Un Nuovo Incubo

di Scythe_Master_Branwen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una Nuova, Vecchia Vita ***
Capitolo 2: *** Decisione Amara ***
Capitolo 3: *** Sotto Shock ***
Capitolo 4: *** L'avvertimento ***
Capitolo 5: *** Un Nuovo Pericolo. Un Vecchio Incubo ***
Capitolo 6: *** Il Messaggio ***
Capitolo 7: *** Scoperte ***
Capitolo 8: *** Ultima Possibilità ***
Capitolo 9: *** Rivelazioni ***
Capitolo 10: *** Promessa ***
Capitolo 11: *** Minaccia ***
Capitolo 12: *** L'Imboscata ***
Capitolo 13: *** Passato ***



Capitolo 1
*** Una Nuova, Vecchia Vita ***


Tre anni. Erano passati tre anni da quando il suo amato Chris le aveva chiesto di sposarlo. Tre anni da quando lei aveva detto il fatidico sì. Tre anni da quando, qualche settimana dopo la proposta, lei e Chris erano diventati marito e moglie. Quei tre anni erano stati meravigliosi, i più belli della vita di Jill; Chris si era messo in congedo in quel periodo, per poter stare con lei quanto più possibile.

Un giorno arrivò una telefonata. Una telefonata che aveva cambiato le cose. Chris aveva risposto per primo e ad un certo punto, il suo viso si era rabbuiato, come se avesse ricevuto una notizia terribile -Cosa succede?- gli chiese Jill, allarmata dalla sua espressione -C’è stato un nuovo attacco- rispose lui -in Edonia. Delle forze anti – governative hanno rilasciato un potente Virus in tutta la regione- Jill rimase senza fiato: non c’erano segnalazioni di attacchi bioterroristici del genere da anni -E...ci sono superstiti?- domandò con un filo di voce.

Chris la guardò -A quanto pare sì- le rispose infine -Jill, io...- iniziò a dirle, la voce incrinata -è tutto a posto- gli rispose lei con gli occhi lucidi, cercando di trattenere le lacrime. Lui la fissò negli occhi per un momento, poi la baciò e uscì di casa, diretto al Quartier Generale della B.S.A.A.; quando Chris uscì, Jill scoppiò a piangere: niente era a posto; sia lei che il marito speravano di essere usciti da un incubo del genere. Certo, lavorare nella B.S.A.A. implicava compiere missioni in zone a rischio biologico, ma da quando Wesker era morto, i casi di attacco Bioterroristico si erano ridotti a villaggi isolati, con qualche migliaio di abitanti al massimo, ma questa volta era diverso. Questa volta uno Stato intero era stato di nuovo minacciato dalla presenza di armi biologiche e la B.S.A.A. necessitava del suo agente migliore: Chris Redfield. Il suo Chris.

 

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Capitolo 2
*** Decisione Amara ***


Chris era stato lontano dagli Stati Uniti troppo a lungo. Dopo l’incidente con l’elicottero in Edonia, aveva perso parte della memoria ed era caduto in depressione per la perdita dei suoi uomini. Era rimasto in quel paese per sei, lunghi mesi, durante i quali era stato dichiarato disperso in azione. Poi Piers l’aveva trovato e gli aveva fatto riacquistare la memoria. In Cina affrontarono la Neo-Umbrella insieme a Leon Kennedy e alla sua nuova partner, Helena, riuscendo finalmente a distruggere la corporazione.
Chris tornò negli Stati Uniti pochi giorni dopo il completamento della missione. Era stanco e addolorato per la morte dei suoi uomini, ma non vedeva l’ora di ritornare a casa sua e riabbracciare sua moglie. La sua adorata Jill. Sicuramente qualcuno dal Comando B.S.A.A. doveva averla informata che Chris era ancora vivo.
Arrivò di fronte alla porta della loro casa e bussò; sentì girare la chiave nella toppa e la porta si aprì -Jill...- iniziò a dire, ma non ebbe il tempo di aggiungere altro: Jill gli si avventò addosso, tempestandolo di pugni sul petto, mentre un fiume di lacrime bagnava il suo bel viso -SEI SPARITO!!- gli gridò lei singhiozzando -SEI MESI!! NESSUNO SAPEVA DOVE FOSSI, TI CREDEVO MORTO!!!- Chris la abbracciò stretta ed iniziò a piangere.

Jill non se lo aspettava. Smise di singhiozzare e lo tenne stretto a sé. Per lei era una cosa del tutto nuova, non aveva mai visto Chris piangere prima di allora: di solito era lei ad appoggiarsi a lui per consolarsi o quando aveva bisogno di qualcuno che la tirasse su di morale. Invece, questa volta era Chris quello che aveva bisogno di essere sostenuto -Ssh...Calmati amore mio, cosa è successo?- gli sussurrò dolcemente Jill e lui le raccontò ogni cosa, l’Edonia, i suoi uomini trasformati in mostri dal nuovo Virus-C, l’incidente, l’amnesia e poi la Cina, di come avesse perso un’altra squadra nel tentativo di catturare la donna che aveva causato quel disastro, l’intromissione di Leon, l’arrivo del figlio di Wesker e la morte di Piers. Jill abbracciò forte suo marito, finché non si fu calmato a sufficienza, poi cercò di tirarlo su di morale come meglio poté: non era più arrabbiata con lui. Era solo felice che fosse di nuovo a casa loro, con lei.

Chris aveva bisogno di distrarsi, di non pensare a quello che era successo. Jill era dolcissima e cercava di intrattenerlo il più possibile, ma per quanto Chris apprezzasse quei momenti con sua moglie, sapeva che non sarebbe bastato. Gli serviva qualcosa di più, qualcosa che gli tenesse la mente occupata per molto tempo.
Un giorno, alcuni mesi dopo essere tornato, decise di parlarne alla sua amata -Jill, c’è qualcosa che devo dirti- -Certo, dimmi- -Ho...ho deciso di tornare sul campo- le disse tutto d’un fiato, aspettando la reazione della moglie.

Jill sospirò -Lo immaginavo- gli disse dopo un attimo di silenzio, lui la guardò un po’ confuso -Come facevi a…?- -Chris, sono tua moglie e ho passato con te quasi metà della mia vita, perciò so esattamente cosa ti passa per la testa- sorrise, ma i suoi occhi non riuscirono a celare la tristezza che le attanagliava il cuore -Solo...non riesco a sostenerti in questo Chris, mi dispiace. Se dovesse succederti qualcosa io...io non riuscirei più a...- cercò di trattenere le lacrime che le inumidivano gli occhi.
Chris le cinse la vita con un braccio e la baciò, cercando di infondere in quel bacio tutta la sua sicurezza e tutto l’amore che provava per lei -Te lo prometto: non mi succederà niente- le disse poi, cercando di rassicurarla -Io tornerò sempre da te- continuò -E io ti troverò sempre, ovunque tu sia- replicò lei, asciugandosi le lacrime.
Il mattino dopo, Chris ricevette la telefonata che aspettava -Comandante Redfield- esordì una voce dalla cornetta -abbiamo la conferma della presenza di alcune B.O.W. in Afghanistan. Il suo team è già pronto ed equipaggiato- concluse la voce -Arrivo subito- rispose secco Chris e si girò a guardare Jill; ogni volta che la osservava, la trovava sempre più bella: i suoi capelli biondi, una volta castani, legati in una coda che le scendeva giù per la schiena, gli occhi azzurri luminosi come stelle e la sua figura alta e slanciata, con le curve perfette e armoniose. Era la cosa più bella che avesse mai visto; fu tentato di lasciar perdere quell’incarico e rimanere lì con lei, ma sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato: combatteva perché il mondo avesse un futuro libero dalla minaccia del bioterrorismo. Combatteva perché lui e Jill potessero vivere felici in un futuro libero dagli orrori che avevano vissuto. La baciò con dolcezza, le sorrise accarezzandole il viso e uscì di casa.

 



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Capitolo 3
*** Sotto Shock ***


Chris e la sua nuova squadra partirono intorno alle undici del mattino. Un elicottero li scortò fino all’aeroporto, dove ad attenderli c’era un aereo da trasporto pronto al decollo. Arrivati poi in Pakistan, presero un nuovo elicottero che li avrebbe trasportati sul luogo della missione.
Chris passò le ore che lo separavano dalla loro destinazione controllando l’equipaggiamento ed istruendo i suoi uomini, diciannove in tutto, sul da farsi.
Alcuni erano reclute, altri soldati esperti che avevano già affrontato situazioni analoghe.
Durante una pausa, si ritrovò a guardare la foto che teneva sempre con sé: lui e Jill durante la luna di miele, di sera, sulla spiaggia di un’isoletta italiana; era la foto di loro due insieme che più gli piaceva, perché nei loro sorrisi e nei loro sguardi si poteva chiaramente vedere una felicità e un senso di tranquillità che non provavano da molto tempo.
Un sorriso gli affiorò sulle labbra e si chiese che cosa stesse facendo Jill in quel momento.

Jill entrò nel Quartier Generale della B.S.A.A.
Aveva un brutta sensazione su quella missione e doveva accertarsi di persona che stesse andando tutto bene.
Tutti quelli che incontrò la salutarono calorosamente; anche se si era ritirata dal servizio attivo sul campo, era comunque uno dei membri fondatori dell’organizzazione.
Si diresse rapidamente alla sala di controllo -Ok Comandante, siete quasi al punto di atterraggio- disse uno degli addetti alle comunicazioni, ma non appena vide Jill ammutolì, esattamente come il resto della sala.
-Ehi? C’è nessuno?- sentì suo marito parlare al microfono -Che succede lì?- chiese -QG, non sento più niente, voi mi ricevete?- dopo un attimo, l’addetto alle comunicazioni rispose -Ehm...sì, la riceviamo signore, è appena arrivata...- in mezzo agli applausi dei presenti, Jill si sedette ad una delle postazioni e prese un paio di cuffie -Volevo solo vedere come se la cavava mio marito lontano da me- disse con una punta di divertimento nella voce.

