Harlock's Tales

di Domenico_12
(/viewuser.php?uid=861778)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Preludio. Capitolo 1 - Garaway. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Overture. Capitolo 3 - Frank Highler ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Cotidie Morimur. Capitolo 5 - Welcome to the... ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Soundtrack del Capitolo:
Experience - Ludovico Einaudi.

Il temporale si era abbattuto nei boschi del settore nord orientale dell'Inghilterra. La casa, sperduta da qualche parte all'interno della zona più fitta del bosco, sembrava riuscire a malapena a sopportare la pioggia. Le strade, totalmente ricoperte di fango, contribuivano a rendere più difficoltoso qualsiasi tipo di spostamento. 

All'interno della casa, parzialmente illuminata solo dalla luce fornita da qualche candela sparsa per il salotto e dalle fiamme del camino, c'erano due uomini. Un signore dagli occhi chiari, anziano e visibilmente provato, era in piedi davanti al camino in marmo con il peso della parte superiore del corpo gravante sulla mano destra, posata su una credenza il legno massello. L'uomo fissava le fiamme, il suo sguardo era spento, perso all'interno del camino. Continuava a passarsi la mano sinistra tra la barba, bianca come i suoi capelli. Era visibilmente sovrappensiero, incapace di comunicare qualsiasi tipo di emozione e sensazione che non fosse un misto tra ansia, stress e smarrimento. 

Un ragazzo, evidentemente molto più giovane dell'anziano signore dalla barba bianca, era seduto su una poltrona di pelle, verosimilmente risalente ai periodi ottocenteschi a giudicare dalla improbabile colorazione rossa, le fiamme del camino non facevano altro che risaltarne il particolare colore. 

Il ragazzo aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa contro i palmi delle mani, anche i suoi occhi, semichiusi, tendevano a vagabondare nel vuoto senza una meta. 

Il boato dei tuoni, il crepitio del fuoco e il ritmo della pioggia che cadeva erano una dolce sinfonia, l'unica per chi non fosse capace di percepire il respiro di due silenziosissime persone. 

L'atmosfera che quella sinfonia era riuscita a creare andava a incastonarsi perfettamente nel buio della stanza, era tutto perfetto nella sua irreale malinconia. 

Dei due uomini si riusciva a scorgere solo qualche lineamento, erano entrambi turbati ma era il più giovane a sembrare più stordito, aveva lo sguardo di chi sembrava aver visto un fantasma - se non la morte stessa. Nessuno dei due era in grado di parlare. Entrambi si limitavano a fissare punti indefiniti. Entrambi erano alla ricerca di una qualche tipo di risposta. 

Il ragazzo poggiò le spalle allo schienale della poltrona, accavallò la gamba destra e iniziò a strofinarsi il mento, anche i suoi occhi andarono dritti verso le fiamme. L'anziano signore non aveva ancora mosso un muscolo, sembrava pietrificato. 

Gli schianti dei tuoni si susseguivano a un ritmo serrato e la pioggia variava continuamente la sua intensità senza però smettere mai. 

Entrambi indossavano un cappotto scuro, nel ragazzo nascondeva dei vestiti totalmente stropicciati, come se segnati da una battaglia, il cappotto però era totalmente impeccabile, sembrava quasi nuovo. Quello del signore anziano era vecchio ma conservava uno stile davvero invidiabile. 

L'anziano continuava a strofinarsi la barba, sospirò. Era come se stesse cercando di parlare, come se avesse voluto dire qualcosa senza però trovare le parole. Lo sguardo del ragazzo venne per un attimo attirato da quel sospiro ma poco dopo tornò a posarsi sulle fiamme.  

Il fuoco trasmetteva tranquillità in quell'atmosfera del tutto irreale, forse non a caso lo sguardo di entrambi era attirato da quelle particolari colorazioni. Un altro boato, nessuno dei due trasalì ma lì fuori sembrava che si stesse combattendo una battaglia sotto la pioggia. 

L'anziano continuava a fissare il fuoco, un suo nuovo sospiro attirò l'attenzione del ragazzo dagli occhi marroni, accesi dalle fiamme. 

"Mio caro ragazzo" esordì l'anziano dopo un silenzio che parve durare ore, "non credevo che si potesse arrivare a tanto un giorno, non te lo avrei permesso..." sembrava voler continuare ma il ragazzo lo interruppe. 

"Signore" disse con un filo di voce, "la colpa non è sua, sono stato io a volerlo, avrei dovuto agire diversamente". 

L'anziano non distolse mai lo sguardo dal fuoco mentre il ragazzo, dopo aver parlato, spostò nuovamente lo sguardo dalle spalle dell'uomo al fuoco. Ci furono altri lunghissimi minuti di silenzio con la pioggia come sottofondo, interrotti dai continui boati e dallo scoppiettio delle fiamme.  

Era lo sguardo del ragazzo a portare i veri segni di un qualche tipo di battaglia, l'anziano invece, seppur disorientato, sembrava mantenere il controllo di sé stesso. L'anziano si voltò verso il ragazzo, per la prima volta. 

"L'amavi davvero?" chiese. Era una domanda fatta con il cuore più che con la mente, come se non volesse davvero chiederlo ma la risposta poteva essere in qualche modo veramente importante. 

Il ragazzo incrociò lo sguardo dell'attempato volto. Gli occhi azzurri trasmettevano sicurezza, controllo e speranza. Gli occhi marroni del giovane smarrimento, insicurezza e stupore. Al ragazzo ci vollero infiniti secondi per trovare una riposta adeguata. 

"Signore" lo sguardo del giovane cambiò improvvisamente, era come se la domanda dell'anziano non avesse più importanza, aveva paura, "stanno arrivando". 

"Lo so" rispose l'anziano che tornò a fissare le fiamme, "lo so da un pezzo, credo. Non credermi stupido, ti prego, ma è importante che tu me lo dica" era come se parlasse alle fiamme, fingendo un sorriso speranzoso e gli occhi che abbandonarono un'ostentata sicurezza per lasciar spazio ad un ben più evidente sguardo desideroso e impaurito allo stesso tempo. 

"Dimmi figliolo" riprese il vecchio, "l'amavi davvero?".  

Il ragazzo continuò a guardargli le spalle per qualche secondo, solo quando l'anziano gli rivolse quello sguardo trovò la forza per parlare. 

"No" rispose. Cercò un'altra risposta dentro di sé, ritornò a fissare punti indefiniti con uno sguardo totalmente vuoto. "Non lo so" replicò sospirando a sua volta. 

Il vecchio tornò per l'ennesima volta con gli occhi sulle fiamme. Si tolse il cappotto rivelando il suo particolare abbigliamento, sembrava di un'altra epoca, più vicino all'arredamento ottocentesco della casa che al mondo moderno. 

"Cosa vuole fare?" chiese il ragazzo, cercando di mantenere una debole calma. 

"Aspettare che mi prendano" sussurrò lasciando cadere il cappotto. Per la prima volta abbandonò la posizione cha aveva assunto per tanto tempo, andandosi così a sedere su un'altra poltrona. 

Il ragazzo si alzò, e gli si avvicinò. 

"Non ce la farà" il ragazzo alzò il tono della voce per superare il boato dell'ennesimo tuono. Gli alberi intorno alla casa impedivano alla luce dei lampi di entrare. 

"Non devo più essere io a farcela, non lo capisci?" continuò sussurrando. 

"No che non capisco" rispose il ragazzo alzando le spalle, era evidentemente molto più nervoso. 

"Avrei dovuto agire diversamente" riprese l'anziano, "non dovevamo arrivare a questo punto, avrei dovuto fermare tutto prima ma..." non continuò, forse la situazione era troppo più grande di lui. 

