Some sunny day

di _Destinyan_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Avvertenze iniziali: Alcune parti potrebbero risultare confusionarie per quanto riguarda la lingua. Quando le parole sono scritte con questo tipo di scrittura significa che i personaggi stanno parlando in un'altra lingua diversa dall'inglese (dato che la storia è ambientata in Inghilterra).
La storia si collegherà ad altre che sto scrivendo dello stesso universo, ma con personaggi differenti. Le varie trame sono intersecante fra loro e vi aiutano a capire meglio le storie di alcuni personaggi.
Detto questo vi auguro una buona lettura!


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Inghilterra, Marzo 1945

 
Erano le ultime giornate di marzo, l’acqua continuava a picchiare sulla finestra della buia stanza dell’orfanotrofio. Era un posto vecchio e polveroso che non ospitava troppi bambini.
Quella sera quasi nessuno di questi ultimi dormì.
Il suono dei tuoni ricordava troppo il suono delle bombe che venivano lanciate durante gli attacchi aerei. Non potevano stare tranquilli.
Fra questi bambini c’era colui che dormiva sotto la finestra alla fine della stanza, Antonio. I suoi grandi occhi verdi non smisero mai di guardare l’acqua che colpiva il vetro, ne era quasi affascinato, quanto spaventato.
“Ehy, Gil!” chiamò il suo amico Gilbert, accanto a lui. “Gil!”
“Antonio, cosa c’è adesso?” Gilbert si alzò infastidito “Stavo cercando di prendere sonno!”
“Devo andare in bagno.” Antonio ammise un po’ imbarazzato. Si voltò verso il suo amico albino.
Gilbert, sentendo quelle parole, tornò sotto le coperte “Neanche per sogno! Ormai abbiamo 8 anni, sei abbastanza grande per andare da solo.” Affermò.
“Gil!” un’altra voce chiamò il bambino “Devo andare anche io in bagno…”
Sentendo quella voce Gilbert si alzò dal letto e andò verso il bambino che aveva parlato, Ludwig, suo fratello. Gli prese la mano e aggiunse “Forza, andiamo.”
“ASPETTATEMI!” Antonio urlò saltando giù dal letto, cadendo bruscamente. A quel punto Arthur perse la pazienza “State zitti, stupidi, sveglierete Alfred!”
“Sta zitto Arthur!” Antonio rispose alzandosi in piedi.
“No, zitto tu!” Arthur alzò la voce. Veniva spesso preso in giro dagli altri bambini a causa delle sue sopracciglia grandi e scure, per questo non andava molto d’accordo con nessuno, se non con Kiku e Alfred. Aveva gli occhi grandi e verdi, i capelli spesso scompigliati, lisci e biondi, molto gracile e con dei lineamenti teneri.
“Smettetela di urlare!” Francis urlò verso gli altri bambini “E’ già abbastanza difficile dormire.” Francis era molto amico con Antonio e Gilbert, anche se era il più grande fra tutti. I bambini cominciarono a discutere, e alla fine si alzarono tutti dal letto.
Un tuono ruggì e fece zittire e sobbalzare tutti.
Nello stesso momento il suono del campanello si sentì in tutto l’edificio e dopo alcuni secondi qualcuno scese le scale di corsa. Il portone si aprì.

Silenzio.

Il portone venne chiuso di nuovo.

“Presto, tutti nei vostri letti!” Kiku consigliò a tutti quanti. Era un bambino asiatico molto più maturo dei bambini più grandi. Tutti seguirono l’ordine.
La porta della stanza si aprì lentamente e un fascio di luce illuminò i letti dei bambini. La signorina Braginskaya entrò nella stanza seguita da due bambini.  Antonio cercò di guardare meglio i volti… pensò fossero gemelli. Avevano entrambi i capelli castani, ma uno aveva gli occhi nocciola mentre l’altro li aveva verdi chiaro.
“Aspettatemi qui, vi porto qualcosa di asciutto da indossare.” La signorina Braginskaya disse con una voce dolce. Era una donna molto giovane, il cui unico scopo era occuparsi dell’orfanotrofio dei genitori, i quali stavano diventando troppo vecchi per curarsene da soli. Lei uscì dalla stanza sorridendo ai gemelli.
Nella stanza calò il silenzio che venne interrotto dai singhiozzi di uno dei due bambini.
Quando la signorina tornò con dei vestiti, si preoccupò di tranquillizzare il bambino con gli occhi nocciola.
Antonio voleva sapere cosa stava succedendo, ma era stanco di ascoltare storie tristi.
Si girò dall’altra parte e chiuse gli occhi, cercando di non ascoltare il pianto dei nuovi arrivati.

***

Il mattino seguente la signorina andò a svegliare i bambini alle 7:30, come sempre.
Nessuno aveva dormito molto bene quindi si svegliarono tutti riluttanti.
Quando Antonio si alzò andò subito verso la finestra per aprirla, il temporale era finito. Quando aprì la finestra entrò l’odore di erba bagnata insieme al freddo e l’umidità di quella mattina. Antonio prese una boccata d’aria e poi andò subito a vestirsi insieme agli altri bambini.
Quando si avviarono per uscire dalla stanza, Antonio si accorse che i due nuovi arrivati erano ancora seduti sul letto. Decise di avvicinarsi, forse non sapevano bene cosa fare.
“Uhm, ciao!” disse lui sorridendo e facendo un cenno con la mano “Voi non venite?”
Il bambino con gli occhi nocciola rispose subito contento “Dove dobbiamo andare?”
L’altro guardò solo spaventato verso Antonio, il quale continuò a parlare “Bisogna andare giù a fare colazione!” lo disse come se la cosa fosse ovvia.
“Veeh, allora veniamo anche noi.” Il bambino saltò giù dal letto, poi andò verso il fratello “Lovi, vieni anche tu?”
Antonio non sapeva bene cosa fare, dato che Lovi continuava a guardarlo in modo strano. Allungò la mano verso di lui cercando di convincerlo “Vieni anche tu, Lovi! Altrimenti la signoria Braginskaya si arrabbierà.”
“Mi chiamo Lovino!” Rispose lui offeso, Antonio si sentì  intimorito da quel bambino, eppure era così piccolo in confronto a lui “Vengo solo se mi dici cosa c’è per colazione.”
Antonio ci pensò un attimo, solitamente c’era una tazza di latte, ma non sapeva bene cosa aspettarsi, quindi rispose nel modo più semplice possibile “Sicuramente qualcosa di molto buono.” Sorrise.
Sentirono le scale scricchiolare, e Antonio riuscì a riconoscere il suono dei passi della signorina Braginskaya.
Quando ella entrò nella stanza guardò inarcando un sopracciglio verso i tre bambini.
La signorina Katyusha  Braginskaya aveva quasi 25 anni, una ragazza di origine russa. Aveva i capelli biondo platino corti con gli occhi azzurri, e indossava sempre un cerchietto dello stesso colore dei suoi occhi. “Cosa state facendo voi tre?” disse lei abbassandosi accanto a loro.
Antonio rispose subito alla signorina “Questa volta non ho fatto ritardo! Vede, sono già pronto!” fece guardare i suoi abiti a Katyusha, che vedendo il ragazzino così allarmato si mise a ridere.
“Non preoccuparti non voglio sgridarti.” Poi gli poggiò la mano sulla testa e gli accarezzò i capelli “Sei stato molto bravo a restare qui con Feliciano e Lovino.” Ogni volta che la signorina Braginskaya era gentile con lui si sentiva pervaso dalla gioia. Si raddrizzò con la schiena e le sorrise.
“Riguardo a voi due… cosa succede?” Si avvicinò verso il letto.
“Non sapevamo ben cosa fare…” Feliciano spiegò un po’ imbarazzato.
“Volete venire con me? Vi porto a fare colazione.” Allungò le mani, Feliciano strinse subito una mano. “Vieni anche tu Lovino. Ti faccio conoscere gli altri bambini.”
Sentendo quelle parole sembrò ancora più spaventato, ma strinse la mano anche lui e si avviarono verso la porta seguiti da Antonio.

A tavola Antonio consumò tranquillamente la sua colazione al suo solito posto, accanto a Francis e Gilbert. Ogni volta che erano insieme venivano spesso richiamati dato che giocavano insieme invece di mangiare tranquillamente come gli altri bambini.
Lovino e Feliciano gli sembrano molto affamati, dato che chiesero spesso se potevano avere altri biscotti oppure frutta. Parlarono poco con gli altri bambini, anche perché non sembravano molto in vena di fare nuove amicizie.

***

Dopo qualche giorno sembrava che si fossero ambientati, Antonio era molto curioso di sapere nuove cose dai i due bambini. Scoprirono che erano italiani, il che fece suscitare in tutti i bambini dell’orfanotrofio una certa ammirazione, volevano sapere tutto sull’Italia!
Antonio scoprì che avevano da poco compiuto 5 anni, quindi avevo circa l’età di Matthew, Ludwig, Alfred e Kiku. La signorina Braginskaya cercava sempre di farli stare insieme… sembrava che Lud e Kiku avessero legato molto con Feliciano, ma Alfred e Matthew non volevano mai staccarsi da Francis e Arthur.
Nessuno sapeva se Alfred e Matthew erano fratelli o meno, la signorina Braginskaya li trovò davanti il portone dell’edificio, in due ceste, senza nessuna nota. Antonio li confondeva spesso. Forse erano gemelli anche loro.

Era l’ora della pausa dalle lezioni, e i bambini stavano giocando tutti al piano inferiore. Antonio decise di salire nella stanza per prendere alcuni giocattoli, entrato nella sala notò Lovino. Era di tre anni più grande, eppure sentiva che Lovino non era come i bambini della sua età… non era nemmeno all’altezza di Francis forse.
“Come mai sei qui da solo?” i suoi occhi verdi guardarono verso il piccolo italiano. Il quale alzò la testa, e cominciò a piangere.
“Oh cielo!” Esclamò Antonio, molto spaventato “Ti fa male qualcosa? Vuoi che chiami la signorina Braginskaya?”
“No! Stupido! Stai zitto!” Lovino rispose arrabbiato come sempre. Antonio si ammutolì e si tranquillizzò. Se sentiva in imbarazzo a venir rimproverato da un bambino così piccolo, eppure non riusciva a ribattere, era troppo gentile con tutti.
“Come mai non vieni giù a giocare?” si sedette sul letto accanto a Lovino.
“Ho litigato con Feli.” Disse lui asciugandosi le lacrime. Iniziò a singhiozzare. Antonio lo abbracciò, la signorina Braginskaya lo faceva sempre quando qualche bambino piangeva.
“Perché?” Chiese lui.
Lovino provò più volte ad allontanare Antonio, ma non ci riuscì “Non vuole più stare con me.”
“Davvero?” Non se n’era accorto.
“Passa tutto il suo tempo con Ludwig e Kiku!” guardò Antonio negli occhi, con il naso e le guance tutte rosse.
Antonio sbatté le palpebre, pensò a qualcosa prima di parlare, voleva tirarlo su di morale. “Feliciano si è fatto dei nuovi amici, è normale!” Lovino abbassò lo sguardò verso il pavimento. Aveva paura che cominciasse a piangere di nuovo quindi continuò a parlare “Ma anche tu hai dei nuovi amici adesso, quindi non preoccuparti, non rimarrai da solo.” Sorrise poggiando la mano sulla spalla dell’altro.
Lovino lo guardò incerto “...Siamo amici?”
Antonio annuì contento.
Lovino si asciugò le lacrime.

***

8 maggio, 1945.

Fu una giornata di festa per tutti quanti. Per l’orfanotrofio, per le persone in paese, per l’Europa intera.

Quando arrivò il giornale la signorina Braginskaya saltò dalla gioia, accese la radio, e poi disse ai bambini di mettere le giacche perché sarebbero andati in paese.
Durante il tragitto le persone che abitavano nei dintorni corsero fuori per parlare con la signorina dell’accaduto, la signora che abitava difronte l’orfanotrofio piangeva di gioia. A quanto pare sarebbe riuscita a rivedere suo marito e suo figlio.
Antonio era felice come non mai, sentire e leggere le parole “La guerra è finita” gli fece venire la pelle d’oca. Non riusciva a crederci che era tutto finito, tutte le bombe e gli aerei, i soldati, le donne che piangevano per la scomparsa di qualche familiare… non avrebbero sentito più nulla. Nessuno avrebbe più sofferto.
“Antonio! È bellissimo non credi?” Gilbert stava piangendo e saltellava da tutte le parti. “Posso rivedere papà finalmente!” abbracciò Antonio con forza, per pochissimo. Non aveva mai visto Gilbert così contento. Prese il braccio suo fratello e corse dalla signorina Braginskaya la quale gli regalò un grosso sorriso.
Lui era il più toccato.
In paese c’era un tale caos, tutti erano contenti, c’erano delle ragazze che correvano nel paese tutte ben vestite che accoglievano i soldati americani. Antonio ne rimase affascinato.
C’erano bandiere che pendevano da alcuni balconi, gente che beveva, chi si abbracciava. Non aveva mai visto nulla di simile.
Era una giornata molto importante quella.
Quando aveva tre anni Antonio aveva vissuto tutti i bombardamenti fatti in Inghilterra, non li ricordava bene, ma ricordava la paura.
Ora era solo un brutto sogno, non si sarebbe più ripetuto.

***

Luglio, 1945.

Antonio adorava l’estate, e quel giorno era perfetto. Quindi la signorina Braginskaya lasciò i bambini liberi tutto il giorno, senza fare nessuna lezione. Il sole si vedeva splendente oltre le montagne.
L’orfanotrofio era fuori città, quasi nella campagna, c’era solo qualche casa nei dintorni, ma c’era il paesaggio più bello di tutta l’Inghilterra… o almeno Antonio la pensava così.
Stava giocando con Gilbert e Ludwig quando…
“….tutte le genti che passeranno,
o bella ciao, bella ciao, bella, ciao, ciao, ciao.
Tutte le genti, che passeranno, ti diranno che bel fior.”


Sentirono le voci provenire oltre la siepe. Si avvicinarono e videro Lovino e Feliciano.
“Cosa cantate?” chiese lui. Avevano cantato in una lingua che non lui non conosceva.
“Una canzone che cantava sempre papà.” Feliciano spiegò contento.
“Non si capiva nessuna parola!” Gilbert disse sedendosi accanto ai piccoli italiani. “Non era inglese?”
“Era italiano.” Lovino rispose tranquillo “Non lo avete mai sentito?” chiese abbassando lo sguardo verso il terreno.
“Di che parla la canzone?” continuò lui con le domande.
“Non riusciamo a capire tutto.” Disse Feliciano.“ Mamma e papà ci hanno sempre detto che è troppo difficile per noi due. Però… la parte che abbiamo cantato parla di un fiore.”
“Abbiamo piantato un fiore qui.” Lovino indicò un gruzzolo di terra che era accanto a loro. Entrambi i bambini erano sporchi di fango.
“Perché?” Ludwig chiese mentre guardava il terreno.
“Perché i fiori sono belli e piacciono molto alla mamma.” Feliciano disse pulendosi dello sporco sulle gambe “Il nostro giardino era il più bello di tutti!” quando lo disse Lovino distolse lo sguardo.
“E adesso cosa fate?” Ludiwg si sedette accanto a Feliciano.
“Aspettiamo che cresca.” Lovino disse senza distogliere lo sguardo dall’erba.
Decisero di restare tutti ad aspettare, dopo poco Gilbert si annoiò e decise di andare a giocare con Francis.
Antonio e Ludwig invece rimasero lì ad ascoltare i loro amici cantare.

“… è questo il fiore del partigiano
o bella ciao, bella ciao, bella, ciao, ciao, ciao…”


***

Natale, 1945.

Natale era la festa preferita dai bambini dell’orfanotrofio.
La signorina Braginskaya portava lì anche i vecchi proprietari, i suoi genitori, e i suoi fratelli minori, Ivan e Natalya. Avevano entrambi i capelli e gli occhi molto chiari. Ivan era più grande di Antonio, mentre Natalya era più piccola. In realtà i bambini dell’orfanotrofio non erano molto amici con i due russi, però la signorina Baraginskaya insisteva sempre per farli giocare tutti insieme.
Ivan e Natalya ricevevano tanti regali dai diversi familiari. Eppure sembravano non accontentarsi mai, ogni anno chiedevano qualcosa di più complesso, mentre ad Antonio e gli altri bastava un piccolo giocattolo nuovo o qualche vestito. Quell’anno Antonio ricevette una macchinina giocattolo, entusiasta la mostrò a tutti quanti.
“Quest’anno hai ricevuto quello che volevi, Tony?” disse Gilbert guardando la macchinina sorpreso. “E’ bellissima!”
Antonio la mise davanti il volto dell’albino “Visto? È anche rossa!” rise contento. Si sentirono le scale scricchiolare e videro che era Francis che le scendeva di corsa.
“Perché eri di sopra?” Gilbert chiese alzando un sopracciglio mentre l’amico si avvicinava.
Francis aveva legato i suoi lunghi capelli biondi in una coda e indossato un gilet diverso. “Non noti niente di diverso?” disse sorridendo fiero verso Gilbert.
“Uhm, no.” Ammise lui alzando le spalle.
Francis aggrottò le sopracciglia “Ho messo il gilet nuovo!”
Antonio alzò la mano e disse contento “Oh, io me ne ero accorto!” toccò il gilet sentendone il tessuto morbido “Questo è il tuo regalo di Natale?”
“Già!” annuì molto contento. Gil non parlò molto, non aveva ricevuto quello che voleva anche quella volta.
Gilbert ogni anno chiedeva di poter rivedere il padre almeno il giorno di Natale, eppure ogni anno riceveva solo un giocattolo, non ne rimaneva quasi mai contento. Antonio non poteva capirlo.
Una volta Gilbert gli disse che non avrebbe mai capito nulla a riguardo, se non aveva mai avuto una mamma e un papà non avrebbe potuto sapere cosa si provava a non averli più. Era vero, Antonio non lo sapeva, però a lui faceva piacere stare con gli altri bambini nell’orfanotrofio… eppure non sembrava essere una cosa che rendeva felici tutti gli altri. 







***Angolo dell'autrice***

Salve a tutti! 
Sono tornata con una nuova fanfiction, è una cosa a cui sto lavorando da moltissimo tempo, e che spero piaccia a tutti voi. Sarei felice se commentaste dicendomi cosa ne pensate, dato che è la prima volta che faccio una storia di questo tipo ;; se le recensioni saranno positive continuerò con piacere. 
Alla prossima!

Le canzoni cantante da Feliciano e Lovino sono canzoni esistenti, penso "Bella ciao" la conosciate tutti quanti, l'altra canzone invece è "Lily Marlene." Trovate sia una versione tedesca, una italiana e una inglese. (Personalmente la adoro, quindi ve la consiglio)

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


12 Febbraio 1946
 
“Antonio, tesoro, esprimi un desiderio!” La signorina Braginskaya disse dolcemente rivolta ad Antonio, il quale si trovò davanti agli occhi una torta con nove candele sopra, che gli illuminavano il volto.
“Cosa… cosa dovrei desiderare?” Chiese lui rivolto verso gli altri bambini.
La voce gracchiante di Gilbert rispose subito “No, zitto, zitto, se lo dici ad alta voce non si avvererà!” gli spiegò, quando la signorina gli annuì lui sghignazzò fra sé e sé.
Non so cosa chiedere…
Pensò. Alzò lo sguardo verso Lovino e gli altri bambini
Spero che rimarremo tutti quanti amici.
E soffiò sulle candeline.

Era forse la seconda volta che festeggiava un compleanno, la signorina Braginskaya si impegnava al meglio per rendere tutti i bambini contenti almeno il giorno del loro compleanno, eppure delle volte non potevano permetterselo. Matthew e Alfred non festeggiavano il compleanno vero, quando vennero portati all’orfanotrofio erano troppo piccoli e non avevo alcun bigliettino accanto, mentre Antonio sì.
La signorina Braginskaya una volta raccontò ad Antonio che insieme a lui trovò tutte le informazioni sul suo conto. Il piccolo spagnolo pensava che la sua mamma doveva essere una donna molto gentile per fare un favore del genere alla signorina.
Ad ogni bambino venne dato un pezzo di torta e ne sembrarono tutti molto contenti.
“Io non esprimerò un desiderio quando dovrò spegnere le candeline.” Lovino disse mentre parlava con Antonio.
“Come mai?” rispose lui “All’inizio nemmeno io sapevo cosa chiedere… però poi ci sono riuscito.” Gli spiegò mentre dava un morso alla torta. Era buona e al cioccolato, era da tanto che non mangiavano dolciumi. La signorina non voleva farne mangiare troppi ai bambini, ma durante la guerra non riusciva proprio a comprarne.
Lovino poggiò la forchetta e il piatto sporco sul tavolo “Io non ci credo.” Si voltò verso l’altro.
“A che cosa?” Chiese Antonio un po’ confuso dalle parole dell’italiano.
“Ai desideri.” Continuò a spiegare “Non si avverano.”
“Il mio si avvererà di certo!” Disse Antonio con aria di sfida.
Lovino inarcò un sopracciglio, poggiò la testa sulle piccole mani e chiese “Che cos’hai chiesto?”
“Hai sentito Gilbert prima! Non posso dirtelo.” Incrociò le braccia e continuò a fissare Lovino, il quale girò la faccia e andò verso il fratello.
Era quasi un anno che si conoscevano, eppure per Antonio, molto spesso, Lovino sembrava un mistero. Forse era lui ad essere troppo infantile, o forse era Lovi ad essere troppo maturo per la sua età.

***

Lovino e Feliciano presero qualche fiore nel campo dietro casa, volevano portarli alla mamma.
La mamma era nel giardino a curare le piante, i suoi capelli biondo cenere erano raccolti in una treccia. Lovino e Feliciano corsero da lei, le diedero alcuni fiori.
“Grazie!” disse lei contenta e sorridendo, li prese e stette attenta a non rovinarli “Andiamo dentro, li metto nell’acqua.”

“Sì!” Feliciano rispose, prese la mano di Lovino e corsero dentro precedendo la madre.



“Sono tornato!” il papà passò dalla porta. Tolse la giacca e la poggiò sulla sedia, e andò a salutare Lovino e Feliciano. Gli fecero vedere i fiori che avevano trovato, il papà era sempre contento di ascoltare le storie dei due bambini. Prese uno di quei fiori fece l’occhiolino e andò verso la mamma cantando:

“Prendi una rosa
da tener sul cuor
legala col filo
dei tuoi capelli d'or
Forse domani piangerai,
ma dopo tu sorriderai.”



“A chi Lily Marlene?
A chi Lily Marlene?”



Lovino aprì gli occhi lentamente, vide il volto di suo fratello di fronte a lui. Aveva ancora quella canzone che risuonava in testa…
Spostò lo sguardo verso la finestra, vide attraverso le lacrime che l’alba doveva ancora sorgere, decise di rimanere nel letto e provare a dormire.

***

Come ogni domenica la signorina Braginskaya portò i bambini in chiesa in paese.
Era marzo e faceva molto freddo fuori, ad Antonio non piaceva molto l’inverno, doveva sempre mettere giacche pesanti o cercare di riscaldarsi. Quando uscirono fuori in giardino la signorina li fece ordinare in fila per due, Antonio finì accanto a Lovino.
Non c’era la neve, ma tutto era comunque bianco e grigio, come il cielo. Era cupo con qualche nuvola che spuntava qua e là. Il grigio rifletteva negli occhi verdi di Antonio, li rendeva di un colore particolare, con il brillante smeraldo e il cupo colore del cielo che si univano. Gli alberi non avevano foglie, ma i bambini si divertivano a camminare su quelle secche a terra per sentire il suono che producevano. Antonio guardò verso Lovino, aveva le mani in tasca e camminava silenzioso.
“Domani è il tuo compleanno vero?” disse Antonio rivolto all’amico.
Lovino alzò la testa, tirò su con il naso. “Sì.” Rispose tranquillo, sfregò le mani insieme per riscaldarle “Perché?”
Antonio fece lo stesso con le sue mani e continuò a parlare “Forse la signorina vi preparerà una torta.” Disse lui. Pensò a che tipo di dolce avrebbero potuto avere e gli venne l’acquolina in bocca “La tua mamma ti preparava delle torte?”
Lovino pensò per qualche momento, ogni volta che la madre veniva nominata assumeva un’espressione strana “Credo di sì, non mi ricordo.” Mise le mani nelle tasche del cappotto “Non mi piacciono i dolci.”
Antonio spalancò gli occhi “Cosa?!” non gli sembrava possibile che ad un bambino non piacessero i dolci. “Nemmeno le caramelle?”
Lovino fece solo un cenno con la testa e Antonio ne rimase ancora più sbalordito. Lovino sembrava proprio un adulto quando parlava, non sembrava un bambino.
“E la cioccolata?”
“No!” rispose subito  innervosito. “A Feliciano i dolci piacciono molto.”
Antonio annuì, e non fece più domande.
Il paese non era molto grande, era un paesino antico con strade e case altrettanto antiche. Le persone si conoscevano quasi tutte, infatti la signorina Braginskaya si fermava spesso a parlare con qualcuno. Non era sposata e per molti uomini sembrava una cosa molto bella, mentre per alcune signore sembrava quasi scandaloso che alla sua età non avesse ancora una famiglia.
Ignorava tutti quanti gli uomini che arrivavano per farle dei complimenti o portarle qualcosa, semplicemente sorrideva e andava via. Quando arrivarono in chiesa entrarono tutti in silenzio e subito dopo i bambini entrò anche la signorina.

***

Quando uscirono dalla chiesa i bambini pregarono la signorina Braginskaya di portarli al parco, cedette subito come al solito. Raccomandò ai bambini di non allontanarsi troppo.
Arthur rimase seduto accanto alla signorina che si rilassò mentre leggeva un libro su una panchina, Alfred non voleva lasciare Arthur ma alla fine andò insieme a Matthew. Antonio stava correndo insieme a Francis e Gilbert fra l’erba ormai secca per il freddo, la signorina li sgridò alcune volte dicendogli di non correre o sarebbero caduti, ma di solito non ascoltavano mai.
“Non capisco perché mio padre non venga a riprenderci.” Gilbert disse pensieroso mentre si riposava seduto sull’altalena. “Eppure… me lo aveva promesso.”
Antonio odiava vedere i suoi amici tristi, quindi cercava sempre di tirarli su di morale “Non preoccuparti Gil, lui verrà sicuramente!” disse lui incoraggiandolo. Gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise. L’albino non rispose, sorrise solo lievemente e poi spostò lo sguardo verso il terreno.
“Gil.” Francis lo chiamò con voce tranquilla “Non penserai che…” non finì la frase perché Gilbert alzò lo sguardo, scrutò gli occhi azzurri dell’amico. Calò il silenzio. Gil parlava spesso del padre, da quando era piccolo, parlava spesso anche della mamma. Anche se non aveva dei ricordi chiari di tutti e due, ricordava solo che un giorno il padre lo prese il braccio insieme a Ludwig e li portò entrambi dalla signorina Braginskaya. Se il padre avesse ripreso Gilbert con se forse non sarebbero stati più amici, Antonio non sapeva se era un bene oppure un male, voleva solo il meglio per il suo amico.
“Noi resteremo amici anche quando tu andrai via, vero?” Chiese d’impulso, mentre dondolava lievemente sull’altalena.
Gilbert guardò confuso Antonio e rispose dopo un pochino “Sì, certo.” E annuì “Noi tre siamo migliori amici!”
Francis sorrise e annuì anche lui.
“Bambini!” sentirono la signorina richiamare tutti quanti “E’ ora di tornare a casa!” la videro alzarsi dalla panchina e avviarsi con Arthur per trovare tutti quanti. Si allontanarono dall’altalena e corsero verso di lei.
“Di cosa parlavate voi tre? Sembravate così seri!” Fece un sorrisetto. I tre si scambiarono degli sguardi.
“Parlavamo del padre di Gilbert.” Disse Francis molto tranquillo. La signorina si morse un labbro e guardò preoccupata verso Gil.
“Capisco.” Sospirò. Antonio si accorse che era molto pensierosa.

***

Giugno, 1946

Mentre tutti quanti facevano colazione la signorina Braginskaya disse di dover andare a controllare la posta, raccomandò ai bambini di restare tranquilli e andò fuori. Dopo poco tempo sentirono il portone chiudersi con violenza e i tacchi che colpivano velocemente il pavimento.
“Gilbert, Ludwig, devo dire una cosa molto importante.” Katyusha prese una delle lettere che aveva in mano e la diede a Gilbert. Il bambino lesse velocemente e poi alzò lo sguardo.
“Vostro padre è disperso.” Disse lei abbassandosi di fronte a loro. Tutti i bambini si alzarono in piedi. Antonio riuscì al suo cuore battere velocemente contro il suo petto, ed era convinto che Gilbert stesse provando lo stesso.
Ludwig parlò piano “Lo troveranno, vero?” la signorina gli strinse le mani e annui, anche se poco convinta. Gilbert non disse niente e rimase immobile con la lettera in mano. Antonio provò ad avvicinarsi a lui, ma prima che potesse fare qualcosa Gilbert tornò a sederci.
“Non serve allarmarci.” Prese la tazza e diede un sorso al latte. La signorina si alzò e gli accarezzò la testa dolcemente. Andò verso la cucina e lasciò tutti i bambini da soli.
“Gilbert…” Francis chiamò l’amico sottovoce “Sicuro che…”
“Finiamo la nostra colazione.” Rispose lui. “Ludwig, vieni a sederti anche tu.”
Nessuno provò a parlare.
Antonio non riuscì a smettere di pensare a cosa era successo durante la colazione, ma non aveva il coraggio di parlarne con Gilbert.

***

“Tutte le sere
sotto quel fanal
presso la caserma
ti stavo ad aspettar.
Anche stasera aspetterò,
e tutto il mondo scorderò…”

Tutti sentirono la voce dolce di Feliciano risuonare per l’orfanotrofio mentre cantava in italiano.
La signorina Brakinskaya alzò lo sguardo e continuò lei a cantare la canzone.
My Lily of the lamplight
My own, Lily Marlene.”

I bambini la guardarono sbalorditi, non pensavano che la signorina sapesse cantare così bene. Lei arrossì e inarcò le sopracciglia. “Ops, non ho resistito!”
Feliciano smise di cantare e corse dalla signorina “Anche lei conosce quella canzone? Mio papà la cantava sempre, anche se in un’altra lingua, vero Lovino? Anche tu la ricordi?” si girò verso il fratello sorridendo. Lovino abbassò lo sguardo e divenne rosso “Io… non canto.”
Antonio lo guardò “A me piace come canti.” Ammise tranquillamente. L’italiano non sembrò molto contento di quello che aveva sentito, e si nascose fra le mani.
“Feliciano.” La signorina Brakinskaya chiamò il bambino “Tuo padre te l’ha insegnata?”
“Sì, la cantava sempre alla mamma!” Disse lui ridendo “Posso cantarla per lei?” tutti i bambini cominciarono a pregare Feliciano di cantare. Tranne il fratello, il quale rimase in disparte e si mise a disegnare lontano dagli altri.
Prima di andare a letto tutti stavano provando ad imparare la canzone di Feliciano.
“Come si dice quella parola di prima?” Chiese Alfred.
Caserma.” Spiegò Feliciano in modo gentile.
“Cosa significa?” Chiese Arthur, inarcando un sopracciglio mentre metteva Alfred e gli altri più piccoli a letto. Faceva sempre così, tutte le sere.
Feliciano guardò perplesso il bambino inglese “Ah, io non lo so…” E si mise a ridere. Arthur accennò un sorriso e si avvicinò per rimboccargli le coperte.
“Penso che ora sia arrivato il momento di dormire e smetterla di cantare!” e incrociò le braccia.
“Smettila di comportarti come la signorina, Arthur!” Disse Francis mentre era a petto nudo e stava per mettere il pigiama. Gilbert rise insieme all’amico. Antonio si godette la scena, quella volta non gli andava molto di litigare.
Arthur si girò di scatto verso Francis “Non mi comporto come la signorina. Ormai siamo grandi, dobbiamo aiutarla.”
Francis si mise la camicia da notte e si sdraiò sul letto “Vieni a rimboccarmi le coperte allora!” E si mise a ridere. Arthur arrossì di colpo dopo che anche Gilbert e Antonio iniziarono a ridere. Arthur ignorò solo e andò verso la porta con l’intento di avvertire la signorina. Proprio lei entrò dalla porta “Cosa succede qui?” e poggiò le mani sui fianchi “Ho sentito la risata di quei tre.” e Antonio si sentì chiamato in causa.
“Mi stavano prendendo di nuovo in giro.” Arthur ammise con una voce docile. La signorina aggrottò le sopracciglia e andò di corsa verso i tre colpevoli.
“Forza, ognuno nel proprio letto. A dormire!” Antonio fece come gli era stato richiesto.

Quando il buio calò nella stanza, Antonio riusciva a sentire solo il suono dei respiri degli altri bambini. Non riusciva a dormire per qualche motivo e quando sentì la gola secca decise di scendere al piano inferiore per bere un bicchiere d’acqua. Non voleva svegliare nessuno, quindi camminò nel buio (tentando di non far scricchiolare il legno) e uscì dalla stanza. Scese le scale in silenzio e si diresse verso la cucina. Mentre si avvicinava alla mensola per prendere l’acqua vide una figura molto piccola nell’ombra. Quando quest’ombra si girò, Antonio urlò e fece luce nella stanza. Si tappò la bocca con una mano quando vide che l’ombra davanti a lui era Lovino.
“Lovi, cosa stai facendo?!” sussurrò con il fiatone e la mano poggiata sul petto. Non ricette nessuna risposta, quindi continuò a parlare. “Io.. voglio un bicchiere d’acqua.”
“Non riesco a dormire.” Disse Lovino alla fine. Antonio voleva dire al suo amico che non era l’unica a non riuscire a prendere sonno quella sera, quindi sorrise e aprì la bocca per parlare, ma l’altro continuò a parlare. “Faccio dei brutti sogni.” Si guardarono in silenzio per qualche secondo…
Antonio si arrampicò su una sedia e prese due bicchieri dallo scaffale scricchiolante, prese la bottiglia di vetro nel mobile in basso e riempì i bicchieri di acqua fresca. Porse il bicchiere a Lovino, il quale lo guardò un po’ perplesso e chiese con calma  “Che cosa sogni di solito?”
Prima di rispondere, l’italiano ci pensò, Antonio notò la sua faccia quasi spaventata, ma attese con calma spiegazioni.
“Di solito sogno la mamma e il papà.” Prese un sorso d’acqua, reggendo il bicchiere con entrambe le piccole mani. “Però non li riesco mai a vedere bene. Nei miei sogni c’è anche Feli.”
“E perché sono brutti sogni?” Antonio non capiva, eppure doveva essere bello sognare la propria mamma, lui non avrebbe mai potuto farlo, era quasi geloso di Lovino.
“Perché io sono qui, e non con loro.”
Al suono di quelle parole poggiò il bicchiere sul tavolo “Perché non vuoi stare qui?” Antonio non riusciva a capire.
Lovino rispose con una domanda “Perché tu vuoi stare qui?”
“Io qui sto bene.” Continuò Antonio. “Non capisco… eppure qui ho incontrato te e gli altri. Perché non dovrebbe piacermi? Abbiamo anche la signorina Braginskaya.”
“Ma non è come mia mamma.” Ribatté innervosito l’altro. Antonio fece un passo indietro sentendo quel tono di voce, ancora una volta il piccolo Lovino lo aveva intimorito. Guardò fuori la finestra, vide la luna risplendere nel cielo estivo. Spostò lo sguardo all’orologio che continuava a ticchettare sopra la finestra. Era mezzanotte passata. Pensò che la signorina Braginskaya si sarebbe arrabbiata molto se li avesse sentiti e trovati lì.
Tornò a guardare Lovino “Parlami della tua mamma.”
Il bambino rimase sconvolto dalla proposta offertagli. Borbottò qualcosa in italiano che Antonio non riuscì a capire e continuò a parlare ad alta voce “Era bella, e bionda e…”
“Era buona?” Antonio domandò.
“…Sì, anche se a volte si arrabbiava.” Lovino non sapeva cos’altro dire e continuò a guardare verso l’amico, il quale parlò subito.
“Assomiglia molto alla signorina Braginskaya.” Antonio affermò quasi deluso “Il tuo papà invece?”
“Oh… aveva i capelli e gli occhi come i miei.” Lovino sorrise. “E cantava sempre per la mamma.”
Antonio annuì.
“E invece la tua mamma?” per la prima volta si mostrò curioso “Davvero non ce l’hai?”
Antonio era un po’ stufo di ricevere sempre la stessa domanda da tutti i bambini. “Non so chi sia.” Disse incrociando le braccia “Ma io ho la signorina Braginskaya. Non mi serve una mamma.”
Lovino sgranò gli occhi e scosse la testa. Antonio rise.
“Dobbiamo andare a dormire.” Disse mentre rideva “Altrimenti verremo sgridati!”
Lovino annuì, prese la mano di Antonio e andarono verso la camera da letto.  

***

“Mamma!” Lovino e Feliciano urlarono contro la figura femminile a terra, i capelli biondi le coprivano il viso.
“La mamma è… solo caduta.” Disse il padre, guardando con gli occhi verdi verso il figlio, Lovino e Feliciano si misero a piangere per lo spavento appena passato.
 
 “Lovino, devi promettermelo, non devi dirlo a nessuno.”
 
 “Oh bella ciao, bella ciao…”

Lovino aprì gli occhi di colpo ansimando. La luce del sole gli offuscò la vista per qualche secondo, o forse erano le lacrime.
La voce della mamma e della canzone del padre continuavano a rimbombare nella sua testa.

Il bambino rimase immobile sul letto a piangere, si sentì di colpo abbracciare, riconobbe le mani di Feliciano.

Qualcuno chiamò la signorina Braginskaya per farlo calmare.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Luglio, 1947
 
“Lovino, sto bene non preoccuparti, non c’è bisogno di piangere, pensa a Feliciano.” La mamma disse con respiro affannoso tenendo la mano stretta quella di Lovino.
Sentì il passi del papà entrare nella stanza. L’uomo si sedette sul letto e strinse le mani della moglie.
“Vai a giocare con tuo fratello nell’altra stanza.” Prese una pezza bagnata e la poggiò sulla fronte della donna spostandole i capelli dal volto. “Per favore Lovino, non serve che tu stia qui.”

 
“Cantiamo quella canzone che vi ho insegnato?” Il papà rise di gusto prendendo i due bambini in braccio.
La stanza era piena di persone che bevevano vino “Non posso crederci, costringi a cantare anche i tuoi figli?” Un vecchio signore disse prendendo un sorso del liquido rosso. Un coro iniziò a cantare.
“… È questo il fiore del partigiano, oh bella ciao, bella ciao, bella, ciao, ciao, ciao. È questo il fiore del partigiano, morto per la libertà!” Iniziò a girare con i bambini in braccio, i quali ridevano di gusto.

 
“Lovino, non devi dirlo a nessuno.” La mamma gli strinse le mani. “Fallo per tuo padre.”
 
“Prediti cura di Feliciano.”
 
Lovino aprì gli occhi. All’età di 7 anni si stava ormai abituando a quei sogni. Diventavano sempre più vaghi, non ricordava bene i volti, ma riusciva a ricordare la pressione e le parole, e le melodie dell’Italia. Lui ricordava più di quanto non ricordasse Feliciano, il quale sembrava quasi essersi dimenticato anche della sua vita prima dell’orfanotrofio. Erano passati due anni da quando erano lì, il tempo sembrava essere andato così in fretta.  Antonio passò accanto al letto di Lovino “Sei sveglio, Lovi?”
Lui lo guardò qualche secondo, poi si alzò “Sì, sì.”
Il suo amico sorrise “Tutto bene? Qualche brutto sogno?”
Lovino era contento di vedere sempre Antonio così preoccupato per lui, però nascose il suo sorriso e continuò a parlare “C’eravamo solo noi che cantavamo e… le frasi di mia madre.”
“Capisco.” Antonio annuì e poi batté le mani “Ora forza, vestiamoci che dobbiamo scendere dalla signorina!” Si mise a ridere e corse verso Gilbert e Francis.
Lovino si voltò verso il letto accanto a lui e non vide Feliciano, spostò lo sguardò da un’altra parte e vide suo fratello insieme a Ludwig mentre si vestiva. Come al solito.
Si mise alla svelta la camicia bianca con i pantaloni marroni e le bretelle. Sospirò e andò verso il bagno.
La signorina al piano inferiore urlò ai bambini di scendere, e tutti seguirono il comando.

***

Antonio continuava a comportarsi in modo molto infantile, Lovino pensò a come sarebbe diventato quando avrebbe compiuto dieci anni. Forse sarebbe stato più simile a Arthur, mentre Feli lui sarebbe diventato come Antonio.
La signorina Bragiskaya uscì in giardino e annunciò a tutti una notizia. “Oggi andiamo in paese, devo comprare alcune cose, salite di sopra a prepararvi.”
Corsero tutti al piano superiore per pulirsi gli abiti e lavarsi mani e faccia. La signorina prendeva che fossero perfettamente puliti prima di uscire ed andare in paese. Lovino si mie un cappello marrone abbinato al pantalone, non voleva farlo notare, ma ci teneva parecchio ad abbinare i colori.
Si misero in fila dietro la signorina e, come al solito, Antonio si mise accanto a Lovino.
“Vorrei chiedere un gelato alla signorina.” Antonio disse sottovoce mentre sorrideva “Secondo te me lo prenderà?”
“Non credo, dovrebbe prenderlo a tutti.” Lovino disse in tono tranquilla e fermando Antonio prima di fare qualcosa di stupido.
“Che palle!” Esclamò “Volevo qualcosa di fresco!” E inarcò le sopracciglia.
Lovino si girò a guardarlo, non poteva sentire alle sue orecchie.“Che hai detto?”
L’altro lo guardò confuso “Che vorrei qualcosa di fresco.”
“No, stupido, quell’altra cosa!” Sbuffò lui “La signorina si arrabbierà molto se ti sentirà dire altre parole del genere.”
Antonio si mise a ridere “Me l’ha insegnato Gilbert, ha sentito dal signore difronte l’orfanotrofio. Ormai sono grande, posso dire queste cose!”
Lovino lo guardò a bocca aperta “Uhm…” arrossì e abbassò lo sguardo “Che altre parole conosci?” Antonio sentendo la domanda si mise a ridere di nuovo.
“Tantissime!” Disse a bassa voce, ma contento. “Più tardi te le insegnerò tutte.”
Lovino sorrise e mise le mani in tasca.

Si sentiva improvvisamente più grande.

***

Antonio aveva ancora gli occhi chiusi quando iniziò a sentire del trambusto e la voce di Francis.
“Non c’è nemmeno Gilbert!”
Fu l’unica frase che riuscì a capire per intero. Si alzò con calma e strizzò gli occhi più volte, si voltò verso la finestra e vide l’alba sorgere. Francis si voltò verso di lui.
“Antonio, il tuo letto è accanto al suo, non hai sentito nulla?” Chiese allarmato indicando il letto vuoto accanto ad Antonio. Il bambino guardò perplesso al suo fianco.
“Dov’è Gilbert?” e si volto verso gli altri. Francis si mise il palmo della mano sugli occhi.
Arthur intervenne “ È quello che stiamo cercando di capire!” e sbuffò. Antonio si alzò in piedi e notò che anche il letto di Ludwig era vuoto.
“Saranno scesi giù dalla signorina!” Disse tranquillo mentre si stiracchiava.
Arthur rispose ancora una volta “Perché avrebbero dovuto farlo?” Inarcò un sopracciglio. “Vado di sotto a parlare con la signorina Braginskaya.” Andò fuori dalla stanza e i bambini riuscirono a sentire le scale scricchiolare.
Si guardarono tutti perplessi per qualche secondo. “Credi sia successo qualcosa di grave?” Chiese Antonio a Francis.
“Non credo.” Lui incrociò le braccia “Lo spero.” E guardò verso la finestra.
“Pff, non essere così drammatico!” Antonio gli diede una pacca sulla spalla  e Francis rise.
Lo scricchiolio delle scale tornò a farsi sentire più veloce di prima. Arthur aprì la porta con calma e la richiuse dopo essere entrato.
“La signorina ha detto di scendere e parlare con lei.” Il bambino sembrò spaventato e strinse la mani in due pugni.
Feliciano intervenne “Ludwig e Gilbert?” Inarcò la testa e sbatté le palpebre velocemente.
“Sono di sotto.” Indicò verso la finestra e Feliciano si avviò per andare a controllare. Lovino lo seguì di corsa. Antonio e Francis si voltarono. La finestra era rimasta aperta dalla mattina prima, l’aria mattutina stava iniziando ad entrare nella stanza. Feliciano sporse la testa e aprì la bocca. Lovino si allarmò e lo allontanò “NO!” e tirò indietro il fratello “Non disturbarli, stupido fratello.”
Feliciano si voltò per guardare verso il volto innervosito di Lovino. “Non vedi che stanno piantando un fiore?” gli strinse la mano al gomito e lo portò lontano dalla finestra.
Antonio li separò “Lovi, non c’è bisogno di arrabbiarsi così tanto!” cercò di tranquillizzare l’amico, il quale arrossì e abbassò lo sguardo. Arthur si massaggiò gli occhi “Va bene, ora andiamo di sotto.”
Quando arrivarono di sotto la signorina era seduta al tavolo con la testa poggiata sulle braccia “Oh, santo cielo…” continuava a ripetere mentre singhiozzava. Era quella la sua normale reazione quando succedeva qualcosa di problematico.
Arthur parlò per primo facendo un passo avanti e mettendosi con la schiena dritta, impettito. “Cosa possiamo fare?”
“Oggi non si faranno lezioni, nemmeno per i più piccoli.” Rispose a fatica poi continuò a borbottare “Che disastro, che disastro.”
“Signorina, potrebbe dirci cosa sta succedendo?” Antonio domandò sottovoce, quasi spaventato.
La ragazza alzò la testa, guardò i bambini con gli occhi gonfi “Il padre di Gilbert e Ludwig… oh, che disastro…” si massaggiò gli occhi e tornò con la testa bassa “E mio padre…” sospirò mentre singhiozzava.
Antonio si sentì raggelare. Il padre di Gilbert e Ludwig? Lui non era di certo tornato… quindi…
“È MORTO?” Antonio urlò verso la signorina. Quando questa lo guardò lui si tappò la bocca, perché si accorse di aver alzato troppo la voce. Quando Katiusha annuì, Antonio scosse la testa e andò verso la porta. Francis lo prese per il braccio “Antonio, lascia stare.” Disse tirandolo indietro. “Non c’è nulla che possiamo fare.”
Arthur si intromise “Mh, per una volta devo dire che ha ragione Francis.” Incrociò le braccia e si morse un labbro “Lasciamoli da soli.”
“Ma…” Antonio strinse i pugni, avrebbe voluto ribattere, ma non avrebbe potuto dire nulla. Si sentì inutile in quel momento pensando ai suoi amici nel cortile.
Si rese conto che contro la morte non c’era nulla da fare.
Corse per le scale e andò in camera.
Antonio era steso sul pavimento a giocare con la sua macchinina rossa di legno per distrarsi. Non sapeva come descrivere il suo stato d’animo attuale, voleva andare con Gilbert e piangere, ma era anche molto arrabbiato. Non capiva con chi ce l’avesse così tanto, eppure non poteva fare a mano di sfogare tutto sulla sua bella macchinina. La lanciò da una parte all’altra della stanza, fino a quando non colpì delle scarpe nere. Antonio alzò lo sguardo per controllare chi fosse, e vide Lovino. Il bambino si abbassò e prese il giocattolo in mano.
“Sai, io me lo ricordo quando la mamma ha saputo che papà non c’era più.” Disse Lovino mentre si girava il piccolo oggetto rosso tra le mani. “Non parlava nemmeno con me e Feliciano.”
Antonio rimase a bocca aperta quando vide Lovino iniziare a piangere in piedi davanti a lui.
“Non puoi fare niente per il papà di Gilbert...” Disse mente singhiozzava e riprendeva fiato. Antonio si alzò il piedi e abbracciò Lovino.
“Stai cercando di dirmi che non dovrei arrabbiarmi, giusto?” Sospirò mentre sentiva le lacrime dell’italiano poggiarsi sul collo. “Io… non voglio vedere i miei amici stare male.” Antonio nascose la faccia nelle braccia di Lovino, e alla fine si trovarono entrambi a piangere. Quando Lovino iniziò a spingere con le mani il petto di Antonio, lui capì che doveva staccarsi. Il bambino si imbronciò e si asciugò le lacrime con le maniche della maglia.
“Come va con gli incubi?” Antonio chiese per cambiare argomento. “Ne hai fatti altri?” Cacciò un fazzoletto dalla tasca e si soffiò il naso.
“Ho sognato di nuovo la mamma.” rispose cercando di non far tremare la voce “Però io sto iniziando a dimenticare delle cose.”
“Ma con i sogni puoi ricordarle.” Antonio corse verso il suo baule accanto al letto. Cercò in mezzo a tutte quelle vecchie cose, fino a quando non trovò quello che voleva. “Un foglio e una matita.”
Lovino prese gli oggetti in mano “Vuoi che disegni?”
“Sì.” Sorrise “Così non potrai dimenticare com’è fatta la tua mamma. Sei bravissimo a disegnare!”
L’altro arrossì “N-non sono così bravo.” E abbassò lo sguardo.
“Resta qui a disegnare. Non mi piace restare da solo.” Antonio si abbassò e si sedette a terra. Lovino lo guardò per qualche secondo, si sdraiò a terra e iniziò a disegnare.
Arrossì e guardò verso il suo amico “Mi insegni qualche altra brutta parola?”
Antonio iniziò a ridere e annuì.
Rimasero insieme fino a quando dalla finestra non filtrò il colore del tramonto.
Sentirono il campanello suonare. Subito dopo il portone cigolò
“Deve essere Gilbert.” Antonio disse a voce alta guardando verso Lovino, che posò le matite e si alzò in piedi. “Andiamo di sotto.” Continuò il moro, voleva parlare con il suo amico per consolarlo. Quando aprirono la porta della camera incontrarono i due fratelli sulle scale, mentre salivano.
“Antonio!” Gilbert disse sorpreso e rimase immobile a fissare il suo amico con gli occhi gonfi e rossi. “Cosa sta-“ Venne interrotto dall’abbraccio di Antonio.
Lovino li raggirò e corse giù per le scale.
Quando Antonio finì di abbracciarlo guardò ancora una volta il suo amico, poi abbassò la testa e abbracciò anche Ludwig, nascosto dietro il fratello maggiore. Le scale iniziarono a far rumore perché Francis le stava salendo di corsa, mentre gli altri bambini rimasero sull’ultimo scalino a fissare in alto.
“Gil… Ludwig…” Francis disse a voce bassa. “Andiamo in camera!” spinse i due fratelli nella stanza e chiuse la porta dietro di sé lasciando Antonio fuori. Dopo qualche secondo la porta si aprì di colpo “E vieni anche tu!” Il biondo afferrò Antonio dal colletto e lo portò nella camera con loro.
I bambini si accomodarono sui letti di Gilbert e Antonio. Il primo a parlare fu Gilbert “Non credo che la signorina Braginskaya stia bene.” Fece lui “Anche se sono convinto che Arthur sappia meglio i dettagli.”
“Lascia stare quello!” Francis poggiò una mano sulla gamba dell’albino. “Parla di quello che vi è successo.”
“Francis, sappiamo quello che è successo, non c’è bisogno che lo dica.” Antonio aggiunse quando vide che gli occhi dei due fratelli stavano tornando lucidi.
“Antonio.” Francis disse tranquillo, senza neanche voltare la faccia verso di lui.
“Sì?”
“Stai zitto.”
Il bambino incrociò le braccia e scosse la testa. Gilbert tornò a parlare “No, è giusto che voi sappiate cosa è successo.” Prese un lungo respirò “Stamattina, appena è arrivata la posta, la signorina è venuta svegliarmi. E mi ha detto di scendere con lei perché doveva dirmi una cosa, ma non voleva che ci fosse anche Lud.”
“Io però ero già sveglio.” Ludwig interruppe il discorso “Ho sentito quando la signorina ti ha chiamato.”
Gilbert sorrise guardando suo fratello, il quale continuò a dondolare le gambe e a fissare in basso.
“Comunque… Quando sono andato fuori con lei mi ha dato la lettera.” Congiunse le mani e guardò Antonio fisso negli occhi “Allora sono tornato dentro e ho svegliato Ludwig, siamo scesi e… Abbiamo parlato.”
Francis diede una pacca sulla gamba di Gilbert “Che avete fatto in cortile?”
“Abbiamo piantato una pianta sulla foto.” Ludwig disse timidamente.
Antonio spalancò gli occhi “La foto?! Avete seppellito la foto?” Si alzò in piedi “Ma, ci tenevi così tanto, era una foto così bella del tuo papà!” Il bambino era incerto.
“Non importa. Nel baule ne ho una con la mamma e una con noi tre!” Avvicinò a sé Ludwig “Antonio, va bene così.” Si massaggiò gli occhi con una mano “Va bene così…” E iniziò a singhiozzare. Poco dopo si aggiunse anche il fratello minore. Francis si fiondò sui due per abbracciarli e Antonio fece lo stesso.
“Va bene così” Gilbert continuava ripetere.

***
Dicembre, 1947
 
L’orfanotrofio diventava sempre più freddo, i bambini non facevano altro che stare riuniti attorno al fuoco scoppiettante e si strofinavano le mani. Spesso anche la signorina si trovava costretta a passare ore intere accanto al camino assieme ai bambini.
L’anno sarebbe terminato tra due settimane, Antonio non poté fare a meno di pensare che fra qualche mese avrebbe compiuto undici anni, era grande ormai.
Stava aiutando la signorina ad apparecchiare quando lei fece uno strano discorso “Antonio, tesoro.”
Il bambino, sentitosi chiamare, corse dalla signorina la guarda quasi intimorita “Che succede?”
“Fra due mesi avrai 11 anni.” Disse lei abbassandosi per guardare il bambino negli occhi “Sei grande ormai.”
Antonio sorrise “Sì!”
Lei forzò un sorriso “Sarai costretto a restare qui per un bel po’ se diventi troppo grande.” Poggiò le mani sulle spalle del bambino “Non so se…”
“Ma io voglio rimanere qui!” Si raddrizzò con la schiena e urlò “Non voglio andare via!”
La signorina scosse la testa “Sei ancora troppo piccolo per capire.” Si alzò in piedi “Aiutami a portare le posate, forza.”
“Certo!” Aprì il cassetto con le posate e corse al tavolo.
Il discorso che gli fece la signorina gli rimase impresso per un paio di giorni, sapeva che lui era stato portato lì per trovare una famiglia, ma in caso non l’avesse trovata cosa sarebbe successo? Sarebbe rimasto per sempre nell’orfanotrofio?
Decise di parlarne con Lovino.
Andò a sedersi accanto a lui di fronte al camino, lo trovò a disegnare, allungò la testa per guardare il foglio e Lovino lo girò di scatto. “Che vuoi?!” Nascose il suo disegno contro il suo petto.
Antonio allungò la mano per prenderlo “Fammi vedere cosa disegni!” 
“No! Non puoi vederlo!” Lovino lo strinse ancora più forte e si arrabbiò.
“Va bene, scusa.” Si rassegnò e iniziò a parlare “Ti posso parlare di una cosa?”
“Tanto se dico di no lo farai lo stesso.” Alzò le spalle e le riabbassò.
“Se crescerò nell’orfanotrofio cosa succederà?” Antonio chiese.
Lovino inclinò la testa “Non lo so…” poi lo guardò confuso “Non vuoi essere adottato?”
Il bambino non sapeva bene come rispondere, l’idea gli faceva quasi paura quindi evitò la domanda e chiese un’altra cosa “E tu vuoi essere adottato?”
“No!” Rispose freddo “Ho Feliciano con me.”
“E Feliciano cosa vorrebbe invece?”
Lovino spalancò gli occhi “Lui… deve restare con me.” E abbassò la voce.
“Resteremo insieme nell’orfanotrofio noi due?” Antonio sorriso e Lovino girò la faccia.
“Se non ti adotteranno dovrai andare via.” E si strinse nelle spalle “Te ne andrai anche tu.”
Antonio cercò di tirare su di morale Lovino “Io non andrò via dall’orfanotrofio, non per adesso.”
“Gli altri andranno via prima o poi.” Rispose in modo secco.
Ad Antonio sembrò quasi che stesse cercando di fargli capire come stavano i fatti.
“Non se ne andranno via! Non adesso!” Affermò arrabbiato e spaventato.
Lovino lo guardò per un po’ “Va bene, come vuoi.” Posò il disegno sul pavimento, incrociò le braccia e corse via.
Antonio continuò a fissare il foglio, cercava di combattere il desiderio di girarlo per vedere il disegno dall’altro lato, ma alla fine vinse la curiosità. Quando lo girò esclamò un piccolo “Oh!” e sorrise.

Sul foglio c’erano due figure una con i capelli castano chiaro e gli occhi verdi-gialli, e l’altra con la carnagione più scura, i capelli ricci e scuri e gli occhi verde scuro. Antonio riconobbe lui e Lovino mentre giocavano nella camera: Antonio con la macchinina rossa e l’altro con un foglio e delle matite in mano.









-------Angolo dell'autrice-----

Salve a tutti! Chiedo scusa per il ritardo, ma la scuola non mi regala nemmeno una piccola tregua. Pensate che sono appena tornata da una gita di più giorni e domani ho un compito in classe, perfetto direi <\3
Spero come al solito che il capitolo vi sia piaciuto!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Dicembre, 1947.

I bambini più grandi si erano radunati attorno al camino per giocare. Antonio distolse lo sguardo dai suoi amici e vide Lovino correre per tutta la sala al piano inferiore. Ad ogni piccolo passo il vecchio edificio emetteva un piccolo lamento.
“Lovino, cosa stai facendo?” Antonio urlò. Il bambino si fermò e rispose in fretta.
“Non riesco a trovare Feliciano.” Mentre parlava continuava a guardarsi intorno. “Ero convinto fosse nella camera, invece non c’è!”
Francis intervenne “Ho visto poco fa Feli uscire fuori.”
“Perché lo hai lasciato fare?” Gilbert rispose subito “Fuori fa freddissimo, si ammalerà di questo passo.”
“Aveva detto di dover fare una cosa importante.” Rispose il biondo in sua difesa.
Antonio si alzò in piedi “Vado a chiamarlo.” Andò verso la porta e prese la giacca. Sorrise a Lovino il quale incrociò le braccia.
“Potevo andare io, non mi serve-“
“Lovi, va bene così.” Antonio rise e andò fuori. Gli piaceva comportarsi da grande.

Appena uscito dalla porta riuscì a sentire una voce cantare. Questa volta era una canzone che non aveva mai sentito fino ad allora.
“Parlami d'amore, Mariù!
Tutta la mia vita sei tu!
Gli occhi tuoi belli brillano
Fiamme di sogno scintillano”


Antonio camminò e si avvicinò sempre di più alla voce intonata di Feliciano. Il bambino se ne stava seduto in mezzo al giardino, sulla neve, tra la siepe ormai secca e alcuni ramoscelli, ad occhi chiusi.

“Dimmi che illusione non é
Dimmi che sei tutta per me!
Qui sul tuo cuor non soffro più
Parlami d'amore, Mariù!”


Continuava a cantare quella melodia, che Antonio trovò davvero carina, ma fu costretto ad interromperlo.
“Feliciano!” Il bambino quando si sentì chiamato aprì gli occhi.
“Veeh…” Guardò il suo amico per qualche secondo e poi sorrise “Antonio, cosa ci fai qua?”
“Feli, vieni dentro. Fa troppo freddo qui fuori.” Si strinse nella sua giacca cercando di risaldarsi. “Cosa stai facendo?”
Feliciano si alzò in piedi e staccò la neve dai vestiti “Avevo voglia di cantare qualcosa per le piante.”
Antonio scosse la testa, ormai era abituato ai comportamenti strani di Feliciano. “Che canzone era? Non l’avevi mai cantata fino ad ora.”
Il bambino sorrise “Me l’ha ricordata Lovino, deve averla sognata. In effetti papà la cantava spesso.”
Antonio poggiò la mano sulla spalla di Feliciano e lo accompagnò verso la porta “Vostro padre doveva essere molto bravo.”
“Per quello che ricordo… lo era.” Rise fra sé e sé.
La curiosità non riuscì a fermare Antonio “Ti mancano i tuoi genitori?”
Il voltò di Feliciano si scurì “Sì, certo.” Mise le mani nelle tasche “La mamma ci ha detto che sarebbe andata in un posto migliore.”
Antonio inarcò un sopracciglio “Quando ve lo ha detto?”
Feliciano alzò le spalle “Quando cadde davanti a me e Lovino, l’ultima volta che l’ho vista.”
Antonio rabbrividì “E vostro padre cosa fece?”
L’italiano tentò di ricordare “Non c’era con noi.” Poi annuì “Sì, era in Italia lui.”
La curiosità crebbe ancora di più dopo questa frase, Antonio non sapeva nulla della via dei due fratelli. Avrebbe voluto così tanto sapere di più ma…
“Feli, Antonio!” Francis sbucò dalla porta “Venite dentro, la signorina tornerà a momenti, si arrabbierà se vi troverà qui fuori con questo freddo.”
Feliciano corse dentro e Antonio rimase a fissare la porta.
“Ehy, entri sì o no?” Il ragazzino incrociò le braccia e iniziò a battere i denti “Farai entrare tutta l’aria gelida se non ti sbrighi.”
Detto questo Antonio si affrettò ad entrare.

***

Gennaio, 1948.

Il primo dell’anno la signorina avrebbe invitato anche la sua famiglia, come al solito, e organizzarono un grande pranzo.
La signorina Bragiskaya, i suoi fratelli e sua madre non erano di buon umore. Il padre della signorina era venuto a mancare qualche settimana prima di natale, i bambini infatti si ripromisero di rendere l’anno di Katyusha bello e rilassato. Non potevano vederla in quello stato.
La mattina del due gennaio i bambini si svegliarono al solito orario, ma quando scesero trovarono al centro della sala un oggetto quadrato coperto da un telo.
Arthur andò avanti prima di tutti seguito ovviamente da Alfred “Che diavolo è?”
Antonio e Gilbert corsero verso l’oggetto “Sarà un regalo.” Disse il primo “Togliamo il telo.”
Ludwig si schiarì la voce “è una televisione?”
Kiku e Feliciano gli diedero ragione… avevano visto la signorina risparmiare molti soldi.
“Togliamo il telo!” Ripeterono Gilbert e Antonio.
Alla fine iniziarono a litigare. Alcuni non volevano toccare nulla altri volevano assolutamente scoprire che cosa ci fosse sotto quel telo.
“Potete toglierlo.” Sentirono la voce della signorina “Ci sono voluti molti risparmi, ma alla fine ce l’ho fatta!” Si mise a ridere.
Antonio si girò verso gli altri “Posso scoprirlo?”
Annuirono tutti.
Quando tolse il telo, scoprirono che Ludwig aveva ragione. Avevano finalmente un televisore. Fra diversi commenti di stupore iniziarono tutti a chiedere di poter accendere e capire come funzionasse quell’oggetto. Avevano sentito che la signora che abitava di fronte a loro ne aveva uno e non vedevo l’ora di usarlo.
Antonio si convinse che non avrebbe mai dimenticato quella giornata.

***

Maggio, 1948.

Nel mese di Maggio avvenne una cosa imprevista. Una giovane coppia continua a presentarsi per parlare con i bambini e con la signorina. Di lì a qualche giorno iniziarono a parlare sempre più spesso con Arthur.

Dopo una settimana Arthur dovette preparare la valigia.

Quel giorno era nuvoloso, Antonio si svegliò al solito orario. Ma ben presto Alfred urlò “Dov’è Arthur?”
Francis andò verso il suo letto e si accorse che il baule accanto al letto era ormai vuoto.
“Oh…” Sospirò.
Gilbert si massaggiò gli occhi “Arthur sta andando via?”
Alfred sobbalzò “No! Non è possibile!” E corse via dalla stanza.
Dopo qualche secondo lo seguirono tutti. Antonio non riusciva a crederci.
La signorina Braginskaya era accanto ad Arthur e continuava ad aggiustargli la camicia e le bretelle.
“Che succede qui?” Alfred corse verso il ragazzo biondo.
Arthur sorrise a lui e ai suoi amici “A quanto pare dovrò andare via.” Alzò le spalle.
La signorina si mise a ridere, doveva essere davvero contenta.
“Penso sia arrivato il momento dei saluti.” Tornò seria e fece avvicinare i bambini.
Antonio guardò Arthur negli occhi “Vai davvero via?”
Arthur annuì semplicemente. Quando vide tutti avvicinarsi per abbracciarlo arrossì di colpo e fece allontanare tutti.
Francis sorrise “Non ci mancheranno le tue sopracciglia!” Arthur storse il naso.
La signorina tossì e il bambino si scusò subito per la battuta.
Quando dal grande portone passò la coppia Arthur sfoggiò un grande sorriso. Antonio rimase senza parole.
Sarebbe andato via, quindi significava che sarebbe andati davvero via tutti prima o poi. La signorina si abbassò e baciò il bambino sulla guancia, il quale arrossì ancora una volta.
Si voltò verso i suoi amici “Ci si vede!” Fece un cenno con la mano, poi si avvicinò ad Alfred e lo abbracciò.
“Ci rivedremo Alfred, non preoccuparti.” Gli occhi gli diventarono lucidi “Oh, dannazione!” Si asciugò gli occhi e corse verso quelli che sarebbero diventati i suoi nuovi genitori. Sorrise nuovamente alle persone nella stanza e sparì dietro il grande portone dell’ingresso.
La signorina si asciugò le lacrime “ Oh, cielo!” Poi si girò verso gli altri “Non siete felici per Arthur?”
“Non lo rivedremo più.” Antonio disse.
Gilbert sbuffò “Non pensavo mi sarebbe mancato così tanto quello lì.”
Antonio non riuscì a smettere di pensare che prima o poi sarebbero andati via tutti come Arthur.

