Una nuova vita

di TenouHaruka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una scelta avventata? ***
Capitolo 2: *** Una fine, un inizio ***



Capitolo 1
*** Una scelta avventata? ***


Michiru si svegliò lentamente, rendendosi conto in un attimo di trovarsi in una stanza che non conosceva.

Cercò di muoversi e tirarsi sul dal letto, ma il dolore al braccio e alla schiena le impedì di sollevarsi sui gomiti. Era stata ferita durante l’ultimo combattimento con un mostro, per proteggere Haruka da un attacco improvviso. Dopo aver sconfitto il mostro, Michiru aveva parlato a Haruka della loro missione e del destino di guerriera Sailor, oltre ad averle rivelato le ragioni del suo interessamento a lei… ma, riguardo a cosa era accaduto poi, non ricordava alcunché. Quanto tempo era passato da allora?

La stanza era illuminata dalla luce che filtrava dalla tenda alla finestra, presumibilmente era mattina. La giovane notò che i suoi vestiti erano stati ordinatamente sistemati su una sedia vicina alla parete, al loro posto ora indossava un ampio pigiama maschile; le sue ferite erano state medicate e fasciate con cura.

Nell’attimo stesso in cui Michiru si rese conto, con un certo imbarazzo, che si trovava nella camera di Haruka, la porta si aprì, e la giovane pilota fece il suo ingresso.

“Ti sei già svegliata… allora, come ti senti?” chiese Haruka avvicinandosi al letto. La sua espressione era sinceramente preoccupata, notò l’altra, osservandola un attimo prima di risponderle. Aveva anche gli occhi stanchi… gli occhi di qualcuno che non ha dormito molto.

“Sto… sto bene… ti ringrazio infinitamente per esserti occupata di me.” rispose educatamente, pur consapevole di avere il volto in fiamme.

“Ieri pomeriggio eri molto provata, hai perso conoscenza… ti ho portata a casa mia e ho provato a chiamare da te, ma la segreteria diceva che non ci sarebbe stato nessuno per un po’ di giorni… poi ho pensato che comunque, essendo sabato sera, non sarebbe stato difficile per te sostenere di essere rimasta a dormire fuori…”

“Figurati! Tanto i miei genitori sono in tournée in Europa, e li sento molto di rado, quando… riescono a telefonarmi.” rispose Michiru, con un’espressione triste. Haruka sentì che la risposta sottintendeva qualcos’altro, ma fece finta di niente e riprese a parlare.

“Le tue ferite non erano profonde come sembravano, per fortuna, ma è meglio che tu resti a riposo per un altro po’… ieri sera hai anche avuto la febbre, ma è scesa nel corso della notte. Hai bisogno di niente? Per la verità dovresti mangiare un po’, per recuperare le forze…”

“Ti ringrazio, Haruka-san, ma…”

“Niente ma. Vado a preparare qualcosa…” replicò Haruka, lasciando la stanza.

Michiru aveva la nettissima sensazione che Haruka si comportasse a quel modo solo per gratitudine, o per obbligo… era molto distaccata, composta, formale… certo doveva essere molto confusa, dopo gli avvenimenti e le scoperte del giorno precedente. Aveva accettato di condividere la sua stessa strada di battaglie e responsabilità, senza pensarci abbastanza. Da un lato Michiru era contenta di quella decisione, perché così non sarebbe stata più sola, ed era proprio Haruka la sua compagna; ma dall’altro era dispiaciuta per lei, temeva che potesse pentirsi di aver perso la propria libertà per seguire un sentiero difficile e pericoloso.

Era proprio il suo spirito libero, indipendente e sicuro che l’aveva affascinata. Da quando l’aveva vista casualmente correre in auto per la prima volta, aveva ammirato il suo sguardo fiero, risoluto, la sua decisione. Per un attimo aveva incrociato il suo sguardo, ed era come se l’avesse penetrata… ma aveva anche intravisto un senso di grande solitudine, in quei profondi occhi color verde di Prussia.

Era rimasta come folgorata… un senso di istintiva attrazione, la volontà di conoscerla, di scoprire il motivo di quella solitudine. Aveva raccolto notizie su di lei, aveva assistito a ogni sua gara, poi era riuscita e conoscerla di persona, attraverso la sua amicizia con Elza Gray.

E ora… ora aveva la sua missione in comune con lei… prevenire la fine del mondo con l’intervento del Messia, senza potersi mai fermare un attimo e guardare indietro, avendo rinunciato al proprio futuro per il futuro dell’umanità.

Adesso avrebbe avuto modo di frequentarla. Ma forse era proprio questa la parte più difficile: perché c’era uno scudo davanti al suo cuore, e niente sembrava poterlo attaccare.

Michiru era riuscita a scoprire tante cose su quello che Haruka faceva e aveva fatto, aveva intuito alcuni elementi del suo carattere dal suo modo di fare, aveva imparato a capire quel sarcasmo sprezzante con cui Haruka liquidava spesso le persone… ma, per quanto riguardava la sua vita personale, la sua famiglia, non sapeva niente. Haruka manteneva le sue cose nel riserbo più assoluto, tanto che molta della popolarità che aveva a scuola le derivava proprio dal mistero che la circondava. Per le sue compagne Tenoh Haruka era semplicemente una persona che voleva distinguersi, con le idee molto chiare su quello che voleva e con un caratteraccio da ‘bel tenebroso’ esibizionista. A lei invece questo non interessava, per lei era tutt’altro: Haruka non si comportava così per distinguersi, per far parlare di sé. Si comportava semplicemente come il suo animo le diceva di fare. Come le suggeriva il vento, pensò sorridendo. Era onesta con i suoi sentimenti, non le importava assolutamente niente di quello che gli altri pensavano di lei. Per questo la affascinava così tanto…

Haruka rientrò nella stanza sbalzando Michiru dai suoi pensieri, e facendola arrossire di nuovo. La ragazza bionda la guardò divertita, ma non disse niente, l’aiutò a tirarsi su e le portò ciò che aveva preparato.

