The Black Shuck

di YoungRevolverOcelot
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il caso ***
Capitolo 2: *** Dragan Nowak ***
Capitolo 3: *** Gavin Carter ***
Capitolo 4: *** Ragguaglio ***



Capitolo 1
*** Il caso ***


Il BLACK SCHUCK
 
Erano le 16.00 ed io ero seduto al tavolino di una tavola calda di una cittadina chiamata Hollenberg, in Kansas. Stavo sfogliando il giornale leggendo distrattamente le notizie principali, erano settimane che non avevo un caso a cui lavorare, stavo per richiude il quotidiano quando un titolo attirò la mia attenzione:
Strani omicidi e sparizioni a Endicott” bevvi un sorso di cappuccino, poi mi concentrai sui dettagli.
A quanto pare la polizia locale aveva trovato tre persone brutalmente assassinate e altre cinque orrendamente dilaniate, valeva la pena darci un’occhiata.
Se la memoria non m’inganna Endicott è una cittadella del Nebraska a undici miglia da Hollenberg, sarei potuto esser lì in mezz’ora. Uscii dal locale e salii sulla mia GMC Yukon, impostai la destinazione sul navigatore e partii. Il viaggio fu abbastanza veloce e, come previsto, alle 16.30 arrivai a destinazione; per prima cosa cercai un motel e, dopo aver prenotato una stanza per una settimana, feci una doccia e mi misi a letto, non dormivo da giorni.
Mi svegliai verso le 9.00 e accesi la televisione, magari il telegiornale locale trasmetteva qualche notizia in più. Il giornalista, tale Nate Brook, parlò per una quindicina di minuti di baseball, poi si decise a parlare degli omicidi: le forze dell’ordine sospettavano di uno spietato serial killer e una squadra del FBI stava collaborando per risolvere in fretta il caso e assicurare il colpevole alla giustizia.
La presenza dei federali complicava notevolmente la situazione: non potevo fingermi uno di loro, sarei dovuto stare più attento alle domande che ponevo e alle cose che facevo, inoltre non sapevo ancora in che ruolo calarmi.
Estrassi una scatola in metallo verniciata di rosso dalla borsa, la aprii e rovesciai il suo contenuto sul letto; c’era ogni tipo di distintivo: da poliziotto, da sceriffo, da agente dell’FBI, da perito della sanità.
C’era l’imbarazzo della scelta, ma il mio sguardo si posò sull’unico che non avevo ancora usato: quello da agente della sicurezza nazionale.
Fingersi uno di loro, oltre a essere un reato federale, implicava il fatto di dover essere ancora più prudente. Odiavo queste situazioni, odiavo dovermi vestire come un pinguino e dover anche nascondere il mio accento.  Maledicendo l’FBI tirai fuori lo smoking dalla valigia e, dopo averlo guardato con disgusto, lo indossai.
“Un pinguino cameriere” pensai guardandomi allo specchio, poi misi la pistola nella fondina ascellare e lessi il nome sul distintivo, a quanto pare mi chiamavo Aleksej Kozlov, finalmente potevo parlare normalmente e senza dover nascondere il mio accento slavo; misi in tasca il distintivo e uscii.
Il sole splendeva ancora e faceva abbastanza caldo, ecco uno dei tanti motivi per cui mi piace questo paese; mi guardai attorno cercando di capire dove diavolo fosse la stazione di polizia e, dopo cinque minuti di buona ricerca, vidi un uomo in divisa uscire da un edificio in mattoni.
“ Bingo” mi diressi a passo spedito verso il povero malcapitato.
- Questa è la stazione di polizia?- domandai squadrando sia l’uomo sia la struttura.
- No, è un ristorante ed io sono un cameriere e tu con quel vestito potresti anche venire assunto- mi rispose ironico, poi mi guardò con fare indagatorio -Si, è questa, ma i suoi amici federali sono a setacciare il bosco-
Peccato che io avessi smesso di ascoltarlo già dalla parola “cameriere”, aprii la porta con eccessiva forza ed entrai.
Era esattamente come tutte le altre caserme, completamente bianca con qualche tavolo marrone; riuscii a individuare velocemente l’ufficio dello sceriffo: era l’unica scrivania con quattro pareti di plexiglass trasparente attorno.
Senza fare complimenti mi diressi verso la porta dello studio, bussai ed entrai; mi ritrovai davanti un uomo sulla cinquantina, di media statura e con dei capelli grigio ferro.
- Agente Kozlov, Sicurezza Nazionale- estrassi dalla tasca il distintivo e glielo porsi - Avrei qualche domanda da farle-
- David Parker- l’uomo si alzò e prese il documento, lo studiò con attenzione e poi mi guardò sorridendo e si risedette.
- Prego, si accomodi- indicò una sedia nera davanti alla scrivania - Cosa posso fare per lei agente Kozlov?- chiese ridandomi il distintivo.
- L’agenzia mi ha mandato qui per indagare sugli omicidi- spiegai sedendomi.
- E come mai la Sicurezza Nazionale s’interessa degli omicidi avvenuti in una piccola cittadina come Endicott?- domandò con un tono molto curioso.
“Già, come mai l’NSA s’interessa?” pensai cercando velocemente una risposta adeguata.
- Sono questioni riservate sceriffo Parker- risposi serio - Tornando a noi, potrebbe fornirmi il dossier riguardante il caso?- chiesi mantenendo un tono professionale; sarei stato un ottimo attore.
- Il fatto, agente Kozlov, è che quel dossier non è più in mio possesso- ribatté con una nota di rassegnazione nella voce - Di certo saprà che l’FBI si sta occupando del caso- annuii ascoltando attentamente - L’agente Blake ha il comando e quindi ha lui il dossier-
- Dove trovo questo Blake?- domandai alzandomi
- Dietro di lei, è appena tornato-
Mi voltai, dalla porta era appena entrato un uomo abbastanza alto, con dei capelli rosso fuoco e indossava una mimetica completamente infangata, dietro di lui c’erano una decina di persone conciate allo stesso modo.
Ringraziai lo sceriffo e uscii; l’agente Blake stava parlando con i suoi colleghi e aveva un’aria notevolmente alterata, mi avvicinai comunque.
- Agente Blake?- l’uomo si girò e mi squadrò con un sopracciglio alzato -Può fornirmi il dossier relativo agli omicidi?- chiesi direttamente, avevo già perso abbastanza tempo.
- Chi diavolo è lei?- esordì per tutta risposta.
- Agente Kozlov, Sicurezza Nazionale- gli mostrai il distintivo.
- Fantastico, ci mancava solo uno dell’agenzia- borbottò forse con la convinzione che non l’avessi sentito, poi si girò verso gli altri -La prossima volta andrà meglio, ora andate a cambiarvi- diede una pacca sulla spalla di un uomo leggermente più basso di lui, dopodiché si girò di nuovo verso di me fissandomi con fare indagatorio - Come mai l’NSA indaga su questo caso?-