***

Giugno, 1948.

La cosa si ripeté il mese successivo.

Lovino era con Antonio quando venne chiamato dalla signorina “Vorrei che parlassi con delle persone.” Disse lei sfoggiando un grande sorriso. L’italiano guardò verso Antonio, il quale alzò le spalle e rimase lì ad aspettarlo. Lovino venne portato nello studio della signorina Braginskaya, quando entrò nella stanza rimase bloccato alla porta. Davanti a lui, seduti su delle sedie, si trovavano due persone. Una giovane donna con i capelli lunghi, castani e mossi, con una moletta a forma di fiore fra i capelli. Accanto a lei, quello che doveva essere suo marito, un ragazzo con i capelli corvini, gli occhiali rettangolari e un neo sotto il labbro. Lovino inarcò un sopracciglio quando vide che in mezzo alla coppia c’era anche Feliciano.
“Lovi!” Urlò quello, gli prese le mani e lo avvicinò agli sconosciuti “Lui è mio fratello.” e sorrise alla ragazza. La quale ricambiò il sorriso e aggiunse “Io sono Elizabeta.” Poi con la mano indicò l’uomo accanto a lei “Lui è mio marito, Roderich.”
Lovino era spaventato, perché quella coppia stava parlando proprio con loro? Che cosa volevano.
Spinse via Feliciano e incrociò le braccia, guardando con aria di sfida gli estranei.
La signorina intervenne subito “Lovino. Presentati come si deve.”
Il bambino sbuffò rumorosamente “Sono Lovino.” Disse semplicemente. Guardò per un attimo suo fratello, il quale continuava ad avere un’espressione felice, quasi più del solito.
Lovino rimase tutto il tempo in silenzio ad osservare, e ascoltare, aveva già capito che cosa volessero quei due. Anche Feliciano doveva averlo capito, ma a lui non importava.

***

“Lovino devi tenere davvero stretto quel segreto, va bene?” la mamma gli disse mentre gli accarezzava i capelli.
“Perché non posso farlo sapere a nessuno?”
La donna sospirò  “Tuo padre vuole solo salvare l’Italia, ma deve farlo in segreto, altrimenti quei tipi in divisa si arrabbierebbero molto.”
Lovino rise “Quelli che parlano in modo strano?”
“Sì, Lovi, non devi assolutamente parlare con loro.”
Il bambino aveva ancora molte domande da fare, ma si limitò a rispondere “Va bene.”

 
La mamma vide un grande affollamento nella piazza, prese in braccio Feliciano e cambiò strada. Mentre il padre afferrò Lovino.
“Non guardate.”
“Copritevi le orecchie.”
Iniziarono ad aumentare il passo.
Un rumore di pistola risuonò in tutto il viale.


“Lovino….”

“Lovi…”

Si svegliò con il fiatone.  Antonio accanto a lui lo stava chiamando con la mano poggiata sulla spalla.
“Che succede? Ti stavi dimenando mentre dormivi.”
Lovino si alzò dal letto, notò che anche gli altri lo stavano fissando. “Stavano sparando qualcuno.” Sussurrò nell’orecchio di Antonio. “E quindi la mamma e il papà hanno cominciato a correre con noi in braccio.”
“Ma è orribile.” Antonio commentò esclamando. Poi iniziò a massaggiare la schiena di Lovino e gli diede una pacca. “Ora alzati.”
Lovino si raddrizzò e riprese fiato.

Chi stava venendo sparato?

***

Lovino veniva costretto a passare del tempo con Elizabeta e Roderich. L’unica cosa che faceva era guardare quella coppia di giovani adulare suo fratello per tutti i pregi che aveva, e ridevano a tutte le cose buffe che faceva, mentre Lovino restava in disparte. Passavo il tempo nello studio della signorina e capitò che molte volte Elizabeta volesse passare del tempo anche con tutti gli altri bambini, eppure aveva occhi solo per Feliciano.

Un giorno la coppia rimase con loro in giardino, Lovino si nascose dietro un albero e si sedette lì. Mentre giocava con il terreno sentì dei passi. Pronto a rispondere male si dovette fermare quando vide i capelli lunghi e castani di Elizabeta, la quale gli sorrise e chiese “Posso sedermi un attimo qui?”
“Come le pare.” Lovino incrociò le braccia e si spostò un pochino. Il bambino voleva dirle alcune cose quindi iniziò subito a parlare “Che cosa vuole da noi due?”
Lei rise e rimase quasi sbalordita “Lovino, io vorrei solo potervi crescere come figli miei.”
“Non può avere dei figli suoi e basta?” non si accorse nemmeno di essere stato molto rude.
Elizabeta fece un sorriso amaro “Sei ancora troppo piccolo per sapere alcune cose.”
Lovino abbassò gli occhi, guardò il terreno scivolargli fra le dite “A lei io non piaccio.”
“Questo non è vero.”
“Allora preferisce Feliciano a me.” alzò lo sguardo e vide la donna in difficoltà. “Non le lascerò prendere mio fratello.” si accigliò e parlò in tono serio, eppure la ragazza scoppiò a ridere. Gli iniziò ad accarezzare la testa e Lovino arrossì. Il tocco della mano di Elizabeta gli ricordò sua madre, gli sembrò quasi di stare nel giardino di casa con sua mamma che gli accarezzava i capelli.
Con la brezza primaverile.
E i fiori.
Il bambino tornò in sé e allontanò la mano “Lei non potrà fare parte della famiglia, non potete rimpiazzare i miei genitori.” La donna rimase immobile, con la mano alzata. Si alzò in piedi e si allontanò.

***

Fine Giugno, 1948.

Antonio, finite le lezioni trovò Lovino seduto all’ingresso, nel cortile. Da un paio di giorni Lovino non parlava quasi più con nessuno, quindi approfittò di quell’occasione per passare del tempo con il suo amico.
“Ehy, Lovi!” salutò sedendosi accanto a lui. “Che stai facendo?”
“Vattene via.” Disse l’altro, senza dare nessuno spiegazione.
Antonio provò a dire qualcosa, ma vide Lovino nascondere la testa fra le gambe. “Vattene via.” Ripeté.
Lui fece come gli era stato detto e si allontanò per tornare da Gilbert e Francis. Prima di andare via notò Feliciano che parlava con la coppia di giovani sposati.
Non aveva bisogno di spiegazioni.

***

Era notte fonda quando Lovino decise di alzarsi ed andare nella camera della signorina. Poggiò silenziosamente i piedi sul pavimento, cercando di non farlo scricchiolare, nel frattempo sentiva che le cicale fuori continuavano a cantare. Aprì il portone con cautela, e si diresse verso la camera della signorina Braginskaya.
Bussò alla porta, ma nessuno andò ad aprire, quindi entrò senza permesso. Si avvicinò al letto, e iniziò a sussurrare “Signorina, signorina, si svegli!”
La donna aprì lentamente gli occhi, all’inizio sobbalzò, poi strizzò gli occhi e rimase confusa da quello che stava vedendo.
“Lo-Lovino? Cosa c’è?” Si raddrizzò con la schiena “Mi hai spaventata.”
“Signorina io devo dirle una cosa seria.”
La donna annuì e aspettò.
Prima di iniziare a parlare Lovino pensò molto.
Feliciano non faceva altro che parlare di Elizabeta e Roderich. Una volta aveva detto a Lovino che a lui faceva piacere stare con loro, avrebbe potuto restarci per sempre.
Quella coppia sembrava davvero voler bene a Feliciano.
Eppure la voce della mamma che ripeteva “Proteggi Feliciano.” Continuava a risuonargli in testa.
Lovino prese un respiro.
La signorina lo guardava fisso negli occhi mentre aspettava che il bambino parlasse.
“Signorina, lasci andare Feliciano senza di me.”
La donna spalancò gli occhi “Lovi, non posso fare una cosa del genere.”
“Io non voglio andare con loro, ma a mio fratello piace molto quella coppia.” Lui continuò cercando di persuadere la signorina.
Probabilmente i suoi occhi si inumidirono e abbracciò Lovino “Sei proprio un bravo bambino.”
Lui rimase in silenzio con gli occhi vitrei.

***

Luglio, 1948.

Il baule ai piedi del letto era vuoto, la valigia invece era stracolma. Feliciano era ben vestito, Lovino aveva una salopette qualunque con una vecchia camicia che prima era di Francis quando aveva la sua età.
Lovino rimase nella camera, non scese nemmeno a salutare. Sentì la porta aprirsi e Feliciano entrare nella stanza.
Fratello.” disse a voce bassa.
Lovino respirò profondamente e poi si voltò. Guardò attentamente il volto del fratello, memorizzò ogni piccolo particolare. “Feli.” Disse alla fine.
“Sei sicuro?” Il bambino disse “Non vuoi venire con me?”
“No.” Rispose in modo secco “Non voglio che siano la mia famiglia, ma tu vai pure.” Si avvicinò al fratello.
Feliciano iniziò a piangere e Lovino lo sgridò.
“Pregherò Elizabeta per venire a trovarti ogni mese.” Gli prese le mani e le strinse. “Ti scriverò anche delle lettere!”
Lovino si limitò a nascondere un sorriso.
Si abbracciarono fino a quando non sentirono la signorina chiamarli dal piano di sotto.
Feliciano andò verso la porta e poi si voltò. “Non mi accompagni giù?”
“No, starò qui.”
“Va bene.”
“Ci rivedremo, non ti preoccupare.”
Feliciano smise di piangere e annui.

Lovino rimase a fissare il portone chiudersi.

Dopo poco si voltò verso la finestra e vide Feliciano allontanarsi dall’orfanotrofio.
In quel momento le lacrime gli offuscarono la vista.

***

Dicembre, 1948

Caro fratello,

Ho deciso di scriverti in italiano, così che queste lettere saranno un segreto solo per noi!
Mi dispiace non essermi fatto vedere dalla mia ultima visita a settembre, scusa. Mamma (mi ha pregato di essere chiamata così, però ancora lo trovo strano.) ha detto che non potremo esserci a natale e capodanno, forse passeremo direttamente l’anno prossimo. Io ti ho comunque preso un regalo per natale, non vedo l’ora di potertelo dare.

Raccontami se ci sono novità nell’orfanotrofio.
Ancora auguri! Speriamo di vederci presto.
Con affetto,
Feliciano.


***

Febbraio, 1949.

Antonio non poteva credere ai suoi occhi. Un’altra coppia arrivò all’orfanotrofio. Questi non erano giovani come Elizabeta e Roderich, la signorina li fece parlare con quelli più grandi.

Prima che se ne rendesse conto Francis doveva lasciare l’orfanotrofio.
La signorina diceva che era stato molto fortunato.
Gilbert e Antonio dicevano che non sarebbe dovuto andar via.

Il giorno della partenza di Francis, fu uno dei più brutti che Antonio potesse ricordare. Il suo amico stava preparando la valigia, aveva messo il suo gilet preferito, con una camicia celeste chiaro e i capelli biondi li aveva raccolti in una coda bassa.
Gli altri bambini erano seduti sui loro letti mentre lui continuava ad aggiungere cose nella valigia. Matthew, Antonio e Gilbert avrebbero voluto mostrarsi felici come tutti gli altri, ma non ci riuscivano. Quando Francis ebbe finito con i bagagli si alzò e guardò i suoi compagni.
“Ora… scenderò di sotto.” Si aggiusto la camicia e prese un grande respiro. Matthew si aggrappò a lui e parlò piano.
“Non mi dimenticherai vero?” e abbassò lo sguardo. Francis era l’unico che pensasse sempre al povero Matthew, ora che lui e sarebbe andato via, non avrebbe più avuto nessuno con cui passare il tempo. Alfred aveva Kiku con cui giocare, mentre lui veniva sempre lasciato in disparte con il suo peluche bianco.
“Non succederà” Francis si abbassò per abbracciarlo, poi si voltò per guardare Gilbert e Antonio “Non dimenticherò nessuno.”
Si avvicinò a loro e cacciò dalla tasca del pantalone un foglietto, prese la mano di Gilbert e vi poggiò il pezzo di carta. “Questo è l’indirizzo della mia nuova casa, l’ho chiesto appositamente per questo motivo.”
“Non capisco…” Gilbert disse mentre scuoteva la testa.
Francis alzò gli occhi al cielo “Con questo potete spedirmi lettere, o venirmi a trovare!”
Antonio prese il biglietto dalle mani di Gilbert, era il nome di una città molto lontana dal loro paese “Francis, come faremo a venire a trovarti?” chiese “È troppo lontano da qui!” era esasperato.
“Speditemi delle lettere.” Sorrise gentilmente “Io ne spedirò a voi.” Poi gli occhi gli divennero lucidi e abbracciò Antonio e Gilbert.
“Oh, andiamo! Non fare il drammatico!” Gilbert urlò mentre cercava di coprirsi gli occhi “Non è mica un addio questo.”
“Gil, stai piangendo?” Antonio iniziò a ridere e avvicinò l’albino a se.
“Non sto piangendo, tu stai piangendo!” e nel frattempo si copriva la faccia.
Accompagnarono Francis fino al cancello, o lo videro andare via, mentre salutava con la mano.
Antonio si voltò per guardare Gilbert, il quale a sua volta stava fissando il biglietto nel palmo della sua mano, lo strinse e poi ricambiò lo sguardo di Antonio.
“Non dobbiamo perderlo, mai.” Disse lui mettendo il biglietto nella tasca.

***

Settembre, 1949.

Feliciano non tornò più all’orfanotrofio, perché ormai era a Vienna.
Mandò qualche lettera: scriveva del negozio di fiori, della sua famiglia, della scuola, stava bene.
Lovino mandò qualche lettera: scriveva dell’orfanotrofio, dei suoi amici, e fingeva di stare bene.








----Angolo dell'autrice-----
Pubblico davvero in ritardo dall'ultimo aggiornamento, chiedo venia. Sono davvero molto impegnata con la scuola e altre cose, non trovo davvero mai il tempo per scrivere. Spero che il capitolo non vi sia sembrato troppo lungo, mi sono dilungata più del solito.
Al prossimo aggiornamento! 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Novembre 1949

Caro Lovi,

Qui a Vienna fa davvero freddo, l’Inghilterra era più calda in confronto. Avevo del tempo libero quindi ho deciso di scriverti, in realtà è molto tardi, mamma non sa che sono sveglio, ma non riesco a dormire.
La scorsa notte ho sognato che io e te giocavamo nel negozio di fiori, c’erano anche Ludwig e Kiku con noi. E tu? Sogni ancora tutte quelle cose con la mamma e il papà?

Non ho molto da raccontarti questa volta… scusa. Saluta tutti da parte mia!

Feli.

***

Dicembre 1949

Caro fratello,

Dovresti vedere quante decorazioni natalizie ci sono in giro per la città!
Abbiamo decorato il nostro negozio con luci rosse e bianche, è stato un mio consiglio! Spero che all’orfanotrofio passerete delle buone feste.
Forse riusciremo a venire per capodanno! Ho chiesto e Roderiche e Elizabeta hanno detto che in futuro forse riusciremo a vederci più spesso.
Augura un buon Natale ed un felice anno nuovo a tutti quanti.


Con affetto,
Feliciano.


***

Marzo 1950

Caro Lovino,
Spero la lettera arrivi in tempo per il nostro compleanno… Fai gli auguri di buon compleanno ad Antonio e Kiku, anche se in ritardo. Mi dispiace non poter passare tutti questi compleanni con voi.
Io lo festeggerò con alcuni compagni di scuola e faremo una piccola festa.

Insieme alla lettera ho spedito il mio regalo per te, spero ti piaccia! Sul retro della lettera ti ho fatto un disegno.
Buon decimo compleanno Lovi!


Feliciano.

p.s Scrivimi più spesso!

***

Maggio 1950

Caro Lovino,
Il negozio diventa sempre più colorato e profumato! Mi piace così tanto questo posto, sono felice di poter aiutare la mamma. Penso che questo lavoro sarebbe piaciuto anche alla nostra mamma. (Che confusione quante mamme!)
L’altro giorno stavo cantando “Bella ciao” la ricordi ancora, vero? Ti scrivo il testo sul retro, spero tu non l’abbia dimenticato. I clienti nel negozio sono rimasti sorpresi, mi hanno chiesto come facevo a conoscere l’italiano, e quando ho detto che sono stato adottato non sono stati molto contenti. È forse una cosa brutta?  

La mamma mi ha consigliato di spedirti una foto di noi tre insieme a questa lettera, così che tu possa vedere il nostro negozio di fiori.

Un abbraccio,
Feliciano.


***

Giugno 1950

Antonio si alzò come al solito e andò in bagno. Strizzò gli occhi e si guardò allo specchio attentamente, iniziò a notare sotto il mento qualche piccolo pelo, li trovava davvero di cattivo gusto. Anche quelli sopra il labbro superiore, o quelli su tutto il corpo, erano cresciuti senza che lui se ne rendesse conto. Era diventato anche più alto e la sua voce sembrava strana quando parlava. Era come se avesse dei momenti in cui la voce era acuta e altri in cui era molto bassa. Anche a Gilbert successe la stessa cosa, ma a lui uscivano tantissime bollicine su tutta la fronte. Antonio gli consigliò di non toccarle troppo, come gli aveva spiegato la signorina, ma Gilbert le continuava a schiacciarle per poi ritrovarsi una serie di cicatrici su tutta la fronte.
La signorina gli disse che era normale, anzi, sembrò quasi commossa quando realizzò che ormai avevano 13 anni e quindi stavano iniziando a crescere. Decise di prenderli in disparte e disse di dovergli parlare di una cosa.
Gli fece un discorso che Antonio trovò abbastanza strano. Iniziò a parlare di corpo umano e della pubertà. Gilbert sembrava interessato, Antonio quasi disgustato. La signorina in realtà si sentiva abbastanza a disagio e gli disse che avrebbero capito meglio quando sarebbero diventati più grandi.
Per qualche motivo Antonio si sentì in imbarazzo dopo essere uscito dalla stanza.
“Chissà se a Francis sta succedendo lo stesso…” Disse Gilbert mentre i due scendevano le scale. Antonio sorrise “Dovremo chiederglielo in una lettera!”
“Buona idea!” Gilbert corse a prendere della carta per le lettere. Antonio rimase ad aspettarlo al tavolo.
“Dovremo chiedergli quando verrà a trovarci.” fece Antonio afferrando la carta. Gilbert gliela ritrasse, lo guardò serio.
“Antonio.” Iniziò. La sua voce era diventata ancora più graffiata di quanto non lo fosse già. “Tu speri ancora venga a trovarci?” gli poggiò una mano sul ginocchio. Antonio annuì senza pensarci due volte. Gilbert voleva parlare, ma invece sorride e scosse la testa.
“Va bene, da dove cominciamo?”

Dopo aver scritto la lettera per Francis andarono fuori dagli altri. Gilbert aveva voglia di raccontare delle cose appena imparate con quelli più piccoli, ma Antonio lo fermò prima che potesse fare qualcosa. Vide Lovino poggiato alla staccionata, sembrava si stesse annoiando. Si arricciava i capelli con un dito e fischiettava.
“Lovi!” Antonio si avvicinò piano e lo chiamò. “Che stai facendo?”
Il bambino sembrò tornare in sé “Oh, Antonio.” Scosse la testa “Io stavo semplicemente pensando.”
“Capisco…” si poggiò anche lui alla staccionata “Hai notizie da Feliciano?” si lasciò cadere e si sedette sul terreno, mentre guardava Lovino dal basso.
“Sì, sembra se la passi bene. Il mese scorso mi ha anche spedito una foto.” Cacciò dalla tasca la foto piegata. Gliele passò e Antonio la aprì.
Sulla foto c’erano Feliciano in piedi, Elizabeta seduta accanto a lui e Roderich vicino al bambino. Sullo sfondo il negozio adornato di fiori, alcuni pendevano dai muri, altri erano poggiati su una lunga fila di scaffali.
“Sembra bello!” Antonio commento porgendo di nuovo la foto a Lovino. Riprese la foto e la guardò affranto.
“Lo rivedrai, Lovi. Non preoccuparti.” Gli sorrise e Lovino arrossì.
“N-non voglio rivederlo.” Scosse la testa e guardò verso Antonio, che sorrise ancora di più e continuò a parlare.
“Sei carino quando… sai…” rise e sentì la faccia riscaldarsi “Arrossisci.” Capì che forse non avrebbe dovuto dirlo quando ormai Lovino si era già arrabbiato.
“Che cazzo dici?” e anche le orecchie divennero rosse.
Antonio rise più forte “Se la signorina ti sentisse ti sgriderebbe, lo sai?”
“Mi hai insegnato tu queste cose.” Disse in sua discolpa mentre cercava di non ridere. Antonio lo trovò molto carino, ma questa volta non disse nulla.
Lovino tornò a guardare la foto e la posò. Antonio voleva ancora parlare quindi tornò a parlare di Feliciano.
“Comunque, quando sarai più grande, potrai andare a Vienna.” Era serio “Se vuoi io potrò accompagnarti.”
Lovino scosse la testa “Andrai via molto prima di me.” si abbassò e si sedette accanto ad Antonio. “Resterò da solo. Prima papà, poi mamma, poi Feliciano…”
“Lovi, non preoccuparti, io non ti lascerò da solo.” Antonio disse cercando di tranquillizzarlo. “Piuttosto… ora riesci a ricordare qualcosa riguardo al tuo passato?”
“È tutto abbastanza confuso, però ultimamente i sogni mi stanno aiutando.” Lo guardò e Antonio gli disse di andare avanti e parlargliene. “Ok, prima eravamo in Italia, tutti insieme. Mio padre si vedeva spesso la sera con alcune persone. Riesco solo a ricordare che, quello doveva essere un segreto.”
Antonio notò che il suo amico si stava davvero sforzando.
“Poi… Noi e la mamma siamo venuti qui, ma nessuno ci ha accolti.”
“Nemmeno la famiglia di tua madre?”
“No…” Lovino socchiuse gli occhi “La mamma era malata. Venne a sapere che mio padre era morto. Poi ricordo solo che cadde a terra e ci portò qui.”
Antonio iniziò ad accarezzare la testa dell’italiano “E lei mi disse ‘prenditi cura di Feliciano’…” Lovino aprì di nuovo gli occhi “Solo questo.” Si massaggiò le tempie.
“Non ti preoccupare, prima o poi tutto ti sarà più chiaro.” Antonio cercò di essere positivo, continuava a passare le dita fra i capelli castani di Lovino, lui spostò la mano dell’amico.
“Pensò che andrò un attimo dentro.” Si alzò in piedi e si allontanò.
Antonio rimase seduto lì ancora per un po’, a guardare il paesaggio, il cielo e l’orfanotrofio in piena estate.

***

Agosto 1950

Era il tramonto quando Antonio andò verso la finestra per aprirla e lasciare che il fresco entrasse nella stanza. Si poggiò e iniziò a guardare il crepuscolo arancione e rosato, ma i suoi occhi caddero al porticato della casa di fronte l’orfanotrofio, dove abitava una signora con la sua famiglia. Sembrava che una delle sue figlie dovesse sposarsi, infatti la ragazza era con il suo fidanzato fuori la porta di casa. Lovino entrò nella camera in quel momento, Antonio si voltò e gli sorrise. Il ragazzino si avvicinò e guardò anche lui all’esterno.
“Sembra che quello sia il fidanzato della figlia della signora qui di fronte.” Indicò con il dito. Quando Lovino si focalizzò sui due arrossì.
“Sei un guardone!” Lovino disse dando uno schiaffo al suo amico. Antonio confuso tornò a guardare ai due e si rese conto che li colsero mentre si baciavano.
“Oh! No, ti giuro, prima non….” Rise da solo imbarazzato.
Lovino si allontanò dalla finestra e scosse la testa “Guardone.” Disse di nuovo.
Antonio tornò a guardare fuori e poi ripensò a quello che aveva visto. “Lovi…”
“Mh?”
“Non ti piacerebbe provare?” chiese quasi ingenuamente, mentre continuava a guardare la coppia.
“Provare cosa?” Lovino fece la domanda quasi spaventato dalla risposta che avrebbe ricevuto.
“A baciare qualcuno.” Ammise l’altro, guardandolo negli occhi. Lovino inarcò un sopracciglio.
“Che?” stupito “Ma è una cosa schifosa da fare!” Affermò convinto.
Antonio si rese conto che forse la sua non era stata una bella proposta “N-non puoi saperlo fino a quando non lo provi!” iniziò a balbettare. “Potremmo provarci? Siamo amici dopotutto.”
Lovino fece un passo indietro “Non se ne parla! Sei impazzito?”
L’amico lo guardò affranto, dopo un momento di esitazione “Oooh, e va bene!” Lovino alzò gli occhi al cielo “Deve restare un segreto, ok?”
Antonio scosse la testa “Perché?”
“Perché siamo due maschi!” L’italiano incrociò le braccia “I maschi non si baciano fra di loro.”
Antonio continuava a non vederci nulla di male “Bene, allora saremo i primi. È solo un bacio, Lovi, non c’è nulla di male.” E si mise a ridere.
Vedendo Antonio avvicinare il viso al suo, Lovino indietreggiò “Aspetta… sai come si fa?”
Ci penso un momento prima di parlare. Aveva visto delle coppie fare cose del genere, eppure non aveva idea di come si facesse, ne era quasi spaventato. Però non si sarebbe tirato indietro “Tu chiudi gli occhi.” Lovino arrossì e strizzò gli occhi.
Antonio esitò, guardò il suo amico con gli occhi chiusi davanti a lui, fece lo stesso anche lui, si spinse in avanti e premette le sue labbra contro quelle di Lovino per pochissimi secondi. Si allontanò velocemente.
Entrambi aprirono gli occhi, ma non riuscirono a guardarsi.
Le guance di Antonio diventarono rosee “Non era terribile.” E rise.
Lovino disse solo “Non dirlo a nessuno.” Ma era chiaramente molto arrabbiato.
“Nemmeno a Gilbert?” Chiese Antonio speranzoso.
“Nemmeno a Gilbert.” Sbuffò innervosito e lo fulminò con lo sguardo.

***
Le giornate per Lovino iniziavano a diventare noiose. Non succedeva mai nulla di importante, almeno non a lui.
Altri bambini vennero adottati solo Antonio, Lovino, Gilbert e Ludwig restavano lì.
Le giornate erano tutte uguali, le feste erano monotone, le lezioni noiose.
La sera si fermava a guardare fuori dalla finestra e fissava le stelle, si domandava se Feliciano riusciva a vedere lo stesso cielo.






***Angolo dell'autrice***
Sono in ritardo again, wow. Spero che la storia stia piacendo e non risulti troppo noiosa, ma vi giuro che dal prossimo capitolo ci saranno delle svolte. Lasciatemi delle recensioni per farmi sapere, ne sarei molto felice.
Mi piacerebbe sempre scrivere qualcosa di carino in questo piccolo spazio, ma non so mai come fare. Sigh. 
Spero passiate tutti delle buone vacanze e che non soffriate maledettamente il caldo come la sottoscritta. 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Agosto, 1954

Dopo essersi alzato, Lovino corse a cambiarsi, mise una camicia celeste e dei pantaloni scuri. Andò in bagno e si guardò allo specchio per aggiustarsi i capelli. Aveva compiuto 14 anni, eppure non si vedeva molto cresciuto. Non gli era cresciuto nessun pelo, non come successe ad Antonio, e non era nemmeno cresciuto in altezza, come successe a Ludwig. L’unica cosa che trovò positiva fu che non gli comparve nemmeno uno di quegli orribili brufolini, come Gilbert.
Mentre si guardava allo specchio si domandò come fosse cambiato Feliciano invece, magari era diventato più alto di lui. Gli sarebbe piaciuto scoprirlo.
“Lovi!” La voce di Antonio lo fece distrarre.
“Ehy…” Lovino disse a voce bassa “Cosa c’è?”
Antonio era diventato molto più alto di lui e pensava che fosse il più bel ragazzo che avesse mai visto. La pelle olivastra risaltava particolarmente quando si vestiva con abiti chiari. Antonio gli sorrise mostrandogli tutti i denti.
“Scusa, dovrei prendere una cosa nel mobile.” Allungò il braccio “Scusami, vado via subito.” Lovino si ritrovò con il volto contro il petto di Antonio, arrossì e si allontano. L’altro prese quello che gli serviva e uscì dal bagno di corsa. Lovino rimase imbambolato per qualche secondo.
“È successo qualcosa?” Ludwig disse fermandosi davanti la porta. Lovino si spaventò e scosse velocemente la testa.
“COS-“ uscì dal bagno tutto rosso e agitato “Levati dai piedi, non ho nulla.”
Ludwig rimase sconvolto e disse solo “Va bene, ok.” e si allontanò giù per le scale.
Entrando di nuovo in camera Lovino guardò i bambini nuovi, erano circa 3 o 4, il più piccolo aveva compiuto da qualche mese cinque anni. Ormai lui e gli altri erano molto grandi. Antonio e Gilbert avevano ormai 17 anni, e Ludwig 15. La signorina Braginskaya li lasciava andare in paese alcune volte, oppure gli chiedeva delle commissioni.
In camera c’era anche Antonio “Oh, dovevo prendere questo!” e gli mostrò un prodotto per capelli.
“Usi quella roba?” Lovino disse guardando il barattolo.
“Certo, altrimenti non sarebbero così belli!” scherzò Antonio mentre si toccava i capelli ricci. Lovino sorrise “Sono belli comunque…” ammise.
Antonio arrossì “L-Lo pensi davvero?” e sorrise. Lovino realizzò cosa aveva appena detto e cercò di giustificarsi.
“N-no, ti prendevo in giro.” Mise in ordine goffamente il suo letto e corse fuori.
“Ehy, Lovi, accenderesti la radio appena scendi?”
Alzò le spalle in risposta. 

Insieme a Lovino scesero due delle bambine che corsero dalla signorina.
“Oh, ci servivano proprio due femminucce, finalmente!” disse lei ridendo. Poi guardò verso Lovino, lo trovò un pochino scosso “Tesoro, che succede?”
“Nulla, nulla, davvero.” Disse lui timidamente. Andò verso la radio e la accese.

“….Just any way you do
That's all right
That's all right
That's all right, little mama
Any way you do.”


Alla radio c’era quella canzone da poco uscita di un cantante americano che faceva davvero impazzire tutti, si chiamava Elvis Presley. Lovino alzò poco il volume e si sedette sulla poltrona impolverata lì accanto.
“Non riesco davvero a capire come faccia a piacervi quella roba!” La signorina disse esasperata. “Sarò io che sto invecchiando troppo.”
Antonio corse giù per le scale e iniziò a cantare insieme a Gilbert.

“Well, Mama she done told me
Papa done told me too
"Son, that gal you're foolin' with
She ain't no good for you"
But that's all right
That's all right
That's all right, little mama
Any way you do.”


Cantavano all’unisono con la radio, Gilbert stonava parecchio, però Lovino trovò carina la voce di Antonio.
“Davvero non riesco a capirvi.” La signorina aggiunse rassegnata.
“È tutta una questione di ritmo!” Disse Gilbert mentre rideva seguito dal suo amico. Si sedette sui braccioli della poltrona dove era seduto Lovino.
“E poi perché questi americani devono abbreviare così tanto le parole?” Chiese ancora la signorina. Antonio continuava a ridere, e Lovino continuava a guardarlo mentre lo faceva. Antonio abbassò lo sguardo e Lovino girò la faccia.
“Tutto bene? Sei strano oggi.” Antonio poggiò una mano sui capelli di Lovino e gli sorrise.
“E piantala!” Disse l’italiano allontanando la mano.
Era da un po’ di tempo che i due passavano interi secondi a fissarsi a vicenda, di solito Antonio dopo un pochino sorrideva e Lovino arrossiva. Odiava quella situazione.
“Ragazzi, per favore andate a fare qualche commissione?” la signorina comparì di nuovo dalla cucina e spense la radio. “Potete approfittare per spedire queste lettere a Feliciano.”
“Oh, già, Feliciano è l’unico che ancora ci scrive.” Disse Gilbert seccato “Non come quello che credevo fosse mio amico.”
“Gil, Francis è andato via da tanti anni ormai, eravate piccoli.” La signorina cercò di tranquillizzarlo. “Comunque se potete passare a prendere del latte, potete anche spedire queste lettere.”
“Uhm, signorina…” Lovino alzò la mano.
“Cosa c’è Lovi?”
“Io ne ho scritta solo una…” disse confuso. Di chi erano le altre? Lovino guardò gli altri e poi notò Ludwig un po’ imbarazzato “Che cazzo hai da scrivergli tu?”
Ludwig sobbalzò “Voglio solo… siamo amici.”
“Lovino!” La signorina lo richiamò  “Hanno tutti il diritto di scrivere a Feliciano. E… linguaggio.” Disse delusa. Poggiò le due lettere sul tavolo e poi si allontanò. Antonio poggiò la mano sulla spalla di Lovino.
“Vuoi accompagnarmi?”
Lovino roteò gli occhi e si alzò in piedi.
“Io starò qui a… aiutare la signorina con i bambini.” Gilbert si alzò e andò con Ludwig verso la cucina.
Antonio sorrise “Andiamo!” e uscirono dalla porta.

***

Faceva estremamente caldo. Antonio non riusciva più a camminare, il sudore continuava a colargli dalla fronte. Guardò verso Lovino, sembrava anche lui molto accaldato. Erano le dieci del mattino e più andavano avanti più il caldo aumentava. Antonio sapeva che nell’ultimo periodo le cose fra lui e Lovino erano strane. In realtà si sentiva diverso da quando aveva 13 anni, dopo che lui e Lovino si baciarono. Pensando a quello Antonio rise.
“Cosa?” Fece Lovino infastidito. L’altro intanto rideva sempre più forte, facendo arrabbiare l’italiano che lo ignorò.
“Pensavo ad un cosa.” Antonio disse mentre rideva “Ricordi quando ci siamo baciati? Che stupidi!”
Lovino arrossì di colpo “Oh santo cielo… P-perché me lo hai dovuto ricordare?”
“Non c’è nulla di male! Eravamo piccoli.” Antonio si calmò “Ti sei arrabbiato?”
“Non c’era bisogno di ricordarmi quella cosa.” Lovino si nascose una parte del volto “Dopo 4 anni come ti è tornato in mente?”
Antonio cercò di trovare una spiegazione, non voleva far arrabbiare Lovino “Era… una cosa divertente che abbiamo fatto quando eravamo più piccoli. Solo questo.”
“Tsk.” Fece l’altro scocciato. Cominciò a camminare più velocemente e Antonio rimase confuso da quello che era appena successo. Si scusò diverse volte fino a quando non fece innervosire Lovino (“Che cazzo, smettila!”)
Imbucarono la posta e poi andarono a comprare il latte, rimasero in giro in paese per un po’, poi corsero all’orfanotrofio. Lovino sembrava ancora arrabbiato, ma ormai Antonio ci aveva fatto l’abitudine a vederlo così.

***

Settembre, 1954

Dopo cena i bambini andarono tutti in fretta al piano superiore. Antonio, Gilbert, Ludwig e Lovino rimasero con la signorina a sparecchiare. Ormai sentivano quel pensiero constante che gli ricordava che erano grandi e si sentivano distaccati dagli altri membri dell’orfanotrofio. Gilbert sembrava non vedesse l’ora di andare via con Ludwig, Lovino aspettava con ansia il momento in cui sarebbe dovuto andare via, mentre Antonio non lo sapeva ancora. Era maturato rispetto a prima, e questo lo notò anche la signorina, solo che ancora non era bravo con le decisioni importanti.
Quando salirono di sopra andarono nei loro letti, che ormai avevano cambiato disposizione. I letti di Gilbert e Antonio rimasero nella posizione di prima ( uno accanto a l’altro, sotto la finestra) mentre Ludwig e Lovino vennero spostati accanto a loro. Non andavano quasi mai a dormire presto come gli altri bambini, di solito rimanevano svegli a giocare a carte o a parlare (anche se non avevano molto da raccontarsi). Lovino e Ludwig furono i primi ad addormentarsi.
“Bhe, direi che ora dobbiamo dormire anche noi.” Antonio si mise sotto le coperte e augurò la buonanotte.
“Aspetta un attimo.” Gilbert lo pregò “Devo parlarti di una cosa.”
Antonio si preoccupò e annuì “Dimmi.”
“A Gennaio io compirò 18 anni.” Iniziò l’albino, ma Antonio roteò gli occhi e lo interruppe.
“Gilbert non mi piace parlare di questa cosa!” e incrociò le braccia.
“No, ascoltami.” Gilbert si arrabbiò “ È una cosa seria.” Antonio si arrese e ascoltò in silenzio. “Io pensavo di voler restare qui.”
Antonio alzò un sopracciglio “E come, scusa?”
“Resterò qui e aiuterò la signorina con l’orfanotrofio. Sarà il mio lavoro, per così dire, fino a quando Ludwig non sarà più grande.” Si girò a guardare il fratello.
“Puoi andare fin da subito via con lui.” Antonio alzò le spalle “Aspetti questo momento da una vita.”
“Voglio aspettare che anche lui compia 18 anni.” Gilbert spiegò “Ora ha solo 15 anni e no, non è abbastanza grande.” Antonio sapeva quanto il suo amico fosse protettivo nei confronti del fratello, quindi non fece ulteriori domande.
“E quindi… resterai qui altri 3 anni?” sorrise.
“Sì.” Rispose tranquillo “E poi partiremo per la Germania.” Continuò lui.
“Che cosa?!” Antonio alzò la voce senza rendersene conto.
“Sssh, abbassa la voce, cretino.” Rispose lui “Vogliamo cercare i parenti di mio padre. Qualcuno ci sarà…”
Antonio incurvò entrambe le sopracciglia e iniziò a preoccuparsi. Non gli piaceva molto come idea.
“E tu invece? Hai deciso?”
“Non posso restare qui, come fai tu?” Antonio chiese preoccupato “Lo sai che ancora non ci ho pensato.”
“Antonio.” Gilbert disse solo quello e lo guardò fisso negli occhi.
“Ok.” Antonio si fermò a pensare, il suo sguardo cadde sul viso di Lovino mentre dormiva. Sembrava stesse dormendo profondamente. Il suo viso liscio e gli occhi con le lunghe ciglia chiusi fecero incantare per qualche secondo Antonio. “Non lo trovi veramente bello?” disse convinto di averlo solo pensato.
“Cosa?” Gilbert guardò Antonio confuso il quale arrossì e si coprì la bocca ridendo.
“Non dovevo dirlo.”
Gilbert si voltò nella direzione in cui prima stava guardando il suo amico, e inarcò un sopracciglio. “Stavi parlando… di Lovino?” si voltò confuso. “Uhm, lo trovi, bello?” e sembrava imbarazzato.
“Lascia stare.” Antonio scosse la testa. “Ne riparleremo un’altra volta.” Si nascose sotto le coperte e restò lì. Sentì Gilbert sbuffare.

***

Dicembre, 1954

Lovino venne scaraventato nel fienile insieme a Feliciano, nascosti nella paglia.
“Non muovetevi.” Sussurrò la madre che corse fuori. Feliciano provò a piangere, ma Lovino lo fermò. Sentirono la porta spalancarsi e un uomo in divisa entrare. La paglia era in tutti i vestiti di Lovino e pizzicava. Aveva paura, non riusciva nemmeno più a vedere la mamma.


Sentirono una signora dire “Potete venire qui.” E corsero fuori in cerca dei genitori. Il primo che videro fu il padre che saltò giù da un albero, si aggiustò le bretelle e aiutò la moglie a scendere, intenta a non incastrare la gonna nei rami.
“Mamma, papà.” Urlarono i bambini che saltarono in braccio ai genitori.

 
“Perché ci nascondiamo?”
“Perché noi combattiamo per il bene dell’Italia.” Disse il padre a Lovino, mentre preparava qualcosa da mangiare, quel poco che avevano. “Per noi è la cosa giusta da fare, per loro quella sbagliata.”
“Smettila di parlarne sempre.” La mamma disse dall’altra parte mentre puliva “Oggi è domenica, possiamo passarla in pace, senza parlare di camice nere e Resistenza?”
“Certo, cara.” Lovino vide il padre avvicinarsi al viso della mamma e gli diede un bacio sulla guancia.

 
Lovino scrisse il sogno che aveva fatto quella notte nel taccuino che gli venne regalato a Natale e  collegò alcune cose con altre, non ne sapeva molto della guerra, quindi non riusciva ancora a capire che ruolo avessero i genitori. Ne avrebbe dovuto parlare anche con suo fratello, ma non sarebbe stato d’aiuto.
“Lovi, vieni di sotto, il pranzo è pronto.” Antonio lo chiamò e chiuse in fretta il taccuino.
“Sì, certo, arrivo.” Riuscì a guardare l’altro solo per pochi secondi. Era da tanto che non parlavano da soli e la situazione risultò imbarazzante. Lovino si affrettò ad alzarsi e fece per uscire dalla stanza, quando sentì una mano afferrare la sua. Quando si voltò scoprì che Antonio lo aveva fermato davanti la porta. “Devo farti una domanda.” Lovino guardò in basso verso la sua mano, arrossì e la ritirò.
“Che c’è?” chiese normalmente.
Tossì e si schiarì la gola “Ti sei mai, diciamo, innamorato?” si mise una mano sul collo e iniziò a giocare con i riccioli che si poggiavano su di esso.
Lovino lo guardò confuso “No, non credo.”  E scosse la testa. Antonio sembrò in difficoltà e annuì dicendo
“Capisco.” Incrociò le braccia e continuò “No, perché, mi sarebbe piaciuto parlarne con qualcuno che ne sapesse qualcosa, dato che credo di essermi preso una cotta.”
La faccia di Lovino era inorridita “Ma ci sono solo bambine piccole qui dentro!”
Antonio cominciò a gesticolare freneticamente “No, no, non è come pensi.” Fermò Lovino prima che potesse iniziare ad insultarlo “E no, non è nemmeno la signorina Bragiskaya.” E sorrise. Ogni volta che Antonio gli sorrideva Lovino si sentiva strano e agitato, sapeva che era una cosa stupida.
“Non la conosci, non è nell’orfanotrofio.”
“Ok, va bene, non mi interessa.” Cercò di nascondere la sua curiosità e lasciò che Antonio gli dicesse tutto da solo. Si sentì un pochino infastidito quando Antonio invece di continuare a parlare dell’argomento disse
“Ora andiamo di sotto.”
Lovino voleva capire chi era quella ragazza. Era più grande? Aveva la sua età? Era alta? Era bella? E si domandò per tutta la durata del pranzo quale fosse il tipo ideale di Antonio, rendendosi conto che si sentiva estremamente ridicolo.

***

Gennaio, 1955

“Antonio, ti prego, devi dirmi che hai preso una decisione.” Gilbert continuava a ripetere ad Antonio, in modo esasperante, quelle parole. Gracchiava nelle sue orecchie tutti i giorni e ad Antonio non faceva piacere. Era, da circa una settimana, passato il compleanno di Gilbert infatti lui non dormiva più accanto al suo amico. Il letto dell’albino venne spostato al piano inferiore, in quello che era il sottoscala, la signorina lo stava riordinando per renderlo più comodo per il ragazzo. Antonio avrebbe compiuto gli anni il mese successivo quindi doveva davvero iniziare a pensare a cosa avrebbe fatto. Guardò Gilbert negli occhi e disse “Non voglio andarmene da qui.”
Gli occhi rossi di Gilbert rimasero impassibili “E cosa vorresti fare allora?” poi gli afferrò una spalla e avvicinò l’amico a lui “Non hai nessuna scusa per restare.”
Antonio ci pensò un attimo, effettivamente c’era un motivo in particolare per cui lui voleva restare. Certo, Gilbert non voleva lasciarlo andare, ma si ricordò di quelle parole che 4 anni prima aveva detto a Lovino. “Io gli avevo promesso che sarei rimasto con lui.”
Inarcò il sopracciglio e sbatté le palpebre ripetutamente “Di chi stai parlando?”
“Lovino.” Spiegò lui “Non posso lasciare Lovino senza di me.”
“Sei impazzito?”  Gilbert non capiva “Antonio, non capisco che cosa stai dicendo. Perché dovresti restare qui con Lovino?”
Antonio sapeva che nessuna scusa sarebbe stata plausibile, l’unica cosa che avrebbe potuto dire era la verità. Sì, lui era innamorato di Lovino così tanto che sarebbe rimasto tutta la vita in quel vecchio orfanotrofio pur di restare accanto a lui. Non sapeva da quanto tempo, non sapeva per quale motivo, ma era successo all’improvviso. Antonio sapeva che non poteva dire una cosa del genere a qualcuno, non aveva mai visto due uomini insieme, ma la signorina Braginskaya non era molto d’accordo e nemmeno Gilbert.
“Gil, dammi del tempo per pensarci.”
“No, Antonio, non hai più tempo.” Rispose subito a tono “Se vuoi posso darti una mano.” Gli poggiò una mano sulla spalla “Potresti chiedere alla signorina di trovarti qualcosa qui in paese, così potresti venire a trovarci.”
Antonio non sapeva cosa dire quindi si limitò ad alzare le spalle. Gilbert rise “E magari dopo potresti venire in Germania con me e Ludwig!” esclamò felice.  Antonio rimase in silenzio a pensare, non gli piaceva molto come idea, ma cos’altro poteva fare?

***

Antonio venne svegliato dalla luce proveniente dalla finestra, quando aprì gli occhi vide Gilbert davanti a lui che svegliava tutti i bambini. Erano un paio di giorni che non si parlavano e questo non era mai successo prima. Antonio avrebbe davvero voluto parlare seriamente a Gilbert, ma aveva troppa paura che si sarebbe spaventato. Non sapeva se avrebbe dovuto dirlo a Lovino, anche qui aveva paura dello stesso motivo. Ormai tra di loro era solo uno scambiarsi di sguardi e sorrisi che ad Antonio facevano solletico allo stomaco. in quel momento girò la testa e vide Lovino togliere la maglia del pigiama, si sentì il volto caldo e assunse un’ espressione stupida. L’altro se ne accorse subito e disse “Che hai da guardare?” nel frattempo mise la maglietta e iniziò a cambiarsi. Antonio si riprese e iniziò a vestirsi. Pensò a qualcosa di carino da dire a Lovino, ma ci ripensò. Quando finì di prepararsi andò in camera della signorina. Bussò la porta e sentì ella rispondere subito “Avanti.”
Antonio aprì la porta cercando di non farla scricchiolare troppo. La signorina era seduta sulla sua scrivania e stava scrivendo. I suoi capelli erano ancora biondo platino e aveva ancora l’abitudine di mettere quel cerchietto celeste, sembrava che quasi non fosse invecchiata.
“Signorina, posso parlarle?”
“Vieni Antonio.” Alzò lo sguardò dolce verso il ragazzo. Antonio si accomodò su una sedia e provò a parlare. “Gilbert mi a già detto tutto.” Rise.
Antonio ci rimase male “Oh, volevo parlarne io con lei…”
“Non ti preoccupare, cercherò un’occupazione per te qui in paese, anzi credo che manderò Gilbert in questi giorni. Puoi restare fino a quando non trovi un posto.” Sorrise.
“Mi permetterà davvero di farlo?” il suo voltò si illuminò “Signorina, lei è troppo gentile!”
Lei arrossì “Sarà che sono troppo affezionata a voi.”
Antonio si alzò e corse fuori “Grazie, di tutto!” urlò prima di uscire dalla stanza. La signorina rise ancora una volta.

***

Febbraio, 1955

Era il compleanno più triste della sua vita. Quando si svegliò il suo primo pensiero fu “Dovrò andare via presto.” Gilbert si era impegnato tantissimo per trovare qualcosa al suo amico, e sembrava gli avesse trovato posto da un barbiere, era questione di settimane. Antonio aveva già posato alcune cose nel suo baule, come vecchi vestiti oppure la sua macchinina rossa che gli regalarono quel natale di alcuni anni fa. Gli sembrava che tutto era passato troppo in fretta, non si sentiva pronto ad andare via, eppure stava succedendo. Trovò davvero ingiusto che non importava cosa lui volesse tutto andava avanti per conto suo, senza fermarsi mai. I bambini uscirono tutti dalla stanza per andare a fare colazione, nella stanza rimasero solo Antonio e Lovino.
“B-buon compleanno.” Disse lui. All’improvviso. Antonio rise e arrossì, ringraziò e mise in ordine il suo letto prima di andare di sotto.
“Lovi, tu sai che tra poco andrò via?”
“Sì…” Rispose mettendo le mani in tasca e imbarazzandosi.
“Ragazzi, scendete!” La signorina Braginskaya urlò a loro due dal piano di sotto. Antonio non sapeva se essere grato alla signorina per aver interrotto il loro silenzio imbarazzante o essere triste perché voleva poter passare quegli ultimi giorni con Lovino.
“Dovremmo tornare a parlare più spesso.” Disse uscendo dalla porta e attendendo l’altro tenendola aperta. “Mi manca parlarti come prima.” Continuò timidamente e sorridendo. Lovino nel frattempo aveva abbassato lo sguardo per l’imbarazzo e alzò le spalle.
“Che cazzo dici così all’improvvisò” sbottò poi andando di fretta verso le scale “Puoi parlarmi quando ti pare, tanto non ti ascolterei comunque.” Antonio sentendo queste parole rise di gusto.
Gli era decisamente mancato Lovino.

***

Il dondolo nel giardino era diventato il posto preferito da Lovino, poteva stare da solo con i suoi pensieri, appuntare tutto sul suo taccuino, disegnare, oppure semplicemente dondolarsi in silenzio. Ultimamente era tornato tutto normale fra lui e Antonio, in un certo senso. Riusciva sempre a sentire una certa tensione e uno strano imbarazzo quando erano insieme. Proprio mentre lui stava schizzando un paesaggio sul suo taccuino sentì dei passi avvicinarsi ed era proprio Antonio.
“Ehy.” Mostrò un sorriso splendente tanto che i suoi occhi verdi sembrano brillare e si avvicinò saltellando. Quando si sedette il vecchio dondolo cominciò ad andare più veloce e gigolò fastidiosamente.
“Finirai con il romperlo!” nel frattempo Lovino aveva già nascosto il suo taccuino e cercava di fermare il dondolo.  Antonio rise come al solito. “Ma che diavolo hai da ridere sempre?” e dovette coprire la sua bocca per non far notare che stava sorridendo.
“Cosa disegnavi?” gli fece l’occhiolino e Lovino arrossì “Ti ho visto prima di venire qui.”
“Niente, solo un brutto paesaggio.” Brontolò in risposta. Antonio si arrese subito, non provò a chiedere altro riguardo al disegno. Lovino in realtà voleva parlare della cotta che Antonio disse di avere, gli sembrava così strano che ancora non si fosse fidanzato. Era troppo bello per non essere popolare, come era possibile che la ragazza che gli piaceva non lo corrispondeva?
Quando andavano in paese Lovino si accorgeva che, troppo spesso, le ragazze si metteva in disparte a farfugliare qualcosa mentre lo guardavano e ridevano prendendosi in giro. O si era innamorato di una ragazza già impegnato, oppure davvero non riusciva a spiegarselo. Voleva sapere tutte queste affermazioni, ma si vergognava troppo a parlarne.
“Senti, Lovi.” Sentì l’altro dire con voce calma “Devo dirti una cosa.” Antonio avvicinò il suo volto e parlò piano.
“Eh?” fu l’unica cosa che riuscì a dire mentre il suo volto si faceva sempre più caldo.
“Antonio! Antonio!” sentirono la voce di Gilbert gracchiare dalla strada.
“Gil?” disse il ragazzo spostando il volto da Lovino, il quale finalmente riuscì a respirare. Antonio guardò di nuovo l’altro e sembrò imbarazzato, si alzò e andò verso il cancelletto per aprire al suo amico. Lovino tirò un sospiro di sollievo.
Origliò il discorso dei due.
“Ti ho trovato un posto in cui puoi stare!” Gilbert urlò entusiasta “Il barbiere di cui ti parlavo, ha un appartamento sopra il suo negozio che è libero, puoi andare a starci tu.”
“Gil, come potrei comprarlo se non ho i soldi?”
“La signorina ti farebbe un prestito.”
“Oh, no, non posso prendere i suoi soldi.” Antonio si preoccupò “Vado a parlare subito con lei!” corse verso il portone dell’edificio. Gilbert era ancora al cancelletto a sorridere, guardò verso Lovino.
“Che succede?” sembrò preoccupato.
“No, nulla.” Si chiuse nelle spalle e ignorò Gilbert. Quasi si era dimenticato che Antonio sarebbe andato via presto, ma l’idea non gli piaceva affatto. Ad un tratto vide tutto sfocato e le lacrime gli rigarono il volto.
“Che stupido che sono.” Si ripeteva da solo. Continuava a piangere senza riuscire a fermarsi, eppure lo sapeva che prima o poi anche Antonio sarebbe andato via, ma non si aspettava facesse così male.

***

Marzo, 1955

Antonio prese il prestito che la signorina gli aveva dato qualche giorno prima e lo mise nella borsa. Prese il suo baule e iniziò a portarlo al piano inferiore. Il baule era vecchio e nelle parti metalliche arrugginito, pesava molto anche se non dentro non c’erano molte cose. Quando ebbe portato tutto di sotto capì che era il momento di salutare tutti. Saluta prima i bambini e le bambine nuove, poi salutò Ludwig  e Gilbert.
“Dai, non preoccuparti, verrò a trovarvi spesso.” Abbracciò Gilbert e si diedero una pacca sulla spalla.
Poi salì al piano di sopra per andare nella stanza della signorina.
La signorina Bragiskaya si stava asciugando le lacrime quando Antonio si avvicinò e lui rise, ma non per cattiveria. “Non c’è bisogno di piangere.” Disse in modo scherzoso.
La donna si alzò in piedi e poi disse “Ho una cosa importante da dirti.” Prese un biglietto dalla cassettiera accanto al suo letto. “Questo era accanto a te quando ti portarono qui. Il tuo nome completo è Antonio Fernández Carriedo.” Disse lei mettendo quel biglietto nella mano del ragazzo, e la chiuse.
“C-Carriedo è il mio cognome?” chiese lui spaventato. Non si aspettava che avrebbe mai scoperto tutto questo sul suo conto.
“Già…” si accomodò sulla sua poltrona e sorrise dolcemente.
“Quindi potrei cercare i miei genitori?” non aveva mai pensato a quest’ipotesi, conoscere i suoi genitori era forse un suo sogno, ma allo stesso tempo, una sua grande paura.
“No, Antonio, ho cercato per anni qualcosa che potrebbe rimandarmi alla tua famiglia e non riesco a trovare nulla.” Inarcò le sopracciglia “Mi dispiace, tesoro, ma ci tenevo almeno a farti sapere il tuo nome completo. A quanto pare tua madre teneva a farcelo sapere.”
“Oh…” sospirò lui. Sua madre la immaginava sempre con i capelli scuri, ma non riusciva ad immaginarsi un volto, mentre invece gli piaceva pensare di assomigliare a suo padre. Mise il bigliettino nella sua borsa e stette attendo a metterlo in una tasca sicura dove non poteva perderlo. “Signorina, grazie di tutto!”
Allungò la mano per stringere quella della donna la quale invece si alzò e lo strinse a lei con dolcezza “Ora puoi chiamarmi anche Katyusha.” Antonio sorrise e ricambiò l’abbraccio. Quando si staccarono lei chiese “Hai già salutato tutti?”
“No…” Antonio ammise “Manca solo Lovino.” riusciva a sentire la tristezza nelle sue parole.
“È chiuso nella stanza da questa mattina.” La signorina disse affranta “Deve starci davvero male… dopo che Feliciano è andato via, penso che tu sia l’unico con cui ha legato.” Si poggiò una mano al petto e con l’altra aprì la porta.
“Non vado via per sempre, verrò a trovarvi.” Disse Antonio alzando le spalle.
si diresse verso la camera dei bambini e apri il portone cautamente. Vide Lovino poggiato allo schienale del letto e le gambe distese, mentre giocava con una piccola pallina.
“Lovi.” Antonio lo chiamò e entrò nella stanza. Lovino alzò lo sguardo per poi tornare a guardare il nulla.
“Volevo salutarti, ora sto per andare.”
“Sì, lo so.” Disse freddo “Tanto tutti non fate che andarvene.” Borbottò a voce bassa e quelle parole fecero sussultare il cuore di Antonio.
“Mi dispiace lasciarti qui da solo, ma non ti preoccupare, verrò a trovarti tutti i giorni.”
Lovino lo guardò perplesso “Tsk, se ci tieni.” E alzò le spalle.
Poi Antonio gli poggiò una mano sulla guancia, Lovino spalancò gli occhi, e spinse la testa dell’italiano contro il suo petto. Stava cercando di non piangere, si stava sforzando. Lovino lo allontanò e imprecò contro qualcosa.
“Allora ciao.” Disse l’italiano, mentre continuava a spostare lo sguardo da Antonio.
“No, aspetta.” Rispose  “Io voglio restare con te, ancora per un po’.” ammise alla fine.
“Cosa?” Lovino divenne rosso.
Antonio gli prese la mano e lo guardò negli occhi. Non riusciva a credere a cosa stava per dire “Ti va di riprovarci?”
“A fare cosa?” L’italiano lo guardò per qualche secondo, poi arrossì “Oh mio Dio.” Si poggiò le mani sul volto e Antonio si sentì terribilmente in imbarazzo. “No, non voglio baciarti un’altra volta. Piantala con quella storia!” si infuriò lui. Antonio rimase in silenzio e cercò di ridere. Voleva davvero dirlo a Lovino, ma come poteva farlo. Si alzò in piedi e si mise in ordine il pantalone e la maglietta, Lovino lo seguì.
Antonio sorrise e allargò le braccia, Lovino provò a scappargli, ma si avvicinò e lo stinse in un abbraccio.
“Ci vediamo, Lovi.”
Quello non rispose, ma si strinse ancora di più tra le braccia del ragazzo. Rimasero così per diversi secondi e Antonio sentì che quello era il momento.
“Ti amo.”
Silenzio. Lovino finalmente parlò “Come?”
Antonio arrossì “Sono innamorato di te. Non so da quanto, non so perché, ma credimi. Ti amo, da diverso tempo ormai.”
Spinse via Antonio e si allontanò. Si guardarono.
“Oh, no.” Gli occhi di Lovino divennero lucidi, Antonio non riusciva a sopportare quella faccia. Si avvicinò di fretta e lo baciò. Lovino non reagì anzi sembrò apprezzare il braccio e spostò le mani sul collo di Antonio, quando di colpo lo allontanò e girò la faccia. Antonio cercò di avvicinarsi di nuovo, ma questa volta Lovino lo spinse via.
“Scusami.” Antonio si affrettò a dire.
“Cazzo, vattene.” Lovino rispose di fretta e le lacrime iniziarono a scendere. Antonio sentì il suo cuore spezzarsi e barcollando andò verso la porta senza distogliere lo sguardo da Lovino, il quale era arrossito e continuava ad asciugarsi le lacrime. Antonio pensò per un momento a tutto quello che era successo in quegli ultimi anni, i sorrisi, i silenzi e le chiacchierate, tutte le volte in cui Lovino arrossiva e agiva timidamente, in cui si infuriava solo per qualche parola di troppo. Pensò ai giorni, i mesi, gli anni e il tempo passati insieme.
“Lovi…” Antonio finalmente riuscì a capire e sorrise “Io piaccio anche a te?”
Il ragazzo allargò gli occhi umidi e lacrimanti e guardò finalmente Antonio. Ancora rosso in viso. Sì, Antonio aveva capito bene, ma Lovino non lo avrebbe mai ammesso.
 “Non voglio vederti mai più.” Disse alla fine a denti stretti. “Non mettere mai più piede qui, non ti voglio vedere. Sparisci!” urlò.
Antonio smise di respirare per qualche secondo, aprì la porta e lasciò Lovino solo nella stanza. Aveva combinato un disastro. Corse di sotto, e urlò un’ultima volta “Ciao a tutti!” poi cominciò a piangere.
Avrebbe voluto dare una vero addio a tutti quanti, ma non poteva certo dirgli cosa stava per fare. Se Lovino non voleva vederlo mai più, allora doveva andarsene via, non lo avrebbe sopportato.
Quando uscì e si trovò in cortile, iniziò a piovere, prima piano, poi quando andò fuori al cancelletto la pioggia iniziò ad aumentare. Antonio non sapeva cosa stava provando, tra la rabbia, la tristezza e la frustrazione. Vide Lovino alla finestra, ora aveva smesso di piangere. Anche lui lo guardò e sembrò affranto.

Antonio sarebbe dovuto andare in direzione del paese, invece andò dalla parte opposta. Sotto la pioggia, con i soldi in borsa, i suoi pochi averi nel baule, il biglietto che Katyusha gli aveva dato. Avrebbe mandato sicuramente delle lettere in futuro, a Gilbert, alla signorina per scusarsi di tutto quello che aveva fatto.
Quel povero barbiere lo avrebbe aspettato tutto il giorno invano.





---Angolo dell'autrice----

Ci ho messo tantissimo per scrivere questo capitolo, e bhe, è venuto più lungo del solito. Avevo detto che da questo capitolo in poi ci sarebbero state delle svolte...
Comunque vi informo che ho iniziato anche a scrivere "Like a flower" che è una fanfictio che si collega a questa, è la stessa storia però dal punto di vista Ludwig e Feliciano. Se volete chiarimenti oppure approfondimenti per quanto riguarda alcune cose vi invito a seguirla. 
Detto questo, ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Lovino rimase con le mani tra i capelli a piangere, non si aspettava che Antonio gli avrebbe detto una cosa del genere, non pensava che avrebbe detto delle cose del genere ad Antonio. Quando lo vide andare dalla parte opposta del paese sentì un tale senso di colpa che avrebbe voluto sparire per sempre. Se solo non fosse stato così stupido. In un certo senso lo aveva sempre saputo di essere innamorato di Antonio, ma fu tutto troppo improvviso che in quel momento andò nel panico. Aveva paura della reazione che Gilbert avrebbe avuto nello scoprire che per colpa sua, e soltanto sua, Antonio era andato via.
Avrebbe voluto che tutto quello non fosse mai successo, che non avesse mai detto quelle cose e pensò che, se fosse stato come Feliciano, forse lui e Antonio in quel momento sarebbero stati ancora abbracciati.
***
Il giorno successivo fu terribile, Lovino non riusciva a fare nulla, ma non avrebbe lasciato che gli altri capissero che era triste per via di Antonio. Nel pomeriggio Ludwig decise di voler andare a consegnare delle lettere per Feliciano, Lovino, che era seduto sulla poltrona nel salotto, detestava non poter sapere che cosa i due si dicessero. Distolse lo sguardo dal biondo e tornò a guardare annoiato verso il pavimento.
“Aspettami, ti accompagno, così passo a trovare Antonio!” La voce di Gilbert gracchiò e si sentì in tutto l’edificio. In quel momento Lovino alzò la testa velocemente e quasi si spaventò. Gilbert si voltò a guardarlo “Cos’è quella faccia?” chiese.
“Eh? Nulla.” Lovino scosse la testa. Quando vide i due uscire dalla porta si alzò in piedi e sentì il suo cuore battere all’impazzata, se tutti avessero scoperto che era solo colpa sua non lo avrebbero mai perdonato. Iniziò ad agitarsi e a girare per la sala, poi salì al piano di sopra e si sedette sul suo letto costringendosi a calmarsi. Attese il ritorno di Gilbert e sembrò durare una vita. Quando finalmente, dopo circa un’ora, sentì il campanello suonare e poi il portone aprirsi.
“Signorina Braginskaya, è successa una cosa orribile!” Era la voce di Gilbert che urlava al piano inferiore. Lovino sentì la testa girare, come avrebbe spiegato l’accaduto? Sentì dei passi per le scale, doveva essere la signorina che scendeva dalla sua stanza.
“Che succede?” chiese preoccupata, Lovino iniziò a sentire le voci ovattate. Dopo poco Ludwig lo chiamò dal piano inferiore. In quel momento l’italiano prese un lungo respirò e cercò di calmarsi. Uscì dalla porta e vide Ludwig sull’ultimo gradino.
“Lovino, vieni con noi in cucina, è successa una cosa.” Disse con la voce bassa. Annuì in risposta e fece come gli era stato detto.
In cucina trovò Gilbert e la signorina, affranti.
“Antonio è sparito.” Disse l’albino “Non posso crederci che lo abbia fatto.”
Lovino fece finta di nulla “Siete sicuri?”
“Il barbiere ha detto che ieri non si è presentato e in paese non lo ha visto nessuno.” Ludwig continuò a spiegare. La signorina Bragiskaya si stava mordendo le unghia e si aggiustava i capelli compulsivamente.
“Ragazzi, ora non agitatevi.” Disse lei guardando Gilbert. “Magari ci spiegherà questa sua scelta prima o poi.” Guardò verso Lovino, che doveva essere decisamente pallido e scosso in quel momento “Lovi, tesoro, sono convinta che Antonio stia bene, è solo andato a cercare il suo futuro da un’altra parte.”
Lovino annuì, cercando di non far notare nulla, Gilbert invece si rattristì e andò fuori di corsa.
“Gilbert! Gilbert, aspetta.” La signorina lo rincorse fuori dall’edificio mentre Ludwig e Lovino rimasero soli nella stanza.
“Che cazzo di situazione.” Lovino disse allontanandosi velocemente, sentendo alle sue spalle Ludwig sospirare rumorosamente.
***

“C’è una riunione alla cantina con gli altri membri della Resistenza!” disse il padre a bassa voce a sua moglie “Tu resta a casa con i bambini.”
Lei annuì e lo guardò preoccupata “State attenti.” Disse solamente, mentre l’uomo si alzava da tavola.
Il padre sorrise “Oh bella ciao, ciao, ciao.
 E se io muoio da partigiano tu mi devi seppellir
E seppellire lassù in montagna.”
La mamma rise “Va bene ora smettila, questa strofa è quella che preferisco di meno.” E scosse la testa. Lovino e Feliciano finirono di cantare la canzone e il padre rise.