Il ragazzo gli si avvicinò ancora, era come se non potesse credere a ciò che stava sentendo. Dopo qualche secondo il suo sguardo perse di nuovo profondità e si posò sull'anziano. 

"Dovrò scegliere, mi verrà data l'opportunità, non è così?" chiese. 

L'anziano lo guardò come impaurito. 

"Temo di sì, quando arriverà il momento dovrai scegliere". 

"E quale sarà la cosa giusta da fare?" esitò, "la prego, me lo dica". 

"Non c'è nulla di giusto, qualsiasi sarà la tua scelta sarà giusta e sbagliata alla stesso tempo" l'anziano abbandonò lo sguardo impaurito. 

"E quindi cosa dovrò fare?" chiese speranzoso, voleva una riposta. 

"A parte sperare che quel giorno non arrivi mai?" asserì l'anziano, "mai contro il proprio cuore, ragazzo mio". 

Il ragazzo distolse lo sguardo verso di lui e si diresse verso la porta, fece per aprirla ma si voltò ancora una volta, voleva guardare i suoi occhi azzurri un'ultima volta. 

"Dovessi scegliere la cosa peggiore in assoluto?" chiese. 

L'anziano lo guardò, si alzò prendendo il cappotto da terra dirigendosi verso le fiamme, con fare disinvolto e tranquillo lo lasciò cadere delicatamente tra le fiamme. Riprese a fissare le fiamme bruciare. 

"A quel punto avresti risposto alla mia domanda, a quel punto avrai detto a te stesso che ami lei e solo lei" sospirò, "significherà che la ami, sì... la ami". 

____________________

Angolo Autore:

Buonasera a tutti. Questo è il capitolo di presentazione; presentazione che riguarda me e la mia storia. Mi auguro che perdoniate qualche errore di battitura o qualche ripetizione di troppo. Consapevole della confusione che questo prologo abbia potuto creare nella vostra mente, mi auguro ancora che continuiate a seguirmi per capirne qualcosa in più. Graditi commenti e critiche. Che altro dire... See you soon.
#TillTheEnd

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Preludio. Capitolo 1 - Garaway. ***


ATTO I

Preludio.

Londra.

Erano le sei e trenta del pomeriggio quando la polizia entrò in un monolocale nel centro cittadino. Giravano delle voci su chi fosse colui che vi ci abitava. Le persone lo definivano come un vecchio psicopatico, morbosamente legato ai suoi manoscritti. Portava su gli occhiali, abbondante stempiatura e lunghi capelli neri ai lati della testa. Alcuni vociferavano che avesse poco più di sessant'anni ma nessuno aveva alcun dato certo.

Nessuno sapeva neanche il suo nome. Il citofono segnava il cognome del vecchio inquilino. Solo il portiere del palazzo poteva vantare una discussione con lui. Beh, l'uomo gli aveva semplicemente detto di far finta che non esistesse, non avrebbe disturbato e non avrebbe mai ricevuto posta.

Il portiere potrebbe giurare di non averlo più visto dal giorno del suo arrivo, un curioso dato di fatto. Eppure aveva avuto ragione quell'uomo, era come se in quel palazzo non esistesse, non si era più fatto notare fino a quel giorno.

La polizia entrò in gran numero quella sera, il portiere si trovò leggermente scosso nel vedere tanti uomini in uniforme, non gli era mai successo, mai nessun poliziotto era entrato in quel palazzo vicino al centro della città - fatta eccezione per quella volta che la signora Richardson - ottant'enne -, venne chiusa in balcone dal pronipote di sette anni, ma quella volta c'era solo un poliziotto e una manciata di pompieri che si trovarono costretti a sfondare la porta dell'appartamento.

I poliziotti chiesero al portiere il modo più veloce per raggiungere il settimo piano.

"L'ascensore è sotto manutenzione - bugia bella e buona, non funzionava da mesi - quindi potete raggiungerlo solo tramite quella rampa di scale" disse, quasi intimorito, indicando le scale bianche che permettevano di raggiungere i piani superiori. Il tempo fuori andava peggiorando, le nuvole diventavano sempre più minacciose.

I poliziotti salirono velocemente e il portiere, senza invito, li seguì. Il baccano degli stivali aveva attirato l'attenzione degli inquilini che cominciarono a riversarsi nei corridoi, incuriositi più che spaventati.

Raggiunsero il settimo piano e si fiondarono direttamente verso la porta dell'uomo misterioso, sapevano benissimo dove andare. Il primo degli agenti bussò tre volte, pronunciando Polizia dopo i tre colpi. Prassi che venne eseguita per altre tre volte, poco dopo decisero di sfondare la porta. Un poliziotto sfoderò la pistola tra gli ululati di paura delle persone, pronto a far saltare la serratura. Il più alto in grado, senza divisa, si avvicinò all'agente facendogli abbassare la pistola. La moquette rossa assorbiva il rumore degli stivali che ancora risuonava per le scale.

"E' aperta" disse il comandante sospirando. Aprì così la porta delicatamente, gli agenti entrarono con le pistole pronte a colpire in caso di necessità. L'ingresso dell'abitazione era spoglio, pieno di giornali di parecchi mesi prima. Tutte le tapparelle erano abbassate, la luce che riusciva a filtrare era davvero poca. Ci fu la necessità di aprire una torcia affinché si accorgessero che, poco più avanti, c'era la sagoma di un uomo seduto su una sedia con la testa appoggiata sul tavolo. Gli si avvicinarono lentamente, ma non dava alcun segno di vita, il comandante ordinò di aprire le finestre. Vedendo l'uomo senza vita il portiere emise un gemito di paura. La casa era disordinata, i colori cupi e spenti, libri e fogli di carta dappertutto, anche sul pavimento. Un agente afferrò un pezzo di carta, scritto a mano e lo porse al comandante, egli iniziò a leggerlo nella sua mente.

"Ebbene sì, incredibile. Non riesco più a guardare fuori,

ho paura di quello che si possa rivelare ai miei occhi.

Quelle ombre stanno tornando, vive

come in quel giorno che sembra così lontano.

Non c'è più un filo di umanità, quindi credo che sia la

giusta presa di posizione.

Tu sei l'unico che possa trovare una soluzione

e che possa evitare l'ineluttabile.

Abbandono questo mondo perché non me ne

sento più parte.

Siamo fiammiferi all'interno dell'Inferno. Siamo anime

alla ricerca di salvezza.

Siamo lacrime su un oceano di lava.

Riesci dove io ho fallito.

H.A.B.".

"Era solo un maniaco suicida" commentò amaro il comandante.

 

Soundtrack Capitolo 1:
Beethoven - Secondo Movimento della Settima Sinfonia

Capitolo 1 - Garaway.

Garaway è una graziosa e piccola cittadina nel nord est degli Stati Uniti D'America. In linea con la media territoriale, la popolazione non è eccessivamente numerosa, il clima - rigido in inverno e mite in estate - assieme alla conformazione del territorio rendono la cittadina alquanto particolare. Lontano dalla costa, il centro storico si sviluppa perlopiù in piccole stradine caratterizzate dalla pavimentazione in pietra lavica dove, ai lati delle strade, sono presenti le particolari costruzioni in mattoni dal colore rossastro. Gli edifici risalgono al periodo settecentesco e hanno contribuito alla nomina del borgo Garaway, come il borgo più bello dell'America settentrionale negli anni 1980, 1986, 1998, 1999, 2002. Questo ha comportato che il restauro degli edifici non potesse essere troppo invasivo quindi, a parte qualche piccola bottega, qualche libreria e qualche negozietto secolare, le attività commerciali si concentrano nella periferia della città.