Deve essere proprio fuori dall’ordinario vedere la Sicurezza Nazionale che indaga.
- Sono questioni riservate, agente Blake- ripetei mantenendo un tono serio.
- Anche il modo in cui si è fatto quella cicatrice è riservato?- domandò indicandosi la guancia con l’indice della mano sinistra.
Dove voleva andare a parare?
- Me la sono procurata combattendo per il mio paese- risposi semplicemente.
- Per quale dei due? Madre Russia o Stati Uniti?- il suo tono mi dava sui nervi.
- Questa è un’informazione riservata- un angolo della mia bocca si piegò involontariamente in un sorrisetto.
- Spionaggio? Avanti a me può dirlo- ammiccò, era forse… gay?
- Sono informazioni riguardanti solo ed esclusivamente la sicurezza nazionale- ripetei deciso - Ora se lei fosse così gentile da darmi….- non riuscii a terminare la frase dato che un federale entrò correndo e facendo sbattere la porta, poi si fermò davanti a noi.
- Signore, c’è stata un’altra vittima- disse mentre riprendeva fiato.
- Ragguagliami- ordinò Blake facendosi improvvisamente più serio.
- Due donne, stesso modus operandi, le hanno trovate al limitare del bosco- parlò talmente velocemente che per poco non svenne.
- Raduna gli altri, ci vediamo là- poi mi guardò - Allora agente Kozlov, ha voglia di sporcarsi le mani?- chiese in tono di sfida.
- Sono qui per questo agente Blake- uscii seguito a ruota da lui - Quanto dista questo bosco?-
- Qualche miglio- estrasse dalla tasca le chiavi di una Chevrolet.
- Faccia strada- corsi al parcheggio dell’hotel, che era a un quarto di miglio dalla stazione di polizia, mi fiondai in macchina; vidi la Chevrolet di Blake sfrecciarmi davanti a sirene spianate e la seguii.
Dopo qualche minuto ci ritrovammo davanti a una fitta boscaglia, la zona era perimetrata dal nastro giallo della polizia si Endicott; spensi l’auto e scesi, poi mi diressi verso i due corpi coperti da un telo bianco.
- Spero che lei abbia uno stomaco forte- affermò Blake, poi con un cenno del capo ordinò a un poliziotto di scoprire i cadaveri.
Fu una vista orribile, davanti a me giacevano due donne con il volto completamente sfigurato dalla paura, il ventre della prima era stato squartato e, a giudicare dai bordi delle ferite, sembrava essere opera di una bestia, mentre la seconda era stata sgozzata, c’era sangue ovunque.
-Avete preso in considerazione il fatto che forse è stato un animale a uccidere queste persone?- guardai Blake.
- Sì, ma un animale avrebbe lasciato dei peli o della saliva sulle ferite, invece sono pulite. Si fidi agente Kozlov, questi omicidi sono stati commessi da uno psicopatico- scosse la testa amareggiato.
Tornai alla macchina, aprii il baule e sollevai il vano dove teoricamente ci doveva essere la ruota di scorta e
aprii le due borse che c’erano: una conteneva le armi e una le protezioni.
Mi tolsi la giacca e la cravatta e indossai un giubbotto anti proiettile e degli anfibi, mi misi le ginocchiere, i guanti e gli occhiali di protezione, poi mi allacciai la fondina alla coscia e vi ci misi una seconda pistola, infine estrassi un M16 caricato con dei proiettili di argento e ferro.
- Ha un arsenale in quel bagagliaio- dichiarò Blake sorpreso - Comunque, cosa ha intenzione di fare? Abbiamo già setacciato il bosco-
- Non l’avete fatto a modo mio- mi avviai verso la boscaglia.
- Smith, Wesson, Taylor e Callaghan con noi- ordinò Blake seguendomi - Di certo non la faccio andare da solo.- disse poi rivolgendosi a me.
- Lo apprezzo, ma sia chiaro che da adesso ho io il comando- annunciai guardandolo.
- Mi sta bene- alzò le spalle - Cambio di comando, operazione gestita dall’agente Kozlov- urlò ai suoi uomini.
- Ricevuto- risposero gli altri in coro.
“ Finiranno per farsi ammazzare tutti quanti” pensai incominciando a innervosirmi.
- Mantenete un profilo basso e state uniti, non dividetevi per nessun motivo- comandai scrutando gli alberi che piano piano cominciavano a circondarci - Inoltre d’ora in poi comunicheremo con i gesti-
Gli agenti alzarono i pugni, segno che avevano capito.
Avanzammo sul sentiero per una ventina di minuti, era tutto molto calmo, ma io ero terribilmente preoccupato e mi si doveva leggere in faccia dato che Blake mi si avvicinò.
- Tutto bene agente Kozlov?- mi chiese sottovoce.
- Non nota nulla di strano?- domandai guardando i rami più alti delle piante che stavano attorno a noi.
- No, perché? Che c’è?- anche lui osservò attentamente il posto.
- Gli uccelli sono cantano- questo era uno dei presagi che indicava la presenza di creature sovrannaturali, avevo fatto bene a venire.
Blake si lasciò sfuggire una risata.
- Sei paranoico amico- mi diede un’amichevole pacca sulla spalla - Siamo in un bosco del Nebraska, non in Iraq-
- Già- mi sforzai di sorridere - Mi sto preoccupando per nulla- fissai il suolo per qualche secondo, forse avrei dovuto farli tornare a casa, non avevano idea del pericolo che stavano correndo.
Poi notai una macchia di sangue a terra, alzai la mano sinistra aperta, poi la agitai verso destra.
Lentamente avanzammo fuori dal sentiero seguendo le occasionali tracce di sangue; dopo una decina di minuti perdemmo la pista.
- Dannazione!- tirai un pugno a un pino.
- Signore!- mi sussurrò Wesson indicando la base dell’albero che avevo appena colpito.
Abbassai lo sguardo e vidi del sangue fresco.
- O c’è un’altra vittima o l’assassino è ferito- affermai guardando Blake.
- Guarda- l’altro indicò un casottino a una cinquantina di piedi da noi - Potrebbe essere il rifugio del serial killer.-
Osservai la costruzione: era una piccola casetta in legno e pietra, doveva essere disabitata e inoltre era ben nascosta dalla vegetazione.
- Non corriamo rischi inutili, fate venire gli swat e questo pomeriggio facciamo irruzione- ordinai per poi girarmi e tornare sui miei passi.
- Potremmo catturarlo, Signore- obbiettò Smith
- Patrick, ti ricordo che ora è lui al comando, quindi porta qui il tuo fondoschiena- ribadì Blake.
In una decina di minuti fummo fuori dalla boscaglia, rimisi le protezioni e le armi al loro posto, poi andai a parlare con Blake.
- Non si azzardi a fare l’eroe, lei aspetterà gli swat e faremo irruzione, chiaro?- asserii serio.
- Ci vediamo qui verso le 6.00 agente Kozlov, non scordi il suo arsenale, mi raccomando- si allontanò e insieme ai suoi uomini se ne andò.