 
La mamma, Lovino e Feliciano erano in casa, mentre il papà era fuori ed era pomeriggio.
“Vostro padre è andato a trovare una persona” Spiegò lei e Lovino annuì, non riuscendo a capire bene di cosa la donna stesse parlando. Qualcuno bussò alla porta, la mamma sembrava preoccupata e respirò profondamente. Si alzò e Lovino riuscì a sentire la voce del padre.
“Lascia stare, non voglio vedere mio padre mai più.”
“No, non ricominciare, finalmente dopo tutti questi anni-“
“Dopo tutti questi anni non è cambiato nulla, nulla!” poi guardò verso i due bambini, i quali sentendo il papà urlare si nascosero. “Non ricorda nemmeno come si chiamano i suoi nipoti.” Guardò affranto i figli e si abbassò per abbracciarli.


Lovino si svegliò all’improvviso. “Oh, no, no! Dovevo dormire ancora un pochino!” disse ad alta voce, svegliando così anche Ludwig che era nel letto accanto a lui.
“Tutto bene?” disse il biondo preoccupato.
“Lascia stare, non capiresti!” Lovino rispose imbronciato e Ludwig roteò gli occhi.
“Lovino, siamo rimasti solo noi due, perché non provi a trattarmi bene per una volta?” Gli occhi azzurri di Ludwig erano sempre troppo gentili nei suoi confronti. Lovino sbuffò.
“Senti, è una cosa che non capiresti. Penseresti che io sia pazzo.”
“Io lo so.” Ludwig sussurrò timidamente “Dei tuoi sogni so tutto. Me lo ha spiegato Feliciano.”
Lovino arrossì e non sapeva se essere arrabbiato con suo fratello o con il suo interlocutore “Dannazione, Feli!” strinse i pugni.
“Cosa hai sognato? Qualcosa di brutto?” Ludwig provò ad avvicinare il braccio.
“Lasciami stare, ho detto!” schiaffeggiò il braccio dell’altro.
Insistette “Io di guerra ne so qualcosa, posso darti una mano.” E sorrise.
Lovino in quel momento si lasciò andare, Ludwig poteva sicuramente tornargli utile. “Ho scoperto di avere un nonno in Italia, ma tu devi aiutarmi con altre cose.”
Ludwig annuì e Lovino continuò a parlare “Cos’è la Resistenza?”

***

Aprile, 1955.

Dopo quasi un mese si era ormai abituato alla vita di città, avrebbe voluto chiamare l’orfanotrofio più volte, ma non ricordava il numero. Antonio non aveva un lavoro fisso, aiutava diverse persone quando serviva una mano, andava a fare delle pulizie oppure decorava i giardini nelle case altrui. Non guadagnava molti soldi e non aveva quasi sempre un posto dove dormire, ma facendo amicizie e lavori, assunse una certa nominata. Molto spesso si ritrovava con diverse ragazza che gli facevano la corte, tutte ben vestite, con vestiti e gonne svolazzanti, ma Antonio aveva in testa solo Lovino e non sarebbe andato via facilmente. Nessun ragazzo gli sembrava affascinante quanto lui e non riuscì a legare molto con nessuno. Si sentiva in colpa per aver abbandonato senza preavviso Gilbert, non avrebbe dovuto comportarsi così.

Passò davanti alla solita edicola dove prendeva il giornale. Un piccolo edificio che apparteneva ad un signore sulla cinquantina e a sua figlia. Aveva conosciuto i proprietari perché li aiutò a vendere i giornali una mattina, fu uno dei suoi primi lavoretti. Entrò nel negozio e la campanella suonò.
“Buongiorno Antonio!” disse l’uomo baffuto dietro il bancone.
“Oh, buongiorno!” Rispose lui sorridendo “Come va?”
“Non ci si lamenta.” Disse guardandolo attraverso gli occhiali a mezzaluna. “Sai una cosa, mia figlia non fa altro che parlare di te. L’ho sentita spettegolare con le sue amiche!” alzò le spalle. “Vuoi il giornale?” chiese alla fine sorridendo.
Antonio quella mattina prese una decisione improvvisa “Oggi no, vorrei dei francobolli e una busta per le lettere.”
L’altro rise sotto i suoi baffoni grigi “Scrivi alla tua fidanzata?”
Antonio arrossì “No, no, solo a dei vecchi amici.” Prese le cose acquistate e uscì dal negozio. Ora doveva trovare un modo per spiegare alla signorina e a Gilbert la sua decisione.

***

Aprile, 1955.

Gilbert andò accanto a Lovino e spense la radio. “Antonio ha mandato due lettere oggi.” Disse.
Lovino alzò le spalle. “Cosa dicono?” si sedette composto sulla poltrona.
“In una spiega a tutti perché è andato via…” Lo guardò negli occhi e Lovino deglutì. Sperava che Antonio non fosse stato così imbecille da scrivere la verità. “L’altra non l’ho letta.” Gilbert scosse la testa e porse la lettera ancora chiusa all’italiano. “Questa è indirizzata a Lovino Vargas.”
Lovino arrossì e prese la lettera.
“Tieni, leggi anche questa.” Gli diede anche l’altra che invece era aperta. Si allontanò e corse dalle bambine che lo stavano chiamando per giocare con loro.
Lovino lasciò quella per lui per ultima, aveva troppa paura per leggerla.
 
Carissimi amici e Signor. Katyusha.,
Vi scrivo per dirvi di non preoccuparvi perché sto bene. Non ho ancora una casa precisa, dormo un po’ dove mi capita.
Mi scuso con tutti voi, in particolare con Gilbert che si era così impegnato per me. Mi dispiace tantissimo, ma ho deciso di voler andare via per motivi che non posso spiegarvi ancora. È come se un impeto mi avesse detto di andare per la mia strada e fare da solo.

Credetemi sto benissimo.
Vi voglio bene.
Saluti, Antonio.

 
“Non pensavo sapesse scrivere ‘impeto’” pensò Lovino. Girò la lettera e trovò disegnati dei cuoricini e si mise a ridere. Era tipico di Antonio. Guardò l’altra lettera, prese coraggio e iniziò a scartarla.
 
Per Lovino,
Se non siete lui… vi prego di non continuare a leggere, è una cosa troppo personale.

Lovi, scusami per quello che ti ho detto, sono stato uno stupido. Sappi che mi dispiace che ci siamo salutati in quel modo, siamo grandi amici e io non vedo l'ora di rivederti.
Magari la prossima volta non sarà un giorno piovoso e non mi guarderai andare via dalla finestra mentre sono sotto la pioggia.
Vediamoci in un giorno soleggiato e stavolta ti prometto che non dirò nulla che tu non voglia sentirti dire e non mi vedrai andare via.

Spero tu capisca,
Antonio.

 
Lovino non si aspettava una cosa del genere, arrossì mentre la teneva ancora in mano. Era troppo imbarazzante dire ad Antonio che anche lui voleva rivederlo. Iniziò a tamburellare con le dita sulla lettera e la portò con lui al piano di sopra. La nascose nel suo baule e si mise a guardare il paesaggio fuori la finestra. L’unica cosa che poteva fare era aspettare altre lettere o aspettare che Antonio andasse a trovarlo.

***

Luglio, 1955.

Lovino si sentì scosso al braccio e quando aprì gli occhi trovò il volto di Ludwig, con ancora i capelli scompigliati e la frangia abbassata.
“Ti accompagno in biblioteca per quelle ricerche.” Disse in tono molto serio, ma anche gentile.
“Ma… che ore sono?” chiese Lovino ancora stordito e spostò lo sguardo verso l’orologio nella stanza. Erano le 6. “Ludwig, è ancora presto.”
“Sì, ma dobbiamo iniziare a stilare una lista delle cose che dobbiamo cercare, devi spiegarmi i sogni e…” continuò a spiegare tutto quello che c’era da fare quasi con una voce robotica.
Lovino roteò gli occhi e si accasciò sul cuscino “Zitto e fammi dormire.”  Ad un tratto si sentì afferrare al fianco e alla spalla. “Che cazzo?!” esclamò Lovino che nel frattempo era stato sollevato con forza da Ludwig. “Ehy, mettimi giù!” si infuriò.
Ludwig fece come gli era stato detto e lasciò di colpo il ragazzo facendolo rimbalzare più volte sul letto cigolante. Lovino con gli occhi sbarrati e terrorizzato guardò verso il tedesco.
“Dio mio, ma sei impazzito?”
“Su, sbrigati a prepararti.” Disse con una voce da comandante. Lovino fece come gli era stato detto, anche se riluttante. Non poteva crederci di aver chiesto aiuto a Ludwig.

Lovino gli disse tutte le cose che ancora non si era spiegato in tutti i suoi sogni, gli spiegò quest’ultimi dicendogli che si incentravano tutti sulla madre e sul padre, sugli avvenimenti in Italia mentre c’era la guerra.
“Quindi tuo padre… non è mai partito per la guerra?” Ludwig chiese alla fine.
“No, non credo.” Lovino rispose “Non ci avevo mai pensato.”
Ludwig sembrò molto interessato “Quindi cosa faceva?” e a questa domanda Lovino ancora non trovava risposta.

Dopo aver stilato quella lista fecero colazione con gli altri bambini, che si alzarono un’ora dopo. Non dissero alla signorina o a Gilbert perché si erano svegliati così presto, ma dissero di voler andare in biblioteca in mattinata e verso le 8:30 si avviarono.
“Pensi ci siano libri sulla guerra? Dopo tutto non è stato molto tempo fa.” Lovino disse un pochino preoccupato su quello che stavano per fare.
Ludwig alzò le spalle “Certo, ovvio che ci sono.”
Erano rare le volte in cui Lovino usciva in paese, non andava quasi mai a fare le commissioni lasciava sempre a Ludwig o a Gilbert tutto il lavoro. In effetti Ludwig conosceva quasi tutte le strade, mentre lui ricordava solo quella per il parco e quella per la chiesa perché era dove la signorina li portava di solito. Quando arrivarono davanti la biblioteca Lovino rimase un pochino deluso, si aspettava un edificio più grande. La biblioteca aveva due piani, dall’esterno era fatta di mattoni e sembrava molto vecchia. All’intero il signore e la signora dietro il bancone li salutarono con un cenno, dovevano conoscere Ludwig (almeno così pensò Lovino).
“Dove sono le cose che cerchiamo?” chiese Lovino trovandosi davanti tutti quei libri.
“Nella sezione apposita.” Ludwig indicò verso una parte di uno dei grandi scaffali.
“Oh!” esclamò Lovino. Si avvicinò e prese tutti i libri che potevano essergli utili. Prese moltissimi libri tutti insieme e traballò un pochino.
“Aspetta, li porto io!” disse Ludwig, ma Lovino subito si allontanò e rispose a tono.
“No, faccio da solo.” Stizzito si allontanò e poggiò tutto su un tavolo. Guardò i libri e si rese conto che non sapeva da dove partire, erano davvero troppe cose.
“Potresti iniziare a leggere qualcosa sulla guerra in generale.” Suggerì Ludwig “Poi magari passare alla guerra in Italia.”
“Sapevo benissimo da solo da dove cominciare” rispose aprendo un libro. Quando si accorse di aver sbagliato albo si assicurò prima di imprecare a voce alta e poi di cambiare libro. Ludwig rispose con un sospirò e una mano davanti al viso.

Passò almeno un’ora e Lovino sembrava divertirsi a leggere tutti quei libri. Quando leggeva qualcosa che poteva tornagli utile lo appuntava sul suo solito taccuino che ormai era pieno di scarabocchi. Ludwig nel frattempo leggeva libri diversi sempre riguardanti la guerra, voleva essere d’aiuto, in realtà a Lovino non dispiaceva essere aiutato, ma era troppo orgoglioso per ammettere una cosa del genere, soprattutto se si parlava di Ludwig. Mentre leggeva alcuni libri finalmente trovò la cosa più importante e iniziò a leggere a voce alta. “La Resistenza italiana o Resistenza partigiana fu l'insieme dei movimenti politici e militari che in Italia si opposero al nazifascismo nell'ambito della guerra di liberazione italiana.” Lovino leggeva interessato e con voce bassa per non disturbare le altre persone in biblioteca “Mio padre faceva parte di questo movimento.” Esclamò guardando il biondo accanto a lui.
“D-davvero?” Ludwig rispose incredulo “Tuo padre combatteva contro il fascismo?” continuò a bassa voce.
Accanto alla parola “Partisian” sul libro Lovino vide la parola “Partigiano.”
“Io credo di aver capito.” Disse l’Italiano sentendosi stranamente eccitato. Iniziò a leggere a voce alta “I partigiani erano i combattenti armati che non appartenevano  ad un esercito, ma ad un movimento di resistenza e che solitamente si organizzava in bande o gruppi.” Lovino in quel momento si fermò e pensò a tutti i suoi ricordi. Quando il padre si nascondeva, quando di notte spariva in lunghe spedizioni, ricordò anche degli uomini tedeschi ai quali non poteva dire nulla riguardo i suoi genitori. Distolse lo sguardo dal libro e iniziò a canticchiare con lo sguardo perso nel vuoto.


Stamattina mi sono alzato
oh bella ciao, bella ciao
bella ciao, ciao, ciao
stamattina mi sono alzato
e ho trovato l'invasor.

Oh, partigiano, portami via
oh bella ciao, bella ciao
bella ciao, ciao, ciao
oh partigiano, portami via
che mi sento di morir.

[…]
È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà.”


Ludwig lo guardò preoccupato, poi però sorrise lievemente. “Lovino, ce l’abbiamo fatta.”
Lovino non riusciva a crederci che aveva finalmente capito, ora anche quella canzone che continuava a risuonargli nelle orecchie aveva un significato. Guardò verso l’orologio e si accorse che ormai era tardi “Ora dobbiamo tornare.” Disse alzandosi e iniziando a posare i libri. Prese il taccuino con tutti i suoi appunti e pensò di dover scrivere con urgenza a Feliciano. Pensò però che mancava ancora una cosa. Il nonno. Non sognava nulla che lo riguardasse da almeno un mese, sperava davvero di riuscire a trovare qualche informazione, se quell’uomo fosse stato ancora vivo lui e Feliciano sarebbero potuti andare in Italia e riunire quella parte di famiglia che gli restava.
“Devo tornare ancora” Lovino disse a Ludwig mentre uscivano e si dirigevano verso l’orfanotrofio. “Però devo prima fare altri sogni.”
L’altro sembrò confuso, ma annuì facendo finta di nulla.

***

“Cosa siete andati a fare in biblioteca?” Gilbert gracchiò a Lovino e Ludwig, che erano in strada, poggiato al cancelletto dell’orfanotrofio.
“Nulla che ti interessi.” Lovino disse freddo entrando nel cortile. Gilbert rise un pochino e alzò le spalle. Ludwig rimase fuori a parlare con il fratello, Lovino sperava davvero che non gli dicesse nulla. Quando entrò dentro trovò la signorina Braginskaya che apparecchiava e i bambini che le correvano intorno. Lovino non riusciva a credere che un tempo anche loro erano tutti così.
“Oh, Lovi, sei tornato.” Disse lei sorridendo e cercando di poggiare un piatto sul tavolo senza urtare una delle bambine. “Cosa avete fatto?”
“Nulla, davvero.” Lovino alzò le spalle e prese alcuni piatti dalle mani della signorina e le diede una mano.
Continuò a parlare dolcemente “Mi fa piacere che ora tu e Ludwig siate amici.”
“Non siamo amici.” Rispose subito, quasi offeso. La signorina lo guardò dispiaciuta.
“Comunque tesoro, è arrivata una lettera.” Disse lei indicando il cassetto del mobile nella sala da pranzo “L’ho messa lì dentro, è da parte di Feliciano.”
“Grazie.” Lovino lasciò il lavoro alla signorina, prese la lettera e corse di sopra.
Quando arrivò in camera lasciò la porta aperta senza rendersene conto e iniziò a scartare la busta una volta arrivato sul suo letto.

“Caro Lud”

Lovino si fermò subito, aveva aperto la lettera sbagliata, quella era per Ludwig. Quindi voleva dire che Feliciano si era preoccupato di scrivere solo a Ludwig e non a lui. “Quel bastardo.” Borbottò e continuò a leggere, magari avrebbe potuto approfittarne per prendere un pochino in giro Ludwig.
Scusa se rispondo tardi alla tua lettera. Come va nell’orfanotrofio? Spero che Lovino stia bene ora che Antonio è andato via.
Spero anche io che prima o poi ci rivedremo, anche se non so come potremmo fare.
Sarei contentissimo di poterti invitare a casa, ho dei fiori bellissimi nel negozio che ti piacerebbero. Anzi, alcuni mi ricordano addirittura te, sembra strano non credi?

Comunque riguardo quello che ci siamo scritti l’ultima volta… io ero davvero sincero. Mia mamma dice che sono abbastanza grande per una relazione, ma non so come dirle che non sono le ragazze ad interessarmi, ma tu. Immagino tu avrai lo stesso problema con Gilbert, mi dispiace.
A presto, Feli.”

Quando finì di leggere la lettera Lovino iniziò a ridere, non riusciva a crederci di aver letto una cosa così smielata. La risata si fermò quando si rese conto di quello che aveva letto. Feliciano e Ludwig… erano innamorati? Spalancò gli occhi e ne rimase inorridito, non si aspettava certo una cosa simile. Mise la lettera di nuovo della busta e cercò disperatamente una soluzione per non farla sembrare già aperta. “Porca putt-“
“Lovino.” Una voce forte e affannata lo chiamò e lo interruppe. Quando il ragazzo alzò lo sguardo vide Ludwig davanti la porta e la chiuse di colpo. Lovino si spaventò e lanciò la busta sul letto allontanandosi.
“Hai letto?” Ludwig chiese tutto rosso.
“…No?” Lovino rispose mettendosi le mani in tasca. Si stava davvero spaventando, se Ludwig si fosse arrabbiato avrebbe addirittura potuto rompergli un braccio. Invece non successe nulla del genere, il biondo si avventò sulla lettera e se la mise in tasca.
“Ti prego, non dire nulla.” Fu l’unica cosa che disse pregandolo e Lovino scosse la testa.
“Spiegami una cosa…” iniziò lui a bassa voce.
“Sì, è tutto vero.” Ludwig rispose prima che l’altro potesse finire di parlare “Ridi se vuoi.”
Ma non lo fece. Lovino rimase a guardarlo serio, lui sapeva che cosa stava passando. Anche lui non poteva certo dire di essere innamorato di Antonio. Però si fece scappare un “Ti capisco.”
“Non c’è bisogno che tu dica così.” Ludwig alzò le grandi spalle e si lasciò cadere sul letto.
“Credimi.” Lovino disse con voce ferma “Capisco fin troppo.” E si affrettò ad uscire dalla stanza.

***

Gennaio, 1956

Caro Lovi,
Ti scrivo ancora una volta, sperando che tu non abbia già dato fuoco alla lettera solo vedendo da chi è indirizzata. Stavo pensando che l’anno prossimo Ludwig compirà 18 anni, quindi lui e Gilbert andranno via come hanno sempre desiderato. Mi dispiace tanto averti lasciato da solo. Magari tu adesso ti sarai anche trovato una fidanzata, ormai hai quasi 16 anni, dovrei davvero voltare pagina, non credi?
Antonio

I testi delle poche lettere che Antonio mandava erano quasi tutti così. In cui si scusava con Lovino, il quale non aveva nessun modo per contattarlo o per fargli sapere che non ce l’aveva con lui. La cosa che lo rattristava di più era che non ci fosse nessun modo per parlare con Antonio ancora una volta.

***

Giugno, 1956

Per quasi un anno intero Lovino non aveva più sognato nulla sul nonno, avrebbe tanto voluto saperne di più. Voleva almeno scoprirne il nome, oppure cosa facesse nella vita. Feliciano ovviamente non era di nessun aiuto, dato che lui non aveva mai fatto sogni del genere.
Aveva ancora due anni di tempo prima di andare da suo fratello, entro quei due anni era convinto che avrebbe sognato almeno una sagoma o qualcosa che lo rimandasse al nonno. Era frustrante.
Con Ludwig tornò spesso in biblioteca a leggere e scoprirne di più, ormai aveva una grande cultura su tutto quello che riguardava l’Italia e aveva la certezza che ci sarebbe andato. Immaginava spesso come sarebbe stata la sua vita in Italia (Anche se la lingua ormai non la ricordava così bene) insieme a Feliciano e a suo nonno, però quando si trovava a fantasticare su questo suo futuro Antonio era sempre presente. Alcune volte sognava solo lui e Antonio insieme, altre volte la sua famiglia e Antonio. In qualche modo i suoi pensieri giravano sempre intorno a lui e la cosa a volte lo infastidiva.

***

Febbraio, 1957

Lovino rimase sul ciglio della porta Ludwig e Gilbert allontanarsi con i loro bagagli. La signorina gli augurò tutte le migliori cose e a lui non rimase nulla da dire se non un misero “ciao.” Eppure Gilbert si emozionò talmente tanto che gli saltò al collo piangendo. Ludwig rimase composto come al solito, ma regalò a Lovino un ultimo sorriso. “Andrai a trovarlo?” gli chiese l’italiano che stava parlando di suo fratello.
“Credo di sì, almeno ci proverò.” Rispose arrossendo.
“Capisco.” Si strinsero la mano.
I due fratelli si diressero verso la fermata dell’autobus. Tutti i bambini li seguirono fino al cancello urlando saluti di tutti i tipi, cantarono addirittura qualche canzone per salutarli. Lovino incrociò le braccia e entrò dentro, quando si voltò trovo gli occhi della signorina affranti che lo osservavano. Salì le scale di fretta e andò a sdraiarsi sul suo letto. Iniziò a guardare il vuoto per alcuni minuti pensando al fatto che ormai era rimasto completamente solo, però quella volta si ripromise di non piangere.

***

Febbraio, 1957

Il cielo era nuvoloso quando Antonio si svegliò. In quei giorni stava dormendo in una piccola camera in affitto, ma molto probabilmente sarebbe andato via presto (appena avrebbe trovato un nuovo impiego). Uscì come al solito in mattinata, stette attento a coprirsi bene, alla radio aveva sentito che in quei giorni avrebbe fatto ancora più freddo. Per prima cosa si recò nella solita edicola, dove questa volta al bancone incontrò la figlia del proprietario.
“Buongiorno Antonio!” disse quella entusiasta di vederlo “Fa freddo oggi?”
“Già.” Antonio rispose facendo spallucce. Prese il giornale e si affrettò a pagare.
“Dove sei diretto adesso?” chiese lei in modo gentile mentre giocava con i suoi capelli rossi.
“Oh, sto andando in cerca di qualcosa da fare.”
“Posso aiutarti io se vuoi.” Disse sorridendo “Un amico di vecchia data, che è il proprietario di una libreria nei dintorni, ha detto di star cercando qualcuno disposto ad aiutarlo a montare degli scaffali o qualcosa del genere.” Finì in modo vago.
“Davvero?” Antonio esclamò sorridendo “Dove si trova la libreria?”
“Aspetta ti scrivo l’indirizzo su un foglio.” Si abbassò e iniziò a scrivere “Tieni.” Gli porse il biglietto “Digli che ti manda Beth.”
“Grazie mille!” Antonio le regalò un sorriso smagliante e lei continuò ad arricciarsi i capelli. Lui corse verso la porta, ma la ragazza lo chiamò.
“Una volta mi dicesti che compi gli anni a febbraio, vero?”
“Sì.” Annuì tranquillo. “Il 12.”
“Oh ecco, e quanti anni compi di preciso?” continuò curiosa.
Sorrise “Venti.” E iniziò a ricordare all’improvviso tutti i compleanni passati all’orfanotrofio e finì con il pensare ancora una volta a Lovino, dopodiché sentì lo stomaco in subbuglio e dovette fermare la sua mente.
“Allora ci vediamo.” Si affrettò ad uscire e la ragazza lo salutò ridendo.
 
Raggiunse finalmente la libreria, aveva uno stile antiquato, ma Antonio la trovò carina. In vetrina c’erano tantissimi libri esposti, di vario genere e riuscì ad intravedere i vari scaffali con file di libri. Entrò nel negozio e quando mosse la porta suonò il campanellino.
“Uhm, buongiorno.” Si schiarì la voce “Sono Carriedo, mi manda Beth, mi ha detto che cerca una mano…”
Si guardò attorno e non vide nessuno. “C’è qualcuno qui?”
“Sì, sono qui dietro. Tra un attimo sono da lei!” sentì una voce un po’ nasale urlare oltre gli scaffali. “Questi dannati ragazzini che non mettono mai i libri in ordine alfabetico!” continuò a borbottare la voce “Al diavolo!” alla fine sentì imprecare dopo un sonoro rumore di libri che cadevano. Antonio si aspettava un vecchietto, di quelli che se la prendono con la gioventù per qualsiasi cosa, vestito sempre con giacca e cravatta, magari con degli occhiali poggiati su un lungo naso aquilino. Rise fra sé e sé.
“Scusi se l’ho fatta aspettare.”
Alzò lo sguardo e trovò quello che doveva essere il proprietario. Dopo un attimo di realizzazione Antonio sgranò gli occhi. Il ragazzo aveva circa la sua età, capelli biondi un po’ arruffati, occhi verdi spalancati per la sorpresa, slanciato e… con delle sopracciglia enormi.
“Arthur?!” Antonio esclamò sorpreso.
Il ragazzo rispose incredulo “Antonio… sei proprio tu?” 






---Angolo dell'autrice---
Non se sia davvero necessario ad ogni capitolo, lol. 
Wow, qui da me ci sono 40° gradi all'ombra e in casa mia non abbiamo il condizionatore, alla grande. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, lasciate come al solita una recensione se volete ;; Al prossimo capitolo (sto anche scrivendo la fanfic Gerita nel frattempo, impazzirò)

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Febbraio, 1957.

“Io… non posso crederci!” Antonio esclamò e sorrise avvicinandosi per abbracciare il vecchio amico. Arthur lo lasciò fare, ma sembrò abbastanza imbarazzato.
“Cosa ci fai qui?” chiese il biondo.
“Ho lasciato l’orfanotrofio e sono venuto qui in città, vado alla ricerca di piccoli lavori e mi lascio ospitare dai miei datori di lavoro.” Spiegò tranquillamente, senza cadere in particolari.
“Wow.” Esclamò Arthur “Vieni, siediti, parliamo.” Disse in tono educato. Fece accomodare Antonio su una sedia dietro il bancone.
“Quindi la libreria è tua?” disse Antonio indicando il locale con il dito.
Arthur alzò le spalle “Di mio padre.” continuò a parlare “Ha dei problemi di salute, quindi preferisco tenerla io.”
“Oh, capisco, mi dispiace…” si sentì un pochino in imbarazzo.
“Hai ancora contatti con gli altri ragazzi?”
“Più o meno, mando qualche lettera ogni tanto.” Antonio spiegò “Lovino ormai è rimasto da solo.”
Si fermò a pensare, sembrava stesse ricordando di chi si parlava “Oh, già.” Esclamò alla fine “Davvero? Da solo? Non aveva un fratello?”
“Sì, è una lunga storia.” Antonio scosse la testa. “Eravamo rimasti solo io, Gilbert, Ludwig e Lovino. Anche Francis venne adottato.”
“Sì, certo, lo so.” Arthur rispose. Antonio alzò un sopracciglio e l’altro rise “Certo, non puoi saperlo! Io e Francis siamo andati nella stessa scuola.”
“Cosa?” Antonio urlò, quasi triste della notizia.
“Ugh, non dirlo a me, sopportare quello per tutti gli anni di scuola, non mi sarei mai aspettato di ritrovarlo anche qui.” Disse scocciato.
Antonio non sapeva come reagire, ma voleva sapere qualcosa di più su Francis “Da chi è stato adottato?”
“Da una famiglia di origine francese, sai quei mangia rane, ora il suo cognome è Bonnefoy.” Lo disse con un mancato accento francese, poi si fermò non sapendo più cosa dire.
“Invece la tua famiglia?”
“Tutti puramente inglesi!” incrociò le braccia e con sguardo fiero “La famiglia Kirkland.”
“Wow” Antonio rise, ancora non riusciva a crederci a tutto quello che stava sentendo. “Senti, Arthur, mi hanno detto che hai bisogno di una mano-“ iniziò ma venne interrotto subito.
“Devo montare diversi scaffali, ridipingere una parte della libreria, è un dannato disastro.” Sbuffò.
“Mi hanno mandato per darti una mano.” Antonio continuò.
Arthur alzò le spalle “Va benissimo.”
Ad Antonio si illuminarono gli occhi e abbracciò Arthur “Grazie mille!”
“Ok, ok, basta abbracci!” esclamò l’altro. “Puoi stare da me se vuoi, ho una stanza libera.” Continuò.
Antonio stava per abbracciarlo, ma lo sguardo arrabbiato di Arthur lo fermò e si limitò a stringergli la mano.
“Oh, Arthur, devo chiederti un ultimo favore!”
Arthur annuì.
“Posso dare a Lovino l’indirizzo di casa tua? In caso volesse mandarmi qualche lettera.” Pregò il vecchio amico.
“Sì, va bene, perché no?” Arthur disse in tono tranquillo.
Antonio sperava davvero che Lovino gli scrivesse qualcosa prima o poi.

***

Lovino si sentiva completamente abbandonato a se stesso. Non aveva nulla da fare, scriveva, disegnava, mangiava, dormiva, aiutava la signorina, aspettava qualche lettera. Fine.
Si dirigeva in biblioteca per provare a scoprire qualcosa sull’identità di suo nonno, non sapeva nemmeno se era ancora vivo, pensò più volte di chiedere aiuto alla signorina, ma quella non poteva allontanarsi dall’orfanotrofio.
Un giorno trovò una lettera spedita da parte di Antonio, indirizzata a lui, ed era abbastanza anomala. Antonio in questa lettera gli scriveva un indirizzo di casa pregandolo di scrivergli. Lovino lesse attentamente la lettera, all’improvviso Antonio gli aveva dato un indirizzo, avrebbe potuto andare a trovarlo con la signorina. Avrebbe voluto scrivergli una lettera, ma non sapeva cosa scrivere, si vergognava troppo.
Pensò l’intera notte alla lettera, verso le 5 del mattino prese carta e penna e iniziò a scrivere diverse lettere, c’erano tante cose che avrebbe voluto dire, ma sapeva già che non e sarebbe stato capace.

***

Antonio era ormai ospite a casa di Arthur da almeno una settimana.
Scoprì presto che Arthur aveva un fratello minore di 7 anni, biondo, con gli occhi celesti e molto magro. Il bambino si chiamava Peter, spesso si presentava a casa per stare con Arthur, era rumoroso e cercava in tutti i modi di avere le attenzioni dal fratello, inutilmente.
Arthur e Antonio alla fine pensarono di rimodernare l’ambiente della libreria, così il giorno mentre Arthur stava al bancone e aiutava i clienti, Antonio montava qualche scaffale e altri mobili. Non era proprio una delle idee migliori, ma Arthur aveva bisogno della libreria per portare qualche soldo a casa.
Mentre Antonio preparava la colazione, Arthur andò a prendere la posta.
“Ehy, Antonio, c’è una lettera per te!” Urlò mentre entrava in cucina. Antonio si girò contento e Arthur gli lanciò la lettera in faccia. “Credo sia da parte di Lovino.”  Aggiunse.
Antonio scartò subito la lettera, non poteva credere che Lovino gli avesse scritto.
 
Ciao Antonio
Le cose qui non vanno benissimo.
Gilbert e Ludwig ormai sono andati via, sono rimasto da solo. Dove abiti adesso? Che lavoro fai?
La signorina è in pensiero per te.

Non ho molto da dirti, scusami.
Lovino
 
p.s Non sono più arrabbiato con te, per ora.
 
Antonio sorrise in modo incontrollabile, tanto che Arthur iniziò a preoccuparsi e gli chiese se fosse diventato pazzo. Questo significava che ora lui e Lovino potevano scriversi costantemente. Anche se non sarebbero mai potuti stare insieme, Antonio non poteva chiedere di meglio che sapere che Lovino non era più arrabbiato con lui.
Dopo un pochino Arthur lo lasciò perdere, non avrebbe potuto capire.

***

Maggio, 1957

Quella mattina primaverile, Antonio si svegliò più tardi del dovuto con un gran mal di testa, forse lui e Arthur non avrebbero dovuto esagerare con l’alcool la sera precedente. Andò in cucina lentamente, dove trovò un biglietto.

Sembravi davvero sbronzo, ti ho lasciato dormire. Quando vuoi vieni in libreria.”

Per quello che Antonio poteva ricordare, in effetti Arthur non aveva esagerato come lui. Prese un caffè e cercò di dimenticare quel mal di testa, si vestì e uscì in città. Sulla strada ogni minimo rumore sembrava più forte del normale, forse prendere la bici non sarebbe stata una buona idea e quindi chiamò un taxi. Arrivato davanti la libreria prese un forte respiro ed entrò, la campanella suonò e lui disse “Sono arrivato.”
Arthur rispose dal bancone “Ce l’hai fatta.” quasi infastidito.
“Scusa.” Farfugliò Antonio.
Poggiato al bancone c’era un ragazzo biondo, alto, con gli occhiali e gli occhi azzurri. Antonio salutò educatamente, ignorando il pensiero che il ragazzo avesse una faccia conosciuta.
“Penso che in questo momento Antonio non sia in vena di ricordare.” Borbottò Arthur prendendolo in giro.
Il ragazzo biondo rise “Oh, in realtà la mia memoria è un pochino contorta, ricordo davvero poco.”
Antonio scosse la testa “Ci conosciamo?” chiese confuso.
Arthur rise in modo subdolo “Ho dimenticato di dirti anche questo.” Alzò le spalle “Ho rivisto Alfred qualche mese fa.”
“Sono venuto qualche volta a trovare Arthur durante questo periodo, non ti ho mai visto qui però.” Disse l’altro tutto sorridente.
Antonio lo guardò per qualche secondo e ripensò ai nomi che gli erano stati detti… Alfred e Matthew.
“Un attimo.” Antonio strizzò gli occhi “Ma tu sei il piccolo Alfred?”
“Già.” Si aggiustò la gialla di pelle marrone e aprì le braccia. I due si abbracciarono per pochi secondi, per salutarsi.
“Non pensavo in questa città ci fossero così tante persone.” Antonio disse scosso.
“In realtà ci siamo trasferiti qui da poco, stiamo finendo il liceo attualmente.” Spiegò Alfred “Dobbiamo fare l’ultimo anno.”
“Oh, capisco.” Antonio annuì. Alfred era di tre anni più piccolo di lui e Arthur, ma comunque era molto più alto di entrambi. “Come mai sei venuto qui a trovare Arthur?”
Alfred si poggiò una mano al collo, sembrò nervoso “Niente di che, vengo qui per parlare un po’.” Guardò verso Arthur che sembrò agitato.
Antonio alzò un sopracciglio “È successo qualcosa?”
“No, nulla, non ti preoccupare.” Arthur si affrettò a rispondere.
Alfred poi urlò di colpo “Visto che ci siamo! Perché non andiamo a mangiare qualche hamburger qui in giro?”
“Ok, va bene.” Antonio sorrise e guardò l’orologio. Aveva fatto decisamente tardi quella mattina. Alfred si avviò avanti a loro e corse fuori, Antonio approfittò dell’occasione per chiedere ad Arthur “Non ti sembra che abbia un accento strano?”
“Ha vissuto in America.” Arthur sbuffò e alzò le spalle.
“Capisco.” Antonio inclinò la testa. “Questo spiega tutto.”

Arthur, Alfred e Antonio si diressero in un ristorante nei paraggi, si sedettero al tavolo e iniziarono a leggere il menù. Alfred ordinò almeno 3 piatti diversi, mentre Arthur e Antonio presero qualcosa di semplice. Mentre aspettavano che arrivasse il cibo si misero a parlare di tutto. Antonio non pensava che si sarebbe mai rivisto con qualcuno che veniva dal suo orfanotrofio e pensare che ora viveva addirittura con Arthur, con il quale da piccolo non andava nemmeno molto d’accordo. In realtà anche ora che avevano venti anni continuavano a discutere spesso, Arthur si arrabbiava facilmente ed era facile prenderlo in giro, si lamentava spesso e non sapeva nemmeno cucinare.
Scoprì molte cose anche su Alfred. Sembrava fosse molto popolare a scuola e lo era sempre stato, faceva parte della squadra di baseball quando era in America, aveva un sacco di amici e cose del genere. Doveva aver avuto una bella vita. Ammise anche di non vedere l’ora di vantarsi perché era amico con qualcuno di più grande.

***

Luglio 1957

Lovino non aveva ancora risposto alla lettera di Antonio dove gli diceva di aver incontrato Alfred. Gli sembrava quasi surreale che avesse incontrato gli altri ragazzi dell’orfanotrofio. Non sapeva come rispondergli e non poteva certo dirgli che gli mancava o che si sentiva solo, diventava rosso fino alle orecchie solo al pensiero. Chiese consiglio alla signorina, la quale propose di farsi una foto, così che Antonio, Arthur e Alfred li avrebbero potuti vedere. Lovino arrossì “No, non voglio spedire una mia foto!”
“Perché no?” la signorina chiese subito “Magari ci manderanno anche loro delle foto.” Disse contenta.
“Oh, cielo.” Lovino sospirò mentre la signorina corse a prendere la macchina fotografica. Era in alto su uno scaffale e per prenderla fece cadere metà delle cose presenti sul mobile. “Sempre la solita storia.” Sbuffò Lovino sentendo tutte le cose cadere.
“Dai mettiti in posa.” Disse la signorina con la vecchia macchina fotografica in mano.
“C-cosa dovrei fare?” si sentiva nervoso al pensiero che quella foto l’avrebbe avuto Antonio e poi non gli piacevano affatto le foto! Non si piaceva per niente e vedersi in foto gli dava addirittura fastidio.
La signorina gli aggiustò il colletto della camicia. “Uhm, perché ti sei arrotolato le maniche fino ai gomiti?”
“Sto comodo così.” Brontolò.
“Vuoi che ti prenda anche le gambe?”
“No, credo.” Farfugliò Lovino. Incrociò le braccia e cercò di non fare una faccia sofferente. La signorina scattò e videro la foto.
La signorina rise “Guarda come sei carino!”
Lovino si coprì il viso e scosse la testa.
“Si metta lì, le faccio io la foto questa volta.” Prese la macchina fotografica in mano e scattò la foto alla signorina sorridente.

***

Per Antonio e Arthur, sono contenta che stiate bene, io sono sempre qui all’orfanotrofio. Quando guardo mio fratello Ivan ripenso sempre a voi, e pensare che un tempo eravate tutti così piccoli.
Con affetto da Katyusha.


Appena lesse il testo corse da Arthur per mostrargli la foto  “La signorina!” esclamò. Lui non la vedeva da moltissimo tempo. “La ricordavo diversa.” Ammise alla fine.
Leggendo il testo si ricordarono chi era Ivan, quel ragazzo con il quale finivano sempre a passare capodanno. Non aveva molti amici e lui e sua sorella minore erano strani.
“Dovremmo farla vedere anche ad Alfred quando verrà a trovarci.” Consigliò Arthur mettendo la foto nel portafogli per non dimenticarla.
L’altra foto Antonio invece la mise nel suo portafogli e non la mostrò ad Arthur. La foto era di Lovino, con le braccia incrociate e una faccia non proprio felice, come al solito. Era come al solito vestito bene con i capelli in ordine, tranne per quel ricciolo al lato destro. Girò la foto per leggere il retro:

Non è stata una mia idea.
Lovino.”


Antonio fece una risatina.

***

Dicembre 1957

La mattina di Natale, Lovino si alzò a fatica. Non si sentiva molto in vena di festeggiare, voleva stare alla larga dai bambini che urlavano e si divertivano. Prima che quelli potessero alzarsi si vestì e andò di sotto. Nella sala il piccolo albero malconcio era addobbato e sotto c’era qualche regalo, quell’anno i bambini avrebbero ricevuto dei regali quindi. La signorina sembrava essersi ripresa economicamente rispetto a quando lui era piccolo. Si guardò intorno e non c’era nessuno, doveva essere presto. Guardò l’orologio in cucina e scoprì che erano le 6 del mattino. “Oh, meglio così.”
Andò alla porta e mise il cappotto, frugò nella sua tasca e esclamò a bassa voce “Sì, ci sono ancora!” quello che Lovino cercava erano le sue sigarette. Aveva iniziato da quando un uomo entrò fumando nell’orfanotrofio e gliene offrì una. Anche se fumavano praticamente tutti, la signorina non gradiva molto il fumo, ma Lovino non aveva il vizio, fumava quando si annoiava o era nervoso.
Abbassò lo sguardo e vide delle lettere sul pavimento, si abbassò a raccoglierle ed erano per lui. Non si accorse nemmeno che stava sorridendo, ma c’erano 3 lettere per lui e 3 lettere per la signorina. Prese quelle indirizzate a lui e uscì in cortile. Mentre fumava iniziò a scartare le lettere.

Buon Natale fratello!
Spero tu ti diverta quest’anno. Fra qualche mese dovrai andare via dall’orfanotrofio, giusto? Non vedo l’ora che tu venga qui!
Noi stiamo benissimo.
Buone feste, Feliciano.

 
Lovino, buon natale.
Io e Gilbert stiamo bene qui in Germania, la città è davvero bella con le luci natalizie. Spero non ti dia fastidio che io abbia scritto una lettera di auguri solo per te… volevo essere gentile.
Ti saluta anche Gil

Ludwig.

Non si aspettava certo una lettera da parte di Ludwig, non pensava fossero diventati amici. Lui non reputava Ludwig tale.
Si sentiva quasi in colpa.
Aprì l’ultima e sapeva già di chi era.

Ciao Lovi,
Buon natale!
Io e Arthur faremo un grande pranzo (lo ho pregato di non cucinare) insieme alla sua famiglia.
Fra qualche mese andrai via, sei diventato così grande!
Spero proprio ti rivederti al più presto.

Auguri anche da Arthur.

Con affetto, Antonio.


Lovino arrossì. Anche lui voleva rivedere Antonio, ma doveva andare da Feliciano, era quella la cosa importante. Anzi, la cosa importante era trovare il nonno e raggiungerlo insieme a Feliciano.
Come avrebbe fatto a vedere di nuovo Antonio?
Finita la sigaretta la buttò sul terreno e la schiacciò con un piede. Fortuna che la signorina lo chiamò in quel momento e non lo vide fumare.

***

Era l’ultimo dell’anno e Lovino si stava preparando a passarlo come qualsiasi altro giorno, l’unica differenza è quello era il suo ultimo capodanno all’orfanotrofio. Si soffermò ad osservare l’edificio dall’esterno, mentre era poggiato alla staccionata. Ormai cadeva letteralmente a pezzi. Ogni piccolo angolo era diventato rumoroso e scricchiolante, il legno era marcio in alcune zone e Lovino aveva perso il conto di tutte le cose che la signorina dovette riparare. Sentì la porta aprirsi e una bambina corse verso il cortile.
“Lovino, cosa fai?” andò verso di lui timidamente. Era sempre vestita con abiti carini e aveva i capelli a caschetto biondi.
“Mh, Elise, giusto? Dovresti tornare dentro, la signorina si arrabbia quando siete fuori in inverno.” Disse in tono freddo.
“Erika.” Disse lei abbassando la testa. “La signorina mi ha detto di chiamarti per farti entrare.”
“Oh…” incrociò le braccia. “Capisco.” Non sapeva come trattare i bambini, non era mai stato bravo, anzi lo irritavano. Ci fu un silenzio imbarazzante e andò verso l’edificio, non accorgendosi che chiuse la porta in faccia ad Erika.
“Lovino cosa facevi fuori?” chiese la signorina andandogli incontro “Fa un freddo cane.”
“Lo so…” si allontanò “Non stavo facendo niente in realtà.”
La signorina sorrise “Sei in ansia?”
Lovino si grattò la nuca “No, no.” In realtà lo era.
“Hai già deciso cosa farai?” si sedette sul divano e con la mano fece capire a Lovino che doveva sedersi accanto a lei.
“Andrò da Feliciano.” Ma quello la signorina lo sapeva già “Poi… vorrei andare con Feliciano in Italia.”
La signorina spalancò gli occhi “Come?”
Lovino arrossì “S-sì.” Iniziò a giocare con le maniche del maglione “Mi sono ricordato di avere un parente lì, ma non so se è ancora vivo.” Sospirò alla fine.
“Posso aiutarti a cercarlo se vuoi.” Disse lei. “Chi era questo parente?”
“Mio nonno paterno.” Rispose sforzandosi di ricordare il sogno che fece. “Non so nulla su di lui.”
“Dovremmo cercare un certo ‘Vargas’ allora.” disse lei “Sarà andato in guerra?”
“Non penso abbia partecipato alla seconda.” Dopotutto nemmeno suo padre aveva partecipato.
La signorina sembrò spaesata “Allora la prima, per forza.” Prese Lovino per mano “Dopodomani andremo in biblioteca.”
“Sì.” Annuì Lovino. Sperava davvero che la signorina gli sarebbe stata d’aiuto.

Il 2 gennaio, verso pomeriggio, la signorina disse che avrebbe portato tutti in biblioteca. I bambini non ne sembrarono molto entusiasti  e alcuni la pregarono di poter restare all’orfanotrofio. Alla fine per non lasciare i bambini da soli decisero di portare il libro a casa e di fare la ricerca lì.
“Cosa dovete fare?” “Perché andate in biblioteca?” continuavano a chiedere cose del genere e Lovino si rese conto ancora di più che i bambini proprio non li sopportava.
Lovino e la signorina quindi si avviarono sulla neve.
“Se non riusciremo a trovarlo cosa farai?” chiese la signorina.
Lovino esitò un pochino “Andrò da Feliciano.” Alla fine disse.
La signorina sorrise “Capisco.” Si schiarì la voce e continuò “Sei sicuro di quello che vuoi fare?”
Non lo era, ma si limitò ad annuire.
Arrivati nella biblioteca Lovino lasciò fare alla signorina. La donna chiese una specie di elenco con i nomi dei caduti e i partecipanti della prima guerra mondiale. Il bibliotecario la guardò un po’ perplesso poi le chiese educatamente di seguirla. “Lovi, vieni.”
“Sì certo.” La seguì lui. Si sentì all’improvviso ancora più agitato.
Il bibliotecario li portò in una specie di archivio, una stanza davvero grande, che Lovino non aveva mai visto.
“Una richiesta alquanto insolita.” Disse l’uomo grattandosi il mento. Prese un libro da uno degli archivi e lo sfogliò per poco “Ecco a lei.” disse mentre lo richiudeva, porgendolo alla signorina.
Si girò verso Lovino e fece “Preferisci portarlo a casa, tesoro?”
Lovino continuava a fissare il libro impaurito, lo fissò a lungo prima di annuire alla signorina.
Il bibliotecario alzò le spalle “Va bene, non dimenticare di riconsegnarlo.”

***

Quella notte Lovino non dormì. Si nascose sotto le coperte, per non svegliare i bambini, e con una piccola torcia illuminava le pagine del vecchio libro. Non era riuscito a fare nulla il giorno a causa dei bambini troppo curiosi. Gli occhi verdi iniziarono a bruciare, aveva proprio bisogno di riposare, ma comunque non ci sarebbe riuscito. Pensò che forse fumare una sigaretta lo avrebbe svegliato, ma se fosse uscito con quel tempo sarebbe morto di freddo probabilmente.
Dopo vari nomi che continuavano a scorrere, alcuni di uomini giovani altri più maturi, alla fine quel nome apparve sotto il naso a punta di Lovino.

“Julius Vargas”

“Oh!” Esclamò coprendosi subito la bocca subito dopo. Guardo il volto dell’uomo. Capelli mossi, barbetta incolta e delle basette. Lovino riconobbe il suo naso e i tratti del suo volto. Guardò l’anno di nascita dell’uomo “1898”
Fece qualche calcolo.
Sì, quello poteva definitivamente essere suo nonno.
Lesse dove abitava quell’uomo e rimase a fissare la pagina per qualche secondo. Studiò attentamente la foto. E se si fosse sbagliato? Cosa avrebbe potuto fare?
Si fermò prima che potesse cominciare a piangere. Spense la torcia e lascio la pagina del libro aperta accanto al letto. Il giorno dopo avrebbe parlato con la signorina Braginskaya.

***

Aprile, 1958

Lovino aveva portato già il baule al piano di sotto, aveva tutto pronto, tutto era programmato. Aveva già scritto una lettera a Feliciano, ben presto si sarebbero rivisti.
La signorina non smise di piangere quel giorno.
L’adrenalina attraversava tutto il corpo di Lovino, gli faceva tremare le gambe, fumò un paio di sigarette di nascosto, anche se la signorina notò comunque l’odore. Non aveva dormito nemmeno quella notte, troppo spaventato per quello che avrebbe affrontato.
Quando arrivò il momento di abbandonare l’orfanotrofio Lovino lo guardò attentamente. No, non gli sarebbe mancato affatto. Almeno di questo si convinse.
La signorina lo guardò sorridendo mentre indossava la giacca e prendeva la borsa. “E quindi ora vai via anche tu.” Disse al ragazzo. Il quale sorrise imbarazzato.
“Sei agitato?”
“No.” Rispose subito mentendo. La signorina rise.
Lo abbracciò con dolcezza e singhiozzò di nuovo. “Sono sicura che andrà tutto bene.”
Lovino annuì e sorrise. Non era bravo in quelle cose.
“Addio Lovino.” Disse lei tenendogli la mano.
L’italiano sentendo quella parola si rese conto che lui e la signorina non si sarebbero visti mai più e per un momento vide sua madre invece della donna bionda.
“Addio.” Disse lui allontanandosi verso la porta.
Camminò lungo la strada vuota quando si voltò per guardare indietro vide l’orfanotrofio come non lo aveva mai visto.
Non gli sarebbe mancato, per niente. Continuava a mentire a sé stesso.

***

Antonio aveva da qualche giorno mandato una lettera all’orfanotrofio per Lovino. Non aveva fatto altro che pensare a lui. Chissà se era andato via, cosa stava facendo, cosa avrebbe fatto. Questi pensieri continuavano ad affiorargli la mente anche quando, a volte, pensava che forse non era più innamorato, cambiando di nuovo idea
subito dopo. Non avrebbe mai più trovato nessuno come Lovino, lo sapeva bene.

Ormai i lavori nella biblioteca di Arthur erano finiti, andava lì per aiutarlo mentre si dedicava ad altri lavori. Le strade della città erano affollate quel sabato, pensò che magari avrebbero avuto più clienti del solito mentre si dirigeva verso il negozio. Quando entrò l’odore gli fumo gli entrò nelle narici, strano, Arthur non fumava quasi mai dopo quella storia della malattia di cui si parlava sui giornali. Sentì la voce di Arthur ridere in modo subdolo. Stava parlando con qualcuno evidentemente. Arthur e una voce sconosciuta continuavano a ribattere, sembrava si stessero prendendo in giro a vicenda.
“Ehy.” Disse Antonio guardando le due figure. Di fronte ad Arthur vide dei lunghi capelli dorati riccioluti.
“Antonio, penso che qui ci sia qualcuno di tua conoscenza.” Arthur disse sorridendo e indicando l’uomo ben vestito davanti a lui.
“Tony!” Si voltò il ragazzo, con la sigaretta in mano “Scusa, non dovevo voltarmi, ho rovinato l’effetto sorpresa!” disse in tono quasi drammatico. Si grattò la barbetta scura sul mento “Non mi riconosci?” chiese guardando gli occhi perplessi di Antonio.
“F-Francis?” chiese alla fine con gli occhi spalancati.
“Già!” Rise alla fine.
Antonio rimase a bocca aperta e rise anche lui. I due si abbracciarono “Non ci posso credere, ci stiamo incontrando di nuovo tutti.” Antonio affermò incredulo.
“Già, ho un sacco di cose da raccontarti.” Disse Francis emozionato. “E scusami se non mi sono fatto sentire dopo che andai via dall’orfanotrofio.”
Antonio alzò le spalle “Tranquillo, ormai è passato, eravamo bambini.” In realtà ce l’aveva ancora con lui per quel motivo.
Francis non sapendo cosa dire “Magari è stupido, ma prendila per farmi perdonare.” Gli offrì il pacchetto di sigarette e Antonio ne prese una ridendo.
“Come mai sei qui?” Chiese accendendosi la sigaretta. Arthur cominciò a parlare, ma venne subito interrotto da Francis.
“Ah! Dimenticavo, tu non sai nulla. ” Afferrò Antonio per le spalle “Io e Arthur siamo amici di vecchia data.”
Arthur sottolineò “Amici?”
“Stai zitto.” Francis rispose subito innervosito. “Siamo andati a scuola insieme.”
Antonio rise imbarazzato “Francis, lo so già. Me lo ha detto Arthur.”
Francis sembrò offeso dalla cosa, voleva davvero raccontarlo lui. “Ci siamo divertiti in quegli anni.” Si girò verso Arthur “Ricordi Art?”
“Sì, uno spasso essere preso in giro da te e i tuoi stupidi amici del teatro.” Incrociò le braccia “E per te sono Kirkland.”
Francis alzò gli occhi al cielo e Antonio assunse un’espressione triste. Forse Francis non si rendeva davvero conto di quello che faceva.
“Comunque, riccioli d’oro qui, ha delle cose davvero importanti da dirti.” Arthur borbottò.
“Oh, certo!” Francis tornò pimpante e sorridente. “Mi è arrivata una lettera qualche tempo fa.”
Antonio annuì “E…?”
“Non indovinerai mai da chi.” Francis aggiunse. Antonio inarcò un sopracciglio e rimase a pensare. Si fissarono in silenzio per un po’. Arthur li guardò innervosito e alla fine urlò
“Per l’amor del cielo! Gilbert gli ha spedito una lettera!”
Antonio sentendo quelle parole sentì il cuore battere in fretta.
“Vuole che lo raggiungiamo in Germania.” Francis sorrise con tutti i denti scintillanti.
“Ci sto, voglio andare assolutamente.” Antonio rise.
Francis gli diede la lettera e la lesse tutta d’un fiato.
“Ok, non fate decisioni affrettate voi due. Dobbiamo discuterne seriamente. Non potete semplicemente partire e andarvene in Germania.”
Arthur continuava a parlare, ma Antonio non lo ascoltava.
Tutto quello che desiderava oltre rivedere Lovino era rivedere i suoi amici più cari. Le cose sembravano andare davvero per il verso giusto finalmente. 





----Angolo dell'autrice----

Ops, mi sono fatta aspettare parecchio. Ho avuto davvero troppo da fare e ho lasciato il capitolo fra i documenti di word incompleto per almeno due mesi. 
Ok, alcune precisazioni da fare per evitare situazioni sgradevoli (?). Mi scuso se a qualcuno possa dare fastidio che io faccia fumare i personaggi, ma è per motivi storici. Parlando con persone che hanno vissuto l'epoca e guardando i vecchi album fotografici di mio nonno, fumavano davvero tutti negli anni 50.
Il commento sulla malattia di cui i giornali parlavano è comunque collegato ad un fatto storico, ovvero che venne riconosciuto il fatto che il fumo facesse male.
Spero che la cosa non disturbi nessuno, cerco solo di rendere più storicamente corretta la storia. 

Detto questo, al prossimo capitolo! Sperando che io non lo pubblichi troppo tardi. 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Aprile, 1958

“Ok, ok, ricapitoliamo.” Arthur si poggiò al camino accanto al tavolo di casa mentre si massaggiava le tempie, disperato “Vi siete incontrati circa 3 ore fa e avete deciso di voler andare in Germania da Gilbert?”
Antonio  e Francis si guardarono e sorrisero. Arthur vedendo la scena alzò gli occhi al cielo.
“Fate come vi pare.” Sbuffò “Antonio, con quali soldi hai intenzione di andare?”
Francis intervenne “Ehy, io vengo da una famiglia benestante.” Disse quasi vantandosi.
“Sì. Lo so.” Rispose Arthur seccato. “Vi lascio perdere, almeno abbiate il buon senso di organizzarvi bene prima di partire.”
Antonio subito aggiunse “Io pensavo di partire fra qualche giorno in realtà.” frenetico.
Francis rise di gusto e Arthur scosse la testa, furioso, e li lasciò da soli.
“Pazzesco.” Francis disse sorridendo genuinamente. “Non è incredibile quello che sta succedendo?”
Antonio guardò il caffè nella sua tazza “Sì.” Lo disse quasi con tono malinconico “Dovresti parlarmi un po’ di te… cosa hai fatto in questi anni?” tornò a guardare il biondo.
Francis spense la sigaretta nel posacenere al centro del tavolo. “Va bene, da dove posso cominciare?”
“Da quando sei andato via.” Antonio terminò con una lieve risatina. Francis annuì.
“Non c’è molto da dire, ho fatto una vita ordinaria. I miei genitori, bhe, che dire? Brave persone, nulla di più. Sono grato per quello che hanno fatto per me.” Francis sorrideva mentre parlava, anche se aveva un tono così drammatico qualsiasi cosa dicesse, Antonio pensò che fosse un grande ablatore, doveva essere popolare. “Quando iniziai a frequentare la scuola ero elettrizzato, avevo seguito per tutta la vita solo le lezioni della signorina Braginskaya. Non pensavo certo di trovarmi in classe con Arthur.” Fece una risatina subdola prima di continuare a parlare “Fui felice di vederlo in realtà. Per un po’ di giorni passammo il nostro tempo insieme, ma ben presto iniziai a fare amicizia con altre persone… Lui invece rimase indietro.”
Antonio prese un sorso dal suo caffè e pensò che l’adolescenza di Arthur doveva essere stata difficile.
“Presto divenne il bersaglio di tutti, insomma, io lo facevo solo per scherzo, non pensavo la cosa gli pesasse tanto. In realtà io e lui restammo amici, sotto sotto.”
“Non credo Arthur ti abbia mai perdonato per gli scherzi.” Antonio affermò in tono freddo.
“Sì, me ne rendo conto. Io e i ragazzi del teatro sapevamo essere davvero cattivi.” Francis fece un sorriso amaro. Scosse la testa e cambiò discorso “Grazie al teatro ho conosciuto la mia fidanzata però.”
Antonio quasi si strozzò con il caffè “Tu… Hai una fidanzata?” disse fra un colpo di tosse e l’altro.
Francis rise vedendo la reazione dell’amico “Sì, ci sposeremo il prossimo anno!”
“Oh, wow.  Congratulazioni…” Antonio lo disse con tono perplesso, non sapeva bene come reagire. “Come si chiama lei?”
“Jeanne. È francese.” Francis lo disse con il miglior accento francese.
Antonio sorrise, era contento per il suo amico, avrebbe voluto avere lui la sua fortuna. In quel momento Francis lo sorprese con una domanda. “Tu invece? Cosa mi racconti?”
Cielo, cosa avrebbe dovuto dirgli? La sua vita non era niente di entusiasmante. “Sai...” disse timidamente “Non c’era molto da fare nell’orfanotrofio, poi quando sono andato via ho vissuto di lavori fatti qua e là, Arthur mi ha praticamente salvato.” Alzò le spalle “Solo questo.”
Francis annuì “Capisco.” Accese un’altra sigaretta. Antonio pensò che fumasse davvero troppo. “E dimmi, quante ragazze ti sei portato a letto fino ad ora?”
Il voltò di Antonio divenne completamente rosso “Oh… io…”
Francis scoppiò in una fragorosa risata “Andiamo, non essere timido!”
“Io… davvero…” Antonio si mise una mano sul collo e sentiva le sue guance ribollire  “Santo cielo.”  Sospirò alla fine.
La risata di Francis si affievolì e sembro imbarazzato anche lui “Antonio, tu non hai mai…?”
Antonio non riusciva a guardarlo negli occhi, fece un cenno con la testa e sussurrò “No.”
Francis fumò nervosamente la sua sigaretta e rimasero zitti per un po’. Antonio capì che sicuramente lo avrebbe trovato strano. L’unica persona che aveva mai baciato era Lovino. Non riusciva a fare niente del genere con nessun altro. Nemmeno i ragazzi gli interessavano. Francis e Antonio rimasero in silenzio, un silenzio quasi imbarazzante.
“Quindi..” Francis ruppe il silenzio “Con la Germania come si fa?”
Antonio cercò di tornare, aveva ancora il volto un po’ arrossato “Pensandoci bene dovremmo discuterne prima. Non ho molti soldi per potermi permettere un viaggio…”
Francis lo fermò prima che potesse finire “Te l’ho detto, la mia è una famiglia benestante! Ti offrirò io tutto.”
“Oh..” Antonio rispose sinceramente “No, grazie mille, ma non voglio essere in debito con te” La sua voce sembrava quasi commossa. Si avvicinò al suo amico e lo abbracciò, l’altro gli diede una pacca sulla spalla. “Dobbiamo solo decidere una data.”
“Appena sarai pronto!” Francis esclamò eccitato.
“Sono già pronto! Ma sarebbe meglio aspettare qualche mese forse.”
Francis sghignazzò “Bhe, allora buona fortuna!” si alzò in piedi e mise la giacca “Dovrei tornare a casa.”
“Ok, ci vediamo domani?”
“Certo.”
Si strinsero la mano con una forte stretta. Antonio accompagnò Francis alla porta e lo guardò allontanarsi dalla porta. Quasi si voltò per rientrare in casa si trovò davanti Arthur con le braccia incrociate e sobbalzò. “Dio, Arthur!” Esclamò. 
“Quindi? Avete intenzione di fare questa pazzia?” chiese seccato.
Antonio si massaggiò la fronte “Davvero. Non capisco perché te la prendi così tanto.”
“Non me la prendo.” Mise le mani in tasca e abbassò la testa “Credo solo che sia una pazzia.” Si avvicinò alla porta e prese la giacca dall’appendiabiti attaccato al muro.
“E adesso?” 
“E adesso vado a farmi un giro.” Mise la giacca e spalancò la porta.
Antonio fermò la porta prima che potesse sbattere “Ehy!” si affacciò e guardò Arthur allontanarsi con le mani in tasca. “Arthur. Dove vai?”
“A FARMI UN GIRO!” Arthur urlò senza voltarsi. La sua voce squillante risuonò in tutta la strada.
Antonio alzò lo sguardò al cielo e sbuffò “Ma che diavolo ti prende?” Urlò. “Arthur!” non si voltava “ARTHUR!” fece un passo indietro “Al diavolo.” Era a un po’ che non litigavano. Quando si voltò per rientrare in casa trovò delle persone a fissarlo quasi spaventanti, roteò gli occhi, entrò e sbatté la porta.

***

Vienna

Aprile, 1958

Lovino era completamente perso. Si rese conto dell’enorme stronzata che aveva fatto. Era terrorizzato, non sapeva cosa avrebbe dovuto fare. Prese in fretta la lettera che aveva messo in tasca e controllò per la decima volta l’indirizzo del negozio di Feliciano. Gli sembrava così incredibile, avrebbe rivisto suo fratello.
“Cazzo, cazzo, cazzo.” Iniziò a ripetere a voce bassa sembrando quasi pazzo, era nel panico. Avrebbe dovuto chiedere informazioni, quella città era troppo grande, non si aspettava niente del genere. Si andò a sedere su una panchina e osservò le persone che passavano. Al diavolo, avrebbe chiesto al primo che capitava. Cominciò ad esclamare tra la folla “Mi scusi! Mi scusi!” aspettando che qualcuno si voltasse, si sentiva estremamente stupido. Finalmente un ragazzo si fermò e lo guardò perplesso.
“Scusi, potrebbe aiutarmi?” Lovino chiese, ma si rese conto che lì non avrebbero capito tutti l’inglese. Il ragazzo stranamente annuì “Io dovrei andare qui.” E indicò l’indirizzo scritto sulla lettera.
Il ragazzo annuì di nuovo, si concentrò per un attimo “Non inglese!” Il ragazzo disse con un accento che Lovino trovò terribile, però rimase ad ascoltare. Lo sconosciuto iniziò a spiegare la strada nel modo migliore che poteva. Lovino appuntò tutto sulla lettera, ringraziò e andò via un po’ imbarazzato.
“Se mi perdo quel ragazzo è fottutamente morto.” Borbottò fra sé e sé mentre si allontanava.
Vagò per un po’ nelle strade della città, ne rimase affascinato, si perse nella bellezza dei palazzi e dell’atmosfera. Sarebbe dovuto andare con Feliciano. Dovette chiedere informazioni un’altra volta, per sicurezza. Quando finalmente arrivò nel vicolo che cercava si sentì mancare il fiato.
Il negozio di fiori era posizionato alla destra del vicolo, la decorazione era… deliziosa. I fiori era posti ovunque, sulla porta di ingresso c’era appesa una piccola tegola con delle orchidee disegnate sopra. Lovino guardò attentamente la firma e lesse chiaramente “Feli”
Sentì il suo cuore sussultare. Il fratello era lì dentro. Finalmente. Dopo 10 lunghi, noiosi, tristi anni. Rimase davanti la porta e prese un momento di riflessione, che gli sembrò durare anni. Non era il momento di andare nel panico, no, lui doveva aprire quella porta, doveva farlo.

