L'avventura dell'ubriaco molestato

di Ashura_exarch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trambusto notturno ***
Capitolo 2: *** Il caso delle sette sterline ***



Capitolo 1
*** Trambusto notturno ***


I. Trambusto notturno

 

Ho già accennato molte volte a come il mio amico Holmes odiasse i problemi banali, quelli che alla sua mente brillante apparivano solo come frivole facezie. Nel corso degli anni furono innumerevoli le occasioni in cui riuscì ad evitare abilmente di rimanere coinvolto in affari del genere, ma altrettante quelle in cui volente o nolente si ritrovò immischiato a tal punto da non poterne più uscire. Voglio tuttavia riportare in queste pagine il più incredibile di questi casi - e senza dubbio anche il più ilare - al quale ebbi la considerevole fortuna di fare da spettatore.
Accadde circa un anno dopo il nostro primo incontro e le incredibili avventure riportate in Uno studio in rosso e ne Il segno dei Quattro. Mi ero sposato da poco, e nonostante questo avevo ancora la brutta abitudine di frequentare il numero 221B di Baker Street. Nel corso degli anni mia moglie Mary cercò di dissuadermi in svariate occasioni dal continuare il mio rapporto d'amicizia con Sherlock Holmes, ma questa fu una delle poche cose in cui mi rifiutai categoricamente di seguire ogni suo consiglio. Ero troppo legato ad Holmes per smettere di essergli amico.
Quella sera era stata per qualche motivo mortalmente noiosa - almeno per il mio amico - e considerando che in quel momento egli non era impegnato in nessun caso la situazione poteva dirsi ancora peggiore. E' ormai tristemente noto il vizio a cui Holmes si lasciava andare quando il suo cervello non era attivo, e quella sera aveva deciso di sperimentare erbe allucinogene a me sconosciute. Tentai di fermarlo, ma come mi successe molte altre volte sia prima che dopo quella sera fallii miseramente nel mio intento.
L'effetto del mix di droghe sul mio amico fu sorprendente. Di solito quel veleno rendeva Holmes esuberante e iperattivo, ma in quell'occasione ci fu l'effetto esattamente opposto. I sensi e l'intelligenza di Holmes vennero sensibilmente rallentati, e dal genio che era divenne un completo ebete nel giro di due minuti. Reagiva in ritardo e assai stupidamente agli stimoli esterni, farfugliando parole sconnesse e ridendo senza motivo a qualsiasi cosa dicessi. Era davvero penoso vedere una grande persona come lui ridotta in uno stato così umiliante.
Stavo provando a farlo rinsavire un minimo, quando accadde qualcosa che attirò la nostra attenzione. Improvvisamente udimmo un grande strepitio provenire dal fondo di Baker Street: grida e rumore di gente che correva risuonarono nitide nell'aria come fucilate. Il tutto durò poco, appena qualche istante, tempo tuttavia sufficiente a creare una gran confusione sia dentro che fuori l'appartamento di Holmes.
Mi precipitai subito alla finestra per vedere cosa stesse succedendo, ma ero arrivato troppo tardi. Feci appena in tempo a vedere alcune figure sfuggenti sparire in dei vicoli laterali che sentii un gran bussare provenire dal portone del palazzo. Anzi, più che bussare era piuttosto un violento picchiare: pareva che stessero cercando di sfondare la porta.
- Aiuto! - urlava qualcuno - Per l'amor di Dio, aprite! Invoco il diritto d'asilo!
Non potevo vedere chi stesse bussando perché il portone del palazzo era sito in una piccola rientranza del muro esterno, così che l'ingresso non era direttamente visibile dalla finestra. Tuttavia i rumori si sentivano benissimo, ed è per questo che mi arrivò forte e chiara la risposta irata della signora Hudson, la nostra padrona di casa.
- Via di qui, ubriacone! - urlò infatti la donna - Non voglio gente come te in casa mia! Già ho i miei problemi, e non me ne servono di nuovi!
L'uomo parve tuttavia non desistere dal suo proposito di voler entrare, e alla fine parve riuscirci poiché sentimmo il rumore della porta che si apriva. Temendo che fosse riuscito a sfondarla e che volesse fare del male alla signora Hudson, mi precipitai immediatamente di sotto. Qui si potrebbe giustamente far notare che abbandonai a sé stesso Holmes in maniera assai imprudente e negligente, e non posso certo dire di non averlo fatto. Ma come questa cosa influenzò la storia corrente il lettore lo potrà vedere poco più avanti.
Scesi le scale e in un lampo arrivai nell'ingresso, quasi all'unisono con Dawson. Dawson era il portiere dello stabile, e occasionalmente faceva anche da valletto: era lui infatti a portare ad Holmes i biglietti da visita dei clienti illustri quando ne capitavano. Se Holmes non c'era oppure voleva essere lasciato solo ogni tanto io e lui chiacchieravamo oppure giocavano a carte.
Ad entrambi bastò un occhiata per capire ciò che stava succedendo: l'ubriaco stava addosso alla signora Hudson, tenendola per un braccio e urlando parole sconnesse. Si trattava di un ometto di mezza età, stempiato, con folte basette grigie e due grandi gote rosse rese accese dal troppo vino. In quel frangente tuttavia né io né Dawson stemmo ad osservare il nuovo arrivato, ma ci avventammo immediatamente contro di lui per fermarlo, qualsiasi cosa stesse facendo alla signora.