“Ti sto arrecando un sacco di disturbo, Haruka-san, posso tornare a casa, sto bene adesso…” disse Michiru guardando negli occhi la compagna, cercando di carpire dal suo viso cosa le stesse passando per la testa, ma Haruka non si scompose minimamente. “Certo, quando ti senti di andare, basta che tu me lo dica. Ma non farti problemi per me se non ti senti ancora bene.” rispose con educazione.


 

Michiru stette a disagio per tutto il tempo, finché Haruka non la riportò a casa. Non vedeva l’ora di essere da sola, per riflettere su tutto quello che era accaduto il giorno prima, su quello che aveva incautamente rivelato all’altra e che probabilmente era stato un grosso errore. Una grandissima stupidaggine… cosa aveva pensato di ottenere? Niente, assolutamente niente… voleva farle capire che non era solo per la missione che l’aveva contattata, ma anche per lei… combattuta tra il suo sincero desiderio di conoscerla e il timore di essere presa per una delle tante ragazzine sciocche che le andavano dietro. Ma aveva detto troppo e troppo in fretta, col risultato che Haruka aveva subito alzato una barriera di autodifesa, davanti a sé.

Dopo aver cordialmente ringraziato e salutato, Michiru osservò la macchina di Haruka ripartire e allontanarsi velocemente lungo il vialetto che attraversava il parco, poi entrò in casa, si appoggiò delicatamente alla porta appena chiusa e si mise a piangere.


 

Lasciata la villa di Michiru, Haruka aveva deciso di fare una lunga corsa in auto fuori città. Era il modo migliore, per lei, per riflettere e chiarirsi le idee. La velocità era sempre stata il suo sogno, la cosa che le permetteva di liberarsi per un po’ dai suoi pensieri e di lasciar tutto dietro di sé… una sorta di fuga, in un certo senso, ma non solo: si sentiva nel suo elemento, correre era per lei un’esigenza irrinunciabile. Come una macchina potente che ha bisogno, di tanto in tanto, di essere spinta al massimo per non rovinarsi, così Haruka, nei momenti di difficoltà, riusciva a ricaricare le batterie mettendosi alla prova, sfidando il vento.

Le erano successe così tante cose, negli ultimi giorni… adesso poteva finalmente rimettere insieme tutti i pezzi. Aveva accettato di combattere per la salvezza dell’umanità… sì, ma combattere contro chi, e per quanto? Poteva bastare distruggere dei mostri informi riportandoli alla normalità per salvare la terra dalla catastrofe? Perché era successo tutto questo proprio a lei?

E poi… quella ragazza. La ragazza che compariva nei suoi incubi. C’era qualcosa di insolito in lei, di… familiare, forse. Era insistente, molto… a cosa mirava, davvero? L’aveva anche salvata, il giorno prima, facendole da scudo all’attacco del mostro. Perché? Perché aveva fatto una cosa simile? Per convincerla ad accollarsi la missione? Per vincere la sua indifferenza, la sua ostilità? Per… una sorta di attrazione? Si conoscevano appena, una persona non rischia la vita per qualcuno con cui non ha rapporti. Certo, le era grata per quello che aveva fatto, ma non poteva cambiare atteggiamento da un momento all’altro solo per quello…

Haruka guidava la sua macchina a ritmo sostenuto, pensando però confusamente a come comportarsi con la giovane violinista, che d’ora in avanti, per la missione, avrebbe dovuto necessariamente frequentare. Che rapporti voleva intrattenere con lei?


 

Erano passati tre giorni dall’ultima volta che si erano viste, quando Haruka aveva accompagnato Michiru a casa. La violinista si trovava nella sua camera, e stava suonando, cercando di concentrarsi solo sulla musica. Per fortuna in quei tre giorni tutto era stato tranquillo, nessun nuovo mostro si era fatto vedere. Per fortuna? Da un lato Michiru avrebbe voluto rivederla subito, per sapere cosa aveva pensato, cosa intendeva fare… dall’altro no, era terrorizzata dall’idea, perché non sapeva come comportarsi, dopo le rivelazioni che le aveva fatto. Temeva che rivederla avrebbe significato scoprire che con la sua impulsività si era bruciata tutto quanto.

Il campanello suonò, ma Michiru, assorta com’era, non lo sentì neppure. Lo sentì solo dopo qualche altro tentativo, lasciò il violino e andò a vedere chi fosse, visto che non aspettava visite.

“Salve! Beh, mi stupisce che in una villa così grande non ci sia servitù! La famiglia Kaioh ha problemi finanziari?” esclamò Haruka, sorridendo alla ragazza un po’ interdetta che le aveva aperto la porta.

Una vera sorpresa… perché tutti avrebbe pensato di vedere tranne che lei, e perché, presa alla sprovvista, non sapeva proprio come comportarsi…

Haruka notò l’imbarazzo dell’altra, e riprese, seria, “Volevo solo sapere se ti eri completamente rimessa, e… visto che l’ho appurato, posso togliere il disturbo…”

Magari in quell’istante avrebbe voluto davvero mandarla via, ma l’educazione impose a Michiru di far accomodare l’ospite. “Ho dato il giorno libero alla servitù, talvolta lo faccio, quando i miei non ci sono… è bello potersi occupare personalmente delle cose, a volte. Anche se loro non la pensano così...” spiegò, mentre la conduceva dentro e la faceva accomodare.

Andò a preparare del tè e lo portò in salotto, dove Haruka la stava aspettando, si sedette e si mise a conversare del più e del meno, come se avesse avuto di fronte qualsiasi altra persona sulla faccia della terra. Ma, di secondo in secondo, si sentiva sempre più confusa. Perché Haruka era andata da lei? Dopo un po’, la giovane pilota cambiò nettamente discorso.

“Michiru-san, vorrei che tu mi parlassi un po’ di quanto hai scoperto finora sul disastro che incombe sulla Terra e sul nostro ruolo in tutto questo… ti confesso che mi risulta difficile capire cos’è che dovremmo fare, e perché questa storia sia capitata proprio a noi…” disse Haruka assumendo un’espressione seria. “…Capirai, sembra tutta una gran serie di vaneggiamenti, Michiru-san…”

Michiru notò subito il tono scetticamente investigativo della ragazza bionda, e il senso di distacco forzato che cercava di trasmettere, ma le rispose comunque meglio che poteva, cercando di toglierle quei pochi dubbi che lei stessa era riuscita a chiarirsi.