In periferia il concetto cambia, le strade diventano asfaltate e molto più ampie, le abitazioni assumono l'aspetto di villette monofamiliari suddivise dai vari cortiletti. L'atmosfera cambia, il rosso e il grigio - caratteristici del centro - lasciano spazio a un nero, bianco e verde più moderno e dinamico. I parchi verdi in periferia sono numerosi e molto grandi, in centro sono meno numerosi e un po' più piccoli. Nella periferia di Garaway sono presenti tre centri commerciali molto grandi e qualche negozio sparso nella zona commerciale tra un ufficio e un altro. La città nel suo complesso non è molto grande ma è molto bella, il contrasto tra centro e periferia non fa che aumentare la sua unicità. Scorrono parecchi fiumi e ruscelli lungo il territorio di Garaway e, una volta al mese nel Queen's Park, vengono organizzate gare di pesca amatoriale. In città sono numerosissime le attività che cercano di coinvolgere i ragazzi della High Frank Highler School e della scuola primaria, questo perché le autorità tentano di puntare sui ragazzi per evitare una fuga di cervelli. In estate la città si popola di turisti, attirati dalla peculiarità della città, dal clima mite e dalle leggende della città.

Sulla città circolano numerose leggende, più o meno assurde, ma quella più intrigante è quella che riguarda il suo fondatore. Si racconta che egli fosse un magnate dell'oro e che avesse cercato di cacciare le tribù native di quel luogo che, al tempo, aveva un clima troppo ostile. Le tribù misero in guardia l'uomo (in qualche modo), le caverne erano - a detta loro - maledette. L'uomo non volle sentir ragione e cominciò a scavare, nel giro di qualche settimana lui e tutti i suoi uomini scomparvero all'interno delle miniere. Si racconta che i suoi uomini abbiano immediatamente trovato la pace mentre lui, il magnate, vaghi ancora per la città alla ricerca della salvezza, condannato ai soprusi delle anime delle popolazioni native che sarebbero state pronte a inveire contro chiunque fosse andato ad abitare in quella città. I racconti, durante gli inizi dell'ottocento, incutevano parecchia paura tra gli stessi abitanti della città così che tutte le miniere vennero fatte esplodere con la consapevolezza che gli spiriti avrebbero lasciato la città. A parte qualche reperto architettonico o artistico, vicino al punto in cui in origine si trovavano le entrate, delle miniere non è rimasto più nulla. A meno che qualcuno non avesse deciso di ricominciare a scavare ma, facendo parte della storia e della cultura della città, quei luoghi non potevano essere profanati.

Le storie sugli eventi soprannaturali si fermano agli inizi del novecento, racconti - secondo alcuni - inventati per sviluppare l'economia della città. Senza dubbio chi ha avuto la trovata di inventare tali racconti è riuscito nel suo intento.

La Garaway del 2015 seppur piccola e con relativamente pochi abitanti è molto ricca.

Settembre del 2015, le lezioni sono appena ricominciate alla Frank Highler, i turisti stanno lentamente lasciando la città per tornare a casa, ogni settimana la temperatura è sempre più fresca e il cielo comincia a disegnare sempre più nuvole, sempre più scure. E la storia - per Garaway - è un po' come il tempo, sta cambiando...

______________________

Angolo Autore:
Buonasera a tutti. Ho deciso di unire il preludio del primo atto con il primo capitolo che introduce la città dove si svolgerà la nostra storia, data la loro brevità. So che i capitoli possono risultare molto brevi ma, considerando che si tratta ancora delle introduzioni e volendo schematizzare bene questa primissima parte, non avrei voluto correre il rischio di diventare logorroico. Come nel prologo, commenti e critiche sono ben accetti. See you soon.
#TillTheEnd

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Overture. Capitolo 3 - Frank Highler ***


Capitolo 2 - Ouverture.

"Mamma!" la voce risuonò giù per le scale in una delle villette bianche della periferia di Garaway, "mamma, dannazione!".

Era una delle villette più curate, la facciata si distingueva per una tonalità di bianco più opaco che, vicino ai balconi, assumeva una tonalità marroncina anch'essa opaca. Il prato era molto curato delimitato nel suo perimetro laterale, che confinava con altre due grandi villette, da una bassa staccionata in legno chiaro. Sulla destra dell'edificio c'era il garage annesso alla casa, a collegare la strada asfaltata e il garage c'era un vialetto di piccole pietre grigie, tutto molto ben curato e sistemato. Un'Audi nera era parcheggiata fuori dal garage con il muso rivolto verso la strada. A parte qualche auto parcheggiata vicino ai marciapiedi, in corrispondenza delle abitazioni, la strada era libera e vuota, vuoto interrotto dal passaggio di qualche autovettura. Un uomo, due case più a destra, era intento a leggere il giornale in veranda fumando la pipa, quando vide una signora con un passeggino uscire dalla casa di fronte le si avvicinò. I due iniziarono a parlare sorridenti. Era ancora molto presto.

"Mamma!" riprese a echeggiare la voce di un ragazzo dai capelli corti, scuri e occhi marroni, "dove diamine è il mio Trilby nero?". Il ragazzo era ben vestito, aveva un completo scuro, una camicia bianca e una cravatta a strisce rosse e bianche.

"Caleb?! Non ho capito cosa tu stia..." la madre del ragazzo aveva più o meno quarantacinque anni ma era molto giovanile. Aveva i capelli scuri e gli occhi chiari. Portava una gonna lunga, e una camicia scura come la gonna, appeso alla camicia c'era un cartellino.

"Il cappello mamma, quello scuro" riprese il ragazzo scendendo le scale. Il suo intento era quello di raggiungere la madre in salotto. La casa era spaziosissima e molto luminosa.

"Non è di sopra?" chiese la madre diminuendo poco a poco il tono della voce accorgendosi che il figlio si stava avvicinando.

"No, quelli non sono quello che cerco" disse Caleb passando direttamente in cucina per prendersi un bicchiere di latte. La madre lo seguì.

"Che siamo agitati stamattina" disse sedendosi di fronte al figlio. Lui si era appoggiato a uno dei banconi in marmo scuro della cucina, dietro di lui c'era il tostapane.

"Scusami è che stanotte ho avuto una discussione con..." parlando diminuì il ritmo delle parole e assottigliò lo sguardo, vide il cappello nel ripiano in marmo di fronte a lui. Girò attorno al tavolo in legno nel centro cucina e andò a prenderlo. "Beh, come ci è arrivato in cucina?".

"Questo sarebbe Telleby?" chiese la madre addentando una fetta biscottata.

"Trilby mamma, Trilby" corresse la madre tornando in salotto.

Il ragazzo si mise le scarpe velocemente, dalla poltrona in cui era seduto si potevano benissimo vedere le scale che portavano al piano superiore. Da lì il ragazzo vide scendere il padre.

Anche lui era ben vestito, aveva i capelli scuri, leggermente brizzolati come la corta barba, era un bell'uomo nonostante i suoi quasi quarantasette anni. Portava gli occhiali ma nonostante ciò gli si intravedevano gli occhi di un marrone penetrante.

"Oggi vado a lavoro in moto, vuoi che ti accompagni io?" chiese Elijah al figlio. Effettivamente la giornata era fresca ma parecchio soleggiata, almeno a giudicare dalle prime ore del mattino.

"Prendo la macchina, avevo promesso a Andrew che sarebbe venuto a scuola con me oggi" disse rifiutando educatamente l'invito, senza però mai rivolgergli direttamente lo sguardo.