***

Inghilterra

Antonio si lasciò cadere sul letto, non riusciva davvero a capire perché a volte Arthur si comportava in modo così strano.
“Che noia.” Sbuffò rumorosamente. Girò la testa e vide il suo portafogli poggiato sul comodino, lo aprì e prese la foto di Lovino, la guardò sorridendo. Non sapeva se era stupido sentirsi ancora così dopo tutto quel tempo. Non si vedevano più da tanto eppure quello che provava per Lovino non era mai cambiato.
Chissà se per lui era lo stesso.
Avrebbe voluto sentirlo.

***

Vienna

Lovino entrò nel negozio, sentendo improvvisamente un forte profumo di fiori. Il locale dava un senso di freschezza, era così accogliente. Non c’era nessuno nei paraggi. L’unico rumore che Lovino sentiva era quello delle persone all’esterno e il suono della radio tenuto molto basso, era lì solo come accompagnamento. Si guardò attorno e studiò il negozio. C’era qualsiasi tipo di fiori e alcuni dipinti decoravano le pareti, dovevano essere di Feliciano, sentì un’improvvisa gelosia. Si avvicinò infine al bancone. “C’è nessuno?” disse spaventato e timidamente.
“Eccomi!” una voce femminile rispose oltre una porta. Quando la donna, con in mano un vaso e le mani sporche di terra, uscì dalla porta, Lovino la riconobbe subito. “Perdoni se l’ho-“ si interruppe quando guardò Lovino negli occhi e il vaso le cadde dalle mani. “Santo cielo.” Disse lei. “Lovino?”
Il ragazzo fece un cenno, ma non sorrise.
Elizabeta guardò il disastro che aveva fatto, sembrava agitata. Andò verso Lovino e rimase senza parole. La donna era ancora molto bella, con i capelli lunghi come allora, castani. Rise imbarazzata “Oh Dio!” esclamò. Apparve il marito dalla porta dell’altra stanza “Elizabeta, cosa è successo?!” guardò spaventato il disastro sul pavimento. Si voltò e guardo Lovino a bocca aperta.
“Ciao.” Disse Lovino un po’ scontroso. Roderich si diede un tono, addrizzò gli occhiali e si avvicinò.
“Come… Cosa…” non sapeva bene da dove cominciare, poggiò una mano sulla spalla della moglie e le disse “Dovresti… dovresti chiamare Feliciano.”
Il cuore di Lovino sussultò. Ci era davvero riuscito.
Eliziabeta annuì e si allontanò, andò oltre una porta e cominciò a salire delle scale.
“Di sopra c’è lo studio di tuo fratello.”
“Oh, capisco.” Lovino disse con i pugni serrati e le spalle tese. Si guardò ancora una volta attorno… non sembrava fosse possibile. Stava succedendo sul serio?
Dal soffitto si sentivano rumori di oggetti che sbattevano e piedi che si muovevano velocemente.
“Credo stiano per arrivare.” Roderich disse sorridendo, sembrava nervoso anche lui come Lovino. Qualcuno stava ora correndo velocemente giù dalle scale.
“Feli! Così cadrai!” Elizabeta urlò dal piano di sopra. Un ultimo tonfo e Feliciano apparì sulla soglia della porta. Sorridente, con i capelli un po’ spettinati e sporco di pittura fresca.
“LOVINO!” Un urlò squillante rombò per tutto il locale e fulminò Lovino. Non sentiva la voce del fratello da troppo tempo e ora era così diversa. Feliciano iniziò a piangere e saltò al collo del fratello che invece non sapeva bene come reagire e rimase immobilizzato ad apprezzare l’abbraccio. Feliciano continuava a singhiozzare. “Come hai fatto?” iniziò a ridere senza riuscire a smettere “Sei straordinario, fratello.
L’italiano, non lo sentiva da troppo tempo, suonava quasi strano alle sue orecchie.
“Feliciano… tu…” Lovino non riusciva a trovare le parole, ancora non riusciva a credere che ci fosse riuscito, avrebbe potuto piangere, ma non poteva permettersi di piangere davanti a tutti. Guardò attentamente il fratello. Feliciano era gracile, non aveva segni di barba o di acne sembrava ancora un bambino. Poi notò un particolare. “…Sei diventato più alto di me.” Disse prendendo le misure. Feli era di qualche centrimento, almeno 3 o 4 più altro di lui. L’altro scoppiò a ridere “Sei il solito!” lo prese per mano e lo trascinò di sopra. “Vieni! Ho un sacco di cose da dirti!” Lovino non si rese nemmeno conto che stava ridendo e si trovò a saltellare le scale con il fratello.

***

Inghilterra

Antonio sentì la porta di casa aprirsi e aprì gli occhi. Riconobbe il rumore dei passi di Arthur e uscì dalla sua stanza.
“Ah, ti sei deciso a tornare.”
Arthur non rispose, girò la faccia e andò verso la cucina.
“Posso capire perché adesso ti stai comportando in questo modo?” Antonio disse “Ne ho le palle piene!”
In quel momento anche Arthur perse le staffe. “Lo vuoi sapere?” alzò la voce “Io odio Francis!”
Antonio sbuffò “Ti stai comportando come un bambino.”
“Tu non sai cosa significa essere me!” Arthur si avvicinò e lo prese per la camicia “Non ho passato un solo momento della mia vita in pace per colpa sua e di quegli altri imbecilli, ok?”
Antonio afferrò la mano del suo amico e la allontanò “Ehy, calmati adesso.” Si spaventò. “Che succede?”
Arthur si coprì il volto “Io non te lo posso dire, ma hanno reso la mia vita un inferno.”
L’altro gli poggiò le mani sulle spalle “Arthur.” Iniziò a parlare “Ti sono molto grato per quello che hai fatto per me, Francis non cambierà nulla.”
Arthur sorrise “In realtà mi mancherà averti in giro per casa.” Antonio rise e Arthur indietreggiò imbarazzato.
Gli sarebbe mancato anche lui.

***

Vienna

Aprile, 1958.

Quando Lovino aprì gli occhi la prima cosa che vide fu il soffitto candido della camera di Feliciano. Quando guardò alla sua destra, in alto, c’era Feliciano che dormiva beato nel suo letto, mentre lui dormiva su una piccola brandina a terra. Ancora non gli sembrava vero. Nella foga del giorno prima non era riuscito a dire quasi nulla al fratello e la sera, troppo stanchi dalla passeggiata in giro per Vienna, crollarono prima delle undici. Feliciano aprì gli occhi dorati e guardò il fratello per qualche secondo.
“Ciao, Lovi.” Disse con tono quasi infantile e in italiano. Lovino sorrise e si stiracchiò.
Buongiorno, Feli.” Disse mentre strizzava gli occhi. Rimasero un po’ a parlare, poi si alzarono insieme e andarono in cucina. Quando entrarono nella stanza a Lovino sembrò di vedere sua mamma, di spalle, mentre preparava la colazione. Sorrise senza pensare davvero a cosa stesse vedendo.
“Buongiorno mamma.” Disse Feliciano gentilmente. La donna si voltò e Lovino vide il volto di Elizabeta. Il suo sorriso si spense subito dopo.
“Dormito bene ragazzi?” chiese lei sorridente. Feliciano si sedette al tavolo e sbadigliò rumorosamente prima di riuscire a rispondere alla domanda. Elizabeta guardò verso Lovino, che era ancora in piedi dietro Feliciano. “Lovi, accomodati!”
“Lovino.” Rispose subito.
“Sì, certo.” La donna sembrò un po’ imbarazzata “Lovino.” Si corresse.
Il ragazzo si accomodò sulla sedia e davanti a lui si presentarono le pietanze ancora calde. Elizabeta diede una bacio sulla testa di Feliciano mentre passava e quello si passo una mano nei capelli scompigliandoli ancora di più. “Sto andando in negozio ora, ho aspettato che vi svegliaste per raggiungere Friederich.”
“Va bene, mamma.”
“Ci vediamo più tardi. Divertitevi!” Sentirono la donna urlare prima di chiudere la porta.
Lovino e Feliciano continuarono a mangiare, silenzio. Lovino rifletteva ancora su quanto poteva essere assurdo che era riuscito davvero a incontrare di nuovo suo fratello, rifletteva a quanto era stata assurda alla sua vita e al fatto che ora Feliciano avesse due mamme.
“Non abbiamo parlato molto del passato.” Feliciano disse in tono pensieroso mentre giocava con i resti di uova strapazzate nel piatto. “Che hai fatto in questi anni?”
“Nulla.” Lovino rispose aspramente, ma era la verità. Sentiva davvero che la sua vita era stata insulsa rispetto a quella degli altri ragazzi della sua età. Feliciano lo guardò affranto.
“Perché non sei mai voluto venire con me?”
Lovino spalancò gli occhi e si alzò in piedi. “Non mi va di parlarne.”
“Lovi… è una vita che mi domando perché non sei mai voluto venire con noi.” Feliciano gli prese una mano, sembrava che davvero volesse una risposta.
“Io…” Lovino provava a rispondere, ma non ci riusciva “Non volevo… questo!”
Lovino e Feliciano riuscivano a capirsi senza dover spiegare troppo, era sempre stato così.
“I nostri genitori non potranno mai più tornare lo sai?” gli disse il fratello. Lovino lo guardò negli occhi dorati. L’ingenuo Feliciano era sempre stato più maturo di quanto lui non fosse stato.
“Lo so.” Disse abbassando lo sguardo. “Non posso accettare che degli estranei siano la mia famiglia. Non resterò qui con loro, mai.”
Feliciano sorrise e annuì, non voleva infastidire ancora il fratello. Portò i piatti in cucina e quando si voltò, Lovino era già vicino la finestra a cercare di accendere una sigaretta. Nervoso e agitato cercava in tutti i modi di far partire la fiamma dell’accendino. Quando ci riuscì emise un “Cazzo.” E lanciò l’accendino a terra.
“Non sapevo fumassi” affermò Feliciano “Posso provare?” si avvicinò raccogliendo l’accendino.
“A fare cosa?” Lovino chiese sgarbato.
“Fumare.” Rispose l’altro, tossendo solo a sentire l’odore del fumo.
Lovino rise “Non pensarci nemmeno.” Non si addiceva proprio a suo fratello. Fece accomodare Feliciano accanto a lui, forse era arrivato il momento di parlarne. Elizabeta e Roderich non erano in casa, quindi non avrebbero avuto interruzioni. Quando gli spiegò che avevano un nonno in Italia Feliciano rimase a bocca aperta, fra la gioia, lo stupore e la paura.
“Vogliamo andare insieme a cercarlo?” Lovino chiese alla fine e Feliciano si spaventò.
“Dovrei parlarne prima con i miei genitori, ci tengono tanto a me.”
“Feliciano!” Lovino urlò. “Non capisci? Possiamo ritrovare la nostra famiglia.” Si stava innervosendo di nuovo.
“Sì, questo lo capisco…” Andò nel panico. “Va bene, andremo. Però io tornerò ogni tanto, non posso fare una cosa a Elizabeta e Roderich.”
Lovino cercò di capirlo, ma prima che potesse parlare Feliciano lo interruppe di nuovo “Io però sto ancora finendo la scuola!” Sobbalzò “Non posso lasciare la scuola.”
Lovino sospirò rumorosamente “Va bene, andremo quando avrai finito il liceo.” Sorrise. “Risolto?”
Feliciano sorrise e annuì. Poi d’un tratto sobbalzò di nuovo “E i miei amici?!”
“Oh, santo cielo.” Lovino si mise le mani nei capelli. “Feli, vuoi farlo sì o no?”
“Sì, sì!” Feliciano annuì agitato “Voglio conoscere nostro nonno.”
“Allora smettila di fare così tanto casino.” Disse “Andremo quando finirai la scuola, hai tutto il tempo per pensare a questi problemi.”
Feliciano annuì e abbracciò il fratello prima di correre in camera a vestirsi. Lovino rimase ancora un po’ a fumare e ad ammirare il paesaggio di Vienna dalla finestra di quel condominio.
“Fra quanto tempo gliene parlerai?” urlò al fratello.
Feliciano rispose dopo alcuni secondi, urlando dall’altra parte della casa “Il prima possibile!”

***

Inghilterra

Maggio, 1958.

Antonio si lanciò sul divano ed iniziò a guardare qualche programma in televisione per passare il tempo prima che Francis andasse a trovarlo, ovviamente Arthur non ne sapeva nulla. Quest’ultimo però non era ancora tornato a casa, strano. Antonio era andato via e Arthur lo tranquillizzò dicendogli che avrebbe chiuso lui la libreria. Cercò di non preoccuparsi troppo, non era potuto succedere nulla, giusto?
Sentì la porta aprirsi e riconobbe la risata di Arthur, spense la televisione per sentire meglio. Quando Arthur si presentò alla porta della stanza, Antonio disse subito “Ehy, ti stavo aspettando.”
“Ah sì, ecco…” dietro l’inglese apparve una figura.
“Alfred!” Antonio urlò alzandosi in piedi per salutare il ragazzo.
Arthur disse velocemente “Ci siamo incontrati per caso.”
“Sì, sì, per caso!” Alfred arrossì e iniziò a parlare velocemente. Antonio inarcò un sopracciglio e guardò prima uno, e poi l’altro.
“Ok, va bene.” Scosse la testa. “Va tutto bene?” chiese guardando ancora una volta i due amici. Alfred era impettito come sempre, solo con un sorriso nervoso. Arthur guardava il pavimento ed era più nervoso del solito.
“Tutto benissimo! Preparo un thè?”
 “Sì, prepara un thè!”
“Buona idea, buona idea!” iniziarono a farneticare cose del genere, Antonio trattenne una risata.
Il campanello della porta suonò. Arthur, che aveva già passato l’arcata che portava alla cucina, andò verso la finestra per controllare. Antonio corse ad aprire prima che Arthur avesse potuto arrabbiarsi con lui.
Aprì la porta e trovò i riccioli perfetti di Francis, girato di spalle. “Francis?”
“Tony!” quello si voltò, facendo un’entrata teatrale, Antonio rise.
“Devi proprio farlo ogni volta.” Arthur disse in modo cinico “È imbarazzante solo guardarti.” Aveva le bustine per il thè in mano, Francis le notò.
“Oh, grazie! Il thè lo prendo con due cucchiai di zucchero.” Disse con il sorriso smagliante. Antonio si coprì il volto con una mano e cercò disperatamente di non ridere davanti alla faccia rossa per la rabbia di Arthur.
Francis mise una mano sulla spalla di Antonio e andarono insieme verso la cucina mentre chiacchieravano, ma Arthur si piazzò davanti a loro. “Con permesso.” Li superò seguito da Alfred e misero la giacca.
“Dove andate?” Antonio chiese spiazzato.
“A farci un giro.” Disse Arthur sorridendo. Alfred si voltò per fare un cenno con la mano, poi Arthur sbattè la porta in faccia ad Antonio e Francis.
“Ogni volta la stessa storia.” Disse il biondo alzando le spalle “Mi spiace, colpa mia.”
Antonio scosse la testa “Tranquillo.” Andarono a sedersi sul divano uno accanto all’altro.
“Te ne ho già parlato al telefono, però te lo chiedo nuovamente” Francis cominciò “Le condizioni economiche quali sono?”
“Mi serve ancora un po’ di tempo.” Antonio disse subito, non voleva che Francis gli prestasse i soldi, non voleva debiti. “Entro il mese prossimo ce la faremo, te lo prometto.”
Francis sorrise gentilmente “Dobbiamo avvertire Gilbert allora!” rise “Gli manderò una lettera appena possibile.”
Mentre il suo amico esultava Antonio si fermò a ragionare su quello che stava succedendo, sentendosi leggermente perso e stravolto. Era incredibile come tutti stessero comparendo di nuovo nella sua vita mentre di Lovino nessuna traccia.
Non arrivava nessuna lettera da tempo ormai.
Dov’era finito?

***

Vienna

Maggio, 1958

Le giornate passavano lente, per lo più le stava passando tutte nella camera del fratello, solo, mentre aspettava che lui tornasse da scuola e finisse i suoi compiti. La sua giornata si svolgeva di nuovo seguendo una routine. Si alzava quando ormai il fratello, Elizabeta e Roderich erano a scuola e a lavoro, mangiava da solo, leggeva qualcosa, disegnava ogni tanto e fumava molte sigarette perché era molto annoiato. Si fermava spesso a pensare a quanto la sua vita fosse noiosa e al fatto che forse avrebbe dovuto scrivere di nuovo ad Antonio, perché gli mancava e si sentiva così solo, ma non aveva la forza di scrivere nulla. Non faceva quasi più nessun sogno, non aveva più nulla da raccontare ormai.
Ancora peggio era quando Feliciano tornava a casa, ma con qualche compagno di classe. La parte peggiore era doversi presentare e spiegare come mai Feliciano avesse un fratello.
Quel pomeriggio Feliciano era a casa di un amico per fare delle ripetizioni. Lovino stava ovviamente fumando alla finestra, quando si voltò e guardò la stanza. “A Feliciano non dispiacerà se curioso un po’ in giro, no?” parlava da solo. Diede un ultimo tiro alla sigaretta e la lanciò dalla finestra. Andò verso i cassetti della scrivania e iniziò a guardare cosa c’era dentro. In quei mobili c’erano praticamente tutti i 18 anni di vita di Feliciano. Lovino si ritrovò a ridere davanti ad alcune foto, lettere, disegni… poi una cosa saltò al suo occhio; Una busta, con fiori disegnati sopra ad acquerello, con scritto “Ludwig”.
Lovino spalancò la bocca. Come aveva potuto dimenticare una cosa del genere? Ludwig e Feliciano si amavano, suo fratello aveva addirittura detto a Ludwig di andare con lui in Austria. Iniziò ad aprire le lettere, in ognuno di essere Feliciano aveva messo un fiore con scritto il significato accanto.
“Ma… cosa…” Iniziò a borbottare. Provo a leggere qualcosa, ma quelle parole smielate gli stavano dando alla testa. Alcune erano datate 1957 e 1958, quindi erano ancora in contatto.
Lovino sentì il portone di carta aprirsi, doveva essere Elizabeta. Poi riconobbe i passi del fratello avvicinarsi alla porta, sembrava sempre che stesse saltellando. Lovino cercò di richiudere tutte le lettere in fretta, stando attendo a non rovinare i fiori secchi, ma… BAM.
Feliciano spalancò la porta e fece sobbalzare Lovino mandando tutte le lettere e i fiori sul pavimento. Ci fu del gelo fra i due. Feliciano guardò con gli occhi spalancati le lettere sul pavimento, poi alzò lo sguardo verso il fratello prima di iniziare a piangere. Lovino si avvicinò e Feliciano corse verso la porta.
“Feli!” urlava, mentre vedeva il fratello allontanarsi verso il portone “Feli! Fermo!” si arrabbiò e alzò la voce “HO DETTO FERMATI!” Feliciano sobbalzò e fece come gli era stato ordinato, poggiando le spalle contro la porta.
“Ti prego… Lovi… io…” Cercò di parlare.
“Io lo sapevo già” Lovino lo tranquillizzò “Lo ho scoperto quando ero all’orfanotrofio.”
“Che?” Feliciano continuava a piangere. “Non vuoi dirlo a nessuno?”
“No.” Disse serio.
“Non vuoi farmi nulla?” Chiese spaventato.
“No…” Lovino rispose “Sono tuo fratello, che domande sono.” Alzò le spalle. Rimasero in silenzio poi Feliciano singhiozzò “Non dirlo a nessuno… ti prego.”
“Va bene.” Rispose semplicemente e tornò verso la camera, guardò passivamente le lettere sparse a terra, tutti quei fiori secchi, realizzando che aveva ancora una volta peggiorato le cose.

***

Inghilterra

Maggio, 1958

Finalmente il caldo iniziava a farsi sentire, ma questo non poteva togliere ad Antonio la voglia di un caffè caldo. Lasciò Arthur e Alfred, che ultimamente passava davvero troppo tempo con Arthur piuttosto che a scuola con gli altri liceali, nella libreria e andò a prendere un caffè per tutti. Aveva da poco aperto un locale lì vicino e pensò che quello era il momento giusto per provarlo.
Quando entrò nel negozio sentì risuonare nella stanza:
“And when he does his shaky rockin' dance 
Man, I haven't got a chance
I call him, lollipop, lollipop…. ”

Quella canzone sarebbe stata impossibile da togliere per il resto della giornata. Prese tre caffè da portar via e tornò in libreria. La strada sembrava molto affollata quella mattina, succedeva ogni volta che iniziava ad arrivare il caldo.
Cercando di non far cadere i caffè caldi, Antonio spinse la porta con la schiena mentre continuava a cantare “Lollipop lollipop 
Oh lolli lolli lolli, lollipop, lollipop” quando entrò guardò verso il bancone. Alfred si allontanò da Arthur così in fretta che andò a sbattere contrò un piccolo scaffale con dei libri, mentre Arthur si voltò dall’altro lato. Antonio spalancò gli occhi “Ma che diavolo vi prende?”
“Niente!” Arthur urlò. Alfred si ricompose e mise in ordine i libri caduti.
Antonio scrollò le spalle “Caffè?”
Alfred aggiusto i capelli “Lo bevo sulla strada di casa, grazie Antonio!” poi fece l’occhiolino e un cenno con la mano “Ci si vede!”
Antonio salutò e poi chiese “Ma questo ragazzo non va mai a scuola?” diede un sorso al suo caffè “Bleah, abbiamo scambiato i nostri caffè Arthur, il mio è amaro.” Fece una smorfia e poi guardò verso il suo amico. Guardò confuso alla scena che stava assistendo, Arthur stava degustando il suo caffè con tre cucchiai di zucchero con occhi persi nel vuoto e la faccia completamente rossa.
Strano.

***

Giugno 1958

Francis e Antonio si era telefonati tante volte ormai, eppure Antonio aveva paura di aver dimenticato qualcosa. Era tutto organizzato, Gilbert era stato avvertito e fra mezz’ora Francis sarebbe passato a prendere Antonio con la sua auto per andare in aeroporto. Arthur ancora non si svegliava, Antonio era praticamente in piedi davanti la sua porta ad aspettare con la valigia. Ultimamente era diventato strano e ad Antonio si spezzava il cuore a pensare di non poterlo salutare. D’un tratto sentì del frastuono nella camera da letto. Arthur uscì con la camicia del pigiama sbottonata, i due si guardarono.
Arthur sembrava aver avuto una sbornia. “Parti oggi?”
 “Fra poco.” Antonio disse quasi offeso. Che domanda era. Arthur quasi piangeva.
“Mi dispiace… io…” si avvicinò al suo amico “Perdonami.”
“Tranquillo, non fa nulla” Antonio disse guardandosi i polsi stretti insieme. “S-sono un po’ nervoso.”
 Arthur sorrise e gli poggiò una mano sulla spalla tesa “Si vede.”
“Francis sarà qui a minuti.” Antonio iniziò ad agitare la gamba nervosamente.
“Sono sicuro che andrà tutto bene.” Gli diede un pacca un po’ goffa. Arthur non era bravo in quelle cose e Antonio lo sapeva. Sentirono una macchina parcheggiarsi e suonare.
“Deve essere lui!” Antonio si alzò in piedi e guardò verso Arthur. Dietro di lui, attraverso la porta socchiusa, vide la figura di Alfred alzarsi dal letto. “Oh!” esclamò, ma non era davvero il momento di chiedere.
I due inquilini si guardarono per qualche secondo, poi si abbracciarono.
“Grazie mille, Arthur.”
Ancora una volta Antonio doveva dire addio a qualcuno. Guardò ancora una volta dietro di lui e Arthur disse “Ci si vede.”
Antonio sorrise e tirò su con il naso. Chiuse la porta e le grandi sopracciglia e gli occhi verdi sparirono.
“Cavolo.” Sospirò. Guardò Francis nella sua automobile fargli segno con la mano, accanto a lui una ragazza con i capelli corti e castani.
Si ricominciava ancora una volta.










---- Angolo dell'autrice -----
Rip me. Sono passati circa 6 mesi, chiedo venia. Fra computer rotto, compiti, interrogazioni, esame di stato che si avvicina e altri problemi ho finito in ritardo il capitolo. 
Non ho molto da aggiungere, spero solo che continuerete a seguire questa storia che prima o poi giungerà ad un termine. 
Bye!

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Giugno 1958

Inghilterra

Antonio saltò nella macchina, nel posto dietro. Ancora non riusciva a credere ai suoi occhi. Guardò verso il finestrino con sguardo perso e pensò a tutte le cose non dette ad Arthur, al fatto che probabilmente non si saranno mai più rivisti, sarebbe stato difficile da accettare. Da piccoli non andavano affatto d’accordo e ancora adesso Antonio non riusciva a capire perché fossero amici, eppure Arthur gli sarebbe mancato. Forse in un momento del genere nella sua vita fu come una salvezza.
“Allora, sei pronto?” Francis disse facendo tornare Antonio sulla terra.
“Sì, vai pure.” Rispose di fretta. La ragazza si girò e gli sorrise mentre Francis mise in moto la macchina.
“Antonio, perdonami, non ho ancora avuto ancora l’occasione di presentarti la mia fidanzata.” Francis disse, guardò, dallo specchietto retrovisore centrale con gli occhiali da sole, Antonio.  La ragazza sorrise “Mi chiamo Jeanne!” Disse lei, girandosi e allungando la mano verso di lui. “Francis mi ha detto che siete amici dall’infanzia.”
“Già.” Antonio disse sorridendo e stringendo la mano della ragazza. Aveva i capelli corti, castano chiaro, mossi e gli occhi azzurri. Due orecchini di perla le brillavano sulle orecchie ed indossava una camicetta bianca con un pantalone a vita alta celeste chiaro. Sia lei, sia Francis erano sempre così ben vestiti e apparenti. Antonio aveva una semplice camicia a maniche corte infilata nel pantalone, i capelli ricci sempre in disordine, non faceva una bella figura. Anche la macchina, con i sedili rivestiti in pelle e lucidata perfettamente all’esterno, Antonio si sentiva un po’ geloso. La coppia stava chiacchierando già da un po’ ormai, mentre Antonio rimase in silenzio a ragionare, era troppo ansioso. Mancavano ancora due ore di macchina prima di arrivare in aeroporto, e non sarebbero passate così velocemente. Francis si mise a raccontare qualche aneddoto e Antonio rideva divertito a quelle storie, lo stesso fece lui. Arrivò un momento in cui nessuno sapeva più cosa dire e quindi Jeanne accese la radio.
“Ho voglia di ascoltare un po’ di musica.”
“Sono d’accordo.” Antonio disse subito.
Per raggiungere un canale che si sentisse per bene Jeanne dovette smanettare con la piccola valvola un paio di volte, poi finalmente…
“Love me tender
Love me sweet…”

Jeanne esultò “Oh, Elvis!” si girò per guardare Antonio “Ti piace?”
“Sì, certo.” Ovviamente gli piaceva “Non ascoltavo questa canzone da almeno un anno!” Sorrise.
“..Never let me go
You have made my life complete
And I love you so”

Jeanne tornò a sedersi comoda e sorrideva godendosi la canzone, Antonio guardò verso il finestrino e osservava il paesaggio scorrere e si rese conto che quella canzone gli faceva pensare a Lovino.
“All my dreams fulfilled
For my darling I love you
And I always will”

Continuava a pensare ad ogni momento, ogni lettera, la foto che aveva ancora con sé. “Stai pensando a qualcuno, Antonio?” Jeanne disse in tono gentile all’improvviso. Antonio si rese conto di star sorridendo mentre guardava il nulla. Arrossì violentemente e Jeanne rise, non voleva prenderlo in giro, era solo una domanda innocente in realtà. A prenderlo in girò ci pensò Francis prima di essere sgridato dalla fidanzata.
Mancava ancora un’ora all’aeroporto e stavano cantando tutti e tre ad alta voce Mr.Sandman. Francis e Jeanne erano molto bravi, Antonio anche se la cavava. I finestrini spalancati, le sigarette accese, con il sole di giugno che batteva sull’asfalto, le loro voci che si disperdevano nell’aria. Finalmente il tempo cominciò a passare velocemente.
Quando arrivarono all’aeroporto i capelli di Antonio erano più indomabili del solito, i boccoli di Francis invece erano rimasti intatti. Antonio rimase sbalordito da quello che vide, non aveva mai visto un aereo da così vicino, né tanto meno un aeroporto. Aspettarono nella sala d’attesa e Antonio guardò un aereo decollare, capì di avere paura di volare in quel preciso istante. Lo stomaco si tappò e la sua gamba si agitò nervosamente. “Non credo di voler prendere l’aereo.”
Jeanne vedendo il suo volto pallido cercò di calmarlo “Tranquillo, Antonio, non ti succederà nulla. Diglielo anche tu, Fr-”   Quando si voltò verso il fidanzato, notò che anche Francis non aveva una bella cera e rise di gusto, poggiò le sue mani sulle ginocchia di entrambi “Andrà tutto bene, tranquilli.”
“Certo, certo.” Francis disse mentre fissava un altro aereo decollare.
Arrivò il loro turno dopo una lunga attesa, Jeanne salutò Francis con un baciò e abbracciò Antonio, prese le chiavi della macchina e si allontanò. Sarebbe rimasta a guardare l’aereo partire.
Antonio rimase affascinato per tutto il tempo e quando si sedette al suo posto, si trovò accanto ad uno sconosciuto. Un uomo di mezza età che successivamente russò per tutta la durata del viaggio. Quando Antonio si voltò per vedere la situazione del suo amico, scoprì che quello si era addormentato sulla spalla di una donna che cercava in tutti i modi di spostarlo. Antonio si trattenne dallo scoppiare a ridere, non vedeva l’ora di raccontarlo a Francis quando sarebbero scesi.

Germania

Al termine del viaggio, Antonio ancora rideva per quello che era successo a Francis che provava a zittirlo invano. Dopo aver ripreso i bagagli si trovarono spaesati in un grande aeroporto, circondati da tedeschi che non parlavano la loro lingua.
“E ora che si fa?” Antonio chiese mentre si guardava attorno.
“Dovrebbe esserci Gilbert ad aspettarci da qualche parte.” Rispose l’altro “… Spero.”
Francis si incamminò verso l’uscita e Antonio lo seguì velocemente. “Sei sicuro di quello che stai facendo?”
“Non proprio.” Rispose un po’ spaventato.
“Cosa ha risposto Gilbert alla lettera?” Continuavano a camminare.
“Non era chiaro su questo punto.” Disse mentre si grattava la nuca. 
“FRANCIS!” Antonio esclamò.
“Tony, Tony…” Francis si voltò a guardarlo “Tranquillo, è tutto sotto controllo.”
Le persone continuavano a passare e nessuna traccia di Gilbert. Antonio non sapeva bene come descrivere i suoi sentimenti, non ci aveva mai pensato, ma… forse Gilbert non lo aveva ancora perdonato per essere sparito all’improvviso, in ogni caso non avrebbe potuto spiegarglielo. “Dannazione.” Disse sottovoce.
Francis, che lo aveva sentito, si voltò “Antonio, qualche problema?”
“Tranquillo.” Disse “Sono solo un po’ nervoso.” Provò a parlare in modo tranquillo.
Si trovavano finalmente all’uscita dell’aeroporto, cercarono e si guardarono intorno. Antonio poggiò le valigie e notò un telefono pubblico. “Francis, dammi il numero di Gilbert, c’è una cabina telefonica lì.”
“Ehm…”
“Cosa?”
“Non è stato molto chiaro neanche su questo punto.”
Antonio tornò accanto alle sue valigie “E adesso?”
“Ok, fammi ragionare…” Francis brontolò. Guardò oltre la spalla di Antonio e spalancò gli occhi. “E quello chi è?” disse a bassa voce.
“Chi?” Antonio chiese spaventato mentre guardava Francis.
“Dietro di te.” Rispose. Antonio provò a girarsi. “No, aspetta, così sembriamo troppo sospetti.”
“Che devo fare?” Antonio era ancora più spaventato ora.
“Girati, ma con calma.”
“Ok?” Antonio si girò guardando in aria, facendo finta di nulla. Poi notò un ragazzone imbarazzato con i capelli biondi tirati indietro con del gel e gli occhi azzurri, i lineamenti spigolosi, in mano un cartello con scritto “Antonio e Francis?”. Il moro si voltò e sorrise. “Quello è Ludwig!” “
L’altro spalancò gli occhi “Cosa?!” cercò di sforzarsi “Io lo ricordavo… diverso.”
“Non lo vedi da troppi anni.” Antonio rise. “Andiamo!” Presero le valigie e si avvicinarono sempre di più. Il biondo si voltò e fece un sorriso accennato.
“Ludwig!” Antonio urlò e gli corse incontro per abbracciarlo.
“Oh.. ehm…” Disse Ludwig con la voce bassa, mentre dava una pacca sulla spalla impacciata ad Antonio “Ciao.” Antonio lasciò la presa e lasciò Ludwig ricomporsi.
 Francis lo guardò “Ma tu almeno ti ricordi di me?” rise, mentre fissava il ragazzo sbalordito.
“Sì, certo.” Ludwig non sapeva bene come rispondere “Non perfettamente, sono passati 10 anni almeno.” Fece una piccola pausa e poi parlò di nuovo “Chiamo un taxi per farci portare a casa.” Si avviarono e Ludwig fece come aveva detto. Quando il taxi arrivò caricarono le valigie e salirono in auto. Francis e Antonio passarono il tempo a guardare dal finestrino la città e a scherzare con Ludwig, che sembrava ancora imbarazzato.
“Che avete fatto in questi anni?” chiese Antonio per rompere il ghiaccio.
Ludwig alzò le spalle “Nulla di particolare, tutto normale.” Poi chiese “Voi due invece?”
“Io mi sono dato al teatro e sto già progettando il mio matrimonio per l’anno prossimo.”  Francis disse eccitato. “Auguri allora!” Disse Ludwig educatamente.
Antonio sorrise “Anche io nulla di che, ho fatto vari lavori, ma quello più importante è stato quello nella libreria.” Ludwig sorrise imbarazzato, sembrava non sapesse cosa dire, Antonio trovava carino il suo essere così timido.
Dopo una mezz’oretta di macchina Ludwig ci avvertì che eravamo nelle vicinanze “Scendiamo ora allora, arriviamo a piedi.” Francis propose e io annuii. Ludwig allora parlò al taxista.
 “Du kannst hier aufhören” Disse e la macchina si accostò. “Auf wiedersehen” disse mentre scesero dalla macchina. Francis ripeté con lui con un accento tedesco fintissimo.
Con le  valigie e chiacchierando, arrivarono dopo dieci minuti circa davanti ad un palazzo. “La nostra casa è al terzo piano.” Disse Lud mentre aprì la porta.
“Oh, wow.” Francis e Antonio dissero all’unisono mentre guardavano il palazzo.
“Gilbert sarà felice di vedervi, questa mattina era molto agitato.” Lo disse abbozzando un sorriso e Francis e Antonio si guardarono, Antonio era molto nervoso, Francis solo eccitato.
Arrivarono davanti al portone verde e Ludwig suonò il campanello, dopo pochi secondi Gilbert aprì la porta. Non era cambiato di una virgola. Regalò ai suoi vecchi amici un sorriso splendente e iniziò ad urlare con la sua voce gracchiante. Ludwig lo pregò in tutti i modi di farlo zittire o sarebbero stati rimproverati dai vicini. “Venite dentro, forza!” i due entrarono. Casa di Gilbert e Ludwig era una casa modesta, un lungo corridoio con tre stanze. Il salone che era collegato all’ingresso, una cucina, una camera da letto e un bagno. Ludwig invitò Antonio e Francis a sedersi sul divano. Era un divano marrone che aveva l’aria di essere un po’ vecchio. Antonio vide un giradischi con alcuni vinili poggiati accanto. Gilbert chiese cosa volessero da bere, Antonio rispose acqua, ma si ritrovò un bicchiere di birra. “Oh, grazie?” disse quando l’albino glielo porse, ridendo. Gilbert si sedette su una poltrona lì accanto e iniziarono a chiacchierare.
“Allora, cosa avete da dirmi?” disse sorridendo.
Francis fu il primo ovviamente a parlare e iniziò a parlare di tutta la sua vita, come aveva già fatto con Antonio, ma questa volta in modo più teatrale. Nel frattempo con una mano teneva il bicchiere con l’alcool e con l’altra la sigaretta accesa. Gilbert vedendo la situazione prese il suo pacchetto di sigarette e ne accese una e poi disse “Di solito non fumo mai, per via di Ludwig, non sopporta l’odore, ma questa volta capirà, abbiamo ospiti.” Antonio ne prese una e si unì anche lui. Gilbert, come Antonio, non era un fumatore incallito, ma quando ne aveva l’occasione non se la faceva sfuggire. Francis parlò per almeno mezz’ora e fece ridere Antonio e Gilbert molte volte, poi fu il turno dell’albino. Gilbert annunciò di lavorare come cameriere in un ristorante, mentre Ludwig voleva dedicarsi alla scrittura. Non aggiunse molto, comunque Antonio sapeva già tutto, si erano visti fino a quando lui non andò via.
Poi fu il turno di Antonio di raccontare. Guardò Gilbert, e sentì lo stomaco contorcersi. Cosa si sarebbe inventato?
“Da dove posso partire?” si schiarì la gola “Quando sono andato via io… ho raggiunto la città.” E guardò nuovamente Gilbert, che abbassò lo sguardò e sospirò.  “Gilbert, mi dispiace…”
“Ehy, no, no tranquillo, ormai è passata!” Gilbert agitò le mani.
Antonio rispose subito “No, davvero…”
Francis li guardò confuso “Cosa mi sono perso?”
Gilbert e Antonio si guardarono, come se stessero decidendo a chi toccasse il compito di spiegare la situazione. Antonio decise di parlare.
“Il giorno in cui lasciai l’orfanotrofio, in realtà sarei dovuto rimanere in paese, Gilbert era riuscito a trovarmi un posto in cui stare e lavorare.” Guardò verso l’albino che sorrise amaramente “Quel giorno invece di raggiungere il paese, cambiai strada e andai verso la città.” Guardò Francis che alzò solo le spalle.
“Hai avuto un grande coraggio, sicuramente.” Antonio non si aspettava una risposta diversa da parte di Francis.
Gilbert rimase in silenzio, poi parlò “Perché?”
Antonio si morse le labbra, gli dispiaceva così tanto, non avrebbe potuto nemmeno spiegare la verità. E poi ricordare quel giorno gli faceva così male, e gli faceva così male pensare di nuovo a Lovino. Inventò quindi una scusa. “Volevo andare via e iniziare da capo, ne sentivo il bisogno. Mi dispiace non averne parlato fin da subito con te e gli altri, Gilbert.”
Gilbert sorrise e gli diede una pacca sulla spalla “Ormai è passato.” Si alzò “Se volete scusarmi.” E andò verso il bagno. Antonio sospirò, sentiva gli occhi di Francis scrutarlo e quando lo guardò, scoprì che il suo amico stava sorridendo. “Non sai dire le bugie, Toni.” Disse.
“Cosa?!” Antonio esclamò. Era così evidente?
Francis rise di gusto “Tranquillo, non mi interessa sapere il reale motivo. Forse è Gilbert che ce l’ha ancora con te.”
Antonio alzò gli occhi al cielo. Gli dispiaceva davvero essere andato via senza preavviso, ma Gilbert non poteva restare arrabbiato con lui per il resto della sua vita. Si alzò e andò verso il balcone, voleva stare qualche minuto da solo, Francis non fece nulla se non continuare a godersi la sigaretta e la bibita.

***

Per le prossime notti Francis e Antonio avrebbero dormito uno sul divano e uno su una brandina, vecchia e scricchiolante, che Ludwig aveva messo nel salotto. Dopo aver cenato (Una cena preparata esclusivamente da Gilbert), chiacchierarono un poco, ma Antonio decise di andare a dormire presto dato che si sentiva troppo stanco. Le ultime cose che sentì prima di chiudere gli occhi furono lo scricchiolio della brandina e la risata di Gilbert.

***

Vienna

Lovino e Feliciano, finalmente diplomato, passavano le giornate estive insieme, dal mattino fino alla sera ora che il fratello non aveva più impegni di nessun tipo. Avevano aspettato almeno due settimane dal diploma di Feliciano prima di parlare con sua madre del fatto che sarebbero partiti. Lovino si rendeva conto che forse ne avrebbero dovuto parlare prima, ma Feliciano non era mai pronto, e ormai era il momento.
Un pomeriggio Lovino era come al solito seduto al bancone a disegnare, mentre invece Feliciano puliva il pavimento e Roderich metteva in ordine. La campanella sulla porta suonò e Lovino, il quale non sapeva davvero come comportarsi in quelle situazioni, preso dall’imbarazzo si dimenticò di salutare. Roderich salutò al suo posto e i suoi occhi viola lo fulminarono. Ogni volta si rendeva conto di non sentirsi affatto a suo agio e forse non era così benvenuto. Elizabeta gli diede una pacca sulla spalla “Tranquillo, lo sai Roderich com’è antipatico a volte.” Disse sorridendo.
Lovino alzò gli occhi al cielo “Non comportarti come se mi conoscessi.”
Elizabeta sospirò. Il ragazzo si voltò a guardarla “Più tardi dobbiamo parlarti di una cosa.”
La donna spalancò gli occhi “Tu e Feli?”
“Solo Lovino!” Feliciano disse di fretta spaventato. Lovino lo guardò con la bocca spalancata e l’altro alzò le spalle in risposta.
“Certo, va bene. Stasera a casa me ne parlerai.” Disse lei allontanandosi per andare dal cliente da poco entrato.
Feliciano disse a bassa voce, mentre passava la scopa accanto al bancone “Scusa.” E Lovino roteò gli occhi di nuovo.
Al tramonto Feliciano e Lovino tornarono a casa prima di Elizabeta e Roderich. Vienna era colorata con colori aranciati e rosa. Godettero dell’aria fresca che si avvicinava con la sera e parlarono un po’ durante il tragitto. Spesso passavano ragazzi della loro età, con le biciclette mentre tornavano a casa magari, Feliciano quando li vedeva per qualche motivo sorrideva, oppure ammirava con meraviglia ogni angolo della città, Lovino pensò che forse era un po’ deprimente passare l’estate a lavorare nel proprio negozio di famiglia con il proprio fratello italiano appena uscito dall’orfanotrofio, si sentì in colpa per Feliciano, ma non disse nulla di tutto questo. Era davvero frustrante sentirsi una palla al piede.
“Vuoi un gelato?” Feliciano disse verso di lui all’improvviso. Ravanò nelle tasche del pantalone “Ho qualche soldo qui dentro.”
“Non cenerai più così.” Lovino disse consapevole che sarebbe successo come le ultime tre volte.
Feliciano rise e lo spinse verso il locale “Tranquillo, stavolta mangerò!”
Quando arrivarono a casa Feliciano iniziò a preparare la cena, mentre Lovino andò in camera. Si sedette sulla scrivania del fratello e rimase a pensare a quello che avrebbe potuto dire ad Elizabeta. Non doveva essere rude, quella sarebbe stata la parte più difficile. “Nessuna parolaccia, non essere sgorbutico, sii educato.” Si ripeteva a solo mentre continuava a pensare. “Cazzo!” Alla fine esclamò. Sospirò rumorosamente. Perché doveva essere sempre tutto così difficile per lui?
“Lovi, vieni a darmi una mano!” Feliciano lo chiamò dalla cucina, lo raggiunse per preparare la tavola e in quel momento tornarono Elizabeta e Roderich. Si andarono a sistemare un pochino e poi tornarono per cenare.
“Quindi… Di cosa dovevi parlarci Lovino?” Roderich chiese mentre tagliava la carne.
Lovino si strozzò con il suo boccone “Oh, sì…” si ricompose “è una cosa importante.”
Elizabeta e Roderich smisero di mangiare “Cos’è successo ragazzi?” chiese la donna, guardando i fratelli.
“Nulla, nulla.” Feliciano disse subito. “Dobbiamo solo chiedervi un favore.” Guardò il fratello in aiuto e l’altro si schiarì la gola.
“Io e Feliciano stavamo pensando… di…” Abbassò lo sguardo “Andare in Italia.”
“Però verrò a trovarvi ovviamente!” Aggiunse subito feliciano. La coppia rimase immobile e in silenzio.
Lovino alzò lo sguardo e vide Elizabeta, di fronte a lui, a bocca aperta. “Ehm…”
“Cosa?” Roderich disse subito mentre si aggiustava gli occhiali. “Perché volete andare in Italia?”
“Per la nostra famiglia, dovrebbe esserci nostro nonno paterno lì.” Lovino spiegò e si passò una mano fra i capelli. “Mi sono documentato in ogni modo possibile mentre ero in orfanotrofio.”
Roderich guardò verso sua moglie, la quale sospirò “Siete forse impazziti?” il tono di Elizabeta era molto freddo. “Santo cielo.” Esclamò.
Lovino e Feliciano si guardarono spaventati. Feliciano provò a parlare, ma venne interrotto di nuovo dalla madre. “Ne riparleremo. Ora fateci prima ragionare…” Roderich alzò gli occhi al cielo e poi guardò male Lovino, il quale si coprì il volto con la mano.
Nessuno parlò, nessuno disse una parola. Roderich si alzò e andò in camera, Elizabeta mise in ordine la cucina e poi seguì il marito, a Lovino e Feliciano non restava che andare nella loro camera. Feliciano andò alla scrivania, Lovino si lanciò sul letto. “Che facciamo se dicono di no?” Feliciano chiese.
“Andiamo comunque.”
“Lovi?!”
“Hai sentito bene.” Si mise su un fiancò e si mise a guardare oltre il vetro della finestra “Sono venuto fino qui a prenderti.”
“Ma Lovino…” Feliciano si lamentò. Lovino non gliel’avrebbe fatta vincere.
“Perché non vogliono lasciarti andare?” chiese alla fine “Non lo capisco.”
“Perché si preoccupano per me, fratello.”
“Io posso prendermi cura di te!” Lovino disse “La mamma si fidava di me, voleva che io stessi attento a te, che ti consolassi.” E gli tornarono alla mente i ricordi riguardanti la madre. I pomeriggi passati nel giardino con lei, mentre cantava. Feliciano non rispose più e si mise a disegnare.
“Cosa disegni?” chiese Lovino in tono scontroso.
Feliciano disse in tono gentile “Dei fiori.”
“Mh, immaginavo.” Lovino continuò a guardare verso la finestra. Lui poteva prendersi cura del fratello, non aveva bisogno di Elizabeta e Roderich. Chiuse gli occhi e si addormentò.

“Bella ciao, bella ciao.”

In Inghilterra le cose sarebbero andate meglio.

“E seppellire lassù in montagna.”

“Dov’è papà?”

La mamma tossiva sempre più forte.

“Oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao”

Lovino era spaventato, la mamma ora era a terra, il papà ormai non c’era più, Feliciano non smetteva di piangere.

“Seppellire lassù in montagna…”

Un portone, molto grande, il più grande che Lovino avesse mai visto. Diluviava, era notte. La mamma tossiva. Bussò alla porta.
Lovino disse mentre teneva la gonna della mamma “Mamma…” nel frattempo la sua mano e quella di Feliciano si strinsero sempre di più.


“Sotto l’ombra di un bel fior.”

“Lovino, prenditi cura di Feliciano.”

“Prenditi cura di Feliciano.”

“Lovino.”

Quando gli occhi si spalancarono Lovino aveva il fiatone e il cuore gli batteva fortissimo. Si era ricordato di quel momento, quella notte di fine Marzo, in Inghilterra. Il suo cuore non si fermava più. Si alzò in piedi e trovò Feliciano a dormire sulla scrivania, si affacciò e vide il disegno finito. Un vaso pieno di fiori gialli. Si allontanò senza svegliarlo e quando raggiunse la cucina trovò Elizabeta.
“Lovino?” Disse lei a bassa voce “Che ci fai sveglio?” La donna stava bevendo un bicchiere d’acqua.
“Io..” sbuffò “Ho fatto un brutto sogno.” Scosse la testa. Suonava davvero stupido detto da uno della sua età.
“Possiamo parlare?” la donna chiese. Lovino alzò le spalle e i due si sedettero al tavolo. “Lo sai perché io venni all’orfanotrofio, Lovino?”
“Per adottare un bambino immagino…” Disse lui, quasi in modo maleducato. Elizabeta rise, forse per imbarazzo.
“Ricordi quello che ti dissi in cortile? Che se ti avessi spiegato perché volevo adottare un bambino non avresti capito perché eri troppo piccolo?”
“Sì, lo ricordo, più o meno.” Gli tornò in mente la scena, molto sfocata.
“Ecco, Lovino, io… ” Elizabeta esitò qualche secondo “Non posso avere bambini.” Concluse.
Lovino si sentì terribilmente in colpa per quello che disse tanti anni prima a Elizabeta. La donna continuò a parlare. “Io e Roderich abbiamo desiderato per così tanto un bambino, abbiamo aspettato e aspettato, ma nulla. Quando finalmente arrivò eravamo così felici… Ma ho perso il bambino.” Lo disse mentre gli occhi diventavano più lucidi. “Ci volle un anno per convincermi ad adottare un figlio. Rod mi pregò. Quindi raggiungemmo l’orfanotrofio…” Lasciò in sospeso la storia “Per il resto sai come sono andate le cose.” E sorrise.
Lovino aprì la bocca per dire qualcosa, ma si tirò indietro. Non si aspettava nulla del genere.
“Vedi… Feliciano è stato come un raggio di sole nella nostra vita.” Elizabeta continuò a parlare “Arrivò e rese tutto felice. Con i suoi giochi, i disegni, il canto.” E iniziò ad elencare tutti i pregi di Feliciano e questo fece roteare gli occhi a Lovino. “Per questo… l’idea di vederlo partire mi fa stare male.”
Lovino si morse le labbra e guardò in basso “Andrò da solo se necessario.” Fece per alzarsi, ma Elizabeta lo interruppe. “Non ho detto questo.”
Il ragazzo tornò a guardarla negli occhi, mentre lei continuava a parlare. “Potrà venire con te, Lovino. Mancherà terribilmente sia a me, che Roderich, ma prima o poi doveva accadere. Sono contenta che tu sia con lui.” Sorrise dolcemente, e il suo sorriso riscaldò Lovino. “Devi promettermi una cosa.”
“Sì?”
“Prenditi cura di Feliciano.” Disse con una voce dolce, che nelle orecchie di Lovino somigliava a quella della madre. Trattenne le lacrime e si alzò in piedi. Elizabeta prese un sorso di acqua dal suo bicchiere.
“Torno a dormire, domani darò la notizia a Feli.” La donna lo interruppe nuovamente.
“Mi sarebbe piaciuto avere due figli.” Lovino si voltò e gli occhi iniziarono a fargli male perché non riusciva più a trattenere le lacrime. “Perché non sei mai venuto con noi?” Lo disse in tono triste questa volta.
“Perché… io… Non volevo rimpiazzare la mia famiglia.” La voce si spezzò alla fine. Si rendeva conto che se forse avesse seguito suo fratello fin dall’inizio le cose sarebbero state diverse per lui. “Buonanotte.” E quando raggiunse la camera, chiuse la porta e scoppiò in lacrime. Scoppiò in un pianto liberatorio, e alla sua mente tornarono tante di quelle cose, alla madre, al padre, ad Antonio, e lì pianse ancora più forte, pensò alla signorina, ad Elizabeta e poi guardò Feliciano, sulla scrivania a dormire.
“Prenditi cura di Feliciano.” Disse ad alta voce, e rise della situazione. “Ma che diavolo mi prende?” e si lanciò di nuovo sul letto.

***

Germania

Erano passati alcuni giorni da quando Francis e Antonio avevano raggiunto la casa di Gilbert. I due erano già stati accompagnati a visitare la città. Gilbert a volte li lasciava a casa da soli per andare a lavoro, mentre Ludwig restava a casa per lavorare al suo libro.
Era l’alba. Antonio, ancora in pigiama, andò sul balcone per ammirare lo spettacolo. Lì trovò anche Ludwig, che leggeva un libro. “Ehy Lud, anche tu non hai dormito stanotte?” gli chiese mentre chiudeva la finestra, per non svegliare Francis.
“Io in realtà mi sveglio a quest’ora.” Disse tranquillamente e sfogliò una pagina.
“Ah..” Antonio disse semplicemente. C’era da aspettarselo da un tipo come Ludwig. Abbassò lo sguardo e lesse “Feliciano” su un pezzo di carta. Quello che Ludwig aveva in mano non era un libro, ma una specie di taccuino. “Aspetta un momento…” Antonio mormorò e Ludwig chiuse di fretta il quaderno.
“Cosa?” Chiese arrossendo.
“TU SEI..” Poi abbassò la voce ricordandosi di Francis nella stanza “Sei in contatto con Feliciano?”
“Diciamo di sì.” Disse alzando le spalle.
“Ma è fantastico!” Antonio disse entusiasta.
Ludwig lo guardò in modo strano “Antonio… posso fidarmi di te?”
Antonio sbatté le palpebre velocemente “Ma certo!”
Il tedesco guardò in giro, poi di nuovo Antonio “Io e Feliciano ci siamo incontrati…” Antonio aprì la bocca e sorrise, ma Ludwig lo zittì “Non ti spiegherò tutti i particolari.” Disse in modo diretto. “Però ci siamo incontrati, a Vienna e…” poi smise di parlare. “No, questo non posso dirtelo. Arrossì un pochino e Antonio non capiva perché si stesse comportando in modo strano, ma rimase in silenzio ad ascoltare. “Diciamo che nell’ultima lettera che mi ha mandato… Mi ha detto di essere con Lovino.”
Il cuore di Antonio iniziò a battere all’impazzata “Lovino è con Feliciano? A Vienna?”
“S-sì, a quanto pare.” Si aggiustò i capelli biondi, che non erano acconciati e quindi aveva la frangetta davanti la fronte. “E…”
“Aspetta, aspetta.” Antonio lo zittì “Come sta Lovi? Che ha detto di lui? Insomma intendo… voglio sapere i particolari!” Iniziò a fare domande a raffica e sentì lo stomaco agitarsi sempre di più.
“Antonio, aspetta un secondo, non è questa la cosa importante.” Ludwig sospirò.
Antonio arrossì e rise “No, no, certo, non è questa la parte importante.” Invece lo era eccome, voleva sapere tutto di Lovino.
“Mi ha detto che raggiungeranno l’Italia insieme. E ha chiesto se voglio raggiungerlo.” Ludwig continuò a spiegare, e inarcò un sopracciglio quando vide che Antonio ormai sorrideva senza rendersene conto. “Ti senti bene…?”
“Sì, ma ascolta, Lovino andrà con lui in Italia?”
“Certo.” Alzò le spalle e poi spalancò gli occhi quando Antonio si abbassò così da ritrovarsi faccia a faccia. “Stanno andando dal nonno.” Ludwig disse quasi spaventato.
Antonio gli afferrò le spalle “Lud, devi andare assolutamente!”
“Non so Gilbert come possa prenderla…” Cercò di spiegare.
“Verrò io con te.” Antonio esclamò. Ludwig sorrise lievemente.
“Grazie, Antonio…” Il ragazzo si alzò in piedi “Ne parleremo a Gilbert appena possibile. Ma potremo raggiungerli sono quando avremo loro notizie.”
Antonio sorrise “Sì.” Non sarebbe riuscito a spiegare in parole quello che provava, avrebbe rivisto Lovino sicuramente, tutto grazie a Ludwig, grazie a Feliciano, a Gilbert, a Francis e ad Arthur. Non poteva essere più grato di quello che gli era capitato.

***

Vienna

“Gli hai detto tutto?” Lovino chiese a suo fratello mentre mangiavano il solito gelato, lungo la solita strada.
Feliciano si chiuse timidamente nelle spalle “Veeh, io…”
“Feliciano!” esclamò l’altro. “Dovevi dirmelo.”
Fratello, mi dispiace. Ma ero così felice e io e Ludwig volevamo rivederci così tanto. Quando venne a trovarmi ci siamo promessi…”
Lovino alzò gli occhi al cielo. “Ti prego, risparmiati le smancerie!”
Feliciano si mise il broncio “Stavo solo dicendo che ci siamo promessi di incontrarsi, non poteva restare a Vienna con me!”
“Fammi capire… è venuto a Vienna solo per incontrarti, ma non poteva restare?”
“Come poteva?” Rispose con un’altra domanda “Nessuno può sapere di questa storia!”
Lovino si mise una mano tra le sopracciglia “Mi sta dicendo che una volta arrivati in Italia dovremo avvertire Ludwig per farlo arrivare dalla Germania in modo da poter stare con te senza che Elizabeta, Roderich e Gilbert lo sappiano?” Guardò suo fratello mentre si gustava il suo gelato.
“Sì, esatto.” Rispose semplicemente.
Lovino scoppiò, stranamente, a ridere. “Che cazzo… Ok, va bene, credo?”
Feliciano gli saltò al collo, rischiando di far cadere il gelato “Grazie, Lovi!” E poi continuò a camminare allegramente. Lovino scosse la testa e si rese conto di quanto il fratello fosse fortunato.
Lui invece Antonio non lo avrebbe più rivisto.







----Angolo dell'autrice----
Mi sono fatta aspettare di nuovo. Che dire?
Esami finiti, esate appena cominciate.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Luglio, 1958

Vienna

Lovino passò la notte insonne. Per circa due ore continuò a rigirarsi nel suo letto, fino a quando non si stufò e non si alzò in piedi per andare a fumare vicino la finestra. Appuntò qualcosa sul suo taccuino, era troppo ansioso, doveva scrivere come si sentiva. Lovino odiava il suo modo di scrivere, odiava la sua calligrafia e anche i suoi disegni, ogni attività diventava frustrante e questo lo rendeva ancora più ansioso e nervoso. La notte era fresca e silenziosa. Vienna in realtà non gli dispiaceva affatto, ma l’indomani sarebbero partiti. Guardò l’orologio “Le 3” mormorò. Sbuffò e accese un’altra sigaretta. Si allontanò dalla finestra, tanto l’odore di fumo sarebbe sparito prima o poi, e vagò per la stanza, immaginò il loro incontro con il nonno. Immaginò, mentre guardava il volto tranquillo del fratello mentre dormiva, che probabilmente avrebbe preferito Feliciano a lui. Dopotutto Lovino non aveva nulla di speciale. Feliciano era bello, sapeva cantare, sapeva disegnare, era bravo nella scrittura e con le parole, aveva una calligrafia dolce e sapeva anche ballare. Lovino si guardò per qualche secondo allo specchio nella camera. Lui non si trovava attraente, e non aveva una voce dolce, aveva un carattere terribile… all’improvviso gli tornò in mente quando Antonio gli disse “Ti amo”, a quando si baciarono, e gli tornarono in mente i loro abbracci e le gentilezze di Antonio. Arrossì e si rese conto subito che stava sorridendo, e poi realizzò che aveva rovinato anche quello. Scosse la testa e tornò a guardare verso lo specchio. Come poteva qualcuno essersi innamorato di lui?
Tornò a letto, provò a dormire, ma ormai Antonio continuava a tornargli in mente. La sua voce era rimasta impressa nella sua memoria e si ricordava il modo chiaro in cui gli disse “Ti amo” ogni lettera era scandita. Pensava a quando Antonio gli chiese se era ricambiato, Lovino arrossì e si coprì le mani con la faccia, voleva piangere. Aveva mandato via Antonio quando avrebbe potuto dirgli la verità. Si tolse le mani dal viso, guardò la finestra e vide l’alba. Tornò verso l’orologio “Le 5”, era ora di andare.
“Feliciano!” Strattonò il fratello “Feliciano, alzati!” Lo spinse più forte.
Il fratello sbadigliò “Cosa?”
“Muoviti, sono le 5, fra un’ora abbiamo il treno.” Lovino andò fuori e lasciò la porta aperta. Feliciano continuò a lamentarsi fino a quando non si alzò e raggiunse il fratello per fare colazione. Lovino prendeva caffè amaro, Feliciano preferiva il latte dolce. Andarono a vestirsi e nel frattempo Elizabeta e Roderich si svegliarono, dovevano accompagnare i due fratelli in stazione. Entrambi avevano un’aria spenta, Lovino non riusciva a guardarli in faccia. Dopotutto era colpa sua se Feliciano stava andando via.

Una volta raggiunta la stazione, erano le 5:50. Lovino e Feliciano andarono sul binario, seguiti dai genitori del secondo. Elizabeta continuava a ripetere le raccomandazioni, Roderich ripeteva tutto quello da cui bisogna stare attenti. Quando sentirono l’annuncio, si guardarono tutti in silenzio. Elizabeta andò verso Feliciano e lo strinse a sé, lui ricambiò l’abbraccio. Iniziarono a parlare in austriaco fra di loro, Lovino capì qualche parola tra cui “ti voglio bene” “anche io”. Roderich nel frattempo si avvicinò a Lovino. “In caso ci fossero problemi, potrete tornare entrambi a casa nostra.”
Lovino inarcò un sopracciglio “Intendi…”
“In caso di evenienza puoi venire a vivere con noi, Lovino.” Disse aggiustandosi gli occhiali che gli cadevano sul naso. Lovino arrossì e annuì.
Si sentì da lontano il rumore del treno che si avvicinava. Roderich si affrettò a salutare il figlio, mentre Elizabeta rimase ad osservare Lovino.
“Posso abbracciarti?” chiese la donna allungando un braccio. Il ragazzo ci pensò qualche secondo, poi si avvicinò. Elizabeta gli massaggiò dolcemente la schiena mentre lo teneva stretto. Non dissero nulla. Quando il treno arrivò, Lovino si voltò e borbottò “Grazie.” E fece un cenno con la mano. Feliciano tirò su con il naso e salutò i genitori. Quando salirono sul treno e presero posto, Feliciano continuava ad agitare la mano, mentre Lovino continuò a fissare Elizabeta che gli sorrise. Non avrebbe mai ammesso a se stesso di essersi affezionato.

Quando iniziarono il viaggio Feliciano agitava la gamba, doveva essere nervoso. Dopo un po’ prese un quaderno e iniziò a disegnare qualcosa, Lovino preferì osservare il paesaggio che scorreva velocemente.
“Lovi, una volta arrivati a Milano a che ora abbiamo l'altro treno?” chiese Feliciano, la sua voce era quasi coperta dal rumore del treno.
“Alle quattro.” Rispose sbuffando “Te l’ho ripetuto milioni di volte.”
“Oh sì, sì, giusto.” Rise.
Piano piano gli occhi di Lovino si chiusero e il paesaggio divenne nero.


“Non potete partire.” La voce di un uomo. “Vi posso nascondere io.”
“No, sarebbe troppo pericoloso per i bambini.” La mamma prese le mani di Lovino e Feliciano. Lovino stava guardando suo fratello, nascosto dalla gonna grigia della madre. L’uomo fece un passo, Lovino vide il piede muoversi. “Roma, io e tuo figlio ne abbiamo già parlato. Andrò in Inghilterra dalla mia famiglia.”
“Ma non hai notizie da parte loro da un anno ormai.” L’uomo andò verso la porta “Voglio proteggere i bambini.”
“Anche io, Roma. E questo è l’unico modo per farlo.” La voce della mamma era così dura solo poche volte. “Vai prima che qualcuno possa vederti qui, ci sono tedeschi ovunque in questi giorni.” 