Chris era sorpreso di sentirla alla B.S.A.A. -Jill?!- esclamò, cercando di farsi sentire nonostante il rumore delle pale dell’elicottero, gli applausi e i vari “bentornata” diretti a Jill dal personale della Sala di Controllo -Questa sì che è una sorpresa!- disse -non pensavo saresti tornata al QG- -Beh, sono passata a dare un’occhiata e a tenerti allegro- rispose lei divertita. Tutti risero a quelle parole, Chris compreso.
Passò al canale di comunicazione della squadra -D’accordo gente- esordì -mia moglie, niente meno che il Capitano Jill Valentine, ci sta osservando, perciò cercate di non farmi fare brutta figura- i suoi uomini trattennero una risata e risposero all’unisono -sissignore!- evidentemente divertiti dallo scambio di Battute tra lui e Jill.
-Dieci minuti alla zona di lancio signore!- annunciò il pilota -Ricevuto! Luce Rossa ragazzi! State pronti!- la squadra iniziò a preparare l’equipaggiamento, quando una voce estremamente familiare fin troppo vicina al microfono gli fece quasi esplodere i timpani -TORNATE INDIETRO!!! E’ UNA TRAPPOLA!!!-

Jill rimase scioccata. Leon Scott Kennedy era arrivato nella sala di controllo come una furia, si era lanciato ad una delle postazioni di comunicazione tra lo stupore generale e aveva gridato quell’avvertimento.
Subito dopo, si era accasciato a terra stremato; Jill lo fissò stupita: aveva i vestiti sgualciti e tagliati, con una grossa chiazza di sangue sul fianco sinistro, un taglio profondo sulla fronte da cui sgorgava un fiume di sangue che gli copriva mezza faccia, un occhio livido e le nocche scorticate e sporche di sangue -Portatelo in infermeria!- ordinò Jill a due delle guardie di sicurezza; intanto Chris le stava parlando attraverso le cuffie -Jill che succede?! Era Leon?!- chiese preoccupato -Sì Chris, era Leon. Lo stiamo portando in infermeria, è messo male- rispose mentre gli anni di addestramento prendevano il sopravvento e le permettevano di essere più lucida e reattiva -Cosa intendeva con “è una trappola”?!- -Davvero non lo so Chris, ma se Leon ha fatto tutta questa strada per dirci questo, suggerisco di ascoltare il suo consiglio- disse nella maniera più professionale che poteva, cercando di non far capire al marito quanto fosse realmente in ansia -Ricevuto. Rientro Immediato alla base- rispose secco lui – Pilota! Inverti la rotta e riportaci immediatamente all’aeroporto!-.
Jill trasse un sospiro di sollievo. Poi sentì l’allarme nelle cuffie ed ebbe un tuffo al cuore -Chris, che sta succedendo?!- gli chiese allarmata; in mezzo alle voci che gracchiavano nei microfoni, riuscì a malapena ad udire la risposta di Chris -Qualcosa si è attaccato alla fusoliera! Ci sta tirando giù!!-
-CHE CAZZO E’?!- -ABBATTETE QUEL FIGLIO DI PUTTANA!!-.
Urla, spari, poi udì la voce del pilota -TENETEVI FORTE, STIAMO PRECIPITANDO!!!-.
Questa fu l’ultima trasmissione dall’elicottero, dopo ci furono solo rumore bianco e interferenze -Chris?!- iniziò a gridare -CHRIS!!-

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Capitolo 4
*** L'avvertimento ***


Leon era distrutto. Alla DSO era stata una giornata estremamente faticosa.
Dopo il rivelato tradimento di Simmons, la lotta contro la Neo-Umbrella e l’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti, alla divisione di sicurezza c’erano un gran numero di cose da sistemare.
Non dormiva da quarantotto ore consecutive; aveva detto ad Hannigan di avvertirlo se ci fossero stati problemi, ma in cuor suo sperava di potersene stare tranquillo almeno qualche ora.
Si versò un bicchiere di Whisky che trangugiò in un attimo e si stese sul letto del suo appartamento, senza nemmeno togliersi i vestiti di dosso, cercando di riposare un po’.
Appena toccò il cuscino si addormentò. Ma il suo sonno era destinato a non essere tranquillo. Si ritrovò di nuovo a Tall Oaks. Lui ed Helena stavano fronteggiando un’orda di infetti, schiena contro schiena, sparando all’impazzata. Poi lo vide. Adam Benford. Il Presidente. Il suo amico. -Signor Presidente!- gli gridò Leon, ma lui non poteva sentirlo, poiché era in mezzo a quell’esercito di mostri, trasformato anche lui, oramai, in una di quelle creature -Presidente, la prego!! Non me lo faccia fare!!- riprovò inutilmente puntandogli contro la pistola, mentre quello si avvicinava sempre di più -Presidente!- il dito sul grilletto che tremava. Il Presidente sempre più vicino -PRESIDENTE!!!- gridò disperato Leon mentre apriva il fuoco.
Si svegliò di soprassalto, con la fronte imperlata di sudore e il fiato corto, il suono dello sparo ancora nelle orecchie. Sentì la porta del suo appartamento cigolare e si rese conto che il colpo che aveva sentito non era quello nel sogno: qualcuno aveva sparato alla serratura della porta per aprirla.
Leon afferrò al volo la calibro 22 che teneva nel cassetto e si appiattì contro il muro, restando in ascolto: udì dei passi felpati scricchiolare appena sul parquet e una sicura venire tolta da un’arma.
Strinse così tanto la pistola che le nocche gli sbiancarono, poi trasse un respiro profondo e si affacciò dal bordo del muro, con l’arma pronta al fuoco; contò tre uomini e iniziò a sparare: il primo venne colto totalmente alla sprovvista, e il proiettile gli attraversò il cranio, trapassandolo da parte a parte e conficcandosi nella parete dietro di lui, ma il secondo e il terzo furono più veloci e si misero al riparo, sparandogli addosso. Leon ebbe a malapena il tempo di appiattirsi di nuovo contro il muro, prima che un quarto uomo gli si parasse davanti e lo disarmasse con una facilità imbarazzante; si maledì per non aver controllato meglio la situazione prima di uscire allo scoperto.
L’altro uomo estrasse un grosso coltello da combattimento e tentò un affondo, ma Leon fu più veloce, schivò il colpo e, prendendo il braccio del suo assalitore, glielo torse, facendogli cadere l’arma di mano, per poi tirargli un diretto sul naso; l’uomo barcollò all’indietro, inciampando nel tavolino dietro di lui e cadendo a terra, stordito. Gli altri due aprirono il fuoco, ma Leon aveva percorso la distanza che li separava da lui con un balzo, facendogli mancare il bersaglio e contrattaccando, costringendoli in un combattimento corpo a corpo.
Quegli uomini erano professionisti, si vedeva dal loro stile di lotta, fluido e privo di esitazioni, ma per quanto fossero bravi, Leon lo era di più: mise KO uno dei due con un calcio in pieno volto, che lo mandò a sbattere contro il muro, ma il secondo prese la bottiglia che aveva lasciato lì poco prima e gliela spaccò sulla testa, mandando schegge di vetro in ogni direzione.
Leon indietreggiò, con un taglio causato dalla bottiglia che gli faceva colare il sangue negli occhi. L’altro uomo ne approfittò per cercare di colpirlo nuovamente, ma lui riuscì a bloccarlo in tempo, usando lo slancio del suo nemico per buttarlo fuori dalla finestra.
Il vetro si frantumò e l’uomo cadde di sotto con un grido.
Leon stava per tirare un sospiro di sollievo, quando si ricordò dell’aggressore con il coltello. Si girò, ma era troppo tardi. L’altro si era già rialzato e aveva preso la sua pistola, che esplose un colpo subito dopo, centrandolo al fianco sinistro; nonostante il dolore lanciante, Leon riuscì ad afferrare il coltello del suo aggressore e a lanciarglielo in pieno petto, uccidendolo all’istante.
Stremato dalla lotta, Leon si accasciò contro il letto, strappando un pezzo del lenzuolo e usandolo come fasciatura provvisoria per la ferita sul fianco, poi guardò nelle tasche del giubbotto del cadavere che aveva di fianco, cercando possibili indizi sulla sua identità.
Frugò per un po’, finché non trovò un telefono con un messaggio criptato al suo interno -Dannazione...- mormorò.
Prese il suo palmare e scaricò le informazioni cifrate, poi chiamò chi poteva aiutarlo -Hannigan- disse -Leon! Che succede?- esclamò lei, notando il suo tono di voce -Lascia perdere, ti sto inviando delle informazioni cifrate. Ho bisogno di una decrittazione- proseguì lui -Dammi solo un momento-
Passarono pochi secondi, poi Hannigan parlò di nuovo -Le abbiamo decrittate- Leon aprì il file che la donna gli aveva mandato e iniziò a leggere. Quando finì, si alzò di scatto e corse alla sua moto, parcheggiata vicino alla palazzina -Leon?! Che sta succedendo? Cos’erano quei file?- insistette Hannigan al telefono -Ti aggiornerò più tardi- rispose secco lui -ora devo andare- chiuse la chiamata e partì in direzione del Quartier Generale della B.S.A.A.
Doveva avvertirli. Erano in pericolo.

 

Jill era disperata. Le comunicazioni con Chris e i suoi uomini si erano interrotte di colpo e non erano più riusciti a ricontattarli.
Le squadre di soccorso della B.S.A.A. si stavano preparando e nel giro di un’ora sarebbero partite verso l’ultima posizione nota di Chris.
Le dissero che Leon stava venendo curato: era fuori pericolo, ma aveva perso molto sangue e si sentiva debole.
Mentre si dirigeva in sala ricreazione si sentì chiamare -Jill!-, si voltò e vide Claire Redfield correrle incontro. Claire era la sorella minore di Chris e i due erano molto uniti, perciò era logico che qualcuno l’avesse chiamata per dirle che il fratello era disperso. Le due donne si abbracciarono forte. Entrambe disperate. Entrambe in lacrime.
-Jill cosa è successo a Chris? Dimmi che sta bene, ti prego!- singhiozzò Claire -Non lo so Claire. Io...- Jill si rimise a piangere.
Fu così che Leon le trovò, strette l’una all’altra.
Quando le due donne lo videro lo raggiunsero -Leon! Dovresti essere a riposare- lo rimproverò Jill notando le fasciature e le medicazioni -Non posso- rispose lui -devo...- una gamba gli cedette e Jill e Claire lo fecero sedere -Cosa intendevi dire prima con “è una trappola”?- gli chiese Jill.
Leon tirò fuori il palmare dalla tasca e glielo porse -Guarda tu stessa- le disse con un filo di voce. Jill e Claire accesero il dispositivo e lessero il file che Leon aveva lasciato aperto:

 

“La prima fase del piano è riuscita. Le B.O.W. sono state rilasciate con successo in Afghanistan e la B.S.A.A. ha inviato Chris Redfield ad investigare, come previsto. Mentre voi vi occuperete di Leon Scott Kennedy, le nostre forze intercetteranno la squadra della B.S.A.A.”

 

Jill era incredula. Iniziò a tremare, mentre Claire sbiancò di colpo -Dobbiamo salvarlo- riuscì a dire -Devo trovarlo. Non sa contro cosa dovrà combattere- fece per correre via, ma Leon la bloccò -Aspetta! Se chi ha scritto questo messaggio sapeva che avevate mandato Chris in Afghanistan, vuol dire che è una talpa all’interno della B.S.A.A.!- Jill si fermò e rifletté -Claire. Claire!- chiamò bruscamente l’amica, distogliendola dai suoi pensieri -Avverti la sala di controllo che c’è un infiltrato, digli di attivare i protocolli di sicurezza- poi si girò a guardare Leon -Che ti serve?- le chiese -Non appena la struttura sarà sigillata, cerca di scoprire chi è la talpa- rispose lei -Ricevuto-
Jill non era mai stata così determinata. Dopo aver lasciato istruzioni a Leon e Claire, corse all’armeria e si preparò.
Indossò alla svelta una delle sue vecchie uniformi della B.S.A.A. che Barry e Chris avevano tenuto lì per lei, e prese le armi: un paio di pistole calibro 22, una mitragliatrice leggera MP5, un fucile d’assalto M4A1 e una manciata di granate. Stava per andare, quando in un angolo dell’armadietto vide il suo vecchio berretto blu scuro; si fermò per un momento, in preda ai ricordi, la Magione di Spencer, Wesker che teneva Chris per il collo, il vetro in frantumi e poi il baratro. A Jill tremavano le mani, voleva andare via, ma notò una lettera vicino al cappello, la prese e la aprì; All’interno c’era una foto che Chris aveva scattato poco prima della loro partenza per l’ultima missione nella quale Jill aveva indossato quegli abiti e quel cappello. Quella che avrebbe dovuto essere la loro ultima missione contro l’Umbrella e che invece aveva tramutato i successivi tre anni di Jill in un incubo. Insieme alla foto c’era un messaggio da parte di Chris:

