In mutande da te

di Artnifa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Introduzione

 

Giugno 2015

La guardo dormire con aria sofferente, le rughe di una pelle mangiata dal fumo la fanno sembrare più vecchia di quanto è realmente.
Ha il viso scavato, spigoloso, poco aggraziato, le labbra secche piene di tagli, gli occhi cerchiati di viola a causa degli incubi continui e del dolore; se ne sta andando.
Le tengo la mano con la promessa di non lasciarla mai, fino all’ultimo battito, fino all’ultimo respiro io resterò qui, incollato su questo sedia scomoda accanto a te.
Il letto è sporco, le lenzuola sono zuppe di sudore, la stanza puzza di chiuso, di morte; non si respira.
Un orologio alla parete scandisce i secondi facendomi gelare il sangue nelle vene.
Non abbandonarmi, non ora, non puoi lasciarmi solo…ti prego amore mio.

Ricordo la prima volta che la vidi, quarant’anni fa.

Ero sul marciapiede fermo sulla mia bmx, il sole scottava sulla pelle e sul gelato che mi si scioglieva tra le mani, gocce appiccicose mi incollavano le dita.
“Scusa, non avresti un dollaro per favore? Non ho abbastanza soldi per comprare il gelato” abbassai lo sguardo e vidi quella che pensai essere la bambina più brutta al mondo. Calcolai che potesse avere all'incirca sei anni.
Le mancavano le palette davanti, aveva una bocca sproporzinatamente larga per il suo viso spigoloso, le labbra fini erano circondate da due rughe d’espressione evidenti.
Il naso era lungo e sottile, gli occhi grandi di un colore grigio topo, i capelli crespi e arruffati la facevano sembrare uno spaventa passeri e il nero di quest’ultimi contrastava con la pelle candida dandole un’aria malaticcia.
Aveva indosso dei pantaloncini corti a righe verticali che le stavano enormi, due gambe sottili sbucavano storte, aveva le unghie delle mani sporche di nero e puzzava di umido e muffa.
“Ma chi è quel mostro?” Danny McCracken chiese poco lontano da me.
Danny era un ragazzino della banda di cui facevo parte, passavamo tutti i giorni in sella alle nostre bici compiendo atti vandalici e facendo a gara di velocità e abilità nel fare acrobazie.
Alzai le spalle “Non ne ho idea, chiede elemosina. Sparisci barbona” dissi accompagnando la frase con un gesto della mano per allontanarla. Non ero un bambino maleducato eppure quel giorno la trattai male per non risultare un buonaccione davanti ai miei amici.
Vidi i suoi occhi enormi farsi lucidi per un istante e mi pentii amaramente del mio atteggiamento.
Pochi secondi dopo sentii un dolore lancinante allo stinco, mi si mozzò il fiato, mi aveva tirato un calcio.
“Ma che sei pazza?” chiesi allibito. Mi cadde il gelato dalle mani spiaccicandosi a terra al contrario, il cono ancora intatto; imprecai sotto voce.
Lei mi fece la linguaccia, si mise la mani sui fianchi e con aria altezzosa si voltò e se ne andò indispettita ma soddisfatta.
“Vai a quel paese, ragazzaccio” disse fiancheggiano offesa.








Ciao, ho deciso di revisionare questi tre capitoli sperando di riuscire a concludere questa storia lasciata in sospeso da troppi anni!
Il protagonista è Slash, per chi non l'avesse intuito. 
Ci sono diversi salti temporali che vi spiegherò qui sotto, in modo che non ci siano fraintendimenti. 
Iniziamo con il 2015, anno in cui la ragazza ( che non è più tanto giovane ormai ) sta morendo; questo fa ripensare Slash che rivive la loro storia dall'inizio.
Ma il 2015 non è l'anno in cui è ambientato questo racconto, si scoprirà più avanti il vero presente. 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


CAPITOLO PRIMO
 

Mi dimenticai alla svelta di quella bambina, la sera stessa l’avevo già rimossa dai miei pensieri. Il livido violaceo sul mio stinco però me la riportò alla mente diverse volte finché rimase, ma appena sparì si portò via anche il ricordo del suo viso. E fu così per molti anni.
Tornò nella mia vita improvvisamente, mi bastò un attimo per riconoscerla; quel viso poco aggraziato non si poteva confondere.
Indossava un enorme cappello verde che le cadeva continuamente sugli occhi, lo rialzava strisciando la mano sulla fronte e spostandolo con il dorso, non sembrava infastidita da quel continuo movimento.
Dei pantaloni arancio con strisce catarifrangenti infondo la facevano sembrare uno spazzino, mi chiesi dove li avesse trovati, erano visibilmente troppo grandi per la sua corporatura esile e una cintura sembrava stretta al massimo sulla sua vita sottile dando l’impressione di stringerla fino a soffocarla.
Ai piedi portava due scarponcini sporchi di fango con le stringhe slacciate che ricadevano ai lati, e per completare l’opera indossava una maglietta piena di toppe a maniche lunghe rimboccate fino ai gomiti sbucciati.
Si presentò così un pomeriggio qualunque di primavera davanti alla mia porta. Aprì mia madre; ed io, che stavo passando per l’ingresso, mi bloccai all’istante appena la vidi in piedi sullo zerbino con uno sguardo deciso.
“Salve, è lei la signora Ola Hudson?” Chiese con voce squillante, notai ancora la mancanza delle palette davanti, pensai che ormai le sarebbero dovute ricrescere da anni.
“Si, sono io” rispose mia madre sorpresa, la scrutava incuriosita e affascinata da quel piccolo mostricciattolo.
“Molto piacere” allungò una mano ossuta “Il mio nome è Janis. Il mio sogno è diventare una stilista di alta moda e mi chiedevo se lei è ispista ad insegnarmi”
All’epoca Ola progettava abiti per grandi artisti, tra cui quello che ebbi modo di scoprire essere uno dei cantanti preferiti di Janis: David Bowie.
“Quanti anni hai Janis?” Le chiese pensierosa, un’assistente le avrebbe fatto comodo e provò all’instante un inspiegabile sensazione di fiducia per quella bizzarra bambina.
“15 signora” rispose raddrizzando le spalle per sembrare più alta, ne dimostrava almeno 5 in meno, e scoprii solo qualche tempo dopo che ne aveva soltanto 12.
“Sei libera ora?” Chiese con un grande sorriso che Janis ricambiò, la bocca le occupò quasi tutta la faccia e il buco davanti per la mancanza dei denti sembrò ancora più grande.
“Certo” rispose facendo un piccolo salto sul posto, l’enorme zaino che aveva sulle spalle sobbalzò.
“Vieni con me” le strizzò l’occhio e la fece entrare poggiandole una mano sulla spalla spigolosa.
“Saul, lei è Janis” mi accorsi solo in quell’istante di essere rimasto immobile all’ingresso per tutto quel tempo.
“Si, ho sentito. Ciao” dissi alzando una mano in segno di saluto, era decisamente confuso e sorpreso di rivederla.
“Ciao” alzò lo sguardò e lo puntò sul viso di mia madre, la osservava come fosse una divinità e probabilmente quello fu uno dei giorni più felici della sua vita.
Sparirono nella taverna, lo studio di mia madre, dove rimasero per parecchie ore.

Da quel giorno Janis si presentò a casa mia puntale alle 3 di ogni pomeriggio, rimaneva fino a sera e ogni tanto si fermava anche a cena. L’unico suo giorno libero era la Domenica, su insistenza di mia madre, ma se fosse stato per lei avrebbe lavorato sette giorni su sette. Non mi chiesi mai dove abitasse, chi fossero i suoi genitori, come fosse la sua famiglia e non capisco come feci ad essere così superficiale e cieco. Era ovvio che se una ragazzina passava più tempo possibile fuori casa un motivo ci doveva pur essere.
Mi era completamente indifferente la sua presenza, ma piano piano si stava scavando un posticino nel cuore di tutti. Mia madre le era particolarmente affezionata, credo che lei sapesse che la vita di Janis non era affatto facile e si sentì come una seconda mamma, sempre pronta ad allungare la mano per aiutarla. Mio fratello, di un paio d’anni più piccolo di lei, la iniziò a considerare come una specie di sorella e le stava parecchio simpatica nonostante la considerasse strana.
Mentre io non mi accorsi di quanto mi ero abitato a lei, la evitavo, non avevo niente da dirle.
Alcuni giorni tornavo insieme da scuola, quando la incrociavo per strada mi chiedeva di poter salire sulla mia bmx. Se ero solo mi fermavo e lei poggiava i piedi sui tubi di acciaio che uscivano dalla ruota posteriore e afferrava le mie spalle con quelle piccole dita sempre sporche.
“Saul, dici che tua madre un giorno mi presenterà David Bowie?” Me lo chiedeva spesso, ed io ruotavo sempre gli occhi al cielo sbuffando.
“Non lo so” rispondevo meccanicamente
“Che c’è per cena?”
“Non lo so”
“Saul?”
“Che c’è ancora?”
“Sai dire qualcosa a parte -non lo so-?”
“Se mi fai un’altra domanda giuro che dico a mia madre che hai solo 12 anni” si zittiva sempre, odiava che ce l’avessi in pungo, la faceva impazzire non poter controbattere ed io mi divertivo un sacco.
Ma così come arrivò, sparì.
Smise semplicemente di farsi vedere, non veniva neanche a scuola, non aveva lasciato nessun messaggio e non ci aveva salutati.
Mia madre si preoccupò terribilmente, per giorni smise di mangiare, le era passato l’appetito e i peggiori pensieri le occupavano la mente 24 ore su 24.
Janis era scomparsa nel nulla, e non potevamo far niente per rintracciarla perché nessuno le chiese mai quale fosse il suo cognome, nessuno le chiese mai dove vivesse, nessuno si interessò mai realmente a lei.
Non lo ammisi mai, ma quando quella bizzarra ragazzina se ne andò mi spezzò il cuore. Non riuscivo a pensare ad altro che a come stesse, dove fosse, cosa stesse facendo. Perché se n’era andata? Le piaceva tanto venire a casa nostra, le piaceva tanto mia madre. Si era trasferita? L’avevano rapita? Era…morta?
Fu difficile dimenticare, andare avanti con quel peso nello stomaco. La mia famiglia non era più la stessa di prima, fu come se una parte della nostra felicità e spensieratezza andò via con lei, l’aveva rubata e messa nel suo zaino giallo gigante e non era più tornata indietro.

Dovessi aspettare altri cinque anni prima di rivederla.

Giugno 2015

 Respirava a fatica, tossiva lasciando piccole macchie di un rosso vivo sul cuscino bianco.
Ero disperato, non potevo fare niente per aiutarla ma avrei dato la vita per salvare la sua.
Le accarezzavo la testa spostandole indietro i capelli, non apriva più gli occhi, quegli occhi sempre stati vivi, vigili, allegri, diventati così acquosi nell’ultimo periodo, come se una patina opaca li coprisse.
“Janis” sussurravo per poi baciarle tutto il viso.
“Janis mi dispiace così tanto di non averti amata quando avrei dovuto” mi prese la mano e la strinse con la poca forza che aveva, poi la avvicinò alla bocca e ci poggiò le labbra secche e tremanti.
Era così piccola e fragile, mi sembrava di stringere un bicchiere di cristallo, freddo e bellissimo.
Avrei preferito che morisse subito, quell’attesa mi stava lacerando l’anima.

