Quasi per caso

di BellatrixWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Ok. Indovinate a chi mi sono ispirata per la descrizione di Lucille 8D. Sì, proprio lei, Lucy Lawless. Non mi sono nemmeno disturbata a cambiarle nome xD Beh, questo non è importante. Ditemi che ne pensate :3



Ricordo che la incontrai ad uno stage di danza antica. Subito, appena entrai nella stanza affollata, la notai. Non ho idea del perché, ma mi colpì fin dall'inizio. Era alta sul metro e ottanta, la sua pelle era chiara e gli zigomi alti. Aveva i capelli dorati e profondi occhi cerulei. Era davvero bella. Le labbra rosse aperte in un fantastico sorriso, stava chiacchierando con un altro ballerino.

 

Scossi la testa tornando alla realtà. “Ricorda, se è bella è stronza, se è simpatica è impegnata, se è libera è etero. Se non è etero, tanto, ti sta lontana.” mi dissi.

Eravamo una decina circa, quindi individuai velocemente Andreina, l'insegnante, dirigendomi verso di lei.

«Ehilà. Alla fine ce l'hai fatta vedo.» mi salutò con il suo sorriso solare.

«Sì. È stata dura, ma sono riuscita a liberarmi. Non potevo certo mancare.»

«Bene, bene. Dove alloggi? Ho sentito che alcuni hanno avuto problemi a trovare un posto dove dormire.»

«No, nessun problema, starò in un alberghetto in periferia, un quarto d'ora di distanza in moto. È comodo, c'è anche una cucinetta in stanza.»

«Fantastico allora! Vado a preparare le musiche. A dopo.»

Evitai di chiederle di escludere la Petitriense, dato che ero sicura non l'avrebbe fatto.

Verso le nove e mezza iniziammo, come al solito con il riscaldamento, e la donna che prima aveva rapito il mio sguardo si mise a sedere accanto a me.

Era imbarazzante, cercavo di evitare di guardarla a meno che non fosse strettamente necessario, ma avevo paura di sembrare maleducata o antipatica. Tuttavia, durante alcune posizioni del riscaldamento, non riuscii a distogliere lo sguardo. Fortunatamente nessuno mi notò.

Finito il riscaldamento ci fu una pausa-caffè di cinque minuti, tanto per socializzare.

Dopo aver salutato alcuni ballerini di mia conoscenza e una ragazza che avevo convinto a venire, mi feci coraggio e mi diressi verso la bionda.

«Salve» cercai di farle intendere che avevo scelto di andare da lei per caso, non per un motivo preciso, ma non sono sicura di esserci riuscita, anche perché non era vero. Lei mi guardò un attimo e tese la mano. «Piacere, io sono Lucille.» si presentò allegramente. Le strinsi la mano. «Robyn, piacere.» La guardai negli occhi per un attimo, ma rimasi incantata, e iniziai praticamente a fissarla senza accorgermene.

«Di dove sei?» mi chiese, spezzando finalmente l'incantesimo. Aveva una voce dolce e calda, molto piacevole.

«Vengo da Siena, nel centro Italia. Tu?» sbattei un paio di volte gli occhi, arrossendo imbarazzata per la figuraccia.

«Parigi, in Francia.» mi rispose, divertita. Forse ero buffa, cosa molto probabile.

«Parigi? Wah! Io ci sono stata solo una volta, purtroppo. È bellissima....» annuii.

Lei mi guardò negli occhi –o forse lo immaginai? A volte la mente mi gioca brutti scherzi.- e scandì con voce suadente «La città dell'amore».

Io annuii nuovamente, persa in quegli occhi profondi, quasi ipnotizzata. Anzi, letteralmente ipnotizzata.

Sentii la mia bocca aprirsi, stavo per dire qualcosa di particolarmente stupido, ma fui salvata da Andreina, che urlò «Bene! Si ricomincia!». Mi ripresi, scuotendomi un attimo, poi tornai assieme agli altri benedicendo sottovoce la tempestività di quella donna.

La prima danza che ballammo fu la Pavana con Variazione di Passemmezzo. Casualmente finii in coppia con Lucille.

Destino, mi prendi in giro?” Pensai, imprecando mentalmente.

Io interpretai la parte dell'uomo. Le presi la mano -oh, che pelle morbida...- e la condussi in cerchio, dietro ad un'altra coppia formata da un omino un po' goffo ed una donna alta e magra.

Ogni tanto dovevamo ricominciare, poiché per alcuni quella era la prima volta con la Pavana -da noi “veterani” apostrofata con “Pavana mala est”, poiché viene male quasi ogni volta-. Io e Lucille, però, eravamo perfette; non so esattamente come, anche perché solitamente le Variazioni mi avevano sempre dato qualche problema. Ma quel giorno era tutto diverso. Quella donna aveva un influsso positivo su di me.

Arrivate all'amoroso, ci avvicinammo -oh, che profumo inebriante...-, lei poggiò la mano contro la mia, e fissò il suo sguardo nel mio. Solennemente, girammo in tondo senza staccarci gli occhi di dosso. Terminammo in maniera impeccabile con una riverenza in otto tempi.

Ripetemmo la danza fino a che non venne bene a tutti. Era ormai mezzogiorno, e così ci fu un'altra pausa-caffè.

Non ero molto sicura di volermi riavvicinare a Lucille: ero molto imbarazzata, non volevo fare troppe figuracce in una volta sola, e sapevo che se l'avessi guardata ancora, o l'avessi sentita parlare di nuovo, avrei finito per svenire.

Fu lei, invece, a venire da me, con due bicchierini di plastica, offrendomi un caffè. Non potevo certo evitarla, ma ero leggermente a disagio. Cercai di non farmi notare e chiacchierai con lei per una ventina di minuti. Il senso di disagio decresceva via via che la conversazione continuava.

Scoprii che era molto simpatica e che avevamo molti gusti comuni. Inoltre, alloggiava nel mio stesso albergo, a due stanze di distanza.

Questa notte non dormirò.” pensai divertita.

Ricominciammo le prove. Andreina decise che io e Lucille avremmo dovuto fare coppia sempre e comunque, perché “assieme siete veramente bravissime!”. L'avrei fulminata, ma il suo fare angelico e le sue buone intenzioni la rendevano impossibile da odiare, come un cagnolino pestifero.

Inutile dire che la cosa, se da una parte mi piaceva molto, dall'altra mi creava qualche problema di contenimento delle mie emozioni.

Dover tenere la sua mano, guardarla negli occhi, stare accanto a lei era una sensazione fantastica ma allo stesso tempo imbarazzante perché a volte -almeno credo- dovevo sembrare veramente una cretina, con il mio sguardo perso. Lucille però non commentò mai, anzi, talvolta -o perlomeno così penso. Come ho detto, a volte la mente mi gioca dei brutti scherzi- ricambiava i miei sguardi, anche se per pochi secondi, o mi sorrideva dolcemente.

La giornata continuò normalmente fino alle sette quando, conclusa Chiarastella, Andreina salutò tutto il gruppo di ballerini e ballerine, dandoci appuntamento al giorno dopo alle otto del mattino.

Sospirai. “Sveglia alle sei, cheppalle.” pensai mentre mettevo via le scarpe da danza e i fogli con i passi di Petitriense, che ovviamente non ero riuscita ad evitare. Iniziai a canticchiare pacifica e mi misi a cercare le chiavi del motorino.

«Come non puoi accompagnarmi? Ma contavo su di te!»

«Scusa Lucy, ma sono di fretta e non posso proprio. Mi spiace, davvero. Scusa.»

«Capirai che non me ne faccio molto delle tue scuse ora. E io dove lo trovo un passaggio?» Lucille sbuffò e si lasciò cadere le mani contro le cosce. Quella che avevo appena sentito era la conversazione tra lei e il ballerino con cui parlava quella mattina. Un altro francese, data la lingua.

«Posso darti io un passaggio.» mi proposi, mostrando la mano con le chiavi del motorino. Non sono sicura di cosa mi spinse a farlo, ma dopotutto era un'amica in difficoltà. Non potevo abbandonarla.

Stupido lato altruista, mi costerai una notte insonne di fantasie irrealizzabili.” mi maledissi da sola mentre sorridevo cordiale a Lucille.

«Davvero? Grazie!» aveva l'espressione di una bimba a cui offrivano una giornata in una fabbrica di caramelle. Totalmente estasiata.

«Di nulla, tanto alloggiamo allo stesso albergo.» minimizzai. “Invece è molto! Motorino significa contatto fisico, e contatto fisico significa notte insonne. Maremmamaia... Mh.” zittii la mia mente iper-polemica e assistetti alla scena di Lucille che scacciava il ragazzo, Claude, elogiandomi. Che visione allegra. Per me. Dopo un sorriso-barretta-scusa verso Claude, mi rivolsi nuovamente alla donna.

«Non hai problemi con il motorino, vero?» le chiesi stringendomi nelle spalle.

«Anche se ne avessi, non ci sono alternative. No, comunque. E grazie ancora.» mi rispose felice, poi mi abbracciò.

Dopo essermi ripresa, le feci cenno di seguirmi fino al mio unico mezzo motorizzato. Le diedi un casco nero e un paio di guanti, per non avere freddo alle mani.

Misi il mio casco e mi sedetti, aspettando che anche lei facesse lo stesso.

Per tenersi mi mise le mani intorno ai fianchi, facendomi scorrere un brivido lungo la schiena; mi godetti un attimo la sensazione e presi un profondo respiro.

«Pronta?»

«Quando vuoi.»

Partimmo, e la sentii stringersi ulteriormente contro di me. L'aria fresca della sera mi rinfrescò le idee, tant'è che avevo lasciato mezza visiera alzata. Fortunatamente non c'erano moscerini in giro, o avrebbe fatto davvero schifo.

Invece fu piacevole, ogni tanto controllavo lo specchietto per essere sicura di non stare sognando.

Nonostante la vedessi con i miei occhi continuavo a non crederci.

Sta' calma. Le stai solo dando un passaggio. Niente più niente meno” cercai di spiegarmi, ma la mia mente multitasking mi permetteva di guidare, fantasticare e rimproverarmi allo stesso tempo.

Arrivammo all'albergo dopo poco. Ci mettemmo circa 20 minuti, poiché scelsi la via più lunga, ma era comunque troppo poco.

Solo quando mi fermai mi resi conto di quanto facesse caldo.

Scesi dal motorino togliendomi casco e maglia, rimanendo con un top nero, adeguato alla calura estiva di quella serata di luglio.

Lucille seguì il mio esempio. Aveva la pelle imperlata di sudore, e illuminata dal sole del tramonto sembrava risplendere di luce propria. Gemetti appena, ma per fortuna lei non mi sentì.

Presi il mazzo di chiavi a cui avevo aggiunto quelle della mia stanza e del portone dell'albergo.

Una volta trovata quella giusta aprii il portone che -stranamente, dato che non erano nemmeno le sei e mezza- era chiuso.

Lucille stava frugando nella borsetta, cercando la sua copia delle chiavi.

«Maledizione!» Fu l'unica parola che riuscii a capire, dato che con le imprecazioni pesanti in francese non ci so fare. Credo di aver sentito un “Estidecolistabernac”, ma ora non saprei come tradurlo.

«Tutto bene?» chiesi, guardandola mentre svuotava freneticamente la sua borsa in cerca di qualcosa che evidentemente non c'era.

«No. Ho dimenticato là le chiavi... Tabernac!» Ma non si arrese. Continuava a cercarle nella borsetta, che aveva vuotato e riempito almeno tre volte.

«Suvvia, guardiamo se c'è l'omino alla reception, vedrai che capirà.» Cercai di rincuorarla mentre aprivo il portone cigolante.

L'omino alla reception non c'era. Effettivamente non c'era proprio nessuno, se non due donne anziane che chiacchieravano del più e del meno su delle poltroncine.

Lucille si abbandonò su una poltrona con la testa tra le mani, mormorando che avrebbe dormito lì.

«Lucille...»

«Chiamami Lucy. Dimmi.» mi sorrise calorosamente nonostante la situazione.

«Lucy. Puoi stare nella mia stanza, se per te non è un problema.» la guardai in attesa di risposta.

«No, non posso disturbarti così tanto, ma grazie.» Era arrivata. Esattamente quella che mi serviva. Almeno ero stata gentile.

«Ma figurati, nessun disturbo! Insisto, dopotutto può capitare a chiunque di dimenticare le chiavi.»

Merda.” Perché l'avevo fatto? Perché perdere tempo dietro ad una simile dea? Ormai il danno era fatto, tanto valeva continuare a quel punto.

«Sul serio non disturbo? Grazie, davvero. Grazie mille!» Si alzò di scatto e mi diede due baci sulle guance, poi mi abbracciò per la seconda volta.

«Di.. di nulla...» farfugliai, ignorando le due vecchine che si erano messe a fissarci e cianciare.

Quando finalmente riuscii a riprendere il controllo di me, ci dirigemmo verso la mia stanza, la n°7.

Aprii la porta e subito il caos che mi fa sempre da compagno di stanza si mise in mostra.

«Sì, beh... è un disastro, me ne rendo conto, mi spiace.» cercai di scusarmi, ma non fu necessario.

