Costanti universali

di martinablu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Costanti universali
Capitolo 1

Il capitano James Tiberius Kirk aveva un passato difficile sulle sue ancor giovani spalle.
Nato grazie al sacrificio di suo padre,  vissuto con una madre indifferente ed un patrigno violento,  era sopravvissuto al più grande massacro della storia della Federazione, e poi agli attacchi di Nerone, Khan e di Krall.
Era temprato al dolore e alla sofferenza, ma quello che stava vivendo gli sembrava semplicemente insopportabile.
Con passo incerto, cercando di nascondere il dolore, fisico e morale,  completò a stento il tragitto verso il suo alloggio.
Pregò  qualsiasi divinità che Spock fosse ancora sul ponte, anche se il suo turno stava per finire.
Aveva bisogno di pulirsi, lavarsi, lavare via l’odore di quell’essere disgustoso, e riorganizzare i pensieri prima di decidere cosa fare e soprattutto come dire al suo compagno, al suo T’hy’la, quello che era successo sul pianeta.
In una nebbia confusa  si strappò quasi con rabbia i vestiti da dosso ed entrò nella doccia, lasciando che l’acqua bollente lavasse via il sangue e quello che rimaneva della violenza subita.
Cercò di non pensare  al respiro fetido sul suo corpo, alla mente annebbiata che gli aveva impedito  anche di reagire, a quelle mani artigliate che lo toccavano dappertutto.
Perché ora?
Perché proprio ora,  quando la sua vita sembrava perfetta?
Cosa poteva dire o fare per il suo T’hy’la, per non farlo soffrire come lui stava soffrendo?
Appena  aveva ripreso lucidità, aveva  schermato il legame telepatico che condivideva con il suo compagno. Aveva bisogno di tempo per metabolizzare il suo dolore e impedire che travolgesse anche lui.
E poi aveva paura delle conseguenze.
I Letosiani erano un popolo potente e minacciavano di allearsi con i Romulani. Il che avrebbe messo a disposizione di questi ultimi l’enorme giacimento di cristalli di dilitio che c’era sul pianeta.
Per questo l’Enterprise era stata mandata a negoziare un nuovo trattato di alleanza.
Per questo la Federazione aveva spedito il suo capitano più noto ed amato a parlare con  il Gran Consiglio.
Ed era stato un successo, il trattato doveva solo essere firmato da rispettivi rappresentanti.
Sino a che il figlio del Gran Cancelliere non lo aveva attirato sul pianeta con la scusa di discutere gli ultimi dettagli e gli aveva offerto quella bevanda rituale.
E dire che Bones gli diceva sempre di stare attento a  quello che mangiava o beveva… ma lui non voleva essere scortese e così aveva accettato.
Meno di dieci minuti dopo si era ritrovato completamente impotente nelle mani di quella bestia. Non era riuscito neppure a muoversi o gridare dal dolore, né tantomeno a chiamare Spock attraverso il loro legame.
Prese dei respiri profondi, cercando di calmare i ricordi, ma continuava a sentire l’odore di quell’essere sulla sua pelle, come se fosse penetrato nella sua anima.
Prese il sapone e lo straccio ed iniziò a sfregare la sua pelle sino a che non diventò rossa e dolente.
Cosa doveva fare?
 Certo, appena saputo quello che era successo, la Federazione avrebbe interrotto ogni rapporto con i Letosiani, chiedendo  giustizia. Ma i Letosiani erano un popolo molto chiuso, aggressivo e xenofobo. Poteva essere lui la probabile causa di un conflitto di così vasta portata?
E poi sarebbe stato creduto? Non c’era nessuno con lui. Con un briciolo di razionalità pensò che aveva fatto male a lavarsi e cancellare le tracce, sarebbe dovuto andare prima da Bones.
Ma proprio non ce la faceva ad affrontare il suo migliore amico in quel momento.  Non senza l’aiuto di Spock.
Mentre finalmente le lacrime bagnavano il suo viso, mescolandosi all’acqua calda, chiuse il flusso della doccia e indossò l’accappatoio.
Poi, nel buio rassicurante, si sedette alla scrivania ad aspettare  che il suo compagno tornase a casa.
 
 
Spock entrò nella cabina condivisa da quasi un anno con il suo T’hy’la e si bloccò trovandola completamente al buio.
Eppure speva che Jim era rientrato, il computer lo aveva individuato lì.
Durante il tragitto dal ponte alla cabina condivisa aveva soppresso e giudicato illogico il leggero senso di preoccupazione che si era impadronito di lui nelle ore precedenti.
Aveva tentato più volte di contattare Jim attraverso il legame condiviso, senza successo.
Ma non era infrequente che il suo T’hy’la schermasse il legame mentre era impegnato in missione, perché, come diceva sempre, lo distraeva.
Appena entrato rimase per un attimo sulla porta, confuso dall’oscurità, subito prima che il suo olfatto sensibile lo sentisse.
No. Non poteva essere.
“Jim…” chiamò cercando di restare calmo, anche se sentiva la rabbia salire.
“Luci al venti per cento” ordinò, appellandosi a tutti gli insegnamenti di Surak per non vomitare, mentre l’odore  penetrava nelle sue narici, nel suo cervello.
Odore di qualcun altro. Qualcun altro, qualcuno che non era lui, sul corpo del suo compagno.
E lui era lì, seduto alla scrivania nel suo accappatoio, guardando vuoto.
“Cosa hai fatto???” chiese con voce dura.
 
“Spock…” balbettò Jim, guardandolo confuso.
“Come hai potuto? Come hai potuto stare con un altro?” chiese tagliente il vulcaniano, lasciando che il disgusto trapelasse dalla sua voce.
“Io…” provò a giustificarsi l’umano, mentre le lacrime gli si formavano negli occhi blu.
 “Credevo che ti fossi reso conto che il legame che condividiamo esige fedeltà assoluta” ringhiò Spock.
“Ma io…”
“Tu cosa? Non sei riuscito ad onorare l’impegno? Hai colto la prima occasione mentre non c’ero per divertirti? Per questo hai schermato il legame”
“Se mi lasci spiegare…”
“Cosa devi spiegare? Non neghi di aver avuto un rapporto sessuale…  e sapevi bene che la fedeltà era una delle poche cose che pretendevo, che tutti i vulcaniani pretendono, in un legame. Ma forse la tua natura umana ti impedisce di onorare un impegno”
Gli occhi di Kirk si allargarono per lo sconcerto.
“Forse non è come sembra….” riuscì a dire con voce strozzata
“Sì, devo concordare. Non sei come mi sei sembrato in questi ultimi anni, non sei cambiato rispetto al cadetto insolente e bugiardo che saltava da un letto all’altro in Accademia”
Ora gli occhi di Jim denotavano rabbia, rabbia e dolore.
“Così non sei disposto a lasciare che ti spieghi”
“No, in effetti non sono disposto a lasciare che insulti un legame che dovrebbe essere sacro” rispose il vulcaniano, prima di voltarsi e lasciare la cabina.
 
Jim guardò la porta chiusa della cabina per vari secondi, tremando come una foglia ed incredulo su quello che era appena accaduto.
Tutto il suo mondo era crollato in un solo minuto.
Le gambe gli cedettero e lui piombò a terra in un mucchio informe.
Pianse sino  a che non si addormentò esausto.
 
 
“Jim… apri, lo so che sei lì dentro. Apri o uso il mio codice di override medico”
La voce di McCoy  gli giunse ovattata e confusa.
Poco dopo sentì McCoy digitare il suo codice.
“Jim sto entrando. Non  so se hai litigato con il folletto, ma… oddio che è successo??” esclamò il medico nel vederlo rannicchiato al suolo.
 
“Devi venire in infermeria, Jim. Non posso trattarti qui”  bisbigliò McCoy, mentre lo teneva stretto fra le braccia, seduti sul letto matrimoniale della cabina
“No ti prego, non ce la faccio… ti prego” supplicò Jim.
“Jim… devo fare delle analisi specifiche, non  conosco bene la biologia dei Letosiani, potrebbe averti attaccato qualcosa”
Piangendo a tratti, Jim era ruscito a raccontare tutto al medico.
L’orrore si era dipinto sulla faccia del suo migliore amico, subito prima che lo stringesse in un abbraccio stretto.
“Sì che ce la fai. Tu sei forte, l’uomo più forte che conosco. Ora chiama quel deficiente dalle orecchie a punta che chiami marito, tramite quella cosa che avete in testa, e digli di raggiungerti in infermeria”
“Ha chiuso il legame. Non riesco a chiamarlo” balbettò il capitano.
“Che bastardo… vedrà cosa gli faccio appena mi viene a tiro” ringhiò McCoy
“Non è colpa sua… ha solo sentito…”
“Cosa? Come sarebbe a dire che non è colpa sua? Ti ha lasciato qui solo e ferito, dopo quello che hai passato. Non ha lasciato che spiegassi… se lo prendo gli tiro il collo, giuro”
“Bones…”
“Uhura a Capitano Kirk” gracchiò il comunicatore sul tavolo.
“Jim, ti metto fuori servizio… lascia stare, qualunque cosa sia se ne può occupare quel maledetto computer con le orecchie a punta”
Ma Jim aveva già raggiunto, con fatica, il comunicatore.
“Qui Kirk”
“Capitano… posso sapere cosa sta succedendo? Perché  Spock ha lasciato la nave?”
“Lasciato la nave?” chiese Jim con voce tremante.
“Sì, ha comunicato alla Flotta che prendeva una aspettativa per motivi personali e ha preso un trasporto per New Vulcan”
“Quando?” riuscì a chiedere il giovane capitano.
“Questa notte”
Senza dire altro Jim lasciò andare il comunicatore e si accasciò fra le braccia di McCoy.
 
