba cattiva che si vorrebbe estirpare. Non ebbe paura del suo sguardo, ne fu semplicemente divertito, poiché era da troppo tempo che nessuna creatura si azzardava a mostrare i suoi reali sentimenti davanti a lui. Avevano paura, meno di quanto ne avessero del sultano, ma avevano paura del suo potere.




Murat, che portava i segni del suo morso sulla mano, si prendeva gioco di lei schernendola anche con epiteti pesanti. Umut, il più serio fra i due, si limitava a masticare del tabacco vicino ai cavalli neri.




Hadha yakfi, Murat. Tahrir aleabid. — Ordinò con aria grave, allacciandosi i bottoni della giacca porpora e coprendosi il capo con il turbante nero.




Il mercenario fece come gli fu ordinato, aprendo il lucchetto con cui la gabbia era stata serrata. Le schiave, una per volta, scesero dalla loro prigione su ruote. Erano scalze con mani e piedi imprigionati in catene arrugginite e fin troppo strette, che al contatto con la pelle, aveva marchiato i loro polsi a sangue. Erano sporche di polvere e puzzavano di urina e inoltre ci impiegarono un po’ di tempo per riacquistare la posizione eretta, avendo passato fin troppo tempo accovacciate, in un ambiente angusto e nella stessa posizione.
L’ultima a scendere fu la schiava dai capelli rossi, Roxelana.




Ibrahim la osservò. Aveva due profonde e brutte occhiaie che rendevano il suo aspetto stanco, quasi invecchiato nell'arco di due giorni. La treccia si era disfatta e i capelli le scendevano sulla schiena in una cascata di onde color del fuoco. La osservò rabbrividire, quando i suoi piedi neri toccarono il suolo freddo e fangoso, ma alzò comunque le spalle orgogliosa.




—Ascoltatemi bene, schiave. — Comincio Ibrahim, rivolgendosi alle ragazze che si girarono verso di lui, mantenendo lo sguardo basso. Tutte tranne una. — Avete due ore per riposarvi e sistemarvi come meglio potete e credete. Dopodiché passerò nelle vostre camere per scegliere colei la quale sarà il regalo di compleanno di Sultan Süleyman. Sono stato abbastanza chiaro? Non esigo un singolo attimo di ritardo o insubordinazione, altrimenti vi farò fare il resto del tragitto a piedi. —




Le schiave annuirono, sorridenti e grate della bontà del Gran Visir. L’unica che rimase seria e con lo sguardo freddo fu proprio Roxelana.
Ibrahim alzò il sopracciglio, guardandola, ma non le parlò, ci sarebbero state altre occasioni per poter conversare e poterla capire.
La locanda era un posto piccolo e illuminato da candele messe in un lampadario sul soffitto. Non c’era nessuno. I tavoli in legno grigio erano vuoti.
Il locandiere, un uomo sulla cinquantina dalla pancia gonfia come un cocomero, gli venne incontro.




—Buonasera, buon uomo. In cosa posso esservi utile?


—Ho bisogno di tre camere da letto molto grandi in grado di contenere venti schiave. Siete in grado di provvedere alle nostre necessità?—




—Certamente, mio signore. Per noi sarà un onore. —L’uomo si inchinò al suo cospetto, chiamando poi la moglie e la graziosa figlia. — Aneesa, scorta il signore nelle camere che ha richiesto. —




La ragazza, sulla ventina, aveva lunghi capelli biondi e occhi azzurri. La sua veste era fin troppo scollata per una ragazza della sua età. Aneesa sorrise ad Ibrahim, scortandolo al piano di sopra nelle camere.




—Ecco a voi, bell’uomo. Se aveste bisogno di compagnia, non esitate a chiedere. —
Ibrahim la guardò serio. Odiava quando le donne si comportavano da poche di buono.


—I miei uomini sarebbero lieti di potersi svagare con le sue più che accoglienti grazie femminili. Ve li farò mandare senz’altro. —




Ibrahim le diede le spalle, scendendo lentamente le scale. Sorrise, gustando la sua espressione offesa.


*** ***




Le seguenti due ore passarono molto lentamente. Roxelana, assieme a dieci delle sue compagne sventurate, avevano avuto modo di potersi fare un bagno con dell’acqua tiepida. Si erano aiutate a vicenda, massaggiandosi i capelli sporchi e il corpo polveroso. Era stata la prima doccia dopo tanto tempo. Essendo povere, non avevano l'opportunità di sprecare dell'acqua, soprattutto d'inverno.




Ibrahim aveva fatto aver loro dei pasti freddi, patate e un osso con della carne di vitello, per poter riprendere le forze e riempire i loro stomaci. Per lo stesso motivo divorarono tutto in pochi secondi; avevano mai avuto l'opportunità di mangiare della carne? Era raro trovare un pasto così sostanzioso al loro piccolo villaggio.
Se non ci fosse stato il Gran Visir, quei due maiali di Murat e Umut non avrebbero dato loro neanche un goccio d’acqua.




Come se non potesse andare peggio di così, Roxelana apprese che tra le schiave catturate, c’era anche la sua unica amica, Feride.
Le due ragazze erano cresciute insieme, avevano fatto tutto insieme sin da quando ne aveva memoria e Feride avrebbe dovuto sposarsi con il cugino di Roxelana. Si amavano molto e per questo era quella che soffriva di più la prigionia. Murat e Umut l’avevano picchiata selvaggiamente, peggio di quanto avessero fatto con Roxelana. Infatti, mentre la rossa aveva solamente il labbro spaccato, Feride aveva tutta la faccia gonfia e viola. Era quasi irriconoscibile.




Della graziosa ragazza dai corti capelli neri e gli occhi di ghiaccio, non era rimasto nulla. Era solamente un vecchio e sbiadito ricordo nella sua giovane mente.
Le schiave erano sedute in cerchio. Erano pettinate, sazie e ripulite dalla sporcizia. La più grande di esse stava parlando, si chiamava Resmie. Raccontava una favola alle sue compagnie, ed era molto brava e talentuosa; Roxelana e Feride potevano ascoltarla per ore.
Le due ragazze erano sedute una vicina all’altra. Il capo della mora era poggiato sulla spalla della sua amica, che con movimenti lenti e rassicuranti le accarezzava i lucidi capelli neri.
Stavano aspettando l’arrivo di Ibrahim e colei che sarebbe stata scelta, avrebbe continuato il viaggio sulla lussuosa carrozza del Gran Visir.




La porta si spalancò all’improvviso e lui vi fece irruzione, bellissimo nel suo nuovo completo nero. Le schiave si alzarono, mettendosi l’una accanto all’altra con lo sguardo basso e le mani dietro la schiena. Tutte tranne Roxelana, ovviamente. Voleva fargliela vedere, non essere una delle solite pecore che obbedivano agli ordini del padrone; sarebbe stato meglio morire libera che essere rinchiusa in quel maledetto palazzo come schiava.
Lo guardava negli occhi con quella luce seria e pericolosa. Egli la ignorò, squadrando tutte le prigioniere senza tralasciare il minimo particolare.




—Mi auguro che siate tutte illibate. —Disse serio, con la sua voce possente e seducente. — Il grande e magnifico sultano possiede già molte concubine nel suo Harem. Tutte quante sono state scelte per un loro particolare talento, oltre alla loro bellezza particolare. Voi siete qui per il vostro bell’aspetto, ma ditemi, chi di voi è capace di suonare uno strumento? Fatevi avanti. —




Cinque schiave, tra cui Resmie e Feride, si mossero.




—Mh. — Mugugnò, osservandola una per una. — Qualcuna di voi ha qualche altro tipo di talento particolare? —




Nessuna si fece avanti.




—Mio signore… — si intromise Feride. La voce ridotta quasi ad un sussurro. Con il dito tremante dall'emozione e dall'imbarazzo indicò la rossa. — La mia amica sa cantare come un angelo. Io l’ho sentita innumerevoli volte. —




—Roxelana? – Ibrahim sorrise, quasi impercettibilmente. – Perché non ti fai avanti?




—Perché la mia voce non servirà al vostro sultano. Non aspiro ad essere una puttana. – Nella voce di Roxelana regnava il gelo assoluto.




Ibrahim abbassò lo sguardo, sorridendo. Tuttavia in esso non c’era niente di divertito o gioioso.




—Bene, mi dispiace infrangere le tue aspirazioni, ma sarai proprio tu con la tua voce angelica a diventare la prossima puttana del sultano. —


In uno scatto l’afferrò per il braccio, trascinandola giù per le scale, incurante delle sue vane proteste e urla. Quando arrivò in prossimità della carrozza, aprì lo sportello e la spinse dentro, facendola cadere con il sedere per aria.




—Resta qui. Tra due minuti partiremo, rossa. — E così dicendo, sbatté lo sportello andando a prendere le altre prigioniere.




Roxelana urlò, imprecando e insultandolo pesantemente; le sue grida sfioravano l’isteria.
Decisa a non arrendersi così facilmente, aprì lo sportello e quando fu certa di non essere vista da nessuno, cominciò a correre nella direzione verso la quale erano giunti.
Sarebbe ritornata a piedi a casa sua, dalla sua famiglia. Non le importava.
Ogni passo che compiva era un sassolino che si infilava dolorosamente nella nuda carne dei piedi.



Nonostante fosse abbastanza veloce, non riuscì ad andare molto lontano, poiché Ibrahim le si parò davanti, bloccandole la fuga.




—Avevi bisogno di un po’ d’aria, rossa? — Il Gran Visir, in barba a tutte le buone maniere insegnatogli, si buttò su una spalla Roxelana, che cominciò a divincolarsi graffiandogli la nuca e urlando come una forsennata di aiutarla e di salvarla.
Nessuno le diede ascolto, anzi tutti si girarono dall’altra parte.




Ibrahim la buttò di nuovo all’interno della carrozza e si chiuse lo sportello alle spalle. Ordinò al cocchiere di partire e così si rimisero in viaggio.




—Perché proprio a me? Cosa vi ho fatto di male? — Sbottò Roxelana dopo un’ora di viaggio circa. Puntò i suoi occhi azzurri in quelli particolari del suo rapitore, esigendo una risposta.




—E’ per via dei tuoi capelli, Roxelana. I tuoi capelli rossi sono rari. —
Sedevano uno di fronte all’altra, guardandosi con sufficienza.




—Mia madre l’aveva detto che mi avrebbero portato solo problemi ,questi capelli. Gli abitanti del villaggio dicevano che fossi stata maledetta dal Creatore. —




—Dovresti solamente essermi grata, Roxelana. Il mio sultano tratta con dignità le sue concubine. —




—Smettetela! Non è quello il mio nome! Io mi chiamo Aleksandra, come mia nonna prima di me. Questo è il mio nome, non Roxelana. —




—Tu non hai origini. Non hai un nome, se non quello che io ti ho dato. D’ora in poi sarai un oggetto. Sei una proprietà, non un essere umano. Se il sultano ti dirà di saltare, tu lo farai. Se ti dirà di dargli un figlio, tu lo farai e gli darai il suo nome. Se ti dirà di correre nuda per Costantinopoli, tu lo farai e con il sorriso stampato sulle labbra. —




—Siete un uomo spregevole e senza sentimenti. Io vi odio con ogni fibra del mio essere e vi odierò fino al giorno della mia morte! —




—Stupida ragazza, io ho salvato te e la tua famiglia dalla povertà. Vivrai nel lusso adesso! —




—Mi toglierò la vita una volta giunta al palazzo. Non voglio vivere così. —Gli urlò contro con le vene del collo ingrossate dalla rabbia. Diventata tutta a chiazze quando si arrabbiava, pensò Ibrahim. Se prima quel comportamento da ribelle gli piaceva, anzi lo faceva sorridere, adesso stava cominciando a dargli enormemente fastidio. - Non c'è niente di peggio che togliere la libertà ad un essere umano. -




—Non sai quello che dici. — Ibrahim sospirò, scuotendo il capo. Roxelana lo guardò con odio, portandosi le gambe al petto. — Sei ancora così giovane. Avrai modo di capire. —




—Il mio odio nei vostri confronti è reale e non frutto della mia giovane età, Gran Visir, su questo potete starne certo. —

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Capitolo 3
*** II (R) ***


II
Nessun mortale trascorrerà mai
Vita incolume da pene.” (Eschilo.)




L’ennesimo brusco sobbalzo della carrozza fece svegliare Roxelana dal suo incubo. Si era addormentata nel suo angolino, rannicchiata con le gambe al petto e le braccia intorno a esse, rigorosamente lontana da Ibrahim.
La veste leggera si era completamente incollata al corpo per quanto aveva sudato e puzzava in modo incredibile; era stato inutile lavarsi alla locanda. Aveva sete e le labbra erano secche e spaccate. Se non altro, non aveva freddo come probabilmente lo soffrivano le sue compagne, ma questo la fece solo sentire terribilmente in colpa.
Aveva rivissuto la notte del suo rapimento e ogni volta che chiudeva gli occhi era sempre la stessa storia: Murat e Umut che la picchiavano, sua madre e suo padre riversi per terra, la più piccola fra le sue sorelline che piangeva disperata.
E poi c’era Ibrahim. La causa di tutti i suoi mali e sicuramente delle sue future sofferenze. Non la toccava, non la picchiava, ma la guardava. Il suo gelido sguardo più doloroso di mille lame affilate sulla carne, i suoi occhi che la scrutavano come fosse un pezzo di carne da vendere al miglior offerente.
La rabbia si impossessò di nuovo di Roxelana, quando guardò il suo padrone dormire sogni tranquilli. Il capo poggiato all’indietro e una ciocca di capelli nerissimi sugli occhi gli donavano un’aria rilassata e non più così autoritaria; il collo era scoperto e si poteva scorgere il pomo d’Adamo muoversi ogni volta che deglutiva. Le ciglia nere e sembravano talmente lunghe da sfiorargli le guance e le labbra rosse e umide.
Era molto bello, pensò Roxelana, l’uomo più affascinante sul quale i suoi giovani occhi si fossero mai posati. Non avevo l’aspetto di un turco, bensì di un europeo poiché la sua pelle era più chiara. Poteva benissimo essere un principe spagnolo; peccato che i suoi modi lasciassero a desiderare. Era cattivo, perfido e privo di coscienza.
Roxelana avrebbe potuto ucciderlo in quel momento e buttarsi dalla carrozza per avere salva la vita. Bastava solamente che gli circondasse il collo e stringesse la presa, bloccando l’accesso dell’aria.


—Se stai cercando un modo per uccidermi, rossa, puoi anche risparmiartelo. Non riusciresti a muoverti. —


Ibrahim sollevò il capo, osservandola con un sopracciglio alzato. Roxelana lo guardò con odio, mentre le guance le si coloravano di rosso per la rabbia e la stizza.


—Non vorrei sporcarmi le mani con il vostro sangue miserabile. State pur certo che troverò ben altri modi per poter fuggire da voi e dalla vostra crudeltà. —


—E io sarò ben lieto di fermarti ogni volta che cercherai di fuggire, rossa. —


Roxelana si leccò le labbra secche, mentre Ibrahim la osservava. Aveva sete e cercava di nasconderglielo, probabilmente le avrebbe negato anche la più piccola goccia di acqua.


—Bevi. — Le disse duramente, facendola sussultare per il potente timbro della voce. Le porse una borraccia in pelle di cavallo, contenente dell’acqua.


La schiava guardò prima uno, poi l’altra, stupita. Decise di accettare il suo gentile ordine, bevendo avidamente. Il suo sapore era attorno al boccale e più beveva più lo sentiva in bocca e sapeva di fresco, era buono. Alcune goccioline scivolarono lungo la scollatura del vestito e furono un vero sollievo per i sensi.
Un brutto pensiero, però, le passò per la testa. Era come se tecnicamente lo avesse… baciato! Roxelana arrossì e distolse lo sguardo da Ibrahim, porgendogli la brocca.
Il Gran Visir sorrise sarcastico, portandosi il boccale alle labbra e bevendone in due lunghe sorsate. Era così orgogliosa, ma anche innocente sotto molti punti di vista. Era la schiava perfetta per il suo sultano. In realtà aveva due brocche d’acqua, poteva darle quella dalla quale non aveva bevuto, ma sarebbe stato meno divertente.


—Se ti imbarazza bere dal mio stesso boccale, allora cosa farai quando il sultano ti chiederà di… —


—Basta così! — Urlò Roxelana, tappandosi le orecchie con le mani. Era arrossita ancora. —So che cosa mi aspetta. So qual è il compito delle concubine. —


—Sentiamo, allora, qual è il compito delle concubine? — Roxelana lo guardò dritto negli occhi, ma non rispose. — Su, avanti, dammi una risposta. Sono il tuo padrone, devi fare tutto ciò che io ti ordino. Cosa devono fare le concubine? —


—Vi diverte così tanto tormentarmi, non è vero? Non vedete che così mi mettete a disagio?!— Aveva una piccola nota d'isteria nella voce.


— Amo tormentarti come amo il vino, Roxelana. — Ibrahim sorrise, compiaciuto. — Il tuo animo è ribelle. Devi saperti dare una regolata e rispondere a ciò che il tuo padrone ti chiederà. Se non lo farai, potresti essere messa a morte, lapidata o peggio. Il mio caro amico Süleyman sa essere molto fantasioso. —


—Devono… saperlo s-soddisfare a letto. — Balbettò, facendole immaginare una brutta fine con lui in prima fila ad applaudire.


—Non solo a letto, rossa. Devono saperlo deliziare anche in altri ambiti; c'è chi canta, chi suona, chi balla... — Roxelana deglutì, quando Ibrahim le fece cenno di avvicinarsi. — Vieni più vicino. Non ti farò del male, nessuno te ne farà. Ti do la mia parola. Io non picchio le donne. —


La schiava si mosse, avvicinandosi lentamente al Gran Visir. Rimasero pochi centimetri a dividere l’uno dall’altra, tant'è che poteva sentire il fiato dell'uomo sul suo viso.


—Hai mai avuto un uomo al villaggio? Uno che ti corteggiasse o un futuro sposo? —


—No, non ho mai giaciuto con un uomo. Tutti i ragazzi erano spaventati dai miei capelli come il fuoco e non sono mai stata bella come le mie coetanee. Le anziane del paese credevano fossi figlia di Satana. — Ammise, abbassando lo sguardo, ma Ibrahim le afferrò il mento, ripristinando il contatto fisico. Aveva degli occhi così belli, particolari ed espressivi con quel castano affogato nel verde... Perché un carattere tanto orribile?


—Quindi deduco che tu non abbia mai baciato un uomo. — Roxelana deglutì, scuotendo il capo quando Ibrahim sorrise, avvicinandosi lentamente al suo viso. Il profumo del Gran Visir era buono come il suo sapore e sapeva di fresco e lei si vergognò di se stessa poiché puzzava di sudore.
—Non provateci neanche, potrei staccarvi la lingua a morsi. — Sussurrò, quando la carrozza si incastrò in una buca e lei ebbe modo di riprendersi da quello strano stato di trance.


—Come sei aggressiva! — Rise Ibrahim, tirandole una ciocca di capelli verso il basso. Roxelana serrò la mascella, spingendolo via e ritornandosene al suo posto.


Ibrahim, con il sorriso sulle labbra, si abbassò e prese una sacca contenente del cibo vero proveniente dalla locanda; ovviamente lui non mangiava della semplice poltiglia senza sapore. Roxelana lo osservò tirar fuori del pane ancora croccante e del formaggio bianco dall’odore talmente invitante da farle tremare lo stomaco.


—Hai fame? — Le domandò senza guardarla, mentre addentava un pezzo di formaggio. Roxelana scosse la testa, mentendo. — Meglio così. Ce n'è di più per me. —


Masticava lentamente le porzioni di cibo, gustando ogni singola briciola e quando ebbe finito, Ibrahim bevve dell’acqua. Una piccola goccia gli scese lungo il collo intrufolandosi dentro la giacca nera. Roxelana lo osservò attentamente.


Doveva pur fare qualcosa per sopportare le ore interminabili di viaggio!


Tra loro c’era molto differenza, poiché entrambi facevano di tutto pur di non infrangere la linea di confine, persino quando dormivano non si muovevano. Ibrahim, ormai sazio e stanco, sbuffò allentando i bottoni della giacca sotto la quale c’era solamente il petto coperto dalla leggera peluria maschile. Afferrò un libro dalla copertina completamente rossa e consumata e lo aprì. L’interno della carrozza venne riempito dall’odore di carta e inchiostro.


Roxelana si sporse per osservarne l’interno, incuriosita. Aveva sempre avuto una passione segreta per la lettura e le storie inventate dagli scrittori, era affascinata dal potere che gli autori possedevano, poiché potevano essere Dio e decidere sulle vite dei propri personaggi. Sceglievano se farli morire, soffrire, vivere e anche il carattere che dovevano avere. Erano dei maghi, gli scrittori.


Purtroppo al villaggio non aveva avuto modo di coltivare questa sua passione. Suo padre diceva che la lettura era un occupazione pensata solamente per i ricchi e i nobili, i quali avendo già tutto, non dovevano annoiarsi. Lui aveva avuto l'opportunità di poter studiare, apprendere a leggere e scrivere poiché era un vicario di Dio e come tale, doveva interpretare la Sua parola scritta. Roxelana sapeva leggere, era una delle poche al villaggio che poteva vantare questo lusso, grazie a suo padre, che le aveva offerto questa opportunità dopo anni di suppliche. Secondo lui, le donne non dovevano saper leggere o scrivere, non era decoroso e poi a loro era inutile, per crescere i figli non ce n'era bisogno.


Quindi, quando Ibrahim aprì quel libro proprio sotto il suo naso, catturò completamente la sua attenzione. Era scritto in caratteri che non comprendeva , poiché lei sapeva solamente leggere in russo.


—Padrone… — Mormorò a denti stretti. Non sopportava l’idea di chiamarlo a quel modo, ma lui effettivamente era il suo padrone. La realtà alla quale avrebbe dovuto abituarsi era quella.


— Cosa c’è? — Domandò Ibrahim, abbastanza adirato. Non sopportava che qualcuno lo interrompesse dalla lettura probabilmente.


—Posso… Posso sapere cosa state leggendo? — Il Gran Visir alzò il sopracciglio, colpito dalla sua domanda.


—E’ un’opera filosofica. Ti intendi di filosofia? —


Roxelana scosse il capo. Nei suoi occhi verdi c’era una scintilla di interesse che pretendeva di essere soddisfatta e lui decise di infiammarla, sicuramente annoiato.


—L’opera si chiama Simposio. E’ un mito scritto da un famoso filosofo greco: Platone. Parla della nascita di Amore. Platone pensava che fosse figlio di Povertà e Ingegno. Amore è un demone e come tale desidera qualcosa che non ha, ma di cui ha disperatamente bisogno. L’Amore, per il filosofo, è mancanza… — Tacque, fissando il vuoto per qualche secondo, pensieroso e in un altro mondo. — Sei d’accordo con questa affermazione? —


— Ho ancora sedici anni, come posso sapere cosa sia l’amore? E grazie a voi, uomo spregevole, non l’ho scoprirò mai! —


Tutta la rabbia che sembrava essersi placata all’improvviso, riemerse . Roxelana si ritirò di nuovo nel suo angolino, nascondendo il capo fra le braccia. Lasciò che le lacrime che per troppo tempo aveva tenuto nascoste, le bagnassero la veste. Ma, nonostante ciò, cercò di non farsi udire da Ibrahim.


—Ti renderai conto, con il passare del tempo, che non esiste il vero amore. Gli esseri umani sono troppo egoisti per riuscire ad amare qualcuno incondizionatamente come spesso i miti e i libri narrano. E quando succede, quando un essere umano riesce ad amare in modo incondizionato, non è corrisposto oppure semplicemente non può star assieme alla persona amata. E’ per questo che Allah concede il dono della scrittura e della musica agli umani, per farli immaginare e sognare. La speranza e il potere sono ciò che muove il mondo. —


—Io riuscirò a trovare la mia felicità, anche se voi me l’avete rubata, io ci riuscirò. —


—Tu sei stata maledetta, Roxelana. Non esiste gioia per te, solo dolore. Non esiste felicità per nessuno di noi. —


La carrozza si fermò all’improvviso. Lo sportello venne aperto e un uomo dalla pelle pallida come la morte puntò gli occhi su Roxelana e con un veloce scatto l’afferrò per i capelli, facendola cadere al suolo.




 

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Capitolo 4
*** III (R) ***


III


— Tu sei stata maledetta, Roxelana. Non esiste gioia per te, solo dolore. —


La carrozza si fermò all’improvviso: lo sportello venne aperto e un uomo dalla pelle pallida come la morte, puntò gli occhi contro Roxelana e con un veloce scatto l’afferrò per i capelli, facendola cadere al suolo. La tirò, incurante delle grida di protesta.
Russi, briganti russi. I razboynik erano famosi in tutto il territorio poiché, proprio come Murat e Umut, andavano alla ricerca di schiavi da poter vendere a ricchi califfi e saccheggiavano carrozze per rubare oggetti preziosi con i quali potersi arricchire. Seminavano morte e distruzione fra i villaggi, stuprando e picchiando senza pietà tutte le donne che non catturavano, per puro divertimento.
Avevano appena sorpassato un villaggio in fiamme quando i briganti russi avevano teso loro un’imboscata. Nikolay, uno degli innumerevoli capi, non voleva lasciarsi scappare la succulenta occasione di catturare altre giovani schiave e far sgorgare del sangue non russo.
L’uomo dalla pelle pallida stava trascinando Roxelana per i capelli, la quale urlava come una forsennata, graffiava e alle volte pizzicava la mano del suo rapitore, nella disperata ricerca della salvezza.
Il Gran Visir era stato trascinato fuori dalla carrozza e adesso stava lottando contro due briganti dalla pelle sfigurata dal fuoco. Murat e Umut avevano tirato le sciabole dai loro pantaloni leggeri e stavano combattendo, menando fendenti a destra e a manca.


— Ibrahim! Ibrahim! Gran Visir, padrone, vi prego salvatemi! —


— Il tuo padrone è morto. Lascia che ti consoli io adesso. —
Il brigante rise, afferrandole la testa con entrambe le mani e sbattendogliela su un masso con violenza. Roxelana sentì un tonfo sordo e un dolore lancinante cominciò a propagarsi per tutto il capo, mentre del liquido caldo e denso fuoriusciva lentamente, quasi in modo pigro, sporcandole i capelli e le spalle.
Tutto quello che la circondava rallentò: l'uomo dalla pelle pallida rise, guardando la sua espressione confusa e attontita. Roxelana cercava di alzarsi, ma non ci riusciva, poiché la botta ricevuta era stata troppo dolorosa e il sangue che continuava a fuoriuscire dalla ferita la indeboliva.


— Roxelana! —


La voce di Ibrahim la destò da quello stato di intorpidimento in cui era caduta. Riuscì a rimettersi seduta e strisciare, poco alla volta, lontano dal suo assalitore, lasciando dietro di se una scia di sangue caldo, mentre il brigante la seguiva divertito.
— Roxelana! —


— Ibrahim! Sono qui! — Urlò Roxelana, cercando di rialzarsi per poter fuggire. Se proprio doveva scegliere tra quel brigante e il Gran Visir, avrebbe scelto il secondo.


Si trovavano in una distesa immensa di pianura. L’erba verde e rigogliosa era l’unica cosa che poteva scorgersi per chilometri, il sole splendeva indisturbato in cielo accompagnato ogni tanto da qualche nuvola bianca.
Intorno a loro imperava la battaglia. C’era puzza di fumo; i razboynik avevano dato fuoco alla carrozza, ai cavalli che la trainavano e al cocchiere che li guidava. Quando Roxelana respirava lo sentiva entrarle nel petto e causarle dei conati di vomito, gli occhi le lacrimavano sia per la botta ricevuta che per il bruciare del legno. Non erano molti i briganti, ma oggettivamente molto più di loro e soprattutto erano armati. Alcune schiave erano riuscite ad afferrare alcune armi da quelli che Murat, Umut e Ibrahim avevano ucciso e adesso stavano lottando per salvarsi la vita; tra queste c’erano Resmie e Feride. Altre erano state catturate, picchiate violentemente e poi uccise, altre stuprate. Murat e Umut facevano il possibile per difendere il loro bottino, ma non avrebbero retto a lungo.
Dovevano fuggire e andare al sicuro oppure sarebbero morti.
L’uomo dalla pelle pallida le si stava avvicinando molto lentamente. Aveva una strana espressione stampata in volto come se stesse pregustando quello che di lì a poco le avrebbe fatto.
All’improvviso comparve Ibrahim, spada serrata nella mano destra e sangue sul viso. Era furioso e con quel liquido vitale che gli sporcava il viso, sembrava un demone.


— Scontratevi con uno alla vostra altezza, bastardo! — Vociò il Gran Visir, piombando sull’uomo che ghignò e parò abbastanza abilmente il colpo di sciabola del suo avversario.
— Cosa avete, Gran Visir, pensavate veramente di poter portare via delle donne russe senza il permesso di Nikolay? —


Roxelana, ancora in piedi e dolorante, si portò la mano alla testa, piombando seduta al suolo. I suoi occhi faticavano a rimanere aperti, stava morendo dissanguata molto probabilmente. Questo movimento bastò per distrarre Ibrahim, che non riuscì a schivare in tempo il fendente del suo avversario, infatti l'uomo dalla pelle pallida lo ferì ad un braccio e del sangue cominciò a fuoriuscire, imbrattandogli la manica della giacca.


— Ibrahim, aiutami… — Sussurrò la rossa, cadendo di lato. Guardava i due uomini combattere di traverso. Strinse qualche ciuffo di erba tra le dita, deglutendo. Là dove il brigante l’aveva ferita, pulsava dolorosamente. Roxelana tremava, sentiva freddo. Era come se qualcuno l’avesse messa in un letto fatto di gelida neve.


Ibrahim imprecò, scattando in avanti con un veloce gesto di sciabola, ferì sul viso l’uomo che urlò e cadde in ginocchio portandosi le mani alla faccia, le quali si imbrattarono di copioso sangue. L’uomo lo maledisse in russo, mentre Ibrahim si preparava per dargli il colpo di grazia.


— Che l’inferno abbia pietà della vostra miserabile anima. —
***


Ibrahim con un veloce colpo di arma gli staccò la testa dal collo, la sua sciabola affilata tagliò carne, ossa e capillari. Il corpo dell’uomo cadde in un tonfo per terra, mentre il sangue schizzava ad intermittenza in tutte le direzioni e la testa rotolava a pochi metri di distanza dal corpo immobile e rannicchiato della rossa.
Il Gran Visir afferrò la spada dal cadavere, per poi correre da Roxelana, la quale aveva chiuso gli occhi. Notò con orrore che era interamente coperta di sangue. Il suo viso era pallido come quello dei morti e la pelle fredda come il ghiaccio. Nonostante ciò era viva poiché il suo petto si abbassava e sollevava quasi impercettibilmente.


— Grazie, Allah. — Ibrahim tirò un sospiro di sollievo, abbandonando le armi al suo fianco per occuparsi della ferita di Roxelana. Il brigante l’aveva ferita sul capo nel quale c’era un profondo taglio che aveva smesso di sanguinare fortunatamente. Con mani ferme e sicure afferrò una porzione di vestito della ragazza, stracciandolo con forza e lasciandole scoperte gran parte delle gambe lattiginose e gelide e successivamente avvolse con cura e delicatezza lo straccio intorno al suo capo insanguinato. Infine la scosse, cercando di farla rinvenire.


— Roxelana… —La chiamò a gran voce, scuotendola per una spalla. Continuò in quel modo altre due volte, ma non c’era niente da fare. Roxelana non si svegliava; i suoi occhi azzurri rimanevano sempre serrati. Ibrahim era pronto a tutto pur di riaverla, ma dovevano fuggire da lì poiché presto sarebbero arrivati altri briganti e lui non poteva proteggere se stesso e la sua schiava. Non si sarebbe mai sognato di lasciarla lì e ritornare a mani vuote a palazzo Topkapi, non dopo tutta la fatica fatta per trovarla e soprattutto non dopo che si era ripromesso di non lasciare che qualcosa del genere accadesse di nuovo. Non poteva permetterlo. — Roxelana, ti prego, svegliati! —


Si sedette per terra, afferrando il suo corpo magro, quasi scheletrico, fra le braccia. Le afferrò il viso con una mano, muovendole il capo a destra e sinistra, in qualche modo l’avrebbe svegliata.
Ricordi e sprazzi di realtà passate cominciarono ad alternarsi nella sua mente, confondendolo. Si trovava in altre terre più belle e ricche di arte di quella e fra le sue braccia c’era un’altra donna, non una schiava. Non respirava più, era morta. Ma Ibrahim continuava a tenerla fra le braccia, scuotendola e invocando il suo nome a Dio, Allah, gli dèi o a chi per loro. Scongiurava che non gliela portassero via, giurava che sarebbe stato un uomo migliore, ma lei se n’era andata e nessuno l’avrebbe riportata indietro.
Non poteva permettere che succedesse lo stesso con Roxelana.


— Aleksandra! — La chiamò con il suo vero nome questa volta, scuotendola ancora più forte di prima. Sembrava una piccola bambola di pezza dai capelli di fuoco fra le sue mani.


Roxelana si mosse lentamente. Un piccolo lamento le uscì dalle labbra, diventate quasi blu e secche, le lentiggini spruzzate sul naso sembrarono riprendere vita assieme al resto del suo corpo e i suoi occhi si aprirono lentamente, rivelando un paio di occhi azzurro cielo che adesso sembravano più scuri della loro normale tonalità. Ibrahim, che aveva perso quasi tutti i colori dal viso, sembrò riacquistarli assieme a lei.


—Perché state urlando così, Gran Visir? Non sono morta, devo ancora rendervi la vita impossibile. — Borbottò Roxelana con voce impastata e roca, cercando di alzarsi molto lentamente.


—Era meglio quando te ne stavi svenuta, sai? — Le disse, trattenendo un sorriso. Roxelana storse il viso in una smorfia buffa, cercando di reprimere il suo.


Quando si rese conto di come le braccia di Ibrahim la stessero stringendo e del fatto che gran parte delle sue cosce fossero scoperte, arrossì. L’aiutò a rimettersi in piedi, afferrandola, quando un forte giramento di testa le fece perdere l’equilibrio.


— Dobbiamo andarcene di qui. Non è sicuro. — I razboynik se n’erano andati. Della battaglia che si era combattuta erano rimasti solamente il fumo della carrozza e i cadaveri insanguinati. Roxelana e Ibrahim si trovavano a qualche trentina di metri lontano dai veicoli in fiamme. — Riesci a camminare? —


— No, mi sento debole. Ma ce la posso fare, credo di potervi tenere il passo. —


— Non posso aspettare. E’ pericoloso. — Ibrahim si piegò, afferrando Roxelana per il retro delle ginocchia e le spalle.


— Mettetemi giù! Vi sembra il modo di comportarvi?! —


— Sta’ zitta, Roxelana, per una buona volta fai quello che ti di dice, dannazione! —


In pochi minuti raggiunsero il luogo del combattimento. C’era sangue e morte ovunque. L’erba era diventata quasi completamente rossa. Arti di uomini e schiave erano sparsi ovunque. I cadaveri carbonizzati del cocchiere e dei cavalli giacevano immobili vicino alla carrozza fumante. Poco più dietro c’era la prigione su ruote che trasportava le schiave. Era vuota ma carbonizzata. Murat e Umut giacevano morti per terra, entrambi sgozzati e senza arti; gli occhi ancora spalancati, ma vacui, dentro di loro non c'era più un'anima. C’erano inoltre circa sei corpi di briganti insanguinati e anch’essi senza vita e infine le schiave… Fra di loro c’era Resmie e altre sette ragazze di cui non ricordava il nome. Il bel viso di Resmie era completamente insanguinato e gonfio. L’avevano picchiata fino alla morte. Altre schiave erano state stuprate, altre mutilate senza pietà. In tutti casi sui loro visi non regnava la pace eterna, ma la sofferenza. Alcune avevano ancora gli occhi aperti e le bocche spalancate in una espressione di terrore.
Erano nate, vissute e morte nella sofferenza. Era quello il suo destino? Sarebbe morta anche lei in modi così atroci, senza pietà e tra la sofferenza?
Lacrime silenziose le rigarono le guance. Tutto quello era troppo per il suo cervello. Dimenticandosi dove fosse e con chi, poggiò il capo sulla spalla di Ibrahim e lasciò che alcuni singhiozzi la scuotessero. Roxelana sperò che a Feride fosse capitato un destino migliore delle altre.
Il Gran Visir la ignorò, lasciandole il suo spazio. Nonostante non le conoscesse e non le importasse di che fine avrebbero fatto, gli dispiacque. Nessuno meritava di fare una fine del genere. Erano tutte molto giovani.
Per loro fortuna un cavallo non era riuscito a scappare ed era ancora vivo e abbastanza in salute. Ibrahim poggiò la ragazza al suolo per preparare il cavallo e assicurarsi che fosse in grado di trasportarli, cosa che effettivamente era. Si issò sul dorso dell’animale e porse una mano a Roxelana che con gli occhi gonfi e rossi dal pianto, la accettò. Si sedette dietro di lui, non sapendo bene dove mettere le mani.
Padrone e schiava partirono al galoppo veloci come il vento, lasciandosi la morte alle spalle.
Il sultano li aspettava e chissà cosa avrebbe riservato il futuro per Roxelana.

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Capitolo 5
*** IV ***



Palazzo Topkapi, tre mesi prima…
La camera del vecchio sultano era buia. Le pesanti tende scure impedivano alla luce solare di illuminare l’ambiente.
Selim I era sdraiato sul suo letto regale, realizzato in legno pregiato con coperte di seta della miglior qualità indiane.  Nell’aria persisteva l’odore di incenso e acqua di rose che alcune concubine del vecchio sultano avevano versato qualche ora prima.
Il sultano era malato e stava morendo, lacerato dal morbo che si mangiava, come un cane affamato, i suoi organi, annerendoli poco alla volta.
Selim I aveva una lunga barba bianca che gli addolciva i lineamenti, marcati da rughe e dalle decisioni difficoltose. La sua testa era come una palla lucida, senza capelli. I suoi occhi piccoli e rossi per lo sforzo di tenerli aperti.
Seduti al suo capezzale c’erano la moglie, vecchia anch’ella ma in salute, l’erede al trono, Selim II e la figlia minore.
La sultana teneva la mano del marito, accarezzandola con il pollice per cercare di infondere a lui e a se stessa il coraggio che li avevano sempre contraddistinti. Nonostante il suo cercare di sembrare forte, copiose lacrime le rigavano le guance.
Un tempo era stata la più bella donna del regno. Alta con capelli scurissimi e riccissimi e due occhi grandi come la luna e neri come la notte.  Adesso della donna che era un tempo, era rimasto ben poco. La bellezza con il passare degli anni era sfiorita, lasciando il posto ad una vecchia signora dai lineamenti dolci. Le palpebre si erano appesantite e la schiena aveva cominciato ad incurvarsi. Dei suoi meravigliosi capelli era rimasto solamente un cespuglio indistinto e grigiastro.
-Oh, Selim, mio sultano. – La sultana si chinò, baciandogli la mano rugosa e fredda. Due lacrime bagnarono la sua pelle, lacrime di vero e puro dolore. Non era stato un matrimonio tutto rose e fiori il loro, tuttavia si erano amati molto i primi anni, quasi in modo incondizionato. Purtroppo l’amore era terminato e al suo posto era subentrata una profonda amicizia.
-E’ stata una lunga vita, ask. Non piangere per me, io ormai andrò tra le braccia di Allah e da lì ti aspetterò. Resteremo per sempre insieme. Non ho mai smesso di amarti e di guardarti con gli occhi di un ventenne. Ti aspetterò benim sultana e quando sarai ritornata da me, vivremo fra le stelle e le nostre voci si confonderanno nell’ululato del vento. Saremo liberi come non abbiamo mai potuto esserlo.
-Sei sempre stato un romanticone.- La sultana rise, chinandosi verso il marito e baciandolo sulle labbra. Selim I sorrise, beato e felice.
-Avrei dovuto esserlo di più con te. Vieni più vicina, kiz. – Disse il sultano, girandosi verso la piccola figliola di sedici anni, la quale singhiozzava nascosta nel velo del suo vestito azzurro.
-Baba, ti prego con mi lasciare, sono ancora troppo giovane per poterti dire addio.
-E’ il volere di Allah. Il Creatore ha deciso che il mio tempo sulla terra è finito e io, povero ed umile uomo, non sono nessuno per contestare il suo volere. Tuo fratello maggiore, Selim, ti farà da padre e da sultano. Sarà lui a guidarvi adesso e dovrai obbedirgli. Vieni qui, figliolo. Voglio vedere le mie tre meraviglie mentre la mia anima lascia questo corpo.
Selim II, bellissimo come lo erano un tempo i suoi genitori, si fece avanti. Aveva capelli scurissimi che gli arrivavano fin sotto le orecchie, ma morbidi come la miglior seta. Una leggera barbetta gli incorniciava il volto, rendendolo maturo. I suoi occhi erano scuri come la notte e le labbra sottili. Era molto alto e possente, la sua pelle dorata, baciata dal sole. Indossava un paio di pantaloni leggeri e maglietta ugualmente sottile e nera. Il copricapo era anch’esso a righe.
Il principe si sedette al fianco dei familiari, prendendo la mano del padre, baciandola e poi poggiandovi la fronte sopra, come d’usanza.
-Baba, non vi affaticate troppo. Riposate, vi rimetterete presto.
-Oh, figliolo… La tua speranza mi commuove, ma come ho già detto a tua sorella, il mio tempo è finito. Queste sono le mie ultime volontà, ti prego di ascoltarle.
-Qualunque cosa, baba.
-Sii un buon regnante e fa in modo che il mio regno e quello dei tuoi antenati non sia andato perso. Deve essere sempre forte e prospero sia di eredi che di funzionalità. Regna con fermezza e cerca di accontentare i tuoi sudditi, ricorda che senza di loro non sei niente. Sposati quante volte Allah ti concede, assicurandoti una buona linea di successione. Nessuno dovrà metterti i piedi in testa. Prenditi cura di tua sorella, assicurandole un buon matrimonio, e ti tua madre.
-La settimana prossima Mustafà compierà tre anni, baba, vostro nipote vuole che voi siate presente il giorno del suo compleanno.
Sul viso del sultano si dipinse un sorriso felice, di chi è in pace con se stesso e con gli altri.
-Allah protegga quel bambino! Ho un’ultima volontà, Selim. Il tuo amico Ibrahim Pascià possiede intelletto ed ingegno, ascolta sempre ciò che egli ti consiglia. Sarebbe il candidato perfetto come Gran Visir. Pensaci, va bene?
-Lo farò, baba, lo farò.
Il vecchio sultano annuì, congedando i figli dopo averli baciati per l’ultima volta. Selim I e la sultana rimasero da soli, uno al fianco dell’altra, guardandosi negli occhi e scambiandosi qualche piccolo bacio affettuoso. Un’ora più tardi Selim I avrebbe tirato il suo ultimo sospiro di vita.
*** ***
La notte era calata all’improvviso sul territorio russo. Luna e stelle erano state coperte da nubi scure e l’aria era gremita di elettricità e vento gelido.
Il cavallo galoppava senza sosta da molte ore ormai, spronato dall’insistenza di Ibrahim. Nitriva e rallentava protestando ogni qualvolta il Gran Visir lo colpiva.
Roxelana cercava di non aggrapparsi e toccare troppe volte il suo padrone, tenendosi a debita distanza. Le facevano male le cosce e il sedere per colpa del dorso del cavallo e le interminabili ore di viaggio. Il vento gelido, inoltre, non era d’aiuto, poiché era ricoperta di sangue, era mezzanuda e debole.
Ibrahim l’aveva ignorata per tutto il tragitto senza mai girarsi dietro di sé. Guardava dritto, impassibile.
Adesso stavano cavalcando in una foresta buia e incredibilmente inquietante. Alberi alti metri non permettevano a nessun piccolo e debole raggio di luce lunare di entrare per illuminar loro la via. Erano come guardie massicce dall’armatura nera, pronti a uccidere chiunque con le loro armi letali e affilate.
I gufi e gli animali notturni guardavano quei due umani con distacco, li guardavano cavalcare verso l’ignoto e il buio, in silenzio tombale. Senza una direzione o una meta precisa.
Dove erano finiti? Dove si stavano dirigendo?
L’ignoto ha sempre terrorizzato l’essere umano e in quel momento Roxelana aveva paura. Era spaventata da tutto quello che sarebbe potuto accadere e ogni volta che provava a chiudere gli occhi, rivedeva i volti morti, vacui, privi di vita delle sue compagne schiave. Avrebbe voluto imparare i loro nomi per rivolgere una preghiera al Creatore. Adesso che erano in un posto senza sofferenza, avrebbe dovuto prendersi cura di loro.
-Siamo quasi arrivati. – La voce possente di Ibrahim la fece sobbalzare. Per un attimo aveva dimenticato la sua presenza.
-Dove siamo?
-In una città portuale molto particolare. Avremmo dovuto prendere la nave fra qualche giorno per giungere Costantinopoli. Tuttavia, per come si sono evolute le cose, salperemo domani all’alba.
Un ennesimo ordine a cui Roxelana avrebbe dovuto obbedire. Se non altro, a Costantinopoli non avrebbe avuto a che fare con il Gran Visir. Ma chi le assicurava che il sultano sarebbe stato più gentile di Ibrahim Pascià? Magari era un uomo brutto, sdentato e vecchio. Un tirano della peggior specie…
Finalmente gli alberi cominciarono a diradarsi poco alla volta, lasciando il posto alla civiltà e alla luce delle case e delle locande.
Il Gran Visir fece fermare il cavallo, che sbuffando sfinito, obbedì immediatamente agli ordini.
-Proseguiamo a piedi da qui. Non diamo nell’occhio.
-Siamo sporchi di sangue e io sembro una poco di buono con quest’abito stracciato. Come volete non dare nell’occhio?
Roxelana guardò Ibrahim, che ricambiò il suo sguardo con espressione visibilmente scocciata. Il suo viso era ancora ricoperto di sangue, ormai secco. I capelli, sparati in tutte le direzioni e disordinati. La barba nera più folta di quanto ricordasse.
Il Gran Visir si guardò intorno, passandosi una mano fra i capelli.
Si trovavano sul confine tra città e foresta e per il momento non li aveva notati nessuno. Il cavallo stava masticando dell’erba vicino ad un barile d’acqua tiepida, il quale era posizionato vicino ad una abitazione malridotta da intemperie. Abiti femminili e maschili erano stati appesi su di un filo spesso per venire asciugati.
-Vieni. – Ibrahim prese rudemente la schiava rossa per un braccio, trascinandola verso la casa.  Si guardò intorno prima di afferrare un vestito lungo rosso e femminile e buttarlo addosso alla ragazza. – Questo è un cambio, quello lì è un barile con dell’acqua. Lavati e cambiati velocemente prima che qualcuno si accorga di noi due.
-Non posso spogliarmi qui davanti a voi!
-Allora guarda come faccio io e imitami, rossa!
Ibrahim, spazientito, si tolse la giacca costosa ma sporca di sangue suo e dei briganti, buttandola in un angolo al suolo. Al di sotto di essa indossava una camicia nera, che cominciò a sbottonare velocemente. Dai movimenti e dall’espressione del suo viso, Roxelana dedusse che fosse arrabbiato, furioso.
Prima che si togliesse definitivamente la camicia e notasse qualcosa che non aveva il diritto di notare, si diresse verso il barile, infilando la testa dentro di esso e strofinando velocemente collo e capelli. Quando ebbe finito di lavarsi, Roxelana intrecciò i suoi capelli in una treccia e cominciò a spogliarsi velocemente per indossare il vestito. Era rosso, decorato con fili d’oro. Non lasciava molto spazio all’immaginazione poiché si aderiva perfettamente al suo corpo e la scollatura era molto profonda.
Ibrahim, che aveva finito di prepararsi già da un pezzo, si girò per guardarla con la punta dell’occhio e trattenne a stento una risata, osservando la sua espressione sdegnata.
-Non mi guardate così! Che genere di donna indosserebbe questo abito?
-Le puttane, rossa. Questa città è piena di bordelli e di marinai bisognosi di potersi sfogare con qualcuno.
-Quindi mi state dicendo che io…
-Sei vestita da puttana, Roxelana. E devo dire che quest’abito ti stia particolarmente bene. – Ibrahim rise, portando il capo all’indietro. Poi l’afferrò di nuovo per l’avambraccio, tirandola molto rudemente verso le strade che poco alla volta cominciavano a diventare rumorose e popolate.
Le lanterne dalla luce gialla illuminavano le strade fatte di pietra lucida e incastonata. Le abitazioni erano tutte quante vecchie e fatte di legno e a malapena si reggevano in piedi. Ogni due locande c’erano bordelli con prostitute che invitavano ogni genere di uomo, dal più giovane al più vecchio, ad entrare. I marinai, ubriachi marci, ridevano sguaiatamente palpeggiando bottiglie e seni di prostitute senza distinzione.
-Allah, che vergogna! E voi mi avreste paragonato a soggetti simili? Siete veramente crudele!
Ibrahim sorrise, afferrando la rossa per la vita e tirandosela vicina. Roxelana squittì con le guance in fiamme, quando la grande, fredda e callosa mano del Gran Visir si appoggiò sul suo ventre, accarezzandolo lentamente.
-Quanto sei brava a recitare, rossa? Da quello che vedo arrossisci per qualsiasi cosa. Faresti meglio a comportarti come queste gentili signore stanno facendo con questi gentiluomini.
-Smettetela di toccarmi così. Mi mettete  in imbarazzo! –Ibrahim rise a gran voce, come se Roxelana avesse fatto la battuta più divertente esistente al mondo. La tirò più vicino a sé, portando le sue labbra all’altezza dell’orecchio destro e dicendole: - Qui è pieno di briganti al servizio di Nikolay. Se non vuoi farci riportare e sgozzare da quegli animali, comportati come queste puttane!
Roxelana sbuffò, guardandosi intorno. C’era una donna completamente nuda che prendeva per mano due uomini, tirandoli all’interno del bordello, incurante della sua nudità.
-Sai, potresti fare lo stesso. Sono un sempre un uomo… - Roxelana lo incenerì con lo sguardo e Ibrahim rise, adorando il suo rossore dovuto all’imbarazzo. – Non importa, siamo comunque arrivati.
Svoltarono l’angolo, insinuandosi in uno stretto e breve vicolo buio. Giunsero sul porto, gremito di navi deserte e ancorate ad esso. C’erano solamente due figure, vestite in pelle nera, che animavano focosamente su qualcosa. Sembravano due marinai da lontano e dal modo rude in cui si esprimevano.
-Quei due non cambieranno mai. – Ibrahim sospirò, lasciando la presa su Roxelana e dirigendosi verso le due figure. La ragazza ebbe freddo quando il Gran Visir si allontanò così velocemente e non seppe spiegarsi il motivo… Si era quasi abituata alle sue carezze. Sgranò gli occhi, scuotendo il capo. Era la stanchezza a parlare, non lei.
-Ibrahim! Non ti aspettavamo prima di due giorni, cosa è successo? – Una delle due figure rivelò il suo aspetto. Era una donna dai lunghi capelli chiari. Roxelana riuscì a distinguere solamente quel particolare dal buio della notte.
- Sono stati i briganti. Da quello che vedo tu e mio fratello litigate sempre come due infanti!
-Be’, fratello caro, il lupo perde il vizio ma non il pelo. Sei tutto integro? – Dalla voce dell’uomo traspariva tutta la preoccupazione che un familiare può provare per un altro. Roxelana sentì una fitta allo stomaco, ricordando i suoi genitori e le sue sorelle minori. La vista le si oscurò all’improvviso e la schiava dai capelli rossi cadde al suolo rumorosamente.

 
A.N//
Buonasera a tutti!
Mi scuso con l’enorme ritardo con cui sto pubblicando, ma purtroppo ho fratturato il dito, giocando a pallavolo e sono anche andata in gita una settimana in Sicilia! Meravigliosa quella regione, se dovete fare un viaggio in futuro, puntate sulla Sicilia!
Ad ogni modo con la stecca ad un dito è stato impossibile mettermi al computer e scrivere il capitolo, quindi mi scuso enormemente!
Abbiamo avuto modo di notare conoscere, anche se solo di vista il sultano Selim II e Ibrahim e Roxelana sono quasi giunti a Costantinopoli, manca veramente poco! Se tutto va bene, nel prossimo capitolo il sultano e Roxelana dovrebbero conoscerci.
Se il capitolo è stato di vostro gradimento, vi prego di lasciarmi un commento, anche se non lo è stato. Complimenti e critiche servono per farmi crescere! L’importante è essere educati.
Mi scuso per ogni eventuale errore,
al prossimo capitolo xx
ps. trovate il book trailer della storia su YouTube. Basta inserire sulla barra di ricerca il titolo della storia e vi uscirà immediatamente!

 

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Capitolo 6
*** V ***


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Ibrahim udì un tonfo sordo alle sue spalle e, girandosi, notò Roxelana stesa al suolo. La pelle pallida, più di quanto lo fosse normalmente, le occhiaie nere e ciocche di capelli rossi sfuggite dall'acconciatura , che facevano da contrasto con il candore della sua pelle.
- Non sapevo che le donzelle ti cadessero letteralmente ai piedi, caro fratello. - Ibrahim ignorò il commento sarcastico del fratello maggiore, chinandosi verso la ragazza dormiente.
L'avrebbe lasciata riposare, almeno non l'avrebbe disturbato durante il tragitto con le sue domande fastidiose e le continue occhiatacce. Ne aveva abbastanza di lei e non vedeva l'ora di giungere a Costantinopoli per non dovervi avere più niente a che fare.
- Strano acquisto per uno come te, Ibrahim. - La donna bionda sorrise, chinandosi a sua volta per osservare la strana rossa. Afferrò una ciocca di capelli color del fuoco, osservandola da vicino.
I suoi occhi si chiusero all'improvviso e il suo corpo minuto venne colto da violenti e veloci spasmi che la scuotevano tutta come se fosse un pesce fuor d'acqua. Il colore castano delle sue pupille venne sostituito dal bianco e il suo sguardo assunse un'espressione inanimata, quasi demoniaca.
Quando smise di contorcersi al suolo, urlò fino a perdere la voce.
Il capitano Drake, fratello di Ibrahim, corse verso la donna che di nome faceva Fiammetta, prendendola delicatamente fra le braccia e poggiando il suo capo sulle sue ginocchia.
- Quella ragazza sarà la tua rovina, Ibrahim.-
- Perché? Che cosa hai appena visto nella tua visione?-
Fiammetta si sedette, deglutendo a fatica. Aveva la gola secca, sembrava carta vetrata.  Osservò il suo vecchio amico d'infanzia e ancora una volta si ritrovò a pensare che fosse quasi impossibile avere un simile autocontrollo. Come faceva ad avere quella espressione impassibile, quasi scavata nella pietra? Era forse per quello che era divenuto il Gran Visir del sultano?
- La tua morte. - Ibrahim fissò il viso della ragazza e i suoi capelli rossi, scuotendo il capo.
- Il destino non è ancora stato scritto. Una visione non può svelarmi per opera di chi e quando perirò.-
-Non sottovalutare il mio dono, Gran Visir, sai benissimo di cosa sono capace. Rare, sono state le volte in cui mi sono sbagliata. Ho visto la tua vita cambiare radicalmente per opera sua e venire stravolta. Impazzirai Ibrahim Pascià e la causa sarà questa ragazza. Dovresti lasciarla qui e andartene via, ma so benissimo che il tuo onore non te lo permetterà.-
- Non ho paura delle tue parole, cara Fiammetta. Rispetto ciò che Allah ti ha donato, ma non mi interessa ciò che mi mostrano le tue visioni. Il destino non è ancora stato scritto e la partita è ancora all'inizio. - Ibrahim scostò i capelli rossi della ragazza dal suo viso e successivamente la sollevò da terra, prendendola fra le sue forti braccia. Roxelana mugugnò qualcosa di incomprensibile in russo e poggiò la testa sul capo del suo padrone, assumendo un'espressione beata.
Suo fratello fece lo stesso con Fiammetta, guardandola come la guardava raramente. L'amore puro e vero nella sua più semplice forma, regnava nei suoi occhi azzurri.
- Sto bene, Drake. - Fiammetta sorrise, baciandolo su di una guancia.
-Fratello, sarebbe ora che io e la mia schiava ci ritirassimo nella tua nave, se possibile.-
Drake lo guardò e rise, scuotendo il capo, poi disse: - Sai, in questo momento tu sei l'unico schiavo che i miei occhi vedono.-
 
*** ***
Il viaggio sulla nave pirata, perché effettivamente di quello si trattava, sarebbe durato poche ore. Sarebbero partiti all'alba o poco prima e avrebbero attraversato il mare per giungere direttamente al porto di Costantinopoli.
- Ibrahim, tu e la tua schiava potete avere la mia cabina. Considerati onorato, in pochi hanno avuto il privilegio di riposarvi. - Drake lo fissò con i suoi bei occhi blu. Fiammetta era al suo fianco; si era ripresa, ma il suo colorito era ancora molto pallido.
- Riposati, fratello. Hai una faccia orribile e per quanto tu stia cercando di negare l'evidenza, ricorda che abbiamo condiviso il grembo materno. Ti conosco. Anzi, ti conosciamo. -  Aggiunse poi, voltandosi verso la bionda. - Mi faresti compagnia durante il viaggio o preferisci coricarti?-
- Non mi fido di te. Probabilmente ti ubriacheresti con la tua bottiglietta di rum e ci faresti finire contro uno scoglio. O peggio, sirene. -
- Le tue parole sono sempre così meravigliose, cara Fiammetta. Non so come possano fare gli uomini a starti lontano.-
- E dove sono le fantomatiche donne che dici di aver conquistato in ogni luogo della terra, Drake? Non le vedo... Oh, aspetta, forse perché non esistono! - Fiammetta sorrise, colpendolo ad una spalla con forza. Drake non rispose, assottigliando gli occhi.
- Non dovresti rivolgerti così al tuo capitano, sai? Dopotutto questa è la mia nave, tu non possiedi niente, bionda.-
- Come, prego? Sono il co-capitano di questa nave e se vogliamo dirla tutta, i tuoi amati pirati stanno pensando di ammutinarti, per mettere questa donna bionda, al comando di questa nave!-
Ibrahim si intromise prima che quella discussione arrivasse a livelli inaccettabili per i suoi poveri nervi: - Non vorrei disturbarvi, ma dovrei andare a riposare ora. Quindi, buona litigata e ci vediamo fra qualche ora.-
Il Gran Visir lasciò discutere i due pirati ed entrò nella cabina del capitano.
Non piccola, ma  di medie dimensioni. C'era un forte odore di acqua marina, rum e sigari. Il letto era posto in un angolo della stanza, era realizzato in legno scadente e le lenzuola erano vecchie e macchiate, in certi punti, di sangue. Un piccolo armadio con le ante spalancate che conteneva i pochi vestiti di Drake, carte nautiche, gioielli e cassettoni di oro ,era posto nell'angolo opposto. C'era, inoltre, un contenitore di spade affilate, sciabole e ogni altro tipo di armamento che potesse esistere sulla terra. Uno scrittoio, anch'esso in legno scadente, era posto vicino al letto. Era ricolmo di cartacce e inchiostro nero per scrivere. Le cicche di sigaro erano buttate in modo disordinato al suolo. Le finestre erano sporche di acqua marina e pittura verde, venuta via dalle intemperie.
Ibrahim entrò barcollando, ormai allo stremo delle forze. Roxelana dormiva beatamente fra le sue braccia. Anzi, stava iniziando a russare e sbavare. Quando giunse in prossimità del letto, scostò le coperte rosse e vi posò il corpo minuto della rossa, che si mosse lentamente in esso, dandogli le spalle.
- Finalmente. - Ibrahim sospirò, andando a poggiarsi sullo scrittoio del fratello. Sbottonò poco alla volta la camicia verdognola rubata dalla casa. Aveva sopportato a fatica il dolore, ma ce l'aveva fatta. Una brutta ferita al braccio si era infettata per la mancata cura. Quando aveva combattuto con i briganti non ne era uscito indegno. Storse il naso, notando tutto quel sangue e la ferita dal brutto aspetto, non sapendo bene cosa fare. Strappò un pezzo di stoffa dalla camicia, umidificandolo con la saliva, poi lo passò lì dove si era ferito, mordendosi con forza il labbro per non svegliare la schiava.
- Quello non servirà a molto, lo sapete vero? - La voce roca e ancora assonnata di Roxelana lo fece sobbalzare. Non si era accorto che si fosse svegliata, non pensava che lo avrebbe fatto per molto tempo ancora. Ma, invece, lei era lì, più che sveglia e lo fissava con i suoi grandi occhi verdi, stesa su di un fianco e con le mani sotto la guancia.
- Quando arriverò a Costantinopoli mi farò medicare per il meglio. Non dispongo di alternative. - Ibrahim non la guardò, continuando a medicarsi, mentre lei scendeva dal letto e gli si avvicinava con i piedi nudi che facevano scricchiolare il pavimento.
- Andate da vostro fratello e chiedetegli degli stracci puliti per le ferite da taglio, dell'acqua di mare e del rum. Fidatevi di me, so quello che faccio. -
Aggiunse Roxelana notando l'espressione dubbiosa del Gran Visir.
- Va bene, ma non uscire di qui. I pirati a quest'ora saranno di ritorno e non sanno distinguere una prostituta da una bambina, potrebbero abusare di te.-
Roxelana scosse il capo, sbadigliando rumorosamente. Guardò di sottecchi Ibrahim rivestirsi, rimanendo affascinata dal suo fisico statuario. Aveva un bel corpo muscoloso, ma non troppo, dalla pelle abbronzata. Una leggera peluria scura era presente sul petto e sotto l'ombelico si intrufolava fin dentro i pantaloni.
Ma, in tutta la sua perfezione, c'erano delle imperfezioni... Brutte cicatrici deturpavano la sua pelle e non erano causate da combattimenti recenti. Roxelana non riuscì a notare nient'altro, poichè l'uomo si affrettò nel coprirsi.
Ibrahim sorrise, guardando l'espressione intontita della rossa e il rossore che imporporava le sue guance.
- Che cosa succede, Roxelana? Hai visto qualcosa che ti ha turbata? -
- Se non la smettete di stuzzicarmi in questo modo, vi ritroverete con un pugnale in uno dei vostro occhi, Gran Visir.-
- Non avresti il coraggio di sfigurare il mio bel viso. -
- Oh, certo che lo avrei, padrone. Potrei benissimo farlo adesso con una di quelle piume abbandonata lì al suolo. Ci metterei un attimo. -
- E pensi che mio fratello Drake ti lascerebbe andare via così facilmente? Povera ingenua, devi rassegnarti al fatto che sei in trappola per l'eternità! -
- Finchè sarò in vita e i miei polmoni saranno in grado di fornirmi d'aria, il mio cuore batterà e il mio cervello penserà, la speranza di ritornare dalla mia famiglia e riavere la mia libertà, non morirà mai. -
- Sei una povera sciocca, Roxelana. Perché non apri gli occhi, eh? Non c'è speranza, amore, gioia per quelle come te. C’è solo sfortuna, odio, dolore e sofferenza. - Ibrahim scattò in avanti, prendendo la rossa fra le braccia, sollevandola da terra e scuotendola come fosse una bambola di pezza. Roxelana cercò di trattenere le lacrime per il modo in cui le mani forti e callose di Ibrahim la stavano stringendo. Le faceva male, sembrava un pazzo, un demonio spuntato dritto dall'inferno per tormentarla. I suoi occhi sembravano spiritati, disumani, folli.
- Voi siete uno squilibrato! Guardatevi! Riuscirò a scappare da voi, fosse l'ultima cosa che faccio! -
- Siamo legati per la vita adesso, schiava. Solo la morte potrà separarci l'uno dall'altra! - Ibrahim la lasciò, spingendola con forza sul letto, dal quale si alzò della polvere, quando Roxelana e Ibrahim vi caddero sopra. La rossa si era aggrappata con tutte le sue forze alle braccia del Gran Visir facendolo sbilanciare e cadere appresso a lei.
Ibrahim la inchiodò al letto, non lasciandole via di fuga. Le puntò contro i suoi occhi castani, guardandola in silenzio come spesso faceva.
- E allora metti fine alla mia miserabile vita, Ibrahim Pascià, uccidimi adesso! Saremmo liberi tutti e due!
- Non posso! -
Ibrahim l'afferrò per i lunghi capelli rossi, tirandole la testa all'indietro. Roxelana lo guardò con odio, facendo lo stesso con la capigliatura scura del suo padrone, costringendo ad avvicinare il viso e riducendo così la distanza. Il respiro di entrambi era accelerato e se lo sentivano uno sul viso dell'altra. Erano accaldati, furiosi, non sapevano cosa fare.
- Perchè? Soffocami e sarò in pace. Sarò libera. - La rossa strinse la presa sui suoi capelli, avvicinando maggiormente il viso del Gran Visir. Poteva sentire le sue labbra sfiorarla. Si guardavano, ma Ibrahim non voleva parlare.
- Gli oggetti non hanno il diritto alla libertà e tu sei un oggetto. - Lo disse in modo talmente glaciale che le braccia di Roxelana si riempirono di brividi. Nonostante ciò accusò il colpo, imponendosi di non piangere e lasciò andare via il suo padrone.
Era un oggetto, gli oggetti non parlano, non si muovono e non pensano. Era un oggetto e doveva comportarsi come tale se non voleva avere guai.
Era un oggetto.
Il Gran Visir si alzò e con passo traballante uscì dalla cabina, senza mai girarsi alle spalle.
 
 
COSTANTINOPOLI, PALAZZO TOPKAPI, MOLTE ORE DOPO.
 
- Sultano Selim, il Gran Visir è finalmente giunto a corte e con lui ha portato un regalo.
- Un regalo? - Il sultano guardò uno dei servitori di corte, incrociando le folte e scure sopracciglia. - Che genere di regalo mi avrebbe portato Ibrahim? -
- Una schiava dai lunghi capelli rossi e la pelle bianca come il latte, mio sultano. Il suo nome è Roxelana.-
 
 

 

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Capitolo 7
*** VI ***


Roxelana ed Ibrahim non si erano rivolti la parola per la restante parte del viaggio.
Mentre il Gran Visir si faceva curare la ferita riportata al braccio da Fiammetta, Roxelana stava seduta vicino la poppa e osservava sorgere il sole pigramente dalle acque, rubando la scena alla luna. Il vento soffiava in modo incessante, mentre il rumore del mare che si infrangeva contro il vascello la rilassava. Ogni tanto qualche schizzo di acqua salata le arrivava a bagnare i capelli rossi che aveva intrecciato in una semplice treccia. 
Guardava l'orizzonte sovrapensiero, pensando a cosa ne sarebbe stato di lei dopo essere approdata a Costantinopoli. Come l'avrebbe trattata il sultano? Con rispetto o in modo irrispettoso come spesso faceva Ibrahim?
Si passò le mani sugli avambracci lentamente e chiudendo gli occhi per il dolore che quel semplice movimento le provocava. Sulla sua pelle color del latte c'erano dei brutti segni neri grandi quanto le mani del Gran Visir.
Se qualcun altro avesse continuato a picchiarla fino al suo arrivo, il sultano l'avrebbe trovata brutta e forse non l'avrebbe più voluta. Forse le conveniva continuare a fare ciò che le riusciva meglio: far arrabbiare il suo padrone.
Si girò verso sinistra, lì dove Ibrahim e suo fratello si trovavano. Roxelana si rese conto che gli uomini la stessero fissando e stessero parlando esplicitamente di lei. Nonostante ciò non distolse lo sguardo, continuando a guardare sia l'uno che l'altro.
Drake, il capitano Drake, cercava di non ridere mentre Ibrahim sembrava furioso ogni secondo che passava ad osservarla.
- Non continuare a guardarlo così, Roxelana, non farai altro che innervosirlo. - Fiammetta le si sedette affianco, poggiandole sulle spalle una coperta leggera per riparlarla dal freddo del vento.
- Mi odia dal primo momento in cui è entrato in casa mia. -
- E' normale che ti odi, Roxelana. Ibrahim non è malvagio. -
- E questo cosa vorrebbe dire? Se non lo fosse, adesso non sarei qui. -
- Certo, adesso faresti compagnia a tutte le altre che sono state rapite come te. Probabilmente saresti stuprata, insaguinata e morta da qualche parte nel tuo vilaggio per colpa di quei briganti maledetti e senza onore. - Roxelana sbuffò, non sapendo cosa dire. Se la metteva così, gli doveva la vita. 
- Questo non cambia le cose. Io non voglio andare a Costantinopoli. Non so comportarmi come una di quelle... quelle concubine del harem, non so la lingua che il sultano e il suo popolo parla, non so niente di quelle usanze... -
- Imparerai, Roxelana. Imparerai. - Fiammetta le sorrise, toccandole gentilemente una mano. - E se ti consola, quando arriverai al sultanato le volte in cui incrocerai Ibrahim saranno veramente poche. -
- Veramente? - Domandò speranzosa la fanciulla, con gli occhi verdi che le brillavano di speranza. 
- Sì, davvero. - Fiammetta sorrise, annuendo. Ma, in cuore suo, sapeva di star mentendo. 
Quella ragazza, che appariva così dolce ed innocente, sarebbe stata la rovina di tutti quanti. Il futuro e le stelle glielo avevano detto e non c'era niente che lei potesse fare per cambiare ciò che doveva accadere.
Non poteva fare niente per salvarli.
 