«Tranquilla, la mia casa è molto peggio. Una volta mi sono trovata una maglia nella lavastoviglie.» ridemmo entrambe allegramente, poi lei posò la borsa sul tavolino accanto alla porta e mi aiutò a raccogliere un po' di roba.

Quando avemmo finito di mettere via il minimo indispensabile, ci rilassammo sul divano.

Mi accorsi che portava un paio di jeans solo quando si rannicchiò accanto a me, stringendosi le ginocchia.

Io mi misi a gambe incrociate e le passai una coppetta di gelato al cioccolato assieme al cucchiaino mentre cercavo di non far cadere la mia.

Passammo una piacevole serata guardando la tivvù e chiacchierando.

Verso le undici pensai che fosse meglio andare a letto, dato che il giorno seguente la sveglia sarebbe stata alle sei.

Solo allora mi resi conto di avere solo un letto a due piazze. Per quanto mi sarebbe piaciuto proporle di dormire assieme, mi parve fuori luogo.

«Tu prendi pure il letto, io dormo qui sul divano che è bello morbido.» le dissi da bravo galantuomo. Sarei stata un vero cavaliere se solo fossi nata maschio.

«No, no. Io prendo il divano, dopotutto questa è la tua stanza, sono io che mi sono scordata le chiavi.»

Andammo avanti per cinque minuti, finché non cedetti e non la lasciai dormire sul divano.

Mi diressi verso la camera per prendere un pigiama. L'unico che riuscii a trovare era di un bell'azzurro decorato a nuvolette. Tornai nel salottino e glielo porsi. Dopo l'ennesimo ringraziamento mi diede altri due baci sulle guance.

Prima che potessi fare qualsiasi cosa, mi mise le mani sulle spalle e mi guardò negli occhi, ipnotizzandomi nuovamente come quella mattina. Rimasi a fissarla, incantata, mentre lei sorrideva dolcemente.

Mi diede un terzo bacio, questa volta sulle labbra, e sussurrò qualcosa che suonava come un “Sei fantastica.” Non ne sono sicura perché ero concentrata sul contatto che le nostre labbra avevano appena avuto, e praticamente tutte le mie forze erano orientate al non cadere a terra morta.

Rimasi impalata lì per qualche secondo, poi sbattei le palpebre. La vidi arrossire. Fece scivolare via le mani dalle mie spalle ed abbassò gli occhi

«Scusami... Forse non avrei dovuto...» tentò di scusarsi, ma ormai era tardi, chiusi gli occhi e la baciai, chissenefrega degli schiaffi che avrei ricevuto, volevo di nuovo quel contatto.

Non si scansò, non mi urlò contro, non cercò di sottrarsi.

Poggiai una mano sul suo viso, avvicinandomi leggermente, mentre lei schiudeva le labbra, permettendomi di entrare. Giocherellai con la sua lingua, mantenendo sempre il contatto. Socchiusi gli occhi quanto bastava per vederla sognante.

Il bacio finì e lei allontanò appena il suo viso dal mio, quanto bastava per guardarmi in volto e permettermi di ammirarla a mia volta. Lucy era di poco più alta di me, ma in quel momento mi sentivo una formichina. Mi pareva di aver appena baciato Venere stessa.

Ancora intontita, mormorai un “g' night” e mi defilai, con il cuore che batteva a mille.

Mi stesi sul letto e iniziai a fissare il soffitto, pensando, insultandomi, fantasticando, insultandomi ancora. Non so a che ora presi sonno, ma credo fosse intorno alle cinque e quaranta, dato che pochi minuti dopo la sveglia suonò.

Mi alzai, anche se controvoglia, e mi voltai verso il comodino per spegnerla.

«Che giorno è oggi? Il ventisei. Bene. Mh. Che strano sogno.» mugugnai, incapace di credere che tutto ciò che era successo poche ore prima fosse vero, mentre mi stiracchiavo davanti al letto. Infilandomi una maglietta e un paio di pantaloni da ginnastica uscii dalla camera. Mi guardai intorno e realizzai in pochi millisecondi che quello non era stato un sogno.

Lucy dormiva pacifica e bellissima sul divano. Non aveva indosso la maglia del pigiama, ma solo i pantaloni e, ovviamente, un reggiseno.

Mi abbassai su di lei silenziosamente, godendomi la vista del suo viso angelico per un attimo, prima di svegliarla a malincuore.

«Lucy..» Le poggiai una mano sul braccio, scuotendola piano. «Sveglia, sono le sei e mezza.»

Avevo promesso di svegliarla a quell'ora e lo avrei fatto, a costo di beccare le botte che non avevo beccato la sera prima.

Lentamente, aprì i suoi occhioni cerulei, leggermente spaesata.

Per qualche secondo non seppe né chi fosse né dove si trovasse.

Mentre io cercavo uno scudo -o anche un semplice cuscino- per pararmi dai colpi tastando il pavimento, lei riprese coscienza di sé. Mi guardò un attimo, forse chiedendosi, come me, se era stato tutto un sogno.

Quando finalmente comprese che era vero io avevo un cuscino sotto mano, pronta ad alzarlo al minimo scatto. Scatto che però non arrivò.

Lucy sorrise con uno sguardo così dolce da farmi salire il diabete alle stelle. Con un sospiro di sollievo lasciai la presa sul mio pseudo-scudo.

«Ciao. Che ore hai detto che sono?» mi chiese allegra, visibilmente assonnata ma sveglia.

«Le sei e mezza.» ripetei, osservandola per cercare di capire le sue emozioni ed intenzioni.

Si portò una mano alla fronte come se si stesse coprendo dal sole, poi allungò entrambe le braccia sopra la testa, stiracchiandosi come avevo fatto io poco prima.

«Stiracchiarsi è molto importante: serve a fare in modo che la giornata non prenda una brutta piega.» commentò seria, poi scoppiò a ridere, ed io con lei.

«Groucho Marx.» scossi la testa divertita e incredula: quella donna non poteva esistere veramente.

«In assoluto il mio comico preferito.» aggiunsi, prendendo fiato.

Mi scansai dal divano, permettendo a Lucy di alzarsi. Lei si accorse dopo qualche secondo di essere coperta solo da un reggiseno e un paio di pantaloncini del pigiama, così decise di andare in bagno a cambiarsi. Le diedi una delle mie maglie perché la sua era da lavare, e devo dire che le stava molto bene.

Una volta che ci fummo entrambe lavate e vestite, tentai di iniziare a parlare ma fui interrotta.

«Andiamo a fare colazione?» propose Lucille, indicando con un cenno la porta.

«Ho delle merendine alla Nutella. Non sono un granché, ma c'è la Nutella.» risposi scrollando le spalle. Lei annuì e ci mettemmo a sedere, entrambe con una merendina confezionata.

«Rob, per ieri...» iniziò, dopo aver mangiato silenziosamente la sua colazione «scusa.»

Io rimasi leggermente spiazzata. “Sono stata io a baciarti, tu mi hai solo dato il pretesto” pensai, ma non lo dissi ad alta voce.

«Di cosa?» sorrisi, cercando di farle capire che per me non c'era nessun problema.

«Ho decisamente approfittato di te, e mi spiace.» si grattò la nuca, chiaramente in imbarazzo.

A me no.”

«Ti ho offerto io un passaggio. Ho insistito perché rimanessi qui.» Pausa. «Ti ho baciata. Sono io che dovrei scusarmi.» Ero molto a disagio, smisi di sorridere, ma non riuscivo a non pensare alla fantastica sensazione delle mie labbra premute contro le sue.

Si alzò, prese le carte delle merendine e le buttò, tutto senza fiatare, infine tornò a sedersi.

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, lei fissava una macchietta sul tavolino, cercando di graffiarla via, mentre io fissavo lei; la tensione era talmente palpabile che ci si poteva appoggiare.

«Sarà meglio andare» mugugnò guardando l'orologio. Decisi di non controbattere e la condussi fuori, chiudendo la porta a chiave ed infilandomi le chiavi nella tasca dei pantaloni.

Rimaneva ancora il problema del motorino. Le passai il casco, che lei accettò senza guardarmi in faccia, ancora imbarazzata, e si mise su.

Una volta arrivate scese, mi porse il casco e si diresse verso l'entrata.

La fermai afferrandole il braccio. Lucy si voltò, guardò prima la mia mano, poi finalmente il mio volto. Sfoggiai il mio sorriso migliore, sperando con tutto il cuore che non mi odiasse.

«Ma come? La nostra conversazione finisce così?»

«Rob, senti, sei magnifica, davvero, ma sono fidanzata.»

Sentii un nodo allo stomaco, ma non smisi di sorridere; me lo aspettavo, non saprei dire il perché ma me lo aspettavo. “Ricorda, se è bella è stronza, se è simpatica è impegnata, se è libera è etero. Se non è etero, tanto, ti sta lontana.

«Capisco.» riuscii a dire dopo qualche secondo «Ma ciò non significa che non possiamo restare amiche, vero?» chiesi speranzosa. “Magari un'amicizia alla Xena Gabrielle” pensai, ma capii che non era possibile.

«Non lo so. Suppongo di no.» la sua espressione si addolcì e mi sorrise.

Sentii il cuore alleggerirsi, e di molto. Mi trattenni da commenti come “prometto che ci proverò raramente”, perché sarebbero state balle. E anche squallide.

«Bene allora» risposi quasi in un soffio, lasciandole andare il braccio. Lucy si riavvicinò fissandomi negli occhi. «Ma non nominiamo più quel bacio.» impose con voce ferma ma triste. «Tutto quello che vuoi.» Qualunque cosa per lei. Faceva male, ma avrei seguito le sue direttive

senza fiatare.

Lei abbassò leggermente lo sguardo, poi fece un cenno con la testa verso l'entrata. Annuii e ci dirigemmo dentro senza aggiungere ulteriori parole.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***



Scoprii che il fidanzato di Lucille era proprio Claude, il ragazzo che il giorno prima l'aveva lasciata a piedi. Lei era ancora seccata per quello, ma non abbastanza da lasciarlo.

Inutile dire che lo odiavo. Dopotutto era colpa sua! Se solo non avesse rifiutato un passaggio a Lucy, io non l'avrei aiutata, non avrebbe passato la sera da me e non ci saremmo baciate.

Durante la pausa-caffè Claude mi si avvicinò. Lo guardai. Effettivamente era carino, aveva i capelli neri medio-lunghi legati in un codino, gli occhi verdi e tutto sommato un bel fisico.

«Ehi... Robyn vero? Lucy mi ha raccontato di come sei stata gentile.» Mi disse allegro, chiaramente ignaro del bacio che c'era stato tra me e la sua ragazza.

Mi voltai verso di lui, sforzandomi di non guardarlo con odio. «Sì, è stato un piacere, almeno mi ha fatto compagnia.» Alle spalle del ragazzo, Lucille ci fissava appoggiata al muro con una spalla.

«Beh, grazie!» sorrise, e mi fece quasi pena. Ma non lo sopportavo comunque.

«Mi... mi ha già ringraziata lei, tranquillo.» gli risposi scuotendo la testa. Abbassai lo sguardo e me ne andai, sotto l'occhio vigile di Lucy; lo sentivo su di me, come un raggio di sole. “Prank” pensai furiosa lanciando un'occhiataccia ad un distratto Claude.

Perché vado sempre a scegliermi quelle fidanzate con dei coglioni?” mi chiesi sedendomi sul davanzale della finestra, mentre guardavo il cielo azzurro a batuffoli.

«Cosa ti ha detto?» La sua voce era ancora calda, rassicurante, dolce... Mi voltai verso di lei e fui catturata dai suoi occhi cerulei.

«Niente di che» scrollai le spalle ed appoggiai la testa al vetro «Mi ha ringraziata. Bah.» sospirai.

«Gli avevo detto che non serviva, ma ha insistito.» mi sorrise.

«È un ragazzo gentile, posso capire perché ti piace.» la buttai lì come se non mi facesse male. Dovrei mettermi a fare l'attrice, sono brava a recitare. Lucy fece una smorfia ed annuì appena.

«Beh, a dire il vero non l'ho scelto io. Non mi lamento, ma effettivamente è stata una scelta dei nostri genitori.»

Sgranai gli occhi e raddrizzai la schiena, fissando Lucille. Forse avevo capito male. Sperai di aver frainteso. «Vuoi dire...»

«Matrimonio combinato, più o meno.» Non sapevo nemmeno che queste cose esistessero ancora in Europa.

«E a te va bene?» le chiesi, sempre più perplessa. Ero abbastanza confusa.

«Non esattamente ma...» esattamente in quel momento arrivò Andreina con un gran sorriso, richiamando il gruppo per ricominciare le prove. A volte odiavo davvero il suo tempismo. Sospirai e guardai Lucy, che concluse la conversazione con un semplice “ne riparliamo dopo”.

Scossi la testa, rassegnata, e la seguii in mezzo agli altri ballerini per provare Le Buffon, una moresca da ballare in gruppi di quattro; perlomeno non saremmo state in coppia, fatto che mi garbava alquanto, almeno fino a che la situazione non si fosse chiarita.

Quando i due gruppetti ebbero imparato tutti i passi provammo con la musica, che a me piaceva tanto perché mi metteva di buonumore.

Devo dire che mi aiutò molto Le Buffon, poiché potevo tirar bastonate a destra e a manca. Quella danza infatti consisteva in una serie di colpi di bastone coreografati, ed io mi divertivo molto.

