Eat me.

di heather16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** gelsomino ***
Capitolo 2: *** Malato. ***
Capitolo 3: *** La follia. ***
Capitolo 4: *** Balliamo. ***



Capitolo 1
*** gelsomino ***


La sala affollata. Il locale dallo stile deliziosamente parigino creava un’atmosfera adatta ad osservare le persone che vi erano all’interno.
Un tripudio di odori gli riempiva le narici. Corpi sudati, corpi che tremavano, corpi tranquilli, corpi pieni di vino e di cibo umano, corpi, corpi che soltanto volendo avrebbe potuto prendersi.
-Vuole ordinare signore?-
-Un caffè, grazie.-
Eccolo lì. Très bien. Aveva un corpo sottile, tuttavia era molto alto; perfetto per avere tanto da prendere, senza le quantità eccessive adatte soltanto ai golosi. Era un universitario, Shu lo aveva notato dalle occhiaie, lo aveva sentito dall’alito di bibite energetiche e caffeina. Semplicemente delizioso. Lo guardò allontanarsi mordendosi un labbro, concentrandosi sulle sue gambe lunghe, sulle natiche succulente. Anche le spalle non dovevano essere spiacevoli. Senza grasso, croccanti. Una volta solo, totalmente privato del suo stimolo del momento, Shu si guardò intorno. Alla sua destra una coppia. Lei portava un profumo alla lavanda, pessimo; lui muscoloso, un mare di nervi. A sinistra un uomo di mezza età, decisamente. Pingue al punto giusto, un sapore ovvio e grezzo. Shu non era un ingordo, non lo era mai stato. Lui selezionava.
Una cameriera piccola e sottile stava venendo verso di lui: reggeva un grande vassoio con una fetta di torta sopra: cioccolato, fragole, uova; forse della panna. Un senso di nausea si impossessò del gourmet. La ragazza aveva tuttavia un aroma interessante, al sudore sembrava mescolarsi il profumo della pioggia e dei vestiti umidi. Superandolo si fermò al tavolo alle sue spalle. –Ecco signorina.-
La puzza di cibo si fuse con un profumo così intenso da rendere le sue narici quasi deliziate. Tsukiyama si girò con discrezione. Al tavolo una ragazza, di poco più di vent’anni. Una lunga camicia bianca e nera, da cui si potevano indovinare le linee del suo corpo sottile. Gambe lunghe fasciate da pantaloni neri. Odorava di zenzero e gelsomino. Era snella, non muscolosa. Carne prelibata, magra ma morbida.Stava tirando fuori dalla borsa un libro.” La nausea” di Sartre.
Shu si sporse verso di lei. Quell’odore si fece più intenso.La sfrontatezza era sempre stata un suo grande pregio. La guardò con un sorriso languido, gli occhi socchiusi: - Maintenant je sais : j'existe; le monde existe ; et je sais que le monde existe. C'est tout. Mais ça m'est égal.1 Che triste lettura per un dessert.-
La ragazza alzò gli occhi, rossa in viso. Il suo imbarazzo dipinto sulle guance era tuttavia in netto contrasto con l’espressione dei suoi occhi. Tsukiyama pensò che avesse uno sguardo strano, come se in fondo a lei ci fosse qualcosa di non detto. Aveva i capelli neri, raccolti in una coda. Le labbra scure e carnose, e lui poteva sentirle scioglierglisi in bocca, riusciva a sentire l’osso del suo naso che si rompeva sotto i suoi denti. Aveva davvero un bel naso.
La guardò, senza smettere di sorridere: -Mi scusi, non volevo disturbarla; tuttavia sono un amante di Sartre. Mi spiace vedere un’altra persona con un tale approccio alla vita.-
Ripensò a ciò che aveva appena detto. Forse accusare una sconosciuta di una concezione pessimistica dell’intera esistenza soltanto in base alle sue letture era eccessivo e, probabilmente, la sua identità e personalità non erano determinate dalle sue preferenze letterarie.
Contrariamente alle sue aspettative, lei sorrise. -Lei conosce Sartre… E il francese, da quel che posso sentire.- Che voce sublime. Nella sua gola sottile le parole gorgogliavano deliziosamente. Tsukiyama deglutì, scacciando il bisogno di perdere il controllo.