*** ****
Quando il veliero approdò a Costantinopoli, Roxelana realizzò e metabolizzò di essere  lontana dalla sua terra e che, per doverla raggiungere, doveva impiegare giornate su giornate.
Quando i suoi piedi scalzi toccarono il suolo della famosissima capitale ottomana, uno strano brivido le attraversò la spina dorsale. Respirò a pieni polmoni l'aria che vi regnava e oltre all'odore sgradevole del porto, la rossa riuscì a sentire uno strana freschezza di mandarino e aranci. Poteva percepire la gioia, la felicità, la ricchezza e l'amore. 
Aprì gli occhi, che si rese conto di aver chiuso, e notò Ibrahim che la stesse fissando, come suo solito, in modo molto intenso ed inquietante. 
La osservava con i suoi occhi scuri e calcolatori e quando il vento sollevò la coperta bucchelerata che indossava, mostrando i lividi che lui le aveva provocato, la sua espressione si indurì.
- Non siamo più in Russia, Roxelana. La senti la differenza, vero? -
- Sì, padrone, la sento. - La schiava abbassò lo sguardo, non guardandolo negli occhi. Per lui era un oggetto e doveva comportarsi da tale. - Ma, permettetemi di replicare, perchè parlate ad un povero oggetto quale sono? -
- Rossa... - Ibrahim sembrò sul punto di dire qualcosa, ma cambiò idea, salendo sulla carrozza che il sultano aveva mandato loro. - E' meglio che tu salga adesso su questo maledetto veicolo. Il nostro viaggio assieme è terminato. Per fortuna, oserei dire. -
Roxelana alzò gli occhi al cielo, portandosi la coperta sul capo e nascondendo i suoi capelli rossi allo sguardo della gente. Molti si erano girati per osservarla e non tutte le occhiate che aveva ricevuto erano di benvenuto e amichevoli. 
La lingua turca era buffa, molto diversa dal russo e dall'arabo, che alle volte suonavano aspre. Era quasi musicale e sentire il Gran Visir parlare in quella lingua, la sconcertò. 
E non sapeva spiegarne il motivo.
La carrozza bianca come il latte e con ricami d'oro, portava su ognuna degli sportelli il sigillo del sultano. I cavalli che la trainavano erano sei e tutti quanti bianchi, puliti e stalloni in perfetta forma. Roxelana avrebbe tanto voluto accarezzarli uno alla volta per quanto fossero belli. Le loro criniere erano perfettamente lisce e svolazzavano al vento come soffici capelli di donna. 
Quando entrò nella carrozza, Ibrahim non la degnò di uno sguardo, continuando a fissare la strada. 
Roxelana non fece molto caso a lui, ma agli splendidi cuscini imbottiti sul quale si era seduta. La carrozza che li aveva trainati durante il viaggio russo non poteva essere comparata a quella. 
Sembrava di essere seduta sulle nuvole!
- Com'è morbido... - Sussurrò, suo malgrado, non riuscendosi a trattenere. Le mani minute accarezzavano i cuscini come se fossero dei cuccioli di coniglio.
Ibrahim scosse il capo, non riuscendo a trattenere un sorriso. Aveva scordato la sua reale età. Infondo era solamente una bambina e della vita non sapeva ancora niente.
Tutto era sconosciuto per lei ed in un certo senso la invidiava.
- Perchè ti sei coperta il capo? Il tuo padrone deve osservare i tuoi capelli rossi. -
- Le persone mi guardavano. Mi sono sentita a disagio. -
- Non ti deve importare di quello che la comune gente pensa di te, solo quello che il tuo padrone ordina è legge. Hai capito? -
Roxelana annuì, abbassando lo sguardo. 
Odiava comportarsi così e odiava restare in un angolo così piccolo assieme al Gran Visir. Sentiva una strana sensazione di disagio al petto, di ansia. 
Prima che avesse il tempo di scostarsi o di reagire, la grande mano di Ibrahim le si avvicinò al capo e le tolse delicatamente quell'improvvisato copricapo.
- Non avere paura, non voglio farti del male. -
- Eppure lo avete fatto. Le mie braccia sono piene di lividi. -
Tuttavia, prima che qualcuno avesse avuto il tempo di dire altro, la carrozza era giunta a destinazione. Quei cavalli erano veloci come il vento.
Il Palazzo Topkapi era qualcosa di universalmente meraviglioso. Roxelana dubitava che ci fosse, c'era o ci sarebbe mai stato qualcosa di altrettanto stupendo.
Poteva notarlo da chilometri di distanza, si innalzava in tutta la sua magnificenza e pretendeva di essere ammirato. Una reggia degna di un sultano.
L'edificio era tipicamente medievale. C'erano cupole simili a quelle delle moschee e torri simili a quelle europee, eredità dei bizantini probabilmente. Il colore predominante era il bianco.
Roxelana ed Ibrahim entrarono dall'ingresso principale. C'erano due enormi torri dal tetto a punta sulle quali c'erano le varie sentinelle che controllavano il territorio. La porta di ingresso era enorme e fatta in legno pesante, situata in mezzo alle due torri  e sotto un enorme arco. 
Le sentinelle e le guardie, dopo essersi assicurati che non ci fossero possibili nemici dentro la carrozza, diedero ordine di far aprire le porte... E quello che si rivelò fu altrettanto meraviglioso.
Roxelana guardava il tutto a bocca aperta. 
Sembrava che all'interno di quel palazzo di fosse una città, non una corte.
La carrozza si fermò all'improvviso e i cavalli nitrirono, sbuffando rumorosamente. Gli sportelli del veicolo vennero aperti  e Roxelana non ebbe il tempo di dire nessuna parola al Gran Visir che entrambi furono prelevati e portati in direzioni differenti. Una a destra, l'altro a sinistra.
L'unica cosa che ebbe il tempo di notare fu l'enorme e meravigliosa fontana dalla quale usciva dell'acqua che saliva fino al cielo e riscendeva. Questa fontana, inoltre, era circondata da migliaia di fiori viola profumati. Sembrava un quadro.
Roxelana fu prelevata da degli uomini in armatura. Avevano sciabole affilate attacate ai pantaloni  e giacche fatte di ferro. Erano tutti pelati e silenziosi. 
Non parlavano, nonostante le continue richieste di Roxelana, avanzavano solamente, spingendola ,alle volte ,quando la rossa incespicava.
La condussero per un piccolo corridoio buio, aprirono una porta anch'essa in pesante legno e successivamente la spinsero all'interno senza troppe cerimonie. 
Roxelana si sedette al suolo, portandosi le ginocchia al petto e guardandosi intorno, spaesata. Le sembrava di essere stata rinchiusa in una bara.
- Preferivo restare con il Gran Visir, almeno lui non mi rinchiudeva in posti così bui. - Borbottò, sbuffando rumorosamente.
- Sai cosa lasci, ma non sai cosa trovi. Si dice così, non è vero? - Una voce femminile parlò all'improvviso. Le sembrava di riconoscerla, ma non riusciva a ricollegare la voce al viso.
- Chi sei tu? -
- Una povera malcapitata come te... Sai, tutti hanno parlato molto di te. Sei il regalo del Gran Visir, colei che non deve essere scelta dal sultano. -
- Cosa? In che senso? -
- Sono in questa camera buia e puzzolente da tre giorni circa. Tu, considerato che sei il regalo, verrai prelevata tra poche ore e preparata per il sultano. -
- Non c'è modo di evadere da questo posto? -
- Secondo te perchè sono qui dentro da tre giorni? Ho cercato di scappare di notte, di giorno e di pomeriggio, non c'è modo di poter fuggire da qui. Le guardie ti trovano, ti prendono per i capelli e ti riportano qui dentro. Più volte scappi, più giorni passi senza la tua razione misera di cibo. -
- E' orribile. Questo perchè succede? Solo perchè siamo donne povere e senza nessuna bella guardia dall'armaura che ci possa proteggere!-
- Non credere che le donne ricche se la cavino meglio. Le donne in generale saranno sempre messe su un altro piano. La Valide Sultana è l'unica donna capace a farsi rispettare da tutti qui dentro. -
- Io sono Anastasia, comunque. Ma qui dentro mi chiameranno Roxelana. -
- Nome particolare. Io sono Emma. -
- Da dove vieni? Il tuo accento non è russo. -
- Italia. Ero una ricca figlia di un ricco signore di Milano. Mi hanno trascinato per la Russia circa un anno, prima di vendermi. -
- Mi dispiace... Ti manca il tuo paese? -
- Non dispiacerti, siamo nella stessa situazione, Anastasia. -
 
*** ***
 
Ibrahim fu prelevato dalla carrozza da alcuni funzionari politici. Era rimasto fuori Costantinopoli pochi mesi ed era successo il putiferio su molti fronti. 
Il compleanno del sultano sarebbe stato il giorno dopo e a Palazzo Topkapi c'erano centinaia di servitori che si affaccendavano nel preparare fiori e portate da una parte all'altra del castello per poter lavorare per il meglio il giorno successivo. 
La Valide sultana aveva dato, come sempre, chiare direttive sull'organizzazione.
Era molto stanco e provato per via della ferita al braccio e aveva bisogno di recuperare tutte le ore di sonno perdute. 
Quindi non era nelle migliori delle forze fisiche e psichiche, per star ad ascoltare persone che si lamentavano con lui, per non doverlo fare con Selim.
- Signori, non vorrei essere scortese, ma sono molto stanco e provato dal viaggio. Ho bisogno urgente di vedere un Guaritore e di farmi un bagno caldo. Quando mi sarò riposato, potrete venire ad espormi tutte le vostre domande e questioni. Sarò felice di ascoltarvi. -
- Ma Gran Visir... -
- Lasciate stare il Gran Visir, signori, non vedete com'è pallido? -
Ibrahim, nel sentire la sua dolce e graziosa voce, si girò sorridendo. Il suo viso si illuminò e dovette resistere dalla voglia di gettarle le braccia al collo ed abbracciarla lì davanti a tutto il Palazzo.
Le era mancata così tanto da non poterlo esprimere a parole. 
Era  persino più bella di quanto ricordasse con i suoi vestiti dai colori allegri,  i suoi capelli lunghissimi e neri, le labbra rosse e grandi, il naso dritto e gli occhi scuri come la notte.
- Hatice Sultan, è sempre un piacere rivedervi. - Ibrahim si chinò, posando le labbra sul palmo della sorella del suo sultano.
- E voi siete sempre un uomo dai modi così europei da farmi arrossire, Ibrahim Pascià. - Hatice sorrise, frenando la voglia di accarezzargli una guancia. - Lasciateci. -
I funzionari politici scomparirono all'istante, lasciandoli soli in quel piccolo corridoio che portava agli appartamenti del Gran Visir.
Hatice si guardò intorno, prima a desta e poi a sinistra, e prese la mano di Ibrahim fra le sue, poggiandovi un leggero bacio. 
- Mi sei mancato così tanto, Ibrahim. Non lasciarmi mai più per così tanto tempo e soprattutto senza scrivermi. -
- Purtroppo ci sono state delle complicazioni, benim ay.* -
- Non è una scusa, Ibrahim. - Hatice rise, quando l'uomo l'afferrò per la vita stringendola forte al suo petto. - Almeno ne è valsa la pena? -
- Che cosa? -
- Lei com'è? E' carina? I suoi capelli rossi è l'unica cosa di cui sono sicura. -
Se fosse carina, lei chiedeva. Ibrahim non sapeva cosa rispondere. Aveva una bellezza particolare, strana nella sua complessità. Poteva piacere e non piacere... Lui, però, la trovava bellissima. Perchè? Era coraggiosa, insopportabile e anche protettiva. Lottava per ciò che desiderava, non era da tutti. Era ribelle.
- Sei più bella tu, benim ay. - Hatice sorrise, sollevandosi sulle punte e baciando l'uomo che amava alla follia sulle labbra.
- S' agapò, agàpi mou.* -
- S'agapò, fengài mou.* -
 
*** ***
 
Roxelana fu prelevata dagli Eunuchi Neri qualche ora dopo essere stata rinchiusa. Il sole era tramontato, ma a differenza della sua terra natia, a Costantinopoli non faceva freddo. Anzi, c'era un clima mite e il profumo di arance era maggiormente diffuso nell'aria.
Roxelana fu portata in un'altra camera, questa volta illuminata da molte candele profumate, nella quale c'erano circa cinque ragazze molto giovani. Avevano tutte lunghi capelli biondi e occhi scuri.
La stanza in cui l'avevano lasciata, aveva una grande vasca dalla quale fuoriusciva dell'acqua calda. Delle tende leggere e color rosa pastello erano appese al soffitto e si muovevano, creando un leggero fruscio quando il vento le smuoveva.
- Tu dovresti essere Roxelana. - Una donna anziana, vestita completamente di nero e con il capo coperto, si fece avanti. - Io sono la Valide Sultana, madre del sultano, Selim. Adesso sarai preparata per essere condotta da lui, ma prima di tutto il Guaritore deve controllare che la tua innocenza sia al suo posto. Stenditi sul tavolo, schiava. -
Parlava in tono neutro e da vera sultana. Si notava subito qualcosa di estremamente regale e nobile nel suo comportamento. Era chiaro che fosse abituata a dettare ordini. 
La schiava fece come le fu detto, recandosi lentamente verso il piccolo tavolino duro e in legno. Deglutì, quando un uomo anziano e dalla lunga barba grigia spuntò da dietro le tende. 
Camminava lentamente, come se ogni passo che compiva gli causasse gran dolore. Vestiva una veste molto vecchia, bucata in alcuni punti e dalle lunghe maniche larghe. In vita teneva degli aggeggi di ferro dall'aspetto macabro. 
Era pelato, gli unici peli che aveva in testa erano quelli della barba. Gli occhi erano piccoli e contornati da due brutte occhiaie, la bocca grande.
- Apri le gambe, cara. Prometto che tutto sarà terminato fra pochi secondi. -
- Perchè? - Domandò Roxelana. Non voleva fare niente di simile davanti ad uno sconosciuto.
- Fa' come ti dice, schiava. Quest'uomo ha fatto nascere tutti i miei figli. Non ha altre intenzioni, dobbiamo vedere se sei illibata. - Intervenne la Valide Sultana, poco paziente. Le puntò contro i suoi occhi scuri, sfidandola a non fare ciò che le aveva ordinato.
Roxelana piegò le ginocchia, aprendo le gambe davanti la faccia di quel vecchio. Sopportò quasi a fatica il controllo e quando il Guaritore ebbe finito, si sentì a disagio. Molto a disagio. 
Non le aveva fatto male, ma era qualcosa che non avrebbe dovuto fare.
Si accarezzò le braccia, sussultando quando toccò i punti in cui Ibrahim le aveva fatto male.
- Che cosa hai fatto alle braccia e alla faccia? - Alla Valide non sfuggiva mai niente. Studiava tutti i minimi particolari. Sapeva che a suo figlio sarebbe piaciuta. Ma era molto strana e il suo istinto femminile stava cercando di dirle qualcosa.
- Niente. -
- Non mentire. Chi ti ha picchiata? -
- Il Gran Visir. - La Valide aggrottò le sopracciglia, rimanendo stupita. Ibrahim non era quel tipo di uomo. Perchè mai avrebbe dovuto picchiare una comune schiava?
- E al viso? E' stato lui? -
Roxelana scosse il capo, guardando una delle ragazze che le sorrideva compassionevole. 
Almeno era rimasto qualcuno ad avere pietà per la sua sorte.
- Adesso le sarte prenderanno le tue misure. Poi queste vergini ti laveranno e renderanno presentabile per il tuo sultano e padrone. Chiaro? -
- Sì, signora. - Roxelana annuì, stringendo i pugni. Quando sarebbe finito tutto ciò? Quando l'avrebbero lasciata in pace?
- Bene, vi lascio lavorare. Fra mezz'ora deve essere pronta, il sultano non ama aspettare. -
La Valide Sultana lanciò un'ultima occhiata alla schiava per poi uscire frettolosamente dalla stanza. 
Le ragazze le si avvicinarono e con modi pacati e gentili, presero le sue misure, per poi annotarle su di un foglio. La sarta le avrebbe preparato un vestito che avrebbe indossato per la prima notte con il sultano.
- Hai dei capelli veramente bellissimi, Roxelana. - Una delle ragazze le sorrise, mentre un' altra le slacciava il vestito, facendolo scivolare ai suoi piedi e lasciandola completamente nuda.
La schiava si coprì come meglio poteva e quando la sua pelle entrò a contatto con l'acqua rilassante, calda e profumata della vasca, desiderò non uscire mai più. 
Chiuse gli occhi, lasciando le vergini lavorare. Le spazzolarono i capelli, glieli lavarono e profumarono con cura con oli fragranti, le strofinarono via lo sporco e il sangue dal corpo. E lasciarono che si rilassasse per  qualche secondo con gli occhi chiusi.
Quando la asciugarono e acconciarono i capelli in una complicata treccia che le formava una sorta di aureola e averle intrecciato dei fili d'oro tra di essi, la sarta portò il vestito. 
Era una semplice camicia da notte bianca  che si allacciava e slacciava da dietro. 
Dopo averla preparata, passarono al trucco. La fecero accomodare su di una toiletta, mentre due ragazze le dipingevano le unghia con l'hennè  e le ciglia con il kohl, una pasta colorante fatta con limone e grafite riscaldati su una bracie. E, infine, le colorarono le labbra con del rossetto ricavato dalle fragole.
- Ecco fatto. Cosa ne pensi? -
Roxelana si ammirò allo specchio, rimanendo a bocca aperta. Non si era mai vista così bella. Il rossetto e il khol le risaltavano gli occhi chiari e i capelli non erano mai stati così luminosi, profumati e belli. Lei non era mai stata così pulita. 
Al villaggio non aveva mai avuto l'opportunità di lavarsi più di due volte all'anno. 
- Avete fatto veramente un bellissimo lavoro. Stento a riconoscermi! -
- Sei veramente bellissima. Il sultano non riuscirà a staccarti gli occhi di dosso. -
- Ma lui... Com'è? - 
- Oh Roxelana, non c'è uomo più gentile di lui. Sei davvero fortunata. Fra lui e il Gran Visir non si sa su chi fantasticare. -
- Ibrahim Pascià è un mostro. -
Le ragazze si guardarono, non sapendo cosa dire. Alla fine l'entrata della Valide Sultana le interruppe: - Ottimo lavoro, ragazze. Adesso sembra quasi decente. Tu, schiava, seguimi. Il sultano aspetta solo te. -
Roxelana seguì in silenzio la madre del sultano. Era davvero molto tardi, i grilli cantavano e i gufi erano usciti dalle loro tane, volando per i cieli bui.
A palazzo erano state accese le lanterne che illuminavano tutti i corridoi.
Ogni grande finestra dava su una parte diversa del castello o giardino. I muri erano decorati con quadri di sultani differenti e dall'aria austera o altre immagini di guerra.
- Questa è l'aria interamente dedicata al sultano, schiava. Vedi di memorizzarla bene, perchè quando e se il sultano ti manderà a chiamare, dovrai farla da sola. -
La Valide si fermo davanti ad una porta in oro, decorata con simboli strani che non aveva mai visto. Cerchi, piramidi e paralelepipedi incasonati uno con l'altro. Due Eunichi Neri erano impalati lì davanti e non si muovevano, restando con espressioni immobili.
- Fa' quello che lui ti ordina e rendilo felice, se vuoi vivere. -
La Valide bussò alla porta e se ne andò. Roxelana, guardando la porta d'oro fu tentata di darsela a gambe.
- Entra, schiava. - 
La rossa sospirò e con mani tremanti spinse la pesante porta in oro, facendola cigolare mentre lei entrava nell'abitacolo.
Quando i suoi occhi, però, incontrarono quelli del sultano, fu ben felice di non essere scappata e di essere rimasta.
Forse qualcosa di bello le sarebbe capitato presto.
 
benim ay.*= mia luna in turco.
S' agapò, agàpi mou.* = ti amo, amore mio, in greco.
S'agapò, fengài mou.*= ti amo, mia luna, in greco.
 
SPAZIO AUTRICE!!
Eccomi qua, mi scuso per il ritardo ma purtroppo la scuola mi sta uccidendo e come sapete maggio è un mese difficile, soprattutto dopo una certificazione in lingua, verifiche ed interrogazioni!
Ad ogni modo spero che il capitolo via sia piaciuto e invito come sempre tutte voi a lasciare un voto o un commento per sapere se la storia vi sta piacendo o se posso migliorarmi in qualche cosa.  
Nel prossimo capitolo finalmente ci sarà l'incontro con questo sultano e vedremo se sarà degno della vostra immaginazione!
Hatice e la Valide Sultana saranno figure molto importanti all'interno della storia! Non le sottovalutate! E incontreremo anche il resto dell'harem, tra cui la favorita del sultano!
Vi lascio con due domande: cosa ne pensate della nostra protagonista? E del Gran Visir, Ibrahim? Vorrei tanto sapere che impatto hanno avuto su di voi queste due figure!
Al prossimo capitolo!
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** VII ***


Il sultano era seduto su una sedia a forma di trono, posta in mezzo all'enorme camera regale. Roxelana non aveva mai visto così tanto lusso sfrenato in vita sua.
La schiava si guardava intorno, cercando di osservare per il meglio ciò che la circondava, mossa dalla curiosità e dalla paura.
Era intimorita dal suo nuovo padrone per questo motivo guardava tutto tranne che lui. Ogni tanto gli lanciava alcune occhiate furtive, niente odio o presunzione come invece succedeva con Ibrahim.
Lui era il sultano, il grande Selim II detto il Magnifico, aveva un grande potere, tutti gli obbedivano e come suo unico e solo padrone aveva il potere di condannarla a morte. Nessuno avrebbe potuto contestare un suo ordine, nemmeno il Gran Visir.
Le stanze del sultano si dividevano in cinque camere.
Quella in cui si trovava Roxelana era quella da letto, poiché un enorme letto matrimoniale a baldacchino era posto alla sua destra. Era molto grande e sembrava anche molto morbido. C'erano tende scure che lo circondavano, le quali erano state legate al lato per consentire l'accesso ai due.
Le coperte provenivano sicuramente dalle Indie per la qualità della seta, Roxelana poteva giurare di sentirle tra le dite. Non potevano essere comparate a quelle di scarsissima qualità che lei e la sua famiglia potevano permettersi. Inoltre esse erano di un rosso vermiglio, molto scuro, sulle quali erano state apportate le iniziali del sultano con dell'oro.
Nel resto della camera c'era uno scrittoio in legno molto ben lavorato, sul quale erano posti delle pergamene e una piuma per scrivere. Un baule nel quale probabilmente c'erano i vestiti del sultano o altre cose che poteva utilizzare durante la notte o al risveglio. Il vaso da notte era ben nascosto sotto il letto. -

One çikiyor, kole. - Il sultano parlò in turco. Aveva una voce molto piacevole, meno profonda e grave di quella del Gran Visir, ma ugualmente autoritaria. Roxelana avrebbe potuto restare là ed ascoltarlo per secoli. - Beni anliyor musun?
- Mio signore, non capisco ciò che voi dite. - Roxelana si avvicinò, guardandolo negli occhi mentre gli parlava in arabo. Non capivo il turco, non aveva mai sentito nessuno parlarlo prima di allora. Come avrebbero fatto a comunicare?
- Adesso mi capisci? - Il sultano sorrise, notando la sua faccia stupita. Sapeva parlare l'arabo oltre alla lingua del suo paese e questo la stupì. Selim II si alzò dalla sua sedia per andare incontro alla sua schiava, la quale ne approfittò per osservarlo.
Era un bell'uomo di circa trent'anni. Aveva i tipici tratti orientali. Capelli scurissimi lunghi fino sopra le spalle, occhi castani con ciglia e sopracciglia scurissime, labbra grandi e sottili e naso dritto, mentre della leggera barba incorniciava il suo volto. La carnagione non era né troppo chiara, né troppo scura.
Il sultano era alto e possente. Indossava dei pantaloni a righe bianche e arancioni e una giacca simile a quelle che il Gran Visir aveva indossato durante il suo rapimento. Non indossava scarpe ed era disarmato.
Era un mix perfetto e Roxelana ne rimase profondamente rapita.
Tutto in lui emanava ricchezza e potere.


 - Come ti chiami, schiava? - Le domandò una volta giunto di fronte a lei. Le prese la mano e la accarezzò dolcemente, con movimenti piccoli e delicati.
-Roxelana, mio padrone. -
-Come mai il mio caro amico Ibrahim ti ha dato questo nome? - Il sultano sorrise, prendendola per mano e conducendola a sedere sulla sua sedia.
-Per i miei capelli rossi. L-Lui mi ha scelta per questo... -
-Solo per questo? Non ci credo. -
-Perché? Ho qualcosa che non va? - Stranamente la rossa non voleva fare brutta impressione sul suo nuovo padrone. Voleva essere perfetta per lui. Solo per lui.Selim scosse il capo, chinandosi alla sua altezza e accarezzandole una guancia. Roxelana sorrise, arrossendo leggermente. Nessuno l'aveva mai accarezzata così.
-Hurrem. Ti si addice più questo come nome, non trovi? -
-Mio padrone, non so cosa significa... Ma se voi trovate che sia giusto, allora per voi sarò Hurrem e non Roxelana. - La schiava sorrise, quando il sultano le toccò i capelli e li annusò.
-Significa La Ridente . Hai un bellissimo sorriso e il mio prossimo incarico sarà quello di farti ridere e sorridere ogni giorno della mia esistenza per rispettare questo tuo nuovo nome. -Roxelana sorrise maggiormente, mossa da un grande senso di commozione. Il suo sultano era molto dolce, ben diverso dal suo amico Ibrahim Pascià.
-Da dove vieni, Hurrem? -
-Da un piccolo villaggio della Russia, mio padrone. -
-Sei stata trattata in modo adeguato durante il tragitto con Gran Visir? -
-I segni neri sul mio corpo mostrano il contrario, mio sultano. Il vostro amico è stato un uomo cattivo e spregevole. Non ha fatto altro che umiliarmi e picchiarmi. -Il sultano notò che qualcosa si fosse acceso negli occhi della schiava. Un fuoco di coraggio e odio che mai aveva visto negli occhi nelle concubine che abitavano l'Harem.
E questo non fece altro che accendere l'interesse che era spuntato in lui dal primo minuto della sua entrata. Ibrahim aveva fatto un'ottima scelta e lo avrebbe ringraziato adeguatamente, restituendogli il favore.
Era completamente rimasto incantato da Hurrem. I suoi capelli rossi e profumati, la sua pelle pallida e soffice, il suo corpo minuto e la voce altrettanto celestiale. Sembrava qualcosa di profondamente non terreno, mandato da Allah nella sua vita. Era tutta sua. Non era una comune concubina con la quale sfogarsi sessualmente, neanche una Favorita la quale doveva crescere il prossimo erede al trono.
Era molto di più.
C'era molto di più da scoprire oltre alla sua bellezza, il suo carattere. E da quello che le luccicava negli occhi, Selim sospettava che ne avesse tanto da mostrargli.
Per la prima volta nella storia del concubinato un sultano non consumò subito con la sua nuova concubina. Anzi, i due restarono tutta la notte a conversare per conoscersi meglio. Roxelana ascoltava rapita i racconti delle innumerevoli battaglie che il sultano aveva compiuto in passato e di come voleva rendere un posto migliore Costantinopoli e i suoi sudditi.
Si addormentarono alle prime luci dell'alba uno fra le braccia dell'altro.
Il mattino seguente Roxelana fu svegliata dalle serve, le stesse che la notte precedente l'avevano vestita e preparata.

-Avanti Hurrem, svegliatevi. E' ora!- Le mani di una di loro la scossero dolcemente, invitandola a darsi una mossa ed alzarsi al più presto. La rossa sorrise, stiracchiandosi.Quel letto era veramente comodo! In casa sua al villaggio non esistevano né letti, né materassi o lenzuola di quella morbidezza o profumo. Lei e le sua famiglia non avevano un giaciglio, loro dormivano sul freddo, gelido e scomodo pavimento della baracca.
-Dov'è il sultano? - Domandò, mettendosi a sedere e guardandosi intorno, incuriosita. Niente era cambiato rispetto a poche ore prima. Era tutto uguale. Probabilmente più bello, poiché il sole illuminava ogni angolo della camera.
-
Il sultano è un uomo molto occupato, Hurrem. Su, adesso alzatevi e fate colazione. Siete in ritardo per le lezioni. - Disse la serva, mentre le scostava la coperte dal corpo, esponendo alla sua vista le gambe magre, pallide e ancora con qualche graffio per le continue torture ricevute durante il viaggio.
-Lezioni? - Nessuno le aveva parlato di lezioni. A malapena sapeva scrivere il suo nome! Quale lezioni avrebbe dovuto seguire?
-Siete una concubina del sultano adesso. E' vostro dovere imparare l'arte, la musica e altre mansioni che possano servire a compiacere il vostro padrone. E, inoltre, dovete apprendere velocemente la lingua turca. Non c'è tempo per cincischiare! -
-Oh, d'accordo, adesso mi alzo. Ma lasciatemi ancora due minuti a godere di questo letto degno di Allah! - Sorrise, ributtandosi tra le coperte, aprendo gamme e braccia e chiudendo gli occhi.Era radiosa, pensò la serva, e il nome che il sultano aveva scelto per lei, le si adiceva.


*** ***


Selim entrò nella sala nella quale si svolgevano tutte le discussioni riguardanti la politica interna ed estera dell'impero.
In essa un lungo tavolo rettangolare e in mogano e ricco di ghirigori era posto al centro della stanza. Sopra di esso vi erano disposte cartine che rappresentavano tutto l'impero ottomano e le nazioni europee, le quali non dovevano mai essere sottovalutate. A indicare le posizioni della flotta di Costantinopoli, c'erano piccole navi in legno, posizionate lì dove la vera flotta del sultano era presente.
Al capo tavola, come da regola, sedeva il sovrano, mentre alla sua destra c'era il fidato amico Ibrahim Pascià, il Gran Visir e alla sua sinistra colei che gli aveva dato la vita, sua madre, la Valide Sultana.
Queste erano le uniche due persone alle quali il grande Magnifico chiedeva consiglio nei momenti più difficili o gioiosi della sua vita. Mai aveva fallito fino a quel momento.
I servitori si affaccendavano da una parte all'altra, servendo cibaria o bevande agli anziani funzionari politici e nobili turchi.
Erano tutti in piedi, nessuno aveva il diritto di sedersi prima del sultano e perciò stavano parlottando fra di loro.

-Ibrahim, mio caro amico e fratello! - Vociò il sultano, camminando a passo spedito verso il Gran Visir che era intento nel guardare le diverse cartine sul tavolo.
- Mio sultano, ti vedo radioso questa mattina. Spero che il mio regalo di compleanno sia stato di tuo gradimento. - Ibrahim sorrise, andando a sua volta incontro al sovrano e abbracciandolo in una mossa virile e di pochi secondi.
- Oltremodo, vecchio mio! Hai sempre avuto un gusto squisito in qualsiasi cosa e neanche questa volta mi hai deluso! E, a questo proposito, questa sera ci sarà una bella sorpresa per te. -
- Veramente, per me? Selim, permettimi di dissentire, ma sai che non ho mai amato le sorprese. Preferirei che tu mi dicessi adesso ciò per cui... -
- Si tratta di una donna, caro mio. - Il sultano sorrise, notando la sua espressione estremamente stupita. Ci mancava solo che il Gran Visir, il contenutissimo Gran Visir, si mettesse a saltare di gioia.
- Mio sultano, se è quello che penso... -
- E' proprio quello che pensi! - Sul volto del giovane uomo si dipinse un sorriso che gli illuminò tutto il viso, rendendolo più attraente di quanto già non fosse. Selim notò che in quel momento il suo amico avesse gli occhi verdi.
 - Se ti abbracciassi adesso quel tuo vecchio amico politico che voleva tanto diventare Gran Visir, ci guarderebbe con cattivo occhio? - Domandò con un sorriso molto malizioso.
- Ovviamente e non solo lui! -Selim rise, notando la sua espressione. Erano rare le volte in cui Ibrahim lasciava trasparire il suo vero Io e quando accadeva, cercava di godersele come meglio poteva.
- Ancora meglio! - Ibrahim rise, abbracciando il sultano di slancio e all'improvviso, dandogli delle pacche di gratitudine sulle spalle.
- Guarda le loro facce contrariate. Non mi divertivo così da un mese, Ibrahim. Non lasciarmi mai più. - Selim rise, schiaffeggiando giocosamente il suo migliore amico ad una guancia.
- Prenditi il resto della giornata libero, ti vedo parecchio provato adesso che ti guardo meglio. Hatice mi ha detto che quei maledetti ti hanno ferito. - Le sopracciglia del sultano si aggrottarono, notando il colorito grigiastro del coetaneo.
- Sì, abbiamo avuto qualche inconveniente. Siamo gli unici due sopravvissuti, purtroppo. Povere ragazze, che Allah abbia pietà per la loro povera anima... Hai altre domande? -
- Hurrem mi ha detto di averla picchiata innumerevoli volte durante il viaggio. E' forse vero? -
- Hurrem? -
- Roxelana, la rossa. -
- Ah, la rossa. - I suoi lineamenti, nel sentire il suo nome, si indurirono immediatamente. - Quella ragazzina è fin troppo ingenua. L'ho colpita, è vero, ma solo perché ha cercato di fuggire. Ha un animo ribelle, Selim, sta' attento. -
- Lo farò, Ibrahim, lo farò. -Sul volto del sultano si dipinse un sorriso dolce, mai Ibrahim lo aveva visto così preso da una nuova concubina. La sua scelta lo aveva più che soddisfatto, ma chissà perché, questo non lo rasserenava.


*** ***


Roxelana, dopo aver fatto colazione di ciò che il suo sultano le aveva personalmente preparato, ovvero uova sbattute con formaggio bianco, spremuta di arance e un giglio blu accompagnato da una lettera di buongiorno, fu portata dall'altra parte del Palazzo, lì dove era concesso stare alle concubine dell'Harem.
Se il sultano soggiornava nell'aera nord, l'Harem era posto nell'area est, mentre a ovest vi erano le stanze del Gran Visir, Hatice Sultan e Valide Sultana.
Roxelana dovette attraversare alcuni corridoi bui e freddi prima di arrivare a destinazione.
La porta era aperta e dall'interno della stanza proveniva un gran trambusto. Voci femminili che parlavano e mescolavano tra loro, mentre piedi scalzi picchiettavano al suolo.
Roxelana guardò una delle serve, non sapendo esattamente come agire. Doveva semplicemente entrare, senza salutare?

- Andate semplicemente dentro. Vi accoglieranno come se foste loro sorella.
- Va bene. - Roxelana annuì, deglutendo ed entrando nella camera. C'erano circa venti ragazze di età e nazionalità diversa che si girarono a guardarla. Nessuna, però, aveva lo stesso colore dei suoi capelli.
-Buongiorno. -Una donna dai lunghi capelli neri fino sotto la vita e due occhi di ghiaccio si fece avanti. La guardava con diffidenza, alzando un sopracciglio. Indossava un abito molto simile a quello di Hatice Sultan e sembrava essere al di sopra di tutte le altre concubine.
- Ben Mahi Debran Gulbahar, Sultan Selim Favori ve tahtin varisi annesi, Mustafà Sultan -La schiava rossa scrollò le spalle, sentendosi a disagio, poiché non capiva ciò che la donna le stava dicendo. Però era gelosa di Mahi Debran Gulbahar e non sapeva pienamente spiegarsi il motivo.
- Fatti avanti, da adesso in poi saremmo tutte sorelle. Io sono Jane. - Un'altra ragazza dalla carnagione simile a quella di sua madre e i capelli biondi, lentiggini sparse un po' ovunque, si fece avanti afferrando la mano della ragazza e portandola in quello che sarebbe stato il suo letto. Parlava russo, perciò era l'unica che riusciva a capirla.
- Che cosa ha detto, non sono riuscita a capirla...-
- Lei è Mahi Debran Gulbahar, la Favorita del nostro padrone e anche la madre dell'erede al trono Mustafà Sultan. -
-Anne, anne, ben geldim! -Un bambino entrò correndo nella camera, andando a sbattere contro le cosce di Roxelana, che rise e lo prese in braccio.
- Tu dovresti essere Mustafà Sultan, suppongo. - L'erede al trono sorrise, non capendo cosa la schiava le avesse detto. Aveva delle guance paffute e la pelle liscia, tipica dei bambini e chiara come quella della madre. I capelli erano ricci e color ebano con qualche ciocca color cioccolato. Se lo si guardava negli occhi sembrava di osservare suo padre ,il sultano. Era un mix perfetto tra i due genitori.Era un bambino bellissimo e tenerissimo, tant'è che Roxelana avrebbe voluto giocarci tutto il giorno.
Gli occhi le si riempirono di lacrime, ricordando le sue sorelle e i suoi genitori. Le mancavano terribilmente.
Mahi Debran Gulbahar corse verso il figlio strappandolo dalle braccia della schiava e guardandola malissimo.

- Oglum, kole dokunmayin! -Roxelana la guardò, non avendo capito cosa le aveva detto ma da come aveva pronunciato quelle parole era sicura che non fossero parole di benvenuto.
Era decisa nell'imparare il turco il prima possibile in modo tale da non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Neanche dalla Favorita. Era decisa nell'avere il sultano tutto per lei e ci sarebbe riuscita.
Doveva avere tutto.
Nessuno l'avrebbe mai più trattata con cattiveria, nessuno.
Mentre Roxelana era intenta nel guardare Mahi Debran Gulbahar essere adulata dalle altre concubine, Ibrahim Pascià entro nella camera, diretto verso la Favorita.
Le disse qualcosa in turco, tant'è che sul viso della donna si dipinse un sorriso luminoso.
Roxelana non gli levò gli occhi di dosso, continuando a guardarlo.
Aveva ancora il coraggio di trattarla male adesso che era una concubina come le altre?
Solo quando si girò per andarsene, il suo sguardo gelido incontrò quello della schiava rossa. Si fermò per pochi secondi ,osservandola e rimase quasi stupito.
Ibrahim aprì la bocca per dirle qualcosa e subito dopo la richiuse, preferendo andarsene così come era giunto.

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Capitolo 9
*** VIII ***


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La sera calò velocemente su Costantinopoli. Tutti i servitori si erano dati da fare, allestendo l'enorme sala del trono nella quale si sarebbe tenuto il ricevimento, in onore del trentesimo compleanno del sultano.
Hatice Sultan aveva appena finito di prepararsi. Le serve le avevano preparato un profumato e caldo bagno nel quale era riuscita a rilassarsi; indossava uno dei suoi abiti preferiti, color lavanda, che le fasciava il corpo nel modo giusto e senza evidenziare le sue curve come una normale popolana. Era elegante.
I capelli scuri e morbidi erano stati intrecciate in complicate crocchie ordinate, sulle quali era stato poggiato un diadema per identificare il suo status. Labbra e occhi erano stati colorati con semplici trucchi ricavati dalla terra, niente di appariscente, il necessario per renderla ancora più bella di quanto già non fosse.
In quel momento Hatice si stava osservando allo specchio, contenta di ciò che le sue serve avevano realizzato. Si piaceva e, cosa più importante, sapeva che sarebbe piaciuta al suo Ibrahim.
- Siete bellissima, Hatice Sultan. -
La sorella del sultano sorrise, guardando il riflesso del suo unico amore sullo specchio. Si voltò per osservarlo in tutta la sua unica bellezza. Indossava l'uniforme bianca, quella che di solito utilizzava durante i ricevimenti importanti, nei quali c'era molta gente di ceto nobile. Dall'ultima volta che lo aveva visto aveva riacquistato colore ed era certamente più riposato e pulito.
Il bianco dell'uniforme evidenziava i suoi tratti scuri e metteva in risalto gli occhi verdi, straordinariamente belli.
-Lasciateci, non ho bisogno d'altro. - Le serve si inchinarono velocemente per poi fuggire via e chiudersi la porta alla spalle. - Che succede, agàpi mou, non ti aspettavo così presto. -
-Ti devo dare una notizia meravigliosa e non riuscivo ad aspettare, benim ay... Tuo fratello, Allah lo abbia per sempre in gloria, ha approvato la nostra unione. Potremmo ufficialmente diventare marito e moglie! -
-Cosa? - Hatice non riusciva credere alle sue orecchie. Più volte Ibrahim aveva chiesto a suo fratello, anzi implorato, di poterla corteggiare e poi sposare, ma Selim aveva sempre rifiutato. Nessuno sembrava essere degno per la sua sorellina.
Fino a quel momento avevano condiviso il loro amore in segreto, silenziosamente e timorosi di essere scoperti.
-Hai capito bene! Lo annuncerà questa sera, davanti a tutti! -
Hatice rise a volte alta, battendo i piedi al suolo per la felicità. Corse verso Ibrahim, gettandogli le braccia al collo e baciandolo innumerevoli volte. Era in preda alla pura gioia e felicità. Potevano essere finalmente felici.
-Tutto merito tuo, agàpi mou, hai scelto bene quella ragazza! -
Ibrahim l'abbracciò, poggiando il capo su quello della donna, tuttavia non disse nulla.
Preferì restare in silenzio, come spesso accadeva quando Selim e Hatice nominavano la rossa.


*** ***
Sapeva che invece di recarsi da quella parte del palazzo, doveva fare ben altre mansioni. Stava infrangendo tutte le sue regole, i suoi principi e le promesse che si era fatto... Tuttavia doveva vederla.
Non sapeva spiegare la sensazione che provava in quel momento e si odiava maledettamente per quello, perché gli sembrava di star tradendo la fiducia della donna che amava e del suo migliore amico, recandosi da lei, nella sua camera da letto.
La porta del dormitorio delle concubine era socchiusa. Le altre ragazze erano in giardino per concludere il loro regalo, fatto per il sultano.
Roxelana, essendo di per sé un regalo e l'ultima arrivata, era stata lasciata lì da sola a studiare.
L'uomo afferrò la maniglia della porta e fece per entrare, quando sentì delle voci provenire da essa. Erano quelle del sultano e della rossa.
Ibrahim sbirciò dalla fessura, notandoli seduti pochi letti più lontano, a ridere. Selim le stava accarezzando una guancia, lentamente, mentre lei gli sorrideva radiosa e faceva lo stesso.
Sembravano persi nel loro mondo.
-Sei bellissima, Hurrem. - La ragazza arrossì quando il viso del sultano si avvicinò al suo lentamente, mentre le sue mani continuavano ad accarezzarle la pelle.
Ibrahim non riuscì più a guardare oltre e se andò così come era arrivato. Sapeva che non avrebbe dovuto andare da lei, la sua testa glielo aveva detto e lui aveva fatto il contrario.
Gli stava bene.


*** ***


Alla festa del sultano Roxelana non fu invitata, o almeno non come ospite ufficiale. Doveva aspettare il momento in cui il sultano avrebbe scartato i suoi regali e allora l'avrebbe mostrata a tutti gli invitati.
Dunque la rossa restò tutta la serata a leggere qualcosa e studiare il turco.
Selim era passato qualche ora prima, tutto in ghingheri e bellissimo come suo solito, per portarle la cena.
Roxelana sorrise, ripensando a come fosse stato gentile con lei. Il modo in cui le aveva accarezzato il viso e come le sue labbra l'avevano baciata lentamente e in modo passionale. Era stato il suo primo bacio... Ma era contenta di averlo dato proprio a Selim, al suo sultano.
Era stato meraviglioso, anche se lei era stata un po' impacciata.
Quello che non si aspettava di vedere, però, era Ibrahim affacciato alla porta, intento a spiarli.
Stava leggendo una favola che di solito la Favorita leggeva al piccolo Musafà, quando il Gran Visir entrò nella stanza. Avanzò con passo deciso verso la ragazza, che lo seguì con lo sguardo per tutti il tragitto e le si fermò proprio di fronte, torreggiando su di lei in tutta la sua altezza.
Roxelana lo guardava e Ibrahim guardava lei, nessuno parlava. La concubina notò con stupore che quel colore, il bianco, di solito associato a persone pure di cuore e caste, gli stesse d'incanto. Gli evidenziava i lineamenti scuri e gli occhi chiari.
Non credeva che fossero così verdi...
Ibrahim aveva uno sguardo magnetico, la costringeva ad osservarlo, ad ammirarlo in tutta la sua bellezza statuaria. E lei non riusciva a staccare lo sguardo.
Faceva questo effetto a tutte?
-Rossa... - La salutò con il solito tono glaciale. Non era cambiato niente fra loro, nonostante lo avesse beccato poche ore prima alla sua porta. - Devi venire con me, è il momento dei regali. -
-Va bene. - Roxelana si alzò dal letto e lo seguì silenziosamente dall'altra parte del castello, diretti lì dove si tenevano i festeggiamenti.
C'era parecchio ghiaccio fra loro due, solo uno stupido non avrebbe potuto notarlo. La lontananza non aveva fatto poi così bene. Era forse l'ultima volta che lo incontrava? Sperava di sì.
-Hai un nuovo nome adesso, eh? Hurrem... Penso che Roxelana sia più adatto per te. Tu non ridi mai. -
-Con voi no, ma con Selim sì. -
-Selim? Vedo che vi chiamate per nome adesso. Il sultano è proprio preso allora. - Roxelana non poteva vedere la faccia di Ibrahim, ma da come aveva irrigidito le spalle, sospettava che qualcosa non andasse. Cosa aveva fatto adesso?
-Perché ci stavi spiando prima? -
Ibrahim si girò di scatto, come se lo avesse insultato pesantemente e l'afferrò per un braccio, questa volta senza farle male.
-Io non vi stavo spiando. - Aveva la mascella serrata, parlava da una stretta fessura fra i denti. Roxelana temeva che se li rompesse. - Volevo solamente parlare con il sultano e mi avevano detto che fosse con te. Quando ho visto che avevate di meglio da fare, me ne sono andato. -
-Balle. - Roxelana alzò il sopracciglio. Sapeva che non fosse vero quello che stava dicendo.
-E' la verità. -
-Balle.-
-Puoi anche non crederci, io sono in pace con me stesso. Poco mi importa di quello che una concubina pensa di me, sono il Gran Visir. -
-Balle.-
-Oh, insomma, smettila!-
-So quando menti,c'è una strana luce nei vostri occhi e inoltre non mi state facendo male al braccio, segno che non siete effettivamente arrabbiato come volete far credere perché siete nel torto. -
-E da quando in qua mi conosci così bene, Hurrem? - Mollò la presa sul suo braccio, lasciandola andare via. Roxelana sorrise, avvicinandosi verso Ibrahim tanto da averlo vicinissimo.
-Vi conosco più di quanto voi mi conosciate, caro Ibrahim Pascià. Adesso andiamo? -


A.N//
Salve a tutti!
Mi scuso come sempre per il ritardo ma queste due settimane oltre a fare lo stage con la scuola, sto lavorando per conto mio in campagna... Mi sveglio alle tre del mattino e mi ritiro alle tre del pomeriggio e sono troppo stanca persino per respirare, figuriamoci per mettermi al computer e scrivere!
Abbiate un po' di pazienza perché non mi sono dimenticata dei miei 'doveri'. Dovrei finire verso la fine di giugno e allora potrò aggiornare più di due volte a settimana, impegni e vita sociale permettendo xD
Spero che questo capitolo non vi abbia schifato, io non ne sono molto soddisfatta ma per non farvi aspettare molto, mi sono costretta a pubblicarlo.
Lasciatemi come sempre un parere o una critica o che ne so, basta che mi fate sapere, sempre se vi va! xD
Alla prossima xx
Intanto beccatevi sti gnocconi.

Hatice Sultan: 
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Ibrahim: Image and video hosting by TinyPic
Roxelana: Image and video hosting by TinyPic

 

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Capitolo 10
*** IX ***


~~
AN//
Prima di lasciarvi alla lettura del capitolo, volevo scusarmi dal profondo del cuore per il ritardo con cui recentemente sto aggiornando. Purtroppo stavo lavorando e non ho avuto un attimo di tempo libero per scrivere. Spero sia rimasto ancora qualcuno a leggere questa storia... Per fortuna adesso ho finito e posso dedicarmi tutto il tempo alle mie storie!
 Vi ringrazio, ad ogni modo, per tutte le visualizzazioni e i commenti che molto gentilmente mi lasciate ogni volta!
Buona lettura e al prossimo aggiornamento!
                                               *** ***
Per il resto del tragitto Ibrahim e Roxelana rimasero in silenzio. Il primo era furioso per essersi fatto zittire da quella schiava insolente, la seconda troppo agitata all'idea di incontrare il sultano e felice di aver saputo reggere testa al Gran Visir.
Il rapporto che stava cominciando ad instaurarsi con il sultano le metteva sicurezza. Mai nessun sultano si era dimostrato così premuroso e servizievole nei confronti di una concubina, tutte le serve che si occupavano di lei lo avevano sussurrato. E, a confermare ciò, erano le occhiate di astio e risentimento che la Favorita le lanciava.
Era gelosa perché lei, in poche ore, era riuscita a raggiungere traguardi che la mora aveva faticato a guadagnarsi.
Quando le porte vennero aperte, la rossa rimase completamente a bocca aperta.
Non aveva mai visto una stanza così grande, così tanto scintillante d'oro, di persone e di cibo. Lusso sfrenato in ogni dove e persone provenienti da ogni parte dell'impero e non.
Roxelana dovette trattenersi dal cedere alla tentazione di toccare qualsiasi cosa le capitasse vicino, persino le vesti delle donne, che sembravano così soffici, pregiate e dai colori sgargianti.
C'erano tappeti e bauli interamente d'oro con rubini rossi  come decorazione, direttamente provenienti dalla Francia, dal re francese in persona, che per motivi politici non aveva potuto essere lì. Dalla Cina, invece, erano giunti pregiate tende e vestiti con particolari tagli cinesi e decorazioni in oro e bronzo.
I servitori passavano da un ospite all'altro, servendo cibarie e bevande varie, mentre le concubine suonavano strumenti, cantavano o ballavano canzoni, esclusivamente composte e coreografate dalla Favorita per Selim Sultan.
Le sue compagne erano tutte vestite con gonne lunghe nere o rosse e reggiseni con frange a sonagli che producevano suoni rilassanti ogni volta che muovevano il bacino.
Tra di loro spiccava la Favorita, Mahi Debran Gulbahar, vestita interamente di rosso e con un abito differente da quello delle altre ragazze, quasi somigliante a quello delle altre donne, per identificare il suo status di Favorita e madre dell'erede al trono.
Era bellissima, si ritrovò a pensare Roxelana, quando le due si guardarono per brevi attimi negli occhi. Capiva perché Selim l'avesse scelta come sua Favorita. Era perfetta e sapeva ballare benissimo.
Mustafà Sultan, invece, era seduto in un angolino con una delle sue badanti, mentre mangiucchiava qualche dolcetto. Era palesemente annoiato.
Roxelana sorrise, quando il bambino fece la linguaccia ad una nobildonna che stava cercando di parlare con lui.
Qualcuno annunciò il nome del Gran Visir e tutti si girarono per osservarlo. Le donne, notò la schiava, sospirarono sognanti, osservando quanto stesse bene nel suo completo bianco.
Nessuno aveva ancora avuto modo di guardarla a corte, neanche in quel momento, poiché nascosta dietro  Ibrahim, che con la sua altezza, la copriva interamente.
-Mio sultano, vi auguro buon compleanno e che possano tutti i vostri desideri esaurirsi e che il mio umile regalo sia di vostro gradimento. - Ibrahim poggiò una mano sul petto, inchinandosi al suo cospetto.
Tutti, a quel punto ebbero modo di guardare Roxelana. Tutti osservavano i suoi capelli di fuoco, commentando a bassa voce qualcosa sul suo aspetto.
-Ti ringrazio, mio caro amico. - I due uomini si strinsero la mano, dopodiché Selim si girò per guardare Hurrem. - Vieni qui, non essere timida, Hurrem. -
Roxelana sorrise, camminando sicura di sé e a testa alta davanti a tutti gli ospiti. Non aveva mai avuto così tanti occhi addosso, soprattutto occhi nobili e calcolatori, ma le piaceva. Le piaceva essere ammirata... Le piaceva il potere che Selim le stava dando, in un certo senso.
-Mio sultano. - La rossa si inchinò al suo cospetto, sorridendo. Selim le prese la mano, baciandola leggermente e accarezzandole una guancia, davanti a tutti. Sussurri ed espressioni di sdegno si propagarono fra il pubblico. Mahi Debran Gulbahar distolse lo sguardo, digrignando i denti, furiosa.
-Hurrem, è un piacere rivederti. Sei più splendida di quanto tu non fossi qualche ora addietro. - Roxelana arrossì, sorridendo e passandosi una ciocca di capelli rosso fuoco dietro l'orecchio. - Allora, mie care, cosa state aspettando? Continuate a suonare quelle bellissime melodie! E' il mio compleanno e non voglio di certo stare fermo a conversare! -
Le concubine si inchinarono e ripresero immediatamente a ballare e suonare, mentre Selim prese per mano la schiava per danzare assieme a lei.
-Non importa, Hurrem. Finchè tu sei con me, nessuno ti giudicherà male. E se dovessero farlo ugualmente, non saranno problemi tuoi. -  Selim le fece l'occhiolino, facendola ridacchiare.
Ibrahim e Hatice guardavano danzare la rossa e Selim distrattamente, mentre conversavano in modo cortese fra di loro. Nessuno doveva sospettare della loro unione.
-Avete scelto bene, Ibrahim. Mio fratello è proprio felice. Non lo vedevo così dalla nascita di Mustafà Sultan. - Hatice Sultan sorrise, toccandogli delicatamente il braccio per pochi attimi.
-Cosa pensate di lei, mia signora?- Gli chiese Ibrahim, curioso di venire a conoscenza di un suo commento personale.
-Non lo so ancora. Non ho avuto modo di conversarci... Ma non mi convince del tutto; c'è qualcosa nel suo sguardo... E per bellezza non può essere comparata a Mahi Debram Gulbahar. C'è qualcosa di strano in lei che cattura, di magnetico... Sarà per questo che mio fratello se n'è, oserei dire, innamorato. -
-L'ho scelta per i suoi capelli, a dire il vero... Mi ha dato molto problemi, non vedevo l'ora di liberarmene. -
-Avete sempre odiato occuparvi di cose del genere, Ibrahim. Siete pieno di ricordi dolorosi e compiere viaggi di questa portata, non fa altro che far riemergere a galla quei ricordi... -
-Hatice, vi prego, non qui. Non mi sembra luogo o momento per parlare delle mie debolezze. -
Hatice Sultan sorrise, fremendo dalla voglia di accarezzargli una guancia. Il suo forte e autoritario Ibrahim! Sempre così onorevole.
-Non è debolezza, Ibrahim. E' essere umani. -
-Devo andare adesso, il comandante della guardia vuole parlarmi. Non vedo l'ora di sentire l'annuncio. E devo prima fermarmi per salutare Lady Freya.-
-Ogni volta sempre la stessa storia, Ibrahim. Da quando suo marito è morto non fa altro che venire  a corte e cercare di parlarvi. - Hatice arricciò le labbra, facendolo sorridere.
-Vedo della gelosia nei tuoi occhi, Hatice Sultan. -
-Vai, adesso, se non vuoi che ti schiaffeggi qui davanti a tutti. Sbruffone! -
Ibrahim rise, afferrando la mano della bellissima ragazza e baciandola delicatamente, per poi recarsi da Lady Freya.
Lady Freya era una delle cugine di secondo grado del sultano. Da quando il re danese a cui era stata data in sposa, morì in circostanze misteriose un mese dopo il matrimonio, viveva nel palazzo dei genitori, in attesa che il sultano ne approvasse un altro.
Era una bella donna, sui venticinque anni, dalla pelle chiara e i capelli scuri. Era bassa, anche se difronte ad Ibrahim tutti sembravano di bassa statura, e aveva due grandi occhi color nocciola, che spesso truccava pesantemente.
-Mio caro Ibrahim. -
-Lady Freya, è un piacere rivedervi. Siete splendida. - Ibrahim si protese verso di lei, compiendo il solito cortese baciamano.
Hatice li osservava da lontano con la coda dell'occhio. E questo suo lato geloso, divertì molto Ibrahim.
-Credo che ora sia arrivato il momento del discorso, o mi sbaglio? - Selim si guardò intorno, facendo cenno ai servitori di portare dei calici con del vino. - Oggi si festeggiano due avvenimenti importanti, oltre al mio compleanno, miei cari e gentili ospiti. Sono felice di avervi tutti qui con me uniti, nonostante tutto, in questa serata, al mio fianco. Non avete idea di cosa significhi per me. La prima notizia importante che voglio condividere con voi è l'attesa di un nuovo figlio. La mia Favorita, aspetta un altro erede, spero maschio.-  Tutti sorrisero, applaudendo e congratulandosi con il sultano, Hatice e la loro madre. Gli ospiti alzarono il calice al cielo, brindando alla salute della famiglia reale. - Oltre alle nascite, agli anni che passano e a tutto ciò che oggi festeggiamo, si celebra anche un unione per la vita. Un matrimonio fra colui che considero come un fratello, un compagno inseparabile da anni, Ibrahim Pascià e la mia dolce cugina, lady Freya. Che il vostro sia un lungo e prosperoso  matrimonio!-
Ibrahim, preso alla sprovvista, perse tutti i colori dal viso. Guardò Hatice e Hatice guardò lui, prima di fuggire con le lacrime agli occhi.
Tutto ciò che successivamente si susseguì furono immagini confuse, azioni e parole che qualche ora dopo, il Gran Visir non avrebbe ricordato. Si sentiva come stordito, tradito dal suo migliore amico, illuso da vane speranze. Perché, Selim, il suo caro sultano, gli aveva fatto una cosa simile? Sapeva quanto tenesse ad Hatice Sultan, quanto l'amasse, quanto veritieri fossero i suoi sentimenti... Perché lo aveva illuso così? Aveva sempre svolto le sue mansioni con piacere, non lo aveva mai deluso o disubbidito, perché veniva ripagato in quel modo?
Tutti gli ospiti si congratularono con i promessi sposi, alcuni delusi, altri sorpresi, altri ancora indifferenti. I matrimoni erano comuni a corte. Le persone si sposavano in continuazione per concludere affari o per mettere fine a faide senza senso.
Ad ogni modo, nonostante il suo dolore e il tradimento, Ibrahim si costrinse a sorridere e ricevere con piacere tutti i finti complimenti degli ospiti. Si avvicinò alla sua nuova promessa sposa e le baciò la mano, quando Selim li guardò da lontano.
Lady Freya, notò Roxelana, non sembrava poi così stupita dalla notizia, quanto lo erano stati Ibrahim e Hatice. Che ci fosse il suo zampino sotto tutto quello? La schiava aveva notato durante tutta la serata, il modo in cui la nobile guardava il Gran Visir, e non c'erano solamente sguardi di desiderio. Era innamorata di lui.
Un amore chiaramente non corrisposto.
La serata continuò tranquillamente e danze e musiche ripresero a dilettare gli ospiti e il sovrano. Roxelana fu abbandonata in un angolino, mentre il sovrano conversava con alcuni funzionari politici.
Davanti a lei c'erano un gruppo di quattro donne, sembravano sorelle gemelle per il modo in cui erano acconciate e vestite. Indossavano tutte e quattro abiti lunghi, sfarzosi e di diverse sfumature di verde, sul capo portavano dei veli, anch'essi dello stesso colore.
-Sapete, non mi sorprende così tanto che il Gran Visir stia per sposare una delle cugine del sultano. - Disse una delle donne con aria da superiore. Parlavano russo, probabilmente per non farsi capire dagli altri.
-Che cosa intendete, mia cara? -
-Oh beh, è chiaro che sia un uomo molto ambizioso. Secondo voi, da semplice schiavo come ha fatto ad ingraziarsi il sovrano a tal punto da diventare Gran Visir e sposare una delle cugine? - Roxelana aggrottò le sopracciglia, sorpresa. Schiavo? Ibrahim Pascià uno schiavo? - E' molto semplice in realtà. Ha sfruttato il suo fascino da europeo e il suo bell'aspetto. -
-Ah, quanto invidio lady Freya. Una donna fortunata! Mio marito è così brutto e dai modi molto rozzi, da sembrare un maiale. Non mi importerebbe tanto di sposare uno schiavo con quei modi e con quella faccia! -
-Ma non avete notato il modo in cui Hatice Sultan sia fuggita via? Un'altra vittima del fascino del Gran Visir, senza dubbio. Se dovesse venire a saperlo il sultano, quell'uomo sarebbe finito. Tutti sanno quanto egli tenga alla sorella. -
Quello era troppo per le orecchie di Roxelana, erano solamente quattro pettegole che si divertivano nel sputare veleno persino sul loro sovrano!
-E quella sua nuova concubina? Hurrem... - La donna scosse il capo, come rassegnata. - Poteva comprare di meglio. I suoi capelli rossi sono il fuoco che ci brucerà tutti! Quella ragazzina non è neanche di bell'aspetto come le altre concubine. -
-E il modo in cui ha danzato con lei davanti a tutti? Incosciente! Questi giovani di oggi, sono così irrispettosi! -
-Ma come osate! - Sbuffò la rossa, colpita nell'orgoglio e vogliosa di difendere lei e il suo Selim. - Come osate dire tutte queste malignità sul vostro sovrano, sua sorella e il Gran Visir! -
Le quattro donne si girarono di scatto, spaventate da chi avesse potuto sentirle, ma quando la notarono, le loro espressioni si calmarono.
-Come osi tu, ragazzina, rivolgerti così a noi. Siamo più importanti e grandi di te. Non te l'ha insegnato il tuo padrone a stare in silenzio? Sei solo una ingrata. Una mia sola parola e verresti decapitata!-
-Una mia sola parola e voi verreste decapitate! -Roxelana sorrise, sentendosi sicura di sé. - O non avete notato il modo in cui il sultano mi ha stretta davanti a tutti? Darà più ascolto a voi quattro o alla donna che ama? -
-Amore? Credi davvero che uno come lui possa amare una come te? Sei una ragazzina stupida, oltre che brutta. -
-Sarò anche brutta, ma sono ancora nel fiore dei miei anni e  non provo invidia per quelle più giovani e soprattutto oggi sarò io, quella a giacere con il sultano. Vogliate scusarmi. - Roxelana si inchinò leggermente per poi uscire di corsa dalla sala.
-Sai, non dovreste parlare a quel modo a quelle donne. Una parola e potresti trovarti sotto terra prima che tu te ne accorga. - La rossa sussultò, quando Ibrahim comparve alle sue spalle, spaventandola.
-E voi da quando mi date del 'voi'? Non sono solamente una schiava inutile ai vostri occhi? -
-Eravate. Adesso siete una delle concubine, non più una schiava qualsiasi. E soprattutto non siete più di mia proprietà. - Ibrahim scrollò le spalle, notando l'espressione stupita di Roxelana. - Cosa ne pensate voi, di tutto questo? Perché l'ha fatto? -
La rossa deglutì, non sapendo cosa rispondergli. Perché le parlava ed era gentile con lei? Era forse ubriaco? Roxelana aveva assaggiato per sbaglio una delle bibite che servivano e le aveva subito sputate, poiché le avevano bruciato tutta la gola. Che Ibrahim avesse esagerato con esse?
-Non lo so... Non era vostro desiderio unirvi al casato del sultano?-
-Certo che no! Non sono un approfittatore e soprattutto non uso il mio bell'aspetto per elevarmi di rango. Sono un uomo onorevole e non lo farei mai...- Ibrahim aveva un'aria distrutta. Non credeva che quell'uomo così freddo e orgoglioso si lasciasse andare così, tanto meno davanti a lei.
-Loro... Loro hanno detto che sei stato uno schiavo e per questo...-
-Che cosa?! - Urlò Ibrahim, afferrandola con violenza per un braccio e sbattendola contro la parete. Roxelana si morse un labbro per non gemere dal dolore e si divincolò dalla sua presa. Sembrava stesse andando tutto fin troppo bene. Loro due che parlavano in modo civile senza che lei si facesse male, non erano Ibrahim e Roxelana. - Chi l'ha detto? Come fai a saperlo, eh? Sono solo menzogne, sporche menzogne. -
-Vi consiglio di lasciarmi andare se non volete finire nei guai con Selim. Non credo vi perdonerebbe se io mi facessi male prima di aver giaciuto con lui. - Roxelana lo minacciò, spingendolo via con violenza. Tutto l'odio che provava per lui, riemerse violentemente a tal punto da costringerla a schiaffeggiarlo violentemente su una guancia. Lo schiocco riecheggiò per tutto il corridoio semibuio e silenzioso; senza accorgersene si erano allontanati dalla sala. - Toccatemi un'altra volta e vi giuro che vi ammazzo. Non sono più di vostra proprietà e presto non sarò di proprietà di nessuno. -
Ibrahim la guardò, massaggiandosi la parte di guancia arrossata. Non se lo sarebbe mai aspettato, neanche da una come lei.
-Voi siete pazza. Selim non si farà certo abbindolare da un paio di occhi da cerbiatta. -
-Non sfidatemi, Ibrahim Pascià, voi non sapete di cosa sono capace. - Roxelana gli puntò un dito contro il petto, facendolo indietreggiare. -Sono capace di difendermi da sola, se necessario e soprattutto  da un uomo. Il fatto che voi mi abbiate portata qui, non significa niente. L'ho fatto per la mia famiglia e per le mie sorelle. - Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime.
La sua famiglia... Con tutto quello che le stava accadendo se ne era dimenticata e da un lato era un bene, poiché non li avrebbe mai più rivisti. Doveva dimenticarli.
-Siete solamente una donna, non mi fate paura. - Ibrahim sorrise, afferrandola per il polso e tirandola verso di sé, facendola sbattere contro il suo petto. - Posso manipolarti come voglio e non te ne accorgeresti perché oltre ad essere debole, sei stupida.-
-Continuate ad insultare la mia intelligenza, ma io mi vendicherò. -Roxelana rise, spingendolo via. - Le vostre parole mi scivolano addosso. Mi fate persino pietà, costretto ad un matrimonio infelice con una donna che non amate.-
-Non infierire, maledetta, non ne hai il diritto. - Ibrahim serrò la mascella, stringendo i pugni.
-Hatice Sultan è uscita in lacrime. Siete riuscito perfino a farvi amare da una donna. Mi chiedo come voi abbiate fatto. - Roxelana rise, alzando un sopracciglio.
-A differenza tua, Hatice è, appunto, una donna. E' bellissima, intelligente e capisce quando deve stare al posto suo. Ah, e soprattutto non è una schiava che vuole giocare a fare la regina, perché lei lo è di nascita e di diritto. -
-Andatevene, maledetto, andatevene! Non capisco perché ve la prendiate con me. Non sono stata io a combinare il vostro matrimonio, ma il vostro più caro amico! -
-Se tu fossi mia, adesso non avresti quella linguaccia così lunga.- Borbottò Ibrahim, irritato. - Non so neanche il motivo per cui io stia parlando con te. -
-Beh, neanche io. Quindi vogliate scusarmi, devo andare a prepararmi. - Roxelana afferrò le vesti e si inchinò leggermente. Tuttavia, prima che potesse fare un altro passo, Ibrahim l'afferrò per un braccio, tirandola a sé. Di nuovo. Roxelana sbuffò, irritata dal suo comportamento. Era facile per lui strapazzarla come una bambola di pezza! Era più grosso e più alto di lei. - Che cosa volete ancora?-
-Sta' attenta, rossa. Non sei più nel tuo villaggio, ma sei in una corte. Qui ogni arma è lecita per il potere. - Ibrahim le puntò i suoi particolari occhi verdi addosso e lei si sentì avvampare, improvvisamente consapevole delle sue mani sulla sua pelle. Deglutì, non sapendo cosa rispondergli e soprattutto non sapendo se scostarsi, quando la sua mano le afferrò una ciocca di capelli, portandogliela dietro l'orecchio. - Alla prossima, ragazzina. -
Ibrahim la lasciò andare all'improvviso, ritornando indietro, mentre Roxelana si recò dalle serve che l'avrebbero preparata per la grande notte.
Non si sarebbe mai abituata a quell'uomo, pensò la rossa, era sempre così snervante da farla uscire fuori di testa.
 