 

Mentre la mia vita proseguì regolare Janis era rinchiusa nella piccola roulotte dove abitava, lei e i suoi tre fratelli stavano stretti in quella gabbia intrappolati dal padre sempre ubriaco e violento. Sua madre era depressa, troppo imbottita dai farmici anche solo per alzarsi dal letto, così lei si ritrovò a prendersi cura di David, Tom e Molly quando era ancora lei stessa una bambina.
Io cambiai, stavo crescendo ed entrai inevitabilmente nel mondo delle droghe pesanti, abbandonai la mia unica passione, quella per la bmx trovandone un’altra ancora più grande: la musica.
Durante la mia adolescenza passai poco tempo in quella che una volta consideravo casa, ma che ormai non era più la stessa, dormendo dove capitava sui divani scomodi di amici o conoscenti.
Mentre vivevo la mia vita, allegro e spensierato lamentandomi di problemi che ora capisco essere futili, a Janis stavano rubando la libertà, la spensieratezza che si meritava.
Ma io di questo non ne sapevo ancora niente, non pensavo quasi più alla bambina che ci aveva rapito il cuore.


 

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


 

CAPITOLO SECONDO

2025

 

“Papà ma avevi già capito di amare la mamma?” Bevo un sorso di vino rosso dal bicchiere di cristallo che tengo sospeso tra l’indice e il medio, mi chiedo da quando il mio palato è diventato così sofisticato. È tutta scena, in realtà non me ne frega niente del vino e di queste strozzate da aristocratici, gioco solo a fare il ricco.
Sono seduto su una comoda poltrona nella camera dei miei due figli, precisamente il terzo e il quarto, quelli avuti da Janis.
Lascio trascorrere qualche secondo per farli mangiare di curiosità, da quel che dicono sono bravo a raccontare le storie, e questa più di tutte sembra interessagli.
“No, direi di no” li guardo sdraiati nei loro letti corti, i loro visi sono pieni di voglia mista a uno strano bisogno di conoscere, di scoprire com’era la loro mamma quando era piccola, di immaginarla nelle vesti di una bambina, di una ragazzina e di un’adulta.
Purtroppo la verità è che non era speciale, non era perfetta ma era normale, insignificante agli occhi di tutti. Incasinata come pochi, uno spirito libero incatenato in una vita che non meritava.
Una tossica, una poveraccia, ecco com’era la loro mamma da giovane e chissà cosa pensavano i miei bambini.
Charlie è sdraiato a pancia in giù, il pigiama lungo non gli fa sentir freddo fuori dalle coperte, i piedi sul cuscino si muovono in modo scordinato, le mani sotto il mento a reggere la testa che con quei ricci castani sembra enorme.
Lo guardo mentre parlo e penso che assomigli a me, dovrei tagliargli un po’ i capelli che gli cadono fastidiosamente sugli occhi grandi e scuri.
Ha dieci anni e lui sua madre non se la ricorda, aveva pochi mesi quando ci ha lasciati.
Poi c’è Molly, chiamata così in onore della sorella minore di Janis, morta giovanissima in un incidente stradale, era solita guidare ubriaca.
Lei è pallida, i capelli neri tagliati a caschetto, lisci come la seta.
Le somiglia, ma è molto più bella anche se non se ne accorge.
“E poi?” Mi chiese Charlie incitandomi a continuare il racconto, così faccio oscillare teatralmente il bicchiere e di conseguenza il vino al suo interno, creando una strana aria misteriosa nella stanza.
“E poi?” Ripeto “Poi niente, non la rividi per anni, come ho già detto era sparita nel nulla”.


Avevo circa vent’anni, un pessimo carattere e una band emergente.
Un pomeriggio ci trovammo tutti a casa di Izzy per comporre nuove canzoni, senza troppa ambizione. Non avevamo uno straccio di soldi, così bevevamo birra scadente e fumavamo pessime sigarette da puttana, quelle lunghe e strette senza filtro.
Non ci volle molto prima che la vescica mi costringesse ad alzarmi di malavoglia per raggiugnere il bagno, bere birra è terribilmente fastidioso da questo punto di vista.
Aprì la porta senza pensarci e sobbalzai quando vidi una ragazza al suo interno che puliva il lavandino canticchiando. Izzy era tutto tranne che ricco, e mi chiesi perché diavolo avesse assunta una donna delle pulizie.
“Scusami” dissi frettolosamente, ma in quell’instante capii.
Era lei, era Janis, non ci potevo credere, non era possibile. Non ne ero completamente certo, era cambiata. Era alta, aveva delle lunghe gambe sottili, la vita troppo stretta e dei capelli neri che sembravano cotonati, ma capii essere solo incredibilmente crespi.
La somiglianza era decisamente troppa, non ebbi dubbi nel momento in cui mi sorrise e una bocca larga rivelò due evidenti rughe d’espressione ai lati.
“Janis?” Chiesi aggrottando le sopracciglia, lei mi aveva già riconosciuto.
“Saul” rispose felice, e altrettanto sorpresa.
Non seppi cosa fare, di abbracciarla non se ne parlava, non avevamo mai avuto tutta questa confidenza ed erano passati anni dall’ultima volta che l’avevo vista. Abbassò lo sguardo, come se si vergognasse e mi tornò alla mente come se n’era andata.
“Scusa, ti lascio solo” disse superandomi e chiudendosi la porta alle spalle, rimasi paralizzato immerso nei miei pensieri. Poi mi avvicinai al water e mentre indirizzavo il getto nel buco mi chiedevo se avessi appena sognato o se fosse tutto vero.
“Izzy, da quando hai una ragazza delle pulizie?” Chiedi di ritorno.
“Ah, l’hai vista. Eh l’ho trovata”
“Che vuol dire l’ho trovata?” Ero sempre più confuso.
“Ma non lo so, facevo la spesa e l’ho vista chiedere elemosina,  così ho pensato di portarla a casa e darle un piccolo lavoro, visto che qui è tutto un cesso, sai anche te che non so sistemare” fece una pausa “Perché? Che ti importa?” Alzai le spalle
“No, niente” risposi chiudendo la questione, non avevo voglia di raccontare tutto agli altri in quel momento.
Aspettavamo le nostre ragazze cazzeggiando; come previsto non eravamo riusciti a scrivere nulla di nuovo. Tutti sembravano avere qualcosa di più importante a cui pensare, me compreso. Dopo un paio d’ore trovai una scusa per allontanarmi dalla stanza per parlare con Janis.
Chiusi la porta alle mie spalle e la trovai indaffarata in cucina.
“Ehi” dissi affondando le mani nelle tasche posteriori dei jeans.
“Ehi” ricambiò mentre asciugava un bicchiere con uno straccio.
“Come..come stai?”
“Sto bene, Izzy mi sta aiutando tanto” rispose con un sorriso e un piccolo accenno di gelosia mi attraversò la mente, aveva trovato un’altra casa, un’altra famiglia. La preferiva alla mia?
“Da quanto sei qui?”
“Una settimana, poco più” mise il bicchiere asciutto al suo posto poi si appoggiò con un fianco sulla cucina dedicandomi tutta la sua attenzione.
“Mi dispiace per come me ne sono andata” lo disse guardandomi negli occhi, sicura e spavalda.
“Hai spezzato il cuore a mia madre” risposi sulla difensiva, il modo in cui mi porse le sue scuse mi fece pensare che non era realmente dispiaciuta.
“Perché non l’hai salutata?” Continuai
“Non ho avuto scelta” non aggiunsi altro, la rabbia di un tempo stava ricrescendo dentro di me e non volevo litigare con lei ora che l’avevo ritrovata.
“Ti va di andarla a trovare? Le farebbe piacere, ne sono sicuro” sorrise allegramente e notai che non aveva buchi al posto dei denti.
“Non so se è il caso”
“Lo è” confermai sperando mi ascoltasse, ero sicuro che Ola si stesse ancora chiedendo dove fosse finita la sua amata assistente.
“Ok” rialzò lo sguardo e in quell’istante, senza alcun motivo particolare, sentii di averle perdonato gli anni di silenzio.
“Tu come stai?” Mi chiese riprendendo ad asciugare le posate
“Io me la cavo” qualcuno suonò il campanello.
“Scusami” disse superandomi per raggiungere la porta d’ingresso.
Quando la aprì vidi la mia ragazza davanti ad altre tre, le fidanzate di Izzy, Duff e Axl si fecero spazio dentro casa salutando distrattamente Janis che si scostò per farle entrare.
“Slash” Emily si avvicinò portando le braccia intorno al mio collo e dandomi un lungo bacio.
“Ciao” le dissi a pochi censimenti tra lei, ero felice di vederla.
“Cosa fai qui con lei?” Chiese facendo un gesto con il capo per indicarla, Janis abbassò lo sguardo.
“È una vecchia amica” risposi mente lei alzò il viso per guardarmi accennando un largo sorriso storto di ringraziamento.
Emily notò il nostro sguardo d’intesa e si insospettì ma quando la osservò più attentamente capì di non doversi preoccupare. Si sentiva molto più bella di lei, e lo era davvero.
“Ti aspetto di sopra con gli altri” annuii mentre si allontanò su per le scale.
“È la tua ragazza?” Chiese conoscendo già la risposta, confermai la sua ipotesi
“State insieme da molto?”
“Qualche mese. Tu ce l’hai il ragazzo?” Non so perché glielo chiesi, forse per cortesia. Lei rise come se avessi appena detto qualcosa di assurdo.
“Certo che no”  mi morsi il labbro inferiore, capii che si credeva il brutto anatroccolo, non abbastanza bella per poter piacere a qualcuno.
“Ah” risposi con aria sorpresa, lei si stupì
“Ti sembra strano?”
“Si, molto”
“Mi prendi in giro?” Chiese con tono leggermente alterato
“No, affatto” cercai di avere un aria tremendamente seria. Mi studiò per qualche secondo poi alzò per un istante entrambe le sopracciglia, come se avesse accettato la cosa.
“No, mai avuto” concluse passando lo straccio sopra il piano della cucina.
Mi accorsi di essere inspiegabilmente felice di vederla, e d’un tratto mi parve molto più interessante stare in cucina a parlare con lei rispetto che raggiungere tutti i miei amici di sopra, in compagnia di alcool e droghe. Ma ero via da troppo tempo, Emily si sarebbe indispettita.
“Io torno di sopra, vuoi venire?”
“Oh no, non credo sia il caso” rispose dandomi la schiena.
“Perché no? Da quando sei diventata timida?”
“Non sono timida” rispose girandosi di colpo con sguardo severo “È solo che ho amici diversi”
“Mi offendi” risposi scherzando
“No, voglio dire, di solito esco con persone più grandi”
“Cioè? Guarda che sono più grandi, io sono il più giovane e ho comunque qualche anno in più di te”
“Si ma, i miei amici hanno una media di cinquant’anni” aggrottai le sopracciglia
“Che strani amici che hai”
“Di solito i ragazzi giovani ce l’hanno una casa” rispose fissandosi i piedi. Maledii me stesso per non aver capito e aver insisto tanto.
“Beh, è ora di farsene di nuovi. Ora una tetto sopra la testa ce l’hai, no?”
Era dubbiosa, ma qualcosa dentro di me mi disse che la stavo convincendo.
“Dai, ti piaceranno” dissi facendole segno con la testa di seguirmi.
Si morse l’interno della guancia e la sentii sussurrare -al diavolo- e piccoli passi leggeri salirono le scale dietro di me.