"E' in strada, mi annoiavo a posare l'altra macchina in garage ieri sera" confessò Elijah.

"Ogni volta sempre la stessa scusa" intervenne Laura, "mi passa a prendere una collega stamattina, sarei venuta volentieri io con te" dopo essersi infiltrata nella discussione diede una pacca sulla spalla del marito prima di recuperare la borsa, pronta per uscire.

Laura salutò il marito e il figlio dunque uscì di casa. Caleb stava sistemando le sue ultime cose al piano di sopra quando la voce del padre prese ad echeggiare su per le scale.

"Sto andando, mi raccomando" disse, "e non fate troppo tardi".

Caleb non disse nulla, sentì il rumore della porta di casa che andava a chiudersi. Nell'arco di pochi minuti uscì di casa anche lui e raggiunse la Volkswagen Polo bianca davanti al marciapiede di casa. Prese il telefono, aprì Whatsapp e inviò un messaggio vocale a colui che era registrato come Andrew Hughas.

"Sto partendo ora da casa, dammi cinque minuti" disse avvicinando il cellulare alla bocca. Prima di mettere in moto la macchina ricevette un pollice in su.

Le strade andavano lentamente a prendere vita ma non sarebbero mai diventate troppo trafficate, almeno non in quella zona residenziale. Caleb si fermò a tre Stop, prima di girare a destra e subito dopo a sinistra prima di Queen's Park. Dopo due incroci svoltò a sinistra e in dieci minuti raggiunse casa dell'amico.

Quella zona era molto simile alla zona in cui Caleb abitava, tranne che per la presenza di qualche negozio vicino il parco e per le colorazioni che andavano su un bianco più chiaro e un blu notte.

Dopo qualche istante un ragazzo dai capelli neri e dagli occhi azzurri salì in macchina. Caleb non gli rivolse lo sguardo neanche quando l'amico lo salutò, era intento a guardare due ragazze che per poco non investivano un anziano con il bastone. La casa di Andrew era recintata da un grande cancello nero e dei rampicanti verdi non permettevano di vedere oltre, doveva essere una casa molto grande, Caleb non oltrepassò mai il cancello.

"Buongiorno!" esclamò nuovamente e con più veemenza il giovane dagli occhi azzurri. Si allacciò la cintura e la macchina partì. L'altro era un ottimo pilota.

"Sì, buongiorno..." sospirò Caleb intento a praticare un'inversione a u.

"Non tutta quest'allegria" disse Andrew prendendo una cicca dal portaoggetti.

"Ho avuto una discussione con Kay ieri sera, le solite stronzate, a volte credo che non sia capace di badare a sé stessa".

"A volte credo che tu debba smetterla di preoccuparti così per lei" intervenne Andrew.

"E' la mia migliore amica" aggiunse Caleb.

"Sì, e basta. E' solo la tua migliore amica. Potrei anche invidiare il vostro rapporto ma non puoi sempre esserci tu a 'proteggerla', insomma... Questa è la sua vita, smettila di impicciarti" concluse il passeggero.

Caleb non fu in grado di replicare, si limitò a fare un segno di dissenso con la testa e Andrew sorrise sarcastico. I due impiegarono venti minuti prima di raggiungere un grande parcheggio prima del centro. Lì avrebbero lasciato l'auto e proseguito a piedi. In centro non si potevano percorrere le strade in auto a meno di una qualche speciale autorizzazione quindi occorreva spostarsi a piedi o in bici.. La scuola comunque non distava molto dal parcheggio. Una ragazza dagli occhi e dai capelli scuri che tendevano al castano vide Caleb e Andrew e si avvicinò. Lì salutò entrambi, ma Caleb venne trattato con molta più freddezza.

"Kaelee Watson!" esclamò Andrew tra le sue braccia, "che piacere passeggiare con te" guardò Caleb che aveva lo sguardo basso e disinteressato, "beh, il piacere è sicuramente mio".

"Dovrebbero essere tutti gentili come te" ammiccò Kay.

Capitolo 3 - Frank Highler.

I tre amici si incamminarono verso la scuola, erano i primi giorni del loro ultimo anno. Percorsero una serie di stradine in pietra lavica prima che le vie si aprissero in un lungo viale asfaltato che conduceva verso la scuola, sembrava una reggia.

Circondata dal verde la High Frank Highler School si sviluppava su tre piani, non sembrava affatto una scuola bensì la dimora di un qualche uomo famoso e potente. Ed effettivamente lo era. Era - appunto - la reggia del signor Frank Highler, uno dei signori più influenti degli Stati Uniti D'America nel ventesimo secolo. Egli partecipò alle due grandi guerre del Novecento assumendo, per i suoi successi militari e soprattutto morali, un qualche titolo nobiliare che faceva di Garaway una città sotto la sua custodia. Egli era particolarmente ben visto e stimato, su di lui circolavano molte storie che riguardavano la guerra. Si racconta che abbia visto morire sotto i suoi occhi tre dei suoi quattro figli durante un attacco tedesco e che sia stato in grado di riprendere il controllo di una città fondamentale per la successiva vittoria, da solo, il giorno dopo. Divenuto il custode di Garaway cercò di controllare la politica cittadina intervenendo frequentemente e diventando consigliere a vita. Fece crescere Garaway a livello esponenziale fino a quando la moglie e il suo ultimo figlio morirono in modo inspiegabile. Circolano molte leggende anche su questa pagina della sua vita, alcune storie raccontano che sia stato proprio Sir Highler ad uccidere la moglie dopo esser venuto a conoscenza dei suoi frequenti tradimenti durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Secondo la stessa storia l'ultimo figlio, tentando di uccidere il padre, rimase mortalmente ferito. Altre leggende raccontano storie molto fantasiose, magia, incontri del terzo tipo o contatti con lo spirito del fondatore. Secondo queste ultime, per colpa dello spirito, Highler perse la testa, uccise la sua famiglia e scomparve nel nulla. Di vero c'è che Sir Highler scomparve davvero a metà degli anni sessanta, di lui non si ebbe più alcuna notizia. Nel testamento c'era riportato che egli avrebbe donato ogni suo bene alla città di Garaway e ai suoi cittadini e che della sua reggia avrebbe voluto farne una scuola per - come riportato - coltivare e rendere grandi le giovani e incredibili menti della città, affinché possano combattere le assurdità e le ingiustizie del vecchio mondo. Paranoie di un vecchio pazzo.

I tre amici raggiunsero così la scuola. Erano in perfetto orario. Kay guardò Caleb che sembrava ancora intento ad evitare il suo sguardo. Lei era tranquilla. Lui era agitato e intimorito dal fatto che i loro sguardi avrebbero potuto incontrarsi.

"Non c'è modo migliore di iniziare la giornata se non con il tuo migliore amico che evita il tuo sguardo, probabilmente consapevole di essere solo uno stupido" così Kaelee si espresse su Caleb guardando però Andrew. Quest'ultimo accennò un sorriso e rivolse lo sguardo verso Caleb che saliva le scale davanti a loro, si aspettava una qualche risposta. Ma lui rimase in silenzio, si sentì probabilmente in qualche modo colpito. Ma Kaelee evitò una qualsiasi ripresa della discussione, aveva già vinto con quegli attimi di silenzio. Un ragazzo e una ragazza si fiondarono su di loro, sorridenti.

"Kay, non puoi capire quanto mio padre sia ottuso" esordì la ragazza con i capelli scuri.

"Sam, non vuole mandarti alla festa?" chiese Kaelee, la ragazza annuì.

La ragazza dai capelli neri e dagli occhi azzurri era Samantha Walker, la migliore amica di Kaelee. Il ragazzo che era venuto incontro a Andrew e Caleb era invece Matthew Jonas, il loro migliore amico.