Un mese dopo
New Vulcan
 
Spock uscì sulla veranda della casa di suo padre e fissò per un po’ il sole che scendeva dietro le colline.
Questo nuovo pianeta somigliava molto al suo vero pianeta, ma anche le piccole differenze contribuivano a rimarcare che tutto un mondo era andato perduto.
Dopo la distruzione di Vulcano, Spock era riuscito a sopravvivere alla perdita del suo pianeta e di sua madre solo grazie a Jim.
Si era appoggiato a quella amicizia e lentamente l’aveva vista trasformarsi in qualcos’altro.
T’hy’la. Amico, fratello, amante.
Il legame più raro e sacro fra due individui.
Le immagini della cerimonia di legame, che avevano celebrato su quella stessa veranda, continuavano a tormentare Spock nelle sue notti solitarie.
La mancanza di Jim, nella sua vita, nel suo letto, nella sua mente, era a volte insopportabile.
Ma ancora più insopportabile era il tradimento subito.
Come aveva potuto? Come aveva potuto tradire una cosa così bella e preziosa?
Aveva schermato il legame da quando aveva lascito Jim nella cabina sull’Enterprise, ben sapendo che se l’avesse contattato la rabbia e il dolore l’avrebbero travolto.
E lui non  sapeva se voleva o meno rompere definitivamente quella cosa preziosa che condividevano.
Aveva bisogno di tempo.
Per questo aveva rifiutato ogni contatto, ogni comunicazione proveniente dall’Enterprise.
Ma  da un paio di giorni sentiva qualcosa premere sullo scudo che aveva eretto per schermare il legame, come un’ondata di marea che si infrange su una diga, minacciando di distruggerla.
Inquieto, aveva scacciato la sensazione, bollandola come illogica, ma anche la meditazione non aveva avuto molto effetto.
 Ed in quel momento sentiva che la sensazione, aumentata prima di ora in ora, si stava indebolendo.
E non sapeva se era un bene o un male.
“Spock” suo padre lo richiamò con voce calma, ma ferma.
“C’è una comunicazione urgente dall’Enterprise per te”
“Padre, ti ho già pregato di rifiutare…”
“Spock, è il tenente Uhura e sembra davvero sconvolta…”
Una sensazione indefinibile, preoccupazione, paura, panico, si  impadronì di Spock mentre seguiva il padre verso il comunicatore sul tavolo del piccolo soggiorno.
 
“Spock… finalmente” la voce di Uhura era rotta dal pianto,  il suo viso sconvolto e gonfio.
“Nyota…” balbettò Spock capendo che qualcosa di incommersurabile era successo.
“Devi venire Spock. Ora”
“Nyota, io non credo che sia opportuno”
“Sta morendo, Spock. Jim sta morendo. McCoy dice che non passerà la notte” 



Salve. Mi chiamo Martina e questa è la mia prima FF. Quindi siate clementi e ditemi se devo andare avanti.
Sono innamorata di Kirk e Spock li trovo insuperabili, ma questa è una storia un po' triste che mi frulla nella testa da un po'.
Grazie e  chiedo scusa per gli errori.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

NO! Non può essere.
Il pensiero,  per illogico che fosse, si fece strada  nella mente di Spock, mentre le immagini di Uhura sullo schermo si confondevano.
“Jim? Dove sei, stai bene?” chiamò subito attraverso il legame.
Nulla… non sentiva nulla, solo rumore bianco.
C’era solo una minuscola luce d’oro, sullo sfondo, debole come una fiammella  che si stava spegnendo al vento del deserto.
La prima volta che aveva avviato una fusione mentale con Jim, Spock era rimato quasi travolto dal colore oro della sua mente. Jim era come il sole, giallo, intenso, colorato e caldo. Ne era rimasto totalmente affascinato e sapeva che, finchè viveva, non avrebbe potuto  più fare a meno di quella sensazione stupefacente.
“JIM!” chiamò ancora mentalmente, mentre il panico puro si impadroniva di lui.
“T’hy’la ti prego, sono io, rispondimi” supplicò ancora senza risposta.
Improvvisamente, tutto quello che aveva provato nel mese precedente non aveva più alcuna importanza.
L’infedeltà, il tradimento, il dolore, la rabbia, tutto  non aveva più importanza al pensiero che poteva perdere il suo compagno.
“JIM! Ti prego resisti, sono qui. Sto arrivando da te” chiamò ancora, sempre più disperato, mentre correva nella stanza del padre.
“Padre, ti prego mi devi aiutare!”  disse quasi urlando.
“Devo usare il teletrasporto a transcurvatura. Devo andare da lui subito” balbettò, mentre si toglieva la tunica vulcaniana e correva ad indossare la sua uniforme.
“Figlio, sai bene che è sperimentale e la Federazione ne ha proibito l’uso”
“Sì lo so, ma io…”
Sarek guardò il figlio negli occhi e poi abbassò lo sguardo.
“Fammi parlare con T’Pau” sospirò.
 
Mentre l’holocar guidata da suo padre sfrecciava verso la sede del Consiglio Vulcaniano, dove era posizionato l’unico trasportatore a transcurvatura in grado di portarlo direttamente sull’Enteprise, Spock cercò di inviare, tramite il legame, sentimenti di amore e  protezione al suo compagno.
Ma il suo segnale era sempre più debole, sentiva la vita scivolare via di Jim come acqua tra le dita.
“No, ti prego T’hy’la, tu non puoi lasciarmi. Dobbiamo parlare, tutto sarà chiarito. Devi resistere, sto arrivando da te”
L’holocar frenò di botto davanti all’ingresso della sede del Consiglio, dove due anziani erano già in attesa.
Spock non si degnò di salutare, si precipitò dentro, mentre suo padre parlava anche  a nome suo.
“Sarek sei consapevole che  si tratta di un macchinario sperimentale e la distanza è notevole” fece uno dei due anziani.
“Mio figlio è perfettamente consapevole dei rischi. Si tratta di una emergenza anziano Sanok, e T’Pau ha dato il suo consenso” giustificò  il vecchio ambasciatore, cercando di tenere il passo del figlio.
“Molto bene,  allora siamo quasi pronti” annunciò Sanok.
Spock era già entrato nella grande sala e stava posizionandosi sulla piattaforma.
“Figlio, sono consapevole che è difficile, ma non devi perdere la lucidità”
“Non riesco ad essere lucido o logico, mi dispiace padre. Non in questo momento. Sta morendo, lo sento attraverso il legame. Ed io l’ho lasciato solo” rispose Spock gurdando in basso.
“So che il tuo legame con James è forte, ma se dovesse succedere…”
“Tu non puoi sapere. Non hai un T’hy’la. Se dovessi perderlo la mia esistenza sarebbe finita”
“Allora vai, figlio, e salvalo” disse Sarek con calma.
Spock si preparò al trasporto.
Ma nello stesso momento in cui il vortice di particelle  lo stava avvolgendo e smaterializzando, l’oscuro artiglio della morte lo aggredì.
 Un dolore indicibile si propagò nella sua mente.
E nel preciso istante in cui si rimaterializzò sulla piattaforma  dell’Enterprise  ne fu consapevole.
Con un urlo si accasciò sul pavimento lucido, senza poter vedere e sentire nulla, se non  l’enorme dolore che lo trafiggeva.
E ne fu cosciente. Il legame si era spezzato.
James Tiberius Kirk, il suo capitano, il suo T’hy’la, era morto.
 
“Stai bene?” chiese Uhura, mentre lo aiutava a sedersi.
Spock si guardò intorno cercando di capire dove si trovava, mentre il dolore infuriava nella sua mente.
“Sei svenuto nella sala teletrasporto. M’Benga dice che  devi restare a riposo. McCoy non ti voleva in infermeria, così ti abbiamo portato nella mia cabina” spiegò la donna. Aveva il viso e gli occhi gonfi di pianto.
“E’morto vero?” Spock ebbe il coraggio di chiedere con un sussurro, ben sapendo quale fosse la risposta.
Uhura si limitò ad annuire.
“Due ore fa. McCoy dice che è stata una specie di infezione che quel bastardo di Letosiano gli ha attaccato. Solo che lui non ha parlato con nessuno dei sintomi, non ha detto nulla sino a che non è svenuto sul ponte due giorni fa.  E a quel punto era troppo tardi. Non ha più ripreso conoscenza” spiegò la giovane tenente, mentre una lacrima  le scendeva sul volto.
Spock cercò di prendere un respiro dalla bocca, mentre si sentiva soffocare. Il dolore nella testa gli impediva qualsiasi pensiero logico.
Uhura lo fissò con i suoi grandi occhi neri.
“Come hai potuto? Come hai potuto lasciarlo così, dopo quello che aveva passato?” chiese con dolore ed odio.
Spock non ebbe il coraggio di ricambiare lo sguardo.
“Io… credevo… insomma lui era stato con un altro ed io…” balbettò quasi incoerente.
“Stato con un altro?? Ma che cosa stai dicendo??? Quel bastardo lo ha  drogato e poi lo ha violentato!”
A quelle parole Spock si sentì precipitare in un baratro.
“C… cos…”
“Se ti fossi degnato di lasciare che ti spiegasse, forse avresti capito. Ti avrebbe raccontato l’inferno attraverso cui era passato. Sono stati gli stessi Letosiani ad avvisarci che stavano per arrestare il figlio del Cancellerie, dopo aver visionato i filmati delle telecamere di sicurezza. E prima che lo chiedi, il bastardo che ha fatto questo è già morto. Si è ucciso in cella, dopo che l’hanno arrestato”
La voce di Uhura aveva un tono risentito, che Spock non aveva mai sentito prima.
Ma il vulcaniano, nella sua logica, non poteva basimarla.
La donna stava  di fronte a colui che aveva ucciso il suo capitano ed il suo amico.
Perché una verità era innegabile.
Non era stata l’infezione contratta ad uccidere Jim Kirk.
Lui, S'chn T'gai Spock, aveva ucciso il suo T’hy’la.
“Ora devo andare, bisogna organizzare la… cerimonia funebre. Voleva essere sepolto nello spazio. Resta qui a riposare. E stai lontano dall’infermeria. McCoy è completamente fuori di sé, non so quale reazione potrebbe avere se ti vede” concluse Uhura alzandosi e uscendo dalla cabina.
Appena la porta si chiuse Spock cercò di calmare il respiro ed alzarsi.
Ma il dolore nella sua testa lo aveva paralizzato, nel corpo e nella mente.
Nessuna logica, nessuna meditazione o insegnamento di Surak poteva far fronte allo tzumani che si stava abbattendo su di lui.
Aveva accusato falsamente il suo compagno, lo aveva umiliato e lasciato solo nel momento di maaggior bisogno. Ed ora il suo T’hy’la era morto.
Voleva urlare, ma aprendo la bocca non riuscì ad emettere un fiato.
Come in trance, senza aver alcun reale controllo sul proprio corpo, uscì dalla cabina e si avviò verso l’infermeria dove sapeva che avrebbe trovato quello che cercava.
 