Gli fummo addosso in un attimo, e non gli demmo il tempo di reagire. Essendo poi ubriaco i suoi movimenti erano insicuri e malfermi, e bastò appena qualche spintone da parte di Dawson per mandarlo col fondoschiena per terra. Fortunatamente io e il valletto eravamo arrivati subito, e a parte un grosso spavento la signora Hudson non aveva avuto altre conseguenze da quello spiacevole incontro.
L'intruso, rintronato dalla "batosta" appena presa, se ne restò intontito a sedere per terra e parve non reagire alla nostra presenza. Visto che l'uomo era innocuo io e Dawson, più tranquilli, ci mettemmo a parlare.
- E' stata proprio una fortuna che lei fosse qui, Dawson - dissi io - Da solo non so proprio come avrei fatto.
- Non è stata fortuna, dottor Watson - replicò l'altro - Ho sentito tutto quel frastuono da casa mia e, conoscendo il tipo di affari che tratta il signor Holmes, ho pensato che qui ci fossero dei guai e così sono corso subito in aiuto.
Dawson era un lavoratore solerte, e anche per questo lo apprezzavo. Abitava al 229 di Baker Street, e così poteva andare e venire da casa sua indisturbato. In questo caso la cosa era stata un vantaggio: senza il suo tempestivo intervento chissà cosa sarebbe potuto accadere...
Io e Dawson restammo ad assistere la signora Hudson per qualche minuto, giusto il tempo per farla riprendere. L'ubriacò continuò a rimanere fermo per terra, perso nei propri borbottii senza senso, e almeno per quel momento non costituì più un pericolo.
La cosa che tuttavia ci dette più problemi fu l'imprevisto arrivo del mio amico Holmes. Ancora sotto gli effetti delle droghe assunte poco prima, l'uomo era riuscito in qualche modo a scendere le scale indenne ed era giunto nell'ingresso reggendosi faticosamente alla ringhiera. Appena mi scorse mi rivolse un sorriso ebete. Deciso a non farlo vedere in quelle condizioni dagli altri mi diressi verso di lui con l'intento di riportarlo in camera, ma accadde qualcosa di inaspettato. Improvvisamente l'ubriaco, visto che ebbe il mio amico, si rizzò in piedi e si mise a fare salti di gioia, strillando con una fastidiosa voce acuta e stridula.
- Sherlock Holmes! - urlò quello con tono impastato e confuso - Sherlock Holmes! Lo riconosco! Ecco la persona che mi potrà aiutare!
Tutti rimanemmo attoniti a quelle improvvise esclamazioni, guardandolo stupiti mentre saltellava dalla gioia. Io e Dawson fummo però costretti a saltargli nuovamente addosso quando l'uomo si lanciò contro il mio amico, sempre ripetendo il suo nome. Probabilmente non aveva alcun intento ostile, ma non si sa mai cosa c'è da aspettarsi da un ubriaco.
Io e Dawson prendemmo l'uomo per le braccia, fermandolo quand'era giunto a pochi pollici da Holmes. Egli provò a divincolarsi come una furia, ma contro due uomini robusti e forti come me e il portiere c'erano ben poche speranze di successo per lui.
- Lasciatemi! Lasciatemi! - urlò - Signor Holmes, mi aiuti lei! Mi stanno aggredendo di nuovo! Qualcuno vada a chiamare la polizia!
Se c'era qualcuno in diritto di farlo quelli saremmo stati noi. Comunque non perdemmo tempo con simili inezie e, sollevandolo di peso, portammo l'uomo via dall'ingresso preparandoci a sbatterlo definitivamente fuori.
- Torni presto! - esclamò Holmes rivolgendosi all'ubriaco, accompagnando la sua frase con una serie di sciocche e vacue risate.
Portammo l'uomo fuori di casa e lo buttammo giù dalla cima della breve scalinata che conduceva alla nostra porta. L'ubriaco si fece un gran bel volo prima di atterrate pesantemente col fondoschiena sul lastricato. Con un'esclamazione di soddisfazione io e Dawson ci sfregammo le mani e rientrammo in casa, chiudendoci ben bene dietro la porta a chiave. Lasciai il portiere con la signora Hudson e me ne tornai di sopra con Holmes, chiudendomi con lui nella nostra stanza per evitare che se ne andasse ancora libero al giro in quello stato indecoroso.
Gli effetti della droga ci misero un bel po' a passare, e per tutto il resto di quel giorno il mio amico rimase un completo idiota. Una buona nottata di sonno fu ristoratrice per entrambi e il mattino successivo, mentre io mi ero ripreso dalla prova di forza del giorno prima, il mio amico era finalmente ritornato in possesso delle proprie facoltà mentali. Era molto seccato per quel che gli era accaduto, e quando gli raccontai per filo e per segno che cosa era successo mentre non era capace di intendere e di volere il suo umore non fece altro che peggiorare.
- Questo, mio caro Watson - mi disse - E' stato proprio un increscioso incidente. Non credevo che la miscela che stavo sperimentando mi avrebbe procurato un così sgradevole effetto. Giuro su tutto ciò che ho di più caro, dottore, che mai più oserò anche solo pensare a queste mortifere sostanze!
E, devo dire, questa fu una promessa che mantenne. Quello spiacevole episodio ebbe almeno una buona conseguenza: Holmes da quel giorno smise effettivamente di drogarsi. Per i primi tempi lo sorvegliai discretamente, ma vedendo che teneva fede alla sua promessa alla fine smisi di preoccuparmene. Non potevo essere che contento se il mio amico aveva smesso di usare quella robaccia! In compenso il suo consumo di tabacco compressato in tutte le forme aumentò esponenzialmente. La pipa era il suo piacere preferito, anche se non disdegnava i sigari e le sigarette. Qualche volta lo vidi anche masticare direttamente le foglie del tabacco, ma ciò avveniva molto raramente.
