Pugno serrato teso al cielo

di Carlo Di Addario
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pugno serrato teso al cielo ***
Capitolo 2: *** Isteria ***



Capitolo 1
*** Pugno serrato teso al cielo ***


Ci sono giorni molto ordinari, nella comune esistenza di una persona.

E poi, ci sono giorni che ti cambiano radicalmente: giorni che ti ricordi e sai che ti ricorderai per tutta la vita, che saranno sempre uno spartiacque fra quello che eri prima, e quello che sei diventato.

Annabel aveva sempre pensato che per lei, uno di quei giorni, sarebbe stato la fine della scuola e il suo affacciarsi al mondo del lavoro. Oppure quando sarebbe andata a vivere da sola, lontana ed emancipata dalla sua famiglia. O quando si sarebbe sposata, e avrebbe poi partorito un bambino. Solo eventi di quel tipo le parevano abbastanza importanti e “sconvolgenti” da poterle, ipoteticamente, farle cambiare radicalmente punto di vista sulla sua persona.

Era rassicurante, in un certo senso: erano tutte cose ancora lontane, sia nel tempo che nello spazio… e lei non aveva fretta di crescere. Aveva fretta di andarsene, quello si. Ma, tanto era il desiderio di fuga, quanto la paura di doversela cavar da sola: trovarsi un lavoro, badare a se stessa per i propri bisogni e le proprie necessità, vivere da sola… erano tutte cose per le quali ancora non si sentiva pronta e che la inquietavano.

“Annabel?” domandò una voce gentile.

La fanciulla, che stava accordando la chitarra persa nelle proprie elucubrazioni, si destò e alzò lo sguardo: a parlare era stata Ada, con indosso un candido grembiule.

“Cosa c’è Ada?” domandò la musicista, intuendo che la cosa sarebbe andata a vertere sul mangiare.

“Controllando la dispensa, mi sono accorta che sono finiti il pane e la passata di pomodoro, potresti andare a comprarli?” chiese la sorella maggiore.

Annabel, che tanto avrebbe voluto passare quella tranquilla domenica estiva a suonare la chitarra, sospirò annuendo: “Va bene”

Ada sorrise: “Grazie sorellina, sul tavolo ti ho lasciato il portafoglio con le lire”

La musicista annuì.

La sorella tornò in cucina.

Annabel si stiracchiò, riponendo con cura la chitarra nella custodia.

“Boccoli!!” strillò una stridula voce.

La musicista si posò le dita sulle tempie: ecco che arrivava Abilene, la più rompicoglioni della famiglia…

“Boccoli! Non dimenticarti due etti di pane ai cereali per me, chiaro?!” esclamò una giovane donna dai lunghi capelli castani, raccolti in una treccia dietro il capo.

“Strozzatici” commentò distrattamente la musicista, tornando a chiudere la custodia.

“Brutta peste, non permetterti questo tono con me, chiaro?!” intimò minacciosa Abilene.

“Peste ti colga” replicò la musicista, custodia in spalla, uscendo dall’uscio della stanza prima di sentir altro.

Abilene rimase un attimo disorientata, da quella replica così secca e feroce. 

“Ma te ne esci con la chitarra in spalla?!” fu l’unica cosa che riuscì a sbraitare prima che Annabel finisse la rampa di scale per il pian terreno.

“Se volete ve la lascio in salotto con un paio di cesoie, così ne tranciate una seconda volta i fili” rispose sarcastica, ricordando ancora vividamente uno degli scherzi più orribili che le avevano fatto quella simpaticone di Abilene e le altre sorelle.

La maggiore dei Watson non riuscì a replicare.

“Carogna…” mormorò Annabel entrando in salotto.

“‘giorno…” biascicò distrattamente un ragazzo poco più grande di lei, che stava fissando vacuo la caffettiera aspettando che il caffè fosse pronto.

