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di YoungAvengersLover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Apocalisse ***
Capitolo 2: *** La Guardia ***



Capitolo 1
*** Apocalisse ***


Era tutto cominciato con una ricerca. Una semplice ricerca, nulla di più e nulla di meno. Ma quella ricerca aveva aperto una nuova era dell'epoca espansionistica di J'Kahl. Era un pianeta sconosciuto ai molti, ma molto prosperoso, sia inteso come natura che come impero. Poco tempo prima però, l'impero Kyrux aveva conquistato la Capitale del loro impero, quel pianeta sconosciuto abitato da a malapena 3 miliardi di persone, poiché pochi potevano permettersi una vita lì. Inoltre, tutte le nascite erano controllate dall'Imperatore, quindi non potevano superare un dato numero.

Quando la notizia della conquista si diffuse, due amici raccolsero tutti gli abitanti rimasti e la maggior parte dei tesori viventi nel palazzo che si erigeva al centro della città e scapparono alla ricerca di un nuovo pianeta, una nuova casa. Non erano in molti- circa un centinaio- e i due salvatori, Shatr-Kon e Vyath-Xam, trovarono un pianeta con caratteristiche simili a quello natale, rimasero lì per un po', integrando in segreto le specie che avevano portato da J'Kahl in quel nuovo ambiente. Scoprirono in seguito che gli abitanti di quel pianeta non erano uguali a loro, avevano diverse imperfezioni o timori, come li chiamavano loro. Avevano paura di quella nuova cultura, così nascosero tutta la loro società dentro caverne o luoghi inesplorati e aspettarono. Aspettarono che la loro cultura venisse accettata, che quella specie- la specie umana, come venivano chiamati- li accettasse. Ma ciò non accadde presto e aspettarono ancora, e ancora, e ancora.

Un giorno però, Shatr-Kon trovò una delle loro creature più innocenti e preziose, un Sagrie, uccisa e privata del suo corno. Nel lasso di tempo che passò dall'uccisione al ritrovamento, gli altri Sagrie avevano bevuto il suo sangue per via di una ragione inspiegabile e, nel momento in cui l'uomo arrivò sul luogo, erano stati tutti contaminati. Il loro pelo bianco e lucente era diventato nero e spelacchiato, pieno di macchie di sangue su di esso, i loro occhi azzurri erano diventati rossi come il sangue ed erano incapaci di sbattere le palpebre, il loro corno sembrava più appuntito, come se fosse un'arma mortale, ed erano molto più possenti, più pesanti, più mortali.

Tuttavia gli obbedivano. Quando ordinò di seguirlo, loro lo fecero. Questo era un aspetto positivo, ma cos'avrebbe detto a sua figlia? Era il suo adorato Jylor che era morto, trasformando tutti gli altri. Non l'avrebbe presa bene e lui lo sapeva. Quello che non sapeva era che due settimane più tardi, gli esseri umani si sarebbero spinti fino al loro accampamento, uccidendo gran parte della popolazione presente, credendola un mostro. Tutti, a parte Shatr-Kon e Vyath-Xam che, quando tornarono dalla caccia, guardarono con terrore il quadro macabro di fronte a loro. Non c'erano più corpi definiti, solo piccole parti di essi disperse per l'accampamento. Per primo Shatr-Kon decise di migliorare quella razza bruta e crudele per il bene delle generazioni future di quel pianeta, che gli pareva condannato all'autodistruzione. Con uno sguardo veloce, vide che il suo compagno era d'accordo, anche se non gli rivolse parola.

Per poter attuare il loro piano, però, avevano bisogno di uniformarsi a quella società, così crearono un dispositivo che li facesse sembrare umani, in modo di non dare troppo nell'occhio.

Shatr-Kon si ritrovò con i capelli dorati, tra biondi e bianchi, la classica pelle rosea e gli occhi marroni. Dedusse di sembrare un uomo anziano, non giovane, ma comunque non prossimo alla morte. Dopotutto aveva 1579 anni, era ancora nel pieno della sua vita.