Neanche a farlo apposta, i due contro cui mi trovavo -Le Buffon si ballava in quadrato, quindi ognuno aveva due ballerini contro cui menar fendenti- erano Lucille e Claude.

Con lei ci andavo piano, normalmente, mentre con lui mi sfogavo e tiravo colpi molto forti, tant'è che quasi gli spaccai il bastone.

Per sbaglio diedi un colpo troppo forte e a lui, che non se l'aspettava, scivolò il bastone a terra. Ci fermammo, ed io lo guardai con perplessità: non pensavo di essere così potente. Lucille, dietro di me, si stava piegando in due dalle risa. Un sorriso soddisfatto mi scappò dalle labbra, ma non fu notato da nessuno se non da Lucy.

«Ti ho fatto male?» chiesi dopo qualche secondo, mentre il ragazzo si piegava per raccogliere il bastone.

«No, no, tranquilla. Solo... vacci piano!» mi rispose, sorridente. Avevo un'incredibile voglia di tirargli una bastonata, ma mi limitai a sfoggiare un sorriso preconfezionato, di quelli che si riservano alle persone che ti stanno sulle palle quando non vuoi far capire loro che ti stanno sulle palle. Complicato? No, universalmente noto ma difficile da spiegare.

Ricominciammo daccapo, io diminuii la potenza dei miei colpi, tutto filò liscio fino alla fine della giornata.

Fortunatamente, Claude non rifiutò il passaggio a Lucy come il giorno prima, ed io potei passare la serata in eremitica riflessione. Nessun passeggero sul motorino, nessun compagno di serata sul divano, nessuna distrazione.

Velocemente, girai la chiave nella serratura della mia stanza ed aprii la porta. Sospirai ed entrai accendendo la luce con una mano e poggiando la borsa sul tavolino con l'altra. Mi richiusi la soglia alle spalle e mi diressi verso la camera per prendere un pigiama. Mi recai in bagno, attaccai il cellulare con la mia musica e mi feci una bella doccia, canticchiando qualche brano ogni tanto.

Ero arrivata a The Wheel of Fate (da The Bitter Suite, il mio episodio preferito di Xena, episodio-musical) quando decisi che ero stata abbastanza sotto l'acqua. Chiusi il flusso ed uscii dalla cabina, afferrando un asciugamano al volo per coprirmi. Mi asciugai con calma, mi infilai il pigiama e tornai in camera. Mi squadrai passando davanti allo specchio; portavo un pigiama viola a righe incrociate nere che formavano tanti quadratini, i pantaloncini mi arrivavano a metà coscia ed avevano due taschine ai lati, la maglia non aveva maniche ed oltre ai quadrati era decorata con un cuoricino nero accostato ad uno viola, entrambi all'altezza del petto. Scrollai le spalle, presi le chiavi ed uscii dalla camera portandomi dietro cellulare, cuffiette ed un libro di Kathy Reichs.

L'alberghetto in cui alloggiavo era un piccolo insieme di circa quattro casette, una attaccata all'altra, di diverse grandezze; la più grande dava direttamente sulla strada ed era la sede principale in cui si trovavano la reception, le varie stanze di servizio, la camera dei proprietari e quella del loro figliolo. Due casette più piccole erano ai lati di quella grande, collegate ad essa da dei piccoli corridoi, e davano sul giardinetto interno. La mia stanza era in una di queste due casette, così come quella di Lucy. L'ultima casetta era l'unica staccata dal complesso e si trovava oltre il giardinetto, era più piccola e fungeva da garage per i proprietari.

Scalza, uscii nel giardinetto interno, che a me piaceva molto perché fresco e ben curato. Al centro di questo giardino si trovava un grosso albero che, attaccata al ramo più robusto, aveva un'altalena. Tutt'intorno c'erano tavolini, sedie, ombrelloni, il tutto illuminato dalla fioca luce di una lampada legata ad una frasca. Amavo uscire la sera e stare seduta sull'altalena a leggere, ascoltare musica, guardare il cielo o anche solo rilassarmi, dato che non c'era mai molta gente, specialmente alla sera.

Mi misi comoda ed iniziai a leggere, ma non riuscivo a concentrarmi -tanto più che per la Reichs ci voleva anche attenzione- e finii per chiudere il libro ed appoggiarlo sul tavolino, spegnendo la luce.

Guardai il cellulare, che segnava le ventuno e qualche minuto. Alzai lo sguardo alla volta celeste.

Sopra di me, la sera avanzava lenta ma inesorabile. Il sole era tramontato da poco e a Ponente i batuffoli di nuvole si erano tinti di un colore rosso intenso. A Levante, la luna faceva la sua comparsa in un cielo blu puntellato di diamanti, mostrando solo uno spicchio di sé, ed era di un colore ambrato, non dissimile dalla striscia di nuvolette sottostante.

Sospirai, che spettacolo magnifico. Iniziando a dondolare lentamente, mi misi a contare le stelle che vedevo, come facevo da piccina quando volevo pensare.

Mentre contavo sottovoce tutte le stelle del firmamento, la mia mente vagava. Un attimo prima ero Robyn Black, l'antropologa che durante le ferie estive si era dedicata alla danza medioevale prendendosi una pausa dall'orrore, un attimo dopo ero Xena, la principessa guerriera, poi ancora Wolf Ares Black, il personaggio da me inventato che utilizzavo quando avevo voglia di fantasticare.

Quando persi il conto degli astri, mi destai dalle mie fantasie varie. Non era stato un caso.

Avevo sentito un rumore provenire dalla porta della casetta in cui alloggiavo. Mi tastai la tasca, per assicurarmi di aver preso le chiavi; tutto ok.

Qualcuno era uscito, sentivo dei passi leggeri venire verso il grande albero su cui si trovava l'altalena. Udii un sospiro, poi uno spostamento e una persona che si sedeva su una sedia.

Chiccazzo osa disturbarmi?” mi chiesi, guardando l'ora. Si erano fatte le dieci. Nessuno usciva mai a quell'ora! Solamente io me ne stavo qui fuori per i fatti miei. Scocciata, scesi dalla mia bell'altalena. Appoggiai i piedi sull'erba morbida e fresca, godendomi per un istante la piacevole sensazione.

Posai le mani al tronco e mi sporsi per vedere chi fosse l'intruso che mi aveva distratta dai miei pensieri.

Con mia somma sorpresa, vidi una chioma bionda poggiata al tavolino. Lucille era seduta su una sedia, le braccia erano incrociate sul tavolo e la testa era deposta su di esse.

Non ci tenevo troppo a farmi notare, quindi me ne tornai silenziosamente sull'altalena.

Dopo qualche minuto di piacevole silenzio, la sentii parlare tra sé.

«Bel casino sei riuscita a combinare, Lucille. Come se non bastasse il fatto di dover sposare un idiota. Ti innamori anche di una ragazza che non rivedrai mai, finita questa settimana di stage.» Si diede una pacca in fronte, la sentii chiaramente.

Il mio cuore aveva smesso di battere, mentre la mia mente lavorava veloce. “Ti innamori anche di una ragazza che non rivedrai mai, finita questa settimana di stage” rimbombava prepotente nella mia testa. L'unica cosa che avrei voluto fare in quel momento era avvicinarmi a lei, prenderla per un braccio, attirarla a me e baciarla. Mi astenni a malincuore.

Rimasi in ascolto. Lucy stette in silenzio per qualche minuto, poi si alzò e rimase in piedi. Nuovamente, scesi dall'altalena e sbirciai. I suoi meravigliosi occhi cerulei risaltavano, illuminati dalla luce delle stelle. Stava fissando la luna, che era lontana da me, quindi non mi notò. Vidi una lacrima solitaria attraversarle il volto, e sentii il cuore lacerarmisi in petto. Davvero ero così importante per lei? Stava realmente parlando di me? Forse mi stavo solo illudendo, e lei non si riferiva a me.

«E poi...» continuò, ed io tornai a focalizzare l'attenzione sulle sue parole «chissà cosa ne pensa lei. Mon Dieu, magari a lei nemmeno interesso. Un bacio... è l'unica cosa successa tra noi, dopotutto.» Si sfiorò le labbra con la punta delle dita. «Ed io, come una cretina, le ho detto di non nominarlo più...» Ormai ero sicura che parlasse di me. «Devo parlarle.» decretò. Fece per voltarsi.

Finalmente, io uscii dalla mia tana. «Lucy...» fiatai appena. Non riuscivo ad alzare ulteriormente il volume della mia voce, tanto ero emozionata, figuriamoci formulare frasi di senso compiuto.

«R...Robyn... Da quanto mi stavi...» le sue guance erano dello stesso colore delle nuvole illuminate dal sole che fino a un'ora prima decoravano il cielo.

«Ero qui da prima che arrivassi.» anticipai la sua domanda, prendendo coraggio ed avvicinandomi a lei di due passi.

Lucy si lasciò cadere sulla sedia. Non ero sicura di cosa fare, quindi inspirai profondamente ed azzardai. «Era con me che volevi parlare?»

«Sì.» Presi una sedia e mi misi accanto a lei, incrociando le mani e poggiando gli avambracci sulle cosce. Le sorrisi dolcemente. «Spiegami meglio questa storia di Claude, perché credimi, non ci sto capendo nulla. Non sapevo che esistesse ancora il matrimonio combinato. Non qui, almeno.»

Lei sospirò a lungo ed abbassò lo sguardo, coprendosi gli occhi con la mano. «È complicato. Versione breve: i miei genitori “vogliono il meglio per la loro amata Lucille”. La mia è una normale famiglia, non abbiamo particolari problemi di soldi o altro, io faccio un lavoro che mi piace e che tutto sommato paga bene. Claude viene da una famiglia ricca, i suoi genitori e i miei si conoscono da molto tempo e da molto tempo le nostre due famiglie hanno avuto intenzione di unirsi in qualche modo. Mio padre, gran sostenitore della supremazia maschile ed accanito contestatore dell'emancipazione femminile, ha deciso per me il mio futuro sposo, dicendo che se non avessi sposato Claude lui e mia madre avrebbero smesso di considerarmi loro figlia. Folle eh? Nonostante io sia molto contrariata, voglio bene ai miei genitori, e tutto sommato Claude è un bravo ragazzo.» Si asciugò una lacrima con il palmo della mano. Mi sentii morire. Questa tristezza era colpa mia dopotutto, ero entrata casualmente ma prepotentemente nella sua vita e avevo distrutto il già fragile rapporto che aveva con il suo ragazzo.

La guardai tristemente, solo allora mi resi conto di quanto contasse per me. La conoscevo da quanto? Due giorni? E già sentivo qualcosa che mai avevo provato per un'altra donna o uomo, come se l'amassi da una vita.

Scossi la testa, amareggiata, e le poggiai una mano sul braccio. Non sapevo cosa dirle, solitamente ero brava con i consigli ma allora ero senza parole. Lei alzò la testa e i suoi occhi cerulei si fissarono nei miei occhi verdi. Le misi una mano sul volto, asciugandole una lacrima con il pollice.

«Ci deve essere un modo...»

«Non c'è.» Posò la mano sulla mia ed io provai un dolore tremendo, avvertendo tutta la pena che si trovava dietro a quel gesto. Mi sembrava una sensazione irreale, io -la povera sfigata- e una bellissima fata, al chiaro di luna, conoscenti da due giorni, amanti da quella che sembrava un'eternità, destinate ad essere divise, che cercavamo una soluzione ad una situazione irrisolvibile.

Sospirai. «Ribellati! Non posso credere che i tuoi genitori ti rinnegherebbero per una cazzata del genere!» scostai delicatamente la mia mano dal suo viso, voltandomi a guardare il cielo blu. «Non ci credo» mormorai triste.

«Già... Tremendo eh?»

«Inverosimile.»

«Decisamente.»

«E tua madre è d'accordo con tuo padre?»

«Mia madre lo seguirebbe all'inferno.»

Tornai ad ammirare Lucy. Fissò i miei occhi nei miei, poi mi abbracciò. «Tutto ciò è così.. incredibile.»

«Allora non sono l'unica a pensarlo.»

«No, credimi.»

«Ma... Claude che ne dice?»

«Di certo non si lamenta, o almeno non sembra.»

Ridacchiai mentre si allontanava dall'abbraccio. Sul suo volto era tornato un leggero sorriso, sebbene malinconico.

«Sarà meglio andare a dormire.» le carezzai una guancia dolcemente e le sorrisi. Lei annuì ed assieme ci avviammo verso le camere, per poi dividerci a malincuore.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Dopo non-so-quanto-tempo aggiorno Quasi Per Caso. A dire il vero il capitolo era pronto già da un po', ma non era ancora finito e rifinito.



Il giorno dopo mi svegliai di buon ora, insolitamente. Non so a che ora mi addormentai, ma so che iniziavo già a vedere il sole. Mi misi a sedere, chiudendo gli occhi e mettendo una mano sulla fronte, leggermente disorientata. Non mi sentivo troppo bene. Le emozioni forti non mi fanno mai troppo bene.

Ripensai alla sera precedente, con un misto di sentimenti che andavano dalla rabbia incontrollata alla tristezza profonda.