 

“Mia cara Jill, quando il Comando ti diede per morta, sette anni fa, convinsi Barry e gli altri a lasciare intatte le tue cose e a tenerle dentro questo armadietto. Il perché? Non lo so. Per quanto avessi cercato di andare avanti dopo la tua scomparsa, non ci riuscii mai. Nel mio cuore nutrivo la flebile speranza che tu fossi ancora viva e questo pensiero continuava a darmi la forza per andare avanti. Jill, noi non ci siamo mai arresi, abbiamo continuato a combattere anche in situazioni disperate. Un giorno avremo la pace che ci meritiamo, ma dobbiamo continuare a lottare per poterla ottenere. Non arrenderti ora amore mio, come non mi sono arreso io all’idea che tu fossi morta. Con Amore, Chris”

 

Jill finì di leggere il messaggio, si infilò la foto in tasca, prese il berretto e lo indossò.
Le Squadre di Soccorso stavano per decollare quando Jill le raggiunse e salì a bordo dell’aereo con loro.
-Ti troverò, ovunque tu sia- sussurrò rinnovando la promessa che aveva fatto a Chris -Lo giuro-

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Capitolo 5
*** Un Nuovo Pericolo. Un Vecchio Incubo ***


-Comandante Redfield!- una voce lontana lo stava chiamando.
-Comandante, avanti si alzi!- una mano protesa verso di lui apparve nel suo campo visivo e Chris la strinse debolmente.
Ancora intontito, venne aiutato dai suoi uomini a sedersi su una roccia lì vicino, mentre l’ufficiale medico si accertava che fosse tutto a posto; dopo qualche minuto, il mal di testa gli passò e il fischio nelle orecchie cessò.
Osservò il paesaggio: si erano schiantati all’interno di una profonda gola rocciosa e qua e là erano sparsi i rottami ancora infuocati del loro velivolo.
-Rapporto danni- ordinò al sergente Reyes, suo secondo in comando durante quella missione, -Signore, l’elicottero è completamente distrutto, insieme al nostro sistema di comunicazione a lungo raggio e a gran parte del nostro equipaggiamento- rispose questi mettendosi sull’attenti -e abbiamo perso due uomini, signore, morti durante lo schianto-; Chris sospirò: quella missione era cominciata nel peggiore dei modi -E la cosa che ci ha attaccati?- domandò.
Reyes scrutò guardingo i dintorni -Non l’abbiamo ancora trovata, ma...abbiamo trovato questo- gli porse una grossa e accuminata formazione ossea, simile ad un dente o ad un artiglio -Mai visto niente del genere- disse dopo un attimo di silenzio -quella bestia deve essere enorme per possedere degli artigli del genere- commentò il sergente con una punta di nervosismo nella voce.
Chris iniziò a pensare che ci fosse qualcosa di più pericoloso delle comuni B.O.W. in quel posto. Qualcosa che doveva ancora rivelarsi.

Per un po' di tempo, dopo che lei e Chris si erano sposati, tre anni prima, Jill aveva avuto degli incontri con lo psicologo della B.S.A.A., per essere sicura di non avere avuto ripercussioni psicologiche causate dai tre anni passati ad essere uno strumento di morte. Jill non ne era contenta, come aveva scritto a Barry, ma Chris aveva insistito e in fondo sapeva che lo faceva solo perché era preoccupato per lei e che, almeno in parte, aveva ragione.
Wesker aveva fatto ben più che lasciarle qualche cicatrice sul petto. L’aveva devastata. L’aveva annientata. Le aveva rubato tre anni della sua vita e l’aveva trasformata in un mostro, una macchina assassina che obbediva ciecamente ai suoi ordini e, anche se era morto, Jill aveva continuato ad avvertirne la presenza, come una cappa opprimente che continuava a condizionare la sua vita.
Quando gli attacchi di panico erano iniziati, poco dopo il matrimonio, Chris l’aveva portata dallo psicologo per cercare di aiutarla, ma non fu semplice: alcune notti Jill si svegliava di soprassalto, preda di incubi e allucinazioni, con un’incredibile sensazione di bruciore al petto, come se il macchinario che le iniettava il P-30 fosse ancora lì, con le sue zampe robotiche che affondavano in profondità nella sua carne, somministrandole quella droga incandescente, oppure vedeva la figura di Wesker seguirla come un’ombra, mentre la fissava con i suoi occhi rossi fiammeggianti e lanciava la sua odiosa e cupa risata, simile ad un latrato, deridendola.
Lo psicologo aveva immediatamente fornito a Chris un certificato per ritirarsi dal servizio attivo per tutto il tempo della terapia di sua moglie; lui aveva approfittato di quell’occasione per passare più tempo con Jill, ma anche per tenerla d’occhio.
Grazie alla presenza di Chris e alle sedute dello psicologo, in quei tre anni era riuscita a liberarsi completamente dei suoi tormenti.
O almeno, credeva di essersene liberata.
-Povera, povera Jill- l’inconfondibile voce di Albert Wesker le rimbombò nelle orecchie come un tuono -La prossima volta, impegnati di più- sogghignò malignamente mentre riprendeva gli occhiali che lei gli aveva fatto cadere con un calcio.
Jill era seduta contro la scrivania di mogano dell’ufficio di Wesker, con un polso rotto e una decina di costole incrinate; aveva provato nuovamente a scappare.
Di nuovo. Ed esattamente come le altre volte, aveva fallito. Jill aveva aspettato che abbassasse la guardia, poi gli aveva sferrato un calcio in piena faccia, girandogli di scatto la testa con un suono orribile e Wesker era caduto a terra inerme e a quel punto si era voltata e aveva cominciato a correre, cercando di uscire da quella fortezza. Da quella Prigione. Niente da fare: Wesker si era rialzato come faceva sempre, l’aveva raggiunta con uno scatto e l’aveva afferrata per il polso, facendo leva e ruotando, spezzandoglielo; Jill aveva urlato per il dolore, poi era arrivato il secondo colpo, un diretto allo sterno, che le aveva fatto scricchiolare le ossa in maniera preoccupante e l’aveva mandata a sbattere contro la scrivania.
-Ricordami di non abbassare più la dose di P-30 che hai in circolo- disse aspramente Wesker -di questo passo potresti quasi riuscire ad uscire dalla stanza-
Jill sapeva cosa stava per succedere. Quello era un semplice test. Wesker aveva ridotto il dosaggio di P-30 emesso dal macchinario sul petto di lei, appositamente, per vedere cosa avrebbe fatto. Il biondo tirò fuori dalla tasca il telecomando con cui regolava la quantità di droga in circolo nel corpo di Jill e premette un paio di bottoni; di colpo il congegno sul suo petto prese a pulsare di una luce vermiglia e la volontà di Jill venne annientata ancora una volta, mentre sentiva il P-30 scorrerle sotto la pelle e corroderle l’anima.
Si risvegliò ansimando e portandosi una mano al petto. L’aereo tutto intorno a lei era silenzioso, con l’eccezione di un basso brusio proveniente da un gruppetto di soldati dall’altra parte del velivolo.
-Capitano Valentine?- Jill si girò di scatto, con il sudore che le imperlava la fronte e il fiato corto -Capitano Valentine, si sente bene?- a parlare era stato un uomo sulla trentina alla sua destra, un ufficiale, a giudicare dai gradi sulla spalla -Sì...grazie per l’interessamento- rispose Jill cercando di riprendere l’autocontrollo e traendo un lungo e profondo respiro -solo...sogni- concluse.

Luc fissava quella donna. Quell’eroina della guerra al bioterrorismo. Il leggendario Capitano Jill Valentine, ora Jill Redfield.
-Beh, mi fa piacere sentirlo- disse -Sono il tenente Luc Garrison- aggiunse cortesemente, presentandosi e porgendole una mano.
Il capitano Valentine la strinse dopo un attimo di esitazione: se quello che aveva letto su di lei era vero anche solo a metà, non c’era da stupirsi se non si fidava facilmente di qualcuno.
Stava per dire qualcosa, ma venne interrotto dal pilota -Stiamo per raggiungere la destinazione. Cinque minuti!- Valentine gli fece un sorriso di circostanza, poi andò a prepararsi.
Luc la imitò e iniziò a mettersi la tuta alare, continuando ad osservare la snella figura del capitano Valentine con un misto di ammirazione e compassione.

 

 

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Capitolo 6
*** Il Messaggio ***


Chris e i suoi uomini cercarono per quasi un’ora altre tracce della creatura che li aveva fatti precipitare, ma con scarsi risultati.
-Non può essersi dileguato così in fretta- disse dopo un po’.
Nel frattempo si era fatta notte e la visibilità si era ridotta drasticamente -Signore, non possiamo continuare in queste condizioni- fece notare Reyes -Lo so anch’io sergente...- Chris sospirò -ordina agli uomini di preparare il campo e di accendere un fuoco- concluse.
Si guardò intorno: accamparsi in quel posto era un rischio, la creatura poteva tornare da un momento all’altro, ma non potevano muoversi con quell’oscurità e in caso di attacco, avrebbero sempre potuto ripararsi dietro ai rottami dell’elicottero; rimase fermo un secondo ad osservare i suoi soldati che preparavano i fuochi, poi li raggiunse e li chiamò a raccolta -Turni di guardia da tre ore l’uno. Gruppi da cinque, restate compatti e non perdetevi di vista- gli uomini fecero il saluto militare e si prepararono.
Avrebbe fatto il secondo turno, perciò aveva appena tre ore per dormire un po’. Era distrutto e si addormentò quasi subito, nonostante la durezza del terreno sassoso della gola.
Il suo ultimo pensiero fu per Jill, come sempre. Chris non era un uomo di fede. Non credeva in nessun Dio, ma in quel momento pregò che sua moglie fosse al sicuro e che non stesse facendo stupidaggini.

Era stata una sciocca.
Aveva creduto che gli incubi fossero spariti. Ci aveva creduto davvero. Poi si era concessa il lusso di chiudere gli occhi per appena dieci minuti, prima di giungere sul luogo della missione e Wesker era tornato.
-Stupida- gli aveva detto una volta, dopo che, per l’ennesima volta, Jill aveva tentato la fuga, uccidendolo apparentemente -Non importa quante volte ci proverai, io tornerò sempre-
Aveva ragione. Wesker era morto da tre anni ormai, ma Jill avvertiva ancora la sua rivoltante presenza e a quanto pare la terapia non era stata efficace come pensava.
Ora era lì. Su un aeroplano, a diecimila metri d’altezza, mentre suo marito, il suo amato Chris, era chissà dove in quella landa desolata, probabilmente in pericolo. Probabilmente è già morto. Una voce in un angolino della sua mente, che Jill ignorò. Lei sapeva che era vivo. Lo sentiva. Ogni fibra del suo essere le urlava di trovarlo, di salvarlo, di stringerlo a lei.
Il portellone dell’aereo si aprì, mostrando il calmo e freddo cielo notturno. Jill respirò a fondo nella maschera d’ossigeno della tuta alare: era passato un pezzo dall’ultima volta che aveva effettuato un lancio HALO e si sentiva tesa come una corda di violino. Il tenente Garrison le si avvicinò e parlò attraverso il microfono incorporato nel casco -Wow...è un bel salto-, Jill annuì -Era l’unica possibilità che avevamo per trovare Chris senza compromettere il nostro trasporto e...- si interruppe quando si accorse di aver pronunciato il nome del marito, invece di chiamarlo con il suo grado, ma Garrison parve non darci peso -Non si preoccupi capitano. Troveremo il Comandante Redfield e lo riporteremo da lei sano e salvo, ad ogni costo. Lo giuro- Lo giuro. Una promessa. La stessa che lei aveva fatto a Chris. Trattenne a stento le lacrime e dopo un momento rispose con un lieve tremolio nella voce -Grazie tenente. Lo apprezzo-; per tutta risposta, Garrison alzò il pollice in segno affermativo e le diede un’amichevole pacca sulla spalla.
Poi il pilota diede il segnale di via libera e Jill fu la prima a lanciarsi nel buio cielo notturno, seguita a ruota da tutti gli altri.