 
I capannelli di membri dell’equipaggio si aprirono al suo passaggio, ognuno aveva uno sguardo diverso sul volto. Compassione, rancore, risentimento,  le emozioni erano così forti che le poteva sentire anche senza contatto fisico.
Cercando di recuperre un po’ di distacco e soprattutto dignità si raddirizzò, mentre varcava la soglia dell’infermeria.
Doveva vederlo. Anche se questo avrebbe aumentato ancor di più il dolore, ma lui voleva soffrire.
Aveva bisogno di vedere che quell’incubo era reale, voleva punirsi, voleva costringersi a vedere il corpo senza vita della persona che  era tutto il suo mondo e chiedegli perdono per averlo ucciso, anche se era troppo tardi.
“Dove credi di andare, brutto bastardo?”
La voce adirata di McCoy lo paralizzò appena entrato.
Il medico aveva la barba lunga e gli occhi cerchiati, come se non dormisse da giorni, sul volto lo sguardo più feroce che Spock avesse mai visto in quasi otto anni che lo conosceva.
“Non osare neppure pensare di vederlo, vai fuori di qui o chiamo la sicurezza” gli urlò contro.
“Dottore…io credo di avere il diritto” provò ad obiettare il vulcaniano.
“Diritto? Tu non hai nessun diritto. Lo hai lasciato solo quando aveva più bisogno di te. Sei un maledetto bastardo”
“Il mio comportamento è stato frutto solo di un malinteso…”
“Malinteso? Sei scappato via, lo hai accusato di averti tradito, mentre era solo una vittima. Ha passato un inferno e tu ti sei rifutato anche solo di parlare con lui. E sai perché è morto? Perché si è arreso. L’ho tirato fuori da situazioni cento volte peggiori di questa, l’ho portato indietro dalla morte, è sopravvissuto alle cose peggiori che si possano immaginare  solo grazie alla sua forza di volontà. Ma stavolta si è arreso… non voleva vivere senza di te”
 Ora McCoy stava urlando e tutto il personale della infermeria si era bloccato come congelato sul posto.
“E crede che non lo sappia? Sono perfettamente cosciente del risultato delle mie azioni” rispose Spock con un filo di voce.
“Bene, perché l’unica cosa che mi trattiene dall’ucciderti  qui e subito è la consapevolezza potrò vederti convivere con il senso di colpa che accompagnerà ogni  giorno della tua miserabile vita”
“Leonard…” chiamò l’infermiera Chapel ferma sulla porta.
Nelle braccia aveva l’alta uniforme di Kirk.
“Se vuoi lo faccio io”  disse con aria triste.
“No, lo faccio io” replicò McCoy prendendo i vestiti.
“Sparisci dalla mia vista. E non osare farti vedere alla cerimonia. Tu non meriti di salutarlo” ringhiò il medico mentre si avviava verso la sala mortuaria.
Spock rimase immobile a guardare il medico sparire dietro le porte che si chiudevano.
Rimase fuori da quella porta, incapace di articolare anche un solo pensiero logico, mentre udiva chiari i singhiozzi disperati di McCoy che preparava il suo T’hy’la per il suo ultimo viaggio.
E all’improvviso nella foschia di dolore accecante si fece strada in lui un solo pensiero razionale.
Un solo desiderio accecante ed impellente.
S'chn T'gai Spock voleva morire




Spero il nuovo capitolo vi piaccia e non sia troppo angosciante. Non temete c'è speranza per il nostro duo preferito

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
Spock si presentò alla cerimonia funebre nonostante le minacce di McCoy.
Aveva tentato di resistere e restare in disparte, non visto, ma non poteva, proprio non poteva non salutare la persona che aveva amato di più nella sua vita.
Appena lo vide entrare McCoy tentò di avvicinarsi, aria feroce sul volto, ma venne bloccato da Uhura che lo trattenne per un braccio.
“Leonard ti prego no… lascialo restare. In fondo era suo marito” pregò.
“Lo ha ucciso Nhyota. Lo ha ucciso lui, questo lo sai” borbottò McCoy, pur tornando al suo posto.
Spock si avvicinò alla bara, ancora aperta al centro della grande sala.
Sentiva come se qualcuno stesse incidendo nella carne viva con un coltello affilato.
Pensò che, quando gli anziani lo avevano avvertito che il dolore del legame rotto con il proprio T’hy’la era l’unico che non poteva essere  attenuato con la logica o la meditazione, non aveva creduto fino in fondo alle loro parole.
Ma era proprio così, quel dolore non aveva fine,  e non poteva essere descritto per quanto era profondo e straziante.
E pensò che solo la prospettiva di raggiungere presto il suo T’hy’la gli dava la forza di respirare, camminare e vedere il  corpo del suo amore per l‘ultima volta.
Poi, se esisteva una divinità cui chiedere perdono, l’avrebbe fatto e avrebbe raggiunto il suo compagno nella morte, sperando che almeno i loro katra potessero stare ancora insieme, magari in un’altra dimensione.
Forzandosi si obbligò a guardare quel volto pallido e sofferente anche nella morte, richiamò alla mente  tutti i momenti felici trascorsi, il sorriso luminoso come mille soli del suo compagno,  i suoi occhi, del blu più intenso che avesse mai visto, profondi come il mare.
Cosa era rimasto del coraggio, della determinazione, della gentilezza e bontà d’animo, della genialità di James Tiberius Kirk?
Spock si rifiutava di pensare che tutto fosse andato perduto.
“Perdonami Ashayam, perdonami se puoi…”  cercò di inviare il pensiero attraverso il legame, pur sapendo che le sue parole si sarebbero perse come un’eco nel deserto senza fine.
“Se esiste un Dio mi farà ritrovare il tuo katra, anche solo per ottenere il tuo perdono. Poi se dovrò perdermi per sempre, così sarà”
 
 
La cerimonia funebre si consumò lentamente e dolorosamente.
Spock pensò che se gli umani trovavano consolazione in questo tipo di saluto, per lui la cosa non funzionava. Sentiva il suo dolore aumentare di minuto in minuto.
E sentiva anche a distanza il dolore di McCoy propagarsi come un’onda scura.
Poteva capire i sentimenti del medico.
Sin dall’inizio si era chiesto quale tipo di legame condividessero Jim e McCoy.
Sicuramente nulla di romantico o di sessuale, eppure profondissimo.
In qualsiasi momento di crisi o tristezza Jim scappava  a confidarsi con McCoy, prima ancora che  con lui.
All’inizio del loro coinvolgimento Spock era rimasto molto infastidito dalla circostanza, aspettandosi di assumere lui il ruolo di confidente, ma poi aveva finalmente capito.
Jim ed il dottore erano una “famiglia” in cui McCoy aveva il ruolo se non di padre quantomeno di fratello maggiore.
Spock ricordava con chiarezza il giorno della cerimonia di legame, quando McCoy lo aveva preso d parte.
“Ti prego solo di una cosa. Non farlo soffrire. E’ più fragile di quanto tutti credano” gli aveva detto fissandolo negli occhi.
“Di questo puoi essere certo Leonard” aveva risposto Spock, con sincerità in quel momento.
Ed ora era venuto meno a quella promessa.
E ora come poteva McCoy, quale  fratello maggiore, perdonare colui che aveva ucciso il suo fratellino?
Incapace di reggere oltre Spock si girò ed uscì dalla sala, mentre la voce rotta di Uhura  intonava una triste e antica poesia.
 “La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio”
 
Mentre si allontanava sentì il rumore delle paratie della camera di compensazione che si aprivano per lanciare nello spazio la capsula con il corpo di James Tiberius Kirk.
Sarebbe tornato alle stelle dove era nato, come suo desiderio.
“Aspettami Ashyam” avendo ben chiaro quello che doveva fare.
 