Scossi la testa e mi alzai, guardando la sveglia che con le sue lucine rosse segnava le sei meno un quarto. Feci il punto della situazione.

«Alle otto devo essere allo stage. Ho due ore e un quarto. Cercare di dormire è futile. Ho fame. Voglio vederla.» sbuffai ironica e mi diressi verso la cucinetta per prepararmi qualcosa da mangiare.

Verso le sei e mezza, mentre stavo ascoltando un po' di musica delle Celtic Woman -che hanno l'incredibile capacità di mettermi in pace col mondo-, sentii bussare alla porta.

Per un attimo sperai che si trattasse di Lei, lo sperai con tutto il cuore. Mi diressi alla porta, coprendomi con una vestaglia, ed aprii. Rimasi delusa, sinceramente.

Davanti a me, in tutto il suo splendore, Claude. Cosa voleva, quell'idiota?

«Ciao. Dimmi.» dissi, cercando di non essere troppo fredda. Lui mi squadrò per qualche attimo, infastidendomi non poco. «Cosa.» sbottai dopo un po', scocciata.

«Hai visto Lucille? Non è nella sua stanza.»

Lo guardai perplessa, dopotutto la sera prima l'avevo chiaramente vista entrare in camera, le avevo sorriso, mi ero trattenuta a malapena dall'invitarla, ero rimasta sveglia e vigile per ore...

«No, non l'ho vista, mi spiace.»

Claude mi squadrò di nuovo. Perché lo chiedeva a me? Lasciami in pace.

Finalmente, se ne andò. Senza una parola, senza un saluto. Si voltò e se ne andò, gelido.

Come una bimba di cinque anni, feci la linguaccia alle sue spalle larghe e sbattei la porta.

Dopo i primi istanti di irritazione, arrivò puntuale l'ansia. Lucy non era nella sua stanza, ed io mi stavo preoccupando.

Non pensai, non seguii il buonsenso, mi fiondai fuori e basta, in pigiama, non m'interessava, volevo solo vedere Lucy, assicurarmi che stesse bene.

Corsi per il corridoio fino alla sua stanza e bussai. Nulla. Bussai ancora, i sensi all'erta. Un impercettibile sbuffo.

«Lucy. Luce! Rispondi, per gli dei!» bussai più forte, appoggiandomi con la testa alla porta.

Forse stavo esagerando, ma diamine, ero preoccupata.

Sentii dei passi provenire dalla stanza e sospirai. La porta si aprì ed io sollevai la testa, il mio cuore mancò un battito. Quando Lucille mi comparve davanti, le saltai letteralmente addosso abbracciandola.

«Rob! Sei impazzita?»

«Scherzi? Il tuo ragazzo è venuto da me dicendo che non eri in camera.»

«E ti sei preoccupata?»

«Maledettamente.»

Mi allontanai dall'abbraccio per guardarla in volto. Mi sorrise. Le sorrisi, infinitamente sollevata.

Lucy mi invitò dentro ed io la seguii senza fiatare, chiudendomi la porta alle spalle.

Mi spiegò che quando si era svegliata, mezz'ora prima, aveva deciso di non andare allo stage, saltando un giorno, solo per evitare tutto e tutti e poter rimanere da sola a pensare, ma Claude si era presentato da lei per fare colazione assieme, così quando il ragazzo aveva bussato lei non aveva risposto, tanto la porta era chiusa a chiave.

«Ed è venuto da te?» chiese ridendo.

Annuii. «Sei fermamente convinta di non voler venire a danza oggi?»

«Credo che a questo punto non serva. Dovrò andare a cercare Claude per farmi accompagnare. Che palle...»

«C'è sempre il mio motorino.» Mi offrii. Perfetto, esattamente ciò che ci voleva per incasinare le cose.

Mi sorrise di nuovo.

«Bene. Allora vado a cambiarmi.» dissi sorridendo, e le diedi un bacio sulla guancia. «Quando sei pronta, vieni nella mia camera ok?»

«Bene. Grazie! A dopo.»

Tornai in camera ghignando alla faccia di Claude; oh, com'ero soddisfatta.

Entrai nella mia stanza, presi la mia maglietta rossa della Duff, un paio di pantaloni di tuta neri ed una felpa.

Tempo cinque minuti, ed ero pronta. La porta si aprì ed entrò Lucy, splendente, nero vestita.

Controllai l'orologio.

«È presto. Sono le sette meno un quarto, abbiamo un'ora di libertà.» mugugnai, a metà tra la felicità e il disappunto: felicità perché.. beh, un'ora con Lucy non può che rendermi felice, disappunto perché le cose sono già difficili così tra noi, e un'ora assieme potrebbe creare situazioni... varie.

Lei mi si avvicinò scrollando le spalle e si sedette sul divano, accavallando le gambe. Dovetti distogliere lo sguardo, nonostante avesse i pantaloni.

«Allora... Che si fa?» chiese innocentemente?

Mille pensieri, uno peggio dell'altro, mi passarono per la mente. «Non saprei. A te che va di fare?»

Uno sguardo che non mi piacque molto -ma che dico? Lo adorai.- le attraversò il volto.

Mi sedetti accanto a lei, andando contro la vocina nella mia mente che si autoproclamava buonsenso e urlava “no!” con tutte le sue forze.

Lucy mi si avvicinò ulteriormente e più le distanze diminuivano, più la mia voglia di saltarle addosso saliva. Sentii chiaramente il mio buonsenso dire addio a questo mondo crudele quando mandando affanculo tutto e tutti mi sporsi per baciarla. Chissà come mai, non sembrò troppo sorpresa, e ricambiò subito. Che bel modo di passare il tempo.

Una volta separate, ci fissammo per qualche istante.

«Credo che Claude sia ancora qui intorno.»

«Sai dove può andare quell'idiota?» sbuffai. Lei rise e mi baciò il naso. In un raptus di affettuosità l'abbracciai. Devo dire che questo la stupì di più. Mi sentivo come una bimba, sentivo il forte bisogno di abbracciarla, di stringerla ed essere stretta a mia volta, di sentire bugie come “andrà tutto bene.” Dopo il primo momento di perplessità, anche Lucy mi abbracciò, poggiando la testa sulla mia spalla in un sospiro.

«Tutto bene?» mi chiese, senza allontanarsi.

«Mhm.»

Rimanemmo così per qualche tempo, poi ci separammo e guardai l'orologio.

«Sono passati ben sette minuti.» commentai. «Ancora cinquantatré rimangono.»

Scattai in piedi e mi misi davanti a lei, così che le mie gambe circondassero le sue, e posai le mani sullo schienale del divano, chiudendola tra le braccia.

Lei mise le sue mani sul mio bacino e mi fece sedere dolcemente sulle sue cosce. Poggiai la testa sulla sua le lei aprì la cerniera della mia felpa, cominciando poi a baciarmi la spalla.

Portai indietro la testa e lei iniziò a scendere lentamente tirandomi via la felpa e buttandola di lato, quando all'improvviso le suonò il cellulare e nell'aria si diffuse a massimo volume una canzone dance. Quasi caddi all'indietro per lo spavento mentre lei cercava il telefonino, furente; quando lo trovò sospirò furiosamente e chiuse gli occhi prima di rispondere, sorrise e premette il bottone.

«Pronto?»

«Lucille, che fine hai fatto?» riuscii ad udire attraverso l'apparecchio la calda voce di Claude, ed alzai gli occhi al cielo, quasi sperando che il ragazzo venisse fulminato da Zeus.

«Ciao anche a te, eh.»

«Scusa. Dove sei?»

Lucy mi guardò interrogativa ed io scossi la testa.

«Tu dove sei? Io sono nella mia stanza.»

«E stamattina com'è che non mi hai risposto? Comunque, sono al bar a fare colazione. Devo venire a prenderti?»

«No, no, non serve grazie. Mi farò accompagnare da Robyn.»

«Quella ragazza non mi piace.»

Alzai un sopracciglio, Lucy mimò con le labbra “A me sì” ed io mi trattenni a stento dal ridere. «Non cambia la situazione, mi accompagna lei.»

Sentii Claude mugugnare in disappunto e biascicare un “Come ti pare.”

Lucille si allontanò il cellulare dall'orecchio e chiuse la chiamata con il pollice. Io, nel frattempo, ero tornata a sedermi accanto a lei sul divano, alquanto scocciata.

«Spero per lui che oggi non si balli la moresca.» mugugnai, facendola ridere. Mi passò un braccio attorno alle spalle. Sorrisi.

La guardai alzarsi e stiracchiarsi, osservando la sua maglietta alzarsi all'altezza dell'ombelico, sospirando rumorosamente per l'occasione perduta.

«Senti... sono le sette e venti. Ti va di fare un giro? Posso prendere la strada lunga e arrivare in mezz'ora. Qui non ho veramente voglia di starci.» sbuffai alzandomi a mia volta e prendendo le chiavi del motorino le indicai la porta. Lei annuì ed afferrò la giacca, io mi rimisi la felpa ed uscimmo.

Una leggera brezza mattutina ci investì mentre ci dirigevamo verso il motorino nero in fondo alla strada. Le porsi un casco e un paio di guanti, poi mi infilai i miei e guardai il sole circondato da poche bianchissime nuvole batuffolose; nonostante tutto sembrava una bella giornata.

«Andiamo?»
«Mhm.»

Montammo e partimmo, come predetto presi la strada più lunga, godendomi la sensazione dell'aria sul viso e delle sue mani sul mio ventre, dimenticando tutto il resto, allungando il viaggio quanto più possibile.

Alle otto meno dieci, eravamo a destinazione. Guardai per l'ennesima volta l'orologio. «Abbiamo una decina di minuti prima che arrivi Andreina, ti va un caffè?» chiesi allegra, indicando il bar accanto alla sede dello stage in cui talvolta mi fermavo a fare colazione la mattina. Lucy annuì, quindi aprii la porta e la lasciai entrare, venendo ripagata con un sorriso.

Presi un cappuccino con una quantità spropositata di zucchero, Lucy invece un caffè che pagai più che volentieri, tanto per dimostrare la mia cavalleria una volta in più.

Uscimmo dal locale un quarto d'ora dopo -mi ero fermata a parlare con un ragazzo che non vedevo da qualcosa come due anni- ed entrammo nella sede, dove Andreina stava sistemando alcuni dischi sul tavolino.

«Robyn! Pensavo non venissi.» disse allegramente, senza nemmeno voltarsi.

«Già, scusa, mi sono fermata a prendere un caffè con Lucille.» scrollai le spalle sorridendo in saluto. A quel punto lei si voltò, notando anche Lucy.

«Ah, bene, salve! Allora, potreste aiutarmi con le sedie?» indicò con un gesto della mano alcune file di sedie chiuse appoggiate al muro. Io e Lucy prendemmo un paio di sedie a testa e le mettemmo in file ordinate in mezzo alla grande stanza luminosa, aiutate occasionalmente da Andreina.

Era la normalità per me, aiutarla a preparare tutto la mattina. Conoscevo bene quel posto, era lì che ogni anno si tenevano gli stage di danza, e nel grande spazio aperto adiacente all'edificio si svolgevano i corsi di tiro con l'arco e con la balestra, i corsi d'armeggio, i corsi di tiro della scure ed i vari pali.

In tre finimmo molto più velocemente ed entro venti minuti avevamo spostato le sedie, il proiettore, lo schermo e tutto il resto.

«Di nuovo, come mai il proiettore?»

«Perché Susy porta il video di uno spettacolo, te l'ho detto.»

«Fin lì c'ero arrivata... Ma Perché?»

«Per diverse opinioni su alcune danze che dobbiamo imparare.»

«Ok.» Scrollai le spalle e sistemai l'ultima sedia rimasta fuori.

Si preannunciava una giornata interessante, nonostante il video.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Ebbene sì, gente, Wolfy è ancora viva. E' stato un anno orribile sotto tanti punti di vista. E' da febbraio che non aggiorno, me ne rendo conto, mi spiace! Ma ehi, prometto che ora che è estate, e che la mia testa si sta scongelando, aggiornerò più spesso.
Anche il capitolo di Friends Forever, per chiunque qui lo leggesse, è quasi pronto!
Il bello è che parlo come se tanta gente aspettasse questi capitoli.
Ah! Un'altra cosa. Dato che mi è stato chiesto anche in una recensione, tutto ciò che so e che metto in questa fic fa parte del mio bagaglio culturale perché effettivamente faccio danza medievale e credetemi, è una meraviglia. Ammetto che ho dovuto cercare i passi di Rostiboli nei meandri della mia camera e quando ho trovato la Trascrizione di Andrea Francalanca non ho resistito alla tentazione di metterne un pezzetto. Gli errori, quindi, non sono errori! Ho fedelmente riportato ciò che c'è scritto.
Oggi mi dilungo troppo. Comunque devo dire che il personaggio di Andreina è ispirato a due insegnanti di danza, Andreina Von Ramm e Bruna Goldoni. Il luogo in cui si svolge è ispirato alla Sede dell'Accademia Jaufrè Rudel Di Studi Medievali di Gradisca d'Isonzo, dove si tengono settimanalmente le lezioni di danza antica. Tutto il resto è allegramente inventato di sana pianta.