Annabel neppure rispose a un saluto tanto gelido e meccanico, di uno che neppure si era voltato per farle un cenno. Tanto per suo fratello Andy era come se non esistesse… probabilmente neppure sapeva che era lei che era scesa, e aveva salutato a caso una delle sue tante sorelle.

E infatti Andy non parve turbato dal non ricevere risposta, anzi.

Sbuffando, Annabel agguantò le cinquecento lire lasciatagli sul tavolo da Ada e, già torva e malcontenta di prima mattina, prese e uscì di casa.

-

Quel giorno il cielo era abbastanza plumbeo… anche se non così tanto da dare l’idea che avrebbe piovuto. Non tirava neppure vento, il che era di buono auspicio.

Così, un poco rincuorata dal tempo tutto sommato mite, la fanciulla si mise in marcia verso il mercato: non era molto distante e, come ogni domenica, non doveva far altro che raggiungere la piazza della città.

Così, svoltando a destra e poi a sinistra, attraversando la strada e dritta per duecento metri fino al ponte, passandoci sotto e poi svoltando di nuovo a destra, Annabel finalmente arrivò: il mercato si caratterizzava, come qualunque mercato della penisola, dalla presenza di file e file di bancarelle dal bianco tendaggio, immerse nel caos! Casse su casse, spazzatura ai bordi della strada, frutta e cibo che rotolavano al suolo, vestiti che ondeggiavano al vento…

Camminando tra la consueta folla di massaie e garzoni, la fanciulla si ritrovò ben presto immersa in una caotica cacofonia di suoni e persone: chiacchiericcio, rumore di passi, gente che urlava quanto fossero convenienti le loro melanzane a metà prezzo…

“VENGHINO, VENGHINO! UOVA DI STRUZZO A…”

“SIGNORINA! GUARDI QUI CHE MERAVIGLIOSE ACCIUGH…”

“COCCO! COCCO BELLO!!”

Sembrava strano, ma Annabel era sempre stata combattuta nel suo giudizio sul mercato: la sua folla, il suo caos e le sue grida: da un lato trovava asfissiante tutta quella moltitudine di persone che la circondava, tra donne in sovrappeso di mezza età, passeggini e nerboruti individui che trasportavano, di volta in volta, casse e travi che già si vedeva cadere in testa e fratturargli l’osso del collo… ma, viceversa, quell’indistinta cacofonia di rumori era per lei un qualcosa di così… di così armonioso… non sapeva spiegarlo neanche lei, ma era come se il mercato, nel suo caotico insieme, fosse come una sorta di strana sinfonia… avesse avuto abbastanza spazio, tra tutte quelle persone, si sarebbe volentieri messa a strimpellare due accordi con la chitarra, così, per vedere dove sarebbe andata a parare!

Ma non poteva. Anzi, dovette pure tapparsi il naso, passando davanti al banco del pesce: emanavano un’odore alquanto pungente e sgradevole e, la fanciulla, guardò i merluzzi esposti con tanto orgoglio sul ghiaccio provando un moto di repulsione… 

Involontariamente pensò a un paio di barzellette sconce, che aveva sentito a scuola. Accennò un tragicomico sorriso, affrettando il passo più che poté per raggiungere le bancarelle del pane.

Quando ci arrivò davanti, tirò un sospiro di sollievo: subito le sue narici si riempirono del fragrante odore del pane appena sfornato, scacciando via il miasmatico odore di merluzzo in decomposizione.

Sporgendosi meglio che poteva oltre un signore con la tuba, la sua consorte e i loro piccoli bambini, raggiunse finalmente il bancone: sporcandosi tutto il vestito di briciole e farina, esclamò: “Buongiorno!”

Un anziano e rugoso signore le si avvicinò: indossava una canottiera bianca e un piccolo cappello da cuoco.

“Sgri?” gracchiò, mostrando la sdentata dentatura.

