Frammenti

di scarlett666
(/viewuser.php?uid=96961)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogno ad occhi aperti ***
Capitolo 2: *** Secondo giorno. Come nebbia ***
Capitolo 3: *** Rancore incrostato sul fondo ***
Capitolo 4: *** La mela e...il verme ***



Capitolo 1
*** Sogno ad occhi aperti ***


"Cadaveri, vestiti di tutto punto
mi scorrono innanzi da fretta sospinti
che vita rincorrono
ma morte infine raggiungono.
Ognuni chiuso nella propria piccola (infima) esistenza
bolla d'egoismo socialmente riconosciuta.
Decadenza che ad ogni passo divora le membra.
Gretto esistere privo di scopo.
Dolore reiterato che spegne lo sguardo.
Piccola morte che mangia il cuore.
E la voglia di vivere che scivola via, con le lacrime, dagli occhi."

Senza particolari rimpianti, aggiungerei.

Oggi ho scritto questo, sul cellulare, salvato come messaggio fra le bozze, seduta su una panchina davanti al monimarket del paese.
Giorno di mercato.

Vite che passano, magari arrancano... e senza troppo scalpore se ne vanno. 
Pensionati, per lo più, in una mattina di metà ottobre umida e grigia, così perfettamente uggiosa da sembrare finta.

 Quasi un set da film. 

Deliziosamente deprimente.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Secondo giorno. Come nebbia ***


Ci sono giorni in cui le cose non vanno tanto male.
Lavoro, non penso, e il sorriso dei bambini mi fa pensare che forse non tutto fa così schifo.
I loro abbracci, i baci lanciati con le manine o stampati umidicci sulle guance mi convincono (illudono) di non essere più un rifiuto sociale, qualcosa di profondamente sbagliato o rotto, da buttar via.
Poi ce ne sono altri, giorni in cui vorrei solo gridare tappandomi le orecchie e chiudendo gli occhi.
Urlare nelle orecchie di chi si ostina a non voler vedere o sentire che qui ci sono anche io.
E che a volte cerco di dire qualcosa.
Comunicare.
Forse chiedere aiuto.
Essere vista, riconosciuta.
Ricevere solo sguardi vuoti mi distrugge.
Mi trapassa, da parte a parte come se non esistessi.
Pugnalate al nulla, ripetuti colpi inferti nella nebbia. Per quanto densa, sempre impalpabile.
Ed è così che mi sento: inconsistente agli occhi altrui.
 
 


Immobile osservo, guardo l’altrui vivere, desiderando di morire.
Sparire, dissolvermi nel nulla.
Semplicemente cessare d’esistere.
Così ardentemente come non capitava da anni.
Perché quando si tocca il fondo non è vero che l’unica possibilità è rialzarsi.
Esiste un’altra opzione, di cui nessuno parla.
Sperare di essere caduto con così tanta violenza da esserti rotto l’osso del collo.
Di netto.
Fine.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Rancore incrostato sul fondo ***


Raschiare il rancore incrostato sul fondo
 
Ciò su cui pensavo di poggiare solidamente
La certezza dei miei passi
È fango secco che sgretola al sole
Si sbriciola e, al primo alito di vento
Come polvere se ne va.
 
Non mi capacito ancora
di camminare ogni giorno in equilibrio sul nulla
Sospesa a mezz’aria.
 
Un’esistenza vissuta a strattoni
Come reiterando singhiozzi
In un’asettica stanza vuota
Di bianco poliammide espanso che soffoca in gola
S’allarga negli occhi
E una lampada al neon che arranca
Si spegne e s’accende a singulti
Conati di luce
Vertigini e smarrimento.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La mela e...il verme ***


Ironia della sorte mi porta a pensare che l’unica cosa che una mela matura è in grado di produrre e custodire è…un verme.
 