 
–Certo che lo conosco. È raro trovare qualcuno che si intenda di letteratura francese del ventesimo secolo. Che ne pensa?-
– Ecco, non saprei come spiegarle.- aveva uno strano tono di voce; la nota timida nel suo timbro non sembrava naturale. Era come se non volesse mostrare di sentirsi completamente a proprio agio - Non è che vorrebbe… sedersi con me?-
‘Mai stato così semplice’, pensò Shu. Ricambiò il sorriso anche lui, socchiudendo gli occhi: –Certo.-
Non capiva cosa ci fosse in lei, qualcosa di più che un pranzo sublime; non capiva eppure si sentiva tremendamente bene.
-Io ritengo che,al di fuori del contenuto in sé, lo stile di Sartre sia… lacerante. È così amaro, con un disprezzo dai toni che sembrano schernire l’autore stesso. E poi quelle riflessioni introspettive che finiscono per essere quasi analogie… io non so come spiegare, questo libro è incredibile.-
Shu si vide nel grande corridoio della sua casa, totalmente vuoto, freddo e morto. Quello con la grande vetrata sul cielo, che di notte rifletteva in mille finestre la luna. E la vide legata, vide il suo cuore che spingeva da sotto il torace veloce, più veloce, più veloce. E lui, con un dito soltanto, a percorrere le curve del suo corpo mentre lei, povera sconosciuta, restava inerme a subire quel lento terribile preliminare; e infine lui si sarebbe fermato sul petto, avrebbe indugiato sul seno, per poi affondare la mano nella morbida carne ed estrarre quel cuore sensibile alle parole di un esistenzialista francese, a divorarlo mentre nella sua mente rimbombavano soavi, come un’antica ninna nanna, una nenia infinita, le parole di Baudelaire, “Je m'avance à l'attaque, et je grimpe aux assauts,/Comme après un cadavre un choeur de vermisseaux,/Et je chéris, ô bête implacable et cruelle!/ Jusqu'à cette froideur par où tu m'es plus belle!
-Mi piace la sua analisi. È un vero piacere, il mio nome è Shu Tsukiyama.-
-Io sono Akane Nishimura.-
Akane… “profondo rosso”. Vermiglie erano anche quelle labbra carnose, che si incurvavano ad ogni parola.
-“Shu”, come il dio egizio. Interessante.-
I suoi occhi erano così scuri da non potervi leggere con precisione alcuna emozione. Il gourmet pensò che sarebbe stato un peccato vederli sparire in eterno sotto il peso delle palpebre.
–Come scusi?-
-C’è un dio egizio il cui nome si pronuncia esattamente come il suo. Si dice che abbia diviso a metà i suoi figli per creare cielo e terra.-
La guardò senza parole.Fantasie cruente e sanguinose si impossessarono della sua mente. Squartarla, strappare il suo corpo a metà, vedere la pelle, i tendini, i muscoli, le ossa e gli organi dividersi in un’esplosione di sangue.
 Il suo silenzio sembrò turbarla. –Mi scusi, non volevo essere scortese. Spesso non riesco a frenare la mia lingua.-La sua lingua. Riusciva a vederla mentre lei parlava. Umida, calda, morbida.
-E perché dovrebbe? E così ho lo stesso nome di una divinità creatrice che smembrò i suoi figli… è decisamente interessante.- sorrise ancora.
-Signore… il suo caffè.-
Il cameriere sembrò allora meno gustoso di prima.
La giovane lo guardò in silenzio mentre girava un cucchiaino nel liquido caldo, che faceva tintinnare i bordi della tazza, mentre la portava alle labbra senza aggiungere zucchero, mentre il caffè scivolava nella sua gola.
-Signorina Nishimura, come mai questo vivo interesse per la letteratura francese?-
-In verità devo ringraziare un mio compagno di corso. Sa, frequento la facoltà di lettere e questo ragazzo è ossessionato dalla letteratura europea del ventesimo secolo. Questo non è il mio genere tipico, ma mi intriga.-
Il gourmet dovette sbattere le palpebre più volte, per fermare i suoi occhi, che sentiva tingersi di rosso. La saliva nella sua bocca, la lingua che schioccava sul palato, tutto perfettamente mascherato sul suo pallido viso calmo.-Lei è davvero una persona originale. Forse è per questo che non mi sarei mai immaginato una ragazza come lein un posto così.-
-Così…?-
-Squallido, direi. Con i suoi gusti letterari, mi immagino lei in uno squisito locale con un pianoforte a coda, una rifornita libreria e decine di quadri alle pareti, in un disordine bohemièn. E forse non con una torta vecchia due giorni in un piatto.-
Quest’ultima considerazione sembrò divertirla: -Su questo le do ragione: è terrificante.-
Tsukiyama la vide ridere, sentì quel gorgoglio cristallino. Le mani cominciarono a sudargli. Sotto il tavolo la gamba destra tremava. Nulla, nemmeno una luce che nel suo sguardo lasciasse trasparire quella morbosa eccitazione. La osservò in silenzio sorridendo. Lei continuò. – Lei si intende di dolci?-
-Di cucina in generale in realtà. Diciamo che per me l’appagamento dei sensi è qualcosa di assolutamente necessario. Non si può vivere senza un bel quadro, un buon libro, – Tsukiyama avrebbe voluto strapparle un orecchio a morsi– un profumo delicato… e lo stesso vale per i sapori particolari.-
-Lei ha perfettamente ragione;- la ragazza posò lo sguardo sul suo polso e sussultò-Oh no, che ore sono!-
- Gà se ne va, signorina Nishimura?-
-È tardi, questa non è una bella zona la sera.-
-Potrei accompagnarla. In effetti c’è davvero brutta gente nella circoscrizione undici…-
Il suo sguardo si fece strano, quasi divertito. – Non si preoccupi, a quest’ora la mia amica sarà già fuori ad aspettarmi. Mi doveva un passaggio!-
Allungò la mano verso il gourmet. In un altro luogo, in un’altra occasione, lui quella mano non l’avrebbe certo lasciata andare. Si limitò a stringerla, constatando quanto quella carne fosse morbida. Tre giorni a frollare, sarebbe stata perfetta.–Spero di rivederla, signorina Nishimura.- sfiorò il suo palmo con le labbra.
Sarebbe rimasto lì per ore a pensare al quel profumo, a chiedersi se anche le pareti di quel locale potessero dare la Nausea; tuttavia l’abitudine lo spinse, quando vide il cameriere togliersi il grembiule, a finire ciò che aveva cominciato.
 
 Il ragazzo teneva il casco di una moto in mano. Vide nel buio una figura alta, avvolta nella più totale oscurità. Sulla porta sfrigolava un vecchio neon bianco.
-Posso aiutarla?- domandò allo sconosciuto.
L’ombra scura si mosse, avvicinandosi alla luce: -Sì, sarebbe molto gentile da parte sua se mi indicasse dove trovare la fermata…-quando gli fu vicino, il ragazzo vide un viso dai tratti delicati, di un giovane uomo vestito con eleganza. E poi vide il braccio dell’uomo conficcarsi nel proprio stomaco. Rimase bloccato, il dolore e il terrore gli impedivano qualsiasi mossa. Sentì la sua mano salire all’interno della pancia per spezzare le prime costole della gabbia toracica, un fiotto di sangue gli uscì dalla bocca, schizzando l’uomo, che manteneva il suo sorriso cordiale in viso. E allora il ragazzo vide quegli occhi tingersi di rosso e nero; il ghoul si leccò le labbra.
E allora successe.
Tsukyama sentì il sapore del sangue della sua vittima, ma anche qualcos’altro. Un aroma particolare, intenso. Qualcosa di esotico.
E allora capì che doveva essere il gusto di lei. Il gourmet pensò che se le sue mani avevano quel sapore, allora il suo corpo…. Un brivido percorse le sua schiena. La voleva. Doveva averla.
Il viso esangue del giovane lo fece ridere. Il suo braccio era ancora affondato nella gabbia toracica: - Daisuke, non sai da quanto tempo aspettavo questo momento. Eppure, la verità è che non mi soddisfi completamente; perché vedi, Daisuke San, tu sei buono, e anche un bellissimo ragazzo… Ma non abbastanza.-
Con un ultimo sforzo tirò violentemente fuori la mano. Il corpo del ragazzo si accasciò ai suoi piedi. Tsukiyama pensò alla cameriera, alla torta nauseante, al tavolino rotondo, ai suoi capelli, i suoi occhi, pensò alla Nausea, all’arte, all’università. E subito avvertì una sensazione mai provata prima.
Si allontanò sbadigliando, infilandosi in un altro vicolo, gettando il cuore del ragazzo in un bidone, pulendosi le mani con un fazzoletto.
Non aveva più fame.

