Star★Power

di Lila May
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***
Capitolo 8: *** VIII. ***
Capitolo 9: *** IX. ***
Capitolo 10: *** X. ***
Capitolo 11: *** XI. ***
Capitolo 12: *** XII. ***



Capitolo 1
*** I. ***


 
 
I


<< Alty! >> Orthilla rivolse il capo verso il cielo terso e, non appena gli occhi accarezzarono la figura tondeggiante del sole, ridusse le palpebre a due fessure cristalline, cercando di contrastarne la luminosa potenza. Anche quel giorno, il caldo aveva deciso di investire Hoenn nel suo bollente abbraccio. Lungo le strade della città, persone e turisti provenienti da ogni dove si fermavano a godere di quell’atmosfera unica che solo il preludio primaverile sapeva regalare, fotografando con aria stupita il circondario. Hoppip che svolazzavano per gli incroci, carretti che vendevano Conostropoli freschi, sorrisi e chiacchiericci, donavano alla città un aspetto accogliente e allegro. << Buongiorno! >> esclamò la ragazza, rivolgendosi alle nuvole. Non ci fu risposta, ma sapeva in cuor suo che di lì a poco sarebbe arrivata. E infatti, all’improvviso, un uccello bluastro dalle ali morbide come nuvole attraversò rapidamente la lunga distesa celeste, rispondendo al suo richiamo con un melodico verso. La ragazza sorrise orgogliosa, si portò una mano sulla fronte e rimase a guardare Altaria ancora un po’, a bocca aperta. Le piaceva osservarla volare, la faceva sentire libera e leggera come una piuma. All’improvviso le responsabilità da idol, la terraferma, i problemi… tutto diventava astratto, impalpabile. E lei, lei si tramutava in un piccolo palloncino il cui filo finalmente si slegava dal mondo, e cercava di raggiungere il suo Pokémon trasportata da brezze immaginarie e profumate di freschezza. Era una sensazione impagabile, che la rendeva felice nonostante il periodo nero. Ogni mattina, Altaria cercava di portarle il sorriso esibendosi in uno dei suoi magnifici voli, ed era una delle poche cose che Orthilla riusciva ancora ad apprezzare.
Nessuna delle due poteva immaginare che quel giorno, quel giorno all’apparenza così bello, sarebbe stato il collasso finale della giovane stella.
<< Ehi, venduta! >>
Orthilla si voltò, focalizzando lo sguardo su una combriccola di giovani che le si stava avvicinando con fare spavaldo. Sapeva che il simpatico appellativo era stato indirizzato a lei, ultimamente i peggio paragoni e commenti le venivano scoccati di continuo. Fece male, tanto male, ma cercò di tirare fuori uno dei suoi migliori sorrisi, raggianti come quelli in tv. Non voleva problemi con il mondo. Non ora. Non nell’unico momento di gioia che le era rimasto. << Ti serve qualcosa? >>
<< Mi serve sapere che droga usi per pompare il tuo Altaria tanto da farlo girare in quel modo. Perché scommetto che il tuo Pokémon è finto quanto te. >>
Un riso si levò tutt’intorno, e gli occhi della ragazza si velarono appena, mentre Altaria scendeva aggraziata dal cielo distendendo le ali candide. Lei… che drogava i suoi Pokémon…? Perse le forze di ribattere e rimase muta a fissarli, sconcertata. Tutti quegli occhi carichi di odio, che un tempo l’avevano ammirata brillare sul palcoscenico… ora la osservavano come se la volessero cancellare dalla faccia della terra. Si sentì un mostro. Ed era così tutti i giorni.
<< Avanti, dimmi che droga usi. >>
<< Proprio nessuna. Dovete credermi… >>
<< Crederti? >> ribatté un altro, facendosi strada tra i ragazzi. << Perché dovremmo continuare a berci tutte le tue cavolate da mocciosa. Quando eri un esempio per tutti parlavi di sforzi, di concentrarsi sui propri sogni… eri una dea capace di realizzare i desideri di tutti, come tuo zio. Santo Arceus, poi si viene a scoprire che ti sei parata il didietro sfruttandolo per raggiungere la fama. Fate schifo entrambi, siete la… >>
 

 
<< vergogna di Hoenn… >> un flebile mugugno si sollevò dal pesante cumulo di coperte colorate che ricopriva il corpo di Orthilla. La ragazza, rannicchiata là sotto da ben più di due ore, non sembrava affatto intenzionata ad uscire, e nonostante fosse chiaramente sveglia, pareva un cadavere irrigidito. Accanto a lei, su un tavolino di vetro, sostavano pile di giornali visti e rivisti, una tazza di cioccoskitty ormai fredda e un ferma-capelli blu. Se ne stava lì, a fissare i ricami bordeaux del divano con i suoi occhi gonfi e arrossati, la testa pesante immersa nel ricordo di quel giorno che la devastò definitivamente. Ormai cercare rifugio tra i cuscini era diventata una cosa quotidiana, per lei; l’esterno aveva cominciato a schifarla in maniera orribile da quando era accaduta quella cosa.
Sì. Proprio quella. Il mondo intero aveva scoperto che era la nipote del campione – ormai ex - Adriano. I giornali, a quella notizia piccante, erano letteralmente impazziti, ma c’era da aspettarselo. Tuttavia, le persone che l’avevano amata e stimata per la sua grinta, la sua passione per i Pokémon e il giovane successo che aveva ottenuto contando solo sulle sue forze, avevano iniziato a vederla sotto una lente diversa. Diversa e disgustosa, che l’aveva portata alla sfioritura più totale.
Al nome “Orthilla”, ogni bocca di ogni regione reagiva sempre pronunciando le stesse, orribili parole. Raccomandata. Venduta. Parassita, sanguisuga. Un’approfittatrice che del successo dello zio ne aveva fatto il proprio, ma che dentro rimaneva una buona a nulla, una scansafatiche. Era stato un duro colpo ricevere quelle critiche insensate. Le avevano lacerato l’anima e la stima, ma aveva pensato che con l’aiuto di Adriano e la sua grande forza di volontà sarebbe riuscita a riparare tutto.
Invece fu peggio, quella mossa che ora vedeva come un  terribile errore aveva causato il lento ma inesorabile declino della loro fama.
Lo zio, nel tentare di difenderla, si era guadagnato dalla gente titoli indecenti che lo avevano rovinato talmente tanto da trovargli un rimpiazzo all’altezza, se non più forte, ovvero il giovane Rocco Petri - attuale campione di Hoenn -. Orthilla era passata di nuovo come un’approfittatrice, che con i suoi occhioni languidi era riuscita a convincere Adriano a difenderla dalle critiche, ma per alcuni la verità era ben più cruda di così; addirittura sostenevano che si era ingraziata lo zio andando a letto con lui. Rabbrividì sotto le coperte, schifata da tutte quelle dicerie false. Inizialmente si era detta che niente era irreparabile. Aveva scelto di rimanere positiva e, per quanto difficile, mantenere la testa alta e continuare con il talent, gli eventi e tutto il resto. Forse ci sarebbe voluto del tempo, ma nonostante il disagio, si era sentita motivata, aveva scelto di aggrapparsi ad un barlume di speranza pregando che tutto le andasse per il meglio. Tuttavia, quando quell’ondata di odio e disprezzo aveva finito per ritrovarsi protagonista assoluta della prima pagina del giornale, si era sentita sconfitta.
Distrutta, logorata da insulti pesanti che sparlavano di Orthilla come se non l’avessero mai conosciuta, come se neanche sapessero chi fosse stata, e chi era. Lei, poi, che si era guadagnata il suo posto da idol completamente da sola, sudando e lottando contro tante ragazze decisamente più belle, ingerendo a raffica pillole, farmaci, di tutto e di più al fine di raggiungere il livello di grazia e bellezza richiesto. Lei, che era diventata così famosa da creare un reality da sé ed aprirlo a tutti coloro che sognavano di diventare stelle, per venire incontro a tutti, aiutare, dimostrare al mondo che anche se era famosa e piena di soldi, ancora aveva una testa lucida, e non montata come succede a chi si fa sopraffare dall’odore del successo. Perché “se ci credi davvero, i tuoi sogni diventano obbiettivi facilmente realizzabili”. O almeno, così le era piaciuto pensare.
Invece, ora tutti la odiavano e schifavano per un gesto che non aveva mai compiuto. Che non era da lei farlo. La reputavano un fastidioso parassita e basta.
La giovane e talentuosa Orthilla aveva smesso di essere un esempio per le ragazzine, di comparire sugli schermi, di essere nota, di essere qualcuno di importante.
La giovane e talentuosa Orthilla aveva smesso di brillare e si era spenta piano.


Una stella caduta, morta e di cui a nessuno, nessuno importava più niente.
 
 


NdA
Ehilà, ciao a tutti! Finalmente ritorno nel fandom dei Pokémon e sì, ritorno proprio con una long! Premetto che non ho mai letto di Orthilla, dunque spero vivamente di non aver fregato idee a nessuno. Nel caso, avvertitemi (?)
Allora, come long dico subito che non sarà molto lunga. Gli aggiornamenti saranno abbastanza veloci - trust me (?) – eeee… che dire, spero di avervi lasciato con della curiosità. So che questo primo capitolo è molto oggettivo, comunque vedrete avanti le cose che succederanno ehehe. Ah, una cosa importante. Sono stata io ad inventare che nessuno sapeva della parentela tra lei e Adriano. Mi serviva come pretesto per fare il boom, in realtà sappiamo tutti che questo non ha creato problemi da nessuna parte (?). Bien, ci vediamo al prossimo capitolo allora! Mi raccomando recensite se vi è piaciuta e segnalate eventuali errori!
 
Grazie a tutti!
Lou

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Capitolo 2
*** II ***


 
II

 
<< Scept, fendifoglia! >>
Prima che Herdier potesse morderlo, Sceptile ruotò repentino e lo colpì alla bocca con un brusco ma raffinato colpo della coda, una meravigliosa frusta verde scoccata contro il cielo terso di un soleggiato mattino estivo. L’avversario mollò la presa e venne scaraventato a diversi metri di distanza, incapace di ringhiare di dolore a causa delle numerose foglie che, durante lo stacco, aveva strappato dal muscolo posteriore del Pokémon Foresta. Prima che potesse anche solo liberarsene, la grande lucertola gli fu addosso, lo afferrò con la bocca e lo lanciò in aria. Dopodiché, sempre sotto comando dell’allenatore, fece un balzo e lo avvolse con la coda. Qualche secondo di esitazione, l’ansia tormentata della folla e il cane venne violentemente scaraventato al suolo, causando lo stupore dei presenti. Ciottoli e terra si sollevarono dal campo lotta, e i due allenatori si coprirono il volto con l’avambraccio. Quando questa si dissolse, il vincitore fu chiaro a tutti gli spettatori. << E il vincitore è… >> echeggiò una voce in lontananza, probabilmente quella di un cronista improvvisato. << Brendan! Complimenti, ragazzo, sei arrivato da poco, ma ti sei già fatto valere! >>
Orthilla, che aveva osservato il tutto dalla finestra, si sporse appena, curiosa di vedere il volto del vincitore. Occhi chiari, capelli castani, sorriso serafico di chi sa sempre cavarsela con limpidezza, senza bisogno di inganno o menzogne. Un viso ordinario come un altro, insomma, niente di particolare. Eppure, nonostante lo scontro si fosse rivelato un po’ troppo violento per i suoi gusti, era rimasta sinceramente affascinata, anzi, stregata dalle eleganti movenze di Sceptile. Il movimento aggraziato della coda, lo sguardo vanesio e accattivante, i gesti coordinati. Ma non solo. Il manto fresco e pulito, la mira precisa, il collo snello. Un Pokémon davvero succulento, per una cacciatrice di talenti come lei. O almeno, ex cacciatrice. Evidentemente, l’allenatore doveva aver curato nei minimi dettagli anche quell’aspetto della lotta. La sceneggiatura del resto faceva sempre molto più impatto di semplici mosse contro l’avversario, e il ragazzo lo aveva capito in fretta. Apprezzò molto quel piccolo spettacolo, e per un momento le sembrò che la curiosità potesse distrarla da tutto il male che, anche quel giorno, l’aveva tenuta dentro casa, a ripararsi da insulti, sguardi crudeli e frecciatine. Ma quando la folla si ritirò e cominciò a sentir volare nell’aria frasi come “Orthilla dovrebbe solo prendere esempio da questi allenatori; alla fine sono solo loro che si fanno un mazzo tanto per arrivare in cima, l’unico aiuto che ricevono è quello del centro Pokémon.” si rabbuiò e il dolore calò su di lei spietato come una falce nera. Tirò le tende e il buio la investì, ombreggiandole il volto sconfitto dal dispiacere. Faceva male sentire quelle cose. Troppo male. Tornò in camera da letto, dove Altaria riposava tranquilla, e si lasciò cadere sul materasso, che emise un flebile cigolio. L’uccello sollevò gli occhietti neri e, percependo l’immenso dolore della ragazza, l’accolse sotto la sua ala candida. << Altaria… >> mormorò, cercando di controllare la voce tremante. << Quando capiranno? >>
Il Pokémon non le rispose, ma per sollevarle l’umore cominciò a giocare con i suoi capelli, tirandoli col becco bianco.
Orthilla chiuse gli occhi, debole.
Anche lei, proprio come un allenatore, era partita da zero. Anche lei aveva lottato, anche lei si era fatta valere, anche lei aveva imparato dagli errori, raccogliendone i cocci taglienti per costruire armi più forti. La differenza, però, stava nel fatto che la strada per il successo era, è e sarà sempre molto più difficile di una qualsiasi Via Vittoria. Ma la gente questo non lo sapeva comprendere. E lei non era sufficientemente forte per fronteggiare tanto odio in una sola volta.

 
 
Orthilla si svegliò di soprassalto, disturbata da rumori indistinti. Rimase in silenzio ad ascoltare, in attesa che si facessero risentire, e proprio mentre stava per affondare nuovamente la faccia nel cuscino umido di lacrime accadde ancora.
Al terzo ringhio, seguito da un sibilio piuttosto agitato, cominciò a pensare ci fosse qualcuno dentro casa sua. Al solo pensiero di un ladro, o peggio, un assassino venuto lì per porre finalmente fine al suo mito caduto, si sentì gelare il sangue nelle mani. Spaventata, svegliò Altaria.
<< C’è qualcuno in casa… lo sento… >> gemette piano, specchiandosi negli occhi del suo Pokémon. La tristezza di qualche minuto prima lasciò spazio ad un opprimente senso di paura. Non erano sole, in quella casa. E sicuramente, la persona intrufolata non aveva intenzione di fare la sua conoscenza. La gola le si chiuse, soffocandola nell’ansia mentre, con mano inesperta e sudata, correva ad afferrare una scopa dal ripostiglio vicino alla camera. Non era normale avere così tanta paura, lo sapeva bene; un tempo era stata l’allegoria del coraggio e l’intraprendenza. Ma le persone nei suoi confronti non stavano facendo nulla di buono per lei, non nell’ultimo periodo, almeno, non dopo la scioccante menzogna messa in giro dai media. Dunque, morta o meno, a loro cosa importava? Era un soggetto da eliminare, un ripugnante straccio da gettare nella spazzatura.
Una vergogna.
Con passo cauto si diresse in sala. Trovò il divano in disordine come lo aveva lasciato, ammeniccoli sparsi ovunque, cucina nel caos più totale. Ogni cosa sembrava al suo disordinato posto, non vi era la presenza di nessuno. E infatti era così.
Un altro rumore, un altro sibilio e Orthilla si rese immediatamente conto che il caos non proveniva da dentro, bensì da fuori. Cercando di mantenere il panico che l’aveva investita, uscì dalla porta sul retro, Altaria a proteggerle le spalle con le grandi ali cotonate. Si era dimenticata del fatto che casa sua possedesse anche quell’entrata posteriore. La aprì, e la luce del sole le investì le iridi, asciugandole la pelle seccata dalle lacrime. La porta dava ad un immenso giardino circondato da fitti alberi, con l’erba incolta che stendeva i lunghi fili verdi alla luce del crepuscolo. Nonostante fosse tutto di sua proprietà, si era recata lì rarissime volte, giusto per metterci qualche vaso decorativo. Lei era innamorata del palcoscenico, della modernità, della musica che sballa e delle luci artificiali. Dunque, aveva sempre trovato quel posto inadeguato al suo stile frenetico e innamorato della vita. Prese un respiro profondo e si incamminò sulla terra, brandendo la scopa come una spada.
<< Vieni a me! >> sentì sussurrare da una voce rauca. << Vieni a me! >>
Fruscii indistinti, soffi, gemiti. Ansimi, addirittura.
Seguì i suoni, imbarazzata. Sembrava una voce familiare, ma non seppe dire a chi appartenesse. Che due stessero facendo l’amore nel suo giardino?
Lo scenario che le si presentò davanti, tuttavia, smentì i pensieri che le si erano adanti formando in mente.
Aggrappato al ramo di un albero, il volto arrossato e il collo in tensione, l’allenatore dello Sceptile che aveva osservato quella mattina dalla finestra, stava inutilmente tentando di recuperare un Delcatty.





NdA
Eccomi col secondo capitolo! Finalmente estate! Ed "estate" significa "scrivere-liberamente-senza-rotture-di-cazzo-ciao", anche se sono stata rimandata -again- in matematica. Chi mi conosce sa che è la terza volta (?). Anyway. Come vi è sembrato questo capitolo? Ditemelo in una recensione, mi rendereste tanto felicia! Ringrazio tutti coloro che hanno letto e chi commenterà! Al prossimo capitolo!
 
Bye
Lou

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Capitolo 3
*** III. ***


 
 
III
 
Altaria volò fino al ramo, afferrò il giovane per le spalle e lo gettò a terra con la delicatezza di un Ursaring in una cristalleria. Dopodiché, raggiunse tranquillamente Delcatty; comunicò un po’, per convincerlo a montare in groppa, poi gli diede un piacevole passaggio oltre le inferriate del giardino e ritornò dalla sua allenatrice, contenta di aver compiuto una simile buona azione dopo tanto tempo. Il Pokémon gatto ringraziò con un miagolio strascicato, prima di scomparire trotterellando placido per le viuzze di Ceneride.
Orthilla tirò un sospiro di sollievo, lieta del fatto che non si fosse trattato ne di ladri o assassini, ne di giovani stupidi impazienti di consumare. Ma rimaneva comunque una questione irrisolta. Chi era quel tipo? Cosa ci faceva nel suo giardino? E soprattutto, perché non la guardava con odio e disprezzo?
<< Come hai fatto a capire che non era mio? >> domandò. Sembrava esausto, e si tirò su a fatica, sibilando per il dolore.
<< Perché altrimenti si sarebbe fidato di venire tra le tue mani, no? >>
<< Già… >>
Per un po’ tra i due governò il silenzio. Orthilla lo esaminò attentamente, in attesa che lui riprendesse fiato. Occhi cerulei, pelle cotta dal sole, magro, la fronte ricoperta di sudore ombreggiata da folte ciocche castane. Un bel tipo, nulla da aggiungere. E a giudicare dall’espressione grata, non sembrava intenzionato a portarle problemi. Rimase comunque guardinga, pronta ad attaccare in caso di bisogno. Troppe volte si era fidata per rimanerci secca. Non le andava di essere ferita ancora, faceva già molto male così…
<< Ah, non so come ringraziarti, tu e il tuo Altaria siete stati la mia salvezza… >> lo sconosciuto si alzò con fatica, poi si guardò le mani. Erano piene di schegge, e parevano provocargli molto dolore.
<< Vieni dentro con me. >> esordì, catturando la sua attenzione. Sotto lo sguardo implorante del ragazzo, si sentì come osservata da due enormi riflettori argentei. Era una calda sensazione, nessuno l’aveva più ammirata con tanto bisogno dopo il misfatto. Le parve di essere l’eroina di una disavventura altrui, e forse era davvero così. << Ti disinfetto le mani e ti offro qualcosa da bere. >>
Orthilla fece strada tra i rovi, e mentre camminava si sentì in dovere di allentare la mano dalla scopa, più sollevata.
 