Non siamo comunque qui per parlare dei gusti del signor Sherlock Holmes, che i miei lettori conosceranno già ampiamente. Questo discorso sui suoi vizi mi ha fatto perdere il filo del discorso e finire fuori strada, ed è meglio che torni alla nostra attuale storia prima di divagare ulteriormente.
Se io e Holmes pensammo mai che quell'affare fosse terminato lì allora ci eravamo sbagliati di grosso, poiché quella stessa mattina i guai vennero a cercarci. Avevo da poco concluso il mio racconto riguardo la sera precedente e stavo facendo colazione assieme al mio amico quando improvvisamente sentimmo del trambusto provenire dal piano di sotto. Già allora ebbi un presentimento, ma vinto dalla curiosità mi alzai assieme ad Holmes ed entrambi andammo a vedere cosa stava succedendo.
Ma non facemmo in tempo a scendere di qualche gradino che subito fummo investiti dalle urla della signora Hudson. Temendo che fosse successo qualcosa ci affrettammo allora ad andare al piano di sotto, e la scena che vedemmo a quel punto fu davvero sorprendente. La porta d'ingresso era spalancata, e Dawson sembrava star trattenendo qualcuno dall'entrare; la nostra padrona di casa era seminascosta dietro un mobile e urlava infuriata contro l'intruso. Il mio sguardo si soffermò allora su di esso, e fu con immenso stupore che riconobbi l'ubriaco della sera prima.
- Lasciatemi passare! - stava gridando - Devo urgentemente parlare col signor Sherlock Holmes, e non ho tempo da perdere!
Il mio amico, che senza dubbio possedeva un sangue più freddo del mio, decise allora di porre fine a quella ridicola scena. Mi scansò e scese definitivamente le scale - ci eravamo fermato a metà della rampa - andando incontro al nostro "ospite".
- Eccomi, sono qui! - disse - Posso sapere chi è che mi desidera così tanto?
A quel punto l'attenzione di tutti si rivolse verso Holmes. La signora Hudson e Dawson lo guardarono sollevati, grati per il suo tempestivo arrivo. L'altro uomo invece, constatando la presenza di colui che stava cercando, si fece scappare un'esclamazione di soddisfazione e aggirò Dawson sfoderando una velocità assolutamente insospettata.
- Finalmente! - eruppe, quasi avventandosi sul mio amico - E' da mezzora che cerco di parlare con lei, ma questa donna e questo bestione non mi hanno voluto lasciar passare!
Già la sera prima quell'uomo aveva avuto un aspetto ilare mentre era ubriaco, ma posso giurare che da sobrio faceva divertire ancor di più. Alterato com'era le sue gote purpuree erano diventate di un rosso acceso, che creava uno strano contrasto con le sue basette grigio topo. Sembrava quasi uno di quei pagliacci rintracciabili nei circhi itineranti, e se non fossi riuscito a trattenermi probabilmente mi sarebbe scappato da ridere. Io tuttavia sembravo l'unico a starsi divertendo in quella situazione, poiché tutti parevano terribilmente seri.
- Noi due ci conosciamo già - fece l'uomo ad Holmes - Per cui credo che si possano saltare i convenevoli.
- Veramente - ribatté Holmes - A parte il fatto che lei è un rigattiere, non credo di sapere nient'altro sul suo conto.
- Ecco, vede! - disse l'altro sorridendo compiaciuto - Come può dire che sono un rigattiere se poi afferma di non conoscermi? Questa è la prova che lei già sa chi sono io!
- Mi dispiace signore, ma si sbaglia - rispose Holmes - Basta osservare come lei è vestito per capire che lavoro svolga. E, perdoni la mia franchezza, ma abiti di pregio usati come questi li poteva indossare solamente un rigattiere pieno di sé.
Osservando l'abbigliamento dell'uomo non potei fare a meno di essere d'accordo con Holmes. Vestiva un completo grigio, che tuttavia ad una seconda occhiata si capiva benissimo essere stato un tempo nero e soprattutto non mezzo mangiato dalle tarme. Un buco era ben visibile in cima alla tuba del visitatore, così come le scuciture sugli orli delle maniche della giacca e dei pantaloni. Come aveva detto Holmes, solamente un rigattiere orgoglioso avrebbe potuto indossare abiti così eleganti ma allo stesso tempo così scadenti; del resto era un modo come un altro per ostentare il fatto che egli conducesse affari "importanti".
L'uomo parve accigliarsi per l'osservazione di Holmes e gli avrebbe sicuramente ribattuto se il mio amico, che aveva assunto un'aria quanto mai seccata, non lo avesse interrotto prima.
- Signore - gli disse - Ha intenzione di stare qui a recriminare cosa devo o non devo sapere per tutto il giorno oppure vuole spiegarmi perché è tornato? La sua intrusione di ieri sera è stata piuttosto insolente e sgarbata, e da come vi state comportando dubito che siate qui per porgere le vostre scuse alla signora Hudson qui presente.
- Non voglio niente da quel demonio! - urlò allora la nostra padrona di casa, ancora nascosta dietro il mobile - Mi basta che se ne vada!