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Capitolo 2
*** Malato. ***


“Sono. Sono o mi sento? Sono terribilmente solo, mi sento… ah, non lo so. Ma sento. E sento. E tutto ciò che amo mi rovina. Perché io sono un perverso, un malato. Ma cosa amo? Cosa sono? Tutto ciò che è in me agli occhi degli altri è sbagliato. Feccia, che disprezza ciò che non comprende. E chi tengo al mio fianco è solo la personificazione di un mio interesse. Ma poi? Come cartonati. Vuoti, tele su cui ho dipinto un quadro grazioso, ma totalmente privo di profondità. Sono tutti freddi, privi di odore, la loro essenza è aliena ad una qualsiasi forma di vitalità. E io non voglio restare solo.”
-Che ti prende Shu?-
Sul letto sfatto i ricordi della notte. Hideki strinse il suo petto alla schiena del gourmet, cingendogli la vita con le braccia. –Sembri turbato. E ieri sera non hai mangiato. Ancora.-
Tsukiyama sentiva il corpo nudo del ragazzo vicino al proprio. Il contatto fisico gli piaceva. Saziava un vuoto che nessun altro piacere riusciva a soddisfare, talvolta nemmeno il cibo. “Un alto grado di intelligenza tende a rendere un uomo asociale”, così diceva Schophenauer, e secondo lui aveva perfettamente ragione. Aveva  incontrato Hideki all’università. Era del secondo anno, ventunesimo distretto. Così ingenuo e infantile, sembrava non essere nemmeno in grado di procacciarsi del cibo da solo; tuttavia la sua bellezza offriva al gourmet uno stimolo artistico e fisico non indifferente, due elementi che erano sufficienti a giustificare l’esistenza del loro rapporto.
 – No Hideki Chan, sto bene. Stavo solo pensando.-
-A cosa?-
-Ai tuoi occhi, al colore del sole all’alba;- Shu avvicinò sorridendo il proprio viso a quello del ragazzo, che era poggiato sulla sua spalla - sei molto bello stamattina.-
Hideki si spostò a cavalcioni sulle sue gambe, cingendogli il collo con le braccia. Accarezzò il viso morbido e glabro del gourmet. Giocò con una ciocca dei suoi capelli tenendola fra le dita. –Tu sei sempre bello.-
Il desiderio vinse il sonno e le riflessioni. Mentre la lingua assaporava la sua saliva e scopriva la conformazione del suo palato, Tsukiyama fece sdraiare il ragazzo su di sè spingendosi all’indietro sul letto. Le mani di Hideki allora si spostarono sul suo torace, la destra si mosse dal suo ventre verso l’inguine e Shu lo strinse ancora di più a sè, giocando con le proprie labbra e il lobo del suo orecchio.
Il sospiro del gourmet si fece più pesante ed affannato; aveva sempre potuto avere tutto ciò che voleva, donne, uomini, pasti. Il sesso lo appagava non solo di per sé, lo faceva sentire grande, lo rendeva assolutamente onnipotente. Era quasi come quando mangiava: il Gioco era nelle sue mani, c’era un dominatore e un dominato, c’era lui che era in grado di fare e potere qualsiasi cosa.  
Poi, come un ricordo lontano tornato ad imprimersi vivido nella memoria, il suo profumo sembrò penetrare violentemente le sue radici. Akane Nishimuro, università di lettere. Sapeva di gelsomino e spezie. La sua mano era morbida, la sua pelle delicata. E rivide in quel momento tutti i particolari del suo corpo, sentì le ossa del suo cranio, la cartilagine del suo naso, i nervi delle sue dita sottili, percepì il suo cuore pulsante da sotto la camicia a righe bianche e nere, il ventre caldo, tutto, provò ogni sensazione che quel ricordo avrebbe potuto dargli, in preda ad un orgasmo in cui predominava un incontrollabile senso di fame.
-Merda, Tsukiyama! Cosa ti avevo detto riguardo a quello?- Shu aprì gli occhi e vide Hideki tenersi la mano poggiata all’orecchio. Sentì la propria bocca impastata. Il sangue gli colava sul mento, un sapore forte e ferroso in bocca si mescolava alla saliva. Il gourmet sputò il lobo destro del ragazzo sul letto. Ah, carne Ghoul. Non la sopportava.
-Ti chiedo scusa Hideki Chan, non me ne sono nemmeno reso conto.-
- Vaffanculo, mi hai fatto male!-
Shu lo guardò cercare i suoi pantaloni in giro per la stanza, senza muoversi. Gli faceva quasi ridere. Ormai rivestito, uscì dalla camera.Tsukiyama ascoltò, sdraiato sul letto, i suoi passi frettolosi lungo il corridoio. Lo sentì aprire la porta del salone, camminare sul morbido tappeto persiano, poi scendere la grande scala dell’ingresso.
Solo allora si alzò.
-Hideki, fermati!- La sua voce era ferma, quasi teatrale.
Il ragazzo ormai all’uscita si voltò, osservò il gourmet raggiungerlo, ancora svestito. – È stato un incidente.- Shu premette il corpo di Hideki contro la porta. Lo superava di una spanna in altezza; il suo corpo senza vestiti era bellissimo, di una perfezione in grado di generare una sorta di disagio. Il suo sguardo si addolcì:- Per farmi perdonare ti potrei portare in quel posto che ti ho promesso…-
Il viso dell’altro si illuminò. –Vuoi dire il ristorante Ghoul? Quello che..?-
-Esatto, quello. Allora Hideki Chan, mi perdonerai mai?-
Le braccia del ragazzo si strinsero al petto di Tsukyama. Si baciarono ancora, a lungo.
Hideki poi sorrise: –Tu sei malato… Ma sei bello, bellissimo.- Pervertito. Malato.
Tsukiyama sorrise. -Mi faccio vivo io. Ci vediamo a scuola.- l’altro gli stampò un altro bacio veloce sulle labbra, poi uscì.
Shu si sentiva insoddisfatto. Terribilmente. Al momento l’idea di vedere ancora qualcuno di tanto stupido lo disgustava. Avrebbe quasi potuto dire di odiare Hideki.
Poi sentì le gambe tremare. La sua schiena scivolò lungo la porta. Era seduto per terra, il viso fra le mani. Capì che non avrebbe davvero saziato nessun suo bisogno, finchè non avesse avuto quel sapore nella bocca.
Si alzò, si vestì; prese la giacca.
 