 

 

 

 

Ciao, spero che questa storia vi stia piacendo! Fatemi sapere cosa ne pensate, sono super curiosa di conoscere i vostri pareri.
Finalmente scopriamo il presente, 2025 anno in cui Slash parla ai suoi figli spiegando loro la storia della madre scomparsa 10 anni prima.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


CAPITOLO TERZO

Una mattina mi svegliai con un pensiero fisso nella testa, la notte precedente avevo fatto fatica ad addormentarmi, tormentato da un’idea chiara: volevo passare un po’ di tempo con Janis.
Erano trascorsi un paio di giorni da quando la rividi dopo cinque lunghissimi anni di silenzio, e una strana fobia si impadronì di me: se n’era andata? Era sparita di nuovo? Mi vestii indossando ciò che trovai, una maglietta sporca e un paio di pantaloni stropicciati con ancora oggetti nascosti nelle tasche. Andai a casa di Izzy e non appena suonai il campanello pregai di non ricevere brutte notizie.
“Cosa ci fai qui?” Izzy aprì la porta sorpreso di vedermi
“Ciao, volevo parlare con Janis” il mio amico alzò un sopracciglio dubbioso, mi squadrò senza fare domande, poi tornò dentro urlando il nome della ragazza che comparve in cima alle scale.
“Ci sono visite per te” Izzy mi lanciò un’ultima occhiata poi sparì lasciandoci soli.
“Ciao. Ti va di fare un giro?” Sembrò non aspettarsi quella richiesta ma la accettò volentieri e mi propose di entrare mentre si cambiava.
Mi sedetti su una sedia in cucina tamburellando le dita sul tavolo di legno stranamente pulito.
Mi scappò un sorriso quando tornò e notai il suo strano abbigliamento, fu una bella sorpresa scoprire che non era poi cambiata molto.
Ai piedi aveva degli stivali di gomma gialli, di quelli che si usano per zappare l’orto o che ti comprano i genitori da bambini perché sanno che non resisterai all’istinto di saltare nelle pozzanghere.
Una gonna scozzese blu le fasciava i fianchi e le stava corta sulle cosce, una canottiera bianca era leggermente nascosta da una giacca a righe verticali nere e rosse. Non aveva un filo di trucco sul viso, i capelli sciolti cadevano a boccoli per niente aggraziati sulle sue spalle ossute, e degli enormi occhiali da sole senza una lente li tenevano lontani dal volto.
“Sono pronta” annunciò allegra dirigendosi verso la porta. Salutai Izzy che mi aveva tenuto compagnia in silenzio, chiedendosi sicuramente che intenzioni avessi. Uscimmo alla luce del sole e all’aperto mi sembrò ancora più bizzarra.
“Credo che saresti diventata una fantastica stilista” le dissi squadrandola da capo a piedi, lei sorrise imbarazzata.
“Cerco di arrangiarmi con quello che ho” rispose per giustificare gli abbinamenti che ad un occhio non esperto sarebbero sembrati completamente causali.
La portai in un piccolo bar abbastanza squallido, avevo come la sensazione che non avrebbe amato posti puliti ed ordinati ed io ero completamente d’accordo. Emily insisteva spesso per non entrare al Road Bar, ed io sbuffando non potevo far altro che accontentarla e cambiare zona di Los Angeles, sorseggiando una birra fredda sotto gli sguardi allibiti delle graziose bariste che la mattina erano abituate a servire solo caffè.
“Ah, il Road Bar, bella scelta” disse quando arrivammo all’ingresso, evidentemente lo conosceva e il mio istinto aveva avuto ragione nella scelta.
“Due birra medie per favore” ordinò al grosso barista dietro al bancone, abituato a servire alcolici di mattina sembrò del tutto indifferente.
“Oh scusa, magari volevi un caffè” disse alla svelta guardandomi preoccupata, mi scappò una risata e la tranquillizzai.
“Una birra fresca va benissimo” sembrò sollevata.
Parlammo molto, di argomenti leggeri senza intrufolarci nel privato delle nostre vite. Mi chiese di Emily e mi sentii a disagio a raccontarle di lei, come se avessi paura che non volesse davvero conoscere la nostra storia.
Non riuscivo bene a capire cosa provasse per me, se mi vedesse come un fratello, un amico, un conoscente o se le piacessi. Ma non avevo il coraggio di chiederglielo ed affrontare una discussione così delicata.
Non ci provava con me, era una ragazza tranquilla che chiacchierava con un vecchio amico, e mi fece sentire bene.
Mi toccai la tasca dei jeans controllando di aver preso la stagnola ben nascosta nel cassetto, sentendo un leggero rigonfiamento mi sentii sollevato. Inizia a pensare se fosse il caso di estrarla in quel momento. Cosa avrebbe pensato Janis? Sarebbe stata d’accordo? Si sarebbe sentita offesa? Mi avrebbe giudicato? Infondo aveva passato gli ultimi anni in strada, doveva essere abitata a quel genere di cose. Così, decisi di prendere il piccolo pacchetto a appoggiarlo sul tavolo osservando attentamente la sua reazione.
“È eroina?” Chiese impassibile
“Si” arricciò le labbra e mi guardò negli occhi
“La voi prendere ora?”
“Bhe, l’idea è quella” confermai aspettando di capire cosa ne pensasse.
“Ne hai un po’ anche per me o ti riservi tutto il divertimento?” Fui tremendamente sorpreso da quella risposta, tutte le ragazze che conoscevo (a parte le prostitute con cui non avevo ancora molto a che fare) schifavano le droghe pesanti, Emily per prima. Mi rompeva spesso perché smettessi, e bla bla bla, le promettevo che l’avrei fatto senza la minima intenzione di ascoltarla sul serio. Nemmeno mia madre mi stressava tanto per quella storia. Ma Janis, Janis anche in quello era diversa dalle altre.
A lei delle regole non importava, della salute nemmeno, il futuro era davanti a noi ed era il minuto seguente, l’istante dopo il presente. Viveva così, senza obbiettivi, senza aspettative, senza preoccupazioni. Non le fregava niente di se stessa, era inconsapevolmente una fottuta rock star. Dio solo sa quanto mi innamorai di lei in quel momento, e in nei giorni a seguire. Era perfetta, era l’angelo della morte, era la versione di me al femminile e forse era persino più tosta, sicuramente superava tutta la gente che conoscevo che amava definirsi cazzuta, confrontati a lei non erano niente. In poco tempo conquistò tutti i miei amici, era spaventosamente in gamba.
Iniziò ad uscire con noi, se non si presentava c’era sempre qualcuno pronto a chiedere dove fosse. Quando c’era lei ci divertivamo molto di più, ci spingeva sempre al limite e solo ora mi rendo conto di quanto in realtà fosse pericolosa. Era letale, non sapeva cosa fosse la paura  perché aveva già perso tutto. Quando non si possiede più nulla, né materialmente né sentimentalmente, cosa ti può fermare?
Con tutte le probabilità il suo fegato era più grande della sua faccia, si vedeva il rigonfiamento sul suo ventre che contrastava con il resto del corpo pelle e ossa. Era propensa all’autodistruzione e nessuno cercò di fermarla perché finalmente avevamo trovato qualcuno che non cercava di fermare noi.
Eravamo stupidi, ingenui, caratteristiche tipiche dei giovani che pensano di avere tanto tempo e non volerlo, si pensa solo a rompere tutto, il senso di grandezza e importanza che ti gonfia il petto facendoti sentire diverso dal resto del mondo. Ma in realtà sei proprio normale, come tanti, come tutti.
Credevamo che niente ci sarebbe stato davvero a cuore, niente al mondo avrebbe potuto far nascere in noi la voglia di lottare, di vivere, di invecchiare.
Ed ora guardo due delle mie quattro ragioni di vita sdraiati nei loro letti, e penso a quanto siamo stati stupidi io e Janis a non considerare che l’amore per due creature minuscole ci avrebbe fatto cambiare idea.
Questo successe troppi anni fa, quando ancora avevo un coraggio da leoni, ma una lezione l’ho imparata nel peggiore dei modi; perdendo la persona più importante del mondo per colpa di quegli errori.

Il barista appoggiò bruscamente i due bicchieri colmi di birra sul piccolo tavolino pericolante, ci scambiammo un occhiata mentre si allontanava.
“Sono sicuro non dica niente, ma forse è meglio se andiamo in bagno” suggerii e la vidi annuire, stava pensando la stessa cosa.
Prese la borsa che aveva appoggiato allo schienale della sedia e mi seguì. Aprii la porta e la feci passare, ci chiudemmo a chiave in un piccolo rettangolo di pareti traballanti piene di scritte; la turca ai nostri piedi era squallida e preservativi pieni erano spari lì intorno insieme a mozziconi e qualche siringa usata.
“Ce l’hai la siringa?” Chiese preoccupata di doverne raccogliere una da terra.
“Certo” confermai estraendone una nuova dai pantaloni, ancora impacchettata.
“Ti dispiace se…” non finì la frase ma intuii la richiesta, per un secondo mi chiesi se fosse il caso ma poi mi ripresi, avevo scambiato l’ago con sconosciuti perché non con lei?
“No, certo. Prima le signore” dissi porgendogliela; mentre la scartava io preparavo la roba.
“Allora, a te l’onore” con fare sicuro, di chi lo aveva fatto parecchie volte, risucchiò il liquido scuro immergendo la punta nel piccolo pezzo di cotone sul cucchiaio.
Fece uscire l’aria con la precisione di un infermiera, si diede qualche colpetto sulla vena in modo da evidenziarla meglio e poi si bucò.
Fece attenzione a non cedere all’impulso di iniettarsela tutta e me la passò mentre si appoggiava alla parete con gli occhi socchiusi.
La afferrai e feci la stessa cosa per poi accasciarmi di fronte a lei, in estati.
“Grazie” disse cercando di riprendersi, barcollò fuori dalle quattro pareti raggiungendo i lavandini e specchiandosi in un vetro sporco.
“Torniamo di là?” Chiese mentre mi rialzavo. Gettai a terra tutto ciò che non mi serviva più, presi un respiro profondo e la seguii al nostro tavolo come se nulla fosse.







Ciao a tutti, e con questo capitolo ho finito di sistemre ciò che avevo già scritto, ora mi tocca continuare!
Fatemi sapere cosa ne pensate, se qualcuno li aveva già letti sarei curiosa di conoscere le vostre opinioni al riguardo.
A presto

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


 

CAPITOLO QUARTO

Io e la mia band iniziammo ad avere successo, i Guns N’ Roses erano sulla bocca di tutti e mi sembrò di vivere il migliore dei sogni.
Janis ci accompagnava ad ogni concerto, viaggiava con noi come un membro effettivo del gruppo, il sesto componente che restava dietro le quinte. Tutti credevano fosse una groupie, cosa che non poteva essere più lontano della realtà. Nessuno di noi la sfiorò mai, nessuno di noi ci provò con lei, era un’amica, una giusta, e nessuno era interessato a lei in quel senso, e d’altra parte, a lei non piaceva nessuno di noi.
Gli insulti non mancavano mai, avevamo un certo successo con le ragazze e una bella fetta dei nostri fan era composta da gente che voleva venire a letto con noi. Gelose sputavano parole perfide al suo passaggio, come se questo potesse cambiare le cose tra noi.
-Cessa morta di cazzi- era sicuramente il più gettonato, ma Janis non era quel tipo di persona che si offende o che ci ripensa quando è sola, le ringraziava con bel dito medio e camminava orgogliosa continuando per la sua strada, senza farsi scalfire da gente insignificante.
Mi piaceva, non la vidi piangere neanche una volta in tutti quei mesi che passammo insieme. Sembrava che niente al mondo potesse ferirla.
Anche le nostre ragazze erano gelose, non perché pensassero che prima o poi potesse succedere qualcosa con uno di noi, ma perché preferivamo passare il nostro tempo in sua compagnia rispetto che con loro. Sia chiaro, a me piaceva tanto Emily e mi trovavo bene con lei, ma era fottutamente noiosa ed era sempre in compagnia delle altre.
Steven, che era l’unico single, se la spassava più di tutti e ben presto iniziammo ad invidiarlo in silenzio. Finché Izzy si fece coraggio e fu il primo a lasciare la sua dolce metà. La sua felicità, il senso di libertà che emanava da tutti i pori spinse anche Duff a liberarsi di Katy e rimanemmo solo io ed Axl intrappolati in una finta storia d’amore.
“Sto pensando di lasciare Emily” gli dissi una sera sorseggiando della birra direttamente dalla bottiglia, lui mi guardò impassibile come se già lo sapesse.
“Si, anch’io sto pensando di tornare single”
“Però mi mancherà Emily” aggiunsi pensieroso
“Anche a me mancherà Katrin” e fu così che non le lasciammo. 