I discorsi di Holmes e della signora Hudson fecero vistosamente imporporare le gote già rosse dell'uomo, il quale inizialmente fu sul punto di rispondere qualcosa di assai poco educato. Egli parve però controllarsi e, dopo essersi schiarito la voce, cominciò a narrarci una storia quanto mai bizzarra.
- Signor Holmes, anche se a malincuore, devo ammettere che lei ha ragione. Il comportamento da me tenuto la scorsa notte è stato increscioso, e me ne vergogno. Mi lasci però illustrare gli eventi che mi hanno condotto ad irrompere qui come una furia.
- Mi chiamo Nicholas Neareby e, come lei ha giustamente intuito, faccio il rigattiere. Ho il mio negozio in mezzo a Marylebone, e ci sto praticamente tutto il giorno. Ieri è stata una giornata particolarmente proficua, anzi, potrei dire la più remunerativa che mi sia mai capitata. Alla sera, quando ho chiuso il negozio, ero molto contento. Forse anche troppo. Diciamo che ero in vena di festeggiare, e così ho fatto un salto all'Old Champions Club, che sta proprio a due passi dal mio negozio. Credo di aver alzato un po' troppo il gomito, e non essendo molto abituato all'alcol devo essermi perso nei suoi fumi.
- Dopo qualche ora di bagordi decisi di tornarmene verso casa. Abito in Boston Street, proprio qui dietro, quindi si può intuire come fossi obbligato a passare per Baker Street per poter tornare a casa mia. Lo feci, e fu allora che venni aggredito.
- Erano in due, questo lo ricordo bene. Mi assalirono all'improvviso, senza darmi un attimo di tregua: uno mi colpì subito da dietro sulla nuca e mi urlò qualcosa, mentre l'altro mi venne incontro e si abbassò, probabilmente per vedere se portavo con me qualcosa di valore. Era così, perché in una tasca interna della giacca avevo tutto l'incasso di quel giorno. Per fortuna quel balordo non lo sapeva, e si limitò a controllare la parte bassa del vestito e il sopra dei pantaloni.
- E qui, signor Holmes, successe una cosa strana. Nonostante fossi ubriaco e fuori di me, l'alcol aveva rimosso i miei freni inibitori e così, dopo alcuni attimi di smarrimento, reagii. Con un urlo e uno strattone mi liberai dalla stretta del bandito di dietro e tirai un pugno a quello che mi stava davanti. Ma, con mia immensa sorpresa, il mio braccio trapassò il brutto ceffo e non gli fece niente. Mi voltai e provai allora a colpire l'uomo dietro di me, ma anche quello venne trapassato dal mio pugno senza che gli accadesse niente.
- Voi tutti potete benissimo capire il turbamento da me provato allora. Spaventato, credetti di star combattendo dei fantasmi o chissà quali altre diavolerie, e così fuggii e mi rifugiai al portone più vicino, che per accidente era proprio il vostro. Il resto penso lo sappiate. Signor Holmes, mi rivolgo a lei per venire a capo di questo mistero, e anche di un altro.
- E sarebbe? - chiese il mio amico.
- Svegliatomi sul tardi, questa mattina mi sono accorto di aver perso il portafoglio. Mi aiuti a ritrovarlo, la prego!
- Quello con l'incasso del giorno?
- No, il mio personale! Dentro c'erano ben sette sterline, e per di più era di pelle di scoiattolo nero americano, una vera rarità! Uno di quei delinquenti deve avermelo sfilato dai pantaloni, e io lo voglio riavere a tutti i costi!

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Capitolo 2
*** Il caso delle sette sterline ***


II. Il caso delle sette sterline

 

- Sette... sterline? - fece stupito Holmes.
- E quattro penny, per essere precisi - puntualizzò Neareby.
Quello che seguì fu in assoluto una delle scene più strane (e divertenti) che siano mai accadute al 221B di Baker Street in mia presenza. Non potrò mai scordare la repentina trasformazione di Holmes: la sua pazienza, già messa a dura prova da quell'uomo, raggiunse infine il proprio limite e nemmeno la sua mente fredda e analitica poté porre un freno alla sua reazione furibonda. Sherlock Holmes pareva infine essersi stancato di quello scocciatore, e per la prima e unica volta in tanti anni di collaborazione lo vidi avvampare dall'ira: il suo viso, di norma pallido e rilassato, assunse in pochi attimi un colore rosso vivo, mentre i muscoli del suo collo si irrigidirono lasciando scoperta e bene in evidenza una vena che pulsava. E fu così che Sherlock Holmes si ritrovò sul punto di dare di matto.
Nonostante quello fosse oggettivamente uno spettacolo spaventoso, riuscii a trattenere a stento le risate. Quel tale forse non se n'era reso conto, ma stava arrecando al mio amico la più terribile delle offese: gli stava chiedendo, anche con inappropriata insistenza, di risolvere un problema assolutamente banale e ordinario, per di più dopo essere venuto a disturbare la quiete di Baker Street non una ma ben due volte e aver inoltre dato sfoggio di un'arroganza che avrebbe fatto invidia al più spocchioso dei giovani nobili della mia generazione.
In quel momento Holmes sembrava una tigre pronta a saltare addosso alla sua preda, che in questo caso non era un criminale incallito ma semplicemente un borghesuccio taccagno e pieno di sé. Senza volerlo mi ritrovai a sogghignare, mentre Dawson e la signora Hudson osservavano stupiti Holmes: probabilmente era la prima volta che lo vedevano così, e per questo ne erano rimasti molto impressionati.