“Vorrei dieci pezzi di pane!” e la ragazza indicò la tipologia che voleva, sugli scaffali dietro il bancone. L’anziano annuì, grattandosi lo zigomo destro.

Ciondolante, si avvicinò allo scaffale con un sacchetto e iniziò a metterci dentro le pagnotte.

Nel mentre, un beffardo sorriso comparve sul volto della fanciulla: voleva il pane coi cereali, quella carogna di sua sorella Abilene? Che sfortuna, proprio non ne aveva trovato…

“Vogrete anche drel pangre intregrale? E’ in offertra!” gracchiò nuovamente l’uomo, poggiando il sacchetto con le pagnotte e indicando lo scaffale alle sue spalle, con sopra scritto, a caratteri cubitali: PANE INTEGRALE

“No, grazie” rispose secca Annabel.

Come diceva, proprio non ne aveva trovato…

Così, pagando quanto dovuto, sacchetto alla mano, la fanciulla tornò a camminare per le vie del mercato: la consapevolezza dello sgarbo fatto alla sorella era molto gratificante. Certo, avrebbe anche potuto comprarle il pane e sputargli sopra, ora che ci pensava… nuovamente un sorriso diabolico le spuntò in volto: quella sera avrebbe rimediato con il minestrone.

“Scusi…!” arrancò una corpulenta massaia, scostandola.

Annabel venne quasi travolta, scostandosi all’ultimo tentennando: per poco la chitarra non le fece perdere l’equilibrio e ruzzolare al suolo ma, fortunatamente, riuscì ad aggrapparsi a un bancone.

“Signorina! Quanto aglio?!” domandò subito una giovane contadina, sventolandole sotto il naso il tubero.

La musicista inarcò il naso, disgustata: “Niente niente, grazie”

E prima che la sua interlocutrice potesse replicare, si dileguò nuovamente tra la folla. Sfregandosi il nasino con la manica della maglietta per togliersi lo sgradevole e permeante odore di aglio che le aveva appestato le narici, pensò che forse era il caso di concentrarsi unicamente dove stesse camminando e per far cosa, in quel guazzabuglio di persone.

Così, senza perdersi in ulteriori elucubrazioni sui massimi sistemi, scansando un signore in carrozzina e un venditore ambulante ceco-sordo-muto fin troppo ciarliero nel chiedere l’elemosina, raggiunse il banco dei pomodori: succosi, grossi e lucenti, il piccolo poster sul lato della bancarella raffigurava dei pomodori magnifici!

Quelli esposti… beh, ad Annabel sembravano piccoli, raggrinziti e ammuffiti… 

“Ottimi per pasta con carbonara!” rispose il giovane ragazzo di colore che era lì a venderli.

“Certamente…” rispose la musicista, dovendo trattenere un tragicomico sorriso.

“Lei è della penisola, vero?” domandò istintivamente al giovine.

“Si, mia famiglia è di Sicilia!” rispose pronto il ragazzo, annuendo.

No, era palesemente nord-africano, ma Annabel annuì, non volendo approfondir ulteriormente.

“Vorrei le passate, per piacere” chiese.

Il giovine annuì: “Subito!”

E le mise davanti diverse bottiglie di passata.

Queste, fortunatamente, avevano un aspetto decisamente migliore: Annabel pensò come fosse curioso, che sminuzzando in poltiglia una verdura e aggiungerci acqua il tutto sembrasse più invitante.

“Ne prendo tre!” esclamò.

“Subito signorina!” e in men che non dica, il solerte garzone gliele porse in un bel sacchetto.

“Quanto?” domandò.

“150 Lire” rispose il giovane siciliano.

Annabel pagò, prese quando doveva e, ciondolando con due sacchetti in mano e una chitarra sulle spalle, si guardò intorno per cercare una panchina dove sedersi: iniziava a sentirsi la schiena dolorante la mano sinistra pruderle, a furia di stringere il manico della busta in plastica del pane.