Anche dopo la celebrazione del legame, quando avevano iniziato a convivere, Spock non aveva  mai completamente lasciato la sua cabina.
Jim aveva insistito affinchè ne conservasse l’assegnazione.
“Ognuno ha bisogno di un proprio spazio personale” aveva chiosato il capitano sorridendo. “Noi umani possiamo essere snervanti”
Ma Spock aveva usato raramente quello spazio privato.
 Amava condividere la cabina con il suo compagno.
Amava le piccole ridicole abitudini che  Jim aveva al mattino, come lavarsi i denti per due volte con due dentifrici diversi, amava la ridicola canzone che cantava sotto la doccia ed il tono sexy con cui la cantava quando voleva che Spock lo raggiungesse, amava l’odore dei libri di carta che Jim collezionava e che leggeva ogni sera, sempre prima di andare a dormire e dopo aver fatto l’amore, mentre con una mano reggeva il libro e  l’altra gli accarezzava i capelli. Amava perfino il suo disordine che a volte  trasformava la cabina in un caos assoluto.
Ma ora Spock si rendeva conto che non poteva profanare quella cabina, il tempio dell’amore che aveva condiviso con Jim.
Così con passo sicuro si avviò verso la sua cabina da primo ufficiale.
L’odore di polvere e aria stantia lo accolse.
“Luci venti per cento” ordinò e subito l’ambiente si illuminò fiocamente.
Sulla parete  c’era esposto un antico pugnale rituale.
Spock non lo aveva appeso nella cabina  condivisa con Jim perché sapeva che nonostante le apparenze, il capitano nutriva una sorte di viscerale avversione per le armi. Era costretto ad usarle troppe volte ed anche la visione del pugnale ricurvo, con l’impugnatura ingioiellata che il padre di Spock aveva regalato al figlio in occasione della cerimonia di legame, gli avrebbe dato fastidio.
Così Spock lo aveva riposto nell sua cabina da primo ufficiale.
Certo quando il padre glielo aveva regalato non poteva pensare che sarebbe servito a questo.
Il comunicatore al suo fianco continuava a vibrare. Aveva inziato nel corso della cerimonia e non aveva più smesso. Spock già sapeva chi era e si decise a rispondere. Doveva a suo padre almeno un ultimo saluto.
“Padre” salutò atono.
“Figlio… ho saputo. Mi dolgo con te” rispose Sarek, e per la prima volta Spock sentì una nota di emozione nella voce di suo padre.
Spock rimase in silenzio a fissare il padre sul piccolo video.
“Figlio so che è difficile, ma tu devi…”
“Io non  devo nulla, non voglio nulla, non più ormai. Sono un guscio vuoto”  fece il giovane con un filo di voce.
“Figlio la vita non  è finita, anche se è difficile crederlo troverai negli insegnamenti di Surak e nella logica l’aiuto che cerchi per superare questo momento”
“La logica… non ho bisogno della logica per capire di aver ucciso con il mio stolto comportamento il mio T’hy’la. E’ una mia responsabilità e devo accettarne le conseguenze. Voglio solo che tu sappia che ti ho apprezzato molto come genitore” rispose, stavolta con calma Spock.
“Cosa intendi…” nella voce di Sarek ora  c’era una nota di timore.
“Ora devo andare padre. Lunga vita e prosperità” lo interruppe il giovane, chiedendo il comunicatore.
Poi staccò dal muro il pugnale e si preparò.
 
Non avrebbe lasciato biglietti o altro, tanto a tutti sarebbe stata chiara la ragione del gesto.
Aveva creduto che la cosa sarebbe stata facile, ma con evidenza l’istinto di sopravvivenza  aveva la sua influenza facendogli tremare la mano.
Si impose di pensare ai giorni felici con Jim e alla possibilità di poterlo forse rivedere e raggiungere il suo katra.
Prese il pugnale e si concentrò. Un colpo secco al fianco sinistro e tutto sarebbe finito.
Alzò la mano impugnando il coltello e…
 
“Sei sicuro che questa sia la soluzione giusta?”
La voce, profonda ma ironica, bloccò Spock con la mano a mezz’aria.
“Il dolore per il legame rotto sta provocando allucinazioni” pensò Spock mentre fissava lo strano uomo, seduto a gambe incrociate proprio davanti a lui.
Era fisicamente impossibile che fosse entrato non visto ed anche un eventuale teletrasporto avrebbe fatto scattare immediatamente l’allarme.
“Non sono una allucinazione sono reale, Spock di Vulcano”
L’uomo vestito con una tunica dai colori sgarganti ed uno strano cappello rosso continuava a guardarlo con aria beffarda.
“Come sei entrato?” chiese Spock abbassando il pugnale.
“Non è la domanda giusta…” ridacchiò l’uomo.
Spock si alzò per avvicinarsi al comunicatore.
“Inutile che cerchi di dare l’allarme. Ho bloccato tutto, compreso il tempo, tranne che per noi due” fece l’uomo.
“Il tempo è una variabile che non può essere…”
“Sì lo so, secondo le vostre cognizioni non può essere fermato” ridacchiò l’uomo mentre Spock si precipitava nel corridoio.
Tutti erano fermi, congelati sul posto, come l’immagine di un video bloccato.
Spock guardò con sconcerto l’uomo che lo aveva seguito nel corridoio.
“Chi sei?” chiese stupito.
“Neppure questa è la domanda giusta, ma risponderò lo stesso.
“ Io sono Q” proclamò poi con aria solenne.
“Cosa vuoi?” chiese Spock.
“Ecco finalmente la domanda giusta. Anche se la risposta è a sua volta una domanda per te”
 
"A cosa sei disposto a rinunciare Spock di Vulcano per riavere il tuo T’hy’la?" fu la domanda.
"A tutto" fu la risposta.
 

Q è un personaggio che appare in The Next Generation.
La poesia è di Fernando Pessoa.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Nel caso lasciate una recensione,  mi farete felice

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Capitolo 4
  
"A cosa sei disposto a rinunciare Spock di Vulcano per riavere il tuo T’hy’la?" fu la domanda.
"A tutto" fu la risposta.

Spock aveva pronunciato la risposta d’istinto, senza neppure soffermarsi a pensare quanto fosse illogica la domanda.
Jim era morto e non c’era modo che lui potesse riavere il suo t’hy’la.
“Anche se quello a cui rinunci può essere più importante della tua stessa vita? Anche se continuare a vivere per te potrebbe essere una tortura che ti indurrebbe ogni giorno a desiderare la morte che stavi per infliggerti?”
Spock guardò Q con stupore misto a curiosità.
“Certo. Ma non c’è modo che tu possa…”
“Io posso molte cose Spock di Vulcano. Posso piegare il tempo a mio piacimento, ad esempio” rispose con un sorriso l’umanoide, mentre con un cenno della mano toccava il cactus che Spock teneva sulla scrivania. Immediatamente la pianta fiorì più volte e poi  appassì, come in un film riprodotto a folle velocità.
“Cosa sei tu?” chiese ancora Spock.
Q sorrise beffardo.
“Te l’ho detto. Sono Q ed il mio popolo è  padrone degli universi”
Spock del tutto illogicamente sapeva che le parole di Q non erano dettate dalla follia.
Il suo omologo anziano gli aveva parlato una volta dell’incontro della sua Enterprise con l’entità chiamata Trelane sul pianeta Ghothos e degli immensi poteri che quell’entità aveva. Una divinità bizzarra che si divertiva a mettere alla prova gli esseri che considerava inferiori.
“Vuoi portare indietro il tempo?” chiese, con speranza Spock.
“No sarebbe troppo facile. Piuttosto ti porterò in un’altra dimensione temporale, dove il tuo capitano è ancora vivo e vegeto”
La speranza sbocciò di nuovo nel cuore di Spock.
Un’altra dimensione… Jim vivo ed in salute… poteva impedire quello che era successo su Letos o quantomeno aiutare Jim, stargli vicino  e offrirgli tutto il suo amore.
“Quale nuova dimensione?” chiese finalmente.
“Una in cui James Kirk non è il tuo t’hy’la e non lo sarà mai”
 
Spock rimase congelato ed attonito.
Non riusciva neppure a considerare l’idea di un mondo in cui lui e Jim non fossero t’hy’ la.
Il suo vecchio omologo, prima di morire, l’aveva avvertito: era un legame indefettibile ed assoluto, era e sarebbe stato così in tutti i tempi e gli universi possibili.
“No, non può essere. Lui ed il siamo t’hy’la. E lo saremmo sempre”
“Ti sbagli. Se accetti la mia proposta lui  vivrà, sarà il tuo capitano, tutto esattamente come in questo universo, ma tu non sarai mai il suo t’hy’la. Potrai essere suo amico forse, ma nulla più di questo. Tutto quello che concerne il vostro legale non è mai avvenuto e non avverrà mai”
“Ed io? Cosa proverei io?”
“Questo è il punto Spock di Vulcano. Se accetti lui per te, al contrario, sarebbe esattamente quello che è ora. Il tuo amico, tuo fratello, il tuo amante, l’unico amore della tua vita. Sarebbe il tuo t’hy’la. Ma non potresti mai rivelarglielo. Mai a costo della sua vita”
Spock rimase come allucinato a guardare l’entità che davanti a lui gli sorrideva beffardo.
“Sei capace Spock di Vulcano di affronare questa prova? Di vivere accanto a lui come un estraneo, vederlo fare la sua vita, anche innamorarsi  di qualcun altro, senza mai potergli dire nulla di quello che provi e cosa siete in realtà?”
Il pensiero di vivere così terrorizzò Spock, ma l’alternativa era ancora più spaventosa: Jim morto, il suo corpo per sempre perso nel freddo dello spazio, il suo katra disperso, come  tutto ciò che avrebbe potuto fare per l’universo e la Federazione, lo splendido futuro che gli era stato negato. Spock poteva correggere il suo errore.
“Sì sono disposto” rispose alla fine.
“Sei certo? Non potrai sentirlo nella tua mente, né lui sentirà te, non potrai parlargli mai dei tuoi sentimenti, non potrai fonderti con lui, né mai indurlo a fare una vita diversa o rivelargli qualcosa sul legame. Tu per lui sarai solo il suo primo ufficiale. Sei disposto a vivere tutta la tua vita così?”
“Sì basta che Jim viva”
“E così sia allora, Spock di Vulcano. Ma ricorda, se disobbedirai al mio ordine, se rivelerai  a lui o a chiunque altro qualcosa o favorirai in qualche modo un possibile legame, lui morirà. Morirà in modo atroce. Ne ne sei conscio?”
Spock si limitò ad annuire.
“Bene, così sia” disse Q alzandosi.
“Una sola domanda… perché fai questo?”
Q sorrise ironico.
“Perché amo gli esperimenti. Il tuo popolo crede che il legame t’hy’la sia sacro ed indefettibile in ogni tempo o luogo. Io  invece  ti  dimostrerò che non esistono costanti universali”
Fu l’ultima cosa che Spock sentì;  poi tutto divenne nero.
 