- Allora, signor Holmes? Mi aiuterà? - lo incalzò Neareby, non rendendosi conto del guaio in cui si era appena cacciato.
Qualcuno, leggendo queste righe, potrebbe pensare che la reazione del mio amico sia stata esagerata se non addirittura spropositata, ma posso assicurare che non fu affatto così. Dal suo punto di vista infatti era un affronto imperdonabile quello di sottoporgli dei problemi così semplici da essere solo delle perdite di tempo; inoltre il signor Neareby non aveva usato né le migliori argomentazioni e nemmeno delle belle maniere al fine di ottenere l'aiuto di Holmes, e ciò dimostra che quell'uomo non era del tutto esente da colpe.
A proposito di quel tipo... Dopo aver parlato, Nicholas Neareby se ne restò immobile ad osservare impazientemente Holmes, in attesa di qualche sua reazione. Reazione che non avrebbe tardato ad arrivare se io e Dawson non avessimo trattenuto Holmes dai suoi improvvisi istinti omicidi. Mi ero sì divertito ad osservarlo offendersi, ma subito dopo mi ero reso conto che il mio amico non avrebbe esitato ad usare le maniere forti contro quel povero sciocco per vendicare il torto da lui subito. Io e il valletto ci affrettammo quindi ad avvicinarci a lui e, pur dolcemente e in modo discreto, lo trattenemmo dall'avanzare per dare sfogo alla sua rabbia.
Il nostro intervento fu quanto mai provvidenziale. Al nostro tocco infatti Holmes parve accorgersi di ciò che stava per fare, e dopo pochi attimi riuscì a tornare in sé. Si fermò, fece un profondo respiro ad occhi chiusi per tranquillizzarsi e poi, schiarendosi la voce, si rivolse al suo interlocutore. I suoi occhi tuttavia ancora fiammeggiavano per l'ira e l'unico a non accorgersene pareva essere proprio Nicholas Neareby, il quale probabilmente non si era nemmeno reso conto delle precedenti intenzioni del mio amico.
- Molto bene - si schiarì la voce Holmes, guardando assai male il suo nuovo cliente - Ho ascoltato la sua storia e ho deciso di occuparmi del suo caso.
- Bé, mi sembra anche il minimo dopo che sono stato trattato così sgarbatamente da quella donna! - replicò Neareby alludendo alla signora Hudson.
Holmes necessitò di tutto il suo sangue freddo - e della presenza mia e di Dawson - per non ricadere nella tentazione di arrecare del male fisico a quell'arrogante. Anche se, lo confesso, a quel punto l'uomo mi era venuto in antipatia e sarei stato ben contento se il mio amico gli avesse dato una lezione. Era sconcertante come quel tipo non si fosse ancora reso conto di star offendendo terribilmente Holmes, ed ero sicuro che in ogni caso il mio amico non si sarebbe affatto dimenticato di quest'affronto.
- Mi lasci farle qualche domanda, signor Neareby. - disse Holmes con una vena che gli pulsava (stavolta nella tempia) per la frustrazione.
- Va bene, sentiamo. - fece l'altro, scocciato.
Holmes ebbe bisogno di un altro respiro calmifico per potersi definire in condizione di lavorare, e un momento dopo cominciò con le domande.
- Dov'è avvenuta esattamente l'aggressione? - chiese.
- Non ricordo bene - rispose Neareby seccato - Forse mi trovavo davanti al 225, più o meno. Non sono sicuro.
- Che aspetto avevano i due che l'hanno aggredita?
- Purtroppo l'alcool non mi faceva vedere con chiarezza, e ricordo poco più che due indistinte sagome nere.
- Con cosa l'hanno colpita alla testa?
- Non lo so proprio! - sbottò a quel punto l'uomo - Ma doveva essere un oggetto assai grosso perché stamattina, quando mi sono specchiato, ho visto il mio capo tutto tumefatto.
Per dimostrare che ciò che diceva era vero si tolse il cappello e ci mostrò la testa. Nella punta, dove i capelli erano più radi o del tutto assenti, c'era un enorme livido tondo e blu scuro con un paio di piccoli bernoccoli a contornarlo.
- E' tornato a casa sua ieri sera dopo l'agguato? - chiese a quel punto Holmes.
- Ma che c'entra? - replicò Neareby irritato mentre si rimetteva il cappello.
- E' tornato a casa sua oppure no? - chiese ancora Holmes quasi gridando, seccato per il comportamento del suo cliente.
- No - rispose quello infine - Avevo paura che mi aggredissero di nuovo e così sono andato a dormire da un amico che abita qui vicino.
- Quindi lei non ha ancora rivisto sua moglie?
- Si può sapere cosa ci incastra mia moglie con questa storia?!? - esclamò scandalizzato Neareby - Che razza di domande mi sta facendo?
Un'occhiataccia di Holmes lo spinse tuttavia a lasciar perdere con le sue rimostranze, e piuttosto decise di rispondere a ciò che gli veniva chiesto.
- No. - ammise - Questa mattina, dopo essermi dato una sistemata, sono venuto direttamente qui da lei. E' da ieri mattina che non metto più piede in casa mia.
- Molto bene - disse Holmes - Torni questa sera e vedrò cosa posso fare per lei.
Nicholas Neareby parve esterrefatto.
- Ma... - balbettò - Perché stasera?
Holmes non rispose e lo ignorò.
- Perché non si mette al lavoro subito? - lo incalzò Neareby - Questo è un affare della massima importanza!