Haruka se ne andò dopo un’oretta, senza aver mai cambiato per un solo istante il suo atteggiamento. Michiru decise di farsi una doccia per distrarsi, ma ottenne il risultato opposto, trovandosi ben presto a pensare a ciò che era appena successo. Il suo tono l’aveva infastidita parecchio, perché mai aveva fatto così? Era sempre più complicata da capire, forse il suo scopo era proprio quello di rendersi insopportabile, in modo da ridurre i reciproci rapporti al meno possibile. Ma no, non stava in piedi… tanto per cominciare, Haruka era stata fredda, ma non scortese… e poi, se non voleva proprio avere rapporti con lei, perché sarebbe andata a trovarla a casa? Solo per sapere qualcosa sulla missione? E perché allora, sulla soglia, stava quasi per andar via?


 

La mattina seguente Haruka si recò al circuito per effettuare delle prove sulla vettura. Almeno finché tutto restava tranquillo, poteva fare le cose di sempre, e illudersi che non fosse cambiato nulla per lei. Ma non era così… nell’attimo stesso in cui aveva preso in mano quella strana bacchetta azzurra, aveva sentito qualcosa cambiare in lei, un insieme di responsabilità dimenticate cominciavano a gravarle sulle spalle. Come se fosse cresciuta di un paio di anni in un attimo solo.

La giovane pilota rientrò ai box al termine delle prove, parlò con i meccanici del comportamento della macchina e delle variazioni da apportare, poi si cambiò e lasciò il circuito, dirigendosi verso la propria moto. Alzò lo sguardo, e rimase sorpresa della figura che l’aspettava vicino alla motocicletta.

“Buongiorno, Haruka-san!”

Questa ragazza era davvero insistente! La stupiva proprio… in genere, le altre ragazze mantenevano le distanze da lei, non appena faceva loro intendere di agire in tal senso, ma lei era diversa. Come se non si fermasse solo all’esteriorità. Sì, era strana, era diversa. E allora? A lei che importava? Bene, era andata a trovarla perché sinceramente preoccupata per le sue condizioni, punto. Avrebbe affrontato la missione insieme a lei, punto. Cosa pensava adesso, che per questo dovessero essere diventate amiche?

La violinista le aveva portato dei ritagli di giornale e articoli in rete riguardanti l’istituto Mugen e il suo direttore, il professor Souichi Tomoe, che riteneva essere collegati agli avvenimenti sconcertanti degli ultimi tempi. Effettivamente il suo ragionamento non faceva una piega: c’era un filo conduttore, tra quella scuola e le mostruose apparizioni, ogni volta che arrivava un nuovo mostro c’erano degli studenti del Mugen nei paraggi, e lei stessa aveva visto un ragazzo con l’uniforme di quella scuola trasformarsi in mostro davanti ai suoi occhi.

Sedute al tavolino di un locale, le due ragazze discutevano sul cosa fare a riguardo. Haruka osservava la compagna parlare, ammirata della sua serietà e della convinzione con la quale considerava la situazione. Magari era stata troppo drastica nel giudicarla…

“…insomma, penso che dovremmo indagare di persona, in qualche modo.”

“. . .”

“Haruka-san, hai sentito quello che ti ho detto?” chiese Michiru, con volto serio, mentre l’altra la fissava impassibile, quasi assente.

“Sì. Certo.” rispose. Cominciava a prendere davvero seriamente la faccenda.

“Bene. Allora, che ne diresti di accompagnarmi a teatro, sabato sera? C’è un concerto che non vorrei perdermi…” riprese la violinista, cambiando repentinamente espressione e discorso, con un ampio e deciso sorriso.

Haruka rimase sconcertata sul momento, ma in un certo qual modo divertita… una cosa era certa, questa ragazza se ne usciva sempre con qualcosa di imprevedibile: appena si faceva un’idea su di lei, riusciva immediatamente a smontarla del tutto, e questo cominciava a piacerle. Ma sì, forse non era una cattiva idea…

“Va bene, ci penso io.” rispose la ragazza bionda, sorridendo. Stavolta fu Michiru a essere sorpresa, e per più ragioni: intanto, perché non si aspettava davvero una risposta affermativa, aveva buttato lì l’invito a quel modo per spezzare la tensione, ma certa che Haruka l’avrebbe rifiutato credendola superficiale, e poi perché il suo sorriso era stato così spontaneo…


 

Il sabato sera giunse presto. Michiru stava finendo di prepararsi davanti allo specchio… le sembrava ancora così strano, uscire con Haruka solo per piacere, senza particolari motivi. Anche il giorno precedente si erano viste, ma era stato per affrontare un mostro: Haruka aveva preteso di far tutto da sola, per impratichirsi con i suoi nuovi poteri… aveva preso la cosa molto sul serio! Era quasi buffa…

Michiru sentì la macchina dell’amica percorrere il vialetto del parco, e le andò incontro prima che suonasse il campanello. Haruka indossava un elegante completo da sera nero, era scesa dall’auto e aveva aperto la portiera per la sua passeggera, molto cortesemente. Poi era tornata alla guida, diretta al teatro. Mentre percorreva con sicurezza le strade cittadine, si mise a pensare a ciò che stava facendo: non aveva mai dato confidenza ad altre persone, perché diamine aveva accettato l’offerta per quella serata? Ma suvvia, andare a un concerto con un’amica non era poi gran cosa.

Amica?

Considerava Michiru sua amica? Gli altri erano sempre stati semplici conoscenti per lei, non le interessava sapere niente di loro, e niente faceva sapere di sé. Finora si era soltanto concessa di giocare un po’ con quelle ragazzine che le facevano il filo, qualche battuta, qualche sguardo intenso. Ma stavolta, lo sentiva chiaramente, non aveva alcuna voglia di scherzare.