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Capitolo 2
*** Dragan Nowak ***


Io tornai all’hotel, mangiai un panino e pensai a cosa potesse esserci in quel bosco.
“ Fantasmi, dei pagani e vampiri sono da escludere” mi passai nervosamente una mano tra i capelli dando, poi, un ultimo morso al sandwich “Ma certo! È un Wendigo! Probabilmente è stato disturbato e non è riuscito a portar via le sue prede”
Mi alzai e preparai le cose che mi sarei portato dietro: sale e acqua santa, benzina, qualche bottiglietta di vetro, uno zippo, qualche pistola e il mio fidato M16.
Dopodiché indossai quella che io chiamavo “tenuta tattica”: pantaloni mimetici con molte tasche, una camicia con tessuto rinforzato, una giacca con più tasche, gli anfibi e l’elmetto con gli occhiali balistici.
Successivamente indossai due fondine cosciali, un giubbotto antiproiettile leggero che misi sotto la giacca, i guanti e le protezioni; infine misi le pistole nelle fondine e tutti gli oggetti che avevo preparato prima nelle tasche.
Mancavano venti minuti alle quattro, uscii dall’hotel con l’M16 in spalla, salii in macchina e raggiunsi il limitare del bosco.
Parcheggiai la GMC accanto al furgone degli Swat e raggiunsi gli altri.
- Agente Kozlov!- Blake agitò un braccio in aria, era in compagnia di quello che sembrava il capo dell’unità, mi avvicinai a loro.
- Agente Blake- feci un cenno col capo, poi mi rivolsi allo sconosciuto - Aleksej Kozlov, sicurezza nazionale- tesi la mano che fu prontamente stretta dall’uomo.
- James William, comandante dell’unità Swat- era sulla quarantina, aveva degli occhi verdi ed era di qualche pollice più alto di me, un ciuffo castano spuntava da sotto l’elmetto.
- Ha portato l’arsenale?- domandò Blake ironico.
- Arsenale?- ripeté James in un misto di confusione e curiosità.
Per tutta risposta gettai a terra la borsa e la aprii, mostrando tanti fucili da fare invidia a un’armeria.
- Ha intenzione di portarli tutti?- chiese William asciugandosi la fronte con il dorso della mano.
- No, mi limiterò a questo- accarezzai l’M16- e a queste due bellezze- estrassi le pistole, le feci roteare un paio di volte e le rimisi nelle fondine cosciali.
- Esibizionista- borbottò Blake tra un colpo di tosse e l’altro.
- Se lei è comodo- disse William alzando le spalle, poi si voltò - Forza ragazzi, si va!-
Silenziosamente ci addentrammo nella boscaglia e dopo dieci minuti raggiungemmo il casottino.
- Fare breccia- comandò James.
Due dei suoi uomini piazzarono una carica sulla porta e si allontanarono di qualche piede.
Avevo il fucile puntato dritto davanti a me, strinsi saldamente la presa sul metallo e tolsi la sicura; c’era qualcosa che non mi convinceva, di solito i Wendigo vivono in una grotta o in qualche caverna ben nascosta, non in una baracca!
- Capitano William non credo che dovremmo…- ma in quel momento la carica esplose coprendo il resto delle mie parole.
- Via, via, via!- urlò James e uno a uno i suoi uomini entrarono gridando svariate volte “FBI”.
Lanciai una veloce occhiata al bosco che ci circondava ed entrai, la casa era completamente vuota: nessun mobilio o una qualsiasi traccia di presenza umana.
- Via libera- comunicò un agente uscendo da una delle quattro stanze; fu allora che notai dell’alloro appeso sulla porta che l’uomo aveva appena attraversato.
- Alloro?- mormorai guadagnandomi un’occhiataccia da parte del federale.
- Che cosa intende, signore?- domandò alzando un sopracciglio, ma io non mi degnai nemmeno di rispondergli, mi avvicinai e osservai meglio le foglie: erano secche e alcune s’erano anche spezzate; ma perché dell’alloro? Se le persone che vivevano qui sapevano del Wendigo avrebbero dovuto appendere del biancospino.
- Chi ci abitava in questa casa?- domandai girandomi verso Blake che aveva appena varcato la soglia.
- Nessuno, doveva venire a viverci un certo John Elkins, ma dopo i primi sopralluoghi ha abbandonato l’idea di trasferirsi qui- aveva avuto anche il tempo di studiarsi a memoria la storia della baracca?
- Elkins…- mormorai accarezzandomi il mento – Strano, non lo conosco- borbottai dirigendomi verso la stanza accanto.
Notai che su tutte le finestre, come sulle porte, era appeso dell’alloro; o questo John era un cacciatore o amava particolarmente quella pianta. Abbracciai più che volentieri la seconda ipotesi dato che se avessi accettato la prima avrei dovuto ammettere di aver sbagliato ed io odio aver torto.
- Non può conoscere tutti, agente Kozlov- Blake era appoggiato allo stipite della porta con le braccia conserte.
- Già, ha ragione- poggiai le mani sul bordo della finestra, ma le ritrassi di scatto sentendo qualcosa di appuntito pungermi i palmi: sale.
Ne presi una manciata e lo osservai mentre scorreva dalla mia mano.
- Perché del sale? Non ha senso- non mi accorsi che stavo pensando ad alta voce – Un Wendigo non teme il sale-
- Un cosa?- domandò Blake con un tono abbastanza confuso.
Diamine.
- Nulla- tagliai corto avviandomi verso l’uscita, ma l’uomo mi trattenne per il braccio.
- Questo è il mio caso, se ha anche solo dei sospetti me li deve comunicare-
Che tono da duro! Un bambino avrebbe potuto essere più spaventoso.
- Questioni di sicurezza nazionale, mi spiace- con un mezzo sorrisetto ritentai di andarmene, ma Blake non mollava la presa.
- Certo, certo- estrasse il cellulare e mi mostrò la foto di un uomo rasato, leggermente più grosso di me e con degli occhi azzurro ghiaccio e una vistosa cicatrice sopra l’occhio destro.
- Agente Kozlov, le presento l’agente Aleksej Kozlov-
Il mio cuore perse un battito, ero fottuto.
- Non sono l’unico Aleksej Kozlov della Terra- dissi tentando di mantenere il mio solito tono da strafottente, ma mi lasciai sfuggire una nota di ansia.
Sapevo che cosa rischiavo, si dice che tentare non nuoce, a quanto pare io sono l’eccezione che conferma la regola.
- La smetta di mentire, chi è lei veramente?- domandò osservandomi con un sopracciglio alzato. 
- Se vuole mi può chiamare “il salvatore” dato che sto per salvare anche il suo fondoschiena- ho sempre avuto il difetto di tenere la testa alta anche quando avrei dovuto abbassarla.
- Sa cosa penso?- chiese intrecciando le dita come se stesse pregando e indicandomi poi con gli indici uniti – Secondo me lei è solo un invasato che gioca a fare il supereroe-
Serrai di scatto i pugni.
- Lei ha almeno una vaga idea di quello che sta succedendo? Non è un pazzo omicida a dilaniare questi poveri cittadini, ma un Wendigo, un essere che solo io e pochi altri sappiamo uccidere- sbottai cominciando ad alterarmi.
- Lei è fuori di testa- il rosso portò una mano alla pistola, sospirai, poi mi misi a ridere.
- Appena mi sono presentato lei mi ha chiesto della cicatrice, vero?- domandai e, senza lasciarlo rispondere, ripresi il mio monologo – Me la sono procurato in Russia. Deve sapere che quando ero un giovane spetsnaz all’apice della mia carriera un essere uccise i miei genitori e la mia sorellina di quattro anni, lasciai le forze speciali per dare la caccia a quella creatura. Le sue tracce mi condussero qui, in America. Dopo cinque anni di infruttuose ricerche abbandonai l’idea di trovarlo, ma, proprio quando stavo per appendere le pistole al muro, un uomo bussò alla mia porta, mi disse che era il direttore di un campo di cacciatori di creature infernali; lo presi per pazzo e gli chiusi la porta in faccia-
Blake m’interruppe.
- Ha avuto una vita difficile e mi dispiace per la sua famiglia, ma questo non le permette di fingersi un agente dell’agenzia e tanto meno si fare i suoi riti satanici in un caso federale- l’ultima affermazione mi strappò un sorriso.
- Mi lasci finire. Qualche mese dopo la visita di quell’uomo l’essere buttò giù la porta di casa mia e tentò di ammazzare anche me, a quanto pare adorava la mia famiglia, ma quel vecchio pazzo gli fece la pelle; il problema è che io ero in fin di vita, mi portò nel campo di cui le ho parlato prima e mi curò completamente.
M’insegnò tutto quello che sapeva e mi allenò anche più duramente degli spetsnaz. Da allora io sono un cacciatore di creature infernali- pronunciai l’ultima frase con orgoglio, dopo tutto quante vite avevo salvato? Altro che forze armate, siamo noi i veri eroi!
Mi accorsi che Blake mi stava guardando con apprensione, ma perché non capiva?
- Certo, ti credo- sorrise in modo rassicurante – Ora vieni con me, noi ti possiamo aiutare-
Roteai gli occhi, mi credeva pazzo, ma come dargli torto?
- Sono sano di mente quanto lei-
Blake stava per ribattere, ma un urlo proveniente dall’esterno lo zittì.