Lovino riaprì gli occhi e il paesaggio si muoveva veloce. Chi aveva sognato? Il nonno? Chi era Roma?
“Lovi?” Feliciano gli poggiò una mano sulla gamba “Tutto bene? Sei pallido.”
“Sì…” Era scosso, come ogni volta che faceva un sogno come quello. “Quanto ho dormito?” si strizzò gli occhi che bruciavano.
“Credo 3 ore circa.” Poi si mise a ridere “Dovevi vedere che facce hai fatto!”. Lovino incrociò le braccia e alzò gli occhi al cielo. Mancavano ancora 6 ore prima di raggiungere Milano, e altre 3 prima di raggiungere il paese del nonno.
In quelle ore Feliciano iniziò a dormire, e Lovino nel frattempo si mise a disegnare, quando Feliciano si svegliò giocarono a carte, mangiarono quello che Elizabeta gli aveva preparato per il pranzo e ormai mancavano due ore prima di raggiungere Milano. La carrozza in cui si trovavano era quasi del tutto vuota, c’era solo una famiglia con quattro bambini. Feliciano all’improvviso iniziò a parlare. “Vuoi sapere qualcosa su me e Ludwig?” rise “Mi sto annoiando, mancano ancora due ore.”
Lovino arrossì, non voleva assolutamente sentire le storie che riguardavano Ludwig e il fratello. Lo sguardo di Feliciano era speranzoso, voleva davvero parlarne, i suoi occhi nocciola brillavano alla luce che entrava dal finestrino del treno. Lovino deglutì “Feli…”
“Te ne parlerò comunque.” Disse “Non parliamo mai di queste cose, i ragazzi della nostra età parlano sempre delle loro relazioni.”
Lovino arrossì ancora di più, non gli piacevano quei tipo di argomenti.
“Ci siamo dati il primo bacio quando è venuto a trovarmi a Vienna.” Disse contento, cercando di non farsi sentire dalla famiglia nel treno “Durante la notte, mentre tutti dormivano.” E i suoi occhi brillarono ancora di più. “Ci siamo alzati contemporaneamente e ci siamo ritrovati in salotto, è stato molto bello, parlavamo a bassa voce per non farci sentire e io sentivo il suo respiro.” Feliciano iniziò a descrivere il bacio fra lui e Ludwig e Lovino fece delle smorfie. La sua immaginazione lo portò a pensare cose che non avrebbe mai voluto nemmeno immaginare. “Siamo andati avanti per un po’. Poi all’improvviso abbiamo sentito un rumore nella stanza di mamma e papà, spaventati abbiamo smesso. Stavo provando una tale paura, temevo che il cuore esplodesse da un momento all’altro. Decidemmo di tornare a dormire e Ludwig mi ha dato la buonanotte con un bacio sulla guancia.” Poi prese a respirare, aveva parlato di fretta preso dall’emozione. Il volto di Lovino era completamente rosso. “È troppo imbarazzante!” affermò, mentre agitava le mani. Feliciano rise.
“Tu hai mai baciato qualcuno Lovi?” chiese, rendendo il fratello ancora più rosso. “Quanti anni avevi quando è successo?”
Lovino ricordò di quello successo con Antonio “Mai fatta una cosa del genere!” e si accigliò. “Basta, non voglio più parlarne!” continuò.
Feliciano sorrise, capiva semore quando il fratello mentiva, e Lovino tornò ad osservare fuori dal finestrino. Alberi, campi, strade, qualsiasi cosa diventava un susseguirsi di macchie colorate che correvano.

Milano

Scesi a Milano, Lovino e Feliciano si ritrovarono in una stazione enorme. Prima di prendere il treno dovevano aspettare mezz’ora, quindi si recarono direttamente al binario, senza perdere tempo, per paura di potersi perdere. Sentire le persone parlare in italiano gli sembrò familiare, ma strano. L’accento che sentì era diverso da quello che usavano i suoi genitori. Lovino però si rese conto di un’altra cosa. “Feliciano, tu capisci quello che dicono?” il fratello scosse la testa. “Cazzo.” Disse fra i denti. Non ricordavano tutte quelle parole in italiano, non riuscivano a capire tutto quello che dicevano. Le lettere che si scrivevano erano in italiano, ma Lovino aveva passato troppi anni a parlare inglese, e Feliciano troppi anni a parlare inglese e austriaco. Rimase ad origliare le conversazione di alcune persone cercando di capire quali parole ricordava.
Il treno iniziò a fischiare e si fermò. Lovino e Feliciano salirono con le loro enormi valigie e si sedettero in una carrozza affollata rispetto alla precedente. Due famiglie, una coppia di vecchietti, un gruppo di ragazzi, poi altre tre persone che sembravano essere da sole. Altre 3 ore di viaggio. “Che facciamo adesso?” Chiese Feliciano scuotendo la gamba del fratello. Lovino sbadigliò, si sentiva gli occhi pesanti. “Ho sonno.” Disse semplicemente e Feliciano capì. Sperò di non sognare nulla questa volta, altrimenti si sarebbe svegliato di nuovo spaventato e con il mal di testa.

Baciarsi? Che cosa assurda. Oltretutto Lovino lo trovava disgustoso. Poggiare le labbra su quelle dell’altro… non si sarebbero mischiati nessuna malattia?
Baciare Antonio? Solo l’idea gli faceva venire la pelle d’oca. Gli occhi verde scuro di Antonio lo osservarono, era triste, lo stava pregando, voleva farlo davvero.
“Oooh, e va bene!” non poteva dirgli di no “Deve restare un segreto, ok?” La paura di quello che sarebbe potuto succedere forse riuscì a nasconderla con il tono duro della sua voce. 
“Perché?”
Stupido Antonio.
“Perché siamo due maschi! I maschi non si baciano fra di loro.”
“Bene, allora saremo i primi!” rise e Lovino si imbarazzò. Sarebbero stati i primi? Proprio loro due?
Antonio non sapeva come si facesse, nemmeno Lovino.
“Chiudi gli occhi.” E li strizzò il più forte possibile, si sarebbe vergognato troppo a vedere Antonio. Sentì le labbra dell’altro poggiarsi per pochissimi secondi. Antonio stava premendo moltissimo, forse non era quello il modo giusto per farlo. Però a Lovino vennero i brividi e quando smisero avrebbe voluto rifarlo.
Se la signorina li avesse scoperti forse si sarebbe arrabbiata però.

“Ti amo.”

“Lo ha detto davvero?” pensava

“Da diverso tempo ormai.”

“Perché io?” pensava ancora


Lovino stava per piangere. Antonio lo baciò. Non era come quando avevano 10 e 13 anni. Questa volta era diverso. Le labbra di Antonio erano calde, a Lovino piacque e gli vennero di nuovo i brividi. Non voleva spingerlo via. Non voleva che Antonio andasse via. Le mani si mossero da sole verso il collo dell’altro e sentì i ricciolini alla fine del collo fra le sue dita.

No.

Lo spinse via.

Non lo avrebbe ammesso, non lo avrebbe accettato.

 “Non voglio vederti mai più.”

Quando si svegliò il suo mal di testa era peggiore del solito. Era la prima volta che sognava una cosa del genere. Sembrava che i ricordi riguardanti Antonio lo stessero tormentando in quei giorni.
“Feliciano.” Disse con la voce bassa. Il fratello lo sentì e si avvicinò per sentirlo. “Quanto manca?”
Un’ora. Stavo per svegliarti.” Rispose. Lovino si ricompose. “Ti senti bene?” chiese Feliciano preoccupato.
“Non molto.” La verità. Ma ora non era il momento di pensare ad Antonio o a nessun altro. Stavano per raggiungere casa del nonno, era quella l’unica cosa che contava.
Il treno si fermò, e Lovino iniziò a tremare. La paura stava prevalendo su tutte le altre emozioni. Lovino aveva il terrore di aver sbagliato tutto, e di aver coinvolto anche Feliciano in tutto questo. Dalla stazione, minuscola, vecchia e con solo due binari, iniziarono ad incamminarsi. Sembrava un paese non molto diverso da quello dove si trovava l’orfanotrofio in Inghilterra, piccolo, antico e noioso. Si guardarono intorno. “Dove andiamo Lovino?”
“In paese.” Disse convinto “Qualcuno saprà dove si trova.” Erano le sette di sera e i loro stomaci iniziavano a lamentarsi.
“Sei sicuro di quello che stiamo facendo?” Feliciano chiese spaventato alle spalle del fratello, che non si voltava e non rispondeva. Lovino non era sicuro, aveva paura di aver sbagliato tutto. Anche se non avessero sbagliato, non era sicuro che il nonno li avrebbe accolti in casa, ma non poteva mostrarsi spaventato a Feliciano altrimenti avrebbe iniziato a lamentarsi ancora di più. Camminarono ancora trascinando i bagagli. Gli uomini, gli anziati, seduti al bar si distraevano per qualche secondo dalle carte per osservarli. Passarono dei bambini in bicicletta e altri che correvano verso casa. Dai balconi qualche donna ritirava i panni e si fermava ad osservare Lovino e Feliciano.
“Che hanno da guardare?” Lovino disse innervosito, mentre si sentiva ancora più osservato.
“Non lo so, mi stanno spaventando.” Rispose l’altro “Lovino, io ho fame.” Si lamentò nel momento in cui il suo stomaco iniziò a brontolare.
“Anche io, dannazione, smettila di lamentarti!” l’odore della cena proveniva dalle case intorno. Loro due passavano facendo un gran rumore con le valigie che sbattevano sulla pietra della vecchia strada e questo faceva affacciare ancora più persone. Stanchi e affamati si ritrovarono davanti ad una pasticceria.
“Ti prego, fratello, entriamo. Possiamo chiedere informazioni.” Feliciano disse con l’acquolina in bocca.
Lovino sbuffò “Va bene, andiamo.” Non aveva molta voglia di mangiare, per l’ansia, al contrario del fratello.
“Buonasera!” Lovino disse in italiano, imbarazzato. Aveva sempre parlato in una lingua diversa dall’inglese solo con il fratello. La pasticceria era arredata in modo squisito, pareti rosa e viola, scaffali di legno pieni di pane, taralli e dolci.
“Salve.” Una ragazza con i capelli a caschetto biondo scuro, un cerchietto rosso, e gli occhi verdi li salutò. Si aggiustò il grembiule sulla gonna e andò dietro il bancone. Era molto giovane, probabilmente aveva la loro stessa età. “Che cosa vi serve?” chiese. Lovino iniziò a parlare “Noi…” ma Feliciano lo interruppe “Questo!” indicò un dolcetto ripieno di crema, la ragazza sorrise e lo mise in un sacchetto. Poi guardò verso Lovino, che imbarazzano scosse la testa. Mentre Feliciano pagava, il fratello iniziò a parlare.
Scusa, conosci… Vargas?” chiese titubante, il suo accento doveva suonare molto strano. La ragazza uscì dal bancone. “Intendi il vecchio Roma?”
Roma,
come nel suo sogno. Lovino annuì “Sì… forse.”
Lei rise “Perché lo cercate?”
A Lovino ci volle un po’ per pensare a cosa dire “Siamo i nipoti.” Non era molto sicuro di quello che stava dicendo. Lei gli mostrò tutti i denti con un sorriso. “Io sono Emma.” Allungò una mano per presentarsi.
“Lovino… Vargas.” Strinse la mano e guardava in basso.
“Feliciano Vargas!” Feliciano lo disse con la bocca piena di crema e fu lui ad allungare la mano verso Emma, che stava ridendo.
“La casa?” Chiese Lovino, sperando che Emma capisse. Lei li portò fuori dalla pasticceria.
“Camminate verso la campagna, dista a 15 minuti da qui più o meno.” Lovino e Feliciano macinarono quello che gli era stato detto. Il negozio si trovava in effetti distante dal centro del paese e avrebbero raggiunto la campagna in poco tempo.
“Grazie!” dissero insieme e si avviarono.
“Ciao, ciao!” lei disse in modo carino agitando la mano.
Si avviarono e in poco si trovarono davanti una distesa di campi, le case erano sparse qua e là, alcune proprio all’interno dei campi. La distesa di alberi con le foglie verdi e estive lasciarono Feliciano a bocca aperta, a Vienna non c’era nulla del genere. Trovarono una casa in mattoni, sembrava molto vecchia, circondata alla campagna. Attorno alla casa si alzavano albicocchi e peschi e i frutti maturi erano caduti dai rami creando un tappetto a terra. Lovino si avvicinò per controllare la cassetta delle lettere, riuscì a leggere il nome “Vargas”.
“Feliciano.” Chiamò a voce bassa. Il fratello si avvicinò, Lovino stava tremando. “È questa.” Aggiunse. Feliciano gli poggiò una mano su una spalla, si guardarono negli occhi, entrambi erano pieni di preoccupazione. “Lovino, cosa facciamo?” la sua voce era agitata.
“Andiamo a bussare alla porta…” Non era molto convinto. Il cuore stava battendo più forte che mai. Feliciano lo prese per mano e annuì. Si avviarono con calma verso la porta. Lovino avvicinò la mano e bussò due volte. Sentirono un rumore provenire dall’interno della casa. La maniglia fece rumore e videro davanti a loro la figura di un uomo.
“Chi siete voi?” Chiese lui. Un uomo con i capelli quasi tutti bianchi, ma si vedeva ancora il castano color cioccolato, aveva una barbetta incolta sotto il mento e poco più sopra. Lovino balbettò, non sapendo cosa dire, Feliciano strinse la sua mano ancora di più. L’uomo li osservò a fondo. “Avete capito cosa ho detto?”  
“S-sì.”
Lovino disse a bassa voce.
“Perfetto, chi siete?” Chiese di nuovo, sembrava preoccupato. Lovino non riusciva a parlare, l’uomo assomigliava a suo padre.
“Lovino e Feliciano… Vargas.” Dissero insieme i due fratelli. L’uomo spalancò gli occhi, barcollò all’indietro e si coprì la bocca con la mano.
“Cosa?” fu l’unica cosa che riuscì a dire. Un silenzio imbarazzante crollò sui tre. Dall’interno della casa proveniva un odore di carne e lo stomaco di Lovino iniziò a farsi sentire, insieme alla stanchezza a causa del viaggio. L’uomo continuò a fissarli a lungo e i ragazzi non sapevano cosa fare.
“Venite.” Disse all’improvviso e aprì di più la porta “Entrate.” Era visibilmente scosso. Lovino e Feliciano fecero come gli era stato detto. Quando entrarono l’odore della cena si fece più forte. La casa era polverosa e spoglia. Qualche foto in bianco e nero esposta, una che ritraeva il nonno da giovane, con una donna e un bambino in braccio. Il salotto e la cucina erano un unico spazio, a dividere la cucina c’era solo una penisola e c’era un ingresso in cucina. I due si avvicinarono titubanti al lui, che poggiò le sue enormi braccia sulle spalle di entrambi e li avvicinò a sé. Li stava abbracciando, era molto più alto di loro che gli arrivavano al petto, ed era molto muscoloso per l’età che aveva. Feliciano ricambiò ovviamente l’abbraccio, Lovino preferì non farlo. Il nonno li fece accomodare al tavolo di legno, apparecchiato per la cena, e lui si sedette di fronte a loro. Nel poco tempo in cui lo videro camminare, Lovino e Feliciano si accorsero che zoppicava.
“Io sono Julius Vargas.” Disse, questa volta parlò in inglese, Lovino iniziò a domandarsi come facesse a conoscerlo, ma non fece domande. “Tutti però mi chiamano Roma.” aveva le mani incrociate e poggiate sul tavolo, le stava fissando intensamente. Lovino ripensò al suo sogno.
“Perché?” Feliciano, come al solito, si soffermò sul particolare più stupido, ma questo fece ridere Roma.
“Feli, non è il momento!” Lovino diede un colpo con il piede sulla gamba di Feliciano e il nonno rise ancora di più.
“Non siete cambiati di molto, per quelle poche volte che vi ho visto.” L’ultima parte la disse con un po’ di amarezza. “Vostra madre?” la sua domanda fece sussultare Lovino. Lui… non lo sapeva?
Feliciano abbassò lo sguardo.
“Lei è…” Lovino deglutì “…Morta” Il volto del nonno si fece scuro.
“Ragazzi… Ci sono un sacco di cose di cui dobbiamo parlare.” Disse in modo cupo.

***

Germania

Erano le sette di sera, Francis si era offerto di preparare, nel frattempo Gilbert era fuori a fare delle commissioni, ma sarebbe tornato a breve. Ludwig era sul tavolo del salone a scrivere il suo libro e Antonio, steso sul divano, si rese conto che il rumore dei tasti che battevano lo rilassava profondamente. Quando il rumore si fermò, Antonio si sedette sul divano e osservò Ludwig che leggeva e rileggeva mentre si massaggiava le tempie. Aveva i capelli tirati all’indietro come al solito, ma spettinati rispetto a come li aveva sempre, sembrava nervoso.
“Lud.” Lo chiamò.
“Sì?” Ludwig si schiarì la voce e si portò indietro i ciuffi che gli erano caduti sugli occhi.
Antonio guardò la pila di fogli staccati e pieni di scritte accanto a lui “Posso leggere come sta venendo il tuo libro?”
Le guance di Ludwig si colorarono di rosa, che risaltava anche di più sulla sua pelle pallida. “No! No!” agitò una mano “È ancora una bozza, non è finito, non mi piace molto. Forse non riuscirò mai a scrivere qualcosa di qualità!”
“Ehy, non dire così, fammi leggere, giudicherò io.”
Ludwig si morse un labbro “Quanti libri hai letto?” poi aggiunse “Non voglio essere scortese!”
Antonio si sentì in imbarazzo, aveva lavorato nella libreria con Arthur, ma non aveva mai letto un libro in realtà. L’ultima volta che lo aveva fatto fu quando la signorina Braginskaya portò da casa sua “Winnie The Pooh” che lei aveva letto quando aveva 6 anni. “Alcuni.” Mentì.
Ludwig inarcò un sopracciglio “Se proprio ci tieni.” Indicò i fogli ad Antonio “Sono i primi 5 capitoli.”
Antonio li prese e iniziò a sfogliarli “Hai scritto davvero tanto!”
Ludwig rise “Sono solo 50 pagine, ne mancano ancora molte.”
“Ah.” Antonio abbassò lo sguardo.
Ludwig sospirò e tornò a scrivere “Dimmi quando hai finito.”
In quel momento sentirono le chiavi girare nella serratura e Gilbert entro in casa. Francis chiamò per la cena, e andarono a mangiare mentre bevevano birra e scherzavano, anche se Ludwig sembrava ancora pensieroso per il libro. Francis raccontò alcune storie, raccontò gli anni del liceo, di quando aveva conosciuto Jeanne e a volte nominava anche Arthur. Antonio invece parlò di quando lui e Arthur vivevano insieme e raccontò qualcosa di divertente successo in libreria o a casa Kirkland, mentre parlava, Francis lo osservava come se aveva qualcosa da dirgli.

***

Italia

Roma avvicinò un piatto di carne ai nipoti, Feliciano iniziò a mangiare, Lovino rifiutò di nuovo. Il nonno si schiarì la gola e si decise a parlare.
“Inizio prima io allora…” e rise “Da dove cominciare?”
“Dal principio.” Disse Lovino in tono sicuro, senza mai staccargli gli occhi di dosso. Il nome sbattè le palpebre rapidamente.
“Bene.” Tossì “Vostro padre nacque nel 1919, e di lì a qualche anno, mia moglie venne a mancare. Nel 1925, per essere precisi. Mi ritrovai con un bambino di 6 anni a cui badare, un negozio da portare avanti e da solo. Lo mandavo spesso dalle mie sorelle per tenerlo a bada, anche perché non fu facile affrontare la morte di vostra nonna.” Lovino continuava a fissarlo e ad ascoltare ogni minima parola. “Penso non vi interessi tutto, quindi parlerò delle parti importanti. Io e mio figlio avevamo un rapporto terribile, lui faceva tutto il contrario di quello che gli veniva detto, non voleva lavorare, per quanto potessi… era impossibile che lui mi ascoltasse.” Per qualche motivo questo lo fece sorridere.
“E quando si sono conosciuti lui e la mamma?” Feliciano chiese con la bocca piena di pane.
Roma rispose “Fammi pensare… Aveva 19 anni quindi. Sì, era il 1938. Si conobbero la sera di una festa di paese, durante l’estate. Vostra madre era qui per una vacanza dall’Inghilterra con la sua famiglia. Lei aveva la nonna di origine italiana, ma ella si trasferì in Inghilterra da piccola, fu lei ad insegnare l’italiano a vostra madre.”
Lovino iniziò ad immaginare a come potessero essere i suoi genitori a quell’età. Avevano più o meno l’età che lui e Feliciano avevano ora, si domandò se sarebbero andati d’accordo se fossero nati nello stesso periodo.
“Comunque, quando la vacanza finì, lei non volle tornare più a casa, ma decise di restare qui con vostro padre e sposarsi. Per un primo periodo restarono qui, ma vostro padre non mi voleva attorno e quindi si costruirono una casa e si trasferirono.” Lovino la ricordava la loro casa. “L’anno dopo siete nati voi.” Lovino si voltò verso Feliciano che stava sorridendo, e aveva anche finito di mangiare.
“Dal 1939, come sapete la guerra stava divampando. Né io, né vostro padre partimmo.” Si bagnò le labbra “Io a causa della mia gamba e lui fu rifiutato, ma comunque non sarebbe mai partito. Vostro padre era contro la guerra e Mussolini. State attenti, questo è molto importante.”
“Era un partigiano.” Lovino disse, scandendo ogni lettera. Il nonno fece un ghigno.
“Sì, esatto. Durante tutti quegli anni veniva a trovarmi ogni tanto, due volte portò anche voi, ma finivamo con il litigare ogni volta.”
“Perché?” Feliciano parlò.
“Perché io non volevo che facesse quello per l’Italia.” Spostò il suo sguardo verso la finestra. “Avevo già perso mia moglie, non potevo… non potevo perdere anche il mio unico figlio.” Socchiuse gli occhi, e le rughe aumentarono “Vostra madre, lei si impegnava con tutte le sue forze per nasconderlo, anche se era così malata.” Si voltò di nuovo a guardarli “E voi due eravate in pericolo. Quando la situazione si fece complicata e ormai i tedeschi avevano quasi scoperto tutto, iniziarono le fucilazioni.” Lovino pensò ad un suo sogno, una volta si ricordò di aver sentito uno sparo. “Vostra madre decise di partire per l’Inghilterra, non sentiva i suoi familiari da troppo tempo, io pensavo fossero morti, ma lei volle andare lo stesso.” Poi si fermò, fece una pausa. “Nel 1944, ci fu una fucilazione in paese, sentii gli spari fino qui. Vennero a chiamarmi, mi portarono in piazza…” si coprì il volto con una mano, quando la tolse trovò la faccia di Lovino “Tu ci assomigli tantissimo.” Sorrise, ma Lovino riuscì a vedere che i suoi occhi erano lucidi. “Mandai una lettera a vostra madre, poi non so più nulla.”
Lovino e Feliciano si guardarono. Ricordavano il giorno in cui la loro mamma venne a conoscenza della notizia. La sua malattia si mischiò alla depressione, si rifiutava di alzarsi dal letto, di mangiare, e dal quel momento non la videro più.
“In Inghilterra non c’era nessuno, i nostri nonni erano morti, per i bombardamenti.” Era Lovino che parlava, mentre si spremeva le meningi per ricordare tutto “Io ricordo come trovammo la casa… ma ricordo che… dopo la lettera, mamma peggiorò, e non sapendo più cosa fare ci portò all’orfanotrofio.”
Roma spalancò gli occhi “Cosa?”
“Io sono cresciuto lì, sono uscito dopo aver compiuto 18 anni, per raggiungere Feliciano in Austria che nel frattempo era stato adottato e si era trasferito.” Feliciano sorrise quando il fratello disse questo.
“Fermi, fermi…” Roma guardò prima uno e poi l’altro “Come avete fatto a trovarmi?”
Lovino si morse un labbro, lo avrebbe preso per pazzo se gli avesse detto qualcosa. Feliciano però, parlò senza permesso. “Lovino ti ha sognato!” L’uomo sentendo quelle parole scoppiò a ridere.
“Sul serio, ragazzi.”
“Ma è vero.” Feliciano guardò verso il fratello “Diglielo, Lovino.”
Lovino era diventato rosso, iniziò a guardare il pavimento “Io… faccio dei sogni che mi ricordano il mio passato, non so da cosa dipenda, ma ti ho sognato e poi ti ho cercato in tutti i modi.” Alzò lo sguardo e vide lo sguardo di Roma sbalordito “Questa mi è nuova.” Poi aggiunse “Sei incredibile, Lovino.”
Il petto di Lovino si gonfiò di gioia, per un momento sorrise e si coprì la bocca con la mano.
“Nonno, possiamo restare qui da te adesso?” Feliciano chiese.
Roma sorrise intenerito “Certo, ovviamente.”
Lovino si sentì sollevato, ce l’avevano fatta, in qualche modo erano riusciti a raggiungere l’Italia, il nonno, la loro famiglia. Rimasero ancora a parlare al tavolo, e ben presto si accorsero che era passata la mezzanotte, a quel punto il nonno li portò in camera. Feliciano e Lovino dormivano in un letto, mentre il nonno in un altro, e tutto sembrava una fantasia.

***

Germania

Era passata la mezzanotte, Ludwig continuava a scrivere, mentre Antonio, Francis e Gilbert passavano il loro tempo in cucina, così da non disturbarlo. Francis stava fumando una sigaretta, seduto accanto alla finestra spalancata che dava sul balcone, Antonio e Gilbert erano al tavolo, prima a giocare a carte poi piano piano abbandonarono il gioco. Francis riprese il discorso che avevano fatto a cena “Antonio, quando vivevi con Arthur com’erano le cose?” quando parlò dalla sua bocca fuoriuscì una nuvola di fumo.
“Normali.” Antonio alzò le spalle “Voglio dire… qualche volta avevamo delle discussioni, ma le cose andavano bene.” Poi aggiunse “Anche se a volte Arthur era isterico.” E Gilbert rise. “Perché lo chiedi?
Francis lo scrutò con i suoi occhi azzurri “Antonio, Arthur ti ha mai parlato di qualcosa riguardo a me?”
“So solo che lo prendevi in giro con i tuoi amici.” Inarcò un sopracciglio.
“Ecco noi…” si schiarì la gola e guardò verso Gilbert e poi di nuovo Antonio “Quando ci siamo rincontrati, passammo un po’ di tempo insieme, eravamo comunque amici di infanzia. Arthur però era gracilino e diciamo, un po’ effemminato, quindi io feci amicizia con altre persone, mentre lui veniva evitato e preso di mira…”
Antonio subito rispose “E tu hai lasciato che accadesse?”
Gilbert intervenne “Ehy, anche noi tre ci siamo presi gioco di lui da piccoli.” Antonio si sentì subito in colpa, ma rispose. “Sì, ma eravamo molto piccoli… non…” premette le labbra, non poteva trovare una giustificazione.
“In ogni caso… Antonio…” Francis si avvicinò con la sedia “Iniziarono a girare delle voci sul fatto che Arthur fosse omosessuale.” Spiegò. “Veniva preso di mira per quel motivo, e nessuno voleva farsi vedere in giro con lui.”
“Oh!” disse Gilbert “E ci hai vissuto insieme?” rise e sembrava abbastanza sconvolto.
Antonio spalancò gli occhi, gli venne subito in mente l’ultima volta che vide Arthur, e pensò ad Alfred nella sua camera. “Questo non significa nulla.” Si alzò in piedi.
“Sì, ma io… Passavo comunque il mio tempo con lui, ma non potevo farmi vedere dagli altri.” 
“Non ti ha mai perdonato.” Antonio disse, lo stava fulminando con lo sguardo.
“Eravamo ragazzi, le cose non hanno importanza quando si è adolescenti.” Scosse la testa “Io non ho mai creduto lui fosse omosessuale.”
“Ma quindi lo è davvero oppure no?” Gilbert gracchiò cercando di essere notato.
Il petto di Antonio iniziava a bruciare “Anche se lo fosse?” Alfred e Arthur sembravano felici insieme.
Gilbert e Francis si guardarono per qualche secondo “Bhe…” dissero entrambi.
Gilbert iniziò a parlare “Antonio… non è una cosa del tutto normale.” Alzò le spalle, come se fosse una cosa ovvia. La mente di Antonio volò immediatamente a Lovino.
“Vado a dormire.” Uscì dalla stanza, con la testa bassa, e scandendo ogni parole in modo duro. Non poteva parlare di Lovino come Francis parlava di Jeanne. Quando uscì dalla stanza si poggiò al muro, e sentì gli occhi iniziare a diventare lucidi, si sentiva così solo, i suoi amici non lo avrebbero mai potuto sapere o capire. Nella cucina sentì Gilbert dire “Perché se l’è presa tanto?” e Francis dire “Domani gli parleremo e ci scuseremo.”
“Ma…”
“Zitto Gil.” Rispose l’altro.
 






---Angolo dell'autrice---
Tra il caldo e lo studio non so come ho fatto a pubblicare. Sto anche impazzendo per trovare il tempo da dedicare alla lettura e alle serie tv (Giuro che ho anche un minimo di vita sociale.)
Il prossimo capitolo sarà quello che aspettate tutti. 
Al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Italia,1958
Luglio


“Ma tutti i sogni nell'alba svaniscon perché
Quando tramonta la luna li porta con sé
Ma io continuo a sognare negli occhi tuoi belli
Che sono blu come un cielo trapunto di stelle”


Lovino aprì gli occhi lentamente per poi vedere davanti a sé la stanza inondata di luce proveniente dalla finestra. Le voci che cantavano in italiano non erano ancora ben distinte, ma presto riuscì a riconoscere il nonno e Feliciano che cantavano. Sorrise e cantò insieme alle voci.

“Volare oh, oh
Cantare oh, oh, oh
Nel blu degli occhi tuoi blu
Felice di stare quaggiù”


La sua voce suonava un po’ roca dato che si era appena svegliato, ma di certo era più intonata di quella del nonno. Erano lì da una settimana, ma il nonno ascoltava a ripetizione “Nel blu dipinto di blu” tanto che ormai anche Lovino e Feliciano l’avevano imparata a memoria. Strizzò gli occhi e guardò verso la finestra, la tenda trasparente si stava muovendo insieme al vento, anche se non rinfrescava affatto l’aria, era caldo. Si alzò e attraversò il corridoio per raggiungere le voci.

“E continuo a volare felice più in alto del sole
Ed ancora più su
Mentre il mondo pian piano scompare negli occhi tuoi blu
La tua voce è una musica dolce che suona per me”


Rimase poggiato al muro ad osservare la scena che si stava svolgendo in cucina. Vide la caffettiera sul fornello dietro di loro, e la cucina iniziava a profumare di caffè. Il nonno teneva con il suo braccio forte Feliciano, i suoi occhi nocciola era adesso chiusi mentre si dimenava per cantare. Feliciano invece non riusciva a trattenere le risate e non riusciva a dare il meglio di sé nel canto. Il nonno guardò verso Lovino e gli fece un cenno, per invitarlo a cantare con loro.

“Volare oh, oh
Cantare oh, oh, oh
Nel blu degli occhi tuoi blu
Felice di stare quaggiù
Nel blu dipinto di blu
Felice di stare quaggiù
Nel blu dipinto di blu
Felice di stare quaggiù
Con te”


Ma Lovino non si unì a loro. Feliciano si allontanò “Basta, nonno, ti prego.” E si asciugò le lacrime “Sei terribile nel canto!” la sua voce era leggera e spensierata. Lovino pensò che sarebbero dovuti restare in Italia fin dal principio, forse avrebbero evitato tante cose. Roma zoppicò da Lovino “Dovresti lasciarti andare più spesso!” e gli diede una forte pacca sulla schiena che lo scopose.
“Preferisco di no.” Rispose semplicemente.
Il nonno fece un ghigno “Fammi un favore, vai in pasticceria a compare dei cornetti per la colazione.”
“Cosa? Perché io? Mi sono appena svegliato!” Lovino si stava massaggiando dove il nonno lo aveva colpito.
Feliciano stava sorridendo, ma il sorriso svanì quando il nonno disse guardandolo “Tu invece vai a prendere la scala e qualche pesca dall’albero qui fuori.”
Lovino sbuffò rumorosamente e andò a prepararsi velocemente. Mise una camicia a maniche corte, il nonno gli diede le lire necessarie e uscì di casa. Lovino prese la vecchia bicicletta che al tempo era del padre, un vecchio modello del ’40, che il nonno aveva rimesso in ordine per farla usare ai suoi nipoti. In realtà Lovino aveva imparato ad andare in bici grazie alla signorina, l’aveva usata poche volte, ma ricordava ancora come si andava. Raggiunse in poco la pasticceria di Emma. Dalla finestra vide la ragazza mettere in ordine dei taralli sulle mensole, si voltò e lo vide, Emma fece un cenno con la mano e sorrise. Lovino poggiò la bicicletta al muro e entrò nel negozio.
“Buongiorno!” Disse lei mentre si aggiustava la gonna, andò verso il bancone. “Come va? Tu e tuo fratello ora abitate dal vecchio Roma quindi?”
“Ah… s-sì.”
Disse lui un po’ imbarazzato, non pensava si ricordasse così bene di lui.
Emma prese un sacchetto “Cosa posso darti, Lovino?”
Era strano sentire il suo nome con un accento italiano, solo il nonno e Feliciano riuscivano a dirlo con l’accento giusto, nemmeno Antonio ci riusciva. “Tre cornetti.” Poi aggiunse “Uno vuoto, due con la crema… credo.” Quello vuoto era ovviamente per lui, non gli piacevano molto i dolci.
La ragazza gli passò il sacchetto, quanto Lovino provò a pagare lei gli spinse indietro la mano “No, no, facciamo che è un regalo da parte mia, per Roma.”
Lovino si sentì in colpa, ma lei continuava ad insistere quindi lasciò stare. Mentre usciva dal negozio si voltò verso Emma.
“Perché lo chiamate tutti Roma?” Aveva quella domanda in testa da giorni. Emma rise e alzò le spalle.
“Non ne ho idea, mio nonno lo ha sempre chiamato così e quindi…” poi continuò “Chiediglielo tu, appena torni a casa, e torna presto, altrimenti i miei cornetti si raffredderanno.”
Emma parlava troppo velocemente, e Lovino non riusciva a stare dietro a tutto quello che diceva. Annuì in risposta, poi Emma aggiunse. “Torna più spesso, con tuo fratello se vuole.” Lovino arrossì, non pensava che qualcuno avrebbe voluto passare del tempo con lui.
“Quanti anni avete?” Chiese lei di punto in bianco.
“18 anni.” Rispose Lovino, rendendosi conto automaticamente di quanto tempo era passato, senza che se ne rendesse conto. Poi la guardò “E… tu?” non era bravo a fare conversazione, lo odiava in realtà, ma Emma era piacevole.
“Io 20.” Guardò il sacchetto che Lovino aveva in mano “Forse è meglio che tu vada, altrimenti Roma si arrabbierà.” Lovino uscì subito dal negozio.
“Allora ciao.”  Disse velocemente, mise i cornetti nel cestino e pedalò verso casa.
Quando tornò a casa il nonno stava mettendo il caffè nelle tazze “Ah, sei tornato, sei rimasto a parlare con Emma.”
“Ah, sì, mi ha trattenuto lei.” Rispose vago Lovino, mentre poggiava il cibo sul tavolo.
“Cosa c’è? Ti piace Emma?” Il nonno disse mentre scoppiava a ridere, Lovino arrossì e si allarmò.
“No! No!” Pensò immediatamente ad Antonio e scosse la testa. “Abbiamo parlato di te, se vuoi saperlo.” Lovino si era accomodato a tavola, e prese l’unica tazza di caffè senza zucchero. “Ci chiedevamo come mai ti chiamano tutti Roma.”
Feliciano, con la bocca piena di crema, chiese subito “Già, perché ti chiamano tutti così?”
Roma fece un ghigno “Non sono cose per voi ragazzini!” si sedette lentamente “E ora mangiate.” Scoccò le dita e fece zittire entrambi i fratelli. Cominciò a ridere fra sé e sé, doveva esserci sicuramente una bella storia dietro al suo soprannome.

***

Il giorno seguente Roma andò a svegliare i suoi nipoti facendo rumore con delle pentole, Lovino si svegliò di soprassalto e terrorizzato, Feliciano invece scoppiò a ridere.
“Sei troppo eccentrico per la tua età.” Lovino disse in tono acido, mentre si alzava in piedi.
“Cosa vorresti dire con questo?” Gli mise una mano sulla testa e iniziò a grattare con le nocche “Hai bisogno di un po’ di buone maniere, Lovino!”
Il ragazzo si spostò velocemente e si appiattì i capelli. Andarono tutti verso la cucina per fare colazione.
“Stamattina… tu andrai al mercato.” E indicò Lovino, che mandò la testa indietro e guardò al cielo sbuffando rumorosamente. “E tu vieni con me a cogliere le more, e la verdura.”
Feliciano si lamentò ad alta voce “Ma io ho troppo caldo.”  In effetti Feliciano dormiva senza maglia ogni notte, era capitato che passava intere giornate a petto nudo.
“Io ho caldo e sono anche zoppo, quindi siamo pari!” Il nonno rispose a tono. Gli passò le tazze di caffè, fecero colazione e poi si andarono a preparare. A Lovino venne data una lista di cose da comprare, le solite lire contate, e andò fuori a prendere la bicicletta. Quando uscì fuori dalla porta, notò che anche se erano solo le nove, il sole già batteva caldissimo sul paese. Sentì la porta aprirsi e quando si voltò vide Feliciano.
“Lovi, ho dimenticato di darti questa.” Parlava a bassa voce, aveva paura di farsi sentire dal nonno. Diede a Lovino una lettera.
“Per Ludwig?” chiese lui, guardò prima la lettera e poi suo fratello.
“Sì, ovviamente.” Feliciano sorrise. “Vai a spedirla per me, per favore.” Lovino strinse la lettera nella mano. Osservò la calligrafia precisa e ordinata i Feliciano, poi guardò il fratello.
“Siete sicuri di quello che state facendo?” deglutì.
“Sì. Forse è una delle poche cose di cui sono veramente sicuro.” Feliciano rispose in tono serio. Lovino gli poggiò la mano sulla spalla e si morse le labbra. Sperava davvero che il nonno non avrebbe mai capito nulla una volta che Ludwig fosse arrivato lì.
“Feliciano!” il nonno chiamò da dentro casa.
I suoi occhi scattarono verso la porta “Arrivo!” urlò in risposta, tornò a Lovino, e abbassò di nuovo la voce “Grazie, Lovi.” Sorrise dolcemente e entrò in casa.
Lovino mise la lettera in tasca e iniziò a pedalare verso il mercato al centro del paese. Passò davanti la pasticceria di Emma e fu in quel momento che la vide uscire. Indossava un vestitino giallo, lungo fino al ginocchio. “Lovino, buongiorno!” urlò e lui frenò di colpo con la bicicletta.
“Ciao!”  Rispose, mentre teneva saldamente i freni, non funzionavano molto bene come avrebbero dovuto.
“Sto andando al mercato, ci sono i miei fratelli al posto mio al negozio.” Disse avvicinandosi.
Lovino non riusciva proprio ad essere sgarbato con lei, cosa abbastanza strana. “Anche io.” Indicò la lista che aveva in mano.
“Ti va di camminare insieme?” Chiese lei mentre iniziava ad allontanarsi.
Lovino scese dalla bicicletta e la portò a mano. “Va bene.”
Ci avrebbero impiegato almeno mezz’ora per raggiungere il centro del paese, in bici Lovino ci avrebbe impiegato sicuramente di meno. Parlarono un po’ di tutto. Emma parlò dei suoi fratelli, uno maggiore e uno minore, parlò di suo padre che aveva combattuto in guerra. I nonni di Emma erano amici con i nonni di Lovino e Feliciano invece, infatti suo nonno parlava spesso di Roma.
“Non ho mai lasciato il paese.” Emma confessò a Lovino “Mi sarebbe piaciuto andare in francia, oppure in America, o anche solo in Italia, però desidero troppo viaggiare.”
Mentre Lovino desiderava solo stabilirsi in un posto da poter chiamare casa, Emma voleva fare l’esatto opposto.
“Io sono cresciuto in Inghilterra.” Lovino le disse, lei fece un verso di stupore. 
“Che invidia! Doveva essere bellissima.”
Lovino alzò le spalle “Sono stato solo in un orfanotrofio in un piccolo paese. Non ho visto molto.”
Emma abbassò gli occhi, si aspettava qualcosa in più. Poi tornò a guardare Lovino “Mi insegneresti l’inglese?”
“Oh… beh, ok?”
rispose incerto lui. Lovino? Insegnare l’inglese?
“Così quando me ne andrò da qui, saprò già la lingua.” Iniziò a saltellare.
Erano ormai in paese e gli sguardi curiosi degli abitanti iniziarono a spostarsi tutti su Lovino. Emma si fermò un paio di volte a parlare con qualcuno, delle signore, dei bambini, alcune ragazze che le chiesero di Lovino, e alcuni ragazzi che fecero lo stesso, per sapere se lei fosse impegnata.
Arrivati al mercato Lovino comprò tutto quello che serviva al nonno, pesce, formaggi, pane e del latte. Emma comprò molte più cose rispetto a lui, le poggiò nel suo cestino per non portarle in mano.
“Io devo spedire una lettera.” Disse Lovino a Emma mentre passavano fra le bancarelle.
“Posso accompagnarti, se vuoi.” Rispose lei, si allontanarono dalla folla e si incamminarono verso le poste, dopo che Lovino annuì. In effetti era stato un bene aver incontrato Emma, dato che Lovino non conosceva le strade. Si addentrarono in varie vie interne del paese, Lovino continuava a trasportare la sua bici, mentre passavano fra le varie botteghe e case.
“Mi parli un po’ dell’Inghilterra?” La voce di Emma era piena di curiosità.
Lovino sospirò “Non ho visto molto, ti ho detto.” Non aveva nulla a raccontare sicuramente lo avrebbe trovato noioso.
“Parlami di quello che vuoi.” Disse semplicemente. “Cosa facevi lì?”
“Io… niente di che. Stavo con gli altri…”
Lovino rimase vago, anche perché sentiva di non aver mai fatto nulla di importante.
“Avevi degli amici immagino.” Emma continuava a camminare mentre percorrevano la strada pietra di brecciolini.
Lovino sorrise, quasi. “Sì, Antonio.” Rispose.
“Era il tuo migliore amico?” Lo aveva visto sorridere, anche se Lovino cercava di coprirsi con la mano.
Arrossì dopo quella domanda “Una specie…” e scosse la testa per non pensare a nulla che riguardasse Antonio. “Non ci vediamo da moltissimo tempo ormai.”  Cominciò a fissare la strada, mentre pensava a quando era l’ultima volta che si erano scritti.
“Ti manca?” Chiese, e Lovino rispose in un sussurro, senza pensarci, forse una delle pochissime volte in cui succedeva una cosa del genere.
“Da morire.” Non si rese nemmeno conto di averlo detto in inglese.
“Non vale così!” Emma disse “Ancora non capisco l’inglese!”
Lovino spalancò gli occhi e arrossì pensando a quello che aveva detto.
“Che cosa hai detto?” Chiese lei, imbronciata.
“NULLA! NULLA!” lui iniziò ad urlare, mentre si copriva la faccia rossa, accelerò il passo e lasciò Emma dietro che iniziò a correre, e i suoi tacchetti quadrati sulle piccole pietre iniziarono a fare rumore.
“Lovino aspetta! Dimmi che hai detto!” scoppiò a ridere, ma continuava a ripetere le stesse cose. Per qualche motivo Lovino iniziò a ridere con lei, anche se era ancora imbarazzato, e non si preoccupò nemmeno di coprirsi il volto mentre lo faceva.

Quando tornarono a casa, ormai era quasi mezzogiorno, e il caldo era insopportabile. Emma salutò Lovino una volta arrivati vicino la pasticceria, lei abitava al piano di sopra. Lovino tornò in sella alla sua bicicletta e in poco arrivò a casa. “Ti sei fatto vivo finalmente!” il nonno era seduto su una sedia accanto alla porta, a fumare una sigaretta.
“A quanto pare.” Lovino rispose. Guardò la sigaretta attentamente, era da un tantissimo che non fumava anche lui, chissà dove le teneva il nonno…. Prese la borsa con le cose comprate al mercato e la mostrò al nonno “La porto in cucina.” Gli disse mentre si avviava dentro casa. “Dov’è Feliciano?”
“Nell’orto.” Finì la sigaretta e la schiacciò con il piede una volta buttata sul portico di casa. “Stavo facendo una pausa.” Sorrise e si diede una pacca sulla gamba zoppa. Doveva fargli male. Lovino andò in cucina e poggiò la borsa, passò dalla porta nella cucina, e andò direttamente verso l’orto. Osservò Feliciano, con la canottiera bianca ormai sporca di terra. Stava piantando qualcosa, accovacciato a terra, ma Lovino non aveva idea di che cosa fosse, in effetti il nonno preferiva fosse Feliciano ad aiutarlo in quell’ambito dato che era molto esperto. “Ehy.” Si avvicinò sempre di più. Feliciano si voltò e si asciugò la fronte “Lovi, sei tornato!” Si alzò in piedi e fece cadere la terra dai suoi pantaloncini. “L’hai spedita?”
Lovino si passò una mano fra i capelli “Sì, ci ho messo un po’ ad arrivare, mi ha aiutato Emma.” Osservò il volto di Feliciano, aveva una macchia sulla punta del piccolo naso, probabilmente si era toccato la faccia con le mani sporche. Feliciano sorrise “Mi fa piacere che tu stia facendo amicizia.”
Lovino alzò le spalle “Vuoi una mano?” Indicò la pianta. Feliciano guardò prima il terreno e poi Lovino.
“No, tranquillo, però puoi portare i pomodori che ho raccolto prima in cucina.” Indicò a Lovino un cesto poggiato lì vicino.
“Ok, allora andrò a preparare qualcosa da mangiare.” Feliciano nel frattempo era ritornato a terra.
“Feliciano.” Lovino rimase ancora immobile ad osservarlo.
“Mh?” si voltò verso di lui.
“Quando arriverà la risposta di Ludwig, stai attento.” Sospirò “Al nonno intendo.” Ritornò verso la casa, quando aprì la zanzariera della porta per la cucina si trovò il nonno davanti. Lovino sobbalzò. Li aveva sentiti? Lovino lo guardò negli occhi, mentre era poggiato al mobile, poi i suoi occhi volarono dall’altra parte della cosa e si allontanò. “Devo… andare in bagno.” Disse in modo vago. Quando passò per l’ingresso vide il pacchetto di sigarette del nonno poggiato lì. Gli avrebbe rubato sicuramente qualche sigaretta prima o poi.

***

Germania, 1958

“Antonio!”
Qualcuno lo stava scuotendo. Antonio strizzò gli occhi e poi li aprì faticosamente.
“Eh?” fu l’unica cosa che riuscì a mormorare. Si ritrovò davanti gli occhi celesti di Ludwig, solcati da occhiaie scure, erano alcune notti che non dormiva perché cercava l’ispirazione per scrivere il suo libro. Guardò attorno, Francis non c’era, Gilbert non c’era, doveva essere molto tardi ed erano probabilmente usciti.
“Perdonami, ho dovuto svegliarti.” Disse gentilmente, anche se sembrava agitato.
Antonio si mise in piedi e le sue spalle scrocchiarono “Che succede?” Ludwig gli mostrò una lettera in risposta. “È Feliciano.”
Antonio la afferrò subito, la aprì, quando provò a leggerla Ludwig gliela strappò dalle mani. Antonio lo fissò “Oh, scusami.” La sua mente era andata direttamente a Lovino e non era riuscito a trattenersi. Ludwig deglutì “No, scusami tu, ma…” si schiarì la voce “Dice che sono arrivati in Italia.”
Antonio lo interruppe “Lui e Lovino, giusto?”
“S-sì certo.” Tornò a parlare “E quindi dicevo…”
“E ascolta, ascolta.” Si massaggiò il collo “Come… come sta Lovino?”
Ludwig sbatté velocemente le palpebre e poi sospirò “Antonio.” L’altro rimase ad aspettare, ma Ludwig iniziò a sembrare irritato.
“Oh, sì, scusami, parla pure.”
Ludwig si schiarì di nuovo la gola “Hanno detto che stanno bene, sono dal nonno. Feliciano ci ha spedito il loro indirizzo e ci hanno che possiamo raggiungergli. Gli manderò una risposta prima.” Aspetto qualche secondo “Ora puoi parlare.”
Antonio scosse la testa, in realtà non sapeva cosa dire, quello che provava non poteva descriverlo.
“Approfitterò del fatto che Gilbert e Francis sono usciti per scrivere la nostra risposta.” Ludwig disse velocemente. Aprì un cassetto e prese un foglio per la macchina da scrivere. Antonio lo corresse “La tua risposta.”
Ludwig lo guardò e alzò un sopracciglio. Antonio, si sentiva davvero meschino ad ammetterlo, ma aveva troppa paura di un possibile rifiuto da parte di Lovino se avesse saputo che anche Antonio era diretto lì. C’era probabilmente stato un periodo in cui lo aveva amato, Antonio lo aveva capito, ma probabilmente le cose erano cambiate e Lovino non voleva quello che voleva lui. Ad Antonio andava bene anche così, gli andava bene anche solo poterlo rivedere e vederlo felice. Aveva bisogno almeno di vederlo un ultima volta “Voglio fare una sorpresa a Lovino, non nominarmi nemmeno.” Sorrise e Ludwig annuì.
“Certo, va bene.” Iniziò a battere velocemente i tasti, poi si fermò “Quando dovremmo partire?”
Antonio rise “Quando avremo i soldi, immagino.” Ludwig e Gilbert non potevano permettersi di pagare un viaggio, Antonio invece aveva quasi finito i suoi soldi. (Dividevano le spese mentre erano dai Beilschmidt) Avrebbe trovato sicuramente un modo per raccattare i soldi. “Pensi che ce la faremo entro ottobre magari?” Ludwig chiese “Per dare una data indicativa.”
“Ci proveremo.” Rispose l’altro. Antonio andò a preparare un caffè, tornò di nuovo in salone e si lasciò cadere sul divano con la tazza fumante in mano. “Ludwig.”
“Mh?” continuava a battere velocemente i tasti e non staccava lo sguardo dal foglio.
“Quando lo dirai a Gilbert?” Prese un sorso del liquido scuro. Ludwig tolse le mani dalla tastiera.
“Presto.” Lo guardò con una faccia seria.
“Gil è molto affezionato a te. Sei sicuro che te lo lascerà fare.”
“Deve!” Ludwig rispose subito, la sua voce bassa e possente sembrava autoritaria quando rispondeva in quel modo “Ho 19 anni, so perfettamente quello che faccio.”
Antonio si ammutolì e lo lasciò scrivere in pace, si mise ad osservare in paesaggio. Doveva essere molto importante per Ludwig rivedere Feliciano, quasi come per Antonio rivedere Lovino… Si voltò i nuovo verso Ludwig, la sua faccia contratta e concentrata mentre scriveva ogni singola parola. Aprì la bocca, ma la richiuse subito pensando che forse sarebbe stato meglio non fare domande riguardo Feliciano.

***

Italia
Agosto, 1958


Le volte in cui il nonno non aveva bisogno di una mano Feliciano ne approfittava per disegnare. Aveva comprato alcune attrezzature per dipingere lì in Italia, oppure gli piaceva pensare ai fiori nel giardino. Aveva riempito il giardino del nonno con tantissime varietà di fiori, che in realtà neanche Roma conosceva, ricordava tantissimo quello della mamma. Lovino faceva le solite cose, provava a disegnare, a scrivere, ma non era soddisfatto, quindi finiva con il passare il tempo a leggere qualcosa (anche se in casa i libri scarseggiavano). Il pomeriggio gli piaceva starsene fuori, mentre Feliciano pensava al giardino, oppure con la bici faceva un giro in paese oppure andava a trovare Emma.
Quel pomeriggio decise proprio di raggiungere la ragazza al negozio. Ormai andava a trovarla sempre più spesso e a volte lei iniziava a raccontare qualcosa mentre lui rimaneva in silenzio ad ascoltarla. Era una delle poche persone che a Lovino piaceva avere a che fare. Mentre stava per uscire notò il nonno che dormiva sul divano, il pacchetto di sigarette era poggiato sul tavolo. Lovino guardò attentamente il nonno, sì, stava dormendo sicuramente. Aprì cautamente il pacchetto, prese tre sigarette, sempre cercando di non fare rumore andò in cucina a prendere un accendino e andò velocemente fuori. Non prese la bicicletta proprio per poter fumare lungo il tragitto. Quando finalmente, mentre camminava sotto il sole e iniziava a sudare, fumò la sigaretta fu un sollievo. Lovino non fumava da troppo tempo, non pensava che in realtà gli sarebbe mancato così tanto. Il nonno gli dava sempre i soldi contati, non poteva permettersi di comprare un pacchetto per sé aveva paura che Roma si sarebbe arrabbiato, quindi decise di far durare quelle che aveva preso fino al giorno successivo.
Gli alberi lungo il viale per arrivare da Emma non producevano nessuna ombra che potesse dare a Lovino un po’ di fresco. Da lontano riusciva a vedere nella campagne i contadini che lavoravano. Quasi tutti ormai conoscevano Lovino, o almeno sapevo della sua esistenza, non si erano mai fermati a parlargli, eppure in qualche modo sapevano come si chiamava, di chi era il nipote e chi era suo fratello, e quando queste persone passavano gli facevano un segno per salutarlo. Lovino raggiunse la pasticceria, prima di entrare finì la sigaretta e la lanciò a terra. Emma non c’era quando entrò nel negozio.
“Salve?” Disse un po’ titubante.
Emma spuntò da sotto il bancone. “Ciao, Lovino!” uscì dal bancone e si pulì il vestito. “Menomale che sei arrivato, mi stavo annoiando.” e rise. Lovino andò dietro il bancone, ormai sapeva già che lì c’era una sedia e di solito si accomodava mentre parlava con Emma. Lei invece si sedeva su uno sgabellino bianco. Parlavano un po’ di tutto solitamente, Emma parlava dei suoi fratelli (uno maggiore e uno minore), per lo più si mostrava gelosa di tutto quello che il padre gli permetteva fare solo perché erano ragazzi. Non avrebbe mai potuto parlare di cose del genere con nessun altro ragazzo, ma sapeva che con Lovino era diverso. Una volta Emma lo pregò di farle vedere i suoi disegni, che teneva assolutamente nascosti, le fece vedere solo due paesaggi e lei si entusiasmò tantissimo, iniziò a fargli i complimenti, ma Lovino piuttosto che ringraziare rispose “Non diresti più così se vedessi i disegni di Feliciano.”.
“Mi racconti qualche storia oggi?” Emma iniziò a dondolarsi sullo sgabello, l’unica cosa che faceva rumore oltre lo scricchiolare di quest’ultimo era l’orologio.
Lovino la guardò con sguardo interrogatorio “Non possiamo… giocare a carte magari?”
“Dai, raccontami qualcosa.”
Lo pregò lei, con la voce squillante. Lovino sbuffò.
“Ok, ti racconterò di quella volta, ovvero oggi, in cui ho rubato tre sigarette a mio nonno.” E cacciò 2 sigarette dal taschino della camicia.
Emma spalancò gli occhi “Tuo nonno ti ucciderà lo sai?”
Lovino ghignò “Non se ne accorgerà nemmeno, tranquilla.” Mise di nuovo a posto le sigarette, se il nonno non se ne fosse accorto avrebbe potuto continuare a farlo anche altre volte.
“Comunque, no, non va bene questa storia” rise lei “Raccontami… riguardo Antonio!”
Lovino arrossì e alzò gli occhi al cielo “Ti prego, Emma, non ho nulla da-”
“Racconta!”
disse lei interrompendolo e puntandogli un dito contro la faccia. “Anzi, descrivimelo, me ne hai sempre parlato, ma non ho idea di come sia fatto.”
Sbuffò ancora una volta, rumorosamente. Com’era Antonio? Bello sarebbe stato l’unico aggettivo per descriverlo. “Ha i capelli mossi, castano scuro, e gli occhi verdi, ma… molto più scuri dei miei.” Emma stava annuendo mentre cercava di immaginare “Anche la sua pelle, è olivastra. Ed è molto più alto di me. Poi… uhm, i suoi lineamenti sono delicati, con un volto fino, ed è magro, ma non mingherlino come me.”
Emma aveva gli occhi alzati, poi alzò le spalle “Mh, deve essere bello.”
“Certo che lo è.”
Lovino le rispose, un po’ geloso per qualche motivo. Poi arrossì e si coprì la faccia “Intendo… deve essere bello per… una… ragazza?” continuò a parlare insicuro.
Emma rise “Lovino, non fa nulla se lo trovi bello.”
Lui la guardò coprendosi il volto “Non lo trovo bello! Non ho mai detto un’idiozia simile!” Si inalberò e si alzò in piedi. Iniziò a girare per il negozio senza un vero motivo, solo per troncare quel discorso imbarazzare.
Quando ormai erano le sette e mezza decise di tornare di nuovo verso casa, aiutò Emma a chiudere il negozio che poi lo salutò con un abbraccio. Mentre tornava verso casa notò le persone che qualche ora prima aveva visto lavorare nei campi stavano tornando a casa, come lui. Il colore del cielo era quasi completamente arancione, per via del tramonto. Lovino dovette resistere alla tentazione di prendere un’altra sigaretta, ma continuava a pensare “domani, domani”.
Quando entrò dal portone sentì le voci di Feliciano e del nonno che parlavano e ridevano alle battute di Roma. Fece capolino e disse “Sono a casa!” i due erano in cucina e stavano preparando della carne. Il nonno si girò “Lovino, sei tornato. Tra poco è pronto, perché non inizi a preparare la tavola?”
Lovino annuì “Sì… devo fare una cosa prima.”
“Fa pure.” Si girò un’altra volta, e adesso Lovino vedeva di nuovo le spalle possenti del nonno. Si avviò verso la camera, mentre si reggeva il taschino della camicia, però per tutto il tempo si sentì osservato. Arrivato in camera, nascose le due sigarette in un paio di mutande, lì sicuramente non avrebbe controllato nessuno. Tornò dall’altra parte e Feliciano aveva già preparato la tovaglia sul tavolo. “Faccio io.” Gli disse prendendo la tovaglia dalle mani del fratello. “Sono andato in camera solo qualche secondo.” Lovino si voltò a guardare il nonno, stava canticchiando mentre cucinava e il rumore della carne che cuoceva sulla padella copriva la sua voce. Lo osservò per un po’, se ne era accorto?
Feliciano lo prese alla sprovvista “Che hai fatto oggi?”
Lovino tornò a guardare verso il fratello “Oh! Uhm… niente di che.” Aveva ormai messo la tovaglia in ordine e Feliciano si era allontano per prendere le posate, ma lo ascoltava comunque. “Io e Emma abbiamo parlato, come al solito.”
Feliciano tornò e diede le posate in mano a Lovino “Di cosa parlate sempre?” continuò a chiedere. Lovino sbuffò “Di niente… dipende… lasciami stare.” Feliciano alzò le spalle e andò a prendere i bicchieri e i piatti.

La sera di solito guardavano sempre la televisione, fino alle undici, l’ora in cui terminavano i programmi. Dopo di quello andavano a dormire, poche volte capitava che restassero svegli fino a tardi. Lovino e Feliciano molte volte si addormentavano tardi perché continuavano a sussurrare fra di loro fino a quando non avevano sonno. Quella notte solo Feliciano aveva sonno, Lovino infatti non si sentiva affatto stanco. Non stava pensando a nulla, semplicemente non riusciva a dormire. Si alzò cercando di non fare rumore così da non svegliare nessuno. Il nonno sembrava dormire profondamente. Per andare verso la porta passò accanto il cassetto con le sigarette nascoste dentro. Lo osservò a lungo e poi “Fanculo!” disse a voce bassissima. Aprì cautamente il cassetto e ne prese una, gliene rimaneva solo un’altra e avrebbe fatto meglio a farla durare. Andò in punta di piedi fino all’ingresso e uscì per sedersi sul portico di casa. La campagna era silenziosa e buia a quell’ora. L’unica cosa che faceva rumore era il canto delle cicale e la brezza che muoveva le piante, ogni tanto. Alla luce della luna Lovino accese la sua sigaretta e rimase lì fuori, solo e in silenzio, come gli piaceva stare. Inalò un’ultima volta e poi la buttò via. Ma non voleva tornare dentro, sarebbe stato capace di passare l’intera nottata lì fuori.
Chi è?!” sentì urlare dietro di lui e si voltò di scatto. Il nonno era in piedi con un bastone in mano. Lovino saltò in piedi “Sono io! Sono io!”
Il nonno con un colpo accese la lucina sul portico “Che diavolo stai facendo?”
“Ma che cazzo stai facendo tu con una mazza?” Lovino gli urlò contro.
“Pensavo ci fosse qualcuno qui fuori.” La buttò a terra “E stai attento a come parli.” 
Lovino si poggiò una mano sul petto e calmò il suo respiro. “Mi hai spaventato.”
“Potrei dire lo stesso io.” Rispose subito.
Lovino alzò gli occhi al cielo, era impossibile competere con il nonno in ogni caso. “Non riuscivo a dormire.” Gli disse alla fine, sedendosi di nuovo sul pavimento di legno.
“E uscire fuori di notte facendosi scambiare per un ladro era l’unica soluzione che ti veniva in mente?” il nonno incrociò le braccia.
“E uscire fuori di notte chiedendo “chi è?” ad un possibile ladro armato era l’unica soluzione che ti veniva in mente?” Lovino alzò lo sguardo verso il nonno e alzò un sopracciglio.
Il nonno rise e poi disse “Touché”. Si sedette accanto a lui. “Me lo ricordi un sacco.”
Lovino inclinò la testa “Chi?”
“Tuo padre.” Rispose “Anzi, forse era anche peggio di te.”
Lovino scosse la testa “Papà cantava, ed era gentile con noi e la mamma.”
Roma rise “Beh, non ha mai cantato con me. Solo per tua madre.” Poi gli diede una pacca sulla spalla “Tranquillo, troverai qualcuno a cui canterai qualcosa anche tu.”
Lovino arrossì “Io non…” e non finì la frase. Roma poi si alzò cautamente mentre si manteneva una gamba
“Ho appena ricordato che dovevo farti vedere una cosa.” Entrò dentro e dopo poco tornò con una chitarra in mano. “L’ho presa alla vostra vecchia casa dopo che…” smise di parlare e prese un respiro profondo “Anche questa apparteneva a vostro padre.” Tornò a terra con lui e gli passò lo strumento.
“Ma… Io non so suonare.” Subito disse mentre guardava la chitarra e la spingeva indietro verso il nonno, il quale gliela diede di nuovo.
“Oh! Fa silenzio e prendila.” Alzò un po’ la voce “Hai la faccia di uno che sa suonare.”
Lovino socchiuse gli occhi “Questo non significa-”
“Stai zitto, ti insegnerò io!” e gli poggiò una mano sulla testa. Lovino guardò prima il nonno e poi la chitarra. Passò prima le dita sulle corde e fece un lieve suono, poi sul legno. Chiuse gli occhi e qualche immagine tornò alla sua mente, ma non ricordava quasi nulla di quella chitarra, forse aveva visto il padre suonarla solo una volta. Il nonno lo guardava e sorrideva.
“Io torno a dormire, sono troppo vecchio per queste cose.” Si alzò facendo diversi mugugni e poi imprecò in italiano contro la sua gamba. Aprì la porta, Lovino continuava ad osservarlo, proprio nel momento in cui stava per entrare disse, senza voltarsi “Ah, Lovino.”
“Sì?”
“Ruba di nuovo le mie sigarette e te le faccio ingoiare.”
Lovino si strozzò e poi spalancò gli occhi “Io non…” provò a parlare, ma la sua voce fu coperta dalla risata fragorosa del nonno. “Non credere che sia così stupido!”
Entrò dentro e continuò a ridere. Lovino rimase bloccato. “Come cazzo…” e roteò gli occhi “Che palle.”