Capitolo un po' breve, chiedo scusa.
Grazie a chi legge e a chi lascia un commento. Sono graditi anche perché così mi riesco ad orientare con la FF. E’la mia prima.
Kiss a tutti
Martina

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 Capitolo 5

“Spock… signor Spock può sentirmi?”
La voce femminile raggiunse il vulcaniano nel profondo della sua mente e lo indusse a risvegliarsi da quello che sembrava un sonno profondo.
Ma Spock era consapevole che non stava dormendo, né meditando.
Il rumore ritmico, fastidioso, in sottofondo ed il letto scomodo sotto di lui gli suggerivano che era in infermeria.
Con fatica aprì gli occhi e si trovò davanti il bel viso di Christine Chapel.
“Bene,  è bello vederla sveglio. Il dottor McCoy iniziava a preoccuparsi. Lo chiamo subito” fece la giovane infermiera, mentre si allontanava.
Spock si mise  con fatica a sedere.
Ancora confuso, si chiese se quello che ricordava dell’incontro con Q fosse stato solo un sogno.
 
“Finalmente! Iniziavo a preoccuparmi”
McCoy entrò nell’infermeria impugnando il suo tricorder.
La voce del medico, con il solito accento del sud, non lasciava trasparire alcun astio o rancore.
No, se McCoy e si mostrava amichevole con lui, con ogni probabilità Q non era stato un sogno.
“Come si sente?” chiese il medico avvicinandosi.
“Sono funzionale” rispose Spock, cercando di capire cosa stava davvero succedendo.
“Sì… il tricorder non mostra nulla di anormale. Ci ha spaventato però: l’abbiamo trovata svenuto nella sua cabina. M’Benga ritiene che anche i vulcaniani hanno i loro limiti, e lo stress…”
“Dov’è J… il capitano?” chiese di istinto Spock.
“E’ sceso su Letos per la firma del trattato… era anche lui preoccupato, ma l’ho rassicurato…” rispose McCoy con aria leggermente perplessa.
“Su Letos?? Deve risalire subito  a bordo, è in pericolo…” Spock quasi urlò, cercando di scendere dal bioletto.
“Calma Spock. Cosa le prende? Jim è sul pianeta con Sulu, Chekov ed una squadra di sicurezza. Cosa vuole che gli succeda? Deve solo firmare il trattato…”
“Deve risalire a bordo. Anzi è meglio che scenda io!” Spock cercò di spostare McCoy e uscire dall’infermeria.
“Ok, ora mi sta davvero spaventando. Cerchi di calmarsi Spock, questi scoppi di emotività non sono da lei. Ricorda se ha battuto la testa, cadendo?” fece McCy sbarrandogli il passo
“Dottore le ordino di spostarsi e lasciarmi passare. Io devo raggiungere il capitano sul pianeta”
“Calmo Spock, lei non può andare da nessuna parte nelle condizioni in cui è. Possiamo chiamare Jim, se la cosa la tranquillizza…”
McCoy cercava di calmare il vulcaniano senza risultato.
 
“Spock, che succede?”
Spock rimase come intontito alla vista del giovane biondo che entrava in infermeria.
“Jim…” bisbigliò senza fiato.
 
“Sta dando i numeri, Jim. Credo che M’Benga  abbia sottovalutato la cosa. Dovevi vederlo prima, blaterava sul fatto che eri in pericolo e lui doveva scendere sul pianeta per salvarti. E ora… ti sta fissando in modo francamente inquietante”
Jim e McCoy parlavano sottovoce nell’ufficio del medico, ma l’orecchio sensibilissimo di Spock era in grado di sentire comunque tutto.
Il vulcaniano si sentiva contemporaneamente felice ed assolutamente disperato.
Jim, il suo amato, il suo tutto, era vivo e stava bene.
Stava parlando con McCoy, gesticolando come faceva sempre, gli occhi azzurri che ogni tanto lo fissavano preoccupati, ma senza l’amore che ormai Spock era abituato a vedervi.
Jim era vivo, stava bene, non era stato violentato, né quindi aveva mai contratto l’infezione letale.
Era il solito Jim, ma anche un estraneo per Spock.
Non lo sentiva nella sua mente, non poteva più percepirne le sensazioni, non era più il suo T’hy’la.
E Spock si sentì morire dentro al pensiero, mentre comunque non riusciva a staccare gli occhi dalla persona che sino ad un mese prima era stata tutto il suo mondo.
 
“Sei sicuro che non ha battuto la testa? Forse dovremmo metterci in contatto con un guaritore vulcaniano” bisbigliò il capitano, mentre ancora una volta guardava verso Spock, seduto rigido sul bioletto.
“Il tricorder non mostra nulla di anormale, prova a parlare con lui” concluse il medico.
“Signor Spock, ci ha fatto prendere uno spavento. Come si sente?” chiese Jim avvicinandosi con il suo solito sorriso abbagliante.
“Signor Spock” ora Jim lo chiamava così anche se erano fuori servizio, non ashayam o semplicemente Spock, e neppure  con uno dei  tanti nomiglioli stupidi che usava quando facevano l’amore.
Il vulcaniano sentì una fitta forte al fianco, come se il cuore gli volesse uscire dal corpo.
Era tutto vero, tutto come aveva detto Q.
Jim, il suo T’hy’la,  in questo  universo era un estraneo.
“Sono funzionale.. capitano” si costrinse a rispondere,  restando immobile anche se tutto il suo corpo, ogni cellula  di esso non desiderava altro che toccarlo, stringerlo, baciarlo sino a togliergli il fiato.
“Bones dice che era un po’ agitato prima. Ma come vede, sto bene. La firma del trattato è avvenuta senza intoppi e ci accingiamo a lasciare l’orbita di Letos” lo informò il giovane biondo, guardandolo con simpatia, ma senza amore.
“Mi scuso per il mio sfogo emotivo. Non si ripeterà più”
Spock si forzò a rispondere nel modo più atono possibile.
Q lo aveva avvertito. Non poteva far trasparire nulla e mai e poi mai avrebbe di nuovo messo in pericolo la vita del suo amore.
“Certo, signor Spock. Ha solo bisogno di riposo. Ma se avesse bisogno di contattare qualcuno, magari su Vulcano, possiamo essere lì in meno di due giorni” fece Jim guardandolo fisso.
“Non ce ne sarà bisogno, grazie per l’offerta” disse a sua volta Spock, desiderando in quel momento essere morto per davvero.
Tutta la sua vita così, con Jim vicino e comunque irraggiungibile. Una tortura senza fine, non si era reso ben conto di questo quando aveva accettato l’offerta di Q.
“Molto bene signor Spock. Il dottor McCoy vuole trattenerla per la notte in infermeria, ma penso che la prossima visita l’aiuterà a passare il tempo. E’ fuori servizio, sino a che McCoy non  dà il benestare”
Jim sorrise, bello come il sole, mentre usciva.
Poco dopo le porte si riaprirono per lasciare entrare Uhura.
“Spock… amore, come ti senti?” fece la donna avvicinandosi e cercando di abbracciarlo.
 
Q non lo aveva avvisato di questa circostanza.
Dunque in quest’universo lui aveva ancora un legame affettivo con la bella bantu.
Lei, con evidenza, in quest’universo non  aveva percepito l’amore che Spock provava per Jim e non l’aveva definitivamente lasciato, poco dopo che la nuova Enterprise aveva lasciato Yorktown, incoraggiandolo a rivelare i sui sentimenti.
Spock non potè fare a meno di ritrarsi leggermente al tocco della donna.
“Ashayam, qualcosa non va?” chiese la donna, leggermente sconcertata.
ashayam
Nessuno aveva il diritto di chiamarlo così, tranne Jim.
Ma in quest’universo Jim non lo amava, non lo aveva mai amato.
E Spock era costretto a fingere che tutto andasse bene, se non voleva di nuovo uccidere il suo unico amore.
Anche se si sentiva morire dentro.
“No, va tutto bene” rispose, lasciando che Uhura gli prendesse le dita in un bacio vulcaniano.
La cosa rassicurò Uhura, che si sciolse in un bel sorriso.
“Che ne dici se resto un po’ qui con te? Ho portato questo libro di antiche poesie andoriane, se vuoi te le leggo e poi potremo cenare”
“Certo” sussurrò senza forze.
E mentre Uhura leggeva i  primi versi che parlavano di un amore perduto, a Spock  non restò altro che ricordare i momenti felici con Jim, sapendo che non sarebbero tornati mai più.