- Buongiorno signore, a stasera. - gli rispose cordialmente Holmes, voltandosi poi per salire le scale che conducevano al suo appartamento.
- Torni qua! - gridò Neareby mentre tentava di raggiungerlo.
Ma quando Sherlock Holmes congedava qualcuno non c'era possibilità alcuna di ottenere più tempo con lui. Mentre Dawson si occupava di trattenerlo e di riportarlo fuori, io seguii Holmes ed entrambi tornammo nel nostro appartamento. Appena rientrato, il mio amico si mise imbronciato sulla sua poltrona e prese a fumare la pipa. Io mi sedetti di fronte a lui e stetti in silenzio, preferendo non disturbarlo: avevo già potuto constatare quanto fosse pericoloso l'avere contro Sherlock Holmes, e avrei cercato per quanto mi era possibile di non farlo alterare. Mi ero tuttavia ripromesso di non perderlo di vista: era mio dovere di medico impedire che Holmes, per il nervosismo causatogli da Neareby, riprendesse a fare uso di droghe.
Fu proprio per questo che, quando poco dopo egli cominciò a ridere sommessamente, mi sorpresi e mi inquietai alquanto. Era rarissimo sentire Holmes ridere, e nonostante sapessi del suo corrente stato affatto tranquillo mi preoccupai lo stesso per lui. Era stato forse abbastanza lesto da assumere qualcosa mentre mi ero distratto per un attimo? Non lo sapevo, e la mia curiosità medica mi spinse immediatamente ad indagare.
- Che è successo, Holmes? - gli chiesi.
- Nulla, nulla... - mi rispose lui, sempre ridacchiando.
Quel suo strano atteggiamento mi aveva reso nervoso, ma cercai di non darlo a vedere incalzandolo con le mie domande.
- Come va il caso? - feci - E' già arrivato alla soluzione?
- Ovvio. - rispose Holmes, sempre sorridendo - Sapevo già tutto prima di finire il colloquio col signor Neareby. Era un problema molto banale, e anche un dilettante ci sarebbe arrivato in breve tempo.
- Quindi sa già chi sono i colpevoli del furto?
- Sì.
Il sorriso di Holmes si fece impercettibilmente più largo.
- E allora perché avete detto a Neareby di tornare stasera? - chiesi allora, confuso - Non sarebbe stato meglio dirgli i nomi dei colpevoli così che potesse andare dalla polizia a sporgere denuncia? Almeno ci saremmo definitivamente tolti dai piedi quello scocciatore!
- Non ha tutti i torti, mio caro Watson - mi rispose Holmes - Ma ho i miei motivi per non aver agito come ha detto lei. E poi, anche se gli avessi detto i nomi dei colpevoli, quell'uomo avrebbe solamente avuto ancora più guai.
- In che senso? - chiesi, incuriosito.
- Non c'è fretta, Watson, non c'è fretta. - fece pacatamente Holmes - Tutto a suo tempo.
A quel punto aveva finito di fumare la pipa, e così si alzò.
- Vede - continuò - Visto il comportamento così sgarbato del mio illustre cliente, ho deciso di divertirmi un po' con lui.
Si mise gli abiti pesanti e il cappello per uscire nella fresca aria del mattino, e mentre si avviava verso la porta prese con sé il suo frustino.
- Caro Watson, posso assicurarle che prima di domani lei avrà abbastanza materiale da scrivere un bel resoconto e, perché no, anche per farci due risate su.
Detto questo uscì e non tornò se non dopo un paio d'ore, poco prima di pranzo. Sembrava molto contento e soddisfatto del suo operato a giudicare dal sorrisetto che ancora non gli aveva abbandonato la faccia.
- Vuole sapere com'è andata, Watson? - mi fece - Bene, molto bene. Mi perdoni se non l'ho portata con me, ma volevo essere io il solo a godermi un certo spettacolo. Non si preoccupi però, presto anche lei riderà insieme a me: le dico già che oggi ci aspettano alcune visite. Nel frattempo perché non mangiamo? Sento già il profumo dello stufato della signora Hudson.
Pranzammo e trascorremmo alcune ore a discutere serenamente di musica, e come aveva predetto il mio amico ricevemmo alcuni ospiti nel nostro appartamento. Erano più o meno le cinque quando sia io che Holmes udimmo distintamente dei rumori provenire dal piano di sotto: si trattava di un rapido scalpiccio di piedi, come se qualcuno avesse salito di corsa le scale, e così ci interrompemmo per vedere cosa sarebbe accaduto di lì a poco.
Detto fatto: dopo alcuni istanti la nostra porta si spalancò e ricevemmo la prima visita. E, a dire il vero, il nostro visitatore era piuttosto singolare: più che vestiti portava addosso degli stracci sgualciti, era minuscolo di statura - poco più alto del pigmeo che una volta aveva quasi ucciso me ed Holmes - e aveva una faccetta glabra ma vispa e dall'espressione furbetta. In altre parole si trattava di uno dei cosiddetti "Irregolari" di Baker Street, un bambino che tuttavia non avevo mai visto o a cui comunque non avevo mai fatto caso.
- Eccolo, signor Holmes! - gridò appena fu entrato - L'ho ritrovato!
Detto questo si piegò in due, e tutto sudato cominciò ad ansimare e a tirare lunghi respiri. Sembrava essere appena rientrato da una lunga ed estenuante corsa, e da com'era imbrattato di polvere non faticai a crederlo possibile. In mano teneva un oggetto che a prima vista non riconobbi. Sembrava piccolo e peloso; forse era un animale morto o un'altra cosa sgradevole che io non avrei mai toccato per nulla al mondo.