 



Non ero particolarmente convinta sul video, l'idea non mi piaceva molto, sentivo una grande energia e tanta voglia di ballare. Quando tutti arrivarono, verso le otto e tre quarti, mi avvicinai a Susy per chiederle cosa avremmo guardato e venne fuori che il giorno precedente lei e Andreina avevano discusso sull'esecuzione di Rostiboli, una delle danze più libere ed interpretative della danza del Quattrocento. “Fantastico, perderemo un'ora dietro ad una cazzata” pensai, seccata. Cercando un lato positivo, mi venne in mente che mi sarei potuta innocentemente sedere accanto a Lucy, ignorando allegramente quell'idiota di Claude.

E così fu: mi sedetti sulla panca, lontana dalle sedie disposte in file, e la bionda fu l'unica a sedersi vicino a me, sorridendomi. Andreina spense la luce e iniziò a proiettare il filmato, nel quale un'ensamble di danza antica eseguiva Rostiboli in maniera molto meccanica, che a me non piacque per niente. Susy iniziò a parlare dell'esecuzione corretta e dei passi, ma smisi di ascoltarla quando sentii una testa appoggiarsi sulla mia spalla. Mi voltai.

«Stanca?»

«Infastidita.» sbuffò.

«A me Rostiboli piace.» commentai, fingendo di non capire.

«Che fai, prendi in giro?» si voltò verso di me poggiando il mento sulla spalla. Ridacchiai. «Scema.» rise anche lei.

«Che ci vuoi fare? Dalle mie parti la chiamiamo “Sfiga”.» Tornai a guardare il video e le cinsi la spalla con un braccio. Lei sorrise e si mise a cercare Claude con lo sguardo. Il codino nero e le spalle larghe emergevano da una sedia in mezzo alla seconda fila.

«Sembra concentrato.»

«Mhm. Lo odio.»

«Me l'hai già detto, sai?»

«Lo so benissimo.»

Lei rise piano e rialzò la testa, io tolsi la mano dalla sua spalla e appoggiai i gomiti sulle cosce, intrecciando le dita delle mani e piegando pigramente la schiena.

«Sai, è da un po' che ci sto pensando...» dissi. Uno sguardo interrogativo arrivò nella mia direzione. «Cosa faremo tra sei giorni, quando finirà lo stage? Voglio dire, io abito a Siena, tu a Parigi. Direi che non siamo esattamente vicine, non trovi? E poi, Claude. Insomma, stai per sposarti...» Ero seriamente a disagio, più parlavo e più stavo male. «Non voglio perderti.» Affermai, risoluta. Non mi ero mai innamorata così, specialmente di una donna che tutto sommato conoscevo a malapena da due giorni.

Lucy sorrise, abbassando lo sguardo.

«È vero. Ma non m'interessa. Io sono qui, ora, con te. Non voglio già pensare al domani senza te.» Fece una piccola pausa e ridacchiò. «Suona sdolcinato, eh?»

«No, solo molto dolce.» sorrisi divertita. In fondo aveva ragione, perché penarsi in anticipo?

Sospirai: il video era finito e stava iniziando la discussione.

«In sintesi, è un ballo di coppia, in cui si gioca a stuzzicare l'altro, quindi deve essere molto sciolta come esecuzione, mi seguite?» colsi le ultime parole del discorso di Susy e sorrisi divertita. Alzai lo sguardo sulla ballerina, una donna alta sì e no un metro e sessantacinque con corti capelli neri e vivaci occhi marroni impegnata in talmente tanti tipi di danza che persino lei aveva perso il conto.

«Concordo con Susy, dev'essere qualcosa che riguarda la coppia. Per questo penso che sia più giusto imparare prima i passi generali e poi lasciare che ogni coppia personalizzi la danza, specialmente negli spezzati.» intervenni raddrizzando la schiena e alzando due dita. «Insomma, l'esatto contrario di com'è stata fatta in quel video.» aggiunsi ridendo.

Susy annuì. Ci fu un leggero mormorio mentre tutti discutevano, poi Andreina riportò l'ordine e il silenzio. Eravamo tutti di comune accordo su questo punto, quindi perdemmo meno tempo di quanto temevo: tempo le nove e venti ed eravamo già a lavoro, pronti per il riscaldamento.

Dopo esserci riscaldati con esercizi a tempo di musica, ci fu la tipica pausa-caffè. Io, Lucy, Amanda -un'altra ballerina del Nord-Italia dai capelli color cacao e particolari occhi chiari- e Andreina mettemmo via le sedie.

Andai a prendere due biscotti dal tavolo sempre pieno di snack e bevande e tornai da Lucy, che intanto si era messa sulla panca. Le porsi un biscotto e mi sedetti accanto a lei. Chiacchierammo del più e del meno per cinque minuti, poi Andreina fece risuonare la sua allegra voce.

«Balliamo? Su!» cinguettò battendo le mani, poi si diresse verso il tavolo in fondo alla sala, su cui c'erano la sua borsa e dei raccoglitori con i fogli dei passi.

Mi alzai e porsi la mano a Lucille. «Madame.»

Lei sorrise e poggiò la sua mano sulla mia, alzandosi.

Le coppie si disposero tutte sulla stessa riga; eravamo molti, ma fortunatamente la stanza era grande.

«Bene. Prima la coppia assieme fa due riprese, poi iniziano gli uomini con semplice, semplice, doppio, doppio mezzavolta.» con “uomini” Andreina intendeva i cavalieri, poiché di uomini alla fin fine ce n'erano davvero pochi. Claude, l'unico francese, George e Nick, fratelli di origini americane, e Francesco, un ragazzo milanese. Tra l'altro, mentre il giorno prima eravamo undici, quel giorno il numero era cresciuto notevolmente: eravamo venti, di cui quattro maschi e sedici donne. Succede sempre, i ballerini non sono mai abbastanza.

Io, avvezza al ruolo di cavaliere, partii con i due semplici, ma a metà del doppio...

«Anne, no! Solo i cavalieri.» Andreina fermò tutti facendoci bloccare di colpo. Mi voltai verso la ragazza, che si grattò la nuca. «Scusate!» mugugnò tornando a posto.

«E mi raccomando, ombreggiate.» disse poi l'insegnante alzando una mano. L'ombreggiatura è il movimento della spalla opposta al piede che avanza, ed è un dettaglio estetico a cui lei teneva molto. Tuttavia era difficile preoccuparsi dell'ombreggiatura quando ancora non si conoscevano i passi. Per me non era un problema, Rostiboli la conoscevo ed era una delle mie danze quattrocentesche preferite, ma per la maggior parte degli altri era una novità.

Ricominciammo.

«Passo, passo, passodoppio, passodoppio mezzavolta! Bene, ora vi fronteggiate con due riprese.»

Venti minuti e svariati errori dopo, arrivammo alla fine della danza. Andreina, per qualche motivo, ebbe la malsana idea di leggerci la Trascrizione di Andrea Francalanca di Rostiboli.

«“Baleto chiamato g[i]oioso in dua chonposto per messer domenicho.”» lesse con enfasi il titolo. Probabilmente le era stato richiesto da un ballerino o da una ballerina, e certamente Andreina non aveva rifiutato. Dopotutto amava leggere quei manoscritti.

«In prima l uomo pigli la domna et facino insieme dua riprese, l una in sul pie mancho l altra in sul pie ritto poi l uomo lasci la domna e vadia diritto chon dua pasi scienpi e dua doppi chominc[i]ando chol pie mancho e nela fine del sechondo dopio dia meza volta...»

Smisi di seguirla, come praticamente tutti coloro che come me la conoscevano, ed attesi la fine di quel supplizio guardandomi attorno. Non mi ero ancora mai soffermata su quella stanza, nonostante ci avessi passato svariate ore, tra corsi e stage. Era molto ampia, con svariate finestre coperte da pesanti e polverose tende rosse sorrette da sbarre di ferro nero. Il sole entrava dalle numerose finestrelle sovrastanti le finestre normali e da quest'ultime, poiché le tende erano state spostate per permettere alla luce di filtrare. Il parquet era irregolare in alcuni punti, infatti scricchiolava. Ai muri bianchi erano appesi diversi quadri, manifesti, alabarde raggruppate in trii e boccolieri, piccoli scudi di forma circolare convessi all'esterno, solitamente utilizzati assieme ad una spada ad una mano.

C'erano poi degli specchi su due muri, entrambi leggermente deformati dal tempo, una panca ad angolo posta all'inizio della stanza, poco distante dalla porta, e due tavoli, uno vicino alla panca ed uno in fondo alla sala, tra due finestre.

Inoltre la stanza si prolungava ulteriormente a lato della porta, dove era stata piazzata un'alta libreria. Quella parte della sala veniva utilizzata come uno stanzino, le ballerine la usavano per cambiarsi e per mettere borse e giubbotti.

Alzai lo sguardo e mi misi a contare le grandi travi in legno, ma persi il conto e decisi che ricominciare non mi faceva voglia. Guardai Andreina.

«E e finita e rifacila e la dom[n]a imnanzi.» concluse, alzando lo sguardo dal foglio con fare drammatico. Molto Andreina.

«Bene. Che si fa, si balla? No, perché son le nove e mezza, non per altro.» Sbottò Susy, che aveva dato voce alla metà di noi.

Finalmente ricominciammo a ballare; essendo una danza alquanto facile, tutti la impararono molto velocemente. Verso le dieci, fu il momento delle singole coppie. Iniziarono Susy e Claude, poi Amanda e George, Jenny con Francesco e svariate altre coppie. Infine, fu il turno mio e di Lucy.

Mentre la musica partiva, porsi un sorriso e la mano a Lucy, che delicatamente appoggiò la sua su essa, poi la condussi verso la postazione da cui avremmo iniziato a ballare.

Ripresa a sinistra, sguardo. Ripresa a destra, sguardo. Mi seguì con il braccio per il primo passo, poi le nostre mani si separarono ed io continuai sola fino alla mezzavolta, quando i nostri occhi si rincontrarono. Ripresa a sinistra, ripresa a destra. Con la stessa sequenza di passi tornai al posto, ma anziché mettermi alla sua sinistra, ovvero nella posizione del cavaliere, che è il fegato, mi misi alla sua destra, come se fossi la dama, che è il cuore. Lei fece altrettanto. Ripresa a sinistra, ripresa a destra. Allungai il braccio come il falconiere che fa volare il falco e rimasi ferma, a guardarla mentre, aggraziata come una gatta, si allontanava, fino alla mezzavolta. Nuovamente i nostri sguardi s'incrociarono. Ripresa a sinistra, ripresa a destra. Tornò indietro, rimettendosi alla mia destra. Di nuovo le porsi la mano. Ripresa a sinistra, ripresa a destra.

Iniziò la promenade: due semplici, tre doppi, una voltatonda, due semplici ed una ripresa. Ripresa a sinistra, ripresa a destra. E finalmente la parte che preferivo, quella libera.

Sedici saltarelli liberamente interpretabili.

Facemmo quattro saltarelli in linea tenendoci la mano, poi per altri quattro io le girai intorno, lanciandole sguardi intensi ogni volta che i miei occhi verdi incontravano i suoi cerulei, nei quattro successivi si scambiarono i ruoli e per gli ultimi quattro ci prendemmo per mano facendo un giro in senso orario.

Movimento, o “scossetta” che dir si voglia, dell'uomo, movimento della donna, passodoppio dell'uomo. Un cenno di sfida, sfida accettata e le girai attorno, lei che non mi perdeva mai di vista.

Movimento della donna, movimento dell'uomo, passodoppio della donna. Una rivendicazione negata e si mette alle mie spalle.

Movimento dell'uomo, movimento della donna, passodoppio dell'uomo. Una minaccia, una difesa, e giro su me stessa.

Movimento della donna, movimento dell'uomo, passodoppio di entrambi. Le scuse e la riappacificazione, ci rimettemmo una di fianco all'altra, solo che questa volta io ero la dama e lei il cavaliere. Ci fu il secondo giro a ruoli invertiti, divertente quanto il primo. All'ultimo passodoppio, anziché affiancarci, ci mettemmo l'una dinnanzi all'altra come in un duello, lanciandoci uno sguardo di sfida fino alla fine della musica. Nemmeno mettendoci d'accordo saremmo potute essere più coordinate.

«E poi vi chiedete perché vi metto in coppia assieme!» squittì elettrizzata Andreina, accennando un applauso. «Siete briose!» aggiunse. «Brave!» sembrava aver finito, invece no.

«Ahah grazie. Rostiboli mi mette addosso un'energia indescrivibile!» esclamai allegra a Lucy dopo aver ringraziato Andreina. Lei annuì. «Si nota.» sorrise.

Le prove continuarono e ripassammo anche i passi di Chiarastella, a mio avviso una delle danze più belle del Cinquecento.

A mezzogiorno e mezza staccammo e tutti insieme andammo in un ristorante per pranzare, dove restammo vino alle due. Lucy era seduta tra me e Claude, inutile dire che non fu piacevole né per lei, né per me. Claude, invece, sembrava del tutto indifferente. Effettivamente aveva iniziato ad ignorarmi, e la cosa non mi dispiaceva troppo. Purtroppo, però, la sua presenza impediva il discorso libero tra me e la donna dagli occhi di cielo.

Alle due e dieci eravamo nuovamente alla Sede, pronti per continuare le prove.