***

Ottobre, 1958

Germania


Antonio in quegli ultimi mesi, tramite Gilbert, era riuscito a trovare lavoro in una caffetteria in modo da poter mettere da parte i soldi per partire con Ludwig. Gilbert in realtà, almeno così gli aveva raccontato Ludwig, non fu molto contento della notizia quando il fratello gliela diede eppure aiutò lo stesso Antonio a racimolare i soldi. Il primo problema che si presentò ad Antonio con il lavoro fu ovviamente la lingua, la sua fortuna era il fatto che molti dei suoi colleghi riuscivano a parlare bene l’inglese. Da quel momento decise di farsi aiutare da Ludwig con il tedesco, e imparò le basi almeno per poter capire i clienti. La caffetteria non era molto distante da casa dei fratelli Beilschmidt quindi Antonio poteva raggiungerlo a piedi, spesso Francis, lasciato solo a casa con Ludwig, lo raggiungeva e prendeva qualcosa da bere.
Quel pomeriggio non c’era nessun cliente, il locale era silenzioso e c’erano solo Antonio e un altro ragazzo di turno. Antonio aveva lucidato talmente tanto il bancone che riusciva a specchiare il verde dei suoi occhi.
“Carriedo.” Una voce lo chiamò da dietro. Quando si voltò trovo il volto di Berwald, il suo datore di lavoro. Un ragazzo sulla ventina, con i capelli biondi e gli occhi color ghiaccio, molto più alto di Antonio. Portava gli occhiali e aveva una voce molto profonda. Gestiva il negozio con un suo caro amico, Tino, molto più basso di lui, sempre con capelli e occhi chiari, e degli atteggiamenti completamente opposti. Non si sapeva che rapporto avevano, solo che abitavano da tantissimo tempo insieme.
“Che succede?” Antonio si allontanò dal bancone e andò verso di lui. Berwald gli diede una busta, con la sua paga “Ho anticipato la paga questo mese, Gilbert mi hai detto che stai mettendo dei soldi da parte per partire.”
Antonio si grattò il collo. "Ah sì... scusi se non gliene ho mai parlato prima."
“No, non fa niente.” Disse impassibile. Antonio era quasi spaventato ogni volta dalle poche espressioni che quel ragazzo era capace di fare.
“Abbiamo deciso di aumentare la paga questa volta.” Tino apparì dal nulla e disse a bassa voce, per non farsi sentire dall’altro ragazzo. “Così andranno bene per il viaggio e per restare in Italia.” Disse sorridendo.
Antonio sorrise e poi prese le mani ad entrambi “Grazie mille!”
Berwald gli diede la busta e Antonio la mise subito in tasca. Tino prese il grembiule di Antonio che corse verso l’ingresso. Salutò il suo collega, ringraziò di nuovo i due ragazzi “Ci rivedremo sicuramente!” disse mentre usciva dal locale. Prese la busta dalla tasca e la osservò ridendo. Quando guardò all’interno c’erano tutti i soldi di cui poteva avere bisogno. Corse verso casa, non vedeva l’ora di dirlo a Ludwig.
Aprì la porta con le chiavi e la spalancò “Ludwig! Ludwig!” chiamò l’altro in giro per casa e lo trovò sul balcone.
“Antonio, cosa…” Ludwig iniziò a parlare, ma Antonio lo abbracciò di colpo. Il tedesco arrossì e allontanò il suo amico. Poi tossì imbarazzato. Antonio sembrò non farci caso e continuava a ridere.
“A lavoro mi hanno dato i soldi necessari!” disse eccitato. Ludwig rimase in silenzio per un po’, poi piano piano iniziò a ridere per la contentezza. Antonio saltava e ripeteva “Andremo in Italia! Andremo in Italia!”
“Che cos’è questo baccano?” Francis apparse, con i capelli legati in una coda e gli occhi stanchi, si grattò la barbetta mentre parlava.
“Oh, Francis!” Antonio gli mostrò la busta, e il volto di Francis si fece scuro. “Quindi… partirete.”
 Antonio si avvicinò verso di lui “C’è qualche problema?” Gli provò a poggiare una mano sulla spalla, ma Francis la spostò.
“Nulla, nulla.” Scrollò le spalle “Significa che io me ne tornerò in Inghilterra senza di te.”
“Vai via?” Ludwig intervenne subito. Francis spostò lo sguardo verso di lui e poi di nuovo verso Antonio.
“Torno da Jeanne.” Disse semplicemente. Antonio lo guardò intensamente negli occhi e Francis tornò dentro. Guardò Ludwig per un conforto, ma lui alzò solo le spalle e scosse la testa. Antonio raggiunse il suo amico. “Francis.” Lo seguì fino alla camera di Gilbert e Ludwig dove si stava preparando a tornare a dormire “Sei arrabbiato con me?” gli chiese, mentre gli guardava le spalle.
“No.” Francis si voltò e sorrise “Solo che…” si fermò, poi prese un lungo respiro e tornò a parlare “In realtà qui ce la stavamo spassando.”
Antonio inarcò un sopracciglio “Sì, certo, ma prima o poi saremo dovuti andare via.”
Francis annuì “Hai ragione.” Si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla “Forse avevo solo paura di tornare a casa.”
“Che intendi?” Antonio poggiò la sua mano su quella di Francis.
“Sai… il matrimonio, il lavoro.” Francis sospirò “Le cose diventeranno serie e non avrò più il tempo di divertirmi.” Sorrise e poi abbracciò l’altro “Mi mancherai Antonio.”
“Anche tu!” rispose abbracciandolo anche lui.
“Ora se non ti dispiace, avrei un riposino da continuare.” Francis si lanciò sul letto, Antonio rise e lo lasciò solo nella stanza. Sobbalzò quando nel corridoio trovò Gilbert che aveva appena finito di fare la spesa. “Ehy.” Antonio disse, l’altro fece un cenno con la testa. Antonio lo seguì in cucina.
“Allora Berwald e Tino ti hanno dato più soldi del solito, eh?” Gilbert disse mentre posava i vari alimenti nei mobili della cucina di legno.
 “Sì, grazie mille Gilbert.” Gli disse.
“Di nulla.” Gilbert continuava a posare i barattoli “Dopotutto lo stai facendo per mio fratello.”
Antonio iniziò a parlare “Penso partiremo dopodomani, prima andiamo, meglio è!”
“Perché vai sempre via all’improvviso Antonio?” Gilbert lo prese di sorpresa con quella domanda, e i suoi occhi lo scrutarono. Antonio rimase senza parole.
“Cosa c’è di così importante? Perché devi andare via ora? Perché sei andato via la prima volta?” Gilbert gli fece tante domande senza mai spostare il suo sguardo. Antonio pensò che, entrambe le volte, la ragione era Lovino.
“Non posso parlartene.” Disse serio e si allontanò dalla stanza. Stava per uscire quando tornò indietro. “Gilbert perché te la prendi tanto?” i suoi occhi gli erano addosso, mentre invece Gilbert lo ignorava e continuava a svuotare le buste della spesa. “Gil, rispondi.” Antonio ripeté e poi aggiunse “Ascolta, non voglio che il nostro ultimo discorso sia una litigata.”
“Me la prendo perché non capisco.” Gilbert sbatté una bottiglia sul tavolo. Finalmente guardò di nuovo Antonio, ma lui non riusciva a decifrare cosa Gilbert stesse provando in quel momento. Antonio prese un respiro e cercò qualcosa da dire “Io e Ludwig ti vogliamo bene.” Si avvicinò “Solo perché non ci vedremo non vuole dire che non ci vorremo bene.”
Gilbert si poggiò al tavolo e sospirò. “Dovrei lasciarlo andare.” Disse. Antonio inarcò la testa “Ludwig intendo.” Si guardò le mani pallide e iniziò a giocare con le maniche della maglia “Ricordi quando morì mio padre?”
Antonio chiuse le palpebre e con un respiro disse “Sì, certo.” Il giorno in cui arrivò la lettera, e tutti i bambini rimasero sconvolti e Lovino pianse in camera con lui.
“Io da quel momento ho avuto il bisogno di proteggere Lud. Sai, a 10 anni l’unica sicurezza che hai è tuo padre… e poi all’improvviso lui muore e tu non capisci nemmeno perché.” Gilbert parlava a testa bassa.
Antonio rispose subito “Gilbert, tuo padre è morto proteggendo quello a cui teneva. La sua è stata sicuramente una morte onorevole.” Disse, ripetendo quello che aveva sempre sentito dire sui morti di guerra.
“Non c’è nessun onore nel morire.” Gilbert disse sottovoce, in tono aspro. “Scusa non dovrei dire queste cose. Sono solo preoccupato per Ludwig, come fratello e come amico non ho mai fatto granché.” Scosse la testa.
 “Hai fatto moltissimo per lui e anche per me.” Antonio sorrise “Non preoccuparti Ludwig ritornerà sano e salvo, ormai è abbastanza grande.”
“E tu ritornerai?” Gilbert gli chiese. Antonio deglutì e spostò lo sguardo. Se Lovino avesse voluto, sarebbe rimasto in Italia… altrimenti?
“Non lo so.” Rispose sinceramente.
 Fece Gilbert “Dovresti iniziare a pensare prima di fare le cose.” Abbozzò una risata “Basta con queste smancerie, su vai da mio fratello, avete delle valigie da preparare.”  Gilbert adesso rideva di gusto e spinse Antonio fuori dalla cucina.

***

Optarono per un viaggio in treno, erano più sicuri riguardo al tragitto dato che Feliciano aveva spiegato ogni minimo particolare a Ludwig nella lettera. Non ebbero il tempo di avvertire i fratelli, quindi decisero di fare una sorpresa.
Il viaggio durava circa 19 ore, partirono intorno le 16, quindi avrebbero dormito in una delle cabine del treno e sarebbero arrivati la mattina dopo al paese del nonno di Lovino e Feliciano. Per gran parte del viaggio Ludwig lesse un libro, oppure appuntava qualcosa che avrebbe potuto aggiungere nel suo romanzo. Antonio lo osservava studiare il libro che stava leggendo, sottolineava, si appuntava le parti più belle, si appuntava il modo di scrivere dell’autore. Antonio non fece molto, si annoiò anzi. Ludwig non era mai stato un gran chiacchierone, quindi non riuscivano a portare una discorso avanti per molto tempo.
Quando Ludwig chiuse il suo taccuino andò a riaprire il libro alla pagina dove lo aveva lasciato.
“Ludwig.” Antonio lo chiamò prima che iniziasse a leggere.
“Ah.. Sì?” la voce bassa di Ludwig rispose subito.
“Cosa stai leggendo?” Antonio gli chiese indicando il libro, Ludwig glielo mostrò.
“Addio alle armi.” Rispose.
“Non ci hanno fatto un film l’anno scorso?” Antonio aveva infatti sentito probabilmente da Arthur quel titolo.
Il volto di Ludwig sembrò illuminarsi “Sì! Lo conosci?”
“Ah… no, non l’ho visto.” Scosse la testa e sapendo più cosa aggiungere, non parlò più. Ludwig quindi tornò ad immergersi nella lettura. Antonio sospirò in modo rumoroso, magari così avrebbe ottenuto l’attenzione dell’altro, ma nulla. Quindi decise di parlare un’altra volta. L’unica cosa che gli venne in mente furono i fratelli Vargas.
“Quindi tu e Feliciano siete molto uniti?” chiese in modo disinvolto. Iniziò a domandarsi se c’era un modo per capire se Ludwig fosse come lui. Era una domanda che si era fatto troppo spesso. Ludwig rispose in modo tranquillo “Siamo amici d’infanzia dopotutto.” Tornò al suo libro, ma Antonio lo interruppe nuovamente.
“Solo per questo motivo?” chiese di nuovo, cercando in qualche modo di far aprire Ludwig anche se sarebbe stato impossibile. L’unico modo per far in modo che questo accadesse sarebbe stato dire a Ludwig quello che Antonio provava per Lovino, ma se invece Antonio si stesse sbagliando? Non poteva rischiare tanto.
“Non capisco cosa stai cercando di dire, Antonio.” Ludwig disse inarcando un sopracciglio.
Antonio rispose subito agitato, avvicinandosi con il busto “No, intendevo… Sai sembrate davvero molto”
Ludwig lo interruppe prima che potesse finire la frase “Non ho niente da dire al riguardo, e non voglio affrontare questo discorso.” Disse in modo diretto. Antonio si zittì, si rimise composto, quasi spaventato dal tono di Ludwig e capì che non era più il caso di toccare l’argomento.

Quando la sera arrivò andarono verso la cabina e la dormita in treno per Antonio fu stranissima, sentiva il letto che continuava ad ondeggiare e a tremare, si svegliò infatti un paio di volte, mentre invece Ludwig sembrò dormire come un sasso.

La mattina alle otto Ludwig era in piedi e svegliò anche Antonio, mancavano tre ore al loro arrivo. Tornarono verso i vagoni per sedersi sui sedili. Ludwig non stava più leggendo, né scrivendo, osservava dal finestrino, ma non profanò parola. Anche Antonio non parlò quasi mai, anche se per lui era molto difficile, ma preferì soffermarsi a immaginare come sarebbe stato il suo incontro con Lovino. Immaginò ogni possibile scenario, ogni minima espressione facciale che avrebbe potuto assumere e la sua gamba cominciò ad agitarsi per il nervosismo.

Un’ora.

Mezz’ora.

“Cominciamo a prendere i bagagli.” Disse Ludwig. Antonio annuì e presero le loro valigie. Antonio aveva il volto contro il finestrino mentre cercava di guardare che tipo di paese fosse. Quando scesero, rimasero entrambi abbastanza delusi da quanto potesse essere piccola e spoglia la stazione. Si avviarono e per un momento si sentirono persi. “Dove dovremmo andare adesso?” Antonio chiese, e questo gli ricordava molto l’arrivo di lui e Francis in Germania.
“Sulla lettera c’è un indirizzo, seguiamo le strade.” Disse Ludwig prendendo la lettera dalla tasca della giacca. La mostrò ad Antonio e lui alzò le spalle “Mi affido a te e Feliciano.”
Si avviarono e camminarono per un po’, trasportando le valigie. “Non ci sono taxi qui?” disse Ludwig.
“Non credo in un posticino del genere.” Rispose Antonio, guardandosi attorno. In effetti quel paese non era nulla di particolare.
Dopo un po’ passarono il cuore del paese, il centro storico e arrivarono verso la strada di campagna. Il paese iniziava a popolarsi alle dieci del mattino. Dai campi si vedeva la gente lavorare in lontananza e dai tetti delle case le donne si affacciavano per stendere i vestiti e parlavano fra di loro.
Si guardarono attorno “Dobbiamo chiedere a qualcuno.” Antonio suggerì a Ludwig, che invece continuava a rimuginare sull’indirizzo scritto sulla lettera. “Lì, c’è una pasticceria.” Indicò, si avviò e l’altro lo seguì a ruota. Quando entrarono trovarono una ragazza che metteva in ordine delle focacce e dal vassoio le fece scivolare in delle ceste. “Buongiorno” disse in italiano e si voltò a guardare i clienti.
Ludwig diede una spinta ad Antonio per far parlare lui. “Uhm, ciao.” Era forse l’unica cosa che sapeva dire in italiano “Conosci l’inglese?” le chiede speranzoso. Il volto della ragazza sembrò illuminarsi “Sì! Poco!” rispose subito. Allungò una mano e disse “Emma!” e iniziò ad osservargli con attenzione il volto, come se cercasse di capire se lo conosceva. Antonio strinse la mano della ragazza.
“Uhm… ecco.” Iniziò a parlare “Cerchiamo i Vargas. Li conosci?”
Lei annuì velocemente, poi si coprì la bocca con le mani e fece un volto di sorpresa e disse “Antonio?” il suo nome in un accento italiano sembrava suonare strano, solo Lovino e Feliciano lo dicevano in quel modo. Antonio si guardò con Ludwig e gli disse “La conosci?” spaventato. Ludwig scosse la testa. Antonio tornò a guardare la ragazza e sbatté velocemente le palpebre. “Sì… Sono io.”
Lei rise di gusto “Lovino!” esclamò e Antonio si bloccò. “Lovino, vuole vederti.” Il suo accento era terribile, ma Antonio capì. Lovino e questa ragazza si conoscevano, e avevano parlato di Antonio insieme. Lovino quindi voleva vederlo? Antonio arrossì e rise anche lui, la ragazza sembrava non riuscire a contenere l’emozione. Uscì fuori e i due ragazzi la seguirono. Emma gli spiegò la strada nel modo migliore, poi guardò Antonio e rise di nuovo. Antonio, prima che lei potesse rientrare, la fermò e le diede un abbraccio. Lovino si era fatto degli amici allora.
Ludwig, mentre si avviavano, confessò ad Antonio “Non ho capito nulla di quello che è appena successo.”
Antonio esplose in una risata “Se devo essere sincero nemmeno io!” poi disse “Non vedo l’ora.”
“Anche io.” Ammise Ludwig.

Si trovarono davanti ad una casa circondata da campi, si poteva vedere accanto ad essa un orto curatissimo, con vari tipi di piante, mentre nella parte davanti erano state piantate aiuole e fiori, era un giardino davvero curato. Un albero, un pesco probabilmente, era nel piazzale davanti con ormai le foglie autunnali secche che iniziavano a cadere e riempivano anche la strada. Lessero il nome e videro la scritta “Vargas” Antonio e Ludwig si guardarono per qualche secondo per capire se quello che stava succedendo era reale. Antonio osservò ancora un po’ la casa, troppo spaventato, e tornò ad immaginare a come sarebbe stato l’incontro con il suo adorato Lovino. Mentre scrutava ogni angolo, ancora fermo fuori, vide dalla finestra una figura con i capelli castani, lisci. Che sembrava stesse parlando con qualcun altro. La figura si voltò e i loro occhi si incrociarono. Non c’era dubbio, quelli erano gli occhi verde chiaro, ora spalancati, di Lovino, che rimase paralizzato alla finestra alla vista di Antonio.






---Angolo dell'autrice--- 

Ok, il capitolo è più lungo del solito, ops. 
Prima che possiate chiedere, si Svezia e Finlandia hanno una piccola parte perché non potevo non inserire my gay sons. 
Come al solito vi invito a lasciare una recensione se volete e ci sentiamo alla prossima!

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Italia, 1958
ottobre

La figura di Lovino, immobile alla finestra, rimase lì per qualche interminabile secondo. In quel poco tempo ad Antonio sembrò che il tempo avesse cessato di correre. Le sue labbra formarono un sorriso, e quando Lovino si spostò dalla sua vista, iniziò a sentire di nuovo i rumori del mondo reale e tutto era tornato alla normalità. Ben presto i fratelli Vargas uscirono dalla porta. Feliciano fu il primo ad urlare e a correre verso Ludwig. Si strinsero per poco mentre Feliciano rideva. Antonio si avvicinò a Lovino, che lo osservava dal portico di legno. “Ciao.”  La voce di Antonio era emozionata e tremolante, con un sorriso stampato sul volto, mosse le braccia per abbracciare Lovino, ma Feliciano gli saltò sulla schiena. “Antonio che sorpresa!” urlò. Antonio iniziò a ridere, ma nel frattempo continuava a guardare Lovino. Il suo aspetto era cambiato, sembrava più maturo, ma la sua faccia continuava ad essere perfettamente liscia come quella di un bambino. Lovino era arrossito e lo fissava come se volesse dirgli qualcosa. Antonio spostò la sua attenzione su Feliciano, che ora teneva Ludwig per un braccio e inondava entrambi di domande. Quando tornò a guardare il portico, Lovino ormai non era più lì.
“Penso sia andato ad avvertire il nonno.” Feliciano gli disse.
“Oh… capisco.” Antonio disse con delusione. Avrebbe voluto salutarlo per bene. Sul portico si presentò presto la figura di un uomo, doveva essere il nonno. L’uomo incrociò le braccia e osservò entrambi.
“Cosa sta succedendo qui?” disse verso i nipoti. Lovino era nascosto dietro di lui, gli sguardi di Antonio e Lovino si incrociarono per un istante e poi l’italiano iniziò ad osservare il nonno. “Sono nostri amici.” Disse Feliciano con leggerezza.
“Lovino.” Il nonno si girò e spostò il nipote avanti a lui. Lovino sbuffò.
“Antonio e Ludwig.” Li indicò uno alla volta. Antonio sorrise in modo stupido quando lo sentì parlare, non sentiva la sua voce da tanto tempo e gli era mancata. “Erano nell’orfanotrofio con noi, in Inghilterra.” Gli sembrò più bassa in realtà.
Il nonno tornò a guardarli e Antonio riusciva a sentire che anche Ludwig era spaventato, eppure fu il primo a parlare. “Ci scusi l’intrusione.” Allungò una mano “Ludwig Beilschmidt e Antonio Carriedo, siamo venuti a trovare Feliciano e Lovino, dato che siamo amici di infanzia, se non è un prob-”
Il nonno lo interruppe “Non c’è bisogno di essere così formali.” Scoppiò a ridere, mentre Ludwig arrossì. “Entrate dentro, vi faccio un caffè.”
Antonio guardò verso Ludwig, completamente rosso “Sembra simpatico.” Gli sussurrò e Ludwig sembrò riprendersi dall’imbarazzo. Mentre entravano in casa il nonno disse “Beilschmidt hai detto?”
“S-sì.” Rispose Ludwig. Antonio rimase all’ingresso e osservò intorno a lui, nel frattempo sentiva gli altri discutere e Feliciano prendere i bagagli di Ludwig. Lovino andò verso Antonio, per prendergli la valigia.
Antonio gli sussurrò “Ehy.” Lovino si avvicinò sempre di più e iniziò a parlare anche lui a bassa voce “Come sei arrivato qui anche tu?”
“È una storia lunga.” Gli rispose e poggiò la mano su quella di Lovino, sulla maniglia della valigia. Lovino guardò verso la cucina, quando tornò ad Antonio finalmente lo guardò negli occhi.
“Smettila.” Gli sussurrò mentre spostava la mano “Il nonno e gli altri-”
Antonio mise la mano in tasca e gli disse “Volevo vederti.” Rimase ad osservare la mano snella di Lovino sulla valigia, e poi tornò a studiargli il viso, e i loro nasi erano così vicini da potersi quasi toccare. Le guance di Lovino erano diventate color porpora, tornò a guardare il pavimento.
“Lo so.” Gli rispose. Guardò di nuovo verso la cucina “Non fare cose strane.” Aggiunse. Si allontanò e Antonio rimase ad osservarlo mentre camminava. Arrivò dove c’era un tavolo grande da pranzo.
“Ho già sentito quel nome.” Il nonno stava parlando con Ludwig. Antonio osservò la scena mentre si accomodava sulla sedia di fronte al tedesco. Il nonno si voltò e diede le spalle alla caffettiera che faceva rumore sui fornelli. “Qualche parente andato in guerra?”
“Mio padre.” Rispose Ludwig con voce seria.
“No, no, troppo giovane” disse scuotendo la testa “Tuo padre avrà l’età di mio figlio.” Schioccò le dita “Tuo nonno?”
Ludwig annuì, Antoni notò che quando l’uomo non lo guardava, ne approfittava per scambiare qualche sguardo con Feliciano.  Il nonno iniziò a ridere “In effetti sei uguale!”
“Lei… conosceva mio nonno?” disse sbalordito.
“Sì, sì, quel tipo strano, con i capelli lunghi, sempre così formale.”
Feliciano si immischiò nella conversazione e andò a sedersi accanto a Ludwig “Non è una bellissima coincidenza?”
“Altroché!” il nonno rispose mentre metteva il caffè nelle tazze. Antonio notò che Feliciano e Luwdwig si guardavano invece in modo tenero. Era lo stesso sguardo che aveva lui quando vedeva Lovino… le sue supposizioni non erano sbagliate. Quando il nonno tornò con le tazze e lo zucchero i due ragazzi si ricomposero. “Lui conosce la storia del mio soprannome.” Aggiunse il nonno, guardando verso il nipote.
“Posso saperla?” Feliciano chiese.
“Neanche per sogno!” poggiò il vassoio sul tavolo e offrì a Ludwig e Antonio la bevanda.
“Qual è il suo soprannome?” chiese Antonio, curioso dopo aver sentito tutto. Vide con la coda dell’occhio Lovino spuntare nella stanza, e poi lo vide passare per prendere un bicchiere d’acqua in cucina. 
“Roma.” Disse. Antonio scosse la testa e lo guardò.
“come?”
“Il mio soprannome è Roma, chiamatemi così, il mio vero nome invece è Julius Vargas.” Rispose. Si voltò e notò Lovino in cucina “Che stai facendo lì? Vieni con noi.” Lovino guardò prima Antonio e poi di scattò tornò a suo nonno. Antonio sentiva un’aria strana, come se tutto fosse teso. Lui e Lovino volevano parlarsi disperatamente, ma con il nonno presente sarebbe stato impossibile e sembrava lo stesso anche per Ludwig e Feliciano. Lovino sbuffò e si avvicinò con il bicchiere in mano. Il nonno lo strizzò con un braccio e poi gli pizzicò una guancia “Fa sempre così, ma lo sapete già, lo conoscete da prima di me, no?”
Antonio rise e annuì e sentì il piede di Lovino colpirgli il ginocchio. Lasciò il nipote “Io devo uscire, devo preparare un pranzo più abbondante del solito.” Si allontanò “Divertitevi nel frattempo.” poi sentirono la porta sbattere.
“Come vi è saltato in mente di presentarvi così all’improvviso?” Lovino si rivolse ad Antonio e Ludwig che sobbalzarono quando lo sentirono urlare.
“Non abbiamo avuto il tempo di avvertirvi.” Antonio spiegò “Avevamo abbastanza soldi e volevamo partire subito.”
Lovino sbuffò e si mise una mano sul volto “Santo cielo.”
Feliciano si alzò e andò accanto al fratello “Aiutami a prendere quella vecchia brandina, altrimenti dove dormiranno?” cambiò discorso e portò Lovino dall’altra parte della casa.
“Cosa ti fa pensare che il nonno li farà rimanere, non abbiamo tutto questo spazio.” Antonio e Ludwig sentirono la voce di Lovino infastidita in lontananza, dopo un po’ i due fratelli iniziarono a discutere, ma le voci sparirono.
“Andiamo a controllare?” Ludwig chiese, non sapendo che cosa fare in quel momento.
“Non saprei.” Rispose l’altro. Si guardarono per qualche secondo poi Antonio sorrise “Sono contento che ce l’abbiamo fatta.”
Ludwig annuì mentre si alzava per raggiungere gli italiani.
“Grazie mille.” Antonio gli disse quando gli passò accanto.
“Di cosa?”
“Di avermi portato qui con te.” Rispose tranquillamente. Ludwig si grattò il collo e sorrise lievemente.
Feliciano e Lovino misero la brandina accanto al divano, quello che si trovava in un’altra stanza accanto all’ingresso.
“Volete vedere la casa?” disse Feliciano rompendo il silenzio. I due annuirono. Feliciano saltellò da Ludwig e lo trascinava sotto braccio, ogni tanto faceva domande a raffica e parlava di argomenti di ogni tipo con Antonio che rideva trovandolo buffo. La casa non era molto grande e non aveva nulla di particolare, si addiceva ad un uomo che aveva vissuto da solo per tutti quegli anni.
“Come ha reagito vostro nonno?” chiese Antonio, mentre Feliciano gli stava mostrando il portico di casa. “Quando vi ha visti intendo.” Si sentiva il rumore del vento che muoveva le foglie del pesco quasi appassito del tutto. Ogni tanto, ad intermittenza, invece si sentiva il suono di una foglia secca che veniva spostata.
“Lui… era contento di vederci credo.” Rispose Feliciano “Ci aveva visti poche volte quando eravamo piccoli, eppure il suo affetto nei nostri confronti è autentico. È stato molto calmo, non ha dato di matto e non ha fatto nessuna storia.”
“Sembra una persona che sa quello che fa.” Notò Ludwig.
“Lo è.” Lovino rispose, con le braccia incrociate poggiato alla porta con la schiena. Feliciano gli sorrise. Dovevano essersi molto affezionati al nonno.
“Vi faccio vedere il giardino!” Feliciano esplose quando realizzò che non aveva ancora fatto vedere la parte più bella ai suoi ospiti. Tirò Ludwig per il braccio destro e iniziò a descrivergli tutte le piante e i fiori che aveva fatto crescere. Antonio rimase dietro e aspettò accanto al tavolo che Lovino entrasse.
“Vai con loro, o ti perderai la spiegazione su ogni minimo dettaglio di Feliciano.” Disse con fare scocciato, cercando di non guardare in faccia Antonio.
“Voglio parlarti.” Gli disse sinceramente “Mi dispiace per come mi sono comportato l’ultima volta che ci siamo visti.” Continuò e Lovino alzò gli occhi al cielo.
“Non ne voglio parlare, lascia perdere.” Si allontanò e Antonio gli prese la mano.
“Sei arrabbiato con me?”
“Ti ho già detto che non lo sono più.” Antonio sentì il suo cuore iniziare a tamburellare quando le dita di Lovino si intrecciarono con le sue.
“Lovi…” Antonio abbassò la voce e Lovino lo guardò “Le cose non sono cambiate per me, da quella volta.” Parlava dei suoi sentimenti, non c’era bisogno di specificare, si erano già capiti. Non sentendolo lo rispondere continuò “Se la cosa è un problema andrò via.”
“No.” Gli rispose subito e la sua voce tremò. Le loro mani erano strette e Antonio avvicinò Lovino per abbracciarlo. Con il volto nascosto nel petto di Antonio disse “Devi restare.” E Antonio tornò a sorridere. Lovino aveva le mani sulla schiena di Antonio, e lui invece con una mano gli accarezzava i capelli castani.
Fratello!” Feliciano lo chiamò dal giardino e Lovino si allontanò in fretta.
“Arriviamo!” Lovino gli urlò in risposta e poi tornò ad Antonio. “Tu sai di quei due?”
Antonio non si aspettava quella domanda, quindi rimase per qualche secondo un po’ perplesso “C-credo di sì.” In effetti era quasi impossibile non capire.
Lovino grugnì e Antonio fece un passo indietro. Sembrava agitato “Non mi piace questa situazione.”
Antonio alzò le spalle “Non hanno fatto nulla di male, Lovi…”
“Sì, ma…” l’ansia nelle sue parole era palpabile “Se mio nonno, intendo… se lo scoprisse nessuno sa che cosa potrebbe dire o fare.” Gesticolava parecchio. 
“Non succederà nulla, stai tranquillo.” Antonio gli poggiò una mano sulla spalla.
Lovino gli puntò un dito contro “Tu non fare cose strane.” Gli ripeté “A quell’uomo non sfugge nulla.”
Antonio accennò una risata “Sei troppo paranoico.” Spostò la mano dalla spalla al volto, ma Lovino lo fermò.
“Sono queste le cose che non dovresti fare.” E tornarono seri entrambi.
“Lovino, cosa state facendo? Vi stiamo aspettando.” Feliciano parlò in italiano, ma Antonio capì che li stava chiamando. Mentre li raggiungevano di fuori, non profanarono parola.

***

Quando il nonno tornò fecero un grande pranzo, in più Roma si mostrò molto cordiale nei confronti di Ludwig e Antonio. Lovino non aspettava in realtà un comportamento del genere. Decisero che sarebbero rimasti lì per un po’ di meno, e Lovino iniziò seriamente a domandarsi dove quella situazione avrebbe portato.
Antonio e Ludwig gli spiegarono come si erano incontrati, a Lovino sembrò assurdo. Sembrò assurdo l’incontro con Arthur quando lo venne a sapere all’orfanotrofio, ma la storia di Francis e Gilbert era ancora peggio. Era incredibile come un susseguirsi di eventi li avesse riportati ad incontrarsi.
Feliciano nel pomeriggio propose di fare una passeggiata. Quando uscirono Feliciano e Ludwig volevano raggiungere la campagna, mentre Antonio e Lovino andarono dalla parte opposta. Per qualche ragione quei momenti gli ricordarono gli anni in Inghilterra, ma questo non gli fece provare nessun tipo di sollievo. Osservò le figure di Feliciano e Ludwig allontanarsi e andare verso gli alberi dalle foglie secche e ingiallite che riempivano la campagna e pensò fra sé e sé, che avrebbe visto il fratello allontanarsi con Ludwig per sempre molto probabilmente.
“Lovi…” la voce di Antonio lo fece trasalire.
“Cosa c’è?” rispose in tono quasi scorbutico. Antonio stava indicando il centro del paese, e con gli occhi innocenti aspettava che Lovino gli rispondesse. “Sì, andiamo.”
Lovino scoprì che i pomeriggi d’autunno in Italia erano i suoi preferiti. Il caldo non era insopportabile e non faceva nemmeno troppo freddo. Era un tempo mite, in modo particolare verso il tramonto, e per qualche motivo lo faceva sentire bene. Ad ogni passo si sentiva una foglia scricchiolare sotto le suole delle loro scarpe, un rumore che Lovino adorava.
“Sono contento di essere venuto fino qui.” Antonio gli disse. Ogni volta che gli parlava il suo cuore sussultava. Quando rideva ancora di più. Ma la cosa che preferiva era scoprire Antonio ad osservarlo con un sorriso, quello gli provocava un dolore nel petto, e Antonio lo fece quasi per tutto il tempo mentre erano a casa, durante il pranzo e mentre il nonno raccontava le sue storie agli ospiti. Lovino si voltò a guardarlo, ma non fu capace di rispondere, alzò solo le spalle. Sentì una mano poggiarsi sulla spalla, e il braccio di Antonio dietro la testa. Antonio lo avvicinò a sé mentre camminavano per il paese. Lovino gli pizzicò la mano e le sue guance bruciarono. “Piantala!” gli disse e accelerò il passo, Antonio scoppiò in una risatina.
“Quindi non ti infastidisce proprio la situazione?” disse come se volesse stuzzicarlo.
“Che cosa?” Lovino fece il finto tonto, ma aveva capito Antonio a che cosa voleva arrivare.
Antonio indicò prima se stesso e poi l’altro “La situazione.”
Lovino chiuse gli occhi e strinse le mani in due pugni “Ovvio che mi infastidisce.”
Antonio ridacchiò da solo “Quindi anche tu…”
Si voltò e gli punto un dito contro la faccia prima che potesse finire di dirlo “No!”. Antonio aveva incrociato gli occhi al centro per guardare il dito di Lovino. No, non gli avrebbe dato nessuna soddisfazione, non lo avrebbe ammesso ad alta voce. Pensava fosse una cosa stupida, che se lo avesse ammesso avrebbe fatto la figura dell’idiota. Lui non era come Feliciano, non era come nessun altro, non poteva permettersi di convivere con un tale imbarazzo per il resto della sua vita. “Andiamo con gli altri.”
Antonio fece per parlare “Ma… ”
“Andiamo con gli altri.” Ripeté Lovino, non poteva sopportare di stare da solo con Antonio un minuto di più. Antonio lo osservò mentre passava accanto a lui e gli scrutò ogni particolare, Lovino se ne accorse e il suo petto iniziò a dolere.

Per qualche motivo non riuscirono a trovare Feliciano e Ludwig da nessuna parte.
“Ma dove si saranno cacciati?” Lovino borbottò.
“Saranno tornati a casa.” Antonio disse alzando le spalle “Andiamo anche noi.”
“Tu credi?”
“Oppure si sono allontanati, non conviene seguirli se non sappiamo neppure dove sono.”
Lovino tornò a guardare la strada di campagna, in effetti c’erano troppe vie che andavano in luoghi diversi, era inutile mettersi a cercarli. La sua mente poi iniziò a vagare sul perché si fossero allontanati… e preferì smettere subito per il suo bene. Sperava proprio che Feliciano non avesse fatto sciocchezze simili.

***

Una settimana era passata. Antonio e Ludwig dormivano a rotazione sul divano e sulla vecchia brandina. Alcune notti sentiva Ludwig alzarsi, e a volte gli sembrò di
sentire la vocina di Feliciano ridere. Avrebbe voluto fare lo stesso con Lovino.

Le giornate scorrevano veloci, si diedero tutti da fare per dare una mano in casa. Roma, zoppicante, dava un compito ad ognuno di loro e alcune volte Antonio doveva portare fino al mercato con Lovino alcune verdure da dover vendere. In paese iniziarono a riconoscerlo, Lovino sembrava invece conoscere tutti, o almeno sembra che tutti conoscessero lui. Chi per pettegolezzo, chi per sentito dire, sapeva che casa di Roma si era animata con i suoi nipoti e altri due ragazzi.
Quando Lovino gli fece incontrare Emma, una mattina in cui andarono insieme a prendere la colazione, lei gli spiegò di come aveva indirizzato lei Antonio a casa Vargas. Passavano bel tempo tutti e tre insieme, anche se spesso era Lovino a dover fare da interprete per far comunicare Antonio e Emma. Era successo un paio di volte che mentre tornavano a casa dalla pasticceria Antonio era riuscito a prendere la mano di Lovino per gran parte del tragitto. Un pomeriggio Antonio andò a comprare delle sigarette e Lovino gli chiese “Me ne dai una?” lui gli rise in faccia scoprendo quanto fosse dipendente dal fumo, mentre lui era solo un fumatore occasionale.
Per ultima cosa, la situazione fra Antonio e Lovino era strana, ma non spiacevole. Alcune volte, quando erano da soli e molto vicini, Antonio sentiva una specie di tensione e quando Lovino si voltava a guardarlo la tensione saliva e si chiedeva se anche l’altro potesse avvertirla. Il problema era che ogni volta che Antonio provava a parlargli seriamente, Lovino lo liquidava o cambiava discorso.

La sera andavano a dormire sempre dopo le undici o mezzanotte, di solito Roma li abbandonava molto prima.
Quella sera Ludwig e Feliciano erano tremendamente stanchi, dopo aver lavorato nell’orto tutto il giorno. (Era il periodo in cui bisognava occuparsi delle zucche) Entrambi decisero di andare a dormire subito dopo cena, o meglio, subito dopo aver visto Carosello, perché Feliciano non poteva perdersi nemmeno una pubblicità. Antonio e Ludwig lo guardavano riuscendo a capire forse un quarto di tutto quello che veniva detto, ma dopotutto era divertente guardare quei cartoni animati. Dopo quei dieci minuti Feliciano si alzò in piedi sbadigliando “Allora io vado!” e si avviò verso la camera da letto. Ludwig invece andò a coricarsi dopo aver augurato la buonanotte a tutti. Roma poi guardò Antonio e Lovino “Voi due che volete fare?”
“Che ne so, che c’è in televisione?” e si spostò, allungandosi dove prima c’erano Feliciano e Ludwig.
“Qualche film credo.” Roma si mise comodo sul divano. Lovino alzò le spalle e rimase sdraiato.
Avrebbero passato la serata a guardare la televisione.
Roma crollò sul divano, e Antonio lo osservò mentre gentilmente veniva svegliato da suo nipote “Nonno, nonno, vai a letto. Mi senti?” quello si svegliò e scompigliò i capelli di Lovino.
Vado, vado.” Gli rispose e zoppicando si allontanò. Antonio gli osservò la gamba e poi gli chiese “Come te lo sei fatto?”
Roma lo guardò, ancora intontito dal sonno. Sorrise “Prima guerra mondiale.” Disse quasi fiero, prima che potesse iniziare a raccontare qualche storia Lovino lo interruppe “Buonanotte, nonno.”
Lui sbuffò “Buonanotte!” e Antonio gli augurò altrettanto.
Lovino spense la televisione “Vuoi vedere una cosa?” Antonio pensò di dover cogliere la rara occasione, non sempre quel ragazzo si comportava in quel modo, annuì. Lovino sparì per poco e tornò con una chitarra. Antonio osservò lo strumento di legno attentamente, sembrava che fosse stato lucidato da poco. “Suoni la chitarra?” gli chiese sorridendo.
“Più o meno.” Lui rispose alzando le spalle, avvicinò la chitarra ad Antonio. “Il nonno ha detto che era di mio padre.”
“Voglio sentire come la suoni!” Antonio gli disse entusiasta e Lovino arrossì. “Andiamo fuori, così non sveglieremo Ludwig.” Quando guardò però oltre Lovino, nella stanza difronte, dove si trovava il divano, la brandina, un tavolino da the rovinato e il camino, notò che Ludwig non c’era più. Lovino dovette accorgersi dall’espressione di Antonio che qualcosa non andava.
“Figlio di puttana.”  Disse in italiano appena si voltò e notò l’assenza del tedesco. Antonio non aveva idea di quello che Lovino avesse detto, ma sembrava arrabbiato.
“Credi che sia andato…” provò a dirgli. Lovino lo guardò infuriato.
“Spero sia solo in bagno.” Si avviarono nel corridoio, dove la porta del bagno era aperta, e si vedeva chiaramente che in quel momento era libero. Lovino e Antonio si guardarono con esitazione, entrambi preoccupati, ma per qualche motivo la situazione fece scoppiare Antonio a ridere e Lovino se ne dimenticò presto aggiungendo “Se la sbrigheranno da soli.” Poi aggiunse “Immagina il nonno quando li vedrà nel letto domani mattina.” E quello fece scompisciare Antonio.
“Andiamo comunque fuori.” Si era ripreso dalle risate. Lovino assentì e si avviarono con la chitarra. Sul portico faceva abbastanza fresco, tanto che Antonio rientrò in casa per portare delle felpe. Indossavano entrambi ancora gli abiti che avevano portato per tutta la giornata. Antonio una tuta e una maglietta bianca, Lovino dei jeans con una maglietta rossa infilata in essi. A piedi nudi sul legno si sedettero e fecero scricchiolare il pavimento. Lovino non si preparò per suonare, anzi, poggiò la chitarra fra loro due e dalla tasca dietro del jeans sfilò una sigaretta e un accendino. Antonio lo guardò mentre teneva la sigaretta fra le labbra e con una mano copriva la fiamma che si accendeva dal vento. Quando fumava sembrava anche più grande di lui.
“Perché mi fissi?” gli fece posando l’accendino “Ne vuoi una?” poi ne sfilò un’altra, aveva una specie di scorta a portata di mano. Antonio rifiutò, non gli andava molto.
“Arthur smise di fumare perché diceva che di quel passo si sarebbe ammalato.” Iniziò a parlare. “Francis invece non sembrava esserne interessato, ho fumato troppe sigarette nel periodo che sono stato in sua compagnia.”
Lovino si chiuse nelle spalle “Io ho iniziato lo scorso anno, all’orfanotrofio.”
“Che cosa?” Antonio esclamò “E dove le prendevi?”
“Le compravo di nascosto quando la signorina mi mandava a fare le faccende in paese.” Rispose quasi soffocando una risatina.
“Pensavo fossi un bravo ragazzo!” Antonio lo prese in giro e rise di gusto. “Tu e Emma come vi siete conosciuti?” s’informò poi.
“Cercavo casa nel nonno, come te in pratica.” Parlò mentre teneva la sigaretta fra il pollice e l’indice, poi se la riportò alle labbra.
“Dovremmo fare più cose insieme.” Propose “Sai cosa dovremmo fare?” schioccò le dita “Andare al cinema!”
Lovino rise un pochino, goffamente “Non c’è un cinema qui, Antonio. E poi tu non capiresti nulla, i film sono in italiano.”
“Capirò da quello che vedo.” Lo rassicurò. Antonio nel frattempo aveva cambiato posizione e si era seduto con le gambe incrociate “Sono andato solo due volte al cinema, con Arthur.”
“Non possiamo andare, non abbiamo la macchina e nemmeno la patente.” Lovino continuava a trovare motivazioni “E Emma non può andare da sola con due ragazzi al cinema.”
“Perché? Che problema c’è?” Antonio inclinò la testa.
“Il padre si arrabbierebbe a morte, una ragazza che esce con due ragazzi verrebbe presa per una poco di buono.”
“Ma noi e Emma…” provò a parlare, ma Lovino troncò la sua frase.
“Non importa, non cambieranno idea.” Disse lui rammaricato. Antonio gli fece un segno con la mano e Lovino gli passo la sigaretta. Fece un tiro e poi la rimandò all’altro, le loro dita si sfiorarono e il verde dei loro occhi si incontrò, Lovino poggiò le labbra dove le aveva poggiate Antonio poco fa. Per qualche motivo dopo quello si creò di nuovo quella strana tensione. Antonio tossì e cercarono di non guardarsi. “Quindi… tuo nonno cosa faceva prima?”
“Non lo so.” Rispose schiarendosi la gola, diede l’ultimo tiro alla sigaretta e poi la lanciò via. “Non parla molto di sé.”
“E come fate con i soldi?” Antonio era seriamente curioso sulla situazione. Roma era un personaggio singolare. Un uomo di 60 anni che ne dimostrava almeno 20 in meno, e che ne aveva passate di tutti i colori nel corso della sua vita. Non lo avrebbe mai dimenticato.
“Mangiamo quello che coltiviamo, e sono le stesse cose che vendiamo al mercato.” Lovino iniziò a spiegare “So che prima aveva un negozio, ma non ne parla. In ogni caso non si allontana molto da casa.”
Tornarono a guardarsi “Comunque ha una certa età, non ha nessun motivo per uscire a perder tempo.”
“No, io credo che non si allontani da casa da dopo… la morte di mio padre.” Disse lui un po’ preoccupato “Come se lo sentissi, ne sono sicuro.” Si poggiò una mano sulla spalla e le sue guance assunsero il colore delle rose “Sembro un idiota, fai finta che non abbia detto nulla!” si affrettò a dire e prese la chitarra, poi guardò Antonio. Lui gli sorrise, per fargli capire che non pensava fosse un idiota, lo trovava adorabile e intelligente, probabilmente lui non aveva la metà della sua intelligenza. Lovino iniziò a pizzicare le corde, ma Antonio lo fermò di nuovo.
“Cosa ti piacerebbe fare… come lavoro?” gli chiese “Hai così tanti talenti.” Lovino sapeva disegnare, gli piaceva scrivere, aveva imparato a suonare e Antonio sapeva che aveva una bella voce, lo pensava da quando erano bambini.
“Non lo so.” Rispose lui, le sue guance ancora più porpora “E poi non sono bravo in nulla.” Antonio non rispose, Lovino sapeva che pensava l’esatto contrario, non c’era bisogno di dirlo. Gli fece un cenno con la mano per invitarlo a suonare e Lovino chiese “Che cosa dovrei suonare?”
“Quello che vuoi tu.” Antonio rispose distrattamente, mentre gli osservava le dita lunghe muoversi sul legno lucido. Lovino guardò lontano per qualche secondo, poi tornò allo strumento.
“Questa canzone non puoi conoscerla, ma mio nonno l’ascolta quasi sempre praticamente.” Disse iniziando a pizzicare le corde dolcemente, poi si fermo in modo brusco “Però non sono bravo, quindi…”
Antonio scosse la testa “Vai.” Gli fece un cenno con la mano e lo calmò. Erano anni che non sentiva Lovino cantare, lo aveva in realtà sentito solo alcune volte, perché si vergognava troppo, ma Antonio ricordava che trovava la sua voce particolarmente interessante. Era più bassa rispetto a quella di Feliciano, forse proprio per questo la preferiva.
Lovino si gonfiò il petto di aria e riprese di nuovo a muovere gentilmente le dita, ogni tanto sbagliò, Antonio se ne accorse, ma non disse nulla. Lovino aprì la bocca.
“Penso che un sogno così non ritorni mai più
Mi dipingevo le mani e la faccia di blu”

Antonio sentì un brivido fino alla schiena quando udì la voce di Lovino, non si aspettava che avrebbe effettivamente cantato, si aspettava piuttosto di essere mandato a quel paese. Lovino continuava a muovere le dita.
“Poi d'improvviso venivo dal vento rapito
E incominciavo a volare nel cielo infinito.”

Smise per un momento di suonare e guardò Antonio negli occhi, che gli sorrise.
“Volare oh, oh
Cantare oh, oh, oh
Nel blu dipinto di blu
Felice di stare lassù
E volavo, volavo felice più in alto del sole
Ed ancora più su
Mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù
Una musica dolce suonava soltanto per me…”

Mentre suonava quella parte commise qualche errore e dovette fermarsi e riprendere a suonare. Ad un certo punto Antonio vide gli angoli della bocca di Lovino inarcarsi, stava sorridendo mentre cantava.
“Ma tutti i sogni nell'alba svaniscon perché
Quando tramonta la luna li porta con sé…”

Poi si fermò e guardò la chitarra “Come cazzo era?” disse con voce stizzita. “Ah sì!”
“Ma io continuo a sognare negli occhi tuoi belli
Che sono…blu?”
Tornò a guardare Antonio e poi di nuovo le sue mani “...come un cielo trapunto di stelle.”
Finì di suonare e di cantare e poi poggiò la chitarra di nuovo accanto a lui. Si toccava i polpastrelli delle dita, ancora non era abituato e dopo aver suonato sentiva dolore in quel punto.
Antonio sentiva il suo cuore battere veloce, Lovino sembrava ancora più bello mentre suonava, non avrebbe mai dimenticato quella scena. “La tua voce…”
“Non era granché?” chiese subito, quasi sulla difensiva.
“No, no” Antonio rise “Sei bravissimo, Lovi.”
Lovino sgranò gli occhi e arrossì ovviamente. Rimasero per poco ad osservarsi, la tensione era alle stelle. Antonio cercava qualcosa da dire, mentre invece Lovino pensò di avvicinare il suo volto e di stampargli un baciò sulle labbra. Antonio lo osservava con tanto d’occhi. Lovino si allontanò in fretta e rimasero immobili ancora per poco.
“L-Lovino io credevo che…” Provò a dire qualcosa di sensato, ma non riuscì. Dallo sguardo dell’altro sembrava che si stesse vergognando e Antonio capì cosa doveva dire “Credevo che non ti saresti mai deciso!” e rise un po’ imbarazzato per quello che aveva detto. In realtà voleva dirgli che pensava che ormai Lovino non provasse più niente del genere e che i loro baci erano solo dei ricordi lontani. L’altro si coprì il voltò, ma Antonio gli spostò la mano e questa volta fu lui a baciarlo. Per un momento Lovino rimase fermo, poi sentì la lingua scivolargli in bocca, e le labbra si schiusero. L’unica persona che avesse mai baciato Antonio era lui, quando erano bambini, ma quello era nulla in confronto. Notò con piacere che ad ogni tocco Lovino reagiva in modo differente, mentre a lui veniva la pelle d’oca ogni qual volta le mani snelle dell’altro gli accarezzavano il collo. Ben presto rimasero senza fiato, e non si resero nemmeno conto di come era potuto succedere.
Ansimò “Non qui fuori.” Gli disse e lo fece sedere di nuovo composto, non si erano accorti che erano finiti uno sopra l’altro sul legno scricchiolante.
“Scusa!” disse subito e si alzò in piedi. Non riusciva a togliere gli occhi di dosso a Lovino. Lo prese per mano e lo alzò, si avvicinò di nuovo e gli diede un bacio sulla guancia, Lovino ricambiò con uno all’angolo della bocca. Andarono dento e Lovino si poggiò al tavolo, Antonio lo raggiunse e ripresero. La sua testa girava veloce, e tutto era confuso, non esisteva più nulla, solo loro due. Non riuscendo più a contenersi provò a togliere la maglia di Lovino.
“No.” Gli disse, schiaffeggiandogli le mani.
“Non vuoi…?” Antonio sentì un’ondata di vergogna, si era forse montato la testa?
“No… cioè sì!” sentendogli dire quello sprofondò la testa nel collo di Lovino che subito disse “N- non possiamo, gli altri potrebbero sentirci!” disse sussurrando e con il fiatone.
Antonio smise di baciarlo e tornò a guardarlo. “Quindi dobbiamo fermarci?”
Lovino era completamente rosso in volto, non rispose, chiuse le gambe attorno ad Antonio e lo avvicinò a sé. Gli indicò il divano nell’altra stanza e Antonio capì. Andò con l’altro in braccio fino al divano, stando attenti che non spuntasse nessuno dal corridoio, mentre continuavano a baciarsi. Si sdraiarono delicatamente sul divano in pelle finta, che fece parecchio rumore anche se agirono cautamente. Quando finalmente iniziarono a togliere i pantaloni, Lovino gli disse “Ma tu sai come si fa?” Antonio gli aveva quasi sfilato i jeans.
“Sì...” ammise, incerto.
Lovino nel frattempo aveva messo le mani attorno al collo di Antonio, che invece lo stava spostando in modo da rendere l’atto più facile. Erano completamente avvinghiati uno all’altro, quando Antonio si avvicinò per un bacio, Lovino lo interruppe. “Lo… hai fatto altre volte?” nella sua voce, un po’ tremolante, si riusciva a sentire la paura di una risposta positiva.
“No.” Gli sorrise, era la verità. Negli occhi verdi di fronte a lui vide qualcosa brillare. “Però se continui a fare domande rovinerai tutto!” rise imbarazzato. E Lovino si coprì il volto con le mani.
 “Dannazione. Non era così che la immaginavo la prima volta con te.”
Il petto di Antonio si gonfiò “La… prima volta la immaginavi con me?” i pantaloni di Lovino erano finiti ormai sul pavimento. In quel momento sentirono un rumore, proprio quando Antonio era tornato al collo di Lovino e lui gli aveva affondato le mani nei ricci. La porta nel corridoio si era aperta, era quella della camera da letto.
“Antonio, levati di dosso!” Lovino gli sussurrò all’orecchio e lo lanciò nella brandina accanto al divano. La schiena di Antonio urtò contro il materasso scomodo e vide per un momento le stelle. Sentiva il palato asciutto e il cuore in gola. Cercò di fretta i jeans scoloriti di Lovino e glieli lanciò. Videro la luce accendersi e Lovino disse, senza emettere quasi alcun suono “Che cazzo fai?” scaraventò il pantalone dietro di lui. Prese la coperta ai suoi piedi e se la mise addosso. “Copri quello tu!” sbottò.
Antonio scosse la testa “Eh?” e poi si guardò tra le gambe “Oh!” esclamò mettendosi la coperta fino al petto. I passi dal corridoio iniziarono a diventare più vicini, Lovino spense la luce accanto al divano e fecero entrambi finta di dormire.
Antonio aveva gli occhi serrati, era come quando facevano finta di dormire da bambini e non volevano farsi scoprire dalla signorina. Sentì qualcuno andare verso la cucina e versarsi dell’acqua in un bicchiere, dopo alcuni secondi la figura si spostò. Quando i passi furono lontani, e la porta si chiuse di nuovo. Nel buio Antonio si voltò e disse “Chi era? Non ho visto nulla.”
“Mio nonno, idiota.” Lovino disse seccato. Riusciva a vederne solo la sagoma.
Antonio, un po’ imbarazzato da quello che era successo “Vogliamo continuare o ...?”
“Non ci pensare nemmeno!” non poteva vederlo, ma dalla sua voce sembrava tremendamente imbarazzato e arrabbiato, quindi dovette lasciar perdere.
Deluso disse “Va bene, buonanotte Lovi.” Si voltò dall’altro lato, ma non riuscì a dormire prima di un’altra ora almeno. Non riusciva a darsi pace, ripensò a tutto quello che era appena accaduto, e come fosse accaduto, aveva studiato ogni espressione di Lovino e tutte quante gli rimasero impresse nella mente per tutta la notte. Ora il problema era capire come avrebbero dovuto comportarsi la mattina dopo.






---Angolo dell'autrice---
Il capitolo doveva essere più lungo, ma poi sarebbe stato TROPPO (Tipo un 20 pagine invece di 10)quindi ora la storia durerà un capitolo in più rispetto a quanto avevo stabilito, piango.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Italia, 1958
Ottobre

Una delle mattine più imbarazzanti della sua vita.
Lovino non riusciva a credere a quello che era successo la sera precedente, non che non lo volesse, ma si conosceva fin troppo bene… come avrebbe guardato di nuovo Antonio negli occhi tranquillamente?

Si svegliò presto, con il mal di pancia, e sentendo un po’ di freddo, la sera iniziava a fare fresco e lui aveva dormito solo con le mutande. Andò alla ricerca dei suoi jeans, sapeva di averli lanciati dietro di lui, ma non sapeva dove fossero effettivamente finiti. Si sporse dal bracciolo del divano solo con il petto e li trovò nascosti dietro una piantina che il nonno teneva accanto al divano, ma della quale non si prendeva particolarmente cura. Li infilò, cercando di non fare rumore. Se avesse svegliato Antonio sarebbero stati solo loro due, dato che tutti stavano ancora dormendo. Osservò, mentre infilava una gamba nel pantalone, Antonio che dormiva beatamente. Aveva un braccio sopra la testa, e aveva scoperto una gamba. Riusciva a notare la barba che stava per spuntare sotto il suo mento e lungo la sua mascella. In realtà gli donava, ma Lovino lo preferiva con la faccia liscia. Si alzò e andò verso il bagno, ma lo trovò occupato. Si affacciò nella camera da letto e notò Feliciano e Ludwig ancora a letto, il biondo nel punto dove di solito dormiva Lovino, aveva preso il suo posto. Feliciano stava sorridendo, mentre Ludwig aveva una faccia seria, anche da addormentati non cambiavano molto. Non riusciva a vedere invece se il nonno era sveglio oppure era ancora a letto da quel punto. Sentì il rumore dello scarico e Roma apparve sulla porta del bagno. In uno sbadiglio disse “Oh, Lovino, sei già sveglio.”
“Sì… ho mal di pancia.” Era la verità, probabilmente era la paura che il nonno potesse averli sentiti e la paura di dover affrontare un discorso serio con Antonio.
Il nonno rise “Vedi di non otturare il bagno allora.” Lovino alzò gli occhi al cielo e l’altro si avviò verso la cucina “Preparo un caffè ad entrambi.”
“Va bene.” Gli disse tranquillamente e poi andò in bagno. Si preoccupò di chiudere la porta a chiave, un’azione che per qualche ragione non piaceva a suo nonno. Diceva che se fosse successo qualcosa mentre loro erano in bagno, lui non avrebbe potuto soccorrerli, ma a Lovino non interessava e la chiudeva ogni volta. Si soffermò a guardarsi allo specchio, ispezionò con attenzione il collo per controllare che Antonio non avesse lasciato alcun segno. “Che imbecille.” Si lanciò dell’acqua fredda in faccia per togliersi dalla mente Antonio che gli baciava il collo, convinto che a tratti lo avesse anche leccato, sentì improvvisamente un dolore fra le gambe. Alzò la testa per vedersi con l’acqua sgocciolare fino al mento e sospirò rumorosamente. Si asciugò, aspettò qualche secondo e poi uscì fuori.
“Hai chiuso a chiave.” Commentò il nonno quando Lovino apparve accanto al tavolo. Nel frattempo lui aveva dato un’occhiata ad Antonio che mormorò qualcosa e si girò dall’altro lato.
“Lo so.” Lovino gli rispose sedendosi al tavolo. Il nonno gli aveva già tagliato del pane e aveva portato la marmellata a tavola. Iniziò a mangiare pane e marmellata e Roma gli servì il caffè.
“Non voglio che chiudi a chiave.” Mormorò.
“Lo so.” Ripeté di nuovo “Me lo ripeti ogni volta.” E gli sorrise, forzatamente.
Lovino masticava in silenzio, mentre l’altro aveva già iniziato a bere il suo caffè con calma. “Spiegami una cosa.” Lovino alzò lo sguardo dal tavolo e guardò il suo interlocutore. “Perché quel tizio è lì.” E indicò Antonio nell’altra stanza “Mentre l’altro è nella nostra camera.”
Una mollica fece strozzare Lovino. Tossì un po’ e poi si riprese “Ce lo siamo domandati anche noi ieri sera.” Iniziò. Doveva trovare un modo per giustificare quei due idioti. “Io credo che mi abbia fregato il posto perché avrebbe dormito in un letto più comodo.” Disse. Poi aggiunse “Ha approfittato del fatto che lui e Feliciano sono andati a dormire prima.” I suoi occhi tornarono al pane e alle briciole sul tovagliolo.
Il nonno alzò le spalle e non tornò al suo caffè “Sarà.” Disse dopo aver bevuto l’ultima goccia. Nella sua voce c’era qualcosa di strano, Lovino riusciva a sentirlo.
 “Tu quando sei andato a cambiarti?” parlò con la bocca piena di pane.
“Cosa?” Lovino inarcò un sopracciglio.
“Indossi i jeans.” Roma notò “Quando hai cambiato il pigiama, non ti ho sentito.”
Lovino arrossì, perché gli venne in mente la faccia di Antonio mentre gli toglieva quegli stessi pantaloni la sera prima. “Ah…” poggiò la sua tazzina.
Nella sua mente passarono gli occhi di Antonio con uno scintillare particolare, si era passato la lingua fra le labbra mentre aveva lasciato atterrare i pantaloni sul pavimento. “Mentre eri in bagno.” Finì di spiegare. Scosse la testa e Antonio svanì dalla sua mente.
“Sei un po’ agitato.” Gli disse il nonno, con della premura nel suo tono.
“Ho mal di pancia, te l’ho detto.” Mentì.
Il nonno gli sorrise e si alzò da tavola. Quando il nonno passò, Lovino notò subito Antonio in piedi. La maglia e la tuta in disordine, dopo la dormita. I capelli erano ancora più indomabili del solito. Sorrise a Lovino quando i loro occhi si toccarono, lui girò la faccia. Il nonno lo vide solo con la coda dell’occhio e si girò di scatto emettendo un sibilo. “Antonio!” poi disse “Non ti avevo sentito.”
Antonio, con aria stordita gli disse “Buongiorno.” Lovino ora lo stava guardando, e vide il suo sorriso autentico. Roma fece per andare in cucina, poi fece un passo indietro.
“E tu quando sei andato a cambiarti?”
Lovino si coprì con una mano e cercò di bere il suo caffè, alzò la faccia solo per vedere Antonio rispondere “Ah… sì.” Poi si indicò i pantaloni “La tuta intendi?!” stava ancora sorridendo, ma per il nervosismo.
“Sì, la tuta. Io e Lovino non ti abbiamo sentito per nulla.”
“Io sì.” Disse subito Lovino. Lui e Antonio si scambiarono un’occhiata nervosa. “L’ho sentito andare verso la stanza e cambiarsi.”
“Sì, proprio poco fa.” Antonio rise “Possibile che tu non mi abbia sentito?”
Roma, preso alla sprovvista, scosse la testa turbato “Bha, sono davvero diventato vecchio.” E tornò in cucina. “T-ti preparo la colazione allora.” Gli disse “Che vuoi?”
“Del latte andrà bene.” Antonio si era seduto di fronte a Lovino. Gli sussurrò, un po’ imbarazzato “Tutto bene?”
Lovino incrociò le braccia e roteò gli occhi. No, non andava tutto bene, la zona fra le sue gambe non aveva mai fatto così male, tutto perché la sera prima gli era passato per la mente di baciare Antonio. Non sapeva neanche lui perché l’avesse fatto, aveva sempre resistito, sempre. Era come se la tensione che avvertiva ogni volta che erano da soli fosse esplosa in quel momento. Forse aveva ripensato a quando il nonno gli disse che si canta solo per le persone speciali e questo lo aveva fatto ragionare molto. “Chiudi il becco.” Fu l’unica cosa che riuscì a rispondere. Il nonno tornò con il latte per Antonio che gli sorrise in modo cordiale e Lovino adorava guardarlo così. Quando Roma sparì di nuovo Antonio gli chiese “Non vuoi parlarne?”
“No.” Con una risposta secca chiuse il discorso. Antonio tornò al suo latte e lui andò sul divano. Antonio bevve la sua tazza e quando la finì emise un suono, come di compiacimento e si andò ad accomodare accanto a Lovino.
“Fai schifo, come fai a bere tutto quel latte così velocemente.” Parlava sinceramente.
“Dovevo fare in fretta, prima che torni Roma.” Gli mise una mano sul ginocchio.
“Eh?” Lovino emise, e Antonio gli diede un bacio. In uno scocco veloce era già finito. Antonio premette il naso contro il suo, poi rise e si allontanò in tempo per quando Roma era tornato, si era andato a cambiare. Tornò trovando Antonio ridere e Lovino che lo picchiava forte sulla schiena, alzò le spalle e li lasciò perdere.

***

Erano passate due settimane da quell’evento. Lovino non permise mai ad Antonio di parlare dell’argomento, e in tutto quel periodo non si toccarono, non si baciarono e non provarono a rifarlo mai più. A Lovino a volte veniva in mente e in quei momenti l’unica cosa da fare era chiudersi in bagno. Per qualche motivo il coraggio di affrontare una cosa del genere gli mancava. Non riusciva nemmeno a comprendere perché Antonio ci tenesse così tanto, non lo meritava affatto. Alcune notti riuscivano a passarle insieme, si incontravano in cucina, dopo essersi svegliati per andare a bere o al bagno, oppure andavano a dormire tardi. Lo facevano semplicemente per parlare, oppure per stare in silenzio, ma insieme. Lovino notò, oltretutto, con piacere che Ludwig non andò più a dormire nel suo letto. Anche se la notte sapeva che lui e Feliciano perdevano tempo in giro per la casa, quando ne parlò con il fratello gli disse che quello era l’unico momento in cui potevano stare da soli, quando però gli fece notare che anche lui e Antonio facevano la stessa cosa, finirono con il litigare.

“Voglio partire con Ludwig.” Gli disse all’improvviso mentre erano nell’orto. Ludwig e Antonio erano dall’altra parte della casa ad aiutare il nonno a potare un albero accanto alla casa.
“Cosa?” gli chiese Lovino. Erano accovacciati nel terreno, avevano parlato fino a quel momento solo di sciocchezze, i discorsi preferiti di Feliciano, poi all’improvviso uscì con quella frase.
“Parto con Ludwig.” Ripeté. Lovino aveva capito perfettamente, ma sperava di essersi confuso. “Andiamo in Germania.” Disse con la sua vocina e si alzò in piedi. Lovino si sfilò la sigaretta dall’orecchio, la poggiava lì per averla a portava di mano, e con un fiammifero la accese. Si trovarono uno di fronte all’altro.
“E quando lo abbiamo deciso?” gli disse con la sigaretta fra i denti. Feliciano con la mano scostò il fumo e tossì.
“Mi dai fastidio quando fai così.” Gli disse, con fare quasi infantile. “Lo ho deciso io, con Ludwig, qualche giorno fa.”
“Feliciano...” Farfugliò mentre si teneva con le dita le tempie “Non capisco di cosa stai parlando.”
Il fratello brontolò “Io e Ludwig ce ne andiamo, in Germania.”
“Siete venuti fin qui per non stare con Gilbert.” Lovino non capiva, che cosa aveva in testa quello stupido di suo fratello.
“Sì, ma… Ludwig vuole tornare, gli manca, e io voglio stare con lui.” Disse reggendosi la manica della camicia vecchia e larga.
“No.” Lovino gli disse, con un dito poggiato contro il petto “Non andrai con lui.”
“Lovino, non te lo sto chiedendo!” Feliciano fece, quasi alzando la voce. “Andremo a stare insieme da Gilbert e poi troveremo una casa e andremo a vivere lì.” Lo guardò negli occhi nocciola, Feliciano ormai non era più così innocente, ormai era diventato un adulto anche lui. A Lovino tornò in mente il momento in cui quella coppia lo portò lontano da lui, dall’orfanotrofio, ripensò a tutto quello che Elizabeta gli aveva detto e ripensò a quando gli disse “Prenditi cura di Feliciano.”
“Non puoi farle questo.” Gli sibilò. Feliciano lo guardò confuso e lui continuò “Elizabeta, lei si fida di me.” Quasi gli faceva scendere le lacrime ammettere una cosa del genere, qualcuno che si fidava di lui, che gli dava importanza “Io le ho promesso di stare con te, non puoi andare via senza dirle nulla.”
“Come posso dirle che voglio partire con Ludwig?”
Lovino lanciò la sigaretta nella terra e la lasciò affogare nel terriccio. “Non andrai.”
“Ma…” iniziò a piangere. Si tratteneva la camicia con la mano salda.
“Tornerà lui se volete stare insieme.” Quando vedeva il fratello piangere non riusciva a trattenersi, ma quella volta doveva farlo. Feliciano si pulì il volto con una mano e la terra si impastò con le lacrime, si allontanò e andò verso casa, passando dalla porta della cucina. Lovino contemplò per qualche momento la porta sbattere e poi alzò uno sguardò al cielo.
“Ma che cazzo volete tutti da me?” urlò a qualcosa di invisibile fra le nuvole “Non posso fare tutto io! Non ce la faccio, non ce l’ho mai fatta!” Calciò il terreno e fece alzare della polvere, tornò al lavoro che il nonno gli aveva chiesto di svolgere, svogliatamente e con mille pensieri nella testa.