 2025
 

“Papà ma la amavi?” Charlie ha interrotto il mio racconto, divorato dalla paura che altre donne fossero state importanti per me oltre a sua madre.
“Certo che no. Papà ha amato solo la mamma” ha risposto suo sorella. Mi è scappato un piccolo sorriso per l’innocenza dei miei bambini. Non avevo amato solo Janis, le avevo amate tutte in modi diversi. Emily, Meghan, Perla ma mai come la loro madre, questo no.
“No Charlie, però le volevo bene” risposi per non ferirlo, non avrebbe capito, era troppo piccolo.
“E Axl amava Erin? Si sono sposati no?” Molly si è messa a sedere, è agitata, vuole collegare tutti i puntini, ricostruire tutto il passato senza farsi sfuggire niente.
“Si, Axl amava Erin”
“E perché si sono lasciati allora?” Charlie è confuso.
“È difficile da spiegare, ma a volte due persone si amano ma non sono fatte per stare insieme” li vedo guardarsi come per chiedersi se io sia impazzito, rido di nuovo sorseggiando un altro goccio di vino…capiranno. 

 

Ero sdraiato su un divano distrutto che Izzy aveva sistemato in soffitta, la luce entrava fioca dall’unica piccola finestra sul soffitto e illuminava di poco la stanza impolverata occupata da me, lui, Janis, Steven ed Emily.
La mia ragazza era seduta accanto a me, le mie gambe erano sopra le sue. Janis era rannicchiata su una poltrona piena di buchi mentre fumava lentamente uno spinello, Izzy e Steven erano poco lontani sul tappeto.
La presenza di Emily non mi permise di poter prendere qualche pastiglia che mi ero faticosamente procurato per offrirle ai miei amici quel pomeriggio. Non era programmato che lei ci raggiungesse, non lo faceva mai in mancanza di Erin, che quel giorno era con Axl.
“Allora, cosa si fa?” Chiese battendo ritmicamente il piede per terra, quel gesto non faceva che irritare tutti quanti.
A noi piaceva starcene in silenzio, tutti insieme, ma lei non sembrava poterlo sopportare neanche per un minuto.
“Assolutamente niente” risposi fissando il soffitto e giocherellano con i miei capelli.
“Vuoi dire che di solito state qui ore immobili? Non ci credo” Izzy sbuffò e lei sembrò offendersi.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” Chiese indispettita ed io fulminai il mio amico pregandolo di non iniziare una discussione inutile che poi sarebbe pesata solo sulle mie spalle.
“No, scusa”.
“Janis sei viva?” Chiesi dubbioso per il suo prolungato silenzio.
“Mmh?” L’avevo distolta dai suoi pensieri, ridemmo leggermente per la sua risposta e la sua aria persa.
“Cosa?” Chiese ridacchiando tornando nel mondo reale.
“Niente” Emily mi pizzicò una gamba, ed io trattenendo appena in tempo un verso di dolore alzai il volto per osservarla. Mi stava fulminando con gli occhi ed io davvero mi sforzai di capire cosa volesse senza chiederlo a parole, ma non riuscivo ad intuirlo.
“Saul mi accompagni in bagno?” Steven ci guardò perplesso
“Certo” risposi senza il minimo segno di esitazione, mi alzai e la seguii fuori dalla stanza.
“Si può sapere cosa vi prende? È la mia presenza? Sono io il problema?” Mi avvicinai afferrandole entrambi i fianchi e spingendola verso di me.
“Emily noi passiamo il tempo così, se ti annoi puoi andartene” ma quelle parole peggiorarono la situazione, mi tirò un pugno sul petto e mi sembrò che stesse trattenendo le lacrime.
“Che hai?” Chiesi riavvicinandomi a lei, aveva le braccia al petto e cercava di non guardarmi.
“Non ti piaccio più vero? Non piaccio a nessuno qui”
“Non è affatto vero, tu mi piaci da morire Emily” mentre dicevo quelle parole, tenendole il viso tra le mani e costringendola a guardarmi negli occhi, Janis uscì dalla stanza trovandoci accanto alla porta.
“Scusatemi” disse velocemente “Pensavo foste in bagno” aggiunse superandoci e scendendo dalla scala pericolante appoggiata instabilmente al buco nel pavimento.
Quando sparì Emily tornò a fissarmi.
“Scusami, solo che a volte penso che te e lei siate fatti l’uno per l’altra e che io non c’entri proprio niente con voi” mi sorpresi di sentire quelle parole, non avevo neanche lontanamente immaginato che potesse pensare una cosa del genere.
“Emily non mi piace Janis, insomma l’hai vista…” non lo pensavo affatto, non credevo fosse brutta, o meglio, lo sapevo ma non riuscivo più a vederla così, ai miei occhi era diventata normale, quasi bella.
Mi sentii in obbligo a dire una frase così esagerata perché sarebbe stato l’unico modo per convincere la mia ragazza a smettere di farsi strane idee, ma mi pentii subito dopo averlo detto.
Emily non era famosa per essere capace a tenersi le cose per sé, avrebbe sicuramente raccontato ad Erin la mia reazione, che a sua volta l’avrebbe raccontata agli altri. Pregai che Janis non lo venisse a sapere.
Poi sentii uno scricchiolio e intravidi dei capelli neri sparire giù per le scale e capii che mi aveva sentito, stava risalendo quando dissi quella maledetta frase.
Emily mi guardò con gli occhi spalancati, e fu la conferma che non mi stessi sbagliando.
“Forse dovrei…” dissi indicando il piano sottostante, volevo correre a parlarle e chiarire ma la mia ragazza mi bloccò.
“No. Meglio di no, lascia stare” ascoltai il suo consiglio, ma solo molto tempo dopo capii che non l’aveva fatto per lei, per non peggiorare la situazione, ma al contrario l’aveva fatto per sé stessa.
Era riuscita a mettere un muro tra me e la mia amica, e niente poteva renderla più felice.
Le cose tra me e Janis non cambiarono, lei finse di non aver sentito niente ed io di non sapere che invece aveva sentito tutto.
Emily era fastidiosamente allegra quando tornammo dagli altri, Steven e Izzy si scambiarono uno sguardo interrogatorio e dopo una buona mezz’ora il moro parò preoccupato.
“Ma Janis dove cavolo è finita?” Si alzò in piedi, dopo aver fatto la domanda a cui noi tutti stavamo pensando da un bel po’ di tempo.
Scese a cercarla e quando tornò in sua compagnia notai che aveva gli occhi arrossati, poteva essere colpa dell’erba ma qualcosa dentro di me mi disse che aveva pianto.
“Scusatemi, mi sono sentita poco bene” sussurrò rannicchiandosi nuovamente sulla sua poltrona, piccola e fragile come non l’avevo mai vista.








Eccomi con il pirmo nuovo capitolo, spero che qualcuno ricomincerà ad apprezzare questa storia!
Ringrazio in atnicipo chi si soffermerà a leggerla e vi chiedo di lasciarmi il vostro aprere,
a presto