Camminava con disinvoltura all’interno degli ampi corridoi del Quartier Generale, il tesserino finto che la identificava come membro dello staff della B.S.A.A. che pendeva dalla tasca della sua camicia.
Patricia Clark. Con uno sbuffo, pensò a quanto fosse ridicolo quel nome, ma gli serviva qualcosa di non troppo elaborato per poter passare inosservata.
A giudicare dalla confusione che c’era in quel posto, la trappola di quel folle doveva già essere scattata, il che significava che aveva poco tempo per lasciare il suo messaggio, prima che si insospettisse e iniziasse a cercarla.
Si diresse rapidamente nella zona di detenzione, evitò le guardie di sorveglianza e iniziò a sbirciare nelle celle, osservando i vari prigionieri, finché non trovò quello che cercava. Un uomo di media statura era seduto su di un letto, con la schiena rivolta verso la porta di vetro antiproiettile -Khamari-
L’uomo si voltò, i suoi occhi neri come il carbone la fissarono per un secondo -E tu chi diavolo sei?- chiese bruscamente -Come sai il mio nome?-; lei abbozzò un sorrisetto compiaciuto -Diciamo che sapere le cose è il mio mestiere- rispose in modo vago -perché non vieni più vicino e parliamo un po’ ?- chiese mellifluamente.
Khamari cambiò posizione sul letto, girandosi completamente verso di lei -Perché non vai a farti fottere?- esclamò con una fragorosa risata di scherno -Magari posso pensaci io, che ne dici, bellezza?-; lei non fece scomparire il sorriso dal suo volto. Nemmeno mentre estraeva una foto che ritraeva una donna dalla pelle scura e due bambini dalla tasca.
L’uomo di fronte a lei rimase a bocca aperta -Peccato, allora. Credo proprio che alla tua allegra famigliola accadrà qualcosa di tragico. Magari posso pensarci io, che ne dici?- disse senza cambiare tono di voce, ma scandendo perfettamente la minaccia. Khamari cambiò atteggiamento, diventando perfino supplichevole -Ti prego! Ti prego, farò qualunque cosa vorrai, ma risparmia la mia famiglia!- disse gettandosi in ginocchio di fronte a lei -Ora ragioniamo- rispose passandogli una busta di un rosso acceso dalla fessura che di solito veniva usata dalle guardie per dare da mangiare ai prigionieri -Chiederai di parlare con l’agente Kennedy e gli consegnerai questa, dicendogli che è della massima importanza per la sua indagine- fece una pausa -oppure tornerò qui e ucciderò te, prima del resto della tua famiglia. Sono stata chiara?- aggiunse, ottenendo come risposta un energico Sì.
Raggiunto il suo scopo, decise di andarsene e si incamminò per il corridoio da cui era venuta.

Leon non si era mai trovato così sotto stress come nelle ultime ore. La ricerca dell’infiltrato era estremamente impegnativa, ma non aveva prodotto nessun risultato.
Mentre controllava i registri delle attività del personale, venne raggiunto da una guardia -Agente Kennedy, un prigioniero chiede di lei- disse mettendosi sull’attenti -dice che è una questione di vita o di morte- Leon alzò un sopracciglio: non conosceva nessuno dei prigionieri che erano in quella struttura -Va bene, portami da lui- rispose dopo un attimo di esitazione. Lanciò un’ultima occhiata a Claire per accertarsi che fosse tutto a posto e seguì il soldato.
Scesero parecchi piani, fino ad arrivare nelle profondità dei sotterranei. La porta dell’ascensore si aprì, rivelando un lungo e largo corridoio illuminato da una serie di LED bianchi; si diressero in fondo al corridoio, dove due guardie stazionavano di fronte ad una delle celle -Lui chi è?- chiese Leon guardando l’uomo all’interno.
Il soldato che era con lui sfogliò un registro -Khamari. Un trafficante di armi biologiche sudafricano. Lo abbiamo catturato un paio di mesi fa, mentre cercava di vendere un campione di Virus-C ad un gruppo terroristico- rispose poi, dopo aver trovato il suo fascicolo; Leon fece un cenno ad una delle guardie, che aprì la porta e lo lasciò entrare.
La cella era piccola e claustrofobica, con un gabinetto sudicio in un angolo, anche se dubitava che la mancanza d’igiene dipendesse dallo staff della B.S.A.A. -Mi hanno detto che mi cercavi- esordì -Tu sei Kennedy?- rispose l’altro uomo. Leon annuì -Allora questa è per te- disse Khamari, allungandogli una piccola busta di carta rossa; l’agente della DSO la prese e l’aprì, trovando al suo interno un foglio piegato con cura, con su scritto un messaggio:

“Luc Garrison, Tenente, Prima Divisione Corazzata dei Marines degli Stati Uniti D’America, trasferito alla B.S.A.A. circa sei mesi fa dopo il successo ottenuto nell’eliminazione di alcune B.O.W. in Bolivia

Cerca questa persona e non temere, ci rivedremo presto Mon Amour”

Leon si pietrificò -Chi ti ha dato questo?- chiese bruscamente al prigioniero -U-una donna. Secondo il badge che aveva appeso alla tasca, si chiama Patricia Clark- rispose questi, preso alla sprovvista dalla reazione dell’agente.
Leon prese il palmare e chiamò Claire.

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Capitolo 7
*** Scoperte ***


Claire era rimasta tutto il tempo seduta su una sedia nella Sala di Controllo.
Aveva eseguito l’ordine di Jill e aveva fatto sigillare la base della B.S.A.A., mentre Leon aveva iniziato le sue ricerche; era stato molto apprensivo con lei e tra un’indagine e l’altra si accertava sempre del suo stato di salute.
Jill aveva comunicato l’ultima volta più di due ore prima -Non siamo molto lontani dalla zona dove si trovava Chris quando ha trasmesso per l’ultima volta- aveva detto -lo riporterò a casa Claire, te lo prometto- aveva chiuso la chiamata con quelle parole, cariche di determinazione, ma anche di angoscia.
Claire era seduta su quella sedia da ore, quando Leon la chiamò -Leon, come vanno le indagini?- chiese -Lascia perdere- disse lui con la voce che lasciava trasparire una certa tensione -accedi al database dei membri dello staff del QG e cerca una certa Patricia Clark- Claire obbedì.
Si collegò ad uno dei computer e iniziò a cercare. Passò qualche secondo, poi sullo schermo apparve una scritta: INESISTENTE -Leon, qui dice che non esiste nessuno con quel nome- disse all’amico, che lanciò un’imprecazione -Lo sapevo! Me lo sentivo!- poi si rivolse a qualcuno che era nella stanza con lui -Com’era fatta?- Claire non sentì la risposta, ma quando Leon parlò di nuovo con lei, la sua voce trasudava rabbia -Claire, devi fare in modo che lì da te diano l’allarme- fece una pausa -digli che devono cercare una donna bianca, alta, magra, capelli neri corti, occhi scuri, che si nasconde sotto lo pseudonimo di Patricia Clark. Se la trovano, la immobilizzino, o la stordiscano, ma non devono assolutamente ucciderla- Claire fu presa in contropiede -Va bene, ma...si tratta dell’infiltrato?- chiese ansiosa -Non lo so ancora- fu l’unica risposta che ottenne -appena puoi, rimettiti al computer e cerca ogni informazioni disponibile su di un certo Luc Garrison- concluse Leon mettendo giù il telefono. Claire fece come le aveva detto l’agente della DSO, poi si rimise al computer, mentre tutto attorno a lei risuonavano gli allarmi.

 

Erano atterrati, usando i paracadute, nell’esatta zona dello schianto dell’elicottero di Chris.
Poco prima di toccare terra, Jill notò diversi segni di uno scontro “Calmati Valentine...Chris è ancora vivo. DEVE essere ancora vivo.” si disse, cercando di restare concentrata; una volta atterrata si tolse in fretta la tuta alare, prese dalla tasca il suo berretto e se lo mise in testa, dopodiché prese le armi dalla cassa che avevano lanciato giù dall’aereo e iniziò a perlustrare l’area.
L’intera zona era coperta da cadaveri, tra infetti comuni e Licker, poi trovò anche quelli di alcuni agenti della B.S.A.A. -Una cosa è sicura- disse il tenente Garrison, che aveva appena finito di togliersi la tuta alare -Deve essere stato un vero inferno- Jill annuì, guardandosi intorno, in cerca di tracce del marito.
Guardò dietro ogni masso e dietro i rottami del velivolo precipitato, mentre Garrison controllava i cadaveri -Qui non c’è niente- le disse dopo qualche minuto di ricerca -Niente corpo o oggetti che gli appartenessero- Jill trasse un sospiro di sollievo. Aveva ragione, Chris era laggiù da qualche parte.
Quando anche l’ultimo soldato atterrò, iniziarono a muoversi verso Est, seguendo il percorso naturale della gola -Segni di esplosione. Direi una manciata di granate- Garrison camminava di fianco a lei con l’arma pronta a far fuoco -Sono passati da qui. Forse erano circondati e si sono aperti un varco con le granate- disse, anche se stava parlando più a se stessa che con il tenente.
Avanzarono nello stretto canyon, trovando altri corpi e bossoli ancora caldi sparsi in terra -Capitano venga a vedere!- la chiamò uno dei suoi uomini; Jill lo raggiunse e guardò cosa aveva in mano. Si sentì mancare il fiato. Prese la fotografia macchiata di sangue e stropicciata che la ritraeva insieme a Chris e per poco non cadde a terra -No...- iniziò a tremare -Non è possibile...- le lacrime le offuscarono la vista -Chris...- fu l’unica cosa che riuscì a mormorare.