Samantha era una ragazza carina, a modo, consapevole di se stessa e con una parlantina invidiabile. Matthew invece aveva gli occhi verdi e i capelli di un biondo spento, e solo questo spiegava il perché parecchie ragazze gli corressero dietro. Il cappellino tra i capelli biondi era immancabile nel suo outfit. I cinque erano un bel gruppo di amici.

"Non so sinceramente cosa passi per la sua testa" riprese Samantha, "fino a ieri sembrava tutto apposto...".

I cinque arrivarono così al loro piano, infondo al corridoio, arredato da grandi armadietti e scaffali, un ragazzo fece un cenno a qualcuno. Kay si voltò in fretta dopo aver ricambiato il saluto.

"E' arrivato" sussurrò sorridendo ai suoi amici.

"Che allegria!" Bisbigliò spento Caleb. Abbastanza forte però da essere sentito. Kay che stava facendo per andarsene gli si avvicinò e gli puntò due dita al petto.

"Non so che razza di problema tu abbia, anzi..." Kay piegò la testa di lato, "lo so qual è! Le tue assurde paranoie! Dovresti essere contento se la tua migliore amica ha trovato il ragazzo giusto".

"Se il suo ragazzo non fosse quella specie di rifiuto della società potrei anche esserlo" disse Caleb agitato, come se le parole fossero state pesate, pensate e finalmente pronunciate.

Kay esitò, lo guardò negli occhi, fu evidentemente colpita ma non ebbe la forza di rispondere. Senza aggiungere altro raggiunse il suo ragazzo in pochi secondi, il giovane muscoloso dai capelli biondi venne preso per mano e trascinato via. Caleb osservò tutta la scena.

"Che espressione da vecchio bradipo ritardato che si ritrova, dovrebbero picchiarlo, magari lo aiutano" disse sottovoce Caleb. I suoi due amici e Samantha riuscirono comunque a sentirlo. August Forbben, il ragazzo di Kaelee, era il classico ragazzo palestrato, amante del look e fanatico dell'apparire.

Caleb rivolse lo sguardo ai suoi amici, ancora contrariati per le parole dette pochi istanti prima.

"Ma..." balbettò, "nessuno di voi ama quel ragazzo, anzi credo che lo odiate un po' tutti, perdonatemi se sono l'unico capace di esporsi". Così Samantha lo guardò negli occhi avvicinandosi.

"Noi non amiamo Gus..." venne interrotta.

"Gus..." Caleb iniziò a ridere sottovoce scuotendo la testa.

"Noi non amiamo Gus" riprese Sam più convinta e ferma, "noi amiamo Kay e siamo con lei, qualsiasi cosa scelga di fare. Anche se sceglie di frequentare un ragazzo che non approviamo ma che la fa stare bene" sospirò, "è quello che dovresti fare anche tu".

Caleb spalancò gli occhi e scostò la testa, visibilmente irritato.

"Quello che dovrei fare non è affar tuo, a quanto pare non sono abbastanza carismatico per essere vostro amico" sorrise sarcastico, rivolse così lo sguardo verso Andrew e Matthew alla ricerca del supporto che cercava. Nessuno dei due parve approvare le sue parole.

"Andate tutti quanti al diavolo" Caleb andò via, dando una leggera spallata a Matthew superandolo.

Il ragazzo era su tutte le furie, migliaia di pensieri affollavano la sua testa, non erano solo Gus e Kay, non era solo la coppia, era tutto ciò che ci girava intorno. Augustus era molto conosciuto all'interno della scuola, frequentava la gente 'giusta' nei posti 'giusti'. Quella fra Caleb e Kaelee era un'amicizia particolare, per anni era sembrato che non riuscissero a fare a meno l'uno dell'altra.

E forse era proprio questo, Caleb teneva a Kay più di quanto tenesse a se stesso.

Nel tragitto verso la classe, percorso da solo, Caleb riprese a pensare a quello che gli aveva detto poco prima Andrew. Quella era la vita di Kaelee, aveva diritto a prendere le sue scelte, giuste o sbagliate, l'unico compito di Caleb sarebbe stato quello di esserci, di starle accanto nei momenti più brutti, per quelli belli c'era già gente che - lui ne era sicuro - quando le cose si sarebbero complicate l'avrebbero lasciata di nuovo sola.

Entrato in classe si sedette al suo posto, quel lunedì avrebbe seguito la prima lezione, storia, insieme a Matthew.

Pochi secondi dopo arrivò proprio l'amico che, con calma e tranquillità, andò a sedersi nel banco accanto a Caleb. Quest'ultimo si girò verso di lui, Matthew fece l'occhiolino, come a dire che era tutto apposto.

Pochi secondi dopo entrò in classe il professor Alan Thompson, docente di Storia. Era giovane ed esperto, misterioso ed affascinante. Un bel tipo secondo le ragazze della scuola. Sicuramente a Caleb non faceva lo stesso effetto che sulla ragazza in prima fila, emozionata come nel vedere uno degli elementi di un'amata boyband.

Il professor Thompson si avvicinò alla cattedra, aveva una strana espressione. Aveva sempre avuto quel fascino misterioso ma quel giorno era diverso, sembrava perso nei suoi pensieri, lo sguardo però era fermo e duro.

"Ragazzi..." esordì schiarendosi successivamente la voce, "oggi parleremo della prima guerra mondiale" fissava il vuoto. Come se le parole uscissero automaticamente dalla sua bocca, come se non volesse essere lì, come se fosse successo qualcosa.

Caleb lanciò immediatamente un occhiata a Matthew, anche l'amico sembrava colpito dall'atteggiamento del professore, ben distante dal suo modo di fare convinto, sicuro e capace di rendere qualsiasi argomento interessante.

A dire il vero tutta la classe era rimasta colpita, tutti, chi da più tempo di altri, avevano imparato a conoscerlo.

Le lezioni di quel giorno finirono alle quattordici.

"Stasera come andate alla festa?" chiese Matthew, erano tutti riuniti all'ingresso della scuola, anche Kaelee con Augustus.

"Io sono con Augustus..." disse Kaelee prima di essere interrotta.

"Con la splendida Porsche di papà, ancora funziona?" intervenne Caleb. Era la prima volta che Augustus si trovava insieme agli amici di Kay, nelle relazioni precedenti sembrava voler prendere le distanze.

"Certo Laxalt, tuo nonno ha fatto un lavoro straordinario potenziandola, mio padre lo ha pagato molto bene" Gus sorrise, Kaelee era quasi incredula.

"Ma voi due vi conoscete?" chiese.

"Probabilmente da prima che ci conoscessimo noi tesoro" rispose Augustus anticipando Caleb che, invece di parlare, sospirò. Notando la sua espressione Kaelee continuò a parlare.

"Se qualcuno vuole venire con noi" propose, "Matthew, Gus passerà a prendermi alle nove questa sera, poi andiamo da Samantha, considerando che abitate a due isolati di distanza possiamo passare a prenderti noi" così Matt annuì.

"E io passo a prendere Andrew" aggiunse sottovoce Caleb.

"A dire il vero non credo di poter venire stasera, ho una faccenda da sbrigare con mio zio" si scusò il diretto interessato.

"Splendido, ci andrò da solo" disse Caleb stizzito.

"Possiamo darti un passaggio noi, Caleb" tentò Kaelee, forse sembrava voler riallacciare i rapporti dopo la litigate della notte passata o forse voleva far finta che nulla fosse successo.

"E farvi attraversare tutta la città? Non fate tardi, ci vediamo lì" fece per andarsene.