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Capitolo 11
*** X ***


Quando Roxelana ed Ibrahim si sperarono, la schiava imboccò la parte opposta di quella del Gran visir, ovvero quella che conduceva direttamente agli appartamenti del sultano e degli altri componenti della famiglia reale.
I corridoio di Palazzo Topkapi erano bui e deserti, la pallida luce di luna e stelle illuminava la sua strada, rendendo il suo cammino più semplice da percorrere. Il castello del sultano era enorme, il più grande che Roxelana avesse mai visto e a causa della sua grandezza, molta gente si era persa per i lunghi corridoi.
Tappeti e quadri di vario genere erano appesi ai muri e ogni volta che la schiava vi passava davanti, sentiva una strana sensazione di disagio all'altezza del petto. Era come se gli occhi delle persone e degli animali raffigurati la seguissero per tutto il suo percorso. Era inquietante e non si sentiva a suo agio.
Tuttavia quei strani pensieri furono immediatamente interrotti dal suono di singhiozzi soffocati e silenziosi.
-Chi sarà mai... - Pensò la fanciulla, rallentando il passo e svoltando l'angolo per trovarvi Hatice Sultan. La donna era rannicchiata davanti la camera del sultano, con le mani fra i capelli e le lacrime che scendevano in modo incontrollabile sul bel volto; le spalle erano mosse da singhiozzi che le scuotevano le spalle e la sua voce rotta e rabbiosa continuava a ripetere sempre un'unica frase: - Perché Selim, perché hai fatto questo alla tua unica sorella? -
Roxelana si bloccò, osservandola, indecisa sul da farsi. Come doveva comportarsi con lei? Non la conosceva e non sapeva com'era il suo carattere. Era dolce e comprensiva come suo fratello o antipatica e con la puzza sotto il naso come Ibrahim? Le dispiaceva per Hatice. Era chiaramente turbata dalla notizia ricevuta sul matrimonio di Ibrahim con sua cugina. Infatti era evidente che la donna provasse del sentimento molto forte per il Gran Visir.
Perché Selim si era comportato in quel modo nei confronti della sorella, sapendo di ferirla? Roxelana dubitava che il suo sultano non si fosse accorto dei loro sentimenti.
Nonostante le apparenze, gli occhi non ingannano mai.
-Principessa, perché piangete? - La rossa si avvicinò lentamente ad Hatice, mettendosi sulle ginocchia. Le parlò in arabo, ma era decisa ad imparare la lingua turca il più velocemente possibile.
-Andate via, Hurrem. Lasciatemi piangere da sola. - Hatice si coprì il volto con le mani, tirando su col naso. Tutto il trucco che le serve le avevano accuratamente applicato sul viso, adesso era sciolto. Ma, nonostante ciò, la principessa era comunque bellissima e questo fece provare della profonda invidia a Roxelana.
Era forse quello uno dei motivi per cui Ibrahim Pascià ne era innamorato?
-No, sua maestà, vorrete perdonarmi, ma non intendo obbedire. Nessuno dovrebbe piangere da sola. - Disse Roxelana, afferrando delicatamente le mani di Hatice e spostandole dal viso. - Che cosa vi turba così tanto? Di me potete fidarvi, anche se sono solamente una schiava...-
-Non voglio parlare con nessuno adesso... Ma, vi prego, aiutatemi ad alzarmi.- Roxelana annuì, prendendola per le braccia e sollevandola da terra. - Le mie stanze sono qui vicino. -
-E' per il Gran Visir, non è vero? State così per lui...- Mormorò la rossa, mentre apriva la porta e aiutava la principessa a sistemarsi sul suo enorme e lussuoso letto.
-E' così evidente, Hurrem? Se ne sono accorti tutti lì, non è vero? Ho dato spettacolo... - Hatice si portò una mano fra i capelli, sospirando. Aveva smesso di piangere, ma i suoi occhi scuri erano gonfi e rossi e la faccia tutta impiastricciata di trucco.
-No, Hatice Sultan, solamente io e il Gran Visir...- Mentì la rossa, tormentandosi le dita, nervosa. Si sentiva a disagio e non sapeva spiegarne il motivo. La principessa era stesa sul letto ancora tutta vestita e con il diadema sul capo, mentre lei era in piedi a pochi centimetri da lei. -Volete che vi aiuti a sistemarvi per la notte? -
-No, non è un vostro compito, Hurrem. Voi siete stata comprata solo per il piacere del mio gentilissimo e comprensivo fratello. - Commentò sarcastica la donna, mettendosi seduta. Era arrabbiata, ma allo stesso tempo triste. Lo si leggeva nei suoi occhi... Era ferita.
-Lo faccio con piacere, mia principessa. - Hatice la guardò a lungo, soppesandola con lo sguardo, indecisa se accettare il suo aiuto o meno.
-Almeno sai come si faccia?-
-Imparo molto in fretta, Hatice Sultan.-
-E va bene. - La sorella del sultano sospirò, alzandosi dal letto e mettendosi al fianco della rossa. - Vai nel mio armadio e prendi la camicia da notte, quella bianca con decorazioni rosa.-
Roxelana fece come le fu ordinato e si diresse velocemente verso l'altra parte della stanza, aprì le ante dell'armadio e afferrò il vestito per poi dirigersi verso la principessa. Non prima però, di aver toccato la seta pregiata del tessuto e aver odorato il profumo di buono e limone che esso emanava. Nel suo villaggio erano rari i vestiti che profumavano di buono e soprattutto era rara l'acqua che poteva essere utilizzata per lavarsi.
Quando notò il modo in cui Hatice la stesse fissando, Hurrem arrossì, sorridendo imbarazzata.
-Dovete scusarmi, principessa, ma i miei poveri occhi non hanno mai visto delle sete così pregiate.-
-Ibrahim mi ha detto che il tuo era un villaggio molto povero... - Hatice sorrise, comprensiva. - Aiutami a slacciare l'abito che indosso e dopo passami l'altro. -
-Sì, è vero, è un villaggio molto povero. - Concordò Roxelana, portando di lato i lunghi capelli della ragazza, sfuggiti alla acconciatura ed armeggiando con i vari lacci dell'abito e del corpetto. - Soprattutto per una famiglia di umili origini e numerosa come la mia. Spesso rimanevamo senza cibo per giorni...-
-Dev'essere stato orribile. Povera ragazza. - Roxelana sorrise, notando i vari veli colorati del vestito cadere al suolo lentamente. Poi afferrò la camicia da notte e la fece indossare alla principessa, stando attenta a non sporcarla con il trucco sbavato.
-Dopo anni che sopporti la fame, non ci fai più caso. - La rossa scosse il capo, cancellando dalla mente le immagini delle sorelle ridotte in scheletri dalla fame. Si chinò e raccolse il vestito della sultana, appoggiandolo sul letto. C'erano stati periodi in cui avevano sfiorato la morte. L'unica consolazione, in quel momento, era che i soldi della sua cattura, avrebbero aiutato in meglio la sua famiglia per qualche anno.
-Venite qui, aiutatemi a spazzolarmi e a togliermi tutto questo trucco. - Hatice abbozzò un sorriso e Roxelana la seguì senza fiatare. - Se mio fratello dovesse venire a sapere che vi ho fatto fare del lavoro da serva, si arrabbierebbe con me. -
-Beh, facciamo in modo che lui non lo venga a sapere. - Hurrem le sorrise attraverso lo specchio della toeletta. Afferrò il diadema, poggiandolo nel portagioie per poi prendere la spazzola e pettinarle i capelli, stando attenta ai nodi. I suoi capelli erano perfino più setosi dei suoi abiti!
-Posso confidarmi con voi, Hurrem? - Domandò Hatice, mentre si rimuoveva lo sporco con una pezza bagnata d'acqua. - Sai, mi sembrate una brava ragazza e mio fratello è uscito letteralmente fuori di testa per voi. Potremmo diventare amiche, se voi lo desideraste... Sapete, a corte non brulica di persone che offrono la propria amicizia per desiderio...-
-Oh, mia principessa, così mi onorate immensamente! - Roxelana arrossì, estremamente stupita dalla sua proposta. - Mi piacerebbe molto diventare vostra amica! Soprattutto perché sembra che tutte le concubine del sultano mi odino. -
-Sapete, penso che abbiano ragione. Temono il potere che tu potresti esercitare su mio fratello. Come ho già detto, lui è molto preso da te. Non era mai successo prima. - Hatice le sorrise dolcemente, notando il rossore crescere sulle guance della ragazza. - E da quello che vedono i miei occhi, anche voi lo siete! -
-Oh, principessa, come potrei non esserlo! Vostro fratello è l'uomo che ho sempre desiderato sposare. E' gentile, comprensivo e dolce. E da quello che vedo è un buon fratello e figlio e padrone.- Roxelana poggiò la spazzola e prese dalle mani di Hatice la pezza per pulire il restante trucco dai suoi occhi. Quando ebbe finito, la principessa ritornò ad essere bellissima.
-Allora perché mi ha fatto una cosa del genere?- Domandò Hatice, afferrando le mani della rossa.
-Forse non aveva idea del vostro sentimento per lui... Cosa che, a mio modesto parere, non per offendervi, non riesco a concepire neanche io.- Borbottò Roxelana, ripensando allo schiaffo che gli aveva dato qualche attimo prima e al modo in cui riusciva a farla innervosire.
-Lui sapeva, Hurrem. Lui sapeva. La nostra storia va avanti da quando siamo bambini. Siamo vissuti e cresciuti insieme, abbiamo fatto tutto insieme... Mio fratello sapeva perché il mio Ibrahim lo ha supplicato innumerevoli volte, persino in ginocchio, di approvare la nostra unione. Ma non c'è stato verso o ragione! Lui ha sempre negato e proibito ogni tipo di contatto fra noi. - Hatice sospirò, disperata. - E, come per voi, Selim è l'uomo dei vostri sogni, Ibrahim è il mio. Quello che lui mostra agli altri è solamente la corazza. Non avete idea di quanta bontà quel serio e autoritario Gran Visir celi nel suo grande cuore. -
Roxelana rimase a bocca aperta, non sapendo cosa rispondere. Hatice era la seconda persona che le confessava una cosa simile. La prima era stata Fiammetta, dopo l'ennesima litigata con Ibrahim.
Doveva realmente crederci? O erano accecate dall'affetto che provavano per lui?
-Adesso va', le serve staranno aspettando per prepararvi. Non vorrete far aspettare il vostro sultano, vero? - Hatice sorrise, abbracciandola calorosamente. - Siete stata molto gentile con me, Hurrem. Non lo dimenticherò. -
-Buonanotte, Hatice Sultan. - Roxelana si inchinò, prima di uscire dalla camera.


*** ***
Quando gli ultimi ospiti vennero congedati e finalmente non rimase più nessuno da intrattenere, Ibrahim ebbe modo di parlare liberamente con il sultano. Per tutta la serata aveva ballato con Freya, reprimendo la voglia irrefrenabile di correre da Hatice, prenderla in spalle, gettarla sul suo cavallo e fuggire via per sempre, infischiandosene dei suoi doveri e del suo orgoglio.
-Selim, possiamo parlare un momento? - Chiese Ibrahim, toccandogli una spalla e fermandolo dall'entrare nelle sue stanze.
-Ibrahim, non adesso. Hurrem mi aspetta... Facciamo domani, va bene? - Selim gli diede una pacca sulla spalla, afferrando la maniglia della porta, ma Ibrahim lo prese per un braccio, fermandolo di nuovo.
-In nome della nostra amicizia, ti chiedo di parlare adesso. - Insistette il Gran Visir con la sua solita espressione seria, la stessa espressione che usava quando conversava con i funzionari politici e con la rossa Roxelana.
-Se stai usando quella espressione, allora devo proprio essere nei guai. - Selim sorrise, passandosi una mano fra i capelli. - Almeno entriamo. -
I due uomini fecero come suggerito dal sultano ed entrarono nella camera da letto. Ibrahim incrociò le braccia al petto e Selim alzò un sopracciglio, invitandolo a parlare.
-Perché?- Fu l'unica cosa che Ibrahim aveva bisogno di dire in quel momento. Voleva spiegazioni e le avrebbe avute, oppure il sultano avrebbe avuto un bell'occhio nero da sfoggiare alla corte il giorno seguente.
-Che cosa intendi, Ibrahim?-
-Perché con Freya? Sapevi benissimo quali erano e quali sono i miei sentimenti per Hatice e sai benissimo che sono ricambiati. Allora perché hai fatto questo a due delle persone che tengono di più a te e che tu ami maggiormente? - Ibrahim era furioso, ma il suo tono era glaciale. A guardarlo da lontano sembrava perfettamente normale. Ma Selim sapeva dove guardare, sapeva leggere la sua espressione scavata nella pietra, sapeva vedere oltre il suo incredibile autocontrollo. Selim lo conosceva meglio di sua madre. -Non sono forse stato un ottimo suddito per te? Non ho mai obbiettato ad ogni tuo ordine, Selim, mai! E vengo ripagato così? Perché desideri la mia infelicità? E a tua sorella Hatice non pensi? Che cosa ti abbiamo fatto? Siamo fratelli, ricordi? Hai detto che non mi avresti mai ucciso, ma con questa tua decisione è come se lo stessi già facendo!-
-Ibrahim!- La voce del sultano tuonò per tutto la stanza e tutto il corridoio, interrompendolo. Anche lui era arrabbiato, o quanto meno innervosito. - Non osare contraddire un mio ordine! Freya è mia cugina e sposandola entreresti a far parte della mia famiglia. E' un buon partito per te e oltre ad essere una bella donna, è intelligente e ricca. -
-Io non voglio i suoi soldi... Non ho mai voluto soldi da nessuno di voi, Selim, non puoi dire che...-
-Lo so, fratello mio, lo so. - Selim sorrise, afferrandolo per le braccia. - Ma sei arrivato ai trent'anni e hai bisogno di crearti una famiglia e una discendenza. Non sei contento? Saremo parenti adesso!-
-Tu mi condannerai ad un matrimonio infelice. Vuoi veramente il mio male, fratello?- Nello sguardo di Selim, adesso, si leggeva la sofferenza. Le parole di Ibrahim lo avevano colpito nel profondo. Lo avevano ferito... Ma mai come quell'unione avrebbe ferito il Gran Visir.
-Per gente come noi, Ibrahim, i matrimoni non saranno mai felici. C'è solo infelicità! -
-Io non sono uno di voi, Selim! Dimentichi le mie origini?!- Esclamò l'uomo, portando le mani al cielo.
-Non mi importa. Se tu sei il mio migliore amico, il fratello che non ho mai avuto, ci sarà un motivo...-
-Allora mi merito una spiegazione, in onore della nostra amicizia e del nostro legame! Ti prego, fratello, perché non mi hai mai dato il permesso di sposare Hatice?-
Selim sospirò, odiandosi per quello che gli avrebbe risposto:-Perché non sei degno di lei. Non puoi garantirle nessun futuro tu, Ibrahim. L'amore non sarà mai sufficiente. -
-Capisco.- Le spalle di Ibrahim si irrigidirono tanto da sembrare fatte improvvisamente di pietra. - Goditi il resto della serata, mio sultano. Buonanotte. -
Certe verità possono fare più male di certe bugie. E Ibrahim, questo, lo stava vivendo in prima persona. Quella verità, detta dalla bocca del suo migliore amico, gli aveva strappato il cuore dal petto e buttato via, come un pezzo di carne qualsiasi.
Lui non era degno, non lo sarebbe mai stato...

AN//
Mannaggia a Selim che mi trata male il mio piccolo ed indifeso Ibrahim! Cattivi bambini!
Come promesso, a distanza di due gionri, eccomi qui con un nuovo capitolooo! Applausi per me. 
Lasciatemi un parere, buono o cattivo che sia. E vi ringrazio per le recensioni e i commenti che molto gentilmente mi lasciate!
Come vi sembrano i personaggi fino ad ora? Ibrahim, Hatice, Hurrem e Selim? Chi vi piace più, chi meno? E sto riuscendo a farvi immedesimare in quell'epoca? Vi prego di rispondere  a queste mie piccole domande di curiosità... Voglio sapere se sto riuscendo nel mio intendo, se no accetto consigli per migliorare!

 

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Capitolo 12
*** XI ***



~~Quando Ibrahim se ne fu andato come un cucciolo ferito dal  padrone, Selim si buttò sul enorme e soffice letto a baldacchino.
-Allah, perché le mie labbra hanno parlato con cotanta freddezza e cattiveria?- Si interrogò, passandosi una mano tra i capelli soffici e lunghi.
Erano rare le volte in cui lui e il suo migliore amico litigavano, ma quando succedeva Ibrahim era capace di tenergli il broncio per giorni. Era sempre stato particolarmente suscettibile e permaloso, il suo Gran Visir... Se la prendeva facilmente e se non eri tu a porgergli le tue scuse, lui non abbassava  il capo. Era orgoglioso e testardo, Ibrahim.
Selim, dal  canto suo, non gli aveva mai rinfacciato le sue origini. A lui non importavano tutte le baggianate che gli aristocratici predicavano sulla superiorità dei nobili sui ceti più bassi e più poveri. Per il sultano, agli occhi di Allah, ogni persona era uguale. Non importava da quale famiglia uno proveniva.
Bastava prendere Ibrahim stesso come esempio: lui, un ex schiavo, era più intelligente di quanto lui avrebbe mai potuto essere, aveva modi ben più raffinati dei suoi e persino più cultura di lui, nonostante a palazzo ci fosse una tra le biblioteche più grandi del mondo conosciuto! A Selim non piaceva particolarmente dedicarsi alla lettura; essa non era fra i suoi passatempi preferiti.
Selim si sentiva un verme. Non sopportava l'idea di aver ferito una delle persone che più amava, per un matrimonio combinato... Aveva frainteso il sentimento di amicizia che Ibrahim provava per la sua bella cugina. Sperava che organizzando un matrimonio, il suo amico dimenticasse sua sorella, alla quale non si sarebbe mai unito legalmente. Lui non avrebbe mai lasciato che Hatice sposasse Ibrahim, mai.
Non lo faceva per cattiveria, ma per morale e principio. Hatice era ancora una bambina, aveva una vita davanti per sposarsi e non capiva cos'era l'amore. Quello che provavano l'uno per l'altra era semplicemente amore fraterno, scambiato per altro.
Se Selim avesse concesso quella unione, sarebbe stato come ammettere alla sua corte l'incesto. Che atto deplorevole e senza onore! Allah li avrebbe condannati tutti!
Ad ogni modo avrebbe fatto fare loro una bella dormita per calmarsi; successivamente avrebbe fatto visita ad Hatice e le avrebbe chiesto scusa. Era stato così felice per la gravidanza della sua Favorita e per il regalo di Ibrahim, da aver dimenticato i sentimenti di sua sorella, della sua dolce e piccola sorella.
Aveva promesso di farle da padre e da fratello ed era quello che aveva intenzione di fare fino alla fine dei suoi giorni.
Selim si alzò dal letto e con mosse veloci si tolse tutti i vestiti superflui, rimanendo  solamente con un paio di calzoni bianchi. Doveva aspettare la sua dolce e bella Hurrem, almeno in lei avrebbe trovato del conforto.
Era strano il modo in cui lui e la schiava avevano legato sin dal primo momento in cui i loro sguardi si erano incrociati. Selim non aveva mai amato nessuna delle sue concubine, persino la sua Favorita da cui aveva avuto il suo primo erede maschio, la sua prima gioia, Mustafà.
Era scontato pensare, per lui, che fossero solo degli oggetti da sfruttare per il suo unico piacere. Le aveva comprate solo per quello, infatti.
Tuttavia in Hurrem c'era qualcosa di diverso. Lo aveva stregato. I suoi occhi verdi, i suoi capelli rossi, il suo sguardo coraggioso ma allo stesso tempo impaurito e la sua innocenza, erano un mix che non lo lasciavano indifferente in una donna, anzi... Gli piaceva e finalmente, quella sera, l'avrebbe avuta in tutti i sensi.
Si trovava in uno degli enormi balconi della sua camera da letto a osservare le stelle nel cielo scuro, quando la porta sbatté all'improvviso, facendolo sussultare. Selim si girò di scatto, pronto a combattere con chiunque avesse cercato di fargli del male, ma il suo sguardo si addolcì quando notò la sua schiava, la sua Hurrem, schiacciata contro la parete.
I suoi lunghi e bellissimi capelli rossi erano stati abilmente intrecciati in una acconciatura semplice sul capo; le labbra erano state colorate di rosso, mentre gli occhi di nero, in questo modo venivano messi  in risalto i suoi bellissimi occhi chiari. Vestiva una semplice e bianca camicia da notte, che le lasciava scoperte le caviglie e le braccia color latte.
Selim sorrise in modo incoraggiante, allungandole la mano e spronandola a raggiungerlo.
-Vieni avanti, mia bellissima Hurrem. Non ti farò alcun male. - Roxelana sorrise, camminando lentamente verso il suo padrone. Tremava come una foglia, ma non per il freddo. Quando lo raggiunse, Selim non la toccò, ma si limitò a fissarla. Per lei voleva essere diverso, non doveva agire come con tutte le altre. - Ti hanno spiegato quello per cui Ibrahim ti ha comprata, non è vero?
-Sì, mio padrone. La Valide Sultana mi ha detto che voi ed io dobbiamo giacere insieme. - Le guance di Hurrem si imporporarono di rosso per l'imbarazzo. Si torturava le mani, pizzicandosi i palmi con forza. Era nervosa. - Però io non so come fare... Perdonatemi, ma ho paura. -
-E' comprensibile, mia cara. Non ti preoccupare, sarò delicato... - Selim le sorrise, afferrandole dolcemente il mento con due dita per guardarla negli occhi. - Che ne dici se inizi a darmi del 'tu', come sto facendo io e mi chiami per nome? -
-Oh, non potrei mai! Non è rispettoso, mio padrone. - Gli occhi della ragazza si tinsero di stupore e paura.
-Ma te l'ho chiesto io, Hurrem. Sarei felice se tu mi chiamassi con il mio vero nome. Non vorrai negarmi un favore il giorno del mio compleanno, spero... -
-No, certo che no, mi... Selim. - La rossa sorrise, arrossendo di nuovo. -Sei l'uomo più gentile che io abbia mai incontrato, Selim. -
-E perché mai, Hurrem? - Il sovrano le portò una mano sulla guancia, accarezzandola dolcemente, mentre la rossa chiudeva gli occhi per la sensazione piacevole. Aveva la pelle d'oca su tutto il corpo.
-Perché mi tratti bene. Non siete egocentrico e malvagio come Ibr... Ehm, come gli altri nobili. - Roxelana sorrise, notando l'espressione confusa di Selim. La guardava in un modo... Era come se qualunque cosa lei dicesse, persino la più stupida o semplice, fosse sacra. La guardava come si guarda la Luna, con ammirazione e stupore. La guardava come la guardavano i suoi famigliari, con amore. Era diverso da Ibrahim, due uomini così differenti ma così amici. Il Gran Visir la guardava come si guarda un appestato, la guardava con odio e indifferenza... Ibrahim non l'avrebbe mai guardata con amore. L'unica cosa che quel pomposo nobile sapeva fare era scuoterla come una bambola di pezza, mentre litigavano animatamente. La sua bocca non conosceva parole dolci, sussurrate al calare della sera nelle orecchie, proprio come Selim stava facendo. I suoi occhi non conoscevano l'amore. Le sue mani non conoscevano le carezze.
Era un uomo rude e lei lo odiava. E, in quel momento, odiava  più se stessa per non prestare attenzione al suo sultano, al suo padrone, all'uomo che era convinta che sarebbe finita per amare profondamente. Perché le si intrufolava in modo così prepotente fra i pensieri? Che cosa voleva da lei?
-Hurrem, mi stai ascoltando? - Selim la guardò divertito. Non c'era traccia di rabbia nel suo sguardo. Roxelana sorrise, buttandogli all'improvviso le braccia al collo e baciandolo sulle labbra. Lo aveva fatto d'istinto, senza pensarci troppo. Aveva bisogno di sentirsi amata e sapeva che il suo Selim, perché sarebbe diventato suo ad ogni costo, l'avrebbe resa felice e l'avrebbe amata come nessun altro avrebbe mai potuto fare. Lo sentiva nelle ossa e nelle viscere che tremavano ogni volta che lui la toccava.
-Mi renderai felice questa sera, mio sultano? - Gli chiese, accarezzandogli i lunghi capelli scuri e la leggera barbetta.
-Questa sera, l'altra ancora e per tutta la vita. Sei una stella mandata dal cielo e regalatami per tutta la mia esistenza. Sei mia e di nessun altro, Hurrem. Mi hai stregato dal primo momento in cui sei entrata in questa camera. - Selim, sentendo il desiderio crescere in lui, si chinò e la baciò con foga.
-E allora fai di me ciò che vuoi, Selim. Amami come nessun altro e io sarò per te tutto. Se non mi amerai, la tua stella si spegnerà e perirà.- La rossa lo guardò con le labbra arrossate e lo sguardo deciso, posandogli le mani sulle guance e costringendolo a guardarla. - Prometti, Selim, promettimelo. -
-Te lo prometto, Hurrem, te lo prometto. Al mio fianco sarai una regina, ti sentirai così felice che il tuo cuore scoppierà di gioia. Non potrei mai far soffrire  la donna più bella del mondo.-
-Era proprio quello che speravo di sentire. - Roxelana sorrise, lasciando andare il suo viso per poi sfilarsi la camicia da notte e facendola cadere al suolo. Era completamente nuda agli occhi del sultano. - Adesso sono e sarò tua per l'eternità. -
-E io sarò tuo per l'eternità, benim yilldizim*. -
*Mia stella, in turco.
*** ***
Quando Ibrahim si congedò dal sultano, si diresse verso la camera di Hatice, deciso a spiegarle tutto l'accaduto e anche per consolarla e farsi consolare. Tuttavia quando entrò di nascosto -da uno dei corridoi segreti- nella stanza, Hatice dormiva profondamente e il Gran Visir non se la sentì di svegliarla. Conoscendola, aveva pianto per tutto il tempo... Quando l'aveva vista uscire in lacrime dalla festa, il suo cuore aveva perso un battito.
Ibrahim si sedette al lato del suo letto a baldacchino e le accarezzò i capelli dolcemente. E dopo una giornata così lunga, si lasciò andare. Con Hatice poteva farlo, poteva essere se stesso e non il Gran Visir che tutti avevano imparato a temere.
Si scompigliò i capelli e aprì i primi due bottoni della giacca che indossava, desiderando di togliersela del tutto e di stendersi accanto alla sua Hatice. Non erano mai andati oltre i baci e in quel momento, Ibrahim desiderò farlo. Forse Selim gliela avrebbe concessa in moglie, se avessero giaciuto insieme.
-Non potrei mai disonorarti così agli occhi dei tuoi sudditi, di tuoi fratello e della corte. Anche se la nostra felicità ne dipende, io sposerò Freya e tu mi guarderai essere infelice con una donna che non amo. Io, da egoista quale sono, spero di morire prima di vederti maritata con un altro uomo. - Ibrahim sospirò, chinandosi e baciandole una guancia. - Non ti merito, sai? Non ti meriterò mai, mia dolce Hatice. -
La ragazza si mosse nel sonno, girandosi dall'altro lato e dando le spalle all'amato. Il Gran Visir sorrise malinconico per poi andarsene così com'era giunto. Silenzioso e veloce come una volpe.
*** ***
-Non è possibile, avete visto come il sultano l'ha guardata per tutto il tempo? Sembrava che gli altri non esistessero. Mi sono sentita così male! Dopo tutto ciò che abbiamo fatto per lui. -
-Zitta, ragazzina, zitta! Non vorrai che i miei nervi adesso ti uccidano, spero. -
La ragazza si azzittì, messa a tacere dalla più grande. Quando si arrabbiava o era nervosa, faceva paura.
-Che cosa farete con Hurrem? - Domandò un'altra ragazza, nella sua voce c'era preoccupazione. - Il sultano non è mai stato così interessato a nessuna di noi.-
-Vedremo come si evolvono le cose, mie care sorelle. E se il sultano continuerà di questo passo, dovrò utilizzare i miei metodi. -
-Non vorrai mica... Ma è illegale! Se il sultano dovesse scoprirti, saresti messa al rogo! -
-Ma il sultano non lo scoprirà mai! Adesso dormiamo, domani sarà una lunga giornata! -
Hurrem l'avrebbe pagata cara. Nessuno avrebbe preso il suo posto, tanto meno quella ragazzina dai capelli rossi.

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Capitolo 13
*** XII ***


(Sono viva e il capitolo con me! Ieri sono approdata sana e salva e per fortuna non sono affogata come il Titanic nelle acque dell'Adriatico. Ho trovato un connessione decente e finalmente posso pubblicare il capitolo!
Stavo spulciando su 'narrativa storica' per cercare qualche storia da leggere e fra quelle In Tendenza all'ottavo posto, c'è la mia! Oh Dio, ho saltato per casa di nonna per circa dieci minuti prima di calmarmi xD. Ad ogni modo io adesso mi godo queste vacanze dopo mesi stressanti di scuola e due di lavoro, mi godo la compagnia dei miei amati parenti e respiro l'aria di casa, della mia amata Albania. Buona lettura e grazie di essere sempre così pazienti e gentili con me! Buone vacanze e alla prossima, vi ho disturbato abbastanza.)




Quattro mesi dopo...


Il sultano e i suoi funzionari erano rinchiusi da più di due ore a discutere sulle migliori strategie per combattere i nemici sul fronte marittimo. Il Mediterranero, infatti, era una preda ambita da molti paesi europei, in prima linea c'era l'Italia che si era proclamata sua unica regina. Quindi, dovevano cercare nuovi modi per aggirare gli agguati e gli ostacoli che i nemici avevano in servo per loro e per fare ciò avevano bisogno di alleati. La Francia si era rilevata un ottimo compagno di battaglia e aveva concesso loro più uomini di quelli che avevano richiesto. Tuttavia non bastava il numero di guerrieri per vincere una guerra, contavano più le strategie e la furbizia.
-E' di vitale importanza che riusciamo a conquistare prima la parte Orientale del Mediterraneo e successivamente quella occidentale. Non possiamo pretendere di riuscire a vincere questo scontro senza nessuna perdita, sarebbe troppo pretenzioso da parte nostra e soprattutto non possiamo conquistare tutto insieme! Il Mediterraneo è un'area molto vasta e soprattutto pericolosa. Non stiamo parlando di lottare sulla terra ferma, il mare può esserci amico o nemico... - disse Ibrahim, guardando Selim negli occhi. Tutti gli altri funzionari politici e visir non erano d'accordo con il pensiero del giovane uomo. Erano convinti che chiedendo un esercito maggiore al re francese e aumentando le truppe e le navi turche si potesse arrivare a conquistare il Mediterraneo senza gravi perdite. - Inoltre non sappiamo quante navi l'imperatore abbia messo a disposizione! Sarebbe un suicidio.-
-Dovremmo rischiare se la vittoria è pressoché nostra!-
-Abbiamo già conquistato due loro città, perché non dovremmo riuscire nel nostro intento? -
Ibrahim guardò i due visir, assottigliando gli occhi. Erano vecchi e dai modi e pensieri antiquati. Indossavano copricapi bianchi con gemme e piume di gabbiano a forma di cilindro, lunghe e grige barbe incorniciavano i loro volti anziani e segnati dal tempo.
Il Gran Visir avrebbe tanto voluto afferrare una delle navi modello, posizionate sulla cartina e lanciarle addosso ai due vecchi. Non sopportavano che lui e Selim fossero così vicini, quindi facevano di tutto per contestarlo in qualsiasi conversazione, persino la più inutile. Ad ogni modo Ibrahim si rimpossessò del suo autocontrollo e dopo aver ascoltato qualcun altro parlare, disse: - Sembra che oltre ai capelli, voi abbiate perso anche la ragione. Avete preso del vino a colazione, questa mattina? Non riesco a spiegarmi come potete sostenere delle tesi così assurde. -
-Gran Visir, come osate rivolgervi così a noi! Dovreste portare più rispetto, considerato che noi siamo al servizio della corona da molti più anni di voi. Abbiamo sempre suggerito a sua maestà il sultano con fedeltà.-
-E io vi ringrazio per questo, miei cari – s'intromise Selim, sorridendo e alzandosi dalla sedia su cui era accomodato. - Forse è meglio se adesso ci prendessimo una pausa, che ne dite? E' da ore che discutiamo su questo argomento e la testa mi duole terribilmente. Ci riuniremo verso il pomeriggio. A dopo, miei cari. -
Tutti si inchinarono quando il sultano Selim passò loro davanti per andare verso il suo amico Ibrahim.
-Ti va di venire a passeggiare con me in giardino, Ibrahim? - domandò il sultano, levandosi il copricapo rosso, dello stesso colore del suo mantello, per asciugarsi il sudore. Negli ultimi quattro mesi si era lasciato crescere la barba e somigliava ogni giorno più spesso al padre defunto.
-Certo, mio sultano. -
I due uomini lasciarono la sala quasi di corsa, udendo gli altri presenti borbottare qualcosa riguardo al rispetto della nuova gioventù. Quando passavano per i corridoi ed incontravano i servitori, essi si inchinavano ad entrambi in segno di rispetto. Giunsero in giardino in pochi secondi e si bearono dei leggeri raggi solari che riscaldavano loro piacevolmente la pelle. Rimasero in silenzio, apparentemente senza nulla da dirsi.
Ibrahim osservò Selim e notò un guizzo nel suo occhio sinistro, quello strano movimento che faceva quando qualcosa lo preoccupava.
-Che cosa ti preoccupa, Selim? Se è per ciò che ho detto poco fa in consiglio, mi scuserò. Ho perso il controllo e...-
-No, non è per quello. Si tratta di mio figlio...- Selim guardò Ibrahim in cerca di aiuto, come se fra le sue mansioni ci fosse quella di salvare la gente. L'amico sbiancò all'improvviso, togliendosi immediatamente il copricapo nero dai capelli e scompigliandoseli il modo nervoso.
-Mustafà Sultan? Che cos'ha, sta male? Vado subito a chiamare un guaritore e...- Ibrahim non aveva idea di cosa volesse dire avere un figlio; sotto quel punto di vista era ignorante. Tuttavia trattava l'erede al trono, Mustafà, come se fosse figlio suo. Era impossibile non affezionarsi a quel bambino, tutti a Palazzo lo amavano. Selim ed Ibrahim, soprattutto, facevano a gara per il suo amore e il piccoletto sapeva approfittarsene. Veniva viziato da tutti. Quindi, se gli fosse capitato qualcosa, Ibrahim ne sarebbe sicuramente rimasto distrutto. Sarebbe stato come perdere un figlio.
-No, non si tratta di Mustafà, ma di quello che Gülbahar aspetta. Questa mattina si è svegliata in un bagno di sangue. Il Guaritore ha detto che ha avuto un aborto spontaneo, Allah se lo è portato con sé, si è portato via il mio povero bambino. - Selim sospirò, passandosi una mano sul viso. Era distrutto e il suo colorito pallido lo confermava. - Che cosa ho fatto? Perché ha deciso di punirmi in questo modo?-
-Non te ne devi dare una colpa, Selim. Sono cose che capitano, purtroppo. Lei come sta? Sei andato a trovarla? - Domandò Ibrahim, preoccupato.
-Sì, non fa altro che piangere. Le sono stato accanto, ma con tutte le faccende che devo sbrigare, non posso consolarla come il mio onore mi impone... Vorrei tanto essere un umile contadino, almeno così potrei restare al fianco delle persone a cui tengo. - Selim si passò una mano sulla faccia. Sembrava sfinito. -Non dirmi che sei ancora arrabbiato con me, Ibrahim. Mi serve la tua amicizia in questo momento. -
-Certo che no, capisco le tue preoccupazioni e Freya non è poi così male come compagna. E' molto dolce. - Ibrahim forzò un sorriso, scrollando le spalle. Nonostante il suo orgoglio ne fosse rimasto deluso, il Gran Visir amava troppo Selim per tenergli il broncio. Erano trascorsi sei mesi, era ora di smetterla di fare il bambino per fare l'amico e il fratello e aiutarlo nei momenti di bisogno. - Scusami, Selim. Sono stato uno stupido. -
-Scusami tu, Ibrahim. Non sai quanto mi sono odiato per ciò che ti ho rivelato. Questo periodo senza di te è stato il più noioso di tutta la mia vita. Sono talmente abituato ad averti al mio fianco, che l'idea di perderti, mi ucciderebbe.-
Ibrahim sorrise, abbracciando brevemente il suo sultano. Era stato uno stupido ad arrabbiarsi con lui, era chiaro che Selim provasse tanta stima e tanto amore nei suoi confronti e se aveva deciso che lui non era degno di sposare Hatice, allora doveva essere vero.
Doveva fare l'uomo e accettare la dura verità, per quanto fosse scomoda e dolorosa.


*** ***


In quei quattro mesi che erano trascorsi, Roxelana si era messa d'impegno per imparare al meglio delle sue capacità la lingua turca e ci era riuscita egregiamente. Infatti sapeva comunicare facilmente con il sultano, i servi e le altre concubine, anche se spesso si lasciava sfuggire qualche errore di grammatica, quando scriveva.
Grazie a Selim, aveva imparato a leggere e scrivere, infatti lui si occupava personalmente della sua istruzione ed era un ottimo e soprattutto paziente insegnate. Il loro rapporto migliorava ogni giorno che passava e il suo amore, perché ormai si trattava di quello, le opprimeva il petto in modo così meraviglioso che il suo sorriso non smetteva mai di contornarle il viso. Era sempre sorridente e il suo essere così felice e allegra, rendeva tutti a Palazzo più leggeri e spensierati.
La mattina passava la maggior parte del tempo a leggere le migliaia di libri che Selim custodiva nel castello, il pomeriggio lo trascorreva con Mustafà Sultan e Hatice Sultan a giocare nel giardino, mentre la sera e la notte erano interamente dedicate al suo sultano. Al suo primo ed unico amore, Selim.
Era felice e avrebbe voluto continuare ad esserlo fino alla sua morte. Non si era mai sentita così... Al villaggio aveva sempre avuto una vita infelice, triste e colma di preoccupazioni per i genitori e le sorelle minori. Ma, lì con Selim, adorava sentirsi coccolata dalle serve, mangiare ogni volta che ne aveva voglia e soprattutto farsi il bagno quasi ogni giorno. Non le mancava mai niente! E i vestiti che Hatice e Selim le regalavano erano qualcosa di stupendo. Le sete, i colori e la qualità degli abiti erano unici e lei con un misero stipendio come quello che riceveva al villaggio, non sarebbe mai riuscita ad acquistarli.
Si sentiva felice, è vero, ma non completamente. Durante le ore della notte, quando Selim dormiva al suo fianco con un braccio stretto intorno alla sua vita, Roxelana non riusciva a dormire completamente. Si svegliava verso le tre del mattino e rimaneva in piedi fino all'alba, mentre i suoi pensieri vagavano alla ricerca di qualcosa. Era durante quelle ore del mattino, con il freddo che sembrava entrarle dentro le ossa, nuda e con i capelli rossi in un groviglio indistinto, che lei pensava. La mattina non aveva tempo di farlo, quindi quei pensieri negativi la venivano a disturbare di notte, dopo che lei e Selim avevano giaciuto insieme.
Pensava alla sua famiglia, alle sue sorelle minori e ai suoi genitori a cui era tanto legata. Pensava a loro in continuazione; li immaginava nella loro piccola baracca di legno riuniti in semicerchio intorno al loro misero cammino, senza di lei, a riscaldarsi. Pensava alle loro sorelline più piccole e a quella che presto sarebbe nata. Sperava che il suo 'sacrificio' fosse servito a farli andare avanti per qualche mese, a non far mancare loro nessun tipo di cibaria.
Adesso lei era più ricca di loro, il sultano l'amava e non chiamava più nessuna concubina, oltre lei, nel suo letto. Era innamorato e le aveva promesso che sarebbe stata l'unica per il resto dei loro giorni e che presto si sarebbero sposati. Avrebbe fatto di lei l'unica sultana della sua vita... Ma le dolci parole di Selim, non servivano a rassicurarla, sentiva qualcosa all'altezza del petto, uno strano senso di prigionia.
Si sentiva libera, ma allo stesso tempo era in gabbia. Non poteva uscire dal castello da sola come spesso faceva al villaggio, non poteva andare a visitare la città, non poteva fare niente se prima non aveva domandato il permesso al sultano. Era così che doveva vivere il resto della sua vita? E se il sultano avesse cambiato idea e avesse sposato una principessa, al posto di una piccola concubina come lei? No, non poteva tollerare un simile pensiero. Avrebbe fatto qualcosa, il sultano doveva letteralmente caderle ai piedi e innamorarsi così tanto che niente e nessuno avrebbe potuto separarli. Doveva pensare a sé stessa e ai suoi desideri. Doveva diventare libera e forte, perché oltre all'amore di Selim, le altre concubine la disprezzavano e spesso la insultavano apertamente. Facevano di tutto per abbassare la sua autostima, dicendole di essere brutta e troppo magra per un uomo come il sultano, le davano della stupida e dell'ignorante perché nelle arti come il ballo e il canto non eccelleva come le altre. Ma lei non si lasciava scoraggiare dagli insulti, anzi, rispondeva a tono e molte volte riusciva a zittirle senza problemi.
L'unica, però, che non si era ancora espressa era la Favorita. Lei se ne stava stranamente zitta mentre le altre la insultavano e questo non le piaceva affatto. Sapeva che quella donna era pericolosa e avrebbe fatto di tutto per separarla da Selim, perché entrambe lo amavano e volevano essere le uniche.
In quel momento, Roxelana si trovava da sola in giardino. Hatice era indisposta, mentre Mustafà non se la sentiva di lasciare la madre, poiché non faceva altro che piangere. Era un caro bambino e in quei quattro mesi aveva imparato a volergli bene, in lui rivedeva le sue sorelline minori e prendersi cura di lui le piaceva. Era buffo e la faceva ridere. Spesso le diceva che quando avrebbe compiuto dieci anni, l'avrebbe rapita dalle mani di suo padre e l'avrebbe sposata, Roxelana a quel punto rideva e gli diceva che sarebbe stata felice di sposarlo perché era un bambino bellissimo.
Notò da lontano Selim e Ibrahim abbracciarsi e sorrise, andando loro incontro. Finalmente si erano riappacificati. Non sopportava vedere Selim triste e scoraggiato. Aveva bisogno del suo amico.
-Mio sultano, Gran Visir. - Roxelana si inchinò e guardò prima Selim poi Ibrahim. Quando il suo sguardo si posò sul secondo rimase del tutto indifferente. Si odiavano a vicenda e questo non sarebbe cambiato mai. Avrebbero continuato ad odiarsi fino alla fine dei loro giorni e forse oltre. Ma, a dir la verità, Hurrem durante quelle notti insonni aveva pensato anche a lui, al freddo Ibrahim Pascià. Non lo aveva incontrato per circa quattro mesi al castello, erano troppo diversi e avevano ben diverse mansioni di cui occuparsi per potersi incontrare spesso; e quando era avvenuto, si erano semplicemente scambiati uno sguardo freddo, privo di saluti o altro. Era come se per uno, l'altra non esistesse e viceversa.
Roxelana odiava il modo in cui Ibrahim riusciva ad infilarsi fra i suoi pensieri, era qualcosa di altamente fastidioso. La costringeva a pensarlo nelle ore meno consone della giornata e quello che lei pensava non era affatto gradevole.
Quel giorno lo trovava affascinante e bello. Aveva indossato il completo che si era messo il giorno in cui l'aveva rapita, quello porpora e a completare il suo look c'era un copricapo nero e semplice, non come quelli che aveva visto indosso agli altri visir con piume e diamanti sgargianti.
Osservò il suo viso, cercando di capire come un uomo così bello, fosse anche così odioso e freddo. I lineamenti perfetti, le labbra rosee, dal labbro superiore sottile e quello inferiore carnoso, la barba nera che adesso era più folta e meno curata di quanto non fosse qualche mese prima, gli occhi dalle ciglia lunghe, scure e da un colore indefinito. Roxelana giurava di averli visti cambiare, erano sia castani che verdi. Avevano un colore strano, ma bellissimo. Erano magnetici e mettevano in soggezione. Erano in grado di trasmettere il gelo più totale, come quando guardavano Roxelana o l'amore nella più semplice sfaccettatura, come quando guardavano Hatice.
Perchè così bello ma anche così... stronzo?
-Allora, mio bellissimo amore, per cosa siete venuta qui? - Domandò Selim, guardando Roxelana e successivamente Ibrahim che si lanciavano occhiate di fuoco. Era deciso a farli avvicinare, a farli diventare buoni amici. La donna che amava e suo fratello non potevano odiarsi. -Non che mi dispiaccia. Vederti è sempre una visione celestiale. -
-Selim, sono venuta per chiederti una cosa di vitale importanza. - Roxelana guardò il sultano con sguardo deciso e alzando il mento sicura. Doveva avere ciò che voleva.
-Dimmi pure, allora. Vuoi altri vestiti, collane, libri? Qualunque cosa tu desideri l'avrai. - Selim si chinò e le baciò teneramente il naso. Roxelana sorrise, facendo una smorfia infastidita, mentre Ibrahim alzò gli occhi al cielo, esasperato. Da quando si era fatto crescere la barba, Selim la baciava lì perché sapeva che le dava fastidio e faceva quella faccia buffa che tanto lo faceva ridere.
-No, ho tutto quello che mi serve, ti ringrazio... Quello che volevo chiederti è se potessi uscire da Palazzo per andare in città. E' da più di quattro mesi che mi tenete rinchiusa qui. Non me ne vogliate è bellissimo, ma voglio vedere altro. -
Ibrahim scoppiò a ridere, una risata sarcastica, per poi dire: - Le concubine non escono da Palazzo, soprattutto da sola. Roxelana non dovreste prendervi tutte queste arie e rimanere con i piedi per terra. Tutte le vostre sorelle non sono mai uscite da qui, da quando sono state vendute. Non vedo perché voi dobbiate. -
-Non ho chiesto la vostra opinione, Gran Visir, ma quella del mio sultano. E poi, non mi importa di quello che le altre concubine pensano, non sono mie sorelle e non devo dire a loro i miei spostamenti. -
Selim si passò la mano sulla barba folta e guardò l'uomo e la donna continuare a discutere per buoni dieci minuti. Erano decisamente cane e gatto.
-Va bene, puoi andare, Hurrem, se questo ti rende felice. Tuttavia io non potrò accompagnarti, sono costretto a palazzo. Ti accompagnerà, Ibrahim e resterete fuori fino a questa sera. E' un ordine e il mio ordine non si può contestare. -
-Che cosa?! - Esclamarono all'unisono i due, guardando il sultano scioccati e accrescendo il suo divertimento.
-Ci vediamo questa sera, Hurrem. Ti aspetto in camera mia. - Selim si chinò di nuovo e la baciò dolcemente sulla fronte. Ibrahim, questa volta, era troppo scioccato per rimanere schifato o per controbattere. -E noi ci vediamo domani mattina, Ibrahim. -
Detto questo il sultano si congedò, lasciandoli soli.
I due rimasero per parecchio tempo in silenzio, uno davanti all'altra, prima di parlare. -Farai meglio ad essere pronta fra due ore, se non vuoi che ti venga a prendere con la forza, rossa. - Nella voce di Ibrahim regnava il gelo. Roxelana strinse i pugni, volendo colpirlo in viso.
-Sì, certo, non mancherò. - Borbottò Roxelana, prima di salutarlo e congedarsi.
Maledetta lei e le sue idee!

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Capitolo 14
*** XIII ***


Roxelana ed Ibrahim si incontrarono verso le due del pomeriggio nel cortile, quello nel quale c'erano tutti quei fiori e lì dove lei ed Ibrahim si erano congedati la prima volta. Una carrozza nera, non quella reale, ma con gli stessi stalloni forti e bellissimi, li aspettava. Il cocchiere era un uomo di colore, uno schiavo, con la faccia per metà ustionata.
Ibrahim si era cambiato d'abito, aveva indossato qualcosa di più semplice e che non evidenziasse il suo status reale. Alla cinghia dei pantaloni era appesa una sciabola e un pugnale era stato abilmente nascosto negli stilavi neri in pelle di cavallo; a contornare il tutto c'era un mantello nero in lana. Quando Roxelana lo raggiunse, il Gran Visir la squadrò con un sopracciglio sollevato, borbottandole un irritato -Siete in ritardo!-
-Ad una donna serve del tempo per prepararsi. - Rispose Roxelana con aria superiore, non accettando la mano di Ibrahim per salire sulla carrozza, bensì quella del cocchiere dalla faccia ustionata. -Su, Ibrahim, muovetevi, siamo in ritardo!- Disse, notando che il Gran Visir se ne stava lì impalato, senza muoversi.
-Se solo fossi Selim, in questo momento ve la farei vedere io. - borbottò, salendo sul veicolo e sbattendo la portella con violenza. Roxelana sussultò ed Ibrahim ne approfittò per guardarla. Aveva indossato un abito lungo e semplice color violetto, i capelli rossi erano intrecciati in una lunga treccia che la sfiorava la vita e aveva fatto anche qualcosa agli occhi, considerato che il loro verde sembrava più evidente del normale.- Siete diversa. -
-In che senso?- Domandò Roxelana, giocherellando con l'orlo della manica. Si sentiva a disagio, sapeva che non doveva uscire con lui, neanche sotto ordine di Selim. C'era qualcosa di... sbagliato.
-Non sembri più la ragazzina insopportabile che eri quattro mesi addietro. Hai fatto qualcosa agli occhi, sembrano più... grandi. - Ibrahim tossì a disagio, muovendosi leggermente sul posto.
-Si chiama trucco. Sai, le donne lo mettono. - Era strano, notò Roxelana , la facilità con cui passavano a darsi del 'voi' a quella del darsi del 'tu'. Era più facile, pensò , parlargli come se fosse suo amico. - Stavi cercando di farmi un complimento? -
-No, per niente. - Borbottò Ibrahim, levandosi il mantello di dosso e porgendoglielo. - Indossalo. -
-Perché dovrei? E' tuo, non lo voglio. -
-Le nostre tradizioni, rispetto a quelle del tuo paese d'origine, sono diverse. Le donne quando sono in pubblico, si coprono il capo. A Palazzo le donne sposate lo fanno, lo avrai notato... - spiegò Ibrahim, preferendo agire da solo e tirando la rossa per un braccio verso di lui, tant'è che la ragazza gli cadde addosso maldestramente. L'uomo afferrò il capo d'abbigliamento, con movimenti molto delicati per i suoi standard. Quando ebbe finito, sorrise compiaciuto. - Inoltre devi coprire tutto quella seta. I poveri potrebbero strappartela di dosso con tutta la carne, o hai dimenticato le tue origini? -
-Come ti piace, non è vero? - Roxelana lo guardò, assottigliando gli occhi. - Avere il controllo su tutto e su di me. Dopo tutto questo tempo cerchi ancora di farlo, ma non hai capito che io non ti appartengo?-
-E non mi interessa averti, Roxelana. Traggo piacere dal portarti alla disperazione e poi devo ancora vendicarmi per quello schiaffo. -
-Smetti di chiamarmi così, il mio nome è Hurrem. -
-No, il tuo nome è Roxelana e lo sarà per sempre. Il tuo primo nome da schiava è stato questo e per me è questo il nome che ti dona maggiormente. Non mi sembra che tu sorrida così spesso. - Ibrahim ghignò, guardando fuori dal finestrino. Finalmente si muovevano.
-Tu non me ne dai motivo. E adesso lasciami godere questi attimi. - Rispose Roxelana con aria da superiore, osservando dalla parte opposta. Avevano lasciato il castello e adesso cominciavano a spuntare le prime abitazioni dei sudditi. -Non riesco più a sopportarti. Non mi sei affatto mancato in questi quattro mesi. -
-Fidati che la cosa è reciproca. - Ibrahim si girò di scatto per guardarla. - Che cosa hai intenzione di fare adesso?-
-Non lo so. Fare compere, osservare la città, parlare con esseri diversi dagli eunuchi e le donne. - Roxelana scrollò le spalle, osservandosi le mani rovinate dal lavoro. Nonostante la sua posizione in quel momento, ovvero nuova Favorita del sultano, ciò che aveva subito al villaggio non sarebbe cambiato. Il passato, i ricordi e la sofferenza non potevano essere cancellate così facilmente dalla memoria di una persona. Essi ti entravano nella carne, lacerandola e bevendone la più piccola goccia di sangue, strisciavano come serpenti nelle ossa e si appiccicavano lasciandoti quel freddo particolare che neanche il più potente dei fuochi celestiali avrebbe potuto scaldare. E lei sentiva freddo, lo pativa tremendamente durante le ore della notte, il giorno, quasi sempre. Le uniche volte in cui si sentiva calda era durante quei pochi secondi in cui lo sguardo di Ibrahim si posava sul suo viso, mettendola straordinariamente a disagio.
-Mi stai ascoltando, rossa? - Roxelana sussultò e arrossì quando Ibrahim la scosse per un braccio per destarla dai suoi pensieri.
-Uhm, no, scusami... Mi stavo pensando. -
-Sì, certo. Ad ogni modo stavo dicendo che non dovresti parlare con altri uomini al di fuori del sultano e lo sai bene. - Ibrahim la guardò disinteressato, come se quella frase l'avesse pronunciata quasi ogni giorno. -Ti lascerò da sola per circa mezz'ora, ti dispiace? -
-Perché? - Domandò d'istinto la rossa, dimenticandosi chi aveva di fronte e anche sembrando maleducata. Era stata una domanda spontanea, era uscita prima che lei riuscisse a dare un freno alla bocca. Infatti Ibrahim alzò un sopracciglio, guardandola stupito.
-Come, prego? -
-Ti ho domandato il perché. Selim ti ha mandato per stare con me, non per fare i tuoi affari in qualche... bordello. -Borbottò la rossa, incrociando le braccia al petto e guardando l'espressione sbalordita del Gran Visir. Era rimasto letteralmente a bocca aperta. -E non mi guardare così. Io verrò con te.-
-Io non ho parole per esprimere ciò che adesso sento di dire, ma forse è meglio. -
-Già, forse è meglio. -
Roxelana gli sorrise falsamente, ignorandolo per i successivi minuti e per quasi tutto il resto della loro 'gita turistica'.


*** ***
La mano di Roxelana era stretta attorno al suo avambraccio mentre passeggiavano molto lentamente per la città. C'era il mercato, quindi venditori di ogni tipo urlavano per attirare l'attenzione di possibili clienti, offrendo la loro migliore mercanzia. C'era pesce, pane, verdure, vini pregiati, armi da fuoco e seta della miglior qualità e dai colori talmente sgargianti e meravigliosi da indurre la ragazza a comperare tutta la bancarella in legno; insomma tutto ciò che una persona desiderava.
Nell'aria si sentiva lo stesso odore di arance e mandarini, che Roxelana aveva respirato la prima volta che aveva messo piede nel suolo della capitale ottomana. Anche se, quella terra adesso, era tutta fangosa e faceva sprofondare i sandali che la rossa indossava; qualche giorno addietro aveva piovuto e le strade si erano inondate d'acqua piovana, rendendo difficile il passaggio di carrozze e muli.
-Pesce fresco, appena pescato! Venite, miei signori, guardate com'è bello questo pesce! - Urlava una donna dalla vita piena e dai seni così prosperosi che rischiavano di schizzare fuori dal vestito logoro e sudicio che indossava.
-Guardate che uva bella che abbiamo oggi! Bella l'uva, belle le donne, belli tutti!- Gridava un uomo di bassa statura, di circa sessant'anni dalla folta barba bianca e senza capelli. Lui sembrava essere più ricco di ciò che appariva l'altra donna per la qualità dei suoi vestiti.
-Vieni con me, devo sbrigare una faccenda. - Ibrahim la tirava rudemente per il braccio sinistro, facendosi strada fra la gente , che li osservavano incuriositi. Per quanto l'uomo avesse cercato di nascondere il suo status sociale e la sua ricchezza, era il suo atteggiamento a tradirlo. Aveva quel modo di camminare che lo differenziava dal resto del popolo. L'andamento fiero, le spalle dritte, il modo in cui il suo sguardo sembrava non posarsi su nessuno dei volti dei presenti, l'espressione del viso... Nessuno dei popolani camminava così, neanche Selim stesso, a dire il vero.
Quando svoltarono l'angolo, Roxelana riuscì a sentire l'indistinguibile odore del mare e del porto, il suono del verso dei gabbiani che volavano all'altezza della superficie del mare, alla ricerca di pesce fresco di cui potersi nutrire. C'era confusione e non si capiva molto, poiché le navi attraccate al porto avevano portato un gran numero di persone.
-Non voglio che tu faccia parola di ciò con nessuno, neanche con Selim, sono stato chiaro? - Il Gran Visir l'afferrò per il mento, costringendola a sollevarsi sulla punta dei piedi per guardarla negli occhi. Il tocco delle sua dita fredde sulla sua pelle calda era come se l'inferno e il paradiso si fossero incontrati e il suo alito che le solleticava la fronte era una sorta di brezza piacevole e primaverile a cui non avrebbe rinunciato facilmente. Perché provava tutte quelle strane emozioni quando lui la toccava? -Selim non è al corrente, quindi gradirei che tu non ne faccia parola, per quanto mi disgusti domandarti un simile favore. -
-Sono capace di mantenere i segreti, Gran Visir. - Roxelana alzò il mento, aggrappandosi alla sua giacca per raggiungere la sua altezza. Sentiva la rabbia fumare e ardere nelle vene, urlandole di colpirlo così forte da rovinargli il suo bel viso. Ma qualcosa la fermò, quando notò che i suoi occhi quel giorno fossero verdi, verdi come il mare ad una certa profondità.
Tutti quei sentimenti contrastanti, l'avrebbero fatta impazzire.
-Bene. - Ibrahim si schiarì la gola, lasciandola andare e intimandola a seguirlo su una delle navi pirata che stranamente le sembrava famigliare. Tuttavia, prima che potesse compiere un solo passo, una gabbia umana, contenente schiavi di ogni razza, sesso ed età, le passò davanti. Fra i poveri malcapitati c'era anche una bambina, non doveva avere più di sette anni. Il suo visino era ricoperto di sangue e sulle braccia erano rimaste più ossa che carne. Era uno scheletro umano, ricoperto di sangue.
-Oh, Allah, perché permetti tutto ciò? E' solo una bambina... - Il suo corpo si ricoprì di brividi di disgusto, mentre cercava di trattenere conati di vomito e lacrime di dolore. Brutti ricordi riaffiorarono all'improvviso nella sua mente.
-Non guardare, rossa, non c'è niente che tu possa fare per loro. Nessuno ha aiutato te. -
-Io sono stata più fortunata... - Roxelana deglutì prima di pronunciare quelle fatidiche parole, si sarebbe odiata per i prossimi mesi a venire. - Avevo te a proteggermi, nonostante tutto. -
Ibrahim la guardò e cercò di dire qualcosa, ma fu interrotto da uno schianto di qualcosa di pesante. L'uomo sospirò, offrendole il braccio e dicendole: - Vieni, sbrighiamo questa faccenda e dopo continuiamo, altrimenti non riuscirai a guardare niente. -
Roxelana annuì, seguendolo sull'asse di legno che faceva da collegamento da terra all'imbarcazione. Le urla provenivano dalla camera del capitano e quando notò le persone che stavano bisticciando, Roxelana sorrise.
-Dio mio, da quando sei rimasta incinta sei diventata ancora più insopportabile! - La voce di Drake era talmente disperata, da risultare squillante.
-Non nominare il nome di Dio invano! E poi, mio caro capitano, sei stato tu a mettermi incinta! Questo bambino è mio quanto tuo! -
-Sono un pirata, cosa vuoi che me ne importi del tuo dio? Il mio unico dio è il mare! E non era il nome di Dio che invocavi quando questo bambino è stato concepito. - Roxelana arrossì, spalancando gli occhi. Quel pirata non aveva proprio tatto. Fiammetta spalancò gli occhi, guardandolo come se fosse un cervo e lei il suo cacciatore. Si guardò attorno, cercando qualcosa da buttargli contro e alla fine decise di afferrare due bottiglie di rum, le quali volarono a velocità supersonica, scontrandosi contro la parete opposta.
-Non puoi lanciare le mie bottiglie di rum così! Per i sette mari, è greco quello! -
-Il tuo rum te le puoi infilare direttamente su per il... -
-Molto bene, è sempre un piacere constatare che voi due non cambierete mai.- S'intromise Ibrahim, guardandoli con un sopracciglio sollevato. - La prossima volta lancerò un pugnale affilato ad uno dei due per farvi smettere di urtare i miei poveri nervi! -
-Ibrahim! - Esclamarono sorpresi i due coniugi, notando la rossa e l'uomo fermi sull'uscio della porta ad osservarli.
-Già, sono io, è questo il mio nome. - Ibrahim alzò lo sguardo, annoiato, ma per quanto cercasse di negarlo, sulle sue labbra c'era un vero e proprio sorriso di affetto.
-Dio, come mi sei mancato! - Fiammetta gli corse incontro, abbracciandolo calorosamente. - Ti sei perso un po' di cose ultimamente, fratello. -
-No, Fiammetta, Drake mi ha mandato una lettera in cui esprimeva la sua gioia per il suo bambino. Complimenti per il nome, Dionysio. -
-Si chiama Costa, in realtà. Il mio Drake adora scherzare. Non chiamerò mio figlio come un ubriacone. - Fiammetta si sporse verso Roxelana, abbracciandola allo stesso modo. - Ciao a te, Hurrem. Sempre insieme, vedo. -
-Piccoli incidenti di percorso. - Borbottò Ibrahim, afferrando due sacchetti d'oro e lanciandogli al fratello, che li prese al volo. - Per il piccolo, sono un regalo dallo zio. Ne riceverete due ogni mese, non voglio che mio nipote, sangue del mio sangue, muoia di fame. -
-Che cosa?! - Fiammetta, così come Roxelana, era rimasta sbalordita. Non si aspettava un gesto simile. -Ibrahim, non voglio i tuoi soldi, lo sai benissimo che noi... -
-Sono un regalo, li ho messi da parte per voi. Quando nascerà il piccolino, scrivetemi, così potrò venire e comprargli qualunque cosa egli desideri. - Ibrahim sorrise, imbarazzato, accarezzando il ventre gonfio della donna. -Abbi cura di te, Fiammetta. -
La bionda era cambiata, pensò Roxelana, dall'ultima volta che l'aveva vista. Era ovviamente incinta, quindi era ingrossata, ma quei chili in più che aveva acquisito le addolcivano il viso, facendole illuminare gli occhi chiari. Si notava che i neo genitori fossero felici di stare insieme, nonostante i loro bisticci.
Inoltre indossava un abito femminile rosso, che le metteva in evidenza la pelle bianca, i capelli chiari e gli occhi azzurri, oltre al ventre pronunciato.
Era adorabile il modo in cui accarezzava, quasi d'istinto e senza accorgersene, la sua pancia. Sarebbe stata un ottima madre, nonostante il suo... lavoro.
Drake, dal canto suo, rimaneva sempre lo stesso. Stesso fisico, stessi occhi azzurri come il mare aperto, stessi capelli nerissimi e stesso modo di vestire piratesco. Le uniche pecche, forse, erano le rughe sulla fronte, le quali stavano cominciando ad essere evidenti.
-Sei uno stronzo, Ibrahim, ma ti voglio bene. - Drake gli corse incontro, abbracciandolo e sussurrandogli all'orecchio in modo tale da non farsi sentire: -Vieni da noi questa sera, festeggiamo prima di partire. Puoi? -
-Per voi due questo ed altro. -
I due fratelli sorrisero, felici, per poi salutarsi.
Quando Roxelana fu finalmente scesa sulla terra ferma, guardò il Gran Visir.
-Perché mi guardi? -
-Perché sei un uomo strano, Ibrahim Pascià. - Roxelana scrollò le spalle, sentendosi pervadere dalla stanchezza. -Andiamo a palazzo ora, Selim mi aspetta. -
-Come mai così presto? Dovremmo ritornarvi fra tre ore... Hai qualche malore? -
-No, semplicemente ho visto tutto ciò che volevo vedere. - Roxelana sorrise enigmatica, lasciando un confuso Ibrahim qualche passo più indietro. Era fra le nuvole, non pensava a ciò che stava facendo, né tanto meno a dove metteva i piedi, infatti si scontrò contro una vecchietta, la quale cadde rumorosamente al suolo.
-Oh Cielo, scusatemi, non vi ho vista! Venite, vi aiuto. - Roxelana si abbassò, aiutandola a sollevarsi da terra, ma la donna le afferrò le braccia, stringendole fino a farle sanguinare e con gli occhi opachi le disse: - Vy budete yego padeniye , yego ubiytsa, umeret' za vashe delo . Vash rebenok budet proklyat , Roksolana , vashi volosy budut zametili . Ty plachesh' i ne dyshat krov' do kontsa vashikh dney.
La donna parlava in russo per non farsi capire. Roxelana spalancò gli occhi, urlando fino a farsi perdere la voce. Sentì in lontananza la voce di Ibrahim chiamare il suo nome, mentre la vecchia rideva mostrando i suoi denti appuntiti da strega.
-Roxelana! Dove sei? - Urlava Ibrahim, cercandola disperato, ma la rossa non gli avrebbe dato risposta, poiché era svenuta per il dolore di quelle parole : “Sarai la sua rovina, la sua assassina, morirà per causa tua. Il vostro bambino sarà maledetto, Roxelana, i tuoi capelli ti hanno macchiata. Piangerai e respirerai sangue fino alla fine dei tuoi giorni.”