Questo mito delle due metà della mela che si completano a vicenda mi va decisamente stretto. E se poi penso al maschilismo intrinseco a questa società e al mio essere nata femmina, non posso fare a meno di credere che l’obiettivo sia farmi sentire anche meno di mezza mela. Forse un quarto.
E pure non particolarmente ben reciso.
Quindi ricapitolando: uomo e donna sarebbero stati creati complementari, fatti per completarsi vicendevolmente in un incastro perfetto…proprio come una mela tagliata a metà. E proprio perché solo unendosi arriverebbero a formare un'unica entità perfetta, dalla loro completezza feconda dovrebbe necessariamente generarsi prole.
Frutto d’amore.
L’apice della coppia.
 
Ma se mi sentissi già completa così come sono?
Se il mio compagno non fosse il perfetto incastro di una vita altrimenti incompleta?
Se la nostra relazione fosse l’incontro di due persone indipendenti e autosufficienti?
Se invece fosse una compagna?
Se non volessi avere figli?
Se il fatto di non volerne non mi facesse sentire meno donna o non rendesse la mia vita meno piena?
 
Per carità, non mi si fraintenda, non è che nessuno mi si sia mai presentato ponendo domande insistenti o pretendendo che vivessi la mia vita in modo diverso da come la vivo. Però è innegabile.
Non è possibile ignorare gli sguardi, lo storcersi delle labbra innanzi alle mie risposte, le risatine e gli occhi sgranati.
Sono queste le cose che logorano, che scavano lentamente goccia dopo goccia colpendo sempre nello stesso identico punto.
 
Finchè sei giovane, va beh, magari stai sperimentando, devi trovare la tua dimensione, sei in cerca dell’indipendenza, un briciolo di ribellione ci sta.
Esci di casa… ma come? Vivi con un’amica? Solo voi due? E il fidanzato? Non potevi sposarti e andare a vivere con lui? Le tue amiche lo stanno facendo quasi tutte.
E tu? Studi. Un altro master. Un lavoro scomodo. Troppo impegnativo per una donna.
 
Arrivano i trent’anni, cominci ad essere un po’ meno giovane.
Le amiche, quelle sposate, hanno messo su famiglia. Fanno figli, anche due o tre.
Tu? Ah, ti sei fatta i capelli verdi.
Hai comprato casa però. Da sola. Un compagno ce l’hai, ma invece di pensare alla famiglia hai altri progetti. Vuoi realizzarti.
Egoista!
Quando arriverà il momento capirai.
Guarda che l’orologio biologico corre.
E se poi te ne penti?
 
Ora, sono certa che la maggior parte delle persone sia convinta di agire a fin di bene e creda fermamente in ciò che dice. Ciò però non li rende detentori del verbo assoluto. E nemmeno li autorizza a dispensare consigli non richiesti. Per carità, sono felice che le loro scelte di vita li faccia sentire appagati e completi, ma non sorge mai loro il dubbio che non sia l’unico modo possibile? Che esistano altri scenari, altre possibilità altrettanto degne di rispetto?
 
Perché il desiderio di realizzarmi lavorativamente e personalmente deve farmi sentire egoista?
Perché la mancanza di desiderio di avere figli deve farmi sentire un esemplare di femmina di essere umano difettoso?
Perché più passa il tempo e più si fa spazio in me la terribile sensazione di essere fuori sincrono rispetto ai miei coetanei? Come se negli ingranaggi del mio orologio biologico si fosse rotto qualcosa, qualche dente fosse saltato facendo perdere scatti a tutto il meccanismo.
 
 
Ed eccoci alla fine di questo breve percorso. Che dire… capitolo differente dagli altri, è vero. Ma del resto è giusto che sia così, considerando che fra i primi tre capitoli e questo sono intercorsi almeno cinque anni. E’ diverso perché io sono diversa. Come accennato nell’introduzione, questo è il diario di una suicida mancata…e quindi sono ancora qui. Prendere in mano la mia vita mi ha permesso di risolvere parte di ciò che mi faceva stare così male, anche se non tutto.
Avevo comunque necessità di condividere, in un certo senso “buttare fuori” pensieri ed emozioni di allora. Dunque grazie per aver letto sin qui ed un ringraziamento ancora più  sentito a chi deciderà di fermarsi per lasciarmi un commento, anche solo un pensiero.
Scar

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3669530