Il nuovo incubo

di LilituDemoneAssiro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Quel vivido dolore ***
Capitolo 3: *** La notte è appena iniziata ***
Capitolo 4: *** Homo Homini Lupus ***
Capitolo 5: *** Sono, dunque, uccido. ***
Capitolo 6: *** La malinconia del diavolo ***
Capitolo 7: *** Grand Guignol ***
Capitolo 8: *** Ti stringo il cuore ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La differenza tra ciò che vuoi e ciò che puoi, dipinge il confine tra l’umano e il divino. La notte in cui quella cicatrice aveva trovato spazio sulla mia guancia, io avevo accarezzato la morte ed avevamo fatto l’amore senza freni, prima del mio risveglio.
Ed era lì, tra le stelle nell’infinito buio, che accanto all’amore per la morte, avevo trovato il suo volto. Si sollevava tra i miei occhi, pronto a ricordarmi per l’ennesima volta quanto fossi stato sciocco, mentre mi tratteneva alla vita ancora e ancora... Fin dall’inizio non mi aveva mai abbandonato, mai un momento ero stato più amaramente solo; neppure quando avevo provato io stesso a spegnerne la luce mentre tentavo di trascinarlo con me, nell’abisso. Lo avevo apprezzato senza vederlo, districandomi tra le cuciture del completo umano che con tanta maestria indossava, ma lo avevo amato quando quel completo si era sciolto nel mio sangue e in quello di Abigail, e senza sosta, avevo iniziato a cercarlo tra i fantasmi del mio divenire e i demoni guardiani del suo gusto per il mio caos.
Piccola anima crudele, bambina mia… continuavo a ripetermi, disteso inerte sulla sabbia.
Lei è stata e sempre sarà, il mio più grande rimpianto.
Non mi perdonerò mai, non ti perdonerò mai, dovevi scegliere me, di me ti dovevi fidare, …. Sono confuso maledizione, l’impatto con l’acqua mi ha devastato, pensai. Ora mi trovavo, per l’ennesima volta, mendicante delle sue cure, intossicato dal bisogno delle sue attenzioni. Piccolo ometto egoista, continuavo a ripetermi nel mentre, come avevo potuto credere di potermi avvicinare a tanta forza senza venirne sopraffatto? Ero davvero convinto di poter volare fino al sole con le mie stupide ali e raggiungerlo, senza doverne affrontare le conseguenze…? Di quanta superbia mi facevo fiero portatore, ad oggi ancora me ne stupisco. Lo guardavo e disegnavo quel che i suoi occhi urlavano ma la sua bocca non diceva, e rendevo carne e sangue il desiderio di stringere il suo mistero.
L’avevo sempre voluto. Sempre.
Appena mi riuscì di vomitare tutta l’acqua che avevo ingoiato, gettai la testa all’indietro, sulla sabbia, collassando col peso del mio corpo a terra e nel mentre col pugno tentavo di coprire il volto, mi persi in un pianto disperato. Piansi così forte da perdere quasi il fiato; singhiozzavo sperando che quello fosse solo l’incubo peggiore mai avuto, quasi come il terrore notturno di un bimbo appena nato e volevo dimenticare. Ma, a quel punto, come fare…, non voglio guardarlo, non posso. Se lo guardo ora non torno più indietro, non resisterò, non farlo ti prego.... Pensai, prima di spostare la mano e trovare il suo sguardo fisso su di me.
Fulminea la sua mano raggiunse il mio collo ed iniziò a stringere. Esercitava a mano a mano una pressione tale che fu in grado di sollevarmi qualche centimetro da terra, prima di lasciarmi rovinare di nuovo sulla sabbia, stavolta stramazzando accanto a me.
“Perché non dovrei ucciderti, Will, dammi una sola valida ragione.”  - ripeteva affannosamente, mentre tentava di riprendere le forze nonostante il proiettile accanto al suo fegato.
“Perché devo vivere, invece, ti chiedo io ….”… Mentre disperato mi sforzavo di gettare l’avambraccio destro sugli occhi, quasi a coprire le vergogne di quel che ei fu; quando le lacrime calde ricominciavano a segnarmi il volto, dolci come il miele ed amare come il fiele, provai quasi una sensazione di liberazione. Singhiozzai senza ritegno, nonostante il dolore alla guancia sapesse restituirmi impietoso alla terra e quelle lacrime, pesanti come piombo fuso, avrei solo voluto vederle scavare una fossa tutt’attorno a me, pronta ad inghiottirmi. La vita sa essere davvero una strana compagna.