*************
 
Non la trovò. In nessuna aula, in nessun caffè, nemmeno nei giardini dell’università. E così per tre, quattro giorni, una, due settimane. Non una delle sue conoscenze che riuscisse a trovarla. E non una preda che lui avesse voglia di mangiare. Nulla aveva più sapore. I fiori avevano perso il loro profumo.
Stava tornando dall’università, erano le sei di sera, quando lo sentì. Un odore di gelsomino e spezie arrivò fino alle sue narici; ed eccola, un piccolo sogno seduto alla fermata dell’autobus. Era stato il suo pensiero fisso per giorni e giorni, il suo incubo ogni notte; ora era lì, a pochi metri da lui. Si stava guardando intorno annoiata; Tsukiyama pensò che sembrasse più giovane, con i jeans e le scarpe da ginnastica. I suoi begli occhi neri assorti nel vuoto di un manifesto. Il gourmet la osservò inclinando la testa di lato, sorrise e venne verso di lei.
La ragazza sembrò riconoscerlo.
-Tsukiyama San! – lo salutò con una naturalezza inaspettata.
Ancora quel gorgoglio che proveniva dalla gola inondò le orecchie di Shu. Un brivido percorse le sue braccia, nascoste da una morbida camicia di lino bianco. Lui era bello e impeccabile come sempre, nonostante il digiuno lo avesse reso più pallido del solito.
-Che piacevole coincidenza! È un piacere rivederla, Nishimura. Come procede Sartre?-
-Bene, grazie; nonostante lo studio sono riuscita a non interrompere le mie letture.- Quando Akane fece per alzarsi, Shu notò la sua incertezza sulle gambe; la ragazza barcollò e si costrinse ad appoggiare la schiena al palo della fermata.
Con un’apprensione fin troppo evidente, Tsukiyama le si avvicinò:-Si sente bene Nishimura?-
Lei sorrise debolmente:-Oh, sono solo davvero stanca. Oggi non ho fatto in tempo a mangiare nulla. Mi preoccupa il viaggio di ritorno, casa mia è lontana dalla fermata.-
-Proprio qui c’è un locale che frequento spesso; venga con me a prendere qualcosa.-
La ragazza sembrò nascondere uno strano sorriso, di cui Shu non riuscì a cogliere la natura. –Io…-
-Non potrei mai lasciarla andare in queste condizioni.-
- Ecco, il mio autobus passa ogni quindici minuti, quindi potrei benissimo prendere il prossimo... Perché no?-
Akane fece per incamminarsi, ma di nuovo barcollò. Tsukyama le afferrò il polso, per farla restare in equilibrio. Riuscì a percepire battiti flebili e lenti del suo cuore. Sentì il sangue scorrere dalle vene di lei fino alla propria gola; decise che l’avrebbe invitata ad uscire ancora, e poi avrebbe iniziato tagliandole le vene, succhiando il suo giovane sangue.
Lei sorrise. Camminarono fianco a fianco lungo la strada.Sudore e deodorante e il suo persistente profumo di gelsomino.
Il locale era luminoso. Una grande vetrata mostrava il traffico di Tokyo, in particolare l’andirivieni incessante di corpi sul marciapiede. I tavoli erano di legno grezzo, quadrati. Le sedie semplici, rivestite di stoffa violacea.
-Cosa prende, Tsukiyama San?-
- Un caffè freddo. Glielo consiglio, è rinfrescante e rinvigorente dopo una giornata di studio.-
-Allora berrò quello. Ma lei non mangia nulla?-
Oh, se solo avesse potuto, Shu le avrebbe mostrato la sua dieta abituale. –Oh no, sono sazio.-
 L’osservare incessantemente le linee del suo viso e le forme del suo corpo per immaginare quale parte di lei garantisse il più ricercato dei sapori, lo aveva spinto a concentrarsi anche sul loro effettivo aspetto; il gourmet ne aveva concluso che Akane fosse di una bellezza straordinaria. Decise che non sarebbe usito da quel locale senza la certezza di poterla avere ancora, sola con lui.
-Bene, so del suo amore per Sartre. Ma al di fuori di questa nostra passione comune, cosa legge solitamente?-
Shu fece per aprire bocca, ma lei lo interruppe:- Aspetti, mi faccia indovinare; sicuramente le dovrebbe piacere Kenzaburō Ōe.-
Una cultura che spaziava dagli autori giapponesi del ventesimo secolo fino agli esistenzialismi francesi. Tsukiyama si ritrovò a stringere le mani talmente forte da rendere le nocche bianche.
-È uno dei miei scrittori preferiti. È così crudo, forte nelle sue idee… Cosa le ha fatto pensare che potesse piacermi?-
Lei arrossì. –Il suo volto, i suoi occhi.. non lo so, c’è qualcosa di molto malinconico in lei.-
Il cameriere venne a prendere le ordinazioni: lei chiese una torta al caffè, proprio come il primo giorno in cui lui l’aveva incontrata.
-Ancora una pessima tornta, Nishimura San.-
-Lo so, ma d’altronde non ci posso fare nulla. Non riesco a trovare un dessert degno di questo nome in nessun locale!- mentre la ragazza rideva, Shu pensò che fosse l’occasione perfetta. Eccolo a servirsi della scusa da sempre utilizzata per attirare tutte le sue vittime in trappola.
-Conosco una sala da tè esclusiva, dove servono dei dolci eccezionali. Forse potremmo andarci.-
Tsukiyama temette di essere stato troppo sfrontato e che lei fosse in imbarazzo. Non poteva perdere quell’occasione.
Vennero serviti i bicchieri di caffè freddo, il dolce per lei. Bevvero in silenzio.
Il ghiaccio tintinnava contro il vetro.
Tsukyiama decise che avrebbe tentato ancora una volta: -Che ne direbbe di venire a provare qualche dolce insieme a me in quella pasticceria, qualche volta?-
Akane alzò ancora gli occhi verso di lui. Dalle labbra socchiuse il gourmet credette di percepire il suo respiro. Il suo sorriso era più sicuro. La sua espressione era nuova.
-Tsukiyama San, cosa risponderesti se io ti dicessi qui davanti a tutti che so benissimo cosa sei e anche che cosa vuoi fare con me?-

 

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Capitolo 3
*** La follia. ***