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Capitolo 8
*** Ultima Possibilità ***


L’aveva incontrata per caso, mentre ispezionava uno degli uffici ai piani superiori del Quartier Generale -Quanto tempo Mon Amour- aveva detto la voce alle sue spalle, mentre gli puntava contro una pistola; Leon si era girato lentamente, finché non si era ritrovato a fissarla negli occhi -Ada, cosa ci fai qui?- aveva chiesto gelido alla donna che gli stava davanti. Ada Wong era lì, di fronte a lui, con una calibro 22 in mano e un sorriso stampato sul volto -Che accoglienza!- disse la donna fingendo un’espressione contrita -E io che pensavo che saresti stato felice di vedermi- Leon era rimasto impassibile, anche se dentro di sé aveva un turbinio di emozioni che controllava a stento -Dimmi perché sei qui e forse lo sarò- disse.
Ada scosse la testa -Immagino che le ulteriori misure di sicurezza le abbia imposte tu per trovarmi- evitò la domanda -quindi hai ricevuto il mio messaggio- Leon contrasse la mascella -Chi è questo Luc Garrison? Perché mi hai detto di cercarlo?- ma non ottenne la risposta che voleva -Lo scoprirai, se farai come ti ho detto- replicò lei -oppure temo che il povero Comandante Redfield avrà un bruttissimo incidente-

Sparò un’ultima raffica, poi arretrò di qualche passo, raggiungendo il resto della squadra -Signore sono troppi!- esclamò Reyes mentre con il calcio della sua arma mandava al tappeto l’ennesimo infetto.
Erano stati attaccati poco prima dell’inizio del turno di guardia di Chris. Quando Reyes aveva perso i contatti con due dei suoi, lo aveva svegliato insieme al resto del gruppo. Fu un bene, perché poco dopo iniziarono ad arrivare decine e decine di infetti; Chris e i suoi uomini li avevano tenuti a bada con relativa facilità, almeno fino a quando non erano stati assaliti da un branco di Licker alle spalle. 15. Si ritrovarono ben presto in inferiorità numerica, soverchiati da quelle creature. 13. Perse il contatto visivo con due soldati -Aprite un varco con le granate!- ordinò Chris, cercando di farsi sentire sopra il rumore degli spari ed estraendo una granata dalla cintura. Quattro bombe a mano furono sufficienti a liberare un passaggio che portava fuori da quel posto -AVANTI!!- gridò. 12. Corsero a perdifiato, con l’orda di infetti dietro di loro -Qualcosa non va!- urlò al sergente, mentre si voltavano per sparare qualche raffica di proiettili ai loro inseguitori -Sono troppo resistenti!- disse centrando in testa uno di quei mostri che si era avvicinato pericolosamente -E anche dannatamente veloci!- aggiunse Reyes, crivellando una manciata di non-morti, che quasi sembrarono non accusare i colpi, continuando imperterriti la loro rapida avanzata. 11. Mentre si ritiravano, Chris venne travolto da un Licker; si rialzò, prese la mira e svuotò il caricatore, ma la bestia non rallentò e lo caricò di nuovo -Comandante!- gridò qualcuno, ma non ebbe il tempo di identificare la voce.
Rotolò di lato, evitando il mostro all’ultimo e raccogliendo lo SPAS da uno dei suoi uomini caduti; il Licker tornò indietro e Chris ne approfittò, sparando un colpo a bruciapelo alla creatura, che volò all’indietro per qualche metro. Riprese a correre, mentre i suoi uomini facevano del loro meglio per coprirlo. 9. Chris si inerpicò su per una piccola scarpata, venendo aiutato da Reyes. Due soldati rimasti di retroguardia lo seguirono, ma i Licker furono più veloci e ne aggredirono uno. 8. Corsero per un tempo che gli parve infinito, girandosi ogni tanto per tirare qualche granata all’orda che li inseguiva.
D’un tratto, davanti a loro si stagliò una stretta parete rocciosa, alta circa venti metri, che bloccava la via -Maledizione!- Chris imprecò, mentre i suoi uomini lo fissavano con un misto di angoscia ed esitazione. Rifletté: erano troppo stanchi per poter affrontare una scalata del genere e gli infetti erano molto più veloci di loro, ma se non ci avessero provato, sarebbero morti lì. Lui sarebbe morto lì. Lontano dalla persona che amava di più al mondo. Lontano da Jill. -Non abbiamo scelta!- esclamò -Dobbiamo provare ad arrampicarci! Quattro alla volta, presto!!- Le reclute iniziarono la scalata per primi, mentre Chris, Reyes e gli altri si posizionarono in assetto difensivo, sparando sui mostri in arrivo. Dieci. Venti. Cinquanta. Quell’orda sembrava non avere fine. Più ne abbattevano, più ne arrivavano. Un paio di Licker tentarono di superarli per raggiungere quelli che si stavano arrampicando, ma Chris riuscì a freddarne uno, prima che si avvicinasse troppo. Tuttavia, l’altro riuscì a passare e iniziò ad arrampicarsi. 5. Reyes lo abbatté, anche se non abbastanza in tempo, e continuò a sparare contro i mostri che arrivavano davanti a loro.
Non sapeva cosa lo aveva spinto a farlo. Forse una sensazione, o la ricerca di un aiuto insperato. Chris guardò in aria e lo vide. Era poco più che un puntino in mezzo alle stelle, ma le luci di posizione in movimento erano un chiaro segno della presenza di un aereo.
E Chris decise di cogliere quell’ultima possibilità al volo. Estrasse il lanciarazzi di segnalazione e sparò un flaire nel buio cielo notturno, illuminando di una luce scarlatta l’intera parete alle loro spalle e la gola, sperando che qualcuno lo vedesse.

Fissò gli schermi che aveva davanti con un espressione compiaciuta. Tutto procedeva come da piano: gli agenti della B.S.A.A. erano stati totalmente circondati e molto presto sarebbero stati soverchiati, lasciando Chris Redfield alla sua merce.
Sorrise a quel pensiero. Finalmente si sarebbe potuto vendicare delle persone che gli avevano portato via tutto.
Una voce lo distolse dai suoi pensieri -Signore, c’è un problema- si voltò lentamente, con le lenti scure degli occhiali che riflettevano la fioca luce emessa dai monitor -a quanto pare le squadre di salvataggio della B.S.A.A. sono arrivate prima del previsto- disse l’uomo davanti a lui -E...con loro c’è Jill Valentine- No. Troppo Presto. C’era ancora del lavoro da fare. Strinse il pugno e fissò l’ombra alle sue spalle -Vai- ci fu un lieve fruscio, poi di nuovo silenzio -Signore?- chiamò nuovamente il soldato -Cosa dobbiamo...- non ebbe occasione di dire altro, perché lo raggiunse e gli spezzò l’osso del collo.
I due soldati fuori dalla porta trascinarono via il corpo inerme del loro compagno.
Prese in mano la foto che teneva incorniciata sulla scrivania, vicino al computer e la sfiorò lievemente -Non temere. Ti vendicherò- sussurrò alle tenebre, poi tornò a fissare il monitor. Tutto sarebbe andato per il meglio.

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Capitolo 9
*** Rivelazioni ***


-Ferma!- gridò.
Dopo averlo avvertito sul destino di Chris Redfield, Ada era uscita di corsa dall’ufficio, sparando un paio di colpi nella sua direzione, mancandolo appositamente di qualche centimetro, giusto per fargli perdere tempo; Leon era rotolato di lato e aveva estratto la pistola, inseguendo Ada.
La rincorse per almeno tre piani, fino a quando non si trovarono in una grande sala conferenze -Ada fermati- disse -aiutami a salvare Chris-

Ada sorrise -Mon Amour, non hai ancora capito che io lavoro per qualcuno che vuole vedere il Comandante Redfield morto?- lui alzò la pistola, puntandogliela contro -Basta giocare- la voce di Leon era asciutta, dura -dimmi per chi lavori e chi è questo Luc Garrison e farò in modo che il giudice che ti processerà per i tuoi crimini sia clemente-

Non se lo aspettava. Ada aveva sparato ad una delle vetrate dietro di sé, poi aveva estratto un telefono dalla tasca e glielo aveva tirato contro. D’istinto, Leon si era abbassato e il cellulare era volato a pochi centimetri dalla sua testa; quando si era alzato, di Ada non c’era traccia -Dannazione!- era corso alla finestra in frantumi e aveva guardato fuori. Due fari abbaglianti apparvero d’improvviso davanti a lui, obbligandolo a coprirsi gli occhi con le mani -Inserisci il codice all’interno del Database della B.S.A.A., lì troverai ciò che cerchi- gli aveva gridato Ada sopra il rumore del motore di un aereo -Ada, aspetta!- chiamarla fu inutile. Pochi istanti più tardi, il Jet era partito ad una velocità impressionante e Ada era a bordo.

Claire stava cercando ovunque, ma per quanto si stesse impegnando, non trovò informazioni che già non conoscessero su Luc Garrison.
Stava quasi per mollare, quando Leon la raggiunse, madido di sudore e con il fiato corto -Leon, che sta succedendo?- gli chiese stupita, ma lui liquidò la domanda con un gesto della mano -Lascia perdere. Inserisci questo codice all’interno del Database della B.S.A.A.- il suo tono era carico di frustrazione, Claire lo avvertiva chiaramente, ma non fece altre domande e obbedì; aprì la schermata della banca dati e inserì il codice che Leon le aveva dettato. L’interfaccia cambiò: i bordi del monitor si colorarono di un rosso acceso, lo sfondo divenne nero e il logo della B.S.A.A. sparì, venendo sostituito da un simbolo totalmente differente, un teschio, che portava il marchio del rischio biologico, trafitto da una spada, anche se sotto di esso campeggiava ancora il nome dell’organizzazione -Ma cosa diavolo...- Claire era confusa -Leon chi ti ha dato questo codice?- l’agente della DSO scosse la testa -Non è importante- rispose.
Claire fissò il monitor: c’era un unico file, chiamato Operazione Ravager; lo aprì e all’interno trovò una scheda identificativa di Luc Garrison, insieme a quella di altri due uomini:

“Luc Garrison. Tenente della Prima Divisione Corazzata dei Marines degli Stati Uniti d’America. Trasferito alla B.S.A.A. circa sei mesi fa, dopo aver guidato un’efferata operazione di sterminio ai danni di un’organizzazione bioterroristica e delle sue B.O.W.
Soldato pluridecorato ed estremamente efficiente, ha combattuto nelle zone di guerra più pericolose del mondo.
Per un periodo di tempo imprecisato, ha prestato servizio come mercenario affiliato all’Umbrella Corporation e poi come capo della sicurezza in uno dei loro stabilimenti, ma si ritiene che il suo periodo di militanza all’interno dell’organizzazione sia terminato solo con il definitivo fallimento dell’azienda nel 2003. Ha continuato la sua carriera da mercenario fino al 2008, dopodiché si è arruolato nell’esercito regolare statunitense. Le sue abilità e competenze gli sono valse in fretta il grado di tenente e il trasferimento nel Corpo dei Marines”

Claire si portò una mano alla bocca -Lavorava per l’Umbrella...- disse con un filo di voce. Guardò Leon, che aveva gli occhi sbarrati per lo stupore -Quindi potrebbe essere la talpa che ha architettato questa missione- digrignò i denti ed iniziò a sbraitare ordini agli addetti alle comunicazioni -Contattate immediatamente il Capitano Valentine! Ditegli che Luc Garrison è un infiltrato ed è, probabilmente, l’ideatore della trappola che è stata tesa al Comandante Redfield!-

-Comandante- lo chiamò uno dei suoi uomini alla console -abbiamo un accesso non autorizzato al nostro sistema operativo- proseguì -Non autorizzato?- chiese con voce glaciale -Come è possibile?- il soldato alzò le spalle -A quanto pare qualcuno si è impadronito del codice d’accesso di uno dei nostri. Più precisamente di quello di...- il suo interlocutore digitò freneticamente qualcosa sulla tastiera -dell’agente Knox, signore- disse infine.
Alzò un sopracciglio, increspando la lunga cicatrice che gli attraversava il lato destro del volto -Knox è stato ucciso quasi una settimana fa, perché il suo codice non è ancora stato invalidato?- chiese asciutto, con gli occhiali scuri che riflettevano in maniera distorta la figura che gli stava davanti -Signore, non lo so signore- rispose il suo sottoposto deglutendo per la tensione -Stanno raccogliendo informazioni?- domandò spazientito -Nessun file è stato scaricato, ma chiunque sia entrato, sta leggendo i dati che abbiamo raccolto su Garrison e i suoi affiliati nell’operazione Ravager- rispose il soldato -Allora tagliate la linea. Bloccate l’accesso al sistema e mandate il Cyber Cancer per ripulire i dati di navigazione del database e riformattare il dispositivo al quale sono connessi- ordinò con freddezza -e approntate tre Jet per il decollo. Preparate le squadre d’intercettazione. Le voglio in volo su quegli aerei nel giro di quattro ore. Sono stato chiaro?- concluse; i presenti risposero all’unisono ed eseguirono i suoi ordini. Non andava bene. C’era un motivo se avevano occultato tutti i dati su Garrison e i suoi collaboratori e ora gli agenti della B.S.A.A. rischiavano di mandare all’aria la loro intera operazione. Non lo avrebbe permesso.