…Sale… Mmm …è salato… Pensai, mentre con gli occhi ancora coperti, mi ritrovai di punto in bianco lievi le sue lebbra che sfioravano le mie, lasciando trasudare quasi odore di santità. Il nostro sangue dipingeva una rosa sulla sabbia. Il sale bruciava sugli squarci, mentre la brezza marina lo seccava, e il sapore di ferro che accompagnava il suo sangue e chissà, quello che del sapore di Francis gli era rimasto addosso, strideva quasi tra i denti.
Ma stava sussurrando tutte le urla della tempesta che ci aveva quasi trascinato a fondo, mentre non riuscivo a fare a meno di cantare per loro ancora e ancora, quando ad ogni sussurro mi univo ed allontanavo di nuovo da lui. Non avrei mai immaginato che qualcuno in grado di strappare una gola con i denti, avesse labbra tanto morbide. Non ero né stupito né disgustato da quanto stesse accadendo, solo… rincuorato. Anche se avevo appena aperto in due l’addome di un uomo. Non mi ero limitato a difendere la mia vita, a sopravvivere scegliendo me al posto suo: avevo abbandonato ogni vestigia di umanità abbandonandomi al delirio del sangue e ne avevo gioito, piuttosto, quindi nonostante tutto avrei dovuto sentirmi devastato…. Invece non solo avevo trovato profondamente poetico ed esteticamente sublime squarciare quel sacco di inutile materia organica con lui, ora, sentendo il calore del suo essere tanto vivido, vedevo le note di una melodia. Anche se chi suonava era Tartini, e quello che ci aspettava dietro l’uscio discostato dei miei pensieri, era il Diavolo con un violino in mano.
Di punto in bianco mi ero ritrovato a tenere il suo viso tra le mani, mentre senza riposo chiedevo ancora e ancora di restare estasiato ed inorridito dalla magnificenza del suo essere: ora che lo vedevo spoglio del completo umano che con tanta certosina pazienza aveva negli anni cucito, capivo cosa mi aveva sconvolto al punto tale da desiderare tanto che ciò accadesse.
…l’abisso non è mai stato così caldo…
…Pensai, mentre discostavo a malincuore le labbra dalle sue. A malapena riuscivo a dare un ritmo al mio respiro mentre tenevo la fronte appoggiata alla sua, e guardavo incantato le sue labbra tentare di articolare un pensiero, tra stilettate dolorose che le ferite ogni tanto gli lanciavano. La dimensione umana del mostro tagliava l’aria e ci rendeva carne nel medesimo universo.
“Sono già morto tanto e ancora tanto tempo fa, amore mio. Quando invece di evitare il tuo sguardo, non ho iniziato a fare altro che cercarlo…Sono già morto tanto, davvero tanto tempo fa, odio mio: nel momento stesso in cui ho visto zampillare il sangue dalla gola di Abigail e io lasciavo a terra ogni speranza di redenzione…. - sospirai-  Avresti dovuto finirmi quel giorno, accanto alla nostra bambina. Perché quello che vedi, è solo uno spettro che infesta un involucro vuoto: mantenere le funzioni vitali ad un livello soddisfacente non mi rende ancora umano, mi rende solo funzionale.  “… sussurrai con un filo di voce… “Resto vivo solo per compiacere te, a quanto pare”.
Sorrisi amaro, guardandolo negli occhi, prima di stringerlo a me di nuovo, e con tutta la passione che avevo in corpo. Sentivo il suo abisso fluire nel mio essere ed inghiottirmi, e non pensavo che altro potesse appartenermi tanto intimamente: sentivo la sua pelle infreddolita sotto i vestiti bagnati scaldarsi a mano a mano che lo tenevo tra le mie braccia, e uno scopo di nuovo faceva capolino nella mia vita, mentre solerte e paziente rimanevo in ginocchio all’altare della nostra disperazione. Un nero serpente d'ombra iniziava ad attorcigliarsi alle nostre figure, mentre il nostro divenire ci rendeva immortali.
Niente mi avrebbe portato a lui più di così, come niente lo avrebbe mai più portato lontano da me, stretti come eravamo lì.