Recensioni please....  ;)
Kiss

Martina

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

“Mi raccomando. Per i prossimi due giorni è fuori servizio. La prenda come una vacanza e si dedichi ai suoi hobbies… se ne ha”
McCoy accompagnò Spock  sino alla porta dell’infermeria, nello sguardo una leggera preoccupazione.
Il vulcaniano aveva cercato di mantenere un contegno calmo, mentre era sotto il controllo del medico. Non voleva destare sospetti e certo non poteva permettersi che la sua sanità mentale fosse considerata in pericolo. Aveva bisogno di tempo per razionalizzare l’accaduto e decidere la linea di azione.
“Molto bene, dottore, mi atterrò alle sue indicazioni” fece con aria neutra.
“Beh… Uhura sarà lieta di poter trascorrere un po’ di tempo con il suo ragazzo” ridacchiò McCoy mentre tornava verso il suo ufficio.
Uhura.
La donna era stata una presenza costante al suo fianco nei due giorni che il vulcaniano aveva passato in infermeria.
Spock si era sentito imbarazzato  per i tentativi di avvicinamento, per fortuna comunque tenuti a freno dal fatto che erano in infermeria, e ora il fatto che doveva passare due giorni da solo nella sua cabina, lo preoccupava.
Probabilmente  Uhura avrebbe tentato un approccio intimo, e lui non  si sentiva assolutamente in grado di corrispondere.
Anche se Jim, in questo universo, non era il suo T’hy’la, Spock era ancora legato al capitano esattamente come prima.
Jim Era il suo T’hy’la e  quel legame, una volta contratto, portava i vulcaniani alla assoluta monogamia sino alla morte di uno dei due, e  alla pratica impossibilità di provare sentimenti o sensanzioni, anche sessuali, per altri.
Con Uhura, Spock aveva condiviso una relazione piacevole, che però non era mai sfociata neppure nella prospettiva di un legame. Le loro menti erano incompatibili, ma Spock all’epoca era convinto che non avrebbe mai trovato un compagno o una compagna adatti a lui, per cui si era accontentato di quello che la bella umana poteva offrirgli.
 Stima, reciproca comprensione, affetto e, perché no, “consolazione sessuale”, ma nulla di quel sentimento abbagliante e totalizzante che poi aveva condiviso con Jim.
E ora sentiva il desiderio di Jim nella sua mente e non poterlo soddisfare gli  provocava enorme dolore.
Certo non lancinante come quello che aveva provato quando aveva sentito il suo compagno morire, ma comunque la sofferenza era sempre lì, sorda e costante. Sofferenza che aumentava in modo esponenziale quando il capitano era in sua presenza.
Durante le due visite che Jm gli aveva fatto in infermeria Spock si era aggrappato al letto per resistere alla tentazione di abbracciarlo, baciarlo e soprattutto fondersi con lui.
Il desiderio bruciante era contrastato dalle immagini di Jim, immobile pallido e freddo, steso nella bara pronto per essere lanciato nello spazio.
No, Spock non poteva  permettersi neppure di correre il rischio che la cosa si ripetesse. Stavolta sarebbe davvero morto  anche lui all’istante per il dolore.
Doveva proteggere la cosa più preziosa che aveva, anche a costo di provare quella sofferenza per tutta la vita.
Perso nei suoi pensieri, neppure si accorse di essere arrivato,  muovendosi quasi in modo automatico, alla sua cabina.
Sulla porta c’era Uhura che l’aspettava con aria felice.
“Spock, sei qui. Stavo per venire in infermeria per vedere se McCoy ti aveva sequestrato per un altro giorno” fece la donna sorridendo.
“Sono in perfetta salute, anche se il dottore mi ha impedito il servizio attivo per le prossime quarantotto ore” rispose, rigido, Spock.
“Bene. Gli devo un wiskey per permettermi di passare un po’ di tempo con te…”
“Non credo che la valutazione medica del dottor McCoy includesse anche questa considerazione”
Uhura rise, facendo oscillare la lunga coda di capelli neri.
“No credo proprio di no. Che ne dici di pranzare insieme? Ho un po’ di tempo prima di iniziare il mio turno”
Spock si limitò ad annuire e a seguire la  giovane verso il turboascensore.
 
La sala mensa era poco affollata, vista l’ora.
Spock e Uhura si avvicinarono con i loro vassoi al replicatore, quando nella sala risuonò una risata squillante.
Spock si voltò a guardare:  ad un tavolo laterale  erano seduti McCoy, con Christine Chapel a fianco e di fronte a loro, Jim  con accanto Carol Marcus.
La giovane scienziata rideva rilassata, guardando estasiata Jim che, con evidenza, stava raccontando qualcosa di molto divertente.
Spock si costrinse a rimanere calmo.
Un’altra variabile non prevista di questo universo.
Carol Marcus non era sbarcata dopo il primo anno della missione quinquennale, delusa dal fatto che Jim non corrispondeva al suo interesse per lui.
Era ancora sulla nave e con evidenza ancora interessata sentimentalmente al capitano.
Un’altra risata  richiamò l’attenzione di Spock, mentre aspettava che il replicatore gli fornisse la zuppa ploomek che aveva ordinato.
Stavolta la donna ridendo aveva appoggiato la testa sulla spalla di Jim e lui distrattamente le aveva passato un braccio intorno alle spalle.
Il dolore bruciante della gelosia scosse Spock sino al profondo della sua anima.
Con un ringhio strinse talmente forte il vassoio in metallo che lo spezzò in due.
“Spock ma che…” disse Uhura fissandolo sgomenta.
Il rumore del vassoio che si spezzava in due aveva attirato l’attenzione anche dei quattro al tavolo, che ora fissavano da lontano, immobili.
Spock quasi avvampò allo sguardo indagatore di McCoy, fermo su di lui.
“Perdonami Nyota, non sono in grado di cenare con te. Temo di aver sopravvalutato le mie forze. Permettimi di ritirami nella mia cabina” balbettò mentre usciva di corsa dalla sala.
McCoy e Uhura fecero per seguirlo, ma vennero prontamente bloccati dal capitano.
“Fermi. Vado io. Se ci fosse bisogno ti chiamo, Bones” disse, seguendo il suo primo ufficiale nel corridoio.
 
La cabina di Spock era sostanzialmente identica a quella dell’altro universo.
Stessa disposizione dei mobili, stessi oggetti, pochissimi, che l’adornavano.
Ma mancava ovviamente il pugnale che il padre gli aveva regalato per la cerimonia di legame.
E soprattutto mancava la scacchiera, con cui lui e Jim  giocavano ogni sera.
Il loro avvicinamento era iniziato così, con le partite di scacchi.
Spock, anche se vulcaniano per metà, era come tutto il suo popolo un campione di scacchi, l’unico gioco terrestre apprezzato su Vulcano in quanto basato sulla logica.
Quando Jim l’aveva sfidato per la prima volta Spock era rimasto perplesso per l’audacia con cui un umano pensava di poter superare un vulcaniano in quel gioco.
Sino a che non aveva perso la prima partita.
Jim aveva una strategia assolutamente illogica, priva di ogni schema, eppure efficacissima.
Un minuto prima sembrava sull’orlo di perdere la partita in disfatta completa, ed il minuto dopo il capitano sorrideva soddisfatto dichiarando “scacco matto”.
Solo allora Spock aveva iniziato a comprendere l’acutissima intelligenza dell’umano che aveva davanti e la complessità affascinante della sua mente.
Notte dopo notte, parlando del più e del meno, Spock aveva iniziato a capire la profondità dell’animo di James Tiberius Kirk, la bontà d’animo e l’altruismo che nascondeva sotto la parvenza di ragazzino arrogante.
Alla luce  soffusa aveva iniziato a studiare la bellezza abbagliante del giovane capitano, i tratti delicati del viso, gli occhi di una tonalità di blu difficile da descrivere, le mani eleganti eppure forti con cui stingeva i pezzi prima di muoverli, il corpo atletico e muscoloso.
Notte dopo notte, gioco dopo gioco, Spock aveva capito che Jim ormai era qualcosa di più di un semplice amico o del capitano per cui provava stima e rispetto.
Entrando nella sua cabina, pur sconvolto da quanto era successo in sala mensa, Spock si chiese dove fosse finita, accorgendosi subito della sua assenza.
Sino a che non la ritrovò, seminascosta in uno scaffale, i pezzi riposti con cura e con evidenza non utilizzati da tempo.
Un’altra divergenza, un altro pezzo mancante in quest’universo che testimoniava ancora una volta come Jim non fosse suo.
Spock prese la scacchiera e la poggiò sul tavolo, fissandola intensamente.
Non aveva alcun diritto di essere geloso di Jim in quest’universo. Lui non era il suo T’hy’la e non lo sarebbe mai stato.
Il pensiero gli rubò di nuovo il fiato e quasi non si accorse che il campanello della sua cabina suonava a distesa.
“Spock, sono io mi faccia entrare”
Spock cercò di riprendere il controllo di se stesso e aprì la prta della sua cabina.
L’atletica figura di Jim fece capolino.
“Signor Spock, tutto bene?” chiese incerto.
“Sì certo capitano, sto bene” rispose Spock ,distogliendo lo sguardo dagli occhi azzurri magnetici che lo fissavano preoccupati.
“Posso entrare…” fece Jim con un mezo sorriso.
“Certo, perdoni la scortesia” rispose il vulcaniano, facendosi da parte.
Il capitano entrò e si guardò un po’ intorno. Con evidenza, in quest’universo non era stato molte volte in quella cabina.
“Signor Spock… Spock,  lei sa che se c’è qualche problema può parlarne con me in qualsiasi momento…”
“Magari potessi Ashayam…” pensò Spock.
“Certo, ne sono consapevole” si costrinse invece a rispodnere.
“Vorrei davvero che lei mi considerasse un amico, dopo quello che abbiamo passato insieme, mi ha salvato la vita  tante volte…”
“Tu sei molto più che un amico, sei il mio unico amore, la mia vita, il mio tutto” pensò Spock, mentre Jim continuava a parlare con fervore.
“Insomma… se sta attraversando un momento difficile, se ha qualche problema… vorrei davvero che me ne parlasse” continuò Jim.
“Se intende riferirsi ai miei recenti scoppi di emotività… non deve pensare che in alcun modo siano rapportabili a qualcosa che  riguarda l’Enterprise. E le posso assicurare che farò di tutto affinchè non si ripetano più”
“Non sono i suoi ‘scoppi di emotività’ che mi preoccupano Spock. E’ quello che le sta succedendo… possiamo affrontare tutto, basta parlarne”
“Non posso parlare Ashayam, non posso. Non posso rivederti  di nuovo immobile in quella bara…” pensò.
“Apprezzo l’offerta capitano, ma le assicuro che non c’è nulla di cui parlare. Le mie condizioni fisiche non sono ottimali, per questo non ho un perfetto controllo della mia persona. Le assicuro che una corretta meditazione può porre rimedio a questa situazione” disse invece il vulcaniano
Jim lo fissò per un lungo momento.
“Spock… la conosco da molto tempo. Abbastanza per dire che c’è qualcosa che mi sta nascondendo. E credevo che i vulcaniani non mentissero”  fece poi il giovane biondo.
Posso mentire, ferire o uccidere. Posso fare tutto per tenerti al sicuro Ashayam. Tutto, pur di salvarti e non  essere di nuovo  causa della tua morte” pensò Spock.
“Non c’è nulla che non posso gestire, capitano. Le assicuro che al termine dei due giorni di congedo sarò perfettamente funzionale”
Jim sospirò.
“Va bene, ma l’offerta resta valida. Ora la lascio riposare” disse rassegnato.
Mentre si voltava per andare via sorrise brevemente alla vista della scacchiera sul tavolo.
“Gioca a scacchi?” chiese.
“Sì certo” la risposta era uscita dalla bocca di Spock prima che se ne rendesse conto.
“Anche io. Strano che in tutti questi anni non mai l’abbia saputo. Le piacerebbe giocare qualche partita?” chiese di nuovo il capitano.
“Certo, sarebbe piacevole”
Spock aveva accettato di istinto, troppo ansioso di riavere almeno una briciola del rapporto con Jim.
Appena il capitano fu uscito però sentì una strana sensazione allo stomaco, come di pericolo incombente.
Sapeva che  aveva commesso un errore, ma la prospettiva di poter condividere  qualcosa del passato con Jim riuscì a calmarlo.
E per la prima  volta da un mese Spock riuscì a dormire per l’intera notte.