Vyath-Xam, invece, sembrava più giovane del primo- cosa che era, visti i suoi 1286 anni- e aveva i capelli color nero pece, gli occhi marroni e la pelle molto più chiara rispetto all'amico. Sembrava quasi un cadavere, ma non si lamentò. Con il tempo passato sulla Terra- così veniva chiamato quel piccolo pianeta- si era appassionato alla musica che veniva definita emo, e da tempo voleva sembrare quel cantante, Gerard Way, quando lo vedeva esibirsi. Non era esattamente uguale a lui, ma sembrava un cadavere e aveva i capelli neri, quindi andava bene.

Con questi aspetti, i due cambiarono anche nome: Dustin Dun e Mikey Ross. Credevano sarebbero andati bene per operare nella Londra del 2010, e così fu. Divennero stimati politici e uomini ricchi e potenti senza troppi sforzi, mantenendo quest'immagine fino al 30 Novembre 2158. Quel mondo non era andato avanti e non lo avrebbe mai fatto, anche perché i due stavano facendo di tutto per impedirlo. Se non volevano che la situazione si evolvesse, non l'avrebbe fatto, né in quel momento né mai. Però quella data fu incisa dappertutto, nelle menti di tutti, su tutti i muri, su tutte le vetrate, su tutta la Terra. Perché, si chiesero le generazioni successive. La risposta dei più anziani era sempre la stessa: "è stato l'inizio della fine".

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Era ormai il 2188, e diverse persone avevano vissuto la tortura che era quella vita, ormai controllata in ogni singolo aspetto da Dustin Dun e Mikey Ross. Tutti conoscevano i loro nomi, e tutti li temevano e li rispettavano. Nessuno era mai andato loro contro, sapevano di otteneere la fine se mai l'avessero anche solamente pensato.

In questo lasso di tempo, erano state istituite delle strutture dove venivano addestrati pochi eletti, la maggior parte ragazzi tra i dodici e i diciotto anni, ma alcuni arrivavano ai ventuno. Queste costruzioni, denominate poi "Le Fortezze", avevano come guardie degli esperimenti finiti male, chiamati comunemente Terroristi poiché incutevano terrore per i loro occhi completamente bianchi, la loro voce spiritica e la pelle squarciata. Venivano tenuti alla Capitale, che si trovava sopra le macerie della Londra di tanto tempo prima, per poi essere mandati nelle diverse locazioni. Dalla Capitale si emulavano leggi e obblighi per gli abitanti delle Fortezze e venivano distribuite tutte le autorità ritenute necessarie per dirigere una di esse. Quest'ordine non includeva solamente i Terroristi, loro erano solo gli operai che osservavano e intervenivano quando un ragazzo ritenuto particolarmente importante era sul punto di morire. Gli elementi più importanti erano, invece, la Guardia e il Cieco. Erano due personaggi di rilievo anche alla Capitale, ritenuti tali dai due governatori. Il primo faceva da braccio al secondo, che sceglieva accuratamente un ragazzo da prendere alla Capitale per condurre esperimenti su di lui. Di solito non tornava nessuno, infatti William Küng fu il primo, nel Marzo del 2186. Tornò dalla Capitale, ma con diversi problemi psicologici: gli fu infatti diagnosticata ansia patologica, depressione ed ebbe diversi attacchi di panico in periodi differenti, che dipendevano da motivazioni diverse.

Nonostante ciò, andò tutto per il verso giusto e nessuno si fece domande. Nessuno, a parte Alex Green, caro amico di William. Lui si chiese diverse cose: come mai era così cambiato? Perché era tornato? Perché tra tutti avevano preso lui? Perché aveva quei problemi solo adesso? Che gli avevano fatto là?