“Tu mi hai visto, così come io ho visto te. Ecco cosa ti ha smarrito… Non il sangue. Ma raggiungere la consapevolezza che la dolcezza del suo calore, non ti era poi così estranea. E mentre ogni cosa correva a perdifiato lungo la collina, tu dal fondo che non sapevi cosa fare, ti domandavi solo cosa ti avrebbe ucciso. Ma sei qui Will, più vivo che mai, ed io ti vedo, ti sento, e ti voglio. Accanto a me.” Sussurrò al mio orecchio, con un filo di voce.
Stavolta fui io a voler assaggiare il suo sapore, e non ebbi modo alcuno di controllarmi. Ogni fremito, ogni respiro, era un morso alla sua anima dannata: affondavo le mie zanne dove le tenebre si facevano meno fitte, ed inghiottivo quella materia oscura con ingordigia, quasi con lussuria. Lo baciavo come solo Icaro che disperato cercava di raggiungere il sole, avrebbe potuto… prima di rovinare a terra, furiosamente: ero travolto, non avevo più il controllo di me. Finché fu lui, a porre un freno al mio infantile trasporto, poggiando delicato il palmo della mano destra sulle mie labbra.
“Paziente, piccolo passero. Ancora non hai imparato a volare, non avere fretta. I tuoi occhi sono appena in grado di iniziare ad osservare il mondo…. Sii paziente. Ora trova la forza di alzarti, ho un piccolo natante attaccato alla spiaggia, nemmeno 50 metri più avanti, se non sbaglio. Dobbiamo andare, Chiyoh ci starà già aspettando.”, concluse sorridendo.
“Dovrò inventare un ottima scusa per tutta la salsedine che abbiamo addosso, o se le racconto come siamo finiti in questo stato, stavolta non te la cavi con un proiettile dalla distanza nella spalla”, sogghignò.
Nulla lo turbava, ed anche questo amavo di lui con tanto ardore.
Un passo per volta: prima la gamba destra piegata in avanti, il braccio sinistro a far leva sulla stessa per sollevarsi e di nuovo lo vidi stagliarsi dinanzi a me, creatura dell’inferno, ebbro di sangue e putrescenza -lo trovai a dir poco bellissimo-, imperitura divinità a cui avevo votato la mia dannazione. Per qualche momento ancora, rimasi ad ammirarlo, prima di tornare in me; e stringendo la mano che pronto aveva allungato ancora prima che chiedessi il suo aiuto, riuscii a fatica a sollevarmi anche io. Eravamo rimasti svenuti parecchie ore dopo la caduta, ed ora che i primi bagliori dell’alba facevano capolino restituendoci alla vita ed ai colori, compresi quanto la nostra situazione fosse disperata sotto più fronti ed avessimo dannatamente bisogno d’aiuto; era il momento di correre ai ripari. Jack conosceva bene il suo lavoro, e aveva a disposizione ogni mezzo per rintracciare dei fuggitivi che non avessero avuto l’accortezza di trovarsi ad un passo svelto, più avanti rispetto al suo fiuto.
Mentre Hannibal già aveva preso la strada per raggiungere il mezzo di cui mi aveva pocanzi accennato, iniziai a notare come nonostante gli sforzi per celare il dolore, in realtà il suo passo fosse poco fermo, sempre sul ciglio del collasso. Costretto a tenere la mano sulla ferita da arma da fuoco che il Grande Drago Rosso gli aveva procurato, ad ogni fiotto i singulti lo scuotevano non poco; non ressi a lungo il vederlo in quelle condizioni procedere da solo, pochi passi e sollevai il suo braccio sinistro per passarlo sopra le mie spalle e rendere la sua pena quanto più possibile, sopportabile.
Lui era quasi incredulo nel vedermi corso in suo aiuto, tanto accorato e amorevolmente attento: incredulo, ma non per questo meno contento, come notai dalla mano che avevo dapprima sollevato senza peso ed appoggiato sulla mia spalla sinistra, aver iniziato a carezzare e stringere la carne che lo sosteneva. Lo trovavo dannatamente piacevole.
“Andiamo Hannibal, non ti reggi in piedi. Da qui al natante tieniti a me, o rischi con tutto il sangue che hai perso di non arrivare nemmeno ad accenderlo. Hannibal the Cannibal inizia a non reggere più molti colpi, è il caso che qualcuno gli venga in soccorso ….”, tentati di aggiungere con un filo di ironia. Non potevo dargliela vinta su tutta la linea, il nostro rapporto aveva sempre fatto fulcro su questo botta e risposta, perché cambiare, ora che tutto si era solo reso più chiaro e distinto.