Le ragazze giunsero a teatro, e si recarono, con una certa sorpresa per Michiru, in un loggione riservato molto vicino al palco; Haruka inoltre seguì tutto il concerto con grande attenzione. Evidentemente doveva frequentare questi spettacoli, pensò la giovane violinista compiaciuta.


 

A fine serata, tornate alla macchina, Michiru si decise a chiedere l’opinione in proposito della sua accompagnatrice. “Allora, Haruka-san, che ne dici? È stato di tuo gradimento?” chiese cordialmente.

“Hm. Erano entrambi bravi… anche se nel finale la parte di violino non è stata proprio ineccepibile. Sono certa che tu avresti fatto di meglio.” rispose Haruka con grande serietà, senza guardarla; avviò il motore e la riportò a casa. Quando furono arrivate, la pilota la fece scendere e, anziché salutarla, come pensava Michiru, le disse “…Che ne direbbe di dare seguito alla mia affermazione di prima, miss Kaioh? Sarei ben lieta di sentire quei brani suonati come meritano.”

Michiru rimase interdetta davanti a quella richiesta, si stava prendendo gioco di lei? Guardò Haruka negli occhi, e il suo sguardo profondo la fece incantare un attimo. Annuì, aprì la porta e la condusse nel suo ‘conservatorio’ personale, la stanza dove lei e i suoi genitori si esercitavano.

Prese meccanicamente il violino dalla custodia, come in uno stato di trance, senza dire niente, poi si voltò verso l’ospite e disse “Manca l’accompagnamento al pianoforte però… non è proprio la stessa co-”

“Oh, quello non è un problema.” rispose Haruka sedendosi in posizione davanti al grande pianoforte a coda in mezzo alla stanza. Michiru fu molto colpita, ma lo fu ancora di più quando cominciò a suonare e sentì che l’altra l’accompagnava in maniera ammirevole…

Era davvero brava. E poi sembrava che per lei suonare il piano fosse la cosa più naturale del mondo, una cosa da tutti; non c’era stato esibizionismo nel suo gesto, Michiru ne era certa. Aveva suonato soltanto per accompagnarla.

“Avevo ragione, ora il violino è stato davvero impeccabile.” disse Haruka, alzatasi dal pianoforte. “Bene, adesso è meglio che io vada, è un po’ tardi… grazie per essersi esibita, miss Kaioh.” concluse la ragazza, inchinandosi gentilmente. Michiru accompagnò in silenzio l’ospite alla porta, poi la salutò dicendole “Grazie per la serata, miss Tenoh. La prossima volta sarò io a chiederle di esibirsi.”, facendole garbatamente il verso. Entrambe sorrisero per lo scambio di battute, poi Haruka salì in macchina e tornò verso casa.


 

Michiru raggiunse la sua camera, si cambiò, si preparò per la notte. Cercò di addormentarsi, ma era troppo eccitata, non poteva chiudere occhio… Si alzò e, indossata una vestaglia, si mise a guardare fuori dalla vetrata, pensando alla serata appena conclusa.

Il concerto era stato magnifico, ma era la cosa che le importava di meno, adesso. Si era sentita veramente a suo agio, Haruka era stata meravigliosa, con lei. Anche senza fare niente di speciale… era il suo modo di fare, di parlare, che per lei erano speciali. I suoi comportamenti così eleganti e cortesi, il suo sguardo deciso, e poi… non poteva negarlo, da qualche giorno le bastava incrociare i suoi occhi per emozionarsi.

All’inizio si era interessata a lei spinta dall’ammirazione, e da una certa curiosità, la voglia di scoprire quali sentimenti, quali paure albergavano in lei. Il perché di quell’inequivocabile senso di solitudine. Ma ora c’era dell’altro. Si stava formando un sentimento nuovo in lei, mai provato… in cuor suo aveva capito di cosa si trattava, ma non poteva ammetterlo a se stessa. Non ancora…

E comunque non avrebbe mai pensato che la giovane pilota potesse interessarsi di musica classica e saper suonare il piano a quel modo. Aveva sempre più voglia di conoscerla meglio, di scoprire quali altre perle erano nascoste in quel ruvido guscio, e soprattutto, perché le nascondeva così. Infine, c’era un’altra cosa che rendeva felice Michiru… il pensiero che, anche se si era trattato di poco, Haruka le aveva aperto una piccola parte di sé.


 

Nei giorni successivi Michiru cercò di concentrarsi solo sulla missione, per non rischiare di sollevare troppo i piedi da terra: non voleva sopravvalutare ciò che aveva provato la sera del concerto, né illudersi sui comportamenti di Haruka. Rifletté a lungo sulle informazioni in suo possesso, e decise che, per trovare qualche indicazione sull’istituto Mugen, l’unica cosa da fare era introdurcisi in pianta stabile… iscrivendosi come studenti.

Anche Haruka aveva trascorso quelle giornate a riflettere. Non era andata a scuola, né si era recata al circuito. Aveva passato le giornate seduta alla vetrata del grande salotto, la sua preferita, quella rivolta verso la baia. Guardava fuori ma non vedeva nulla, persa in un turbine di emozioni. Tutte le certezze che faticosamente si era costruita col tempo erano in discussione, la sua decisione stava vacillando. Era combattuta, ma sempre più convinta di dover decidere una volta per tutte come gestire la situazione prima di perdere ogni controllo. A un certo punto, il telefono aveva cominciato a suonare.


 

Dopo aver inutilmente cercato di contattarla telefonicamente almeno una decina di volte per condividere le sue conclusioni, Michiru cominciò a preoccuparsi. Era tardi, cosa poteva essere successo? Decise di passare da Haruka di persona la mattina successiva, prima della scuola, per parlarne e accertarsi che fosse tutto a posto.

Uscì prestissimo, e giunse proprio mentre la ragazza usciva dall’androne del grattacielo. La vide dirigersi verso l’automobile, insolitamente parcheggiata in strada, non indossava la divisa, sembrava contrariata.