Eccola lì, proprio accanto alla statua si San Giovanni e a un venditore di piante ornamentali!

Traballante, si fece strada fra la calca e la raggiunse, sedendocisi sopra: trasalì, sentendosi gelarsi il fondoschiena… ma perché le facevano in marmo, quelle maledette panchine?! 

Sospirò, accennando un tragicomico sorriso: ecco perché era vuota, altro che fortuna…

Agitando istintivamente i fianchi nel tentativo di scaldarsi un poco, si tolse la custodia della chitarra dalle spalle e se la poggiò fra le gambe, mettendosi i sacchetti sotto braccio.

Tirò un sospiro di sollievo, stiracchiandosi le intorpidite spalle e osservandosi la mano: era completa rossa e sudata…

“Vuole ciliegio??” domandò il venditore di arbusti lì vicino.

“Eh? Nono, grazie…” bofonchiò distrattamente la giovane.

Poi alzò lo sguardo, guardandosi attorno: Era spettatrice di un via vai di persone abbastanza grottesco e pittoresco, lì per quelle bancarelle… ci si poteva quasi fare un quadretto, c’era anche la chiesa di sfondo con i fedeli che uscivano, proprio in quel momento, dalla santa messa…

Anzi, forse ci si poteva suonare una melodia… già se la immaginava, un due tempi in scala di Sol allegro, con un Mi bemolle e un Fa diesis e uno, e due, e un-du-tre…

La ragazza, inconsciamente, iniziò a battere il tempo dell’ipoteica melodia col piede destro, schioccando le dita guardando persa dinanzi a se.

Sisi, ci stava come ritmo… un-du-tre, uno e due, uno e due, un-du-tre, olè! 

Sorrise, emozionata: dov’erano carta e penna?? Doveva segnarsi quelle note, doveva metter su carta l’improvvisa ispirazione!!

Si guardò attorno: solo cartacce, pezzi di verdura e inquietanti macchie dalla dubbia natura, sul pietrisco del suolo…

Imprecò mentalmente, frugandosi nelle tasche dei pantaloni: possibile che non si fosse portava una penna, o anche solo una matit…

BANG!

Annabel si ammutolì.

La sinfonia si bloccò.

E per un lunghissimo, interminabile, istante, il mercato piombò in un irreale silenzio.

La musicista era immobile, con gli occhi sbarrati.

Quello che tutti avevano udito distintamente riecheggiare per la piazza, era stato un secco e tonfo rumore di sparo.

E poi il caos: urla, grida di terrore, gente che correva in ogni dove spintonandosi e calpestandosi, rumore di casse e barili che si rovesciavano…

Annabel era lì, col il cuore in gola, pietrificata dal terrore: seduta rigida sulla panchina, strinse istintivamente forte forte la chitarra, guardandosi spaesata attorno… ovunque, vedeva solo una calca informe di persone che si disperdeva… era come se di colpo, il mondo si fosse sfocato: non riusciva più a metter a fuoco i volti o i corpi, ma vedeva solo un’indistinta e brutale fiumana, di gente che correva e che travolgeva, che cadeva e veniva calpestata…

Era come se quella sublime melodia, che stava cogliendo, si fosse improvvisamente trasformata in un valzer deleterio e disastroso, dove lei ne era la spettatrice: lì, seduta su quella panchina, immobile, a fissare il mondo che attorno a se collassare…

Si voltò verso lo spiazzo sotto la chiesa, dove i fedeli si erano già dispersi: erano rimaste solo quattro persone…

Li osservò: c’erano due bambini, abbracciati alla madre. Quest’utima era in ginocchio, percossa da fremiti e sussulti. E davanti a loro, un uomo: riverso al suolo, con il cranio sfondato e grondante di sangue…

Annabel era lontana. Non poteva ne’ sentirli, ne distinguere bene gli zigomi dei loro volti… e ringraziò Iddio, ringraziò Iddio di non poter vedere la disperazione più nuda e cruda, di una donna appena divenuta vedova e due bambini appena divenuti orfani…

…distolse lo sguardo, contemplando ora le sfasciate bancarelle, abbandonate dinanzi a se… ma cos’era successo…? Era una giornata tanto ordinaria… perché ora il mercato si era improvvisamente trasformato nel dramma esistenziale di una famiglia dilaniata…?