Grazie sempre a tutti. E mi raccomando lasciate qualche pensiero...
Martina

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Quando dopo due giorni di congedo medico Spock tornò in servizio, sul ponte di comando l’accolse un silenzio imbarazzato.
Tutti gli rivolsero un cenno di saluto cortese, Chekov un timido sorriso, ma nessuno osò avvicinarlo, neppure Uhura che restò al suo posto, limitandosi a guardarlo intensamente.
La ragazza si era tenuta lontana dal vulcaniano, e nonostante i timori di Spock, in quei due giorni non aveva tentato neppure di parlargli,  si era limitata a mandargli un paio di messaggi sul PADD.
Evidentemente tutti erano consapevoli ed intimoriti dagli scoppi di emotività mostrati da quando era stato catapultato in quest’universo.
L’unico a sembrare veramente contento del suo ritorno in servizio  era Jim.
Appena entrato in plancia nel vederlo gli rivolse un luminoso sorriso.
“Signor Spock è bello riaverla in servizio. Tutto bene?” chiese ammiccando i magnifici occhi azzurri.
“Sono funzionale e pronto capitano” rispose Spock, cercando di ignorare il battito accelerato del cuore alla vista di quel sorriso.
 “Ne sono felice. Abbiamo un po’ di problemi con il reparto ingegneria” fece Jim, prendendo posto sulla poltrona al centro della plancia.
“Me ne occuperò subito. Ho letto i rapporti durante il congedo…”
“Ne sono certo signor Spock. Ci è mancato sa?” continuò Jim.
“E tu mi manchi ashayam, mi manchi al punto che non riesco a respirare” pensò Spock, mentre cercava di concentrarsi sul suo lavoro.
“Il comando di Flotta ci ha appena assegnato la nuova missione. Si tratta di esplorare un pianeta al confine con la zona neutrale romulana.” annunciò Jim.
“Sì capitano si tratta di un pianeta di classe M, Rigellus IV, apparentemente privo di  vita senziente. L’atmosfera è simile a quella della Terra ed il clima molto simile alla  sua zona equatoriale, così come la flora e la fauna selvatica” informò Spock guardando lo schermo del suo computer.
“Un vero e proprio paradiso terrestre. Forse possiamo organizzare dei turni di congedo a terra…l’equipaggio ne ha bisogno” fece il capitano pensoso.
“Signor Chekov ha calcolato quanto impiegheremo per arrivare?” chiese poi al giovane navigatore.
“Due giorni signore, visto che non possiamo utilizzare i motori a piena potenza”
“Speriamo che il signor Scott risolva presto il problema. Signor Sulu imposti la rotta. Signor Spock…”
“Sì capitano, scendo subito in ingegneria per verificare la situazione” l’interruppe il vulcaniano.
“Lei mi legge nel pensiero” sorrise il capitano.
“Vorrei che tu fossi ancora nella mia mente, t’hy’la” pensò Spock mentre entrava nel turboascensore.
 
 Anche il reparto ingegneria era esattamente come nell’altro universo.
“Maledizione, ma di cosa son fatti questi bulloni? Non reggono!!” urlò Scott, seminascosto sotto una consolle.
“Signor Scott, posso esserle di aiuto?” chiese Spock entrando.
“Oh, Spock… è bello rivederla in piedi” fece l’ingegnere uscendo dal nascondiglio.
“Le assicuro che sono sempre stato in grado di  tenere la stazione eretta” chiosò il vulcaniano.
“Beh sì, insomma volevo dire… vabbè lasci perdere. Il suo aiuto è più che gradito” sorrise Scotty.
Spock annuì, cercando di  ignorare il senso di fastidio che provava.
Nel corso dei due giorni di congedo, trascorsi chiuso in cabina, aveva cercato di meditare, di estraniarsi dai ricordi della vita passata.
In quest’universo lui era Spock di Vulcano, non poteva mostrare emozioni, né tanto meno mostrare affetto per il suo capitano.  James Kirk non era il suo t’hy’la ed il solo pensiero di metterlo di nuovo in pericolo, di rivederlo morto in una bara, come aveva minacciato Q, era insopportabile.
Spock si mise al lavoro con solerzia, sperando  di non pensare a cosa aveva perso.
“Signor Spock, si sente meglio?”
La voce femminile distrasse Spock completamente immerso nel suo lavoro.
“Dottor Marcus”  Spock salutò la donna, reprimendo il fastidio che provava alla sua sola vista.
Nell’altro universo la storia fra Jim e Carol era finita pochissimi mesi dopo essere nata; nessuno dei due provava un vero coinvolgimento e la perdita del bambino che Carol aspettava aveva definitivamente tranciato  ogni speranza.  Carol aveva lasciato l’Enterprise pochi giorni dopo  essere stata dimessa senza neppure salutare Jim.
Tutto questo, in quest’universo, con evidenza non era mai successo e da quello che Spock aveva potuto vedere in sala mensa due giorni prima, Carol Marcus era ancora profondamente interessata a Jim.
“Vedo che sta bene. Jim era molto preoccupato per lei… beh anche io in realtà” continuò la donna sorridendo.
Spock represse l’impulso di urlarle che non poteva permettersi di riferire quello che provava Jim, che il capitano non era niente per lei, che Jim era suo e lo sarebbe sempre stato.
“Le mie condizioni sono più che soddisfacenti, grazie” si limitò invece a rispondere.
“Bene, ne sono lieta. Vorrei mostrarle questi file, forse possiamo aggirare il problema del motore  sostituendo l’alternatore… il nostro laboratorio può costruirlo in poco tempo”
Spock guardò i files e annuì, avrebbe fatto di tutto pur di fare in modo che la Marcus si allontanasse.
“Molto bene, allora diamo il via libera. Dovremmo essere pronti per stasera, al massimo domani”
La giovane bionda sorrise prima di allontanarsi e Spock tirò un sospiro di sollievo.
 
“Signori sono contento che abbiamo trovato una soluzione.” disse Jim mentre adva una piccola pacca sulla spalla di Spock.
Quel solo fugace contatto fu sufficiente a far crollare ancora una volta tutte le difese del vulcaniano.
“Signor Spock che ne dice di impiegare il tempo fino a che l’alternatore non sarà pronto per quella partita di scacchi?” 
“Sarebbe soddisfacente” rispose formale il vulcaniano mentre il suo cuore faceva balzi i gioia.
 
Jim sorrideva soddisfatto dall’altro lato del tavolo.
“Non è che mi st facendo vincere, vero?’” chiese ad un certo punto titubante, mentre  muoveva la sua regina.
“No, le assicuro capitano”. Spock non lo stava facendo vincere di proposito, ma l’attenzione era tutta concentrata  sull’umano e non sul gioco.
Il cuore gli dava continui sussulti mentre guardava l’amore della sua vita, seduto di fronte a lui, così vicino eppure irraggiungibile.
Anche in quest’universo Jim era l’essere più bello che avesse mai conosciuto.
“Spock… tocca a lei” fece Jim facendo uscire il vulcaniano dalle sue fantasticherie.
“Si certo…” rispose lui, facendo una mossa a caso, senza staccare un momento lo sguardo dagli occhi blu di chi gli sedeva di fronte.
Jim lo guardò allibito.
“E’ sicuro di stare bene? Così mi ha servito su di un piatto di argento la partita” fece poi  guardando la scacchiera.
“Sto bene capitano. E’ solo che…” la voce di Spock quasi si strozzò.
Aveva commesso un errore. Non poteva resistere da solo con Jim nella stanza.
“Spock, le confesso che inizia davvero a preoccuparmi.  So che probabilmente  non è intenzionale, ma ha passato tutta la partita a fissarmi. E certo non mi illudo di poter vincere così facilmente con un vulcaniano” scandì calmo.
“Le ho già detto che qualsiasi cosa sia, me ne può parlare. Se ho fatto qualcosa per metterla a disagio, se…” continuò.
“Lei non ha fatto nulla di sconveniente, capitano… la responsabilità è interamente mia” lo bloccò il vulcaniano, alzandosi dalla sedia.
“Se vuole scusarmi ora…” disse mentre cercava di avviarsi verso  la prta della cabina.
“No Spock, stavolta non mi accontento di rispose evasive. Ora lei resta qui e mi dice cosa c’è che non va. Perché c’è chiaramente qualcosa che non va” fece Jim avvicinandosi e  trattenendo il primo ufficiale per un braccio.
Il contatto fisico privò Spock delle ultime difese.
Barcollò mentre cercava di bloccare il fiume di sensazioni che provava e cercava di proiettare verso Jim, come se ci fosse ancora il legame fra loro.
“Ti amo mio t’hy’la. Sei il mio unico amore… ti amerò per sempre. Non posso vivere senza di te” pensò Spock chiudendo gli occhi.
Il capitano rimase a bocca aperta, senza fiato. Anche senza il legame evidentemente aveva percepito qualcosa.
Ritirò la mano come se  avesse preso una scossa.
“Scott a capitano Kirk” trillò il comunicatore alla cintura di Jim.
Ansimando il giovane capitano aprì la comunicazione.
“Capitano siamo pronti per azionare il nuovo alternatore. Forse lei ed il signor Spock volete essere presenti”
 “Arriviamo subito signor Scott” rispose Jim, mentre usciva precipitosamente.
 