Le si fece incontro, osservandola meglio in effetti sembrava sconvolta. Finse di non averlo notato, e sfoderò il suo miglior sorriso. “Buongiorno, Haruka-san!”

L’altra sembrò vederla solo in quel momento. “Michiru-san.”

“Ho provato a chiamarti diverse volte, ieri sera, volevo parlarti dell’Istituto Mugen, ma eri fuori e-”

“Mi dispiace, adesso non ho proprio tempo.” replicò Haruka interrompendola bruscamente, poi aprì la portiera della macchina e fece per salire.

“Va bene, posso venire più tardi al circuito? Stai andando lì?”

Haruka rispose stizzita. “No.”

“Allora...”

“Allora, niente. Devo andare fuori città, non penso di rientrare in giornata. E prima che ti venga voglia di chiedere altro, non sono affari tuoi.” la fermò Haruka con voce bassa e decisa, che non ammetteva repliche.

Distolse lo sguardo, salì in auto e partì in fretta, giusto il tempo di vedere nello specchietto retrovisore che Michiru era rimasta immobile in strada, la cartella stretta tra le mani.

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Capitolo 2
*** Una fine, un inizio ***


Lasciò la città rapidamente, e imboccò la statale litoranea, che procedeva parallelamente alla costa meridionale del paese. Ne aveva, di strada da fare, certo non le sarebbe mancato il tempo di riflettere, pensò. Cercò di concentrarsi sui motivi del viaggio e su quello che l’aspettava a Kyoto, inquieta, da un lato, ma soprattutto arrabbiata: dopo più di un anno di completo silenzio, quella chiamata era giunta come un fulmine a ciel sereno.

Col passare dei chilometri tutta una serie di ricordi cominciò ad affacciarsi davanti ai suoi occhi, ma tra un pensiero e l’altro, quel nodo allo stomaco che le si era formato alla partenza tornava fuori, sempre più pressante e opprimente.

Raggiunse Kyoto poco dopo mezzogiorno, e attraversò tutto il centro della città per raggiungere la zona collinare periferica, dove si trovava la villa di suo padre. Lei stessa vi aveva vissuto fino a poco più di un anno prima, poi, avendo cominciato a correre stabilmente per una scuderia, si era trasferita per comodità a Tokyo. Almeno, quello era il motivo ufficiale. In realtà aveva atteso a lungo l’occasione per lasciare l’opprimente convivenza familiare e, se anche non avesse avuto la scusa delle corse, probabilmente a quest’ora avrebbe trovato un altro metodo per andarsene, per lasciare indietro tutta la sua vita precedente e i suoi ricordi. E, tra le altre cose, erano anche quei ricordi a renderle difficile l’idea di rimettere piede in quella mastodontica casa.

Pensò bene di comportarsi in modo spontaneo con suo padre, ovverosia di restare impassibile qualunque cosa le avesse detto: anche se da un lato le sarebbe piaciuto togliersi qualche sassolino dalla scarpa, se ci fosse stata occasione.

Il cancello automatico della villa si spalancò senza problemi – il telecomando funzionava ancora, quindi – attraversò il parco, raggiunse il garage sul lato, parcheggiò la sua Honda NSX, scese dalla macchina e si fermò un attimo ad osservare la collezione di suo padre. Auto d’epoca, soprattutto europee, e più recenti giapponesi. In quello, almeno, aveva buon gusto.

Entrò in casa, accolta dalla servitù, si fece dire dov’era suo padre e si recò da lui. Bussò alla porta del suo studio, entrò e si trovò faccia a faccia, dopo un anno intero, con l’uomo che più disprezzava.


 

“Sei arrivata, Haruka. Vieni, avvicinati.” Esordì suo padre, come se, per l’ultima volta, si fossero visti solo il giorno prima. Era seduto dietro alla sua scrivania, al suo ingresso si era limitato a posare le carte che stava esaminando.

Haruka fece qualche passo in silenzio, osservando ciò che la circondava, scaffali di libri, oggetti d’arte, alcune stampe antiche. Non era cambiato niente. Quella stanza non le suscitava alcuna emozione, anche se, da piccola, c’era stata spesso. Doveva andare sempre e solo lì, per parlare con suo padre. Si fermò in piedi accanto a una sedia, in attesa di conoscere il tema del monologo.

“Non ti siedi?” le domandò suo padre, indicandole la sedia.

“No.” rispose lei, freddamente. Perché ho intenzione di far durare questa cosa il meno possibile, pensò poi. “Allora, cos’è successo di tanto importante da dovermi convocare qui di persona, e che tu non potessi dirmi per telefono? Nemmeno tu ti dovessi sposare,” ironizzò Haruka, che proprio al telefono aveva saputo del secondo matrimonio del padre con la sua storica segretaria.

L’uomo sembrò sorridere. Si alzò, guardò un attimo fuori dalla vetrata alle sue spalle, poi tornò ad affrontare la ragazza. Era molto alto, più alto di lei, e non aveva affatto i caratteri somatici orientali, come lei del resto. E come sua madre. Si fissarono per un attimo con la stessa espressione sicura. La loro somiglianza era principalmente lì: nel modo di fare, nel carattere. Anche quella era sempre stata un’occasione di disaccordo, tra loro.

“Vedi, Haruka, da un po’ di tempo a questa parte Megumi-san ha cominciato ad aiutarmi nella gestione dell’azienda. Ha sempre avuto un gran senso degli affari al di là del suo ruolo, e adesso sta mettendo in luce tutta la sua esperienza e il suo buon senso. Mi ha convinto ad aprire un nuovo stabilimento in Europa, dove l’ambiente si rivelerà più propizio.”

Haruka osservava suo padre cercando di capire dove volesse arrivare. Megumi-san… se non altro aveva la decenza di non usare appellativi troppo familiari davanti a lei per la sua nuova moglie. Certo, Haruka non aveva mai espresso alcun parere sul secondo matrimonio di suo padre con la sua amante, ma la sua indifferenza era l’ennesima prova del disgusto che provava per lui. Sempre che gliene importasse qualcosa, il che non era chiaro.