Provò a chiederglielo più volte, ma lui cambiava sempre argomento. Ormai aveva smesso di provarci, ma non aveva smesso di preoccuparsi per lui. Ogni volta che sembrava strano, che si sentiva male, che i Terroristi lo portavano via per fargli chissà che cosa, lui si preoccupava. Voleva aiutarlo, ma era consapevole di non poterlo fare. Tutto perché quel vecchio Cieco e quella Guardia antipatica avevano deciso che valeva più di tutti gli altri e chissà cosa diamine gli avevano fatto in quella città orrenda. Non era più lo stesso. Era come se fosse un'altra persona. E lui doveva scoprire perché, a costo di morire. Doveva scoprire perché William Erik Küng non era più sé stesso.

Purtroppo, le continue risse nella struttura non lo aiutavano. E ancora meno, il fatto che a cominciarle fosse Peter David Foster. Che aveva da poco cominciato a chiamare il suo migliore amico. Ma nemmeno un miracolo divino avrebbe potuto farlo smettere di picchiare le persone che voleva, come voleva e quando voleva. Dopotutto era famoso per quello, ed era per quel motivo che raramente venivano trasferite persone da altre strutture. Duravano relativamente poco, se a Peter non andavano a genio. O se non veniva fermato, cosa che la Capitale non faceva. Ormai, la struttura del New Jersey era stata riconosciuta come l'Inferno dalla maggior parte della gente, non solo esterna, ma anche interna. I Terroristi non badavano ai ragazzi lì dentro, erano i peggiori della Capitale, e intorno alla Fortezza c'erano quelli che venivano riconosciuti come gli "Unicorni Neri", a volte chiamati con il loro nome originale, Sagrie. Non sapeva da dove venisse, ma gli pareva più dolce, più raffinato, cosa che loro non erano affatto. Erano forse le creature più pericolose dell'America del Nord: intelligenti, astuti e mortali. Escogitavano il modo migliore per uccidere una persona, basandosi su quanto male aveva fatto nel corso della sua vita. Alcuni dicevano che vedevano l'anima delle persone. Alex non ci credeva, ma era affascinato da queste creature tanto quanto ne era disgustato.

Alla fine, però, facevano il loro dovere: tenere a bada le persone dentro la struttura e non lasciarle scappare. Nemmeno Peter aveva mai provato a fuggire, nonostante fosse un ragazzo naturalmente ribelle. Aveva capito che per rimanere vivo doveva restare lì dentro. Poteva benissimo continuare a sopravvivere come aveva sempre fatto, temuto da tutti, visto che non si muoveva da dov'era da dieci anni.

Nessuno aveva mai lasciato l'edificio, e nessuno mai lo farà.

Di questo era certo, era l'unica cosa su cui era davvero sicuro: moriranno tutti tra quelle quattro mura.

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Capitolo 2
*** La Guardia ***