Quant’è effimera la vita di un uomo, pensò istintivamente… un momento prima teneva i suoi figli per mano, davanti alle scalinate della chiesa… e un momento dopo cadeva riverso al suolo, ucciso da un proiettile…

Alzò lo sguardo al cielo… Dio, perché…?

“Compagna…!!” arrancò un’uomo, scuotendola.

Annabel si destò e trasalì, vedendosi un trasandato ragazzo a due dita dal naso.

Avrebbe voluto urlare dallo spavento, ma non riuscì a dire nulla: rimase lì, con la bocca spalancata…

“Compagna, la prego!! Mi aiuti!!” ripeté meccanico l’individuo, come in una sorta di trance.

La musicista ne osservò i baffetti e gli occhi sbarrati dal terrore, nei quali intravide il lume della follia.

“V-vi… v-vi hanno sparato?!” farfugliò confusa, tremando.

“Io, io ho sparato!!” esclamò il giovane.

Annabel sentì un colpo al cuore.

“Tra poco arriveranno i gendarmi!! Gli svii, la prego!!” supplicò l'assassino.

La ragazza rimase in mobile.

Il giovane le tolse la mano dalla spalla, si mise in piedi e alzò tremante il pugno al cielo.

Annabel lo osservò, in quel gesto proibito. E continuò a osservarlo scappare per i vicoli, svoltando a destra della statua di San Pietro, finché non scomparve alla vista.

“…”

Poco dopo, due soldati della Gendarmeria Nazionale giunsero di corsa, baionette alla mano.

“Cittadina!” tuonò uno.

Annabel alzò lo sguardo, osservando le affilate lame dei fucili.

“Cittadina, ha per caso visto dov’è scappato l’assassino?!” domando rabbioso il secondo.

La fanciulla annuì, deglutendo.

“Ci indichi dove, presto!” incalzò, agitando minaccioso l’arma.

Ci sono giorni molto ordinari, nella comune esistenza di una persona.

E poi, ci sono giorni che ti cambiano radicalmente: giorni che ti ricordi e sai che ti ricorderai per tutta la vita, che saranno sempre uno spartiacque fra quello che eri prima, e quello che sei diventato.

Ma forse, più che giorni, sarebbe corretto parlare di scelte.

In quell’istante, in quel singolo istante, Annabel era di fronte a una scelta che avrebbe determinato chi realmente era e sarebbe stata come donna, come persona…

In quel singolo istante, rispecchiandosi nel lucido stemma della Grande Armata Napoleonica cucito sulle divise dei gendarmi, braccio armato della finta repubblica fascista dove viveva, dovette scegliere: abnegarsi alla causa superiore dell’Egemonia di Francia, con la sua tirannia, i suoi soprusi, il suo razzismo, la sua misoginia, le sue barbarie… oppure aiutare un bieco assassino che in nome di ideali deviati aveva appena distrutto una famiglia, sfracellando a sangue freddo il cranio di un uomo e facendosi, metaforicamente, depositario di ogni strage comunista…?

“…”

“Ha svoltato a sinistra…” mormorò con un filo di voce.

“Grazie cittadina! E’ grazie a valorose donne come lei, che la grande Francia potrà tutelarci tutti dalle barbarie bolsceviche!”  esclamò uno dei gendarmi, per poi correre entrambi verso la statua di San Pietro e svoltare a sinistra.

“…”

Annabel rimase in silenzio, a fissare la custodia della propria chitarra.