-Tsukiyama San, cosa risponderesti se io ti dicessi qui davanti a tutti che so benissimo cosa sei e anche che cosa vuoi fare con me?-
Il corpo del gourmet si irrigidì. –Nishimura San, non capisco; cosa sta dicendo?-
La ragazza lo guardava dritto negli occhi, studiandolo in ogni espressione del viso: -Tsukiyama, ti reputo una creatura di un’incredibile intelligenza, e spero che tu possa pensare lo stesso di me. Non prendermi ancora in giro.-
Shu non sapeva cosa fare. Non avrebbe voluto continuare quella conversazione a carte scoperte, ma del resto continuare a fingere di non sapere sarebbe stato totalmente inutile.
- Sei del servizio anti-ghoul, Nishimura San?-
Akane rise. Persino la sua voce era cambiata, facendosi più calda e sicura; Shu constatò, in un pensiero che a lui parve quasi buffo, che nonostante l’assurda situazione non riusciva a non esserne mortalmente intrigato. -Credi davvero che il servizio anti-ghoul si servirebbe di tutto questo teatrino per avere te? Io sono esattamente chi ti ho detto di essere; ho vent’anni, studio letteratura all’università; amo Sartre e so benissimo chi sei.-
Lo sguardo di lei si era fatto quasi sprezzante. Il gourmet decise che sarebbe stato al suo gioco; non sapeva, né seppe mai, se lo avessse spinto il desiderio di non allontanarsi dal suo profumo o l’assenza di una via di fuga. Cominciò a sentire caldo. La fronte coperta dai capelli era imperlata di sudore. –Come sai di me?-
-Questo per ora non è un dettaglio di cui devi essere necessariamente a conoscenza. Tuttavia non mi hai ancora risposto.-
Shu sospirò.-Bene, se tu mi dicessi qui davanti a tutti che sai cosa sono, ma chère, ti risponderei che ti lascerei andare via da questo locale, per poi seguirti da lontano; e una volta sola, farei in modo di gustarti fino all’ultimo morso, per sbarazzarmi definitivamente di te. Chissà qual è il sapore di una così abile attrice.-
Akane giocava con la forchetta, puntellando ripetutamente la torta, da cui schizzavano panna e glassa. A Shu le briciole umide di crema parvero interiora. Ridacchiò: -E lasciarmi il tempo di chiamare i colombi, rivelando il tuo nome e fornendo una tua più che accurata descrizione fisica?-
-Non te ne darei il tempo.-
-Impossibile. Anzi, potrei chiamarli anche in questo istante. Oppure… potrei cominciare a gridare.-
Tsukiyama si allungò verso il viso della ragazza, sorridendo teso.-Credo che non potrei più riuscire a controllarmi come sto facendo ora.-
Lei rise ancora.-Qui? davanti a tutti? Non sei molto bravo ad agire sotto pressione.-
-Dovrei sbarazzarmi anche di loro.-
-Una strage, Tsukiyama San? Non credi che darebbe nell’occhio? Immaginatelo: una famiglia, un ragazzino, un vecchio che passano davanti a questo posto. E cosa vedono? Un uomo con gli occhi rossi che si diverte a spiaccicare corpi deboli e impotenti contro le pareti e sulla vetrata. Effettivamente sarebbe divertente.-
Akane non era spaventata da lui. Sembrava quasi che lo deridesse. Quale essere umano poteva essere tanto sfrontato e incurante della propria vita? Shu si rese conto che più quella donna parlava, più lui ne rimaneva follemente intrigato. “Follia”… Quella era la parola giusta. Lui aveva davanti a sé una completa pazza.
-Cosa vuoi da me?-
Solo allora Akane lasciò cadere la forchetta sul piatto, facendosi seria. Parlò a bassa voce, le sue parole quasi un sussurro.-Vedi, sono sempre stata intrigata da quelli come te. I ghoul sono uomini con una sola caratteristica tale da renderli mostruosi. E non sto parlando del bisogno di carne umana; mi riferisco alla volontaria arrendevolezza agli istinti. La fame di un ghoul è qualcosa che non viene controllato, e questo è un dettaglio spaventoso, e in qualche modo… infelice, non credi? E poi ci sei tu, Tsukiyama San. C’è qualcosa in te … tu hai fatto del cibo un piacere. Ad un primo sguardo il tuo sembra quasi un inconsapevole o meno tentativo di trasformare un atteggiamento animalesco in qualcosa di controllato, in un piacere raziocinante; e questo meriterebbe ammirazione. Tuttavia io ho pensato molto, arrivando alla conclusione che tu hai realizzato qualcosa di incredibile, aggiungendo l’elemento dell’ossessività all’atto istintivo. Con quello che fai esalti ciò che in te è mostruoso, in una commistione di razionalità e follia. Sei qualcosa di grottesco, eppure assolutamente eccezionale. Perciò dovevo conoscerti. Tuttavia non mi aspettavo di diventare io stessa una tua ossessione; finchè tu fingerai di essere ciò che non sei per ingannarmi io non potrò sapere davvero come sei dentro. Ed è proprio per questo che ho deciso di venire a cena da te.-
Tsukiyama non parlò. Nella sua mente scorrevano pensieri fra i più disparati. Vide il ristorante dei ghoul, vide lo scrapper fare a pezzi una preda, si vide ridere con il viso sporco di sangue, mangiare occhi e poi gambe e braccia e stomaci e fegati. E poi la vide, con quella mente contorta, quei pensieri disumani ma assolutamente perfetti. La sensazione che provava andava dal brivido di terrore al culmine di un orgasmo. Quale sublime mostro gli stava seduto di fronte? Con un soffio di voce ripetè quelle parole così banali ma in quel contesto, con quella persona, tanto agghiaccianti: -A cena?-
-Esatto. Verrò a cena da te. Io scoprirò il tuo carattere, poi tu sarai libero di scoprire… me. Come più vorrai.-
Lo rendeva pazzo. Shu non riusciva a capire. Quella ragazza stava utilizzando se stessa e la propria vita come ricatto. Per conoscere a fondo la sua ossessione, aveva fatto in modo che il proprio corpo diventasse parte e anzi oggetto della stessa. Era semplicemente perfetto.
Lei continuò:- E poi un’altra cosa, Tsukiyama San. Io cucinerò per te.-
-Io..-