 
<< Ti ringrazio di cuore, non so come sarebbe finita senza il tuo aiuto… >>
Orthilla lo guardò da oltre la cucina e sorrise appena; il ragazzo, seduto al tavolo, si toccava la mano bendata con dispiacere, ma sembrava piuttosto a suo agio in quell’ambiente intriso di sofferenza. Il disordine della casa non lo toccava minimamente, e nemmeno il fatto che fosse stata Orthilla, la star più odiata del mondo, a salvarlo. Afferrò il bicchiere di lemonsucco appena preparato e glielo poggiò davanti, poi si sedette al suo fianco. Se lui non era per niente a disagio, lei lo era fin troppo. Non per il caos irreparabile che soffocava casa sua, bensì per la presenza del giovane. Non era più abituata alla compagnia delle persone, e ora si sentiva… strana. Dopo lo scandalo, il contatto più vicino che aveva avuto erano state le lettere rincuoranti dello zio, in cui veniva spesso sottolineato che tutto sarebbe terminato per il meglio, se continuava a tenere duro. Che era una ragazza forte, e che una simile sciocchezza non sarebbe potuta bastare a spegnere la stella incandescente che vi era in lei. Ma quei preziosi pezzi di carta avevano smesso di arrivare da mesi, ormai, e si era ritrovata del tutto abbandonata ad un destino ingiusto e spietato. Il nuovo Campione, Rocco, era rimasta l’unica corrispondenza con cui poter parlare, ma di rado lo consultava, e di rado lui si faceva sentire, impegnato com’era dietro a sfidanti e paparazzi. Se non fosse stato per Altaria, non ce l’avrebbe fatta a resistere tutto quel tempo in solitudine. Gli occhi del ragazzo posati su di lei la distrassero. Sembrava guardarla con puerilità. Avrebbe voluto essere ammirata per sempre.
Un tepore caldo le avvolse il cuore congelato, iniziando a sciogliere le prime crepe.
<< Perché mi fissi? >>
<< Sei molto carina. >> ammise lui, per poi attaccarsi avido al bicchiere.
Orthilla rispose con una smorfia, prima di chiudersi nelle spalle. Non era abituata ai complimenti, sapevano di menzogne. Riceverlo era stato pari allo schifo di uno sputo in faccia. Lei, carina? Dove? I capelli spettinati avevano perso la loro brillantezza verdolina, gli occhi il loro vanesio bagliore. Inoltre, era dimagrita tanto da non entrare più in vestiti che, solo qualche mese indietro, le andavano persino stretti. Insomma, rappresentava il degrado umano. E quel soggetto, così all’improvviso, se ne saltava fuori con stupidate simili? Non gli disse che le aveva dato molto fastidio, perché in fondo le aveva regalato una piccola soddisfazione. Cercò di nascondere le due emozioni contrastanti con un sorriso privo di emozione.
Lui se ne accorse, ma fece finta di nulla. << Mmm… ancora grazie per avermi salvato. Sarei in ospedale, ora… >> guardò il bicchiere. << Credo. Il tuo nome è…? >>
<< Non… >> Orthilla sgranò gli occhi, sconcertata. Davvero quel ragazzo non la conosceva? Lei, argomento protagonista di ogni bocca… Orthilla, dannazione! Orthilla!
La venduta, la sanguisuga! La nipote che si era fatta lo zio!
Le venne voglia di piangere. Di sboccare di dolore, davanti a lui, e urlare quanto male sentisse dentro. Spaventarlo, farlo scappare. Ma si trattenne, stringendosi ancora di più nelle spalle.
Come era possibile che, nella situazione in cui si era infilata, ancora qualcuno potesse ignorare la sua triste esistenza in quel pianeta? Lei, una volta famosa per le sue doti da star, ora famosa perché raccomandata.
E lui non lo sapeva. Niente di tutto questo.
<< Io… >> preferì non raccontare niente, e fingere che tutto andasse bene. Del resto, non era nessuno. Uno come tanti, capitato lì per sbaglio, che domani avrebbe conquistato la sua inutile medaglia e poi si sarebbe dileguato da quella città, lasciandosi tutto alle spalle. Se mai sarebbe venuto a scoprire qualcosa,  ci avrebbero pensato gli altri. Lei, voleva starne fuori. Aveva già spaventato troppe persone. << Orthilla. >>
Orthilla. Stop. Nient’altro da aggiungere. Un nome come gli altri. Una persona come le altre.
<< Brendan. >> il ragazzo le allungò la mano con un sorriso. Le piacque quella chiostra di denti bianchi, le piacque il suo nome. Sapeva di voglia di vivere, quella che lei aveva perduto. Smarrita in un dolore più grande di lei, e che ancora non era riuscita a sconfiggere.
<< Allora, Brendan… come mai eri nel mio giardino? >>
Questa volta fu lui a rimanere sconcertato. Arrossì vistosamente, prima di parlare. << Non… io… non avevo idea fosse il tuo giardino. >>
<< Come sarebbe a dire? >>
Brendan cominciò a guardarsi intorno, cercando parole per potersi spiegare. Sembrava essersi accorto in quel preciso istante del disordine che lo circondava. << Uhmn… il giardino è grande… e da fuori, beh… la casa sembra quasi in stato di abbandono. >>
“Come me.” Pensò lei. Ma non lo disse.
<< Dunque, subito dopo aver sconfitto il capopalestra, ho pensato di venirmi ad allenare qui. La prossima tappa è la Via Vittoria, e prima di recarmici voglio potenziarmi per bene. >> Il ragazzo strinse le mani intorno al bicchiere, infervorato. Lo emozionava parlare di quel grande passo, ma ancora si sentiva troppo piccolo per poterlo affrontare.  << Sono mesi che mi alleno in mezzo a questi alberi… passo le notti al centro Pokémon e le mattine a sfidare allenatori. >> guardò la giovane; sembrava piuttosto contraria all’idea di tenere un estraneo nel suo giardino. O forse sollevata di avere un po’ di compagnia? Non lo seppe dire con certezza. Quegli occhi turchesi erano avvolti in una cappa di mistero indecifrabile. << Poi, verso tardo pomeriggio, vengo qui ad allenare Sceptile. Ti prego… >>
Dopo qualche attimo di silenzio passato a guardare quel poverino dall’alto al basso, Orthilla prese una decisione. << Non puoi restare. >> disse. I motivi erano i seguenti. Prima di tutto, Brendan aveva invaso una proprietà privata. Anche se esteticamente l’abitazione aveva avuto tempi ben migliori, rimaneva comunque abitata, e le inferriate intorno erano un chiaro segnale di divieto all’accesso. Inoltre, sapere di avere a pochi metri di distanza una persona così allegra e piena di speranze in coltivazione la disturbava altamente. Lo invidiava, senza dubbio. Tutta quell’enfasi, quel credere nelle proprie capacità… avere degli obbiettivi… una visione piacevole e allettante della vita che in lei era morta.
<< Per favore… >> Brendan le strinse una mano.
Orthilla avrebbe voluto gridargli contro. Dentro il suo petto appassito, emozioni inverse si scontrarono all’improvviso, creando un fuoco ardente in cui ruggivano assieme rabbia e disperazione. Il livore per essere rimasta sola tutto quel tempo si mescolò assieme al bisogno di affetto, e il cuore pompò più veloce, arrossendole le gote pallide. Ritrasse la mano, trattenendo il respiro. Non era più abituata a certe cose.
<< Ho bisogno di un posto per allenarmi! Mi trovo bene qui… >>
<< Hai invaso il mio giardino, caro signor Brendan! >>
<< Non lo avrei mai fatto se avessi saputo della tua esistenza qui dentro! Ma porca boia, non esci mai, che ne potevo sapere? >> Brendan si calmò quando la vide balbettare, leggermente offesa, ma mantenne lo sguardo fisso su di lei. Era intenzionato a convincerla. << Sono mesi che ci vengo, mi sento a mio agio qui. Se per tutto questo tempo non te ne sei mai accorta, significa che non sono poi così rumoroso, no? Non ti daremo fastidio. >>
Orthilla arricciò il naso. Non era la presenza a darle fastidio, assolutamente. Era il suo carattere positivo a snervarla. A farla sentire inutile e impotente.
<< Non mi sentirai neanche. E non verrò a disturbarti. Non l’ho mai fatto, non te ne sai mai resa conto. Hai la mia parola, Orthilla. >> Brendan le cinse le spalle con forza, la scosse, e Orthilla sentì di voler nuovamente morire nel suo tornado di emozioni confuse.
Era la prima volta che provava tutto ciò in un brevissimo lasso di tempo. Significava per caso essere vivi? Forse il ragazzo lo sapeva.
I suoi occhi plumbei conservavano le risposte che cercava. E le sue mani calde avvolte intorno alla sua pelle mandavano scariche di sollievo al suo povero cuore sfiorito. Lo invidiò moltissimo, e allo stesso tempo sentì di volerglisi attaccare ad un braccio e non mollare più il suo calore energico.
Perché non era sufficientemente forte per sollevarsi da sola?
<< Va bene. >> mormorò, sconfitta da quell’insistenza.
Quando le dita di Brendan scivolarono via dalle sue braccia si sentì abbandonata. Proprio come avevano fatto le lettere dello zio, il palcoscenico, le luci della ribalta, i fan, le persone, il mondo, tutto, persino lei. Era bastata una goccia, e l’intero oceano l’aveva affogata e sotterrata nella sua vastità. Impossibile per lei trovare una via di salvezza… sospirò al pensiero e guardò il disordine di casa sua. Si sentiva molto scossa.
<< Dici davvero? >>
<< Certo, mantieni la parola data però. >>
<< Lo farò! >> Brendan afferrò la borsa, se la portò alle spalle e la strinse in un abbraccio frettoloso, quello che molti definirebbero “abbraccio tra amici”. Poi le sorrise grato e uscì dall’abitazione, chiudendosi la porta alle spalle.
Solo quando lo vide allontanarsi dalla finestra, Orthilla ricominciò a tirare fiato. Ansimava, le tremavano le mani. Si accasciò sul divano, lasciando che la luce del tramonto le coccolasse la pelle con i raggi caldi. Le sembrava ancora di avere addosso le braccia di Brendan, il suo odore di ragazzo, la sua barba appena accennata a graffiarle la guancia e stuzzicarle le lacrime.
Rimase sovrappensiero per attimi che le parvero interminabili, le ginocchia cinte contro il petto magro. Aveva un così disperato bisogno di amore. Di carezze, sorrisi che le illuminassero la sua insensata routine. E quando se ne accorse, lì, in quel divano così grande, stretta intorno al suo corpo gracile, cominciò a innervosirsi.
Era spaventata, e confusa. Si aggrappò agli intensi attimi vissuti prima come un’ossessa; aveva paura che si dissolvessero nel vuoto. Che sparissero, e che si portassero via con loro l’unica possibilità, forse, di salvataggio.





NdA
Eccoci qua col terzo capitolo! Allora. Da qui in poi la storia comincerà a prendere un moto un po'... diverso. Questo era solo un capitolo di transizione, spero comunque sia stato di vostro gradimento. Quello che mi preoccupa non è tanto il ritmo della fiction, perché vedrete che si adatterà perfettamente al contesto - per cui non è veloce o affrettato, nel caso disperato di Orthilla il tempo va bene -, più che altro, spero di rendere molto chiare le emozioni della ragazza.
Non so, ho paura di non comunicare abbastanza (?) Per quanto riguarda Brendan, verrà approfondito più in là come personaggio, non sottovalutatelo u.u
Ora vado! Buona estate a tutti, recensite se vi va, i pareri fanno sempre piacere <3

 
Bye
Lou

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Capitolo 4
*** IV. ***



IV

La postazione alla finestra ormai era diventata la sua lente d’ingrandimento sul mondo esterno. Da lì poteva osservare ogni dettaglio di Ceneride. L’immenso lago color zaffiro, le case tutt’intorno, gli alberi frondosi… le venne un brivido. Quella città era davvero simile a lei, più di quanto avesse mai potuto immaginare. A causa della sua posizione ostica - sorgeva all’interno di un cratere -, era davvero difficile da raggiungere, esattamente come il suo cuore; spezzato da persone a cui aveva dato la massima fiducia, abbattuto e sgretolato da sorrisi radiosi tramutati in ghigni irritati.
Tuttavia, la finestra non offriva solamente uno sguardo ad ampia parte della città. Anche al suo giardino, sebbene in piccola parte; ora che Brendan sapeva dell’esistenza di Orthilla, si spostava a suo piacimento dove più gli aggradava, e quel giorno aveva deciso di allenarsi proprio sotto la piccola vetrata rettangolare.
Era da ore che lo guardava, i gomiti appoggiati alle ginocchia e gli occhi turchini fissi su di lui, e nonostante non gli parlasse da giorni, salvo qualche chiacchierata quando si incrociavano per sbaglio, non aveva mai smesso di pensare a come lo invidiava.
E a quanto avesse un morboso bisogno di lui.
Impartiva ordini con risolutezza, quella che a lei mancava, e Sceptile si scagliava contro la terra sottostante provocando un rumore appena percettibile. Erano una coppia davvero affiatata, come lei e Altaria, un tempo, quando era stato il mondo intero ad ammirarle splendere, e non il contrario.
Sospirò e gettò uno sguardo indietro. Il Pokémon canterino, avvolto tra i cuscini del divano, mugolava un leggero motivetto che ricordava glorie passate e voli sconfinati. Chissà come le mancava distendere le proprie ali e planare sopra Ceneride, oltre i confini della città… guardata con ammirazione da tutti, acclamata in ogni dove.
Orthilla aveva pensato più e più volte di lasciarla libera qualche ora, ma temeva troppo che qualcuno le si accanisse contro. Non voleva rischiare di perdere anche Alty. Si alzò, la raggiunse e le gettò le braccia al collo, stringendola forte. Altaria ricambiò, e la melodia del verso cambiò tono, tingendosi di dolcezza per quelle attenzioni d’affetto improvvise.
 
 
 
Gocce di sudore si sparsero nell’aria quando Brendan scosse violentemente il capo assieme a Sceptile. Avevano appena finito di fare 4 giri intorno alla casa, e nonostante la fatica erano entrambi orgogliosi degli evidenti progressi.
La Lega li aspettava, e ogni ora che passava si sentivano sempre più vicini al grande Rocco. Ma ancora non bastava. Il ragazzo sapeva che potevano raggiungere risultati migliori. Si sedette contro un tronco e aprì la borsa, estrasse delle bacche dall’aspetto maturo e le offrì a Sceptile. << Pausa… ci vuole, eh? >>
<< Sceeeptile! >>
<< Avrete sete, immagino. >>
Una terza voce sovrastò improvvisamente i loro ansimi, costringendoli ad arrestarsi in gola. Dall’ombra di un pino non troppo distante apparve Orthilla; tra le mani teneva due bottiglie di Acqua Fresca, e avanzava verso di loro con fare indeciso, seguita da Altaria.
Brendan si tirò su e le venne incontro correndo. << Finalmente sei uscita allo scoperto, eh? Ciao, Orthilla! >>
La strinse affettuosamente, contento di rivederla anche quel giorno – e speranzoso si trattenesse un po’ di più -, e la ragazza si sentì disperatamente meno peggio di ieri. Finalmente aveva preso il coraggio di scendere e raggiungerlo… aveva combattuto contro se stessa per ore, dubbiosa se farlo o meno, ma alla fine il bisogno di amore aveva avuto la meglio. Ed eccola lì, a sforzarsi di essere gentile con l’unica fonte di dolcezza che le era capitata.
<< Grazie mille per l’acqua… >> il ragazzo gliela prese di mano e si attaccò avido alla bottiglia quasi quanto lei alle piccole gioie che ogni tanto quella vita mediocre le gettava in pasto.
<< Figurati… >>
Rimasero per un po’ in silenzio, silenzio nel quale Brendan servì da bere anche a Sceptile.
<< Dove vai dopo gli allenamenti? >>
<< Al centro Pokémon. Ospitano gli allenatori, e gratis! >>
Orthilla non lo sapeva. O forse, se ne era completamente scordata. << E mangi là? >>
<< Di solito sì, fanno roba che… >> al castano venne l’acquolina alla bocca solo a pensarci. << non hai idea. >>
No, non ne aveva idea. Non mangiava bene da mesi, nemmeno le interessava più. << Del tipo? >>
<< Beh… del tipo… perché dobbiamo parlare di cibo? Vieni con me, ormai si è fatta sera. Andiamo a mangiare là! Sono sicuro che… >>
<< No! >> urlò lei, con tutta l’aria che aveva nei polmoni. Stormi di Pidgey si sollevarono dagli alberi, spaventati dal grido. No, no, mai e poi mai sarebbe uscita a cena, in mezzo a gente che la odiava, disprezzava e insultava. E poi, che figura ci avrebbe fatto lui? Evidentemente non aveva ancora capito chi aveva di fronte per uscirsene con richieste tanto stupide. << Scordatelo. >>
<< Ti farebbe bene uscire, sai? >>
<< E tu che ne sai? Per tua informazione, ho una vita sociale anche io. >>
<< Non sembra, te ne sei accorta? >>
Il cuore le tremò di rabbia e disprezzo per se stessa. Era una trascurata, un cadavere dimenticato negli angoli remoti di una città che era benissimo riuscita ad andare avanti senza di lei. << Le apparenze ingannano. >> mormorò, e chinò il capo, per nascondersi dietro la fitta coltre di capelli.
<< Scommetto che invece ti farà piacere uscire un po’ con me. >> Brendan fece un sorrisetto idiota, sollevando le sopracciglia folte e sistemandosi sopra le spalle una giacca inesistente. << Sai, sono un gentleman. >>
<< Oh, non ne dubito, Brendan. >> Orthilla sorrise debole. Un occhietto incuriosito spuntò dalla cascata turchina che le teneva mascherato parte del volto devastato. Stava cercando per caso di farsi perdonare? Di tirarla su? << Poche sono le donne che si sono rifiutate di uscire con me. Sono irresistibile ed affascinante, sai. >>
<< Chi, tua madre e tua sorella? >>
Brendan sollevò un sopracciglio. << E mia cugina, cosa credi. >>
Orthilla si coprì la faccia con le mani, trattenendo una risata cretina. Nessuno aveva mai provato a farla sentire leggera, come una piuma. Era una sensazione così strana… provare divertimento per qualcosa accadeva di rado, e solo con Altaria. << Perché non ti fermi a cena da me, invece? >> propose, tirandosi i capelli indietro.
<< Mmmm… perché no! Sai cucinare? >>
Orthilla arrossì. Sì, sapeva cucinare. Ma non aveva cibo in casa; usciva a fare la spesa solamente in casi estremi, velocemente, resa irriconoscibile da una fitta giacca a vento dotata di cappuccio e folti strati di trucco. Dunque, fin quando cracker, formaggio e bevande varie bastavano, non era assolutamente consentito mostrarsi al pubblico. << Sì, ma non ho molta voglia di mettermi ai fornelli… però possiamo sempre ordinare qualcosa e mangiarla qui in giardino… mm… ti va? >>
<< Va bene! >> esclamò lui, e subito si precipitò a chiamare il take-away più vicino.
 