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Capitolo 10
*** Promessa ***


Jill era emotivamente distrutta. Quella foto. Chris non lasciava mai quella foto. La teneva sempre con sé -Sai perché proprio questa foto?- le aveva domandato una volta -Per poter avere sempre un ricordo del momento più bello della mia vita-
Fu costretta a sedersi, le gambe che le tremavano, il respiro ridotto ad un rantolo e il petto che si alzava e si abbassava sempre più velocemente, nel tentativo di incamerare più aria. Prima l’incubo su Wesker. Adesso questo. Jill iniziò a piangere in silenzio, coprendosi il viso con le mani -Chris...mi dispiace tanto...è colpa mia...solo colpa mia...- iniziò a mormorare sottovoce.
Gli altri soldati si erano fermati poco più indietro, lasciandole un po’ di tempo da sola. Ma non Garrison. Non appena vide la foto macchiata di sangue, si avvicinò -Le...le mie condoglianze, Capitano- disse piano -mi dispiace che una tragedia del genere sia capitata proprio a lei- Jill non gli rispose, le lacrime che le scivolavano in mezzo alle dita e la schiena scossa da tremori incontrollabili; il tenente prese congedo e andò ad organizzare le squadre e lei rimase da sola con il suo dolore. Chris le era sempre stato vicino, sin da quando si erano conosciuti, molti anni prima: l’aveva sostenuta, aiutata, consolata, le aveva tirato su il morale quando era triste e l’aveva spronata a migliorare sempre di più. L’aveva salvata. L’aveva amata. Un amore profondo e incorruttibile come nessun altro. Un amore che lo aveva fatto andare avanti nella loro ora più buia e gli aveva permesso di trovarla e di trascinarla fuori da un incubo durato ben tre anni. Jill non era riuscita a salvarlo. Aveva permesso che morisse da solo, in quella landa deserta, lontano da tutti. Lontano da lei.
Un rumore improvviso, come un sibilo, seguito da un fischio acuto. Ci fu un crepitio nel canale delle comunicazioni, poi, una voce distorta dalle interferenze parlò -Un razzo di segnalazione! Laggiù!- Jill alzò lo sguardo verso il cielo e lo vide. Un’accecante luce vermiglia in cielo stava illuminando la gola, con una sottile scia di fumo che proveniva da qualche parte sotto di essa -C’è qualcuno ancora vivo laggiù!- esclamò Garrison, visibilmente sollevato. C’era una speranza. Chris forse era ancora vivo. Chris doveva essere ancora vivo. Senza neanche asciugarsi le lacrime, imbracciò il fucile e corse dal tenente -Riusciamo a contattarli?- chiese ansiosa -Non ancora signore. La gola crea troppe interferenze, dobbiamo avvicinarci per poter comunicare con loro- rispose l’uomo; Jill parlò nel canale di comunicazione delle squadre -Presto, dobbiamo raggiungerli! Il Comandante Redfield e i suoi uomini hanno bisogno di aiuto!- disse, cercando di tenere a freno l’emozione che l’aveva assalita. Non aspettò la conferma dei suoi uomini: si mise quella foto in tasca, insieme all’altra, e iniziò a correre, seguendo il percorso della gola, carica di una nuova determinazione -Sto arrivando, amore mio- sussurrò al vento che le scompigliava un ciuffo di capelli che non aveva legato. Lo avrebbe trovato. Lo aveva promesso a Chris, a Claire e a se stessa.

Chris guardò per un attimo il razzo scintillare nel cielo notturno, poi ricominciò a sparare contro gli infetti che li stavano attaccando. I nemici erano qualche centinaio e loro erano solo in cinque, ma non si sarebbero arresi senza combattere.
Quell’aereo gli aveva dato di nuovo speranza. E il simbolo della sua speranza in questo momento stava brillando in cielo -Dobbiamo resistere!!- gridò ai suoi uomini, continuando ad abbattere un non morto dietro l’altro, anche se molti si rialzavano. C’era decisamente qualcosa di strano in loro, ma decise che ci avrebbe pensato più tardi -Comandante!- una voce dietro di lui lo chiamò -Qualcuno sta provando a mettersi in contatto con noi!!- Chris ci fece caso solo in quel momento: un basso, ma costante crepitio gli stava risuonando nell’auricolare ed in mezzo alle interferenze si sentiva qualche mozzicone di parola e di frasi, anche se scollegate -Qualcuno sta venendo a prenderci!- gridò il sergente Reyes sopra il fragore provocato dalle armi -Avanti ragazzi, continuate a imbottire di piombo quei bastardi!!- disse entusiasta -Attenti! Raffiche brevi e mirate! Non sprecate proiettili e sparategli in testa!- concluse Chris cercando di risultare il più autorevole e professionale possibile, anche se dentro di sé sentiva una crescente sensazione di sollievo farsi strada verso il suo cuore.

Jill e i suoi arrivarono al fondo di quel labirinto di pietra e sabbia, dove ad attenderli c’era una parete di roccia di venti metri che impediva alla gola di procedere oltre, un’orda di infetti e i pochi superstiti della B.S.A.A. arroccati contro la parete, organizzati in un ultimo, estremo, tentativo di resistenza e al centro del gruppo c’era lui -CHRIS!!!- urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, cercando di farsi sentire sopra il rumore degli spari. Chris era troppo concentrato ad eliminare i suoi aggressori per sentirla, ma non le importava. Era vivo. Contava solo quello. Imbracciò l’M4 e aprì il fuoco, imitata da tutti i soldati al suo seguito.
Spararono all’impazzata per più di un quarto d’ora, falcidiando decine di infetti alle spalle, mentre Chris e i suoi uomini li combattevano frontalmente; li abbatterono tutti, dal primo all’ultimo, poi andarono incontro ai sopravvissuti. Jill scansò i soldati davanti a lei e corse dal suo amato -Chris!!-

Chris stava uscendo da dietro la roccia che aveva usato come copertura, insieme ai pochi superstiti del suo team e stava andando a ringraziare i loro soccorritori quando la udì -Chris!!- quella voce. Il suono più bello che avesse mai sentito in vita sua. La voce di Jill era cristallina, morbida e, in quel momento, carica di sollievo. Chris la guardò corrergli incontro per un attimo, poi la raggiunse, gettando il fucile a terra e iniziando a correre a sua volta -Jill!- si abbracciarono, stringendosi l’uno all’altra con forza, godendosi appieno quel momento insieme. Stettero così per qualche secondo, poi Jill gli tirò uno schiaffo in pieno volto -Questo è per avermi fatto pensare che fossi morto- gli disse, con gli occhi lucidi per le lacrime. Chris stava per dire qualcosa, ma lei lo prese per il bavero e lo tirò nuovamente a sé, dandogli un bacio. Chris si rilassò, ignorando completamene il bruciore alla guancia che lo schiaffo gli aveva procurato. In quell’istante esistevano solamente lui e Jill e niente altro. Le mise le mani sui fianchi, rilassandosi e lasciando che la dolcezza di quel bacio gli togliesse di dosso la tensione accumulata nelle ultime ore; quando lei si staccò, sorrise -Questo invece, è per essere ancora vivo- gli disse asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.
Chris sorrise -Beh, te lo avevo promesso che sarei sempre tornato da te, no?-

-Signore, le B.O.W. sono state eliminate- il soldato alla sua sinistra era estremamente teso -a quanto pare i rinforzi della B.S.A.A. sono arrivati troppo in fretta- concluse aggiustandosi il colletto dell’uniforme -Non c’è da stupirsi- rispose freddamente -Redfield era in pericolo, perciò non mi aspettavo un comportamento diverso da parte di Jill Valentine. Avevo già preparato un piano di riserva- disse sistemandosi gli occhiali da sole scuri sul naso -Riattivate l’R-040. Adesso- ordinò -Ma...signore, il soggetto si sta ancora riprendendo dall’ultima volta. Non sarebbe prudente...- prese l’uomo per il collo e lo sollevò -Ti ho forse chiesto un parere?- domandò in modo secco. Lasciò andare quell’inutile fantoccio, che corse a riferire gli ordini agli altri. Inutili. Tutti Loro. Un branco di idioti che non faceva altro che lamentarsi -Se ci fosse ancora lei, mio signore, questi pidocchi si limiterebbero a tremare- mormorò guardando la fotografia sulla scrivania -non temere, sarò all’altezza- una volta tolti di mezzo gli agenti della B.S.A.A., avrebbe potuto portare a compimento il suo piano. Non avrebbe fallito.

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Capitolo 11
*** Minaccia ***


Leon era teso come non mai. Luc Garrison aveva lavorato per l’Umbrella Corporation per chissà quanti anni -Come fai ad essere certo che questi file siano autentici?- gli aveva domandato Claire, visibilmente preoccupata alla prospettiva che un possibile infiltrato fosse insieme a Jill -Chi mi ha consegnato questi dati è...una persona di fiducia- aveva risposto lui. Non poteva dirle chi fosse realmente la fonte. Ada lo stava aiutando, come spesso faceva durante le sue missioni e, come sempre, Leon non capiva quale fossero le sue vere intenzioni. Aveva detto che lavorava per qualcuno che voleva Chris morto, quindi non poteva essere al QG della B.S.A.A. senza un altro obiettivo. Ma quale? Mentre rifletteva, venne chiamato -Agente Kennedy! Qualcuno si è infiltrato nella rete di comunicazioni e sta trasmettendo senza autorizzazione!- Leon corse dall’uomo che lo aveva chiamato -Dov’è?- chiese -L’intruso si è collegato ad una centralina di servizio al livello detenzione- gli rispose l’operatore -Claire!- l’amica lo raggiunse e insieme si diressero all’ultimo piano interrato -Quindi Garrison non è l’infiltrato che stiamo cercando?- gli chiese mentre correvano. Leon scosse il capo -Non lo so. Forse questo è un suo collaboratore- disse -Probabilmente sta cercando di avvertirlo che lo abbiamo smascherato-

Arrivarono al livello di detenzione -Tieni- le disse Leon, passandole una pistola.
Claire prese l’arma e tolse la sicura -Pronta- sussurrò al compagno, poi entrambi scesero gli ultimi gradini delle scale. Per poco, non si beccò un proiettile in testa; si riparò contro il muro di fianco a lei -Dannazione- Leon non era stato altrettanto svelto e una pallottola lo aveva colpito di striscio al braccio -Stai bene?- gli chiese; lui annuì -Non ti preoccupare per me. Abbiamo un lavoro da fare- un’altra raffica di proiettili staccò un pezzo di intonaco dalla parete dietro cui erano nascosti. Claire si sporse leggermente e sparò un paio di colpi alla cieca, cercando di colpire l’intruso, senza però riuscire nel suo intento.
-Sta giù!- le gridò Leon allungando il braccio sopra la sua testa, mirando alla mano del nemico che teneva il mitra e aprendo il fuoco; l’altro uomo rotolò di lato, schivando i proiettili in arrivo -Fermo dove sei!- disse Claire puntandogli contro la pistola, ma quello si era girato e aveva iniziato a scappare.