«Andiamo, l’hai fatto apposta!»
«Non è vero! Sai bene che è stato un incidente!»
«Certo, per caso mi hai accoltellato come Scott la settimana scorsa!»
«Andiamo ragazzi, basta. Sembrate due bambini.»
«No Alex, lui deve pagare per quello che ha fatto!»
«Peter, ti prego, fermati. Non andrai da nessuna parte così.»
«Non ci andrò nemmeno se sto fermo, se è per questo. Almeno aiuto l’umanità eliminando rifiuti come lui!»
«Peter!»
Litigi come questi erano comuni in quei giorni, Peter stava diventando mano a mano sempre più violento, e picchiava chiunque osasse guardarlo. Alex era l’unico che tentava di fermarlo, visto che Winter era sempre più spesso in camera sua e Lily lo incitava quasi. Non sapeva nemmeno perché lo stesse facendo. Diamine, prima era molto più tranquillo. Per quanto potesse esserlo un maniaco omicida sadico sedicenne con alle sue spalle oltre venti omicidi in tre anni.
Cosa devo fare con lui? si chiese Alex, facendo passare la mano nei suoi capelli biondi, esasperato. Il suo amico era intrattabile a quel punto, aveva già iniziato a prendere a pugni il suo obiettivo, un ragazzo nuovo di nome Daniel. Lui non sapeva quello che sapeva e aveva bisogno di fare Peter, e di certo non se lo poteva immaginare. Lui l’aveva solo guardato. Come al solito, fu Alex a prendere l’iniziativa, i Terroristi non l’avrebbero fermato, il loro lavoro era soltanto accertarsi che non scappassero.
Il biondo prese per la pancia l’amico, e questi prese paura, lasciando il suo bersaglio. Alex lo trascinò via, mentre il moro che teneva stretto diceva sempre più parolacce. «Cazzo, lasciami andare, Dio santo!» gridò fino a quando i due non arrivarono in camera loro.
Peter venne sbattuto sul letto freddo come l’acciaio, ma subito si rialzò per prendere a pugni il compagno, voleva vendicarsi. Il biondo schivò abilmente il pugno, e diede un calcio in piena pancia all’amico, che cadde sul pavimento. Il moro guardò l’altro con gli occhi marroni così arrabbiati che sembrava volesse ucciderlo, sventrarlo lentamente, pezzo dopo pezzo. Alex se ne accorse, e velocemente lo attirò verso il suo lato della stanza, dove c’erano alcuni coltelli che potevano tornargli utili. Peter scattò in avanti e, come risposta, Alex indietreggiò. Il moro cercò di ferirlo con diversi calci alla parte superiore del corpo, ma l’altro riuscì a pararli con le mani, esattamente come facevano in allenamento. Il suo letto era molto vicino adesso, ma si distrasse per un secondo pensando a questo e Peter lo colse di sorpresa, facendo ruotare la gamba fino dietro le sue caviglie. Alex cadde di schiena, e il moro lo immobilizzò piazzando una mano sul suo petto. Immaginava già cosa voleva fare, così mise una mano di fronte al suo viso, nel lato sinistro, con il palmo rivolto verso il suo aggressore. Pochi millisecondi dopo, Peter si ritrovò il pugno bloccato dalla mano dell’amico. Così, Alex poté spostarlo con una gomitata sulla spalla sinistra, che lo scaraventò al suo fianco, verso destra.
Il biondo ne approfittò per alzarsi in modo goffo, e prendere il coltello sotto il suo cuscino. Peter si alzò con fatica, ma si ritrovò un coltello al collo, con dietro il suo amico. Lui alzò le mani in segno di resa, e rise.
«Basta, Peter.» disse Alex, con una piccola nota di affanno nella voce. «Non volevo arrivare a tanto, ma non mi hai lasciato scelta. E mi dispiace.»
«Volevi farlo, andiamo, lo so Alex.» rispose pronto l’altro, apparentemente senza paura di avere un coltello puntato alla gola. «Sei sempre stato il migliore tra noi due, ma non hai mai avuto il coraggio di ammetterlo.»
Il biondo si sentì quasi attaccato, ferito al cuore dall’amico. «Io non ho mai-»