- Sono contento di ciò, Timmy - rispose Sherlock Holmes, prendendoglielo senza mostrare la mia stessa ripugnanza.
- Ho dovuto... girare... per tutta Fulham... per ritrovarlo... - ansimò il bambino - Non è stato... per niente... facile...
- Non ne dubito - replicò il mio amico - Almeno adesso hai imparato a non dar via immediatamente tutto ciò che ti passa tra le mani. Vieni qui, giovane Tipps, eccoti uno scellino per il disturbo.
- Grazie, signor Holmes! - esclamò il bambino, tornato improvvisamente pimpante mentre prendeva la monetina dalle mani di Holmes - Grazie di cuore!
- Ringrazia la tua fortuna piuttosto. Ora va, e ricordati di questa preziosa esperienza!
E così, esattamente com'era entrato, il ragazzino se ne corse fuori come una furia lasciandoci soli. Ero rimasto molto sorpreso da quell'ingresso e da quell'uscita così repentini, e non potei fare a meno di guardare Holmes e l'oggetto che teneva in mano con aria interrogativa. Osservandolo più da vicino mi parve di riconoscerlo: si trattava di un portafogli di pelle di qualità assai scadente.
- Esatto, è proprio quello che crede - mi confermò il mio amico - E' il portafoglio perso da Nicholas Neareby. E quello che avete appena visto uscire era uno dei colpevoli della "brutale" aggressione ai suoi danni.
- Cosa? - esclamai stupefatto - Quel bambino?
- Esatto, proprio quel bambino - fece Holmes - Sembra difficile da credere, vero? Così minuto, così mingherlino. Ma attenzione: anche così agile, così svelto di mano. Non bisogna mai giudicare dalle apparenze.
Restai a bocca aperta: l'idea che un ragazzino così piccolo come Timmy Tipps fosse riuscito a derubare e anche a fare del male ad un individuo come Nicholas Neareby, un tipo non grande e grosso ma pur sempre un gigante se confrontato a quel bambino, era a dir poco sconvolgente. Holmes notò la mia espressione stupefatta e sorrise.
- Vedo che ancora la dinamica dei fatti non le è chiara. - constatò - Allora vuol dire che sarò costretto ad esporgliela. Lei, Watson, sa bene quanto io odi i problemi banali, e in circostanze normali avrei rifiutato di occuparmi di questo caso senza pensarci due volte. Ma dato il comportamento tenuto dal mio cliente ho preso la decisione di andare fino in fondo a questa storia unicamente per sfizio personale, sfizio che credo a breve anche lei sentirà come suo.
- Come le ho già detto, avevo capito quanto era capitato al signor Neareby solamente dal colloquio che ho avuto con lui giù di sotto. Ho intuito l'identità dei due delinquenti quasi immediatamente, ma per non confonderla andrò per gradi. Suppongo che anche lei, dottore, abbia notato la particolare forma della tumefazione sulla testa del mio cliente.
- Sì - risposi io - Era enorme e, cosa strana da dire, perfettamente circolare.
- Esatto. Neareby aveva dichiarato di essere stato colpito alla testa da dietro, ma quale oggetto contundente avrebbe mai potuto lasciare un segno del genere?
- Non ne ho la minima idea.
- Avanti, ripensi a quando gli chiesi di sua moglie.
- Non vedo come le due cose possano essere collegate.
- Caro Watson, lei deve cercare di immedesimarsi nei panni della signora Neareby. Se dopo una dura giornata di ancor più duro lavoro lei non vedesse rientrare suo marito e poi venisse a sapere che egli ha guadagnato una grossa somma che in quel momento sta sperperando in un pub di dubbio gusto per ubriacarsi, come reagirebbe?
- Bé, indubbiamente male.
- Esatto! Quindi la reazione di Joanne Neareby è stata perfettamente comprensibile.
- Cosa? - replicai incredulo - Vuole dire che è stata sua moglie ad aggredirlo?
- Proprio così. Vede Watson, Boston Street e Marylebone non sono poi zone così lontane tra loro, e le notizie dall'una all'altra viaggiano in fretta. Una volta saputo che il marito stava facendo allegramente baldoria la signora si è infuriata e ha deciso di andare a dare una bella lezione al suo uomo. E per farlo si è armata dell'unico strumento da lavoro che aveva a portata di mano in quel momento, ovvero una comune padella da cucina.
- Come ha detto?!?
- Ha sentito bene, una padella. Ci pensi: superficie estesa, metallo sottile e per questo flessibile e malleabile, facile da maneggiare; cosa c'era di meglio? E ora pensi al livido di Neareby: grosso, rotondo, dal colore uniforme. Capisce cosa intendo?
- Neareby è stato colpito da una padella in testa! - replicai, figurandomi mentalmente la scena e sorridendo al pensiero.
- E' andata proprio così - continuò Holmes - Disgraziatamente per il mio cliente sua moglie l'ha colto qui in Baker Street e non ha esitato a dargli addosso. Ed è qui che è sopraggiunto Timmy Tipps. Baker Street rientra nella sua zona di caccia, e i poveri sprovveduti che non mettono al sicuro il proprio portafoglio si ritroveranno sicuramente senza di esso una volta passati di qui.
- Ecco com'è andata: Timmy Tipps, sempre in agguato per avventarsi sulle sue vittime, ha notato del trambusto e ha subito pensato che potesse essere una buona occasione per lui. Si è così approssimato al signor Neareby e gli ha sfilato il portafoglio dai pantaloni, lo stesso portafoglio che adesso lei vede nella mia mano sinistra.