-Signore, le comunicazioni con il nostro agente sotto copertura si sono interrotte- l’uomo seduto alla console di fianco a lui si era irrigidito di colpo, ben consapevole di quale destino attendesse solitamente chi gli comunicava brutte notizie -Causa?- chiese secco -Sconosciuta signore- strinse i pugni -Chiamate Wong, voglio un rapporto sul progresso della sua missione- gli addetti alle comunicazioni si apprestarono ad eseguire i suoi ordini.
-Signore- una voce alle sue spalle lo chiamò -l’R-040 è nuovamente operativo- l’enorme creatura entrò in quel momento, facendo tremare la terra al suo passaggio; lo fissò, i suoi occhi viola che scintillavano di una luce maligna -Attacca gli agenti della B.S.A.A., uccidi tutti, tranne Chris Redfield, Jill Valentine e...l’agente Garrison- ordinò, osservando quell’essere da dietro gli occhiali. La bestia lanciò un potente ruggito e si voltò, correndo in direzione dei portelloni di uscita della base; il ghigno che comparve sul suo volto era di pura soddisfazione: quella creatura era il suo più grande successo con il nuovo Virus.
Con calma, andò nel suo studio privato, aprì la porta e trasse un respiro profondo. Nonostante gli intoppi, le cose stavano procedendo nel verso giusto. Presto, il suo maestro sarebbe stato vendicato e il suo piano avrebbe finalmente avuto successo. Si girò a osservare l’ampia stanza nel quale si trovava: non a caso, aveva fatto costruire quel posto in modo che fosse la copia esatta del luogo nel quale, quello che per lui era stato più di un padre, aveva concepito il suo piano definitivo per la salvezza di chi ne era meritevole. Quel posto non era solo uno studio. Era un tempio dedicato alla sua memoria. Guardò fuori dalla gigantesca vetrata che dava su un abisso profondo decine e decine di metri, osservando lo scuro cielo notturno, parzialmente coperto da alcuni banchi di nubi temporalesche che si stavano radunando; la pioggia in Afghanistan era insolita, ma non quella volta. Quella era la sua pioggia. La pioggia attraverso cui avrebbe iniziato a purificare il genere umano, eliminando coloro che non erano degni di vivere nel nuovo mondo che lui stava creando. Si voltò e rise. Una risata folle, quasi isterica, ma cupa, profonda -Presto!! Molto presto!!- gridò alle ombre della stanza, mentre un lampo la illuminava di una luce sinistra.

Jill si asciugò gli occhi. Non provava una tale sensazione di sollievo da quando Chris l’aveva liberata dal P-30, a Kijuju -Non perderla mai più- rimproverò suo marito consegnandogli la foto che aveva trovato poco prima -Deve essermi caduta quando quel Licker mi ha assalito- disse lui con un’ espressione sorpresa, ma sollevata; i soldati iniziarono a pattugliare il perimetro, in cerca di eventuali altri nemici, mentre raccoglievano alcuni campioni dai cadaveri degli infetti -C’era qualcosa di strano- le disse Chris -Erano estremamente veloci e resistenti- tirò un calcio ad uno dei corpi lì a terra -Potrebbe essere un nuovo tipo di Virus- ipotizzò Jill -Può darsi, ma con la morte di Wesker e la caduta della Neo-Umbrella, non credo che qualcuno abbia più i mezzi o le conoscenze per sviluppare una cosa del genere- intervenne Garrison -comunque, i miei uomini stanno estraendo dei campioni di DNA. Potremo farli analizzare una volta tornati alla base- Jill annuì -Contattiamo l’aereo. Ci serve un’estrazione immediata- disse attivando l’auricolare -Pilota, cerca una zona di atterraggio- non ricevette risposta -Pilota, mi ricevi?- solo rumore bianco e interferenze -La gola potrebbe star disturbando il segnale- suggerì Garrison -Se anche fosse, i vostri sistemi di comunicazione a lungo raggio sono ancora operativi- fece notare Chris scuotendo la testa -C’è sotto qualcosa-

-Agente Wong- una voce la chiamò dal comunicatore della cabina dell’aereo -rapporto- Ada tirò su il sedile e rispose alla chiamata -Missione completata con successo. Il dispositivo è pronto ad entrare in funzione- la voce all’altro capo si fece sospettosa -Perché questo ritardo? Avrebbe dovuto fare rapporto già un’ora fa- Ada mantenne un atteggiamento accondiscendente -Chiedo scusa, ci sono stati degli...imprevisti- ci fu un rumore -Forse puoi spiegare questi imprevisti a me- ad Ada si gelò il sangue nelle vene. La voce era cambiata, questa era più profonda, glaciale e autoritaria -Signore, l’agente Kennedy della DSO si trovava alla base della B.S.A.A. e ho dovuto muovermi con più cautela per non essere individuata- rispose, cercando di darsi un contegno -Ha un senso. Se non fosse che il nostro altro infiltrato al Quartier Generale mi ha informato che qualcuno aveva dato ordine di cercare una donna bianca, magra, con gli occhi scuri e i capelli neri che si faceva chiamare Patricia Clark- Ada iniziò a tremare -Signore, non so come scusarmi è stato...- la voce la zittì bruscamente -Taci. Ora il nostro agente ha interrotto ogni genere di comunicazione, pertanto possiamo supporre che la sua copertura sia saltata, così come quella di Garrison. Attiva quel dispositivo EMP e prega di non aver messo in pericolo la nostra operazione. Torna subito qui e dimostra di valere ancora quello che ti pago- la chiamata si interruppe all’improvviso e Ada rimase nel silenzio dell’abitacolo del Jet. Quell’uomo le metteva paura, una cosa che nessun altro era riuscito a fare prima di allora. Prese in mano il detonatore dell’EMP -Spero che tu sia riuscito a leggere le informazioni di cui avevi bisogno, Mon Amour- mormorò piano, poi premette il bottone sul piccolo telecomando. 

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Capitolo 12
*** L'Imboscata ***


Arrivò su di loro come un rapace.
Stavano cercando di mettersi in contatto con l’aereo, quando all’improvviso era caduto qualcosa dalla cima della parete alle loro spalle; d’istinto avevano estratto le armi, puntandole contro quella cosa, almeno finché Chris non si era accorto che quello era il cadavere dell’unico dei suoi soldati che era riuscito a mettersi in salvo scalando quella formazione rocciosa, o almeno, ciò che ne restava: il corpo aveva fatto una caduta di venti metri, atterrando su un masso lì vicino. Per l’impatto, un braccio e una gamba si erano staccati e l’occhio sinistro era uscito fuori dall’orbita.
Trattenne a stento un conato di vomito, rinfoderando la pistola e avvicinandosi -Come è stato possibile?- domandò Garrison con un’espressione disgustata dipinta sul volto -Non può essere semplicemente scivolato, avrebbe gridato- aggiunse Jill abbassando la sua arma, ma tenendola ancora stretta tra le mani -Hai ragione. Credo che, al momento della caduta, fosse già morto- concluse Chris con un brivido che gli correva lungo la schiena -la domanda è: come?-
Qualcosa garrì nel vento che si stava alzando, ma non ebbero tempo di guardare in alto per capire cosa fosse. Un istante più tardi, una figura avvolta in un mantello con cappuccio apparve in mezzo a loro, cadendo dall’alto e atterrando con un rumore secco, attutito dalla sabbia. Chris si girò di scatto, ma non riuscì a tirare fuori la pistola dalla fondina, perché l’incappucciato gli sferrò un calcio in pieno volto che lo fece cadere a terra.

Jill non aveva fatto in tempo a premere il grilletto. Dopo aver steso Chris, il loro assalitore le aveva preso la pistola e l’aveva colpita in faccia con il calcio dell’arma, stordendola per qualche istante; si riprese dopo pochi secondi, giusto in tempo per vedere l’incappucciato afferrare Garrison per il collo e scaraventarlo contro una delle pareti del Canyon.
Si rialzò, estraendo la seconda pistola e aprendo il fuoco; l’uomo, o la donna, che li aveva attaccati fece qualcosa che lasciò Jill impietrita: scomparve, evitando i proiettili, per poi riapparire a nemmeno mezzo metro da lei. No. Non poteva essere vero. Stava sognando. Doveva stare sognando. Non esisteva nessuno in grado di fare una cosa del genere. Non più. L’unica persona, l’unico mostro, che si muoveva in quel modo era morto da quattro anni. Le sfuggì la pistola di mano, mentre quell’individuo le si avvicinava.

Chris si rialzò e si apprestò a sparare contro l’incappucciato. Almeno fino a quando non vide come aveva schivato i colpi esplosi da sua moglie. Si immobilizzò, incapace di fare alcunché; venne ridestato dai suoi pensieri da un rantolo: l’assalitore aveva preso per il collo Jill, sollevandola da terra e stringendo con forza le dita intorno alla sua gola. Lo sguardo della sua amata era colmo di angoscia, stupore e, soprattutto, paura; con un ringhio, Chris si avventò contro l’incappucciato, che schivò il suo attacco, venendo, tuttavia, costretto a lasciar andare Jill, che cadde sulle ginocchia, tossendo violentemente e portandosi una mano al petto.
L’aggressore parò ogni suo colpo, dopodiché, gli sferrò un diretto che lo colpì dritto in faccia, lasciandolo disorientato, poi gli bloccò il polso in una morsa d’acciaio; a quel punto, l’individuo si portò alle sue spalle, facendo leva sul braccio e ruotando, buttandolo per terra.
Il suo naso sanguinava copiosamente e Chris provava un dolore lancinante alla spalla e al resto del braccio; la vista gli si offuscò, mentre sentiva le forze abbandonarlo -Jill...- mormorò prima che tutto intorno a lui si facesse completamente nero.

-NO!!!- Jill urlò, tentando di rialzarsi, ma senza successo: le gambe non la reggevano ed era quasi senza fiato. Guardò l’incappucciato prendere Chris e caricarselo in spalla -EHI!! FERMO DOVE SEI!- un drappello di soldati li raggiunse di corsa i fucili spianati e pronti al fuoco.
Un secondo gruppo corse da lei e da Garrison, per accertarsi delle loro condizioni -Metti giù il comandante Redfield. Adesso!- sibilò il sergente Reyes. Quelle furono le sue ultime parole.