Poi si rannicchiò, scoppiando a piangere. A piangere disperata.

Nel suo cuore, ora, si sentiva sporca e macchiata del sangue di quell’omicidio… e della disperazione di una famiglia…
 

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Capitolo 2
*** Isteria ***


Annabel si accarezzò i lunghi boccoli castani: accennò un triste sorriso, sentendosi sfilare i capelli fra le dita.

Iniziò ad arrotolarseli, guardando vacua fuori dalla finestra: piovigginava ormai da due ore, mentre un continuo di gocce d’acqua colava giù per il vetro.

Alzando lo sguardo, osservò il cielo: plumbeo, di un grigio indistinto.

La musicista sospirò: normalmente avrebbe trovato incredibilmente piacevole, quel clima temporalesco… il rumore della pioggia era per lei un qualcosa di delicato e armonioso, una sorta di naturale melodia che sbocciava quando l’acqua del cielo si riversava al suolo, aprendo la mente e il cuore degli uomini a una realtà più profonda, più trascendente…

Si sentì percorsa da un fremito: già, perché la musica era quello, una chiave di lettura. Di cosa, non era mai riuscita a capirlo… 

Aggrottò lo sguardo, fissando il pino in giardino: ne osservò gli aghi e la corteccia, mentre l’acqua gocciolava dai rami creando pozze di fanghiglia fra le radici: era come se la natura, se il mondo intorno a lei, le comunicasse… i suoni, i rumori, ciò che la circondava… tutto erano note, note di una melodia immensa, la stessa che faceva muover il sole e le altre stelle!

Eppure, non era in grado di farsi trascinare.

Non era più in grado, da due settimane a quella parte, di prendere la chitarra e cominciare a suonare, a suonare le note che la natura le comunicava e le ispirava.

Non riusciva più ad apprezzare nulla, a dir la verità.

Si sentiva… si sentiva depressa…

Avvicinò la mano al vetro e ve la appoggiò.

Sentì percorrerla un brivido di freddo.

Per tutta la gioventù, la musicista aveva letto libri meravigliosi: narravano di avventure nei luoghi più impervi del pianeta… grandi storie d’azione, con personaggi carismatici e passionali, che vivevano situazioni mozzafiato… gradi scoperte, grandi pericoli, grandi amori…

“Bah…” biascicò, con una smorfia di disgusto.

Tutte menzogne. Vacue fantasie.

Chiuse gli occhi, scuotendo capo e boccoli: ma di cosa si era illusa?! Che la vita fosse davvero così, come un romanzo?!

Aggrottò lo sguardo, sofferente: No, Dio santissimo, assolutamente no!

Nella mente della fanciulla tornò l’orrenda immagine dell’uomo riverso al suolo, con il cranio sfondato e grondante di sangue…

Iniziò a sentirsi il battito cardiaco accelerare, prendendo aria con la bocca: rimembrò del ragazzo che le aveva chiesto aiuto, dei gendarmi, della vedova e degli orfani, di lei che veniva definita valorosa donna dell’Egemonia di Francia e che poi sviava le due guardie mandandole dalla parte opposta dov’era scappato il brutale assassino…

Chiuse la mano in un pugno contro il vetro, provando un viscerale malessere: perché, perché l’aveva fatto…? Erano passate due settimane, ormai… ma non passava giorno che non ci pensasse: perché?! Era forse comunista?! Era forse anche lei, nel profondo dell’animo, una perversa assassina?!

Scosse con vigore il capo, mentre gli occhi le cominciavano a farsi umidi: no, lei non era un assassina, non era un mostro…

Nella sua mente tornarono i bambini, lì, a fissare il padre morto in quel modo brutale e improvviso…

Le lacrime iniziarono a colarle per le guance.

E la moglie, in preda ai sussulti…

La musicista non resse più: si lasciò accasciare sul letto e iniziò a piangere, a piangere copiosamente con la testa sul cuscino presa da piccoli fremiti.