“…Megumi-san partirà tra un mese per l’Europa, incontrerà i nostri partners economici proprio per stabilire proprio la sede migliore per il nuovo impianto. Valuteremo Germania, Francia, Polonia, Austria, Italia, Spagna. Andrà scelto il luogo, studiata la logistica, imbastiti i contatti, valutati i costi. Una grande occasione di crescita per la nostra impresa…”

L’uomo continuava a parlare, ma la ragazza lo ascoltava appena. Socchiuse gli occhi, e si rivide piccola, in una stanza d’ospedale, circondata da persone vestite di bianco, e con suo padre, che a lei sembrava impassibile, che la teneva ferma a letto impedendole di andare da sua madre.

E ancora, poco tempo dopo, quando tra le cose della mamma aveva trovato quella piccola scatola di legno chiaro, e al suo interno quelle lettere, nascoste lì in fretta e furia, alcune datate prima della sua nascita, e alcune molto, molto prima...

“Adesso sei grande abbastanza da poter apprendere le dinamiche politiche, e commerciali, su cui si basa lo sviluppo della nostra azienda. Ho deciso che andrai con Megumi-san, per cominciare a capire, e apprezzare, come si governa una grande industria. Diciamo che sarai, come dire, una emanazione di me…” sogghignò. “L’anno scolastico è al termine, riprenderai gli studi nel paese che sarà scelto dopo tutte le valutazioni.”

Haruka fu sbalzata violentemente dai suoi pensieri.

“Come hai detto?” chiese, inarcando un sopracciglio.

Ho detto,” rispose evidenziando con il tono la solennità dell’espressione, “che è finito il tempo dei giochi. È ora di smetterla con quella follia delle corse, ti ho lasciata divertire più a sufficienza. Alla tua età io sono entrato nell’azienda che tuo nonno aveva fondato, e ne ho stretto le redini in poco tempo. Puoi stare tranquilla, non dovrai arrivare a tanto così in fretta. Ma sei la mia unica erede, ed è ora che cominci a capire quale sarà la tua vita!” concluse, categorico.

Haruka sentì un fremito nelle braccia, e la testa pulsarle. Aveva finalmente l’occasione per sfogare tutto l’odio, e lo sdegno, che provava per quell’uomo arrogante che non si era mai curato delle persone che lo circondavano, se non quando poteva ottenere qualcosa da loro… trattava tutti come servi, pronti e sottoposti ai suoi comandi! Ripensò alla sua idea di chiudere ogni sospeso, esprimergli tutto quello che finora si era tenuta dentro. Ma forse non ne valeva neppure la pena, per quell’essere così misero… un giorno si sarebbe ritrovato solo, e forse il ricordo di tutte le persone che aveva calpestato gli avrebbe dato il giusto tormento.

Si mise a respirare profondamente, ad occhi chiusi, per sentire l’odore della stanza. Odore di vecchio… lo stesso che si ricordava di averci sempre sentito. E un’altra onda di ricordi la travolse: rimproveri, punizioni, divieti.

“La partenza è fissata per fine mese, quindi hai anche un po’ di giorni a disposizione per sistemare le tue cose. Ovviamente non ti mancherà nulla, riceverai un cospicuo assegno mensile. Te lo guadagnerai, in un certo qual modo. E avrai parecchio da imparare da Megumi-san, sarà un’ottima guida per te.”

Haruka rimase in silenzio per un po’. Sentì le spalle che si rilassavano, la tensione sparire; aveva deciso.

“Ti consiglio di pensare a procurarti un altro erede, finché sei in tempo.” disse la ragazza con grande calma. “Perché io tornerò oggi stesso a Tokyo e alla mia vita, e non risponderò a una futura chiamata. Quello che forse non hai ben chiaro è che io non dipendo da te, non ho alcun bisogno di te, otou-san. Non certo adesso.” Fece una pausa, poi riprese, scandendo le parole.

“In ogni caso, per fugare ogni dubbio, sappi che rinuncio formalmente e inderogabilmente a ogni mio diritto ereditario nei tuoi confronti, qui e ora. Ti farò avere quanto prima la mia dichiarazione giurata. Con questo, potrai dimenticarti di me, e io, finalmente, farò altrettanto.”

Hisaishi Tenoh sbiancò. Sembrò quasi che i suoi occhi si velassero di tristezza, ma non proferì parola. Chissà se poteva capire tutto quello che c’era dentro quella decisione, o se pensava che si trattasse solo di un capriccio.

Haruka restò a guardarlo un altro istante, poi si voltò verso la porta e sollevò una mano per salutare. “Sayonara, Tenoh-san.”

Chiuse la porta dietro di sé, certa di non essere seguita.


Dapprima si diresse nella grande biblioteca, dove recuperò a colpo sicuro, intonso, l’album di fotografie che aveva composto tanto tempo prima e lasciato volutamente lì, certa di non potergli trovare un nascondiglio migliore. Salì poi lentamente in quella che era stata la sua stanza fino all’anno precedente, giusto per dare un’ultima occhiata, era certa di non averci lasciato niente di importante.

Infine scese nell’ala della servitù, e salutò calorosamente tutti quanti, con alcuni dei quali a volte aveva condiviso più cose che con il padre. L’anziana governante la obbligò a mangiare qualcosa, anche se controvoglia, ma di fronte alle sue lacrimose insistenze aveva dovuto cedere.

Terminati i saluti scese in garage, prese le chiavi di tasca, si guardò ancora una volta attorno, ferma, in piedi davanti alla portiera, poi cambiò espressione, lasciò cadere le chiavi sul sedile della NSX attraverso il finestrino aperto e, con un sorrisetto, si avvicinò alla spider gialla che apriva la fila delle auto del padre.


 

Il motore della Toyota 2000 GT rombava, lieto di poter scattare di nuovo, sulla via lungomare. Haruka si rese conto che quella strada le trasmetteva serenità, anche se non sapeva spiegarsene il motivo, forse perché aveva sempre l’oceano a fianco? Meno male però, perché il viaggio di ritorno era molto lungo, lei si sentiva stanca e, al suo rientro, avrebbe avuto un altro problema da affrontare.