Osservò le immagini riprese dal satellite con un ghigno di autocompiacimento -WS-01 ha recuperato il bersaglio, signore- commentò uno degli uomini alla console -Lo vedo benissimo da solo, idiota- rispose brusco. Incompetenti. Ma per ora, almeno, gli servivano -Signore, alcuni soldati della B.S.A.A. hanno tagliato la via di fuga al nostro agente- gli fece notare un altro. Il mezzo sorriso scomparve dal suo volto, mentre osservava una decina di uomini armati tenere sotto tiro la figura incappucciata e altri ancora arrivare -Dov’è l’R-040?- chiese con freddezza -Appena giunto sul posto, signore. Attende ordini- gli rispose uno degli operatori -Allora cosa state aspettando?!- sibilò -Che attacchi immediatamente!- gli uomini alle console inviarono i suoi ordini, digitando freneticamente sulle tastiere dei computer.

Un verso agghiacciante riecheggiò nella gola, poi qualcosa di grande e troppo veloce per poter essere visto chiaramente atterrò sul sergente Reyes, schiacciandolo, poi si girò e con una zampata lanciò via alcuni dei soldati lì di fianco. Per un attimo, Jill e i suoi uomini restarono allibiti, non aspettandosi una cosa del genere. La creatura non si lasciò sfuggire l’occasione: con gli artigli impalò un uomo, mentre con un morso ne decapitava un altro -Fuoco!!- Jill si tirò su, afferrò il fucile che Chris aveva lasciato lì poco prima e iniziò a sparare insieme ai suoi uomini, ma a quanto pareva, i proiettili non riuscivano a scalfire la pelle di quel mostro, qualunque cosa fosse. La bestia ringhiò e si gettò su di loro, uccidendo un paio di soldati prima che questi potessero reagire; Jill e i suoi si sparpagliarono, continuando a crivellare quell’essere di colpi -Non funziona!!- le gridò Garrison cercando di farsi sentire sopra il rumore degli spari -Forse ci vuole qualcosa di più grosso!- rispose, togliendo la spoletta ad una granata e tirandola contro la B.O.W.
Garrison fece lo stesso e poco dopo, anche il resto dei soldati, finché le orecchie non le fischiarono per il fracasso prodotto dalle esplosioni; tenendo alte le armi, fissarono tutti il punto in cui avevano tirato le granate, dove ora c’era un denso fumo -Cosa succede?- Jill si voltò e vide che il resto dei suoi uomini era arrivato di corsa, con le armi spianate e pronte al fuoco -Abbiamo sentito sparare- disse uno di loro -state tutti bene?- Jill stava per rispondere, ma d’improvviso, sentì un ringhio basso e profondo provenire da sopra di lei. Non ebbe il tempo di pensare. Non ebbe il tempo di fare nulla. L’enorme essere le arrivò alle spalle, la prese tra gli artigli e la scagliò contro un masso.
Una fitta di dolore lancinante alla spalla le tolse il fiato, poi tutto si fece buio e Jill perse i sensi.

 

 

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Capitolo 13
*** Passato ***


Sullo schermo apparve una spia rossa lampeggiante, mentre il satellite continuava a trasmettere le riprese video in diretta -Signore, il chip si sta per sovraccaricare! Rischiamo di perdere il controllo dell’R-040- la voce dell’operatore era allarmata.
L’R-040 o come l’aveva ribattezzato, “Tyrant Alpha”, era stato bersagliato da una pioggia di granate e, approfittando della cortina di fumo venutasi a creare a seguito delle esplosioni, aveva fatto un balzo su una delle pareti della gola senza essere visto, ma la potenza dei colpi subiti stava mandando in tilt il chip di controllo installato nel cranio della creatura; pochi istanti dopo, infatti, l’R-040 aveva attaccato Jill Valentine, disobbedendo ai suoi precedenti ordini.
Sbatté le mani guantate sul tavolo -Ordinategli di ritornare immediatamente qui!- disse con rabbia. Se avesse perso il controllo della bestia in quel momento, il suo intero piano di vendetta sarebbe andato in fumo -Rapporto su WS-01- ordinò -Sta per rientrare alla base, signore- rispose uno dei suoi uomini spostando l’inquadratura del satellite su di una figura incappucciata che guidava una Jeep con Chris Redfield seduto dietro, ancora privo di sensi -E Ada Wong?- chiese -Arrivata qualche minuto fa, signore. La sta aspettando nel suo studio-

Ada era seduta su una sedia imbottita al piano superiore dell’enorme sala che fungeva da studio privato, guardando le enormi vetrate al fondo della stanza su cui aveva iniziato a battere una pioggia leggera.
Le mani le tremavano. Aveva allungato la durata della sua missione “ufficiale” per poter avvertire Leon del pericolo che la B.S.A.A. correva e la cosa aveva messo a rischio l’operazione che l’uomo per cui lavorava aveva messo in piedi.
Non sapeva niente su di lui, se non il fatto che disponeva di molte risorse, sia economiche che militari, che voleva distruggere la B.S.A.A., partendo da Chris Redfield e che aveva il pallino per le armi biologiche.
Sentì la pesante porta di legno al piano di sotto aprirsi con un lieve cigolio, poi dei passi salire la gradinata di pietra e infine un lieve fruscio quando il lungo impermeabile dell’uomo toccò il pavimento. Un lampo illuminò la stanza, proiettando la sua ombra su di lei e sull’elaborata scrivania in legno che aveva di fronte -Signore, è per me un piacere poterle comunicare che...- iniziò a dire nel modo più servizievole che conosceva -Silenzio- la voce di lui era graffiante, roca e riusciva a creare una certa tensione in chiunque. L’uomo andò a sedersi con calma all’altro capo del tavolo, aggiustandosi gli occhiali scuri sul naso, come faceva sempre. Quando Ada lo aveva visto per la prima volta, era rimasta stupita dalla sua incredibile somiglianza con Albert Wesker, almeno nei modi di fare e nell’atteggiamento, oltre che nell’abbigliarsi: portava un paio di occhiali da sole scuri e un impermeabile nero identici a quelli di Wesker e, esattamente come lui, era estremamente freddo e sprezzante, decisamente borioso, con chi riteneva inferiore.
Tutto subito, aveva pensato si trattasse di una sorta di clone o di qualcuno geneticamente modificato, ma esteriormente era troppo diverso, anche se negli atteggiamenti e nella considerazione della vita altrui, era, se possibile, anche più terribile di Wesker.
La fissò da dietro le lenti -Rapporto- ordinò -Ho attivato il dispositivo, come da lei richiesto, signore. Il Quartier Generale della B.S.A.A. è impossibilitato a comunicare con il mondo esterno- Ada tentò di scrollarsi di dosso la tensione che l’aveva pervasa -Gli imprevisti di cui parlavi?- la voce del suo interlocutore si fece un sussurro, quasi un sibilo -Signore, come le ho già accennato, Leon Scott Kennedy era presente e...- lui alzò una mano, interrompendola -Quello che mi chiedo è come abbia fatto l’agente Kennedy a sapere che tu eri lì- disse, appoggiando i gomiti sulla superficie di legno e incrociando le dita delle mani -Ti ha vista? No. Sei troppo abile ad infiltrarti per poterti essere esposta tanto. Ha intercettato una trasmissione? Impossibile. Avevi il comunicatore spento. Qualcuno ha fatto la spia? Monitoriamo ogni comunicazione in entrata e in uscita da questa base e sono tutti ex dipendenti dell’Umbrella Corporation qui, a nessuno verrebbe in mente di tradire la causa- finse un’espressione pensierosa -Ci sono. Tu volevi che lui sapesse che eri lì- disse infine -Magari hai pagato qualcuno perché gli dicesse della tua presenza. Meglio. Gli hai mandato un messaggio. E lo hai avvertito sull’identità di Garrison- ad Ada gelò il sangue nelle vene -Signore, non so di cosa...- lui alzò nuovamente una mano -Basta menzogne. Sai, qualcuno mi ha insegnato a non fidarmi mai totalmente di te. Ecco perché ho piazzato una microspia sul falso badge che ti abbiamo dato. Ha visto e sentito tutto ciò che hai detto e fatto- iniziò a tremare. Paura. Nemmeno Wesker le aveva mai fatto provare quella sensazione. In quel momento ne aveva tanta, invece. L’uomo fece un ghigno crudele, togliendosi gli occhiali e guardandola dritta negli occhi -Ti racconterò una storia- le disse alzandosi e avvicinandosi a lei -Da ragazzo ero poco più che un avanzo di galera. Mia madre è morta per overdose quando ero un bambino e quell’insetto che era il mio padre biologico mi tenne con sé nella topaia in cui viveva la sua esistenza di tossico e ubriacone. Almeno fino ai miei dieci anni, quando lo uccisi con la sua pistola e me ne andai, facendo la vita del ladro. Tutto questo fino al 1999. Avevo diciotto anni quando venni catturato dalla polizia mentre mi introducevo di notte in un negozio di gioielleria. Ti stupiresti di quanto valgano i diamanti al mercato nero. Era una notte di fine novembre, fredda come poche e le strade erano deserte e tutto quello che avevo addosso erano un paio di jeans strappati, un vecchio e logoro giubbotto di pelle e delle scarpe consunte e sporche. Non ero disposto a passare nemmeno un secondo della mia vita in una cella a farmi fare la predica da qualche poliziotto, così afferrai una delle pistole dei due agenti che mi avevano preso e corsi via, prima che potessero mettermi nella loro auto. Quello che aveva ancora la pistola mi sparò un paio di colpi d’avvertimento, ma io lo ignorai; corsi per circa tre isolati prima di incontrarlo. Mi stavo guardando alle spalle e così gli andai a sbattere contro. Caddi a terra e alzai lo sguardo sull’uomo in cui mi ero imbattuto. Mi rimisi in piedi e gli puntai contro la pistola, intimandogli di farsi da parte, ma lui non si mosse di un centimetro. I poliziotti arrivarono e mi avevano quasi ripreso, quando lui decise di intervenire: mi prese la pistola dalle mani, la puntò contro i due agenti e gli sparò in testa senza fare una piega, poi afferrò le manette che avevo ai polsi e le spezzò con una facilità estrema. Ero sbalordito. Gli avevo puntato contro un’arma, minacciandolo e quell’uomo aveva sparato a due agenti di polizia senza pensarci due volte e mi aveva liberato. Gli chiesi il suo nome e lui mi colpì in pieno volto, ributtandomi a terra, dicendo che dovevo dimostrare di essere degno di conoscere la sua identità, poi mi tese una mano. Mi disse che afferrando la sua mano in quel momento, avrei dovuto rinunciare alla mia vita in ogni suo aspetto, seguirlo e fare come mi diceva, ma che in cambio, avrei ottenuto il potere e le conoscenze per poter cambiare il mondo. Per poterlo controllare. Afferrai quella mano. Afferrai il cambiamento. Sentii qualcosa in lui. Determinazione. Convinzione. Volontà. Potere. Sapevo che seguire quell’uomo era la cosa giusta da fare. Lo sentivo. Quando fui di nuovo in piedi si tolse gli occhiali, mi fissò con le sue iridi rosso fuoco e mi disse il suo nome- mentre parlava, aveva fatto il giro della scrivania, sfiorandole la spalla con le dita, per poi tornare dall’altra parte, avvicinandosi ad un lungo telo nero che copriva la parete dietro alla sedia dove era seduto prima -E...come si chiamava?- domandò Ada titubante, anche se in cuor suo già conosceva la risposta. Lui sorrise. Un sorriso fiero, ma anche pieno di malinconia e nostalgia -Il suo nome- disse strappando il telo dalla sua posizione e rivelando un grande dipinto appeso sotto di esso -era Albert Wesker-

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