 
<< Grazie per essere andato a prendere il cibo... >> La gola di Orthilla sembrava una collina in preda a un violento terremoto. La ragazza ingurgitava e deglutiva il lauto pasto con un’avidità spaventosa, come se non mangiasse da mesi. Brendan non smetteva di fissare quel pomo delicato muoversi, il volto misto tra lo scioccato, il divertito e il… preoccupato? << Figurati, era a due passi da qui. >>
Il busto magro della ragazza era completamente piegato sul piatto, avvolto in una felpa grigia fin troppo grande per la sua stazza, e la forchetta di metallo tenuta leggera sulle mani ticchettava con forza contro la porcellana vecchia, cercando di prendere con sé quanto più cibo possibile.
<< Tutto bene? Sembra che non mangi da mesi! >> si sentì in dovere di dire, sconvolto.
Orthilla sembrò risvegliarsi da un sogno. Sollevò il capo e deglutì rumorosamente.
Brendan rinnovò il suo pensiero: quella ragazza era una tipa molto misteriosa.
Per i pochi giorni in cui l’aveva potuta osservare le era parsa… abbattuta, sì, da una vita che pareva non aver scelto. Aveva gli occhi tristi, il corpo trascurato – per quanto fosse carina -, e quando camminava trascinava i piccoli piedi come se le pesassero troppo.
Sembrava un oggetto dimenticato in un angolo, ricoperto di polvere e in disuso da anni.
Si era chiesto più e più volte, guardandola, che cosa potesse aver reso quegli occhi tanto tristi, ma forse non erano fatti suoi, e doveva starne semplicemente fuori. Del resto, chi era per intromettersi così nelle questioni private degli altri?
Magari era solo un momento buio, oppure il fidanzato l’aveva lasciata.
Eppure, nonostante sapesse di non dover ficcare il naso, non smetteva di domandarsi che cosa nascondesse quel corpo tanto fragile. Avrebbe potuto aiutare, ma non era sicuro che fosse la cosa giusta da fare. Orthilla sembrava così sola…
Pensò ingenuamente che magari, ora che c’era lui, si sarebbe sentita decisamente meno abbandonata.
<< Sì, è che… io… >> La ragazza guardò Altaria con i suoi occhi turchini, appollaiato su un albero ad ammirare con malinconia la luna brillare più di lei. << … ero a dieta. Oggi mi sono concessa un… lusso, diciamo… >> ed era così. Era davvero un lusso quella cena, per lei. Non mangiava così tanto da mesi. Aveva perso la voglia di fare tutto dopo l’accaduto, e nutrirsi bene faceva parte di queste cose. Guardò il piatto, pentita. Forse nemmeno la meritava una cena così. Un abitante di Hoenn gliel’aveva preparata col cuore, ignaro che sarebbe finita nella sua bocca… se solo avesse saputo, ci avrebbe messo il veleno. Tanto, cattiverie dette a voce o servite fredde, non faceva differenza.
<< Ma quale dieta? Stai bene così. Anzi, dovresti davvero mangiare di più. >> Brendan le pizzicò la spalla in modo affettuoso, e Orthilla avrebbe tanto voluto bloccargli quella mano color cannella in aria. Portarsela alla testa, tra i capelli spenti, sul collo, il petto, la pancia, giù fino ai piedi e risalire… sembrava intrisa di un qualche cosa di magico, armonioso, perfetto. La faceva sentire... utile. Amata. Il bisogno si impossessò di nuovo di lei. Non voleva spaventarlo, ma fece una fatica immensa per trattenersi dal saltargli addosso e tenerlo stretto. << Come mai hai scelto di diventare allenatore, Brendan? >> domandò, ritornando a fissare Altaria.
Brendan sorrise a quella domanda. << Perché mi sembrava il modo migliore per imparare a vivere. Diventare allenatore per me è stata una vera e propria porta verso la libertà, sai... >> nel frattempo, Sceptile si era avvicinato a mordicchiare affettuosamente la sua caviglia, lasciata scoperta dai risvolti. << puoi contare solo su te stesso e i tuoi Pokémon, niente mamma a dirti come funzionano le cose, niente adulti tra i piedi. E poi… ammetto, sono un tipo affamato di vittoria, di possibilità… non esistono limiti, solo quelli che ci si impone nella testa. Io ho intenzione di dimostrarlo a me stesso, e solo se do il massimo sono soddisfatto. >>
Orthilla trasudava invidia da tutti i pori. Le tremavano le labbra, rabbia e angoscia le avevano attanagliato lo stomaco in una stretta sanguinolenta. Era lì, immersa nel buio, a consumarsi lenta il fegato come legna nella morsa mortale del fuoco. Quanto avrebbe dato per essere lui in quel momento… avere la forza per riuscire a convincere la gente, la sua gente, che quello in cui credevano era sbagliato. Mostrando loro i frutti che si coltivano col duro lavoro, giorno per giorno, esibizione dopo esibizione, e invitarli a fare come lei. Insegnare dal palcoscenico che lo sforzo ripaga sempre e che no, i limiti non esistono. Che basta avere la forza giusta per volare all’infinito, alla ricerca di un “io” perfetto. Ma non era più possibile questo. Aveva passato troppo tempo con le mani in mano, come poteva ribaltare la situazione da un momento all’altro, così? Certo, una volta ci sarebbe riuscita. Però ora no. Non era più l’Orthilla tenace di un tempo, e Brendan, con quelle parole… riportava alla mente ricordi che facevano male. Dio, se facevano male. Si sentì un incapace. Anzi, si convinse nuovamente di esserlo. Una lacrima di sconfitta le rigò il volto, precipitando a terra.
Una idol dimenticata in un angolo, ecco cosa era. Si chiese cosa avrebbero fatto al posto suo gente del calibro di Camilla, o i Superquattro… e si sentì ancora più stupida, perché loro si sarebbero rialzati. Tutti, si sarebbero rialzati, persino Rocco, il nuovo arrivato, così giovane e bello, ma freddo e calcolatore come il ghiaccio. Persino lui.
Che di fama non ne sapeva niente, ancora.
La mano di Brendan tra i capelli la riscosse, un gesto intimo, che le fece schizzare il sangue in testa. Stava impazzendo. << Che… che fai? >>
<< Stai bene? Sembri arrabbiata… mi dici a cosa pensi? >>
Si guardarono. Lui, preoccupato, lei semplicemente morta. Non sapeva cosa dire. Era troppo presto per raccontare la sua storia, faceva troppo male… uno squarcio sul petto al confronto sarebbe stato decisamente meno doloroso. Prima o poi sarebbe venuto a conoscenza di lei, questione di giorni, forse di ore. Ma fino a quel momento sarebbe stata muta. Non voleva che se ne andasse… non ancora… era troppo bello avere una persona accanto… e quelle mani calde… che portavano una dolcezza sconosciuta fino al cuore… si alzò, lo congedò e si barricò in casa, gli occhi spenti gonfi di lacrime.
<< Orthilla! >> Brendan corse verso l’entrata, stordito. Si conoscevano da poco, ma non poteva sopportare una possibile idea di averla ferita. Come al solito era sempre colpa sua, il danno delle persone. Non fece nemmeno in tempo a raggiungere la soglia che Altaria si frappose tra lui e il mondo misterioso di Orthilla, scoperto e fragile, col fare di una mamma protettiva. Allargò le grandi ali e soffiò aggressiva contro di lui, intimandolo di andare via e di non toccare il cuore di lei, ancora debole e sconfitto.
Brendan non sapeva cosa dire. Se era stato fermato da un Pokémon, significava solo una cosa: doveva starne fuori. Ma quanto fuori? << Va bene. Altaria, prenditi cura di lei. Tornerò domani a porgerle le mie scuse. >>
Se ne andò assieme a Sceptile, cercando di capire che cosa avesse detto di troppo per farla innervosire in quel modo.
Quella ragazza era davvero un mistero. Che cosa teneva dentro?
Sì incamminò per il centro Pokémon, immergendosi nelle strade buie di Ceneride. L’aria umida e salata gli invase le narici. In un altro momento avrebbe assaporato a pieni polmoni quella brezza che sapeva di traguardo… di obbiettivi raggiunti, di vittoria. Ma ora, nela mente aveva solo Orthilla. E quegli occhi.
Quei fottutissimi occhi pieni di tristezza.






NdA
Aaah, finalmente ci siamo. Direi che col prossimo capitolo giungiamo al nocciolo della storia <3 allora, come vi è sembrato questo… coso? E Brendan? Che impressione vi da? Ho fatto leggere i capitoli ad una persona (<3) e mi ha detto che non sto affatto correndo, che i tempi sono giusti, ma io ho paura, aiut--
Non ho molto da dire, spero solo di andare bene  ><, ancora non ho terminato la storia ma non saranno tanti capitoli u.u
Vado, se volete recensite, fatemi sapere cosa ne pensate <3


 PS: martedì parto - vado in Spagna - e siccome dal 1 di luglio comincio pure a lavorare avrò meno tempo per scrivere. In teoria dovrei comunque riuscire a finire questa storia abbastanza veloce, per cui grossi e preoccupanti rallentamenti non ci saranno. 

Bye
Lou

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Capitolo 5
*** V. ***



V

<< Oh, avete novità di Orthilla? >>
Orthilla.
Brendan sollevò lo sguardo dal suo Thé Roserade, e quando urtò il ginocchio contro il tavolino la calda bevanda ondeggiò nella tazza, increspando la superficie di piccole onde brune. Quel giorno pioveva, a Ceneride, e aveva scelto di rimanere al Centro Pokémon a rilassarsi un po’. Inoltre, non pensava di tornare al giardino.
Prima di tutto, per il tempo. Secondo, voleva lasciarla in pace. Si conoscevano da poco e già aveva fatto danni. Sapeva di dover tornare a chiedere scusa, ma più acqua fresca lasciava correre tra loro, più facile sarebbe stato per lei perdonarlo. Era una decisione che aveva preso in quel preciso istante.
Sì, qualunque cosa avesse fatto. Ancora non lo sapeva, ma si era reso benissimo conto di aver urtato un equilibrio strano, e di averlo fatto tremare violentemente.
A volte le cose banali possono fare più male di quelle grandi, se usate nel modo giusto.
<< In che senso, novità? Ormai è morta, ma meglio così: ha lasciato spazio ad altri idol che di certo meritano molto più di lei. >>
“Idol?”
Sgranò le palpebre grigie. Orthilla era una Idol?
<< Già… come Lilì, di Unima! Che ragazza spettacolare.. quanto vorrei che abitasse qui ad Hoenn! Potremmo davvero vantare una idol con i fiocchi piuttosto che sta falsa… >>
Silenzio. Le orecchie di Brendan si fecero tese come corde. Dunque Orthilla aveva una certa fama qui in città… e non molto bella. Si alzò e raggiunse il tavolo dei maldicenti; doveva sapere. Ci era finito dentro per sbaglio, proprio in quel momento. Ma adesso non si sarebbe tirato indietro per nulla al mondo. << La conoscete? >> chiese. Gli sembrava di essere stato fuori dal mondo per un tempo troppo lungo. Si sentiva preso in giro, ma del resto come poteva incolparla di non avergliene mai parlato? Si conoscevano da pochissimo, e inoltre erano comunque fatti suoi. Altaria ieri era stata chiara: lui doveva starne fuori.
<< Ragazzo, ma dove vivi, a Kanto, dove tutto arriva all’ultimo secondo? >>
Sorrise mesto. Che battuta triste e ridicola. E dire che pensava di essere lui l’ultima ruota del carro.
<< Orthilla era una idol amatissima in tutta Hoenn, e sicuramente anche oltre. Però poi si sono scoperte delle verità… scomode, ecco. >>
<< In che senso scomode? Che verità? >>
<< Ragazzo, ma seriamente, dove abiti? >>
Una terza voce si aggiunse alla conversazione. << Forse non lo sai, ma lei è la nipote di Adriano, l’ex campione di Hoenn. >>
Brendan fece mente locale. Aveva sentito parlare di Adriano, certo, ma mai di Orthilla.
Chi era Orthilla? Chi era quella macchiolina nera in mezzo al bianco uniforme del mondo?
Chi, chi era?
<< Questa notizia è saltata fuori diversi mesi fa, e si è scoperto che lei si è comprata la fama utilizzando lo zio. E’ vero, te lo assicuro. Sai com’è… di questi tempi ci si attacca tutti al pene più grande. Lei poi, a quello dello zio ci ha ciucciato per bene. >>
Risate, ancora. Il ragazzo guardò Brendan, ma lui non ricambiò l’occhiata maliziosa, non ricambiò niente. Non poteva credere a ciò che aveva appena sentito. Aveva avuto accanto una idol, anzi, ex idol...  anzi, una semplice ragazza disprezzata da tutti, ci aveva cenato e non si era reso conto di niente. Solo che stava male.
<< Adriano che fine ha fatto? >>
<< Ha lasciato la città. Il suo posto lo ha preso Rocco. Sei un allenatore? >>
<< Certo. >>
<< Allora allenati bene, perché… >> tutto si fece ovattato, sfumato. Non seppe quali furono le parole che succedettero quel perché, ma non gli importava.
Uscì dal centro Pokémon senza fiatare. La pioggia lo investì come le accuse pesanti avevano investito Orthilla tempo fa, disintegrandola. Ecco cosa nascondeva, quel corpicino. Ecco, ecco. La fama le si era ritorta contro nel peggiore dei modi. E lei… lei, così piccola… fece un rapido calcolo. Non doveva avere più di 19 anni, come lui.
Così piccola, contro una cosa così grande. Da sola.
Sì, sola, dannazione.
Cominciò a correre. Non sapeva a che filo appendersi, gli sembrava tutto un grande punto interrogativo. Orthilla, una persona di così tanto rilievo… una raccomandata… no.
L’unica che poteva sapere come stavano realmente le cose era lei, non voleva puntare il dito contro nessuno. Raggiunse il giardino, scavalcò la ringhiera e si fiondò alla porta. Bussò.
 
 
Orthilla lo guardava dallo spioncino in cima alla porta. Era zuppo dalla testa ai piedi, con i capelli incollati al viso e le lunghe ciglia impregnate di gocce fredde. Gli occhi grigi non sapevano dove posarsi, e sembravano carichi di rammarico. Cosa poteva essergli successo? Lo fece entrare dopo qualche istante, in ansia. Finalmente era arrivato.
Temeva che per la pioggia non sarebbe venuto… invece ora era lì, di nuovo da lei.
<< Orthilla! >>
<< Brendan… >> si accorse che aveva freddo. Gli porse un asciugamano e, prima di farlo entrare, gli chiese di togliersi le scarpe.
Rimasero in silenzio per un po’, a guardarsi. Orthilla non sapeva cosa dire. Era felice di vederlo. Aveva temuto il peggio, che se ne fosse andato, che lo avesse spaventato… voleva chiedere scusa per l’atteggiamento della sera prima, ma non sapeva come.
Non sapeva mai come affrontare le situazioni, lei.
Sperò in un abbraccio. Sperò in qualcosa, qualsiasi cosa che fosse in grado di riaggiustarle un po’ il cuore, da tutta l’ansia che lo aveva tenuto congelato fino a quel momento.
Brendan si sedette, col fiatone.
<< Vuoi che ti preparo qualcosa di caldo? >>
<< No, non ti scomodare… Orthilla… >>
Si guardarono. Grigio e turchese si fusero in una miscela di dubbio e timore.
<< Ho sentito delle cose… >>
Orthilla si sentì strizzare lo stomaco in una morsa di ferro. Se prima aveva sperato in un gesto di affetto, ora pregò con tutto il cuore che non avesse scoperto chi era realmente. Come si sarebbe potuta giustificare…? Nessuno l’aveva creduta fino ad ora. Perché lui avrebbe dovuto? Non lo voleva perdere… no… aveva paura di rimanere di nuovo sola. Lo conosceva da poco, ma era bastato. Era bastato, per volerlo così tanto, nonostante l’invidia che provava nei suoi confronti. In un tempo in cui tutti l’avevano lasciata marcire nei suoi finti errori lui si era preso cura di lei, anche se i giorni di interazione si potevano contare sulle dita… no, no. Era accaduto tutto così veloce…
si sentì sull’orlo di un baratro scivoloso.
L’unico tesoro che aveva, presto sarebbe scivolato giù, inghiottito dal buio.
<< Orthilla… è tutto vero? >>
Si specchiò negli occhi di Brendan, e quel che vide fu una ragazza morta, completamente. I capelli mal tenuti, magra, curva… si era abituata alla rovina, al fatto che non si sarebbe trovata mai più. Provò mille paure e l’ansia si impossessò di lei. Non voleva dirglielo. Non voleva parlare, si sentiva una sciocca.
Se avesse parlato, lui sarebbe fuggito…<< Brendan… >> fu l’unica cosa che riuscì a mormorare. Poi si chiuse, come un bocciolo aperto troppo presto.
<< Non voglio credere a quelle persone, Orthilla. Cerco la verità da te. >> lui le si avvicinò. Odore di pioggia, ricordi andati, voglia di vivere si mescolarono nei sensi di Orthilla.
Quella fottuta voglia di vivere, che lei non riusciva più a trovare… così grande e potente… la piegò in due dal dolore. Le venne voglia di gridare.
Ma rimase in silenzio. Non avrebbe parlato. Mai.
<< Orthilla. >>
Silenzio.
<< Sono vere quelle cose…? So che non sono fatti, miei, ma… ho sentito, e… ora ci sono dentro. Ti prego. Voglio aiutarti. Se avessi saputo… >> Brendan sibilò di rabbia. Stupido, stupido. L’aveva sottovalutata. Avrebbe dovuto saperlo fin da subito. << Non avevo capito chi fossi. Scusa. Ma mi ero accorto che c’era qualcosa che non andava in te… dimmi che non è così, ti conosco da poco, ma so che non sei quel tipo di persona. >>
Silenzio. Pesante, insopportabile silenzio.
Solo il ticchettio dell’orologio tra loro, intervallato dall’incessante scrosciare della pioggia che batteva violenta contro i vetri delle finestre.
Per il resto, silenzio.
La guardò preoccupato. Perché si rifiutava di dirle come stavano le cose? Chi, meglio di lei, poteva saperlo? Quella ragazza doveva parlare. Dava l’impressione di un fiore pieno di veleno, prossimo a scoppiare. E lui, ora, doveva sapere. << Insisto, perché mi rifiuto di credere che sia così. >>
Silenzio.
<< Parla. Posso aiutarti. Non sono un idol, ma sono un essere umano. Come te. >>
<< Te ne andrai… anche tu… >>
Il fiore non scoppiò.
Implose, semplicemente. I suoi petali turchini caddero debolmente a terra, affogando nel veleno che esso stesso si era creato.
Rimase uno stelo nudo, fragile. Spezzato sotto un forte vento.
<< Andare dove. >>
<< Via… via, lontano da me… crederai alle persone… >>
Brendan la prese per le spalle, scostò coperte, cuscini e la fece sedere sul divano. Orthilla era sbiancata, e tremava di pianto. Non stava bene. Era evidente. Le fece una pena tremenda. Non poteva capire quello che provava, ma adesso c’era lui lì con lei. Non l’avrebbe abbandonata, erano amici. O no?
<< Spiegati, si tratta solo di dirmi come stanno realmente le cose. Lo sai che crederò a te. >>
<< E’ impossibile… >>
<< Perché? >>
<< Perché hanno smesso di credermi tutti… >>
<< Tutti. Non essere esagerata, Orthilla. >>
<< Tutti! E io… >> Orthilla lasciò andare una lacrima, permettendole di rigarle il volto pallido. La paura di perderlo le teneva il cuore schiacciato sotto un peso troppo grande. Non ci riusciva. Lei.
Che era sempre riuscita a fare tutto, anche l’impossibile. Si stava comportando da vera debole, e quando se ne rese conto provò un profondo odio per se stessa. Schiaffi, tanti schiaffi. Ecco quello di cui aveva bisogno. Perché, perché non riusciva a riprendersi dannazione…
<< Io… rimarrò di nuovo sola…! >>
Le braccia umide di Brendan la avvinghiarono con forza, e in un battito di ciglia la ragazza si ritrovò a viso premuto contro il suo petto.
 Fatta. Era fatta.
Il suo odore, il suo calore, quei capelli bagnati… il ragazzo la chiuse in una bolla di affetto, per proteggerla contro il male che si stava infliggendo da sola.
La corazza crollò, e Orthilla scoppiò a piangere, rivelandosi per quello che era: una fragile ragazza di diciassette anni lasciata sola e abbandonata ad un destino incerto e cattivo.
Troppo pesante, per le sue spalle. Troppo.
Aveva bisogno di sfogarsi. Pianse per minuti che parvero ore, fino a quando i polmoni le si infiammarono e la gola cominciò a reclamare acqua.
Pianse, pianse, liberandosi di tutto il marcio che le persone le avevano cacciato nel cuore, soffocandolo.
Pianse, e Brendan la tenne stretta a sé.
Tutto il tempo.