-Lo so cosa pensi; ma riflettevo sul fatto che tu sei un intenditore di una pietanza soltanto. Non è assurdo? Se solo tu fossi in grado di provare tutto, forse scopriresti nuovi gusti.-
-Perché dovrei accettare ciò che tu mi proponi, Nishimura San?-
-Perché ti ho fatto un’offerta più che ragionevole.-
-Oppure hai un secondo fine.-
- Stai ancora pensando alla C. C. G. , Tsukiyama? Dal momento che so perfettamente dove abiti, non credi che se volessi incastrarti avrei già fatto in modo di rivelare il tuo indirizzo?-
-Tuttavia non ha alcun senso, dal tuo punto di vista, consegnare la tua vita in questo modo, senza alcun indugio o ragione.-
Akane rise. –E appagare la mia curiosità non ti sembra forse una ragione sufficiente?-
-E se io non volessi cenare con te?-
-Dato che probabilmente tu mi uccideresti lo stesso senza però permettermi di trarne profitto, credo che farei saltare tutto. E con tutto intendo te, Tsukiyama San.-
Akane non aspettò una risposta e si alzò. – Domani sera alle otto. So che potresti seguirmi e uccidermi nel primo vicolo sulla strada di casa, ma come ti ho detto ti stimo molto e spero tu non ti perda quella che, sono certa, sarà la cena migliore della tua vita.-
Dopo aver detto ciò, la ragazza se ne andò. Tsukiyama la osservò camminare calma e disinvolta fino all’uscita.
La porta del bagno del locale si chiuse con un sordo scatto della serratura. Tsukiyama si sedette sul bordo del lavandino, cercando di riflettere.
3 maggio. Incontro con una ragazza dal profumo eccezionale. 23 maggio. Ritrovamento della ragazza. Akane Nishimura, un essere umano con l’unica particolarità di avere un odore eccezionale. Akane aveva accettato il suo invito a bere qualcosa, si era mostrata un’amante della lettura. Poi lo aveva chiamato gourmet, lo aveva invitato a cena offrendosi in breve come portata principale. Aveva un attaccamento alla vita talmente scarso da non sembrare nemmeno umana; un atteggiamento così audace e ossessivo da ricordargli se stesso. Quest’ultimo pensiero rimase fisso nella mente di Tsukiyama. Gli tornò in mente quella frase di un poeta inglese, “I pazzi osano dove gli angeli temono d’andare”, e pensò che Akane aveva le virtù divine della bellezza e del bisogno di conoscenza, ma la mente ossessiva e malata di un pazzo e suppose che Lucifero fosse stato proprio come lei e la immaginò ancora e ancora e ancora seduta al tavolo di quel piccolo locale con una fetta di torta e un caffè.
**********
La camera da letto era vuota e silenziosa. I vestiti del gourmet giacevano ai piedi di una poltrona rivestita di stoffa rossa. Una musica lontana proveniva dal salone. Nella stanza da pranzo, ancora i piatti pieni e mai sfiorati, per l’ennesimo giorno di fila. “La Follia” girava rapida in un vecchio grammofono. Sdraiato sul pavimento, stava il gourmet. Nella stanza, che aveva sempre voluto lasciare completamente priva di mobili, solo lui e la melodia isterica di Vivaldi. Seminudo, sentiva rabbrividendo il freddo del marmo sulla sua schiena. E ogni corda pizzicata, ogni tasto del clavicembalo, ogni arco che strideva sulle corde di un acuto violino era uno spasmo, una vibrazione interna che culminava sempre e soltanto nella rievocazione del suo odore. La melodia poi si faceva lenta e suadente, e Tsukiyama si beava in quella calma che lo rendeva totalmente assente. Poi, in un lento crescendo, il ritmo aumentava, aumentava ancora e ancora, fino a culminare nella calma di un adagio.
“Lo si schiaccia dolcemente tra lingua e palato; lentamente fresco e delizioso, comincia a fondersi: bagna il palato molle, sfiora le tonsille, penetra nell’esofago accogliente e infine si depone nello stomaco che ride di folle contentezza.”
Questo pensava, non riuscendo a vedere altro piacere che non fosse lei, non volendo accettare altro sapore che non fosse il suo. La ragazza gli stava per servire una cena dove lui sarebbe stato il vero protagonista, e dove avrebbe alla fine ottenuto ciò che ormai da settimane desiderava. Eppure, in una situazione che poteva soltanto sembrare un piacere, nel raggiungimento di un traguardo supremo per il suo ego, Tsukiyama non riusciva a non pensare con fastidio alle parole di lei. “Con quello che fai esalti ciò che in te è mostruoso, in una commistione di razionalità e follia.” Ancora qualcuno che lo trovava malato, sbagliato. “Sei qualcosa di grottesco, eppure assolutamente eccezionale.”Come poteva una creatura di tale intelletto non vedere che in lui c’era soltanto bellezza, soltanto passione?
“La fame di un ghoul è qualcosa che non viene controllato, e questo è un dettaglio grottesco, e in qualche modo… infelice.”
Akane Nishimura era fin troppo sicura di sé.
La genialità e l’umiltà non potevano coesistere in una sola persona, così pensava anche Tsukiyama; tuttavia quell’umana demoniaca doveva conoscere.
Con un rumore irritante la musica si interruppe. Shu aprì gli occhi, risoluto. Si alzò in piedi, calpestando il pavimento freddo a piedi nudi. Il suo corpo atletico percorreva le stanze della casa, unica forma di vita in movimento in tutta la casa. I domestici dormivano. I suoi pettirossi, chiusi in una gabbia all’ultimo piano della casa, avevano smesso di cantare al tramonto. Tutto taceva. Raggiunse la camera da letto, scelse un elegante completo nero. La camicia era di un bianco candido, la cravatta nera anch’essa. Entrò nella sala da pranzo. Incurante dei profumi della carne sul tavolo, si avvicinò alla vetrina a ridosso della parete laterale. Sollevò la teca, e scelse fra tutte la sua maschera prediletta, a forma di luna crescente. Scese le scale, aprì la porta. Indugiò per un attimo sull'uscio, per poi addentrarsi nel nero della notte.
Akane Nishimura avrebbe compreso.