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto ***


CAPITOLO QUINTO

“Dov’è Janis?” Steven saltellava allegramente spostando il peso da un piede all’altro, come se il pavimento fosse coperto di lava e le suole gli scottassero i piedi.
“Si, me lo chiedevo anch’io” aggiunse Axl mentre tutti spostammo lo sguardo contemporaneamente verso Izzy, che vivendo con lei, era chiaramente l’unica persona a poter rispondere.
Eravamo stipati nella piccola casa di Duff, che poco prima era sparito in cucina a prendere un paio di bottiglie di Vodka.
Quando tornò, Jeff ci disse che Janis era strana, come giù di corda, e non riusciva a spiegarsi il motivo; lei era decisa a non parlargliene.
Aveva provato a convincerla a venire, ma lei non sembrava propensa a cambiare idea, così a malincuore l’aveva lasciata sola a casa.
Lanciai un’occhiata di sbieco a Emily, cercando di non farmi vedere dagli altri; volevo scoprire se stesse pensando la stessa cosa a cui pensavo io.
Ma lei fece un cenno di no con il capo, come fosse sicura che ciò che avevo detto su di lei non c’entrasse assoltamene niente con il suo cambiamento improvviso d’umore.
“Con tutto quello che le dicono ogni giorno, e che scrivono su di lei, pensi davvero che una frase così, detta da te, possa averla offesa?” Eravamo chiusi in bagno , l’avevo trascinata per spiegarle la mia teoria e sfogare la mia preoccupazione, ma lei sembrava così sicura che sbagliassi da riuscire a convincere anche me.
In effetti Janis era una tipa tosta, troppo perché io potessi causare in lei una reazione del genere. Ma questo non toglieva il fatto che un problema ci doveva pur essere, e qualcuno doveva aiutarla.
Quando mi dileguai con una scusa banale dai miei amici, Emily insistette per venire con me, pur sapendo che non era un discorso che potevamo sostenere in due, sarebbe sembrato troppo intimidatorio e fuori luogo.
Non dissi niente davanti agli altri, ma una volta usciti di casa la costrinsi a lasciarmi solo.
Inutile dire che litigammo, aveva capito subito quale fosse il mio intento e fece di tutto per farmi cambiare idea o al limite accompagnarmi, ma quella volta fui io a non cedere; e a passi decisi, incazzata nera, andò nella direzione opposta alla mia.
Ero diretto a casa di Izzy, l’ansia mi stava divorando e non riuscivo a godermi il pomeriggio a causa di quel pensiero fisso in testa.
Quando arrivai salii i tre gradini con una piccola corsetta e bussai alla porta impaziente di ricevere una risposta.
La casa sembrava deserta, nessun rumore arrivava dall’interno e Janis non aprì. Provai di nuovo finché dopo venti minuti buoni, finalmente si decise a rispondere. Sentii il rumore dello spioncino e capii che mi stava identificando. Poco dopo ci fu lo scatto della serratura e la sua esile figura storta apparve davanti a me.
“Ehi”
“Ciao”
“Posso entrare?” Fece un passo di lato e con la mano mi fece segno di accomodarmi.
“Sono venuto a chiederti se stai bene” dissi parandomi davanti a lei, che dopo aver chiuso la porta si ritrovò in trappola tra me e la parete; non volevo lasciarle via d’uscita, volevo assolutamente una risposta sincera.
“Si, si sto bene” rispose sorpresa dalla domanda. Teneva le mani sulle sue braccia, come per proteggersi o riscaldarsi, lo sguardo stranamente puntato ai piedi. Notai delle calze grandi che le ricadevano larghe sulle caviglie sottili e una maglietta semplice le copriva il corpo come un sacco.
“Che c’è?” Chiese dopo un attimo, imbarazzata da quello sguardo così serio che la scrutava come per studiarla e scoprire la verità.
“Ti va di parlare?” Capii all’istante che non ne aveva affatto voglia, ma non disse niente, mi superò precedendomi e portandomi fino nella sua umile camera.
Era uno stanzino piccolo e vuoto, ci stava a malapena il letto e un piccolo cassettone da cui fuoriuscivano triangoli colorati di vestiti lanciai alla rinfusa.
Una finestra quadrata rendeva un po’ meno claustrofobica la stanza, ma di certo non la rendeva più bella.
Si sedette sul letto a disagio, rannicchiandosi sul cucino e appoggiando la schiena al muro, io occupai lo spazio apposto lasciando una bella distanza tra noi.
“Janis so che hai sentito quello che ho detto a Emily…” mi fermai curioso della sua reazione, in base a quella avrei deciso come continuare il discorso. Ma lei rimase in silenzio, e in quel momento mi sembrò ancora più difficile andare avanti.
“Non penso affatto a quello che ho detto, voglio che tu lo sappia. È solo che sai com’è fatta Emily, non volevo credesse ci fosse qualcosa tra me e te” a quelle parole alzò lo sguardo.
“Tra me e te?” Chiese confusa aggrottando le sopracciglia.
“Si, insomma, dice che noi siamo molto simili, che ci capiamo, e lei si sente esclusa” Janis mi guardò come se avessi appena detto di aver visto due alieni bere una birra insieme al bar; era esterrefatta.
“Cosa c’è?”
“Non serve che inventi queste scuse Slash, so benissimo di essere un mostro” quelle parole mi colpirono come un pugnare dritto nel cuore. Non solo per la tranquillità con cui mi disse di essere brutta, ma la sicurezza che aveva nel credere che nessuno potesse essere geloso di lei, perché nessun ragazzo l’avrebbe mai voluta.
Mi avvicinai senza pensarci, la raggiunsi e le presi i polsi per attirare la sua attenzione che sembrava così ostinata a non darmi tenendo la testa chinata in avanti.
“Janis non sto mentendo, non sono scuse. Ho sbagliato, sono stato uno stronzo, esattamente come quando tanti anni fa non ti ho dato una moneta per comprare il gelato…” Sorrise leggermente, allora continua convinto di essere sulla strada giusta.
“Esattamente come quando venivi a casa mia, sapevi tutto di me ed io non ti ho mai chiesto nemmeno come ti chiami” sorrise di nuovo, ma questa volta in modo triste e malinconico, e mi resi conto di non conoscere ancora il suo cognome.
Avevo sempre pensato che lei non avesse dato importanza a queste piccole cose, ma in quell’istante capii che la stavo ferendo, da tutta la vita.
“Janis non sai quanto mi dispiace” lasciai la presa, convinto di aver fallito e incredibilmente in imbarazzo; non mi ero mai accorto di niente finché non le parlai quel pomeriggio.
Ma poco dopo, silenziosamente, si avvicinò e mi abbracciò. Toccai la sua schiena spigolosa sentendo tutte le ossa sotto il mio tocco. Affondai il viso nel suo collo e il profumo dei suoi capelli misto a fumo invase le mie narici. Assaporai quel contatto come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
“Quanto sei magra” lo dissi involontariamente ad alta voce, ma la sorpresa di stringere un corpo così esile non mi lasciò il tempo di pensare di tenere un commento del genere per me, sopratutto in una situazione così delicata.
Era di corporatura molto minuta, lo era sempre stata, e questo enfatizzava le sue ossa storte; ma probabilmente l’assunzione di droga le ha fatto passare la poca voglia che aveva di mangiare e quello era il risultato, uno scheletro.
Non rispose alla mia affermazione ma si fece ancora più piccola contro di me e mi sembrò di stringere un cane abbandonato che finalmente aveva trovato qualcuno pronto ad amarlo.
Le misi una mano tra i capelli, e non potevano essere più diversi da quelli di Emily, sempre così morbidi e pettinati. Ma non mi dispiacevano, avevano qualcosa di selvaggio. Janis in generale portava addosso l’odore di libertà, cosa che mi aveva sempre attratto.
“Scusa”  sussurrò riferendosi all’abbraccio improvviso.
“Non preoccuparti. Sono io che ti devo delle enormi scuse” si asciugò una guancia con il dorso della mano, una piccola lacrima le era scivolata sul volto.
“Giuro che sei la ragazza più incredibile che abbia mai conosciuto…e ne ho conosciute tante” riuscii di nuovo a farla ridere e questo mi scaldò il cuore.
Poi qualcosa, all’improvviso, scattò dentro di me, come se la benda che mi aveva da sempre fasciato gli occhi fosse scivolata via facendomi vedere davvero Janis, per la prima volta. 

 

2025

“Ma papà, la mamma era anoressica?” Più continuo con il racconto e più Molly sembra sveglia, dovevo farli addormentare ma la troppa curiosità sta causando l’effetto opposto.
“Non lo so, credo di no, ma si avvicinava parecchio”
“Ma nelle foto è così bella” trovo dolcissimi gli occhi dei bambini, Charlie è innamorato perso di sua madre, la vede come la donna più bella del mondo e mi ripete che se fosse ancora viva la vorrebbe sposare. Mi si chiude lo stomaco quando sento questo tipo di frasi e immagino come avrebbe reagito Janis se fosse ancora qui, tutto l’amore che non ha mai avuto era rinchiuso in questi due bambini così simili a noi.
“Si era davvero bella, ma i ragazzi sono spesso stupidi e si soffermano solo sui difetti di una persona” Charlie sembra pensarci, forse si chiede se anche lui diventerà così superficiale crescendo.
Mi lascio andare per un momento ad un ricordo che non posso raccontare, assaporando quegli attimi, immaginando di essere ancora lì con lei, su quel letto nello stanzino della vecchia casa di Izzy.


Guardai il suo volto spigoloso e vidi una ragazza stupenda, divorata dalla povertà e da una vita troppo difficile per chiunque.
Guardai le sue gambe fragili e mi venne voglia di sfiorarle, di stringere piano le sue cosce tra le mani e risalire lentamente, immaginai i miei palmi scuri a contrasto con la sua pelle candida. Volevo toglierle la larga maglietta che nascondeva il suo corpo, sfilargliela dolcemente e poterla guardare, poter scoprire ogni millimetro di quel corpo.
Deglutii mentre immaginavo di spostarle i capelli dietro l’orecchio, avvicinarmi e darle un bacio, sentire le sue labbra premute sulle mie, i suoi occhi sprofondati nei miei, volevo sentirla ansimare, volevo farla sentire speciale, bellissima, farla godere.
Ma preso dal panico mi alzai, e tornai a sedermi ai piedi del letto. 

 

 

 

 

 

Buongiorno,
ho notato che questo fandom purtroppo sta un po’ morendo e mi dispiace tantissimo. Spero che le poche persone rimaste possano apprezzare questa storia, fatemi sapere i vostri pareri, a presto!