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Capitolo 15
*** XIV ***


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-Ibrahim! Ibrahim! - Gridava Roxelana disperatamente, incapace di muoversi. La strega le aveva ficcato gli artigli nella carne delle braccia e il sangue fluiva liberamente, imbrattandole le vesti.
-E' inutile che tu chiami il tuo amato uomo, lui non ti sentirà. Il mio è un avvertimento, rossa, sta' lontana dal sultano se non vuoi che il mio maleficio ti colpisca. - La strega rise a squarciagola, notando il terrore nei suoi occhi. La lasciò andare, spingendola con violenza per terra. Il cappuccio del mantello le scivolò sulle spalle, rilevando agli occhi della gente superstiziosa i suoi capelli rossi. Il popolo inspirò impaurito, allontanandosi velocemente dalla ragazza, che non riusciva a sollevarsi dal suolo.
-Vi prego, chiamate Ibrahim... - Sospirò, prima di svenire, battendo la testa.
-Roxelana! - Urlò il Gran Visir, quando girò l'angolo di corsa e la vide stesa al suolo, insanguinata e svenuta. Quando lo videro arrivare, le persone che erano rimaste si sparpagliarono, non volendo imbattersi nella furia di un uomo così importante. Descriverlo come arrabbiato era un eufemismo. Era talmente furioso che avrebbe potuto uccidere tutti i presenti a colpo di sciabola. -Chi è stato? Chi l'ha ridotta così?! -
I presenti scossero la testa, alzando le mani per difendersi. Nessuno osava parlare.
-Se non volete imbattervi nella furia del sultano farete meglio a rispondermi. - Ribatté Ibrahim, acido e freddo. Si chinò e prese la ragazza in braccio, coprendole delicatamente i capelli color del fuoco agli occhi della gente. Avevano paura di lei e dei suoi capelli. Ibrahim le guardò il viso; quando battibeccavano dimenticava la sua reale età. Aveva solo sedici anni, quasi diciassette, era pressoché una bambina e lui avrebbe potuto essere suo fratello maggiore, se non addirittura suo padre. Guardandola così, dormiente ed indifesa, in lui si accese uno strano sentimento di protezione. Le ricordava tanto lei...
-E' stata una strega, mio signore. Non l'avevamo mai vista prima e non abbiamo capito cos'ha detto, parlava in una strana lingua... - Una donna prese coraggio e parlò a capo basso. Ibrahim annuì e senza aggiungere altro le lancio due monete d'oro per poi dirigersi alla carrozza.
-Maledizione a te, Roxelana, perché devi sempre metterti nei guai? -
-Perché amo farmi salvare da te, Ibrahim. - La rossa spalancò gli occhi, guardandolo. Alzò le braccia verso il suo collo e vi si aggrappò, poggiando la guancia contro la sua e chiudendo gli occhi. Per un attimo aveva bisogno di qualcuno di forte che la stringesse e Ibrahim lo era. Aveva anche un buon odore. - Grazie di salvarmi tutte le volte. -
Ibrahim emise un grugnito simile ad un animale, continuando a camminare. Roxelana sorrise, immaginava che quello fosse il suo 'prego'.
Quando arrivarono alla carrozza, la fece stendere sui sedili, controllando le braccia piene di tagli, dalle quali non scorreva più sangue.
-Prima che Selim mi uccida, potrei sapere chi ti ha fatto questo? Che cosa voleva questa strega da te, la conoscevi? -
Roxelana si passò le mani sul viso, scuotendo il capo. - Non so che cosa volesse da me, ma mi ha maledetta, Ibrahim! Mi ha maledetta e ha anche maledetto i miei bambini! Ho paura, Ibrahim, ho paura. - Roxelana si mise seduta, rannicchiandosi in un angolo. Tremava e le lacrime le scendevano silenziose sulle guance.
-Non facciamoci prendere dal panico. Non dovresti credere a simili sciocchezze, non esistono le streghe e Selim saprà occuparsi di questa faccenda personalmente e.... -
-No! Selim non deve sapere nulla, ti prego Ibrahim, dovrai mantenere il segreto. Voglio che tu non dica niente al sultano. - Roxelana si mosse dal suo posto, inginocchiandosi davanti ad Ibrahim; gli afferrò le mani e lo guardò negli occhi, supplicante. Non l'aveva mai vista così disperata.
-Non posso far finta di niente. Selim mi chiederà spiegazioni quando ti vedrà così sconvolta e insanguinata... - Ibrahim le mise una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio, ripulendole delicatamente la guancia dal suo sangue essiccato. Roxelana arrossì, deglutendo per quel gesto tanto gentile quanto inaspettato.
-Ti prego, fallo per il sultano. Io manterrò un segreto per te e tu manterrai un segreto per me. Non voglio più rivedere quella donna in vita mia, mi ha già terrorizzata abbastanza. - Ibrahim la fissò. I suoi occhi verdi dalle ciglia scure e lunghe erano lucidi, aveva del sangue sparso sul viso e i capelli sudati erano appiccicati sulla fronte, le labbra sottili erano screpolate e insanguinate, poiché per tutto il tragitto se le era morse, continuando a tirarsi via le pellicine con i denti. Non aveva per niente il bell'aspetto di quella mattina. Tutto il trucco si era sciolto sul suo viso, rendendola somigliante ai giullari di corte.
-Va bene, ma adesso fatti ripulire. E quando arriveremo a corte andrai nelle mie stanze e lì ti farai vedere dal mio personale Guaritore. Va bene? - Nel suo sguardo e nel suo tono di voce, si intuiva che si trattasse di un ordine. Roxelana avrebbe dovuto obbedire senza aprire bocca e per la prima volta da quando si conoscevano, l'avrebbe fatto.
-Grazie, Ibrahim, non so come avrei fatto senza di te. -
-Non ringraziarmi così spesso, altrimenti mi potrei montare la testa. La tua gentilezza mi sembra fuori luogo. - L'uomo afferrò il fazzoletto di seta bianca che riportavano le sue iniziali, una I e una B, scritte in corsivo e ricamate su di esso in blu notte. Dopo averlo bagnato con dell'acqua, lo passò sul viso di Roxelana, privandola di tutto quel trucco e del sangue. In pochi attimi ritornò la ragazzina che era, spuntarono le lentiggini sul naso e sulle guance e la pelle bianchissima del viso. -Ecco, adesso va molto meglio. -
La rossa abbassò lo sguardo, sorridendo per il suo rossore. Aveva modi così delicati e gentili da farle venire la pelle d'oca. Quando non litigavano, Ibrahim era davvero una persona piacevole.
La carrozza si fermò all'improvviso e Roxelana si affrettò a rimettersi al suo posto, per evitare che il cocchiere, quando avrebbe aperto la porta, pensasse a male.
-Mettiti il cappuccio del mantello e copriti le braccia. Ibrahim dovrebbe ancora essere con Gülbahar e credo che ci resterà fino a questa sera. Comportati come se non fosse successo niente e non alimentare i pettegolezzi fra la servitù. Ci vediamo nelle mie stanze fra qualche minuto, andrò a chiamare il Guaritore. - Ibrahim senza aggiungere altro, scese dalla carrozza e in pochi secondi si dileguò.


*** ***
Hatice stava passeggiando da sola per il corridoio, cercando Hurrem. Non l'aveva vista tutto il giorno e aveva bisogno di conversare con la sua nuova amica. Da dove si era fermata per osservare il panorama mozzafiato della città, si poteva scorgere perfettamente la porta della camera di Ibrahim. Hatice e lui non si parlavano da circa quattro mesi, a stento si rivolgevano la parola in pubblico e la principessa ne soffriva ogni giorno. Il suo amore per lui non sarebbe mai diminuito. Lo amava così tanto che le parole non sarebbero bastate per descrivere il suo sentimento.
Stava pensando a momenti felici e passati fra lei e il suo Ibrahim, quando la vide. Una donna con il mantello del Gran Visir indosso, Hatice lo avrebbe riconosciuto ovunque, corse verso la sua porta e guardandosi furtiva si infilò silenziosamente in camera sua.
Hatice spalancò gli occhi, quando vide il viso della ragazza. Era Hurrem.
-Che cosa ci fa lei, da lui? - Hatice notò, qualche minuto dopo, Ibrahim comportarsi nello stesso modo. Non parve averla notata, anche perché lei si era nascosta dietro una delle colonne. -No, non voglio credere ai miei occhi. Ibrahim e Roxelana? Quei due si odiano... No, ci dev'essere un'altra spiegazione. -
Hatice scosse la testa, cadendo per terra e vomitando il pranzo. Sentiva le lacrime minacciare di bagnarle le guance e tutto il suo mondo cadere in mille pezzi. Non poteva essere la sua amante. Roxelana amava Selim e Ibrahim amava lei... Ma, dopo tutti quei mesi senza essersi scambiati una parola, ne era ancora così sicura?


*** ***
-Ibrahim! Ci ha visti, Hatice Sultan ci ha visti! - Roxelana si levò il mantello buttandolo per terra. Era in ansia e dispiaciuta per ciò che la principessa avrebbe potuto pensare. Se solo lo avesse detto a Selim, lei ed Ibrahim sarebbero stati in guai seri. - Che cosa facciamo adesso? -
-Sì, lo so. L'ho vista anche io... - Lo sguardo di Ibrahim era perso nel vuoto e si stava massaggiando la mascella per concentrarsi. - Parlerò io con lei. Non preoccuparti. Le racconterò la verità, a me crederà. -
-E se adesso Selim avesse già scoperto tutto e stesse venendo qui a... - Ibrahim rise, divertito dal modo in cui parlava. Quando era in ansia e non riusciva a parlare velocemente in turco, usava il russo. E in quel momento parlava proprio con la sua lingua madre. - Non ridere, Ibrahim. Verremmo puniti per qualcosa che non accadrà mai... -
-Sta' calma, rossa. Conosco Hatice, non farebbe mai niente per farmi del male. E' sempre stato così e lo sarà fino alla fine dei suoi giorni. Lei... Lei mi ama. - Ibrahim scrollò le spalle, facendo entrare il Guaritore, quando bussò alla sua porta. - Stendetevi adesso e fatevi controllare. Io vado a parlare con Hatice Sultan. -
Roxelana annuì e fece come le fu ordinato, stendendosi sul letto di Ibrahim. Provava un certo imbarazzo nel stare proprio lì, un posto intimo e che non le sarebbe mai appartenuto, e Ibrahim lo aveva capito perché stava ridendo.
Roxelana lo guardò sostare sulla porta con la mano stretta intorno alla maniglia. Non voleva che se ne andasse, non proprio in quel momento che sembrava che andassero perfettamente d'accordo.
Per quanto le dispiacesse per Hatice e aveva paura che dicesse qualcosa a Selim, non voleva che Ibrahim la lasciasse da sola.
-No, aspettate, non ve ne andate. Non mi lasciate da sola, ve ne prego. - Erano ritornati a darsi del Voi. Se non fosse stato altrimenti, chissà cosa avrebbe pensato il Guaritore. Era meglio non rischiare.
-Devo andare a risolvere quella questione che vi disturbava così tanto... - Ibrahim la guardò, aggrottando le sopracciglia.
-No, potete farlo anche dopo. - Il Guaritore le stava controllando i tagli sul braccio, passandovi sopra qualcosa che le bruciava terribilmente. Non pareva avesse sentito tutta la conversazione dei due e non sembrava minimamente interessato a loro. Roxelana lo stava supplicando con lo sguardo. Ibrahim sospirò e dopo aver lasciato andare la maniglia, prese una delle sedie in legno poste vicino al tavolo e si sedette accanto alla ragazza. Avrebbe voluto stringerle la mano per infonderle coraggio, ma non era né il momento, né il luogo adatto per farlo. Era già tutto abbastanza strano senza che si scambiassero tenerezze così apertamente.
Si guardarono per tutto il tempo che Roxelana veniva controllata e curata. Ogni tanto sorridevano, imbarazzati, altre ritornavano seri pensando a quanto era strano tutto quello.
-Bene. – Disse il Guaritore. – I tagli si sono rimarginati e non dovrebbe più avere problemi. Vi darò una pozione di erbe selvatiche per aiutare a combattere il dolore, ma vi rimarranno i segni. Lo dovrete prendere la sera prima di andare a letto. -
-Va bene, sarà fatto. Vi accompagno alla porta. - Ibrahim si alzò dalla sedia e aprì un baule in oro posto sul tavolo dal quale afferrò un sacchetto con delle monete in oro, passandoglielo al Guaritore, che si inchinò grato.
Quando se ne fu andato, Roxelana si alzò dal suo posto e andò verso Ibrahim che la stava guardando.
-Secondo te la sua maledizione si avvererà? - Chiese preoccupata Roxelana, avvicinandosi al Gran Visir.
-Se devo essere sincero, non lo so. - Ibrahim sospirò, passandosi le mani fra i capelli. Aveva delle brutte occhiaie nere sotto i suoi meravigliosi occhi, era stanco e sembrava che non dormisse da anni. - Forse è meglio che tu vada adesso. E' pomeriggio inoltrato e Selim potrebbe chiedere di te. -
-Sì, hai ragione. - Roxelana sorrise e alzandosi sulla punta dei piedi si avvicinò ad Ibrahim, premendo le sue labbra sulla sua guancia. Quando sentì la sua barba pungerle contro la bocca, il suo corpo si riempì di brividi. Il suo odore era mascolino, così inebriante che avrebbe potuto ispirarlo per ore senza mai stancarsi. -Buonanotte, Ibrahim Pascià. -
Quando la ragazza se ne fu andata, il Gran Visir cominciò finalmente a respirare e soprattutto a pensare razionalmente.


*** ***


Dopo essersi fatto un bagno profumato ed essersi calmato e ripreso da quella strana giornata, Ibrahim si diresse verso la camera di Hatice. Erano circa quattro mesi che lui non le rivolgeva la parola, non per cattiveria, ma perché dopo il suo imminente matrimonio con Freya, non voleva che la sua dolce principessa soffrisse così tanto.
Bussò alla sua porta, senza ricevere risposta, ma ciò non lo fermò dall'entrare in camera. Hatice era seduta alla toeletta a pettinarsi i lunghi capelli scuri, mentre tirava su con il naso, per cercare di non piangere. Quando vide entrare Ibrahim, i suoi movimento divennero più veloci e arrabbiati, tant'è che si strappò dalla cute molti capelli per il nervoso.
Non sembrava avere intenzione di parlargli, poiché neanche lo guardava.
-Dobbiamo parlare, Hatice. - Le disse Ibrahim, avanzando verso di lei fino a sfiorarle le spalle con le braccia. La principessa alzò lo sguardo, incontrando quello del Gran Visir. - Ti ho vista fuori da camera mia prima e sono venuto per spiegarti. Non è assolutamente come pensi. -
-Hai paura che sia corsa da Selim per dirgli che ti ho visto con la ragazza che lui ama? Beh, non l'ho fatto. Puoi anche andartene adesso, Hurrem ti starà aspettando. - Hatice posò la spazzola sul ripiano e si alzò, dandogli le spalle. Non sopportava la sua vista.
-Hatice, non saltare a conclusioni troppo affrettate. Hurrem non è la mia amante e non lo sarà mai. Non potrei mai fare una cosa del genere né a Selim, né a te. Sai che genere di uomo sono, sai che io ti amo e ti amerò fino alla morte. - Hatice si girò di scatto, come se qualcuno le aveva dato una schiaffo.
-Davvero, Ibrahim, davvero? Fino a qualche mese fa non avrei mai, e dico mai, messo in dubbio i tuoi sentimenti per me... Ma adesso non so più he cosa pensare. Non mi rivolgi la parola e quando lo fai non vedo più quella scintilla che avevi solo per me e oggi ti ho visto con Hurrem... Cosa dovrei pensare, Ibrahim Pascià, dimmelo. -
-L'ho fatto per non adirare ulteriormente Selim e per noi. Non avremo mai la possibilità di sposarci, di avere una famiglia, di essere felici assieme. Io fra qualche giorno mi sposerò con Freya è tutto deciso. Ho già litigato con Selim e non voglio che succeda di nuovo, non è bello quando lo facciamo. - Ibrahim sospirò. - Non sono degno di te, Hatice. Tuo fratello me l'ha detto e io l'ho sempre saputo. Sposarmi con Freya, direttamente imparentata con voi, è più di quanto Selim mi concederà. Ho represso i miei sentimenti per te per farmi odiare, amore mio. Solo l'odio può prendere il posto dell'amore e solo l'amore può prendere il posto dell'odio. Così è stato e così sarà. -
-A me va bene vederti di nascosto... Non capisci che questo silenzio mi stava uccidendo, Ibrahim? Io ti amo, ti sembra poco se te lo dico? Selim ti ha detto una cosa orribile perché non c'è nessuno di più degno per me, di te. Non mi importano le tue origini, potevi anche essere un assassino prima di venire a corte, mi importa dell'uomo che sei ora. E credimi se ti dico che nessuno, nemmeno mio fratello, potrà mai essere come te. Sei gentile, hai il senso del dovere, non menti mai, sei affascinante, divertente e bellissimo. Sei perfetto e nessuna donna potrebbe mai desiderare niente di meglio per se. - Hatice lo afferrò per il colletto della giaccia beige, scuotendolo ogni volta che pronunciava una parola. Si aggrappava al tessuto come si stava aggrappando alla speranza di continuare ad incontrarlo di nascosto. Ibrahim alzò una mano, passandola delicatamente sul viso della ragazza, che chiuse gli occhi, sospirando. Tremava come un cucciolo impaurito. Era così forte, così dolce, così bella, così donna. Era perfetta la sua Hatice, ma lui non era abbastanza per lei. - E so anche che queste mie parole, per quanto giuste, non ti convinceranno. Perché il tuo senso del dovere verso Freya ti impedirà di vedermi. Non è giusto, suppongo. -
-Ascolta, Hatice... - Una lacrima silenziosa scivolò sulla guancia di Ibrahim, notando il dolore che la principessa provava nel doverlo lasciare andare per sempre. Non voleva, ma doveva. Non era giusto nei confronti di nessuno di loro. Per quanto avrebbero continuato a nascondersi prima di farsi sorprendere da qualcuno?
-Ti prego, resta con me fino all'alba. Non mi interessa se fra te e Hurrem ci sia qualcosa, voglio solo che tu ed io ritorniamo solo per una sera, una notte, ad essere quelli di una volta. Voglio dirti addio come si deve. - Hatice gli sorrise, asciugandogli le lacrime. - Non piangere, amore mio, perché se comincio io non finisco più. -
Ibrahim rise, tirando su con il naso e afferrando le mani dell'amata e baciandole teneramente. - Voglio dirti che fra me e la rossa non c'è niente, puoi starne sicura. Non tradirei mai Selim così, l'ho già fatto con te. E' venuta da me perché una donna al villaggio l'ha attaccata e l'ha maledetta e non voleva che Selim la vedesse in quello stato. -
-Va tutto bene, Ibrahim. Ti credo. Io e Hurrem avremo modo di chiarirci domani mattina. Adesso stringimi e metti fine al nostro tormento. -
Ibrahim annuì, abbracciandola così intensamente da farle mancare il respiro. Avrebbero passato quella notte, quella ultima notte, insieme e poi tutto sarebbe ritornato come prima. Come quando erano bambini e non capivano cosa erano l'amore e l'infelicità.


*** ***
La notte incombeva su Costantinopoli. Palazzo Topkapi era deserto e silenzioso. Due figure misteriose comparvero all'improvviso, coperte in mantelli scuri. La più alta fra le due camminava incurvata, come se provasse molto dolore nel basso ventre, mentre la seconda era molto bassa e non riusciva a camminare, infatti sembrava ciondolare.
-Allora, mia signora, dov'è la mia ricompensa? Ho fatto ciò che dovevo. - Disse la seconda figura, quella bassa, con voce debole. Era anziana.
-Arriverà a tempo debito, strega. Per prima cosa devo vedere se la tua pozione funzionerà e se la rossa starà lontana dal sultano. -
-Sono una strega molto potente, mia signora, non dovete mettere in dubbio le mie abilità. La vostra nemica, quella ragazzina rossa, ha davanti a sé un futuro molto potente. Se non resterà lontana dall'uomo che ama, il suo primogenito verrà colpito dalla maledizione e lei morirà fra il suo sangue e quello del suo primo amore. Sarà lei la causa della morte di tutti coloro che ama. -
-Non erano questi i patti, il sultano non doveva essere messo in mezzo. Solo la rossa e tutti i suoi figli. - La donna si agitò, temendo per la vita del suo sovrano.
-Ho per caso nominato il nome del vostro amato sultano, mia signora? L'uomo che ama non è di certo Selim Sultan, o almeno non è stato il primo. La ragazzina è così ingenua da non essersene accorta. - La strega sorrise, malefica.
-E allora chi è costui? Io lo conosco? -
-Oh, certamente che lo conoscete, mia signora e gli siete anche molto vicina. Ma non posso svelarvi la sua identità, se prima non mi pagate. Ricordate che le mie maledizioni si avverano sempre. -


A.N//
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e scusate il ritardo. Se così è stato, lasciatemi un commento o un voto. Mi farete molto piacere! Ringrazio tutti quanti, sia i lettori silenziosi che quelli che mi scrivono in privato... Grazie per le vostre belle parole e grazie di seguire così calorosamente questa storia!
Al prossimo capitolo xx


P.S. Roxelana con chi la vedete meglio, con Selim Sultan o con Ibrahim Pascià?

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Capitolo 16
*** XV ***


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I musicisti stavano suonando una complicata musica popolare, fatta di strumenti a fiato e tamburi di vario genere e grandezza. Due uomini di mezza età li accompagnavano, cantando. I servitori facevano avanti e indietro con diverse pietanze e bibite da offrire agli ospiti.
C'era un gran baccano e una gran confusione. Gli invitati parlottavano a voce alta fra di loro, altri ridevano a squarciagola ubriachi di vino e altri ancora ballavano. Selim era seduto sulla sua sedia a forma di trono e osservava Ibrahim e Freya, entrambi vestiti di bianco, ballare al centro della sala. L'anello nuziale brillava sui loro anulari.
Freya era vestita con un meraviglioso vestito bianco, realizzato dai migliori sarti del regno. Era molto semplice, ma era esattamente quello a renderlo così bello. Sul corpetto c'erano delle perle sparse qua e là, la gonna era gonfia, la coda lunghissima e il velo era molto spesso e color panna, più scuro rispetto al vestito, ed era tenuto sul capo da un piccolo diadema in oro bianco. Il viso era truccato in modo molto pesante e i capelli erano stati acconciati in modo semplice. Era bellissima ed era felice, non aveva mai smesso di sorridere durante tutta la cerimonia e il ricevimento.
Ibrahim, ovviamente, era di una bellezza tale da togliere il fiato. Il suo completo non era bianchissimo, come il vestito di sua moglie, ma leggermente più scuro, tendente al beige. Sulla testa portava un copricapo abbinato con una perla viola al centro e una piuma di pavone. Sorrideva, anche lui, per mantenere le apparenze. Infondo, nessuno lo aveva mai visto sorridere veramente a corte, quindi se avesse sorriso troppo, gli ospiti se ne sarebbero accorti.
-E così, mia cara Hurrem, Ibrahim si è sposato. - Sospirò Hatice, osservando i due novelli sposi volteggiare in mezzo alla sala. - E io non sono al suo fianco. -
Roxelana guardò la principessa, compassionevole. Non aveva dormito tutta la notte al pensiero che l'uomo che amava si sarebbe sposato con un'altra donna, con sua cugina. Ma era davvero impeccabile con i capelli intrecciati sul capo, il diadema e il vestito di un viola molto scuro. Era più bella della sposa.
-Hatice Sultan, ci sono così tanti uomini affascinanti questa sera... Potete pur sempre accettare l'invito di uno di loro per cercare di... attenuare il dolore. Magari distrarvi potrebbe farvi bene, che cosa ne dite? - Roxelana fece vagare lo sguardo nella sala, la stessa dove si era celebrato il compleanno del sultano, alla ricerca di qualche viso giovane e affascinante con cui far ballare Hatice.
-Mie sultane. - Un uomo si inchinò alle donne, facendole sussultare per lo spavento. Nessuna delle due si era accorta del giovane uomo che si era avvicinato. - Sono maleducato se mi permetto di chiedere umilmente un ballo con Hatice Sultan? Non vorrei mancare di rispetto a voi Hurrem Sultan, oggi siete davvero incantevole, ma non me ne vogliate, Hatice Sultan lo è ancora di più. -
Roxelana sorrise, inchinandosi a sua volta. Era un uomo molto importante, questo si notava dal portamento e dai suoi capi d'abbigliamento, ma la ragazza non si ricordava di averlo visto prima a corte. Era poco più alto di lei. Aveva capelli folti, ricci e di un particolare biondo cenere. Aveva il naso storto e una piccola cicatrice ai lati degli occhi azzurri e una sul mento. Le labbra erano sottili e grandi e la sua voce era molto bassa e roca, quasi si faticava ad udirla.
-Non ho avuto il piacere di fare la vostra conoscenza. O almeno non ci hanno ancora presentati, mio signore. - Gli occhi di Hurrem furono catturati da quelli di Selim, che sorrideva colpevole, dall'altro lato della stanza. Era proprio abile nel combinare matrimoni il suo sultano e Roxelana sapeva perfettamente, dopo lo sguardo di Selim, dell'identità dell'uomo.
Si chiamava Iksander Pascià. Prima era un generale, uno dei migliori, di Selim. Adesso, dopo la morte di uno dei consiglieri più fidati, il sultano lo aveva alzato di rango, facendogli prendere il posto del Pascià defunto. Era un buon partito per Hatice. Era ricco, giovane, di buona famiglia e di buone maniere. Tutte le generazioni passate avevano servito fedelmente l'impero. Non era bello come Ibrahim, era quasi passabile, ma sarebbe andato bene per Hatice, da quello che Selim le aveva detto. - Ad ogni modo, ne avremo la possibilità, la mia cara amica e cognata sarà felice di ballare con voi. -
-Hurrem, aspettate, io... - Hatice era diventata dello stesso colore dei capelli della cognata, che rideva mentre si dirigeva verso il sultano. -Va bene, balliamo, Iksander. -
Selim sorrise compiaciuto quando sua sorella e l'uomo si unirono alle altre coppie che stavano danzando.
-Allora, amore mio, che ne dici? - Selim fece un segno ai servitori, ordinando di portare una sedia per Hurrem. - Ho fatto una bella scelta per mia sorella? -
-Sembra di sì, Selim. Iksander sembra un uomo molto gentile, anche se fin troppo adulatore. - Disse la ragazza, sedendosi sulla sedia della stessa forma di quella del sultano, anche se un po' più piccola. Si portò una mano al ventre, accarezzandolo amorevolmente. - Ma noi donne amiamo essere adulate e idolatrate, più di quanto piaccia a voi uomini. -
-Non vedo l'ora che nostro figlio nasca, mia bellissima Hurrem. Sarò l'uomo più felice della terra. - Selim si sporse verso di lei, baciandole la mano. Il sultano vestiva completamente di rosso quel giorno. Era un colore che gli donava molto.
-Non dite così, mio sultano. Non è giusto per Mustafà, anche lui e vostro figlio. - Lo rimproverò Roxelana con lo sguardo. Il piccolo in quel momento passò davanti al padre, correndo, probabilmente aveva fatto un altro dispetto alla balia.
-Lui è l'erede al trono, la mia prima gioia. E' il mio primo figlio, darei la mia vita per lui. Ma questo bambino è il primo figlio che avrò dalla donna che amo. - Selim sorrise, accarezzandole i capelli dolcemente. - Vieni, andiamo a ballare. Se non andiamo a salvare Ibrahim da tutte quelle nobili, lui mi ucciderà. -


*** ***
Iksander Pascià e Hatice Sultan stavano volteggiando al centro della pista da un bel po'. Hatice non amava molto ballare e per lei era davvero strano farlo con un uomo con cui aveva parlato poche volte in vita sua.
Non avevano punti in comune su cui discutere, si muovevano impacciati e in silenzio. Ogni tanto lanciava qualche occhiata di risentimento a Hurrem che l'aveva abbandonata nel momento del bisogno, altre a suo fratello che sicuramente aveva a che fare con quell'improvviso interesse. Entrambi la guardavano sorridenti e la spronavano con lo sguardo a fare conversazione.
-Congratulazioni per il... vostro nuovo incarico, Iksander. - Borbottò Hatice, quando finalmente la musica smise di suonare e gli ospiti si sparpagliarono per la stanza, sedendosi e riposandosi.
-Vi ringrazio, Hatice. - Iksander sorrise, sembrava quasi imbarazzato.
-Posso farvi una domanda, Iksander? - Domandò all'improvviso Hatice. - Ci conosciamo da quando eravamo bambini, tuttavia non abbiamo mai giocato. Ci siamo spesso incontrati a corte, ma non mi avete mai rivolto la parola se non per brevi saluti... Quindi, posso sapere perché tanto interesse nei miei confronti? C'entra mio fratello? -
Iksander sembrava a disagio. Hatice metteva soggezione quando voleva e in quel momento, con mani poggiate sui fianchi e scuro sopracciglio sollevato, faceva quasi paura.
-Hatice Sultan, non vi fingete sorpresa... Voi siete ancora nubile, io sono vedovo e senza eredi. Voi siete una donna meravigliosa e io un umile uomo che farebbe qualsiasi cosa per la sua sposa. Vi farei vivere nel lusso, non vi mancherebbe niente, sareste la regina della mia casa. Vostro fratello, il caro Selim, vuole solamente che voi siate felici e siete ormai giunta in età da marito. Se mi darete una possibilità, vi innamorerete di me e vivremo felici. - Gli occhi azzurri di Iksander erano sinceri. Forse... Se lui e Hatice si fossero sposati, forse lei avrebbe finalmente dimenticato Ibrahim e non avrebbe sofferto più così tanto.
-Non mi serve un marito per essere felice, Iksander Pascià. E non ho bisogno dei vostri soldi o del vostro amore per sentirmi una regina, lo sono già in tutti i modi possibili ed immaginabili. - Hatice porse la mano ad Iksander, il quale l'afferrò, baciandola leggermente. - Ma potrei prendere in considerazione la vostra offerta, vi do il mio permesso per corteggiarmi e se riuscirete a farmi innamorare di voi, allora potrete sposarmi. -
-Sfida accettata, Hatice Sultan. Sarò felice di farvi perdere, allora. - Iksander le sorrise, inchinandosi e trascinandola di nuovo all'interno della pista da ballo. - Adesso ballate con me, mia bellissima ragazza. In amore o in guerra tutto è lecito, quindi adesso vi sfinirò con le mie arti e voi mi cadrete ai miei piedi questa sera stessa. -
-Come siete modesto, Iksander. - Hatice, suo malgrado, sorrise. Era un brav'uomo. Avrebbe voluto avere modo di parlargli prima, magari il mondo sarebbe stato diverso e lei non avrebbe voluto un uomo sposato. - Ma posso assicurarvi che con le vostre arti non mi conquisterete facilmente. -
Iksander le sussurrò qualcosa all'orecchio, mentre la faceva girare su se stessa, e Hatice rise con gran voce, attirando l'attenzione di Ibrahim.


*** ***

Hurrem era ancora seduta sul suo piccolo trono, quando notò due figure entrare e discutere animatamente. Erano una coppia, un uomo che somigliava straordinariamente ad Ibrahim, vestito come qualsiasi uomo di ceto nobile e una donna con un vestito rosso e i capelli biondi sciolti sulle spalle. Lei era chiaramente incinta.
Drake e Fiammetta.
Roxelana sorrise, alzandosi e andandogli incontro.
-Fiammetta e Drake che piacere avervi qui oggi. Selim non mi aveva detto di avervi invitato. - Disse la rossa, abbracciando di slancio Fiammetta e accarezzandole la pancia gonfia. La donna bionda ebbe un fremito quando si abbracciarono e sorrise, dicendole: -Sarà un maschio, congratulazioni. -
-E voi come fate a saperlo? -
-Non importa. Dobbiamo fare presto, nessuno ci ha invitati. Eravamo solamente curiosi di vedere la moglie di quell'ingrato di mio fratello. Se solo non avessi fregato questi vestiti ad una coppia, mentre giungevamo a Palazzo, lo picchierei. E' così soffice questa stoffa che potrei assumere un servitore e farmi lavare il cu... -
-Drake! - Lo rimproverò Fiammetta, assestandogli una gomitata nella costola. Roxelana rise, scuotendo il capo. - Oh mio Dio, guarda là! Nostro fratello sta ballando. -
Drake assottigliò gli occhi azzurri, osservando il fratello volteggiare da una parte all'altra, vestito di bianco, con una donna.
-Sembra un tacchino con quel vestito. - Rise a gran voce, attirando l'attenzione di parecchi ospiti. Roxelana si guardò attorno a disagio. - Non posso credere che voi balliate così. Ma che cosa è quella danza strana? E devo dire che la donna non è male. -
-Hurrem, vi vorremmo chiedere un favore... E' chiaro che Ibrahim non abbia tempo per noi e che presto scopriranno che non siamo nobili, quindi potreste dire a quell'ingrato di venirci a trovare domani sera al porto? -
-Sì, certo, non preoccupatevi. -
-Vi ringrazio. - Fiammetta si inchinò abbastanza goffamente per poi lanciare un altro sguardo triste verso il Gran Visir, che non si era nemmeno accorto della loro presenza.
-Se avanza qualcosa, mandatecela, mia moglie mangia quanto tutto il mio equipaggio. - Borbottò Drake, sussultando quando Fiammetta gli tirò un'altra gomitata nello stomaco. - Ma ti amo lo stesso, amore mio. Anche se somigli ad una di quelle balene che tanto vorremmo catturare, sei sempre bellissima. -
-Vorrei tanto dirti a quello che somigli tu, capitano dei miei stivali, ma molte signorine qui dentro, impallidirebbero. -


*** ***


-Ibrahim, stiamo ballando così tanto che stanotte mi faranno male i piedi. -
Rise Freya, afferrando un bicchiere in cristallo e bevendone il contenuto. Era sudata e aveva bisogno di una pausa per riprendersi, Ibrahim sembrava non darle tregua.
-E' un crimine desiderare di ballare con la propria sposa? - Domandò il novello sposo, sorridendole. Freya scosse il capo, trattenendo un sorriso. - Ma se lo desideri, possiamo fare una pausa. -
-Sarebbe davvero meraviglioso, marito mio. - Freya gli accarezzò un guancia delicatamente. Era felice e glielo si leggeva negli occhi. - Mentre io mi occupo di chiacchiere e pettegolezzi, voi andate da mio cugino. Il sultano vi vuole parlare, fatelo ora prima che tutte le donne qui presenti vi chiedano di ballare. -
Sulla faccia di Ibrahim si dipinse il disgusto e la nausea e quella buffa espressione fece sorridere la donna. Ibrahim le baciò la mano, prima di congedarsi, ma invece di andare da Selim, uscì dalla stanza dei festeggiamenti, volendo respirare.
Recitare per così tanto tempo gli stava facendo venire il mal di testa. Aveva bisogno d'aria e di schiarirsi le idee.
Freya era davvero una donna meravigliosa, umile e gentile; stava facendo tutto quello per lei, perché non si meritava di essere infelice il giorno del suo matrimonio e inoltre Selim era fiero di lui. Non poteva deluderlo proprio in quel momento. Ormai non c'era niente che avrebbe potuto separare lui e Freya, erano sposati davanti agli occhi di Allah. Solo la morte avrebbe potuto separarli.
Si appoggiò ad uno dei davanzali in marmo, sollevando lo sguardo verso il cielo stellato e godendosi la brezza notturna che gli scompigliò i capelli sudati. Era un vero sollievo per i sensi. Si guardò le mani, precisamente quella sinistra, giocando con la fede nuziale.
Era sposato finalmente. Gli sembrava così strano pensarlo. Sposato, lui! Ibrahim aveva sempre pensato che non sarebbe mai accaduto, che avrebbe servito Selim fino alla morte e per farlo nel migliore dei modi, doveva essere nubile, senza una famiglia e dei figli a cui pensare. E invece il destino si prendeva gioco di lui, non solo facendolo maritare con una donna, ma persino con una che non era Hatice!
-Fissare quell'anello non cambierà ciò che rappresenta, Ibrahim. - Roxelana si appoggiò al suo fianco, accarezzandosi il ventre ancora piatto. Lo stava guardando con un sorrisetto furbo e i suoi occhi da cerbiatta.
Quella sera era meravigliosa, pensò Ibrahim, con i capelli intrecciati con fili d'oro e il vestito semplice simile al verde dei suoi occhi, dal corpetto pieno di pietre preziose e il viso privo di trucco. -Congratulazioni, comunque. -
-Vi ringrazio, Hurrem Sultan.- Ibrahim distolse lo sguardo dalla ragazza, togliendosi il copricapo e poggiandolo sul davanzale. Con gesti veloci della mano si scompigliò i capelli neri. - Quante cose possono cambiare in poche settimane, non è vero? Un matrimonio per me e un bambino per voi. -
-Selim è molto felice, non c'è minuto che non si avvicini al mio ventre e parli al mio bambino. - Disse Roxelana, non sapendo come rispondere. Era uscita per prendere un po' d'aria, tutte quelle persone in un'unica stanza anche se enorme, la facevano sentire in trappola. -Come mai non siete dentro a divertirvi? Stentavo a riconoscervi. Non sapevo che voi foste un così eccellente ballerino. -
-Avevo bisogno d'aria, tutto qui. Ho visto che parlavate con mio fratello e Fiammetta prima. Che cosa volevano? - Non gli sfuggiva mai niente.
-Sono passati a salutare e di dirti di passare domani al porto. Devono parlarti. - Roxelana si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. - Perché non gli hai invitati? -
-Non sarebbero stati a loro agio. E Selim non sa della loro esistenza. - Tagliò corto il Gran Visir, rimettendosi il copricapo sulla testa.
-Quanti segreti hai, Ibrahim Pascià? - Domandò Roxelana avvicinandosi maggiormente all'uomo.
-Non ne hai idea, Roxelana. - Disse Ibrahim, retrocedendo fino a toccare con la schiena una colonna.
-Me ne racconterai mai qualcuno? - La rossa gli si avvicinò maggiormente, posandogli le mani sui pettorali, stringendo la stoffa del vestito e costringendolo ad abbassarsi. -Sei l'unica persona che non sono riuscita ad inquadrare del tutto, qui a corte. -
-E non credo che succederà mai, Roxelana. - Ibrahim l'afferrò per le mani, costringendola a lasciarlo andare.
-Smettila di chiamarmi così, quando lo fai è snervante. -
-E tu smettila di cercare di essermi amica, solo perché sappiamo qualcosa su di noi che gli altri non possono sapere, non vuol dire che lo siamo. - Disse Ibrahim duro, lisciandosi la giacca e raddrizzando le spalle. -Non fai altro che confondere le cose. Se ti comporti così, confondi tutto! Stammi lontana una volta per tutte, non voglio essere tuo amico e non voglio avere niente a che fare con te! -
-Quali cose? Volevo solo essere gentile con te! Ma vedo che sei ritornato lo stesso di prima e che non cambierai mai! Duro, freddo e insensibile Gran Visir dei miei stivali. - La faccia di Roxelana era diventata tutta rossa dalla rabbia. L'aveva ferita un'ennesima volta. - Sparisci dalla mia vista. Compatisco Freya per dover passare il resto della sua vita con voi.-
-Io ritorno alla mia festa, con il vostro permesso Hurem Sultan. -
Senza aggiungere altro, Ibrahim si allontanò velocemente, lasciando dietro di sé una Roxelana confusa e arrabbiata per le sue parole, ma anche per il suo comportamento. Era forse impazzita ad averlo afferrato così? Non era lei quella a confondere chissà quali cose, era lui con il suo strano modo di agire
.

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Capitolo 17
*** XVI ***


Quando Roxelana ed Ibrahim ritornarono ai festeggiamenti, Selim sospirò, amareggiato. Quel mese di tregua era durato fin troppo a lungo e i due avevano litigano di nuovo. Poteva notarlo dal modo in cui Hurrem camminava, sembrava che avrebbe potuto rompere il pavimento con i suoi passi per quanto li sbatteva per terra; il viso era rosso di furia, le sopracciglia talmente aggrottate da essere diventate tutt'uno e le mani strette in pugno lungo i fianchi. Quando una serva le passò accanto, probabilmente dicendole qualcosa, ci mancò poco che la rossa le tirasse un pugno in faccia.
Ibrahim, non tanto diverso da Hurrem, camminava con la schiena rigida, i pugni stretti allo stesso modo e la mascella che ogni tanto guizzava dalla rabbia. Rifilò uno sguardo di ghiaccio ad uno dei nobili che si avvicinò per parlargli di politica e il pover'uomo si dileguò impaurito. Quando Ibrahim guardava in quel modo la gente, pensò Selim, faceva veramente paura.
Ti guardava con i suoi particolari occhi verdi-castani e sembrava che potesse congelarti il cuore solo con un'occhiata.
Nonostante la gravità della situazione, Selim sorrise divertito. Ibrahim e Hurrem non capivano che sembravano essere l'uno la copia dell'alto. Erano due persone talmente simili ed entrambe testarde, quindi era normale che i due litigassero così spesso.
-E' davvero una persona orribile. - Quasi urlò Roxelana, raggiungendolo sul suo trono. - Io davvero non so come voi facciate a essergli amico. Io ci ho provato, ma lui non fa altro che dire cose talmente cattive da indurmi a schiaffeggiarlo selvaggiamente. -
-Addirittura. - Rise Selim, accrescendo la furia della rossa, che nel frattempo si era seduta e guardava con astio Ibrahim che si avvicinava velocemente verso di loro. - Se non fossi sicuro dei tuoi sentimenti verso di me, oserei pensare che voi due vi amiate. -
Hurrem strabuzzò gli occhi, arrossendo. - Non... Non lo dite neanche per scherzo, quell'uomo mi dà il voltastomaco. -
-Eppure dicono che sia l'uomo più bello dell'impero, mia dolce e arrabbiata ragazza. - Disse Selim, baciandole la mano per farla calmare. Nel frattempo Ibrahim si era avvicinato, inchinandosi davanti al sultano. Non degnò la rossa di un solo sguardo. I suoi occhi erano solo per Selim Sultan. - Ti prego, Ibrahim, non dirmi che anche tu sei venuto a lamentarti di Hurrem. Non potrei sopportarlo. -
-No, non voglio parlare con la vostra Hurrem, Selim. Freya mi ha detto che volevate parlare con me, così eccomi qui. - Disse Ibrahim, grattandosi la punta del naso.
-Ah, sì, perdonami, me ne ero completamente dimenticato. - Rise Selim, alzandosi e poggiando una mano sulla spalla dell'amico. - Iksander è diventato il nuovo visir e credo anche che lui sia la persona migliore per essere il compagno di vita di mia sorella. -
Roxelana si sporse sul suo trono, osservando l'espressione perfettamente controllata di Ibrahim. Nemmeno un guizzo nella mascella, o una lacrima o altro. Era perfettamente normale, come se quella notizia non lo riguardasse affatto.
-Non vedo come possa riguardarmi, Selim. Io sono sposato con Freya e non penso più ad Hatice Sultan in quel modo. E' tutto passato. - Ibrahim gli sorrise, mostrando i denti dalla dentatura perfetta e delle piccole rughe gli si formarono ai lati degli occhi. Ed era così bello che quel sorriso sembrava essergli stato donato direttamente da Allah, ma era anche perfidamente cattivo con lei.
Oh, era un così bravo attore. Poteva darla a bere a tutti con quella farsa, non a lei. Aveva notato il modo in cui guardava Hatice con la coda dell'occhio quando Iksander la faceva ridere.
-Era giusto informarti, amico mio. E sono felice che questa tua piccola infatuazione sia scomparsa. Pensa solamente a Freya adesso, ha bisogno del tuo amore. E per l'amor del Cielo dammi un nipotino il prima possibile. - Selim rise, abbracciandolo. Ibrahim sorrise, ricambiando la tenerezza, ma quando notò che Roxelana lo stesse fissando, il suo sguardo la incenerì.
Hurrem sbuffò, guardando altrove e borbottando qualcosa di incomprensibile.
-Selim, io sono molto stanca, penso che andrò a riposarmi. Buonanotte, amore mio. - Roxelana si alzò, andando incontro al sultano e baciandolo sulle labbra, davanti lo sguardo gelido di Ibrahim. - Non fate troppo tardi. Buonanotte, Ibrahim Pascià. -
-Buonanotte, mia bellissima Hurrem. - Un sorriso da folle innamorato si dipinse nello sguardo di Selim. -E buonanotte, mio piccolo erede! -
-Buonanotte, Hurrem Sultan. - Pronunciò a denti stretti Ibrahim, guardandola andare via lentamente, seguita dalle sue serve.
-Sono così felice, amico mio, che niente potrebbe mandarmi giù di morale. Presto diventerò padre di nuovo, tu sei sposato e sistemato, e mia sorella lo sarà presto. Cos'altro può desiderare un uomo oltre alla felicità dei suoi cari? -
-Niente, mio sultano. Sapere che voi siete felice, mi rende gioioso. Adesso ritorno dalla mia sposa, con il vostro permesso Selim, ci aspetta la prima notte di nozze. - Ibrahim sorrise, quando il sultano lo guardò con sguardo malizioso. Non lo faceva da quando erano adolescenti, quando si divertivano a guardare le donne che passavano per il castello e spesso le stuzzicavano con commenti maliziosi. Quante bacchettate si erano presi dalla Valide Sultana a quei tempi, tuttavia non era servito a niente.
-Vai, fratello mio, vai e divertiti! -
Ibrahim avanzò lentamente verso la sua sposa e dopo averla presa per mano, le sussurrò: - E' ora, Freya, andiamo. -
Quando li videro uscire dalla stanza dei festeggiamenti, gli ospiti applaudirono finché non girarono l'angolo e successivamente ripresero a fare festa.
Era quasi l'alba e faceva freddo. Ibrahim poteva sentire Freya tremare fra le sue braccia quando giunsero in prossimità delle sue stanze.
-Benvenuta nella mia umile stanza, Freya. - Disse ironico Ibrahim, baciandola sulla fronte ed entrando dopo di lei. - Ho fatto portare dalle tue serve una camicia da notte per oggi, domani troverai tutti i tuoi abiti nell'armadio. -
-Grazie... E' molto gentile da parte tua. - Freya arrossì, quando Ibrahim le andò incontro baciandola sulle labbra. Non si sarebbe aspettata un simile gesto improvviso da parte sua. Poggiò le mani sulle sue spalle rigide, allontanandolo. Sembrava fatto di pietra. - Ibrahim, non serve che tu lo faccia per forza... -
-Che cosa... -
-So che tu non mi ami. - Lo interruppe sua moglie, mettendogli un dito sulle labbra per zittirlo. -Non serve che consumiamo subito il nostro matrimonio. Lo farai quando te la sentirai. Non voglio che tu lo faccia perché costretto da mio cugino. - Freya gli accarezzò una guancia, dolcemente. - Non mi offendo, non ti preoccupare. -
-Che uomo sarei se oggi non facessi quello che dovrei fare? - Domandò Ibrahim, sbottonandosi la giaca che indossava.
-Un uomo che rispetta il volere di sua moglie. Un uomo buono e gentile e giusto. Ed è esattamente ciò che sei tu, mio caro sposo. - Freya gli parlava dolcemente e senza mai smettere di sorridergli, mentre Ibrahim era più confuso ad ogni sua parola.
-Io non ti merito, Freya, sei troppo buona e intelligente per avere me al tuo fianco per il resto della tua vita. - Ibrahim sospirò, sedendosi sul ciglio del letto. Freya lo seguì, accomodandosi al suo fianco. - Volevo renderti felice, davvero, te lo meriti. -
-Oh, Ibrahim, questo matrimonio sarà tanto infelice per me, quanto lo sarà per te. So che nel tuo cuore c'è un'altra persona e nel mio lo stesso. Non mi interessa il suo nome o la sua identità e penso che sia lo stesso per te... - Freya si rintristì, accarezzando i capelli scuri dello sposo, che aveva spalancato la bocca sorpreso. - Agli occhi di una esperta, di una donna esperta, era palese che il tuo cuore fosse occupato. Sei un bravo attore però, questo devo riconoscertelo. -
-Io... non so cosa dire, davvero. -
-Non dire niente e aiutami a togliermi questo vestito ingombrante. Ho bisogno di dormire. - Ibrahim annuì e fece come sua moglie gli ordinò.
Non se lo sarebbe mai aspettato. Ma in un certo senso era sollevato, Freya poteva capirlo meglio di chiunque altro ed era felice di ciò.
Qualche attimo dopo la donna aveva indossato la sua camicia da notte, si era lavata il viso da tutto quel trucco ingombrante e dopo essersi pettinata i lunghi capelli si era stesa nel letto.
-Mi piace dormire senza maglietta, spero non sia un problema per te... Perché se così fosse, posso indossarla. - Bofonchiò Ibrahim, imbarazzato, in piedi dall'altra parte del letto su cui Freya era stesa. Sua moglie lo guardava con ammirazione, facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo scolpito dagli anni, dall'allenamento e dal lavoro. Così tanta perfezione in una sola persona non era possibile. Infatti, c'era una sola pecca nel suo aspetto: cicatrici. Erano ovunque e di varie dimensioni. Si trovavano sulle braccia, sull'addome, sui pettorali e sulla schiena soprattutto. - Posso dormire per terra se... -
-Ibrahim, non farti problemi, semplicemente stenditi e dormi. - Freya rise, notando il rossore sulle guance dell'uomo. - Sono già stata sposata, ricordi? Non mi fanno più imbarazzo questo genere di cose... -
Ibrahim sospirò, poggiando le mani sulla pancia e guardando il soffitto. Erano circa cinque minuti che Freya non parlava, probabilmente si era addormentata.
-Posso farti una domanda? - Domandò all'improvviso Freya, avvicinandosi al marito e poggiandogli la testa sulla spalla. Era caldo e profumato, il tipico odore di uomo che faceva impazzire le donne. Ibrahim annuì, rilassandosi leggermente. - Come te le sei procurate queste? -
-E' una lunga storia, Freya, lunga e dolorosa. - Sospirò Ibrahim, guardando il dito della sua sposa accarezzargli la peluria sul petto.
-Ho tutta la notte. Devo pur conoscere mio marito... Se tu mi dirai questa cosa, io ti dirò l'identità della persona che amo. -
-E va bene, mettiti comoda allora, partirò dal principio. - Disse Ibrahim con voce atona e lo sguardo perso nel vuoto. Era completamente tuffato nel passato.

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Capitolo 18
*** XVII - Tuffo nel passato, parte prima. ***



Ci sono avvenimenti che ti rimangono impressi fino alla fine dei tuoi giorni. Si attaccano al tuo cervello e alla tua memoria come sanguisughe e nemmeno il passare degli anni riesce a staccarle. Ti prosciugano ogni notte e quando sei sola. Non hai via d'uscita.
Era esattamente ciò che succedeva ad Ibrahim dalla tenera età di sei anni. I ricordi, i brutti ricordi, lo perseguitavano. I fantasmi lo tormentavano, addossandogli colpe che effettivamente non aveva, ma che credeva di avere.
Era così piccolo a quei tempi; un bimbo innocente che non aveva visto e vissuto abbastanza per comprendere la cattiveria dell'uomo.
Come si può dimenticare il giorno in cui vieni strappato dalle tue origini? Come si può ignorare la vista della tua terra che viene inghiottita dalla lontananza, mentre tu sei legato ed impaurito su una nave a scappare per sempre? Come si può dimenticare il giorno nel quale è cominciata la tua prigionia?
Non si può. Ibrahim ricordava perfettamente ogni minimo particolare, ogni dettaglio, ogni lacrima che aveva versato...




Viveva in una piccola città portuale nel sud della Grecia che non aveva più di ottomila abitanti. La sua famiglia, composta per lo più da pescatori, non se la cavava bene; erano molto poveri, ma nella loro povertà e nelle loro umili origini erano felici.
Erano in cinque: i suoi genitori, Elena la sorella maggiore, Costa e Alexadros; questi ultimi sarebbero diventati Drake il pirata ed Ibrahim Pascià in un futuro molto lontao.
Quella mattina era il primo giorno di primavera; il cielo era privo di nuvole ed un leggero venticello scorrazzava fra le chiome verdi degli alberi. I bambini correvano allegri per i prati, giocando e ridacchiando, mentre gli adulti si intrattenevano al mercato.
Suo padre e sua madre erano tornati presto dalla normale giornata di lavoro e come premio avevano portato loro un fumante pezzo di pane e del formaggio di pecora. Era il suo compleanno e il suo regalo consisteva proprio in quelle prelibatezze.
-Madre! Padre! - Avevano urlato i bambini quando i genitori, stremati, malnutriti, ma sempre sorridenti, entrarono nella piccola baracca di legno. Il piccolo Alexandros, un bambino dalle guance paffute, dai grandi occhi verde-castano con lunghe ciglia scure e i capelli nerissimi e riccissimi, corse incontro ai genitori, abbracciandoli. - Finalmente siete tornati! -
-Calmati, Alexandros. - Sua madre rise, scompigliandoli i capelli e chinandosi per baciarlo delicatamente sulle guance rosa. Era una donna giovane, aveva circa trent'anni all'epoca. Nonostante le condizioni in cui viveva era bellissima. Capelli ricci e color d'ebano, occhi di un particolare verde-castano e labbra grandi e piene. I suoi tre figli avevano preso da lei, poiché suo marito non era esattamente un uomo di bell'aspetto. Non aveva più capelli in testa, era troppo magro, il naso era troppo grande e sapeva costantemente di pesce. Ma in compenso aveva due occhi blu come l'oceano e un cuore grande e gentile. - Buon compleanno, amore mio.-
-Grazie! Adesso mangiamo! - Urlò, saltellando per casa, mentre suo fratello Costa lo imitava e sua sorella Elena ridacchiava. La sua allegria infantile era l'unica cosa che li faceva andare avanti.
Pensandoci, era ironico il modo in cui la gente era costretta a cambiare così all'improvviso...
La piccola famigliola si riunì intorno ad un piccolo e malandato tavolo di legno scadente e bucato, dividendosi il misero pezzo di pane fumante e quel poco formaggio di capra.
Alexandros afferrò la sua parte portandosela vicino al viso e annusando il buon aroma che emanava.
-Alexandros, vuoi ringraziare il Signore per ciò che ci offre tanto gentilmente? - Domandò Elena, guardandolo con i suoi grandi occhi blu. Una ciocca di capelli scuri e ricci le era caduta sul naso e si affrettò a spostarla. Sua sorella lo guardò con amore, accarezzandogli una guancia dolcemente.
Oh, quanto le voleva bene! Quanto voleva bene ad ognuno di loro! Sarebbe morto innumerevoli volte per salvargli la vita, avrebbe fatto qualunque cosa per Elena, per Costa e per sua madre e suo padre.
-Ti ringraziamo, mio caro Signore, per tutto ciò che ogni giorno ci offri. Per questo pane che mamma e papà mi hanno portato oggi e per tutto il pesce che c'è nel tuo mare. Ti ringraziamo per la nostra salute e per l'amore che ogni giorno ci unisce e ci unirà per sempre. Amen. - Concluse, aprendo gli occhi e guardando i presenti prima di divorare, tutti con un boccone, il loro unico pasto della giornata. Erano rare le volte in cui si permettevano il lusso di mangiare due volte al giorno. - Grazie, vi voglio tanto bene! -
Tutti risero e Costa si avvicinò ad Alexandros, bisbigliandogli qualcosa: - Andiamo a giocare con Fiammetta adesso? Gliel'ho promesso, se non mantengo la promessa, mi picchia! Ieri mi ha fatto un livido solo perché non volevo giocare con le sue bambole di pezza, ma le ho detto che quelli sono giochi da femmine! -
-Che schifo le bambole. - Alexandros fece un verso di disgusto, rabbrividendo solo all'idea. - Ma va bene, vengo con te. Sei mio fratello, ti devo aiutare nel momento del bisogno. -
Tuttavia, prima che Costa potesse controbattere, la porta della loro piccola casetta venne scardinata e cadde al suolo sollevando un gran quantitativo di polvere. Era appena scoppiato l'inferno. Al villaggio erano giunti i turchi in cerca di schiavi da poter portare a Costantinopoli e di cui potersi approfittare.
Elena, suo padre e sua madre balzarono in piedi facendo da scudo a lui e suo fratello , che si erano stretti la mano, impauriti da quei brutti individui armati con cicatrici e provenienti da altri mondi, che parlavano un'altra lingua. I primi a venire uccisi furono i suoi genitori; venne tagliata loro la testa con un colpo veloce e deciso. Elena urlò, maledicendoli in greco, mentre le teste di sua madre e suo padre rotolavano per terra, seguita dai loro corpi. Il sangue schizzava ovunque, sporcando i due turchi e i tre fratelli ormai orfani.
-State lontani, vi prego, non fate del male ai miei fratelli. Prendete me! - Elena, tenendosi davanti ai due piccoli, indietreggiava. Il suo viso era sporco di sangue e di lacrime salate. Costa piangeva silenziosamente stringendogli la mano, mentre lui guardava la scena davanti a sé, completamente sotto shock. Si guardava le mani completamente zuppe di sangue, i corpi dei suoi genitori senza vita e le loro teste con gli occhi vitrei e i due uomini che ridevano mentre afferravano sua sorella per le spalle, staccandola da loro. Elena che veniva spinta per terra e colpita ripetutamente con schiaffi potenti dai due, la sua veste che veniva sollevata e le mani che la toccavano lì dove non dovevano. Le urla di Elena, le urla di Costa e finalmente le sue lacrime.
-Elena! Lasciatela stare, brutti uomini cattivi! - Urlò Costa, correndo verso uno dei turchi e mordendogli forte la mano. Suo fratello fu spinto violentemente di lato e sbatté la testa per terra, rimanendo stordito per qualche minuto.
-Aleksandros, porta via tuo fratello, vattene da qui! - Urlò sua sorella fra le lacrime, mentre i due uomini alzavano le sciabole e le tagliavano la testa in un colpo secco. I fratelli chiusero gli occhi, afferrandosi per mano e cominciando a correre, ma non proseguirono più di un metro che i turchi li presero, sollevandoli da terra.
Quando uscirono da casa, i due bambini cercarono di non guardare i tre corpi senza testa e senza vita per terra. Troppo doloroso realizzare che coloro che erano lì con due secondi prima, adesso non c'erano più. Erano stati spazzati via con due semplici colpi di sciabola.
Il villaggio era stato completamente incendiato e le gabbie umane pullulavano di uomini, donne e bambini. Facce che conoscevano da quando erano nati, ora erano pieni di sangue e incatenati, altri erano semplicemente morti.
Del loro piccolo e felice villaggio di pescatori non era rimasto più niente. Non c'erano più gli alberi di melo poco più lontani da casa sua, sotto al quale lui, Costa e Fiammetta giocavano a nascondino. Non c'erano più quelle anziane signore che spesso gli regalavano due chicchi d'uva, che lui prontamente donava a suo padre. Non c'era più quel ragazzo dai capelli biondi che si incontrava spesso di nascosto con Elena e la guardava, quando tutti erano distratti. Non c'era più Elena, la sua dolce sorella, quella che non poteva piangere perché in quel momento lo stavano trascinando su una gabbia diretta chissà dove. Non c'era più sua madre che ad ogni compleanno avrebbe comprato del buon formaggio di pecora e del fumante e caldo pane bianco. Non c'era più quella particolare aria di mare, così fresca e delicata. Non c'era più suo padre e le sue mani rozze, piene di calli per colpa delle reti, ma che sapevano trasmettere amore. Non c'erano più gabbiani che si aggiravano sul pesce al mercato.
Non c'era più niente e nessuno che ricordasse cos'era stato quel posto e da chi era stato abitato.
Gli alberi di melo bruciavano, scoppiettavano e si appassivano sul prato vicino alle case; Fiammetta era stata risparmiata, ma era stata comunque issata su una delle gabbie e lui e Costa avrebbero avuto lo stesso destino. Non avevano più voglia di giocare, non l'avrebbero mai più avuta. Il tempo delle bambinate era terminato, era ora di diventare adulti.
Le anziane signore, così come quel ragazzo e sua sorella, sua madre e suo padre giacevano morti e insanguinati per terra. Erano senza vita, solamente un guscio di ciò che erano stati e i loro occhi vitrei, senz'anima, ne erano la dimostrazione. La cattiveria dell'uomo, il potere che acceca le menti.
I gabbiani erano scomparsi dal cielo, che non aveva avuto la dignità di piangere in un giorno talmente orribile. E quella meravigliosa aria di mare, si era trasformata in puzzo di morte e fumo.
Tutto ciò che era stato, si stava dissolvendo nel nulla e nessuno lo avrebbe mai ricordato. Il suo passato, le sue origini, ciò che era... Cosa sarebbe stato lui? Chi sarebbe stato? Il nulla più assoluto.
Le lacrime avevano smesso di scorrere sui loro volti, adesso erano cresciuti e nel villaggio vegliava un silenzio tombale. Nessuno piangeva, nessuno proferiva parola, solo silenzio.
E persino quando lui e suo fratello Costa furono separati, non ci fu un solo lamento. Venne buttato vicino ad uno dei bambini e guardò suo fratello attraverso le sbarre. I suoi occhi blu, il viso insanguinato e la mano stretta in quella di Fiammetta fu l'ultima cosa che vide di lui per molti anni a venire.
Aveva perso anche l'ultimo membro della sua famiglia. Adesso era solo, solo contro la cattiveria del mondo e senza la sua allegria.
Era solo e pronto a vendicarsi.
Quando, qualche settimana dopo, mise piede in Turchia il nome Aleksandros non faceva più parte di lui. I turchi lo avevano soprannominato Ibrahim, il convertito. Un'altra parte del suo passato e della sua vita precedente veniva completamente cancellata, dissolta nel dimenticatoio.
Era un orfano, uno schiavo al servizio del sultano e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di compiacerlo.
Quando mise piede a Palazzo Topkapi, gli sembrò di essere in Paradiso. Non aveva mai visto tutto quel lusso, quel cibo e tutta quella bella gente, vestita con tanti colori diversi e così a modo. Nonostante odiasse ogni singola persona che vi abitasse, il piccolo Ibrahim ne ere rimasto affascinato, soprattutto quando era capitato per sbaglio nella biblioteca. Tutti quei libri, libri veri... Chissà come sarebbe stato toccarne uno ed esserne addirittura in grado di leggerlo.
Al suo villaggio solamente il vescovo era in grado di leggere e scrivere, tutti gli altri erano analfabeti.
Fu abbandonato in quel luogo che non gli apparteneva, costretto ad imparare una nuova lingua, una nuova cultura e credere in un nuovo dio. O almeno fingere di credervi... Aveva perso la sua fede nel momento in cui la prima sciabola aveva versato il sangue di sua madre. Un buon dio non permetteva atrocità del genere.
Aiutava come poteva; era troppo giovane per occuparsi di qualcosa in particolare, ma nessuno aveva voluto adottarlo tra i signori. Nessuno voleva un cristiano convertito nelle proprie case. Quindi, era costretto a pelare patate, ravvivare il fuoco nelle cucine, dava da mangiare ai cavalli, ai cani e versava i vasi da notte dei nobili. Mangiava ciò che la cuoca gli regalava per compassione, comunque più di quello che si meritava, e dormiva nelle stalle con i cani. Ogni singola notte guardava il cielo stellato e chiudendo gli occhi, cercava di versava qualche lacrima per i suoi parenti, ma non ci riusciva. Le lacrime sembravano essersi esaurite. Cercava di sentire le carezze dei suoi genitori sulla pelle e la dolce risata di Elena, voleva vedere come se la passassero Costa e Fiammetta, ma ciò che gli veniva restituito era solamente il silenzio.
Passarono i giorni, le settimane e i mesi ed era come essere un fantasma. Nessuno lo vedeva, tutti lo evitavano. Aveva imparato a parlare correttamente e le loro tradizioni, i loro cibi e il loro modo di pregare non gli sembravano più così strani; si stava adattando.
Era il giorno del suo settimo compleanno quando li incontrò. Selim e Hatice. Ibrahim era tutto brutto e sporco, coperto di fango e fuliggine e puzzava di sterco di cavallo, mentre i principini erano stupendi, vestiti bene e profumati. Si era nascosto in un angolo in giardino, dietro un albero e stava strappando i petali ad una rosa bianca; ad ogni petalo che cadeva, Ibrahim pronunciava il nome dei suoi famigliari.
Hatice fu la prima a notarlo. Ricordava che quando la vide per la prima volta, con i capelli intrecciati in due trecce ai lati della testa e gli occhi nerissimi, aveva arrossito per l'imbarazzo. Era la bambina più bella che avesse mai visto.
La principessa gli aveva sorriso, correndogli incontro e dicendogli con la sua voce stridula: - Perché fai del male a quella povera rosa, non lo sai che anche loro hanno dei sentimenti? -
-Scusatemi, principessa, non volevo mancarvi di rispetto. - Ibrahim serrò gli occhi, pronto a ricevere uno schiaffo per il suo gesto, ma niente di tutto ciò successe. Hatice gli si sedette accanto, tirando fuori dalla tasca un piccolo fazzoletto con le sue iniziali e porgendoglielo.
-Sei tutto sporco e puzzi di cacca, perché non ti pulisci? -
-Perché io vivo nella stalla, principessa, non c'è acqua lì. - Ibrahim scrollò le piccole e ossute spalle, pulendosi il viso. Nonostante i vari tentativi, lo sporco era diventato una sola cosa con lui. Hatice lo guardò profondamente, alzandosi in piedi e offrendogli la mano, per poi dirgli: - Vieni con me, adesso sei il mio nuovo amico. Sarai anche il nuovo amico di mio fratello Selim. -
-Non possiamo essere amici, principessa, io sono povero e voi siete ricca. E' così che va la vita. - Ibrahim, comunque, afferrò la mano della bambina, facendosi trascinare da lei in giardino, lì dove il sultano in persona, Selim e la sultana stavano pranzando. La sultana emise un urlo di spavento, notando la sua bambina mano nella mano con un individuo del genere. Il sultano aggrottò le sopracciglia, mentre Selim rise.
-Hatice, cosa ci fai con quel servo sporco e lurido?! Lascialo andare immediatamente! Tu sei una principessa e non puoi tenere la mano a questi cosi! - Urlò la sultana, correndo loro incontro e staccandoli uno dall'altro.
-Mamma! Come osi parlare così al mio nuovo amico? Solo perché è povero, questo non vuol dire che lui non può essere mio amico. - Hatice guardò la madre, aggrottando le sopracciglia. - Se gli facessi usare la mia vasca da bagno, lui sarebbe proprio come me e mio fratello, vero Selim? -
-Sì, è vero. - Assentì suo fratello a bocca piena. Guardava incuriosito quel bambino dall'aspetto buffo. La sultana sembrava sul punto di scoppiare in una crisi di nervi, mentre il sultano sorrideva.
-Sai, moglie, penso che la nostra piccola Hatice abbia ragione. - Disse il sultano, bevendo un sorso di vino. - Hatice, puoi essergli amico se proprio ci tieni, a patto che lui diventi il servo personale di Selim. Potrete giocare insieme quando lui non avrà mansioni di cui occuparsi. -
-Sì! Che bello!! Hai sentito... Come ti chiami, scusa? - Mormorò imbarazzata la principessa. Il sultano scoppiò a ridere, mentre la sultana sembrò voler uccidere il consorte con lo sguardo. Selim si limitava a mangiare. Era molto in carne.
-Ibrahim, mia principessina, mi chiamo Ibrahim. Sarà un piacere servirvi. - Ibrahim sorrise, facendo luccicare i suoi begli occhi.
La sua vendetta poteva finalmente realizzarsi. 

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Capitolo 19
*** XVIII - Tuffo nel passato, parte seconda. ***


Il tempo prese a trascorrere più velocemente ora che Ibrahim aveva trovato Hatice e Selim; il rapporto che si era venuto a creare fra lui e l'erede al trono, era simile al legame fra fratelli.
Ibrahim cercava di non pensare alla sua famiglia, o almeno lo faceva durante le ore buie della notte, quando tornava nella piccola camera che gli avevano concesso di avere in un angolo del castello. Selim si era rilevato un ottimo amico, dall'animo gentile e comprensivo, e non si era mai permesso di giudicarlo per le sue umili origini.
Hatice, invece, gli passava di nascosto qualche dolce che riusciva a nascondere dal pranzo e insieme correvano in un angolo del giardino a mangiare.
Non puzzava più di sterco di cavallo e il suo viso non era più sporco; Hatice faceva in modo che Ibrahim potesse farsi il bagno almeno una volta alla settimana e quello era molto più di quanto potesse desiderare.
Stava cominciando ad abituarsi a quel clima e a tutte quelle persone, tant'è che nessuno lo guardava più come un fantasma.
Era semplicemente diventato il servitore fedele di Selim.
Così come il tempo trascorreva velocemente, lui cresceva a dismisura e la sua bellezza con lui. Stava diventando un uomo, un bellissimo e affascinante uomo dai modi raffinati, e tutti a corte lo stavano notando.
Grazie a Selim aveva imparato a scrivere e a leggere. Il suo buon padrone si era offerto di insegnargli, notando il modo in cui gli occhi gli si illuminavano davanti ad un libro. E una volta imparato, fu un gioco da ragazzi assalire l'immensa biblioteca di notte e leggervi tutti i tomi e volumi. Raccoglieva informazioni come una spugna e più si erudiva, più conosceva il mondo che lo circondava e le lingue, più la sua intelligenza e cultura aumentava.
Durante il diciottesimo compleanno di Selim, il sultano organizzò un banchetto sfarzoso in suo onore, invitando tutta la nobiltà a corte. Nessuno osò rifiutare un simile invito, perciò a Palazzo Topkapi si presentarono centinaia di parenti, funzionari politici e nobili di vario genere, provenienti dal più piccolo angolo di tutto l'impero ottomano.
Fu allora che Ibrahim la incontrò.
Era una nobile, di lignaggio molto alto, vedova e senza figli. Suo marito era morto qualche anno prima di colera e l'aveva lasciata come sua unica erede ad amministrare i suoi beni. Aveva circa quarant'anni ed era di una bellezza disarmante. Capelli biondissimi, quasi bianchi, e setosi. Due occhi cerulei da cerbiatta e ciglia talmente lunghe e scure da sfiorarle le guance. Pelle pallida e lucida. Camminava con grazia leggiadria e la sua voce era dolce e vellutata.
Tutti se ne erano innamorati almeno una volta nella vita. Era talmente bella da sembrare un angelo ed Ibrahim rimase talmente rapito da lei, che faticava a distogliere lo sguardo.
A quei tempi aveva diciannove anni e tutta la sua vita si era svolta fra le quattro mura di quel palazzo. Quindi era più che normale che provasse una simile attrazione.
Quella invece che stupì, fu la reazione di Feride. Fu catturata e completamente rapita da quel giovane, fresco e bellissimo. E, come ogni nobile capricciosa, lo avrebbe avuto.
Ibrahim era come un fiore appena sbocciato, bellissimo nella sua innocenza e Feride avrebbe fatto di tutto pur di riuscire a strapparlo dal prato e tenerselo solo per sé.
E infatti ci riuscì.
La donna si intrattenne per quasi un anno alla corte dal sultano, anno nel quale vedeva Ibrahim di nascosto, era diventato il suo amante. Lo riempiva di regali, vestiti nuovi, libri, soldi e a lui stava bene così. Era una bella donna, lo trattava come un re, perché avrebbe dovuto rifiutare una simile richiesta?
Purtroppo, però, niente è destinato a durare.
Feride era completamente impazzita d'amore per lui, lo seguiva ovunque e non gli lasciava svolgere il suo dovere. La gente aveva cominciato a mormorare e i pettegolezzi a girare per il palazzo. La goccia che fece traboccare il vaso fu una improvvisa richiesta di matrimonio. Ibrahim dovette rifiutare e Feride, con il cuore infranto e l'orgoglio ferito, aveva minacciato di uccidersi. Ibrahim era stato irremovibile. Non l'aveva mai amata, era stato soltanto uno svago, una piccola attrazione che aveva sfogato e adesso si era stancato. Quindi Feride, troppo amante della vita che conduceva, se ne era ritornata nel suo enorme palazzo, sposandosi pochi mesi dopo con un ricco mercante.
Ibrahim aveva ricevuto altre richieste di quel tipo, da donne sposate, vedove o serve. Aveva accettato chi gli faceva comodo e rifiutato chi non gli andava a genio. Tutte le donne erano innamorate di lui e presto lo sarebbe stata anche Hatice.
Il tempo che passava con la principessa era minore rispetto a quello con Selim. Con il passare degli anni non c'erano interessi che li legassero, se non una grande amicizia. Il massimo del divertimento che era concesso a lui e Hatice, in quanto servo e reale, era passeggiare per il giardino e parlare.
- Ho sentito che a corte sei molto apprezzato. - Aveva detto la principessa, sedendosi sul prato e guardando Ibrahim, splendido in quegli stracci, che la osservava con le braccia conserte sul petto. Grazie agli allenamenti che lui e suo fratello facevano ogni giorno, stava cominciando a mettere su muscoli. Non c'era più niente del piccolo e sporco Ibrahim che era una volta. Era un uomo e Hatice doveva farsene una ragione. - Penso che la devi smettere di fare... qualunque cosa tu faccia con quelle donne, Ibrahim. -
-Quello che faccio della mia vita, Hatice, è affar mio. Non voglio mancarti di rispetto, ma il salario che ricevo a corte è minimo e non posso comperare ciò che mi serve. - Ibrahim la guardò duro, sedendosi al suo fianco. Le prese la mano di nascosto, baciandogliela dolcemente.
-Adesso sei ingiusto! Ti abbiamo offerto regali e denaro che tu puntualmente hai rifiutato! E adesso vengo a scoprire che offri il tuo corpo a queste donnacce per le stesse cose che io avrei potuto donarti senza niente in cambio! -
-Hatice, lo sai che non è quello il punto... -
-Hai confessato di amarmi... - Disse all'improvviso Hatice, guardandolo negli occhi. - E io sono corsa via da te. E' forse per colpa mia che ti stai comportando così? -
-Non vedo cosa c'entri questo argomento adesso, è stato molto tempo fa... -
-C'entra. Sono stata una stupida a scappare così da te, Ibrahim. Avevo paura, ero terrorizzata da quello che sarebbe successo se mio padre o Selim avessero scoperto la verità... - Hatice incrociò le dita con le sue, asciugandosi una lacrima. - Anche io provo lo stesso per te. E gettarti su tutte quelle donne, mi distrugge il cuore. -
-Non ci credo. Anche tu... tu mi ami?! - Esclamò, strabuzzando gli occhi. Hatice annuì sorridendo e poggiando il capo su quello del ragazzo, leggermente sotto shock.
Cominciarono a vedersi di nascosto nella camera di Hatice e nessuno avrebbe scoperto niente per un bel po' di tempo.
Con la donna che amava al suo fianco, Ibrahim si sentiva finalmente felice. Tutto ciò che aveva passato stava cominciando a svanire lentamente dalla sua memoria, anche se gli incubi lo venivano a trovare puntualmente ogni notte. Quando il cielo era stellato Ibrahim dava il nome dei suoi genitori e di sua sorella alle stelle, mentre quando era nuvoloso cercava di vedere il volto di suo fratello Costa in una delle nuvole.
Per quanto Selim si comportasse da fratello, non lo era. Fra loro c'era una abissale differenza di cultura, lingua e ceto. Nessuno avrebbe potuto eguagliare Costa e nel suo cuore c'era una parte mancante, la sentiva quando si svegliava al mattino e aveva bisogno di qualcuno a cui poter dare il buongiorno, o quando era felice per qualcosa che Hatice gli aveva detto... Lui non c'era e ad Ibrahim mancava terribilmente.