"Ma che razza di problemi ha il tuo amico?" chiese Augustus alla sua ragazza senza assicurarsi che Caleb fosse abbastanza distante, infatti lo sentì ma non si voltò.

"Probabilmente manie di protagonismo" concluse Kaelee. Caleb sentì anche questo ma non si voltò, era stato colpito ancora una volta. Proseguì dritto, verso il parcheggio.

 

____________________

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Cotidie Morimur. Capitolo 5 - Welcome to the... ***


Soundtrack Capitolo 4:
We Can Hurt Together - Sia.

Capitolo 4 – Cotidie Morimur.
La festa quella sera si sarebbe tenuta in una maestosa villa vicino a un parco nel centro cittadino, tra le strade in pietra lavica e gli edifici in mattonato rossastro si apriva una stradina che portava ad un piccolo parco, sulla destra proseguiva su una piccola collina dove si trovava proprio quella villa. 

La villa – come la scuola – era stata lasciata in eredità dal signor Highler alla cittadina di Garaway. A gestirla erano i genitori di Bridgit Robertson, compagna di scuola di Caleb, per anni avevano seguito anche parecchi corsi insieme. Lei era bellissima, gli occhi azzurri e i capelli biondo acceso sembravano riuscire a comunicare da soli. Era naturalmente nei gruppi di élite della città, i più bravi, i più belli e – come pensavano spesso Caleb e Matthew – i più fortunati e spregevoli. Caleb non aveva mai avuto chissà quale tipo di rapporto con lei ma era il suo modo di porsi, di essere la prima donna, a non fargli provare alcun tipo di interesse. 

Chissà come sarà il suo modo di porsi ad una festa organizzata nella villa che i suoi genitori gestiscono. 

Erano ormai le sette del pomeriggio, Caleb aveva seriamente valutato l'idea di non andare alla festa, sapeva che sarebbe rimasto solo per gran parte della serata. Andrew non ci sarebbe andato, Samantha e Matthew con il loro carattere estroverso avrebbero sicuramente trovato qualcosa di interessante da fare e Kaelee aveva Augustus. Ci sarebbero stati anche i suoi compagni di corso, ma il tipo di compagnia dei suoi amici non era lontanamente paragonabile a quella di chiunque altro. E soprattutto quello di Kaelee. Erano stati sempre insieme, inseparabili negli ultimi quattro anni. Ovunque andassero c'erano sempre l'uno per l'altra e c'erano sempre se c'era l'uno o l'altra. Avevano un rapporto speciale e avevano anche uno strano modo di porsi nei confronti dei fidanzati dell'altro, ero il loro modo di difendersi a vicenda. 

La sera prima avevano litigato perché, dopo aver saputo del ritorno di fiamma con Augustus, Caleb rinfacciò all'amica tutto quello che egli gli aveva fatto facendola soffrire. La parte che fece più irritare Kaelee fu quando si sentì dire che era solo una bambina, incapace di ascoltare la propria testa, incantata da un faccino capace solo di provocare sofferenza e dispiaceri, non abbastanza matura da prendersi cura di se stessa.

Probabilmente Caleb si pentì subito dopo di averglielo detto ma per lui era quello che di più vero c'era al mondo in quel momento. 

Si trovava dunque sdraiato a letto, erano le sette, combattuto tra il desiderio di restare lì, a casa, magari prendere il proprio strumento – la tromba – e affondare la propria tristezza su qualche pezzo o studio abbastanza difficile da non permettergli di pensare ad altro, e la voglia di andare alla festa per lo stesso motivo: magari bere e divertirsi. Da quando aveva litigato con Kaelee – neanche ventiquattr'ore – sembrava incapace di trovare valide ragioni per divertirsi. 

Che coglione, pensava spesso. 

Si alzò così dal letto, dirigendosi verso la custodia della propria tromba. Evidentemente aveva preso la sua decisione. Il cellulare iniziò a vibrare, un messaggio, si avvicinò e notò che era di Kaelee. Prese il cellulare in mano, sbloccò la home e lesse. 

Direi che è il caso di parlarne, non possiamo andare avanti così. 

Effettivamente ci aveva pensato anche lui, voleva parlare con lei, chiarire le sue ragioni, magari chiederle scusa e tentare di ricominciare con la consapevolezza di voler far entrare Augustus tra loro due il meno possibile. 

Ci vediamo verso le 9.45 nel cortile della casa, parliamo in un angolo, da soli... 

Inviò. 

Lei lo lesse e rispose con una pollice in su. 

Era arrivato il momento di prepararsi. Scesa in cucina, dove si trovavano i suoi genitori. Indossava già il pantalone di uno dei suoi abiti preferiti e la camicia non completamente abbottonata. 

"Ceni con noi?" chiese la madre rivolgendogli uno sguardo prima di tornare con gli occhi sulla pentola. 

"Sì..." disse Caleb con uno strano tono che la madre neanche notò, il suo sguardo seguì il padre che, con fare misterioso e occhi spenti si diresse dalla cucina al salotto, si sedette nel divano e rimase immobile per svariati secondi. 

"Cos'ha?" chiese avvicinandosi alla madre continuando a rivolgere lo sguardo al padre. 

"Cos'ha cos... Ah, tuo padre?" anche lei sembrava parecchio strana, "no, nulla... qualche problema a lavoro, tutto risolvibile". 

Ad Elijah arrivò una telefonata, salì al piano superiore per parlare, Caleb decise di restare ad osservare i movimenti della madre, anche lei era passata da uno stato di confusione a uno stato di attenti. 

 "NON E' POSSIBILE!" l'urlo di Elijah echeggiò per tutta la casa. Laura fece un piccolo movimento all'indietro. Caleb rimase immobile, ad osservarla in silenzio. Dopo un paio di minuti il padre tornò in cucina, aveva però uno sguardo più sereno, come se tutto si fosse magicamente risolto. 

"Ho una fame da lupi" esordì sorridendo a Caleb. Laura invece sembrava ancora sovrappensiero. 

Cenarono in fretta, erano le 9 in punto quando Caleb era pronto per uscire di casa e recarsi alla festa. Essendo da solo il padre gli concesse il permesso di usare la sua moto, una BMW. 

La serata era mite, piacevole, ma per evitare di sentire freddo in moto decise di indossare un giubbotto di pelle che, con il vestito che indossava, non era esattamente l'abbinamento più azzeccato. L'avrebbe abbandonato nel portaoggetti quindi era la scelta migliore da fare. 

Percorse il tratto da casa alla villa in soli quindici minuti, percorse il viale accanto il parco per così salire verso la collina, parcheggiò in un angolo del grande prato verde davanti all'entrata. Posò così il giubbotto nel portaoggetti, alzando gli occhi vide Kaelee. 

La ragazza indossava un vestito nero lungo fino alle ginocchia, non eccessivamente attillato, i capelli erano raccolti in un qualche tipo di nodo elegante. 

"Sapevo che ti avrei trovato proprio qui" sorrise poco prima di abbracciarlo, lui ricambiò quell'abbraccio. Era come se quella giornata fosse durata settimane. 

"Perché ne eri convinta?" Chiese Caleb. Notò che Augustus, Samantha e Matthew stavano entrando nella villa, ricambiò il loro saluto a distanza con un cenno della mano. 

E così erano soli, ancora una volta, a buona distanza dai ragazzi che stavano arrivando alla festa. 

"Probabilmente ti conosco abbastanza da capirlo" rispose Kaelee. Lui si appoggiò alla moto. 

"Probabilmente più di chiunque altro" la guardò negli occhi. 

"Ti ricordi quella volta che siamo andati in moto insieme?" Chiese lei quasi speranzosa. 