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto ***


CAPITOLO SESTO

Eravamo appena arrivati in un locale fin troppo ordinato, ragazzi in giacca e cravatta, e  ragazze impacchettate in vestiti aderenti troppo costosi, occupavano una specie di pista da ballo di proporzioni enormi, accerchiata da casse che riempivano la stanza di musica dance che, nonostante i miei sforzi, non riuscivo ad apprezzare.
Erano i figli dei ricchi, gente abituata a vivere in mezzo a grandi attori e musicisti famosi, perciò a parte qualche autografo e qualche bacio non richiesto, nessuno ci disturbò particolarmente.
Emily controllava poco distante da me tutte le ragazze cinguettanti che mi si lanciavano al collo, puzzavano di alcool zuccherato e stringevano nelle mani drink dai colori improponibili.
Non poteva ribattere o lamentarsi perché ovviamente la scelta di passare la nottata in quel posto di merda era stata sua, in comune accordo con Erin che sguazzava in quel mondo dalla nascita, e lì si sentiva come a casa.
La mia ragazza invece la viveva molto diversamente, nata nella parte più povera di Los Angels era perfettamente mascherata in quell’ambiente che sembrava appartenerle, e che invece sognava da tutta una vita.
Janis era l’unica a disagio almeno quanto noi, camminava davanti a me seguita da sguardi sorpresi che non si facevano riguardi a mostrarle disprezzo; era chiaro che non voleva essere lì, non c’entrava assolutamente niente. Stonava accanto ai corpi pieni e formosi di ragazze mezze nude con la coda alta che tirava la pelle del loro viso facendole sembrare tutte orrendamente rifatte, mentre il rossetto sforava dal contorno della labbra rendendole a dir poco ridicole.
Lanciavo sguardi minacciosi a chiunque bisbigliasse al suo passaggio, mi sentii come una specie di guarda del corpo.
Raggiungemmo a fatica il nostro tavolo privato, era circolare e aveva una bella vista sulla pista da ballo grazie ai pochi gradini che rialzavano la piattaforma su cui era messo. Strisciai sul divanetto semicircolare di pelle rossa sedendomi tra Steven e Duff. Emily era quasi perfettamente di fronte a me, accanto a lei c’era Erin ed era difficili capire chi delle due i ragazzi sudati e ubriachi stessero mangiando con gli occhi. Guardavo la mia ragazza e pensavo che era davvero sexy stretta in quell’abito aderente che le aveva prestato l’amica.
Dopo un’ora di lamenti decisero di andare a ballare senza di noi, nessuno era elettrizzato all’idea di accompagnarle.
“Guarda che se non balli te con lei lo farà qualcun altro” mi urlò Duff nell’orecchio per riuscire a farsi sentire, ma quella frase non mi fece alcun effetto, non mi interessava particolarmente se qualcuno si strusciasse contro di lei, se a lei stava bene.
“Janis tu vieni?” Le chiese Erin scattando in piedi impaziente.
“No, credo che andrò un secondo in bagno” rispose alzandosi mentre le due si stavano già allontano ridacchiando eccitate e succhiando l’alcool dalle cannucce di plastica nere.
Janis indossava dei corti pantaloncini di jeans abbastanza larghi, erano a vita alta e una cintura nera li stringeva sulla vita per non farli scivolare, una canottiera bianca spariva al loro interno e una camicetta leggera rimaneva aperta coprendole la schiena e le spalle, era a maniche corte e piccoli disegnini indecifrabili la ricamavano. Ai piedi dei grossi anfibi neri facevano intravedere delle larghe calze bianche che ricadevano molli sulle scarpe dalle stringhe slacciate. Era vestita come ci si veste per andare in spiaggia, o al bar nel pomeriggio, non in un locale con la lista degli invitati all'ingresso.
Costrinsi Steven ad alzarsi per farmi passare, dopo un lungo lamento si decise a spostarsi borbottando qualche imprecazione sottovoce.
Riuscii a sgusciare da quel tavolo e assaporai la mia libertà, essere incastrato in quel modo mi stava facendo impazzire.
Senza nessuno scopo preciso mi ritrovai ad inseguire Janis, non l’avevo programmato, semplicemente mi sembrava l’unica cosa sensata da fare.
Così mi lanciai nella folla, erano tutti strafatti, la cocaina era l’ingrediente principale di quelle serate e se c’era una cosa che odiano a morte erano i figli di papà tossici.
Trattenni la voglia di tirare pungi a diversi imbecilli ed arrivai finalmente all’ingresso del bagno, dopo aver notato poco lontano Emily ballare con uno socnosciuto.
Vidi una gigantesca porta aperta, controllata da un bodyguard quasi delle stesse dimensioni. Lo superai, anche quella parte del locale era affollata, le ragazze battevano di gran numero i ragazzi che pisciavano velocemente e se ne andavano alla svelta. Una volta entrato notai che il corridoio si apriva in due diverse direzioni, una illuminava da neon di un rosa accecante, ed una da un neon verde acido; dei disegni con il simbolo delle donne e degli uomini indicavano la direzione giusta da seguire ma quella sera sembrava non avere molta importanza.
Mi incamminai nella direzione dal colore rosa e mi ritrovai in un gigantesco bagno affollato, anche fuori da quella porta un bodyguard della stessa stazza dell’altro era fermo impassibile fissando la parete nera di fronte.
Entrai indisturbato e mi appoggiai ad un lavandino tra risatine e piccole proteste. Osservai una bionda mettersi il rossetto rosso su delle grosse labbra carnose e inconsapevolmente mi ritrovai ad immaginarla inginocchiata davanti a me.
“Slash?” Janis arrivò distogliendomi dai miei pensieri, si stava allacciando la cintura e la notai cercare un passante che non esisteva, così fu costretta ad allargarla leggermente.
Le afferrai i fianchi e la tirai verso di me, imbarazzata, con il bacino contro il mio, cercò di mantenere la distanza con la parte superiore del corpo, girando il volto.
“Cosa stai facendo?” Chiese seria aggrottando le sopracciglia, non lo sapevo nemmeno io cosa stessi facendo, non ne avevo la più pallida idea, sentivo solo di volerla baciare.
“Slash smettila” mise le ossute mani sul mio petto spingendomi con tutte le sue forze, senza però riuscire a spostarmi di un centimetro.
“Janis non ci vede nessuno” questa volta cambiai strategia, la spinsi facendo grandi passi verso la parete opposta, urtammo un po’ di gente subendoci i loro insulti, Janis si aggrappò alle mie braccia per non cadere mentre era costretta a camminare velocemente all’indietro.
“SLASH!” La feci scontrare contro il muro, forse un po’ troppo violentemente, misi le mani ai lati del suo volto contro le piastrelle gelide e avvicinai il mio viso al suo piegando le braccia a cui era ancora aggrappata.
“Non so cosa mi prende Janis” sussurrai fissandole le labbra larghe, provando solo il desiderio di baciarle.
“E Emily?” Chiese preoccupata spiando la porta d’ingresso
“Non verrà proprio ora in bagno, no?” I suoi occhi, poco più in basso dei miei, erano grandi e spaventati. Avvicinai la bocca alla sua, sfiorandola leggermente mentre la sentivo rabbrividire. Fu lei a cedere per prima, mise una mano tra i miei capelli e mi baciò. Fu un bacio umido, alcolico, passionale, le nostre labbra si cercavano disperate, come se avessimo rimandato quel momento per troppo tempo.
Abbassai le mani afferrando le sue cosce e stringendole tra le dita, nello stesso momento le morsi il labbro inferiore per poi far scontrare le nostre fronti leggermente sudate.
“Slash non mi va, non mi va di essere l’amante” si staccò leggermente abbassando il volto, capii di dovermi allontanare, il momento era finito.
“Janis non sei la mia amante”
“E cosa sono? Meno di quella?” Sgranai gli occhi
“Certo che no, mollerò Emily, non m’importa”   mi fissò dubbiosa.
“Giuri?”
“Giuro” risposi sicuro raddrizzando le spalle per apparire più serio ed affidabile.
Lei sorrise, le rughe d’espressione marcate riapparirono e non trattenni l’istinto di rifiondarmi sulle sue labbra.
Questa volta si lasciò andare, le sue mani si muovevano impazienti sulla mia schiena infilandosi sotto la canottiera e sfiorandomi il petto, io infilai le dita sotto i suoi pantaloni a fatica ma di nuovo fummo fermati.
“Ragazzi non potete stare qui” il bodyguard ci guardava impassibile con una mano salda sulla mia spalla che appariva come una minaccia.
“Va bene, va bene” dissi allontanandomi, ero incredibilmente eccitato e non avrei permesso più a nessuno di interromperci, la trascinai fuori dal locale stringendole la mano  facendo intrecciare le nostre dita. Arrivammo fino alla mia auto e ci fiondammo sui sedili posteriori.
Lei era sotto di me, eravamo ancora vestiti mentre ci baciavamo dimenticandoci quasi di respirare.
“Slash ti…ti devo dire… una cosa” cercò di parlare ma non le lasciavo il tempo.
“Slash…davvero…Slash” finalmente mi fermai e la guardia negli occhi
“Che c’è?” Chiesi con un tono leggermente scocciato
“Slash sono vergine” 













Buongiono,
ringrazio chi sta seguendo questa storia, sarei super curiosa di sapere il vostro parere.
A presto!

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Capitolo 8
*** Capitolo settimo ***


CAPITOLO SETTIMO

Non ci potevo credere, Janis era davvero ancora vergine?
Imbarazzata si mise a sedere allontanandosi leggermente da me. Non riuscii a nascondere la mia totale sorpresa a quell’affermazione.
“Cosa?” Chiesi dopo un po’ scrutandola dubbioso da sotto le sopracciglia aggrottate, era un modo per non fare sesso con me? Poteva dirmelo, non me la sarei di certo presa.
“Si…insomma sai, non ho avuto molti ragazzi nella mia vita” lo disse come per scusarsi, come fosse colpa sua.
“Si ma neanche con quei pochi?” Non avevo alcun tatto, non mi resi conto che per lei era una argomento delicato.
“In realtà non ho mai avuto nessuno…” ammise tenendo lo sguardo basso e portandosi le gambe contro il petto, come per proteggersi e nascondersi nello stesso tempo.
Chiusi alle mia spalle la portiera dei sedili posteriori, l’avevo lasciata aperta per avere più spazio ma in quel momento sentii che era diventato un momento più intimo di quanto immaginassi, nonostante avessimo ancora i vestiti addosso.
Mi avvicinai a lei deciso a cambiare il mio piano, quella sera non l’avrei di certo toccata, non così, non in un parcheggio pieno di persone fuori da uno schifoso locale di ricchi cocainomani viziati, nel quale in quell’istante c’era anche la mia ragazza.
Per un attimo pensai ad Emily, le sue curve enfatizzate dal vestito provocante e ragazzi eccitati che le si strusciavano addosso, e rabbrividii.
“Non ne avevo idea” dissi appoggiando una mano sulla sua spalla
“scusami” aggiunsi sentendomi in obbligo. Sorrise leggermente, ancora in imbarazzo.
“Non ti devi scusare Slash, sono io a doverti delle scuse…ti ho illuso, sapevo già da quando eravamo in bagno che non volevo arrivare fino in fondo, avrei dovuto dirtelo e non stare al gioco” a quelle parole la maledii mentalmente perché effettivamente ero parecchio eccitato per quella scappatella, per di più con una persona che stava iniziando a piacermi contro qualsiasi aspettativa.
“Non dirlo neanche” risposi mentendo, sapevo che era la cosa giusta da fare.
“E se ti invitassi ad uscire? Cosa diresti?” Chiesi dopo qualche minuto trascorso in silenzio, tamburellavo le dita sul sedile agitato.
“Non devi lasciare Emily per me” la guardai sorpreso
“Perché no?” Inizia ad essere davvero confuso, poco prima mi aveva detto che sarebbe stata con me se in futuro avessi lasciato la mia ragazza, ed ora, oltre ad avermi rivelato di essere vergine, aveva completamente cambiato idea anche su di noi?
“Janis non ci sto capendo più un cazzo, ci vuoi uscire con me o no?” Persi le staffe senza motivo, forse perché trovavo assurdo essere rifiutato da una come lei. Insomma, aveva appena ammesso che nessun ragazzo al mondo le aveva mai chiesto di uscire, nessun ragazzo al mondo l’aveva voluta sfiorare, ed ora che ne aveva uno -che per altro era parecchio richiesto- lo rifiutava?
“No…cioè insomma, si…credo di si ma…”
“Ma?” La incalzai poco educatamente
“Niente, lasciamo perdere. Fanculo” la vergogna che provava si trasformò in rabbia per il mio tono tutt’altro che rassicurante, e solo grazie al suo cambiamento mi resi davvero conto di quanto fossi stato stronzo.
Uscì dalla macchina camminando verso il locale, la raggiunsi velocemente con una piccola corsetta e le afferrai il polso sottile per bloccarla.
“Aspetta, scusa sono uno stronzo” dissi nel modo più sincero e autentico possibile fissando i suoi enormi occhi da cerbiatto.
“Janis, hai da fare domani sera?” Accennai un sorriso e ne vidi nascere uno anche sulle sue labbra, timido e incerto.
“No, credo di no”
“Perfetto, allora ti passo a prendere alle nove” dissi mettendo un punto fermo a quella discussione e appoggiandole un braccio intorno alle spalle mentre tornavamo insieme all’ingresso entrambi un po’ confusi e sorpresi, ma felici. 


2025

“Papà? Papà ci sei?” Scuoto la testa ritornando alla realtà, senza accorgermene mi sono incantato fissando il bicchiere di vino ormai quasi vuoto.
“Si, si scusa Charlie stavo pensando ad una cosa…”
“A cosa?”
“Questo non posso raccontarvelo. Si è fatto tardi, continuiamo domani” dico con fare autoritario, ma le proteste dei miei figli mi fanno cedere e decido di raccontare loro l’ultima cosa. La rottura tra me ed Emily. 
Mi rimetto comodo sulla poltrona e appoggio un piede sul ginocchio opposto, finisco d’un sorso il vino e ricomincio a parlare del passato.