L’immagine di Michiru riflessa nel retrovisore le appariva sempre più spesso davanti agli occhi. Le aveva risposto volutamente male, forse peggio ancora di quanto intendesse fare, il suo stato d’animo del momento aveva sicuramente influito. Voleva allontanarla da sé prima di arrivare al punto in cui non avrebbe potuto più fermarsi: la giovane violinista non le era affatto indifferente, anzi, la sera del concerto era stata su di giri tutto il tempo. Ma non voleva, non poteva rendersi vulnerabile, per poi rischiare di soffrire, di fronte a un rifiuto o peggio, per la fine di una infatuazione capricciosa. Poteva star bene da sola… era abituata, lei voleva correre, essere come il vento, libera da legami e distaccata dalle brutture del mondo.

Quindi aveva fatto bene.

Aveva ristabilito le distanze, avrebbe adempiuto alla sua missione, certo che sì, ma lì finiva tutto.


 

Arrivò a Tokyo appena passato il tramonto, aveva corso meno, stavolta, e non certo per colpa della macchina. Si infilò nel parcheggio sotto il grattacielo, sistemò la Toyota nel suo posto privato e raggiunse l’ascensore, col quale avrebbe raggiunto l’ultimo piano, occupato interamente dal suo appartamento.

Per la precisione gli appartamenti al piano erano due, ma l’altro, di cui si vociferava fosse appartenuto a un uomo d’affari americano, era sfitto da quasi due anni, sicuramente per il costo elevatissimo.

Si massaggiò un po’ il collo mentre saliva; dieci ore in macchina, tra andata e ritorno, erano tante anche per lei. Con un suono familiare l’ascensore la informò dell’arrivo al piano, le luci si accesero automaticamente nel corridoio, svoltò l’angolo, e il sangue le si congelò nelle vene.

Seduta a terra, davanti alla sua porta, con le braccia strette attorno alle ginocchia e il capo chino, c’era Michiru.

Haruka rimase pietrificata, con lo stupore che si mescolava al senso di colpa. L’altra sollevò il capo e fece per alzarsi, lei le corse incontro per aiutarla. “Michiru-san, cosa ci fai qui…?” Michiru indossava ancora la divisa e aveva con sé la cartella, inoltre sembrava decisamente stanca, era evidente che era rimasta lì tutto il giorno.

Michiru non rispose, ma si fece guidare docilmente fino al divano della sala e si sedette. Era veramente stata tutto il giorno seduta a terra davanti alla porta, non aveva mangiato e bevuto nulla e si sentiva le membra anchilosate.

Haruka si precipitò in cucina a scaldare del latte, la cosa più rapida che poteva preparare. Le si era formato un gran nodo allo stomaco, non si immaginava certo questa piega degli eventi. Sentiva i polsi bruciare, le mani che scottavano. Michiru l’aveva aspettata tutto il giorno, con la possibilità che lei non rientrasse nemmeno…! Versò del miele nel latte caldo, e lo portò all’altra, che bevve avidamente.

Rimase ad osservarla in silenzio. Era costernata per quanto era successo, e tentennò. Ma capì che se non avesse fatto subito la mossa successiva, probabilmente non ci sarebbe riuscita più. Doveva chiudere la partita una volta per tutte.

“Insomma, si può sapere cosa hai pensato di fare rimanendo qui?” chiese col tono più aspro che riuscì a tirar fuori. “Mi sembrava di essere stata piuttosto chiara, stamattina.”

“Haruka-san, io… ero preoccupata, avevi uno sguardo, stamani, non sembravi nemmeno tu” cominciò Michiru con lo sguardo sulla tazza, stretta ancora tra le mani. “Ho avuto una brutta sensazione, sembrava che tu stessi andando al patibolo, se mi passi il termine, io non potevo certo seguirti, ma ho pensato che dovevo comunque aiutarti, in qualche modo...”

“Aiutarmi?” la interruppe Haruka, con uno sforzo di volontà. “Ancora? Ma non lo vuoi proprio capire che non ho bisogno di nessun aiuto, e che soprattutto non lo voglio da te?”

Quella era stata l’unica parte del discorso che le era uscita spontaneamente: rifiutava con tutta se stessa l’idea che qualcuno si preoccupasse per lei. Chi avrebbe dovuto farlo se ne era bellamente astenuto, e lei non avrebbe mai più elemosinato le cure di nessuno.

Michiru guardò per qualche istante il viso arrabbiato di Haruka, impietrita. Poi ebbe un moto d’orgoglio, si alzò di scatto dal divano, e inchinandosi disse “Mi dispiace moltissimo, Haruka-san. Ti assicuro che non ti disturberò più.”

Raccolse la sua cartella e si diresse verso l’ingresso dell’appartamento, e Haruka fece giusto in tempo a vedere, mentre si voltava, che aveva gli occhi lucidi.


 

Quando sentì gli ultimi passi frettolosi e la porta dell’appartamento sbattere, realizzò in pieno quello che era successo, e cosa ne sarebbe seguito. Si sentì svuotata, incapace di pensare, la gola riarsa; un brivido e si sentì mancare l’aria, come se una morsa le stringesse il cuore nel petto.

Fu il suo corpo a decidere per lei: scattò verso la porta e uscì sul pianerottolo, svoltò l’angolo del corridoio e vide le porte dell’ascensore che si chiudevano.

 

Michiru sentì un gran tonfo, e poi un gemito soffocato. La porta si riaprì, sdegnosa, e Haruka balzò dentro, tenendosi il polso arrossato e dolorante con l’altra mano. Non fece in tempo a dir nulla, però, perché lo schiaffo che ricevette a mano piena le fece voltare il viso di lato.

“Ma sei impazzita? Potevi farti molto male!” le urlò contro la violinista, senza più trattenere le proprie emozioni.

“Io… io… proprio non ti capisco! Perché fai così? Pensi di essere la sola al mondo a cui le cose non vanno come vorrebbe? Tutti sono pieni di problemi, lottano ininterrottamente, ma tu fai le bizze come una bambina viziata! Davvero non riesci a giudicare il comportamento di chi ti circonda?”