“Tutto pronto?” chiese Scotty rivolto a Carol Marcus
“Qui è tutto pronto” rispose la donna rivolgendo un sorriso luminoso a Jim che le stava a fianco.
Spock stava due passi indietro, cercando di dominare  le sue emozioni.
All’improvviso si udì un forte rumore sulle loro teste.
Spock aveva tempi di reazione rapidissimi, ma prima ancor prima che si rendesse conto di quello che stava succedendo si trovò spinto  lontano e cadde in terra.
Un rumore assordante coprì le urla di Carol Marcus, mentre un enorme pezzo di acciaio piombava al suolo.
Poi per un attimo tutto il reparto piombò in un silenzio assordante
“JIM!” urlò Carol, mentre Spock cercava di rimettersi in piedi e capire cosa era successo.
La vista di quello che era successo lo congelò per un attimo
L’alternatore era piombato al suolo, seppellendo Jim. Il capitano aveva spinto Spock lontano dalla traiettoria, ma era rimasto sepolto sotto il macchinario.
Spinto dalla disperazione Spock usò tutta la forza superiore che possedeva per cercare di spostare il pezzo d’acciaio.
Ci riuscì dopo due tentativi, liberando finalmente il corpo del capitano.
“Emergenza medica in ingegneria” urlò Scotty all’interfono, mentre Carol piangeva isterica.
Jim era mortalmente pallido e non si muoveva. Il petto si alzava ed abbassava lentamente, quasi impercettibilmente.
Spock si inginocchiò e delicatamente  gli accarezzò il viso,  mentre terrorizzato vedeva una pozza di sangue scuro formarsi sotto la testa dell’unica persona che avesse mai amato nella sua vita.


Scusate il ritardo nell'aggiornamento.
I commenti mi fanno sempre piacere e mi stimolano ad andare avanti.
Grazie a tutti

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


Capitolo 8
McCoy entrò trafelato nel reparto ingegneria e sbiancò alla vista di Jim sanguinante ed inconscio sul pavimento.
“Dottor McCoy, la condizione del capitano è critica… il battito cardiaco sta rallentando ed io…” la voce di Spock si affievolì, sino a quasi diventare un sussurro.
Non riusciva a credere di essere rimpiombato nel suo incubo peggiore e di stare assistendo ancora una volta alla morte del suo amato.
“Lo vedo da me che la situazione è critica” sbottò McCoy, guardando preoccupato il suo tricoder.
“Si può sapere cosa  è successo?” chiese poi mentre iniettava diverse sostanze nella giugulare del giovane steso a terra.
“Jim.. il capitano si è accorto che la turbina stava per staccarsi e mi ha scaraventato lontano dalla traiettoria, ma lui…” stavolta Spock non riuscì a non singhiozzare
“Spock sta bene?” chiese McCoy alzando per un attimo lo sguardo dal tricoder.
“Sono funzionale”  il vulcaniano si costrinse a riprendere, mentre reprimeva  il desiderio di urlare al mondo il suo terrore.
 “Dobbiamo portarlo in infermeria subito. Non possiamo aspettare la barella. Ce la fa a portarlo?” chiese poi il medico con aria preoccupata.
“Certo” rispose il vulcaniano; poi con delicatezza prese fra le braccia il suo capitano e con passo veloce si avviò verso il turboascensore, seguito a ruota da McCoy.
 
“Attento alla testa. Sistemalo sul biobed, Chapel venga qui, subito” ordinò McCoy appena giunti in infermeria.
Il breve tragitto dal reparto ingegneria era stato un incubo per Spock.
Sentiva il respiro di Jim contro il proprio petto farsi sempre più debole ed irregolare. A stento era riuscito a trattenersi dal collegarsi con lui, mettere le dita sui punti psichici di Jim e infondergli tutta la forza di cui era capace, comunicargli tutto l’amore che provava per lui.
Ma se c’era una speranza di sopravvivenza per Jim era legata a Q e al patto che avevano stretto, di questo Spock era sicuro. Così come era sicuro che se Jim moriva, di nuovo, era solo perché non era riuscito ad onorare quel patto.
Ciononostante, mentre poggiava il corpo inerte sul bioletto Spock non riuscì a  trattenersi: prese una mano di Jim fra le sue e la strinse.
“Spock si sposti. Mi lasci lavorare” borbottò McCoy alle sue spalle, ma il vulcaniano non si mosse.
“Spock!! Ma che le piglia… ho detto di spostarsi e di lasciarmi lavorare”  urlò il medico  irritato.
Con riluttanza Spock si allontanò di pochi metri, continuando a tenere lo sguardo sul corpo immobile.
Lasciò che i medici facessero il loro lavoro, pur desiderando urlare loro di non toccare Jim, che lui era suo e nessuno poteva toccarlo.
“Dobbiamo operare. Ha un ematoma cranico” annunciò dopo svariati minuti McCoy.
“Cosa significa… che rischi corre…” balbettò Spock incapace di pensieri logici o razionali.
“Quello che ho detto. La situazione è critica, in altre circostanze avrei preferito stabilizzarlo prima, ma l’intervento è l’unica speranza che ha”
Spock sbiancò completamente  e barcollò.
“Le ripeto la domanda. Sta bene?” chiese McCoy con aria indagatrice.
“Sono funzionale” balbettò in risposta Spock come un automa.
“Si faccia dare un’occhiata da M’Benga. L’intervento richiederà diverse ore. La informo appena possibile” concluse McCoy, seguendo la barella verso la sala operatoria.
 
Spock non si fece controllare dai medici, si recò subito nella camera di osservazione posta sulla sala operatoria.
Mentre osservava i medici affannarsi intorno al corpo del suo capitano, la testa completamente nascosta dal telo chirurgico, mise la mano sul vetro, cercando di comunicare a Jim tutto il suo amore, anche se sapeva che non essendoci legame fra loro, il capitano non avrebbe percepito nulla.
Il gesto tuttavia gli portò alla memoria  quello che considerava sino a pochi giorni prima il ricordo più orribile della sua vita; Jim morente dietro lo spesso vetro della camera di compensazione e lui incapace di qualsiasi cosa, anche di toccarlo.
Quel momento aveva rappresentato la vera svolta nella sua vita.
In quel preciso momento aveva realizzato di amare Jim, anche se lo aveva ammesso a se stesso molto tempo dopo.
Troppe volte aveva visto morire il suo amato, il suo t’hy’la. Stavolta non sarebbe sopravvissuto al dolore.

“Ti aveva avvisato” fece una voce alle sue spalle.
Spock non fu neppure sorpreso. Se lo aspettava.
Lentamente si voltò verso Q.
“Io non sono venuto meno al patto” sibilò furioso.
 Q ridacchiò beffardo.
“E dicono che i vulcaniani non mentono. Ah dimenticavo… tu lo sei solo per metà”
“Non gli ho svelato nulla. Tu non puoi prendere la sua vita. E’ immorale ed illogico”
Ora Spock era furioso.
“Ti avevo avvertito che per te sarebbe stato tutto come prima. Prima, nella tua cabina gli hai trasmesso i tuoi sentimenti” ridacchiò di nuovo Q.
“Se è così la circostanza è stata del tutto involontaria”
“Non mentire di  nuovo, Vulcan. Mi stai irritando. Tu volevi farlo. Volevi fargli sentire il tuo amore. Se continui così metto fine al mio esperimento”
Il terrore si impadronì di Spock.
“Tu non puoi…”
“Io posso tutto…” rispose Q guardando verso la sala operatoria.
Immediatamente  i medici attorno a Jim iniziarono ad agitarsi.
“Sta andando in fibrillazione. Chapel il defibrillatore” ordinò con voce nervosa McCoy.
Il suono ritmico del monitor cardiaco si affievolì e rallentò.
“E’ in arresto. Carica a 300” ordinò il medico ,scoprendo il torace.
“Libera!!” urlò prima di dare la  scarica.
Un lugubre suono continuo risuonò ancora nella sala.
“Maledizione Jim. Carica a 350” ordinò sempre più teso McCoy.
 
“Tu non puoi farlo. Io… io… sono disposto a qualsiasi cosa, ma ti prego non farlo…” supplicò Spock.
Ma Q era già scomparso.

 
Solo un breve capitolo per dirvi che sono ancora viva e che aggiornerò la storia.
Grazie a tutti. A presto.

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