NdA
Posto anche questo today, eeeee niente chiamate la pula, ditemi davvero cosa ne pensate di questo capitolo perché ho paura di non aver passato sufficienti emozioni - la solita noia che mi faccio tutti i minuti, abbiate compassione di me plis -, ed è sicuramente uno dei più importanti.
Orthilla mi sta piacendo davvero tanto come personaggio, credo che entrerà nella lista dei preferiti - ma non batterà mai Rina, OHSACRARINA - vi sta piacendo Brendan?
Che poi in italiano è BrendOn, con la O proprio, santo dio. Va beh. Non ho mai giocato ad ORAS, mi sono fidata di Wikipedia. -.-"
Detto questo vi saluto, ci sentiamo al prossimo capitolo!


Bye
Lou

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Capitolo 6
*** VI. ***



VI
 
<< Ecco qui. Mangia qualcosa di caldo. >>
Orthilla annusò la zuppa fumante tra le mani di Brendan; sembrava buona, odorava di baccamodoro e brillava di un rosso acceso. La afferrò, e il calore del vassoio le attraversò le mani, provocandole dei brividi lungo tutta la pelle. Poi, prese il cucchiaio e lo squadrò, sotto gli occhi vigili di Altaria, accanto a lei, del ragazzo e il suo Sceptile, appoggiati al muro. Sembravano tutti preoccupati, ma tutti pronti ad aiutarla, in caso di bisogno.
Si fece forza e mangiò.
Era davvero squisita. Una tiepida carezza allo stomaco, che finalmente si sbrogliò dall’ansia, crogiolandosi nella deliziosa cena.
<< L’hai fatta tu? >> domandò, e sorrise.
Quando Brendan ricambiò arrossì. Fu una sensazione stupenda.
<< No, magari. Ti sei addormentata, e ne ho approfittato per fare una corsa al centro Pokémon. Ho cenato e ho chiesto un piatto per te, poi sono venuto qui! E… niente… eccomi. >>
Eccolo, già. Ancora lì, con quegli occhi grigi e quella faccia da bambino, a guardarla dispiaciuto. Confuso e pieno di domande a cui non sapeva trovare risposte.
Orthilla tirò un sospiro sollevato e finì la cena in silenzio. Era stato davvero gentile e premuroso a portarle qualcosa da mangiare. Non sapeva come ringraziare.
<< Hai pianto molto… ero preoccupato… >> Brendan si accomodò accanto a lei. Tradiva un certo nervoso, teneva le mani serrate. << Non ti fermavi… >>
<< Scusa.. avevo bisogno di sfogarmi… erano mesi che mi tenevo dentro tutto questo… perdonami. Sei capitato tu, io… grazie… >>
<< Figurati. >>
Silenzio. Si guardarono e si sorrisero, come i bambini dopo aver fatto pace.
<< … Non è la verità. >>
Brendan si riscosse. Era contento che avesse preso lei l’iniziativa di parlare. In caso contrario, non avrebbe più osato chiederle spiegazioni. Per cosa, alla fine? Per vederla stare male?
Piuttosto sarebbe rimasto con i dubbi.
<< Non è la verità quello che hai sentito. Quando la gente ha scoperto che ero la nipote di Adriano si è diffuso un odio immenso sia nei miei confronti che nei suoi… >> pensò allo zio, a dove potesse essere. A cosa stava facendo in quel momento. Se aveva trovato la forza di rialzarsi, dopo le accuse pesanti che lo avevano travolto. << Pensano tutti che io mi sia guadagnata il mio posto da Idol sfruttandolo, ma sia io che lui, abbiamo sempre lottato da soli per inseguire i nostri sogni. Il massimo che mio zio… >> si schiarì la voce. << … Adriano, ha fatto per aiutarmi è stato darmi qualche dritta. Per il resto, mi ha lasciata al caso, alla mia buona stella, come diceva lui… perché mi potessi fare le ossa. >>
Brendan cominciò a collegare i pezzi. Ecco perché la scorsa sera era scappata in casa. Perché sentirlo parlare di sogni, di limiti da abbattere,di volontà e coraggio… le doveva aver fatto un male devastante. Le doveva aver portato alla mente i suoi, di sforzi, gli sforzi di una ragazza giovane e piena di talento schiacciata dai pregiudizi.
Sforzi, dunque, che non erano serviti a niente salvo rivelarsi inutili.
Si diede di nuovo dello stupido.
<< Solo che… >> Orthilla strinse il piatto con forza, facendo sbiancare le nocche già pallide. << Non mi aspettavo un fallimento così grande… non sono mai stata piena di me, la fiducia che tiravo fuori sul palco la dovevo solo al mio pubblico. Ai ragazzi che mi corteggiavano, le ragazze che mi invidiavano. Forse in questo sono stata parassita… >> mormorò con rammarico.
La mente tornò alle rose sul palco, gli occhi sognanti dei giovani, le ammiratrici che sognavano di avere i suoi capelli, le sue gambe, la sua grinta travolgente, tutto. Ripensò ai ragazzi che le chiedevano di sposarli, ai poster enormi appesi ai lampioni, ai balconi delle case.
Ai palloncini blu sollevati in suo onore, quando arrivava a portare splendore nelle città.
A quanto era luminoso il mondo, visto con gli occhi di una sognatrice.
E a quanto faceva schifo ora, che si rifiutava persino di uscire di casa.
La nostalgia la prese alla gola come una tentazione troppo forte. Ma il braccio di Brendan poi strusciò contro il suo, la sua mano calda si arrampicò fino a raggiungerle il viso.
Brividi.
La accarezzò in modo intimo, scostandole i capelli dietro le orecchie con impaccio, e quel gesto spontaneo le fece tremare il cuore.
Si guardarono. Orthilla si morse il labbro, malcelando l’improvvisa voglia di baciarlo sulle labbra.
<< La consapevolezza di aver fallito come persona, più che come idol… fa ancora troppo male… >> abbassò la voce. << … l’odio che tutti provavano nei miei confronti fu peggio di un pugno allo stomaco… e ora come ora mi trovo smarrita… piena di paure… Brendan… >> lo guardò di nuovo, disperata, ma la calma tersa che vi era negli occhi di lui riuscì a rasserenarla. << Non esco mai di casa. Ecco perché mi sono rifiutata di andare a cenare con te al centro Pokémon, ieri sera. >>
<< Invece dovresti. >>
<< E invece no. Hai idea di cosa accadrebbe? >>
Brendan lo sapeva, sapeva che l’avrebbero umiliata in molti. Ma ora era diverso, ora c’era lui al suo fianco. Doveva aiutarla a prendere il volo, aiutarla ad uscire dalla tana e affrontare il mondo. Ne aveva tutte le capacità, semplicemente, aveva smesso di crederci.
Orthilla aveva temuto che se ne sarebbe andato, invece era lei che era scappata via da se stessa, ecco la verità.
Prima di lasciare Ceneride, avrebbe ricongiunto tutte le sue parti più fragili. Sì, era quella la sua missione adesso. Ricomporre un puzzle stupendo. << Invece sì. Non puoi saperlo del tutto, fino a quando non esci da qui. >>
Entrambi lasciarono che quelle parole si persero nell’aria della notte che entrava dalla finestra, sovrappensiero. Orthilla realizzò con piacere di sentirsi più leggera, come un Hoppip trasportato dal vento primaverile. Stava ancora male, ma finalmente qualcuno aveva scelto di credere a lei, piuttosto che al mondo intero. Una strana sicurezza le riscaldò le gote. Si rese conto che con Brendan accanto poteva stare protetta, che nulla l’avrebbe scalfita più se lui le faceva da scudo. Forse erano solo illusioni, o la pace del momento. Ma il pensiero la fece rilassare un poco, sciogliendo la tensione. Si mise sulle ginocchia e si fece vicino a lui. Poi, gli strinse la mano con una forza che nemmeno lei pensava di possedere. << Grazie, Brendan… >>
Il ragazzo arrossì, colto alla sprovvista da quella dimostrazione di affetto non programmata. << Figurati… beh, hai visto? >>
Orthilla fece una faccia stranita.
<< Alla fine non sono andato via! Tu che avevi tanta paura… proprio non capisco voi donne e i vostri scleri. >>
<< Ma se non ne hai mai avuta una… cosa ne puoi sapere, tu, dei nostri “scleri”, eh? >>
<< Ho avuto la fidanzata anche io. >>

<< Mi domando a quale età. >>
Sceptile non trattenne un verso divertito, e il suo riso scettico valse più di mille parole.
Brendan diventò paonazzo e si sollevò dal materasso con fare altezzoso. Si schiarì la voce, prima di cambiare argomento, come faceva sempre quando qualcosa lo metteva a disagio. << E comunque, si è fatto tardi! Devo tornare al Centro Pokémon. >> tornò in sala e afferrò la sua borsa.
Si affrettò alla porta, la aprì e prima di uscire guardò Orthilla. Si sorrisero. Era contento di vederla così serena e pacata. Dopo il pianto che l’aveva vista protagonista, quelle piccole labbra sollevate appena ora sembravano un arcobaleno in mezzo ai tuoni. Meravigliosa. Era bellissima. Tutta intera, faceva invidia alle stelle e allo stesso Sole. Solo, doveva imparare a tenersi salda, senza smarrire i pezzi. << Non è colpa mia se le ragazze hanno gusti orribili! >> sbottò, per poi farle l’occhiolino e andarsene.
Orthilla lo osservò allontanarsi dallo spioncino della porta. Sperò che non gli accadesse niente durante il viaggio di ritorno. Ora che era certa di avere dell’affetto sincero a portata di mano, avrebbe fatto di tutto, di tutto, pur di tenerlo stretto a sé per sempre.



Nda
ed eccoci qui col sesto capitolo. Mi rendo conto che è davvero corto, ma ho intenzione di allungare il prossimo, in più farà la sua comparsa un "nuovo" personaggio, eheh.
Vedrete, vedrete!
Come vi è sembrato questo capitolo? 
Spero di ricevere qualche recensione, per il momento passo e chiudo.
Byee

Lou

 

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Capitolo 7
*** VII. ***


 VII
 
<< Perché non provi a lottare con me? >>
<< Eh? >> Orthilla smise di pettinare il manto di Altaria, cristallizzando il flusso dei suoi remoti pensieri. Quel giorno, Brendan aveva deciso di sfruttare la frescura per allenarsi di mattina presto; la pioggia di ieri aveva raffreddato l’aria, e Ceneride si era ritrovata inglobata in un clima mite e ventilato, l’ideale per non sudare e dunque sentire meno fatica. Si era presentato alla porta prestissimo, con un sorriso affettuoso e due Pan di Lumi belli caldi chiusi dentro una sacca ciondolante sporca di burro.
Lei, al solo sentirne l’odore, si era precipitata di fuori. Avevano fatto colazione insieme e dopo qualche chiacchiera, Brendan si era subito messo sotto con l’allenamento, mentre lei aveva trovato occupazioni differenti per impiegare il tempo.
<< Lottare? >> ripeté, quasi come se non avesse capito bene.
<< Certo, lottare. Ti va? >>
<< Non credo di esserne ancora capace. E poi, non mi sono mai interessata alle lotte. >>
<< Beh… >> il ragazzo le porse la mano. Lei non ci pensò due volte ad afferrargliela. La strinse, e sentì una potente energia accelerarle i battiti del cuore.
<< C’è sempre una prima volta, no? Mi permetta di sfidarla ad una lotta, bella donzella. >> quando le labbra di lui si posarono sulle sue nocche in quello che voleva essere un romantico baciamano – malriuscito, ovviamente - sentì di volerlo nuovamente baciare sulle labbra. Si spaventò a quel desiderio insano e prematuro saltato fuori ancora una volta, ma non poteva nascondere a se stessa che, dopo ieri sera, si sentiva legata a lui da un qualcosa che forse vedeva solo lei, ma che assolutamente non voleva spezzare. Era come se le sue lacrime l’avessero unita a lui. Non voleva più lasciarlo andare.
<< Uno contro uno. Ci stai? >>
<< Non sono molto brava, ti avverto. >>
<< Fammi vedere di cosa sei capace. Altaria non sembra scherzare. >>
Orthilla posò lo sguardo sul suo Pokémon. Effettivamente, Altaria sembrava aver preso la situazione molto seriamente. Guardava Sceptile in modo tremendo, tirandogli occhiatacce di intimidazione e scherno. D’altro canto, il Pokémon foresta la ignorava divertito, convinto di avere la vittoria in tasca nonostante lo svantaggio di tipo.
<< Falla lottare un po’, Orthilla. Ne avete bisogno entrambe! >>
<< Va bene. >>
Le due sfidanti accettarono la lotta e si misero in posizione. La ragazza era visibilmente nervosa. Anche se in fin dei conti si trattava di una banalissima sfida, si sentiva emozionata, come se all’improvviso l’avessero gettata sul palcoscenico, davanti agli sguardi speranzosi del pubblico. Prese un respiro. Una altro. Altaria si concentrò con lei, e insieme parvero il più bello dei fiori.
Immaginò di essere avvolta da candide luci, tutto intorno a lei si fece buio. Sognò di indossare un magnifico vestito blu e di essere acclamata da tutti. Quel giorno si sarebbe fatta valere. Sì. Avrebbe vinto. << Attento, Brendan. Mi ha allenato mio zio. >> sorrise, provocatoria. << E mio zio era il Campione di Hoenn. >>
<< Così mi piaci. >> Brendan la osservava da lontano, sorridente. Sembrava la regina di un palcoscenico tutto suo, quello della sua vita. Era incantevole, così piena di dolore, ma così forte. << Se ti batto, significa che sono pronto per la Lega, allora! Vai Sceptile… >>
<< Altaria, splendi ancora! >>
Sorrise di nuovo, mentre i due Pokémon si Megaevolvevano. Orthilla era davvero piombata in uno scenario tutto suo.
<< Ora la battaglia si fa interessante! Scept, vai di cattiveria: dragartigli! >> Sceptile sfoderò gli artigli e corse minaccioso verso Altaria, che però si librò in volo, schivando perfettamente l’attacco.
<< Non ti preoccupare, ho una soluzione anche a questo. Scept, arrampicati sugli alberi! >>
La grossa lucertola sparì, inghiottita dal verde delle fronde. Erano tante, e poteva essersi spostato su qualsiasi arbusto.
<< Abbiamo appena iniziato, mio caro. Altaria, localizzalo. >>
Il Pokémon canterino iniziò a volteggiare piano intorno agli alberi. Se Sceptile si era dimostrato come un tipo sicuro, lei traspariva eleganza da ogni piuma. Era bellissima e superba, e con la Megaevoluzione il suo ego aveva acquistato ancora più valore. Brendan notò con stupore che era molto diversa dalla sua allenatrice.
Una fragile, l’altra orgogliosa. Eppure, proprio per quel motivo erano un mix perfetto e stupendo.
Quando Altaria lo trovò, spalancò il becco bianco e un violento Dragopulsar attraversò le fronde con cattiveria devastante. Ma fu troppo lento. Quando Sceptile saltò allo scoperto, si accorse con rabbia di aver colpito uno dei mille ologrammi che presto invasero l’area di lotta.
<< Doppioteam…  Brendan, cristo santo. Ti odio. >>
<< Shhh, bambolina. Non ti agitare. >>
<< Altaria, vai di fortuna, vediamo che trappola nasconde… >>
Raggi color vino si sparpagliarono contro le illusioni, alla ricerca dello Sceptile giusto, e Brendan osservò con stupore che tutto era perfettamente svolto con armonia e grazia, tipico di Orthilla. I Dragopulsar lanciati parevano strappi scuri fatti al vasto manto color indaco del cielo, un’immagine cattiva e violenta. Incantevole.
Quando Altaria lo individuò, però, fu di nuovo troppo tardi. Il Pokémon Foresta si attaccò al collo del rapace e lo scaraventò contro un albero, facendone tremare il tronco.
<< No! >>
Il Drago-Folletto, tuttavia, lo prese per la coda prima che potesse cadere e, sbilanciati dal peso, precipitarono insieme verso il basso. I corpi pesanti dei due atterrarono brutali sull’erba, provocando un immenso boato.
<< Tosta quell’Altaria, eh? >>
<< Davvero tosta, come la padrona. >>
Una terza voce si aggiunse al caos provocato dalla lotta. I due giovani si voltarono, e Orthilla riconobbe all’istante la figura entrata in scena.
In eleganti abiti da sera, Rocco Petri li stava osservando dalle inferriate, con un largo sorriso dipinto sul volto e gli occhi freddi come il metallo ardenti di passione.




Nda
e finalmente anche Rocco Sippetri fa la sua comparsa in questa storia. Era da secoli che volevo metterlo! Mi sento in pace con me stessa ora **
Credevo che fosse un capitolo lungo, invece risulta cortino anche questo. Scusate, word inganna.
Una cosa che ancora non riesco a capire è perché, se metto l'edit al centro della pagina, EFP me lo sposta di lato.
Questa cosa mi snerva tantissimo, che problemi ha l'HTML? Va beh, se leggete da cellulare non credo si veda, però dal PC sì, e non lo sopporto. Sappiate comunque che l'immagine va al centro, non ai lati.
Grrr.
In ogni caso, questo capitolo come vi è sembrato? Lasciatemi pure delle recensioni se vi fa piacere! Corro, che ho tantissimi aggiornamenti da fare XD.
Ciao!