Chiarastella era decisamente una pessima idea dopo pranzo, quindi ci toccò Corona Gentile, una bassadanza in cui due file composte da due coppie si fronteggiano. E' molto lenta, e molto lunga, era quindi l'ideale per la digestione. Io e Lucy eravamo la coppia di sinistra del nostro gruppetto di quattro elementi. Effettivamente non cambiava molto, l'unica differenza era nel cambio dei cavalieri che avveniva a metà della prima parte della danza: il cavaliere di destra si allontanava dalla propria dama, andando dall'altra, e così anche quello di sinistra, solo che quest'ultimo effettivamente rimaneva alla sinistra della propria dama. Con il secondo cambio di dei cavalieri, ognuno sarebbe tornato al proprio posto.

Ci mettemmo in posizione ed iniziammo a provare.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Questo capitolo è pronto da un mese. Ma non avevo Internet. Meh. Cooomunque, dato che sono una fanatica di Xena, per chi non conosce questo magnifico telefilm ci saranno alcuni riferimenti incomprensibili asdasd



Provammo a lungo, sempre con la dicitura dei passi da parte di Andreina, e nessuno se ne lamentava perché Corona Gentile era veramente lunga e difficilmente ci si ricordava tutto. Anche io avevo le mie belle difficoltà con quella coreografia dato che nonostante la mia memoria fisica ogni tanto mi sfuggiva qualche passo.
Dopo tre quarti d'ora di Corona Gentile decidemmo di comune accordo di cambiare danza. Fu allora tempo di Chiarastella. I passi erano noti poiché l'avevamo provata due giorni prima, ma si optò comunque per un ripasso prima dell'esecuzione con la musica.
Si formarono le coppie e ci disponemmo in due enormi cerchi concentrici di dieci persone ciascuno, uno più stretto e uno più largo. Io, assieme agli altri cavalieri, facevo parte del cerchio esterno e Lucy di quello interno.
Provammo Chiarastella per mezz'ora, ovvero fino a quando una delle ragazze non cadde per un giramento dato dal caldo asfissiante di quella sala e dai giri della movimentata danza. All'improvviso sentimmo un "ah!" sommesso e un tonfo. Poverella.
Tutti accorsero e dopo pochi attimi lei si era ripresa. Le porsi un bicchiere d'acqua e lei, piano, si alzò con uno sguardo spaesato.
«Scusate, mi sono sentita poco bene.» mugugnò sedendosi.
«Tranquilla. Dopotutto qui fa caldo. Sembra di essere in un forno crematorio.» dissi scrollando le spalle: qualcuno ridacchiò, qualcuno annuì in assenso. Purtroppo non si poteva fare molto a proposto.
Quando la ragazza si riprese continuammo, ma lei fu sostituita da Andreina perché non se la sentiva di ballare Chiarastella con quell'afa.
Andammo avanti per quella che sarà stata un'ora. Fatto sta che erano arrivate le quattro ed eravamo tutti terrribilmente stanchi, accaldati e di malumore per le cause sopra citate, e "tutti" comprendeva in primis Andreina.
«Sentite, oggi chiudiamo prima. In fin dei conti siamo molto avanti sulla tabella di marcia!» Andreina alzò una mano per richiamare l'attenzione, rivelando una chiazza di sudore sul top salmone, i capelli biondi ed il viso imperlati di goccioline.
Ci fu un giubilo, a cui mi unii senza pudore.
"Magari" pensai mentre mi toglievo le scarpe da danza per mettere quelle da ginnastica "riesco a rubarmi Lucy per il pomeriggio."
Evidentemente a Claude era venuta in mente la stessa cosa, perché stava giusto chiedendole di uscire. Da dietro le sue larghe spalle, Lucy mi lanciò uno sguardo rassegnato e le mie, di spalle, cedettero per la delusione.
Guardai inerte Lucy mettere su un sorriso confezionato e rispondere con un "certo" poco convinto. Non che avesse poi molte alternative.
Scossi la testa, mi misi la tracolla sulla spalla, a domani e uscii.
Alle quattro e mezza ero all'appartamento, pronta per una doccia.
Mi spogliai, attaccai la musica e mi buttai sotto l'acqua fresca. Mi lavai in dieci minuti, poi persi un'altra mezz'ora sotto il piacevole getto d'acqua a cazzeggiare.
Uscii allegra e rinfrescata, un piacevole cambiamento rispetto a poco più di un'ora prima.
Presi un enorme asciugamano e mi ci fasciai dentro. Mi arrivava a mezza coscia, forse non era così enorme, ma era degno dell'apertura alare di uno pterodattilo. Mi strofinai i capelli con un asciugamano più piccolo e varcai la porta del bagno in tempo per sentire il cellulare che squillava a ritmo di Nil Se'n La. Accorsi.
«Pronto?»
«Robyy! Allora, come va?» la voce squillante di Andrea, il mio migliore amico, risuonò chiara attraverso l'apparecchio.
«Ehi, coso! Tutto bene, tutto bene, tu?» sorrisi. Andrea era un ragazzo alto, con occhi e capelli castani, tratti del viso molto dolci, quasi femminili, incorniciati da capelli lunghi e lisci e con il bacino largo. Il ragazzo etero meno mascolino che abbia mai incontrato. Con uno sguardo da bimbo cresciuto ed un sorriso radioso, mi era risultato subito simpatico.
Dopo le ultime novità da Siena, arrivò la tipica domanda.
«Quindi, incontri interessanti?» La sua voce tradiva un ghigno.
«Ebbene sì.» risposi, ricevendo in risposta un verso allibito. Dopo averlo amichevolmente mandato affanculo per la mancanza di fiducia, gli raccontai per filo e per segno di Lucy, con dovizia di particolari -tanto pagava lui la chiamata- perfino la questione Claude. Lui ascoltò in ossequioso silenzio, confermando di tanto in tanto la propria partecipazione con un "mhm", senza fermare nemmeno la mia sfilza di insulti a Claude. Come un vero amico.
Terminata l'orazione, lui mugugnò pensoso e commentò: «Bel casino.»
Mi astenni dal sottolineare pesantemente l'ovvietà del commento.
«Che consigli?» chiesi. Lui mi rise letteralmente in faccia.
«Bene, grazie.» risposi sarcastica.
«Roby, che altro posso dire?»
«Non saprei. Un falsissimo "tutto si sistemerà".»
«Tutto si sistemerà.» Falsissimo.
Continuammo la chiamata per oltre un'ora, vagando su cazzate varie, comprendendo Xena e Gabrielle e i progetti per un futuro cosplay.
«Mi offrirò a Lucy come Gabby. Assomiglia a Xena e si chiama come la Lawless.» dissi ad un certo punto, e lui si proclamò Callisto della situazione. Lo minacciai. Ridemmo.
Alle sei e tre quarti decidemmo che s'era fatto tardi e che lui aveva speso abbastanza, quindi terminammo la chiacchierata.
Guardai l'ora e realizzai di essere ancora coperta solo da un asciugamano, e neanche tanto visto che ero sdraiata sulla poltrona con le gambe sul bracciolo.
Mi misi a sedere composta e portai la mano all'orecchiio, che bruciava.
Sbuffando per l'impellente vestizione che avrei evitato volentieri, mi alzai. Presi dall'armadio biancheria, un paio di jeans leggeri ed una maglietta nera con la scritta violetta "Free Hugs!" e mi vestii.
Erano le sette passate e non avevo nulla da fare. Decisi di lavorare un po', quindi accesi il computer e controllai le mail.
Spam spam spam Fausto spam Lucrezia Laura Antonio Forumfree Accademia.
Cestinai i messaggi di spam, compreso Forumfree, e mi dedicai a quelli utili.
Fausto mi avvisava di un disperso tristemente ritrovato in una rupe, che allegria. Se ne sarebbe occupato lui, non era un mio problema.
Lucrezia richiedeva i dettagli su un caso che le servivano per un processo. Esplorai il mio laptop e glieli inviai.
Laura mi avvertiva di uno stagista in arrivo il mese successivo che mi sarebbe toccato.
"Se è un inetto lo caccio a calci in culo senza guardare in faccia nessuno." fu la degna conclusione di una lunga e-mail di risposta che le inviai.
Poi Antonio che mi mandava dei moduli da compilare con il commento "Dato che non hai nulla da fare..." Simpatico.
Infine l'Accademia mi avvertiva dei prossimi concerti.
Con un sospiro scaricai i file di Antonio. Quanto odiavo le scartoffie. Terminai che erano quasi le nove, ci avevo messo più di un'ora ed ero sfinita.
Mi sdraiai sul divano ed accesi la TV. Dopo qualche minuto stavo lentamente scivolando nel sonno.
Accompagnata dal rumore della televisione -urla e cozzare di spade, il tutto accompagnato dall'accento neozelandese di Lucy Lawless- iniziai a fare i sogni più strani.
Vidi due papere combattere a bastonate, volai sulla città, salutai Hudson Leick, lottai assieme a Xena e Gabby. Poi saltai da un edificio urlando "Unicorns" e caddi, svegliandomi con uno scatto.
«Cazzo...» mugugnai portandomi una mano sugli occhi, mentre terminava la sigla finale di Xena: Warrior Princess e il DVD tornava al menù principale. Mi ero dormita quaranta minuti di Callisto. Questo spiegava Hudson Leick, Xena e Gabrielle. In un certo qual modo le paperelle battagliere. Erano gli unicorni che mi spiazzavano.
Sbuffai e guardai l'orologio segnare le dieci meno un quarto.
Mi alzai e spensi la tivvù, ciondolando fino alla camera.
Improvvisamente ero esausta, quindi mi tolsi i jeans e mi infilai sbadigliando a letto, portandomi una mano sul ventre e l'altra sotto la testa. Sbadigliai vistosamente una seconda volta e mi appisolai.
Alle undici venni svegliata dalle Celtic Woman nella loro miglior performance di Nil Se'n La.
«Hm.» mi rotolai sulla pancia ed afferrai il cellulare.
«'yasumi nasai.» mugugnai assonnata.
«Che lingua sarebbe?» una voce calda ed un accento francese.
«Giapponese. Significa "buona notte".» Mi misi a sedere, gli occhi ancora chiusi ma un sorriso sulle labbra.
«Ti ho svegliata.» Non era una domanda.
«E' un buon risveglio. Dimmi tutto.»
Una leggera risata. «Bene allora. Ehm... Il fatto è che ho dimenticato le chiavi. Di nuovo.» Mi disse imbarazzata. Sorrisi ancora di più.
«Tranquilla. Vieni qui.»
«Grazie.»
Chiusi la chiamata e mi alzai, stiracchiandomi con uno squittio.
Presi le chiavi ed aprii la porta, poggiando la schiena allo stipite mentre attendevo la comparsa di Lucy.
Chiusi gli occhi e lasciai cadere indietro la testa, mezza addormentata.
«Perché sei in mutande sulla porta?»
Rialzai la testa di scatto e mi trovai davanti la bionda. Realizzai di essere mezza nuda solo quando me lo fece notare.
Arrossii e mi voltai, tirandomi la maglietta sulle cosce.
«Dormo così.» risposi. Lei entrò dietro di me e chiuse la porta. «Carina.» la sua voce ondeggiò con enfasi.
Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere a quel commento. Mi voltai e me la ritrovai a pochi centimetri. Non mi ero accorta che si fosse avvicinata e la sorpresa mi lasciò senza fiato.
Lei mi sorrise. «Sei gentile.» disse, spostandomi una ciocca di capelli dagli occhi.
Mise la mano sul mio fianco ed abbassò la testa, avvicinando le sue labbra alle mie. Sentii il cuore accelerare come pochi giorni prima e mancare un battito quando mi baciò, posando la mano sul mio viso. Automaticamente le presi i fianchi, alzando il mento per approfondire il contatto quanto possibile. Le mie dita scivolarono sotto la sua maglietta e vagarono fino alla sua pancia. La sentii respirare piano.
Le nostre labbra di separarono lentamente.
«E' un piacere.» sorrisi, circondandole la vita con le braccia e posandole la testa sulla spalla per depositarle un piccolo bacio sul collo.
«Ad essere sincera, non ho scordato le chiavi.» ridacchiò guardandomi con i suoi profondi occhi azzurri.
«Sì invece. Per questo ti tocca dormire qui. E il divano è inagibile, che sfiga.»
«Oh, che peccato. Vuoi dire che dovrò dormire nel letto assieme a te? Mi sacrificherò, in tal caso.»
Ridemmo e ci scambiammo un altro veloce bacio.
In camera le ofrii un pigiama, ma lei rifiutò e disse che avrebbe seguito il mio esempio. Non me ne lamentai.
Ci sdraiammo sul grande letto dell'appartamento, sulle lenzuola coi pinguini che mi ero portata da casa.
Nella penombra, i suoi occhi rilucevano come pietre preziose.
«Buonanotte.»
«Buonanotte.»
Chiudemmo gli occhi. La mia stanchezza, però, era svanita. La guardai addormentarsi, bella come un angelo. Il mio sguardo vagò sul suo corpo. Nel sonno la maglia le si era alzata e la sua pancia era scoperta.
Il ventre femminile mi aveva sempre affascinata. Piano, le passai un dito dall'elastico dell'intimo al lembo della maglietta alzata, poi presi a farle piccoli cerchietti attorno all'ombelico. Era magnifico guardarla respirare.
Mi addormentai con la mano sul suo addome.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Da quanto tempo non aggiorno? Hohohohoho *rotola via*