- È lui- dissi serio, ero troppo teso, le mani mi tremavano, eppure non era la prima volta che affrontavo un Wendigo, ma forse la causa della mia inquietudine era il fatto di essere stato scoperto, non mi era mai successo.
Imbracciando il fucile uscii, vidi la squadra in posizione difensiva, stavano tutti mirando punti diversi e notai che accanto a un pino, a una decina di piedi dalla casa, c’era una grande pozza di sangue, sembrava che qualcosa fosse stato trascinato.
Mi accostai a William e, dopo aver lanciato una rapida occhiata a tutto ciò che ci circondava, gli posai una mano sulla spalla.
- Che cosa è successo?- domandai continuando a fissare il sangue.
- Qualcosa ha portato via Adam, non ho potuto fare nulla, è sparito troppo in fretta- rispose in tono piatto, lo sguardo vacuo, probabilmente non aveva mai perso un uomo.
- Ha visto che cosa è stato? Può descriverlo?- mi toccai le tasche, volevo essere sicuro di avere tutto il necessario per affrontare quel figlio di puttana.
- Grosso; non molto alto, un piede e qualcosa; folta pelliccia scura; si muoveva a balzi e, forse me lo sono immaginato, due occhi rosso sangue. Era troppo veloce, non sono riuscito neanche a mirarlo-
Cominciavo a prendere in considerazione l’idea di aver sbagliato creatura.
- Poteva essere un orso o un puma?- chiesi sapendo già la risposta.
- Orsi e puma qui? No, non ho mai visto nulla di simile- scosse la testa, riuscivo a leggere nei suoi occhi il terrore che tentava di nascondere.
- Vada a casa, ci penso io qui- gli diedi una pacca sulla spalla, poi mi rivolsi ai suoi uomini – Andate anche voi-
- Con il dovuto rispetto, signore, non credo che possa freddare quella cosa da solo- uno di loro mi guardò velocemente, poi tornò a fissare il sangue – Io resto con lei-
- Apprezzo molto il suo interessamento, ma preferisco chiamare la mia squadra- feci per prendere il cellulare, una finta chiamata li avrebbe fatti andare via di sicuro, ma Blake decise di ricominciare la discussione cominciata poco prima.
- Agente Kozlov, mi concede una parola in privato?- domandò rifoderando la pistola, pessima mossa.
“Io giuro che prima o poi ti ammazzo agente Blake” pensai fulminandolo con un’occhiata.
- State pronti, sparate a vista- ordinai, poi, grugnendo, entrai nella baracca insieme al federale, il quale, sentendo il mio ordine, alzò gli occhi al cielo.
- Che cosa vuole?- domandai seccato, vidi un muscolo della sua mascella contrarsi.
- Adesso basta!- sbottò alterato – Lei viene qua, si finge un agente della sicurezza nazionale e fa ammazzare uno dei miei, non posso tollerarlo- capii le sue intenzioni ed estrassi la pistola, lui fece altrettanto.
Perché era così ottuso?
- Senta, possiamo stare qui a puntarci a vicenda mentre quella creatura fa fuori uno a uno i suoi uomini oppure può lasciarmi fare il mio lavoro- abbassai leggermente la pistola, dovevo convincerlo che poteva fidarsi di me.
- In ginocchio- continuava a essermi ostile, avevo poco tempo, l’istinto mi diceva che l’essere avrebbe attaccato di nuovo.
- Non mi costringa a spararle, non ho mai…- feci una pausa, dovevo trovare le parole adatte, ma in quel momento sembrava che non ce ne fossero – Non ho mai ucciso un innocente- conclusi cominciando a fissare il vuoto, tutte le persone che erano state possedute erano morte insieme ai demoni che avevo ucciso?
Scossi la testa, non era questo il momento di farmi venire certi dubbi.
- Si sta definendo un vendicatore?- chiese Blake guardandomi come se avesse davanti Bin Laden in persona.
- No, no- sorrisi divertito da quell’affermazione – Io caccio demoni, licantropi, vampiri, spettri… In pratica tutte quelle creature che popolano i vostri incubi, ma a cui voi non credete-
Blake rimase in silenzio, la sua pistola ancora puntata al mio cuore.
- La prego- cominciai in tono di supplica – Mi lasci fare il mio lavoro-
- Non posso- rispose con voce sommessa.
Guardai fuori dalla finestra.
- Li vede? Vede quegli uomini?- indicai gli Swat, Blake li osservò pensoso – Loro moriranno tutti se non mi lascia andare-
Blake mi guardò negli occhi, poi rifoderò la pistola.
- Faccia quello che deve fare- finalmente si era arreso.
Sorrisi e abbassai del tutto la mia Colt 45.
- Grazie- mormorai, poi uscii.
Gli Swat erano esattamente dove li avevo lasciati, uno di loro tremava come una foglia, guardandolo mi avvicinai a William.
- Li mandi a casa, me ne occupo io- affermai appoggiandogli una mano sulla spalla.
- Eravamo in sei e non siamo riusciti a farlo fuori, cosa le fa pensare che lei ci riuscirà da solo?- sbottò un agente gettando a terra il fucile e alzando le braccia al cielo – Chi pensa di essere? Superman?- concluse puntandomi l’indice destro contro.
Rimasi spiazzato, davvero si stava rivolgendo così a uno dell’agenzia?
Aprii la bocca per ribattere, ma l’altro riprese.
- Dannazione, Taylor è scomparso, molto probabilmente sta morendo dissanguato e lei cosa fa? Va in quella baracca a limonare con l’agente Blake!-
Persi il controllo.
Gli diedi una gomitata sul collo, gli girai attorno e gli tirai un calcio sul retro del ginocchio sinistro, mandandolo a terra; mi inginocchiai su di lui, bloccandogli poi le braccia con le mie ginocchia.
- Ascoltami bene, pezzo d’idiota. Io sto facendo il possibile per salvare il culo a te e ai tuoi colleghi e se ti dico che non ho bisogno del tuo aiuto, tu te ne vai, sono stato chiaro?- conclusi sbattendogli violentemente le spalle a terra.
Mi alzai e guardai gli altri con aria di sfida.
- Qualcun altro ha qualcosa da dire?- chiesi allargando le braccia.
- Si calmi Kozlov- disse Blake scambiando una rapida occhiata con James.
- Tutto bene, Coleman?- domandò il capitano.
- Tutto qui quello che sai fare, figlio di puttana?- Coleman sputò a terra, poi cercò di rialzarsi, ma tornò immediatamente a terra con una smorfia di dolore.
- Quello stronzo mi ha rotto una costola!- esclamò indignato.
Sul mio viso comparve un ghigno soddisfatto.
- Te lo sei meritato- disse William, poi fece un cenno a tre dei suoi uomini – Portatelo da un medico e restate con lui- detto questo un agente piuttosto altro e robusto abbandonò il proprio fucile e prese in braccio un sofferente Coleman.
- Fermi- ordinai guardando James – Voglio che vi muoviate tutti, non solo loro tre-
- Le servirà una squadra per far fuori quel bastardo- commentò il capitano.
- Chiamerò la mia- risposi cominciando a smaltire la rabbia.
- La chiami allora- ribadì lanciando un’occhiata al telefono che sporgeva leggermente dalla tasca sinistra dei miei pantaloni.
Purtroppo aveva ragione, mi serviva una squadra; la creatura aveva ammazzato un uomo proprio sotto il mio naso ed io non avevo la più pallida idea di che cosa fosse. Presi il cellulare e feci scorrere velocemente i contatti fino a che non lessi “Gavin Carter”, premetti il tasto verde.
- Dragan… Che c’è? Sei ferito?-
In effetti ero ferito, ma nell’orgoglio. Come facevo a dirgli che non sapevo a cosa stavo dando la caccia, che la creatura aveva ucciso un uomo a pochi piedi da me e che la mia copertura era saltata?
- Sto bene, ma mi serve un appoggio- parlai con un tono quasi impercettibile.
- Tu che chiedi una squadra?- scoppiò a ridere – Il miglior cacciatore che io abbia mai addestrato mi sta chiedendo una squadra- fece una breve pausa – Chi ti serve?-
- Mi basti tu- risposi cominciando a sentire il mio volto avvampare.
Dio, stavo chiedendo aiuto all’unica persona che tentavo di rendere fiera in ogni minuto della mia vita.
- Ti ho salvato la vita, non ti basta?- non risposi – Andiamo, Dragan, stavo scherzando- lo sentii mentre batteva qualcosa al computer.
- Endicott, Nebraska- disse più a se stesso che neanche a me – Rintraccio la tua esatta posizione e arrivo.  Dovrei essere lì in tre minuti scarsi, per tua fortuna sono a mezzo miglio da te-
- Uh?- fu l’unica risposta intelligente che mi venne in mente.
- Ti spiego quando arrivo- riattaccò.
Chiusi il telefono e lo rimisi in tasca.
- Sono a mezzo miglio da qui, tempo stimato all’arrivo: tre minuti. Può andare capitano William- il mio tono era più piatto di una sogliola.
- Forza ragazzi, torniamo a casa- James si avviò, seguito a ruota da tutti gli Swat. Blake si fermò davanti a me.
- Chi hai chiamato?- domandò serio – Qualcuno come te o facevi finta?-
Alzai lo sguardo e piantai i miei occhi nei suoi.
- Ho chiamato quel vecchio pazzo che mi ha salvato la vita-
- Sembri quasi dispiaciuto- commentò ironico.
- Lo sono, non avevo mai chiesto aiuto prima d’ora- abbassai lo sguardo.
- Blake, si muova!- sbraitò William.
- Buona fortuna, Kozlov- Blake allungò la mano.
- Mi chiamo Dragan, Dragan Nowak- gli strinsi la mano.
- Beh, buona fortuna Dragan- detto questo raggiunse gli altri.