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Capitolo 4
*** Balliamo. ***


Un piccolo giradischi diffondeva nella spaziosa mansarda dai soffitti di legno uno dei notturni di Chopin. Shu Tsukiyama sedeva su una poltrona di pelle gialla. Indossava un completo rosa, una camicia bianca. La luce del tramonto penetrava nella stanza; un raggio di sole colpiva una gabbia che disegnava righe scure sul tappeto bianco. Dentro uccelli dalle diverse specie si muovevano sui trespoli. Con un gesto delicato il gourmet allungò il braccio verso le sbarre sottili, sfiorando con l’indice il piumaggio di un canarino, che subito volò verso la parte opposta della gabbia. –Swallow, Swallow, little Swallow, will you not stay with me one night longer?1- sorrise, ascoltando il suono del cinguettio fondersi con quello dei violini.
La giornata era trascorsa nell’attesa. Tsukiyama era rilassato, sicuro. Quando il sole calò, e la mansarda si riempì lentamente di oscurità, si alzò dalla poltrona.
L’attenzione all’abbigliamento era da sempre per lui fondamentale. Era fermamente convinto che un abito potesse definire un carattere, una personalità, in quel caso uno stato d’animo. Scelse un completo viola, una camicia nera. Nell’occhiello sistemò un garofano rosso. Era sua ferma convinzione che una tale serie di contrasti fra colori potesse comunicare forza. Si osservò nello specchio compiacendosi; il suo corpo era atletico e snello, in un’armonia che rispettava proporzioni magistrali.
Andò personalmente ad aprire la porta. Akane indossava un abito rosso, che fasciava la sua vita sottile per poi cadere morbidamente sui fianchi. La giovane donna, pur non essendosi curata nei minimi dettagli, sprigionava un fascino inafferrabile. Reggeva una grande borsa. - È un piacere vederti ancora. Mi sono premurata di portare con me gli ingredienti necessari, che suppongo non possano essere presenti nella tua casa.-
-Della cena non ti devi preoccupare; la mia cuoca è perfettamente in grado di preparare tutto ciò che le chiederai.- Tsukiyama notò con piacere lo stupore negli occhi della ragazza, che subito però sorrise. –Bene, allora posso tranquillamente darle le mie disposizioni, Tsukiyama San.-
Il gourmet fece chiamare la cuoca: indossava una divisa nera. I capelli grigi erano fissati sul capo con un pettine d’osso. Sul viso teneva una lucida maschera bianca. –Misa, ascolta ciò che lei ti dirà e cucina questo cibo esattamente come lei vorrà.-
Il gourmet notò la scioltezza di Akane nel rivolgersi alla domestica, udì ancora un nuovo timbro gorgogliare nella sua gola. Quel giorno indossava una sottile collana in oro bianco: un diamante brillava fra le clavicole. Quando ebbe finito di parlare, la ragazza si voltò di nuovo verso di lui: -Hai una casa davvero bella.- Sembrava che la situazione per lei non avesse nulla di singolare. Soltanto un invito a cena.
-Tu scrivi, Tsukiyama San?- Shu si riscosse, guardandola negli occhi. –Come?-
Akane sospirò, concentrandosi su un punto impreciso del grande salone d’ingresso.
-Una creatura come te… Credo che con la tua personalità e la tua cultura tu possa essere un discreto scrittore.-
Creatura… Il gourmet scacciò il disagio che quell’espressione gli aveva fatto provare.
-Sì, talvolta scrivo; perlopiù poesie.-
-Mi piacerebbe leggerne qualcuna.-
-Forse più tardi.- Entrambi seppero che quella frase indicava un tempo che non ci sarebbe mai stato.
Si avviarono verso il piano superiore, percorrendo in silenzio la lunga scala. Shu provava un miscuglio di interesse e odio profondo verso quella giovane donna, che si faceva forte di un’insolita freddezza capace di renderla apparentemente apatica e incurante della propria vita. Raggiunsero il salotto. Un’immensa libreria ricopriva due delle pareti della stanza. Il gourmet osservò la ragazza senza parlare. In un angolo vicino ad una poltrona rossa c’era un piccolo stereo. Grandi casse nere addossate alle quattro pareti. Il valzer dell’Addio2 cominciò a vibrare fra le pagine dei libri, sotto i loro piedi, nell’aria della sera che filtrava da una finestra socchiusa.
-Sai ballare, Nishimura San?-
-Insegnami, Tsukiyama.-
Il gourmet tese la mano verso la ragazza e cominciarono a muoversi, Lei era meno incerta di quanto lui pensasse; dalla stoffa sottile Shu riusciva a percepire la sua schiena calda.
-Anche il nostro sarà un Addio, non è vero?- domandò lei ad un tratto.
Lui rimase in silenzio per qualche secondo. –Perché sei venuta?-
Sorrideva. –Per conoscerti.-
-E nient’altro?-
-Nient’altro.-
Per un istante Tsukiyama provò un brivido, fu avvolto da un’ombra di terrore assolutamente inspiegabile. Fu il timore di un istante. Respirò a fondo l’aria intrisa del suo profumo, continuando a muoversi sul morbido tappeto rosso. La annusò, e lei non se ne stupì affatto.
-Lo sai come finirà tutto questo.-
-Nulla è scritto; non credo nel destino, ma anzi negli imprevisti. Comunque vada, sarà una serata eccezionale.- La sua voce era dolce, serena.
-Se i signori si vogliono accomodare nella stanza da pranzo, la cena è servita.-
La sala era grande. Una luce soffusa, un’altra finestra aperta. Le tende biance oscillavano appena scosse dal vento. Sul grande tavolo, apparecchiato per due, c’erano cinque portate da una parte soltanto.
-Non pensavo di non mangiare nulla.- Osservò Akane, dimostrandosi stupita per la seconda volta.
-Siediti, Nishimura San.-
Shu sollevò una delle campane d’argento con cui erano coperti i piatti, osservando con ribrezzo  il trancio di salmone che vi era sopra.
-Avanti. Voglio sapere cosa ne pensi.- Lei sorrideva, sicura di sé.
Il gourmet tagliò con calma un boccone di pesce e lo portò alle labbra. Un gusto marcio, terribile per quelle papille di ghoul, invase la sua bocca. Deglutì a fatica, non prima però di essersi costretto a masticare più e più volte.
-Ritengo che per una buona cena sia necessaria della musica.-
Tsukiyama si alzò. Akane lo guardò avvicinarsi all’ennesimo giradischi. Shu ne aveva uno in ogni stanza della casa. Questa volta il Silenzio3 avvolse la sala. Lui rimase in piedi, bellissimo e delicato nella staticità del suo corpo perfetto. La brezza leggera riuscì a raggiungerlo, spostando appena una ciocca dei suoi capelli.
-Vedi Nishimura San, anche io ho una condizione.- Alzò lo sguardo verso la porta- Puoi portare il resto, Misa.-
La domestica rientrò con un carrello. Sopra altre cinque portate, anch’esse coperte da campane d’argento. Una volta disposti i piatti sul tavolo, la donna se ne andò. Akane si voltò ancora una volta stupita verso il gourmet, che seguitava ad evitare lo sguardo di lei.
-Tu mi hai detto che noi siamo sbagliati per la nostra incapacità di controllare la fame.- Tsukiyama si avvicinò al tavolo, camminando lentamente, ancora senza guardarla negli occhi. –Ma il tuo si potrebbe dire un giudizio incoerente; del resto ti capisco, la tua è l’ipocrisia che denota tutti gli esseri umani. Voi giudicate continuamente ciò che non segue una sorta di morale: e la morale umana non è altro che il rifiuto sistematico dei piaceri. Vedi Akane, io non mi curo dell’etica né tantomeno della società, tuttavia dovendo rifletterci potrei affermare che questo mondo è malato di ipocrisia. E quando parlate di noi questa piaga è ancora più evidente. Voi dite che siamo disumani, aggrappandovi ad una questione di istinti… Quando è proprio il rifiuto degli istinti l’atteggiamento più disumano dell’uomo.- Il gourmet aveva alzato la voce, e con essa lo sguardo. Vide il volto indecifrabile della ragazza, un misto di attenzione e curiosità. Spostò con le dita una ciocca di capelli violacei che gli era caduta sulla fronte, poi continuò con calma: -Io potrei benissimo affermare che uomini e ghoul sono diversi soltanto nell’alimentazione. Tuttavia c’è la possibilità, anzi la certezza, che tu mi dia ragione, e questa nostra opinione comune sarebbe profondamente irritante per me. Perché vedi, tu non hai una visione di pensiero così ampia come mi lasceresti credere con il tuo probabile parere. Come tutti gli altri, l’atto di cibarsi di uomini mi rende ai tuoi occhi un mostro, per quanto tu ti rifiuti di ammetterlo. Tu vuoi vedere come sono dentro, hai scoperto la mia identità per costringermi ad essere esattamente come ciò che sono. Anche tu devi metterti a nudo. E come tu conosci il mio essere ghoul, ora dimostrami che sei soltanto una creatura umana.-