«Ucciso qualcuno? Oh, lo so.» completò la frase per lui, ridacchiando sotto i baffi. «Ma se l’avessi fatto, avresti ucciso il doppio di me. Quaranta morti in tre anni. Sai che record?»
«Piantala. Non è uno scherzo.» lo rimproverò il biondo, severo. Con un grugnito di ribrezzo, allontanò l’arma dall’amico e lo spinse in avanti. Non voleva abbassarsi certo al suo livello.
«Certo che no.» ammise, allontanandosi da Alex lentamente. Quasi con fare altezzoso, come se sapesse di poterlo uccidere da un momento all’altro. Il che era vero. Non sapeva certo perché non l’avesse ancora fatto. Quel ragazzo era davvero un mistero. Poteva ucciderlo con poco, perché non l’aveva ancora fatto? Erano domande senza risposta, e tali rimarranno per un bel po’.
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Zolfo. Polvere. Sporco.
Come poteva l’aria odorare di tutte queste cose messe insieme? Diavolo, nemmeno lei lo sapeva. Era la prima volta che usciva all’aperto, che cambiava sede. Quella vecchia era esplosa, ed erano sopravvissuti in due. Lei e Kledi Wilkinson. Era un bravo ragazzo, ma era magro. Diamine, se lo era. Avesse azzardato una stima, avrebbe detto trenta chili al massimo. Per una persona alta uno e settanta non era il massimo, diciamo.
Li avevano presi poco dopo l’incidente, e adesso stavano aspettando qualcuno in mezzo al nulla. Con loro c’erano due Terroristi, che avevano il compito di non lasciarli scappare, come al solito. Questi due erano messi persino peggio del resto, avevano la pelle vecchia e lacerata, prevalentemente grigia, come se fosse morta da tempo e si dovesse tramutare in polvere. Non sapevano cosa o chi stessero aspettando, ma una cosa era sicura: qualcuno li doveva venire a prendere.
Notò che il ragazzo biondo di fianco a lei stava tremando, così si tolse la coperta che le avevano dato per calmarsi dallo shock (che non sapeva nemmeno a cosa le dovesse servire) e la diede a Kledi. Lui la guardò spaesato, poi strinse a sé il regalo della ragazza, come se fosse l’unica cosa che avesse al mondo. L’unica cosa che importasse davvero. Quand’è stata l’ultima volta che si era sentita così? Non se lo ricordava nemmeno. Ma ricordava per cosa: Picciotto. Se lo ricorda bene lui, un piccione dalle piume grigiastre, il verso caratteristico di tutti i piccioni, talmente adorabile che gli unicorni erano nulla in confronto a lui. Si era fatto male a un’ala, e suo padre pensò bene di tenerlo in casa per un po’ e curarlo. Lei ci giocava spesso con quella creaturina, la teneva tra le mani e la accarezzava. Ci passava interi pomeriggi. Poi se ne dovette andare. Era guarito, era giunto il momento che riprendesse la sua vita. Poco dopo, gli unicorni invasero il New Jersey. E i suoi genitori morirono, suo fratello pure, e lei fu trasferita in una struttura, a New York. Lì la vita fu difficile. Si fece degli amici, ma erano ancora in fase di smaltimento. Quindi incontrò una certa Lily, con la quale perse i contatti pochissimo tempo dopo, e poi conobbe Jessica. Con lei rimase fino a quando compì dodici anni. Poi fu chiamata alla Capitale dal Cieco, un vecchio che passava da loro tutti i mercoledì. Da allora non la rivide più.
Smise di pensare al suo passato quando una macchina piuttosto costosa- o almeno, sembrava che lo fosse- si fermò di fronte a loro. I Terroristi li spinsero dentro, e Kledi riuscì a sedersi di fianco al guidatore, un uomo massiccio con occhi e capelli neri, che salutò le due persone che avevano aspettato lì con loro. Lei, invece, si sedette- o meglio, si scaraventò- vicino a un uomo intorno alla trentina, dai capelli marroni che teneva in mano un bastone da cieco. Probabilmente lo era.