***

Novembre, 1958

Ormai da cinque giorni Feliciano parlava raramente con Lovino, furioso perché il fratello non gli aveva dato il permesso di partire. A Lovino non interessava, o almeno così credeva.
Si stavano dirigendo da Emma, in quel pomeriggio freddo di novembre, nel giro di un’ora avrebbe fatto subito buio. Le ombre di Antonio e Lovino, lungo la strada, si erano infatti allungate e tutto aveva assunto sfumature arancioni e viola scuro. Lovino calciava qualche sassolino lungo la strada, Antonio con le mani nelle tasche del pantalone gli domandò “Qualcosa non va, non è vero?”
Lovino non rispose, sapeva che prima o poi Antonio avrebbe capito senza che gli avesse detto nulla.
“È successo qualcosa con Feliciano? Sembrate strani ultimamente.” Antonio si sporse in avanti per comparire nel campo visivo di Lovino.
“Sai che Ludwig torna in Germania?” gli chiese invece di rispondere alla domanda.
Antonio smise di camminare e si fermò dietro Lovino, il quale si girò per trovarsi faccia a faccia con l’altro. “Ludwig parte?” Aveva tolto le mani dalle tasche.
“Già.”
“Perché non me ne ha parlato?” chiese quasi offeso.
“Probabilmente perché voleva partire solo con Feliciano.”
Antonio sembrò illuminarsi “Per questo avete litigato?”
“Io non voglio che vada, mi sembra ovvio.” Lovino sbottò, sapeva di avere ragione, ne era convinto. “E lui non dovrebbe essere arrabbiato con me, dopo tutto quello che ho fatto per lui… per questa stronzata ora si sta comportando da bambino!” Confessò ad Antonio tutto quello che pensava. Lovino aveva fatto di tutto per fare in modo di tornare a vivere tutti insieme come una famiglia normale, e questo era il ringraziamento. Antonio riprese a camminare.
“Capisco…” poi aggiunse “Hai detto queste cose a Feliciano?”
“No.” Ammise con un po’ di vergogna “Potrebbe anche arrivarci da solo, ormai ha una certa età!”
Antonio fece una risatina “Certo, certo.”
Avevano ripreso il loro passo normale e ormai erano vicini alla pasticceria di Emma. Lovino, prima di entrare, si voltò a guardare Antonio. Nascose il naso nella sciarpa leggera quando il vento si alzò e gli chiese sottovoce “È colpa mia, vero?” preso quasi dal panico. Era abituato a darsi sempre la colpa.
Antonio intenerito si avvicinò a Lovino “No, no, certo che no Lovi.” E strinse la sua testa vicino al petto “Tranquillo.”
Lovino aveva le guance in fiamme e non aggiunsero più nulla. Antonio sapeva sempre cosa dirgli.
Emma aprì la porta di colpo “Insomma, volete entrare?” urlò in inglese e rise come non mai quando li vide sobbalzare per la paura. Emma aveva ormai imparato alcune frasi, ma comunque Lovino doveva fare da interprete. Quando entrarono Emma stava vendendo dei grissini ad una signora anziana, che Lovino non conosceva, ma lei lo salutò comunque. Quando uscì Emma mise le braccia attorno Antonio e Lovino “Che si fa oggi?” e si tolse il grembiule.
“Stai lasciando il negozio?” Lovino la fermò mentre stava per lanciare oltre il bancone il suo grembiule.
“Sì!” lanciò il panno “Tim! Pensaci tu qui, va bene?” urlò e si avvicinò verso il bancone. “Mi hai capito?”
“Sì, ho capito.” Tim apparve oltre la porta. Era un ragazzo alto e biondo, con i tratti molto simili a quelli di Emma. Aveva una sigaretta in bocca, e Lovino si domandò se la stava fumando mentre era nella sala dove preparavano i dolci e il pane. Guardò con aria diffidente Lovino e Antonio “Che vai a fare?” e tornò alla sorella. Lei sorrise “Una passeggiata, andiamo al bar forse.” Disse lei. Lovino notò che Antonio lo guardava confuso e questa cosa lo fece quasi ridere.
“Ti porto qualcosa?” gli chiese, lui rispose quasi immediatamente “Una birra.”
Mentre uscivano dalla porta iniziò a farle varie raccomandazioni fra cui “Se ti vedono in giro con due ragazzi e papà lo viene a sapere sarà furioso.” Non sorrideva molto, ma il modo in cui parlava con lei era affettuoso. Lei annuì e uscirono.
“Che facciamo?” chiese Antonio a lei sorridendole. Lei capì e rispose subito.
“Passeggiata!” e si avviò camminando in mezzo ai due. Indossava una camicia e una gonna lunga fino alle caviglie, con la giacca e la sciarpa, tutti colori accesi, e la gonna era evidentemente sporca di farina. Quando entrarono nel bar Emma andò ad ordinare e rimase ferma a parlare con delle ragazze sedute al bancone che indicavano verso Antonio e Lovino ridacchiando fra loro. Lovino arrossì quando una delle due gli fece un cenno con la mano, una con i capelli ricci. Quando Antonio se ne accorse si spostò accanto a Lovino.
“Se dovesse chiedertelo… andrai con Ludwig?” gli chiese, ripensando al discorso che avevano avuto prima e a Feliciano. I loro volti erano molto vicini e Lovino parlava con la voce calma e bassa.
“No.” Rispose Antonio. “Voglio restare qui.” Ammise lui passandosi una mano fra i ricci “Con te.” Le guance di Lovino andarono di nuovo in fiamme. Poi guardò il bancone e rise quando notò che Emma stava per far cadere le bevande che aveva preso. Notò però che Antonio non gli aveva tolto gli occhi di dosso.

***

Antonio aiutò Ludwig a preparare la valigia, mentre i fratelli Vargas si occuparono si smontare la vecchia brandina. Dalla stanza dove c’erano i due italiani non si sentì volare una mosca, Feliciano continuava a non volergli parlare.
Antonio aveva il compito di prendere gli abiti piegati e ordinati perfettamente da Ludwig dal letto per metterli nella valigia. Oltre i suoi vestiti dovette posare il taccuino con gli appunti per i suoi scritti e alcuni libri. Antonio lo osservò mentre riordinava delle camicie. Aveva un profilo scolpito perfettamente e i suoi occhi piccoli e azzurri sembravano assenti mentre guardavano le camicie davanti a loro.
“Ludwig.” Antonio lo chiamò e l’altro sembrò tornare al presente. Gli tolse le camicie dalle mani e le mise dentro “Abbiamo finito.” Continuò.
“Oh, sì.” Ludwig disse vagamente, ripose vari oggetti e poi chiuse il suo bagaglio “Grazie mille.” Abbozzò un sorriso e fece per uscire dalla stanza.
“Feliciano non dovrebbe prendersela con Lovino.” Gli disse, mentre il biondo gli dava le spalle. Rimase così per qualche secondo e Antonio aggiunse “E neanche tu.”
Ludwig non si mosse, eretto e immobile come una statua. Era come se con quella frase Antonio gli avesse conferito di essere a conoscenza di tutto. Si prese un momento per pensare poi guardò Antonio, quasi stupito. Antonio gli sorrise “Non date la colpa a Lovino. Lui ha sempre fatto del suo meglio.” Con quello sperava che anche Ludwig capisse la sua situazione. Il tedesco fece solo un cenno con la testa, poi aggiunse “Non ce l’ho con lui.” lo rassicurò. “Io so tutto quello che ha fatto Lovino.” Lo disse con una vena di affetto nella sua voce.
Antonio poi si avvicinò e gli prese una parte dei bagagli “Ti aiuto io.” E andarono verso la porta. Sul portico c’erano Lovino e Feliciano ad aspettarli. Feliciano lo avrebbe accompagnato fino alla stazione e poi sarebbe tornato a casa da solo. Ludwig poggiò i bagagli sul legno e entrò dentro per salutare Roma, prima degli altri. Li sentirono parlare per due o tre minuti, durante i quali Antonio notò che una pellicola di sudore stava riempendo la fronte di Feliciano nonostante il freddo, “Non preoccuparti.” Antonio gli sussurrò con dolcezza e questo lo fece sorridere. Sentirono finalmente la rumorosa risata del nonno, sembrava veramente divertito, Ludwig uscì più pallido di prima. Antonio gli diede una pacca dietro la schiena “Ci vediamo allora, Lud.” Rise brevemente, Ludwig rispose sorridendo educatamente e con un semplice “A presto.”
Salutò Lovino con una stretta di mano, sembrò che si sorrisero sinceramente. Antonio non sapeva che, mentre lui ormai non c’era più all’orfanotrofio, Lovino e Ludwig erano diventati molto più amici di quanto ricordasse. Quando i due si allontanarono, Ludwig con la valigia più pesante e Feliciano con il bagaglio più leggero, Lovino sospirò “Speriamo non gli venga in mente di scappare.” Con braccia incrociate.
Antonio rise “Ludwig non glielo lascerà fare, tranquillo.”
Si guardarono per un attimo, Lovino si bagnò le labbra, provò a parlare ma decise di tornare in casa. “Fa freddo.” Ammise.
Più tardi Feliciano tornò a casa, rimase in camera, sul letto, quasi tutto il giorno. Le poche volte che lo videro uscire dalla stanza i suoi erano gonfi e rossi.

***

Dicembre, 1958

Antonio si andò a sedere sul divano, dove Lovino era seduto ad imparare qualche nuova canzone con la chitarra. Era pomeriggio inoltrato, ormai dalla finestra si vedeva già il cielo buio. Il nonno era uscito con Feliciano, per andare in farmacia. Antonio infatti aveva dormito quasi tutta la mattinata a causa dei sintomi influenzali che aveva.
“Levati di torno, o la mischierai anche a me.” Gli disse spostando la chitarra. Antonio invece si accomodò meglio e poggiò la testa sulla spalla di Lovino.
“Dopo vi ripagherò per le medicine.”
Lovino alzò gli occhi al cielo “Ma sta zitto.” Antonio sorrise con gli occhi socchiusi. Il naso gli bruciava parecchio ed era convinto che fosse completamente rosso e screpolato.
“Vuoi qualcosa per natale?” gli chiese Antonio.
L’albero era già stato fatto verso la prima settimana di dicembre. Il nonno aveva un vecchio albero minuscolo e solo poche decorazioni da metterci sopra. Dichiarò di non fare l’albero da tanti anni ormai, e nessuno fece domande sul perché.
“No.” Lovino rispose facendo un cenno con la testa.
“Potrei comprarti qualcosa io.”
“Non mi serve nulla.”
Antonio alzò la testa e si trovò di fronte a Lovino. Provò a baciarlo, ma Lovino gli poggiò le dita sulle labbra per spostarlo.
“Non vuoi?” gli chiese imbarazzato per quello che aveva fatto. Lovino ci pensò un attimo e disse “Mi ammalerò di questo passo.” E si alzò in piedi.
Antonio avrebbe voluto approfittare volentieri di un’occasione come quella, ma Lovino non voleva saperne e non poteva certo costringerlo. Pensò di voler finalmente parlare seriamente dell’argomento, invece si addormentò sul divano a causa della febbre senza rendersene conto.

***

Mancava una settimana a natale, i piani erano già stati stabiliti: la mattina in chiesa, poi a casa per il pranzo di Natale e si doveva restare in famiglia tutto il giorno. Non avevano familiari lì, i genitori e la sorella del nonno non avevano potuto vedere nemmeno l’arrivo degli anni ‘50.
Il nonno non frequentava quasi per nulla la chiesa, ma diceva che delle festività era un obbligo andarci. A Lovino l’idea di dover festeggiare il natale non interessava molto. Era solo un giorno come gli altri in cui si mangiava di più. Non aveva nemmeno voglia di passarlo con il fratello che non avrebbe fatto altro che lamentarsi per tutto
il tempo perché probabilmente la Germania avrebbe avuto qualche paesaggio innevato bellissimo, mentre in Italia avevano solo alberi secchi e piante morte.

Lovino si svegliò più tardi del solito, sorpreso che il nonno non fosse andato a disturbarlo di prima mattina. La gola gli bruciava e quando provò a parlare uscì molto più rauca. Nel letto accanto a lui mancava suo fratello, dal corridoio non proveniva nessuna voce invece. Quando uscì dalla stanza trovò suo nonno che spazzava in cucina.
“Buongiorno.” Tossì e cercò di schiarirsi la gola.
“Ti sei ammalato anche tu adesso.” Rise il nonno. Lovino si guardò attorno.
“Dove sono tutti?”
Il nonno alzò le spalle “Volevano farsi entrambi una camminata immagino.” Poggiò la scopa al mobile della cucina. “Prendi la cesta con i panni da lavare e vai al lavatoio pubblico stamattina.”
Lovino sbuffò “Non possiamo prendere una bacinella e riempirla d’acqua. Ti prego non farmi andare lì.” Il nonno gli aveva affidato il compito due volte prima di allora. Il lavatoio, oltre ad essere il luogo dove tutti in paese andavano a lavare i propri vestiti, era un luogo per i pettegolezzi delle signore e le ragazze del paese. Arrivato lì avresti sicuramente saputo chi avrebbe dovuto sposarsi in primavera, chi era incinta oppure chi era scappata con il proprio fidanzato per sposarsi. Insomma, le donne portavano le loro figlie, e stavano lì a starnazzare mentre lavavano. Era un ambiente che aveva messo a disagio Lovino e avrebbe preferito non tornarci più. In casa loro avevano (miracolosamente) l’acqua corrente, probabilmente il nonno aveva fatto in modo di averla così da non doversi ritrovare a fare quello che facevano solo le donne in paese, ma quando i vestiti da lavare erano troppi dovevano raggiungere il lavatoio.
“Piantala di lamentarti e sbrigati, altrimenti farai tardi, c’è un sacco di roba da lavare.” Lo sgridò il nonno.
Lovino uscì di casa coprendosi al meglio la gola, con entrambe le braccia manteneva la cesta pesante e camminò lentamente pensando a dove potessero essere andati Antonio e Feliciano. Dovette andare in direzione del paese e girare verso la via vecchia, quindi raggiunse un vicolo dove si trovava il famigerato lavatoio. Era tutto in marmo e riunite attorno ad esso c’erano già alcune signore intente a chiacchierare. Quando Lovino si avvicinò e lasciò cadere la cesta, riposando momentaneamente le braccia, le vide squadrarlo da capo a piedi. Fece un cenno con la testa, prese delle camicie e iniziò a lavarle cercando di ignorare le signore. Non gli interessava nemmeno sapere di che cosa stessero parlando. La sua mente era bloccata su Antonio, che stava forse facendo una passeggiata, chissà dove e chissà per quale motivo.
Tu sei il nipote di Roma?” Lovino fu interrotto mentre strofinava una camicia del nonno contro il marmo seghettato, da una signora anziana “Gli assomigli parecchio, sai.” Continuò. “Da giovani eravamo compagni di scuola.” Lovino rimase ad osservarla senza rispondere, poi annuì e tornò ai suoi vestiti.
“Tuo nonno da giovane era una testa calda.” Continuò lei “Te lo ricordi, Carla?”
La donna che venne interpellata rispose senza smettere di lavare un vestito “Sì che me lo ricordo, mi fece anche la corte una volta.”
“A chi non l’ha fatta!”
e poi risero tutte insieme.
“Era veramente bello da ragazzo.” Disse una senza pensarci e Lovino alzò lo sguardo per osservarle tutte, con le maniche arrotolate fino ai gomiti, i capelli bianchi o quasi, c’erano donne un po’ più giovani e anche delle ragazze della sua età o quasi.
“Bello quanto suo nipote?” Disse una donna, aveva forse trent’anni, e tutte scoppiarono di nuovo a ridere. Mentre Lovino divenne rosso, i suoi occhi si incontrarono per qualche secondo con quelli di una ragazza, che conosceva con i capelli ricci, che lo guardò, sorrise e arrossì a sua volta. Lovino abbassò lo sguardo e avrebbe preferito sparire. Gli mancavano ancora tanti capi da lavare e questo lo fece sospirare ancora una volta.
“Lovino.” La ragazza con i capelli ricci lo chiamò, a Lovino sembrò si chiamasse Anna o qualcosa del genere, era con un’amica. “La mia amica…” e indicò con la testa la ragazza accanto a lei “Si chiedeva se Antonio fosse fidanzato, voleva sapere qualcosa in più su di lui.” la sua amica guardò in basso e si nascose. Lovino la fulminò con lo sguardo senza rendersene conto.
“No, non è fidanzato.”
“Davvero?”
finalmente parlò lei. Lovino inarcò un sopracciglio. “È così carino pensavo lo fosse.” Quello che si creò nel petto del ragazzo era un miscuglio fra orgoglio e gelosia. Le rispose solo sorridendo, cercando di essere gentile. Anna arrossì quando lo vide con quell’espressione. Lovino la ignorò e strofinò un’ultima volta la camicia di Roma per passare ad un suo jeans, rattoppato già due volte almeno da Emma.
“La prossima volta gli andrò a parlare, stamattina mi è mancato il coraggio.” Rise. Lovino alzò la testa di scatto.
“Dov’era?” tossì le parole a causa della sua gola. “Antonio, dov’era stamattina?” poi si soffermò a pensare come quella ragazza sapesse il suo nome, e che cosa voleva, ma lasciò perdere quei pensieri.
“Era vicino la piazza, non so dove sia ora.” Rispose lei un po’ intimorita.
Lovino guardò la cesta con i panni. “Ragazze.” Quelle lo osservarono con espressione persa.
“Lascio per un po’ questa roba qui, fateci attenzione.” Sorrise di nuovo, e le due annuirono subito. Si aggiustò le maniche e si passò una mano fra i capelli. Quando si allontanò sentì dire dal gruppo di signore, e le ragazze.
“Però è proprio un bel ragazzo.”
“Sembra anche bravo e a modo.”
“Beata quella che se lo sposerà!”
Sentì Anna ridere in modo subdolo.
Ignorò quei discorsi e continuò per la sua strada, non gli interessava minimamente cosa pensassero le ragazze di lui.
Andò verso la piazza in fretta e continuava a pensare a quello che gli era stato detto. Antonio era fidanzato? No, non lo erano. Ma quindi loro due cos’erano? Solo l’idea di poterlo immaginare con quelle ragazza gli fece rigirare lo stomaco per la gelosia. Ma apparentemente, per qualche ragione, Lovino era quello che Antonio voleva, quindi non sarebbe mai andato con quella ragazza, almeno così si stava convincendo. Questo fece arrossire Lovino e dovette coprirsi la bocca per non far vedere a chi era in giro che stava ridendo da solo. Quando arrivò nella piazza con il pavimento bianco iniziò a guardarsi intorno, non c’erano bambini perché erano probabilmente a scuola, in un bar lì vicino vide dei signori seduti fuori e dai quei pochi negozi entravano e uscivano persone adulte. Lovino poi notò una figura a lui familiare in lontananza, ma non era Antonio, era Feliciano.
“Feli!” si avvicinò “Non pensavo fossi qui.” Gli disse e le forme di Feliciano diventarono più nitide ai suoi occhi. Lui lo guardò ma non disse nulla.
“Scusami, Lovi, non mi va di parlare.” Abbassò la testa e si allontanò.
Lovino rimase immobile, con la bocca semiaperta. “Torniamo a casa insieme.” Gli disse.
Feliciano si voltò e tornò indietro, lo guardò con i suoi occhi dolci e sorrise. Lovino poi pensò alla cesta con i panni e ad Antonio.
“Aiutami a lavare i panni al lavatoio prima di andare a casa.” Poi aggiunse “Antonio?” Lovino continuò a guardarsi attorno, voleva dire che avrebbero parlato un’altra volta.
“Non lo so.” Feliciano alzò le spalle “Sarà a casa.” e non parlarono più.

***

Antonio varcò la soglia del portone e sentì Roma lamentarsi mentre si lasciava cadere su una sedia.
Lovino?” chiese lui e Antonio rispose subito.
“Sono io!” fece capolino dall’ingresso e Roma era accomodato mentre si massaggiava una gamba. “Ho pulito un po’ ovunque e ora mi fa male tutto.”
“Lo avrei fatto io, non serve che ti sforzi tanto.” Antonio disse subito gentilmente, Roma rise e scosse la testa.
“Ce la faccio ancora.” Disse in un’ultima risatina. “Che sei andato a fare?”
“Volevo fare una passeggiata.” Disse lui tranquillamente. “Vorrei trovare qualche lavoro da fare, devo anche assolutamente imparare l’italiano.”
Roma fece per alzarsi e Antonio lo fermò. “Devo fare qualcosa?”
“Il pranzo.” Disse lui guardando l’orologio, era l’una ormai. “Ci sono dei fagioli.” Si accomodò di nuovo e Antonio andò in cucina. Prese il pentolone pieno di fagioli e iniziò a preparare.
“Io prima aveva un negozio.” Roma cominciò. Ad Antonio piaceva sentire le sue storie. “Ero un barbiere.” La sua mente si spostò al barbiere dove sarebbe dovuto andare a lavorare quando era in Inghilterra, il lavoro che Gilbert gli cercò con tanta cura. Ebbe un tappo allo stomaco.
“Crescere mio figlio da solo e pensare al lavoro fu terribile.”
“Quando hai avuto tuo figlio?” chiese Antonio mentre la fiamma dell’accendino toccò i fornelli.
“Subito dopo la guerra.” Rispose tranquillamente “Amavo molto mia moglie.” Aggiunse con un tono amaro.
Antonio si voltò a guardarlo “Lovino e Feliciano da piccoli com’erano?” iniziò a pensare a come ricordava Lovino quando erano piccoli, sembrava che quel bambino le avesse passate tutte. Gli piaceva immaginare come poteva essere prima dei cinque anni.
“Non li ho visti molto.” Antonio fece per cambiare discorso, ma Roma lo interruppe “Erano bambini particolari.” Rise “Lovino piangeva ogni volta che mi vedeva.” E rise ancora di più.
“Cosa?” Antonio rise a sua volta.
“Sì!” il nonno si calmò per un momento “Mi vedeva così di rado, che quando succedeva piangeva a dirotto per la contentezza. La mamma non sapeva mai come calmarlo!”
Antonio provò ad immaginare la scena, se Lovino lo avesse saputo si sarebbe arrabbiato tantissimo adesso.
“Eppure li vidi pochissime volte.” Tornò in sé “A volte dimenticavo i loro nomi, perché non vedevo mai nemmeno mio figlio.” Si premette le labbra e pensò “Eppure lui aveva questa convinzione che io li odiassi tutti.” Scosse la testa “Ma non parliamo di questo, vuoi sapere qualcosa sul nonno di Ludwig?”
“Sì, certo!” Antonio girò i fagioli con un cucchiaio di legno, quando finì di mescolare si voltò e incrociò le braccia.
E Roma si mise a raccontare di quando era ragazzo, della guerra, di sua moglie e della sua amicizia con il nonno di Ludwig e Gilbert, domandandosi che fine avesse fatto il suo amico ora che erano vecchi.

Lovino e Feliciano spalancarono la porta. Reggevano insieme al cesta piena di panni, e trovarono Antonio che ascoltava il nonno parlare mentre apparecchiava. Portarono i panni fuori e li avrebbero stesi dopo pranzo, anche se con quel freddo ci avrebbero messo più tempo del dovuto. Il nonno annunciò che i fagioli erano pronti e
quindi dovevano sbrigarsi prima che si raffreddassero.
Durante il pranzo Antonio notò che Feliciano non parlava con Lovino, ma con lui e suo nonno scherzava come sempre. Roma si alzò per prendere un coltello con cui tagliare il formaggio e Antonio lo seguì con una scusa.
“Roma.” Gli disse in un sussurrò. L’altro si voltò a guardarlo con il coltello da cucina in mano. “Ancora non si parlano quei due, hanno litigato.”
“Ho parlato con Feliciano qualche giorno fa.” Aggiunse lui, sussurrando a sua volta. “Più tardi parlerò con Lovino allora.”
Antonio sorrise e tornò a tavola.

***

Più tardi, nel pomeriggio, Feliciano tornò a chiudersi in camera, si mise probabilmente a dipingere qualcosa. Lovino rimase con il nonno a giocare a carte, mentre Antonio era nell’altra stanza ad accendere il fuoco nel camino. Lovino lo sentì litigare un paio di volte con il fuoco. Nel momento esatto in cui Lovino stava facendo scopa, Antonio annunciò di dover tagliare altra legna e sparì nel giardino.
“Senti…” Il nonno gli disse con gli occhi puntati alle sue carte, lanciò e prese un tre. “Quando hai intenzione di risolvere con tuo fratello?”
Lovino sbatté le palpebre e inarcò un sopracciglio “Non sono io il problema.”
Si fissarono per un momento. “Guarda che tocca a te.” Gli fece notare il nonno e Lovino lanciò la sua carta.
“So che è arrabbiato con te perché non lo hai fatto andare con Ludwig.” In quel momento i loro occhi si toccarono e Lovino iniziò a pensare che il nonno era troppo sveglio per non aver capito.
“Tu…” Lovino cominciò. Poi le parole morirono nell’aria. Sarebbe stato troppo rischioso chiedergli qualcosa riguardo Ludwig e Feliciano. “…Credi che io non abbia ragione?” disse alla fine, dopo una lunga pausa.
“Tuo fratello è libero di fare quello che vuole Lovino.” Il nonno parlava pacatamente e con lo sguardo serio. “Dovreste parlarne.”
Lovino poggiò le carte sul tavolo e lo stesso fece Roma.
“Cosa dovrei dirgli?” lo chiese con un po’ di imbarazzo. “Non voglio che parta.” le lacrime gli appannarono la vista. Il nonno si agitò e si alzò in piedi.
“No, no, Lovino, non devi piangere.” Gli poggiò una mano sulla testa. L’umiliazione che provò in quel momento era talmente tanta che dovette fermare le lacrime premendosi le mani sugli occhi e scacciando il braccio di suo nonno.
“No! Non serve!” gli urlò e rimase con la testa abbassata per non farsi vedere. Gli sembrò che il nonno stesse sorridendo.
“Tu sai perché per lui è così importante partire per la Germania.” Roma gli disse, tornando al discorso di prima. Lovino realizzò: Il nonno sapeva. Lovino emise solo un suono mozzato e poi tirò su con il naso, si passò il dorso della mano sugli occhi e tornò in sé. Avrebbe accettato che avrebbe dovuto di nuovo salutare suo fratello. Aveva passato anni ad aspettarlo per poter stare insieme, ma ormai erano grandi e i loro progetti erano cambiati, lo avrebbe accettato.
Prese le carte e lanciò un sette sul tavolo, quindi prese il sette di denari e annunciò in tono di sfida “Sette bello!”
Il nonno osservò Lovino quasi intenerito, poi scoppiò a ridere.
Più tardi Feliciano uscì di casa dicendo di voler uscire a fare una passeggiata per le campagne. Il nonno fece un cenno a Lovino che lo seguì subito. Fuori casa si guardarono e iniziarono a camminare uno accanto all’altro. Quando furono abbastanza lontani da casa, immersi del tutto nel paesaggio rurale, percorrendo la via di pietre affiancata da un susseguirsi di larghi campi, Feliciano parlò.
“Vogliamo fare pace?”
“Sei tu quello incazzato con me.” Rispose seccato Lovino e parlando creò delle nuvole nell’aria.
“Mi dispiace.” Feliciano mise le mani in tasca “Non volevo arrabbiarmi.”
Lovino guardò in aria prima di decidersi a parlare, questi erano i tipo di discorsi che odiava di più in assoluto. “Scusami.” E dirlo gli sembrò maledettamente difficile. “Sei libero di scegliere quello che vuoi.”
Il volto di Feliciano si illuminò “Davvero?”
“Non sono contento che tu parta.” Disse subito “Anzi, la cosa mi secca parecchio.”
Feliciano si nascose nelle spalle “Siamo diventati grandi Lovino.”
Rimasero immobili per un attimo fra le campagne. “Vogliamo sederci lì?” gli indicò un prato e per poi notare delle piante di cachi in lontananza “Non c’è il padrone nelle vicinanze.” Rise e Lovino lo seguì. Presero tre cachi a testa e si sedettero nel prato poco più distante.
“Dovremmo prenderne di più per portarle al nonno.” Notò Feliciano. “O forse si arrabbierebbe?”
“Feli, quello sarebbe il primo a rubarle se ne avesse la possibilità.” Lovino gli disse mentre mordeva il frutto e suo fratello rise.
“Quindi posso partire?” Feliciano era tornato a regalargli i più bei sorrisi poteva offrire.
“Sì…” Confermò l’altro e rimasero in silenzio.
“Grazie.” Lo disse prima di prendere un boccone “Io credo che il nonno lo abbia capito.” Gli confidò “Abbiamo parlato e… io credo lui sappia tutto.”
Lovino avrebbe voluto confermare, ma Feliciano sembrava troppo spaventato. “No, non credo.” Fu a quel punto che suo fratello annuì “Sicuramente non è così.” E si tranquillizzò.
Lovino si era portato le ginocchia al petto e Feliciano aveva poggiato la testa sulla sua spalla “Mi mancherete.”
“Ma tornerai…” La sua voce era risuonata troppo triste rispetto a come la aveva immaginata.
“Certo!” tornò diritto “Ovviamente tornerò a trovarti, Lovi. Te e il nonno!” poi si poggiò una mano sul mento e pensò “Ma Antonio invece? Resterà qui?”
L’altro ammise un po’ timidamente “Sì.”
Feliciano si stese sul terreno, un po’ freddo e umido e Lovino fece lo stesso. Osservarono il cielo grigio-azzurro e calò nuovamente il silenzio. Qualche uccellino cinguettò in lontananza, un altro cachi, ormai troppo maturo, cadde da un albero e rimbalzò sul terreno. Le nuvole si spostarono e Lovino pensò che i vestiti non si sarebbero mai asciugati con quel tempo. Questo lo fece tornare alle ragazze che aveva incontrato quella mattina e qualcosa nel suo petto iniziò a spingere per farlo parlare.
“Feliciano… ” Lovino gli disse rompendo il rumore del vento sugli alberi.
“Mh?”
“Io sono innamorato di Antonio.”
I suoi nervi erano tesi, le guance rosse, non credendo nemmeno lui a quello che aveva ammesso coraggiosamente ad alta voce per la prima volta.
Feliciano comparve nel suo campo visivo con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta in un’espressione di autentico stupore.












---Angolo dell'autrice----
Ce la farò a pubblicare entro il 2018 i due capitoli finali? Lo scoprirete nelle prossime puntate.

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Dicembre, 1958

Italia

Feliciano rimase non più di un momento in silenzio, Lovino in attesa che suo fratello parlasse premette le labbra. Feliciano finalmente tirò fuori tutto “Come sarebbe a dire sei innamorato? Da quanto?” per qualche ragione iniziò a sorridere, e a emettere qualche strillo “Non pensavo… che…” e rise di nuovo. Lovino si coprì il viso e rotolò dall’altra parte “Sapevo che non avrei dovuto dirlo. Sono uno stupido!”
“No, no, Lovi, va bene, sono felice!” Feliciano gli era praticamente addosso, poggiato sulla sua spalla. “Antonio lo sa?”
“Emh…” Lovino si girò e trovò il volto del fratello “Sì, credo… ma… Non gliel’ ho mai detto.”
Feliciano inclinò la testa “Che significa?”
Lovino sospirò e raccontò tutto dal principio. Partì dall’orfanotrofio, quando lui e Antonio si diedero il primo baciò, da piccoli, e arrivò fino al presente. Raccontare quegli anni fu più difficile del dovuto, soprattutto cercare di far capire a Feliciano perché Lovino non spedisse quasi mai delle lettere perché era troppo spaventato e insicuro.
“Ma… se vi ricambiate cosa stai aspettando?” Fu l’unica cosa che Feliciano riuscì a dirgli dopo aver ascoltato tutto, in una risatina.
“Non ho il coraggio di...”
“Non state insieme?”
“No.”
“Perché?”
Lovino si coprì di nuovo il volto “Per colpa mia.”
“No, Lovi, non devi darti la colpa.” Feliciano gli prese le mani, scoprendogli il viso, e lo fissò negli occhi. “Devi dirglielo, non puoi aspettare ancora.” E intrecciò le dita con quelle del fratello.
Lovino spostò lo sguardo “Domani.” Poi aggiunse “Forse.”
“Stasera stesso.” Insistette. Ormai Lovino era completamente rosso e l’imbarazzo lo stava divorando. “Non hai nulla da temere, fratello. Antonio si è già dichiarato, hai già la certezza di essere ricambiato.”
“Devo dirglielo per forza?” Solo l’idea di doverlo ammettere di nuovo ad alta voce lo faceva sentir male.
“Ovvio, altrimenti come farete a stare seriamente insieme?”
Lovino guardò negli occhi dolci del fratello e sospirò di nuovo. Aveva paura.
“Torna a casa e dirglielo, posso pensare io al nonno.”
“Cosa?”
“Lo convincerò ad uscire con me, sta tranquillo.” Rise subdolamente mentre si alzava, tese una mano a Lovino e lo fece alzare. “Andiamo a casa.” E gli sorrise.

Mentre tornavano verso la strada di casa Feliciano continuò con le domande. “Lo avete già fatto?” notando l’altro confuso aggiunse “L’amore intendo.”
“FELICIANO!” Lovino urlò con vergogna, ormai era tornato rosso.
“Sto solo chiedendo…” continuò lui “Io e Ludwig lo abbiamo fatto.” Aggiunse con tranquillità. Con espressione di disgusto Lovino simulò un conato di vomito. “Feli, che schifo.”
“Dai, Lovi…. Voglio sapere.”
“No.” Rispose seccato. “Non lo abbiamo fatto.” Era uno dei momenti più imbarazzanti della sua vita.
“Oh…” Sospirò quasi deluso “Non sai che ti sei perso.”
Lovino strizzò gli occhi e scosse la testa “Dio santo, Feliciano!”

***

“Nonno!” Il rumore della porta che sbatteva e la voce di Feliciano fecero sobbalzare Antonio, che nel frattempo era intento a mettere in ordine in casa. Roma era sul divano a far riposare la gamba dopo aver passato troppo tempo in giardino a cercare di ripulire le foglie secche. Feliciano saltellò fino al divano, e Antonio lo osservò passargli accanto, mentre all’ingresso c’era Lovino che tra le mani teneva la sciarpa come se fosse stato un sacco, dentro sembrava esserci qualcosa, lo stava guardando con fare ansioso.
“Cosa è successo?” chiese lui preoccupato. Lovino arrossì e disse subito “Nulla, abbiamo raccolto dei cachi.”
“Oh… ok.” Lo osservò mentre faceva rotolare i piccoli frutti sul tavolo e Feliciano che continuava a parlare con il nonno.
“C’è bisogno che tu esca con me.” Gli stava dicendo. Antonio raggiunse Lovino e lo aiutò a mettere i cachi nella ciotola.
“Cosa? Feliciano perché non sei andato con tuo fratello?”
“Devo prendergli un regalo per Natale, non può venire con me.” Lovino alzò la testa e li osservò mentre parlavano. Il nonno scosse solo la testa. “Dobbiamo andare proprio ora?”
“Sì.”
Antonio si voltò verso Lovino quasi offeso “Avevi detto di non volere un regalo di natale.”
“Non sapevo nemmeno che questo scemo volesse prendermi un regalo.”
“Feliciano gli hai addirittura rovinato la sorpresa, ormai è inutile andare a prenderlo con me.” Roma cercò di trovare delle scuse, Feliciano non ne volle sapere nulla e prese la giacca di suo nonno.
“Questi ragazzi mi uccideranno.” Disse l’uomo ad Antonio mentre metteva il giaccone, pieno di rattoppi, probabilmente lo indossava da molti anni. “Allora noi usciamo.”
Antonio e Lovino annuirono in risposta e sentirono solo la porta chiudersi. Antonio prese l’ultimo frutto e lo lanciò nella ciotola “Dove li avete presi?”
“Li abbiamo presi in un frutteto in campagna.” Alzò le spalle.
“Li avete rubati?” Antonio rise e guardò Lovino intenerito “Avete fatto pace almeno?”
“Sì…” mormorò e sparì nella sua stanza. Sentì la porta sbattere violentemente. Un po’ preoccupato raggiunse la camera e bussò.
“Che vuoi?”
“Posso entrare?”
“Come ti pare.” Si aspettava una risposta del genere. Premette la maniglia ed entrò nella stanza.
“Sicuro di aver fatto pace?” Lovino era accomodato ai piedi del letto dove dormiva con suo fratello.
“Ti ho detto di sì.” Incrociò le braccia e nel frattempo Antonio si sedette accanto a lui.
“Se c’è qualcosa che vuoi dirmi, fallo pure.”
Lovino lo guardò negli occhi e dopo qualche momento di silenzio gli chiese “Posso farti una domanda?”
“Certo.” Antonio ascoltò attentamente, preoccupato per i due italiani, convinto avessero avuto qualche discussione che aveva reso Lovino nervoso.
“Cosa siamo noi due?” Le guance dell’italiano erano diventate rosa. Il cuore di Antonio aumentò la velocità, non si aspettava quella domanda. Rimase un momento a ragionare, cercando di rispondere in modo tranquillo.
“Possiamo essere tutto quello che vuoi tu.” Gli rispose sinceramente, guardandolo con occhi apprensivi, aveva concesso a Lovino tutto il tempo che voleva per decidere cosa dovessero fare. Lovino si fermò a contemplare il pavimento, non sapendo più cosa rispondere. Antonio gli prese la mano. “Lovino quando te l’ho detto all’orfanotrofio, io lo avevo già capito, ti ricordi?” il ragazzo tornò a guardarlo “Ti ho chiesto se ti piacevo.”
“Sì…” Lo disse in un sospiro, però la sua voce stava tremando. Le punte dei loro nasi potevano quasi toccarsi, se Antonio si fosse mosso in avanti avrebbe potuto baciarlo, ma doveva arrivarci con calma. In quel momento Lovino aveva voglia di parlare, non avrebbe perso l’occasione e non lo avrebbe fatto scappare facendo un passo falso. “Mi piaci ancora.” Disse Lovino, tutto rosso e tremando, Antonio sorrise.
Aveva aspettato che Lovino lo ammettesse per così tanto tempo, non poteva nascondere il suo sorriso in nessun modo.
“Quindi cosa vuoi?” gli domandò restando calmo e con gentilezza.
Lovino si schiarì la gola e poi rispose “Che resti con me.”
Si erano capiti così. Non bisognava dire ad alta voce di essere fidanzati, di dover pensare al fatto che non avrebbero mai potuto ufficialmente sposarsi, anche se Antonio ci pensava spesso, bastava sapere che Lovino sarebbe stato sempre lì per Antonio, e lui avrebbe fatto altrettanto. Questo significava che avrebbero potuto stare insieme, non aspettare anni per potersi vedere, ma potersi vedere ogni giorno, ogni mattina. Si sarebbero presi cura uno dell’altro.
Le loro dita si intrecciarono e Lovino si porse in avanti per dare un bacio veloce ad Antonio, il quale rise e gli sembrò di vedere Lovino più rilassato, aveva accennato un sorriso. Antonio saltò su Lovino e lo abbracciò così forte che lo fece cadere con la schiena sul letto.
“Idiota, levati di dosso!” Lovino cercò di sembrare arrabbiato, invece stava ridendo. Antonio, nascosto nel collo dell’altro continuava a ridere forte, quando si tirò su per incontrare il volto di Lovino lo trovò in lacrime mentre rideva. Antonio gli asciugò le lacrime e poi lo baciò a lungo. Si accomodò fra le sue gambe nel frattempo. Ben presto sentì le mani di Lovino cercare di sfilargli la maglietta, lui stava facendo lo stesso con i pantaloni dell’altro. Non c’era modo che qualcuno li interrompesse quella volta. Il cuore di Antonio sembrava in corsa. Entrambi si trovarono a corto di fiato. Si ritrovarono nudi, i loro corpi iniziarono a toccarsi e sfregarsi dolcemente, Lovino rimase tutto il tempo afferrato al collo di Antonio e ogni volta che sentiva chiamare il suo nome Antonio stringeva di più l’altro a sé. Prima iniziarono a muoversi più velocemente, poi rallentarono, poi smisero, e Antonio cadde al lato di Lovino in un ultimo sospiro. Lovino si voltò a guardarlo, respirava velocemente ed era completamente rosso, Antonio gli spostò i capelli dagli occhi, per guardagli meglio il viso, risero di nuovo imbarazzati.
Non riusciva a controllare quella contentezza.

Gennaio, 1959

Lovino sapeva che quella giornata sarebbe stata difficile da affrontare non appena aprì gli occhi. Si alzò con la schiena, si guardò attorno, suo nonno era già in piedi ovviamente, lo sentiva parlare, probabilmente anche Antonio era in piedi. Accanto a lui c’era suo fratello, perso ancora nei sogni, che fra poche ore sarebbe partito per la Germania. I suoi bagagli erano già pronti ai piedi del letto. Li guardò e subito i suoi occhi, ancora impastati per il sonno, iniziarono a diventare lucidi. Avrebbe visto di nuovo suo fratello partire, gli faceva male, non poteva farne a meno.
“Lovino.” Sentì un sussurro.
Tirò su con il naso e si asciugò gli occhi. Si voltò e suo fratello era ancora nella stessa posizione, ma aveva aperto gli occhi. “Stai piangendo?”
“No.” Rispose. “Dovresti alzarti o perderai il treno.” Feliciano allungò la mano per toccargli la spalla.
“Tornerò Lovi.” Poi continuò non appena Lovino poggiò la mano sulla sua “Non possiamo stare insieme per sempre, lo so che ti preoccupi per me e che tutti ti hanno sempre detto di avere cura di me, ma ora so cavarmela da solo.” Sorrise “Tornerò ogni volta che vorrai e ogni volta che vorrò vederti.” Si tirò su “Dovrò andare a trovare anche i miei altri genitori.” Disse ridacchiando, stava parlando di Elizabeta e Roderich.
Lovino rimase in silenzio.
“Mi mancherai, Lovi.” Sospirò. Si abbracciarono per un po’.
“Farai meglio a sbrigarti.” Lovino si staccò dall’abbraccio e diede un colpo sulla testa del fratello. L’altro rise e si alzò di fretta. Lo guardò uscire dalla stanza, lo sentì urlare qualcosa con il nonno e cercò di calmarsi, pensando che il fratello questa volta sarebbe tornato, non avrebbe dovuto aspettare anni per vederlo.

***

A pranzo Lovino rimase in silenzio, la sedia dove di solito Feliciano sedeva era ora vuota. Di fronte a lui Antonio lo guardava con occhi gentili, odiava essere capito così facilmente, non voleva che Antonio sapesse che era triste. Guardandolo gli era tornato in mente che prima di partire Feliciano gli aveva detto scherzando che adesso avrebbero avuto più tempo da passare da soli e aveva fatto l’occhiolino ad Antonio, facendolo arrossire e ridere. Dopo pranzo si occupò lui dei piatti e Antonio lo raggiunse in cucina, mentre il nonno si addormentò sul divano, con una coperta sulle spalle.
“Lovino.” Si sentì chiamare da dietro, mentre era intento a togliere il sugo da un piatto. Antonio gli poggiò una mano sulla spalla e massaggiò.
“Sì, so già quello che stai per dirmi.” Lo interruppe subito “Che tornerà, che non c’è bisogno di fare così…”
“No.” Antonio sorrise “Hai ragione ad essere triste.” Aggiunse in una risata “Abbiamo dovuto dire addio e vedere persone partire per tutta la nostra vita, ormai sembra una cosa normale.”
Lovino non rispose. In realtà era contento che Antonio fosse lì con lui per consolarlo.
“Tranquillo, andrà tutto bene.” Lo abbracciò e strinse il suo petto contrò la schiena dell’italiano.
“Piantala, idiota.” Borbottò e il suo voltò divenne caldo. Il piatto che aveva in mano scivolò e urtò contro le pentole producendo un fracasso insopportabile. Antonio si allontanò di fretta e il nonno si svegliò di colpo alzandosi in piedi. “Cos’è stato?!”
Lovino si era voltato completamente e aveva trovato Antonio schiantato contro il muro. “Nulla!” rispose subito. “Un piatto… Mi è caduto.” Il nonno sembrò tranquillizzato e si lasciò cadere sul divano. Lovino approfittò per dare un calcio al ginocchio di Antonio, che ora stava ridendo, e lo fece quasi cadere “Imbecille.” Aggiunse.

***

Febbraio, 1959

La mattina del ventiduesimo compleanno di Antonio si presentò calda, per quanto potesse esserlo una giornata invernale, e con un sole splendente, il tempo preferito dal festeggiato. Fu svegliato dalla sua vescica che supplicava di essere svuotata, si alzò di fretta e attraversò il corridoio per raggiungere il bagno. Mentre era di passaggio si affacciò alla porta, solo per osservare Lovino mentre dormiva. Doveva riabituarsi a dormire da solo, infatti abbracciava un cuscino di solito. Antonio lo trovava adorabile, sarebbe rimasto a guardarlo per ore, per un momento Lovino sorrise e Antonio dovette tornare nel corridoio per ridacchiare e pensare a quanto fosse carino.
“Antonio.”
Trasalì e si voltò di colpo verso la voce che lo aveva chiamato “Ah!” sibilò “Roma, buongiorno!”
Roma lo stava osservando dall’alto con un sopracciglio inarcato “Buongiorno.” Poi continuò “Che stavi facendo?”
Antonio sentì il volto diventare più caldo “Nulla. Ho… ho sentito un rumore e mi sono affacciato.”
Roma lo osservò ancora con occhi un po’ duri, poi sorrise “Oh, bene, ti aspetto di là, ti preparo un caffè!”
“Sì, grazie!” Lo guardò allontanarsi e poi sospirò. Mentre stava per entrare nel bagno Roma lo chiamò nuovamente “Oggi vorrei mostrarti una cosa importante, ti andrebbe di venire con me appena finita la colazione?”
Antonio sorrise “Sì, certo.” E si affrettò ad entrare nel bagno. Quando ebbe finito raggiunse Roma, già vestito e lavato, che si gustava la sua tazza di caffè.
Antonio prese la sua, poggiata sul tavolo di fronte a Roma, con accanto dei biscotti “Grazie.” Disse mentre si sedeva “Di che si tratta?”
Roma sghignazzò “Lo vedrai più tardi!”
Calò il silenzio, per romperlo Antonio si decise a parlare “Oggi è il mio compleanno.” Annunciò, con fare quasi infantile.
“Oh!” fece un cenno con la tazza, porgendola in avanti “Tanti auguri!” continuò dopo aver sorseggiato un pochino “Non lo sapevo. Quanti anni hai?”
“Ventidue.” Rispose Antonio, gongolando con un sorriso stampato sulle labbra. Il nonno sorrise amaramente “Proprio una bella età.” E in quel momento ad Antonio sembrò di vederlo invecchiato. Il nonno si affrettò a ripulire tutto quando anche Antonio finì la sua colazione.
“Va a prepararti.” Gli ordinò quasi.
“Devo… devo chiamare anche Lovino?” chiese mentre si avviava verso la camera.
“No, andremo solo io e te.”
“Va bene!” Antonio non era molto convinto, il nonno di Lovino era molto strano a volte. Non aveva idea di dove lo avrebbe portato. Quando entrò nella stanza cercò di essere il più cauto possibile. Si tolse la maglia e dovette abituarsi momentaneamente al freddo mentre cercava qualcosa da mettersi.
“mh?” sentì Lovino mugugnare e le coperte strusciare. Si era voltato a guardarlo. “Che ore sono?” gli aveva detto con la voce ancora rauca, gli occhi si tenevano aperti a malapena.
“Credo le otto.” Gli rispose, ancora senza maglia, si avvicinò per accarezzare i capelli dell’italiano.
Lovino annuì e si girò di nuovo dall’altra parte con l’intento di dormire. “Stiamo uscendo.” Aggiunse poi Antonio, che continuò a toccare quei capelli soffici.
“Va bene.” Lovino lo aveva detto con una voce dolce e crollò di nuovo in un sonno profondo. Probabilmente non si sarebbe nemmeno ricordato di quello conversazione una volta sveglio. Rimase ad osservarlo ancora un po’, poi decise che era il momento di mettere qualcosa addosso. Infilò un maglione che aveva comprato quando viveva con Arthur e un jeans, probabilmente di tre anni prima almeno.
Raggiunse il corridoio, non trovando Roma dedusse che lo stesse aspettando fuori, infatti era lì, a fumare una sigaretta. Gli fece un cenno con il capo e si avviarono. Erano andati in direzione del paese.
“Vuoi fumare anche tu?” Roma gli offrì il pacco, mentre fra i denti stringeva la sua sigaretta accesa. Antonio scosse solo la testa, non gli andava molto di fumare. “Ti starai domandando dove stia portando, vero?”
Antonio ridacchiò “Ovviamente sì.”
“Che lavoro facevi prima di venire qui?” Roma gli fece un’altra domanda, parlò cacciando una nube di fumo dalla bocca.
“Intendi… dopo aver lasciato l’orfanotrofio?” Roma annuì, ma quando Antonio aprì la bocca per parlare lo interruppe.
“Anzi, parti da quando eri nell’orfanotrofio.” Rise “Non mi hai raccontato molto.”
Antonio si massaggiò il collo “Bhe, non c’è molto da dire. Sono stato trovato dalla signorina che teneva l’orfanotrofio da neonato. Sono rimasto lì fino a 18 anni e poi sono andato via. Sarei dovuto restare in paese, invece decisi di lasciare tutto e andare a vivere in città.”
Roma nel frattempo si era acceso un’altra sigaretta e l’altra era rimasta sul terreno. “Come mai hai lasciato all’improvviso il paese per la città?” lo disse un po’ sbalordito.
“Ah!” Antonio ripensò a quando si confessò a Lovino, al bacio, al fatto che lasciò il paese dopo quello che era successo con il nipote dell’uomo che gli stava accanto. Arrossì e scosse la testa “Nulla di che!” rise “Sono uno a cui piace improvvisare.” Il nonno sembrò convinto.
“Poi andai a stare in una piccola stanza con i soldi che mi aveva dato la signorina, i primi tempi è stata dura. Per racimolare qualcosa consegnavo giornali, aiutavo qualcuno con il lavoro manuale, aiutavo i negozianti.” Fece un cenno con la mano “Poi sono andato a vivere con un mio vecchio amico. Lo aiutavo con la libreria.”
Roma sembrava impressionato. Antonio fece una pausa, poi aggiunse “Ah, poi in Germania ho lavorato in un bar, per poco, mi servivano i soldi per venire qui.” L’altro rise. Nel frattempo avevano smesso di camminare e si trovarono di fronte un piccolo locale abbandonato, di fronte c’erano un calzolaio e altre piccole botteghe. C’era una trave di legno caduta, l’edificio era impolverato e le ragnatele erano visibili, le due finestre ai lati della porta non c’erano nemmeno più.
“Aggiungi questo alla tua lista.” Roma gli indicò il locale, e Antonio lo guardò confuso. “Ti ho detto che ero un barbiere, no?”
“Sì, ma… non capisco.” Mormorò lui in risposta. Roma rise.
“Il locale è tuo, gli daremo una bella ripulita. Ti insegnerò io tutti i trucchi del mestiere, non ti preoccupare.” Gli poggiò una mano con la spalla e lo strinse a sé. “Che ne dici?” Lo guardò sorridente. Antonio aveva gli occhi spalancati. Era quello che gli serviva, avrebbe imparato l’italiano e sarebbe rimasto in Italia, con Lovino, con un lavoro. Antonio lo abbracciò “Grazie mille, Roma!”
L’altro rimase immobile e poi gli diede una pacca sulla schiena, un po’ imbarazzato. Antonio si allontano e si avvicinò di più alla struttura davanti a loro, stava sorridendo con tutto se stesso, aveva messo una testa in quella che prima era una finestra e guardò l’interno. La puzza polvere gli fece bruciare il naso, uscì e tornò a guardare Roma “Ci sarà molto da fare!” e l’altro gli rispose con un sorriso.

***

Il campanello suonò ripetutamente. Lovino e Antonio erano impegnati a posare la legna al lato del camino, così da averla pronta quando sarebbe servita, l’italiano urlò “Arrivo!” il campanello però non smise di suonare “Cazzo, ho detto che arrivo!” urlò ancora di più e Antonio rise vedendolo così innervosito. Era passata una settimana da quando Roma gli aveva proposto di lavorare come barbiere nel suo vecchio negozio, dopo averlo saputo tornò a casa ad avvertire Lovino che era ancora a letto. Antonio gli disse “Ci lavorerò tutti i giorni in modo che sarà pronto il prima possibile.”  Lovino lo tirò in avanti in uno scatto e lo baciò, gli disse solo “Non credere che non ti darò una mano, stupido.”
Ora Lovino si era allontanato per andare ad aprire la porta. “LOVI!”
Antonio riconobbe la voce di Emma. Lanciò un pezzo di legna sul fuoco e raggiunse l’ingresso. “Emma!” lei era abbracciata a Lovino il quale cercava di spostarla, dimenandosi.
“Oh! Antonio!” lasciò Lovino, che si prese qualche momento per ricomposi, e saltò al collo dell’altro. “Ne parlano tutti…” era diventata brava con l’inglese, in poco tempo era riuscita ad imparare tantissime cose anche se l’accento italiano era ancora molto marcato. “Stai rimettendo a posto il negozio di Roma?” esultò lei staccandosi dall’abbraccio, ma continuava a tenere Antonio per le spalle.
Lui rise “Sì, è vero, ma abbiamo solo pulito, tolto le ragnatele, buttato qualcosa.” Cercava di parlare piano in modo che lei potesse capirlo a pieno.
Emma stava sorridendo, dietro di lei, Lovino si era occupato di chiudere la porta e la stava guardando stupito “Ma sei venuta fin qui per questo?”
“Vi ho portato anche dei taralli!” e dalla borsetta cacciò una bustina.
Antonio la invitò a sedersi al tavolo per prendere un caffè. Roma era intanto seduto a giocare a solitario “Ciao, Roma!” lei salutò gentilmente e si accomodò di fronte all’uomo, aggiustandosi la gonna lunga.
“Ho sentito il baccano, ma ho preferito aspettare qui.” Stava mettendo in ordine le carte per non dare impiccio. Lovino si diresse in cucina “Ti preparo un caffè allora…”
“Lovi, una cosa veloce, devo tornare alla pasticceria.”
Sembrava delusa dal tono della voce. Apri la busta e cacciò i taralli che aveva portato. Lei e Roma iniziarono a chiacchierare, e Antonio, che aveva capito già poco dei loro discorsi, ora si trovava ancora più confuso. Il significato di molte parole ancora gli sfuggiva, anche se rispetto ai primi tempi capiva molto di più, anche per una questione di sopravvivenza, quasi nessuno capiva l’inglese in paese.
“Antonio, sono contentissima che tu abbia deciso di restare qui. Lovino non mi aveva detto che avevi preso una scelta definitiva” Stava sorseggiando il suo caffè ora, mentre Roma era già al secondo tarallo. Antonio sorrise “Emma non dovevi venire qui in orario di lavoro per dirmelo.” Aggiunse un po’ imbarazzato.
“Tanto c’è mio fratello in negozio.” Fece un cenno con la mano “Una signora è entrata e me ne ha parlato, quindi sono corsa subito qui.”
“Ma come  fa la gente a sapere tutto così in fretta in questo dannato posto?!” Roma se ne uscì con la bocca piena e Emma rise, rispondendo solo con un’alzata di spalle.
“Per qualsiasi cosa potete chiamarmi.” Spostò lo sguardo verso l’orologio “Oh, devo proprio andare, o mio padre si arrabbierà.” Si avvicinò a Lovino e gli diede un pizzicotto sulla guancia “Grazie del caffè!” Lovino arrossì “Oh, dannazione Emma!” e scacciò la mano della ragazza. Rimise la giacca di fretta, salutò tutti e corse via.
“È adorabile, non trovate?” Roma commentò dopo aver sentito il portone chiudersi. Antonio annuì contento, Lovino roteò solo gli occhi e si allontanò.

***

Marzo, 1959

Lovino era crollato in un sonno profondo intorno le tre del mattino, Antonio lo aveva sorpreso a mezzanotte con una bottiglia di vino per festeggiare i suoi 19 anni. Il problema è che si spaventò e si infuriò contro di lui e suo nonno, ma sotto sotto sapevano tutti che era contento della sorpresa. Finirono la bottiglia di vino in tre e fu la prima volta che vide Antonio ubriaco, dovette portarlo a dormire con lui per farlo calmare, il nonno nemmeno ci fece caso perché crollò sul divano dopo i primi quattro bicchieri e dopo aver cantato tutte le canzoni che conosceva a squarciagola. Lovino scoprì di essere divertito da qualsiasi cosa lo circondasse da ubriaco. Lui e Antonio traballarono fino la camera da letto, dove si addormentarono abbracciati.

Dlin Dlon

Lovino aprì gli occhi, vide appannato per qualche secondo, poi vide il petto di Antonio davanti al suo volto. “Mh?” fu l’unica cosa che riuscì a dire. Guardò giù. Le braccia di Antonio lo avvolgevano, mentre lui aveva le mani poggiate sul petto dell’altro.

Dlin Dlon

“Antonio.” Disse con la voce roca e la testa che pulsava “Antonio.” Lo chiamò ancora una volta. I loro nasi si stavano toccando, Lovino lo stava strattonando nel disperato tentativo di fargli aprire gli occhi “Dannazione.” Spostò una mano, la passò prima sul petto, poi sul collo di Antonio, poi quando arrivò alla guancia… gli diede uno schiaffo. “E svegliati, stronzo!”
Antonio grugnì e aprì gli occhi, terrorizzato “Cosa? Cosa?”

Dlin dlon dlin dlon dlin dlon

“È il campanello?” Lovino aveva ancora la mano poggiata sulla guancia dell’altro e cercava di tirarsi su. Antonio si mosse, prese la mano di Lovino, ci poggiò le labbra calde e la baciò producendo uno schiocco “Non lo so, Lovi, torna a dormire...” Lovino era diventato completamente rosso, la voce di Antonio era così calma e calda. Il campanello suonò un’altra volta. “Non è il momento per questo.” Si ritrovò a dire ad alta voce. “Levati.” Lo spostò e Antonio si lamentò. La testa di Lovino non aveva mai smesso di pulsare, per tutto il tragitto fino all’ingresso i suoi occhi rimasero socchiusi. Vide suo nonno addormentato sul divano accanto al tavolo, roteò gli occhi, quell’idiota era messo peggio di Antonio. Il campanello suonò di nuovo.
“Giuro su Dio…” Lovino si stava reggendo la fronte “Chi diavolo è il coglione che alle sei del mattino-” smise di parlare quando aprì il portone. Spalancò gli occhi, aprì di poco la bocca ed esclamò.
“Feliciano?!”

Suo fratello fece un sorriso splendido e Ludwig, dietro di lui con una borsa da viaggio in mano, fece altrettanto.
Feliciano saltò addosso a suo fratello, il quale stava ricambiando l’abbraccio “Avreste potuto avvertire!”
“E come?” Feliciano si allontanò e ridacchiò “Non avete nemmeno il telefono!”
Lovino incrociò le braccia. Ludwig iniziò a parlare “Abbiamo viaggiato durante la notte. Immagino stavate dormendo.” Lovino alzò solo le spalle e gli fece un cenno con la mano “Venite.” Poi si corresse “Anzi, andate a chiamare quell’idiota in camera.”
Feliciano fece l’occhiolino a suo fratello “Ora dormite nella stessa stanza?” Lovino gli diede un pugno sulla spalla “Io penserò al nonno!” Lovino osservò suo nonno qualche secondo, poi rise fra sé e sé. Andò in cucina, prese delle padelle, il nonno russava rumorosamente nel frattempo. Cominciò a battere con forza le padelle “Bella ciao! Bella ciao! Bella ciao, ciao, ciao!” urlò, ma senza intonare una melodia, e sorrise in modo sadico. Anche la sua testa ne risentì, ma la reazione di Roma era troppo divertente. Il nonno cadde dal divano per lo spavento.
“LOVINO!” Gli urlò contro e suo nipote rispose “Vendetta personale.” Andò a posare le pentole, nel frattempo Feliciano rifece la sua comparsa e urlò subito “Nonno!”
Roma si alzò sbalordito e andò ad abbracciare suo nipote “Cosa ci fate qua voi due?”
“Feliciano voleva assolutamente venire a trovare Lovino per il loro compleanno.” Ludwig spiegò, poi sobbalzò “Oh, Lovino, auguri!”
“Che stupidi, ci siamo dimenticati il motivo principale per il quale siamo venuti!” Feliciano rise e tornò di nuovo ad abbracciare il fratello “Auguri, Lovi!”
“A-anche a te.” Parlò piano e nascose un sorriso nelle spalle di Feliciano. Antonio, che nel frattempo era arrivato e sembrava essersi ripreso si unì all’abbraccio “Buon compleanno, ragazzi!” li teneva entrambi stretti. Il nonno si avvicinò “Venite qui!” E li strinse. Lovino stava ridendo, una di quelle risate vere. “Vieni anche tu, Ludwig!” Feliciano lo stava chiamando. Ludwig osservava la scena da lontano “Oh… io… meglio di no.” Roma lo afferrò per un braccio e non gli lasciò dire nemmeno un’altra parola. Li stringeva tutti e quattro adesso. Le guance di Ludwig erano diventate porpora, e l’unica cosa che fece fu poggiare le mani sulle spalle di Feliciano. Ad un tratto il nonno li strinse ancora di più e li alzò tutti. Urlarono all’unisono, ma riuscì a coprire le loro voci con la sua risata.
Feliciano e Ludwig sarebbero rimasti tre giorni per poi ripartire per la Germania.

Ludwig aveva approfittato del tempo passato a casa per continuare a scrivere il suo libro e sembrava andare a buon termine, Feliciano invece voleva trovare lavoro in modo da poter aprire un negozio di fiori tutto suo in futuro. Assicurò a Lovino che sarebbe andato a trovare Elizabeta e Roderich il mese dopo e li avrebbe aggiornati su tutto. Lovino, Antonio e Roma invece dissero del locale e Ludwig insistette per dare una mano in quei giorni, una mano in più non era male. In due giorni montarono le finestre e sostituirono delle vecchie travi, aggiustarono l’impianto elettrico. Di questi compiti però se ne occuparono Ludwig, Roma e Antonio. Feliciano e Lovino si occuparono di scartavetrare le pareti, pulire e poi ridipingere tutto di bianco. Furono giorni estremamente estenuanti. Roma dovette prendersi parecchie pause a causa della sua gamba, ma c’erano comunque Ludwig e Antonio ad occuparsi del resto. Nonostante il lavoraccio, Lovino si era divertito, anche se non lo aveva dimostrato.