Sentire il suo peso addosso, rendeva il mio fardello meno pesante. Avevo trascorso gli ultimi anni di questo inutile spreco di energia che gli esseri umani chiamano vita, armandomi come una formichina operosa delle migliori intenzioni necessarie a costruire la mia personale sfera di vetro natalizia, di quelle che basta scuotere all’occorrenza per vedere la neve cadere allegra su un paesaggio finto come lo sguardo di chi da fuori, ne trae gioia sterile; quando per essere felice, era sufficiente abbracciare la mia natura.
Una natura sadica, crudele, maligna e perversa la mia; deliziosamente alla ricerca della vista del sangue, senza versarne una goccia nella maggior parte dei casi, avevo compreso la deformità delle mie inclinazioni solo grazie a Francis e a ciò che gli avevo fatto. Difendendo me me stesso e quel che stava nascendo lontano dagli occhi indiscreti giudici del mio malessere, avevo aperto le porte di quella percezione che Hannibal per tanto tempo aveva oliato sapientemente, consapevole del fatto che la minima forzatura le avrebbe fatte incastrare, in attesa di quando fossi stato io pronto a spalancarle, per accogliere tutto il bagaglio di orrore che dentro nascondevo.
Comprendere le origini della propria natura rischia di rivelarsi un processo così doloroso da fare terra bruciata attorno a chi si fa incauto baluardo di buone intenzioni, quando le ombre invece son fin troppo oscure per sognare anche solo di riuscire ad accendere un lume. Dare per scontato che la propria virtù sia nel bello, vigile alla ricerca del buono, si rivela troppe volte infatti un incauto acquisto che dei genitori amorevoli fanno mettendo al mondo un essere urlante coperto di sangue: nato nel sangue, vivente solo grazie al sangue, morirò un giorno sommerso nel sangue.
Il tutto, ovviamente, dopo aver fatto l’amore con lui.
Brilleremo per sempre, amore mio, anche se dovremo fare una strage, nel frattempo...
Pensai, quando finalmente avevamo raggiunto il natante. A fatica gli riuscì di non rovinare sul piccolo sedile dietro il timone, nonostante appoggiarlo con cura fu la mia priorità: ma era evidente che la forza d’animo quando incontra il limite delle umane spoglie, nulla può se non arrendersi all’evidenza dei fatti che in questo caso, lo portava ad avere un bisogno disperato delle mie attenzioni. Feci in tempo appena a chiedergli la rotta da impostare con gli strumenti da raggiungere per incontrare la mia cecchina preferita, che alzando di nuovo gli occhi, lo ritrovai nuovamente semincosciente; non potei non trovarlo stupendo, e dopo avergli rubato un ultimo bacio a fior di labbra, mi misi al timone pronto a rendermi paladino senza macchia e senza paura, di quel nuovo incubo.
Impiegammo circa tre ore per raggiungere la destinazione che Hannibal mi aveva sussurrato prima di perdere i sensi, e grazie all’esperienza mi riuscì di individuare le coste della Carolina del sud come luogo dell’attracco: quelle coste erano parte di me fin dall’infanzia, meta preferita delle gite solitarie che io e mio padre eravamo soliti realizzare quelle poche volte che non era costretto ad orari estenuanti al molo. Ad oggi, se devo essere sincero, ancora mi domando come avesse potuto scegliere un luogo a me così familiare, senza sapere neppure quello che era uno dei pochi particolari lieti della mia età più dolce; se fosse stato consapevole, già molto prima di me, del fatto che cadere avrebbe potuto essere la mia via per la grazia, e di quanto ciò ci sarebbe costato in termini di fatica, e del fatto che una volta fossimo mai sopravvissuti, io avrei fatto di tutto pur di non vederlo ancora soffrire, lontano da me.
Solo io potevo fargli soffrire le pene e le gioie dell’inferno, boia senza riposo del nostro martirio: il più pericoloso, perché dal passaggio del carro funebre della mia innocenza, nessuno avrebbe potuto sopravvivere incolume, a quanto pare.
Neppure Il Mostro.
( continua...)