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Capitolo 3
*** Gavin Carter ***


Mi appoggiai alla parete del casottino cercando di riordinare le idee, cercando di capire con quale creatura avessi a che fare. Avevo già escluso i Wendigo e i licantropi, i primi a causa dell’aspetto e i secondi a causa della velocità. Optai per gli Skinwalker a causa della forma canina, ma, ovviamente, uno Skinwalker avrebbe lasciato delle impronte. Mi avvicinai alla pozza di sangue e scrutai attentamente tutta la zona limitrofa: non c’era nessun’orma. 
Il rumore delle foglie secche che venivano calpestate mi fece correre un brivido lungo la schiena, estrassi rapidamente la pistola e mi voltai. Mi ritrovai davanti Gavin, mi guardò con un sopracciglio alzato, poi disse: - Devi bere meno caffè, Dragan- 
Rifoderai la pistola e abbassai leggermente lo sguardo. 
- Maestro- mormorai tornando a osservare la zona attorno al sangue, ancora mi rodeva il fatto di averlo dovuto chiamare. Il mio orgoglio si spaccò in milioni di pezzi, avevo fallito ed ero sicuro di averlo deluso, ero pronto a essere degradato, non m’importava. 
- Non sono più il tuo istruttore, Dragan, chiamami pure Gavin- il suo tono cordiale e il suo tentativo di sorridere mi spiazzarono, dov’era finito il Gavin Carter che al campo di addestramento mi puniva anche solo se sbagliavo il nome di una creatura? 
- Con che cosa abbiamo a che fare?- domandò avvicinandosi a me e cominciando anche lui a esaminare la pozza di sangue con aria pensosa. 
- Non lo so- risposi quasi sussurrando, sicuro che questa volta mi avrebbe preso a legnate, cosa che, con mia sorpresa, non fece. 
- Avrai almeno dei sospetti, oppure…?- scorsi la delusione nei suoi occhi, ma non la rabbia; ero più confuso che mai, cos’era cambiato da quando ero al campo? 
Ci arrivai dopo. Capii che al campo lui era così severo perché aveva paura che io non sopravvivessi là fuori, nel mondo dei cacciatori, e penso che se non fosse stato per le sue dure lezioni a quest’ora io sarei morto almeno una decina di volte. 
- All’inizio pensavo che si trattasse di un Wendigo, ma mi sono dovuto ricredere e ora non ho neanche una mezza idea su che cosa possa essere- scossi la testa infastidito dalla mia inettitudine.
Gavin sembrava essere divertito dal mio stato d’animo, un mezzo sorriso gli si era stampato in faccia e non accennava ad andarsene, mi sentii ancora più umiliato.
-Ho due ipotesi- esordì infine –O questo caso è disseminato di una marea di presagi contrastanti o tu sei fuori allenamento- il suo tono era serio, ma non sembrava arrabbiato – Da quanto tempo è che non cacci?- mi chiese con fare indagatorio. 
- Tre settimane- risposi osservandolo con vago interesse. Era cambiato molto dall’ultima volta che l’avevo visto: il volto coperto di cicatrici non era più teso e attento a ogni minimo particolare, sembrava più rilassato, anche se gli occhi continuavano a essere brillanti e vivi come prima. Lavoravo per lui da quasi dieci anni, otto dei quali passati nel campo di addestramento insieme ad altri giovani cacciatori, gli stessi giovani cacciatori con cui mi divertivo a stimare quanti capelli all’anno perdesse Gavin, gli stessi giovani cacciatori che ora non c’erano più, uccisi senza pietà da un gruppo di demoni. Lui ne soffrì molto, teneva a ogni cacciatore che addestrava tanto quanto avrebbe tenuto a un figlio e penso che, per la maggior parte di noi, lui fosse esattamente come un padre, anche se di lui sapevamo solo che da giovane aveva lavorato nella RAF, anche se ogni volta che gli chiedevamo perché era diventato un cacciatore lui lasciava cadere l’argomento; noi ci fidavamo e questo bastava a cancellare ogni dubbio su di lui.
- Allora?- la sua voce mi strappò con violenza dal vortice di ricordi in cui ero involontariamente scivolato. 
- Scusa, non ti stavo ascoltando, che cos’è che stavi dicendo?- domandai allontanando la nostalgia. 
- Ti ho chiesto i dettagli del caso, Dragan- il suo tono era seccato, odiava dover ripetere le cose due volte. 
- Le prime nove vittime sono state sventrate, la decima è sta sgozzata e l’ultima, una testa di cuoio, è stata ferita e trascinata via. Il capitano è riuscito a fornirmi una descrizione frammentaria della creatura- feci una pausa per riprendere fiato e per lasciare il tempo a Gavin per elaborare le notizie, ma lui mi fece cenno di andare avanti. 
- Alto più o meno un piede, grosso, veloce, con una folta pelliccia scura e gli occhi rossi – conclusi lanciando una rapida occhiata alla pozza accanto a noi, sperando con tutto il cuore che non mi facesse quella domanda. 
- E tu dov’eri mentre questo agente veniva preso?-  
Ecco, aveva appena fatto quella domanda. 
- L’agente a cui è stato affidato il caso aveva scoperto che non ero chi dicevo di essere- feci una pausa e, sospirando, indicai il casottino – Ero lì dentro a cercare di non farmi arrestare- 
Gavin sembrava essere ancora più divertito ed io mi sentii ancora più idiota. 
- Che distintivo hai usato?- chiese tornando serio, ma senza levarsi il mezzo sorrisetto dal volto. 
- Sicurezza Nazionale- dissi, poi aggiunsi velocemente:- C’erano i federali, ho dovuto usarlo!- 
La sua reazione mi spiazzò: si mise a ridere. Lo guardai come se fosse impazzito, cos’è che esattamente trovava divertente?  
C’era qualcosa che non andava in lui, era diverso, troppo diverso. Cominciai a fare supposizioni sul perché si comportasse in modo così strano e tra le varie ipotesi spiccò quella che l’uomo che avevo davanti non fosse Gavin, ma un mutaforma oppure un demone che si era impossessato di lui. 
- Ti sei beccato un agente sveglio e un caso complesso, dev’essere il tuo giorno sfortunato- disse dopo aver smesso di ridere. Fantastico, stava ridendo delle mie sventure. In quel momento avrei voluto sprofondare nel terreno, ma ero sollevato dal fatto che l’avesse presa così bene. 
- Bene, ci siamo fatti quattro risate- no, tu ti sei fatto quattro risate – ma ora torniamo al lavoro- disse ritornando serio e assumendo un’aria pensosa. 
Dopo qualche minuto passato a ragionare sul caso in religioso silenzio, Gavin cominciò a parlare: 
- Non può essere un licantropo perché la luna non è ancora spuntata, il wendigo è da escludere perché non ha portato via le sue vittime... Hai considerato gli skinwalker?-  mi domandò piantandomi il suo sguardo calcolatore addosso. 
- Si, ma era troppo veloce e non ci sono impronte- risposi cominciando a prendere  in considerazione l'idea che questo caso fosse davvero complesso. 
Gavin aprì la bocca, ma poco dopo la richiuse con fare pensoso. 
- Che c'è? Hai qualche idea?- gli chiesi guardandolo con attento interesse. 
Lui scosse la testa con fare confuso. 
- Tutto questo mi fa venire in mente solo i Black Dog- disse continuando a scuotere in capo. 
Inarcai un sopracciglio, scettico. 
- Pensavo che infestassero solo l'Inghilterra e l'Irlanda- gli feci notare pensando erroneamente che se ne fosse dimenticato. 
Lui mi fissò a lungo senza dire niente, i suoi occhi scuri piantati nei miei. 
- Data la tua poca esperienza sul campo- a parer mio dieci anni non sono pochi, ma tenni questo pensiero per me - non dovrei metterti al corrente di questo fatto, ma le circostanze me lo impongono- 
Di che cosa stava parlando? Perché tutta questa riservatezza? 
- Le creature si stanno comportando in modo strano- mi rivelò lasciando trasparire tutta la sua preoccupazione.
- Che intendi?- gli domandai brusco, quella storia non mi piaceva per niente. 
Lui mi rispose con una semplice frase: 
- L'alto giorno Caleb ha ucciso un'arpia- 
Rimasi spiazzato da quell'affermazione. 
- E immagino che Caleb non stesse solcando i mari greci, vero?- chiesi retoricamente, cominciando a capire perché Gavin era così preoccupato. 
- No, infatti, lui era in Pennsylvania- 
Rimasi basito. Tutte le mie conoscenze mi crollarono addosso. Come poteva un'arpia essere in Pennsylvania? 
- Che cosa diavolo sta succedendo?- domandai in un misto d'inquietudine, confusione e rabbia. 
Gavin rimase in silenzio, gli occhi velati da una profonda paura che celava con maestria.
La sua taciturnità mi turbava, che cosa lo spaventava a tal punto? 
- Penso che si stia avvicinando la fine del mondo- ammise trovando il coraggio di pronunciare quelle tanto sospirate parole. 
Mi lasciai scappare una risata, congelata subito da uno sguardo del mio mentore che mi trapassò da parte a parte. 
- Andiamo, Gavin, non crederai davvero a quella stronzata del 2012?- lasciandomi scappare un sorriso divertito.  Lui non rispose, gli occhi che vagavano nel vuoto. 
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, dopodiché lo sguardo di Gavin si spostò fulmineo su qualcosa che stava dietro di me, all'altezza del ginocchio; mi fece segno di stare calmo, poi portò lentamente una mano dietro la schiena. 
Cominciai a sudare freddo; odiavo aver qualcuno o qualcosa alle mie spalle, non potevo sapere che cosa stava facendo e in queste situazioni tendevo a perdere la testa, esattamente come una bestia che sa di essere in pericolo e che cerca disperatamente una via di fuga. Gavin sapeva di questo mio tallone d'Achille, per questo cercò di allentare la tensione.
- Beh, almeno ora sappiamo per certo che stiamo cacciando un Black Dog- disse in modo ironico, accennando a un mezzo sorriso. 
Inspirai a fondo cercando di mantenermi calmo, poi mossi lentamente la mano in direzione della pistola che tenevo nela fondina cosciale destra, ma Gavin scosse la testa e mi fece lentamente cenno di buttarmi a terra. 
Sentii un ringhio sordo dietro di me, il mio cuore accelerò i battiti, una goccia di sudore mi scivolò lentamente sulla tempia sinistra. 
Gavin alzò tre dita. Due... Uno... 
- A terra!- urlò e, dopo secondi che mi sembrarono ore, mi abbassai. Sentii il Black Dog passarmi a pochi fatali centimetri dalla testa e quel contatto mi fece rabbrividire. 
Vidi la creatura dissolversi nell'aria, una pioggia di sale m'investì. 
Mi rimisi velocemente in piedi, tremante per la dose eccessiva di adrenalina ricevuta. 
- Quante volte ancora hai intenzione di salvarmi la vita?- gli chiesi in tono ironico riprendendo fiato, ma comunque colmo di gratitudine. 
- Tutte le volte che sarà necessario, non posso perdere il mio asso nella manica- mi rivolse un sorriso divertito, ma sincero.