Lou

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Capitolo 8
*** VIII. ***


VIII

Rocco Petri.
Che ci faceva lì, a quell’ora del mattino?
La lotta venne interrotta da Orthilla, che si avvicinò all’emergente – e già tanto adorato – Campione di Hoenn con trepidazione, ansia e anche un po’ di risentimento. Era davvero affascinante, un ragazzo di classe che dentro di sé covava una forza bruta inimmaginabile. Brendan lo fissava da lontano, ammutolito. E così era lui, l’ultimo, temibile avversario che avrebbe dovuto affrontare. Chissà come si comportava in campo, sembrava un tipo così pacato visto da lontano. Tuttavia, non era sicuro che la camicia ben abbottonata e la giacca nera bastassero a classificarlo come un soggetto quieto. Osservò la scena, rimanendo al suo posto.
<< Ciao, Orthilla. >>
La ragazza lo scrutò da oltre le inferriate, quasi impaurita. Che cosa voleva? Erano settimane che non si scrivevano, aveva perso il conto dei mesi, ormai. E ora si presentava alla porta di casa sua puramente a caso, con una sacca di pelle tra le mani e un sorriso nervoso dipinto sul volto.
<< Ne ho approfittato di questo giorno di festa per venire a trovarti. Sembrano passati secoli dall’ultima volta che ci siamo scritti. Posso entrare? >>
Brendan si fece infiammare da un insano moto di gelosia. Orthilla si scriveva, o meglio, si era scritta con Rocco?
Lo guardò. Era molto più bello di lui. Molto più alto, molto più uomo, molto più tutto. Aveva un taglio affascinante degli occhi e il viso perfetto che ogni ragazzo sogna di avere. Mentre lui… cos’era lui? Una mezza calzetta, al confronto. Scosse la testa. Non gli era mai successo di confrontarsi e trovarsi inferiore. Forse, voleva avere un posto unico nel cuore di Orthilla?
Non fece in tempo a riflettere. Sceptile gli tirò una capocciata contro la spalla, per distrarlo. Lo abbracciò. Al suo Pokémon piacevano i suoi occhi tondi, piaceva la sua statura bassa, la sua voce rauca e il suo corpo ancora acerbo. Per fortuna che c’era lui. Non aveva bisogno di chissà quale canone per andargli bene, si erano accettati così per come erano, debolezze e bruttezze.
Una coppia vincente.
A riportarlo di nuovo con i piedi per terra fu la mano di Orthilla nella sua. << Forza, entriamo. >>
Brendan si sentì il terzo incomodo, ma non disse nulla, mentre si lasciava trascinare dentro casa dalla forza prodigiosa della ragazza. Le aveva promesso che ci sarebbe stato. Anche quando le cose non lo riguardavano appieno, proprio come stava accadendo in quel momento.
Presero posto sul tavolo, e Orthilla, per la prima volta vergognandosi del caos, servì un bicchiere d’acqua a Rocco. Era imbarazzatissima, e a disagio.
Il giovane Campione, d’altro canto, non smetteva di guardarsi intorno con tristezza. Il caos regnava sovrano in quella casa, ma non sapeva dire se era peggio quello o la tempesta che sbatteva pericolosamente Orthilla contro gli spigoli della brutta fama, ferendola gravemente.
Come doveva sentirsi sola. Lui non sapeva prendersi cura delle persone, affatto, ma sperava comunque di venirle in soccorso con la notizia che stava per darle.
<< A cosa devo la tua presenza? >>
<< Ho una cosa per te. >> il Campione di Hoenn posò con delicatezza la busta sul tavolo. Poi, si accomodò contro lo schienale della sedia e fece cenno alla ragazza di frugarvici dentro. Orthilla la aprì con timidezza; si sentiva nervosa, eppure non aveva nulla di cui preoccuparsi, apparentemente. La prima sensazione fu puramente olfattiva. Un forte odore di carta le invase le narici. Poi, si concentrò sul contenuto.
Lettere. Centinaia e centinaia di lettere, tutte per lei, rinchiuse in una borsa da chissà quanto tempo. Le si strinse la gola.
Ecco dov’era finito lo zio. Nelle mani di Rocco. Serrato in una borsa dalla fibbia consumata.
<< Io… >>
<< Ti chiedo scusa se mi presento solo ora con queste lettere. >> anticipò Rocco. << Adriano mi ha chiesto di dartele appena avessi avuto un momento libero, e solo oggi l’ho trovato. La Lega mi occupa maggior parte del tempo. Lasciamo perdere la Devon, poi... >>
<< Come mai ha smesso di inviarle a me…? >> mormorò semplicemente la voce di Orthilla, flebile come un battito d’ali morente. Brendan se ne accorse, e le poggiò una mano sulla spalla per infonderle coraggio. Non poteva immaginare quanto potesse essere diventato delicato quel momento. Ma gli occhi di lei non mentivano: era paralizzata dal nervoso.
<< Temeva per la tua incolumità. Temeva in qualche intercettazione, o peggio, che finissero nelle mani sbagliate. Con tutto quello che sta succedendo a entrambi, ha preferito fartele recapitare tramite me. >>
<< Come sta? >>
<< Bene. Ma non spetta a me dirlo, giusto? >>
La domanda di Rocco suonò come un invito a scartare quelle lettere, ma Orthilla non osò nemmeno prenderne una. Le tremavano le mani, e vistosamente. Per tutti quei mesi, l’unica compagnia che aveva avuto era stata quella di Altaria; nemmeno un contatto umano, o una carezza, o un incoraggiamento da parte di qualcuno, niente.
Niente. Lei non lo aveva cercato, si rifiutava di crederci, stop.
Le lettere dello zio avevano smesso di arrivarle un giorno, di punto in bianco. La buca delle lettere si era presentata vuota e desolante come la sua inutile esistenza. Inizialmente aveva pensato ad un errore, un giorno sbagliato, ma poi le settimane erano volate, e di quei vitali fogli di carta neanche l’ombra.
Ora ricomparivano così. Tenuti al sicuro da mani d’acciaio.
Non sapeva se sentirsi felice o arrabbiata. Quanto avrebbe voluto che lo zio fosse lì con lei… al posto di Rocco.
Ma non poteva incolpare quel ragazzo. Anzi, doveva solo ringraziarlo; in qualche modo si era preso cura di Adriano, di lei e del rapporto che c’era tra loro. Sapeva che non poteva trattenersi per sostenerla, anche perché questo avrebbe sicuramente comportato un calo della sua immagine ben lavorata, ma gli fu comunque grata.
<< Non mi sento pronta. >> dichiarò, ritraendo le mani dalla tavola e nascondendole tra le cosce, come se fossero dotate di chissà quale allarmante potere. Come se con un solo tocco potessero infettare quella carta bianca, e sgretolarla, farla sparire.
Perché tornasse di nuovo sola, quello che si meritava per aver pensato che tutto sarebbe andato liscio.
<< Bene… >> Rocco si alzò, si sistemò la cravatta e le sorrise incoraggiante. << Ci sono anche quelle più recenti. Prenditi il tuo tempo. Questo ragazzo chi è? >>
Brendan sobbalzò. Era finito sotto la lente, nonostante avesse cercato di dare nell’occhio il meno possibile. << Colui che prenderà il tuo posto. >> aggrottò le sopracciglia e sfoderò un sorriso che valeva più di tutto. << E presto, anche. >>
<< Eh, cosa sento! >> il Campione rise di gusto, e gli anelli sulle dita brillarono alla luce del debole sole. << E presto conto di vederti… >>
<< Brendan. >>
<< Brendan. Me ne ricorderò. >>
Uno sguardo d’acciaio si rifletté negli occhi del giovane allenatore, e con quell’ultima azione anche Rocco se ne andò, lasciando i due soli in quella casa troppo grande.
Orthilla sembrava essersi isolata nel suo mondo.
<< Ehi. >>
<< Non so che cosa dire. >> si voltò di scatto verso Brendan, nervosa. << Mesi che aspetto queste lettere, e alla fine le aveva lui… >>
<< Cerca di capire che tuo zio tenta solo di proteggerti. >>
<< Lo so, ma… >> Orthilla prese un respiro. Era agitata, inutile nasconderlo. Scoprire di essere rimasta, nonostante tutto, nel cuore e nei pensieri dello zio era un’emozione troppo forte da sopperire, o da spiegare con semplici parole. << le leggerò questa sera, forse. >>
E così decise.
 
La notte arrivò lenta, chiazzando di blu le lettere lasciate con cura sul tavolo della cucina.
 
 
<< Ehi! Hai già finito di leggere? >>
Orthilla si lasciò cadere accanto a Brendan, a peso morto. Il vento soffiava tra le fronde degli alberi, liberando in aria foglie color smeraldo, e la notte aveva tinto di nero ogni cosa, risparmiando solo loro due. La temperatura pareva un po’ calata.
O forse era lei ad avere sempre, costantemente freddo.
Cercò di farsi calore con i capelli, sistemandoli come meglio poteva su spalle, schiena e petto, in modo che la coprissero non solo dalla pena che faceva, ma anche dal gelo che percepiva.  << Ne ho scartata una… >> prese un ramoscello lì vicino, lo spezzò e cominciò a disegnare Pokéball sul terriccio morbido. << Ma non ci sono riuscita… mi sono sentita abbandonata per tantissimo tempo e… mi fa ancora troppo strano contare così tanto per qualcuno… >>
<< Perché parli così? >>
La ragazza si massaggiò le gambe intorpidite, lasciate scoperte dai pantaloncini. Non lo sapeva nemmeno lei. Perché parlava così? Lo zio non l’aveva abbandonata, e Brendan era lì, a respirare quell’aria impregnata di sale assieme a lei. Guardò il cielo, chiedendosi che cosa stesse facendo Adriano in quel momento. Dormiva? La pensava? Era sicura di sì. Un piccolo sorriso le increspò le labbra quando si immaginò le mani grandi dello zio carezzarle con orgoglio la testa. Gli mancava tantissimo. E ora che si era fatto di nuovo vivo, faceva ancora più male saperlo lontano. << Non so… non so più nulla, ormai. >>
<< Devi leggere quelle lettere. >>
<< Lo so. >>
<< Devi farlo oggi. >>
<< Lo so… >>
Brendan le sorrise fiducioso. << Hai visto, Orthilla? La gente è capace di odiarti, ma anche di amarti. Là fuori funziona allo stesso modo. E con tuo zio, uguale. >> 
Orthilla ricambiò, lasciandosi trasportare dal suo ingenuo ottimismo.
<< Perché domani non vieni con me a… >>
Gemette forte per lo stupore. Che cavolo di richiesta era? Assolutamente NO. << Non voglio uscire! >>
<< Perché? >>
<< Perché tutti mi odiano…! Ancora non capisci?! >>
<< Ma prima ti amavano, o sbaglio? Se non dimostri agli altri di che pasta sei fatta, non ti aspettare di ricevere indietro quello che meriti. >>
<< Non voglio. >>
<< Non fare la stupida… >>
<< Vado a leggere quelle lettere. Ho deciso. >> Orthilla gli cacciò un’occhiata mista tra la sicurezza e il timore, poi tirò lontano il bastoncino e si barricò in casa. Voleva stare lontana da quei discorsi. Brendan l’attese al suo posto, rilassato come non mai. Era sicuro che una volta che avrebbe terminato di leggere, sarebbe corsa da lui per raccontargli tutto, ansie e paure. E magari fargli anche vedere qualche scorcio di lettera. Non poteva nascondere il fatto che fosse curioso di saperne i contenuti.
 
 
Orthilla aveva paura, troppa paura di mostrarsi al mondo esterno. Ancora era priva di corazza, e i tempi erano così poco maturi… si preparò un bicchiere d’acqua e si fiondò sulle lettere con disperazione, combattendo l’incertezza. Dentro di se sperava in quei pezzi di carta, come se potessero infonderle il giusto coraggio e potessero darle il giusto consiglio.
Afferrò quella scartata in precedenza e cominciò a leggerla, nervosa. Non sapeva se erano messe in ordine, ma poco importava. Lo zio non faceva mai le cose con cronologia. Prendeva la vita come capitava, lasciandosi stupire dalla sua bellezza ogni giorno. Esattamente come faceva lei, quando ancora le cose belle la lasciavano a bocca aperta.

 
 
Nipote mia,
cucciolotta, come stai?

 
Una lacrima precipitò su “cucciolotta”, facendone delle lettere una macchia informe di colore grigio. Cucciolotta.
Lo zio ancora la chiamava così.
Cucciolotta.
Mille abbracci in una sola parola.
Le si strinse il cuore, gli occhi divennero due palpebre velate di tenerezza. Si rilassò, cadendo sulla sedia, sentendo i ricordi riemergere dalla testa mescolandosi alla confusione, l’ansia e la trepidazione del momento.

 
 Qui è lo zio. Ti ho già raccontato del mio trasferimento? Sono andato ad abitare con Alice, alla fine della fiera. Stiamo bene insieme,vive in una città tranquilla e lei è la donna che amo. Possiede una villa enorme con un giardino incantevole; so che a te non piace stare all’aria aperta, ma lo ameresti, c’è anche un labirinto di siepi.
Ah, vedessi com’è grande. Io sto bene, piccola mia ,mi sto rialzando piano piano. Alice mi sta aiutando, con le sue premure e il suo affetto. Anche tu tesoro, fatti aiutare.
Fatti aiutare, non rifiutare mai le persone che ti sono accanto.
Alice la scorsa settimana mi ha portato al Mercato di Selcepoli, proprio dove si trova la tua amata arena. C’erano spezie, bacche e utensili provenienti da tutte le regioni, era un’esplosione di colori: so che tu adori creare Pokémelle, dunque io ed Alice ti abbiamo comprato un PortaPoffim e degli attrezzi da cucina appositi alla loro realizzazione; funziona come le Pokémelle, solo che i Poffim li usano a Sinnoh, a Cuoripoli. Anche lì c’è un’arena, ma la nostra vanta molta più bellezza. Te lo darò di persona, un giorno, quando verrò a trovarti. Mi sono soffermato poco nel parlare dell’arena, perché forse il ricordo può farti soffrire, ma devo proprio dirti che è caduta in disuso. Sì, dimenticata in un angolo.
Nessuno va più a guardare le gare, perché non ci sei più tu, e nessuno si iscrive, sempre per lo stesso motivo.
Sono convinto che se tornerai, renderai felice tantissime persone. Alice la pensa come me.
Il mondo è collegato, Orthilla, ricordatelo. Come esiste l’odio, così l’amore. Ti confesso, ero restio ad uscire, ma come ho incontrato tanta gente che mi disprezza, ho conosciuto molte persone che ancora mi adorano, nonostante tutto. E’ così che mi faccio forza, io. Con loro, con Alice, e scrivendo a te.
Circondati di amore e vai.
Vai, Orthilla. Esci, stendi le ali.
Va a brillare nipote mia, e non farlo sola.

 
Orthilla rimase a leggere altre lettere, imprimendosi nella mente e nel cuore ogni singola parola tracciata da Adriano. Stava piangendo, di gioia, di dolore, di tutto, ma non se ne rese conto fino a quando le lacrime non cominciarono a imbrattare la carta. Voleva lo zio accanto a se, che la coccolasse e rassicurasse con lo stesso affetto che aveva utilizzato per raccontarle le sue avventure con Alice.
Lesse di percorsi, città, persone, Pokémon, e la voglia di mettere piede fuori casa cominciò a scavarsi nel profondo di lei, stimolandole i sensi.
La paura presto cedette posto alla curiosità, e la curiosità al coraggio. Brendan forse aveva ragione. Anzi, aveva ragione.
E lei era nel torto.
Si rigirò le lettere tra le mani, ripassando le frasi più importanti. Lo zio sembrava divertirsi, fuori di casa. L’esterno non gli faceva affatto paura, e se era vero che erano dello stesso sangue, allora nemmeno lei doveva possedere tutto quel timore insensato.
Continuò a leggere, come se quelle parole contenessero saggi consigli di vita, e fece tesoro di ogni esperienza dello zio.
Vivendole come se fossero sue.




Nda
eccomi qua con l'ottavo capitolo.
Scusate l'aggiornamento "lento", ma sto dando precedenza ad una long. Manca poco per finirla, e quando concluderà ritornerò più attiva qui <3
Allora, che dire?
Non ho idea di come sia il carattere di Adriano, ma a vedere la sua faccia mi viene da pensare ad un uomo vanesio e sicuro di sé.
Qui l'ho fatto dolce, incoraggiante, perché Orthilla potesse tranquillizzarsi con le sue parole. Non picchiatemi.
Vi aspettavate che Rocco possedesse tutte le lettere? Sinceri e.e
Ora vado, sperando in qualche recensione **
Come ultimo, ringrazio tutti quelli che leggono la storia, attivamente o passivamente, e tutti coloro che l'hanno messa nei preferiti o nei seguiti.
Grazie mille.
Segnalatemi eventuali errori o sviste, se ci sono.
A presto!

Lou 

 

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Capitolo 9
*** IX. ***





IX
 
Orthilla si prese comunque dei giorni di riflessione, indecisa sul da farsi. L’idea di uscire dal suo piccolo mondo frantumato non aveva fatto altro che crescere, nelle ultime ore, e Brendan aveva alimentato quel desiderio ancora di più, descrivendole di paesi lontani e di gente dal grande cuore.
E lei, voleva incontrarla davvero, la “gente dal grande cuore”.
Ne aveva bisogno.
Moriva dalla voglia di assaggiare il mondo esterno, di provare le emozioni descritte nelle lettere di Adriano e dai racconti dell’amico, pieni di passione e bellezza. Aveva ancora una paura folle, ma doveva sconfiggerla, perché lo zio ci era riuscito, e lei era da sempre stata molto più tenace di lui.
Ce la poteva fare.
E poi, non era sola.
Brendan impersonava il ruolo di Alice, in quella piccola, grande avventura.
Quando decise di partire, si assicurò che tutto fosse sistemato per il meglio, a partire da se stessa. Si concesse il lusso di una doccia, e l’acqua calda sul corpo fu una toccasana per i sensi. Si raccolse i capelli come osava portarli una volta, tanto per sfidare la vecchia e mistica Orthilla; una coda alta con due lunghe ciocche cristalline ai lati delle orecchie, la cui sinistra terminava con un maestoso ciuffo arricciato. Aprì le ante dell’armadio e, con mano tremante si infilò in alcuni dei vestiti più chic che possedeva.
Si sentiva estranea nel portarli, troppo inadatta, troppo... brutta. Non rispecchiavano affatto lo squallore in cui si era buttata a capofitto, ma erano comunque i suoi, di abiti.
Appartenevano a lei, e dovevano aver bramato il suo corpo da mesi, sperando di poter, un giorno, essere rindossati con la stessa grazia di un tempo.
Forse di grazia ora ce n’era ben poco, ma il giorno almeno era arrivato.
Sempre con titubanza scelse anche di coprire i segni della sofferenza con una buona dose di fard. Riavviò le ciglia con un po’ di mascara e si coprì le labbra secche con un lucidalabbra color pesca. Una tonalità intensa avrebbe sicuramente stonato con i suoi capelli luminosi, e sarebbe parsa ancora più ridicola di quanto già non fosse.
Si guardò allo specchio un ultima volta, prima di uscire.
Eccola, la “sfolgorante” Orthilla.
Infilata in un banale maglioncino color cielo, con dei jeans cenere ad evidenziarle le gambe magre e due vistose bretelle a brillanti blu che le cingevano con forza le spalle basse, magre, sconfitte ma speranzose. Sorrise mesta. Non sapeva se definirsi brutta o tragicamente bella. A Brendan la parola, lei non ne voleva sapere.
Fece per raggiungere la porta, ma si ricordò di una cosa importantissima. Raccolse la lettera che parlava di Alice e se la cacciò nella tasca dei pantaloni.
Voleva rileggere le parole finali, così intrise di vita, speranza. Felicità.
Per non collassare, nel caso quel viaggio controcorrente si sarebbe improvvisamente trasformato in un incubo senza fine.
 