- Ma le forme evanescenti? - gli chiesi - Neareby ha detto di aver preso a pugni i suoi aggressori e di averli visti essere trapassati dai fendenti senza che subissero il minimo danno.
- Oh, questo è facilmente spiegabile - replicò Holmes - I fumi dell'alcol possono distorcere i sensi e la percezione di un uomo facendogli vedere cose sì strabilianti, ma assolutamente false. Neareby non ha trapassato nessuno con i suoi pugni: Timmy Tipps era semplicemente troppo basso per essere colpito, mentre sua moglie dev'essersi scansata. Il cervello di Neareby doveva essere tuttavia troppo stravolto per percepire distintamente la realtà che lo circondava, ed è così che è nata questa storia dei fantasmi.
- Vede, Watson, è strabiliante ciò che la mente dell'uomo è in grado di inventarsi pur di giustificare quello che vede. E' come un immenso dono: senza di esso dove sarebbe la fantasia? Ma, come ha potuto constatare anche lei, nelle mani di Nicholas Neareby questa grande capacità si è trasformata in un inutile spreco.
Holmes si interruppe, concludendo l'ultima frase in tono amareggiato. Potevo ben capire il motivo della sua delusione: una mente vivace in una testa ottusa era di certo il peggiore dei mali. Prima di riprendere a parlare il mio amico accese la sua pipa e ne trasse un paio di profonde boccate, come per rilassarsi.
- E' a questo punto - riprese - Che sono entrato in scena io. Si sarà sicuramente chiesto dove me ne fossi andato oggi; se così è stato ora le sto per rispondere. Prima di tutto, sicuro del coinvolgimento di Timmy Tipps, mi sono recato nel tugurio che usa come tana e l'ho convinto un po' con le parole e un po' col frustino a ritrovare il portafoglio di Neareby. Subito dopo sono corso in Boston Street perché non mi volevo perdere la scena che ero certo stesse per accadere.
- Le mie speranze non andarono deluse. Arrivato che fui in Boston Street scorsi immediatamente una folla di sfaccendati radunata di fronte a quella che doveva essere casa Neareby. Dentro di essa doveva star accadendo il finimondo, poiché le grida si sentivano fino in strada. Non ebbi bisogno di chiedere informazioni perché esse erano urlate e ben udibili da tutti: le implorazioni di pietà del nostro cliente e le maledizioni e gli improperi lanciatigli da sua moglie parlavano per loro.
- In strada la gente rideva a crepapelle, e addirittura alcuni si stavano rotolando per terra dalle risate. Perfino il poliziotto che monitorava la situazione non poteva fare a meno di sorridere. Mi avvicinai alla folla e interrogai alcune persone, che scoprii essere per la maggior parte vicini di casa di coloro che nel frattempo si stavano scannando qualche iarda più in là. Dalle risposte che ottenni emerse che molti di loro la sera precedente avevano visto uscire di casa la signora Neareby furiosa e con una padella in mano giusto pochi minuti prima dell'aggressione.
- A quel punto non avevo bisogno di ulteriori dettagli e me ne sono tornato qui, ad aspettare che gli eventi facessero il loro corso. E se non sbaglio quello che sento dev'essere proprio il signor Neareby che sta salendo.
Mentre Holmes concludeva il suo discorso c'era infatti stato un bel po' di trambusto al piano di sotto, e pochi attimi dopo la porta del nostro appartamento si era aperta per rivelare un affranto Nicholas Neareby. Egli aveva l'aria distrutta e i suoi vestiti apparivano tutti in disordine, il cappello messo di traverso e la giacca che pendeva scomposta da una parte. Conoscendo la causa di quella confusione non potei fare a meno di ridacchiare, ma Neareby parve non accorgersene.
- Signor Holmes... - ansimò invece, rivolto al mio amico.
- Signor Neareby! Bentornato! - esclamò l'interpellato.
- La prego... - continuò Neareby - Cose terribili... Io...
- Immagino, immagino - disse Holmes sorridendo - Lei è messo piuttosto male. Sua moglie deve proprio averla conciata per le feste!
- C-come fa...? - balbettò l'altro.
- Ho le mie fonti, signore - replicò fulmineo Holmes - Vedo che lei ha passato un brutto quarto d'ora, ma forse ho qualcosa che sarà in grado di tirarla su di morale.
Il viso di Neareby improvvisamente si illuminò.
- Il mio portafoglio! - esclamò - L'ha ritrovato?
- Certamente - fece Holmes porgendoglielo - Eccolo qua.
Neareby se lo fece quasi scappare dalle mani per l'emozione. Il suo faccione si imporporò assai più del normale mentre si profondeva in inchini e salamelecchi per Holmes, e subito dopo aprì il portafoglio con gli occhi che luccicavano. Ciò che al suo interno vide - anzi, non vide - bastò per far svanire ogni traccia di gioia in lui. Le sue guance rosse acquistarono in breve un livore perlaceo, e cominciò a spostare velocemente i suoi occhi sgranati dal portafoglio al mio amico e viceversa.
- Ma... E' vuoto! - tuonò, esterrefatto.
- Signor Neareby, lei dovrebbe essere più preciso quando dà delle direttive! - lo ammonì Holmes - Stamani lei mi ha chiesto solamente di ritrovarle il suo portafoglio; doveva specificare che desiderava riavere anche ciò che vi era contenuto!

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