La ragazza si sedette normalmente, cercando di sembrare una persona normale, anche se sapeva di non esserlo. Aveva cambiato il suo nome in Kane Pigeonson, quanta normalità poteva esserci rimasta dopo quello?
«Jackson, vai nel New Jersey. Oggi è domenica, dobbiamo andare là.» disse il moro vicino a Kane, parlando probabilmente con il guidatore. Lui fece semplicemente un cenno con il capo, sorridendo, e iniziò a guidare verso la loro destinazione.
La ragazza si sistemò i capelli mori dietro l’orecchio sinistro e mise le mani sotto le cosce, come per scardarsele. Poco dopo, notò che la macchina si era fermata. Vide l’uomo massiccio che si slacciava la cintura, scendeva dalla macchina e apriva il baule, per poi rientrare di nuovo nella macchina e dare una coperta di lana al ragazzo seduto vicino a lui. Lui si coprì per bene sussurrando un flebile “grazie”, a cui l’uomo rispose con una carezza sui capelli biondi del ragazzo. Lui tese leggermente i muscoli, ma glielo lasciò fare. In fondo, gli piaceva, ma era spaventato.
«Come ti chiami, ragazzo?» chiese a un certo punto Jackson, dopo aver messo in moto la macchina. Lui arrossì leggermente, e se non fosse stato per quello, sia Kane che Jackson avrebbero giurato di star parlando con un cadavere vivente.
«K-Kledi. Kledi Wilkinson.» rispose lui, affondando sempre di più il viso dentro la coperta marrone che l’uomo gli aveva dato. Era tenero, Kane doveva ammetterlo. Era davvero tenero. E dal modo in cui lo guardava Jackson, poteva immaginare che lo pensasse anche lui.
«E tu, ragazza?» chiese ancora, rivolgendosi alla ragazzina mora questa volta. Kane quasi rimase sorpresa. Non si aspettava di essere interpellata. Stava guardando il cieco, e non riusciva a togliergli lo sguardo di dosso. Era come se non potesse smettere di guardarlo. Ma rispose comunque.
«Sono… Kane. Kane Pigeonson.» rispose, leggermente persa nel suo mondo. Quasi sempre suonava così, ne era consapevole. Andando in un’altra dimensione era tutto più semplice. Spesso e volentieri si era più felici. Il Cieco rise a quella risposta. Non sapeva come o perché, ma quel sorriso era diverso dagli altri, era più rassicurante, confortante, sicuro.
«Sarebbe il tuo vero nome?» chiese curioso Jackson, ridacchiando. Lui però, non voleva dare nell’occhio, e nascose la sua risata. «Se lo è, i tuoi genitori erano matti.»
«No, è come mi faccio chiamare. Preferisco che la gente mi chiami così.» spiegò.
«Posso chiedere perché?» intervenne l’uomo di fianco alla ragazza, con fare curioso. La sua voce era calma e tranquilla, e traspariva un leggero accento inglese, proprio come quello di Kledi. Solo che il suo era più morbido. Non sapeva nemmeno come facesse un accento a essere morbido, sapeva solo che lo era.
«Perché mi piace.» rispose semplicemente lei, guardando i suoi occhi marroni. Erano color nocciola, sembrava che un tempo ci potesse vedere. Ma dev’essergli successo qualcosa.
«Ma perché Pigeonson?» chiese ancora, insistente.
«Mi piacciono i piccioni, e li proteggerei sempre e comunque.» rispose ancora, velocemente, in modo che non potesse dire delle cose strane. Non voleva che la etichettasse come pazza. Aveva lo stesso potere dell’ambasciatore degli Stati Uniti quell’uomo.
Lui però si voltò senza dire una parola, e così fecero fino al loro arrivo. Non appena uscirono dalla macchina, il Cieco tenne lontani dalla macchina i due ragazzi, mentre Jackson sparse della benzina sulla macchina e la fece esplodere. Il biondo e la mora li guardarono increduli, ma non ebbero il tempo di fare domande: l’uomo li stava già trascinando dentro la struttura alle loro spalle.
---
“Respira profondamente. Concentrati. Elimina tutto. Non pensare a nulla.”
Cadde una penna dal tavolino sul lato sinistro della stanza, e si sentì un tonfo.