*** ***
Lo incontrò qualche anno dopo, aveva venticinque anni. In cinque anni erano successe tante cose. Ibrahim aveva smesso di essere un semplice servitore ed era stato preso sotto l'ala protettiva del sultano, che avendo notato la lealtà verso Selim e la sua sete di conoscenza, lo faceva assistere a tutte le riunioni assieme ai suoi visir.
Quindi, Ibrahim era stato vestito di tutto punto, gli era stata data una camera enorme, così grande che una famiglia di cinque persone avrebbe potuto viverci e aveva il compito di istruirsi, combattere con la sciabola, imparare a cavalcare correttamente e saper discutere durante un dibattito.
Stava diventando un perfetto futuro visir, un perfetto servo e consigliere del sultano, di Selim. Lo avrebbe aiutato a regnare come si doveva.
Tuttavia quando non studiava o quando non era impegnato con Selim o Hatice, si annoiava. Cercava di svagarsi con le lettura di manuali o libri, ma aveva letto quasi tutti i volumi presenti all'interno della biblioteca. Alcuni erano talmente vecchi che Ibrahim aveva paura potessero sbriciolarsi fra le sue dita.
Perciò, quando si annoiava, usciva e si recava in città per qualche oretta. Respirava l'aria del porto, la vivacità della plebe e l'enorme e caotico mercato. Guardava le navi attraccate al porto, enormi costruzioni in legno e ferro dai nomi più strani e osservava i vari pirati e marinai divertirsi nei bordelli o nelle locande.
Non aveva mai più messo piede in mare dal giorno della sua cattura e gli sembrava strano, guardarlo, dopo così tanti anni. Sarebbe finito anche lui come suo padre, se i turchi non avessero sterminato il suo villaggio?
Mentre osservava i gabbiani sorvolare sulla superficie limpida dell'acqua salata, mentre nell'orizzonte il sole tramontava dipingendo tutto l'ambiente di una luce calda e arancione, lo incontrò.
-Sapevo fossi ancora vivo! - Un uomo, poco più grande di lui di qualche anno, dai capelli corti e nerissimi e gli occhi di un blu meraviglioso, gli corse incontro con un sorriso che andava da un orecchio all'altro. Dietro di lui, una donna dai lunghi capelli biondi e gli occhi celesti. Vestivano entrambi di nero come i pirati. - Alexandros, sei tu! Oh, quanto mi sei mancato. -
Ibrahim si irrigidì, aggrottando lo sguardo. Chi era quell'uomo e come conosceva il suo nome? Non esisteva nessun Alexandros, era morto. C'era solo Ibrahim adesso.
-Che cosa volete? Non vi conosco... Io sono Ibrahim.- L'uomo continuò ad avvicinarsi, ignorando lo sguardo gelido del moro. Continuava a sorridere e anche la donna dietro di lui.
-Davvero non mi riconosci, fratello? Sono io, Costa. Siamo noi, Costa e Fiammetta. -
Ibrahim spalancò gli occhi, aprendo la bocca per dire qualcosa e richiuderla subito dopo.
-Costa? Mio fratello Costa e... Fiammetta, la mia amica... -
-Sì, siamo noi, Ibrahim. - Fiammetta annuì, stava piangendo di gioia.
-Siete reali o solo frutto della mia fantasia malata? Siete cambiati così tanto... Mi siete mancati così tanto. - Sussurrò Ibrahim, senza parole. Gli erano mancati così tanto! Senza aggiungere altro strinse il fratello così forte fra le braccia da rompergli qualche ossa, lo strinse così forte prima che potesse scomparire all'improvviso come succedeva nei sogni. Strinse fra le braccia l'unico famigliare rimastogli, il sangue del suo sangue, suo fratello, il suo Costa. Il fratello che aveva perso e che ora poteva finalmente stringere fra le braccia.
Quello sarebbe stato il giorno più felice della sua vita per molti anni a venire.


*** ***
Ma, se adesso vi ho raccontato solo vicende liete nella vita di quest'uomo, dobbiamo tornare a Palazzo Topkapi. Altri cinque anni sono trascorsi nell'impero ottomano e il nostro Ibrahim ha compiuto trent'anni da un bel po' di tempo.
La vendetta che ha covato per anni sta finalmente per compiersi per mezzo di un gesto orribile, che perseguiterà fino alla fine dei suoi giorni, ma che progettava fin dalla tenera età di sei anni.


*** ***


Il sultano era confinato a letto da giorni ormai, la malattia che lo aveva colpito non intendeva lasciarlo andare e il regno, la famiglia e i sudditi erano disperati. La sultana, Selim e Hatice passavano notte e giorno al suo capezzale per cercare di salvarlo, distrarlo dai dolori e a piangerlo prima del tempo. Tutti sapevano quanto mancasse prima dell'inesorabile fine, lo si capiva dai pianti isterici di Hatice o dallo strano silenzio tombale e il freddo che aveva assalito il palazzo reale.
Il sultano aveva pronunciato le sue ultime parole ai figli e alla moglie e dopo aver chiesto di essere lasciato solo, tutto il castello era andato a dormire, o far finta. Tutti tranne Ibrahim.
L'uomo, infatti, portava fra le mani una piccola tisana alle erbe e passeggiava lentamente per i corridoi, diretto nelle stanze dell'imperatore.
-Oh, Ibrahim, vieni figliolo. - Il sultano sorrise, o almeno cercò di farlo, tossendo.
-Vi ho portato questa tisana alle erbe, mio sultano. - Ibrahim si inchinò, avanzando lentamente verso il sovrano. Si avvicinò al suo enorme letto a baldacchino e dopo avergli afferrato la nuca con la mano, cercò di fargli bere tutto l'intruglio. - Spero che adesso si sentirà meglio. -
-Temo di no, Ibrahim, il mio destino è segnato. -
-Beh, prima o poi doveva succedere, non vi aspettavate di vivere per sempre, non è vero? - Disse Ibrahim atono, poggiando il bicchiere su uno dei tavolini lì vicino.
-Ma certo che no! - Il vecchio rise, tossendo più forte. Il suo respiro aveva cominciato a farsi più ansante e veloce, il cuore batteva come impazzito nel suo torace e gli occhi gli bruciavano, sembrava dovessero esplodergli. - Ho sempre amato il tuo essere così schietto! E' una delle ragioni per cui ti reputo adatto a rivestire il ruolo di Gran Visir. Sono certo che mio figlio farà grandi cose... ma ci deve essere uno come te a doverlo seguire. -
-Vi ringrazio per la fiducia riposta in me, mio sultano. - Ibrahim chinò il capo, afferrando uno dei cuscini decorativi dal pavimento. Era dorato con delle decorazioni rosse.
-Ho imparato, in tutti questi anni di... convivenza... a... volerti... bene... - Respirare e parlare era diventato più difficile. Sul viso di Ibrahim si dipinse un sorriso colpevole. - Ti ho voluto... bene come un... figlio, Ibrahim. Non ho potuto dimostrartelo, perché non mi era concesso. Ma in te ho visto... ho visto... un degno fratello per Selim... e per... Hatice... So che anche tu... -
-Basta così, vecchio. Sai bene cosa provo per i tuoi figli e non riesco ad immaginare come due persone meravigliose possano essere uscite da uno come te. Per tutti questi anni ho aspettato questo momento! La mia vendetta finalmente si compirà. Tu morirai e il mio viso sarà l'ultima cosa che vedrai. Brucerai all'inferno per aver ucciso la mia famiglia, per aver bruciato il mio villaggio e le mie origini, per avermi portato in questo paese. Tu oggi morirai a causa mia e per la prima volta dopo anni, andrò a dormire con il sorriso. -
-I... I... - Ormai non riusciva più a respirare, tanto meno a parlare. Il sultano aveva spalancato gli occhi, in preda al terrore. Boccheggiava, chiedendo aiuto ma nessuno lo sentiva. Tutti dormivano.
-Buonanotte, sua maestà, possa Dio, Allah o gli dèi bruciarti nelle fiamme fino alla fine dei tempi. - E senza aggiungere altro, Ibrahim sorrise premendo il cuscino sulla faccia del sultano e soffocandolo sul suo letto di morte.
Era la prima volta che uccideva un uomo volontariamente. La prima volta che le sue mani si tingevano di sangue, la prima volta che si vendicava, la prima volta che provava veramente gioia in una vicenda orribile. Avrebbe bruciato anche lui al suo fianco, ma almeno aveva vendicato sua madre, suo padre, Elena, Costa, se stesso, Fiammetta e tutti gli abitanti del suo villaggio e tutti coloro che avevano sofferto per la cattura, che avevano visto i loro cari soffrire e morire.
Si era vendicato, ma a che prezzo? Si era vendicato, ma perché non aveva il dolce sapore della vittoria, ma quello aspro della scofitta? Non provava più niente, era caduto nel baratro e non sarebbe più stato lo stesso. Con il sultano moriva per sempre anche Alexandros.




SPAZIO AUTRICE!!
Salve a tutti! Ed ecco finalmente anche l'ultima parte di tutta la vera storia del nostro freddo Ibrahim Pascià. Cosa ne pensate? Vi immaginavate un passato del genere? Vi chiedo di lasciare un voto e un commento per farmi sapere che ci siete, fa sempre piacere leggerli! Se c'è qualcosa che non va, domande di approfondimento o altro, non esitate a chiedere, rispondo a tutti!
Mi scuso per il ritardo ma fra scuola e impegni vari non so quando mettermi al computer.
Buona serata,
HL Wayland.

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Capitolo 20
*** XIX ***


Freya piangeva quando Ibrahim smise di raccontare. Le candele che illuminavano l'enorme stanza erano sul punto di spegnersi e il sole cominciava a nascere, lontano nell'orizzonte, illuminando con i suoi deboli raggi la terra. Dipingeva pigramente Costantinopoli di una adorabile sfumatura arancione. Quell'ora del mattino, con il vento fresco che scorrazzava liberamente fra i silenzio della città, era il momento ideale per poter parlare di segreti taciuti per troppo tempo.
Ricordare dopo anni, andare a scavare in ricordi e in sensazioni che si credevano dimenticate, faceva davvero sentire così inutili e impotenti? Ibrahim sentiva di non poter provare nulla, se non l'impotenza. Non provava vergogna o paura per aver ammesso di aver ucciso il sultano, il padre del suo migliore amico; non provava rabbia, nostalgia o tristezza per aver ricordato la fine della sua famiglia e delle sue origini. Non versava più lacrime, le sentiva, ma non riuscivano ad emergere. C'era qualcosa a tapparle...
Era realmente diventato come tutti a corte lo dipingevano? Il freddo ed insensibile Ibrahim Pascià?
-Prima di lamentarmi della mia vita e di ciò che ho fatto, devo pensarci due volte... Abbracciarti e dirti che mi dispiace non servirebbe a niente, non è vero? - Freya cercò di ironizzare, asciugandosi le lacrime. Erano entrambi stesi a pancia in su e guardavano il soffitto. Freya gli si avvicinò, cingendolo con un braccio per la vita e poggiandogli la testa sulla spalla. - Devi fidarti di me, Ibrahim, ti posso giurare che non dirò niente a nessuno. Soprattutto a Selim, sei mio marito e ti coprirò qualsiasi cosa tu farai. -
-Adesso mi sento più sollevato, Freya. Sappi che la cosa è reciproca. - Ibrahim abbozzò un sorriso, sospirando. - Adesso però sono curioso di sapere cosa nasconde una donna come te. -
-Stai pur certo che per scheletri nell'armadio, io ti batto. -
-Cosa c'è di peggio che uccidere il proprio sultano? -
-Oh, una infinità di cose... Essere innamorata di una donna, di una serva per giunta, può essere un esempio? E avere le mani sporche di sangue del proprio marito, può esserne un altro. -
-Ecco, come non detto. - Ibrahim sospirò, portandosi una mano fra i capelli scuri.
-E adesso cosa mi dici? Sono ignobile ai tuoi occhi, impura e merito di essere bruciata e lapidata per questi miei comportamenti? Ho ammazzato mio marito, il mio violento marito, per una donna, una serva, che amo più della mia stessa vita. - Nella voce di Freya c'era dell'accusa, stava sfidando Ibrahim a giudicarla. Si era seduta e la spallina della camicia da notte le era scesa, mostrando la pelle pallida della spalla. Non le importava come avrebbe reagito suo marito, era fiera di quell'amore che portava avanti da tanto tempo e avrebbe saputo benissimo tenergli testa. Era una leonessa pronta a difendere i suoi cuccioli davanti al pericolo. Non aveva paura del fuoco.
-Potrà sembrarti strano, ma non sei la prima che me lo dice. Ci sono altre... persone come te, che si nascondono per paura di essere uccise o mutilate. Per quanto io non condivida questa tua scelta, perché non riesco a capirla, non sono affari miei con chi ti accoppi. A tutti è capitato di desiderare qualcuno che non avremmo dovuto neanche guardare, tutti abbiamo degli scheletri nell'armadio e chi nega il contrario, mente. Desiderare l'impossibile, amare, odiare o semplicemente volere vendetta è ciò che fa di noi esseri umani. Ci piace autodistruggerci con le cose complicate, perché quelle semplici non ci piacciono. Io non sono né un dio, né un santo per giudicare le tue scelte. In questo mondo imperfetto è pieno di orrore, tu sei l'ultima persona da considerare ignobile. - Ibrahim si interruppe, guardandola brevemente. Il suo viso si era addolcito e adesso sorrideva di nuovo. - Sei una brava donna, Freya. E spero che la tua... fidanzata si reputi una persona fortunata. -
Sua moglie gli lasciò un piccolo bacio sulla guancia: - E tu sei un brav'uomo, Ibrahim. -


*** ***
Iksander ed Hatice si fermarono davanti la porta della camera di lei. Si guardarono per qualche istante negli occhi senza proferire parole; la mano di lei poggiata delicatamente nel suo avambraccio.
-Non l'avrei mai detto, ma siete riuscito a farmi divertire stasera, Iksander Pascià. E non lo facevo da tempo... - Hatice gli sorrise, ignorando il leggero rossore che le imporporava le guance, sia per l'imbarazzo che per aver esagerato con il vino.
-Quindi vi ho stupida, Hatice Sultan? -
-Sì, direi proprio di sì, Iksander. - Hatice si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, abbassando lo sguardo sulle mattonelle azzurre del pavimento. Non le aveva mai notate prima. Erano sempre state lì? Perché ad un tratto erano diventate così interessanti?
-Mi dovete dire qualcosa, Hatice, e state temporeggiando. Quindi, a meno che non volete restare qui tutta la notte, dovreste sbrigare a dirmi ciò che vi passa per la testa. - Iksander sorrise, notando il crescente rossore sulle sue gote. Era adorabile.
-Credo che mio fratello non abbia fatto una così brutta scelta e... - Sospirò, temporeggiando ancora. - … e credo che voi possiate corteggiarmi. Vedremo se succederà qualcosa. -
-E ci voleva così tanto per dichiararvi?! Voi donne siete tutte strane! - Hatice alzò lo sguardo dal suolo, fulminandolo con lo sguardo.
-Non mi sono dichiarata, Iksander! Ho solamente... -
-Lo so, principessa, lo so. Stavo solamente scherzando... Sapete, dovete veramente imparare a conoscere il senso dell'umorismo, se desiderate ve lo posso presentare. E' un gentiluomo molto carino. -
-Non vedo l'ora. - Hatice sollevò gli occhi, cercando di non sorridere. - Vi auguro una buonanotte, Iksander. -
Iksander le prese la mano e gliela baciò delicatamente per poi dirle: - Buonanotte, Hatice. Ci vedremo domani mattina. Siate presentabile entro le dieci possibilmente, ci aspetta una intensa giornata di corteggiamento! -
Hatice scosse il capo, entrando in camera e borbottando un: - Me ne pentirò amaramente, lo so già. -
Iksander la guardò sparire oltre la porta e invece di andarsene vi restò per qualche attimo ancora. C'era uno strano sorriso da ebete che gli incorniciava il volto e che non voleva saperne di andarsene. Si sentiva stranamente euforico e sveglio, come se si fosse appena alzato.
Hatice, lo sentiva, sarebbe stata la donna giusta che gli avrebbe messo la testa apposto.


Dall'altra parte della porta, invece, la principessa si era seduta per terra in preda a mille pensieri. Si era stranamente divertita con Iksander, avevano ballato per tutta la serata e quando non erano al centro della pista, parlavano accompagnati da un buon calice di vino.
La sua compagnia si era stranamente rivelata piacevole e aveva imparato nel corso della serata a guardarlo con occhi diversi. Si conoscevano da anni, ma solo in quella serata hanno avuto modo di approfondire e Hatice avrebbe voluto fosse successo prima; molte cose forse sarebbero state diverse.
Durante quei brevi istanti di silenzio davanti alla porta di camera sua, si era resa conto che non era stata una scelta così ingiusta, quella di suo fratello.
Iksander era un brav'uomo, era divertente e gentile, cercava sempre di metterla a suo agio, anche se certe volte le sembrava la stesse prendendo in giro. Aveva un carattere solare e genuino, diverso da quello freddo e duro di Ibrahim.
Sapeva, purtroppo, che Ibrahim non sarebbe mai stato suo, sapeva che suo fratello non avrebbe mai approvato la loro unione, a maggior ragione adesso che si era sposato con sua cugina.
Quindi, perché doveva continuare a crogiolarsi nel dolore, a piangere un uomo che non avrebbe avuto mai, a non sfruttare la vita al meglio delle sue potenzialità? Perché avrebbe dovuto lasciarsi andare solo per un uomo? Lei meritava di essere felice, di amare ancora e di fare tutto ciò che una giovane e ricca donna come lei era in grado di fare. Mille donne avrebbero ucciso per avere una vita come la sua.
Voleva andare avanti, dimenticare Ibrahim e non aspettarlo per sempre e sapeva che Iksander era in grado di prendere il suo posto. Era l'uomo perfetto.
Nonostante ciò, Hatice era conscia del fatto che ci sarebbe voluto molto tempo per essere in grado di amarlo e comunque il ricordo di Ibrahim sarebbe rimasto sempre vivido e fresco nella sua mente e nel suo cuore.
Ibrahim era stato e lo sarebbe stato fino alla fine dei suoi giorni, il suo primo vero amore ed è risaputo che esso non si dimentica mai del tutto. Ma ciò non le impediva di innamorarsi di nuovo ed era esattamente ciò che aveva intenzione di fare con Iksander.
Se Ibrahim poteva andare davanti, lo avrebbe fatto anche lei.
Iksander l'avrebbe resa felice, o almeno sperava.


*** ***
Il mare era mosso. Le onde facevano ondeggiare in modo pericoloso la nave, mentre i pirati al loro interno dormivano sonni tranquilli. Il giorno successivo sarebbero ripartiti per i sette mari, avevano udito di un tesoro non molto lontano da lì ed erano intenzionati a trovarlo per primi.
Fiammetta e Drake erano abbracciati nel loro trasandato e sporco letto. La bionda stava avendo delle visoni, era da circa dieci minuti che le si erano oscurati gli occhi, mentre le mani stringevano, fino a stritolarle, quelle di suo marito.
Drake la guardava preoccupato. Non era uno bello spettacolo guardare la donna amata entrare in uno stato del genere per parecchi minuti, soprattutto quando lei aspettava un figlio. Non sapevano che danni poteva procurare alla creatura un dono del genere.
Drake, molto intimamente, sperava che suo figlio non ereditasse una cosa del genere. Pirata e stregone erano due maledizioni troppo pesanti da sopportare per una persona.
-Questa cosa sta iniziando a spaventarmi, dannazione! - Borbottò Drake, accarezzando distrattamente i capelli della donna. Cosa avrebbe fatto senza di lei?
Fiammetta all'improvviso rinsavì, balzando seduta ed emanando un urlo tale da spaccare i vetri di tutta la nave. Le tremava il corpo quando ricadde all'indietro e cercò il corpo di Drake come conforto.
-Dio Santo, mi hai fatto preoccupare, maledizione! - Borbottò il pirata sollevato e abbracciandosela stretta. Sentiva Fiammetta singhiozzare contro la sua spalla nuda mentre i tremiti la scuotevano. Una donna incinta non poteva sopportare tutto quello, soprattutto a quel mese di gravidanza. - Che cosa hai visto? -
-Alexandros... - Sussurrò Fiammetta, sentendolo irrigidirsi contro di se. La prese per le spalle, guardandola negli occhi.
-Che c'entra mio fratello, Fiammetta? - La bionda scosse il capo, continuando a piangere. Tutti i colori gli si erano prosciugati dal viso. - Dimmelo! -
-Ho visto la sua morte, Costa, ho visto tuo fratello morire. Ho visto Alexandros essere ucciso dalle guardie del sultano in una terra sconosciuta, arida e fredda come la morte.-


SPAZIO AUTRICE!!
Eccomi qui, dopo secoli sono riuscita ad aggiornare.
Mi dispiace per l'enorme ritardo ma non avete idea di quanto io abbia da studiare. Non ho un secondo di tempo libero, dannazione!
Non penso di arrivare fino a fine anno di questo passo.
Anyway spero che il capitolo vi sia piaciuto, se è stato così schiacciate la stellina e lasciatemi un parere che non fanno mai male!
Vi ringrazio ad ogni modo per tutto il supporto che mi date.
Vado a dormire,
Buonanotte, fioriii!! 

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Capitolo 21
*** XX ***


Era mattino inoltrato, forse le otto o le nove. Tutti dormivano ancora profondamente nei loro morbidi letti della miglior fattura, mentre i servitori si aggiravano per il castello occupati dalle quotidiane mansioni come pulire, raccogliere la frutta che doveva essere servita al mattino, preparare il pane o semplicemente recarsi al mercato per comprare il necessario. I ricevimenti azzeravano quasi tutte le risorse cibarie del castello.
Le concubine del sultano, invece, erano in piedi da qualche ora e si occupavano delle loro normali mansioni. C'era chi leggeva, chi studiava, chi suonava l'arpa e chi si esercitava nel ballo. Ognuna di loro possedeva qualcosa a differenziarle dall'altra; o almeno tutte, tranne Hurrem. La sua specialità era quella di entrare nel cuore delle persone e di rimanervi per lungo tempo, soprattutto in quello del sultano, che da quando l'aveva incontrata, non aveva più invitato nessun altra nelle sue stanze. Chiedeva solo di lei e addirittura ci dormiva tutta la notte. Dove si trovava la rossa, si trovava anche Selim. Sembravano attaccati da una corda che non li permetteva di allontanarsi per molto tempo l'uno dall'altra.
Gulbahar sbuffò, guardandosi allo specchio. Si era applicata del trucco sul viso che la rendeva più bella e graziosa di quanto già non fosse, i suoi capelli neri erano straordinariamente belli quel giorno con quei piccoli boccoli naturali... Ma a cosa serviva prepararsi ogni mattina, farsi bella, esercitarsi in ciò che le riusciva meglio, quando l'uomo che amava non la degnava di uno sguardo? Era la madre dell'erede al trono e contava meglio di niente a corte. Ne aveva abbastanza di essere costantemente eclissata da una ragazzina dai capelli rossi e dalla voce stridula.
Hurrem non era diversa da tutte loro; avevano passato tutte brutti momenti nel passato, avevano sofferto tutte la fame, alcune di loro erano state anche picchiate crudelmente durante la cattura, altre avevano guardato morire i propri cari, brutalmente assassinati, altre avevano visto i loro villaggi bruciare. Nonostante ciò nessuno le aveva premiate com'era successo a lei, nessuno le aveva mai trattate in quel modo, nessuno le aveva mai amate così. Avevano imparato a volersi bene col tempo, era come avere tante sorelle a cui badare e di cui occuparsi; questo era il motivo per cui nessuna di loro si reputava superiore alle altre. Hurrem dal primo giorno in cui aveva messo piede a palazzo, non aveva mai provato ad instaurare un rapporto con loro, anzi se le era inimicate e messe tutte contro. Se ne stava sempre lì in un angolo a parlare in russo, pensando di non essere capita da nessuna di loro. Gulbahar la comprendeva. Nonostante avesse la pronuncia perfetta e non praticasse quella lingua da anni, la ex Favorita del sultano era russa. L'avevano rapita all'età di quindici anni e portata a corte per la sua bellezza glaciale e per il modo sublime in cui le sue dita suonavano l'arpa.
Aveva visto morire i suoi genitori, sua nonna e tutti quelli che conosceva. Aveva sofferto anche lei come Hurrem, ma nessuno le aveva mai rivolto simili attenzioni, come avevano sempre fatto con la rossa. Chi diavolo era per meritarsi un trattamento del genere? Non era giusto ed equo per nessuna di loro.
Selim non l'aveva mai guardata in quel modo... E la cosa che più le faceva male e la feriva, era che il padre di suo figlio non era stato talmente entusiasta di aspettare un bambino, il suo primo bambino ed erede al trono, come quando aveva compreso di quello che aspettava la rossa.
Eppure il suo piccolo Mustafà, la luce dei suoi occhi, la cosa migliore che le fosse mai capitata, era amato e adorato da tutti, persino da Hurrem che passava ore a giocarci in giardino.
Gulbahar la detestava perché il figlio che portava in grembo lei, che contava poco e niente ancora, agli occhi di Selim era più importante del piccolo Mustafà, vivo e meraviglioso.
Avrebbe fatto di tutto, persino uccidere, per non far vivere suo figlio nell'ombra di qualcun altro e per garantirgli il futuro che gli spettava. Mustafà era il legittimo erede al trono, nessun altro.
Da che epoca e mondo si provenga, le madri garantiranno sempre un futuro degno ai propri figli, non importano le conseguenze, quanto sangue potrebbe versarsi o quanto male si possa fare.
-Madre! Madre! Posso andare a giocare con Hurrem in giardino? - Mustafà entrò nella stanza, sbattendo violentemente la porta contro il muro. Aveva tutti i capelli scuri scompigliati e le guance paffute rosa per la corsa. La balia, dietro di lui, era disperata; le faceva penare tutte.
La concubina rise, sollevandolo di peso e facendoselo sedere sulle ginocchia.
-Non si usa più dare il buongiorno alla mamma adesso? - La donna gli sorrise, baciandolo sul capo ricciuto. Mustafà ridacchiò, mormorando un piccolo 'giorno' fra i capelli della madre.
Lo amava così tanto che il cuore le sarebbe potuto scoppiare. Il suo bellissimo bambino.
Lo guardò negli occhi, carezzandogli la tenera guancia con l'indice.
“Tutto per te, mio amore. Dobbiamo pensare a noi stessi, adesso che tuo padre ci reputa meno di niente.”


*** ***
Roxelana passeggiava tranquillamente per i giardini. Il sole splendeva nel cielo, illuminando tutto l'ambiente circostante. Un leggero venticello le scompigliava i capelli rossi, acconciati in una semplice treccia che le scendeva morbida sulla spalla. Era la stessa che le faceva sua madre, la domenica mattina, prima di recarsi a messa. Pensando a lei le venne un groppo in gola perché né lei né le sue sorelle sarebbero mai venute a sapere del figlio che aspettava in grembo o degli altri che sarebbero arrivati. Chissà se la nominavano ancora nei momenti di silenzio o la sera riuniti intorno a quel camino malandato. Chissà se soffrivano la sua mancanza. Soffrivano ancora la fame? Il bambino che aspettava sua madre era nato oppure c'erano state complicazioni? Suo padre, il suo dolce ed umile padre, riusciva ancora a reggersi in piedi? Troppe domande, ma nessuna risposta.
Mustafà le corse incontro, urlando come un matto. Le sue piccole braccine le strinsero la vita, abbracciandola. Roxelana si chinò, baciandolo sulle guance paffute e fredde.
-Buongiorno, mio bel principino!-
-Buongiorno, Hurrem. Come sta il mio fratellino? - Mustafà premette l'orecchio contro il ventre della rossa per poi urlare: - Mi senti? Ehi tu, ho chiesto come stai! Perché non mi rispondi mai?! -
-Mustafà, non urlare così tanto, rimarrai senza voce. - Hurrem rise, notando che il principe si fosse imbronciato. Era davvero buffo con quell'espressione contrariata e le braccia incrociate sul petto.
-Non mi risponde mai. -
-Invece hai torto, perché lui ti ha risposto... Sei tu che non puoi sentirlo. -
-Dici sul serio? -Gli occhi del bambino si illuminarono di gioia nell'udire quella notizia.
-Sì. Quando i bambini sono nella pancia, solo le mamme li possono sentir parlare perché mamme e figli hanno un legame molto speciale. - La rossa lo prese per mano, mentre continuavano a camminare per il giardino. - Mi ha detto che ti vuole molto bene e non vede l'ora di nascere per poter giocare con te. -
-E non può uscire da lì dentro adesso? Giuro che se nasce io lo proteggo dalle persone cattive, non lo perderò di vista neanche un secondo. Purtroppo con il fratellino che c'era nella pancia della mamma, mi sono addormentato, ma con lui non succederà. Farò il bravo. - Mustafà era sul punto di piangere. La rossa si intenerì vedendolo in quello stato e lo abbracciò, baciandolo su una guancia.
-Oh, piccolino, non succederà. Non decido io, ma lui. Ma stai sicuro che il tuo fratellino non vede l'ora di poter giocare con te. -
Istintivamente si accarezzò il ventre ancora piatto, sentendo una fitta. Le parole della strega le erano tornate in mente. Pregava tre volte al giorno perché le parole di quella vecchia non si avverassero.
Mustafà venne chiamato dalla balia e dopo aver salutato la matrigna, fuggì via così come era giunto.
Brutti pensieri circolavano nella mente di Roxelana che non si accorse di essersi seduta su una panchina, quando si riprese. Era rimasta sola.
Non poteva assolutamente perdere quel bambino, perderlo significava perdere tutto quello che poco alla volta stava costruendo. Selim avrebbe sicuramente trovato un'altra Favorita e lei sarebbe stata abbandonata proprio come era successo a Gulbahar... Ma lei una minima importanza ce l'aveva, era la madre dell'erede al trono. Lei,al contrario, non contava niente a corte. L'amore di Selim era l'unica cosa che la rendeva importante, ma è risaputo che l'amore non è eterno ed è destinato a morire. Doveva rendersi indispensabile e quello era uno dei modi, quel bambino che aspettava e ciò che ne sarebbe derivato dopo, l'avrebbero resa indispensabile per Selim e quindi per tutto l'impero.
Quando sollevò lo sguardo verso uno dei finestroni che dava sulle camere da letto, quello che notò mandò all'aria tutti i suoi piani futuri.


*** ***


Un forte bussare alla porta della stanza fece sobbalzare la principessa Hatice. Era mattino e i raggi del sole filtravano attraverso le leggere tende viola appese sulle finestre.
-Haticeee! Haticeeee! Oh, Haticeee, mia bella Haticeeee! - Una voce maschile stava urlando a squarciagola. Hatice balzò a sedere, notando di indossare ancora il vestito della sera precedente e di aver dormito per tutta la notte con le scarpe, il diadema e in una posizione molto scomoda. - Se non mi aprite, sarò costretto ad entrare e non mi importa in che condizione io vi troverò, mia bella principessa! -
-Non ci posso credere, Iksander! E' praticamente l'alba, andatevene, maledetto voi! - Borbottò Hatice, cercando di rimettersi in sesto. Rabbrividì quando si guardò allo specchio per il suo aspetto. Tutto il trucco che le serve le avevano applicato sugli occhi era completamente sbavato e il risultato era davvero orribile. Sembrava uno di quegli orsi cinesi che mangiavano solo bambù. I suoi bellissimi capelli, quelli a cui teneva maggiormente, erano tutti un ammasso indistinto di peli scuri sulla testa, nel quale il diadema si era intrecciato malamente. E il suo vestito... oh, il suo adorato vestito! Era completamente stropicciato.
-Non me ne andrò, Hatice, abbiamo un appuntamento noi due e dovete rispettare la parola data. - La maniglia della porta si abbassò e dopo pochi secondi Iksander entrò nella camera. Hatice era davvero allibita. L'aveva fatto davvero, era entrato così all'improvviso nella sua stanza. - Beh, sì, non è malaccio qua dentro, posso capire perché voi non vogliate uscire. -
-Non sono presentabile, Iksander, quindi gradirei che ve ne andiate e chiamaste le mie serve. - Borbottò Hatice rossa in viso e dandogli le spalle, nel tentativo di togliersi quel maledetto diadema dai capelli. Avrebbe dovuto tagliarseli? Il solo pensiero le faceva venire i conati.
Iksander, fresco di bagno e cambiato di vestiti, si avvicinò, poggiando le mani grandi sulle spalle della ragazza e facendola sedere senza troppi complimenti sulla sedia davanti alla toeletta. Hatice spalancò gli occhi, incredula dei suoi comportamenti rudi e fece per controbattere, ma fu interrotta: - State zitta, mia cara e lasciate fare a me. -
-Ma non sono cose di cui un uomo... -
-Sshh, so di cosa mi occupo, mia madre me lo lasciava fare sempre. Sono abituato e poi sarà un pretesto per mettervi le mani addosso, no? - Iksander le sorrise malizioso, facendola arrossire sia di imbarazzo che di rabbia. Era davvero snervante! - Sto scherzando! Non voglio che voi pensiate che io sia un pervertito, cosa vera sotto certi aspetti, ma... -
-Ho capito, Iksander. - Hatice scosse il capo, esasperata. Quando attaccava con le spiegazioni non la terminava più. - Allora lascio i miei capelli nelle vostre mani, ma sappiate che sono la parte del mio corpo che più preferisco. Trattateli con cura. -
-Tratterò i vostri capelli così come farei con il vostro cuore, mia principessa, con amore, dedizione, tenerezza e delicatezza. Prometto che non li farò soffrire. -
Hatice rimase spiazzata, ma sorrise comunque. Iksander poteva passare dall'essere un completo imbecille all'uomo più dolce della terra in pochi attimi. Con lui non ci si annoiava mai.
In pochi attimi il diadema fu liberato dai capelli scuri di Hatice e Iksander glieli stava pettinando delicatamente. Aveva un tocco straordinariamente delicato per un uomo, per un militare.
-Dove mi portate di bello questa mattina, mio cavaliere? - Mormorò Hatice, chiudendo gli occhi mentre Iksander le passava sul viso un panno umidiccio per rimuoverle il trucco. I movimenti erano ancor più delicati e lui sembrava così maledettamente serio e concentrato da aver paura.
-In un meraviglioso posto, mia cara donzella, di cui non avete mai sentito parlare. Ma, per prima cosa, dovete cambiarvi di vestito. Io opterei per quello celeste, vi sta di incanto. Anche se voi stareste bene con qualunque cosa. -
-Smettetela, Iksander, l'essere adulata non farà crescere la mia stima nei vostri confronti. - Hatice si alzò dalla sedia, trovandosi a pochi centimetri di distanza da Iksander. Sentiva il suo respiro sulla pelle del viso e il calore del suo corpo contro il busto. Un solo passo falso e sarebbe potuto accadere l'inevitabile.
-Che situazione imbarazzante, non è vero? - Scherzò Iksander. - Direi quasi che la principessa sia arrossita, voi non credete? -
-Iksander, smettetela di prendermi in giro! - Borbottò la mora, maledicendosi per il rossore.
-Non vi prendo in giro, siete solo adorabile. - Iksander ruppe tutte le distante e con un movimento veloce e fulmineo la baciò sulla guancia. Pochi attimi delle sue labbra sulla pelle servirono a peggiorare la situazione. Il suo colorito, infatti, diventò ancora più pronunciato di quello che già era. - Adesso andiamo? -
-Mi farete impazzire fino alla fine. - Borbottò Hatice, afferrando il vestito e andando a cambiarsi.
Iksander sorrise, gli occhi che si illuminarono di qualcosa che raramente si vede in giro, la gioia: - Oh, lo spero. -


*** ***
Quando Roxelana alzò lo sguardo e vide quella scena, le sembrò di venire pugnalata alle spalle. Da una delle finestre che davano sui giardini, comparirono all'improvviso Gulbahar e Selim. Discutevano animatamente su qualcosa che la ragazza non riusciva ad udire, considerata la lontananza. La bellissima donna, più bella di quanto fosse ogni giorno, gesticolava con enfasi, sembrava sul punto di scoppiare in una crisi di nervi; Selim, invece, la guardava intensamente, un sorriso accennato sul volto barbuto.
Era una cosa che Selim faceva sempre. Quando qualcuno a cui teneva si arrabbiava per qualcosa in particolare che lui aveva fatto, non riusciva a restare serio, sorrideva, accrescendo così anche il nervosismo e l'arrabbiatura di chi gli stava parlando.
Quante volte avevano discusso e per quel motivo? Troppe. E lui, nonostante tutto, riusciva sempre ad averla vinta.
Adesso Gulbahar piangeva, aveva stretto la giacca del sultano fra le mani, strattonandola violentemente. Il sorriso di Selim, probabilmente notando le lacrime della donna, si era spento. Guardava intensamente negli occhi la sua ex Favorita con uno sguardo che Roxelana conosceva molto bene e a cui pensava di essere l'unica destinataria.
Nuovamente una fitta al cuore e una dietro le spalle. Tradita, ferita, schifata erano degli eufemismi per spiegare la sensazione che provava in quel momento.
Non sapeva perché stava continuando a guardare quella scena, avrebbe dovuto andarsene e fregarsene. Sapeva perfettamente di non essere l'unica, Selim possedeva un Harem pieno di concubine e Gulbahar era la madre del suo primo figlio, dell'erede al trono... Era perfettamente normale che i due comunicassero, lei non era l'unica donna della sua vita, non lo sarebbe mai stata. Da pensarlo a vederlo con i propri occhi però, faceva male. Dannatamente male.
Selim scattò all'improvviso e afferrando la donna saldamente per le spalle, la baciò in modo passionale. La mora cercò di ribellarsi, cercando di scacciarlo, ma alla fine cedette.
Quella che piangeva adesso era proprio Hurrem. Selim l'aveva appena tradita sotto i suoi occhi, aveva baciato un'altra donna, dopo averle giurato amore eterno davanti le stelle del cielo. Come osava farle una cosa del genere? Aveva promesso, aveva promesso di non farlo.
Roxelana strinse i pugni, mordendosi, fino a farlo sanguinare, il labbro. Con il palmo della mano si ripulì dalle lacrime.
L'avrebbe pagata cara, quella maledetta, era tutta colpa sua. Era andata lì per sedurre il suo uomo. Era da troppo tempo che architettava qualcosa, era sicuramente quello.
Selim la lasciò andare, accarezzandole dolcemente i capelli scuri e le disse qualcosa. La donna annuì, sorridendo felice, mentre Selim lasciava la stanza.
L'avrebbe pagata cara, oh se l'avrebbe pagata cara. Nessuno le avrebbe rubato ciò che stava faticando a conquistarsi, nessuno avrebbe preso il suo posto. Si sarebbe aggrappata ad esso con le unghie e con i denti e non importava quanto sangue avrebbe fatto versare per rimanervi. 

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Capitolo 22
*** XXI ***


L'odio anima ed incendia la mente umana.
L'odio è ciò che consuma l'uomo; esso è quella scintilla necessaria a far comparire il mostro che è celato sotto strati di carne, sangue, ossa, legato alla ragione e al buon senso, incatenato all'amore e alla gioia.
Quando Egli viene liberato, uccide qualsiasi cosa o persona osi piazzarsi davanti il suo cammino. Travolge, squarta, ammazza la coscienza e si disseta nel sangue. Danza con il dolore e fa l'amore con la morte.
Oh, la morte così bella, fredda ed innocente.
L'odio... L'odio è più potente di quanto l'amore possa essere e la vendetta, sua bellissima e meravigliosa erede, è ciò che smuove il mondo. Ella è ciò per cui l'umanità cerca di sopravvivere.
Gli esseri umani si nutrono di odio e vendetta, sporcandosi le bocche rosee e putride del loro sangue di rosa, mentre il mostro dagli occhi di ghiaccio carezza loro i capelli incoraggiante e compiaciuto. Il mostro dagli occhi di ghiaccio, freddi, calcolatori e maledettamente seducenti. Il mostro dalla bocca sporca di sangue, succoso e squisito sangue rosso. Il mostro dai denti splendenti d'avorio e la lingua morbida come seta. Il mostro dalle mani cadaveriche con lunghe dita delicate, capaci di suonare il piano con leggiadria. Il mostro che ti saluta come il migliore degli amici, il più passionale degli amanti, il peggiore dei nemici. Il mostro che ti accarezza la pelle del viso con le sue mani eleganti e fredde; il mostro che bacia con la sua bocca rossa e morbida le tue labbra, facendoti impazzire e candendo in un limbo di non ritorno, sprofondando nella sua oscurità, meravigliosa e calda oscurità, mentre senti l'inferno lambirti il colore dei capelli e tu diventi fiamma, fuoco e mostro. Sei attratta dal mostro, lo desideri, lo ami, lo inneggi come tuo unico signore. Non puoi più farne a meno.
Non c'è più paura, non c'è più bontà, non esiste più coscienza, esiste solo il desiderio. Tu e il mostro siete diventati un'unica cosa, un'unica persona, un'unica essenza.
Travolgi, squarti, ammazzi e danzi nel sangue. Non c'è più via di ritorno una volta cominciato, puoi solo andare avanti. Non esiste nessuna salvezza e neanche la desideri.
Esiste solo morte, la bellissima, innocente e fredda morte con la quale ti congiungerai inevitabilmente. Ella ti succhierà via tutto e di te rimarranno solamente i capelli rossi, lambiti dalle fiamme dell'inferno, gli occhi di ghiaccio vacui e spenti e la bocca rossa.
Il mostro con la stessa bocca con cui ti ha baciato ti ha strappato via l'ultimo malinconico sorriso e con le stese mani con cui ti ha accarezzato la pelle del viso, ti ha strappato via il cuore, mangiandoselo con i denti affilati d'avorio.
E' lui, l'unico vincitore. Tu perderai sempre, perché per quanto lui possa farti illudere di essere tuo amico, il tuo amante e per quanto tu lo desideri, il mostro rimarrà per sempre il tuo peggior nemico.


Hurrem spalancò gli occhi, quando si svegliò. Si guardò intorno e notò di trovarsi nelle sue stanze, doveva essersi addormentata in giardino e qualcuno, le guardie, l'aveva messa nel letto. Le serve avevano accesso le candele e un orribile vento ululava rabbioso contro il mondo.
Era calata la sera e il gelo si insinuava con mani scheletriche fin sotto la pelle, graffiandola rudemente. La ragazza si alzò dal letto, indossava ancora il vestito verde smeraldo che aveva messo quella mattina e i capelli erano diventati un groviglio indistinto di peli rossi. Si spogliò, lasciando che tutta quella seta pregiata cadesse in un fruscio per terra e si diresse verso l'armadio per decidere cosa indossare. Aveva così tanti vestiti di fattura e colori differenti che era impossibile quasi decidere; chiuse gli occhi e lasciò che le dita vagassero per la stoffa e decidessero da sé, toccando il materiale, guardando il colore e respirando sul vestito perfetto. Doveva essere impeccabile per ciò che stava per succedere.
Sua madre le era comparsa in sogno e le aveva detto come agire e lei l'avrebbe ascoltata, era la cosa giusta da fare.
Riaprì gli occhi, notando che le dita si fossero fermate su un capo rosso fuoco. Selim glielo aveva regalato quando aveva appreso della sua gravidanza. Non l'aveva mai indossato, perché reputava le fasciasse in modo troppo evidente le curve del corpo. Ma adesso non le importava, che le notassero tutti le sue curve!
Lo indossò velocemente e si acconciò i capelli in una treccia a spina di pesce che le scendeva su una spalla. Si guardò allo specchio e sorrise, soddisfatta. Il vestito le fasciava perfettamente il corpo magro, mettendo in evidenza le sue curve, soprattutto quella del seno, poiché c'era una generosa scollatura. Il vestito era semplice, con delle decorazioni dorate sul petto e sulla gonna, la quale era davvero lunga, infatti strisciava sul pavimento.
Hurrem Sultan si sedette sulla sedia davanti alla toeletta e cominciò a truccarsi gli occhi leggermente di nero e la bocca di rosso, sembrava essere stata baciata dal diavolo per quanto erano rosse le sue labbra; aprì il portagioie dal quale afferrò l'anello di diamante e il diadema che Selim le aveva regalato qualche tempo fa e che si era sempre rifiutata di indossare. Era arrivato il momento.
Si osservò un'ultima volta allo specchio e sorrise, curvando solo un angolo della bocca. I denti d'avorio scintillarono sotto la luce delle candele tremolanti e gli occhi verdi brillarono di qualcosa che fino a quel momento era rimasto celato sotto strati di memoria e coscienza e buon senso. Adesso quel qualcosa si era liberato ed era pronto a ruggire.
Roxelana, mai prima di quel momento quel nome le fu più adatto, si diresse verso la sala nella quale di solito lei, il sultano, la Valide Sultana, Hatice, Ibrahim Pascià, Mustafà e Gulbahar cenavano assieme. Da quel momento in poi ci sarebbe stata anche Freya e Iksander Pascià.
Si trattava della stessa stanza nella quale si era tenuto il festeggiamento del matrimonio di Ibrahim. Un enorme tavolo in legno, capace di ospitare circa cento persone, era disposto al centro della stanza.
Era tutti seduti ai propri posti e la stavano aspettando, mentre conversavano a bassa voce su qualcosa. Selim a capo tavola, al suo fianco c'era Ibrahim e un posto vuoto che lei avrebbe dovuto occupare sulla sinistra; poi c'erano la Valide Sultana, Iksander e Gulbahar sempre nella parte sinistra del tavolo, mentre in quella destra Freya, Hatice e Mustafà.
Quando entrò nella stanza tutti si alzarono in piedi, sorridendole e mormorando un 'Hurrem Sultan'.
-Mio sultano, Valide Sultana, Hatice Sultan, - Disse, inchinandosi leggermente al loro cospetto. Selim le prese la mano, baciandogliela dolcemente. - Buonasera a tutti, miei cari. -
-Siete bellissima, mia stella. Finalmente avete deciso di mettervi ciò che vi ho comprato. - Disse Selim, alzandosi e spostando la sedia all'amata mentre si sedeva. Poi fece cenno ai servitori che cominciarono a portare i vari piatti.
Sul tavolo erano già presenti le brocche di vino e d'acqua, il pane già tagliato, diversi formaggi e la frutta.
-Grazie, mio sultano. Ho voluto farmi bella per voi oggi. - Disse, mentre guardava Ibrahim che parlava con la moglie. I due si sussurravano qualcosa e sorridevano, erano una bellissima coppia. Roxelana si sentì ardere dall'interno da qualcosa, rabbia forse? Perché lui poteva essere felice e lei no? Lui non meritava la felicità. Lo odiava, odiava Ibrahim più di quanto odiasse Gulbahar.
Perché non la guardava? Tutti la stavano guardando meravigliati, tutti. Perché lui faceva finta di non vederla? Era più bella di Freya. Era più bella di Hatice. Era persino più bella di Gulbahar. Anche lui se ne era innamorato all'improvviso? Anche lui l'aveva baciata sotto lo sguardo d Freya? Maledetta, maledetta, maledetta!
Guardami, Ibrahim Pascià, guardami e ammirami! Ammiratemi tutti, voi aristocratici, voi purosangue che mangiate e sputate sul sangue e sul sudore dei vostri sudditi! Guardami Ibrahim Pascià, guardami e dimmi che sono bellissima! Tu, più degli altri, devi dirlo. Dillo! Dillo! Dillo! Ammettilo, maledetto te, ammetti la mia bellezza davanti a tua moglie e davanti a colei che ami! Ammettilo! Sono la più bella, sono la più potente, sono l'unica e sola imperatrice!
-Amore, state bene? State guardando Ibrahim in modo strano. Avete discusso di nuovo? - Roxelana, sentendosi chiamare, spostò lo sguardo da lui a Selim e viceversa, guardandosi spaesata. Ibrahim adesso la guardava, ma nei suoi occhi c'era il gelo, non meraviglia o ammirazione.
Darò fuoco ai tuoi occhi un giorno, maledetto te.
-No, niente. Stavo pensando ad una brutta cosa, adesso è tutto passato. - Sorrise, accarezzandogli la guancia barbuta sotto lo sguardo gelido di Ibrahim. - Dovete radervi, mio sultano, questa barba mi da fastidio. -
-Non se ne parla proprio. - Selim rise, passandosi le mani sul viso. - Mio padre si è fatto crescere la barba a questa età e io farò lo stesso. E poi ho un aspetto più maturo.-
-Io vi preferisco senza, siete così bello senza tutta quella roba a nascondervi il viso. -
-Ci penserò allora, se proprio sono più attraente. - Selim rise, girandosi verso Ibrahim. - Allora dovrai farlo anche tu, fratello. Non mi lasciare solo in questa avventura. -
-Se mi permettete, caro cugino, mio marito lo preferisco con la barba. Ha un aspetto molto maturo e lo rende molto più bello di quanto già non sia, in realtà. - S'intromise Freya in difesa del marito, creando parecchio fastidio sia in Hurrem che in Hatice.
-E voi, Gulbahar, che cosa ne pensate? Come mi preferite, con o senza barba? - La rossa si irrigidì all'improvviso, stringendo la mano del sultano talmente forte da graffiarlo con le unghia e farlo sanguinare. Selim aggrottò le sopracciglia, guardandola e Roxelana continuò a stringere la presa. Avrebbe potuto rompergli la mano.
-Siete bello e affascinante in entrambi i modi, mio sultano, anche se vi preferisco con la barba. - Disse Gulbahar, sorridendo timidamente.
-Bah! Smettetela di parlare di questi argomenti a tavola! Voi giovani veramente non sapete come intrattenervi ormai. Non si parla di peli mentre si mangia! - Proruppe la Valide Sultana, dopo essersi scolata un intero calice di vino. Aveva cominciato a bere dopo la morte del marito e si riduceva sempre ad uno straccio prima dell'alba.
Hurrem lasciò andare la mano del sovrano, afferrando le posate quando i servitori portarono finalmente la portata in tavola. Purè di patate con carne d'agnello.
-Cosa ti è preso? - Domandò il sultano, preoccupato e ignorando la goccia di sangue che pigramente gli stava scivolando sull'epidermide della mano. La rossa la guardò cadere lentamente sulle mattonelle del suolo e quando le raggiunse, il suono che produsse, sembrò rimbombare per tutto il palazzo.
-Avevo male al ventre, scusami non volevo. - Disse atona, guardandolo negli occhi. - Oggi sono stata poco bene. -
Come non credere ad un paio di occhi del genere? Verdi, limpidi e sinceri. Come non credere a delle parole dette da labbra rosse come le sue? Come non credere a lei?


*** ***
La cena si era svolta al limite dell'imbarazzo e Gulbahar si era sentita a disagio per tutta la serata. Quella mattina era andata da Selim per parargli e lui l'aveva baciata dopo mesi di inesistente contatto fisico e verbale.
Ne era stata talmente felice da suonare l'arpa tutto il giorno, tant'è che aveva tutte le dita indolenzite poiché non la suonava da tempo.
Selim, inoltre, aveva passato tutta la giornata con Mustafà. Lo aveva portato a cavallo ed avevano persino pranzato fuori, guardando i diversi animali nel bosco. Suo figlio era stato talmente felice che si era addormentato senza fare storie e urlando ai quattro venti di avere il padre migliore del mondo.
-Buonanotte, amore mio, la mamma ti vuole un mondo di bene. - Gulbahar rimboccò le coperte al figlio, baciandolo sulle guance paffute e respirando il suo buon profumo da bambino.
-Buonanotte mamma, anche io ti voglio un mondo di bene! -
Gulbahar sorrise e mentre stava ritornando nelle sue stanze, un servitore la fermò, dandole di nascosto un foglio di carta. La donna confusa e incuriosita lo aprì, leggendolo.
Venite nei giardini quando tutti si saranno addormentati, dobbiamo parlare di questioni importanti. Venite da sola.”
Era una scrittura elegante ed ordinata, prettamente femminile e tendente verso sinistra. Gulbahar non la conosceva, ma aveva dei sospetti su chi potesse essere.
Non si trattava di un uomo, poiché gli unici che sapevano scrivere erano i visir e il sultano; la ex Favorita conosceva tutte le loro scritture.
Aspettava da qualche minuto in giardino stretta nel suo mantello blu e intrattenuta dall'ululare del vento, dal frusciare delle foglie e delle piante che sembravano voler scappare da quel posto il più velocemente possibile.
-Vedo che non siete ritardataria, Gulbahar. - Roxelana comparì all'improvviso, anche lei stretta nel suo mantello rosso, per il freddo. Aveva la punta del naso arrossata.
-Sapevo foste voi, Hurrem. Che cosa volete? - Domandò fredda la mora, incrociando le braccia al seno.
-Vi ho visti questa mattina. Voi e Selim. - La rossa andò dritta al punto senza mezzi termini o inutili giri di parole. Non servivano e sarebbero stati superflui.
-Sì, lo so. Vi ho vista anche io. Ma non vedo cosa c'entri questo con il nostro incontro di questa sera... -Gulbahar era compiaciuta. Godeva del fatto che quella maledetta gli avesse visti baciarsi, godeva del fatto che ne avesse sofferto.
-Non voglio litigare, Gulbahar, voglio solo parlare. Quello che ho visto questa mattina mi ha fatto aprire gli occhi e mi ha concesso una nuova prospettiva. Ho riflettuto e sono arrivata alla conclusione che noi due non dobbiamo per forza essere nemiche, ma potremmo cercare di instaurare un rapporto di amicizia. Ci siamo sempre remate contro, reputandoci una la nemica dell'altra, quando in realtà stiamo sulla stessa barca. Siamo le uniche due che Selim ama fra tutte le ragazze e infatti entrambe siamo e saremo madri della sua stirpe... Avrà un qualche valore questo? - Roxelana la guardò, sorridendole sinceramente.
-Siete sempre stata voi quella che ha preso le distanze, non io. Avrei potuto esservi amica sin dall'inizio. -
-Lo so, ma mi illudevo che diventassi più importante di voi agli occhi di Selim. Ho sbagliato a pensarlo poiché stiamo sullo stesso livello e spero potrete perdonarmi per questa mia valutazione. Sono stata una stupida. -
-Beh, forse... Se la mettete così, dispiace anche a me. Infondo è stata la speranza di tutte fin dal principio, no? -
Gli occhi di Roxelana si illuminarono di gioia quando sorrise e le corse incontro abbracciandola.
-Grazie per essere stata così gentile e avermi reso le cose più facili, Gulbahar. -
Il sorriso dal volto di Roxelana era scomparso e al suo posto c'era una fredda maschera di ghiaccio. Con un gesto veloce, la rossa estrasse dalle maniche del mantello ciò che vi aveva nascosto e con altrettanta velocità pugnalò la donna sulla spalla. La lama attraverso tessuto e carne, arrivando a toccare l'osso; il sangue esplose in tutte le direzioni, bagnando le mani di Roxelana e macchiandole il viso. Sangue denso, caldo e metallico.
Gulbahar urlò, aggrappandosi al mantello di colei che l'aveva aggredita, cercando di allontanarsi dal suo abbraccio mortale; gli occhi di ghiaccio spalancati e la bocca che non riusciva a riempirsi d'aria.
Terrore, stupore, furia erano ciò che si leggevano nei suoi occhi. Terrore per suo figlio, cosa avrebbe fatto senza di lei? Stupore per essersi fatta abbindolare così facilmente da quella maledetta. Furia, beh, l'avrebbe ripagata con la stessa moneta se solo l'avesse lasciata sopravvivere.
Roxelana la lasciò cadere rudemente al suolo, sedendosi sopra di lei e tappandole la bocca con la mano sporca di sangue, mentre nell'altra teneva stretta la lama, la stessa che aveva usato per tagliare l'agnello. Se lo era nascosto tra le pieghe del vestito di nascosto, mentre Selim ed Ibrahim si erano alzati per discutere di affari. Era riuscita a bloccarle con i piedi le braccia in modo che non riuscisse a muoversi.
-Un solo taglio e siete morta. Diciamo addio a Gulbahar... - Roxelana le avvicinò la lama alla gola, impiegando una leggera pressione sulla docile, bianca e tenera epidermide del collo che si tinse leggermente di rosso quando Gulbahar smise di respirare. - Stammi a sentire bene, puttana. -
La mora cercò di ribellarsi, ma Roxelana spinse maggiormente il coltello nella sua carne, tagliandola leggermente. Gulbahar urlò, sentendo la ghiacciata lama dell'affare scavarle nella carne.
-Azzardati una sola altra volta a sedurre, baciare o solo respirare vicino al mio uomo, al mio Selim e sei morta. Farai compagnia ai vermi sottoterra, anzi no... - Nei suoi occhi verdi si accese una luce, una luce tale da farla rabbrividire. Un sorriso malefico le deformò il viso, mentre la lingua passava sul labbro superiore, leccando via il sangue rosso. - Farò molto male a tuo figlio se solo ti avvicinerai un'altra volta a Selim. Ascolta bene questo mio consiglio: sta' lontana da lui o né tu né tuo figlio vedrete altro mattino. Mi hai capita? -
Gulbahar fu costretta ad annuire. Sanguinava copiosamente, ma poco le importava. Quella era un mostro. Che razza di persona, che razza di madre è pronta a minacciare un bambino, un bambino che dice di amare ed adorare?
-Bene, saggia scelta. Adesso ti lascio andare. - Roxelana si alzò da terra, ricomponendosi. - Fuori ti aspetta una carrozza che ti porterà dal migliore guaritore che ti rimetterà in sesto. Ti riporterà a palazzo entro l'alba. Non una parola con nessuno o sei morta. -
–Sei pazza. Ma non preoccuparti... ciò che hai fatto oggi e che farai in futuro ti ritornerà indietro e io spero di essere lì per vederti morire nel tuo stesso sangue. - Gulbahar faticava a parlare e ad alzarsi. Sentiva la testa pesante per la quantità di sangue che stava perdendo. I fiori si erano tutti sporcati di sangue e nell'aria c'era un forte odore di morte, minacce e metallo.
-Se continui a parlare, temo che quel giorno non lo vedrai mai. - Roxelana sorrise, salutandola con la mano prima di andarsene. - Ah, se domandano sei caduta dalle scale. -
-Che tu e tutta la tua discendenza sia maledetta, rossa, che possiate morire tutte quante infelici e affogate nel vostro sangue. E' la giusta fine che vi meritate. -


SPAZIO AUTRICE!!
Buon Halloween tutti!
Eccomi qui con questo capitolo alquanto macabro. Le mie amiche lo hanno definito così, ma a me piace tanto >.<
Infatti non sapevo se aggiungere o meno quella parte iniziale e quella di Gulbahar, ma ormai il danno è fatto! xD
Mia madre inoltre vuole che io scriva di un mondo fatto di arcobaleni e miele! Ma non ci piacciono queste cose, non è vero?
Datemi una medaglia per il record con cui ho pubblicato! Tutto per farmi perdonare per i ritardi ahahah
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto e ditemi cosa ne pensate di questo lato di Roxelana!
Al prossimo capitolo. 

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Capitolo 23
*** XXII - Neve e Fuoco. ***


Ibrahim abbracciò sua madre, lasciandole un dolce bacio sulla guancia; le sue forti e grandi braccia da uomo la tenevano stretta. Sembrava così piccola che avrebbe potuto scomparire, poteva rompersi all'improvviso senza che lui avesse il potere di impedirlo. Era così fragile e piccola la sua mamma, ma era anche forte e coraggiosa. Era perfetta.
La bella donna lo guardò, carezzandogli la guancia barbuta.
Il mio piccolo Ibrahim è diventato un uomo, un bellissimo uomo.”, gli occhi di sua madre si illuminarono di gioia e orgoglio qualche secondo prima che la porta della loro baracca venisse scardinata e cadesse al suolo, producendo un forte rumore e alzando un enorme polverone. I turchi irruppero nell'abitacolo, urlando nella loro lingua strana con le sciabole strette nelle mani.
Ibrahim era pronto a rivedere la scena che abitava nei suoi incubi circa ogni notte al mese. I suoi genitori e sua sorella trucidati davanti ai suoi occhi, mentre lui e suo fratello, grandi e grossi, non riescono a fermarli.
Tuttavia, successe qualcosa di inaspettato, poiché al posto di sua madre, c'era un'altra donna, la donna che conosceva meglio di se stesso oramai.
Lunghi capelli rossi e portati in una lunga treccia che le sfiorava la vita, labbra sottili e rosee con un quasi invisibile neo al lato della bocca, naso piccolo e dritto, occhi da cerbiatta e verdi come il prato, che emanavano una pericolosa luce di orgoglio e coraggio, le guance piene di lentiggini talmente chiare da risultare invisibili. Conosceva a memoria quella faccia, quel portamento e quei capelli di fuoco. Avrebbe potuto disegnarla ad occhi chiusi.
Indossava la stessa camicia da notte, bianca, vecchia, troppo piccola e bucherellata e troppo stretta in certi punti, che aveva la prima volta che si erano incontrati.
Ibrahim si guardò intorno, notando di essere rimasti da soli. Sua madre, Costa e i turchi erano spariti nel nulla, così come le urla di terrore degli abitanti del villaggio.
Erano rimasti solo lei, lui e il silenzio.
Roxelana gli sorrise, avvicinandosi lentamente; allungò la mano, stringendogliela. Gli occhi verdi che scintillavano nella semioscurità della stanza.
Hurrem, che cosa fai?”, domandò, confuso. Le mani della ragazza erano strette nelle sue. Erano ghiacciate, talmente fredde da farlo rabbrividire. Lei odorava di neve.
No, non Hurrem. Non mi chiamo così. Roxelana è il mio nome, il nome che tu mi hai dato, Ibrahim.” Roxelana sorrise, accarezzandogli la guancia. “Che cosa ci fai tu qui? E' il mio incubo, vattene.”
Ibrahim si ritrasse, spingendola via. Roxelana non cedette e prima che lui potesse reagire, lo abbracciò, sollevandosi sulle punta dei piedi e tempestandogli la gola di baci. Ibrahim cercò di spingerla via, ma senza successo; sembravano attaccati, un'unica persona.
Non voglio. Tu sei mio, Ibrahim, ci siamo appartenuti dal primo momento in cui ci siamo incontrati! Ammettilo.”
No, non è vero. Adesso staccati, sono un uomo sposato.”
Tua moglie ha ben altri interessi, Ibrahim, noi lo sappiamo bene.”
Vattene, ti ho detto!” Ibrahim cercò di spingerla via, ma Roxelana strinse maggiormente la presa, abbracciandolo talmente forte da non riuscire a respirare. “Torna nei sogni di Selim, io non voglio averti nei miei.”
Mentire a te stesso non servirà a nulla. Tu sai, il tuo cuore sa, tutti sanno.” Roxelana ghignò. “Quante volte mi hai spiato mentre ero con Selim? Quante volte, guardandomi indossare un nuovo vestito, hai desiderato trascinarmi nelle tue stanze? Quante volte mi hai sognata la notte? Quante volte mi hai guardato, mentre pensavi fossi distratta, questa sera? Non ero bellissima? Eppure non mi hai detto niente...”
La sua voce adesso aveva assunto un tono sensuale, mentre con le dita pallide ed eleganti gli accarezzava il braccio. Ibrahim tremava per colpa del freddo che lei emanava; si sentiva ipnotizzato e quando la ragazza si sollevò in punta di piedi, poggiando le mani sulle sue guance e avvicinando lentamente le labbra a quelle sue, Ibrahim chiuse gli occhi, sospirando.
Hai ragione su tutto. Sono una persona orribile, poiché desidero ardentemente ciò che non è mio, desidero la donna del mio padrone e migliore amico, di mio fratello.”
Non aspettavo altro, mio amore.”
Roxelana sorrise, tagliando ogni tipo di distanza.