Mi svegliai il mattino dopo riposata come non mai. Eravamo rimaste nella stessa posizione in cui ci eravamo addormentate e, incredibilmente, avevo aperto gli occhi prima del suono della sveglia - anziché alzarmi all'ultimo squillo - per scoprire che Lucille era sveglia. Beh, circa: aveva gli occhi socchiusi in un'espressione di sonnolenta soddisfazione.
Le sorrisi «Buongiorno. Cosa direbbe il tuo amico Claude, se sapesse che hai dormito nel letto con me?»
«Probabilmente guarderebbe male te e me, poi borbotterebbe e andrebbe via.»
«Quasi quasi glielo dico, per curiosità.»
Lucy mi guardò ed inarcò un sopracciglio.
«Scherzavo!»
Lei ridacchiò. «Mhm.» Richiuse gli occhi per qualche istante, poi li riaprì e sorrise. Io le sorrisi di rimando.
«Che dici, ci alziamo?» Chiese dolcemente.
«Perché? Si sta così bene qui.»
Lei mugugnò e si voltò, alzandosi a sedere. Rimasi a guardarla, ancora troppo assonnata per muovermi.
«Mi sa che devo tornare alla mia camera.» disse Lucy contrariata mentre mi dava la schiena, seduta sul bordo del letto.
Scattai in ginocchio con una prontezza di riflessi che non mi sarei mai aspettata, le spalle tese. «Perché?» Il tono era quasi lamentoso.
Un attimo dopo sentii una risata. Osservai confusa Lucy, che si voltò ridendo. «Così ti alzi, eh?»
Rilassai le spalle e rimasi in silenzio, inarcando le sopracciglia. «Oh.» Realizzando lo scherzo, ghignai e decisi di vendicarmi. «Oh, adesso ti faccio ridere io.» dissi tra il divertito ed il minaccioso.
«Uh?» mi guardò incuriosita, voltando completamente il busto verso di me, sedendosi sui talloni. Mi avvicinai a lei con aria predatrice, e Lucy rimase semplicemente a guardarmi, piegando leggermente la testa di lato, come un cucciolo. Cosa si aspettava? Un bacio, forse? Il mio ghigno si allargò leggermente mentre il suo sguardo vagava sul mio volto. Quegli occhi cerulei mi rapirono per qualche istante, ma quando portai le labbra accanto alle sue non chiusi le distanze, né permisi a lei di farlo. Avvicinai le dita ai suoi fianchi, e prima che lei potesse rendersene conto, iniziai a farle il solletico.
Si piegò su se stessa cercando di evitare il mio tocco, ridendo forte, gli occhi chiusi, ma io seguivo ogni suo movimento senza lasciarle via di fuga. Non ero sicura che soffrisse il solletico, era stato un tentativo; tentativo riuscito.
«B... Basta!» disse tra le risa, ma scossi la testa.
«Vendetta.» Mi limitai a risponderle, sorridendo divertita. Lucy si lasciò cadere su un fianco, cercando aiuto nel letto, ma peggiorò solamente la situazione. E mentre si contorceva ridendo, non potevo fare a meno di pensare a quanto dolce fosse quella risata. Mi distrassi per un attimo, nemmeno un secondo, ma le fu sufficiente per bloccarmi i polsi. Che agilità aveva quella donna? Un istante e fu su di me, un sorriso trionfante sulle labbra rosse. Ah, dannazione! Ma la vista era stupenda.
«Vendetta.» Sussurrò appena, maliziosa, avvicinando il volto al mio. Il mio cuore mancò un battito alla sua voce, e seriamente non seppi se avrebbe iniziato a farmi il solletico fino a farmi soffocare o se mi avrebbe baciata con passione. O entrambe, per farmi soffocare prima.
La terza opzione, decisamente. O meglio, una variante. Le sue labbra si posarono sul mio collo, mentre le sue dita presero a solleticarmi i fianchi, mandandomi scariche lungo il corpo. Risi, o gemetti, non lo sapevo nemmeno io; diciamo che ero distratta. Le sue mani mi scorrevano lungo i fianchi ed io sentivo l'irrefrenabile bisogno di ridere, ma allo stesso tempo le sue labbra mi baciavano il collo e non mi sarei stupita se quella risata fosse uscita incrinata.
Cercai di liberarmi, ma mi teneva entrambi i polsi con una mano, continuando a punzecchiarmi il ventre. «B---basta!» provai a protestare tra le risa, ma lei si limitò a sussurrare accanto al mio orecchio "nessuna pietà". Dèi, voleva farmi impazzire... Dèi, ci stava riuscendo. Tentai di muovere le braccia, inutilmente: lei mi teneva stretta -non immaginavo potesse avere tanta forza. O forse ero io che non volevo veramente liberarmi.
La sua mano fermò il proprio assalto, le labbra no. Potei respirare nuovamente, anche se i suoi baci erano mozzafiato. Sentii le sue dita sul ventre, sotto alla maglietta, risalire dolcemente. Socchiusi gli occhi, sorrisi, quando...
«Robyn!» Bussarono. Quella voce maledettamente familiare. Lucy saltò come un gatto, spostandosi da sopra di me con un gemito sorpreso soffocato sul cuscino, ed io apersi gli occhi con quello che doveva essere uno sguardo assassino.
«Lo uccido.» Sussurrai furente. «Ora vado lì e lo uccido. Lentamente.» Lucy intanto si era praticamente nascosta sotto al lenzuolo, creando una massa informe di pinguini.
«Tranquilla che poi ti aiuto col cadavere.» La sentii mugugnare da oltre la stoffa.
«Robyn!!» Bussò ancora. Roteai gli occhi e mi alzai, dirigendomi all'entrata. Apersi la porta quanto bastava per tirar fuori la testa -non che la camera fosse in vista, semplicemente non ci tenevo a farmi vedere mezza nuda da quell'idiota- e squadrai Claude.
«Che vuoi?» Non mi sforzai nemmeno di dissimulare insofferenza e fastidio.
«Hai visto Lucy?» "Fottiti". Ce l'avevo sulla punta della lingua, davvero.
«Sì.» Secca.
Attimo di pausa.
«Pensi di dirmi dov'è?» "Pensi di andare a farti fottere?"
«No. Altre domande?» Feci fatica a trattenere un sogghigno al suo sguardo indignato. Fece per parlare ma si bloccò. Roteò gli occhi e se ne andò seccato.
Feci appena in tempo a chiudere la porta ed una risata giunse alle mie orecchie. Sorrisi e tornai in camera, trovando Lucy ancora immersa nel lenzuolo.
«Ma perché viene sempre da me?»
«Ah, immagina. Dio, avrei pagato per vedere la sua faccia!»
Ghignai soddisfatta. «Non era un bello spettacolo.» rise ancora. Mi sedetti accanto a lei e ci guardammo per qualche istante, ogni risata terminata, prima di unire le labbra in un bacio. Dati i presupposti, il nostro era un amore impossibile. Lo sapevamo. A parte il fatto che ci saremmo perse di vista finito quello stage, tutta la storia di Claude e del matrimonio complicava non poco le cose.
La strinsi a me, abbracciandola oltre al lenzuolo, sospirando appena.
«Meglio se ci prepariamo.» Disse, appoggiando la fronte alla mia spalla.
«Sì.»
Restammo ferme, strette l'una all'altra ancora per qualche minuto. Poi ci separammo lentamente, controvoglia, e ci vestimmo.
Facemmo colazione con le merendine alla Nutella ed un caffè, chiacchierando di tutto e nulla. Mangiammo e bevemmo con calma, e si fecero le sette. Quel giorno Andreina non avrebbe avuto bisogno di me, quindi potevo benissimo arrivare alle otto passate -l'appuntamento era alle otto, ma nessuno arrivava mai in orario. Giocherellando con l'involucro della merendina, sorrisi a Lucille. «Abbiamo quasi un'ora. Qualche idea?»
Lei mi guardò. «Ieri l'idea sembrava interessante.» fissò gli occhi nei miei, un sorriso malizioso ad incurvarle le labbra. Sì, aveva deciso di uccidermi.
«Dannati cellulari.» Commentai assente, lo sguardo perso nel suo. «Anzi, mi correggo. Dannato Claude.»
«Gli vuoi proprio bene, hm?»
«Oh, non farmi diventare volgare.»
Lei mi guardò divertita, poi allungò la mano, posandola sulla mia. Dèi, era la tentazione fatta donna. Non solo il suo sorriso malizioso mi faceva impazzire, ma il semplice tocco delle sue dita sulle mie mi fece letteralmente avvampare. Feci per parlare, ma Nil Se'n La risuonò nell'aria.
«SERIAMENTE?!» sbottai frustrata. Lucy alzò gli occhi al soffitto, mormorando "dannati cellulari", mentre io tiravo fuori il mio. Controllai il numero sul display e sospirai.
«Andreina, dimmi.»
«Ciao, scusa se ti disturbo ma... Mi servirebbe una mano.»
«Altri video da guardare? Ieri ci abbiamo messo dieci minuti a mettere le sedie... Sono le-» Guardai l'ora «- sette e dieci.»
«No, mi si è scaricata la batteria della macchina.» Merda? Merda. «Scusa se chiedo a te, ma Susy non ha un mezzo proprio, Amanda sa a malapena arrivare in sede dal suo appartamento... Tu sei l'unica rimastami.»
«Però c'è un problema...»
«Sarebbe?»
«Ho già promesso un passaggio a Lucille...» Come odiavo quelle situazioni.
Lei scosse appena la testa, dicendo sottovoce «Non fa niente, chiedo a Claude.» La guardai come per dire "davvero?" e lei annuì.
«Oh... Capisco...»
«Come non detto. Lucy ha già un passaggio.»
«Ma è lì con te?» Andreina e le sue domande.
«Sssì. Comunque, quando passo?»
«Appena puoi.» Perlomeno si evitò altre domande. Mi ringraziò, ci salutammo, chiusi la chiamata e sospirai rumorosamente.
«Mi spiace...» mugugnai infastidita a Lucy, ma lei mi rassicurò con un sorriso ed un "non preoccuparti". Tuttavia, il fatto che si facesse accompagnare da Claude mi infastidiva. Assurdo, ero gelosa del suo fidanzato.
Lei chiamò il ragazzo, chiedendogli un passaggio e dicendo che l'avrebbe aspettato fuori dalla propria stanza.
Io mi congedai per andare a prendere Andreina, ma non senza prima strapparle un veloce bacio.
«A dopo.»
«A tra poco.»

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


È passato un bel po' dall'ultimo update di Quasi Per Caso. Avevo scritto una buona parte del capitolo tempo fa, ma per un motivo o per l'altro non l'ho mai finito fino a qualche giorno fa, quando ho ripreso in mano le mie fic. Cosa non si fa per non studiare in vista dell'esame di stato, eh?
Ad ogni modo, ho deciso di continuare questa storia, dato che mi era mancato scrivere di Robyn, Lucille, Andreina, Claude e danza.
Enjoy~