«Accidenti!» gridò William, scossando la testa. I capelli castani gli caddero davanti agli occhi, e se li spostò con cautela sul lato destro della fronte. Sbuffò arrabbiato e si rimise gli occhiali che aveva appoggiato sul suo letto, per poi sdraiarsi sul pavimento ghiacciato. Rabbrividì quando la sua pelle entrò in contatto con quella superficie così fredda, ma non gli dispiaceva stare lì, in quella posizione. Guardare il soffitto gli dava una sensazione di libertà, anche se per pochi secondi. Immaginava di essere ancora con la sua famiglia in Svizzera e in Italia, di potersi svagare. Ma poteva farlo solo una volta all’anno, e mancavano ancora tre mesi.
Con un sospiro si mise a sedere, e guardò la sua mano. Le vene erano ancora pronunciate sulla pelle, e si intravedeva ancora con distinta chiarezza il colore bluastro che assumevano quando meditava. Non sapeva cosa gli avevano fatto alla Capitale, ma di sicuro era successo qualcosa al suo corpo dopo quello. Gli avevano iniettato qualcosa, non poteva aver sviluppato quelle capacità dal giorno alla notte come se nulla fosse. Per il momento, nessuno se n’era accorto, e non era sua intenzione renderlo pubblico. Chissà per cosa l’avrebbero scambiato, anche i suoi amici. L’avrebbero abbandonato.
Una volta che il bagliore della sua mano sparì definitivamente, si adagiò sul letto e si mise le mani davanti al viso, sollevando gli occhiali sulla fronte e spostando i folti capelli color nocciola dagli occhi.
«Quanto tempo è passato da allora?» chiese una voce, dalla porta. William scattò in piedi, quasi come se qualcuno lo avesse beccato a fare qualcosa di proibito dalla legge. Davanti alla porta vide una ragazza dai capelli color marrone scuro, quasi nero, che lo salutava leggermente stranita. I suoi occhi cristallini vagavano per la stanza, senza una meta ben precisa. Poi si fermarono sul ragazzo, che si avvicinò per farla entrare e chiudere la porta alle sue spalle. Se lei sapeva quello che era, meglio che non lo sapesse nessun altro.
«Sai di tutto, Lily? Dei poteri, degli esperimenti?» chiese lui, sicuro di quello che diceva. Ma evidentemente, la ragazza non lo immaginava nemmeno, visto che lo guardava con sguardo confuso e perso. William si maledisse in sei lingue diverse, doveva immaginare che era all’oscuro di tutto. Era davvero tanto stupido?
«Non fino a due secondi fa. Ma ora lo so! Grazie mille, Billy, davvero.» rispose lei, nascondendo una risata divertita. Era astuta quella ragazza, di certo molto più di lui, anche se non lo dava a vedere. Faceva finta di essere ignorante, ma in realtà sapeva più di tutti quelli nella struttura. O perlomeno, per lui è sempre stato così. Non importava quanto si sforzasse, lei era sempre un passo davanti a lui.
«Ti detesto.» disse lui, senza pensarci troppo su, per poi sbuffare e voltarsi da un’altra parte. Lei rise, contenta di aver svelato il grande segreto dell’amico, e si avviò verso il letto di William, sdraiandocisi sopra. Il ragazzo non fece nulla per fermarla, non era certo la prima volta che si comportava così con lui e, a essere sincero, a lui piaceva venir trattato in quel modo.
«Quindi che puoi fare? Puoi volare, o leggere nella mente, o renderti invisibile? Quel tipo di cose da fumetto americano?» chiese lei, curiosa come non mai. Se c’era una cosa che Lily era, quello era l’essere curiosa. Non avrebbe mai scoperto qualcosa senza chiedere qualcosa a riguardo. William rise, divertito dalla faccia così strana dell’amica. Era un unione tra l’espressione felice e quella di chi vuole sapere qualsiasi cosa su una certa cosa. E lei non sarebbe andata via se prima lui non le avesse detto tutto su quell’argomento.