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Voglio scusarmi per la lunga attesa tra un capitolo e l'altro, ma ho avuto dei problemi con Word e con il pc. 
I tempi di aggiornamento dovrebbero essere molto più rapidi d'ora in poi. 
Grazie per essere giunto fin qui e se hai voglia passa a trovarmi sulla mia pagina facebook "Youngrevolverocelot EFP" :) 
A presto, 
Ocelot. 

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Capitolo 4
*** Ragguaglio ***


Nonostante l'attacco avesse scosso entrambi, io e Gavin rimanemmo nei boschi nel disperato tentativo di trovare qualche traccia o, nel migliore dei casi, lo SWAT scomparso.

Dopo un paio d'ore, però, divenne chiaro che stavamo solamente sprecando tempo. Non c'erano impronte o segni di trascinamento, come se entrambi si fossero volatilizzati. E la cosa non mi piaceva per niente.

Quel caso non mi piaceva per niente. Vedere Black Dogs fuori dal Regno Unito era già strano di per sé, ma vedere un Black Dog rapire qualcuno? Eh. Quella era decisamente la ciliegina sulla torta.

Durante il viaggio di ritorno Gavin aveva tentato di fare conversazione, ma io non ero in vena. Non riuscivo a togliermi dalla testa il ringhio di quella creatura, le urla degli agenti, le accuse di Blake... Ero lì solamente da un giorno e avevo già rovinato tutto.

Dieci vittime, un poliziotto scomparso e la copertura saltata. Ero a pezzi. Non sapevo cosa fare e la presenza del mio vecchio mentore mi faceva sentire ancora più sotto pressione.

Forse fu proprio per questo che non appena arrivammo in hotel, mi liberai di tutto l'equipaggiamento e mi fiondai sotto la doccia. Volevo stare da solo.

Non che mi desse fastidio dividere la stanza, l'avevo già fatto molte altre volte, ma non riuscivo a scrollarmi di dosso quella sensazione di star deludendo Carter, nonostante lui avesse provato più e più volte a rassicurarmi.

Esausto, sospirai e chiusi gli occhi, lasciando che l'acqua calda lavasse via lo sporco e il sudore della giornata. Mi ero cacciato in un bel casino.

 

- Esco a prendere un po' d'aria. Vuoi che ti porti qualcosa?- chiesi da dietro la porta mentre mi rivestivo.

- Gavin?- chiamai di nuovo non sentendo alcuna risposta, facendo quindi capolino dal bagno.

Vidi il mio mentore seduto al piccolo tavolino che era presente nella stanza, il suo volto semi nascosto da una marea di libri e pergamene.

Mi avvicinai a lui con curiosità, poggiandogli quindi una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione.

- Ti serve una mano con... Qualsiasi cosa tu stia facendo?- domandai quando spostò lo sguardo su di me.

Carter non mi rispose. Si limitò a fissarmi per qualche secondo in silenzio prima di tornare a rivolgere la propria attenzione al tomo che stava leggendo.

Era esausto. Glielo potevo leggere in faccia.

- Credo che sia abbastanza per oggi... Dovresti riposare-

Gavin sospirò alla mia affermazione e, appoggiandosi allo schienale, si passò stancamente una mano sul volto.

- Stai uscendo?- mi chiese quindi, gli occhi ancora fissi sui documenti.

Io annuii appena, aggiungendo poi: - Pensavo di portarti un panino. Tacchino, formaggio grigliato...?-

- Tacchino. E una birra... O due-

Alla sua richiesta alzai gli occhi al cielo, ma sapevo che era meglio non discutere. Mi misi quindi la giacca ed uscii.

 

Endicott era quasi deserta a quell'ora. Le strade, poco illuminate, erano attraversate solamente da volantini e sacchetti di plastica spinti dal vento. Nessun segno di vita.

La cosa non mi sorprendeva più di tanto. Sin dal primo momento, Endicott mi aveva dato l'impressione di essere uno di quei paesini formato solamente da anziani e coppie conservatrici di mezza età. Quelle persone che passano la domenica in chiesa e il resto della settimana a sparlare gli uni degli altri, per intenderci.

Nonostante la mia convinzione però, mi sforzai di essere il più amichevole possibile quando entrai in quello che sembrava essere l'unico locale dell'intera cittadina.

Non sembrava male come posto. Aveva l'ambientazione tipica di un diner, ma con gli alcolici molto più in vista. Mh, forse era veramente l'unico locale della zona.