Ibrahim si svegliò in un bagno di sudore. Le candele tremolavano impaurite dall'incessante ululare del vento. Freya dormiva al suo fianco, dandogli le spalle; la camicia da notte le era scivolata di lato, lasciando scoperta la spalla pallida sulla quale c'era un piccolo neo a forma di cuore. Ibrahim ridacchiò, coprendola con il lenzuolo azzurro e successivamente si alzò dal letto, grattandosi il petto nudo.
Aveva bisogno d'aria. Quel... sogno era davvero qualcosa di strano. Sognare Roxelana lo destabilizzava, soprattutto se in quel modo. Maledetta lei e i suoi dannati capelli rossi. Non bastava tutto ciò che aveva combinato in passato, le sue terribili azioni, ma adesso anche quello.
Le fiamme dell'inferno avrebbero arso la sua anima anche per quella ragione.
Quanta la odiava per essergli entrata così profondamente nel cervello, per indurlo ogni volta a sfiorare la pazzia. Di quel passo di lui non sarebbe rimasto più niente, poiché quei sentimenti contrastanti lo avrebbero consumato e mangiato vivo.
Ibrahim indossò la prima cosa che trovò ed uscì nel corridoio per respirare.
Il vento aveva cessato di ululare, ma al suo posto le nuvole avevano oscurato la bellissima luna, brutte nuvole cariche di pioggia e fulmini. Infatti le prime gocce stavano cominciando a calare; sembravano piccola lacrime del cielo, delicate e dolci.
Ibrahim sospirò, poggiando le mani su uno dei davanzali che davano sul giardino. Si sentiva accaldato, il fuoco gli scorreva nelle vene, non c'era più sangue.
-Come mai siete ancora in piedi, Gran Visir? Dovreste dormire al fianco della vostra bella moglie o anche lei vi ha cacciato dal letto nuziale? - Ibrahim sussultò, non avendola sentita giungere. Lei, la causa di tutti i suoi mali e dei suoi tormenti: Roxelana la rossa.
Ad ogni modo si ricompose, assumendo la sua solita espressione glaciale e guardandola con le braccia incrociate al petto. I muscoli delle braccia si gonfiarono, diventando più grandi di quanto non fossero già. Roxelana lo studiò, passandosi la punta della lingua sul labbro superiore.
-Potrei farvi la stessa domanda, Roxelana. - La ragazza sorrise, aggiustandosi meglio il mantello che indossava. Era vestita completamente di rosso e stava maledettamente bene.
-Sapete, oggi questo nome non mi dà fastidio. Oggi mi sento Roxelana, Ibrahim. -
-Beh, mi fa piacere. - Borbottò, aggrottando le sopracciglia. - Selim non è al corrente di questa tua fuga notturna, non è vero? -
-Neanche Freya, suppongo. - Ribatté la rossa. Stranamente manteneva le mani strette intorno al mantello, come se volesse nascondere qualcosa. Sul suo viso c'erano delle piccole macchioline rosse, che non erano lentiggini.
-Un ennesimo segreto che dovrei custodire per te, rossa. Sai, prima o poi dovrò chiedere qualcosa in cambio. - Ibrahim sorrise, avanzando lentamente verso la ragazza che lo guardava sorridendo e senza indietreggiare. Sembrava sicura di sé, ma se la si guardava attentamente, le sue guance erano diventate rosse e non per il freddo.
-E cosa mai potrà volere il grande e potente Gran Visir da me? Tremo al solo pensiero! - Un fulmine squarciò il cielo e la ragazza sussultò, sbiancando all'improvviso.
Hurrem aveva paura dei temporali; glielo aveva confidato Selim, mentre parlavano di lei qualche tempo prima.
-Lo saprai a tempo debito. - Ibrahim scrollò le spalle, fermandosi a due centimetri da lei. Le candele, che illuminavano il corridoio, erano sul punto di spegnersi, consumate dalle loro stelle fiamme tremolanti.
Ibrahim la guardò; i suoi bellissimi occhi da cerbiatta gli stavano trasmettendo qualcosa, qualcosa che mai avrebbe pensato di leggervi.
Desiderio.
Lo stava guardando come un felino guarda la preda prima di mangiarsela.
Era ancora un dannato sogno! Stava ancora sognando. Com'era possibile che i suoi sogni fossero talmente reali?
Sentiva il respiro caldo di Roxelana contro il suo mento, il petto che si muoveva velocemente a causa del suo respiro, il seno che gli sfiorava il torace. Un leggero contatto che sembrava mangiargli la carne, ardeva di dolore. Le mani gli prudevano e respirare era diventato incontrollabile, così come il fuoco che gli scorreva nelle vene aveva fatto impazzire il suo cuore. La sua testa, il suo cervello, il suo corpo sembravano non capire più niente.
Gli sembrava di essere caduto in una realtà ultraterrena, guidato da un istinto a cui poche volte era ceduto. Guardava Roxelana, la sua Roxelana e gli sembrava bellissima.
La pioggia aveva cominciato a cadere più velocemente, picchiando qualsiasi cosa le intralciasse il cammino. Il vento aveva ripreso ad urlare contro il mondo e in particolare contro Ibrahim. La temperatura si era abbassata notevolmente, le mani si erano congelate all'improvviso e tutto il suo corpo era scosso da brividi.
Tutto intorno a loro profumava di neve. Roxelana odorava e ardeva di neve, freddo e sangue.
Qualcosa, dentro di lui, gli comandava di non muoversi, di lasciarla stare e fuggire via. Ma lui, il freddo Ibrahim Pascià, era diventato sordo e cieco, era succube della neve e di quell'istinto primitivo che spesso lo aveva condotto per vie buie ed oscure, quell'istinto a cui non riusciva a dire di no, poiché più potente e astuto di lui.
In quel momento, con le candele ormai spente per la paura di guardare ciò che sarebbe accaduto, sembrava maledettamente giusto agire in quel modo.
Lei era l'unica cosa che lui vedeva, l'unica creatura ad esistere, l'unico fuoco ad arderlo, l'unica neve ad ucciderlo.
Le mani agirono da sole, rompendo quella distanza e tutto ciò che essa comportava, afferrando la ragazza per la vita e stringendola in un abbraccio fatto di sofferenza, tradimento, sangue e pioggia. Era dannatamente fredda e lui così caldo per le fiamme della pazzia, che fu quasi un sollievo averla vicina, stringerla, sentire il suo corpo esile fra le sue braccia.
Qualcosa cadde per terra, producendo un rumore metallico, ma loro non ci fecero caso, poiché anche lei, la fredda rossa, aveva liberato le mani dalla ragione e dalla coscienza per stringerlo a sé. Mani aggrappate a tessuti superflui, che toccavano, tastavano, graffiavano, mani con cui avrebbero potuto disintegrarsi a vicenda.
-Smettila di entrarmi nei sogni, maledetta te. - Ibrahim ringhiò, spingendola rudemente contro il muro. Il quadro che ritraeva Selim traballò pericolosamente, mentre Roxelana rimase senza fiato; ma quando si riprese, le sue mani eleganti strinsero il collo dell'uomo, che la teneva talmente stretta da farle mancare il respiro. E i suoi occhi, i suoi bellissimi e particolari occhi scuri, la guardavano con così tanto desiderio, che lei avrebbe potuto perdersi per sempre. Oh, che sentimenti contrastanti! Oh, dolce pazzia!
Sangue, c'era solo odore di sangue fresco. Ibrahim se lo sentiva addosso e le mani della ragazza ne erano piene.
-E tu smettila di prendermi sempre alla sprovvista. Ti odio così tanto che potrei ammazzarti adesso, maledetto te. Tu, tu eri l'unico che doveva ammirarmi e sei stato l'unico a non farlo! -
-Parli tu di ammazzare me! Provaci, almeno quando ti avrò uccisa avrò una ragione! -Ibrahim la inchiodò maggiormente contro il muro, spingendo il suo ginocchio fra le sue gambe. La sua grande e callosa mano si diresse verso i lacci del mantello, staccandoli con la forza e buttando il capo rosso in un angolo del corridoio. Indossava ancora quel vestito che si era messa a cena ed era talmente bella che le stelle si vergognavano del loro aspetto. La pelle pallida della scollatura audace venne toccata dalle sue mani e Roxelana strinse maggiormente la presa contro il suo collo, quando i brividi la scossero. Si sentiva come una tempesta carica di elettricità, pronta ad esplodere. -Potrei romperti il tuo bel collo delicato adesso e levarmi tutti i brutti pensieri. - Ibrahim le strinse la gola, le unghie di lei che gli graffiavano la pelle.
Sarebbero morti nel sangue e nell'odio quei due, non c'era altro destino.
-Hai avuto la tua possibilità ma l'hai sprecata. Ti ho scongiurato, ma tu non lo hai fatto. Adesso pagane le conseguenze. - Roxelana rise, quando Ibrahim ringhiò, stringendo maggiormente la presa. Erano diventati entrambi rossi per la mancanza d'aria.
-Non sapevo che mi avresti condotto verso la pazzia e avresti infestato i miei sogni! Vai via! -
-Sei tu quello che infesta i miei pensieri! Vai via tu, ma prima dimmi che sono più bella di Freya! -
-Sai benissimo di esserlo, non hai bisogno delle mie parole per convincertene. -
-Voglio sentirlo dalla tua bellissima e tagliente bocca! Detto da te, ha un altro significato, Ibrahim! - Roxelana mollò la presa dal suo collo, facendo scorrere le dita sulle sue labbra morbide e perfette. Oh, quanto ero bello e perfetto! Sembrava un'opera d'arte. Era bello come una poesia di un poeta maledetto, talmente bello che sarebbe morto giovane nel sangue e nell'odio della invidia. Per gli essere come lui non c'è altra via d'uscita, la sorte non è mai clemente.
-Sei bellissima, rossa, talmente bella che potrei morire. -
Ibrahim lo disse, ebbe il coraggio di dirlo ed ebbe anche il coraggio di tagliare quella insulsa distanza e poggiare le sue labbra contro quelle di lei. Un semplice contatto che durò pochi secondi prima che Roxelana lo colpisse, facendolo svegliare da quel meraviglioso incubo.
Si guardarono per quelli che sembrarono anni, accaldati, sanguinosi e con il respiro accelerato, sguardi quelli, che cambiarono ogni cosa. Un altro segreto taciuto a Selim, una ennesima cosa che li avrebbe allontanati, ma avvicinati. Una ennesima ragione per fuggire l'uno dall'altra che comunque non avrebbero ascoltato, almeno in quel momento.
Ibrahim la lasciò andare, alzando le braccia in segno di resa e aprendo la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo. Scosse il capo, passandosi una mano sul viso sporco di sangue e poi se ne andò senza aggiungere altro.
Roxelana, che aveva il viso in fiamme e il respiro accelerato, si guardò intorno, non sapendo che fare. Alla fine decise di correre, ma non nella direzione opposta.
-Ibrahim! - Il Gran Visir stava per entrare nelle sue stanze, quando vide arrivare di corsa la rossa con il suo vestito e i suoi capelli perennemente legati in una treccia.
-Che cosa volete? Ho fatto uno sbaglio, non ne farò parola con Selim e spero che voi... -
-Ma sta' zitto per una volta! - Lo interruppe la rossa, afferrandolo per la maglietta e tirandoselo addosso. Si guardarono per un breve attimo prima di chiudere gli occhi e lasciarsi andare.
Neve e fuoco, terra e cielo, inferno e paradiso che si unirono in un unico bacio.
Sembrava di essere all'inferno per quanto facesse caldo, le fiamme li stavano i bruciando e si sarebbero dissolti nel vento che adesso stava scompigliando loro i capelli.
Erano capitati in un girone dantesco? Erano forse Paolo e Francesca? Selim li avrebbe beccati e poi li avrebbe uccisi?
Niente importava, poiché l'apocalisse ce l'avevano nelle lingue che si stavano accarezzando prima timidamente e poi con passione e desiderio. Il cervello si era spento, non volendo pensare a tutte le conseguenze che ciò avrebbe portato e il sorriso che incorniciava loro il volto, quando misero fine al bacio, la diceva lunga.
-Vieni con me. - Sussurrò Roxelana, aprendo gli occhi e afferrandolo per la mano. I suoi occhi erano diventati di un verde più scuro, le guance erano arrossate e le labbra gonfie e umide.
Ibrahim scosse la testa, cercando di ricordare come si parlasse. - Sai che non posso. Sono sposato. -
-Non me ne importa. Non lo verrà a sapere nessuno, rimarrà fra di noi. Vieni con me, Ibrahim, ho bisogno di te oggi come mai in tutta la mia vita. -
Ibrahim la guardò, deglutendo. Cos'altro poteva andare storto? Nessuno lo avrebbe scoperto, nessuno li aveva visti, tutti stavano dormendo. Sentiva questo fuoco dentro di lui che solo lei sarebbe riuscita a spegnere, lei era la sua neve che lo avrebbe calmato. Lo era stata dal primo momento in cui si erano incontrati, ecco perché l'aveva portata con sé. Il destino li aveva fatti incontrare.
-Va bene, hai vinto. - Ibrahim sospirò, guardandola e poi fece qualcosa che non aveva fatto quasi mai in sua presenza, sorrise e lo stomaco di Roxelana tremolò, sentendosi qualcosa all'altezza della spina dorsale, che la spinse a baciarlo di nuovo.
Avevano varcato il punto di non ritorno quella notte con quel bacio e niente avrebbe potuto riportarli indietro.
I due cominciarono a correre, mano nella mano, verso le stanze di Roxelana che si trovavano poche porte più in là di quelle del Gran Visir. Quando si fermarono davanti la porta azzurra della ragazza, Ibrahim ritornò serio, guardandola. L'afferrò per la vita, prendendola in braccio e dicendole: - Saremo dannati per l'eternità. -
-Che ci danni pure, non mi importa! - Roxelana rise abbracciandolo strettamente a sé, mentre Ibrahim la divorava un'altra volta. Quando entrarono nella camera, la porta venne sbattuta sonoramente.
Poche porte più in là Freya sorrise, avendo conferma di ciò che pensava. Ibrahim sarebbe stato felice per una notte e i giorni a venire si sarebbe maledetto, ma adesso non importava.


*** ***
-La voglio morta, strega, la voglio morta! - Sbraitò Gulbahar, mentre la strega le applicava un impacco di erbe curative, lì dove Hurrem l'aveva pugnalata.
-Ve la siete anche andata a cercare, mia signora. Vi ho detto che quella donna è pazza, i suoi capelli ne sono la prova... -
-Pazza o non pazza porta in grembo il figlio dell'uomo che amo. - La mora strinse i denti, quando la strega l'aiutò a rivestirsi. Si trovavano in una malridotta baracca semibuia poco lontana dalla città di Costantinopoli.
-Ma lei non è incinta, mia signora, pensa di esserlo. Alla sua età è molto facile confondersi. Ho visto che non è ancora giunto il suo momento e in questo istante ha appena incontrata il padre di suo figlio. -
-Ma cosa state dicendo, strega? Smettetela di essere sempre così enigmatica, voglio sapere di più, chi diavolo è quest'uomo? - Borbottò Gulbahar, sistemandosi i capelli di lato, spazientita. - Vi pago a sufficienza per saperne di più. -
-Non conosco il suo nome, so solo quello che portava prima di giungere a Costantinopoli. Ma nelle mie visioni sembra un uomo molto bello, che voi conoscete sicuramente. - Disse la strega con la sua voce roca e debole.
-Non è possibile, allora, vi state sicuramente sbagliando. Quei due si odiano. -
-Odio e amore sono sentimenti molto simili, mia cara, si completano. Nell'amore c'è odio e nell'odio c'è amore. -
Gulbahar rise di gusto, facendo cadere nella mano della strega qualche moneta d'oro, per poi uscire nel freddo della notte, entrare in carrozza e ritornare a castello.
Chi l'avrebbe mai detto, Ibrahim Pascià e Roxelana. Adesso sì che le cose si facevano interessanti.


ZANZANZAN!!
Ed ecco finalmente il momento per il quale mi avete stressato dal prologo. E' avvenuto, siete tutti contenti adesso? xD
Ibrahim e Roxelana hanno combinato un bel guaio, vedremo come se la caveranno in seguito eheheh !
Abbiamo anche appreso che la rossa non aspetta nessun bambino, si è solo trattato di un errore che nel prossimo capitolo verrà chiarito. 
Ad ogni modo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e voi che shippate Selim e Roxelana (Selana o Roxelim?) non disperate! Mentre voi che shippate la Ibrahelana gioite pure, avete il mio permesso, per ora. Quei due monelli ce ne hanno messo di tempo xD.
Comunuuuque lasciatemi qualche pareruccio perchè io vi voglio bene e ci vediamo al prossimo aggiornamento (se sopravvivo) !!!

 

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Capitolo 24
*** XXIII ***


Roxelana aprì gli occhi, girandosi dall'altra parte del letto, lì dove avrebbe dovuto esserci Ibrahim. Di lui, tuttavia, non c'era traccia; era rimasta solamente la parte del letto fredda, sfatta e che odorava di lui.
La rossa sospirò, portandosi le mani sul viso, disperata. Scene della notte precedente si ripetevano in sequenza nella sua mente.
Sentiva la sua presenza ovunque; le sue la braccia che la baciavano, la mordevano, sospiravano; le sue mani callose ma delicate che le accarezzavano la pelle e i capelli teneramente. Sentiva il calore del suo corpo, la consistenza della schiena fra le sue mani, i muscoli delle braccia, l'odore della sua pelle, la sensazione delle loro pelli a contatto l'una con l'altra. Le sembrava ancora di udire il suo nome sussurrato a fior di labbra tra un bacio e l'altro.
Sentiva e ricordava tutto e non era chiaramente un buon segno.
L'aveva fatta impazzire: aveva toccato il bollente paradiso con un dito un attimo prima e quello dopo stava bruciando tra le fiamme ghiacciate dell'inferno. Si era completamente sbriciolata fra le sue braccia.
L'aveva amata per una sola notte. Ibrahim l'aveva amata con passione e tenerezza, lo aveva fatto più di Selim in tutti quei mesi. Si era sentita libera come un aquila che spicca il volo nell'immenso cielo blu e guarda tutti dall'alto. Regina di tutto e tutti.
-Che cosa abbiamo fatto, Ibrahim? Non avevamo abbastanza problemi prima di tutto questo? Perché abbiamo fatto questo a Selim? -
I sensi di colpa la invasero. Pensava a Selim, al suo unico amore, a colui che aveva tradito con il suo migliore amico, con colui che reputava un fratello. Lei, la donna che doveva amarlo più di chiunque altro. Perché aveva agito in quel modo? Non lo ricordava.
Qualcosa nel suo cervello era scattato; era stata presa da questo strano istinto, si sentiva bruciare,per Ibrahim Pascià, per l'uomo che l'aveva strappata dalle sue origini, da sua madre, dalla sua fredda ed amata Russia.
Lo aveva guardato all'improvviso, lui con i suoi occhi verdi, con la sua bellezza maledetta e le mani grandi e callose, lui che l'aveva fatta sentire amata, ma non con quel genere d'amore che le dava Selim, dolce, sincero, platonico, perfetto ed incondizionato. No, quello che sapeva dare Ibrahim era distruttivo, passionale, omicida, fuoco puro che scorre e brucia via ogni emozione. Animale.
Lo aveva guardato prima di afferrarlo e baciarlo violentemente, in modo disperato, come un naufrago alla ricerca disperata della terra ferma. Si era persa in lui come in nessun altro e le loro azioni, per quella notte, non importavano.
Quello che era accaduto la notte precedente, era qualcosa, qualsiasi cosa fosse stata, che si portavano dietro dalla prima volta in cui si erano incontrati.
Doveva accadere, ma adesso perché continuava a pensarci? Perché ne voleva di più? Perché invece di andare da Selim e riscattarsi, se ne stava nel letto a poltrire?
Doveva indossare la vestaglia prima dell'arrivo delle serve, non dovevano vederla in quelle condizioni, avrebbero potuto dire qualcosa a Selim e certamente non poteva permetterselo.
Si alzò dal letto, scostando le lenzuola bianche e ciò che vide le gelò il sangue.
Sangue, c'era del sangue che macchiava le sue coperte e non era né quello di Gulbahar, né quello di Ibrahim. Era suo.
-Il mio bambino... - Roxelana si portò le mani sul ventre pallido e piatto, terrorizzata. - Guardie! Guardie! -
Le chiamò a gran voce, mentre si metteva addosso una vestaglia. Due uomini armati entrarono nella stanza, sbattendo violentemente la porta.
-Avete chiamato, mia signora? - Una delle guardie la guardò, preoccupata.
-Chiamate un Guaritore ed il sultano, presto! - La voce della ragazza tremava, così come il resto del suo corpo.
Le guardie annuirono, uscendo di corsa dalla camera e correndo a chiamare i due uomini.
Roxelana si sedette, deglutendo. Una lacrima le scese lungo la guancia e lei si affrettò nell'asciugarla. Alzò gli occhi al cielo, sospirando. Allah la stava punendo per il suo adulterio? Perché proprio al suo bambino? Aveva meno di un mese di esistenza, era troppo piccolo e puro per pagare le sue colpe.
Selim entrò all'improvviso nella camera, anche lui si era appena svegliato, ne erano testimoni i suoi lunghi capelli disordinati e il fatto che indossasse ancora la vestaglia.
Roxelana appena lo vide gli gettò le braccia al collo, abbracciandolo strettamente.
-Che cosa è successo, amore mio? Mia stella, parla, perché piangi? - Selim le accarezzava i capelli, mentre scrutava il letto macchiato di rosso.
-Il nostro bambino... Temo gli sia successo qualcosa. Mi sono svegliata e il mio letto era tutto insanguinato. - Selim sbiancò, irrigidendosi.
-S-Sei sicura che sia il tuo sangue? - Il sultano, non sapendo cosa dire, parlò a sproposito. Era la prima cosa che gli passò per la mente. Roxelana scosse la testa, agitata e strillando: - Ma che cosa dici! Chi altri potrebbe entrare nel mio letto?! -
Selim sospirò, non sapendo cosa replicare. Per fortuna il vecchio Guaritore dalla schiena curva entrò nella camera e Selim poté spiegargli la situazione.
- Mio sultano, dovrò visitare Hurrem Sultan, per questo vi chiedo di uscire e aspettare nel corridoio. -
- Va bene, certo. - In quell'esatto istante giunse Ibrahim, vestito, rinfrescato e bellissimo.
- Fratello, che cosa succede? Ho sentito Ro... Hurrem strillare per tutto il castello. - Ibrahim aggrottò le sopracciglia, schiarendosi la voce.
- Nel suo letto c'era del sangue, abbiamo paura che possa essere successo qualcosa al bambino. -
- Ma... è terribile. Che cosa posso fare? Vado a chiamare le levatrici? -
- Non ci sono. C'è il Guaritore con lei, la sta visitando. - Selim sospirò, passandosi una mano sul viso. Era visibilmente stressato. - Avremo mai un giorno tranquillo e senza problemi? Vorrei tornare adolescente. -
- Io l'ho sempre detto che dovevi diventare tutto tranne che il sultano, Selim. Hai trent'anni e ne dimostri sessanta. Tagliati quella barba che neanche il tuo defunto padre, Allah abbia misericordia della sua anima, sembrava così vecchio! - Il Gran Visir cercò di ironizzare, per distrarlo.
- La mia? Dovresti vedere la tua, piuttosto. Somigli ogni giorno sempre più a quei vecchi visir che dici di odiare tanto! -
- Traditore! Selim, sei un traditore! Come hai potuto dirmi una cosa del genere? Tu che sei come un fratello per me! Ti sfido a carte e ruberò tutto ciò che hai questa sera. -
-Beh, vedremo, mio caro Visir. Stai perdendo colpi. -
Ibrahim ridacchiò, mollandogli un pugno giocoso sulla spalla, mentre Selim cercava di abbracciarlo.
-Sei insopportabile, ma ti voglio bene lo stesso, fratello. -
-Lo prendo come un complimento. Ma come mai così amorevole oggi? Non dicevi di amarmi da quando a otto anni hai rotto il vaso che mia madre mi aveva regalato. Che cosa hai fatto? - Selim sorrise, ripensando al mini Ibrahim che cercava di nascondere le macerie sotto il tappeto persiano di camera sua.
-Assolutamente niente. - Ibrahim sorrise, anche se sembrava impallidito. Selim non ebbe il tempo di contraddirlo, poiché le porte della camera vennero aperte e i due uomini entrarono.
Roxelana era distesa sul letto in lacrime, guardava il soffitto mentre i singhiozzi la scuotevano tutta.
-Hurrem, che cosa è successo, amore mio? - Selim le corse incontro, inginocchiandosi accanto alla donna che amava e baciandole la fronte fredda con dolcezza.
-Non voglio dirtelo, Selim, mi odieresti. - Roxelana si girò, dandogli le spalle, le mani messe sotto l'orecchio e le ginocchia piegate in posizione fetale. Sussultò quando incontrò lo sguardo di Ibrahim che stava conversando a bassa voce con il Guaritore.
-Come puoi dirmi una cosa del genere, Hurrem? Sai che non potrei mai odiarti. Su, avanti, dimmi... Come state, tu e il bambino? -
Roxelana non rispose per parecchi minuti, continuando a piangere sia per la disperazioni che per la rabbia, mentre Selim le accarezzava dolcemente i capelli rossi.
La rossa balzò all'improvviso a sedere con la vestaglia bianca che le era scivolata sulla spalla, rivelando l'epidermide pallida e la pelle bianca del seno.
-Non c'è nessun bambino, Selim! Non c'è mai stato nessun bambino... Quello che ho avuto è semplicemente stato un semplice ritardo del mio... Beh, hai capito. -Le guance della ragazza si colorarono di rosso, mentre Selim la guardava con gli occhi spalancati senza proferire parola.
-Oh... -L'imperatore deglutì, riprendendosi dallo shock. - E' stato solo un ritardo, bene. -
-Come, Selim! Abbiamo parlato ad una pancia vuota per un mese. Mi sento così ridicola! Mi vorrei barricare in questa stanza e non uscirvi mai più. Che vergogna! - Roxelana sprofondò nel letto, portandosi le mani sul viso. Ibrahim alzò lo sguardo al cielo, dopo che il Guaritore si congedò e mentre Selim sorrideva.
-Beh, Hurrem, è comprensibile questo vostro errore. Infondo avete solo diciassette anni e siete ancora molto ingenua su molti fronti, è un errore dovuto alla vostra tenera età. - Intervenne Ibrahim, che non voleva fare un ulteriore passo avanti, restando immobile all'entrata. Roxelana sussultò, guardandolo arrabbiata.
Ci mancava solo lui a farla sentire peggio di quanto già non si sentisse!
-Andatevene. Non voglio vedervi, provo già abbastanza vergogna senza che voi ridiate di me! - Urlò la rossa, accrescendo l'ilarità del visir, che ficcandosi le mani in tasca, disse: - Me ne stavo giusto andando, Hurrem. -
E senza aggiungere altro si congedò, salutando con un cenno le serve che erano appena giunte. Mancò poco che una di loro svenisse per l'emozione.
-Lo odio. - Borbottò, gettando le braccia al collo di Selim, che ricambiò subito il suo abbraccio con un bacio. - Come ti senti, a proposito? L'unica cosa che dovrei fare per te, non mi riesce neanche bene! -
-Non dire così, mio amore. Non ti amo solo perché sei una potenziale macchina sputa marmocchi. Ti amo per l'amore che mi dai, per il tuo sorriso, per la tua dolcezza. Ti amo e ti amerò per l'eternità perché sei il sole che rischiare le mie giornate e la stella che mi guida. Non so cosa farei senza di te, Hurrem, mio bel peperino dai capelli rossi. - Selim le asciugò le lacrime con il pollice, baciandole il naso giocosamente. Adesso sì che la rossa si sentiva tremendamente in colpa per ciò che aveva fatto. Aveva tradito un uomo talmente meraviglioso, per cosa? Per una persona odiosa, fredda e senza sentimenti che la odiava. -Ringrazio Allah per averti mandato da me. -
-Oh, Selim! - Roxelana lo baciò dolcemente e teneramente, perdendosi in tutta quella stabilità, sentimenti positivi e dolcezza che lui le donava.
-E' proprio questo il motivo per cui tu devi diventare mia moglie. Non semplicemente la mia Favorita, una delle mie concubine o la madre dei miei figli, ma mia moglie, la mia sultana, la donna che amerò fino alla morte. E' ora che tutti lo capiscano. -
-Non starai dicendo sul serio, Selim... - La rossa spalancò gli occhi, non sapendo cosa dire. - Non è illegale? Non staremo mica andando contro le leggi? -
-E chi se ne importa delle leggi? Sono io il sultano, io decido. Per te andrei anche all'inferno. - Selim sorrise, accarezzandole i capelli rossi. - Di qualcosa, non mi guardare così! -
-Ma certo! Oh, Selim, mi hai fatta la persona più felice del mondo! -
-Sono nato per servirti, mia stella. -
I due futuri sovrani si baciarono ancora con mezzi sorrisi a fior di labbra. Felici.


*** ***


Il palazzo era completamente impazzito. Servitori, concubine, reali e visir discutevano solo di una cosa: il matrimonio tra Hurrem e Selim.
Mai era accaduto qualcosa di simile prima di quel momento. Nessun sultano aveva mai preso in moglie una ex schiava, una concubina.
Era chiaro che coloro che rimanevano incinte del sultano, assumevano automaticamente un ruolo di spicco all'interno della gerarchia sociale del castello, bastava guardare Gulbahar, ma nessuna era arrivata a quanto aveva fatto Hurrem.
Gli imperatori come Selim si sposavano con belle e soprattutto ricche principesse o figlie di nobili dal sangue turco e portamento regale, non con straniere di dubbia provenienza, non con schiave dai capelli rossi e le mani rovinate dal lavoro.
-Oh Allah, Hurrem, non riesco a crederci! - Hatice le corse incontro, abbracciandola. Iksander qualche metro più dietro dalle donne, che ammirava una particolare rosa bianca dalle striature rosse. Si trovavano in giardino, dove Selim si era ufficialmente inginocchiato e le aveva messo al dito un anello di rubino rosso, piccolo, elegante e scintillante. La voce si era sparsa velocemente per il castello e la Valide Sultana, minacciosa nel suo abito nero, era corsa da suo figlio, accompagnata da qualche vecchio visir, e lo avevano praticamente rapito sotto il suo sguardo. Così Hurrem era rimasta da sola a godersi la bella giornata soleggiata. - Voi e mio fratello eravate come una coppia sposata, ma fra il pensarlo e il farlo veramente c'è di mezzo una eternità! -
-Lo so, Hatice Sultan, non riesco a crederci. Sono felicissima! - Hurrem sorrise, guardando l'anello di rubino che incorniciava il suo anulare. - Sarà il giorno più bello di tutta la mia vita. -
Hatice le sorrise dolcemente, battendo le mani entusiasta. Roxelana si voltò verso Iksander, notando il modo in cui aveva sorriso quando aveva visto Hatice farlo.
-E voi piuttosto? Vedo che Iksander è molto preso da voi. Oserei dire cotto a puntino. - Hatice arrossì, guardando alle sue spalle e notando che colui che avrebbe dovuto sposare, stava conversando con Ibrahim.
-Non dite così, Hurrem! Mi mettete in imbarazzo. - La rossa ridacchiò, cercando di ignorare la sensazione di disagio che lo sguardo del Gran Visir le stava provocando. Perché la seguiva dovunque andasse o era solo una sua impressione? Non voleva vederlo, perché vederlo significava ripensare a quello che avevano fatto e ripensare a ciò, la faceva sentire in modo strano.
Quando i due uomini le raggiunsero, Hatice e Hurrem sembravano evidentemente a disagio.
-Hatice Sultan, Hurrem Sultan. - Borbottò Ibrahim, guardando le due donne. Non sapeva su chi posare lo sguardo, considerato che aveva rapporti abbastanza fragili con entrambe. Con Hatice ormai non si parlava quasi mai e con Roxelana... Beh, con lei era sempre tutto incerto.
-Buongiorno, Ibrahim. - Disse Hatice, guardandolo per qualche secondo per poi voltarsi verso Iksander e prendendolo sottobraccio. - Noi non avevamo quella commissione da fare in biblioteca? -
-Quale? -
-Dovevate farmi vedere quel libro particolare di cui mi avete tanto parlato... -
-Oh, sì, me ne sono dimenticato. - Iksander annuì, ridacchiando imbarazzato. Non sembrava per niente convinto. - Comunque mi congratulo con voi, Hurrem Sultan. -
-Vi ringrazio, Iksander Pascià, siete sempre molto gentile. - La rossa sorrise ad entrambi, vedendoli svoltare l'angolo ed entrare nel castello.
Gli uccelli presero a cinguettare, mentre Ibrahim e la futura sultana si guardavano in silenzio. Lei, seduta su una delle panchine in pietra, e lui, in piedi e con le mani ficcate nelle tasche bianche dell'elegante e costoso completo di alta sartoria. Il turbante nero che indossava non riusciva a celare tutti i capelli scuri e mossi.
-Dovete dirmi qualcosa? - Chiese Roxelana, distogliendo lo sguardo da quello suo per osservare le dita delle mani.
-Vorreste anche i miei complimenti? - Domandò con ironia Ibrahim e assumendo la sua solita espressione fredda.
-Posso anche vivere senza... Ma se non siete venuto per complimentarvi, per cosa siete venuto, allora? - Tutti i servitori li stavano osservando, comprese le guardie, in attesa di una loro litigata. Infatti era strano vederli conversare pacificamente.
-Non qui. Dobbiamo parlare, perciò vieni nelle mie stanze questo pomeriggio. -


*** ***


Non sapeva perché lo stesse facendo, non sapeva perché gli aveva dato retta, né dove aveva trovato la forza fisica e mentale per dirigersi nelle sue stanze.
Si sentiva osservata in un corridoio vuoto; le sembrava che qualcuno la seguisse, udiva la voce di Selim alle sue spalle.
In che guaio era capitata?
Bussò una volta prima di entrare e vi trovò il Gran Visir, seduto sul suo enorme letto a baldacchino, mentre leggeva una lettera. Roxelana si appoggiò alla porta, cercando un sostegno solido a cui aggrapparsi. Sentiva le gambe instabili, incapaci a reggere il suo peso, e un senso di disagio misto ad ansia. Perché la faceva sentire sempre così male?
Ibrahim poggiò la lettera sul letto, sorridendo e avvicinandosi verso la ragazza, che si teneva a distanza di sicurezza.
-Perché sorridi? -
-Fiammetta ha partorito. Si trovavano sulle coste della Grecia quando è successo, mio nipote ha origini greche, proprio come noi prima di lui. - Un enorme sorriso gli dipinse il volto, addolcendolo e facendogli illuminare gli occhi.
-Quindi è vero? Sei stato anche tu uno schiavo, Ibrahim. - Sussurrò la rossa, avendo paura di dire qualsiasi altra cosa per rimandare l'argomento di cui dovevano discutere.
-Abbiamo un sacco di cose in comune, per quanto mi dispiaccia, Roxelana. - Ibrahim ritornò serio, schiarendosi la voce. Non sapeva come cominciare, cosa dirle, era palese. - Sei venuta, dunque. Pensavo non lo avresti fatto. -
-Già, anche io, ma eccomi qua adesso. - Roxelana scrollò le spalle, passandosi la punta della lingua sul labbro superiore. - E immagino che riguardi ciò che è successo fra di noi. Non serve che tu dica niente, faremo finta di niente, un ennesimo segreto taciuto a Selim, perché noi lo amiamo e abbiamo sbagliato. E non serve ferire lui e il suo cuore grande per un errore.-
-Esattamente, ma adesso non ha più importanza. - Ibrahim sospirò, passandosi una mano fra i capelli. - Adesso che sei qui, davanti a me e mi guardi con quegli occhi verdi, tutto quello che dovevo dirti, tutto quello che avevo pensato di dirti, non ha più importanza. Niente, e dico niente, ha senso adesso che sei qui. Ma comunque abbiamo bisogno di alcuni chiarimenti. -
-Che cosa vuoi dire? - Roxelana pensò di svenire, quando Ibrahim le si avvicinò, posandole una mano sulla pelle candida del viso. Il suo cuore avrebbe potuto esplodere.
-Perché mi hai baciato? -
-Io? Sei stato tu a farlo per primo! -
-Ma tu hai voluto andare oltre! - Ibrahim ridacchiò, quando Roxelana arrossì non per l'imbarazzo, ma per la rabbia. L'uomo si sentiva un po' brillo, aveva ecceduto con il vino. Non rispondeva più delle sue azioni. - Se mi odi così tanto perché lo hai fatto? Per una vittoria personale? -
-Non lo so, era qualcosa che sentivo di fare. In quel momento non riuscivo a rispondere delle mie azioni. E tu, Ibrahim, tu perché lo hai fatto? - La ragazza tirò la giaccia dell'uomo, strattonandola malamente verso di lei. Ibrahim sorrise, cingendole la vita con le braccia calde e forti. Si guardavano negli occhi e sentivano la stessa cosa che la notte precedente li aveva spinti a cambiare le regole del gioco e rovesciare il tavolo.
-Non lo so, quando sono con te le mie azioni sembrano agire fuori dal mio controllo. Quando ti guardo c'è qualcosa che si accende dentro di me. Dalla prima volta in cui ti ho vista, c'è stato qualche in te che mi ha catturato, perciò ti ho scelto. Saranno stati i tuoi capelli o il modo in cui i tuoi occhi mi guardano, questo non lo so. C'è qualcosa in te che ti rende indimenticabile. - Ibrahim sorrise, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. - E dopo ciò che è successo questa notte, mi hai fatto completamente impazzire. Non riesco a non guardarti e non avere il desiderio di baciarti o di farti ben altro. -
Ibrahim, vedendo che non reagiva e continuava a guardarlo come se volesse mangiarselo, poggiò la fronte contro la sua.
-Che cosa vuoi da me? - Roxelana lo strinse maggiormente fra le sue braccia, beandosi dell'odore afrodisiaco della sua pelle, della sensazione del suo calore e della sua pelle contro la sua, il timbro caldo e sensuale della sua voce.
Che potere orribile aveva su di lei?
-Te. -
-E non pensi alle conseguenze? Se dovessero scoprirti, se Selim ci vedesse o solo sospettasse di noi, ci farebbe uccidere. Siamo le persone che più ama. -
-Ho passato una vita intera a diventare ciò che sono, a controllare i miei sentimenti e diventare il freddo uomo che sono ora. Ho passato una vita intera a preoccuparmi dei miei carnefici, perché sono stati proprio loro ad uccidere la mia famiglia e a separarmi da essa e ho persino amato due di loro. Ma adesso basta, voglio pensare a me stesso. Il Dio dell'universo sa, se ho bisogno di te. -
-Ibrahim, non posso negare di non provare le stesse... sensazioni che senti tu, perché sarebbe da incoerenti. Ma non possiamo, dobbiamo pensare al nostro futuro. Non puoi chiedermi una cosa del genere. -
-Lasciati andare, Roxelana, lasciati andare a me. Mi prenderò cura di te. - Ibrahim sorrise, abbassandosi per baciarla.
-Ti prego, non lo fare. - Sospirò Roxelana, non riuscendo a dirgli di no. Era ammaliante, era un serpente.
Ed ecco che tutto ciò che aveva provato la notte precedente riemersero. Brividi, desiderio, passione, aggressività.
Le mani di Ibrahim che la modellavano come creta, che strisciavano sotto il suo vestito, strappandolo con forza e lasciandola mezza nuda sotto il suo sguardo. Le sue di mani che facevano lo stesso, facendo saltare i bottoni della giacca e tutte le onorificenze su di essa.
Sentiva la consistenza della sua barba, il suo respiro accelerato, la sua bocca che la sfiorava, la sua pelle d'oca. Tutto e quelle forti sensazioni la stavano facendo impazzire. Tant'è che dimenticò tutto, non riuscendosi più a controllare, lo baciò di nuovo, e di nuovo e di nuovo, annullandosi, dimenticando chi fossero loro, di tutto e tutti.
Avrebbe potuto fuggire lontano con lui, essere felice, più di quanto avrebbe potuto esserlo con Selim. Ah, se l'avesse sempre trattata così! Dolce tormento infernale era quello, impazziva sotto il suo controllo.
Che relazione malata si era venuta a creare fra di loro? Si erano completamente intossicati.
-No, aspetta, basta! - Roxelana lo spinse via con forza, staccandoselo di dosso. Si portò una mano sul petto, sul cuore, un gesto inconscio per farlo fermare. Il suo vestito verde era stropicciato e strappato.
-Che c'è? -
-Non puoi fare così! Mi farai impazzire, Ibrahim. Quando ti ho al mio fianco non riesco a pensare lucidamente. -
-Perché tu non mi confondi? Non hai idea dell'effetto che mi fai, non so mai cosa fare con te, come comportarmi! -
-Dovremmo stare lontani per il nostro bene! Ma ogni volta che cerchiamo di farlo o litighiamo o finiamo in questo stato. Non è sano tutto ciò, finiremo per impazzire! -
-Come pensi di starmi lontana se viviamo sotto lo stesso tetto e Selim diventerà tuo marito! -Ibrahim sospirò, scompigliandosi i capelli e cercando di riabbottonarsi la giaccia con gesti veloci e nervosi.
-Non mi importa. Questa è la mia decisione, non devi guardarmi, non devi parlarmi, fai finta che io non esista e io farò lo stesso con te. Io amo Selim, la nostra è solo attrazione che si appianerà nel momento in cui staremo lontani. - Roxelana lo guardò, deglutendo. Ibrahim aveva stampata la sua solita espressione glaciale e la guardava con la mascella serrata. - Sai che questa è la decisione migliore. -
-Molto bene allora. Hurrem Sultan, vi prego di uscire dalla mia stanza, non vorrei che mia moglie vi trovi qui. -
Ibrahim aprì la porta, ritornando a rileggere la lettera che il fratello gli aveva mandato.
-Ibrahim... - A Roxelana tremò la voce, vedendolo così. Non era quello che desiderava? Che cosa voleva adesso da lui? - Grazie, sei un bravo amico. -
Ma lui non la degnò di uno sguardo. Le lacrime le scesero lungo le guance e in poco tempo cominciò a singhiozzare silenziosamente. Perché era così debole? Doveva essere il giorno più felice della sua vita e si era trasformato in uno dei più brutti.
Selim era l'uomo che amava e che avrebbe sposato, doveva metterselo bene in testa. Aveva quasi ucciso una persona per lui.
Lui, solo lui, era l'amore della sua vita. 

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Capitolo 25
*** XXIV ***


-Selim c'è una cosa di cui vorrei parlarti, non vorrei che fra di noi ci siano segreti. - Roxelana sospirò, sedendosi sul letto e prendendogli la mano per invitarlo a fare lo stesso.
-Dimmi Hurrem, ti ascolto. -
-Qualche giorno fa è successo qualcosa che non ti ho raccontato con... - Roxelana deglutì, sentiva la gola secca. - Con Gulbahar. -
-Ah. Allora dimmi, dimmi tutto. -
-Vi ho visti l'altra volta alla finestra, Selim. E non mi è affatto piaciuto perché mi sono sentita tradita, pugnalata alle spalle, messa da parte. Quindi è meglio se mettiamo le cose in chiaro da adesso, prima di legarci per tutta la vita. -
Negli occhi di Roxelana brillò qualcosa di molto simile alla pazzia. Una luce pericolosa che sapeva nascondere molto bene in presenza di Selim, ma che Gulbahar aveva sperimentato sulla propria pelle.
-Tu, Hurrem, sei una concubina e come tale sei consapevole del fatto di non essere l'unica donna nella mia vita. Io sono il sultano e come tale mi è concesso avere un Harem e più di una moglie. - Selim le sorrise, cercando di prenderle la mano che lei aveva ritratto violentemente. - E Gulbahar, oltre ad essere la madre del mio primo figlio, dell'erede al trono, è anche una concubina. Una delle Favorite. -
-Pensavo di aver occupato quel posto da molto tempo ormai. - Roxelana sollevò il sopracciglio. - E quando saremo sposati ti occuperai ugualmente del tuo stupido Harem? Sappi che adesso posso tollerare di dividerti con qualcun'altra, ma allora non potrò farlo. -
-Hurrem, ti ho sempre sostenuta nelle tue scelte, sono stato molto elastico per amor tuo, ma su questo non voglio sentire ragioni. Sono il tuo sultano, il tuo padrone e tu non puoi ordinarmi un bel niente. Se voglio intrattenermi con altre ragazze, lo farò e non sarai certamente tu ad impedirmelo. - Selim sembrava alterato.
-Quando saremo sposati sarai mio marito e il mio sultano, ma non il mio padrone. Allora non sarò più una dannata schiava! E poi solo perché sei un uomo e anatomicamente siamo diversi, non vuol dire che a te possono essere concesse cose che a me sono proibite. Come ti sentiresti se io ti tradissi con uno dei visir?! -
-Il mondo è degli uomini, non delle donne. La prossima volta faresti meglio a nascere uomo, se tutto ciò non ti va bene. - Selim sospirò, notando l'effetto delle sue parole. Hurrem era scoppiata in lacrime, profondi singhiozzi la scuotevano tutta. - A volte dimentico la tua reale età. -
-Non voglio sentire altro da te! Tu non hai idea di come mi hai fatta sentire, Selim! Era come se mi avessero strappato il cuore dal petto e pugnalato decine e migliaia di volte! Ho pianto per tutto il giorno! -Singhiozzava più del dovuto, accrescendo la preoccupazione del sultano. - Allora vuol dire che il nostro amore non è poi così forte! Forse non ti piaccio più esteticamente? Sono brutta? Hai ragione, è vero. Va bene così allora, non ti sposo più, se è questo ciò che vuoi. Sposa una delle altre concubine così belle, perfette e sottomesse! -
-No, ma cosa dici?! Fermati, non piangere. - Selim entrò nel panico, non sapendo cosa fare. L'abbracciò, cercando di farla calmare. Roxelana arricciò le labbra sorridendo e continuando a piangere, quando lacrime effettivamente non c'erano. - Va bene, hai vinto! Una volta sposati non calcolerò più il mio harem. Ci sarete solo tu e Gulbahar, d'accordo? Ti ho resa felice, eh Hurrem? -
La ragazza annuì, abbracciandolo e baciandolo sulle labbra.
-Sì, moltissimo! Non potevi farmi più felice! - Disse, forzando un sorriso.
Doveva sbarazzarsi di Gulbahr, ma doveva aspettare; ogni cosa a suo tempo. Tutto sarebbe andato come lei voleva, tutti i suoi desideri si sarebbero avverati.
Non sarebbe di certo diventato come le altre sultane; certo che no, lei sarebbe stata più potente.
Doveva diventare forte in tutti i modi possibili ed immaginabili.
Selim avrebbe dato ascolto solo a lei.


*** ***
Un mese trascorse molto pigramente tra preoccupazioni, lezioni di comportamento e balli a cui doveva partecipare necessariamente.
Hurrem Sultan era ufficialmente diventata la persona più potente a palazzo dopo il sultano. La cosa che più stupiva era che effettivamente non era una sultana, ma nell'immaginario comune era come se lo fosse.
Si era circondata di una serie di servitori che le erano fedeli e che obbedivano solo a lei, sfoggiava ogni giorno un vestito diverso fatto su misura e appositamente per lei, portava il diadema reale, molto simile a quello di Hatice e della Valide Sultan.
Era diventata una potente sultana a tutti gli effetti e la trasformazione era avvenuta tanto rapidamente che i sudditi e gli abitanti di Palazzo Topkapi non se ne erano resi conto.
Roxelana era la donna più potente dell'impero, seconda solo al sultano. Ella, infatti, partecipava addirittura alle riunioni politiche, dando spesso validi consigli e imponendo nuove leggi per migliorare la gestione del regno. L'unico che aveva il permesso di contraddirla, oltre al sultano, era proprio il Gran Visir.
In quel momento Selim e sua cugina Freya erano assenti e perciò non avrebbero partecipato alla cena. Si erano recati, assieme alla Valide Sultana, a fare visita ad una storica amica della sultana madre, ormai sul letto di morte.
I servitori avevano quasi terminato di servire la cena. Tutti gli ospiti gustavano le prelibatezze che il cuoco aveva preparato, mentre Hurrem, seduta sulla sedia di Selim a capotavola, beveva il liquido dolciastro del vino.
Era intenzionata a dimagrire per entrare nel suo vestito da sposa.
-Guardala, Ibrahim, se ne sta là a guardare tutti dal suo trono scintillante. La odio così tanto! Ha preso tutto ciò che era mio. - Gulbahar sospirò, ammettendo la sua invidia e il suo odio tra un bicchiere di vino e l'altro. Ovviamente Hurrem non poteva udirla, era troppo lontana, dall'altra parte dell'enorme tavolata.
-Non porta in grembo ancora nessun erede, perciò voi le siete ancora superiore, mia cara amica. - Ibrahim sorrise, baciandole il palmo della mano e sorridendole. - Nessuno di noi è riuscito ad arrivare così in alto. Ha Selim in pugno, è un giocattolo fra le sue mani e questo mi preoccupa. -
Gulbahar lo guardò con i suoi grandi occhi di ghiaccio e sospirò. Come aveva fatto una simile vipera a conquistare due cuori buoni come quello di Ibrahim e Selim? Più ripensava alle parole della strega, più le sembrava impossibile. Quei due a stento si rivolgevano la parola, erano due pezzi di ghiaccio l'uno con l'altra.
-Sembra che la figlia di uno pascià sia stata beccata in atteggiamenti più che sconvenienti con uno dei servitori. Alcune delle mie dame di compagnia mi hanno riferito di averla vista con i loro occhi scomparire fra le mura del castello, seguita da un giovane. -
-Mh, molto interessante, Hatice. - Borbottò Roxelana, portandosi un chicco d'uva fra le labbra e succhiandone avidamente il contenuto. In realtà non stava ascoltando neanche una parola di tutti i succulenti pettegolezzi che Hatice aveva da riferirle.
Colui che aveva catturato tutta la sua attenzione era Ibrahim, che stava conversando in maniera molto intima con Gulbahar. Da quando erano così amici? Non sapeva che i due andassero così d'accordo, chissà di cosa stavano confabulando... Perché si comportava così? Era forse per infastidirla?
-Hatice, ditemi una cosa... Da quando quei due sono così amici? Non mi è mai parso di vederli così uniti prima d'ora. - La ragazza si pulì le mani dal liquido appiccicoso dell'uva, sussurrando il tutto alla cognata.
-Lo sono sempre stati, Hurrem. Vanno molto d'accordo. Perché mi fate questa domanda? -
-Semplice curiosità. - Hurrem forzò un sorriso e notando l'espressione poco convinta di Hatice Sultan, cambiò argomento. - Ma ora ditemi tutto su Iksander e su come procede la vostra relazione! -
Il viso della principessa si illuminò quando sorrise e cominciò a parlare del suo futuro marito. Era perdutamente innamorata e Hurrem ne fu rincuorata.
La mente della rossa non riusciva proprio a stare ferma; la costringeva a distarsi e i suoi occhi ne cercavano un paio freddi, calcolatori e verdi, che rare volte incontrava.
Ibrahim quella sera era bellissimo, talmente bello da levare il fiato. Indossava uno dei suoi soliti completi beige; doveva essersi appena fatto il bagno poiché i suoi capelli scuri sembravano umidi e si erano arricciati sulle tempie, creando una specie di coroncina sotto il turbante nero che indossava.
La pelle del viso era abbronzata perché aveva passato spesso delle ore ad allenarsi sotto il sole primaverile con Selim.
I suoi bellissimi occhi particolari dalle lunghe ciglia scure e lunghe guardavano da tutt'altra parte, rifiutandosi di incontrare il suo sguardo.
Roxelana fremeva dalla voglia di allontanare tutti i presenti, correre da lui, afferrarlo per la giacca e baciarlo, toccarlo, accarezzarlo, fare qualsiasi cosa che non aveva fatto quell'interminabile mese.
Ibrahim l'aveva ignorata, a stento le rivolgeva la parola, era come se non esistesse. Un fantasma che lui non poteva vedere.
Si sentiva combattuta; non sapeva cosa fare, come reagire, cosa pensare. I suoi pensieri erano confusi, tutto nella sua testa era confuso.
Doveva essere felice del fatto che Ibrahim non la considerasse, era ciò che gli aveva chiesto... Allora perché quando Freya o Gulbahar erano nei paraggi e conversavano, ridevano, lo guardavano, lei si sentiva estremamente gelosa? Una gelosia che le bruciava tutti gli organi e che presto si trasformava in rabbia.
Le mancava essere guardata da Ibrahim in modo talmente potente da farle torcere le budella. Le mancava essere guardata da Ibrahim prima di venire baciata da lui; le mancava litigare, sentire il suo nome venire pronunciare da quelle perfette labbra.
Oh, sorte nefasta, perché proprio a lei? Cosa aveva fatto di male per impazzire così?
Tutto ciò che provava non era normale, non doveva pensarlo... Eppure, di notte, quando lui era nei paraggi oppure quando cenavano tutti assieme e Selim non c'era a distrarla, come quella sera, i suoi pensieri vagavano e non andavano mai nella direzione che lei desiderava.
Volere Ibrahim in quel modo li avrebbe fatti uccidere, così come stava facendo il restare lontani.
Era strano a dirsi, lei non l'avrebbe mai detto, ma si desideravano. C'era passione e pericolo in quello che si era venuto a creare fra loro. Camminavano sul filo del rasoio e un minimo passo falso avrebbe potuto rappresentare la fine. La verità li avrebbe sgozzati senza pietà, così come la menzogna li avrebbe soffocati.
Ma lui... maledetto lui, era così bello, così perfetto, così Ibrahim che solo a guardarlo parlare, atteggiarsi, sorridere, lei non capiva più niente. Entrava in una sorta di paradiso infernale in cui lui era il suo dolce veleno, tenero tormento. Letale Ibrahim.
Amore, non amore, attrazione, non attrazione... Solo parole per etichettare qualcosa a cui Roxelana non riusciva a dare il nome. Solo la Morte, lo sapeva benissimo questo, sarebbe stata la loro salvatrice.
-Oh, cara morte, salvami adesso prima che io varca questo ingresso. - Sussurrò la ragazza, non riuscendosi a fermare le dita dal bussare sul legno della porta.
Essa venne aperta dopo pochi secondi e il sorriso che dipingeva il volto di Ibrahim si spense, diventando gelo, puro freddo che fredda le ossa e fa tremare lo stomaco. Non si era ancora cambiato, ma in compenso non indossava il turbante e le scarpe.
-Che volete? E' per caso ritornato Selim? - La sua voce profonda era atona, apatica. Roxelana strinse i pugni, evitando di fare ciò che voleva.
-No, volevo solo parlarvi, se possibile. -
-Parliamo. Ditemi tutto ciò che avete da dirmi, Hurrem Sultan. -
-Non mi invitate ad entrare? -
-Sarebbe sconveniente. Non vorrei girassero falsi pettegolezzi su di noi. - Ibrahim scrollò le spalle, passandosi una mano fra i capelli neri. Era una sua impressione o le sembrava più alto e massiccio? Gli allenamenti con Selim stavano dando i loro frutti.
-Non mi importa dei pettegolezzi, voglio solo parlarvi. Quindi entro lo stesso. - Roxelana lo spinse ed entrò nella stanza, notando che il visir avesse alzato gli occhi al cielo e chiuso la porta in modo annoiato.
-Ditemi allora, cosa c'è di così importante? -
-Noi. -
-Non esiste niente di tutto ciò. - Ibrahim digrignò i denti e sbuffò spazientito. - Se siete venuta qui per prendermi in giro, potete anche andarvene. Non sono dell'umore, Hurrem Sultan. -
-Non era questa la mia intenzione, Ibrahim... Io... Non lo so perché sono qui, ma quello che conta è che io lo sia, che stia cercando qualcosa da te, quel qualcosa che tu mi hai proposto circa un mese fa. -
-Ma cosa stai farneticando?! Sei ubriaca per caso? Vattene, rossa, non ho voglia di giocare. - Ibrahim la afferrò per un braccio, cercando di spingerla fuori, ma la ragazza oppose resistenza, piantando i piedi al suolo, allargando le braccia per stringere in una morsa d'acciaio Ibrahim. Lo stava abbracciando, lo stava toccando, sentiva il calore e il profumo della sua pelle, udiva il battito accelerato del suo cuore. Si sentiva di nuovo riscaldata da lui. - Lasciami, Roxelana, che cosa fai? Potrebbe entrare qualcuno. -
-Non entrerà nessuno. Tua moglie e Selim sono ancora a quel noioso ricevimento e non verranno prima che sorga l'alba. - Roxelana si sollevò in punta di piedi, baciando l'uomo sul collo. Ibrahim rabbrividì, spingendola via con violenza, tant'è che la ragazza cadde dolorosamente per terra. -Vattene, non ti voglio qui! -
-E' inutile che tu nega, Ibrahim. Lo vedo, lo sento, è inutile mentire, è inutile negarlo... Perché no? -
-Perché non possiamo, la nostra posizione sociale è in pericolo. Selim potrebbe scoprirci... E io non posso rinunciare alla mia vita per una come te. Non per una stupida attrazione che con il tempo si appianerà, dobbiamo essere più forti di così. Avevi ragione, mi sembra inutile tornare indietro inutilmente. - Ibrahim l'aiutò a sollevarsi, girandosi per non guardarla.
Roxelana sorrise, avvicinandosi all'uomo; l'abbracciò da dietro, sentendo la sua schiena irrigidirsi per il contatto delicato. Gli lasciò un bacio attraverso il tessuto della giacca e chiuse gli occhi, vincitrice, quando sentì le mani dell'uomo raggiungere le sue e accarezzare con movimenti leggeri e familiari. Il corpo di Ibrahim si rilassò poco alla volta mano a mano che le carezze aumentavano.
-Posso restare, Ibrahim? -
-Se ti dicessi di no, cambierebbe qualcosa? -
-No-
-Ah, la tua testaccia... Ormai abbiamo varcato il punto di non ritorno, abbiamo perso l'ultima possibilità di finire in Paradiso. Bruceremo fra le fiamme dell'inferno uno accanto all'altra. - Ibrahim si girò, afferrando la donna per la vita e chinandosi per lasciarle un bacio sulla punta del naso, mentre le slegava i capelli dalla complicata acconciatura che aveva sul capo. I capelli rossi ricaddero come una cascata sulla schiena.
-Siamo davvero delle brutte persone, Ibrahim. - Sorrise, alzandosi in punta di piedi per lasciargli un bacio sulla mascella. La barba le solleticò il viso.
-Bruttissime. - Il Visir si decise finalmente nel tagliare via tutta quella distanza, posare le mani intorno al viso della ragazza e baciarla.
Dopo una eternità Ibrahim era lì. Ibrahim era lì fra le sue braccia che la baciava; Ibrahim era lì fra le sue braccia che la faceva ardere; Ibrahim era lì fra le sue braccia che rendeva il loro tormento più dolce, il tradimento giusto e l'essere dannati meraviglioso.
Ibrahim era lì fra le sue braccia e tutto il mondo non poteva che essere d'accordo.
Amore, odio, attrazione, sono pur sempre emozioni e come tali evolvono, sono destinate a cambiare, perché niente è sicuro nella vita come la morte.
E quei due, quella ragazza dai capelli rossi e quell'uomo dai begli occhi, erano destinati a morire. Avevano dato inizio, con un semplice bacio, alla fine delle loro vite.


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SALVEEE!!!
Mi scuso per l'enorme ritardo. Ma ho avuto il blocco dello scrittore e questo mese è stato un periodo parecchio stressante fra verifiche e interrogazioni! povera me T.T
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e magari lasciatemi un parere!
Vi ringrazio per il sostegno che mi date ogni volta, significa molto per me <3 
Al prossimo capitolo,
Luxanne xx

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Capitolo 26
*** XXV ***


Roxelana si affacciò ad uno dei balconi che davano sul giardino. Era finalmente primavera e i fiori più belli erano sbocciati, abbellendo tutto palazzo Topkapi.
Aveva deciso, quella mattina, di legare i capelli in una semplice treccia, proprio come quella che si faceva quando era al villaggio. Voleva essere semplice, disintossicarsi un po' da tutto quel lusso, dal suo nuovo essere, era una sorta di ritorno al passato prima del fidanzamento che avrebbe decretato la morte della sua vita precedente.
Lei e Selim, fra una settimana, si sarebbero fidanzati ufficialmente. Il popolo avrebbe finalmente udito la data del loro matrimonio, lei sarebbe diventata una potente sultana e non più una schiava scelta solamente per il colore dei suoi capelli.
Tutto ciò che desiderava cominciava ad avverarsi... Ma perché si sentiva così malinconica allora? Aveva tutto. L'amore, la ricchezza, il potere, l'amicizia. Perché continuava a sentirsi in gabbia? Era libera, quella sera Selim l'avrebbe resa libera, le avrebbe fatto il regalo più bello della sua vita. Cosa aveva che non andava?
-Sai, non mi abituerò mai a queste temperature così caldi e miti. La neve scorre nelle mie vene; sono costantemente fredda, lo senti anche tu quando mi tocchi. - Disse portandosi una ciocca di fuoco dietro l'orecchio. Quel giorno indossava un abito blu, che le risaltava gli occhi e la carnagione chiara.
Si rivolse all'uomo che l'aveva affiancata in quel momento, guardandolo.
Il sole gli illuminava il viso rendendo i suoi occhi chiari, di un particolare verde, come quello del mare. I capelli corvini erano disordinati, poiché si era tolto il turbante che adesso teneva stretto sotto il braccio, mentre fra le mani aveva due margherite e un giglio.
Roxelana gli sorrise, desiderando di poggiare il capo sulla sua spalla e farsi accarezzare la pelle del viso dalle sue grandi e callose mani. Farsi coccolare da Ibrahim era strano. Non sapeva spiegare il motivo, ma le sue mani rovinate dal lavoro di schiavo, così diverse da quelle lisce e delicate di Selim, sapevano trasmetterle più emozioni di quanto il suo sultano sapesse fare.
Il Gran Visir si guardò intorno, prendendola per mano e nascondendosi dietro una colonna, mentre si chinava su di lei, baciandole teneramente le labbra. Roxelana sorrise, lasciandosi coccolare da lui; sapeva che era rischioso lasciarsi andare così alla luce del giorno, ma aveva bisogno di amore.
Ibrahim le accarezzò la guancia, sistemandole i fiori tra i capelli. Poi la lasciò andare, rimettendosi il turbante fra i capelli e schiarendosi la voce.
-Questa non è la tua terra, è normale, rossa. Non ti abituerai mai, non sentirai mai quel sapore familiare del cibo, quell'odore caratteristico o quell'espressione particolare che ti ricorderà la Russia. Non sentirai mai, per quanto tu lo desideri, quel sentimento, quel brivido, che ti attraversa il corpo da cima a piedi quando calpesti la tua terra. Questa non è casa e non lo sarà mai... Ma per noi, considerata la nostra posizione sociale, è diverso. Tu sarai la nuova sultana e io sono il Gran Visir, entrambi prendiamo decisioni importanti su questo regno, gli alti ci credono ottomani al cento per cento. Non possiamo manifestare questo nostro sentimento, sarebbe troppo pericoloso. -
-Che differenza fa, dopotutto? Non torneremo mai a casa, non rivedrò mai i miei genitori e tu non tornerai mai in Grecia. Siamo intrappolati in questa lussuosa prigione, non siamo liberi, nonostante io stia per esserlo e tu lo sia da decenni. - Roxelana sbuffò, accarezzando la guancia dell'uomo, resa ruvida da tutta quella barba. - Non trovi che il destino abbia un macabro senso dell'umorismo? Quando eravamo liberi, desideravamo il lusso o almeno avere un tetto sotto la testa, un bel pasto caldo da poter mangiare, il necessario per vivere come si deve... Adesso invece abbiamo tutto ciò che desideravamo in precedenza, ma vogliamo la libertà di quei giorni. -
-Pensavo che questa vita ti piacesse. Cosa c'è che non va? Selim ti ha... -
-No, niente di tutto ciò, Ibrahim. Questa vita mi piace, ma sento la mancanza dei miei genitori. -
-Almeno i tuoi sono ancora vivi. -


*** ***
Iksander entrò nella stanza senza bussare. Hatice e le sue serve erano sedute in cerchio a cucire, mentre chiacchieravano di succosi pettegolezzi.
-Hatice Sultan, noi due dobbiamo parlare di qualcosa di estremamente importante. - Disse Iksander senza fiato, torturandosi le mani.
Hatice lo guardò in modo interrogativo con un sopracciglio alzato. Le serve che fino a quel momento stavano osservando i due, abbassarono lo sguardo ridacchiando.
-Allora dev'essere qualcosa di molto importante e spero una delle vostre sciocchezze per farvi dimenticare le buone maniere, Iksander Pascià. -
Il visir arrossì leggermente, borbottando delle scuse incomprensibili, mente si rimetteva il turbante in testa e si abbottonava la giacca rossa.
-Vi pregherei di lasciarci da soli. - Hatice sorrise alle serve, posando il suo set da cucito su una delle sedie che si liberarono, dopo che le donne si dileguarono velocemente. - Prego, sedetevi accanto a me. -
-Preferisco restare qui, perché se la vostra risposta sarà negativa, potrò andarmene il più velocemente possibile e sprofondare nella vergogna. -
-Oh, bene, parlate allora! -
Iksander prese coraggio, ma ci fu solamente una lunga pausa nella quale Hatice Sultan guardava il suo corteggiatore, non capendo cosa stesse cercando di dirle, poiché egli borbottava e cominciava frasi che alla fine non terminava.
Era agitato, non lo aveva mai visto così e questo la spaventava.
-Iksander, coraggio ditemi ciò che avete da dirmi senza agitarvi così inutilmente. Mi state preoccupando con questo vostro comportamento -
L'uomo sospirò l'ennesima volta, stingendo i pugni verso i fianchi e dirigendosi verso la ragazza a passo di marcia con un espressione decisa in volto. Afferrò la principessa per le braccia e la baciò sulle labbra con un impeto tale da lasciarla senza parole.
Hatice arrossì visibilmente, rimanendo a bocca aperta. Non si era mai preso certe libertà prima d'ora e sinceramente pensava che non lo avrebbe mai fatto. Era diverso da Ibrahim.
-Voglio che voi mi sposiate, Hatice Sultan. Non voglio che il nostro matrimonio accada dopo quello di vostro fratello, ma adesso, in questo esatto momento o se proprio devo aspettare domani. Questo corteggiamento è andato troppo per le lunghe e in questi tre mesi vi ho dato tutto, ho cercato di farvi capire cosa voi significate per me. Mi siete entrata dentro, Hatice, mi sono perdutamente innamorato di voi. Mi piacete così tanto che se voi mi chiedeste di afferrare la luna e portarvela come pegno d'amore, lo farei senza pensarci due volte. Vi amo e per questo motivo spero che voi mi sposiate e rendiate questo pover'uomo, l'uomo più felice della terra. - Iksander fece una pausa, notando che l'espressione della donna non era cambiata, anzi era peggiorata. Bocca e occhi spalancati e un brutto colorito pallido. Sembrava sul punto di svenire. - Sposatemi, Hatice, sposatemi e sarò l'uomo più felice della terra. -
-Io... Io non so davvero cosa dire, mi avete preso alla sprovvista. -
-So che sono brutto, non ho tecnicamente un bel viso o delle maniere europee come Ibrahim Pascià ed è per questo motivo, credo, che egli piaccia molto al sesso femminile e anche a quello maschile... Ma io so farvi ridere e posso davvero rendervi felice, se me lo concederete. - Iksander abbassò lo sguardo, schiarendosi la voce, vedendo che la risposta da parte della principessa tardava ad arrivare. Si sentiva uno stupido, era a disagio e Hatice si impietosì, guardandolo in quello stato.
-Non è del vostro aspetto esteriore che mi sono innamorata, Iksander Pascià, anzi esso non mi dispiace per niente. - L'uomo alzò la testa di scatto, guardandola ad occhi spalancati. Si era certamente aspettato un rifiuto. - Siete l'unico uomo che mi fa sentire in pace con me stessa, che mi fa tenerezza e che mi fa ridere, ma allo stesso tempo esasperare con le vostre battute. -
Il sorriso che Iksander le rivolse era luminoso come tutte le stelle dell'universo: - Quindi la vostra risposta è un sì o un no ? -
-Ovviamente è un sì. Ma non crederete sul serio che io vi sposi oggi o domani, bisogna organizzare tutto, parlare con mio fratello, far realizzare il mio abito... Ci sono un sacco di cose da fare e io sono pur sempre una principessa! -
-Al diavolo il vestito e tutti i preparativi, voi mi avete dato il vostro consenso e non ci sarà niente che mi fermerà dal rendervi mia per sempre. Per me siamo già sposati! -
Iksander le corse incontro, prendendola in braccio e facendola volteggiare per la stanza. Hatice rise, lasciandosi baciare un'alta volta timidamente.
Sarebbe finalmente stata felice con lui, era riuscito ad entrarle nel cuore.


*** ****


Quando Ibrahim se ne fu andato, lasciandola da sola, Roxelana decise di ritirarsi nelle sue stanze per riposarsi prima della cena. Si sentiva terribilmente triste, stanca e distrutta, non sembrava certamente una che di lì a poco si sarebbe maritata con un potente sultano.
Tuttavia quando varcò la soglia della sua camera vi trovò l'ultima persona che avrebbe potuto essere lì.
Gulbahar.
Era seduta sulla sua toeletta e stava provando una collana d'oro, una delle tante che Selim le aveva regalato per qualcosa.
La donna le sorrise attraverso lo specchio, squadrandola da capo a piedi, prima di posare il gioiello nel portagioie e alzarsi per fronteggiarla.
-Bei fiori, chi ve li ha dati? - Disse ironicamente, guardandosi intorno per poi osservarsi le unghie. - Sembrate molto sciupata, che succede? -
-All'improvviso volete diventare la mia migliore amica? Fatemi il favore, Gulbahar e ditemi cosa volete. - Borbottò Roxelana, posando sul letto il diadema e slegandosi i capelli dalla treccia. I fiori rimasero impigliati fra le ciocche e la ragazza li lasciò lì, li avrebbe tolti più tardi.
-So della vostra storia con Ibrahim e dirò tutto a Selim. Non dovevate minacciare mio figlio, puttana, mio figlio è l'unica cosa senza colpe e senza peccato e quando Selim saprà anche questo, beh, per voi non ci sarà più via di scampo. Vi caccerà per sempre dal castello e ritornerà fra le mie braccia. - Gulbahar ghignò, salutandola con un gesto della mano e uscendo dalla stanza.
Roxelana sbiancò, cadendo per terra senza fiato.
Non poteva credere alle sue orecchie? Come faceva a sapere di loro due? In quei due mese erano stati attenti a non farsi vedere, come poteva sapere? E anche se non fosse stato vero, se le sue fossero state solo supposizoni, si era tradita da sola. Non aveva detto niente per convincerla del contrario, anzi era persino sbiancata!
Era rovinata, Selim l'avrebbe decapitata e assieme a lei Ibrahim. No, non poteva permetterselo, non poteva gettare all'aria tutto ciò che aveva costruito poco alla volta, non le avrebbe permesso di rovinarle la vita.
Doveva agire al più presto e sapeva cosa fare.