"Siamo andati al luna Park nella costa, un viaggio lunghissimo" Caleb sorrise con fare nostalgico. 

"Solo perché ti avevo detto che non ci andavo da quando ero bambina" lei si appoggiò alla moto, accanto a lui. Insieme iniziarono a fissare le persone eleganti che entravano dentro la villa, accolti da Bridgit. 

"Scusami per ieri sera, non ero io" disse Caleb. Lei fece per interromperlo ma lui volle continuare. 

"No, fammi parlare" le si mise davanti, "è vero, lo odio per tutto quello che ha fatto e per la razza di persona che è stata nei tuoi confronti" ancora una volta Kaelee cercò di parlare ma lui continuò, "ma se c'è qualcosa di più forte dell'odio che provo nei suoi confronti è il legame che ho con te. Svegliarsi la mattina consapevole di avere qualcuno su cui contare è una sensazione bellissima, consapevole di poter essere così come sono senza nessuna paura è bellissimo". 

Lei buttò le sue braccia attorno al collo di lui, era commossa. Lui scosso ma felice. 

"Probabilmente voglio più bene a te che a me stesso" dichiarò. 

"Non so che dirti..." Lei aveva la voce rotta e forse non aveva neanche il coraggio di guardarlo negli occhi, non voleva farsi vedere commossa. Da sempre facevano a guerra su chi dei due fosse meno palesemente emotivo. 

"Non voglio che tu mi dica niente, sappi solo che qualunque cosa tu faccia ci sarò sempre, che sia Augustus o Brad Pitt a me non importa, voglio solo che tu sia felice" la voce si ruppe un attimo anche lui. 

"Oh, Caleb..." Sospirò lei. 

"Vai" disse Caleb notando Augustus sul portico, "il nostro principe azzurro ti sta aspettando". 

"E tu...?" Chiese lei. 

"Come sempre ti osservo da lontano, entrerò dopo di te e mi assicurerò che non combini guai" e così i due si lasciarono andare a una grande risata.  

Lei andò incontro a Augustus e Caleb rimase appoggiato alla moto, li guardava da dietro, quando lei si voltò lui riprese a sorridere, era bellissima. 

Quando loro entrarono dentro cominciò a camminare anche lui. 

Si trovava a metà strada tra la moto e le scale che conducevano all'ingresso, una folata di vento lo fece trasalire, si voltò di scatto, un brivido. Ma dietro di lui c'erano solo quattro amici che, sorridendo percorrevano la sua stessa strada. Quando appoggiò il piede atterra un suono di carta stropicciata attirò la sua attenzione, c'era qualcosa sotto il suo piede. Era effettivamente un foglio di carta, si piegò così per raccoglierlo. Lo aprì, e vide una frase scritta a chiare lettere, due parole. Per un attimo ebbe la sgradevole sensazione di conoscere quella calligrafia, ma durò solo un attimo. 

Cotidie morimur. 

Era una citazione di uno scrittore latino, Seneca. Ogni giorno moriamo. Chissà chi aveva perso o lanciato quel pezzo di carta. Probabilmente l'avevano appuntata per ricordarsela, quella che si definirebbe una frase da status Whatsapp. 

Un altro brivido su per la schiena. 

Faceva davvero così freddo? 
 

Soundtrack Capitolo 5:
The Runner (Instrumental) - Zack Hemsey.

Capitolo 5 – Welcome to the... 

La festa era andata via velocemente, si erano fatte le 2.30 ancor prima che se accorgessero. Caleb, per evitare di disturbare i suoi genitori, dopo aver lasciato la moto in garage, si diresse in camera sua osservando il massimo silenzio. 

8.30 am. 

Il ragazzo si era appena svegliato, era in ritardo. Perché i suoi genitori non lo avevano svegliato? Aveva un forte mal di testa, ma quel giorno non poteva mancare. Nella seconda lezione avrebbe dovuto svolgere un quiz di filosofia con la professoressa Hamptinton, moglie del professor Thompson, e nel pomeriggio avrebbe avuto le prove dell'orchestra, la settimana successiva avrebbero suonato nella villa dove la sera prima avevano tenuto quella festa. 

Si vestì in fretta, i suoi erano già andati a lavoro probabilmente. Non ebbe neanche il tempo di fare colazione, andò a prendere le chiavi e la custodia della tromba. C'erano sia quelle della Polo che della moto, probabilmente Elijah aveva deciso di accompagnare la moglie a lavoro, come promesso il giorno prima. Caleb decise di prendere la moto, aveva fretta. Per arrivare a scuola impiegò meno della metà del tempo del giorno prima, era arrivato appena in tempo. Corse verso la classe e si mischiò tra i compagni. Andrew, Matthew e Samantha gli lanciarono un'occhiataccia. Kaelee non c'era. Samantha gli disse che non stava benissimo e per evitare danni peggiori preferì restare a casa. 

Il compito era andato abbastanza bene, come il resto della mattinata. Dopo pranzo Caleb si sarebbe recato alle prove dell'orchestra. 

Salutò i suoi compagni, lui era tra i più esperti del gruppo, la sua gavetta nelle Marching Band stava dando i suoi frutti, riusciva a superare l'ansia e aiutava gli altri a farlo. Il maestro Engrowyd era arrivato puntualissimo, tutti erano ai loro posti pronti per cominciare. 

Caleb era cresciuto assieme a Engrowyd, avevano lavorato parecchie volte insieme e lui era quello che lo aveva iniziato nel mondo della musica quando aveva solo nove anni. 

"Salve ragazzi, oggi ho da proporvi un nuovo pezzo" disse il Direttore mentre distribuiva gli spartiti, "la nostra prima tromba sarà messa alla prova, ci sono dei passeggi davvero interessanti" egli sorrise a Caleb. 

L'orchestra iniziò a provare il pezzo e come ogni prima vista il risultato iniziale era davvero terrificante ma Engrowyd avrebbe fatto - come al solito - un lavoro egregio riuscendo a portarlo ad alti livelli nel giro di poche settimane. 

Dopo qualche ripresa qualcuno bussò alla porta, era la coordinatrice del corso, fece spazio a una ragazza che aveva i capelli biondo cenere e gli occhi verde scuro. Aveva un oboe in mano, Caleb la seguì con lo sguardo, deglutì. Sposto gli occhi sulla ragazza che suonava il corno inglese accanto a lui, lei sorrise capendo l'espressione. 

"Vieni, siediti accanto al primo oboe" disse il Maestro, lei sembrava timida e impacciata nel passare in mezzo agli altri musicisti ma aveva un'eleganza non comune, nonostante tutto. 

Prese posto stringendo la mano al ragazzo accanto a lei, sembrava un po' un pesce fuor d'acqua. 

"Mi avevano avvisato di un nuovo arrivo" riprese Albert Engrowyd, "posso sapere il tuo nome? Così da appuntarmelo ed evitare brutte figure" sorrise. 

"Candice Wood" rispose la ragazza con un filo di voce. Anche Caleb si stava appuntando il suo nome sul cellulare. Ma cosa stava facendo? Non gli era mai successa una cosa del genere, nessuno lo aveva notato ma dov'era finita tutta la sua classe? La ragazza con il corno lo notò, sorrise. Lo fece anche Caleb. 

Le prove continuavano ma - quando poteva - il ragazzo lanciava un'occhiata verso la nuova arrivata. Caleb provava una strana sensazione nel guardarla e in tutti i modi sperava che i loro sguardi non si incrociassero, non era così difficile, perché una come lei avrebbe dovuto notarlo? 

Proseguirono per altri novanta minuti ma, ad un certo punto, il professor Thompson piombò in aula, senza neanche bussare. Aveva una strana espressione. 