 

“Ciao, ti devo parlare” Emily si spostò per farmi passare e richiuse la porta di casa sua alle nostre spalle. Mi fece strada verso la sua camera, incredibilmente femminile e un po’ infantile. Mi sedetti sul suo letto ad una piazza e mezza così familiare, ci avevo passato molte notti e molti pomeriggio nudo avvolto da quelle coperte sempre stirate e profumate. I suoi genitori non erano in casa e questo semplificò ciò che dovevo fare.
“Cosa c’è? Mi stai spaventando Slash” disse agitata facendosi troppo vicina
“Emily non credo che dobbiamo continuare a vederci” i suoi occhi erano colmi di lacrime, si appannarono talmente velocemente che mi chiesi se già si aspettasse cosa le stavo per dire.
“No…ti prego” disse con voce rotta gettandosi tra le mie braccia. La abbracciai per un po’, chiedendole scusa e assicurandole che non mi piacesse nessun altra ragazza, ma sembrava non volermi ascoltare.
Alla fine dovetti strisciare via dalla sua presa, fradicio di lacrime e muco, e scappare sperando che non mi inseguisse anche per strada.
Avevo il cuore a pezzi, non fu facile separarsi da lei, fu la mia vera prima ragazza e le volevo un bene indescrivibile nonostante i nostri caratteri diversi. Aveva saputo ascoltarmi, si era presa cura di me, e ci eravamo fidati l’uno dell’altra.
Tutto era finito, ma per cosa? Per Janis? Lungo la strada per la casa di Izzy iniziarono a venirmi dei dubbi. Avevo sbagliato? Stavo davvero dicendo addio ad Emily per stare con una come Janis? Ma ormai era tardi per tornare indietro, la cosa migliore era andare da lei, infondo se fosse andata male non ci avrei messo tanto a trovarmi una nuova ragazza.
Suonai il campanello e quando la vidi alla porta ogni mio dubbio svanì completamente.
I suoi soliti vestiti strambi, i capelli arruffati e il viso spigoloso mi riportarono subito il buonumore facendomi dimenticare di Emily per l’intera serata.
Andammo a bere in un piccolo bar ammuffito, era popolato da uomini grassi e viscidi, così decisi che era meglio sederci in un tavolo all’angolo in modo da nasconderla da sguardi indiscreti. Lei sembrava non preoccuparsene, come se nemmeno loro la potessero guardarla in quel modo.
“Ho un po’ di eroina, andiamo a farcela nel bagno?” Mi chiese mostrandomi un piccolo pezzo di stagnola orgogliosa che estrasse da una tasca dei pantaloni, me lo porse senza alcun riguardo, infondo non credo che la gente si sarebbe sconvolta, sembravano tutti alcolizzati depressi scappati dalle mogli e dai figli.
“Si, ok” risposi alzandomi per primo. Raggiungemmo il bagno, c’era una sola porta cigolante con un buco circolare al centro, dove sicuramente qualcuno aveva tirato un bel pugno. Ma non si vedeva all’interno, c’era ancora uno strato storto di compensato, quando la aprii capii che qualcuno l’aveva inchiodato sopra malamente.
Le feci segno di entrare per prima, poi chiusi a chiave.
“Slash” alzai lo sguardo
“Facciamo sesso” sgranai gli occhi sorpreso
“Cosa?” Chiesi cercando di capire se mi stesse prendendo in giro
“Si, dai voglio farlo, voglio togliermi questo peso”
“Qui?” Mi guardai intorno
“Si” alzò le spalle, come se non le importasse, ma qualcosa mi disse che in realtà non era così, aveva solo fretta di levarsi quella macchina di dosso, come se da quello dipendesse la reputazione di una persona.
“No, se vuoi farlo andiamo a casa tua”
“Casa mia?”
“Si, voglio dire casa di Izzy”
“Ma ci vedrà”
“E quindi?”
“Non lo dirà ad Emily? Insomma, preferisco che sia tu a farlo, non voglio che mi odi” quella nuova versione di Janis mi turbava. Da un lato finalmente conobbi la sua parte sensibile, le sue paure, le sue incertezze. Dall’altro l’averla creduta così tosta, quella verità la rendeva debole, più di quanto non fosse realmente.
“Janis l’ho già lasciata, te l’avevo detto che l’avrei fatto” sembrò stupita, come se infondo non si aspettava che avrei davvero preferito lei ad Emily, e mi fece un incredibile tenerezza.
“Dai cretina, andiamo via di qui” le presi la mano dimenticandomi dell’eroina e trascinandola fuori dal bar.
La leggera aria serale pungeva la nostra pelle riempiendola di pelle d’orca, le misi un braccio attorno alle spalle avvicinandola a me e mi resi conto di non averla ancora baciata.
Ne approfittai quando si voltò a guardarmi, mi fiondai sulle sue labbra smettendo di camminare in mezzo alla strada e prendendole il viso tra le mani.
Qualcuno suonò il clacson e fummo costretti a separarci per spostarci sul marciapiede, ma una strana felicità mi fermò dall’insultare l’autista come ero solito fare, al contrario, risi intrecciando le mie dita alle sue e trascinandola in disparte.
“Facciamo presto a tornare a casa” dissi mordendomi un labbro per fermare l’impulso di baciarla ancora.

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo ***


CAPITOLO OTTAVO


2025

“Ora a dormire” come previsto i miei due figli stanno protestando battendo i piedi sul cucino, sdraiati ancora a pancia in giù si rialzano anche loro quando mi rimetto in piedi.
“No, no dai basta” dico cercando di afferrarli al volo mentre saltano sui loro letti.
Li rimetto sdraiati, supini, e li incastro sotto le coperte.
“Ma papà..”
“È tardissimo, continueremo domani” ho già prolungato abbastanza questo racconto, si è fatta quasi mezzanotte e come sempre, sono stato troppo buono facendomi abbindolare dalle loro faccette curiose. 
“Ancora dieci minuti, solo dieci minuti” scuoto la testa, do un bacio in fronte ad entrambi e, dopo aver augurato loro la buonanotte, spengo la luce e chiudo la porto. Resto in ascolto perché so per certo che andranno avanti a parlare di ciò che hanno appena scoperto della loro madre, ma non ho il coraggio di impedirglielo.
Trascino i piedi fino alla mia camera da letto, quella che un tempo fu nostra e che non ho più avuto il coraggio di condividere con nessuno.
Mi riempio un ultimo bicchiere di vino prima di sdraiarmi e accendere la tv, fisso lo schermo senza realmente guardarlo immergendomi nel ricordo della nostra prima volta.

 

 

“Slash…Slash! Cazzo, mi schiacci!” La sentii protestare mentre cercava di sgusciare fuori dalla mia presa. Eravamo sdraiati sul suo letto, chiusi in quello che una volta era il ripostiglio di Izzy e che ora era diventato la piccola camera di Janis.  
La stanza era completamente buia e a malapena riuscivo a distinguere la sua esile figura sotto di me.
“Accendiamo la fottuta luce” cercai di proporre per l’ennesima volta mentre goffamente invertimmo le posizioni, e la lasciai salire a cavalcioni su di me.
“No, non mi va. Mi vergogno” alzai gli occhi al cielo, consapevole che tanto non poteva vedermi nonostante la minima distanza che ci divideva.
“Non so stare sopra” aggiunse poco dopo sospesa in aria, mentre si reggeva sulle ginocchia mantenendo la distanza tra il mio corpo e il suo.
Iniziai a ridacchiare divertito, quella situazione era di certo pessima ma in qualche modo lei mi faceva ridere, con quel misto di forte imbarazzo e voglia di far le cose giuste.
“Smettila Slash, non è divertente” mi tirò un leggero pungo sul petto ed io mi morsi le labbra per non farmi sentire, ma poco dopo notai che l’avevo contagiata.
“Non la immaginavo così la mia prima volta” ammise mentre si sedeva sulle mie gambe, poco sotto il bacino. Le accarezzai le cosce facendo scivolare le mie mani dalle sue ginocchia ai fianchi ossuti.
“Hai ragione, ma la prima volta fa schifo per tutti. Te lo garantisco” ripensai ad Emily per qualche istante, solo un momento per ricordare noi due vergini aggrovigliati in modo strano, mentre delusi ci chiedevamo cosa ci fosse di così tanto speciale nel fare sesso.
“Senti, se mi lasci accendere la luce tu ti sdrai e faccio tutto io, va bene?” Non rispose ma era un buon segno, significava che ci stava finalmente pensando. Dopo qualche secondo sbuffò alzandosi.
“Va bene, però aspetta” la sentii trafficare con qualcosa, non riuscivo a capire cosa stesse facendo così aspettai impaziente finché non accese la piccola lampada sul comodino e notai che era coperta con la sua maglietta blu.
“Ecco, così può andare” disse soddisfatta ammirando la sua opera ben riuscita. Il tessuto scuro attenuava la luce che si diffuse soffusa nella stanza, illuminandoci appena. Dovetti ammettere che era un giusto compromesso.
Mi spostai facendola sdraiare, per poi rimettermi sopra di lei stando ben attento a non schiacciarla di nuovo. Sentii le sue gambe avvinghiarsi attorno al mio bacino e le sue braccia al mio collo. Mi pagai per baciarla e cercare di distrarla.
“Slash…”
“Mmh?” Chiesi senza staccare le labbra umide dalle sue
“Fai piano, ok?” Mi separai per guardarla negli occhi, per un’istante mi sembrò molto più piccola di quanto fosse in realtà.
“Si, non preoccuparti”
Quella notte, con tutta la calma di cui era capace, facemmo l’amore. Non fu particolarmente bello, ma una strana sensazione che non avevo mai sentito prima mi riempì il petto e rimase per tutto il tempo. Era una sorta di affetto, misto alla voglia di preoccuparmi più di far star bene lei che me, non l’avevo mai provato prima.
Sapevo di non esserci proprio riuscito, ma avevo fatto davvero del mio meglio; fosse stata un’altra ragazza non mi sarei di certo preoccupato così tanto del fatto che per lei fosse la prima volta. Notai le sue espressioni di dolore, anche se non disse una sola parola. Così, una volta finito, mi sentii quasi obbligato ad abbracciarla, come se le avessi fatto volontariamente del male.
“Ti ha fatto schifo vero?” Mi chiese dopo, seduta tra le mie gambe con la schiena spigolosa appoggiata al mio petto ancora sudato, mentre la mia era contro il muro dietro al letto. La sua testa era sulla mia spalla, le nostre mani intrecciate mentre lei giovava con le mie dita mentre io le lasciavo qualche bacio sulla guancia, sul collo e sulla spalla.
“No” borbottò qualcosa lamentandosi della mia risposta poco sincera, ed io ridacchiai.
“Sarà più bello la prossima volta” le assicurai per farla felice. Lei tirò il lenzuolo bianco e stropicciato per coprirsi un po’ di più, costringendomi ad alzare le mani dal suo ventre per poi riappoggiarle nello stesso punto, ma sopra il tessuto leggerlo.
“Perché ti corpi?” Chiesi liberandomi dalla sua presa e facendo scivolare le mie dita sul suo corpo liscio, lei le afferrò di nuovo per bloccarle.
“Slash non mi va” corrugai le sopracciglia
“Cosa?”
“Che mi tocchi”
“Perché no?”
“Perché non mi va” ma non ci voleva di certo uno scienziato per capire cosa non andasse. Sapevo perfettamente che soffriva per il suo aspetto, per il suo corpo privo di quelle curve che di solito fanno eccitare un uomo, per il suo viso così poco aggraziato e per le sue ossa storte. Di certo guardandola, poco prima, non avevo trovato niente da toccare e stringere, ma stranamente non mi sembrò importante in quel momento.
Ripensai a quando mi aveva trovato per sbaglio a dire ad Emily cosa pensavo di lei, e mi sentii ancora più in colpa di quanto non mi fossi sentito quando era successo.
Liberai le mani nuovamente dalla sua presa, che questa volta era più salda dopo la facile fuga di prima, ma non fu comunque difficile batterla. Si mosse per alzarsi ma la bloccai contro di me avvolgendola con un braccio e accarezzandole una spalla con il poco movimento che potevo permettermi di fare per non farla fuggire.
Con l’altra mano sgusciai sotto il lenzuolo per poi sfiorare dolcemente il suo profilo fino alle cosce, poi risalire scorrendo al centro del suo corpo; sentii la pelle calda, morbida, poi dei peli leggermente ispidi, risalii fino all’ombelico, sulla pancia, fino ad arrivare al seno piatto.
“Slash…per piacere"
“Janis, giuro che mi piaci da morire” glielo dissi per non farlo sembrare uno stupro, ma mentre pronunciavo quelle parole mi accorsi di pensarlo davvero. Il suo corpo rigido si lasciò leggermente andare, i muscoli contratti si rilassarono mentre entrambe le mani stringevano un po’ meno forte il mio braccio scuro in contrasto con la pelle pallida del suo petto. La sentii muoversi, e questa volta decisi di mollare la presa, ma invece di fuggire come avevo immaginato, si voltò per baciarmi.
Le accarezzai una guancia con il pollice mentre chiusi gli occhi per quel contatto così dolce e inaspettato.
“Grazie” sussurrò ad un millimetro da me
“Grazie?” Chiesi provocando in lei una risatina nervosa.
“Si, grazie. Per essere stato con me” la guardai storto
“Non l’ho fatto per farti un favore” la poca luce mi permise di vederla avvampare leggermente, ma capii che se il suo volto fosse stato più illuminato avrei notato un rosso fuoco sostituire il bianco marmoreo della sua carnagione.
Le avevo risposto con un tono offeso e lei di rimando abbassò la testa.
“Janis, ti fai molti più problemi di quanti ce ne siano. Tu mi piaci, e molto. Emily è sparita dalla mia vita, e ora ci sei tu. Non lo sto facendo per farti un favore, io voglio stare davvero insieme a te…o perlomeno provarci”.
Dopo qualche secondo che passò in completo silenzio, senza rispondermi, si accoccolò contro di me, i nostri corpi nudi si riscaldavano a vicenda mentre lei si faceva piccola conto il mio petto. La abbracciai per poi lasciarle un  bacio sulla testa, tra i capelli, e capii che ci sarebbe voluto molto tempo per convincerla di quanto stessi facendo sul serio con lei.