*** ***


Selim non vedeva la sua futura moglie da tutto il giorno. Aveva avuto da fare tutto il giorno con questioni di politica interna ed esterna, era stata una giornata al limite dello stress e adesso aveva mal di testa. Pensava di rivederla a cena, ma non si era presentata.
Adesso si stava recando da lei, nella speranza di trovarla ancora sveglia, aveva bisogno di sentire il suo dolce profumo e vedere il suo bel viso. Era diventato totalmente dipendente da quella donna, creta fra le sue mani, lo sapeva bene questo, ma non poteva farci niente. L'amava.
Bussò alla sua porta due volte.
-Chi è? - Chiese una voce soffocata dalla porta pesante. La sua voce.
-Sono Selim, posso entrare? - C'era qualcosa che non andava, pensò il sultano.
-No, ti prego, Selim non entrare. Non voglio che tu mi guardi in questo stato! - Nella sua voce c'era panico e agitazione. Non si era mai negata a lui prima d'allora. Neanche quando aveva la febbre.
-Ma cosa dici, Hurrem, fammi entrare. Voglio vederti, è tutto il giorno che non ci vediamo! - Selim afferrò la maniglia, spingendola verso il basso e poi entrando nella stanza. La ragazza era stesa nel suo letto, indossava un velo che le copriva il capo e il viso, lasciando liberi solo i suoi bei occhi verdi. Tremava, come impaurita. Selim la guardò preoccupato, aggrottando le sopracciglia. Che cosa aveva?
-Non avvicinarti Selim, non voglio che tu mi veda così, voglio risparmiarti questo dolore, ti prego! - Hurrem si tirò indietro, quando Selim cercò di toglierle il velo.
-Che cosa vuoi dire? Non fare la sciocca e togliti quel dannato velo, voglio vedere il tuo bel viso. E' un ordine! - Il sultano adesso stava cominciando a seccarsi.
-E va bene, ma ti avevo avvertito. -
Quando il pezzo di stoffa rosa cadde per terra, Selim impallidì vedendo cosa era successo al suo angelo, alla donna che amava.
L'avevano picchiata selvaggiamente; aveva brutti ematomi su tutto il viso, il labbro spaccato che continuava ancora a sanguinare e altro sangue secco sul naso. Persino sulle braccia c'era traccia di tutta quella violenza.
-Non guardarmi così, ti prego. Volevo risparmiarti questo dolore ma tu non mi hai ascoltata. - Hurrem cominciò a piangere, singhiozzando copiosamente, noncurante che ogni singhiozzo provocava dolore.
-Chi è stato? Chi ti ha ridotta così? - Nella voce del sultano c'era rabbia, furore, avrebbe ucciso e severamente punito chiunque l'aveva ridotta in quello stato.
-Non posso dirvelo, ha minacciato di uccidermi! -
-Dimmelo! - Il sultano urlò, spaventando la ragazza.
-Gulbahar, è stata lei. Ma è inutile, lei negherà tutto! -
-Perché lo ha fatto? -
-Era gelosa di me, lo è sempre stata. Vuole essere lei la tua sultana. -
Selim serrò pugni e mascella, per poi gridare: - Guardie! Portatemi qui Gulbahar. -
Era livido, rosso di rabbia e furore, Gulbahar stava per imbattersi nell'ira del sovrano.



SPAZIO AUTRICE!
Buonasera a tutti!
scusate per il ritardo ma avevo una sorta di blocco dello scrittore! :(
Speero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere con un commento e mi scuso per eventuali errori!
Vi auguro un felice anno
nuovo e anche auguri passati di Natale!
Alla prossima!

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Capitolo 27
*** XXVI. ***


Quando Mustafà si fu addormentato, Gulbahar fu prelevata dalle sue stanze. Le guardie sbatterono violentemente la porta, facendola sussultare. La donna si alzò dal letto del figlio, lasciandogli un dolce bacio sulla guancia. Per loro fortuna il bambino non si era risvegliato, ma continuava ancora a dormire con il pollice in bocca, beato e sereno.
-Desiderate qualcosa? Vi prego di non fare ulteriore rumore, il principe si è appena addormentato. -
-Ci dispiace, mia signora, ma il sultano ha domandato di voi. Dobbiamo portarvi da sua magnificenza. -
-Siete proprio sicuri che abbia chiesto di me? - Domandò la donna, pensierosa e preoccupata.
-Va bene, allora... -
Seguì le guardie con sguardo basso, torturandosi le dita, nervosa. Cosa c'era di così importante per cui dovesse essere prelevata con così tanta violenza? Sentiva una strana sensazione all'altezza dello stomaco, qualcosa di brutto stava per capitare al suo bambino e a lei e più si avvicinava verso le stanze dell'imperatore più quella brutta sensazione aumentava.
Aveva paura.
Le guardie bussarono alla pesante porta e successivamente, dopo aver avuto il consenso del sovrano, entrarono, annunciando la presenza della donna.
Il sultano non era solo, con lui c'erano anche Hurrem e Ibrahim. La faccia del sovrano non era molto rassicurante, così come quella del Gran Visir, che sembrava parecchio pallido. Hurrem invece era nascosta dietro un velo rosa, solo i suoi occhi verdi erano visibili e sembravano divertiti.
-Mio sultano, per cosa mi avete fatta chiamare? - Domandò la donna, inchinandosi. Selim si alzò, avanzando a passo spedito verso la donna per guardarla negli occhi. C'era freddezza, furia, rabbia, gelo nel suo sguardo, non lo aveva mai visto così. Non con lei almeno.
Le sue sensazione, quindi, si erano rilevate vere. E c'entrava sicuramente la rossa in tutto ciò, lo dimostrava il luccichio del suo sguardo.
-Come hai osato, Gulbahar? Come hai solo potuto pensare di fare una cosa del genere alla tua futura sultana?! -
-Come, scusate? Non capisco di cosa voi mi stiate accusando, non ho fatto nulla ad Hurrem. - La donna guardò interrogativa Hurrem e Ibrahim, che scosse il capo come avvertimento.
Era confusa e glielo si leggeva negli occhi.
-Togliti quel velo, mia stella e scopri il tuo viso. Ricordale cosa ti ha fatto prima che io possa fare qualcosa di cui potei pentirmi. -
Roxelana non esitò un attimo, sollevando le mani per privarsi del tessuto che le copriva la faccia. La donna inorridì, notando cosa le era successo. Qualcuno l'aveva picchiata selvaggiamente; due occhi neri, un ematoma sulla guancia sinistra e un labbro spaccato. Se nei suoi occhi non ci fosse stata quella luce divertita, non l'avrebbe riconosciuta.
Hurrem era stata picchiata, ma non da lei, per quanto avesse voluto farlo.
La ex Favorita non era stupida e sapeva di cos'era capace la rivale; sicuramente dopo la sua visita aveva architettato quella messa in scena per metterla nei guai.
-Mi dispiace per lei, Selim, ma sapete che non sarei mai capace di farle una cosa del genere. Non dopo gli ultimi avvenimenti! - Nella sua voce c'era agitazione. Le mani le tremavano, così come la voce. Si passò una mano tra i capelli, impallidendo. - E' lei quella che si è inventata tutto! Vi state facendo raggirare da Hurrem , questa donna vi inganna! -
-Come osi parlarmi in questo modo? Sono il tuo padrone, schiava, non devi rivolgerti a me in questo modo. Non sono uno stolto e Hurrem è sincera, non certo una bugiarda. -
Gulbahar spalancò la bocca, come se Selim l'avesse schiaffeggiata in malo modo. Anche se per ciò che aveva detto, era come se l'avesse fatto. L'aveva chiamata schiava, in modo dispregiativo; non lo aveva mai fatto, neanche nei primi giorni della loro conoscenza. Mai.
Era completamente accecato dall'ira, ai suoi occhi era colpevole, una estranea e non la madre del suo primo figlio. Era diventata una qualunque, meno di tutte le altre.
-Non volevo offendervi, mio sultano. Ma non sono stato io. Vi è sempre stato chiaro che fra noi due ci fosse una certa rivalità. -
-E dunque lo ammetti! La mia futura moglie ti ha incolpata e non subito, dopo miei svariati tentativi. Perché avrebbe dovuto mentire? I suoi segni parlano chiaro. -
Ibrahim, vide Gulbahar, serrò la mascella, quando Hurrem camuffò le risa con un colpo di tosse.
-Mio Magnifico, sono consapevole del fatto che si tratti della sua parola contro la mia, ma non sono stata io. Ve lo giuro su mio figlio! - Adesso la donna piangeva, mentre Selim fremeva di rabbia e la guardava con un tale odio, che la fece rabbrividire. In quel momento capì che qualunque cosa lei avresse continuato a dire, non sarebbe servito a niente. -Sono andata da lei nel pomeriggio questo è vero, ma non per farle del male. L'ho solamente avvertita. Le ho detto che sarei venuta da voi e vi avrei detto la verità. -
Selim alzò il sopracciglio, un'espressione di gelo sostituì quella di rabbia: - Quale verità? -
-Ha una relazione con qualcuno di molto vicino a voi! Vi tradisce da molto tempo e ha architettato tutto ciò in modo tale che voi non sapeste mai la realtà. Ma io ve l'ho detto e adesso agirete di conseguenza! - Ci furono molte reazioni differenti davanti a quella rivelazione. Selim si infuriò maggiormente, Roxelana perse il sorriso che le incorniciava i lineamenti, sbiancando, Ibrahim spalancò gli occhi, colpito all'improvviso da un attacco di tosse. I due amanti, ormai quasi smascherati, sembravano sul punto di svenire. - Non vi dirò di chi si tratta. Dovrebbero dirvelo loro stessi. La rossa è una bugiarda e per sbarazzarsi della sua unica rivale, dell'unica persona che ha realmente capito com'è fatta e che non è stata capace di conquistare, sarebbe capace di fare qualsiasi cosa. Lei non ama voi, ama il vostro potere! Ha addirittura minacciato mio figlio, Mustafà. Vostro figlio! -
-Basta! - Urlò Selim, colpendo violentemente la mano sulla parete. La donna si zittì, abbassando il capo. Le lacrime non le bagnavano più le guance e i singhiozzi avevano terminato di scuoterla. - Non voglio più sentirti parlare, perché so che diresti di tutto pur di non ricevere la tua punizione. Ormai sei stata smascherata e il tuo odio, le tue parole nei confronti di Hurrem, ti rendono colpevole ai miei occhi. -
-Non ho paura della vostra punizione, mio sultano. Ormai vi ho perso, ma vi chiedo di non uccidermi. Se è rimasto ancora dell'affetto per me, aggrappatevi ad esso e non uccidetemi. Non lasciate orfano di madre Mustafà, non ha colpe in tutto ciò. E' un bambino e non deve pagare le colpe degli adulti, crescendo senza madre. - Questa fu l'unica cosa che riuscì a dire la ormai ex Favorita del sultano, abbassando il capo. Si sentiva svuotata, triste e infelice. La sua vita ormai sarebbe sempre stata così. Sarebbe sempre stata messa in secondo piano da tutti, sperava che il suo bambino non facesse lo stesso con lei.
Aveva fatto tutto per lui e avrebbe continuato a fare di tutto per lui.
-Selim, se posso intromettermi. Non devi essere così precipitoso, dormici su e poi potrai decidere il destino di Gulbahar, perché ti conosco e so che se farai qualcosa di sbagliato oggi, la rimpiangerai per il resto della tua vita. - Questo era Ibrahim, che con voce bassa e melodica, si era avvicinato al sultano, sussurrandogli nelle orecchie, come una sorta di angelo custode. Il viso di Selim si addolcì, sentendo le parole dell'amico e sembrò convincersi, ma i suoi occhi incontrarono quelli feriti di Hurrem, dall'altro lato della stanza e la sua espressione ritornò quella di prima.
-Ovviamente io non ti ucciderò, Gulbahar. Sarò clemente con te e ti esilierò a Manisa, porterai con te Mustafà per non lasciarlo senza l'amore materno e lì dovrà apprendere le arti della guerra e della politica. Io verrò a trovare mio figlio ogni mese e se lui avrà bisogno di me, non esiterai a comunicarmelo. Sono stato chiaro? -
-Sì, mio magnifico. -
-Bene, va' e prepara le tue cose. Ti sarà concesso portare con te tutto ciò che vuoi, compresi i tuoi fedeli servitori e alcune delle mie concubine. Nessuno deve sapere cosa è successo qui, questa notte. Mio figlio e sua madre non sono in esilio, ma ad apprendere l'arte di governare. - Selim la guardò. La rabbia sul suo viso era passata, ma adesso c'era solo stanchezza e delusione. - Va Gulbahar. Passerò domai a salutare Mustafà e non farmi pentire della mia scelta. Ibrahim, accompagnala. -


*** ***
Ibrahim uscì dalle stanze del sultano, tirando un grosso sospiro di sollievo. Aveva sudato freddo per tutto l'interrogatorio, sapendo che Selim era deciso nel punirla, nonostante nutrisse dell'affetto dei suoi confronti. Amava di più Roxelana e questo si lo avevano notato tutti.
Era diventato completamente cieco e ad ogni suo comando egli agiva, non riusciva più a riconoscerlo. Sembrava di aver visto un'alta persona lì dentro, non il sultano dell'impero più forte del mondo.
Gulbahar era già lontana, quando la raggiunse. Sembrava, anzi ne era convinto, non voler parlare con lui. Non aveva avuto modo di proferire parola lì dentro, perché sapeva che sarebbe stato inutile; conosceva Selim e quando si metteva una cosa in testa, difficilmente riusciva a togliersela. E poi ci aveva provato prima dell'arrivo della donna, ma Roxelana si era sempre messa in mezzo, accrescendo l'ira dell'uomo.
L'amore faceva agire gli uomini in modo vergognoso.
-Gulbahar, aspettate! -
La donna si fermò, girandosi per guardare il Gran Visir. I suoi occhi erano gonfi e rossi per il pianto, ma la sua espressione era altezzosa. Anche se dalle brutte occhiaie che aveva sotto gli occhi azzurri, capiva che era solo stanca. Non c'era né ostilità, né freddezza, né odio nei suoi confronti.
-Pensavo foste mio amico, Ibrahim, invece non avete mosso un muscolo per difendermi. -
-Non c'era niente che potessi fare, amica mia, sapete benissimo che quando si tratta di Hurrem perde completamente la testa. - Ibrahim sospirò, passandosi una mano sulla faccia. La stanchezza cominciava a farsi sentire anche da lui.
-E non è l'unico. - Sospirò, accarezzandogli una guancia con fare materno. Il visir le lasciò un bacio sul palmo. Sapevano che non era consono lasciarsi andare così nel bel mezzo del corridoio, ma lei stava per andarsene. - Non ho voluto mettervi in mezzo, ma prima o poi Selim lo verrà a sapere e per voi non finirà bene, perché lei troverà sempre il modo di scamparla. Siete solo un suo capriccio, lo sapete questo? -
-Sì, ne sono consapevole. -
-E ne vale la pena dopotutto? -
-Sì. -
-E sei felice così? -
-Sì, lo sono. -
Gulbahar sorrise, malinconica per poi dire: - Voi siete l'unico che mi mancherà fra tutti questi avvoltoi. -
-Anche voi mancherete a me. -
-Ti chiedo solo due cose, Ibrahim. State attento a Hurrem, è stata maledetta da una potente strega. -
-E voi come fa... Ah, siete stata voi. - Ibrahim scosse il capo, senza parole. - Non avrebbe dovuto andare così, voi donne siete peggio degli uomini nella vendetta. -
-Voi uomini non sarete mai alla nostra altezza, Gran Visir, vi manipoleremo sempre. La seconda cosa che ti chiedo è di far ragionare Selim, Mustafà è l'erede al trono e il suo primo figlio. Non fategli dimenticare questo. -
Ibrahim l'abbracciò brevemente e Gulbahr si lasciò stringere. Poi entrambi si diressero verso le stanze della donna, quello era un addio.


*** ***
Dopo che Ibrahim ebbe lasciato l'amica nelle sue camere e salutato Mustafà con un bacio sulle guance paffute, si diresse di gran carriera nella camera di quell'essere diabolico, arrabbiato.
La trovò seduta sulla sedia della toeletta a pettinarsi i lunghi capelli rossi. Gli ematomi ben visibili sul suo viso.
Ibrahim sbatté la porta, chiudendola a chiave. Una espressione di pietra era dipinta sul suo volto dai bei lineamenti. La guardava freddo con i suoi occhi verdi.
-Che cosa vuoi, Ibrahim? Ti prego di fare veloce, perché Selim starà sicuramente per tornare. - Disse la donna, annoiata, mentre si legava velocemente i capelli in una treccia.
-Perché lo hai fatto? -
-Fatto cosa, precisamente?-
-Non fare finta di non capire, Roxelana. - Ibrahim le andò incontro, guardandola dallo specchio. La rossa sospirò, girandosi lentamente e in modo dolorante verso il Gran Visir.
-Ripeterti che è stata lei a farmi tutto questo non servirebbe, vero? - Vedendo l'espressione scocciata di Ibrahim, Roxelana sospirò. - L'ho fatto per proteggerti. E' venuta qui e ha minacciato di dire tutto a Selim, non so come sapesse di noi due, ma lo ha fatto. Ho dovuto agire, dovevo sbarazzarmi di lei per salvarci, Ibrahim. Se ti dovesse accadere qualcosa non me lo perdonerei mai. - Gli occhi della ragazza diventarono lucidi, mentre parlava. Un po' dell'arrabbiatura del Gran Visir scomparve. Purtroppo i sentimenti che provava per lei con il passare del tempo stavano diventando sempre più forti e anche lui, come il suo migliore amico, era annebbiato da essi e faticava a scindere ciò che era giusto da ciò che era sbagliato.
-Non è stato giusto quello che hai fatto, Roxelana. E poi come hai fatto a preoccuparti tutti quei lividi? Ti fanno male? - Ibrahim le accarezzò una guancia, delicatamente. Roxelana chiuse gli occhi, sorridendo.
-Non preoccuparti di come me li sono procurata, l'importante è che noi due siamo salvi e così il nostro segreto. Sembrerà strano ma mi sei entrato nel cuore, Ibrahim e non voglio perderti. Tu e Selim siete l'unica cosa che ho e farei qualsiasi cosa pur di tenervi sempre con me. - La ragazza lo abbracciò, baciandolo gentilmente sulle labbra. - Adesso va, non vorrei che Selim ti trovasse qui. -
-Domani vado a trovare Drake, vieni con me? - Le domandò Ibrahim, toccandole i capelli.
-Sì, certo. Sarà come fare una sorta di gita romantica. -
Ibrahim sorrise, chinandosi nuovamente per baciare la ragazza e dopo averla salutata, uscì dalle sue stanze, senza guardarsi intorno. Non notò però Selim dall'alto capo del corridoio con un vassoio in mano.
Lo aveva visto uscire di lì?


SPAZIO AUTRICE!!
Salve a tutti!
Come va? Ecco a voi questo nuovo capitolo nel quale abbiamo visto questo lato di Roxelana che poche volte lascia comparire. Selim e Ibrahim, poveri uomini innamorati, sono caduti definitivamente ai suoi piedi!
Cosa ne pensate? Fatemi sapere con una recensione, se volete, mi fanno sempre piacere!
Volevo solamente avvertirvi che ho pubblicato una nuova storia “La Famiglia Del Diavolo” che ho pubblicato da poco sempre in questa sezione. Ma è un genere e un'epoca completamente differente da questa! Se ci farete un salto, mi farebbe molto piacere perché si tratta di una sorta di esperimento. Per chi fosse interessato, la trovate sul mio profilo!
Grazie e al prossimo capitolo,
Luxanne xx

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Capitolo 28
*** XXVII ***


-Guardie! Guardie! - Chiamò a gran voce Roxelana, torturandosi le mani, nervosa. Gulbahar se n'era appena andata, dopo averla minacciata di spifferare tutto a Selim. Se lei fosse corsa a dirgli della sua relazione con Ibrahim, lei ed il Gran Visir sarebbero morti. Ma come diavolo aveva fatto a scoprirlo?
Doveva agire, battendola sul tempo.
Una delle guardie fedeli solamente a lei e al sultano, entrò nella camera, sbattendo la porta contro la parete. Stringeva una sciabola nella mano destra e si guardava intorno, allarmato. Aveva sicuramente pensato che la futura sultana fosse stata in pericolo.
-Mia signora, c'è qualche problema? Perché avete chiamato? - Chiese l'uomo, deponendo la sciabola nel fodero. Era giovane, probabilmente di qualche anno più grande di lei. Magro come una scopa e con capelli e occhi scuri.
-Non è successo nulla, Alih, non ti preoccupare. Ti ho chiamato perché mi serve un favore. - Gli disse, andando a chiudere la porta che il ragazzo aveva lasciato aperta.
-Qualsiasi vostro desiderio è un ordine per me, Hurrem Sultan. -
-Bene, mi fa molto piacere sentirtelo dire... A questo proposito, voglio che tu mi picchi, devi ridurmi male. Quanto vuoi per farlo? - Nello sguardo della rossa c'era una strana luce, una luce che per troppo tempo aveva cercato di nascondere, ma che adesso, per ogni circostanza, cercava di emergere.
-Come, scusate? Signora, non potete chiedermi una cosa del genere. Se il sultano dovesse venirlo a sapere, mi farebbe tagliare la testa. - Gli occhi scuri del ragazzo erano terrorizzati. - No, non posso farvi questo. -
-Io penso proprio che tu lo farai. Ti pagherò bene e Selim non lo verrà mai a sapere, sarà un segreto che mi porterò nella tomba. - Si diresse verso un piccolo baule che era poggiato sul letto, aprendolo ed estraendone due sacchetti rossi colmi di monete d'oro. Li porse al ragazzo che li afferrò con mani tremanti. Egli li pesò con sguardo pensieroso.
-Potrebbero sfamare la mia famiglia per mesi... -
-Dunque, mi sembra un ottimo affare, sono giusta con te. Quando ero nella tua condizione avrei ucciso per ricevere una simile ricompensa. - La rossa gli sorrise, incoraggiante. - Ti prometto sul mio onore che rimarrà un segreto. -
-Io non sono quel genere di uomo. Mia madre mi ha sempre insegnato a... -
-Lo so, lo so. - Liquidò le sue parole con un cenno della mano. - Ma devi pensare ai soldi, perché sono l'unica cosa per cui tu riesci a far vivere i componenti della tua famiglia. A volte ci sono cose che bisogna fare per proteggere le persone che si amano e noi stiamo facendo esattamente questo. -
L'uomo, convinto dalle parole della donna, sospirò. - Va bene, lo farò. -
-Saggia scelta. - Hurrem lo guardò, decisa. - Adesso agiamo nel modo più veloce e silenzioso possibile. - Chiuse gli occhi, stringendo i pugni lungo i fianco. Quando arrivò il primo schiaffo, trattenne un urletto di sorpresa. Non aveva provato dolore, ma pensava che avrebbe esitato prima di colpirla.
-Più forte, Alih, così mi fai solo il solletico. -
-Sì, scusatemi. - Quando il secondo e il terzo schiaffo arrivarono, Roxelana sentì il sapore metallico del sangue in bocca e la faccia pizzicarle per il dolore. Le lacrime minacciarono di uscirle dagli occhi, ma si trattenne. Erano notevolmente aumentati di intensità e forza, sembrava che Alih ci stesse prendendo gusto. Quando arrivò anche il quarto, fu talmente forte che la rossa stette per cadere per terra, se le braccia della guardia non l'avessero afferrata. - Posso fermarmi? State bene? -
-Sì, continua, ancora un po'. - Perse il conto di quanti schiaffi, sempre più potenti, ebbe; erano uno più doloroso degli altri. Nonostante ciò, la rossa non versò neanche una lacrima e le sue labbra non urlarono mai di dolore.
Staccò la mente dal corpo e ripensò ai giorni in cui doveva lavorare nei campi o in botteghe per cercare di portare qualcosa in casa, aiutare sua madre, suo padre e le sue sorelle. Era stata picchiata molte volte da quelli per cui lavorava, era stata chiamata in molti modi spregevoli e costretta a fare qualsiasi cosa pur di portare quello stipendio misero. Poi erano giunti quei maledetti mercenari al suo villaggio e Ibrahim, e lì ne aveva avute altre di botte e di insulti, ma quelle sarebbero state le ultime. Era un animale, prima di arrivare in quella terra sconosciuta che odorava di arance, era una schiava, una contadina, mentre adesso stava per diventare una potente sultana. Doveva sposare l'uomo più potente del mondo, tutti volevano essere lei. Aveva fatto tutta quella strada da sola e amava tutto il potere, il lusso e l'amore che aveva. Non vi avrebbe mai rinunciato.
Per il potere le persone riuscivano a venire corrotte, per il potere la adulavano, per il potere quella guardia la stava picchiando, per il potere comandava tutti a bacchetta.
Grazie al lusso aveva sempre un piatto differente mattino, pranzo e cena, per il lusso poteva avere tutti i gioielli che voleva, per il lusso indossava sempre vestiti differenti, per il lusso poteva comprare tutto ciò che voleva.
Aveva anche l'amore, per sua fortuna. Il suo cuore era diviso in due: una metà era di Ibrahim e l'altra era di Selim. Non sapeva dire chi amasse di più se l'uno o l'altro, ma sapeva che erano rimasti scolpiti nel suo cuore e per amore di entrambi stava architettando tutto ciò, per non farli litigare, per non guardare il volto deluso di Selim, per non veder morire Ibrahim.
Quando ritornò in sé, la guardia se n'era andata, lei era tutta dolorante e sanguinante, ma felice. Stava per sbarazzarsi di quella donna e finalmente era da un passo da avere tutto ciò che in quei mesi aveva faticato per conquistarsi.
-Amore, mi stai ascoltando? - Domandò Selim, guardandola divertito negli occhi. Era ritornato e fra le mani stringeva un vassoio con del cibo fumante, uova e formaggio di capra, e un bicchiere con del succo di arancia. Il sultano lo posò sul tavolo, facendola sedere e guardandola negli occhi.
-Cosa? Perdonami ero persa nei miei pensieri. - Roxelana ridacchiò, gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo.
-E cosa stavi pensando di così importante? -
-A quanto io ti ami, Selim. Sei l'unica persona a cui io tenga veramente, oltre alla mia famiglia, ma quella non potrò mai rivederla... Ti amo e ti amerò per sempre, anche quando moriremo questo mio amore per te, varrà. Saremo due stelle, che resteranno sempre vicine, l'una all'altra. Le più belle e le più luminose. Il nostro amore verrà narrato a lungo ai posteri e daremo vita ad una stirpe di sultani potenti e buoni, proprio come te. -
-Certamente, mia stella, ne dubitavi? - Selim le sorrise. Gli occhi neri scintillarono nella semioscurità della stanza, le candele erano sul punto di spegnersi.
-Non ho mai dubitato di te dal primo momento in cui ti ho visto, mio bel marito. - Selim sorrise, chinandosi su di lui e baciandolo delicatamente sulle labbra. Hurrem gli sorrise, felice. Finalmente tutto stava per aggiustarsi.


*** ***


Quando Ibrahim entrò nelle sue stanze, Freya era con una serva, che le stava pettinando i lunghi capelli, indossava una camicia da notte bianca.
-Puoi andare, Aryah, ci vediamo domani mattina. - Freya le sorrise attraverso lo specchio della toeletta. Si inchinò ai due coniugi prima di andarsene.
Ibrahim la salutò con un sorriso spento, togliendosi le scarpe per poi sedersi sul letto. Il turbante non ricordava dove l'avesse poggiato, ma poco importava in quel momento. Freya, notando la sua espressione sconsolata, gli si sedette accanto. Persino da seduti era più alto di lei.
-Che cosa è successo, Ibrahim? - Gli domandò, afferrandogli la mano. La fede nuziale scintillava sotto il tremolio delle candele. Freya poggiò il capo sulla sua spalla, sentendo il suo respiro irregolare sulla fronte.
-Così tante cose da poter impazzire, mia cara Freya. Gulbahar e Mustafà verranno mandati a Manisa, sono stati banditi dal castello. Sembra che ella abbia picchiato selvaggiamente Hurrem Sultan. -
-Conosco Gulbahar e non sarebbe mai capace di fare una cosa del genere! -
-Lo so bene, questo. Ma Selim non ha voluto sentire ragioni. Il suo amore per la rossa è tale da oscurare tutti i suoi pensieri e ragionamenti. Ho cercato invano di poter fare qualcosa, ma non ha voluto sentire niente. Era già colpevole ai suoi occhi. - Ibrahim sospirò, sembrava veramente deluso. - E la cosa peggiore è che Mustafà crescerà lontano da suo padre e dal castello che gli spetta di diritto. Mi ero affezionato così tanto a lui! E' così buono... -
-Lo so, tutti lo siamo. -
-Ne sono consapevole, è impossibile non farlo. Ma non è tutto, c'è dell'altro. -
-So anche quello che stai per dirmi, Ibrahim. L'ho notato dalla prima settimana della mia permanenza qui. -
-Ma come fai ad accorgertene sempre? - Domandò l'uomo, sorpreso. Freya gli sorrise, accarezzandogli una guancia.
-Io ho semplicemente uno spirito di osservazione innato che mi permette di vedere le cose. Anche se, devo ammettere, sai nascondere bene i tuoi sentimenti. - Ibrahim la guardò, deglutendo. Aveva la gola secca. - Anche tu provi dei sentimenti per la rossa, non è vero? E per il tuo orgoglio è un duro colpo. Non oso immaginare come tu abbia preso tutta questa situazione, ma non devi essere troppo duro con te stesso. Per quanto noi esseri umani cercheremo di darci un freno, i sentimenti e le emozioni prevaleranno sempre. Purtroppo ciò che siamo e ciò che proviamo non possiamo cambiarlo, sarebbe un mondo migliore se ciò accadesse. Tu tieni alla rossa, non so se nello stesso modo di Selim o in maniera maggiore, ciò non ha molta importanza, alla fine dei conti. -
-Certo che ce l'ha! - Quasi urlò Ibrahim, alzandosi e sbuffando. La voce sembrava tremargli e il petto si alzava e abbassava velocemente. - Freya, io sono innamorato della donna del mio sultano, di colui che è come un fratello per me. L'ho convinta ad avere una relazione adultera con me! Sai che cosa accadrebbe se Selim dovesse venire a scoprirlo? Lei verrebbe lapidata, mentre a me taglierebbero la testa! Dovrei essere il suo migliore amico e lo sto pugnalando alle spalle. Sono un uomo vile ed orribile che non merita amore. Non riesco nemmeno a staccarmi da lei, a mettere fine a tutto ciò. Sono debole. -
-Non lo sei, non hai nemmeno rubato la ragazza a Selim. Lei ha scelto di avere questa relazione con te, tu non l'hai mica costretta! Se lei non provasse le stesse cose per te, in questo momento non ti vedrebbe di nascosto, rischiando la vita, e poi non avrebbe architettato tutto ciò per salvarvi. Gulbahar non è stupida, se ne sarà accorta e lo stava per riferire a mio cugino. Ma Hurrem l'ha battuta in astuzia. E anche io, Ibrahim, avrei agito in questo modo per salvare me e il mio amante, anzi l'ho già fatto. Quindi la capisco, ma provo empatia per Gulbahar. - Freya gli sorrise, abbracciandolo. - E poi, mio caro Gran Visir, non sei così difficile da amare. -
-Le persone non amano me. Solo il mio potere o il mio aspetto piacevole. -
-Beh, Ibrahim, su questo ti sbagli. Io e Hurem abbiamo tutto il potere del mondo, io come cugina del sultano e lei come futura moglie, ma ti amiamo comunque. C'è molto di più oltre il tuo bel viso, mio caro sposo, e se servirà te lo ripeterò. Hai un cuore grande come questo palazzo e per le persone a cui vuoi bene saresti capace di fare qualsiasi cosa. Hai sofferto, per questo motivo potresti risultare freddo agli occhi degli altri... ma non ai nostri. - Freya si alzò sulla punta dei piedi, dandogli un bacio sulla guancia, poi lo prese per mano. - Adesso basta complimenti e andiamo a dormire, altrimenti ti monti la testa. -
Il Gran Visir scosse la testa, dicendo: - Ah, mia bella moglie, se non esistessi, dovrebbero inventarti. Non so cosa farei senza di te. -
-Le amiche servono per questo, no? -


*** ***


Erano le sette del mattino, relativamente un orario mattiniero per gli abitanti di Palazzo Topkapi. Il sultano era già sveglio e vestito e, assieme al Gran Visir e a Hurrem, si stava recando a salutare Gulbahar e suo figlio, che apparentemente si stavano recando a Manisa per la formazione dell'erede al trono. Si vociferava che la futura sultana fosse stata picchiata da uno strano uomo incappucciato, un ladro abile che era riuscito ad aggirare la guardia per rubare alcuni dei gioielli; ella lo aveva colto il flagrante e dopo aver cercato di chiamare le guardie, era stata picchiata selvaggiamente dal brigante, il quale era stato giustiziato nelle segrete dal sultano in persona.
Ad accompagnarli sarebbero andati Iksander, Freya e l'esercito composto da eunuchi neri, personalmente addestrati da Iksander, per provvedere alla salute e all'incolumità di Mustafà, Gulbahar e Freya.
Era un giorno grigio; del clima calmo, sereno e soleggiato della capitale ottomana, non era rimasto nulla. Gli uccellini avevano smesso di canticchiare, mentre delle brutte ed enormi nuvole grige stavano per scagliare sul suolo turco, un brutto temporale fatto di vento gelido, pioggia accecante e fulmini distruttivi.
Si trovavano al portone d'ingresso del palazzo, lì dove tanto tempo prima, Roxelana era stata separata da Ibrahim e mandata in quella buia stanza ad aspettare di essere prelevata. I servi stavano preparando tutte le valigie nelle apposite carrozze, mentre Iksander dava chiare istruzioni alla scorta su come dovevano muoversi. I boschi che portavano a Manisa erano molto pericolosi, colmi di gente di malaffare, pronti a qualsiasi cosa pur di arricchirsi, persino rapire il figlio del sultano e uccidere tutta la sua scorta.
Hurrem si affiancò ad Hatice, che guardava preoccupata Iksander mentre parlava con un eunuco. Sembrava così serio e concentrato, ma i suoi occhi risultavano sempre gentili.
-Buongiorno, Hatice Sultan. Vi vedo preoccupata, c'è qualche problema? - Domandò la rossa, nascosta dietro un velo blu, che si intonava con il suo vestito. Hatice sussultò, come se non l'avesse sentita giungere.
-Buongiorno, Hurrem... State bene? Mi hanno detto cosa vi ha fatto quel brigante! - Hatice non guardava lei, ma il suo futuro marito. Sembrava pallida, quasi malata.
-Sì, non preoccupatevi, ho la pelle dura. Ma voi, piuttosto, perché avete questo aspetto? Siete preoccupata per qualcosa? - Hatice fece un sorriso triste. Indossava un abito viola, la corona di diamanti fra i capelli nerissimi e gli occhi scuri lucidi. Era una perfetta principessa, era nata per fare quello. Era talmente bella da rendere tutti gli altri insignificanti, pensò invidiosa la rossa.
-Ho fatto un brutto sogno, Hurrem. Ho sognato che Iksander morisse davanti ai miei occhi, c'era sangue ovunque. Non ho avuto modo di parlargli perché è stato occupato da quando ci siamo svegliati. Non voglio che parta, se lo dovessi perdere, io... - Non riuscì a terminare la frase, poiché Iksander li interruppe, toccandole la spalla. Il visir sorrise alla ragazza, inchinandosi ad Hurrem.
-Buongiorno Hurrem Sultan e buongiorno, mio amore. Non vorrei mancarvi di rispetto, Hurrem, ma vi chiedo di lasciarmi da solo con la mia fidanzata. Dobbiamo parlare. -
-Ma certo, non preoccupatevi, Iksander Pascià. - Roxelana sorrise alla cognata, distanziandosi e raggiungendo Selim che parlava con uno dei visir.
-Hatice, che succede? E' da tutta la mattinata che mi sento osservato. Se c'è qualche problema, dillo. - Iksander le afferrò le mani, baciandole sulle nocche. Hatice gli sorrise, non riuscendo ad evitare di stringerlo forte al petto. Il visir rimase spiazzato per qualche secondo, ma il momento dopo l'abbracciò nella stessa maniera. - Dovrei partire più spesso, sai? -
-Non farti uccidere, torna da me e se lo farai non ti lascerò più andare. - La voce le tremava per le lacrime trattenute. Mise fine al loro abbraccio, poggiando la fronte a quella dell'uomo. I suoi capelli odoravano di arance e lei amava le arance e amava lui. - Non morire. Torna da me, ho bisogno di te. -
-Tornerò da te, Hatice. Non saranno di certo due briganti a separarmi dalla donna che amo. -
-Sarà meglio per te. - Hatice rise, baciandolo un'ultima volta prima di lasciarlo andare.
Hurrem sorrise, intenerita. Era una delle coppie più belle che lei avesse mai visto, si meritavano a vicenda. Un po' più in là, anche Freya stava salutando il marito. La rossa nel vedere ciò, digrignò di denti, stringendo le braccia contro i fianchi, ma vedendo che Selim la stava guardando, sorrise.
-Non devi partire per forza, sai? Gulbahar se la caverà anche senza di te. - Disse Ibrahim, baciandola sulla fronte. Freya sorrise, scuotendo il capo. Aveva un tono di voce troppo basso, pensò Hurrem, perciò non riusciva a sentirla.
Quando arrivarono anche Gulbahar e Mustafà la situazione diventò un po' tesa. La ex favorita si inchinò davanti al sultano che la guardò in modo freddo, prima di passare a suo figlio, che sembrava parecchio contrariato.
-Padre, perché sono stato svegliato così presto? - Domandò il piccolo, con le guance paffute, le mani grassottelle contro i fianchi ed i capelli un groviglio indistinto sulla testa. Sembrava così buffo! Tuttavia Roxelana non riusciva più a provare ciò che sentiva qualche mese prima. Quando guardava il piccolo la rossa pensava a tutto ciò che i suoi figli non potevano avere per colpa sua, solo perché era nato per primo. E lo odiava; odiava lui e sua madre. Non provava più affetto nei suoi confronti, solo odio.
-Perché devi partire, piccolo mio. Dovete andare a Manisa e lì devi imparare a diventare un sultano. Più veloce imparerai, prima potrai ritornare qui. - Selim gli sorrise, sollevandolo da terra. Il piccolo lo guardò pensieroso, poi gli regalò un grosso sorriso.
-Va bene, allora! Diventerò bravissimo solo per venire e stare di nuovo qui... -
-Questo sì che è mio figlio! Io verrò a trovarti ogni mese e starò con te il più che posso, va bene? - Selim poggiò la fronte su quella del figlio. Un leggera lacrima gli scivolò furtivamente sulla guancia.
-Padre, non piangete. Passeranno presto questi anni! - Sussurrò il bambino, asciugandogliela con il ditino. Selim gli sorrise, baciandolo innumerevoli volte sul viso paffuto, facendo ridacchiare il bambino.
Gulbahar non piangeva; la sua bellezza di ghiaccio era perfetta. Guardava Mustafà e Selim salutarsi apatica, come se effettivamente lei non fosse lì, ma da qualche altra parte.
-Andiamo, Mustafà, facciamo tardi altrimenti. - Gulbahar staccò il figlio dal padre, che lo baciò un'ultima volta, prima di passarlo alla madre. La donna guardò prima il sultano, poi Roxelana. - Addio mio magnifico, addio Hurrem Sultan. -
-Addio, Gulbahar. - Roxelana sorrise, attraverso il velo. - Fate buon viaggio. -
-Addio, Gulbahar. Prenditi cura di mio figlio. - Disse Selim con voce tremante, mentre guardava entrare nella carrozza la donna, Mustafà, Freya e Iksander.
I cocchieri fecero partire le carrozze e gli eunuchi neri li seguirono con gli stalloni neri, uscendo dalla porta principale; quando essa si chiuse, Roxelana si sentì finalmente libera.


SPAZIO AUTRICE!!
Salve a tutti,
non riesco a credere di essere arrivata al capitolo ventisette. Mi sembra ieri quando ho cominciato a scrivere questa storia! E adesso mancano pochi capitoli, molto probabilmente cinque, prima della fine.
Comunque, che cosa ne pensate? Fatemi sapere con un piccolo commento, non vi mangio mica!
Spero che questa storia vi stia piacendo e grazie per tutto il supporto.
Al prossimo capitolo!


 

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Capitolo 29
*** XXVIII ***


Trascorse una settimana dopo che Freya e gli altri si erano recati a Manisa. Non erano ancora ritornati, probabilmente avevano voluto rimanere per qualche giorni al castello e riposarvi, controllare che la sistemazione fosse adatta ad un principe, ad uno dei più potenti del mondo oltretutto. Il sultano era stato abbastanza severo al riguardo; non voleva che a suo figlio mancasse niente.
In quella settimana era trascorso tutto abbastanza tranquillamente. Hurrem era stata coccolata da tutti, soprattutto da Selim, viziata oltremodo e così aveva avuto modo di guarire. I segni violacei stavano sbiadendo poco alla volta.
Non poteva essere più felice e serena di così.
Si trovavano nei giardini; tutto era molto calmo e quieto senza Mustafà che scorrazzava alle dieci del mattino per i prati, rincorso dalle tate. Selim, Hatice e la Valide Sultana erano tristi, sentivano la sua mancanza e le donne non facevano altro che piangere. Alla rossa la cosa le era abbastanza indifferente. L'odio che provava per Gulbahar si era trasferito anche su Mustafà, nonostante fosse un bambino abbastanza carino per la sua età.
Oltre alla tristezza generale, Hatice e Ibrahim si erano avvicinati di nuovo, con disappunto della futura sultana, e con piacere di Selim, che non li vedeva parlare in pubblico da molto tempo.
-Cosa ne pensi di questo avvicinamento fra Ibrahim e Hatice Sultan, Selim? - Domandò la rossa, guardando nella direzione dei due, i quali passeggiavano sotto braccio lungo il giardino. Hatice era stupenda nel suo abito bianco e i capelli legati in una acconciatura complessa, ma che pareva semplice. Bellissima e regale, questi erano due aggettivi per descriverla. E come non pensarlo, guardandola? Persino il sole sembrava inchinarsi davanti a lei; le illuminava gli occhi scuri e i capelli, facendola apparire un angelo.
-Ne sono felice, ovviamente. Penso che faccia bene ad entrambi ritornare ad avere il rapporto che avevano in precedenza. Sono fratelli, dopotutto. - Selim sorrise, ma non c'era niente di allegro nei suoi occhi, solo tristezza. Roxelana gli afferrò la mano, baciandogli il palmo.
-So che soffri, ma andrai a trovare tuo figlio presto. Prima di quanto tu te ne possa accorgere, mio amore. - Quando Selim si avvicinò per baciarla, la rossa incontrò lo sguardo duro del Gran Visir; si scostò dal sultano, poggiando la testa sulla sua spalla. - C'è tua sorella e Ibrahim, non mi sembra il caso... -
-E da quando sei diventata così timida? - Il sultano ridacchiò, incrociando le dita alle sue. - Tu mi stupisci ogni giorno di più, Hurrem. -
-E' la mia missione dopotutto. - La rossa si strinse di più al sovrano, che l'abbracciò. - Non vedo l'ora di celebrare il nostro fidanzamento, Selim. Finalmente potrò riavere la mia libertà! -
Il sultano non rispose, aveva lo sguardo perso nel vuoto, come accadeva spesso ultimamente. Pensava a qualcosa, ma i suoi pensieri e i suoi sentimenti erano riservati e non li condivideva più con lei come faceva precedentemente.
Roxelana guardò Ibrahim con la coda dell'occhio, notandolo ridere con Hatice; le si torsero le budella, guardandolo così felice. In tutta quella settimana non si erano minimamente parlati, nonostante i suoi continui tentativi. Era come se fosse arrabbiato con lei per qualche motivo che lei ignorava. La guardava di nuovo con freddezza, con odio, era quasi come non fossero passati tutti quei mesi dalla prima volta che si erano incontrati.
E faceva male, molto male, perché lei ci teneva. Aveva imparato ad amarlo e pensava fosse lo stesso per lui... Evidentemente non era così, forse adesso che lui ed Hatice si erano riavvicinati aveva smesso di giocare con lei ed era ritornato dalla persona che veramente amava.
-Adesso preferisco ritirarmi nelle mie stanze, Selim. Ho una terribile nausea durante il corso della giornata che mi provoca un terribile mal di testa. Credo che mi farò visitare dal Guaritore. - Hurrem sorrise a Selim che la guardò spaesato, come se non la stesse realmente ascoltando.
-Va bene, ci vediamo dopo. -
La rossa annuì, inchinandosi; fece un segno di saluto al Gran visir e alla principessa e se ne andò.


*** ***


-Dov'è? - Hatice Sultan, entrò in camera di Selim, sbattendo violentemente le porte. Era rossa in volto e tremava, sembrava stravolta dal dolore. Hurrem sussultò, osservandola. Della principessa perfetta di quella mattina non era rimasto granché, poiché in quel momento aveva i capelli sfatti, come se ci avesse messo in continuazione le dita dentro e il vestito sgualcito.
Selim, che in quel momento stava pranzando, posò il tovagliolo sul tavolino, alzandosi con tutta la calma e l'autocontrollo di cui era capace. Si avvicinò alla sorella, abbracciandola, nonostante le sue continue proteste, urla e pianti. - Selim, dimmi dov'è Iksander! -
-Ssh, sorella mia, calmati, mia principessa. E' qui a palazzo, al sicuro, ma non puoi vederlo in questo stato. Devi calmarti... - Selim la stringeva fra le sue braccia, sussurrandole parole di conforto, mentre Hatice si abbandonava alle lacrime, scossa da violenti singhiozzi. Il sultano soffriva con lei, lo si poteva notare dal suo sguardo sofferente.
-Non a lui, a tutti, ma non a lui. Ti prego, Selim, lascia che lo saluti per l'ultima volta... Non voglio perderlo. - Hatice afferrò le guance del fratello fra le sue mani, guardandolo negli occhi supplicante e seria, fra muco e lacrime.
-Certo, certo che puoi vederlo, Hatice. Ma non in questo stato, non farebbe bene a nessuno. Devi calmarti e non appena avrai smesso di piangere, ti porterò io stesso da Iksander Pascià, d'accordo? -
-Va bene, sì. - Hatice si ricompose, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano e ignorando i singhiozzi che ogni tanto le scuotevano le spalle. Nonostante cercasse di non darlo a vedere, le tremava la voce. - Adesso vado in camera mia. Fra dieci minuti vieni e portami da lui, altrimenti mi vedrai compiere pazzie per la prima volta. -
-Hai la mia parola d'onore. - Selim si portò la mano al cuore, mentre con l'altra le accarezzava la pelle delicata del viso. - Adesso va'. -
Hatice annuì, inchinandosi per poi uscire di fretta. Le serve che la seguivano correndo.
Selim ordinò ad uno dei servi lì presenti di chiudere la porta, che la sorella aveva lasciato aperta, e si sedette accanto a Hurrem, che aveva osservato tutta la scena, esterrefatta. Che cosa stava accadendo? Era successo qualcosa ad Iksander?
Selim sospirò, portandosi le mani al viso.
-Che cosa succede, mio amato? Iksander ha forse fatto qualcosa per... -
-Poche persone sono al corrente di questo avvenimento, mia bella Hurrem. Io e Ibrahim e alcuni dei visir. Non volevamo generare inutile caos, ma in qualche modo Hatice è venuta a scoprirlo. Non siamo stati abbastanza cauti, temo. - Hurrem gli prese la mano, spronandolo a continuare. Quando parlava così la preoccupava. - L'impero ottomano ha tanti nemici, ma non credevo che si sarebbero spinti così dentro al regno. Non pensavo che li avremmo trovati nel nostro stesso sacro suolo, a mangiare il nostro stesso cibo e bere la nostra stessa acqua... -
-E cos'è questo qualcosa, Selim? - Negli occhi verdi della donna brillò una certa luce di curiosità.
-Al ritorno da Manisa, la carrozza che trasportava mia cugina Freya e Iksander Pascià è stata attaccata da persiani che hanno sterminato e catturato la piccola guardia che avevo mandato con loro. Iksander e pochi altri hanno potuto fare ritorno a palazzo... Purtroppo non ne sono usciti completamente intatti. Il povero Iksander soprattutto è ridotto molto male. -
-Oh Cielo, ma è orribile! Bisogna prendere dei provvedimenti, mandare dei Guaritori... E Freya? Come possiamo fare adesso? Se si sono spinti così infondo saranno capaci di qualsiasi cosa, persino intrufolarsi fra le mura del castello e attentare alla nostra vita! -
-Purtroppo di mia cugina non sappiamo niente. Iksander è giunto a palazzo su un cavallo un paio di ore fa, insanguinato e praticamente irriconoscibile. Non appena Ibrahim lo ha soccorso, è svenuto. I Guaritori stanno cercando di fare quel che possono, ma temo che non avrà ancora molto da vivere. Ripeteva in continuazione solo il nome di mia sorella. - Selim si alzò, baciando la sua futura moglie sulla fronte e sorridendole in modo triste – Adesso vado da lei, ha bisogno di me e vorrà senz'altro vedere Iksander. -
-Certo, sì. Fammi sapere delle sue condizioni e se c'è qualcosa che posso fare non esitare a chiedere. - Roxelana lo guardò seriamente, decisa. Le dispiaceva sia per Hatice che per Iskander, erano tra le persone più affidabili e gentili di tutto il castello, o almeno di quelle con cui aveva parlato. Le sarebbe dispiaciuto molto se Iksander li avesse lasciati, anche perché Hatice ne sarebbe uscita distrutta. Era così fragile, quella ragazza...
Selim sussurrò qualcosa che Hurrem non capì e dopo aver svuotato un bicchiere di vino, uscì dalla stanza per recarsi dalla sorella minore.


*** ***
Quando Selim bussò alla sua porta, Hatice sobbalzò. Aveva ordinato alle serve, dopo essersi sistemata, di lasciarla da sola. Era rimasta seduta in un angolo del letto, a cercare di trattenere le lacrime e mandare giù il groppo che aveva in gola.
Quando una delle serve le aveva detto di aver visto Iksander quasi irriconoscibile venire portato via da Ibrahim, lo aveva cercato dappertutto, non trovandolo. Allora si era recata di gran carriera da suo fratello per chiedere spiegazioni.
Dopotutto la sensazione che aveva avuto per tutta quella settimana si era rilevata vera. Al suo amante era capitato qualcosa di brutto e lei non era lì da lui ad aiutarlo, a curare le sue ferite, a sostenerlo, ma se ne stava lì seduta nel letto a cercare di non piangere, fallendo anche.
Per quanto le facesse male, doveva mostrarsi forte e coraggiosa. Non era una debole, era una principessa, la sorella di Selim, uno dei sultani più potenti al mondo.
-Andiamo, Selim. Non intendo sentire nessuna giustificazione da parte tua. Sono la sua futura moglie e non intendo stare qui seduta a piangere, ma essere lì con lui. - Hatice si alzò di scatto, avvicinandosi al fratello, che sembrava molto stanco. Sotto agli occhi scuri aveva delle brutte occhiaie nere.
-Ne sono consapevole, Hatice, sei sempre stata molto testarda e hai sempre fatto come volevi tu, nonostante il tuo faccino da angioletto, ti sei sempre comportata peggio di me e Ibrahim. Però l'hai sempre scampata... Ti conosco e so che non sarebbe da buon fratello e sultano tenerti lontana dall'uomo che ami. Io vi ho fatti incontrare e innamorare. - Selim sospirò, prendendo la mano delicata e liscia della sorella, baciandola delicatamente. - Vorrei che tu non soffrissi come stai soffrendo adesso. Volevo una vita felice per te, solo per te. -
-Non esiste felicità in questa vita, caro fratello, solo dolore e miseria. E adesso andiamo. - Hatice gli diede le spalle, uscendo dalla stanza per esortarlo a seguirla.
Per tutto il tragitto stettero in silenzio. Si sentivano solamente i loro passi calpestare il pavimento freddo e in pietra e i loro respiri affannati. Stavano camminando velocemente, erano sul punto di correre.
Si trovavano nei sotterranei, freddi e illuminati solamente da fuochi fatui che tremolavano ogni volta che le loro figure vi passavano.
-Non capisco perché lo abbiate portato qui. Non è mica un fuggiasco o un animale, Selim. - Lo rimproverò Hatice, con voce tremante. Non voleva darlo a vedere, ma aveva paura ed era agitata, lo era talmente tanto che le lacrime si erano come congelate, per il momento.
I sotterranei erano enormi, ma molto bui e tetri. Hatice aveva sempre avuto paura di quei posti, poiché potevano udirsi i lamenti e le urla dei carcerati. E poi suo padre le aveva sempre detto che in quelle mura c'erano tanti fantasmi che avrebbero cercato di ucciderla, se solo si fosse avvicinata.
Svoltarono a sinistra e in quel momento si udì un urlo di puro dolore e la voce, quella voce sofferente, era proprio di Iksander. Hatice non lo vedeva, poiché in una delle celle era stato posizionato un velo bianco, per dare una sorta di intimità. L'unica cosa che riusciva a vedere erano delle figure curve e una molto alta, che parlottavano fra di loro sul da farsi.
-Sei pronta? Se non te la senti, possiamo anche andarcene. Non devi per forza stargli accanto, non siete sposati e... -
-Non mi importa. E' una delle persone a cui tengo di più al mondo, non abbandonerò lui, così come tu non abbandoneresti Hurrem. -
-Lo sapevo. Sei mia sorella dopotutto. - Selim le sorrise, prendendola per mano. Scostò il telo con l'altra ed entrarono nella cella. Era un posto piccolo e freddo, riscaldato solamente da alcune candele posizionate su piccoli tavolini, al cui disopra c'erano affari medici, bende ed erbe; al centro c'era Iksander, steso su un letto molto improvvisato. Era ridotto veramente male, quasi irriconoscibile e soffriva molto. La sua pelle era tutta bruciata, rossa e ricoperta da brutte bolle. Aveva perso completamente i capelli, se non qualche ciuffo ormai grigiastro.
Ibrahim si avvicinò ai due reali, inchinandosi in segno di rispetto. Selim gli poggiò una mano sulla spalla, ignorando come la sorella gli aveva stretto l'altra fino a fargli male.
-Come... Ibrahim, come sta? - Domandò la ragazza, ingoiando il groppo che aveva in gola. Vederlo in quelle condizioni le aveva spezzato il cuore, un pugnale ficcatole direttamente in petto, senza pietà. Povero Iksander...
-Male, Hatice Sultan, molto male. Ha riportato bruciature molto gravi su tutto il corpo e ha un polmone forato e una costola rotta. - Una lacrima scese lentamente lungo la guancia della ragazza, silenziosa e inoffensiva, ma portatrice di grande dolore. Selim non esitò ad abbracciarla per confortarla, ma Hatice lo allontanò.
-Ma si rimetterà? Ha possibilità di... -
-No, sta morendo lentamente. I Guaritori pensano che non passerà la notte. Nonostante ciò, quando non è troppo dolorante per il bruciore, è in grado di parlare e non ha perso il suo senso dell'umorismo... - Ibrahim si girò per guardarlo, passandosi una mano fra i capelli neri, per sistemarseli. Sembrava non dormisse da giorni per le brutte occhiaie nere che aveva sotto gli occhi. Ma c'era altro, non era solo l'aver soccorso un condannato a morte per così tanto tempo, c'era una sorta di dolore muto dietro i suoi occhi chiari. Stava soffrendo, Hatice lo conosceva abbastanza per comprenderlo e sapeva che non era per Iksander, ma per qualcun altro, qualcuno a lui molto vicino, come Freya.
-Ibrahim... - Hatice esitò, avvicinandosi all'uomo che la guardava interrogativo. - Freya... Hai saputo qualcosa di lei? -
-E' morta. L'hanno uccisa prima che Iksander riuscisse a scappare. Forse in un certo senso è meglio così, ma in ogni caso, vi faccio le mie condoglianze. Adesso con il vostro permesso, mi ritiro. - E senza aggiungere altro li lasciò da soli, persino i Guaritori erano usciti con lui. Iksander sembrava essere svenuto, ma respirava ancora.
-Ha veramente detto ciò che penso? Freya, nostra cugina, è davvero morta? -
-Sì. - Hatice versò un'altra lacrima, per quanto cercasse di trattenerle non ci riusciva. Era una debole per questo? Forse. - Adesso... Tu va' da lui, ha bisogno di te più di quanto ne possa avere io, Selim. E' tuo fratello e come me, devi stargli accanto. Io sono dove devo essere. -
-Ma... - Selim sembrava invecchiato all'improvviso di due anni ed era anche molto pallido. Non se la sarebbe mai aspettata una notizia del genere. Hatice, invece, per quanto le dispiacesse, non riusciva a smettere di guardare Iksander, dormiente su quel giaciglio improvvisato.
-Niente ma, Selim. Va' da Ibrahim. Fatevi una bevuta o combattete o qualsiasi cosa voi uomini facciate quando siete addolorati e lasciami passare queste ultime ore con lui, te lo chiedo per favore. - Hatice lo supplicò con lo sguardo e Selim, dopo essersi guardato intorno, annuì.
-Verrò tra qualche ora, ma nel frattempo manderò delle guardie qui fuori. Non sai mai cosa ci si può incontrare in questi sotterranei. - Il sultano le baciò la fronte e dopo averla guardata un'ultima volta, si allontanò con passo molto lento ed incerto.
Hatice sospirò, afferrando una sedia e sedendosi accanto all'uomo, o almeno a quello che era un uomo, prima di essere ridotto in quello stato. Lo guardava e non lo riconosceva, lo guardava e aveva il desiderio di toccarlo, per fargli sentire la sua presenza. Lei c'era e lo avrebbe amato nonostante tutto e tutti. Non importava se la sua pelle era tutta bruciata e se non aveva più capelli, lei amava il suo essere, il suo cuore grande e le sue battute squallide, amava la sua anima e il modo in cui i suoi occhi luccicavano quando sorrideva, amava il fatto che sapeva come prenderla e che non la desiderasse solo per il suoi soldi o per la posizione che era in grado di offrire. Lo amava perché era Iksander e solo lui avrebbe potuto veramente farla sentire Hatice. Persino Ibrahim non ci era mai riuscito come aveva fatto lui e se lei lo avesse perso quella sera, in quell'istante o anche molti più anni dopo, sarebbe morta dentro. Allah le avrebbe tolto un pezzo di cuore, un pezzo di anima, lasciandola incompleta, da sola e non capita.
Si erano trovati e stavano per separarsi.
Perché la vita era così orribile? Perché il destino si divertiva nell'umiliare, nel far soffrire e nel separare due persone solo per la sua stupida fede di divertimento? Dov'era la fortuna, quando ce n'era bisogno? La giustizia perché premiava solamente le persone cattive e le buone le prendeva a pesci in faccia?
Si vive solamente per morire, non c'è gioia, né felicità, né amore, solo dolore.
-Hatice... - La donna sussultò quando la voce arrochita dalle urla di Iksander la chiamò. - Sei arrivata finalmente... - Aveva spalancato gli occhi, i suoi bei occhi gentili e pieni di amore e la guardava. Non c'era niente che gli ricordasse l'uomo che era stato, oltre al suo sguardo e alla sua voce.
-Iksander, non ti affaticare, sai che verrò sempre da te, quando avrai bisogno. - Hatice ormai piangeva, singhiozzando, soprattutto quando lui le accarezzò la guancia, fregandosene del dolore che ogni singolo movimento le provocava. Lentamente le pulì il viso dalle lacrime e sorrise gentilmente e nel suo sguardo c'era tanto amore, ma così tanto dolore che tutto ciò la uccise, la fece a pezzi.
-Grazie... - Ma non ebbe modo di terminare la frase, poiché la morte se lo portò via improvvisamente. La sua mano scivolò dal viso della ragazza, segnando definitivamente fine alla sua vita.
Iksander se n'era andato via e un pezzo di Hatice con lui. Quel pezzo che le faceva provare dei sentimenti era morto con lui.


SPAZIO AUTRICE!!
Salve a tutti!
Come va? Mi scuso per l'enorme ritardo, ma queste sono state delle settimane di fuoco. Il primo quadrimestre è appena terminato e mi sono data da fare con lo studio, poiché eravamo pieni di verifiche ed interrogazioni!
Ad ogni modo questo è il nostro capitolo e spero che vi sia piaciuto. Da ciò che avete visto di Hurrem non si è parlato molto, poiché la vicenda di è principalmente concentrata su Iksander. Che dire? Mi è dispiaciuto dire addio a Iksander più che a Freya, poiché mi ci ero molto affezionata, ma era necessario, poi capirete il perché!
Spero comunque che vi sia piaciuto e lasciatemi un voto e un parere!
Al prossimo capitolo e scusatemi ancora per l'attesa.

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Capitolo 30
*** XXIX ***


 

La notizia secondo cui Iksander e Freya erano stati uccisi da un gruppo di briganti armati fino ai denti che li avevano derubati di tutti i loro beni, si diffuse in tutto il castello. Quando Roxelana ne era venuta a conoscenza si trovava nelle sue stanze con le sarte che le misuravano l'abito, che avrebbe dovuto indossare il giorno del matrimonio con Selim. Era rosso, lunghissimo e le fasciava il corpo non in modo volgare, aveva una piccola scollatura e sul corpetto c'erano state messe tante perle. Si piaceva, era perfetto per lei.

Ad ogni modo, quando una delle sarte le aveva riferito che aveva appena visto il Gran Visir, sconvolto dalla morte di Freya, fuggire via a cavallo, la futura sultana aveva ordinato loro di toglierle il vestito e di andarsene, con la scusa di avere un grosso mal di testa.

Aveva aspettato una mezz'ora circa prima di indossare uno dei suoi vecchi mantelli, sellarsi uno dei cavalli che nessuno utilizzava più e uscire da palazzo. Aveva pagato profumatamente le guardie per mantenere il segreto e per non dire niente al sultano, sperava solo che nessuno l'avesse vista.

Cavalcò per circa dieci minuti, verso il piccolo boschetto che circondava il castello. Gli alberi erano così alti da non permettere al sole di infiltrarsi e c'era un vento fresco che le si intrufolava sotto il mantello, facendola rabbrividire. Sapeva dov'era diretto Ibrahim, si recava lì ogni volta che qualcosa lo turbava o quando aveva bisogno di pensare; aveva portato lei qualche settimana prima, quando ancora la toccava, la guardava e le parlava. Era una grotta al cui interno c'era un lago che d'inverno si ghiacciava e d'estate si scioglieva e la quale acqua era una gioia per la pelle.

Roxelana fece fermare il cavallo, il quale nitrì, cominciando a brucare l'erbetta che c'era al suolo. Intorno a lei c'era solo natura, alberi, fiori, api, piante, uccellini che cinguettavano e il cavallo nero di Ibrahim.

-Ciao, bello. - La donna accarezzò il cavallo sul collo, guardandosi intorno. - Ti ha lasciato da solo, non è vero? -

Il cavallo nitrì, leccandole la mano con fare affettuoso per poi ritornare alle sue erbacce. Hurrem sorrise, guardandosi intorno di nuovo. Per arrivare alla caverna, si scendeva attraverso una cavità nel terreno, che trovò dopo vari tentativi; vi scivolò dentro, ignorando il timore che provava e si lasciò cadere. Atterrò pesantemente e in modo molto scoordinato, tant'è che rimase qualche secondo senza fiato quando si ferì alla mano su una pietra appuntita. Sentiva l'odore del suo sangue fra la puzza di chiuso e di piscio.

-Ibrahim! - Chiamò, udendo la sua voce rimbombare e lo squittio di topi e pipistrelli. Non vedeva nulla, se non una fievole luce provenire da infondo. - Ibrahim, se sei qui, rispondimi! -

Non ricevette nessuna risposta, continuando a brancolare nel buio con gli occhi sgranati e le mani che toccavano le pareti, speranzose di non scontrarsi con animaletti schifosi.

Due braccia l'afferrarono, scuotendola. Roxelana urlò e la bocca le fu tappata e quindi il suono attutito. - Sta' zitta, rossa, sono io. Se continui ad urlare così sveglierai le creature e tu non vuoi svegliarle, non è vero? -

Hurrem spalancò gli occhi e cercò di calmarsi, quando Ibrahim la lasciò andare, afferrandole la mano. Quando le sue mani callose e calde la toccarono, lei si sentì subito al sicuro e coraggiosa, il cuore cominciò a batterle forte, mentre uno strano formicolio la infastidiva allo stomaco. Seguì il Gran Visir in silenzio e facendo attenzione a dove metteva i piedi. La puzza di piscio, escrementi animali e chiuso stava scomparendo poco alla volta, lasciando il posto a quello dell'acqua salata, di candele e fresco.

Quando arrivarono, Ibrahim la lasciò andare, andando a sedersi dove si trovava probabilmente qualche attimo prima. La piscina naturale era quasi del tutto sciolta, c'erano alcuni piccoli pezzi di ghiaccio che galleggiavano in giro per il laghetto e candele sparse in disordine sulla terra sabbiosa, il gran visir era seduto su un tappeto persiano su cui erano state posizionate dei cuscini viola. Sembrava un imperatore dell'est, seduto sul suo trono, mentre fumava quella pipa.