Solo allora il gourmet la guardò negli occhi. Con la mano sinistra sollevo una della campane d’argento: un piccolo taglio di carne sulla porcellana bianca.
-Questo è un cuore umano, Akane.-
La ragazza abbandonò il suo sguardo sicuro; osservò, come se si trattasse di un esperimento da laboratorio, vene e arterie. Vide la cava superiore, riconobbe l’atrio destro e quello sinistro.
Il ghoul la osservava tremando, senza smettere di sorridere.
-Ecco la mia condizione: io mangerò ciò che hai fatto cucinare per me, mentre tu assaggerai ciò che per te io ho cacciato.-
Si spostò dietro alla sua sedia, avvicinandosi al suo orecchio, inspirando a lungo il suo profumo. La sua voce era un sussurro: -Mi rendo conto  che per te il cuore risulti un organo non troppo gustoso; i tuoi denti di certo troveranno troppo duro un muscolo del genere; tuttavia è forse ciò che in un corpo mi piace di più. Avanti, dimostrami chi sei, ammetti che non riesci a non vedermi come un mostro. Oppure mangia un tuo simile, e pensa ad ogni morso sul tuo palato, nella tua bocca, nelle viscere del tuo corpo, ricordando che stai divorando un altro essere umano.-
La ragazza deglutì, poi parlò. La sua voce era leggermente incrinata, ma ciò che disse stupì Shu per la prima volta quella sera: -Va bene. Mangerò.-
Le dita si strinsero intorno al coltello. La mano sinistra prese la forchetta. Ripensò a tonno e salmone, al vitello alla brace, al manzo kobe, ma vide davanti a sé, come un incubo di Poe, un cuore che le parve ancora pulsante. Poi tagliò. La carne era dura e filacciosa, prenderne un pezzo era complesso. Vi infilò la forchetta. Il sangue non evaporato per la scarsa cottura sporcò la porcellana bianca. Avvicinò le labbra al boccone. Tsukiyama la osservava, sconvolto lui stesso dalla mostruosità dell’atto e al contempo mortalmente eccitato.
Poi lei si fermò. La mano tremava, reggendo il cibo a mezz’aria. Lui sorrise. Aveva vinto. –Avanti Nishimura San, non mangi?- la sua voce era un soffio alle orecchie di lei, che lasciò cadere la forchetta. Il metallo sulla porcellana produsse un rumore che lacerò il silenzio, la musica sembrò sparire per lasciare il posto all’assenza di parole data dal terrore e l’eccitazione. Le labbra di Shu sfiorarono la guancia della ragazza. –Non hai paura?-
Afferrandola per le spalle la costrinse ad alzarsi e a voltarsi verso di lui, le cosce contro il bordo del tavolo.  Dietro di lei il macabro banchetto. –Sai, io e te siamo simili. Entrambi amiamo le persone; forse sono i modi ad essere diversi. Il culto della psiche, e quello del cibo. – Allungò il braccio alle spalle della ragazza, recuperò la forchetta caduta sul piatto e si infilò un pezzo di cuore in bocca. I suoi occhi si tinsero di rosso. – Cosa ne pensi se ora cenassi anch’io?-
Akane reagì. Portò le braccia al collo del gourmet, di nuovo apparve una scintilla nel suo sguardo, come quando per la prima volta lo aveva visto, un lampo che più che passione ora a Shu parve pazzia. –Assaggiami.-
Il respiro del ghoul venne troncato. Lo stava assecondando. L’ultimo, grande affronto di una giovane folle. La sua erezione ormai premeva sulla gamba di lei. Il sospiro di Akane era pesante. Stava aspettando.
Fu un attimo. Come se fosse una preda, Tsukiyama si avventò su di lei. Voleva un bacio, una sorta di addio oppure un modo di augurarsi “buon appetito”. Lei lo assecondò, e nella violenza del gesto Shu quasi non si accorse di ciò che la ragazza stava cercando di fare. La sentì insistere sul proprio labbro, tenendolo stretto fra i denti. Si staccò per un secondo, tenendo ancora la fronte premuta contro quella di lei, che intanto infilava le mani sotto la sua giacca. –Tu… stai cercando di mangiarmi?-
-In fondo non sarei ancora più ipocrita mangiando te?-
Tsukiyama rise, perché la sua carne era molto più resistente di quella umana e non poteva essere lacerata con un morso. Non aveva mai pensato all’impossibilità degli uomini di mangiare i ghoul; si trattava di una caccia a senso unico. Mentre spingeva la sua lingua più a fondo nella bocca di Akane, pensò che fosse davvero buffo che nessun ghoul si fosse mai preoccupato di essere mangiato da un uomo. Afferrò fra i denti il labbro della ragazza. Il suo sangue si mescolò alla saliva di entrambi. Si staccò nuovamente, guardandola negli occhi. Lei sorrideva, calma. Ancora quello scintillio malato negli occhi.
-L’idea di cibarti di un essere umano ti fa inorridire, eppure sei totalmente incurante del dolore e della morte. Tu raggiungi il sublime, Akane.-
Lei si sedette sul tavolo, spingendo indietro i piatti. –L’osservarti mentre agisci è qualcosa di sublime; direi quasi che vale una vita intera.- i denti di lui affondarono nella sua spalla. Una porzione di pelle fu strappata via. Il sangue, il dolore, non sembrava frenarla.
Tsukiyama era preso da un turbinìo di sensazioni. Da una parte c’era il bisogno, la brama di divorarla, di dilaniare la carne del suo ventre, deturpare il suo viso, strappare il diamante che pendeva dal collo e affondare i denti proprio lì, fra le clavicole, per cibarsi di quella poca pelle sulle ossa. E poi la confusione per la totale insensatezza di quella ragazza che faceva dell’emozione pura e dell’empatia la sua ragione di vita, e anzi un motivo sufficiente a rinunciarvi. L’ego già di per sé smisurato di Shu, ora era talmente potente da renderlo delirante e ubriaco di gloria e vanità. Lui non aveva ottenuto una preda, essa stessa si era sacrificata a lui soltanto per avere un assaggio della sua vera essenza. Quasi non se ne sentiva meritevole. Akane aveva un’ammirazione profonda per lui. Si poteva parlare di venerazione? Tsukiyama credeva di no. Se da una parte lei gli era quasi devota, dall’altra questa devozione era frutto di un freddo interesse. E in questo caso lui era soltanto uno studio, una pedina, una personalità da smembrare e conoscere, il che lo faceva sentire umiliato. Lei stava divorando la sua anima. Questo contrasto lo spingeva a provare per Akane un’emozione dove il disprezzo si mescolava al desiderio e all’ammirazione. La voleva, ma al contempo sapeva che non avrebbe tollerato il non averla più. Divorandola in quel momento, sdraiata su un tavolo e circondata da organi umani sotto campane d’argento, si sarebbe sentito momentaneamente appagato e liberato da qualcosa che generava in lui tanto scompiglio. Eppure il pensiero di non poter studiare e osservare quella giovane fredda folle lo frenava dal cibarsi di lei. E per questo lui la odiava.
La odiò, la odiò profondamente mentre lei gli sfilava la camicia, mentre lui sollevava il suo vestito fino all’ombelico. Non smise di odiarla nemmeno per un attimo, nemmeno quando in preda all’orgasmo strinse talmente forte il suo braccio da farlo sanguinare affondando le unghie nella carne.
Sfiancato si sdraiò per terra, sul tappeto rosso. il suo ventre si sollevava a intervalli regolari. Sentì che lei si stava alzando dal tavolo.
Akane lo guardò sorridendo. Sembrava soddisfatta. Lo raggiunse sul pavimento, sedendosi sul suo bacino. Quando parlò, la sua era la voce tranquilla e sicura che aveva quel giorno, mentre puntellava con una forchetta una torta al caffè. –Come ti dicevo Tsukiyama San, io non credo nel destino quanto piuttosto negli imprevisti. E questo è stato uno fra i più piacevoli.-
Shu non rispose, stanco ma soprattutto sconfitto. Non era riuscito a mangiarla.
-È stata una cena meravigliosa, Shu.-
-Potrei ancora mangiarti, non giocare.- Il gourmet si sentì stupido. Mentiva, e lei lo sapeva.
Perché, Shu lo sapeva, Akane aveva vinto.
La ragazza infatti sorrise:-Non lo farai. Sono troppo interessante. Il bello di te è che vuoi conoscermi tanto quanto io voglio conoscere te. Stai cercando di capirmi, di scoprire cosa ci sia sotto..- con la lingua, ancora sporca del suo stesso sangue, lei attraversò il tronco del ghoul, che ancora non riusciva a far svanire il rossore dai suoi occhi. Una striscia rossa divise a metà il basso ventre e l’addome. – E finchè non avrai trovato qualcosa che giustifichi me, non riuscirai mai a mangiarmi.-
 
 
1: citazione del Principe Felice, di O. Wilde
2: Op. 69 n. 1, Chopin
3:  “Il Silenzio”, Beethoven

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