***

La sera prima della partenza il nonno volle preparare una grande cena e alla fine lui, Antonio e Feliciano finirono con il fare un gran casino. Lovino si accese una sigaretta mentre si raccontavano storie. Per tutto il tempo osservò l’espressione felice di Antonio e si trovò a sorridere anche lui per un momento. Quando però il nonno iniziò a cantare, roteò gli occhi e decise che era il momento di andare a fumare fuori. Antonio in lacrime mentre rideva gli si avvicinò “Ehy, dove vai?”
“Fuori.” Rispose in tono seccato “Mi farete venire il mal di testa.”
“Dai stai con noi.” Antonio lo seguì fino alla porta. Lovino scosse la testa e l’altro gli sorrise “Va bene, torna subito però, una sigaretta e basta, fa troppo freddo fuori.”
Lovino indossò la giacca e con la sigaretta già pronta fra le labbra cantilenò “Sì, sì…”
Era seduto sulle scalette quando sentì la porta dietro di lui aprirsi. Era buio pesto a quell’ora e, se non fosse stato per quei tre, l’unico rumore che si sarebbe sentito sarebbe stato quello del respiro di Lovino.
“Antonio?” si voltò e trovò invece Ludwig, ritto con un cappotto nero addosso. “Ah, scusa.”
Ludwig subito sembrò imbarazzato “No, scusa tu, aspettavi Antonio?”
“Ma no, chiudi il becco.” Tornò a voltarsi e inspirò a lungo dalla sigaretta. Ludwig si accomodò accanto a lui.
“Non abbiamo avuto occasione di parlare da un po’” Ludwig cominciò a parlare, con la coda dell’occhio vide che agitò la mano per allontanare il fumo.
“Non abbiamo nulla da dirci infatti.” Lovino disse in tono un po’ troppo freddo.
“Tu mi odi Lovino?” Ludwig lo stava fissando con i suoi occhi azzurri, e dal suo tono sembrava deluso. Lovino stava per rispondere di sì, anche se non era quella la verità, ma l’altro fermò le parole prima che potesse pronunciarle “Pensavo fossimo amici ormai. Mi sbagliavo evidentemente.”
Lovino sentì come una fitta nello stomaco e scosse la testa “…Diciamo che siamo amici.” Alzò le spalle “Una specie.” Poi continuò “Ma se farai qualcosa a mio fratello reputati un uomo morto.” Gli puntò la sigaretta vicino al naso, Ludwig spostò la testa indietro e alzò le mani.
“Certo che no.” Disse il tedesco. Lovino sapeva che si poteva fidare, ma lo avvertì per sicurezza. Rimasero in silenzio e dopo poco divenne imbarazzante.
“Non siamo molto bravi in queste cose, io e te.” Forse per la prima volta Ludwig stava parlando in tono scherzoso. Sentirono il rumore di un bicchiere che si rompeva e sobbalzarono “Quei tre si faranno male se qualcuno non li controllerà.”
“Saranno ubriachi… di nuovo.” Lovino disse, e non guardò Ludwig alzarsi e raggiungere la porta. Non odiava Ludwig era solo geloso che avesse preso il suo posto nella vita di suo fratello. Gli era però grato di molte altre cose: Delle attenzioni che dava a Feliciano, del fatto che era lì per lui quando rimase solo all’orfanotrofio e poi…
“Ehy, Ludwig!” Lovino lo chiamò senza voltarsi.
“Mh?” sentì il suo della porta aprirsi.
“Grazie…” lanciò via la sigaretta finita.
“D-Di cosa?” L’altro rispose un po’ spaesato.
“Per avermi portato Antonio.” Si voltò finalmente. Ludwig gli sorrise, poi guardò il pavimento e entrò dentro.
Lovino rimase qualche minuto a contemplare la notte, poi entrò dentro anche lui, iniziava ad avere troppo freddo.










----Angolo dell'autrice----
Mi conoscete ormai, era ovvio che non sarei riuscita a finire la fic entro il 2018. 
Buon 2019... in ritardo. Vi ricordo che il prossimo capitolo sarà l'ultimo! Spero di riuscirlo a scrivere entro la fine del mese, ho stilato una scaletta e dovrei farcela (Dovrei...)

P.S: Avevo pensato di lasciare qualche link ad altri account che ho in giro per i social, ma poi ho pensato che a nessuno importerebbe lol bho non lo so, non ricordo nemmeno se l'ho scritto in un altro capitolo.
(Posto solo i miei disegni ovunque e qualche cosplay, sappiatelo.)

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Marzo, 1959
Italia


“Lovino, vuoi stare fermo con quella testa?” Antonio lo aveva fatto sedere ad una sedia, davanti al tavolo, lo aveva circondato e coperto con un grande asciugamano e aveva piazzato un vecchio specchio (anche un po’ macchiato di sporcizia) di fronte ad entrambi. 
“Te lo sogni.” Spostò ancora una volta la testa non appena vide le forbici di Antonio avvicinarsi.
“Santo cielo.” Antonio vide la figura del nonno apparire nel riflesso dello specchio dietro di loro “Dirò io ad Antonio dove tagliare, dovrà pur imparare in qualche modo.”
“Perché proprio con me?” Si lamentò “Fanculo!” sibilò alla fine.
“Controlla quella lingua, Lovino.” Il nonno disse seccato e si posizionò davanti a loro. Antonio stava sudando dalla fronte, si sentiva giudicato dallo sguardo di Roma. Aveva anche paura di tagliare effettivamente male i capelli a Lovino. Quest’ultimo nel frattempo, con la testa sgocciolante, aveva smesso di dimenarsi. I suoi capelli erano in effetti cresciuti, sembravano formare un casco attorno alla sua testa, non li tagliava da troppo tempo. Antonio invece continuava a far crescere i suoi, ma avevano bisogno anche quelli di una sistematina, per quanto fossero impossibili da domare.
“Come vuoi i capelli?” Gli chiese Antonio gentilmente, nel frattempo glieli aveva separati a metà.
“Li voglio come sempre. La riga al lato.” Gli fece un segno con la mano “Con al riga al centro avrò i capelli uguali a Feliciano, lo sai che ho da sempre la riga al lato.”
“Oh, sì, scusa.” Rifece con il pettine e in effetti il ciuffo di Lovino era tornato come prima. Lo guardò attentamente. Il sudore sulla sua fronte aveva creato una patina perlata. “Non ho idea da dove dovrei partire.” E rise da solo.
“Dio Santo, Antonio!” Lovino sbraitò contro l’altro. Il nonno si fece una risata e si avvicinò per aiutarlo. Roma gli spiegò tutto quello che doveva fare e in quale ordine, qualcosa lo fece lui stesso.
“Vi giuro, se i miei capelli non saranno come prima… siete morti.” Lovino continuava a dire con fare aspro.
Antonio corse a prendere l’asciugacapelli, lo attaccò alla presa più vicina. Si gustò i minuti spesi ad affondare le mani nei capelli soffici per asciugarli. Tolse l’asciugamano da Lovino, lo sbatté per far cadere i capelli tagliati sul pavimento e poi osservò il riflesso nello specchio. Lovino mosse un po’ la testa a destra e sinistra per guardarsi, Antonio lo stava osservando con cura.
“Come sono?” gli stava sorridendo dallo specchio.
Lovino pensò bene a quello che avrebbe dovuto dire “Poteva andare peggio.”
“Hai ancora un  sacco da imparare, non credere di aver finito qui.” Roma disse subito. Antonio scattò e lo guardò serio. “Lo so. Inizialmente potrei farti da aiutante.”
“Vuoi che torni io a prendere il negozio?” scosse la testa “Ma…”
“Imparerò prima di aprirlo, ma non posso gestirlo da solo, non sarò mai così bravo.” Continuò lui sinceramente. Roma ci pensò un attimo. Fece per aprire la bocca, poi la richiuse.
“Roma?”
“Va bene.” Disse infine “Non sarà tutto pronto prima di maggio, hai comunque tempo per imparare qualcosa.” Poi però aggiunse “Io dovrei essere in pensione però.”
Antonio alzò le spalle “Tranquillo, non penso che a qualcuno importi sul serio.”
“E chi si occuperà dell’orto e del resto?” Lovino aggiunse, quasi fosse la voce della coscienza in quel momento. Roma e Antonio si guardarono e si capirono al volo, tornarono a guardare entrambi Lovino, ancora seduto. Alzò gli occhi al cielo e li roteò “Io, vero?” 
Il nonno rise. Ad Antonio dispiaceva dover lasciare Lovino da solo a casa, ma non avevano altra scelta, il nonno vendeva alcune delle sue verdure a persone che le avrebbero poi vendute al mercato, qualcuno doveva pur farlo al posto suo.

***

Aprile, 1959

Da molto tempo ormai ogni giorno Lovino insegnava l’italiano ad Antonio, per almeno due ore. Roma si procurò un gran quantità di parrucche, l’unico modo per aiutare Antonio. Roma inoltre gli fece la barba per fargli capire, Antonio se la fece da solo poi come Roma aveva fatto con lui. Quando a Roma crebbe di nuovo, fu il turno di Antonio di fargliela. Lovino non fu di nessun aiuto quella volta, sulla sua faccia continuava a non esserci nemmeno un pelo.

Emma una volte si propose come cavia, ma Roma disse che non era possibile, le donne non si facevano tagliare i capelli dal barbiere. Lei, quindi, costrinse Tim a farlo al post suo, gli promise dei soldi se lo avesse fatto. Arrivò in casa con la sigaretta accesa in bocca, alto quanto la porta, con la solita espressione si sedette sulla sedia e fece fare ad Antonio. Non si erano mai parlati seriamente, ma ad Antonio non era particolarmente simpatico. Gli fece anche la barba, a Tim.

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Maggio, 1959

Era la metà di Maggio quando finalmente riuscirono a completare definitivamente il locale. Antonio, Lovino e Roma gli diedero un’occhiata da fuori. Era stato ridipinto di un celeste chiaro, dalle finestre poi si riusciva ad intravedere l’interno. Antonio e Lovino si guardarono sorridendo.
Entrarono dentro.
I mobili erano stati tutti aggiustati, c’era un bancone e poi due sedie di fronte agli specchi. Un divanetto abbastanza grande per far sedere qualcuno in caso di attesa. Due o tre piante giusto per abbellire la stanza. Antonio chiese a Lovino di appendere un suo disegno, poi misero vari poster sulle pareti, altrimenti sarebbe sembrato troppo spoglio.
“Perfetto.” Antonio disse, con le mani sui fianchi guardando tutto soddisfatto quello che avevano fatto. Si voltò per guardare Roma, stava sorridendo mostrando tutti i denti. Uscirono tutti, Antonio guardò ancora una volta quello che lo circondava “A domani!” disse alla sala e spense le luci.

***

Luglio, 1959

Intorno alle tre Lovino era di nuovo solo in casa. Antonio e il nonno uscivano la mattina presto, tornavano per pranzo, e andavano di nuovo via alle tre di solito. Era contento, anche se lo nascondeva, che il lavoro di Antonio stesse funzionando, ma dannazione se odiava doversi occupare della casa.
Dopo la colazione stendeva i panni, a volte doveva raggiungere il lavatoio per lavarli la mattina, puliva, andava nell’orto, preparava il pranzo prima che tornassero gli altri in modo che fosse già pronto quando erano a casa. Antonio lo aiutava a lavare i piatti, insisteva per passare del tempo insieme prima che uscisse di nuovo.

Quel pomeriggio, dopo aver finito prima del dovuto tutto quello che aveva da fare, intorno le cinque, prese la sua bicicletta e pedalò fino al paese. Lasciò che il vento gli entrasse da sotto la maglietta, era una sensazione piacevole, era stata una giornata afosa. Arrivato in paese dovette pedalare per altri 10 minuti, prima una salita, poi una piccola scorciatoia e arrivò davanti al negozio, lasciò la bicicletta poggiata fuori, un uomo uscì dalla porta e Lovino entrò.
Antonio stava spazzando a terra un cumulo di capelli, il nonno nel frattempo si era seduto su una delle sedie. “Lovi!” Antonio alzò lo sguardo e sorrise.
“Ciao.” Disse solo “Non avevo nulla da fare.” Guardò in basso e notò che aveva ancora i calzoni sporchi di terra perché era stato nell’orto quella mattina. Mise una mano sul sedere e cacciò un pacchetto di sigarette dalla tasca. Se ne accese una e si andò a sedere sul divano. Antonio poggiò la scopa e si accomodò accanto a lui. “Me ne dai una?”
Lovino gli offrì il pacco e lasciò a l’altro scegliere la sigaretta. Lo guardò accendersela e poi inalare. Ancora gli faceva uno strano effetto stare lì con Antonio, ancora adesso ogni minima cosa di Antonio gli faceva uno strano effetto nello stomaco, lo faceva bloccare, smetteva di respirare. Anche dopo quello che erano diventati, Lovino non riusciva a spiegarsi perché proprio lui. Ogni volta che lo guardava non riusciva a spiegarsi perché una persona come Antonio avesse scelto uno come lui. Non sapeva nemmeno se effettivamente meritava tutto quello. Probabilmente se lo sarebbe chiesto per altri mesi, anni, decenni.
“Che hai?”
“Eh?” Lovino fece e scosse la testa “Niente.” Guardò il cielo attraverso la finestra sotto la quale erano seduti. Gli venne da pensare per qualche momento a suo fratello, da qualche parte in Germania, a fare chissà che cosa. Antonio gli poggiò una mano sulla gamba, nel punto in cui il nonno non avrebbe potuto vedere in ogni caso, ma Lovino si voltò di scattò e gli fece spostare la mano. Antonio rise un pochino. Dalla finestra notarono un’ombra. “Sta arrivando qualcuno.” Disse Lovino. Antonio si alzò in piedi, con la sigaretta fra i denti, e un ragazzo entrò. Era quello che gestiva il supermercato con sua madre e suo padre, Lovino lo riconobbe subito. Sicuramente non fu un giorno affollato, dopo lui e un altro signore (che conosceva Roma), non andò più nessun altro. Si godettero il pomeriggio estivo all’interno del negozio. Per passare il tempo Lovino e Antonio si misero a prendere in giro i passanti che vedevano dalla finestra. Il nonno ridacchiava ogni tanto e scuoteva il capo ascoltandoli, mentre fumava una sigaretta.

Quando arrivò l’ora di chiudere il negozio era il tramonto. Il cielo era viola e sfumava in un rosa pesca, le nuvole praticamente non c’erano. Antonio chiuse a chiave e fece canticchiare i portachiavi che si colpirono fra di loro.
“Possiamo andare.” Disse Antonio in uno sbadiglio. Il nonno si stiracchiò la schiena. Lovino alzò la sua bicicletta. “Aspetta!” esclamò all’improvviso Antonio e Lovino si voltò di colpo.
“Cosa?” allarmato.
Antonio si avvicinò e saltò sul sellino “Vai dietro.”
Lovino sbatté le palpebre e osservo il ragazzo tutto sorridente, con la sua pelle scura alla luce del sole. “Cosa? No!” non tolse nemmeno per un momento le mani dal manubrio “La bici è mia.”
“Ti prego, Lovi!”
“Sembra divertente.” Roma notò “Ci andrò io se non lo farai tu, Lovino.” Lo disse quasi come una minaccia e Antonio rise a quelle parole.
“Dai!” continuò. Lovino arrossì.
“Va bene.” Disse alla fine. Tolse le mani e lasciò il manubrio ad Antonio. Salì dietro, dove c’era il portapacchi.  La bici si lamentò al peso di Lovino. “Se ci romperemo il collo per colpa tua io…” cominciò lui. Antonio spinse con il piede destro il pedale e partirono di colpo. Lovino si strinse alla vita dell’altro. L’idea di andare sulla bici mentre guidava qualcun altro lo terrorizzava, non si sentiva affatto al sicuro, soprattutto se quella persona era Antonio.
“ANTONIO!” Urlò lui “NON CORREREEEEEEEEEEE” sentì da lontano la risata potente di suo nonno che gli urlò “Ci vediamo a casa!”
“IO TI AMMAZZO, ANTONIO, TI AMMAZZO!” Si strinse ancora di più, con la guancia schiacciata contro la schiena di Antonio. L’altro se la stava spassando, rideva a crepapelle. Antonio ce la stava mettendo davvero tutta per pedalare il più veloce possibile. Intorno a sé Lovino vedeva soltanto colori che si fondevano, le case non avevano più una forma, le macchine che sorpassarono non riuscì nemmeno a distinguerle. Era abituato quando era lui a guidare, ma così sembrava tutto più spaventoso. Eppure si ritrovò a ridere ad un certo punto, mentre imprecava contro Antonio. Quello nel frattempo era salito sul marciapiede, aveva fatto urlare una signora di paura “Mi scusi” gli aveva detto Antonio in una risata. Lovino nel frattempo era in lacrime per le risate, e non riusciva a fermarsi, era come se il vento gli stesse facendo il solletico allo stomaco. “BASTA, ANTONIO!” Rise ancora più forte quando un’altra persona dovette spostarsi con un urletto. Poi realizzò, Antonio non aveva preso la scorciatoia, anche se ci aveva messo la metà del tempo lo stesso, quindi ora arrivava quella che prima per Lovino era stata una salita. Si mise dritto con la testa per guardare davanti a sé e vide la discesa avvicinarsi, non era ripida, ma lunga. Chiuse la bocca e trattenne il respiro, gli veniva difficile con tutto quel vento. “Sei pronto?” Antonio gli disse. Avrebbe voluto guardarlo in faccia, doveva essere la persona più felice del mondo in quel momento. Lovino guardò attentamente la discesa, poi si mosse. “Cosa stai facendo?” Antonio spostò di poco la testa per guardare dietro di lui. Lovino aveva creduto che sarebbe stato più divertente così. Aveva alzato il sedere e aveva spostato le mani alle spalle di Antonio. Sulla sua faccia comparì un ghigno strano, sapeva di star facendo un’espressione del genere. Era spaventato, continuava a non fidarsi di quello che sarebbe potuto succedere, ma lasciò andare tutto. Antonio aveva di poco abbassato la schiena per darsi una spinta maggiore, arrivarono alla discesa e urlarono tutti e due. I capelli di Lovino andarono completamente indietro. Rise un’altra volta e notò che anche Antonio stava facendo lo stesso. La fine della discesa sarebbe stata molto brusca a quella velocità.
“Antonio, rallenta!” urlò “RALLENTA!” Urlò ancora una volta. I freni della bicicletta non erano dei migliori e Lovino lo sapeva. Per fortuna Antonio riuscì a rallentare gradualmente, andavano comunque veloci, ma almeno non sarebbero caduti rompendosi entrambi il naso. Lovino tornò a sedersi, la presa sulla vita di Antonio era diventata meno forte. “Non hai più paura?”
“Non avevo paura nemmeno all’inizio.” Affermò con vergogna.
Antonio rise “Ma certo.”
Arrivarono in un battito di ciglia alla campagna, dovevano fare la solita strada per tornare a casa. Antonio fermò la bici e riprese fiato. Era completamente a pezzi, la gamba che teneva poggiata a terra tremava un pochino, Lovino si sentiva la faccia fredda a causa del vento. Antonio riprese a pedalare, ma più lentamente, lasciando a Lovino il tempo di godersi quel momento. Mandò indietro la schiena e la testa in modo svogliato e guardò il cielo. Non c’era nessun rumore se non quello della catena della bicicletta, non c’era nessuno nei dintorni, solo loro due. Realizzò di sentirsi particolarmente felice.
“Vorrei che questo durasse per sempre.” Antonio disse sovrappensiero. Lovino rimase a guardare il cielo. “Io e te da soli, in una giornata di sole.” Lovino si tirò su e osservò la schiena di Antonio, che si muoveva ad ogni pedalata. Si voltò, oltre di lui il sole del tramonto era fortissimo, Lovino non riusciva a vedere bene se non la sagoma del profilo di Antonio.
Sembrava che il mondo si fosse fermato in quel momento.

***

Ottobre, 1959

La mamma era lì, con i suoi capelli biondi tenuti in una treccia. Feliciano si stava divertendo a mettere dei fiori nei capelli intrecciati. Ma quelle che Lovino vedeva non erano mani di bambino. Guardò suo fratello, avevano 19 anni. La mamma e Feliciano stavano cantando.

“Tutte le sere sotto quel fanal
presso la caserma
ti stavo ad aspettar.
Anche stasera aspetterò, e tutto il mondo scorderò
con te Lili Marleen, con te Lili Marleen.”

Lovino li guardò sbattendo le palpebre velocemente, si voltò e vide suo padre avvicinarsi e sedersi dietro i due fratelli.


“O trombettier stasera non suonar,
una volta ancora la voglio salutar.”


Il padre cantò stringendo i due ragazzi, guardò negli occhi prima uno e poi l’altro. Per la prima volta Lovino poté notarlo, assomigliava davvero a suo padre, ancora giovane, e non invecchiato anche se Feliciano e Lovino erano grandi adesso. La mamma nel frattempo si era voltata, Lovino riuscì a vederla chiaramente per poco perché poi iniziò a piangere.

“Addio piccina, dolce amor, ti porterò per sempre in cor
con te Lili Marleen, con te Lili Marleen.”


La mamma cantò. Le sue mani delicate si poggiarono sulle guance dei suoi figli. Lovino guardò Feliciano, piangeva anche lui, ma sorrideva.

“Prendi una rosa da tener sul cuor
legala col filo dei tuoi capelli d'or.”


La mamma prese una rosa dal terreno, la diede a Feliciano. Il padre li teneva ancora stretti in silenzio.

“Forse domani piangerai, ma dopo tu sorriderai.
A chi Lili Marleen? A chi Lili Marleen?”


Questo lo disse voltandosi verso Lovino, gli asciugò le lacrime con il pollice.
 
“…vino…Lovino?”
Il ragazzo aprì gli occhi di colpo.
“Mi hai spaventato, stavi piangendo nel sonno.” La voce era quella di Antonio, che ormai dormiva in camera con Roma e suo nipote, così da risparmiare spazio in casa. Si era svegliato anche lui da poco, si poteva capire dalla faccia. Lovino si poggiò le mani sugli occhi e li strofinò, poi tolse le lacrime dalle sue guance. “Hai fatto un altro dei tuoi sogni?” chiese Antonio quando vide che si fu calmato.
“Sì.” Disse in un singhiozzo, sentendosi alquanto patetico, era troppo grande per piangere per dei sogni. “I miei genitori.”
“Capisco.” Rispose semplicemente. “Vuoi raccontarmi?” Lovino scosse la testa. Antonio si alzò “Ti aspetto di là.”
“Sì…” disse con una voce tenue.

***

Gennaio, 1960

Carissimo Arthur,
Scusa se invio una lettera, ma ho pensato a te ultimamente. Non mi sono fatto sentire e effettivamente, non sai assolutamente nulla di quello che mi è capitato. O forse te ne avrà parlato Francis, se sei ancora in contatto con lui. (Si sarà sposato con Jeanne adesso immagino)
Sono arrivato in Italia, e ora resto ad abitare qui. È un paesino in campagna nel centro Italia, completamente diverso da dove abitavo prima con te, o dove abita Gilbert.
Ora abito con Lovino e suo nonno, lavoro come barbiere, ho imparato l’italiano.

Mi piacerebbe sapere come stai.
Buon anno,
Antonio.

Rilesse la lettera un’ultima volta prima di spedirla, sperando che Arthur avesse apprezzato. Aveva ripensato a lui mentre parlava con Lovino e così decise di scrivergli. Gli sarebbe piaciuto prima o poi rivedere lui, anche Francis e Gilbert.

***

Agosto, 1960

L’inverno passò, così come la primavera, l’estate fu caldissima anche quell’anno. In agosto Antonio e Roma chiusero il negozio. Metà dei soldi andava ad Antonio, l’altra metà andava al nonno, che li teneva fra i vari risparmi. In quel mese sarebbero arrivati anche Feliciano e Ludwig. Lovino non lo dava a vedere, ma come al solito Antonio riusciva a capire tutto solo guardandolo negli occhi, ed era eccitato all’idea di rivedere suo fratello. Si poteva anche intuire dal fatto che fu più scontroso del solito per tutta la mattinata, e fumò tre sigarette tutte di seguito.
Roma si era deciso a comprare un divano-letto, abbastanza spazioso da far entrare tre persone, quindi per quella volta non avrebbero dovuto preparare nulla.
“Dovrebbero essere già qui.” Aveva detto Lovino agitando il piede, era quasi ora di pranzo. Lui era in cucina e dava la schiena ai fornelli, mentre fumava la quarta sigaretta.
“Lovi, sta calmo, saranno quasi arrivati.” Antonio nel frattempo stava preparando la tavola, aveva preparato per cinque posti.
“Sono calmissimo, io.” Gli aveva risposto dalla cucina. Antonio rise debolmente. “E aggiungi un altro posto.”
Antonio si allontanò dalla tavola e contò con il dito “Siamo in cinque.” Alzò le spalle e guardò confuso l’altro. Lovino ciccò in un posacenere sul mobile della cucina e rimise la sigaretta in bocca “Aggiungi un altro posto.” Semplicemente.
Antonio forse aveva capito “Viene qualcun altro oggi?” si avvicinò verso Lovino tutto contento e curioso. “Dai, Lovino, chi viene?”
“Sta zitto.” Si era voltato e si era messo a girare la pasta. Antonio mise il broncio e prese quello che serviva, una volta messo a tavola ricominciò a supplicare Lovino. E a fare domande, ma le uniche risposte che riuscì ad ottenere furono “No.” e “Chiudi il becco”. Il nonno aveva assistito alla scena, dato che era entrato dalla porta che c’era in cucina perché era in giardino, e rise. Doveva sapere anche lui chi era il sesto.
Il campanello finalmente suonò, Lovino finì la sua sigaretta e disse in un sospirò “Finalmente.” Mentre Antonio corse alla porta, saltellando. Aprì.
“Antonio!” Davanti a tutti c’era Gilbert, che lanciò la sua borsa a terra e si lanciò sull’amico.
“Gil!” Gli aveva urlato in risposta mentre lo abbracciava. Era un po’ sudato e appiccicoso, probabilmente a causa del treno e della camminata. Sentì i passi di Lovino dietro di lui. Quando si staccò dall’abbraccio si voltò verso Lovino “Volevi farmi una sorpresa?” l’altro alzò solo le spalle, anche perché era stato attaccato da Feliciano, mentre urlava un “Fratello!”. Antonio notò che Lovino stava sorridendo, lo trovò più bello del solito.
“Lud, che stai facendo lì impalato?” Gilbert aveva gracchiato contro il fratello che si stava occupando di prendere le borse che gli altri due avevano buttato a terra.
“Sto prendendo le borse.” Aveva risposto seriamente.
“Ci penso io a quelle, entra dentro tu.” Roma apparve fra tutti e si diresse verso la porta. Gilbert ne sembrò intimorito, lo seguì attentamente con lo sguardò e poi disse all’orecchio ad Antonio “Quello sarebbe il nonno di Feliciano e Lovino?” Antonio rise. La porta si chiuse e Roma parlò.
“Sì, sono il nonno, ma non sono certo sordo.” Lasciò cadere una borsa e allungò la mano a Gilbert “Julius Vargas, chiamami Roma, mi chiamano tutti così da una vita ormai.”
Gilbert si mise ritto e deglutì, Roma lo guardò con uno sguardo duro.
“Ah… mi scusi. Piacere, sono Gilbert, il nonno…” poi scosse la testa “Voglio dire, il fratello maggiore di Ludwig.” Afferrò la mano, Roma strizzò gli occhi e lo guardò ancora per un po’con fare truce. Antonio non era spaventato, sapeva già come sarebbe andata a finire.
“Sto scherzando!” Fece la sua risata fragorosa e diede uno spintone a Gilbert. “Lovino, va a controllare la pasta penso che ormai sia pronta. Spero apprezzerai la cucina italiana, Gilbert!” quello iniziò a respirare di nuovo e rise nervosamente.
“Avevo capito che era uno scherzo.”
Quando Roma andò via, per posare i bagagli degli altri, seguito da Ludwig, Gilbert fece ad Antonio “Oddio, mi sono spaventato a morte.” Antonio rise di gusto “Dai, vieni di là. Ho un sacco di cose da raccontarti.”

Ovviamente non fu un pranzo silenzioso. Gilbert faceva sempre ridere Antonio e Feliciano, e anche il nonno dava il suo contributo. Il nonno a capotavola, Lovino era fra Feliciano e Antonio, lui invece era difronte a Gilbert, seduto accanto a suo fratello.
Feliciano disse di aver trovato lavoro da un fruttivendolo e al contempo lavorava al bar dove aveva lavorato anche Antonio per un breve periodo. Gilbert lo aveva mandato lì, questa volta assicurando che sarebbe stato per parecchio tempo. “Per avere soldi extra, altrimenti non ce la farò mai ad aprire il mio negozio.” Il nonno gli mise una mano in testa e gli scombinò i capelli, sorridendo. E Feliciano rise.
“Invece il tuo libro?” Chiese Antonio. Ludwig trasalì.
“Ah, è finito.” Rispose solo così e intervenne Feliciano.
“Sta cercando di farlo pubblicare” tutto eccitato e ansioso.
Gilbert dall’altra parte aveva dato un colpo sulla schiena di Ludwig “Sono così contento per lui!”
Antonio invece aveva raccontato tutto quello che aveva fatto in Italia a Gilbert che ascoltò tutto con attenzione. Nel frattempo finirono anche il secondo, la frutta e finalmente si alzarono da tavola.
“Andate a fare qualcosa in giro. Ci penserò io ai piatti.” Il nonno iniziò a ripulire la tavola. Lovino esultò a bassa voce e Antonio rise.
“Volete fare qualcosa?” Antonio lo chiese rivolgendosi a tutti, poi guardò l’orologio e si accorse che erano le tre. Erano stati un bel po’ a tavola. Gilbert stava per parlare quando sentirono bussare dalla finestra. Si voltarono tutti contemporaneamente e videro Emma agitare la mano contenta.
“Emma?!” Antonio e Lovino parlarono all’unisono. Con il sole che c’era a quell’ora i suoi capelli sembrarono più chiari, teneva nastro verde, si vedevano i due fili uscire ai lati del collo. Antonio notò che il sole le aveva fatto comparire un po’ di lentiggini sul piccolo naso. Sparì e andò alla porta ad aspettare che aprissero. “Ci penso io!” l’italiano si diresse lì. Gilbert era rimasto imbambolato, sentirono la porta aprirsi, Emma era entrata e stava parlando con Lovino.
“Chi è quella?” Gilbert chiese sotto voce ad Antonio, in piedi accanto a lui.
“Emma, una nostra amica.”
Nel frattempo era entrata nella stanza, fece svolazzare la gonna quando andò incontro a Feliciano “Ciao, Feli!” lui l’aveva salutata gentilmente. Il giorno prima Lovino era andato a trovarla, probabilmente le aveva detto che sarebbe tornato Feliciano.
Gilbert aveva tirato per il braccio Antonio “Beh, è carina!” esclamò, sempre tenendo la voce bassa.
“Non ci provare nemmeno, Gil.” Gli rispose subito.
Gilbert incrociò le braccia “Ho capito.” Poi aggiunse “Piace a te.”
Antonio si strozzò e poi scoppiò in una risata. “Che diavolo c’è da ridere?!” Gilbert disse allarmato. “Ho ragione?” Antonio stava ridendo e guardò verso Lovino, poi di nuovo a Gilbert. “Sei proprio fuori strada!” rise ancora più forte e dovette allontanarsi un attimo per riprendersi.

Andarono a fare tutti insieme una passeggiata. Volevano far vedere a Gilbert la campagna, il paesino e il negozio di Antonio. Emma scoprirono che era andata lì senza dire nulla a suo padre, l’avrebbe uccisa se avesse saputo che era andata da sola con tanti ragazzi e adesso ci stava anche passeggiando insieme.
Lovino stava camminando avanti, era stato trasportato da Emma e Feliciano, Ludwig li affiancava. Ad una moderata distanza c’erano Gilbert e Antonio.
“Credo che mio fratello e Feliciano vogliano prendere una casa.” Gli disse l’albino.
“Cosa te lo fa pensare?”
Gilbert ridacchiò “Li ho sentiti.” Dopo una piccola pausa riprese a parlare “Feliciano ha abbozzato il discorso, erano nell’altra stanza insieme, io ero in cucina.”
Antonio rispose incerto “Non sei contento?” non aveva ben capito dove Gilbert stesse andando a parare.
“Sì, certo. Mi fa piacere che Ludwig diventi più autonomo… ma…” smise di camminare e guardò Antonio in modo serio. “Tu ne sai più di me, non è vero?”
Anche Antonio aveva smesso di camminare. Si guardarono per un eterno momento. Non c’era un filo di vento, Antonio sentiva i capelli appiccicarsi alla sua fronte per via del sudore, c’era un caldo fastidioso. Sentì il lontananza Feliciano canticchiare e Lovino che gli rispondeva male. Erano rimasti indietro perché Gilbert non voleva sentissero.
“Riguardo che cosa?” la bocca era diventata secca. Come avrebbe fatto a nascondere la verità? Detestava dover mentire a Gilbert.
“Ludwig e Feliciano….” Poi spostò lo sguardo verso i quattro in lontananza “Io non lo so.” Scosse la testa e rise brevemente “Nulla, lascia stare, forse sono troppo paranoico.”
Antonio rise anche lui, il suo respiro tornò regolare, non sapeva davvero mentire . “Forse sì.” E gli diede un colpo sulla schiena.
“Ehi, voi due!” Feliciano li stava chiamando “Cosa state facendo? Muovetevi, abbiamo voglia di gelato noi!”
“Arriviamo!” Antonio urlò in risposta. Poi si voltò verso Gilbert “Facciamo a chi arriva prima?” voleva davvero dimenticasse del discorso.
Gilbert disse in modo svogliato, intanto aveva fatto qualche passo in avanti, lasciando Antonio dietro “Mah, non lo so, ormai siamo troppo grandi per queste cose.” Antonio stava per rispondere quando Gilbert urlò “L’ultimo paga per tutti!” tolse le mani dalle tasche e iniziò a correre.
“Gilbert! Brutto stronzo, non vale così!” Antonio rise, protese il petto in avanti e corse più che poteva, anche se Gilbert era in vantaggio rispetto a lui e non ce l’avrebbe mai fatta.

Emma tornò a casa dopo il gelato, altrimenti avrebbe fatto troppo tardi. Dopo un’oretta andarono via anche loro. Fecero vedere il negozio a Gilbert, in realtà nemmeno Feliciano e Ludwig lo avevano visto finito. Inutile dire che Gilbert e Feliciano iniziarono a gironzolare da tutte le parti e a toccare tutto quello che c’era in giro.
Andarono verso la campagna sul tardi, intorno alle sei. Si stesero in un prato, presero dei frutti da un frutteto più lontano e corsero tutti via con i loro bottini fra le mani. Antonio guardò Lovino ridacchiare con suo fratello mentre gli faceva vedere che era riuscito a prenderne molti più di lui. Ludwig era evidentemente preoccupato e Gilbert, incapace di fare qualcosa in silenzio, stava ridendo a crepapelle perché Ludwig ne aveva presi davvero pochi. Per un momento gli sembrò di vedere i bambini che aveva conosciuto che correvano per tornare all’orfanotrofio.

Tornarono a casa per la cena, dopo di che restarono svegli tutta la notte. La frescura delle serate estive sembrava aver ridato la carica a Gilbert, Feliciano e Antonio. Presero un vecchio pallone da calcio del nonno e giocarono con quello, anche Lovino e Ludwig si unirono. Quella sarebbe rimasta per sempre una delle giornate estive più belle di tutta la vita di Antonio, lo sapeva con sicurezza.

***

31 Dicembre, 1961

Germania

Lovino era seduto sul divano nel salotto di Gilbert e Ludwig. Una domenica pomeriggio pigra e noiosa. Gilbert stava lavorando, Ludwig e Feliciano erano usciti a comperare le ultime cose che sarebbero servite per il cenone, Antonio invece era in cucina, non sapeva nemmeno lui a fare cosa. Guardò dalla finestra la neve cadere lenta e leggera. Sembrava che l’inverno rendesse tutto più lento, o forse erano le domeniche pomeriggio che andavano troppo lente, tanto da far morire di noia l’italiano. L’albero era addobbato all’angolo della stanza, era molto più grande di quello che facevano loro in Italia. Anche i mobili erano sicuramente migliori. Dopo la pubblicazione del suo libro Ludwig aveva guadagnato molto. La sua mente andò a suo nonno, sperava non si stesse annoiando da solo, ora che era abituato ad avere tutti intorno. Antonio lo aveva pregato di seguirli, non ne volle sapere.
“Ehi.” Una voce lo chiamò, si voltò e vide Antonio in piedi, indossava un maglione nero a collo alto infilato nel jeans, con due tazze fumanti in mano “Ti ho portato una cioccolata calda.” Si avvicinò e Lovino la prese stando attento a non scottarsi.
“Stavi facendo questo in cucina?” L’altro si abbassò e diede un bacio sulla testa a Lovino, che si scansò.
“Già.” Antonio si era avviato verso la radio. Avevano uno degli ultimi modelli usciti in realtà. Girò le due manopole.

“…outside is frightful
But the fire is so delightful
Since we've no place to go
Let it snow, let it snow, let it snow”


“No, no, toglila ti prego!” nel frattempo Frank Sinastra stava continuando a cantare la sua canzone natalizia. Lovino l’aveva ascoltata almeno cinque volte negli ultimi tre giorni “Non hanno altro da mettere durante il periodo natalizio?”
Antonio rise un pochino e cercò un’altra frequenza.

“I ought to say, no, no, no sir (mind if I move in closer?)
At least I'm gonna say that I tried (what's the sense in hurtin' my pride?)”

Lovino tirò la testa all’indietro e sospirò rumorosamente. “Non sopporto più queste canzoni!”
Antonio rise di più, lo raggiunse sul divano e lasciò che la radio continuasse.

“I really can't stay (oh baby don't hold out)
But baby, it's cold outside”


Lo sentì canticchiare a bassa voce e roteò gli occhi. Teneva la sua tazza ancora fra le mani, soffiò e prese un sorso dalla sua cioccolata. Troppo dolce per i suoi gusti. Antonio nel frattempo si era avvicinato, le loro spalle erano praticamente attaccate.
“Mi sento un po’ in colpa.” Disse lui.
“Mh?” Lovino stava mandando giù un sorso.
“Per tuo nonno.” Si massaggiò il collo “Speriamo sia stato bene. Anche se da una parte è meglio così. Se lo avessi portato non avremmo avuto del tempo per noi.”
Lovino divenne rosso “Smettila di dire queste stronzate.”
Antonio gli stampò un baciò sulla guancia, poi sull’occhio, sulla fronte e poi scese alle labbra. Mentre ridacchiava fra sé e sé. Lovino ricambiò il bacio, al momento Antonio sapeva di cioccolato. Nel frattempo la radio continuava:

“My sister will be suspicious (gosh your lips look delicious)
My brother will be there at the door (waves upon the tropical shore)

My maiden aunts mind is vicious (gosh your lips are delicious)
But maybe just a cigarette more (never such a blizzard before)”


Bussarono alla porta “Siamo tornati!” Feliciano li stava informando. Antonio si staccò, Lovino aveva ancora gli occhi chiusi, non voleva finisse così presto.
“Come non detto.” Antonio rise di nuovo. Si alzò e aprì la porta Feliciano, che aveva un sacco di buste della spesa fra le mani.
“Abbiamo comprato tantissime cose, abbiamo intenzione di mangiare parecchio stasera.” Feliciano iniziò a parlare veloce, Lovino li vide sparire tutti in cucina. Sentì un po’ di baccano. Poi Antonio comparve di nuovo.
“Prima la nostra cioccolata calda, poi penseremo agli altri.” Si accomodò di nuovo e sorrise. Lovino, tutto rosso e imbarazzato, si gustò la sua ultima cioccolata dell’anno.

“…Baby, it's cold outside”

***

Giugno, 1962

Stavano camminando già da una ventina di minuti, si era inoltrati verso la campagna. Lovino non aveva ben capito che cosa il nonno avesse in mente. Aveva detto a lui e Antonio, mentre facevano colazione, che voleva portarli in un posto. Ovviamente non diede nessuna spiegazione, Antonio disse a Lovino che era la stessa situazione di quando lo portò a vedere il negozio, ma non aveva idea di cosa avesse in mente Roma. “Sarà una bella camminata.” Il nonno li avvertì.
“Quanta altra strada dobbiamo fare?” fu Lovino a parlare. Soprattutto si domandava dove li stava portando. Erano circondati da frutteti, c’era qualche casa e qualche fattoria ogni tanto, Lovino sentì la puzza di letame venire poco più distante di lì.
“Altri dieci minuti, Lovino, tranquillo.”
Lovino sbuffò. La cosa che lo infastidiva di più era il non riuscire a capire cosa stava succedendo. Camminarono ancora un po’, tutti e tre in silenzio. Antonio si guardava attorno e commentava ogni tanto qualcosa che vedeva in lontananza. A Lovino la zona cominciava a sembrare familiare, come se l’avesse vista in qualche sogno. “Questo posto l’ho già visto.” Informò gli altri
“Lo credo bene.” Fu l’unica cosa che il nonno rispose. Antonio si guardò ancora una volta intorno “Non siamo mai venuti fino qui. Come…”
Lovino lo ignorò e accelerò il passo per trovarsi di fianco a Roma “Dove stiamo andando?” gli mise una mano in testa, gli sorrise e lo spinse indietro. Lovino si imbronciò, odiava essere trattato così. Ormai aveva 22 anni, aveva il diritto di non essere più trattato come un bambino. Gli era inoltre finalmente spuntata la peluria sul viso, che ovviamente toglieva perché la trovava davvero brutta, e poi con un filo di barba sotto il mento assomigliava troppo a suo nonno.
“Dobbiamo andare da questa parte.” Annunciò Roma. Lo seguirono senza fare troppe storie, svoltarono in un angolo e finirono lungo uno stretto vialetto, in lontananza si vedeva un piccolo gruppo di case, e ora tutto questo a Lovino sembrava maledettamente familiare.
“Nonno…” iniziò a dire poi smise di parlare quando si avvicinarono alla prima casa. La osservò a bocca aperta. Antonio forse disse qualcosa, ma lui non lo sentì. La ricordava molto più grande, ma era lei, era casa sua. Andò verso il cancello, che era socchiuso, lo spinse e produsse un cigolio. Il giardino non era come lo ricordava, non era più curato come quando c’era sua mamma. Immaginò i fiori e la siepe, il prato verde, immaginò sua madre intenta a piantare qualcosa, mentre lui e Feliciano correvano e giocavano. Gli sembrò di sentire il profumo delle rose. Si girò attorno, Antonio e Roma erano dietro di lui, ne era convinto, ma non gli diede attenzione. Guardò la porta di casa, non c’era nessun portico, era diversa dalla casa del nonno, solo l’ingresso. Non pensava potesse essere in così buone condizioni, erano 17 anni che nessuno metteva piede in quella casa. Le chiavi erano appese al portone, pensò che le avesse messe suo nonno lì. Entrò dentro. L’ingresso e il salotto erano un’unica cosa, il camino era di fronte ad un divanetto. I mobili erano diversi, solo alcuni li ricordava chiaramente. Di fronte l’ingresso una piccola porta dava sulla cucina, accanto c’era il corridoio che portava al bagno e alla camera dove dormivano tutti insieme nello stesso letto. Nei suoi sogni non era proprio così, non sempre, sembrava sempre più grande, a volte sembrava un’altra casa perché la sua mente gli giocava dei brutti scherzi probabilmente, ma quella era reale, ogni muro che vedeva riusciva a ricordarlo in modo perfetto nella sua mente. Lovino tornò dal corridoio, ancora a bocca aperta, passò una mano sul muro.
“Lovino.” Suo nonno lo chiamò e lui ricambiò il suo sguardo.
“Che significa?” Lovino gli disse con la voce un po’ spezzata. Al lato c’era una finestra che dava sul giardino. “Come fa ad essere così…intatta?”
“L’ho fatto io. È un regalo.” Il nonno rispose, gli si avvicinò “Ho usato i soldi che avevo risparmiato dal lavoro con Antonio e altri risparmi che un vecchio come me non aveva bisogno di avere.” Poi aggiunse “Ho anche chiesto una mano ad Emma per alcune cose, consigli per lo più, ma lei invece ha insistito per aiutarmi a portare i mobili delle volte.” Iniziò a guardarsi in giro.
Lovino lo guardò ad occhi spalancati, voleva parlare, voleva dirgli che non era necessario, non c’era motivo, ma quando aprì la bocca uscì solo un lamento e non riuscì a trattenere le lacrime.
“Ehi, ehi!” il nonno si voltò allarmato, Antonio si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.
“Lovino…” gli aveva detto gentilmente.
Scostò la spalla “Ma che cazzo mi prende?” cominciò a singhiozzare, non capiva cosa stava facendo, non sapeva nemmeno lui per cosa stava piangendo. Il nonno gli prese il volto e lo tirò su per guardarlo.
“Ehi, sta calmo.” Lovino lo guardò negli occhi scuri con attenzione, anche il nonno sembrava commosso. Aveva fatto tutto quello per lui, aveva usato tutti i suoi soldi, aveva sforzato la sua gamba. Tirò su con il naso rumorosamente. Tirò indietro la testa, si sentiva proprio uno stupido. Antonio lo guardò preoccupato.
“Almeno fatemi finire di parlare.” Si schiarì la gola “In realtà la casa è un regalo per entrambi.”
“Cosa?” Antonio passò da Lovino a Roma in lampo. L’altro alzò lo sguardo da terra.
Il nonno prese un bel respiro “L’ho aggiustata, e messa in ordine, per voi due.” Sorrise “La casa è vostra.”
Antonio rimase senza parole, Lovino sentiva di star riprendendo a piangere. “Ma… cosa?” disse.
“Per quanto tempo ancora vorresti vivere con tuo nonno?” scherzò e allargò le braccia, strinse Lovino in un abbraccio “Tranquillo, è tutto ok.” Gli abbracci del nonno erano sempre troppo stretti e lui era così piccolo, ogni volta si sentiva schiacciato, ma poggiò la testa sulla sua spalla e rimase lì. Non sapeva come spiegare la scelta di suo nonno, non sapeva nemmeno come spiegare a se stesso di essere tornato a vivere nella casa dove aveva vissuto quando era ancora con i suoi genitori, e ora sarebbe rimasto lì con Antonio.
Antonio dall’altra parte era ancora senza parole, però sembrava stesse sorridendo. Il nonno si stava staccando, così fece anche Lovino. “Vi lasciò qui per un po’. Così potete abituarvi. Oggi pomeriggio porteremo le vostre cose.” Disse andando verso la porta. “Vi aspetto a casa. La strada la conoscete, no?”
“Sì…” Antonio però si avviò con lui alla porta, Lovino andò di nuovo verso il corridoio e si poggiò al muro.
“Roma, aspetta.” Antonio disse. La testa di Lovino girava, probabilmente dopo aver pianto. “Perché?” chiese dopo aver esitato. Lovino fece capolino e guardò la scena.
Il nonno prese una fotografia in bianco e nero all’ingresso, li riconobbe, erano i suoi genitori con Feliciano e Lovino in braccio. “Voglio rimediare agli sbagli fatti in passato.” Sorrise di nuovo al ragazzo e posò la foto. Gli diede le spalle e aprì la porta. Lovino trattenne il respiro quando Antonio lo fermò di nuovo.
“A-aspetta.” Gli poggiò una mano sulla spalla. La faccia di suo nonno comparve un’altra volta, era un po’ confuso. “Perché la casa per me e Lovino?” poi esitò di nuovo “Intendo… io e…”
Roma gli mise una mano vicino alle labbra e lo zittì “Non sono nato ieri.” Poi rise “Poi non mi interessa quello che voi ragazzi combinate, detto francamente.” E gli fece l’occhiolino. Chiuse la porta e sparì. Lovino si voltò dall’altra parte si copriva la bocca con le mani e aveva smesso di respirare. Quindi il nonno lo aveva sempre saputo? Fin dall’inizio? Arrossì di colpo e guardò a terra. Vide le scarpe di Antonio apparire. Lo guardava confuso, contento e iniziò a ridere.
“Lovino noi…” e rise ancora di più, lo alzò da terra. “Lo aveva capito e gli va bene così. Abbiamo una casa tutta per noi!” girò intorno e a Lovino girò ancora di più la testa.
“Mettimi giù!” non riusciva a credere a quello che era successo. Fecero il giro della casa più e più volte, Antonio si lanciò sul divano per provarlo, controllarono la cucina. Era una casa molto piccola, ma per due persone sarebbe andata bene. Tornarono nel salotto, Antonio si guardava attorno sorridente, si passò una mano fra i capelli e lo guardò negli occhi. Lovino sentì come un brivido lungo la schiena. “Dovremmo proprio provare il letto.” Non era sicuro che Antonio avesse afferrato il messaggio. Infatti inarcò il sopracciglio.
“Ora?” poi sbatté le palpebre “Oh….” Sorrise “Oh.” Disse di nuovo, l’altro nel frattempo era diventato rosso. “Mi sembra una buona idea.” Gli prese la mano e lo portò nell’altra stanza “Adoro quando prendi l’iniziativa.” Ammise imbarazzato. Lovino arrossì ancora di più. “È solo la seconda volta che succede, sta zitto.”
Lovino stava iniziando ad abituarsi, sicuramente adesso era anche diventati più coordinati e non faceva più male come le prime volte. In quei tre anni lo avevano fatto solo quando il nonno non era in casa, oppure dovevano mettersi in posizioni scomode e posti altrettanto scomodi per non farsi sentire durante la notte, almeno speravano di non essere stati sentiti.
Antonio era sopra di lui, erano ancora entrambi vestiti. La luce dalla finestra filtrò e illuminò la stanza. I capelli gli cadevano avanti agli occhi smeraldo che sembravano stessero luccicando mentre lo guardava. Se lo avesse saputo molto prima non lo avrebbe mandato via quella volta all’orfanotrofio, si sarebbe risparmiato anni di solitudine, ma che almeno era riuscito a compensare con il tempo che avevano e il tempo che avrebbero trascorso insieme.

***

Italia, 1965

Tre anni più tardi Lovino e Antonio continuavano a vivere lì, e finalmente i vicini smisero di fare tante domande. Appena trasferiti il figlio di una signora che abitava lì vicino andò con un gruppetto di ragazzi verso Antonio, che stava andando a lavoro in bicicletta e gli tirarono delle pietre gridando “finocchio!”, quello lo ferì più dei sassi. Non lo disse mai a Lovino, ma riuscì a risolvere la situazione smentendo le voci e parlando con la madre dal ragazzino.
Lovino scoprì che uno dei vicini era amico con suo padre, gli parlò della resistenza, dei partigiani, delle camicie nere e di tutto quello che gli interessava di più riguardo i suoi genitori. Avrebbe voluto sognarli altre volte, ma confidò ad Antonio l’ultimo sogno che fece, la mamma che cantava Lili Marleen a lui e Feliciano ormai grandi.

Emma e Roma andavano a fare spesso delle visite, anche se preferivano andare loro dal nonno. Emma invece portava sempre qualcosa da mangiare. Inoltre si era fidanzata da almeno un anno e un giorno si presentò a casa di Lovino e Antonio e annunciò la data del matrimonio. Antonio la abbracciò con tutta la forza che aveva. Suo padre reputava che fosse troppo vecchia (aveva 27 anni) per sposarsi. Non stava più nella pelle all’idea di non dover più abitare con suo padre, ora che anche suo fratello maggiore si era sposato, solo il più piccolo era ancora in casa con i genitori. Sperava di viaggiare parecchio d’ora in poi. Nello stesso anno rimase anche incinta, quando lo venne a sapere Antonio sentiva che si sarebbe messo a piangere, ne parlò con Lovino la sera a letto e lui gli rispose “Io e Feliciano saremo gli ultimi Vargas a quanto pare.” Si voltò dall’altro lato “Mi sento un po’ in colpa.” Non parlò più. Antonio lo abbracciò da dietro e si addormentarono in quella posizione.

***

Italia, 1966

Quando Feliciano, Gilbert e Ludwig andarono a trovare gli altri in Italia quell’anno portarono anche la fidanzata di Gilbert, finalmente. Si erano conosciuti e fidanzati subito nel ’64, e avevano intenzione di sposarsi. Chiese ad Antonio di fargli da testimone, era andato in Italia per chiederglielo appositamente. Antonio era contentissimo, anche se non aveva idea di come funzionasse, al matrimonio di Emma non aveva dovuto fare nulla. La ragazza di Gilbert era adorabile, con i capelli lunghi, mossi e castani, purtroppo non parlava inglese bene come loro, e spesso dovevano tradurle quello che dicevano in tedesco. Gilbert sembrava veramente contento. Si sarebbero sposati l’anno dopo e non stava più nella pelle.

Italia, 1968

Lovino andò a trovare Emma al negozio, che iniziò a parlare del movimento femminista. Stava partecipando in prima persona alle rivoluzioni del periodo e suo marito l’appoggiava pienamente, si reputava particolarmente fortunata sotto questo aspetto.

Da quando non abitavano più con il nonno era Lovino ad aiutare Antonio al negozio, non sarebbe assolutamente rimasto a casa senza far nulla. Antonio era diventato bravo in quello che faceva e lui lo aiutava come meglio poteva.

Feliciano, Ludwig e a volte anche Gilbert andavano a trovarli una volta l’anno, di solito durante il periodo delle festività natalizie per passarle tutte insieme. Era grazie a Feliciano se il giardino era tornato come una volta, aveva spiegato a Lovino tutto quello che doveva fare per renderlo di nuovo come quello della mamma.
In quella l’anno inoltre finalmente riuscirono a comprare una lavatrice (erano in pochi ad averla nel paese), così da non dover più lavare i panni a mano o andare al lavatoio comunale. Inutile dire che Lovino la prese a calci varie volte quando che provò ad usarla, perché non aveva idea di come farla funzionare, Antonio sbagliò tutto. Lovino si ritrovò le sue camicie bianche tutte colorate e si arrabbiò un’altra volta.

***

Italia, 1978

“Dovresti tornare.” Lovino stava parlando a telefono, Antonio si era invece appena svegliato. Era nel letto a guardare il soffitto e la prima cosa che sentì fu la voce di Lovino nell’altra stanza. “Sì.” Continuò “Va bene, oggi vado io da lui.” poi sbuffò “No!”. Antonio aveva forse intuito di cosa stava parlando. Il nonno, ormai ottantenne, aveva bisogno di una mano. Lovino aveva paura a lasciarlo solo, la sua gamba faceva sempre più male e ormai sembrava davvero invecchiato. La sua faccia era diventata molto più rugosa, i capelli erano diventati tutti bianchi. “Va bene. Quando pensate di arrivare?”
Stava probabilmente parlando con Feliciano per farlo tornare in Italia, in modo da stare con il nonno quando Lovino non poteva. “Quindi domani?” aveva chiesto un po’ seccato “Ok, chiamami quando arrivate lì.” Mugugnò qualcosa “Va bene, Feliciano, porta chi ti pare, basta che la pianti adesso.” Poi sbuffò “Lo so che Gilbert non verrà per via dei bambini… Feliciano, ho capito, vai a dire a Ludwig che dovete venire qui. Sì, ok. Che succede? Un cliente?” una pausa “Allora ciao, chiamami quando arrivi domani.” Poi continuo “Sì, ciao.” E attaccò. Antonio sentì la cornetta sbattere e l’altro sbuffare.
“Hai chiamato Feliciano?” gli urlò ancora nel letto.
“Sì.” L’altro aprì la porta e apparve nella stanza. “Questa telefonata ci costerà più del previsto, non sta mai zitto quello lì. Loro mica badano a spese. Non solo Feliciano è un fioraio, Ludwig ha venduto tantissime copie dell’ultimo libro che ha scritto.” Lovino portava i capelli molto più corti e i suoi lineamenti erano diventati più duri. Antonio si voltò e guardò lo specchio di fronte al loro letto, nel suo riflesso poteva vedere le rughe che gli erano iniziate a spuntare sotto gli occhi, si stava facendo crescere una leggera barbetta, simile a quella che aveva Francis, anche se Lovino la odiava.
“Stai andando già adesso?” gli chiese ancora mezzo addormentato mentre lo guardava prepararsi.
L’altro rispose solo “Sì.” Poi aggiunse “Tu hai intenzione di muoverti? Devi andare a lavoro.”
L’altro annuì, in effetti avrebbe dovuto essere in piedi già da un pezzo.
“Vi raggiungo a pranzo allora.” Antonio si era alzato con i gomiti, si protese in avanti mentre Lovino passava e gli fece cenno di abbassarsi. Gli stampò un bacio veloce sulla guancia “Ci vediamo dopo.” Lovino era un po’ arrossito, come un ragazzino. Uscì dalla stanza e Antonio sentì che prendeva il suo mazzo di chiavi nella ciotola accanto la porta. “Ciao!” lo salutò e sbatté la porta.

***

Italia, 1980

A casa del nonno ormai c’era praticamente sempre la televisione accesa, in qualche modo doveva pur passare il suo tempo. Feliciano tornava raramente in Germania, voleva restare con suo fratello e suo nonno, lasciò a Ludwig il negozio. Lovino gliene era grato per questo.
“Antonio mi ha detto che voleva un videoregistratore.” Il nonno gli mostrò una scatola. Ancora se ne andava in giro quando voleva, era ancora bello arzillo, solo aveva bisogno di una mano. I suoi movimenti erano più lenti, la sua voce era diventata un po’ più roca, ma comunque forte, e sotto le rughe si nascondeva ancora un bell’uomo.
Lovino esaminò la esaminò “Perché glielo hai preso?” aveva lui la scatola fra le mani adesso.
“Fra poco è il suo compleanno, no?” alzò le spalle.
“Sì… ma… sei andato dall’altra parte del paese senza dirmi nulla!” Lovino lo stava sgridando mentre lui andava verso il divano “E poi io non so nemmeno come si monta questo coso.”
“Il regalo è per Antonio, mica per te.” Ridacchiò fra sé e sé Roma. La casa era rimasta la stessa, aveva solo comprato una nuova televisione e un telefono fisso. Il mobilio era lo stesso che aveva probabilmente anche quarant’anni prima. Sentì la porta della cucina aprirsi “Ho raccolto i panni.” Feliciano aveva annunciato “Sembra che voglia piovere, non conviene tenerli fuori.” In effetti era anche inutile tenerli fuori, tanto avrebbe fatto buio fra un’oretta.
“Io torno a casa per cena comunque.” Disse a Feliciano, che gli passo accanto con la cesta fra le mani. Il suo faccino dolce era quasi sparito, ora sembrava anche lui una persona differente, Lovino non riusciva a credere che fra un mese avrebbero avuto quarant’anni.
“Sicuro?”
“Sì, chiamo Antonio e gli dico di andare direttamente lì quando torna dal negozio.”
“Va bene!” Feliciano aveva risposto cantilenando mentre si allontanava per portare i panni nell’altra stanza.
Lovino andò verso il telefono, ma prima si voltò a guardare suo nonno “Come stai oggi?”
Roma aveva tossito “Alla grande.” E Lovino abbassò gli occhi. Aveva visto persone sparire dalla sua vita in continuazione, sperava non sarebbe successo più, ma quando vedeva suo nonno non poteva fare a meno di pensarci. Non che stesse malissimo, se la cavava… ma per quanto ancora avrebbe potuto?
Il nonno lo chiamò e lo fece tornare alla realtà “Lovino.”
“Mh?”
“Lo so che ormai sei un adulto e probabilmente ti lamenterai, ma è troppo se chiedo a mio nipote di sedersi accanto a me e darmi un abbraccio?”
Lovino non rispose, si avvicinò in silenzio e si sedette accanto a lui. Il nonno lo tirò con un braccio e chiamò Feliciano per unirsi. “Pensavo fossimo troppo vecchi per queste cose.” Feliciano aveva scherzato mentre si univa all’abbraccio.
“Oh, ma state zitti, siete ancora due ragazzini per me!” il nonno rise di gusto e li tenne stretti per un paio di minuti.

***

Italia, 2015

Non si erano più mossi da quel paesino di campagna da quando erano arrivati in Italia. Le strade erano cambiate, rimodernate, il registratore che tanti anni fa Roma gli aveva regalato era diventato vecchio e inutile ormai, ma Antonio continuava a tenerlo come ricordo del nonno di Lovino, e poi le sue videocassette erano ancora buone. Roma era una delle persone a cui era più grato.
Ormai erano anni che Antonio non lavorava più come barbiere, ovviamente troppo vecchio. Lovino e Feliciano iniziarono a vedersi sempre di meno, ma comunque si telefonavano almeno tre volte a settimana.
Si alzò dal letto e guardò nell’angolo della stanza, c’era la chitarra di Lovino, non la toccava da almeno 20 anni e gli tornò in mente la prima volta in cui suonò e cantò per lui. Uscì fuori con le pantofole ai piedi, Lovino era di là, in cucina, con due tazzine di caffè in mano, le poggiò sul tavolo. Fuori il tempo era dei migliori, una giornata primaverile come non ne vedeva da tanto. “Potremmo fare una passeggiata oggi.” Gli propose. Lovino alzò solo le spalle. Erano completamente diversi ormai, guardava Lovino e pensava al bambino di cinque anni che vide entrare nella stanza dell’orfanotrofio dove dormivano tutti.
“Dopo pranzo magari.” Gli aveva risposto alla fine, dopo aver controllato lui stesso la finestra. La casa era silenziosa e per quanto ci provassero, ora sembrava proprio una casa da vecchi. Quando Emma portò i suoi nipoti a casa loro rimasero a guardare le foto in bianco e nero per almeno 20 minuti. Emma era una nonna. Erano proprio diventati vecchi.
“Vado di fuori, vieni con me?” Antonio era in piedi e stava andando verso la porta, voleva sedersi in giardino. Lovino lo seguì. Avevano messo tanti anni prima una panchina giusto fuori la porta, nel giardino. A Lovino piaceva stare lì a disegnare e di notte si scambiarono parecchi baci lì sopra. Erano seduti, Antonio gli prese la mano e Lovino sorrise. Lo guardò attentamente, anche se ora aveva parecchie rughe sotto gli occhi e agli angoli della bocca, era ancora bello. Rimasero a chiacchierare.

C’erano momenti in cui Antonio si domandasse se tutto fosse andato diversamente, se avesse rinunciato a rivedere Lovino quando andò via sotto la pioggia. Si soffermava a pensare a sua madre, una donna di cui non sapeva nulla, se non che gli avesse dato un nome “Antonio Fernandez Carriedo” e che lo avesse lasciato sulla porta di quell’orfanotrofio in un paesino probabilmente lontano da dove abitava lei, durante la seconda guerra mondiale, e chissà per quale ragione lo lasciò lì. Pensava alla signorina Braginskaya, ormai morta probabilmente, e il solo pensarci lo faceva stare male, l’unica donna in cui avesse mai rivisto una mamma. Pensava spesso anche a Francis, che non vedeva da quando andarono insieme in Germania, probabilmente si era sposato con Jeanne e adesso era nonno anche lui. Gilbert, Ludwig e Feliciano erano quelli di cui era costantemente aggiornato e con cui era in contatto, fortunatamente. La sua mente andava anche ad Arthur, che probabilmente ormai aveva chiuso anche lui la libreria, non sapeva nemmeno dove abitasse adesso, cosa avesse fatto in tutti quegli anni.

Se sua madre non lo avesse lasciato lì probabilmente in quel momento non si sarebbe trovato mano nella mano con Lovino, vecchio, su una panchina che avevano costruito loro due insieme. Lovino era l’unica persona che avesse mai amato, l’unica persona che avesse mai baciato. Quando lo teneva per mano ricordava ancora come erano le loro mani morbide quando erano piccoli e le stringevano senza pensarci.

Guardò il loro giardino, poi scrutò il cielo e le nuvole che si muovevano.
Se avesse mai dovuto immaginare che aspetto avesse la felicità avrebbe visto quello: Lui e Lovino, in una giornata di sole.








----Angolo dell'autrice----

Sì, avevo detto che avrei postato entro la fine del mese scorso, ma ho avuto da fare e il capitolo è venuto più lungo di quanto avessi immaginato. Inoltre è stato difficilissimo da scrivere aaa.
Non posso credere di aver finito questa fanfiction, oddio. I'm emotional.
Ringrazio tutti quelli che l'anno seguita dall'inizio alla fine e che hanno recensito, spero via sia piaciuta come è piaciuto a me scriverla! Aspetto le vostre recensioni.

Ora inizia la parte importante: Non sono sicura se continuerò questa "serie" di fanfiction.
Di "Like a flower" quella dedicata alla Gerita, parallela a questa, ho pubblicato solo il primo capitolo, avrei voluto pubblicarle insieme, ma non riuscivo ad occuparmi di due fanficiton contemporeamente (tanto di cappello a chi ci riesce). Quella UsUk devo ancora scriverla e non ha ancora un titolo, ho solo scritto gli appunti di tutto quello che dovrebbe succedere. A tutte e tre le storie tenevo particolarmente, in quella Gerita avrei spiegato alcune incompresioni sulla storia di Ludwig e Feliciano, in quella UsUk volevo affrontare temi come il bullismo (per quanto riguarda Arthur). Chiesto scusa se qualcuno stava aspettando queste storie, ma... mi dispiace ammetterlo, non sono più nel fandom di Hetalia come lo ero una volta, già da tempo. (In realtà proprio l'altro giorno la mia migliore amica si è messa a fare il rewatch e mi hanno tornare la nostalgia) Sono entrata nel fandom nel 2012/2013 quindi rendetevi conto. Inoltre mi rendo conto che anche il resto del fandom sta morendo.
Non posso dire con sicurezza che non le aggiornerò mai più, ma è più probabile di no. 
Fun fact: Mi sono appassionata a voltron nell'ultimo periodo, da due anni in realtà, volevo dedicarmi ad una fanfiction (anche molto complessa) a cui stavo lavorando, ma dopo l'ottava stagione mi è passata la voglia.... quindi non so se tornerò a scrivere per un po'. 

Grazie mille in ogni caso a tutti!! Scusate questo monologo infinito.
In caso qualcuno di voi volesse informazioni su qualcosa (Anche sull'usuk che non è stata quasi per niente affrontata e la gerita) chieda pure!

Alla prossima,
Lau  

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