Senza prestare troppa attenzione al resto della clientela, mi avvicinai al bancone e ordinai due panini e una cassa di birra.

Mentre aspettavo, ricominciai a pensare al caso. Era come se mancasse qualcosa. Cosa collegava le vittime? Perché il Black Dog era apparso proprio qui? E cosa lo aveva spinto ad attaccare?

Prima che potessi formulare delle teorie, però, sentii una mano sulla spalla e una voce familiare alle mie spalle.

- Ah... Sei sopravvissuto al bosco... -

Confuso, mi girai quel tanto che bastava per guardare in faccia il mio interlocutore. Occhi verdi, capelli rosso fuoco...

- Agente Blake- salutai brevemente, la mia fronte ancora corrugata per via della familiarità con cui il federale mi stava trattando.

- Scusa, volevo essere sicuro che non fossi un fantasma- spiegò, ritraendo la mano, quando capì che non avevo particolarmente apprezzato il contatto fisico.

Ancora più confuso dalla situazione, rimasi a fissare l'uomo di fronte a me, in silenzio. C'era qualcosa di strano nell'agente Blake quella notte. E forse l'odore di whisky che sentivo aveva qualcosa a che fare con il suo bizzarro comportamento.

- Chiamami pure Mason... Dragan, giusto?- aggiunse il rosso per riempire il silenzio imbarazzante che s'era formato tra di noi.

Io mi limitai ad annuire, insicuro sul da farsi.

- Uhm... Mi spiace per lo SWAT. Io e il mio... partner... abbiamo perlustrato tutta l'area, ma di lui non c'era traccia- dissi quindi, immaginando che fosse quello il motivo per cui l'agente non era esattamente in sé.

Con mia sorpresa, però, Blake emise un suono che alle mie orecchie sembrò molto simile ad una risata. Mi ero perso qualcosa o il whisky gli aveva completamente sommerso il cervello?

- Avete perso energie per niente. È già stato ritrovato... Fuori dal Jefferson Community Health CTR. È l'ospedale di Fairbury, la città qui accanto-

Mason mi riferì la notizia come se non fosse nulla d'importante, ma, per qualche motivo, quell'informazione mi colpì parecchio.

Era stato ferito e trascinato via di fronte ai suoi colleghi. Come aveva fatto a raggiungere Fairbury e-- a meno che... Possibile che il Black Dog lo avesse... Salvato?

- Devo parlare con lui- dissi con determinazione mentre mi alzavo, ma Blake mi mise nuovamente una mano sulla spalla, trattenendomi.

- L'ho già fatto io- biascicò con una scrollata di spalle, spostando quindi lo sguardo sul bancone, come se stesse cercando qualcosa.

- E...?- lo incoraggiai, dandogli una leggera pacca sul braccio per incentivarlo sia a concentrarsi, sia a togliere la mano dalla mia spalla.

- Ricorda tutto fino alla baracca, poi... Poi gli ho chiesto della bestia e... Non lo so cosa è successo... Ha smesso di parlare. Immagino sia ancora sotto shock-

A quel punto il rosso cominciò a ridere. Una risata cupa e... Nervosa? Quasi... Quasi spaventata.

- Era come se avesse visto un fantasma, Dragan... Pallido, immobile... Poi di colpo ha cominciato a dimenarsi... Come un dannato...Hanno dovuto sedarlo-

Mentre raccontava l'accaduto, riuscivo a leggere nei suoi occhi quella confusione e necessità di risposte che io stesso avevo provato molti anni prima. E forse quelle risposte le aveva cercate proprio sul fondo di una bottiglia di whisky.

Al pensiero, sorprendendo me stesso, poggiai le mani sulle sue spalle in un imbarazzante tentativo di dargli conforto.

- Non pensarci. È più facile se non ci pensi... Concentrati sul fatto che ci sto lavorando e che risolverò la situazione... Okay?-

Cercai di usare un tono tranquillo e rassicurante, stringendo appena la stretta sulle sue spalle per mantenere la sua attenzione sul “qui e ora”.

Mason mi fissò in silenzio; i suoi occhi smeraldo piantati nei miei per quella che sembrò essere un'eternità.

- Okay- sussurrò infine, dopo aver preso un respiro profondo.

Non feci in tempo a sorridergli e dargli una pacca d'incoraggiamento che il proprietario del locale si schiarì la voce, visibilmente imbarazzato.

- Il suo ordine è pronto- mi comunicò mentre appoggiava i due panini e le birre sul bancone, sparendo quindi con un'innaturale fretta.

Non osai immaginare che razza di idea si potesse essere fatto. Ma d'altro canto cosa ne poteva sapere lui di come bisogna trattare qualcuno che ha appena scoperto che il sovrannaturale esiste davvero?

Ah... Ma perché m'importava? Dopotutto, una volta chiuso il caso, non avrei mai più messo piede in quel posto.

Sospirando appena, recuperai le vivande e mi avviai verso la porta, facendo cenno al federale di seguirmi.

- Senti, non sono solito fare cose simili, ma io e il mio partner stiamo per analizzare il caso e... Potresti servirci. Hai i dettagli riservati e hai parlato con un sopravvissuto, quindi... Se vuoi c'è una birra anche per te-

Gli dissi una volta usciti dal locale, guadagnandomi un'occhiata mista tra sospetto e incredulità.
Suonerà stupido, ma una parte di me non voleva lasciarlo da solo quella sera. La gente ha modi strani di reagire allo shock e... Non volevo avere un bravo agente sulla coscienza.

- Beh... Io non sono solito condividere dettagli riservati con un civile, ma non posso dire di no ad una birra gratis- mi rispose con un sorrisetto ironico che, dopo qualche secondo, si trasformò in una risata sommessa.

Con l'accenno di un sorriso, scossi appena la testa e sospirai. Quasi quasi lo preferivo quando mi puntava una pistola addosso.

Non sapevo esattamente perché, ma la parola “civile” mi dava parecchio fastidio. Sapevo che non era usata impropriamente, ma ancora mi sentivo uno spetsnaz. Certo, non ero più in Russia e non mi guadagnavo da vivere eliminando terroristi, ma... Quello che facevo non era forse anche più pericoloso? Insomma, il mio non era sicuramente un lavoro da “civile”. Seppi però trattenermi dal condividere questo pensiero. Dopotutto Blake avrebbe potuto cambiare idea e arrestarmi da un momento all'altro. E a quel punto solamente una perizia d'infermità mentale mi avrebbe potuto salvare.

 

Ritornare all'hotel richiese poco tempo e, per mia fortuna, poche parole. Mason sembrava concentrato sul ricordarsi come si cammina e mi aveva quindi risparmiato un possibile terzo grado e/o domande personali. Il silenzio, inoltre, mi aveva dato modo di pensare a cosa dire a Gavin, il quale non aveva mai visto di buon occhio i federali e mi avrebbe quindi ucciso se gliene avessi portato uno “in casa”.

Una volta arrivati, mi presi un attimo per controllare il grado di presentabilità del mio accompagnatore, dopodiché, facendomi coraggio, entrai in stanza.

- Cominciavo a pensare che ti avesse rapito un chupacabra- mi accolse Carter, senza nemmeno girarsi, quando sentì la porta aprirsi.

Era ancora immerso nei suoi libri e, a giudicare dal tono annoiato, non doveva aver fatto grandi progressi.

- I chupacabra non rapiscono capre? È da lì che deriva il nome... Chupa... Cabra...-

Sentire Blake rispondere al mio mentore mi fece raggelare il sangue nelle vene. Non era così che avrei pensato di presentarlo. Maledetto alcol... Avrei dovuto aspettare il giorno dopo, quando sicuramente sarebbe stato più sobrio e meno... Amichevole.

- Vedo che ha capito la battuta, signor...?-

Replicò sarcasticamente Gavin che, dopo essersi girato ed averlo guardato con sufficienza, aveva spostato lo sguardo su di me, in attesa di spiegazioni.

- Mason. Blake. Agente Blake. Si occupa del caso che stiamo seguendo-

Mi affrettai a dire, ponendo l'accento sul titolo, prima che il rosso potesse peggiorare ulteriormente la situazione.