 

<< Allora? Dove si va? >>
Orthilla si sfiorò la tasca con due dita, fiduciosa. Prima di allora non aveva avuto una meta ben precisa. Brendan le aveva parlato di tanti posti, tutti bellissimi ed interessanti, dai paesini rurali come la placida Solarosa e Mentania alle città più importanti, quali la modernissima Ciclamipoli, una vera e propria metropoli coperta.
Anche Cuor di Lava sembrava appetitosa, con le sue sorgenti termali e la sua aria tiepida.
Eppure ora ce l’aveva, una meta. Una destinazione.
Porto Selcepoli. Voleva vedere il Mercato, lo stesso di cui aveva parlato lo zio nella lettera, respirare aria fresca, lasciarsi cullare dal verso dei Wingull.
Ed inoltre, voleva visitare l’Arena delle Virtù. La sua arena*, non una come tante. Voleva sapere cosa si provava, dopo mesi di insuccessi, a ritrovarsi faccia a faccia con la sua, possiamo dirlo, casa vera e propria, fatta di palchi, riflettori, il calore del pubblico e la bellezza del suo Pokémon.
<< Porto Selcepoli. >> disse, risoluta.
<< Ma… >> Brendan spalancò la bocca. Porto Selcepoli distava tantissimo da Ceneride. Era un viaggio improponibile. << Ma è lontana! >>
<< Credi che non ci abbia pensato? >> in cambio ricevette un occhiolino, il primo, vero, sicuro ed efficace ammiccamento dopo mesi.
Il ragazzo sorrise, chinando il capo a tanta testardaggine. Orthilla era davvero incantevole, quella sera. I vestiti le donavano alla perfezione, e per la prima volta la vedeva motivata, spinta dal desiderio crescente di uscire.
Provare a vivere, almeno un po’.
Non poteva credere che una singola persona potesse nascondere tante sfaccettature e personalità all’interno di un corpo così fragile. Orthilla era davvero un’esplosione di bellezza: non solo per l’aspetto, ma anche per il suo essere così… così triste, malinconica, ma allo stesso tempo affamata di vita, dopo mesi passati a patire una patetica esistenza - secondo lei – con una remissione indicibile.
Sembrava una fenice in attesa di risorgere dalle ceneri. Uno spettacolo degno di essere visto da tutti. Ma tutelato solo da uno.
A lui il grande onore, ovviamente.
<< Altaria, vai! >>
La Pokéball si librò nell’aria fresca della sera, e in pochi secondi Altaria si materializzò davanti agli occhi dei due giovani, fiera e superba nel suo sgargiante azzurro.
Si posò sul terreno cadendo soffice come una piuma, e attese ordini. Brendan osservò Orthilla accarezzarle il collo con infinito amore. << Ti va di volare, piccola mia? >>
Altaria parve svenire di gioia, e stese le immense ali con rinnovata allegria, cantando orgogliosa. Non vedeva l’ora di farlo, e mostrò loro il dorso per invitarli a salire.
Sembrava molto più impaziente di loro.
<< Conosce Volo? Non lo sapevo! >>
<< E conosce anche il posto.  Ci siamo andate tantissime volte, per fare le nostre gare. >>
<< Posso avere l’onore di stare davanti? >> domandò il ragazzo, eccitato.
Orthilla sorrise. Brendan alternava momenti di estrema serietà a momenti di allegria quasi fastidiosa. Ma era bellissimo, proprio perché si lasciava stupire dalle cose più banali.
Come un bambino. Come un sognatore.
<< Certo! >>
I due ragazzi salirono su Altaria, che non sembrò affatto soffrire il peso, e ben presto si ritrovarono col vento in faccia e il cielo tutt’intorno, a fare da sfondo alla mitica impresa.
La salita fu così ripida che Orthilla, con un grido, si aggrappò istintivamente alla schiena dell’allenatore, sperando di non finire a terra.
Brendan arrossì fino alla radice dei capelli, mentre con le braccia si allacciava stretto al collo del Pokémon Drago. Il cuore perse qualche battito.
Orthilla l’aveva afferrato con una fiducia tale da lasciarlo completamente spiazzato. Sentì le mani di lei stringergli la maglietta, i piccoli seni caldi premere contro la schiena, e brividi di piacere gli attraversarono il collo, stuzzicandogli la mandibola.
“Non porta il reggiseno” pensò, imbarazzato. Immaginò quel candido petto fare pressione contro il suo corpo, allargandosi, e per la prima volta nella sua vita si rese conto di aver appena desiderato il corpo di una femmina.
Era una sensazione magnifica. Chiuse gli occhi, godendosi appieno quel contatto intimo e proibito che lei aveva creato senza badarci, cercando l’appiglio che solo lui, in quel momento, poteva fornirle.
Era tutto bellissimo, con lei così vicino.
Così stretta a lui. Poteva scorgere i suoi lunghi capelli verdi accarezzargli le braccia, scossi dal vento, sentire la sua ansia di volare dopo tanto tempo.
La sua paura, sottomessa alla voglia di buttarsi verso una felicità nemmeno garantita al cento per cento.
Sorrise. << Anche io ti voglio bene, Orthilla. >>
La ragazza si riscosse. << Oh? Scusa… non sono più abituata… >> si staccò, allentando la presa delle mani, e Brendan sentì il calore di quel petto grazioso abbandonarlo di punto in bianco. Il vento lo spazzò via dalla schiena, ma non si lamentò. Andava bene così, non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Altaria, d’altro canto, era felicissima. Poter finalmente sfiorare le nuvole con le ali, e diventare un tutt’uno col cielo, la sua casa, la sua patria. La libertà tanto bramata era arrivata, e se la stava assaporando con piacere, proprio come la sua padrona.
Il vento le accarezzava il collo sinuoso, la lunga coda tagliava in due l’aria perfetta, ne troppo calda ne troppo fredda.
La gola cantava note di libertà, rendendo quell'andata ancora più emozionante.
Era al settimo cielo, anzi, all’ottavo, e condivise quella piccola gioia con i due passeggeri, che risero di gusto quando si esibì in magnifiche piroette e giravolte vorticose.
 
 

Orthilla era sconvolta. C’era un sacco di gente quella sera, al Mercato, e non sapeva proprio dove, cosa e soprattutto chi guardare. Fissò gli occhi a terra, timorosa di incrociare brutti sguardi, e istintivamente si portò le mani dietro la schiena, alla ricerca del cappuccio.
Dannata lei, che aveva scelto un maglione.
L’agitazione ben presto s’impose sovrana, sconfiggendo tutto. Tutto. Nel panico più totale si sciolse i capelli, sperando di non essere riconosciuta.
Sapeva che già in molti l’avevano notata, era sempre stata molto appariscente.
E sapeva anche che, sempre in molti, l’avevano già squadrata, e male. Sentiva quegli occhi corroderle la pelle, sciogliergliela.
Voleva sparire. Diventare microscopica, e rifugiarsi di nuovo dietro le mura di casa sua, lontana da tutta quella gente. Nel suo perfetto casino.
<< No, Orthilla. >> Brendan l’afferrò per le spalle e attese che dalla cascata di capelli emergessero due occhi illuminati di una piccola speranza, ma non accadde.
Lo sguardo rimase basso. Sconfitto dalla paura.
La trascinò in disparte, dietro un albero. Così non andava bene. La serata sembrava essere partita per il meglio, ma adesso era precipitata. Orthilla era premunita, senza fiducia. << Orthilla, rifatti la coda. Che aspetti? >>
<< No, mi riconoscerebbero all’istante…! Va beh… >> se la fece con frustrazione, incastrando nell’elastico anche i due ciuffi che era solita portare ai lati del volto. << tanto ormai mi hanno già vista. >>
<< Proprio quello devono fare! Riconoscerti! E tu, devi mostrarti senza paura! Solo così si guadagna il rispetto! >>
<< Portami a casa, Brendan… >> supplicò Orthilla, poi si strinse nelle spalle; stava già occupando troppo posto, in mezzo a tutta quella gente. Non voleva approfittarne, ne condividere con loro la stessa aria. Non lo meritava. Non meritava niente. Che ci faceva lì? Sentì di voler piangere, mentre la paura le comprimeva il petto. << … mi sbagliavo… >>
<< Che stai dicendo?! >> Brendan le afferrò il mento. La guardò. << Non puoi arrenderti così, non fare la mocciosa! >>
<< Non sono affatto mocciosa! Che ne sai tu?! >>
<< Ma Orthilla! Hai volato fino a qui per un motivo, e ora ti tiri indietro?! Cosa dicevano le parole di Adriano? >>
La ragazza lo fissava, terrorizzata e arrabbiata al contempo. Volle aprire bocca per recitargliele, ma uscì solo un rantolo sconsolato.
Circondati di amore e vai.Vai, Orthilla. Esci, stendi le ali. Va a brillare nipote mia, e non farlo sola.
Brendan gliele sussurrò con decisione, sperando che la potenza di quelle parole le entrasse nelle vene e la rianimasse, proprio come nei giorni scorsi. Orthilla le aveva ripetute così tanto che persino Sceptile ormai le aveva apprese. << Pensi davvero che tuo zio non abbia avuto paura, all’inizio? >>
<< Mio zio è un uomo adulto… meno complicato… >>
<< E davvero pensi che le accuse che ha ricevuto da tutta quella gente ignorante valgano meno delle tue? >> le lasciò andare il mento. Orthilla se lo massaggiò, imbarazzata.
<< Anzi, è più difficile. Molto più difficile. Ma tuo zio non si è lasciato sottomettere. E scommetto che aveva una paura folle, ma quando ha visto che, nonostante tutto, la vita non è così brutta come sembra, lo ha fatto. E’ uscito. E non era solo, c’era Alice con lei… >>
<< A proposito, tu sai chi è questa Alice? >>
Brendan sorrise a quella domanda tanto ingenua in un momento del genere. << E’ una capopalestra di tipo volante. La conoscerai, un giorno. >>
<< Capisco. >> Orthilla parve rifletterci su un momento. Poi cercò di sorridere, riacquistando un po’ della fiducia persa. Perché Brendan ultimamente aveva sempre ragione? Non riusciva a spiegarselo, ma dette da lui le cose non sembravano così tanto gravi.
Sentì un moto di invidia, per quella presa di vita così leggera e facile, almeno all’apparenza. Avrebbe voluto averla lei.
<< Forza, andiamo. L’arena aspetta solo te. E anche tantissime persone ti aspettano, vedrai. >>
Si lasciò guidare dalla mano di Brendan, assaporando con dolcezza le sue dita intrecciate a quelle di lui. Almeno non era sola. Non del tutto, almeno.
 
 
 
La merce che offriva il Mercato era uno spettacolo di colori, sapori e odori miscelati insieme. Ogni banco mostrava i prodotti in vendita con una certa fierezza, aprendoli al pubblico, e dietro di questi i commercianti, soddisfatti del proprio lavoro. Era pieno di gente quella sera, e Orthilla ascoltava le loro conversazioni, osservando come i piedi le camminavano incerti sull’asfalto chiaro.
Le pietre incastonate regolarmente lungo tutta la strada ricordavano tanto l’acqua dell’oceano, pura, intensa e velata di azzurro.
E le ricordavano anche i suoi occhi, quando ancora brillavano. 
Già in molti le avevano sparlato dietro, e tanti avevano anche criticato Brendan. Le era venuta voglia di scappare, piangere, si era irrigidita diverse volte, colpita violentemente da ogni singola parola sputata con rabbia contro il suo ego morto. Ma quando aveva visto il ragazzo prenderla così alla leggera, si era sforzata anche lei.
Sembrava quasi facile sopravvivere a quell’ondata di insulti e frecciatine con l’atteggiamento di lui. Un gioco da ragazzi.
Ricordava chiaramente un giovane che, passandole dietro, le aveva ghignato “Ora ti attacchi ai mocciosi? Non sai più chi usare? Rocco non ti attira?”
Brendan si era voltato.
Aveva sorriso, mostrando i denti in modo quasi spaventoso.
E se n’era uscito con un “Qui l'unico moccioso sei tu, che nonostante l'età, ancora si sfoga contro le ragazzine”, freddando quell’insulso individuo. Orthilla l’aveva ammirato tantissimo per quella risposta secca e fiera, anche un po’ imbarazzante, e ancora stava continuando a farlo, mentre gli passeggiava appena più indietro.
Avrebbe dato tanto per essere come lui.
Tanto.
<< Ora che ci penso… >> Brendan si fermò dinanzi ad un banco colmo di pietanze all’apparenza deliziose. << non abbiamo nemmeno cenato! >>
<< Effettivamente… >> mormorò la ragazza, e lo stomaco parlò più forte di lei. Rise, nel sentirlo brontolare. Rise sinceramente. Si sentiva felice nell’avere fame, non lo provava da tanto.
Si misero in fila, ignorando i continui sguardi che li fissavano, e Orthilla si rese conto con sollievo che alcuni di questi non erano irritati, o ironici.
Erano… incuriositi. Straniti. Quasi… timorosi di vederla, dopo tutto quel tempo. Eppure la gente che la fissava in quel modo la evitava alla stessa maniera di quelli che, invece, non sopportavano di averla tra i piedi.
Arrivato il loro turno, presero due cartocci di calde baccastagne e due frullati, per rinfrescare il palato. Si sedettero su un tavolo nei paraggi e consumarono la loro cena.
<< Come ti senti? >> gli occhi di Brendan le si posarono addosso, scivolandole appena sul profilo del petto. Non era generoso, ma le luci del Mercato ne tratteggiavano il profilo, creando un gioco di luci ed ombre armonico e perfetto. Proprio come lei.
Orthilla sorrise, nel vederlo innervosirsi così tanto. << Ora calma. Ho notato che alcuni sguardi… >>
<< Non ti guardano con odio. Hai visto? Tu che la facevi lunga… frignona. >>
Orthilla si fiondò sulle bacche calde e morbide, afferrandole con una mini forchetta di plastica. << Ammiro molto il tuo atteggiamento verso le critiche, Brendan, sai? >>
Brendan volse il capo verso la folla, ma non disse nulla. La stava ascoltando.
<< Ti sei comportato da ragazzo maturo, e non ti sei lasciato abbattere. Io come vedi, ancora non ci riesco… sono sopravissuta solo perché c’eri te, sarei scappata altrimenti… vorrei tanto essere come te, a volte… non ti nascondo che ti invidio molto. >>
<< Solo tu ci hai prestato attenzione, Orthilla. Il segreto è ignorare, oppure rispondere a tono - ma senza mostrarti offeso -. Solo così la gente ti da il rispetto che meriti. Credo che tu lo sappia molto bene. Non hai bisogno di me come credi. Come facevi prima, devi fare adesso, semplice! >>
Rimasero in silenzio per un po’, e mentre consumavano il pasto, la ragazza si sentì in dovere di estrarre quella lettera. Rilesse le Parole, le stesse che nei giorni prima aveva evidenziato con colori diversi per rimarcarne l’importanza, emozionata. Allora ce lo avevano, un fondo di verità.
Ad un certo punto, quattro ragazze le si avvicinarono con cautela. Orthilla strinse il cartoccio di baccastagne, ma mantenne una calma apparente, respirando piano. Brendan aveva ragione.
Doveva tirare fuori la vera Orthilla, quella morta, quella perduta. Almeno provarci.
<< S-sei… sei tu? >> sentì balbettare, e quando colse in quella voce paura, ansia ed eccitazione si voltò.
Un enorme sorriso le solcò il volto, mostrando sicurezza.
Era il richiamo dei fan. Ancora lo aveva saputo riconoscere, nonostante i mesi passati nel silenzio dei suoi pianti. << Proprio Orthilla. >>
<< Ommioddio, n-non ci credo… >> le quattro ragazze presero posto al suo fianco, emozionate. Respiravano a fatica, tanta era l’eccitazione di avere il loro idolo così vicino.
E perfetto, ma quello lo era sempre stato.
<< Ma dov’eri finita! >>
<< Orthilla, non abbiamo notizie di te da mesi… >>
<< Quando tornerai a fare le gare? >>
<< E’ così emozionante starti vicino… >>
<< Che bei vestiti, e con quale grazia ti stanno… sembri una regina… >>
Orthilla sentiva la testa vorticarle. Se quelle ragazze erano emozionate, lei lo era ancora di più. Percepì quelle mani sfiorare le sue, il calore dell’amore circondarla come una coperta calda. Non credeva di valere ancora tanto per qualcuno, ma a quanto le stava suggerendo il momento, era proprio così. Quelle ragazze erano lì per lei, emozionate per lei, in ansia per lei, lei.
Avevano occhi solo per i suoi, ed era evidente quanto la sua assenza le avesse segnate. Ma ora che l’avevano ritrovata, così, per caso, al Mercato di Porto Selcepoli, non potevano essere che più felici.
Il cuore prese a batterle più veloce, come schiaffeggiato da un’andante adrenalina. Si stava rendendo conto di tutto. Di quanto fosse odiata, e al contempo amata, anche se in minoranza.
<< Orthilla, abbiamo bisogno di te. >>
<< Orthilla!? Ommioddio è lei, ragazze, Orthilla è qui, non ci posso credere, ommioddio! >> un altro gruppo di giovani la circondò. Intravide sorrisi e anche lacrime, sguardi sognanti.
Tutti per lei. Non sapeva cosa dire, era emozionatissima, le mani le tremavano. Cercò Brendan con lo sguardo, e lo vide qualche metro più in là, impegnato ad afferrare una baccastagna che non voleva saperne di finire nella sua bocca.
Apprezzò il fatto che si fosse allontanato. Quel momento era suo, e  solo lei poteva gestirlo al meglio. Sentì la vecchia Orthilla liberarsi dal guscio e prendere possesso di lei, mentre si alzava. Li abbracciò tutti, forte. Nel frattempo la piccola folla si era allargata, e intorno a lei si respirava tantissimo fermento.
<< Torna, per favore! >> esclamò un ragazzo, inchinandosi al suo cospetto come uno schiavo.
Le brillarono gli occhi, dinanzi a tutte quelle persone così bisognose di lei, così desiderose di vederla di nuovo sul palcoscenico, a splendere.
Torna Orthilla, torna.
Torna. Per davvero, una volta per tutte. Emergi.
<< Ve lo prometto, tornerò! >> esclamò, e a fatica trattenne lacrime di gioia. << Tornerò, l’arena riaprirà e potrete partecipare tutti alle mie gare! >>
<< Grazie, Orthilla! Hoenn non è più la stessa cosa senza te… >>
<< Orthilla, sei più forte delle critiche! Fatti forza e schiacciali tutti, quei vermi schifosi che credono a certe scemenze! >>
<< Posso contare sul vostro sostegno? >> lo chiese, sapendo già la risposta.
Un potente “sì!” si levò tutt’intorno, scuotendole il cuore. Era felicissima. Gli sguardi impauriti di prima ora brillavano di ammirazione, nell’averla davanti.
Era davvero così indispensabile? Sentì di avere un ruolo, in quel mondo, e che tutto era rimasto fermo ad aspettarla. Brendan aveva ragione.
Lo zio, aveva ragione.
Fa tutto meno male, quando qualcuno ti ama.




*tra le tante arene presenti in ORAS ho scelto di dare a quella di Porto Selcepoli un'importanza superiore, semplicemente perché è lì che incontriamo il personaggio di Orthilla per la prima volta. Ma nella realtà dei fatti un'arena vale l'altra, ovviamente.