La porta dell’ascensore si era chiusa di nuovo, in attesa di nuovi comandi, e in quello spazio angusto Michiru stava sfogando tutta la propria frustrazione, con le lacrime che le segnavano il viso. “Non puoi continuare a isolarti dal mondo, lo capisci? Non è giusto per te stessa, e anche io… non sopporto di vederti così...”

Esaurito l’impeto di rabbia, strinse i pugni e cominciò a singhiozzare. Haruka la cinse tra le braccia e la strinse forte a sé, senza parlare. Michiru fu sorpresa dal calore di quel gesto, e pian piano si rilassò nell’abbraccio, rendendosi conto, con la guancia accostata al petto della ragazza più alta, che il cuore di Haruka batteva forte forte…

“Perdonami, Michiru. Non andare via.”


 

Rientrarono in casa, e Haruka decise di raccontare tutto, a questa ragazza che in pochi giorni le aveva dimostrato più affetto di quello che suo padre le aveva dato in una vita. Grazie a lei aveva riassaporato dopo anni un sentimento sincero e gratuito, e soprattutto, aveva sentito sgretolarsi quel macigno di solitudine che le gravava dentro.

Le raccontò di come suo padre, rampollo di una ricca famiglia di industriali di Kyoto, avesse sposato sua madre, imparentata alla lontana con la famiglia imperiale, per innalzare il rango sociale della famiglia, ma senza alcun sentimento. Si era tenuto come amante la sua vecchia fiamma, l’aveva assunta come segretaria, e col tempo aveva concentrato sempre maggior parte della sua vita al lavoro, in tutte le sue declinazioni.

Un giorno, quando Haruka aveva compiuto da poco undici anni, sua madre aveva trovato per caso tra i documenti del marito uno scambio epistolare tra lui e questa donna, scoprendo non solo il tradimento, ma anche che la cosa andava avanti da prima del matrimonio. Mentre lei si era lasciata ingannare, innamorata perdutamente di quell’uomo così bello e volitivo che l’aveva corteggiata e corteggiata, fino a farla capitolare.

Disgustata, aveva deciso di andarsene il giorno stesso, portando la figlia con sé; purtroppo però, forse perché sconvolta dalla recente scoperta, aveva perduto il controllo dell’auto che era finita fuori strada, ribaltandosi e uccidendola quasi sul colpo.

Haruka invece, era rimasta miracolosamente illesa… poche settimane dopo aveva ritrovato le famose lettere, che la madre aveva nascosto, e in breve tempo aveva rimesso insieme tutti i pezzi della storia: non aveva mai visto sua madre così devastata come quel fatidico giorno, e finalmente ora ne comprendeva il motivo. Inutile dire che da quel giorno, il rapporto già difficile con quel padre assente, era definitivamente naufragato.

Aveva comunque continuato a vivere con lui, si era dedicata a mille cose, per star fuori più spesso possibile, aveva cominciato a guidare i kart, mettendosi presto in mostra, finché l’anno precedente, dopo aver fatto alcuni provini, era riuscita a farsi ingaggiare come collaudatore da una scuderia di Formula 3, e così era riuscita a trasferirsi a debita distanza, a Tokyo. Chissà perché, nonostante la sua tragica esperienza, il mondo dei motori era rimasto un’attrazione così forte…

Infine le raccontò la chiamata del padre del giorno precedente, e il suo viaggio a Kyoto. E a Michiru tutto fu finalmente chiaro: la solitudine che nascondeva, la diffidenza verso gli altri, la volontà ostinata di fare tutto da sola, libera da ogni legame, sempre…

Michiru passò la notte a casa di Haruka, parlando con lei di tutto quello che passò loro per la testa, ridendo e scherzando, anche; finché, vinte dalla stanchezza, non si addormentarono entrambe sul divano. Al risveglio era ormai tardi per andare a scuola, e decisero di passare la giornata insieme, senza alcuna fretta.

Haruka non le disse niente in proposito, ma Michiru aveva sentito chiaramente, dal calore di quell’abbraccio, dal tono con cui si era scusata e l’aveva pregata di restare, chiamandola per la prima volta col suo solo nome, che era un sentimento forte ad unirle, adesso, oltre al destino di guerriere. Non poteva immaginare cosa sarebbe stato in futuro, ma di una cosa era certa: qualunque cosa fosse successa, l’avrebbero affrontata insieme.


 

Alcuni giorni dopo, entrambe ottennero il trasferimento all’istituto Mugen, avendo le alte credenziali necessarie per l’accesso alla rinomata scuola. Era il primo passo che compivano per adempiere attivamente alla missione, con la convinzione che sarebbero riuscite a impedire il disastro, in qualche modo.

Si dettero appuntamento dopo la scuola per passare la giornata insieme, come erano ormai solite fare, e forse la sera sarebbero andate al cinema, se tutto era tranquillo.

Michiru raggiunse la sala giochi dove avevano appuntamento, entrò e vide Haruka parlare con due ragazze bionde, accanto a un simulatore di guida.

“Scusami per averti fatto aspettare, Haruka.” disse, facendosi notare. La ragazza salutò le altre due e uscì insieme alla sua compagna.

“Hai fatto amicizia con loro?” chiese Michiru, con un tono di voce a metà tra il serio e il faceto.

“Sei gelosa?” rispose Haruka, divertita.

“Forse.” replicò la violinista, lasciando volutamente e scherzosamente incerto il reale pensiero in proposito.

“Sono ancora delle bambine, e sono molto carine.” concluse Haruka sorridendo. Poi le due ragazze si incamminarono verso un caffè, per organizzare il resto della giornata.

La loro vita era drasticamente cambiata, a causa della missione. Sicuramente la strada sarebbe stata lunga e difficile, da allora in poi, ma su una cosa sapevano entrambe di poter contare: sulla loro amicizia e sull’affetto che le univa, un sentimento ‘forse anche più forte dell’amore…’


 

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