"Scusate ragazzi" esordì schiarendosi così la voce, "Albert devo parlarti". 

L'espressione del Maestro cambiò, aveva smesso di sorridere e sembrava preoccupato. 

Nell'aula regnò il silenzio, sembravano tutti in apprensione. 

"Ragazzi" Engrowyd attirò così l'attenzione, "non vi dispiacerà fare una piccola pausa, solo per dare il tempo a me e al professor Thompson di parlare". 

I ragazzi abbandonarono l'aula dirigendosi verso lo stanzino dove tenevano le custodie. 

Caleb ripose la tromba e iniziò a fissare Candice, sembrava intenta a farsi nuove amicizie, attorno a lei c'erano quattro ragazzi, l'oboista e tre violinisti, due ragazze e un ragazzo. 

Per un attimo i loro sguardi si incrociarono, Caleb sentì lo strano bisogno di sorriderle ma lei sembrava che non l'avesse neanche notato. 

Caleb si grattò la testa sorridendo in modo amareggiato. 

Dopo qualche minuto il Maestro Engrowyd entrò nello stanzino, aveva la stessa espressione del professor Thompson. 

"Ragazzi, per oggi le prove sono finite, ci vediamo la prossima volta, al concerto suoneremo il vecchio programma che tutti conosciamo, chiaro?" se ne andò immediatamente dopo. I ragazzi erano sgomenti. Beh, almeno Caleb sarebbe tornato a casa a riposare. 

Rispose a un messaggio di Kaelee e subito dopo a uno di Matthew, così si diresse verso la moto. Percorse il tratto di strada tra la scuola e casa sua in modo molto veloce. Ma frenò energicamente subito dopo aver svoltato all'incrocio di casa, cinque pattuglie di polizia erano ferme vicino casa sua. Accelerò al massimo e scese dalla moto immediatamente davanti casa. Provava qualcosa di strano dentro di sé, aveva un bruttissimo presentimento. Percorse il vialetto di corsa. Si catapultò in casa e vide tre agenti seduti attorno alla madre, in salotto. Lei era strana. 

"Mamma" sussurrò Caleb, "che è successo?". 

"Tuo padre..." Disse Laura con la voce rotta, "tuo padre è scomparso da ieri sera". 

 Caleb andò immediatamente a sedersi accanto la madre. Lei era sconvolto ma, in un modo o in un altro, sembrava come se stesse riuscendo a controllare la situazione. 

"Signora Laxalt" uno degli investigatori prese la parola, "non appena avremo qualche notizia le faremo sapere, però deve spiegarci cosa può significare quel messaggio". 

"Quale messaggio?" Intervenne Caleb, "e che significa che papà è scomparso?". 

"Le ho già detto, agente, che non ne ho la minima idea" disse con tono fermo Laura. 

"Fatto sta che dopo quel messaggio non si è avuta più nessuna notizia di suo marito, potrebbe essere di rilevante importanza per le nostre indagini..." Venne interrotto. 

"Se mi verrà qualcosa in mente sarete i primi ad esserne informati. Adesso fuori da casa mia" gli agenti accolsero l'invito della donna. 

Nell'arco di pochi secondi madre e figlio restarono soli, evidentemente Caleb non aveva ancora metabolizzato cos'era successo. 

"Ieri sera mi è arrivato questo messaggio da tuo padre, ho provato a sentirlo ma non risponde più al telefono e neanche ai messaggi" Laura porse il cellulare al figlio affinché potesse leggerlo. 

Indebolito. Ma cosa vuol dire

"Subito dopo mi sono recata in centrale, ho avuto paura e... e tuo padre è scomparso" stava per scoppiare in lacrime. 

"E io in tutto questo?" Chiese così Caleb. 

"Quando sono scappata tu eri ancora alla festa e dopo non ho avuto il tempo di avvertirti, non sapevo neanche cosa dirti, sono tornata a casa stamattina e volevo aspettare che tornassi" sospirò abbracciandolo. 

"Hai avvertito la scuola?". 

"Perché?" Chiese stranita Laura, "a parte noi e la polizia nessuno sa niente, mi hanno chiesto il massimo riservo". 

Questo significava che i suoi professori avevano ricevuto chissà quale altra notizia. 

"Io non so davvero da dove cominciare" così Laura scoppiò in lacrime. 

"Io... non so proprio cosa dire, ma cosa può essere successo? Il messaggio. Qualcuno lo ha rapito? Avrà avuto un incidente?" Le domande di Caleb erano davvero tante, domande di cui Laura non aveva una risposta. 

"Non ne ho idea, ti chiedo solo di non dire niente a nessuno, in centrale mi hanno detto di non coinvolgere terzi, la cittadina potrebbe sconvolgersi" Laura riusciva a parlare con un solo filo di voce. 

Caleb non riusciva a capire. Sarebbe dovuto restare in silenzio? 

"Quindi cosa dobbiamo fare?" Chiese. 

"Faranno il loro lavoro...". 

"Mi stai chiedendo di far finta di niente? PAPA' E' SPARITO!". 

Laura scoppiò di nuovo a piangere, Caleb si calmò, era tutto così assurdo. 

"Mamma..." Sospirò, "scusa... Lo troveranno" l'abbracciò. 

Ma nulla aveva davvero senso, il padre di Caleb era scomparso, la madre era misteriosa e confusa e quella telefonata... Caleb si era ricordato della telefonata che il padre aveva ricevuto la sera prima. 

"Mamma ma la telefonata di ieri? Gliene hai parlato?" Chiese il ragazzo. 

"Certo, ma era solo una telefonata di lavoro, ogni cosa potrebbe risultare utile ma questa parte è già stata chiarita" disse la donna alzandosi dal divano, si recò in cucina, Caleb la seguì. 

"Ma il suo messaggio..." Sussurrò Caleb sedendosi su una sedia. 

"Vorrei poter avere una risposta ma non ho nulla..." La donna stava per ricominciare a piangere, aveva gli occhi umidi e l'aspetto di un pugile. 

"Mamma, vai a riposare" riprese Caleb. 

"Non posso, dobbiamo cercare tuo padre..." Laura prese le mani del figlio. 

"Mamma, lo hai detto tu, la polizia farà il suo lavoro, noi dobbiamo solo aspettare... Anche se tutto questo è assurdo" concluse Caleb. 

Laura accennò un sorriso ma in pochi secondi si ritrovò sulle scale, diretta nella propria camera da letto. 

La mente di Caleb era confusa, piena di migliaia di domande e assolutamente persa nel vuoto. Suo padre era sparito. Ma come era possibile? Faticava a crederci davvero. Faticava anche a tenere un comportamento fermo e composto ma era così che facevano nei film, farsi prendere dal panico non aiutava praticamente mai. L'idea di tenere quest'accaduto riservato era quella giusta, anche perché Caleb non se la sentiva di affrontare il discorso con i suoi amici e conoscenti. Ma quanto poteva essere realizzabile? Insomma, in un modo o in un altro le cose si venivano sempre a sapere, soprattutto in una cittadina come Garaway. Il ragazzo si sarebbe impegnato a seguire le indicazioni della polizia ma quanto poteva resistere? Sentiva già il bisogno di dover parlare con qualcuno, ma con chi? 

Decise così di salire in camera sua, chiuse la porta, si mise dei vestiti più comodi. In pochi secondi si ritrovò seduto sul letto, fissava quella vecchia foto con sua padre sopra la scrivania. 

"Papà... Cosa significa indebolito?" Sussurrò prima di sdraiarsi, "Papà... dove sei?".
____________

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3671218