Nda
via col nono!
Allora, non so se Altaria è in grado di portare più di una persona a bordo, non so né quanto misura né quanto pesa, mi sono affidata ad alcune fanart che spesso e volentieri lo mostrano davvero molto grande.  Ecco, non linciatemi.
E no, non mi sono dimenticata dell'arena se qualcuno se lo stesse chiedendo (?), voglio che abbia un capitolo a parte tutto per lei, per rimarcarne l'importanza.
Detto questo vi annuncio che la storia sta per terminare, non so quanti capitoli mancano, ma... pochi.  SOB.
Per il resto... come vi è parso questo capitolo?
Ora vado, devo fare un sacco di cose!
Grazie a chi leggerà, chi recensirà e chi inserirà questa storia in una delle tre cartelline :3
Bacioni!

Lou

 

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Capitolo 10
*** X. ***



X

Orthilla si trattenne ancora qualche istante. Numerosi ragazzi le chiesero autografi e foto, e realizzò i loro desideri con rinnovato piacere, sentendosi la protagonista assoluta di quel momento.
Era diventata uno spettacolo, lo spettacolo della vita, con i suoi momenti di crisi alternati a quelli di gioia. Un riflettore che cambia costantemente luce. E ora brillava, potente.
Brendan la guardava da lontano, cupo, e per questo non si rese conto dell’avvicinamento furtivo della ragazza. I fan erano andati, soddisfatti, e lei si sentiva piena di promesse da realizzare, piena di vita.
Finalmente aveva un obbiettivo, e avrebbe fatto di tutto per realizzarlo. Voleva condividere la sua gioia con Brendan, e lo strinse.
Forte, fortissimo.
<< Grazie… >> soffocò le lacrime trattenute nella sua t-shirt verde, ancora scossa dall’emozione. << Grazie Brendan, grazie… >>
Il ragazzo l’avvolse di nuovo in un globo di amore, lo stesso, protettivo gesto che aveva cambiato le cose tra i due, avvicinandoli come calamite. Tuttavia sembrava distaccato… come se si fosse estraniato dalla cosa.
<< Avevi ragione… avevi ragione, fin dall’inizio, e anche lo zio, grazie… grazie a Rocco, che mi ha portato quelle lettere, grazie… a tutti… mi sento amata, ora… so che sembra strano, è accaduto tutto così velocemente… ma c’è ancora della gente che crede in me… >> Orthilla rise, emozionatissima. << Posso fare qualcosa per loro! Hanno bisogno di me! Capisci? Hanno bisogno di me! Hai visto quanti erano? Ho trovato un nuovo motivo per vivere Brendan… avevi ragione, la vita non fa così schifo… voglio ritornare ad esibirmi… ! Forse non ora, è troppo presto ancora… mi sento confusa, impaurita, ma anche grata di questa uscita… no… non lo so… è tutto così sbagliato… >> prese un respiro, frantumato dall’ansia. << mi hanno dato una speranza, Brendan. Devo ritrovare me stessa, perché voglio renderli felici… e anche ad Altaria piacerà vedermi di nuovo realizzata… >>
<< Dovresti scrivere ad Adriano, in questi giorni, e dirgli di quello che è appena successo. >> mormorò Brendan, scrollandosi dolcemente la ragazza di dosso. Lei non ci fece caso. << Sono sicuro che sarebbe orgoglioso di te. E se stravolgi completamente le credenze in cui entrambi siete intrappolati, lo potrai rivedere senza problemi. E presto. Sono così felice per te, Orthilla… >>
<< Voglio andare a trovare la mia Arena. >>
Orthilla lo disse con possessione, e malcelata malinconia. La sua arena esatto. Lì, a pochi passi da lei.
 
Durante il tragitto, si preparò mentalmente a fare un precipitoso tuffo verso il passato.
 
 
 
Un relitto dimenticato.
Quelle furono le prime parole che vennero in mente ad Orthilla, non appena i suoi occhi s’imbatterono con ciò che le luci del Porto illuminavano dell’Arena delle Virtù.
Fece qualche passo in avanti, e il suo corpo venne inghiottito dalle ombre della notte. Brendan invece rimase fermo al suo posto, perso ad ammirare quella gigante struttura a bocca aperta. Così vuota e scura faceva quasi paura.
Doveva essere rimasta in completo disuso, da quando Orthilla si era ritirata, eppure non trovava tracce di decadenza.
La ragazza pensò la sua stessa cosa, mentre allungava la mano per toccarne i muri.
Perfetti come li ricordava; l’alto battiscopa di rosso vivido, ampie vetrate e poi oro, oro e ancora oro, perché anche dall’alto potesse vedersi, brillante come un cristallo prezioso.
Passò un dito sulle finestre, rimuovendo strati di polvere che poi soffiò via dalla falange, con malinconia.
Non sapeva cosa provare. Si pulì il dito sul maglione. Nessuno l’aveva più toccata, dopo il suo ritiro.
Proprio come lei. Abbandonata al tempo, in attesa di essere di nuovo notata.
Ne percorse i lati, facendo attenzione a non incappare in ramoscelli, cespugli, erbacce e bottiglie spaccate che di quello spiazzo dimenticato ne avevano fatto la loro casa.
Si sentiva colpevole, in qualche modo traditrice.
Quel posto era così a causa sua. Sbucò dal lato destro, e andò a stringere una delle due lisce colonne che stavano dinanzi all’ ingresso, dorate come il resto.
Il metallo freddo le irrigidì le guance, quando ve ne posò sopra una.
Chiuse gli occhi, e i ricordi si librarono nella mente, riportandola indietro di mesi.
 
 
Entrò nel camerino. Le luci candide che illuminavano lo specchio le investirono il corpo all’istante, mettendo in risalto la pelle sudata.
Anche quel giorno aveva vinto. Era stata dura, ma ce l’aveva fatta, splendendo come sempre.
Si spogliò degli abiti, che caddero a terra con un lieve stropiccio, e accese l’acqua della vasca. Poi, si avvolse in un morbido asciugamano bianco che riportava il suo nome e prese posto dinanzi allo specchio.
Sospirò di piacere.
Si sentiva una regina, lì dentro, e mentre lo pensava roteò vorticosamente sulla sedia lillà, ridacchiando soddisfatta. Il palco, il suo palco, e il suo camerino… erano la sua casa. La residenza di Ceneride non poteva nemmeno competerci contro; avrebbe perso, così fredda e remota, distante. Mentre il vapore si disperdeva per tutta la stanza, si concesse del tempo per spogliarsi dei vari gingilli. Posò il suo fermacapelli sul bancone in marmo bianco, contenente la megapietra, si tolse gli orecchini a forma di diamante e tirò fuori i vari prodotti per la rimozione del trucco. 
Stava davvero bene, lì dentro. Si sentiva protetta tra quelle mura, ma era come se i riflettori non smettessero mai di farla brillare. Ogni suo gesto, ogni sua parola era come amplificata. Tutti pendevano dalle sue labbra, dalla sua bellezza.
Era la principessa indiscussa di quel regno di magia e colori, ormai l’immagine più completa di se stessa.
Profumato come lei, lucido e smagliante come lei.
Ogni muro, ogni quadro, ogni sala ed ogni luce parlava di Orthilla e delle sue vittorie.
Il palco.
Le poltrone per il pubblico.
Il pubblico stesso.
Tutto, parlava di lei, lì dentro. Quasi come se entrare nell’Arena significasse entrare nella sua mente, nel suo cuore.
E conoscere tutto di quella giovane, magnifica stella, dal più futile dettaglio alla più grande impresa.
Sprizzava bellezza da tutti i pori, quel luogo.
E lei, con lui.
 
 
Ora invece sprizzava rancore, tristezza e debolezza.
E lei, con lui. O forse no?
Forse era il momento di dire basta a tutta quella sofferenza insensata. Forse era il momento di sollevarsi e aprirsi al mondo, mostrarsi in tutto il proprio splendore.
Sospirò.
Era così confusa… da una parte sapeva che era giusto, ma dall’altra…
Ancora tanta gente la odiava.
Voleva entrare e visitare il suo camerino, ma le porte d’ ingresso erano bloccate.
Tutto sigillato, come nuovo.
<< Tornerò presto. >> sussurrò, facendo qualche passo indietro.
Guardò la struttura con trepidazione, come in attesa di una qualche risposta.
Ma non ce n’era poi così bisogno. Orthilla sapeva quello che doveva fare, adesso. L’avrebbe fatto? Forse no, oppure sì.
L’Arena l’avrebbe aspettata, semplicemente.
E così i suoi fan.
 
 
Il viaggio di ritorno fu più tranquillo. Questa volta fu la ragazza a stare davanti, e Brendan ne approfittò della posizione per appoggiarsi sulla schiena di lei e cadere in un sonno profondo.
Era stanco, triste, e l’aria fresca della notte lo cullava come un bambino.
Anche Orthilla era assonnata, ma l’emozione la teneva attiva.
Attiva e felice.
“Finalmente la vita.” pensò, accoccolata al collo del suo Pokémon. Si scambiarono uno sguardo che valeva più di mille parole, e si sorrisero.
Orthilla l’accarezzò, affondando le mani nel piumaggio celeste che tante volte l’aveva tenuta al caldo nei momenti bui. << Ti voglio bene, Alty. >>
Altaria non rispose, concentrata a volare, ma sapeva che l’aveva udita, e sapeva anche che era rimasta contenta di quella dolce dimostrazione d’affetto.
Il dolore ancora c’era, ed entrambe potevano sentirlo vivido scorrere nelle vene. Faceva male, marciava graffiando e ferendo, allucinando il cervello e distorcendo la realtà.
Ma insieme a lui, da quel giorno scorreva limpido anche un misero goccio di speranza, e sembrava molto più potente. Una linfa di vita, in mezzo al morto che si era fissato in loro.
La ragazza era contentissima, e si perse a fissare le case sottostanti, mentre il cielo scorreva nero ed uniforme in cima alla sua testa. Tutta quella gente, dormiente al sicuro nelle proprie case.
In quanti di loro la odiavano? Tantissimi, ne era certa. Poteva percepire il disprezzo da lassù.
Ma in quanti ancora la adoravano? Nonostante tutto?
Non lo sapeva, ma sentiva una devozione strana aleggiare in aria, e la raccolse tutta, avida.
Si sentiva viva.
Scelse di non pensare più a niente, preferendo godersi l’euforia dell’attimo.
Fino alla fine.






Nda
Ciao ragazzi! 
Vi dico subito che l'euforia di Orthilla scemerà nel prossimo capitolo: spero abbiate compreso tutti che la sua felicità è legata al momento, e che non è destinata a durare.
Insomma, i fan l'hanno ubriacata di gioia e quindi si sente onnipotente (?)
Non sottovalutate la cupezza di Brendan. Ho preferito accennarvela e basta perché il chappy era un focus esclusivo sulle sensazioni della ragazza, ma nel prossimo capitolo verrà spiegato con chiarezza il suo stato d'animo. No, non è gelosia.
Scusate se non ho risposto alle ultime recensioni, è diventato un inferno stare al PC o al cell con una madre come la mia D:
Come vi è sembrato il capitolo?
Fatemi sapere nei commenti! Per adesso vado <3
Grazie a tutti per aver letto

Lou

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Capitolo 11
*** XI. ***



XI

 
Il giorno seguente, Brendan si svegliò con l’odore tiepido e dolce delle buone colazioni mattutine; era simile all’aroma che sapeva creare sua madre, ma… più delizioso ancora.
Non sapeva spiegarselo.
Si sollevò, sbadigliò e cominciò a guardarsi intorno con aria stordita.
Era in casa di Orthilla, sul suo divano. Una luce intensa penetrava dalle finestre, donando ai mobili un aspetto allegro e rigenerante.
Si massaggiò tra i capelli castani, leccandosi le labbra impastate di sonno.
Doveva essersi addormentato durante il volo di ritorno, perché non ricordava più niente da lì in poi… cercò con lo sguardo la ragazza, e seguendo l’odore, la trovò in cucina.
Sembrava rilassata, e stava armeggiando con i fornelli, intenta a preparare la colazione. La chioma turchina le scendeva cauta sulle spalle, e un timido sorriso le scalfiva il volto ancora assonnato. Era davvero bellissima.
Emanava speranza da tutti i pori.
Si alzò e la raggiunse.
<< Buongiorno, Brendan! >>
<< Ti ringrazio per avermi fatto dormire da te… ero davvero sfinito… >>
Orthilla incrociò le mani. Le brillavano gli occhi, ma non sapeva dire se per la gioia o per la paura. Paura della vita, che dopo l’attimo di ieri aveva ripreso ad essere frustrante e crudele. << Ho dovuto frugare nella tua borsa per cercare Sceptile… non riuscivamo a metterti sul divano! Sai… >> ritornò ai suoi amati fornelli. Non sentiva l’ebbrezza di cucinare da tantissimo tempo, era emozionatissima all’idea di star impugnando una padella. << quando dormi diventi stranamente più pesante. >>
Brendan sentì l’impulso di baciarla. Arrossì al pensiero. Che andava pensando? Non si conoscevano nemmeno da un mese, e poi… lui era così brutto, così insignificante per lei.
E i loro mondi erano davvero troppo distanti perché potessero anche solo entrare in contatto. Se n’era reso conto ieri sera, quando i fan lo avevano costretto a scansarsi, trascinandolo indietro. Quell’attrazione nei confronti della Idol, per lui importante, in realtà valeva esattamente quanto la folle ammirazione degli ammiratori.
Stessa mera importanza, niente di più, niente di meno.
E questo gli faceva male. Il suo lavoro lì era finito.
<< Ho preparato la colazione anche per te, se te lo stai chiedendo. >>
Orthilla doveva aver notato il suo sguardo assente, quindi il giovane tornò con i piedi per terra: meglio non pensarci. Aveva una Lega da conquistare, doveva rimanere lucido.
I suoi doveri del resto erano ben altri che stare dietro ad una Idol come il resto dei fan.
Si sedettero a tavola, uno di fronte all’altro, e cominciarono a mangiare. La ragazza si ingozzava con voracità, bisognosa di riempire lo stomaco rimasto a mezzo digiuno per troppi giorni, e Brendan notò con piacere che stava acquistando colorito, fame e fiducia.
Soprattutto, fiducia, anche se il processo era ancora lungo.
Glielo leggeva in quegli occhi morti, in quel turchino spento. Le ferite facevano ancora troppo male.
Eppure… eppure non era sola. Doveva solo aprire le palpebre, e buttarsi.
<< Come ti senti? >>
<< Male. >> esordì lei, fissando la dolce frittella distesa sul piatto con amarezza. << Ma… anche bene. Non so come spiegarmi, Brendan… ho un nodo allo stomaco, io… sono rimasta sorpresa da quello che è accaduto ieri. >> sorrise triste; sembrava un fiore in mezzo alla neve. << Ancora ho i fremiti… >>
<< Questo vuol dire che uscirai di nuovo, vero? >>
<< Certo che sì! Anche se ancora non me la sento di farlo sola… >>
<< Invece dovresti andarci per conto tuo, Orthilla. Anche perché io non potrò sempre farti da accompagnatore… >> disse Brendan, guardandola serio. O arrabbiato? Non sapeva come sentirsi, in quel momento. Sapeva solo di non servire più. << Ho intenzione di partire per la Lega. >>
Ad Orthilla quelle ingenue parole suonarono come la minaccia più tagliente che potesse aver mai ricevuto.
Si portò le mani davanti alle labbra, per bloccare un gemito di sconforto.
Si era quasi dimenticata della Lega, colpa dell’ebbrezza di ieri, colpa sua forse, del suo egoismo spigliato.
Lega.
Tremò vistosamente.
Quattro lettere che suonavano di abbandono, di rinuncia. Esatto, Brendan l’avrebbe abbandonata.
 
“Troietta! Com’è approfittarsi dello zio ricco, eh?”
 
“Venduta! Raccomandata! Succhia fama, dovresti vergognarti! Te non sai nemmeno cosa significa, la parola fatica!”
 
“Preferirei essere colpita da un Dragobolide, piuttosto che tornare a vedere i tuoi spettacoli penosi.”
 