- Ha dei dettagli riservati ed è disposto a condividerli con noi-

Aggiunsi, notando che lo sguardo del mio mentore s'era fatto più freddo e sospettoso.

Gavin mi fissò a lungo, in silenzio, e sapevo che mi stava dando dell'idiota con il pensiero. Ma che altro avrei potuto fare? Qualche ora prima Blake mi aveva concesso di andarmene solo per proteggere i suoi uomini dal Black Dog. Chi poteva assicurarmi che non mi avrebbe arrestato se mi fossi presentato alla stazione di polizia il giorno dopo? Dopotutto fingersi un agente del NSA era un reato.

- Prima, però, vorrei le vostre di informazioni-

Mason interruppe ancora una volta le mie riflessioni, con una frase che lasciò sia me che Gavin perplessi. Di quali informazioni stava parlando?

- Sì, insomma... Cos'è quella creatura? Come la facciamo fuori? Ce ne sono altre come lei?-

Spiegò l'agente, intuendo il perché del nostro silenzio.

Carter e io ci scambiammo un'occhiata incerta. Non era prudente fornire così tante informazioni a una persona comune, ma... Avevamo bisogno della sua collaborazione.

- Perché non ti siedi, Mason? Ci vorrà un po'-

Dissi infine, indicandogli con un gesto la sedia vuota accanto a Gavin.

 

Introdurre Blake al sovrannaturale richiese quasi dieci minuti interi. L'uomo era parecchio scettico e, con l'alcol che aveva in corpo, certi concetti erano ancora più difficili per lui da processare.

Nonostante tutto, però, non fu uno studente troppo difficile. Nessun commento sulla nostra sanità mentale e poche domande. Il mio esatto opposto.

- Quindi quella creatura che ha attaccato i miei uomini... È un Black Dog? Una specie di spirito?-

Chiese quando arrivammo alla parte che riguardava il caso.

Io annuii appena, ma vedendo Gavin scuotere la testa, inarcai un sopracciglio e rimasi in silenzio.

- Pensavamo fosse un Black Dog, ma dopo qualche ricerca... Penso che si tratti di un Barghest. È essenzialmente la stessa cosa, solo più potente.

Vedi, i Black Dogs sono dei segni. Appaiono alle persone che stanno per morire, ma non hanno nessun ruolo nella loro morte, né possono fare del male ai vivi.

I Barghest invece... Solitamente anche loro sono dei segni, ma ci possono essere dei casi in cui i Barghest riescono a ferire gli umani. Se s'interferisce con una processione funebre che stanno proteggendo, ad esempio, o se si è responsabili di crimini di grave entità. Il primo caso è accidentale e la vittima viene lasciata con una ferita non letale, ma che non riuscirà mai a rimarginarsi; il secondo invece è... Una vera e propria caccia. Il Barghest perseguita la propria vittima fino al momento in cui riesce ad ucciderla-

Sospirando stancamente, Carter si concesse una pausa.

- E qui è dove entri in gioco tu, agente Blake. Penso che il Barghest stia cacciando quelli che lui considera “criminali”, ma senza il dossier sulle vittime non posso esserne certo-

Mason, che fino a quel momento aveva ascoltato con attenzione la spiegazione, corrugò la fronte, scuotendo quindi la testa dopo qualche istante.

- Solo una delle vittime aveva precedenti penali, ma il più grave era una rapina a mano armata. Nessun omicidio o violenza di alcun tipo.

Ma quello che hai detto sulle ferite... Quell'agente è destinato a rimanere in quello stato per tutta la vita?-

Lo sguardo di Mason si era spostato su di me quando fece la domanda e io, per la prima dopo tanto tempo, mi sentii come un pesce fuor d'acqua.
Anche se non ne avevo mai incontrato uno, avevo studiato i Black Dogs e sapevo bene o male come comportarmi con loro. Dei Barghest invece non avevo mai neppure sentito parlare.
Quante altre creature Gavin mi aveva tenuto nascoste?

- Non ne ho idea. È la prima volta che sento di un Barghest che ferisce un innocente. Probabilmente si è sentito minacciato. O la presenza delle due precedenti vittime l'ha confuso-

Carter scosse la testa. Probabilmente nemmeno lui aveva mai avuto a che fare con un Barghest prima d'allora.

- Domani mattina contatterò dei colleghi più esperti in materia. E gradirei ricevere o il dossier delle vittime, o una copia di esso.

Non dubito della tua conoscenza del caso, ma le creature sovrannaturali sono come vincolate dalla loro natura, dal loro scopo. E i Barghest uccidono solo persone che hanno compiuto reati gravi. Quelle persone, che lo Stato lo sappia o meno, hanno sicuramente degli scheletri nell'armadio.
Dragan ti darà una mano a scavare. È un ex KGB, sa sempre dove guardare-

Io alzai gli occhi al cielo all'ultima frase, mormorando uno “Spetsnaz” a malapena udibile.

Conoscevo Gavin da più di dieci anni e non aveva mai usato il titolo corretto. Ma ormai avevo rinunciato a correggerlo. Non faceva alcuna differenza dopotutto.

- Siete consapevoli del fatto che fingersi un agente del NSA è un reato, vero? Ed è un reato anche non denunciare una cosa del genere. Se si scoprisse, verrei buttato fuori dall'FBI e processato. E io ci tengo alla mia carriera. Ho lavorato sodo per essere dove sono.-

Blake non aveva tutti i torti, ma era anche vero che nessuno mi aveva mai scoperto... Prima di lui.

- Dragan è un professionista. Opera da dieci anni e non è mai stato scoperto. Inoltre, essendo tu a capo dell'operazione, a nessun altro verrebbe in mente di controllare le sue credenziali... Soprattutto sapendo che l'hai già fatto tu-

Gavin e Mason si fissarono in silenzio, studiandosi a vicenda per capire quanto l'uno si potesse fidare dell'altro.
Dopo quella che sembrò un'eternità, Blake spostò lo sguardo su di me, sorridendo appena.

- E sia. Sembra che dovremo continuare a collaborare... Agente Kozlov-

Io non risposi. Mi limitai a ricambiare quell'accenno di sorriso e a ringraziarlo con un cenno del capo.

 

Una volta terminati gli ultimi chiarimenti, Mason era pronto a congedarsi e tornare al B&B in cui alloggiava e io, ancora preoccupato per il suo stato di sobrietà parziale, mi offrii di accompagnarlo.

Da quello che avevo capito, il posto si trovava sul retro del diner e cinque minuti di sonno in meno non mi avrebbero cambiato la vita.

Come all'andata, il viaggio fu piuttosto silenzioso. Blake probabilmente stava processando tutte le informazioni che gli avevamo dato e io mi sentivo ancora un po' in imbarazzo per l'essere stato scoperto. Nonostante questo, però, la passeggiata fu piuttosto piacevole.

La luna alta nel cielo e la leggera brezza rendevano il paesaggio ancora più mistico, facendo sembrare Endicott il set di un qualche film horror.

Chissà quali segreti si celavano sotto quella piccola cittadina... Dopotutto doveva esserci un motivo se il Barghest era apparso proprio lì.

I miei pensieri, però, vennero interrotti quando vidi il federale fermarsi; eravamo arrivati.

- Mason, aspetta-
Lo fermai prima che potesse salire la scala esterna che portava alle stanze. Sotto il suo sguardo confuso, aprii la giacca ed estrassi un piccolo sacchetto in velluto.

- È un misto di sale e alloro. Sai... Per tenere lontane certe creature.

Non penso che ti servirà, ma... Mettilo vicino al letto o sotto il cuscino-

L'agente inarcò appena un sopracciglio, ma accettò comunque quel peculiare regalo.

- E tu?- domandò quando ormai stavo per girarmi ed andarmene.

Io scrollai appena le spalle, sorridendogli con l'ironica arroganza con cui si risponde alle domande dei bambini su Babbo Natale.

- Sono un cacciatore. So come proteggermi... /Civile/-

All'appellativo, Mason non poté trattenere una risata sincera.











[Angolo Autore: un grazie veramente speciale ad AmeliaRose che non ha smesso di combattere e ha mantenuto in vita il nostro cacciatore ♥]

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