Non ce la faceva più… non ce la faceva più a vivere quella vita… lì, in quell’orribile villa con quell’orribile famiglia… senza amici… costretta a un’esistenza vacua e effimera, di cui solo la musica riusciva un poco a darle conforto…

La fanciulla continuò a piangere per qualche minuto, arrivando a tirarsi i boccoli mordendo il cuscino: poi allentò la presa, tremando…

Stup!

Di colpo si tirò un violento colpo sulla nuca.

Biascicò un urlò di dolore soffocato dal cuscino, tremando.

E poi, si calmò.

Pian piano, le lacrime cessarono, così come i sussulti.

Lì, stesa sul letto riversa prona verso le coperte e i cuscini, coi boccoli sfatti e un grosso livido sulle nocche della mano…

“…”

Passò qualche minuto, con la pioggia si faceva man mano più forte e rumorosa.

Poi, una sorta di strana quiete iniziò a farsi strada nell’animo della ragazza… infondo, malgrado tutto, era ancora viva: le sue membra erano ancora al suo posto… tanta gente moriva ogni giorno, lei stessa aveva visto quanto fosse facile cadere al suolo con le cervella dilaniate… eppure, lei ancora era lì, nella sua casetta, viva e vegeta.

Alla radio si sentivano ogni giorno notizie terribili, sul confine delle zone di guerra… di profughi che scappavano privi di tutto, sotto le bombe in condizioni disumane: molti morivano, altri arrivavano orrendamente dilaniati e sfigurati… uomini, donne, bambini proprio come lei, senza più famiglia, affetti e niente se non le loro scarne e ferita membra…

Pensò a tutte quelle donne costrette a prostituirsi per avere da mangiare, a tutte quelle che erano oggetto di orribili dicerie e piangevano i figli sul confine nord africano… pensò ai pazzi e ai degeneri nei manicomi e agli indigenti, agli orfani e alle minoranze religiose perseguitate e a chi veniva torturato e costretto a pene vergognose e scabrose come il dover ingurgitare olio di ricino e avere quindi problemi gastrointestinali…

In quei minuti non si dimenticò di nessuno: non si dimenticò dei proletari costretti a turni di lavoro massacranti e che ogni giorno morivano sul lavoro, ai sindacati repressi dalla polizia in tenuta antisommossa, alle persone malate che non potevano permettersi le cure mediche e morivano in casa, sole e abbandonate, a tutti quei bambini che nascevano malformati e venivano barbaramente uccisi, a tutte quelle povere ragazze costrette a chiudersi in convento e a tutti quei poveri ragazzi costretti a intraprendere la vita da militare…

Ovunque, ovunque andasse con la mente, non vedeva in quel momento che lo specchio di un mondo orribile e terrificante, di una realtà sociale che se indagata nella suo totalità si mostrava così spaventosa da far metter le mani sulle guance e urlare, urlare così forte da deformare il paesaggio e la propria persona, fino a diventare un’anonima caricatura di se stessi che incarnasse tutto l’orrore che l’umana specie creava e perseguiva giornalmente nella cosiddetta “società civile”. 

E in quel momento capì: capì perché aveva aiutato l’assassino.

Se avesse detto alle guardie dov’era scappato quel folle e degenerato criminale, l’avrebbero di sicuro ucciso a sangue freddo con le baionette. O peggio, l’avrebbero catturato e torturato così tanto fino a farlo pregare di ucciderlo.

E a cosa sarebbe servita, quell’ennesima vita umana stroncata dal brutale braccio della legge Francese…? A riportare in vita il padre di famiglia? A portare sollievo alla madre e ai suoi bambini?? A impedire che altri come lui compissero quegli efferati attentati in nome di ideali distorti?! No di certo. 