Sentì di cadere in un oceano fatto di sconforto, violenza, tutto intorno a lei si fece nero ed ovattato.
C’erano solo lei e le sue ferite, ancora aperte, brucianti e dolorose.
E le lacrime. Quelle versate e quelle trattenute, quelle che ora volevano uscire, rigarle la pelle, precipitare e seccarsi sul pavimento.
Si leccò le labbra, improvvisamente fattesi secche.
Tutte le parole brutte che nel giro di pochi mesi l’avevano ridotta allo straccio che era le si riversarono addosso come gelide correnti, insieme alla sensazione di solitudine che ancora la costringeva a piangere, di notte, e stringersi forte ad Altaria, soffocando le lacrime nel cuscino.
Non riusciva a lasciarlo andare. Lei… lei lo voleva, al suo fianco, per sempre.
Sentiva un attaccamento speciale nei suoi confronti, e se Brendan ora partiva…
l’avrebbe lasciata sola, debole, contro una cosa ancora troppo grande perché potesse farcela da sola, nutrendosi giusto dell’amore contenuto che le lettere dello zio tenevano ben conservato.
“Sei una delusione!”
Lo guardò, mentre il ragazzo, afflitto, giocava con i lembi della tovaglia.
“Venduta!”
Non sapeva cosa provare. Non voleva essere abbandonata di nuovo…
ne tantomeno perderlo…
“Fai pena, schifo e squallore. Dovresti vergognarti.”
Una corda di metallo le strizzò il cuore dalla paura, e fece male.
I fan… lei non era più abituata ai fan. Erano l’allegria di qualche istante, il tempo di sorridere, firmare un foglio bianco credendosi ancora chissà di quale importanza e poi…
E poi?
Poi fine.
Il vuoto, il nero.
Il dolore, quell’insopportabile dolore infondato, quello che percepiva anche ora, quel sentirsi completamente inutile…
Dov’era la vera Orthilla…?
Cercò dentro di sé, ma non trovò altro che punti di domanda, una confusione enorme e una tremenda paura di ciò che sarebbe successo dopo, una volta lasciata sola. Di quel domani senza Brendan.
Si alzò, raccolse le sue cose e le gettò nel lavandino con rabbia. << Q-quando… >>
<< Io… forse dopodomani… >> Brendan non sapeva dove fissare lo sguardo. Prima si toglieva di mezzo, prima lei avrebbe spiccato il volo; sì, era così, Orthilla non aveva più bisogno di lui. Aveva dei fan, le lettere dello zio e Rocco, che nonostante le conferenze, un’azienda da gestire e una Lega da frequentare sette giorni su sette, si era presentato al cancello di quella casa come un eroe in un momento disperato.
Orthilla doveva semplicemente farsi forza, tutto qui.
Insomma, la spinta gliel’aveva data, no?
Ora doveva tornare a concentrarsi sui suoi, di obbiettivi. Era partito per conseguirli, del resto, non per badare dietro ad una ragazza perfettamente in grado di conquistare il mondo senza di lui. << Sì, dopodomani. >>
Orthilla sentì il tempo dilatarsi, e il rumore delle lancette perforarle il cervello con il loro incessante, fastidioso e ansiolitico ticchettio. Dopodomani…? 48 ore per prepararsi psicologicamente a sentirsi di nuovo lasciata per strada?
Abbandonata ad un destino ingiusto e crudele?
Sarebbe voluta esplodere di dolore; tutta la felicità accumulata grazie a ieri notte svanì, cedendo il posto ad un forte senso di trascuratezza.
Non era affatto pronta per tutto quello.  No, non ci stava.
La sfolgorante Orthilla, che un tempo aiutava a realizzare i sogni degli altri, ora si ritrovava a volerne ostacolare uno, per puro e mero egoismo.
O forse… in qualche modo… per amore? << Non posso credere che mi abbandonerai anche tu. >> sbottò, e per la prima volta sentì di voler lanciare tutto contro le pareti di casa, ferita nel profondo da una cosa forse banale, ma che lei non riusciva a non vedere come tragica e difficile.
Sola di nuovo.
<< A-abbandonarti…? >> Brendan si alzò e la raggiunse, ma lei in risposta fece qualche passo indietro. Non voleva averlo vicino.
Si sentiva presa in giro e tradita. L’unica persona che le era stata davvero vicina ora voleva andarsene, per una stupida Lega, e lei…
Dio, che fine avrebbe fatto lei?
Tutto il giorno sul letto, ignorando la vita che la chiamava. Che le diceva di buttarsi, di provarci.
<< Sì, abbandonarmi come hanno fatto tutti gli altri! Come mio zio--
<< Tuo zio non ti ha abbandonata. E nemmeno io ho intenzione di farlo! >>
<< Allora perché te ne vai?! >>
Brendan le cinse le spalle e avvicinò il viso a quello di lei. Non era così che funzionava. I loro universi – continuava a ripeterselo – erano troppo distanti ed incompatibili. I loro obbiettivi, erano così diversi… le loro vite non potevano incastrarsi.
Ed inoltre, se lei era intenzionata a ritrovare se stessa, doveva farlo in pace. Stando al mondo da sola. Camminando da sola, rafforzandosi da sola.
Che poi, sola non era. Migliaia di persone non aspettavano che un suo ritorno, e di certo quelle migliaia valevano proprio come lui.
<< Me ne vado, perché io ho una strada da terminare. >>
<< Non puoi lasciarmi sol--
<< E tu hai la tua da proseguire, ed è lunga e piena di successo. >>
<< Cosa stai dicendo…! >> Orthilla era rossa in volto dalla paura.
Quelle parole facevano male, le arrivavano dritte al petto come pugnali.
Uno dietro all’altro, seguendo il ritmo della morte, scavando sempre più  in profondità nel cuore ancora ridotto ad infiniti cocci.
Voleva mordersi la mano, per scaricare tutta la frustrazione che le si stava accumulando dentro intoppandola di dolore.
<< Non puoi farmi questo, Brendan…! >>
<< Orthilla, la tua vita comincia ora. Dimostra al mondo chi--
<< Non mi parlare mai più! >>
Lo spinse. Era furente, nervosa, in ansia. L’idea di rimanere ancora sola la stava torturando in modo brutale.
<< Orthilla… >>
<< Vattene! Corri ad affrontare la Lega! Traditore! >>
Brendan la guardava, sconfitto. Non l’aveva mai vista tanto sconvolta. Ma che ci poteva fare? Nessuno dei due avrebbe risolto niente, insieme. E lei non lo necessitava come realmente credeva. << Orthilla, le cose stanno così… il tuo posto è in alto, qui ed ora. Devi solo ritrovarlo… ma ti appartiene già. >>
<< Ho detto che devi andartene. >>
<< Non così facilmente. >>
<< Sparisci! >>
La ragazza lo strattonò verso la porta, e quando questa si schiantò dietro alle spalle del giovane, un doloroso silenzio calò su tutta Ceneride.
L’aria era insolitamente fredda, e avviluppò il corpo di Brendan in una morsa di gelo fortissima; il giovane si abbracciò, per farsi calore.
Eppure non si mosse.
Si accasciò a terra, e rimase lì, contro la porta. Ad ascoltarla piangere piano.
Perché Orthilla doveva costringersi a soffrire tanto… per cose da niente?
Una metà di lui voleva davvero rimanere con lei.
Ma l’altra sapeva di non essere più necessario, e di dover dunque ritornare sui suoi passi.
Quella ragazza era per persone come Rocco, per qualcuno che potesse aiutarla seriamente, che disponesse degli strumenti per tirarla in aria e assicurarsi che non cadesse più.
Controllare il suo volo, e supportarla nei momenti critici.
Chi era lui per permettersi ciò?
Un banalissimo allenatore come tanti altri, il solito ragazzo che sceglie di partire all’avventura. 
Niente di speciale. Un fan come un altro, forse.
Ecco tutto.
Il suo posto non era accanto a lei.





nda
siamo quasi giunti al capolinea, ragazzi. Il prossimo capitolo - salvo sbalzi di creatività random (?) - dovrebbe essere l'ultimo.
Dunque gustatevi questo undicesimo pezzo d'arte (?) come chappy di transizione, la vera festa è nel prossimo che a breve pubblicherò.
niente spoiler, voi tenetevi pronti a tutte le evenienze, in ogni caso.
Ringrazio tutti coloro che recensiranno, che stanno seguendo la fiction fin'ora e anche i lettori silenziosi.
A presto!

Lou

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Capitolo 12
*** XII. ***



XII
 

Brendan la aspettò tutto il giorno, e anche quello dopo.
Quello della sua partenza.
Non aveva avuto il coraggio di rinviare il suo cammino per la Via Vittoria: non era del tutto determinato ad affrontarla, vero, ma proprio non se l'era sentita di mollare solo per colpa di una Idol che, stando a tutta la fama e la gloria che nonostante il dolore possedeva, nemmeno avrebbe dovuto avercelo, il tempo per lui.
Eppure sperava ancora di poterla salutare, in qualche modo. Voleva che sapesse che non l’avrebbe abbandonata, e un sentimento strano si era fatto strada dentro di lui, provocandogli un lieve mal di pancia. Se avesse vinto contro Rocco, sarebbe diventato Campione…
Degno di lei… sarebbero stati alla pari.
No, no. Non sarebbe mai riuscito a prendere quel posto tanto ambito. Quel tipo dagli occhi freddi come il metallo era molto meglio di lui, in tutto.
<< Allora, il grande giorno è giunto! >>
La dottoressa Joy gli si avvicinò con una sacca tra le mani. Sembrava dispiaciuta, ormai si era quasi abituata a vedere quel ragazzo esuberante rientrare sempre - o quasi - per l’orario di cena. La mortificava doverlo lasciar andare. << Questo è per te e per i tuoi Pokémon. >>
Brendan afferrò il sacchetto con rammarico e lo strinse tra le mani: era caldo, e profumava deliziosamente. Sceptile allungò il collo per annusarne il contenuto, curioso. Tra tutti, sembrava l’unico a non soffrire, e il ragazzo lo invidiò molto per quel suo forte atteggiamento. Il Pokémon Foresta pareva avere solo la Lega in testa, e a giudicare dalla rinnovata energia con la quale faceva danzare la coda, non vedeva l’ora di lottare e mettersi alla prova.
Brendan invece si sentiva uno straccio.
Uno schifo.
<< La Via Vittoria è lunga, quindi ho pensato di prepararvi qualcosa da mangiare. Così non morirete di fame! >>
<< Grazie mille, dottoressa, davvero. A presto. >> Brendan infilò lentamente il saccoccio nello zaino. Poi si alzò dal divanetto, si tolse il cappello e uscì dal Centro Pokémon.
Faceva fresco, e un lieve refolo d’aria increspava il perfetto specchio d’acqua di Ceneride, creando piccole ed irregolari onde bianche.
Il sole era coperto dalle nuvole, e aveva sbiadito i colori di ogni lato della città.
Sospirò.
Tutto sapeva di Orthilla, lì. Gli alberi, il mare, le case di pietra, l’ aria gravida di salsedine che in quel momento gli stava fornendo ossigeno per vivere. Scosse il capo. Doveva togliersela dalla testa, non aveva senso continuare a pensarci; lei aveva una vita da rispolverare, portare agli antichi splendori, mentre lui doveva terminare un viaggio durato anche troppo a lungo.
Insomma, Orthilla non aveva davvero tempo per lui, solo, doveva capacitarsene! Tantissimi fan l’adoravano, i flash la reclamavano, i riflettori volevano tenerla di nuovo puntata… tutto si era fermato ad aspettarla, bastava solo che trovasse un po’ di forza per seppellire il male e buttarsi, tutto qui. Ce la poteva fare. Aveva tutto l’aiuto del mondo.
“Basta spaccarsi la testa Brendan, o di questo passo diventerai matto. La sua vita non deve essere più affar tuo.”
Strinse le spalline dello zaino e si lasciò trasportare dalle possenti pinne di Mantine, che immersosi nell’acqua profonda di Ceneride, cominciò a nuotare rapidamente verso l’uscita.
Gli aspettava un lungo viaggio in mare; l’acqua fredda contro la pelle abbronzata gli scrollò di dosso il dolore, svuotandogli la mente.
Socchiuse gli occhi argentei quando Mantine aumentò la velocità. I capelli castani del ragazzo sembravano un coacervo di alghe, snelle e danzanti. Ricordava di essere partito di casa con i capelli corti, invece ora erano insolitamente lunghi. Tutto di lui era cambiato.
Il tempo era passato così in fretta…
Perché Orthilla non poteva essere come il mangia ore tanto temuto dagli umani?
 
 
 
Iridopoli era un piccolo ammasso di scogliere fiorite che calavano a picco sul mare, odoranti di salsedine. Il fragore delle cascate librava in aria grosse volute di vapore acqueo, e tutt’intorno si respirava un’aria fremente e nervosa.
Sceptile si sentiva euforico, mentre camminava a testa alta tra i fiori ben colti dei prati. Accanto a lui stava Brendan, a testa china. Sembravano uno l’opposto dell’altro, in quel momento, perché se il Pokémon emanava sicurezza da ogni squama color smeraldo, il suo allenatore era abbattuto come non mai.
Aveva pensato che una volta arrivato lì si sarebbe concentrato solo sulla Lega, invece si era sbagliato: persino su quella remota isola di Hoenn, lontana da tutto e tutti, i grandi occhi verdolini di Orthilla erano riusciti a sottometterlo alla confusione più totale.
Stava male, era evidente.
Quella dolce ragazza cominciava già a mancargli troppo, ma doveva farsene una ragione. Orthilla si sarebbe benissimo potuta consolare con i fan, giusto?
Immerso nei suoi pensieri, andò a sbattere contro il corpo rigido di Sceptile; il Pokémon si era fermato al centro del sentiero, e subito prese a mordicchiargli la testa con fare affettuoso.
Si abbracciarono, e Brendan sentì un calore improvviso avvolgergli le membra.
<< Ah, fai il dolce ora, eh…? Scemo. >>
Sceptile ridacchiò e lo strinse più forte. Voleva che anche il suo allenatore potesse condividere con lui quel momento tanto speciale, non sopportava di vederlo così giù di morale.
<< Hai fame? Il viaggio è stato lungo… se vuoi possiamo consumare qualcosa prima di ripartire. >>
 I due si sedettero su uno scoglio fiorito, e mentre si concedevano un veloce spuntino, Brendan si distese sulla lunga coda del Pokémon. Sospirò, inalando poi l’aria salata dell’isola.
Quel mare così vasto gli ricordava Orthilla.
I suoi lunghi capelli turchini, il collo magro, lo sguardo vispo… il dolore senza confini che aveva tenuto a bada il suo sfolgorante essere.
“Lega, Brendan. Lega. Adesso basta.”
Il malinconico blu dell’oceano presto lo cullò in un sonno agitato, e si ritrovò a sonnecchiare con l’immagine della giovane Idol impressa nella mente.
Mezzo addormentato, dunque, non si accorse di due morbidi stivaletti bianchi che gli si avvicinarono furtivi.
 
 
Un fruscio di vestiti, il tintinnio di un delicato braccialetto e una mano candida sulla spalla.
Si svegliò, e quando i suoi occhi grigi cozzarono con due profonde iridi turchesi si sentì morire dentro.
Balzò in piedi, quasi calpestando la coda di Sceptile che, divertito, rimase disteso a godersi la scena.
<< O-Orthilla! >>
<< In persona, caro mio Brendan! >> Orthilla librò le braccia in aria e sorrise smagliante, smuovendo appena la lunga coda celeste.
Era bellissima, infilata in una corta gonna indaco dai bordi cotonati e una graziosa camicetta bianca.
Brendan respirava affannosamente, il cuore gli batteva frenetico contro il petto e le mani avevano cominciato a sudargli per la forte emozione. Non poteva credere di averla davanti. Era così meravigliosa, energica… perché aveva scelto di seguirlo? Si grattò tra i capelli ancora umidi, in imbarazzo. Non sapeva dove guardare, se non fisso su di lei. Sembrava una splendida dea apparsa in tutto il suo devastante potere. Brillava di luce propria, davvero.
Era perfetta.
<< Non ci posso credere… che ci fai qui… >>
Orthilla strinse la tracolla della borsa, gonfia di utensili e aggeggi vari, e guardò la sua Altaria con convinzione. Poi prese un tremolante respiro e ritornò a specchiarsi negli occhi sgranati del castano. << Ho deciso di partire. >>
<< Di… di partire? >>
<< Sì! Quello che fate voi allenatori, no? Lotte, crescita psicologica… >> Orthilla si voltò, e cominciò a fissare la lunga distesa d’acqua dinanzi a sé. Ebbene sì, aveva deciso di partire.
Era stata una decisione sofferta, ma ben studiata: la verità era che rimanendo chiusa in quel cratere isolato non avrebbe concluso niente. Non erano i fan che le portavano felicità in quel momento, ne le amate lettere dello zio.
No, per ritornare a brillare prima di tutto aveva un disperato bisogno di trovare se stessa. Viaggiare, poter conoscere a fondo le sue capacità, sfidare le persone, comprendere bene i suoi sentimenti e quelli del suo Pokémon…
Aveva scelto di buttarsi in quel suo piano folle perché ora come ora, desiderava solo cercare un punto di accordo con l’Orthilla seppellita in lei. Smettere di pensarsi come un essere inutile, una carogna, una buona a nulla… o tutto quel dolore insensato presto l'avrebbe sterminata.
Voleva capire e capirsi. Solo così sarebbe potuta tornare sul palcoscenico.
Solo così avrebbe potuto affrontare a testa alta quelle dicerie, e smentirle.
Che ci voleva?
Brendan le fu addosso con forza, la sollevò e la strinse con vigore tra le braccia. Non sapeva cosa dire. Voleva solo sentirla premuta contro di sé, e basta. E non lasciarla mai più andare. Orthilla rise, ricambiando la scarica di affetto improvvisa, e mentre i capelli freddi del ragazzo le stuzzicavano le gote arrossate, percepì un intreccio di sensazioni stritolarle lo stomaco con furore. Dei grovigli piacevoli, agitati, una tempesta di dolcezza a cui non sapeva ancora dare nome. Ma che durò per tutto l’abbraccio, e anche oltre. Quando lui la posò delicatamente a terra, gli portò le mani sul petto, ascoltando la pelle calda del ragazzo reagire d'impulso sotto la maglietta dal tessuto resistente. Brendan la guardò intensamente, e un bagliore complice percorse gli occhi di entrambi. << Verrò con te. >> dichiarò Orthilla dopo un attimo di esitazione, prendendogli con nervosismo le mani. Uno strano calore le invase il petto e le braccia, ripensando a prima. Le gambe si fecero molli, mentre gli stritolava le grandi palme ruvide in un avvinghio di possessione che la spaventò e compiacque allo stesso tempo. Si sentiva come se una scarica di adrenalina l'avesse travolta... le piaceva Brendan, forse? << Poi quando avrai affrontato la Lega, vorrei crearmi un team e affrontare le varie palestre per conto mio. Ma questo tratto di avventura possiamo concluderlo accanto, ti va? >>
<< Una proposta allettante. >>
Si sciolsero dall’abbraccio e si guardarono con imbarazzo. 
Brendan volle baciarla, ancora eccitato per prima, ma non appena si fece di qualche centimetro più avanti, lei balzò lontano con una corsa e ordinò ad Altaria di scaraventarsi contro Sceptile.
Il Pokémon Foresta per fortuna schivò l’attacco, sibilando per la sorpresa mentre ritraeva la coda con eleganza.
Il castano lasciò andare un rantolo rilassato, mentre ripensava all’azione che lo aveva spinto in avanti qualche secondo prima. Le labbra di Orthilla sarebbero state sue in un altro momento.
Si sentiva carico come una molla.
<< Prima di andare, lottiamo! >> esclamò lei, e la sua voce cristallina, ancora intrisa di dolore, suonò più potente di un rintocco di campana. << Voglio metterti di nuovo alla prova, questa volta niente scherzi. >>
<< Accetto la sfida. Scept, Megaevoluzione! >>
<< Altaria, splendi! >>
I due Pokémon, reagendo alle Megapietre degli allenatori, si circondarono di una fortissima luce arcobaleno, prima di riemergere più forti, più fieri e più belli di prima.
Orthilla osservò Altaria librarsi in volo con un’ ammirazione senza fine: presto anche lei sarebbe arrivata a splendere tanto in alto.
Avrebbe solcato i cieli del successo, toccato le nuvole della meraviglia, assaporato i venti del traguardo.
Si sarebbe fatta illuminare dal candore del sole, e avrebbe brillato come un diamante in controluce, risplendendo di mille riflessi arcobaleno.
Solo così, lo sapeva bene…
Lei, una stella ormai morta, si sarebbe fatta forza e sarebbe tornata a dominare sul vasto cielo della fama.
Questione di mesi, forse di qualche anno, ma che importava.
Adesso era lì, distrutta, ma pronta a raccogliere cocci di se stessa per rimetterli insieme.
E questo bastava.

 


 
Nda
e con immenso rammarico annuncio a tutti che Star Power, il mio piccolo parto, purtroppo finisce qui.
* sad song *
Nonostante ciò, sono contentissima del traguardo che ho raggiunto, dei tempi abbastanza veloci di pubblicazione e dell’ispirazione che non mi ha mai abbandonata. Ringrazio tutti coloro che mi hanno accompagnato in questo progetto,  a tutti coloro che hanno recensito i capitoli e che hanno seguito la storia attivamente e con interesse. Il piccolo successo che ha avuto questa long è in gran parte dovuto a voi, per cui grazie tante, a tutti, davvero! Sono molto soddisfatta di aver portato a termine un lavoro così ben riuscito.
Ringraziamenti speciali vanno in particolare a shadowmewtwo99, che oltre ad avermi dato l’idea di base, mi ha letto tutti i capitoli e mi ha sempre fornito qualche dritta per renderli più realistici. Se ci sono errori perdonatemi, quella è comunque colpa mia (?), li correggerò prima o poi.
Orthilla e  Brendan sono stati un po’ un esperimento nuovo per me, così come la regione di Hoenn - e qui ringrazio sempre il mio eroe Shadowmewtwo99 per avermi passato il gioco di ORAS in tempo (?) -; non credo che riuserò ancora questi personaggi, in futuro, però mi sono trovata molto bene a rappresentarli in questa chiave.
Come vi è sembrato il capitolo? Come avrete notato la situazione di Orthilla non si risolve, non nella storia almeno. Sarà il tempo a decidere le sue sorti, vi lascio col bastardo finale aperto premeditato perché sono sadica XD. Ok (?)
Lasciate pure una recensione, se vi va! Ringrazio tutti ancora una volta, seriamente.
A presto!
 
Lou   

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