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Capitolo 2
*** Quel vivido dolore ***


Il nostro arrivo sulla costa purtroppo si rivelò non uno dei più placidi, quando fu evidente che ad accoglierci avremmo trovato una perturbazione, amaro benvenuto del nostro mortale corteo.


Come se già quanto accaduto non fosse stato sufficiente, destino beffardo.


Hannibal silente giaceva dove lo avevo fatto coricare, un momento prima che perdesse i sensi: ma il fatto che neppure l’impatto con la sabbia fosse stato in grado di smuoverlo da quel cadaverico pallore, e il respiro sempre più flebile, non lasciavano presagire nulla di buono; i miei timori sempre più forti, tuonavano negli angoli dei miei incubi. Iniziai a guardarmi in giro sperando di intravedere quanto prima segni di un possibile rifugio e fortunatamente, nonostante la pioggia fitta che limitava parzialmente la vista, individuai neppure venti metri dalla spiaggia un piccolo chalet con gli esterni in legno, assai simile alla mia umile dimora, in quel di Wolf Trap.


Hannibal, se questo è un altro dei puzzle mentali in cui cerchi di farmi precipitare…. Ma non ebbi modo di concludere il pensiero. 


Quando lui per un istante ebbe trovato le energie per aprire gli occhi, annichilirmi con una carezza e pronunciare quelle parole pesanti come una condanna, prima di svenire di nuovo, vedere realizzato il cortocircuito nei miei pensieri, fu un tutt’uno.


“Lo sapevo che avresti trovato la strada Will: in un modo o nell’altro, mi raggiungi ogni volta...”


E giù di nuovo nel buio.


Non un minuto di più, vuota o meno quella catapecchia, lo avrei portato al coperto; doveva almeno essere riscaldato e giurai su me stesso, che avrei dato fuoco al mondo intero pur di non lasciarlo scivolare nell’altrove senza ritorno. Lo caricai sulle spalle come meglio mi riuscì e, dopo averlo trascinato fuori dalla barca, feci appello alla rabbia più cieca che dentro gli covavo avversa, per non avermi lasciato nella vacuità della mia vita precedente, forza necessaria per riuscire a tagliare lo spazio che mi separava dalla sua salvezza.


Chiyoh maledetta, dove sei… Quando devi renderti realmente utile, trovarti è un’impresa….


Non la detestavo davvero, su questo voglio esser chiaro. Ma in quel frangente penso avrei ucciso, distrutto, ridotto letteralmente in cenere qualunque cosa si fosse messa in mezzo o anche solo limitata a non fornire alcuna utilità, al raggiungimento del fine della salvezza di Hannibal. Non ora che lo avevo trovato, non in quel momento, perderlo poteva essere un’opzione. Perciò qualunque forza in campo in grado di aiutare sarebbe stata bene accetta, tutte le altre pedine della scacchiera erano pregate di sparire: avevo un compito.
Fortunatamente avevo inquadrato immediatamente la nostra destinazione, come mi fece notare il sorriso caustico della giovane sbucato dalla vetrata all’ingresso, non appena ebbi poggiato il primo passo sul patio all’ingresso.