-Da quando fumi? - Domandò la rossa, andando a posizionarsi al suo fianco. L'uomo non rispose, continuando a guardare nel vuoto mentre il fumo biancastro usciva dalle sue labbra e dalla pipa di legno. Roxelana lo guardò ed era stanchissimo e distrutto. Aveva appena perso sua moglie, era normale che lo fosse, una moglie che però tradiva. Non l'amava, ma allora perché ne era così distrutto? Un sentimento di gelosia si impossessò della mente della rossa, che decise di scacciare con tutto il suo buon senso per il bene dell'uomo che le stava al fianco. -Ibrahim, io ho saputo di Freya... Come stai? Cosa posso fare per te? -

-Perché sei venuta? Dovresti essere con Selim, era sua cugina. Non devi stare qui con me. - Nella voce di Ibrahim c'era rabbia, furore, gelo e disperazione. Un mix di sentimenti che si portava dentro da tutto il giorno e che in un modo o nell'altro aveva bisogno di vomitare su qualcuno. - Io non ti voglio qui. -

-Ibrahim, è con te che voglio stare adesso... Non con Selim. Lui ha Hatice, tu non hai nessuno con cui poter sfogare questo dolore... -

-E pensi che la tua vicinanza mi aiuterà a superare il dolore della perdita di mia moglie Freya? Ti sbagli di grosso! Io non ho bisogno di nessuno, quindi vattene. - Ibrahim non la guardava, continuava a fissare la superficie del lago. - Vai dalla tua vita perfetta, vai dal tuo amato, vattene via dalla mia di vita e lasciami disperare in pace. Sono venuto qui per stare da solo, non per stare con te. -

-No, non me ne andrò, perché io tengo a te. - Roxelana lo guardò seria, prendendogli la mano. Le sue parole la ferivano, ma questo non aveva importanza perché Ibrahim non era in sé e quando si è arrabbiati si dicono spesso cose che non si vorrebbero. Conosceva quel freddo Gran Visir, conosceva le sue sfuriate e sapeva com'era fatto, poiché loro erano simili, più di quanto a loro piacesse ammettere e credere. - Adesso sei arrabbiato e hai bisogno di me, della donna che ami, hai solo bisogno di amore. Del mio di amore e del mio di supporto. -

Ibrahim buttò nell'acqua la pipa, che affondò poco alla volta e si girò a guardare la rossa, che gli sorrise, accarezzandogli la guancia barbuta. La guardò con gli occhi lucidi, abbracciandola forte, fino a farle mancare il respiro e le poggiò la testa sulla spalla. Non pianse. - Non ce la faccio più, Roxelana... E' da quando sono un bambino che perdo coloro che amo. La mia famiglia, poi Hatice e adesso lei... Era diventata come una sorella, un'amica a cui avevo imparato a volere molto bene. Sapeva di noi e mi ha sempre appoggiato, nonostante sapesse non essere una buona idea continuare a vederci... Sono perseguitato dalla sfortuna, costantemente perseguitato. E non ce la faccio più! Vivo in una terra straniera e i figli di questa terra hanno ammazzato selvaggiamente tutta la mia famiglia e costretto quella che è rimasta a scappare. Sono diventato zio e non posso restare al fianco di mio nipote perché mio fratello è un pirata ricercato dal sultano! Tutti a palazzo mi odiano e non vedono l'ora che io muoia. Se non fosse per Selim, io non sarei qui ormai. -

-Non è la più facile delle situazioni, lo so, Ibrahim. Ma dovresti ringraziare per quello che hai. Molte persone non sono state fortunate quanto noi due, molte persone soffrono più di noi. -

-Preferisco soffrire la fame, che continuare così. Cosa credi che mi aspetti adesso? Un altro matrimonio combinato con una donna che a malapena conosco, mentre tu, la donna che io amo, si sposerà con il mio migliore amico. Sono infelice... sono molto infelice... - La voce gli si spezzò. - Sono un uomo senza onore e senza valori, perché so che quello che noi due abbiamo non è giusto nei confronti di Selim, ma continuo a non chiudere con te perché quello che provo nei tuoi confronti è tale da non riuscire ad immaginarmi un futuro senza di te. Rimpiango i giorni in cui ti odiavo, mia bella, li rimpiango, poiché allora ero ancora un uomo e adesso sono solo una nullità e... -

-Oh, Ibrahim... - Roxelana lo interruppe, baciandolo sulle labbra, intenerita dalla sua situazione. Sentiva un amore e tenerezza tali nei suoi confronti da non riuscire a contenere quel sentimento. Lo amava e se fosse stata un'altra sarebbe fuggita con lui. - Non dire così, te ne prego... -

L'uomo l'afferrò per le spalle allontanandola da sé. La guardava con una tale sofferenza, da spezzarle il cuore. - Se fossi un altro uomo, ti prenderei e scapperei con te il più lontano possibile. Ma non posso rinunciare alla mia vita, non adesso. Troppe persone ne rimarrebbero deluse. Ma quanto vorrei farlo, Roxelana, non sai quanto. -

-Lo so, Ibrahim, lo so perché anche io sento le stesse cose che tu senti per me. Ma amo anche Selim, questo lo sai e se vorrai... -

-Basta parlare, ho solo bisogno di te. - Ibrahim le si fiondò addosso, baciandola con foga. Roxelana sorrise, lasciandosi coccolare dalle sue braccia, dal tuo tocco e dalle sue labbra. Anche lei aveva bisogno di lui più di quanto voleva ammettere e non importava se si erano ignorati per tutto quel tempo, lei lo avrebbe perdonato sempre. Ci sarebbero voluti secoli, anni, giorni o secondi, lo avrebbe sempre perdonato e lo avrebbe sempre amato. Così era stato dal primo giorno in cui era piombato in casa sua e così sarebbe stato per sempre.

 

*** ***

I mesi passarono velocemente e il giorno dei matrimoni giunsero e se ne andarono velocemente.

Roxelana adesso era una donna libera, ma nonostante ciò continuava a sentirsi ancora in gabbia. Lei e Selim erano marito e moglie, due sultani potenti che aspettavano un erede. Questa volta la gravidanza della rossa era vera. La sua pancia aveva cominciato a crescere poco alla volta, diventando ,ogni mese che trascorreva, sempre più rotonda.

Hatice e Ibrahim si erano avvicinati sempre di più e avevano condiviso il loro dolore insieme, ritornando quello che erano stati prima dell'arrivo di Freya ed Iksander. Selim, convinto dalla madre, aveva accettato a dare in moglie sua sorella al suo migliore amico e così era stato. I matrimoni erano avvenuti contemporaneamente e tutti sembravano felici, contenti e lieti, anche se chi lo era realmente era solo il sultano e in piccola parte Hurrem.

Adesso, tre mesi dopo la data di celebrazione dei matrimoni, Hurrem Sultan e Hatice Sultan erano entrambe in stato di gravidanza.

Ormai, essendo una sultana a tutti gli effetti e avendo gli stessi, o quasi, diritti che aveva Selim, la rossa si stava occupando attivamente della politica dell'impero. Aveva imparato a farsi temere da tutti i visir e soprattutto aveva l'appoggio incondizionato di Selim, che stracontento per la gravidanza, le permetteva di fare ciò che voleva.

Proprio in quel momento era riunita con il consiglio dei visir, con Selim e Ibrahim e stavano discutendo di una legge che da circa tre mesi la donna aveva presentato al consiglio e che era decisa a far approvare.

-Miei signori visir e mio amato sultano, vi chiedo, ancora una volta, di prendere in considerazione la legge che vi ho presentato qualche mese fa. Voglio ed esigo che essa sia approvata, poiché sono anche io la sovrana di questo regno e come tale ho gli stessi diritti che ha mio marito e se pensate che solo perché ho un passato da schiava, io non possa esercitare il potere, allora vi farò vedere di cosa sono capace. - Disse seria, guardando in modo freddo le facce vecchie e rugose dei visir. - Io sono stata una del popolo e so, come tale, di cosa il popolo abbia bisogno. E ciò di cui in questo momento ha bisogno è proprio una legge che vieti il mercanteggiato di schiavi, almeno in questo paese. -

-Ma noi abbiamo bisogno di manodopera! -

-Signore, vada nelle strade più malfamate della città e lì ne troverà quante ne vorrete, di manodopera. Dobbiamo dare l'esempio, mie cari, non siamo Allah per decidere della vita dei poveracci. - Ibrahim la guardò, abbassando il capo per nascondere un sorriso d'orgoglio, stessa cosa che fece Selim. Si divertivano sempre nel guardare la rossa maltrattare e rispondere per le rime a quei vecchi visir.

-Bene, io penso che per oggi sia tutto. Ci rivediamo domani mattina alle dieci per discutere seriamente di questa legge, visto che ad Hurrem Sultan è così cara. - Disse Ibrahim, guardando con la coda dell'occhio la rossa al suo fianco. Selim sorrise, fermandosi a parare con alcuni di loro, mentre la rossa e il Gran Visir uscirono sotto braccio. Agli occhi del mondo avevano raggiunto una tregua, poiché ormai lui era suo cognato. E Selim sembrava esserne rimasto piacevolmente sorpreso.

Quando uscirono dalla sala del consiglio e furono abbastanza lontani Roxelana si fermò, staccandosi dal suo braccio e appoggiandosi ad una delle colonne. Accarezzava distrattamente la pancia leggermente gonfia, guardando il giardino fiorito. Faceva caldissimo, tant'è che il sudore le aveva attaccato i vestiti addosso.

-C'è una cosa che devo dirti, Ibrahim. - Ogni servitore che passava si inchinava ai due; si stavano recando nella sala per portare da mangiare ai visir e al sultano.

-Dimmi, ti ascolto. Ma se me lo dici così mi fai preoccupare... - Sussurrò Ibrahim, guardandola. Aveva assottigliato gli occhi e delle rughette glieli incorniciavano. Era tutto capelli neri, occhi chiari e bellezza disarmante, anche con quei leggeri segni dell'età.

-Sono incinta. -

-Questo lo sappiamo da tre mesi, Hurrem Sultan. Lo è anche mia moglie Hatice, se è per questo. -

-Sei tu il padre. - Sussurrò, deglutendo. Ibrahim spalancò gli occhi, irrigidendosi.

-Che cosa?! Siamo sempre stati attenti e... come è successo? Quando? Questo sì che è un bel guaio... - Era sbiancato all'improvviso, come se avesse visto un fantasma e gli avesse predetto la morte. Si torturava le mani, nervoso e impaurito.

-Lo so, Ibrahim, ma non riuscivo a trovare altri modi per dirtelo. E' successo quel giorno, nella grotta. -

-Ma dovevi dirmelo subito! - Sussurrò Ibrahim, andando fuori di testa. Non stava fermo un attimo e faceva avanti e indietro, cercando di pensare. - Avrei fatto qualcosa. -

-Che cosa? Non potevi e non puoi fare niente. Ormai siamo sposati e tu stai per diventare padre. -

-Padre di due bambini che non avranno la stessa madre! -

-Sssh, fa' silenzio o ti sentiranno. Vieni, andiamo nelle mie stanze. - Camminarono velocemente, rallentando quando incontravano le guardie o i servitori e quando arrivarono davanti alla porta, entrò prima il visir e poi la rossa.

-Come dobbiamo agire ora? - Domandò l'uomo, sedendosi sul letto, togliendosi il turbante e sbottonandosi la giacca per respirare. -Se Selim dovesse venire a saperlo, noi tre saremmo morti. Io, tu e il bambino. Un adulterio è una cosa, ma questo vuol dire contaminare la linea di successione!-

-Lo so, me ne rendo conto. Ma se te l'avessi detto prima, tu mi avresti detto di sbarazzarmi del bambino e io non voglio. E' il frutto del nostro amore. -

-Oh, Roxelana, ma non capisci? Questo bambino potrebbe rappresentare la nostra fine! Che cosa diranno quando crescerà e non noteranno nessuna somiglianza con il padre, ma con me, con il Gran Visir?! Queste cose verranno sempre a galla e noi a quel punto, saremmo spacciati. -

-E allora scappiamo. - Disse la donna, dicendo la prima cosa che le era venuta in mente. - Scappiamo lontano. -

-Non fare la sciocca. Selim ci darebbe la caccia a vita e poi non posso abbandonare Hatice, anche lei aspetta un figlio mio. - Borbottò Ibrahim, sospirando. - Oh Allah, aiutaci tu, cosa dobbiamo fare? -

-Aspettare e sperare che il bambino somigli a me e non a te. - Roxelana gli si avvicinò, sedendosi sulle ginocchia del visir che l'abbracciò stretta, poggiandole la fronte sulla guancia. Le piccole mani della donna gli accarezzarono i capelli scuri. - Come vuoi chiamarlo? -

-Mh, bella domanda... - Ibrahim sorrise, accarezzandole il ventre delicatamente e dolcemente. - Mihrimah se è una femmina e se è maschio... -

-Aleksandros, come te. - Roxelana sorrise, baciandolo sulle labbra, vedendo lo sguardo stupito di Ibrahim.

-Ma non è un nome turco. -

-Neanche suo padre, se è per questo. -

Ibrahim restò qualche altro minuto con la donna e fece finta di fantasticare sul futuro del loro figlio, poiché sapeva che quando sarebbe nato Aleksandros o Mihrimah, la morte e la furia di Selim si sarebbe abbattuta su di lui o su di lei. Sperava, per quanto si odiasse per quel brutto pensiero, che la rossa perdesse il bambino prima della nascita.

Solo in quel modo tutti loro sarebbero stati salvi e al sicuro.

 

 

 

SPAZIO AUTRICE!

Salve a tutti!

Come va? Le cose si mettono abbastanza male per i nostri poveri protagonisti, no? Secondo voi cosa accadrà?

Bene, vi posso solo dire che questo sarà l'ultimo capitolo felice della storia, poiché se non ho fatto male i conti, avremo altri due/ tre capitoli prima della fine, escluso l'epilogo.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ci sentiamo la prossima settimana con un altro aggiornamento.

Un bacio xx

 

PS. Se non avete niente da fare e in queste domeniche vi annoiate come me, andate a leggere la mia nuova storia 'La Famiglia Del Diavolo' xD

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Capitolo 31
*** XXX ***


Correva la ragazza dai capelli bianchi e la veste color del fuoco, incurante degli arbusti e dei rami sporgenti degli alberi che le strappavano la pelle, graffiandola violentemente e dei piedi nudi contro il terreno roccioso e irregolare. Ibrahim la osservava correre, mentre i lunghissimi capelli gli sfioravano il viso e la sua risata cristallina, risuonava per il silenzio della foresta. Gli sembrava di conoscerla, eppure non l'aveva mai vista in vita sua. C'era qualcosa nel suo modo di fare, nel suo profumo e nella sua risata che non riusciva a spiegarsi.
“Aspetta, ragazza, fermati e lascia che ti guardi!”, urlava il Gran Visir, cercando di raggiungerla, ma lei era sempre un passo avanti.
“No, non mi fermo, Ibrahim, continua a correre e stammi dietro!”, la ragazza si girò e Ibrahim poté notare solo una parte del suo viso. Aveva la pelle pallida e delicata, proprio come i suoi lunghi capelli ricci.
“Perché stiamo correndo, allora?”, domandò. La sua voce appariva attutita, come se fosse chiusa in una bottiglia di vetro.
“Non stiamo correndo, stiamo giocando!”, urlò la ragazza, girandosi verso di lui. Non aveva un volto o se lo aveva, Ibrahim non lo ricordava. “Vieni, avremo solo questo momento!”
“Perché? Che cosa succederà? Dove andrai?”, domandò il Gran Visir. All'improvviso si trovarono su una enorme spiaggia. Il sole illuminava tutto l'ambiente in modo accecante e l'acqua del mare era blu, cristallina e freddissima. Perfetta come quella della sua amata Grecia.  La sabbia aveva un meraviglioso colore dorato e ogni tanto vi si poteva trovare qualche conchiglia.
“Io da nessuna parte.”
“Allora perché hai detto così?”
“Ibrahim, perché parli da solo?”, l'uomo si girò di scatto e vide Roxelana, vestita di bianco e con il pancione, avvicinarsi a lui, lentamente. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e un enorme sorriso le incorniciava i lineamenti. Adesso che la gravidanza era in stato avanzato il suo viso  si era addolcito ed era chiaramente ingrossata, ma quei chili in più le donavano e la facevano sembrare più bella, le davano un certo calore.
“Non stavo parlando da solo, c'era una ragazza qui con me.”, borbottò, guardandosi attorno, ma la fanciulla dai capelli bianchi era scomparsa. Scrollò le spalle, afferrando la ragazza fra le braccia e stringendola in un abbraccio caloroso, stando attento al pancione. Infossò il naso fra i suoi capelli, annusandone il profumo. Continuava ad odorare di neve, dopo tutti quegli anni. “Non lasciarmi mai, mio amore.”
“Certo che non lo farò, siamo sposati. Il giorno in cui ci lasceremo sarà la morte per poi ritrovarci subito dopo. Mi dispiace per te, ma dovrai sopportarmi per sempre.”
“Che uomo sfortunato che sono!”, Ibrahim ridacchiò, poggiando una mano sulla guancia di Roxelana e baciandola sulla fronte. “Andiamo in casa, adesso.”
Ma i due non riuscirono a compiere un altro passo poiché furono attaccati. Uomini muniti di sciabole, che parlavano una lingua sconosciuta, che lui comprendeva alla perfezione. I turchi. Li accerchiarono prima che potessero fare qualcosa, Roxelana urlò quando due mani la afferrarono per le braccia, strappandola con violenza da lui. Ibrahim cercò di fare qualcosa, ma anche lui fu fermato. Urlò, si dimenò, cercò di fermarli ma fu impotente anche questa volta, mentre la donna che amava veniva uccisa davanti i suoi occhi. Roxelana cadde per terra; giaceva in una pozza di sangue con la testa staccata dal collo e gli occhi ancora aperti, mentre le braccia erano rimaste strette intorno al ventre, come per cercare di proteggere il bambino.
“Roxelana!”, urlò Ibrahim, straziato dal dolore mentre amare lacrime di rabbia e disperazione gli bagnavano le guance. Due turchi gli impedirono di muoversi, facendolo inginocchiare sulla sabbia ghiacciata e sporca di sangue, del suo sangue.
“Traditore.”, lo chiamavano, mentre lo costringevano a fare ciò che loro ordinavano. L'ultima cosa che vide, prima che la loro lama si abbattesse sulla sua gola, per subire lo stesso destino della sua amata, fu la ragazza dai capelli bianchi. Ed era così bella, che gli sembrò di osservare un angelo.
“Mi dispiace, angelo, ma devo andare.”
*** ***
Era incredibile come il tempo trascorreva, quando si aveva tutto ciò che si desiderava dalla vita. Roxelana, nel vedere crescere la sua pancia mese dopo mese, si sentiva sempre più mamma, sempre più buona, sempre più purificata dalle azioni malvagie che aveva progettato, fatto o solamente pensato. Quella creaturina non era ancora venuta al mondo e la stava rendendo una persona migliore. Si era particolarmente avvicinata con Hatice Sultan, più di quanto avessero fatto precedentemente, che ormai aveva superato la morte di Iksander, anche se si recava ogni giorno a lasciare dei fiori sulla sua tomba.
Tutto andava per il meglio, non c'era niente fuori posto e avrebbe continuato a sentirsi così per tutta la vita. Merito del suo bambino.
-Oh, Allah, grazie al cielo sei sola! - Ibrahim irruppe all'improvviso nella biblioteca, nella quale durante la mattinata Roxelana si recava per terminare i suoi studi sulla lingua e storia turca. Selim non c'era, aveva accompagnato la sorella al cimitero, che distava pochi minuti dal palazzo.
La rossa, nel vederlo entrare, sussultò per quanto era immersa nei suoi studi.
-Ibrahim, ma cosa fai? Mi hai fatta spaventare! Se ci fosse stato qualcuno qui con me, cosa ti saresti inventato?! -
-Non mi interessa. Ho fatto un sogno orribile e volevo solo assicurami che fosse una finzione e tu fossi ancora qui. - Ibrahim le si avvicinò e si inginocchiò; le accarezzò la guancia con la mano grande e callosa, mentre con l'altra il pancione.
-Che cosa hai sognato? Come vedi io sto bene, non devi preoccuparti. - Cercò di rassicurarlo la rossa con voce calma. Vederlo così sconvolto le faceva tenerezza, sopratutto se motivo di tanta preoccupazione era lei. In quei mesi Ibrahim le era sempre stato accanto, non facendole mai mancare le sue attenzioni e il suo amore. Fra lui e Selim, Hurrem non sapeva decidere chi sarebbe stato il padre perfetto.
-Ho sognato una ragazza, sembrava un angelo e te, con il pancione, e la Grecia. Eravamo felici, davvero felici e sposati. Ma la nostra felicità è durata poco, poiché loro sono di nuovo venuti a distruggere la mia vita, la nostra vita. Hanno ucciso te e il nostro bambino davanti ai miei occhi ed è stato così orribile, vederti morta e non poter, nuovamente, fare nulla per impedirlo, che mi ha sconvolto. Solo il pensiero di vivere senza di te, mi uccide. Sei diventata parte integrante della mia vita, tu e questi bambini che stanno per arrivare. Vivo solo per voi, perché vi amo. - Erano rare le volte in cui Ibrahim le diceva e pronunciava quelle parole, erano rare le volte in cui Ibrahim esternasse così i suoi sentimenti, ma ogni volta che lo faceva, il cuore perdeva un battito e sentiva, all'altezza dello stomaco, uno strano solletico che la faceva scuotere e sorridere. Sentirsi dire quelle due semplici parole dalle persone che più si amano, sentirsi ben voluti, amati, nonostante tutto e nonostante i litigi, sentirsi amati da Ibrahim Pascià, il freddo Gran Visir che l'aveva rapita, era la sensazione più bella e appagante del mondo, soprattutto perché quel sentimento era corrisposto. Lo amava, oh se lo amava e non avrebbe mai immaginato una vita senza la sua persona affianco, nonostante avrebbero continuato a vivere nell'oscurità della notte e nel silenzio. - Vivo solo per te, perché ti amo e sei l'unica persona in questo  mondo a rendermi veramente felice, a farmi adirare come pochi, ma nonostante questo, a strapparmi un sorriso il momento dopo, perché noi siamo fatti così, nonostante le nostre differenze di età e di cultura e di pensiero. Ci completiamo, siamo autodistruttivi, ma io amo te e tu ami me. Non importa quanto ci metteremo, ma un giorno staremo insieme. -
-Oh, amore... - Roxelana sorrise, asciugandosi una lacrima che le era scesa sulla guancia, furtivamente. - Dove sei stato per tutto questo tempo? -
-Sempre qui, ma eravamo troppo impegnati ad odiarci e bisticciare per rendercene conto. - Ibrahim sorrise, chinandosi e baciandole il pancione. Lo guardò, notando le scure occhiaie e i capelli sparati in tutte le direzioni, disordinati e neri, il contorno perfetto delle labbra e la folta barba scura. Era bello come sempre, nessuna differenza. Doveva solamente tagliarsi i capelli, poiché stavano diventando troppo lunghi. -Ad ogni modo, ho una notizia che ti renderà felice. -
-Avanti, allora, non farmi aspettare! -
-Io e Selim siamo riusciti a far approvare quella legge che hai presentato al consiglio. Non ci saranno più schiavi nell'Impero. Non ci saranno più persone come noi. - Ibrahim sorrise, notando la faccia buffa, misto tra felicità e incredulità, che si dipinse sul volto di Roxelana. Non riusciva a crederci, ormai aveva perso le speranze e dubitava persino che Selim avesse continuato ad insistere.
-Ma... Dici sul serio? -
-Sono serissimo. Questo era anche il motivo per cui ti sono venuto a cercare, pensavo Selim te lo avesse già detto. -
-Non abbiamo avuto modo di vederci oggi. E' stato tutta la mattinata fuori. Ma comunque è una delle notizie più belle che tu avresti mai potuto darmi! - Esclamò felice, buttandogli le braccia al collo e stringendolo forte. Guardandosi intorno, gli stampò un bacio veloce sulle labbra, in preda alla felicità. Sapeva fosse rischioso, ma non aveva saputo contenersi. -Adesso verremo ricordati per qualcosa di buono, non saremo semplici nomi scritti sui libri, saremo qualcuno! -
-Tu, sarai qualcuno. -
*** ****
Selim aiutò la sorella dal rialzasi da terra, dopo che vi aveva posato una rosa bianca. Recarsi a trovare Iksander, dopo tutto quel tempo, era ancora un momento doloroso per Hatice e nonostante aspettasse un bambino dal primo uomo che amava, Iksander era stata una parte ugualmente importante per lei, che avrebbe comunque portato dentro di sé. Non si supera mai facilmente l'abbandono o la morte di qualcuno che si è amato. Lui sarebbe rimasto per sempre lì, nel suo cuore e nei suoi pensieri e il tempo non avrebbe cancellato via nulla, se non l'esatto colore dei suoi occhi, quel piccolo neo all'altezza del labbro, quasi invisibile, il taglio imperfetto delle labbra, le mani belle ed eleganti e la voce... Quella sarebbe stata la prima ad essere dimenticata.
-Va tutto bene, Iksander. Sono felice e Ibrahim mi tratta come mi avresti trattato tu. Mi manchi, lo sai questo, no? Ma il dolore adesso è diventato più sopportabile, anche perché mio figlio mi da la forza per andare avanti. Ritornerò da te, prima o poi, e allora continueremo a restare insieme. - Hatice si asciugò una lacrima, che Selim notò, ma fece finta di niente. Le teneva la mano, stringendola forte e cercando di darle tutto il conforto di cui era capace. Non voleva vederla soffrire, era la sua sorellina, ma sapeva che non avrebbe potuto difenderla per sempre, per quanto ci avesse provato. Il dolore, il soffrire, il piangere e l'essere tristi fa parte della vita e come esseri umani non si può solamente gioire, ridere ed essere felici. - Io, finché vivrò, verrò sempre a trovarti. -
-Andiamo? E' quasi ora di pranzo e nelle tue condizioni non dovresti allontanarti molto da Palazzo, sorella mia. - Selim le accarezzò la guancia, pulendole della leggera sporcizia nera, terreno probabilmente. All'improvviso si udì un cavallo giungere velocemente, sollevando una enorme polvere giallastra dal terreno. Selim guardò l'uomo, aggrottando le sopracciglia quando notò il simbolo del palazzo. Era un messaggero.
-Che cosa ci farà mai uno dei nostri messaggeri? - Domandò la principessa, tossicchiando.
-Ah, lo stiamo per scoprire, spero niente di brutto. - Borbottò il sovrano, pensando immediatamente a sua madre. La Valide Sultana non era stata molto bene di salute in quel periodo e aveva sofferto molto. I Guaritori sostenevano che non avesse ancora molto da vivere.
-Mio Magnifico, vostra grazia Hatice Sultan. - Il messaggero, col fiatone si chinò, porgendo un pezzo di carta, che portava il sigillo di Ibrahim. -Dovete immediatamente ritornare a palazzo. -
-Perché? - Domandò Hatice, guardando prima suo fratello, che era sbiancato all'improvviso nel leggere la lettera, e poi il servitore. - E' successo qualcosa a nostra madre, Selim? -
-No, si tratta di Hurrem. Il bambino... E' giunto il momento. -
-Come? Ma è solo al settimo mese! - Esclamò la ragazza, strabuzzando gli occhi  preoccupata e sbalordita. - Devi correre a Palazzo, Selim. -
-Non posso abbandonarti così, in mezzo al nulla. -
-Non sono da sola, ci sono le guardie e c'è anche lui adesso. Io sono al sicuro. Prendi questo cavallo e corri a palazzo, ci metterai di meno di quanto ci metteremmo con la carrozza. -
Selim annuì, sospirando. Puntò lo sguardo sul messaggero che si guardava le scarpe e gli disse: -Porta mia sorella alla carrozza e assicurati che sia sempre al sicuro per tutto il viaggio. Una volta che sarete giunti a palazzo, vieni da me e avvertimi, d'accordo? -
-Come desiderate, mio magnifico. - Selim baciò velocemente la sorella sulla fronte  e scattò verso il cavallo, diretto verso Palazzo Topkapi e dalla donna che aspettava suo figlio. Stava finalmente per diventare padre dalla donna che amava, l'unica, la sua rossa. 
*** ***
Quando giunse finalmente a palazzo le urla di Hurrem si sentivano ovunque. Urlava come una forsennata di toglierle quella cosa che sembrava la stesse mangiando viva, supplicava i guaritori di fare qualcosa, qualsiasi cosa, poiché il dolore era insopportabile e sarebbe morta da un momento all'altro.
-Oh, Ibrahim, grazie ad Allah sei qui. Cosa le è successo? E' troppo presto, è ancora al settimo mese! - Selim, tutto sporco e sudato, aggredì quasi l'amico per sapere delle condizioni della moglie e del figlio.
-Non sanno cosa possa essere successo, Selim. Il momento prima stava bene e quello dopo ha avvertito dei forti dolori e il suo vestito si è macchiato di sangue. Ero con lei quando è successo. - Ibrahim sospirò, scompigliandosi i capelli scuri. Quel giorno non indossava il turbante e i suoi capelli ribelli erano un cespuglio indefinito sulla testa, così come quelli lunghi di Selim. -Sono chiusi lì dentro da circa dieci minuti e Hurrem Sultan non fa altro che urlare.  Non possiamo entrare, il Guaritore mi ha detto che nessuno può entrare se non le serve stesse, che portano erbe, pezze e acqua calda. -
-Oh, Allah, spero che il bambino e lei sopravvivano. - Il sultano sospirò, guardando la faccia pallida di Ibrahim, che nella confusione e ansia generale non aveva notato. Sembrava invecchiato all'improvviso di tre anni ed era come se avesse paura di qualcosa, come se custodisse un segreto che nessuno doveva scoprire. - Non preoccuparti per Hatice, comunque. Starà arrivando da un momento all'altro e stava benissimo quando l'ho lasciata. Se adesso vuoi andare, puoi. Il tuo compito è finito. Ti ringrazio, fratello, per esserle stato accanto. -
-Non è stato un dovere, poiché nonostante tutti i nostri battibecchi, quello che lei porta in grembo è anche un membro della mia famiglia. - Ibrahim deglutì, schiarendosi la voce. Adesso sembrava sul punto di vomitare.
-Ibrahim, sei sicuro di star bene? - Domandò il sultano, poggiandogli la mano sulla spalla, preoccupato. - Sembri sul punto di svenire. -
-No, sto bene, non preoccuparti. - Ibrahim forzò un sorriso poco convincente. Le urla di Roxelana si placarono all'improvviso e Selim sospirò di sollievo quando si udì un piccolo e fatuo pianto di bambino. Il guaritore uscì dalla stanza, pulendosi le mani insanguinate sulla veste.
-Mio Magnifico, Gran Visir. - Pronunciò a mo di saluto, inchinandosi. - Congratulazioni, è un maschio. Ci sono state delle complicazioni. Il cordone ombelicale si era stretto intorno al collo del bambino e rischiava di strozzarsi, ma fortunatamente con il nostro intervento abbiamo potuto salvare il vostro erede. Sia madre, che figlio sono in ottima salute. -
-Grazie ad Allah, posso vederli? - Esclamarono in coro sia il Gran Visir che il sultano. Selim si girò per guardare divertito l'amico, che tossicchiò imbarazzato.
-Certo, ma fate in modo che la sultana non si muova troppo. Adesso deve stare a riposo, non alzarsi e non fare sforzi. E' molto debole. - Il Guaritore si inchinò ai due e si diresse verso le camere della Valide Sultana.
-Selim, potrei entrare con te? - Domandò Ibrahim, avendo perso completamente il senno e imbarazzato. Selim annuì, circondandogli le spalle con un braccio ed entrando assieme all'amico nelle stanze della donna. La sultana era stata vestita e le lenzuola sporche di sangue e di liquidi venivano proprio in quel momento portati via. Hurrem era stesa sul letto, pallida e con i capelli legati sul capo tutti sudati. In faccia aveva una espressione stanca, ma felice al tempo stesso. Una delle levatrici aveva tra le braccia il nascituro e lo dondolava dolcemente tra le braccia, cantandogli una canzoncina per farlo addormentare.
-Finalmente sei qui, mio amore. -  Sussurrò prima di addormentarsi. Selim andò dritto dalla rossa, accoccolandosi al suo fianco e accarezzandole la pelle delicata del collo, mentre le sussurrava qualcosa all'orecchio. Ibrahim li guardò con la punta dell'occhio, ricacciando dentro di se la gelosia, mentre si recava dalla levatrice e da suo figlio.
Era piccolissimo, così piccolo da poterlo quasi tenere con una mano, una creatura tanto minuscola da sembrare una di quelle bambole, che usava Hatice da piccolina per giocare.
-Ciao... - Sussurrò il Gran Visir, accarezzando la pelle delicatissima e tenera del viso di suo figlio, il suo primo figlio. Era diventato padre per la prima volta e non poteva urlarlo al mondo perché il suo migliore amico credeva fosse suo. Quella cosina così piccola non avrebbe mai avuto il suo cognome, non avrebbe mai scoperto quali erano le sue origini, nonostante nelle sue vene scorresse sangue greco e non turco. -Benvenuto al mondo, piccolo mio. -
-E' talmente bello, non trovate Gran Visir? - Ibrahim guardò la levatrice, sorridendole. Poi si raddrizzò e dopo aver salutato Selim, aver lanciato un'ultima occhiata a Roxelana, uscì dalla stanza. Aveva una commissione importante da svolgere.
*** ***
Quando Selim tornò in camera per portare la cena ad Hurrem, notò la porta semiaperta e delle voci provenire da essa. Non era in compagnia quando se n'era andato.
-Avrei voluto restare con te tutto il giorno, avrei voluto essere io quello che ti curava le ferite e quello che si occupava del piccolo quando tu dormivi. Sono stufo di tutto questo stare nell'ombra, di fare tutto di nascosto agli occhi di Selim. Vorrei gridarlo, urlare al mondo che ti amo e che sei mia. - Quella era la voce di Ibrahim, notò con orrore Selim. Ci mancò poco che gli cadesse il vassoio dalle mani.
-Non fare lo sciocco, Ibrahim. Non possiamo rinunciare a tutto questo, non adesso che la situazione è così delicata. Pensa ad Hatice... E poi io amo anche Selim, non solo te. Non possiamo fargli questo...-
-Se non fosse per lei, perché le voglio bene, ti rapirei e lascerei questo maledetto posto. Rinuncerei alla mia vita, solo per te. -
-Lo farei anche io, se non fosse per Selim e per il bambino. - Hurrem sorrise, afferrandogli la mano. Selim si sentì mancare ed ebbe dei conati di vomito. Non volle sentire altro. Poggiò il vassoio per terra e corse in biblioteca, sedendosi. Strinse i pugni e la mascella, ripensando alla conversazione avvenuta tra sua moglie e suo fratello, o quello che una volta reputava essere tale.
Era stato uno stupido, cieco e imbecille. Gliel'avevano fatta sotto il naso, trattandolo come un idiota, pugnalandolo alle spalle nei peggiori dei modi, lo avevano manipolato, gli avevano mentito! Loro, le persone per cui sarebbe morto e avrebbe ucciso, le persone che più amava al mondo.
No, bastava così; le cose stavano per cambiare, il suo animo e il suo cuore erano feriti. Voleva vendetta e avrebbe fatto cambiare le cose adesso. Era il sultano dell'impero più grande e potente del mondo, non un idiota qualunque da poter raggirare.
Il gioco, adesso, lo dirigeva lui.
 

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Capitolo 32
*** XXXI. ***



 
 
-Hatice, Ibrahim mi ha riferito che la casa che aveva ordinato di costruire per voi due e per i vostri figli, è completa. Domani stesso vi trasferirete o mi sbaglio? - Selim guardò la sorella, mentre si portava un chicco d'uva in bocca e guardava il Gran Visir, con la punta dell'occhio, conversare con sua madre. La teneva sottobraccio, poiché era ancora molto debole e faticava a restare in piedi. Sembrava, però, che la nascita del nipotino le avesse fatto bene. In effetti aveva risollevato il morale a tutti, tranne che al sultano che era continuamente ossessionato dalla conversazione che aveva udito qualche giorno prima. Selim aveva cominciato a pedinare il Gran Visir e la sultana, li aveva visti incontrarsi di notte e di nascosto, uscire dal castello e recarsi in una grotta segreta poco lontana dal Palazzo.
Sua moglie e il suo migliore amico lo tradivano, si vedevano di nascosto e chissà per quanto tempo lo avevano fatto, prima che lui, stolto, lo scoprisse. Il suo animo e il suo orgoglio erano feriti, non provava più nessun tipo di affetto per il Gran Visir, lo odiava. E per quanto avesse provato ad odiare anche la rossa, non ci riusciva, l'amore che provava nei suoi confronti era troppo forte per riuscire a placarlo così all'improvviso.
Più ci ripensava, più ne rimaneva deluso. Non avrebbe mai creduto che proprio lui gli avrebbe fatto una cosa del genere, mai, non gli aveva neppure sfiorato la mente. Pensava che Ibrahim gli fosse completamente fedele. E adesso Selim voleva vendetta, vendetta per il suo orgoglio ferito e per il suo cuore spezzato. Ma prima di tutto doveva mettere al sicuro sua sorella Hatice, doveva aspettare solamente un giorno. Ancora un giorno e il suo animo sarebbe stato finalmente libero.
Ibrahim l'avrebbe pagata cara.
 
*** ***
-Quando avevi intenzione di dirmelo, Ibrahim Pascià? - Proruppe Roxelana, entrando nella camera del Gran Visir, nella quale tutte le sue cose erano state posizionate in bauli, pronti ad essere spostati nella nuova casa.
Nonostante la rossa avesse partorito da pochi giorni, si trovava in ottime condizioni e riusciva a camminare e spostarsi in autonomia. Il suo ventre era ancora leggermente gonfio, ma con il tempo e con l'esercizio fisico, sarebbe ritornata come quella di un tempo. Adesso, però, nel suo abito premaman, che le cominciava a stare già molto largo, la sultana appariva veramente arrabbiata.
-Era questione di tempo prima che tu lo venissi a sapere. Chi te l'ha detto? - Ibrahim sospirò, poggiando il libro che stava leggendo sul letto. Si alzò, andandole incontro. Sarebbero stati soli ancora per qualche minuto, poiché Selim e Hatice erano andati nelle stanze della Valide Sultana a vedere come stesse.
“Ho sentito mio marito parlarne con tua moglie. Bell'uomo che sei! Lascerai me e tuo figlio qui?! Ibrahim, te lo dico adesso e non te lo dico più, azzardati solamente a lasciare questo Palazzo e non vedrai mai più né me, né tuo figlio! - Lo minacciò la rossa, puntandogli un dito sul petto.
-Ma che cosa stai farneticando? Non ho nessuna intenzione di abbandonarvi, ma solamente di trasferirmi in città, a pochi metri lontano da te. Ho una famiglia ora, non sono più solo, devo pensare anche a loro... Cosa vuoi che faccia, rinunciare alla mia vita per te? Tu non lo faresti, perché dovrei farlo io? -
-Non dovevi necessariamente costruiti un palazzo tutto per te, razza di egocentrico con manie di grandezza! Oppure semplicemente continuare a vivere qui, questa fortezza è enorme! Non hai neanche avuto la decenza di avvertirmi. -
-Oh, certo, l'egocentrico sarei io adesso? Ma sentiti! E per la cronaca non sono così facilmente manipolabile come Selim. Non riuscirai a farmi cambiare idea, utilizzando solamente il tuo bel visino, perché non sono una tua marionetta e come gestire la mia famiglia, lo decido io. - Ibrahim stava urlando. Aveva afferrato Roxelana per le spalle e la muoveva come fosse una bambola di pezza.
-Perché mi dici queste cose? Pensi davvero che sarei in grado di manipolarti?-
-Certo che sì! E stai cercando di farlo anche adesso! Sei solo una vipera dal veleno mortale e per avere ciò che vuoi, saresti capace anche di uccidere e sappiamo entrambi che ne sei capace! -
-Perché mi parli così? Perché mi tratti male, cosa ti ho fatto? - Gli occhi della sultana si riempirono di lacrime, quando la stretta dell'uomo sui suoi arti aumentava sempre più.
-Perché credo che la nostra storia debba finire qui. Ci ho pensato molto in questi giorni e per quanto mi dispiaccia... Non possiamo continuare. Il senso di colpa mi sta divorando e adesso che abbiamo dei figli la situazione è peggiorata, non possiamo essere egoisti, dobbiamo pensare a loro. - Il Gran Visir la lasciò andare, calmandosi. Si era reso conto di aver esagerato, la sua reazione era stata fuori luogo e non avrebbe voluto trattarla così, quando non aveva nessuna colpa.
-Quindi tu suggeriresti di lasciarci così all'improvviso e tornare ad odiarci? -
-Non possiamo per forza odiarci, possiamo essere semplicemente... -
-... Ti prego non dire quella parola... -
-… amici. -
-Oh, Ibrahim, non hai ancora capito che fra noi due non può esserci amicizia? Solo amore o odio. E io non voglio tornare ad odiarti, non adesso che dispongo di tutto questo potere. -
-Non vedo altra via d'uscita... Vuoi veramente continuare a rischiare? Selim secondo me comincia a sospettare qualcosa, ci sta sempre addosso e non ci lascia mai da soli. Se dovessimo venire scoperti, tutti coloro che amiamo finirebbero in mezzo. -
-Tu sei l'unica persona a cui potrebbe essere fatto del male, Ibrahim... Siamo fatti per stare insieme, perché non abbiamo avuto niente dalla vita, solo sofferenza. Ci siamo trovati per caso e adesso dobbiamo lasciarci andare. Non sono pronta. - Roxelana scoppiò in lacrime, buttandosi tra le braccia dell'amato che la strinse a sé, accarezzandole la schiena delicatamente. La rossa gli accarezzava la nuca, mentre le  lacrime di disperazione gli bagnavano la camicia. Ibrahim sospirò, chiudendo gli occhi e imprimendo nella sua memoria quello che sarebbe stato il loro ultimo abbraccio, l'ultimo tocco, l'ultima carezza, l'ultimo bacio, l'ultimo saluto. - Quindi è un addio? -
-E' più un arrivederci, fino alla prossima vita. -
 
*** ***
 
Il sultano lo stava aspettando nella sala del trono, seduto sulla sua bella e comoda sedia da sovrano. Giocherellava con le pedine in legno poste sulla cartina, mentre tanti pensieri gli frullavano per la testa, mescolandosi alla realtà.
Ricordi, soprattutto, di anni ormai passati, lontani, non recuperabili, felicità che più avrebbe riavuto indietro. Ibrahim sporco e puzzolente che aveva paura a rivolgergli la parola; Ibrahim che lo salvava tutte le volte da cadere da cavallo; Ibrahim che catturava un popolano che aveva cercato di accoltellarlo; Ibrahim che gli aveva dimostrato tante di quelle volte la sua riconoscenza, la sua fedeltà, il suo amore, da perdere il conto; Ibrahim che lo tradiva nel peggiore dei modi, rubandogli l'amore della sua vita, la madre di suo figlio.
Si udì un piccolo rumore e dopo la porta venne aperta, rivelando una faccia abbastanza sconvolta di un altrettanto Ibrahim ridotto a pezzi, sembrava addirittura avesse pianto.
Il Gran Visir si inchinò, baciando l'anello del sultano; gli sorrise, un sorriso molto sforzato anche per un bravo attore come lui.
-Eccomi qua, Selim, per cosa mi hai fatto chiamare? - Ibrahim lo guardò, sedendosi al suo fianco.
-Come puoi continuare a guardarmi negli occhi dopo tutto quello che hai fatto? -
-Come? Non capisco cosa tu stia... - Ma non era più il momento di fingere, Ibrahim se ne rese conto, infatti sbiancò e deglutì.
-So tutto. E' inutile che tu faccia il finto tonto. So tutto di te e di Hurrem... o forse dovrei chiamarla Roxelana? - Selim fece un sorriso disgustato, godendo quando le mani di Ibrahim cominciarono a tremare.
-Ascoltami, Selim, prima che tu faccia qualcosa di cui poterti pentire. Posso spiegare... -
-No! Non c'è nulla da spiegare adesso. Eri il mio migliore amico, ti reputavo un fratello, non ti ho mai fatto mancare nulla. Perché? -
-Non c'è un motivo, Selim, è accaduto e basta. Abbiamo cercato, ho cercato per rispetto nei tuoi confronti e quelli di Hatice di fermarmi, di mettere fine a tutto ciò, ma sai com'è Hurrem, sai che i sentimenti che quella ragazza ti fa provare ti ardono, ti consumano, ti rendono schiavo. - Ibrahim sospirò, scrollando le spalle. Guardava per terra, non nei suoi occhi.
-Successo e basta, mi dici... Successo e basta! Non hai neanche cercato di negare. Pensavo fossi diverso da tutti quelli che hanno cercato di usarmi solo per il mio potere e per il mio essere il sultano. Pensavo mi fossi amico perché volevi esserlo veramente, ma evidentemente mi sono sbagliato. Mi hai ingannato per tutto questo tempo. - Nella voce di Selim adesso c'era solo molta delusione e stanchezza, più che rabbia.
-Non puoi realmente averlo pensato, fratello, sai che ti voglio bene e che non me n'è mai importato niente del tuo denaro e della tua posizione, sono cresciuto con te, ti sono sempre stato fedele, ti ho sempre protetto. Ho sbagliato, questo è vero, ma ho messo fine alla nostra storia. Hurrem tiene più a te che a me, lei ama te e... - Ibrahim sembrava come impazzito. Aveva gli occhi spalancati per il terrore e parlava così velocemente da faticare a seguirlo e sentirlo.
-Fratello! Continui a chiamarmi così, dopotutto. Ma hai perso il diritto di chiamarmi a quel modo! Mia madre aveva ragione, non dovevo offrire la mia fiducia e il mio amore ad uno schiavo. - Selim sbatté il pugno sul tavolo, serrando la mascella, alzandosi dalla sedia per avvicinarsi ad Ibrahim che, nel udire quelle ultime parole, si era sollevato e lo guardava come se lo avesse colpito. Il sultano gli fu talmente vicino che il Gran Visir poté sentire il suo alito sulla pelle del viso, che dava di vino. - Perché potrà anche cambiare la tua posizione, il tuo modo di comportarti, il tuo accento o la tua cultura, ma sei e rimarrai uno schiavo, uno straniero che non appartiene a questa terra. -
Ibrahim fece un passo indietro, avendo finalmente capito la gravità di quello che aveva fatto, non che prima non la comprendesse fino infondo. Selim non lo aveva mai chiamato in quel modo, mai, neanche durante le loro discussioni. Quello fu come ricevere una pugnalata alle spalle, fu come se Selim lo avesse tradito, ma non quel genere di tradimento che aveva compiuto Ibrahim, no, andava oltre. Era qualcosa che lo feriva nella dignità, nell'animo, nell'essere e non solo nell'orgoglio; era un commento che lo feriva come persona, poiché, così dicendo, Selim affermava che lui, Ibrahim, era nient'altro che una sua proprietà, un oggetto, un qualcosa che non valeva nulla, senza patria, famiglia, lingua e origini.
Era tutto ciò che per tutta la vita aveva cercato di non essere, aveva cercato di dare il meglio di se per integrarsi, per far felice Selim e Hatice, per sentirsi apprezzato, ma tutti i suoi sforzi, tutte le sue fatiche, tutte le sue lacrime trattenute e i suoi incubi sui suoi genitori mai rilevati, tutte le sue paure tenute all'oscuro,  non erano serviti a nulla. Era uno schiavo, uno straniero e adesso uno sporco traditore... In poche parole era la feccia.
Dopo tutto ciò che aveva fatto però, Selim aveva ragione.
Era un traditore perché aveva preso sua moglie, che gli aveva addirittura dato un figlio. Aveva contaminato la linea di successione, aveva tradito la sua fiducia in tutte le maniere possibili e immaginabili. Aveva ucciso suo padre...
Era uno schiavo, poiché era straniero ed era stato rapito dalla sua terra d'origine, la sua amata Grecia.
Era stato un Gran Visir certo, ma solo perché Selim aveva voluto così, perché il suo affetto nei suoi confronti, era talmente alto da avergli fatto un simile regalo.
E in quel momento era una nullità, che non meritava di vivere per tutto ciò che aveva fatto. Ma se c'era una cosa sulla quale non aveva mentito, era stato l'amore per Selim che reputava alla pari di Costa, suo fratello.
-Selim, so che sei arrabbiato per i miei sbagli e ne hai tutti i motivi, ma se c'è una cosa che non cambierà fra noi due, è il legame che abbiamo, il sentimento di fratellanza che ci lega. Per quanto tu ci abbia provato, non smetterai mai di amarmi. - Ibrahim gli si avvicinò, poggiandogli la mano sulla spalla. - Abbiamo giurato davanti ad Allah, ci siamo legati da un patto che non si può sciogliere né in questa vita, né nella prossima.  Dove andrai tu, andrò anche io, ti seguirò anche oltre la morte e ti proteggerò a costo della mia vita. Ti perdonerò quando sbaglierai e tu farai lo stesso con me, perché siamo fratelli e dopo questo patto lo saremo a vita. - Citò, ma vedendo l'espressione apatica del suo interlocutore, il suo entusiasmo si spense. - Non te lo ricordi? -
-Certo che me lo ricordo, ma quel giuramento non ha più valore, ho fatto in modo che fosse così. E per me sei come morto, lo sei dal momento in cui le mie orecchie e i miei occhi vi hanno udito e visto peccare. Sono un uomo paziente, amorevole e giusto, ma il tradimento è qualcosa che non sopporto, lo sai bene, questo. - Selim si scostò, lasciando che il braccio di Ibrahim ricadesse sul suo fianco.
-Quindi mi stai davvero dicendo che avresti il coraggio di uccidermi? Non ti supplicherò, poiché so che non serviranno a nulla le mie suppliche. Ma vorrei solo assistere alla nascita di mio figlio, se non per me, fallo per Hatice. -
-Mio nipote avrà un altro padre prima che il tuo cadavere possa diventare freddo. -
Ibrahim sbiancò, serrando la mascella. Il sultano fece un gesto con la mano e due eunuchi neri uscirono all'improvviso dall'ombra, armati solo di una sciabola affilata e mortale.
-Uccidetelo, ma fate che sia qualcosa di veloce. - Ordinò con voce fredda, ma
prima che Selim avesse solo il pensiero di fare un passo e andarsene, Ibrahim lo afferrò per un braccio fermandolo. Gli eunuchi neri agirono nell'immediato, afferrando il Gran Visir per le braccia e staccandolo dall'imperatore, che lo guardava con aria superiore e distaccata.
-Uccidimi tu, voglio che lo faccia tu, mio magnifico. E che mi guardi negli occhi. - Ibrahim si dimenava, mentre le guardie cercavano di farlo stare fermo.
-Lasciatelo e andate a chiamare la sultana, fatela venire qui dopo che io sarò uscito. Non dite a nessuno, soprattutto a mia sorella Hatice, cosa sta accadendo qui. -
-Sì, mio magnifico. - Risposero in coro i due eunuchi, dileguandosi alla svelta.
Selim estrasse la sua spada dal fodero e la punto dritta al cuore del Gran Visir, i loro sguardi incatenati l'uno con l'altro.
-Selim...-
-Lo so, cosa stai per dirmi. Mi prederò cura di tuo figlio, infondo è anche mio nipote. - Ibrahim inspirò, sorridendo. Era pronto. - Addio, Ibrahim Pascià, amato fratello e odiato traditore. -
La spada lo trafisse all'istante, attraversando ossa, carne e cuore. Il corpo dell'uomo cadde per terra, mentre spruzzi di sangue uscivano dalla ferita, sporcando il pavimento, il tavolo, la cartina, tutto. Ibrahim guardò il sultano abbandonare la spada per terra, pulirsi le mani sulla veste ed uscire dalla stanza senza versare una lacrima, senza aggiungere altro. Tutto ciò che si voleva dire, era stato detto; tutto ciò che si voleva fare, era stato fatto.
Adesso c'era solo la morte e forse sarebbe stata un sollievo.
“E così muoio da solo.”, pensò Ibrahim, versando l'ultima lacrima che gli era rimasta in corpo.
Si spense qualche minuto prima che la sua amata, la sua rossa, la sua Roxelana, entrasse nella stanza e le cadesse il mondo addosso.
Il fato poco alla volta stava tirando le somme. Una vita era già stata presa dalla paziente e fredda morte, cosa ne sarebbe stato di Roxelana?

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Capitolo 33
*** Epilogo. ***




“Non siamo stati nulla, non siamo stati fidanzati, in fondo non siamo stati neanche amici, siamo stati solo due sconosciuti che in un punto della loro strada si sono scontrati, siamo stati un incidente.”




-Ibrahim! Ibrahim! - Le urla di Roxelana si udivano per tutto il Palazzo. La rossa correva, le lacrime che le bagnavano le guance e il sangue che scorreva sulle sue gambe, dovuto alla ferita non ancora rimarginata del parto.  Era scalza, in camicia da notte e avrebbe potuto avere un collasso da un momento all'altro,  ma non le importava del decoro, l'unico suo pensiero era Ibrahim. Doveva raggiungerlo prima che fosse troppo tardi.   Gli eunuchi neri di Selim l'avevano avvertita, li aveva costretti a raccontarle tutto e loro lo avevano fatto. Le avevano detto che Selim stava per giustiziare il Gran Visir, in gran segreto, e che aveva chiesto anche di lei.
Allora la sultana aveva compreso che suo marito sapeva, sapeva della loro relazione, sapeva tutto e se la stava prendendo con Ibrahim, uccidendolo.
-Ibrahim! - La rossa aprì le porte della sala del trono, trovandolo lì.
Lui era  steso per terra, solo in mezzo ad una pozza di sangue, ancora denso e caldo, bianco come un lenzuolo. Era troppo tardi, la morte se lo era portato via. - No! No! Ti prego, no! -
Roxelana corse da lui, lasciandosi cadere sulle ginocchia, che cozzarono dolorosamente contro il pavimento. Se ne infischiò del dolore, della ferita che continuava a pulsare e che facendo così, peggiorava le cose. Quella vista, lui, il suo Ibrahim morto, era peggio di qualsiasi cosa le fosse capitato fino a quel momento.
-Amore mio, no! Non tu! Non tu tra tutti, ti prego! Svegliati! - Piangeva, mentre si trascinava verso di lui, distrutta dal dolore, sembrava che le avessero strappato il cuore dal petto. Lo prese, rabbrividendo quando la sua pelle entrò in contatto con quel liquido denso, caldo, dall'odore metallico. Nonostante lei lo avesse stretto fra le sue braccia e continuasse a scuoterlo, a baciarlo sulla fronte, a chiamarlo, lui non rispondeva.
-Oh, sorte maledetta, che cosa ti avrò mai fatto? Che cosa?! Ti sei portata via il mio Ibrahim, l'amore della mia vita e mi hai lasciato un figlio a ricordarlo. Come farò a guardarlo adesso che lui è morto? - Guardò il cielo, inveendogli contro, mentre il corpo freddo di lui le accapponava la pelle. Eppure il suo sangue era ancora caldo e la sua pelle aveva ancora lo stesso odore di qualche ora prima, quando si era staccata dal suo abbraccio e se n'era andata via.
Roxelana urlò, pianse e si dondolò, abbracciando e baciando il corpo senza vita di Ibrahim, sperando con tutta se stessa che, così facendo, avrebbe sentito qualcosa; la sua voce o un lieve battito del cuore o magari un sospiro. Qualcosa era sempre meglio di niente.
Sperava che quello fosse un brutto incubo e che l'uomo che amava non fosse davvero morto. Il dolore la lasciava senza fiato, incapace di pensare lucidamente e in quel momento avrebbe tanto voluto avere qualcosa fra le mani e ferirsi mortalmente.
-Oh, come sei bello. Anche dopo che la morte ti ha rubato così tragicamente la vita, tu hai saputo preservare la tua bellezza. I tuoi capelli neri, le tue belle labbra rosee e i tuoi grandi occhioni cangianti, pieni di vita, che adesso sono vuoti, insignificanti, opachi. Ti ricorderò per sempre, amore mio, mio primo amore. Ricorderò tutto ciò che in questo tempo mi hai dato e non lo dimenticherò. Vivrai per sempre e quando ci rincontreremo, sarà per stare insieme. - Roxelana si asciugò le lacrime, sporcandosi il viso di sangue. L'odore della morte, dell'assassinio, era ovunque. - Perché per quanto si odieranno e litigheranno, non c'è nessun Ibrahim senza la sua rossa e nessuna rossa senza il suo Ibrahim. -
Lo guardò per l'ultima volta, cercando di imprimere tutti i particolari nella sua memoria. I bei lineamenti, i capelli neri sempre fin troppo lunghi e che crescevano sempre velocemente, le ciglia lunghe, le sopracciglia folte e scure, le labbra perfette e morbide, la barba morbida. Il suo modo gentile e passionale di baciarla e quello possessivo delle sue braccia, il modo in cui la sua folta barba le solleticava il viso. Le belle mani eleganti ma callose, la sua altezza, la voce bella e profonda.
Il suo Ibrahim fonte di grande dolore e grande amore.
Si chinò per l'ennesima volta e lo baciò sulle labbra. Flash del loro primo incontro le passarono per la mente, che si sforzò di ignorare, troppo dolore.
-Addio, Ibrahim Pascià, mio amato e mio odiato. -
Si sollevò dal suolo, cercando di ignorare il suo cadavere e corse fuori, lasciandosi cadere per terra, rannicchiandosi in un lato e piangendo. Pianse, pianse così tanto da esaurire le lacrime per le prossime tre vite.
In quel momento le vennero in mente le parole della strega, della maledizione e seppe che tutto ciò era vero, era stata colpa sua, delle sue parole.
“Sarai la sua rovina, la sua assassina, morirà per causa tua. Il vostro bambino sarà maledetto, Roxelana, i tuoi capelli ti hanno macchiata. Piangerai e respirerai sangue fino alla fine della tua vita.”
La prima parte della maledizione si era avverata, cosa sarebbe accaduto a lei e al suo bambino?

*** ***
Qualche ora dopo Selim la raggiunse, non sorprendendosi affatto di trovarla lì e in quello stato. Sapeva non avesse avuto la decenza di controllarsi, l'avevano sentita tutti, ma non sapevano il motivo delle sue lacrime. Non l'avrebbero mai saputo, nessuno, altrimenti sarebbe apparso un vile e un debole.
-Prendete il corpo del Gran Visir e dategli una degna sepoltura. Mia sorella vorrà andare a visitare anche la sua tomba. - Ordinò agli eunuchi, che non si fecero ripetere l'ordine due volte prima di agire silenziosamente. Si voltò verso la moglie e si chinò al suo fianco, scostandole i capelli dal viso. -Hurrem, andiamo nelle nostre camere. Hai dato fin troppo spettacolo per oggi. -
-Perché? Perché lo hai fatto? Era il tuo migliore amico, Selim, un fratello per te! - La rossa alzò lo sguardo, guardandolo negli occhi. Era distrutta dal dolore e per quanto il sultano provasse ancora dell'odio nei confronti dell'ex amico, la compassione e il dolore di vederla stare male lo sopraffacevano.
-Non doveva sedurti. Ha ferito il mio orgoglio e tradito il suo sultano, quando aveva detto... -
-Va bene, non mi importa, poiché qualsiasi motivazione era futile davanti all'uccidere il proprio fratello... A me cosa farai? - Roxelana si alzò, aggrappandosi al davanzale di uno dei balconi. Aveva perso molto sangue e si sentiva sfibrata, non aveva più voglia di vivere, di resistere. - Voglio solo dirti che è stato qualcosa che è cominciato per caso, non avevamo intenzione di ferirti e mi dispiace Selim, mi dispiace, perché io ti amo, ti amo quanto lui, solo che Ibrahim è stato il primo. - Fece un sorriso triste, afferrando la mano che il sultano le  porse, ma prima che lei riuscisse ad afferrarla, perse i sensi, cadendo al suolo.
Selim la sollevò da terra, lasciandole un bacio sulla guancia. La guardò, non riuscendo ancora una volta a provare rancore nei suoi confronti, perché sapeva fosse la verità, sapeva che l'amore che Hurrem provava nei suoi confronti era vero, reale, non frutto di un interessamento politico o di denaro.
Col tempo, si disse, avrebbero dimenticato entrambi. Lei avrebbe dimenticato di aver mai amato Ibrahim e lui avrebbe dimenticato il loro tradimento e di aver ucciso il suo migliore amico, l'amante di sua moglie e il marito di sua sorella.
-A te, mia bella Hurrem, non potrei mai fare nulla, poiché il mio amore nei tuoi confronti è troppo grande, tale da impedirmi di agire contro di te. - Se la sistemò fra le braccia, scomparendo poco alla volta nel lungo e semibuio corridoio di Palazzo Topkapi.
Il destino non aveva ancora terminato di disporre le sue carte, l'ultimo pezzo del puzzle stava andando al suo posto, cosa stava per accadere?
Era la fine o solo l'inizio?

*** ***




Istanbul, 2017.

I rumori della città erano indistinguibili. Automobilisti infuriati suonavano i loro clacson contro il traffico senza pietà, camion si incastravano in vicoli troppo stretti e persone si muovevano velocemente sui marciapiedi, chi telefonando, chi parlando, chi camminando.
La giornata stava finalmente giungendo al suo termine e i lavoratori potevano far ritorno alla proprie case.
Il tramonto era meraviglioso; colorava il cielo di arancione, mentre il sole sembrava essere inghiottito dal Bosforo.
Il cellulare della donna trillava da circa dieci minuti, che ella ebbe a malapena il tempo di controllarsi un'ultima volta allo specchio, prima di afferrare le chiavi del suo piccolo appartamento e la borsetta.
I   capelli ondulati e rossi le arrivavano a malapena all'altezza delle clavicole. Non aveva mai amato i capelli corti, ma voleva cambiare. Le sembrava di portare lo stesso taglio di capelli da secoli!
Non si era truccata, ma aveva usato del semplice mascara per dare un po' di volume alle ciglia ed evidenziare i suoi occhi verdi da cerbiatta. Le lentiggini sul naso e sulle guance, che tanto odiava, erano ancora lì e non sarebbero mai scomparse.
Quel giorno appariva tremendamente pallida, più di quanto lo era di solito; aveva la pelle bianchissima.
Sentiva uno strano senso di nausea all'altezza dello stomaco e non sapeva spiegarne il motivo.
Indossava un paio di jeans stretti e strappati alle ginocchia e una semplice maglietta verde, che le metteva in risalto gli occhi.
Doveva semplicemente uscire con la sua amica Kadir e il fidanzato di lei, Drake, il quale aveva in mente di farle conoscere un ragazzo, poiché non usciva con un esponente dell'altro sesso da molto tempo. Tuttavia dubitava che avrebbe trovato l'amore.
L'appuntamento era al 'Sultan's eye', l'occhio del Sultano, il loro bar preferito. Era lì che lei, Kadir e Drake si erano incontrati ad una festa di carnevale. Loro erano vestiti da pirati, mentre lei da principessa. Le piacevano le epoche passate, per questo studiava Storia e Filosofia all'università.
Quando il telefono trillò un'ennesima volta, Alexandra lo afferrò, portandoselo all'orecchio. La voce di Kadir urlò nel suo orecchio talmente forte, che la ragazza dubitava di avercelo ancora: - Dove cazzo sei? E' da mezz'ora che ti aspetto, muovi il tuo culo da principessa e raggiungici subito! -
-Sto arrivano, Kadir, non urlare. Per poco non ho perso l'udito! - Urlò di rimando la rossa, attirando l'attenzione di parecchie persone, ma l'amica aveva già riattaccato a metà frase.
Percorreva una strada in salita, il sole era quasi del tutto scomparso e c'era uno strano odore di arance nell'aria. Lo stesso che aveva sentito, quando si era trasferita ad Istanbul qualche anno prima. La via sulla sinistra era piena di negozi che vendevano fiori e souvenir per turisti e bar. Sulla destra, invece, c'era un parco con tanto di laghetto, nel quale gli adolescenti e i vecchi passavano i loro pomeriggi in tranquillità.
Il cellulare trillò un'ennesima volta, ma Alexandra lo ignorò. Kadir aveva sicuramente litigato con Drake e aveva bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. Quei due litigavano in continuazione, nonostante ciò erano una coppia adorabile e soprattutto si amavano. Si poteva notarlo dal modo in cui si guardavano negli occhi. Erano due anime gemelle, due spiriti affini che si erano trovati e mai si sarebbero lasciati.
Una ragazza stava facendo da guida turistica ad un gruppo di persone e quando le passò accanto, le sorrise. La conosceva perché frequentavano la stessa facoltà, anche se indirizzi differenti. Era una ragazza dal viso comune; aveva  capelli corti, rossi e ricci, labbra grandi e carnose e due occhi castani ovali da folte ciglia e sopracciglia nere, probabilmente il naso era troppo lungo. Era altissima e con qualche chilo di troppo. Era sempre stata molto gentile con lei e la guardava come se sapesse qualcosa su di lei, che Alexandra non sapeva.
-Qualcuno di voi conosce la storia di Hurrem Sultan? - Domandò la ragazza, guardando le facce dei ragazzini in viaggio di istruzione, probabilmente. Non sembravano essere di lì. I ragazzi scossero la testa, incuriositi. - Beh, è stata una donna davvero potente ai tempi dell'impero ottomano. Adesso vi farò visitare alcuni dei suoi monumenti e vi illustrerò la sua storia d'amore con Solimano il Magnifico, per i più romantici fra di voi. -
Alexandra le sorrise, continuando a camminare e guardandosi le scarpe bianche. Andò a sbattere contro qualcuno di alto e duro, un petto massiccio.
-Oh, mi dispiace, non volevo venirle addosso! - La ragazza arrossì, facendo un passo indietro. Era finita di faccia contro il petto di quell'uomo.
-So di essere un uomo affascinante, rossa, ma non c'è bisogno di rovinarmi la giacca, è italiana. Sa quanto costino? - Ribatté l'uomo-giacca-e-cravatta-italiana con voce profonda e irritata. Era alto e non troppo muscoloso, dimostrava di avere circa trentacinque anni. Aveva i capelli folti, ricci e neri e due occhi di un particolare verde-castano con sopracciglia e ciglia folte e nere. Le labbra erano sottili e rosee.
In poche parole l'uomo più bello che la ragazza avesse mai visto. Ma anche il più antipatico; infatti il modo in cui le aveva risposto e il modo in cui la guardava, come se avesse potuto incenerirla all'istante, non erano certo propri di un uomo simpatico, alla mano e cordiale.
-Non lo so, ma non mi sembra il caso di esagerare così tanto. Le ho chiesto scusa. - Disse Alexandra sulle difensive. Aveva assottigliato li occhi e incrociato le braccia sotto il seno per assumere un'aria spavalda.
-Ma lei sa chi sono io, rossa? - Domandò l'uomo duro. Lo odiava già. Tuttavia quando la chiamò così, un brivido le percorse la schiena.
Era strano, ma era come se lui l'avesse già chiamata così in passato, se lo sentiva nella pelle, come una sorta di deja-vu. Aveva un viso familiare.
-Lei smetta di chiamarmi a quel modo, in primo luogo e in secondo luogo, non mi interessa chi lei sia e non voglio saperlo. - Borbottò, mentendo.
Certo che sapeva chi fosse. Si chiama Ibrahim Kristos, era un importante uomo d'affari lì ad Instabul. Lui e il suo fidato amico Selim Mehmetaj,   in pochi anni erano riusciti a creare un impero. Erano partiti dal basso e adesso tenevano in mano tutta la Turchia. Erano praticamente diventati i loro padroni. I telegiornali non facevano altro che parlare di quei due e i giornalisti televisivi facevano a gara per averli in studio. -Le auguro buona giornata, Ibrahim Kristos. -
-Anche a lei, rossa. Ho la netta sensazione che non finisce qui. -
Senza aggiungere altro, Alexandra scrollò le spalle, continuando per la sua strada. La sua sensazione di nausea si era calmata, ma al suo posto si era aggiunto il battito irregolare del cuore. Certo che l'aveva fatta spaventare!
Sentiva gli occhi di Ibrahim puntati sulle scapole e sconfisse con tutta se stessa l'istinto di girarsi.
Quando Kadir la riconobbe, le corse incontro abbracciandola e Alexandra sorrise, quando la ragazza le sussurrò qualcosa di divertente su Drake all'orecchio. Il vento cominciò a soffiare incessantemente, mentre la notte era definitivamente scesa su Istanbul. Ululava come un matto e sembrava sussurrare un nome preciso nell'orecchio di Alexandra.
Un nome che le era appartenuto, un nome che l'aveva identificata in un'altra vita, un nome che le aveva dato un uomo che aveva amato.
Roxelana.
Aveva ragione Ibrahim, si sarebbero incontrate altre volte. Le carte si erano di nuovo posizionate sul tavolo da gioco e i giocatori si era appena incontrati.
La loro storia -  fatta di sangue, passione, dolore e lacrime – era in procinto di ricominciare. Due anime affini si erano incontrate dopo secoli di lontananza e il gioco era appena cominciato.




SPAZIO AUTRICE!
Ed eccoci alla fine di questa storia, dopo circa quattro anni.
Che dire? E' stato un lungo percorso, durante il quale ho avuto modo di legarmi a questi personaggi. Spero che voi li abbiate amati, come li ho amati io, nonostante tutti i loro difetti.
Vi chiedo, adesso che siamo arrivati alla fine, di lasciarmi un parere. Cosa ne pensate? Delusi oppure no? Fatemi sapere tutto ciò che volete, a me fa solo piacere!
Vorrei rigraziare tutti i miei lettori per essermi stata affianco e avermi supportata sempre, mia madre, mia zia Lena, la mia Chiaretta per avermi sopportata ad ogni sclero e ad ogni dubbio.
E se vorrete seguirmi ancora, a me farà molto piacere.
Sul mio profilo trovate il sequel "Rinnegati: Neve e Fuoco" e l'altra mia storia "La famiglia del Diavolo".
Ancora grazie di essere arrivati fin qui.
Anche noi, come Ibrahim e Roxelana, ci vedremo presto xD
Luxanne Andrea xx

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Capitolo 34
*** Avviso ***


Dopo diverse settimane passate a riflettere sul destino di questa storia, sul sequel e sulla revisione, sono arrivata ad una conclusione.

Avevo annullato la pubblicazione del sequel di roxelana perché volevo prima revisionare questa storia per poi continuare. Ma poi ho cambiato idea perché non sarebbe giusto nei vostri confronti, mi rendo conto, farvi aspettare così tanto. Per questo motivo ho ripubblicato la storia e sto scrivendo il primo vero capitolo del sequel. Quindi adesso la ritrovate sul mio profilo e il prima possibile, probabilmente oggi, lo pubblicherò.

Ma non finisce qua la novità, perché Roxelana diventerà una sorta di saga, composta da 5 libri in totale tutti ambientati in varie epoche e ispirati a personaggi realmente esistiti.
Vi elenco i nomi.
1. Roxelana: L'Imperatrice Dell'Est

2. Rinnegati: neve e fuoco

3. La contessa di sangue

4. I regni

5. L'erede perduto

La revisione avverrà quando avrò terminato tutti i libri.
Ne avrete ancora per motlo di me e dei miei personaggi, spero che continuerete a seguirmi e che le mie storie vi appassionino come ha fatto questa. 
Al primo capitolo del sequel,
Luxanax.

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