Per quello… per quello aveva sviato le guardie… per evitare che dopo un brutale spargimento di sangue, ce ne fosse un’altro. Perché, inconsciamente, doveva aver trovato troppo orripilante e inaccettabile che dopo aver scrutato un padre con il cranio sfondato, anche quel giovane coi baffetti potesse ritrovarsi così, con il petto dilaniato dalla lucente lama di una baionetta…

Tanto era latitante, di sicuro solo e rinnegato,ai margini della società, con un esistenza grama e infelice. Così vivevano tutti i comunisti. E a ben pensarci, quella era già una punizione sufficiente…

Annabel alzò lo sguardo: in volto era totalmente rossa.

Si girò, appoggiandosi il braccio sopra gli occhi: ora che era giunta alla consapevolezza di quel suo gesto, si sentiva più quieta… forse non era un mostro… aveva solo voluto evitare un altro morto, in quel mondo già troppo crudele e impietoso…

Già, in quel mondo dove lei stava tanto male… ma a ben pensarci, guardandosi attorno, chiunque stava peggio…

E, riuscendo addirittura a sentirsi un poco fortunata nella disgrazia più buia, la fanciulla pian piano sprofondò nell’incoscienza, facendosi cullare fra le dolci braccia di Morfeo.

“Zzz…”

Adelaide guardò Ada, preoccupata.

“Prima l’ho intravista darsi un pugno in testa e tirarsi i capelli, soffocando delle urla nel cuscino…” mormorò, indicando Annabel da dietro lo spiraglio della porta socchiusa.

La secondogenita dei Watson annuì, silenziosa.

Si sporse e osservò la sorellina pisolare: ne guardò i boccoli sfatti e il viso arrossato, segno che doveva aver pianto disperata, fino a poco prima….

“Dici… dici che è ammalata di isteria…?” domandò Adelaide con un filo di voce.

Ada impallidì: “Non lo dire neppure per scherzo!” esclamò, istintivamente.

La più piccola dei Watson subito si ammutolì, impressionata da quell’improvviso rimprovero tanto severo.

“Scusami, non volevo…” s’affrettò a dire, desolata.

La secondogenita annuì, deglutendo.

Adelaide abbassò il capo.

Ada continuò a scrutare, con un nodo in gola, Annabel dormire sul letto.

“…”

Dopo qualche attimo di silenzio, la secondogenita mormorò: “Tu lo sai cosa succede, se davvero mamma, papà e le nostre sorelle, iniziano a pensare che Abby soffra di isteria…?”

“Cosa...?” mormorò Adelaide, inquieta.

“La fanno internare in un manicomio, ecco cosa farebbero, senza pensarci due volte” rispose truce la secondogenita, stringendo la mano percossa da un’improvviso impeto di rabbia.

La piccola Watson sgranò gli occhi.

“Ho… ho sentito dicerie orribili sui manicomi…” mormorò, spaventata e in cerca di rassicurazioni.

“Sono tutte vere” rispose cupa la secondogenita.

Adelaide impallidì.

“Usano i malati come cavie per strani esperimenti con l’elettricità…” aggiunse, mentre lo sguardo le si ammorbidiva in un’espressione di profonda pena per il male che attanagliava la povera Annabel.

“E ti uccidono…?” sussurrò Adelaide, con il cuore che le batteva forte forte nel petto.

“Dipende…” rispose volutamente vaga la maggiore, che era ben lungi dal voler traumatizzare la piccola sorellina con spiegazioni più precise e orrorifiche.

Poi la prese per mano e le due si guardarono, dritte negli occhi.

“Promettimi una cosa Adelaide: qualunque cosa accada, nessun’altro in famiglia deve sapere di quanto abbiamo visto, capito?”

Adelaide annuì, deglutendo.

“Qualunque” ribadì categorica la secondogenita.

E la bambina annuì, nuovamente.

Ada le accennò un dolce sorriso, poi l’abbracciò forte forte.


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