«Non lo so con certezza, ma credo di poter fare quasi tutto. Non ho provato, ma se desidero fare una cosa e mi concentro, riesco a farla.» spiegò lui, gesticolando velocemente con le mani. Lily abbozzò un sorriso, divertita da quanto poteva sembrare leggermente impacciato.
«Quindi sei, tipo, un mago? Uno stregone, puoi fare quello che ti pare.» cercò di indovinare lei, contenendo la gioia che stava provando in quel momento. Uno dei suoi migliori amici è un mago! Non tutti i giorni capitano cose del genere, e non di certo a loro. Era già un miracolo se avevano festeggiato i loro compleanni.
«Più o meno… credo.» disse lui, sedendosi di fianco a lei sul letto. Gli serviva davvero un posto dove sedersi e riposarsi. «Senti, è difficile da spiegare. Sono così da un paio d’anni, non ricordo nemmeno com’è girare senza guardarsi bene le spalle persino dalle persone che sarebbero tuoi amici!» confessò, quasi urlando. Lily sorrise, e gli mise una mano sulla spalla sinistra, la più vicina, come per rassicurarlo e confortarlo.
«Andiamo, Billy, hai i poteri di un mago! Come puoi avere tanti problemi? Se non ti accettano, costringili!» suggerì la mora, alzando le mani al cielo euforicamente. Nessun altro faceva mai così, lei era davvero l’unica a vedere tutto dal lato positivo. Nemmeno poteva immaginare come potesse essere possibile. In un mondo così cruento, come poteva una ragazzina guardare sempre il lato positivo in tutto? Pensava di ammirarla per questo.
«Andiamo, Lily, sai che non posso farlo.»
«Perché no? Puoi fare tutto, l’hai detto tu stesso!»
«Sì, ma ho dei limiti. E non parlo dei poteri, ma dell’etica che mi sono detto di seguire. Non posso costringere persone a fare ciò che non vogliono fare e-»
I due vennero interrotti dalla porta sbattente di camera sua, che si aprì rivelando una figura dai capelli biondi e un fisico snello. Era Alex. Con uno sguardo deciso, fece cenno ai due di seguirlo, facendo capire ai due che era profondamente importante che gli obbedissero.
Lo seguirono fino alla stanza comune, dove un uomo, non oltre la quarantina, aveva in mano un bastone e li squadrava uno a uno. Guardandosi intorno, William notò anche due presenze nuove: una ragazza mora e un ragazzo biondo, troppo magro per i suoi gusti. Ma non ci fece caso, anche se voleva avvicinarlo. Se quello che aveva davanti era davvero il cieco, era meglio stare al proprio posto.
«Ascoltatemi tutti!» gridò l’uomo cieco, a squarciagola. La stanza, già troppo silenziosa, piombò in un silenzio tombale. L’ultima volta che qualcuno aveva parlato sopra la voce del cieco, era finito nel menù delle Fenici Imperiali. «D’ora in avanti verrò io la domenica qui, l’altro cieco ha avuto un… imprevisto.» spiegò, concordando tutti su chi era e cos’era venuto a fare lì. Si girò poi verso un uomo robusto dietro di lui e lo indicò. «Quello dietro di me è Jackson, la nuova Guardia.» disse ancora, incutendo timore in tutti gli animi lì presenti. Gesticolò poi verso i due sconosciuti. «I due nuovi compagni che avrete qui si chiamano Kane Pigeonson e Kledi Wilkinson, dalla struttura di New York che è stata malmessa e resa non operativa. Di conseguenza, vi invito ad accoglierli tra voi. Questo è tutto, riprendete quello che stavate facendo.» concluse, voltandosi e iniziando a parlare con la Guardia.
Non avevano mai cambiato un cieco, si diceva che loro fossero immortali. William, come molti altri in quella stanza, si chiese cos’era venuto a fare lì, e perché, ma non ne ebbe il tempo: due Terroristi lo trascinarono in una stanza, i loro passi furono sovrastati dalle urla del ragazzo, che sapeva di gridare inutilmente.

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