 

2025

Spengo la televisione perché ho come la sensazione di vedere i miei ricordi su di essa. Guardavo lo schermo mentre rivivevo quel momento, una notte così insignificante all’epoca, e così importante ora. Sento un nodo alla gola e mi riempio un altro bicchiere, come se potessi mandare giù quella malinconia insieme all’alcool.
“Janis…” sussurro per poi sentirmi un pazzo, uno stupido, un coglione.
Sono passati dieci anni, dieci anni da quando se ne andata, ed io ancora oggi non riesco a farmene una ragione.










Buongiorno, 
ecco un nuovo capitolo un po' diverso dagli altri. Stavo pensando di modificare il rating da arancio a rosso e cambiare un po' le sorti di questa stroia aggiungendo parti più erotiche, ma sinceramente non so nemmeno se si possa fare.
Comunque, in ogni caso mi piacerebbe sapere cosa pensate sia del racconto fin'ora, sia di questa idea, perciò fatevi sentire mi sareste di grande aiuto!!!
Alla prossima 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo nono ***


 

CAPITOLO NONO

 

2015

Ha le labbra pallide, di un rosa innaturale. Gli occhi sembrano molto più grandi per via del viso magro simile ad uno scheletro.
“Slash…” le stringo la mano
“Sono qui Janis” cerca di deglutire a fatica
“Char…Charlie…”
“Charlie sta bene, e anche Molly” i suoi occhi acquosi mi guardarono tremanti, capisco subito che non era quello che voleva chiedermi.
“Charlie non…” Tossisce spargendo piccole goccioline di sangue che si mischiano tra quelle più scure, asciutte sul lenzuolo bianco “…non si ricorderà di me”
Voglio parlare ma sento le gambe tremare, non posso piangere davanti a lei, devo farmi vedere forte, devo darle coraggio.
“Gli parlerò io di te Janis, sarà come se ti avesse conosciuta. Te lo prometto” vedo le sue labbra distendersi pian piano e la bocca diventare sempre più grande, quel sorriso contornato da grandi rughe mi riporta al passato, a quando eravamo bambini e non riesco a non maledirmi per quanto sono stato stupido, un completo idiota.
Sento un paio di colpi alla porta, mi volto e vedo London sulla soglia.
Siamo nella nostra camera da letto, Janis ha insistito per non avere cure e stare il più lontano possibile dagli ospedali.
Per dei mesi ce la siamo spassata alla grande, nonostante avessimo un figlio appena nato siamo riusciti a divertirci e a cercare di non pensarci. Ma ora, il piccolo tumore che era partito dai polmoni, le sta divorando gli organi dall’interno. Silenzioso, viscido, si sta spargendo a macchia d’olio dentro di lei portandola via da me…da noi.
“Vieni” gli dico spostandomi appena appena senza però lasciare la mano di Janis che faticosamente muove il viso per guardarlo
“Ciao” parla piano e cerca di fingere di star meglio.
“Ciao Janis.” Ricambia sedendosi sul letto al suo fianco “Sono venuto a salutarti” quelle parole mi bruciano come fiamme, come se avessi inghiottito dei petardi che sono esplosi tutti d’un colpo. D’un tratto penso che è proprio così che lei si deve sentire e mi viene un conato di vomito.
Janis mi sta lasciando, tutti lo sanno, tutti l’hanno accettato. Tutti tranne me.
“Ti prenderai cura di Molly e Charlie?” Chiede sapendo già la risposta, ha gli occhi lucidi e sospetto stia trattenendo le lacrime a fatica, cosa che London non riesce a fare. Osservo le sue guance farsi sempre più rosse e bagnate, piange in silenzio annuendo disperatamente.
“Si..si certo” risponde per poi chinarsi e darle un bacio sulla guancia spigolosa.
“Allora…allora ciao Janis” si rialza sistemando la maglietta, si volta un paio di volte fermandosi sulla porta. Annuisco per dargli forza, lo vedo stringere forte le labbra mentre abbassa la testa e se ne va piangendo in preda a forti singhiozzi.  
“Sei fortunato, hai dei figli meravigliosi” lo so, lo so perfettamente. Le bacio il dorso della mano.
In questi ultimi giorni sono venuti tutti a farle visita, a dirle addio. Non mi sono mai mosso da questa sedia, la mano sempre stretta nella sua, i muscoli del volto tirati per non rischiare di cedere.


È stata la settimana più lunga della mia vita, i giorni passavano lenti e le notti ancora di più, lei soffriva ma non se ne andava, stava aspettando. Poi, anni dopo, capii.
Janis non era mai stata particolarmente attaccata alla vita, e non aveva paura della morte….no, Janis aspettava per me, aspettava che io fossi pronto a lasciarla andare.

 

2025

Sbatto la tazza troppo forte sul ripiano in marmo della cucina e noto di averla scheggiata leggermente, impreco raccogliendo il pezzo di ceramica appuntito.
“Papà?” Chiede Molly alzando un sopracciglio, credevo di essere solo. 
“Non hai sentito niente” dico puntandole l’indice contro con un finto fare minaccioso e la vedo ridacchiare divertita
“Dormito bene?”
“A dire la verità no” mi risponde arrampicandosi come una scimmia su uno sgabello più alto di lei.
“Come mai?” Chiedo sorpreso, avevo dato per scontata una risposta positiva
“Continuavo a pensare alla mamma”
“Anch’io” rispondo sorseggiando il caffè e appoggiandole una mano sulla spalla. Sento le sue ossicine sotto il mio tocco, il fisico l’ha sicuramente ereditato da Janis anche se appare decisamente più sana di quanto apparisse sua madre alla sua età.
Molly è molto simile a lei, ma non ha l’aria di una bambina abbandonata, la stanchezza di chi è dovuto crescere troppo in fretta, e il coraggio di chi deve già lottare per sopravvivere senza poter contare su nessuno.
Lei è felice, ha una casa, una famiglia che le vuole bene e mi ripeto che qualcosa di buono infondo l’ho fatto.
“Perché mi guardi così?” Scuoto la testa
“Mi sono incantato” rispondo appoggiando la tazza e battendo le mani
“Allora…cosa ti faccio per colazione?” Chiedo sfregandomi i palmi, lei appoggia il viso nella mano e con due grandi occhi a palla guarda il soffitto pensierosa, d’istinto le prendo il volto tra le mani e le stampo un gigantesco bacio sulla guancia mentre la sento ridere e dimenarsi.

 

D’istinto le presi il volto tra le mani e le stampai un gigantesco bacio sulla guancia mentre la sentivo ridere e dimenarsi.
“Slash…Slash”  teneva strette le mani sui miei polsi senza riuscire a liberarsi. Le lasciai una scia di saliva ridendo a mia volta.
“Bastaaaa” protestò e finalmente mollai la presa osservando i suoi capelli scompigliati
“Stronzo” è proprio bella.
“Oh voi due, datevi una mossa!” Duff ci chiamò dal pullman che ci avrebbe portati per un paio di mesi in tour.
“Un attimo cazzo!” Urlai di rimando mentre lo immaginavo dietro di me scuotere la testa infastidito.
“Mi mancherai da morire” mi disse Janis appoggiando le braccia sulle mie spalle e avvicinando il suo naso sottile al mio.
“Anche tu” risposi baciandola
“SLASH!” Presi un respiro profondo per non imprecare e maledii quei bastardi che continuavano ad interromperci.
“Dai vai” mi disse sorridendo
“Ci vediamo presto” lei annuì incrociando le braccia al petto mentre mi allontanavo camminando indietro.
“Ti chiamo!” Aggiunsi poco prima di salire e mandarle un bacio con la mano.
Steven mosse un fazzoletto di stoffa bianco dal finestrino fingendo di piangere disperato, ma sapevo che le sarebbe mancata. Sarebbe mancata a tutti noi.
Non la rividi per quasi tre mesi.
Inutile fingere che non la tradii perché successe numerose volte. Avevo poco più di vent’anni e ragazze mezze nude e con un fisico da far girar la testa mi cinguettavano attorno tutto il giorno. Non mi sentivo particolarmente in colpa perché era come se quello fosse un mondo parallelo, non ero esattamente io, era come se la mia vera vita l’avessi messa in pausa per scoprire quei momenti.
Non feci mai sesso due volte con la stessa ragazza, di loro non mi importava assolutamente niente, erano solo corpi da toccare e da baciare per una notte, per poi rimuoverli dai ricordi e passare al prossimo.
La cosa di cui non avevo idea era che anche Janis se la stava spassando.
Ho capito crescendo che le donne hanno uno spaventoso sesto senso in queste cose, e lei aveva capito tutto. Era così ovvio, eppure io pensavo di starle mentendo con gran maestria.
Quando tornammo volvo farle una sorpresa, avevo insistito perché Izzy aspettasse una notte prima di tornare a casa, in modo che lei non sapesse che eravamo a Los Angeles.
Organizzai tutto con estrema cura e mentre camminavo con un mazzo di fiori gialli tra le mani, immaginavo la scena da film che mi aspettava. Non ero il tipo, e nemmeno lei, ma sentivo che dovevamo fare un eccezione per quell’occasione speciale. Il cuore batteva a mille, sentivo i palmi delle mani sudare e iniziai a borbottare tra me dicendomi di stare calmo, è solo Janis, non è cambiato nulla.
Una volta nella via giusta eccellerai il passo, quando fui abbastanza vicino alla casa notai una figura alta, era un ragazzo. Aveva dei capelli biondi e lunghi fin sotto le spalle e il fisico da surfista. Janis aprì la porta e scendendo i tre gradini velocemente gli saltò in braccio baciandolo. Non mi resi conto che i mazzo di fiori era caduto per terra e che la mia bocca era completamente spalancata.
Scossi la testa per riprendermi, dovevo andarmene prima di farmi vedere.
Avevo solo un pensiero in testa…dovevo ammazzare di botte quel figlio di puttana.




Buongiorno, mi scuso per la lunga attesa ma purtroppo manca l'ispirazione.
Credo che il capitolo sia un po' più corto degli ultimi perciò mi scuso anche di questo, insomma, sembra che non ne faccio una giusta!
Spero che almeno vi piaccia, fatemi sapere
A presto!

 

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