Entro breve raggiunsi l'appartamento di Andreina, che stava un edificio stretto ed alto con diversi piani da uno o due appartamenti ciascuno dalla parte opposta rispetto a dove stavo io alla sede. Durante il viaggio ebbi tempo di ripensare a tutta la faccenda di Lucy e me, ma soprattutto di Lucy e Claude; più ci pensavo, più cresceva il senso di colpa: finito lo stage non ci saremmo più riviste, lo sapevamo entrambe - avrei finito per spezzarle il cuore, anzi, si sarebbe spezzato ad entrambe. Senza parlare poi del suo fidanzato, che lei era costretta a sposare. Dèi se odiavo quel ragazzo. Ma alla fine la colpa era mia, giusto? Io mi ero innamorata di Lucy, io le avevo complicato la vita... e per scusarmi, decisi che avrei fatto il possibile perché i pochi giorni che ci restavano fossero ricordi felici per lei.
Mi parcheggiai velocemente e non mi tolsi né guanti né casco, decisa a ripartire in fretta; percorsi la breve stradina dal cancello al portone aperto e salii le scale. Bussai alla porta dell'appartamento e pochi secondi dopo Andreina uscì, sorridendomi calorosamente. «Grazie, e scusa per il disturbo.»
Le sorrisi a mia volta e le porsi il suo casco. «Tranquilla, nessun disturbo.» Risposi alzando una spalla con fare rilassato. Certo, avevo altri programmi, ma...
«Pensavo volessi portare Lucille.» Sentii un brivido lungo la schiena alle sue parole, ed allo sguardo divertito che le accompagnò. Andreina era una mia cara amica, era sempre stata una donna empatica e sveglia, certe cose le afferrava. Ero certa che avesse capito cosa stava succedendo, almeno a grandi linee... ma non volevo ammetterlo ugualmente.
«Non è che lo volessi... ci siamo incontrate e le ho offerto un passaggio, tutto qui, ecco.» Mi strinsi nelle spalle. Lei mi lanciò un sorrisetto e scosse appena la testa, prendendo il casco. «Dato che stiamo a tipo due stanze di distanza la mattina ci incontriamo.» Aggiunsi, tirandomi poi una sberla mentale. Zitta, Robyn, non sparare cazzate.
«Capisco.» Si limitò a dire lei, poi cambiò discorso. Grazie. «Oggi, per la tua felicità, proveremo Petitriense.»
«Urrà.» Ridacchiai sarcastica e salii in moto, seguita dalla donna, che si strinse a me. Presi una scorciatoia, impiegando mezz'ora per arrivare alla sede anziché quarantacinque minuti; fummo lì per le otto meno dieci. Lei prese un caffè e chiacchierammo aspettando che arrivassero anche gli altri, discutendo di Petitriense, di passi e dello spettacolo finale. Poco dopo le otto, la gente iniziò a fluire nella stanza, ed eravamo nuovamente in venti. Individuai Lucille e le indirizzai un sorriso, così lei si separò da Claude e mi si avvicinò, incrociando le braccia al petto.
«Riusciremo mai a passare una mattinata in pace?»
«Chissà. Siamo state interrotte tre volte, è qualcosa di assurdo. E frustrante.» sospirai affranta e lei ridacchiò.
«Già. Ma oggi pomeriggio Claude ha da fare e stasera è fuori con dei suoi amici che non vede da anni, quindi sono tua.»
Feci per rispondere, entusiasta, ma Andreina ci richiamò all'ordine per il riscaldamento. Come il primo giorno, mi ritrovai casualmente accanto a Lucille, ed ancora una volta mi ritrovai a lanciarle occhiate poco consone - solo che stavolta lei era totalmente consapevole della cosa, nonostante non lo facessi apposta, e ne sembrava molto divertita. Talvolta mi guardava con un sorrisetto che probabilmente aveva il solo scopo di provocarmi. Scopo che ovviamente raggiunse. Terminati quei dieci/quindici minuti di inferno e paradiso, ci fu una pausa-caffè, come di routine. Claude si mise a parlare con Lucy, così mugugnai il mio dissenso ed andai da Susy, che mi raccontò del corso di danza irlandese che stava seguendo.
Non ci volle molto prima che Andreina chiamasse l'attenzione di tutti per ricominciare le prove.
«Oggi impareremo una danza quattrocentesca, Petitriense. Sistematevi in coppie da tre ed iniziamo.»
«Coppie da tre?» riprese Susy, divertita. Andreina la guardò perplessa per un attimo, poi scosse la testa. «Trii, insomma.»
Ci dividemmo velocemente in gruppetti, Lucy venne da me e Claude la seguì, lanciandomi un'occhiata diffidente. Mi trattenni dal roteare gli occhi e mi sistemai dietro a Lucille, attendendo istruzioni, ma Andreina mi sistemò al primo posto della fila perché guidassi gli altri, dato che conoscevo bene la danza. Così, Lucy si ritrovò tra me e Claude - perfino letteralmente. Storsi le labbra, ma non obbiettai, incrociando le braccia al petto ed osservando Andreina nell'attesa che cominciasse. Prima avessimo iniziato, prima avremmo finito.
«Si tratta di un ballo piuttosto libero, giocoso e divertente, come Rostiboli. Si parte in fila con sedici spezzati - e qui potete prendere tutto lo spazio che volete.» Prese a gesticolare, disegnando tracciati nell'aria. «Proveremo due gruppi alla volta.»
Il trio di Andreina comprendeva George, un ragazzo dall'aria un po' goffa, ed una donna rigida come una scopa; l'altro gruppo era diretto da Susy. Gli altri lasciarono loro spazio ed io mi appoggiai al muro con la spalla, osservando mentre i quattro ballerini meno esperti seguivano le due che già conoscevano la danza. Con i sedici spezzati i due trii percorsero la sala fino a fermarsi ai due estremi di essa per avere più spazio possibile. Con altri quattro spezzati, a turno ognuno si spostò percorrendo uno spazio a piacere fino a ritrovarsi nuovamente in fila; formarono poi un triangolo con due passi doppi ciascuno. Inchino tra primo e secondo, inchino tra secondo e terzo. Venni distratta da Lucy, che richiamò la mia attenzione toccandomi la spalla. «Hm?» Mi voltai, la musica che continuava mentre i due gruppi ballavano. Lei mi fece cenno di seguirla e, incuriosita, andai con lei. La osservai, sembrava rilassata, anche se il fatto che mi avesse chiesto di andare assieme a lei nel bel mezzo della prova mi pareva strano. Quando fummo uscite dalla stanza, percorremmo le scale per scendere al piano sottostante, dove si trovava un pianerottolo con il bagno, una piccola cucina ed una stanzetta adibita a magazzino.
«Tutto ok?» chiesi, cercando i suoi occhi. Lei mi sorrise, annuendo leggermente.
«Sì, non preoccuparti. Pensavo solo ad una cosa, e dato che ci sono altri quattro gruppi prima di noi, volevo parlartene.»
Poggiai la schiena al muro, incrociando le braccia al petto. «Dimmi.» La incalzai curiosa inarcando le sopracciglia. Lei si avvicinò, sistemandosi accanto a me.
«Oggi sono tutta tua, te l'ho detto, quindi... cosa vorresti fare?» "Continuare il discorso di stamattina" pensai tra me, ma mi strinsi nelle spalle.
«Potremmo fare un giro, a meno che tu non preferisca restare all'albergo.» proposi semplicemente; in entrambi i casi, avevo qualche idea. Lucy annuì e mi sfiorò un fianco con le dita, mandandomi un piccolo brivido lungo la schiena.
«Potremmo fare entrambe le cose.» si limitò a rispondere, con un tono malizioso e complice che mi tolse l'aria dai polmoni.
«'Kay.» Riuscii solamente a dire, fissandola. Lei ridacchio, scuotendo leggermente la testa, divertita, poi si staccò dal muro e fece un gesto verso le scale. «Andiamo?»
«Un attimo.» Mi spinsi via dalla parete con un colpo di spalle e le presi i fianchi, attirandola a me e cercando le sue labbra. Restammo abbracciate per qualche secondo, le bocche unite in un dolce bacio, prima di separarci. Imboccammo le scale, e ci ritrovammo davanti Claude. Ci aveva seguite? Sentii un brivido gelido lungo la schiena ed il cuore farsi un macigno: e se avesse visto il bacio? Forse poteva avere qualche sospetto, ma la conferma è qualcosa di totalmente diverso. Lucy sarebbe potuta finire nei guai.
«Ehi, che fine avevate fatto?» rilasciai il respiro che non mi ero accorta di star trattenendo quando notai la tranquillità nel suo tono e l'assenza di accusa sul suo volto. Non lo capivo: ogni tanto mi guardava come un mastino guarda l'intruso, altre volte sembrava così serafico da portarmi a chiedermi dove avesse trovato l'erba. Allora, era il secondo caso.
«Dovevo andare in bagno e Rob mi ha accompagnata.» Mentì spudoratamente Lucy.
«Oh. Ok. Devo andarci anch'io, tra poco hanno finito il terzo ed il quarto gruppo.» Ci informò, poi ci superò tranquillamente, diretto ai servizi.
Lanciai un'occhiata confusa a Lucy, che scrollò le spalle, poi tornammo su; entrammo sulle ultime note della danza, i gruppi fecero la riverenza finale ed uscirono di scena. Entrarono il quinto ed il sesto gruppo; noi avremmo ballato con il primo, quello di Andreina, a cui certamente non avrebbe fatto male ripetere.
Un po' da parte rispetto agli altri, di modo da essere fuori portata d'orecchio, mi accostai a Lucy, sussurrando «Un po' bipolare, il ragazzo?»
«Peggio di una donna incinta. Sempre stato.» Si strinse leggermente nelle spalle, guardandomi. «Ogni tanto sembra diffidente, ogni tanto sembra che non gliene freghi niente, non sono mai riuscita a leggerlo.»
«Ho notato.» Sospirai appena, guardando il gruppo terminare la danza. Claude rientrò appena in tempo, sul terminare della musica, e ci mettemo in posizione.
Il brano partì con un breve cappello introduttivo, poi fu il momento di iniziare con i sedici spezzati. Io, Lucy e Claude ci muovemmo nella parte destra della sala, disegnando una specie di otto, mentre il gruppo di Andreina si avvitò come un serpente in quella sinistra. I miei due compagni si fermarono ed io proseguii con altri quattro spezzati, finendo per fronteggiare Lucy con uno sguardo di sfida; lei mi seguì, senza abbandonare i miei occhi, e si portò dietro di me. Infine Claude ci girò attorno, arrivando dietro alla bionda. Con due passi doppi formammo il triangolo e ci scambiammo dei piccoli cenni, quindi gli inchini. Il mio sguardo trovava sempre quello di Lucille. Ripetemmo la danza, ed infine facemmo tutti e tre una riverenza, all'interno del triangolo, prendendoci le mani. Andreina ci si avvicinò con un sorriso, dopo aver fermato la musica, e ci studiò brevemente - non mi sfuggì quel breve lampo di comprensione nel suo sguardo, e sentii il cuore affondare per un attimo.
«Siete stati bravissimi.»
Intanto, erano passate le undici. Decidemmo di ripassare Corona Gentile, dato che era lunga e non propriamente semplice. Dopo un paio di prove, decidemmo di tentare senza dicitura dei passi - fu un disastro: cavalieri che giravano quando dovevano avanzare, dame che avanzavano quando dovevano girare, e genericamente errori su errori. Con un sospiro, Andreina riprese il foglio dei passi e ricominciò a dettare a tempo.
Quando finalmente terminammo, si era fatto mezzogiorno. Io, da brava italiana, proposi di andare a pranzo. Tutti acconsentirono e nuovamente ci dirigemmo assieme allo stesso ristorante del giorno precedente.
Andreina si sistemò accanto a me, lanciandomi uno sguardo che gridava "dobbiamo parlare", e non potei fare altro che trattenere un sospiro ed annuire lentamente, la testa bassa come un bimbo rimproverato dalla madre. Aveva capito tutto, vero? Dio, era impossibile tenere celato qualcosa a quella donna. Lucille si sedette al mio fianco, dall'altra parte rispetto ad Andreina, e nel farlo mi sfiorò la coscia con le dita; quando mi voltai a guardarla, mi sorrise. Sentivo lo sguardo dell'insegnante sulla nuca e, per quanto sapessi che non c'era giudizio in quello sguardo, mi sentii morire. Le avrei dovuto un bel po' di spiegazioni, lo sapevo. Alla bionda sembrò non sfuggire la morte nei miei occhi, e la sua espressione si fece interrogativa; poi notò Andreina, e la vidi arrossire. Splendido. Ero abbastanza sicura di essere finita in un girone infernale - quale, non ne ero certa.
Presto fummo tutti seduti, e durante il pranzo la tensione si allentò. Chiacchieravo ora con Susy, che si era sistemata di fronte a me, ora con Lucille, ora con Andreina di danza, di vecchie storielle o del più e del meno.
«E Rob, ti ricordi quella volta di... quant'era, cinque anni fa?»
«Quale in particolare?»
«Quando quel ragazzo ha dimenticato il costume per lo spettacolo.»
«Oddio... La volta in cui abbiamo dovuto prestargli un abito da dama? Indimenticabile, poverino, specialmente per lui temo. Saranno passati sette anni...»
Ormai io ed Andreina eravamo sul viale dei ricordi, ed i ballerini attorno a noi ascoltavano divertiti i nostri aneddoti; di quel gruppo, io ero quella che da più anni seguiva i suoi corsi.
«A proposito di costumi...» Susy entrò nel discorso. «Vogliamo parlare della volta in cui Lucia si dimenticò di provarlo prima dello spettacolo?»
«Aspetta, Lucia... Che vestito aveva?»
«Quello bianco e nero di velluto.»
«... Intendi quello con la chiusura a lacci?»
«Quello.»
Ci guardammo e scoppiammo a ridere, quindi, notando gli sguardi perplessi attorno a noi, andammo a spiegarci.
«Una ballerina era arrivata al giorno dello spettacolo senza aver provato il proprio costume dopo più di un anno dall'ultimo utilizzo.»
«E noi abbiamo dovuto aiutarla ad entrarci. Abbiamo lavorato in tre a quei maledettissimi lacci, alla fine sembrava un salame, non so ancora esattamente quali leggi della fisica abbia violato quella sera.»
Durante la risata generale, il mio sguardo scivolò su Lucy; mi chiesi se, finita quella settimana, ci saremmo riviste o se saremmo rimaste una bella storia, un dolce ricordo l'una per l'altra, e nulla più. Sperai con tutta me stessa che si trattasse della prima alternativa. La bionda notò il mio sguardo e mi guardò a sua volta, lanciandomi un sorriso interrogativo, ma io mi limitai a sorriderle a mia volta e tornare a parlare.
«Che poi, qualcuno sa perché Lucia non è venuta quest'anno?»
«Impegni.» spiegò Andreina. «Mi ha scritto un paio di mesi fa, infatti, per chiedermi quando avrei tenuto il corso. Quando le ho detto che sarebbe stato in questi giorni si è scusata ed ha detto che le avrebbe fatto molto piacere, ma che in questo periodo avrebbe avuto una tonnellata di lavoro da fare.»
Io e Susy annuimmo.
Dopo un altro po' di chiacchiere decidemmo di comune accordo che si era fatto tardi, e che era ora di tornare.

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