“Vedo che sei quasi riuscito ad ammazzarlo… Mi complimento signor Graham, non è cosa da tutti.”, scosse la testa, prima di iniziare a spalancare le porte necessarie per condurlo in camera.

“Dovresti solo ringraziare che quel giorno avevo ordine di puntare alla spalla: avessi potuto, la tua testa sarebbe stata sparsa sul marciapiede e ora potrei parlare con lui, invece che con te. Portalo dentro, sbrigati, e spera che quanto ho portato sia sufficiente.”, Chiyoh sentenziò.


Odiavo il fatto che una parte di me annuisse colpevole alle sue frecciate, ma nell’immediato avevo altro cui pensare, e preferii sbrigarmi nel trascinare Hannibal a riposo sul letto padronale anziché rispondere alle accuse neppure troppo velate; avremmo avuto tempo, poi, per disquisire al riguardo. Nell’immediato, vitale si rivelò rimuovere i suoi vestiti zuppi, asciugarlo con le coperte raccolte nell’armadio e scaldarlo come meglio fosse stato possibile, nell’attesa che Chiyoh fosse pronta con gli strumenti necessari a chiudere le ferite e limitare alla meglio, la probabile infezione già in corso che lo stava consumando.


Lui non fece una piega mentre prima con la pinza abbondantemente disinfettata, e poi con ago e filo, si tentava disperati di salvargli la vita. Gocce di sudore iniziarono a segnare il volto della giovane, corrugato nella concentrazione, mentre con la pinza affondata nelle sue viscere, tentava di estrarre quanto più possibile di quel maledetto proiettile. Quanto fosse arrivato in profondità, fu evidente dal fatto che i punti di sutura necessari a chiudere i lembi di carne andavano sia all’interno che all’esterno, quindi nonostante lo stato di semi incoscienza in cui versava, pregai Chyioh di iniettargli dell’anestetico, almeno locale.


Fu la prima volta in vita mia che mi ritrovai ad avere impressione del sangue. Quella ferita sul suo ventre era aperta come un fiore appena sbocciato, delicata marcescenza appena fiorita sulla porta dell’inferno, splendida scudisciata sul corpo immacolato del cavaliere catturato alla mercé dei suoi aguzzini. La vista di tanta delicata, profanante poesia mi toccò –intimamente, oso quasi pensare- e finché l’ultimo punto non fu chiuso, non sono certo di quale recesso della mente mi abbia dato la forza necessaria per non svenire. Avessi avuto necessità di massacrare ancora Francis l’avrei fatto, e in altri centinaia di modi diversi, senza inibizioni: a dir poco mi eccitava anche solo l’idea. Ma lui non doveva trovarsi lì, non in quelle condizioni, e non per causa mia… 

Lo trovavo esteticamente poco piacevole, nel contesto.


AH, ora inizi a ragionare come Hannibal…  Sussurrai a me stesso.


Come fosse stato possibile che la mia presunta innocenza l’avesse condotto tanto vicino al baratro, non lo compresi neppure guardandolo disteso in quel letto, fragile come un vaso di cristallo mentre nello sforzo di non svenire, mi ritrovavo ad avere gli occhi gonfi alla vista di quanto male gli avessi procurato.
D’altro canto per quel che mi riguardava ero sempre stato un vigliacco, quindi quando giunse il momento di rattoppare le mie ferite, chiesi a Chyioh di abbondare con l’anestetico che avesse avuto a disposizione: avevo solo voglia di mettere fine in fretta a quell’inutile spreco che era il mio sangue ancora sparso in giro, e stendermi accanto a lui per tentare di trovare del meritato riposo.


Vorrei solo riposare accanto a te, mio nero principe… 


Il silenzio tra me e Chyioh era denso come la nebbia settembrina che ti accoglie sull’uscio alle prime luci del mattino, quella che sa rendersi così pesante da impedire dove è più concentrata lo stesso respirare, come una patina che resta attaccata in gola finché non trovi riparo, giungendo nella tua destinazione. Ma non potei sopportarlo ancora a lungo, non rompere il silenzio imbarazzante che stava congelando il tempo tra di noi e intorno a noi mi era diventato quasi più difficile da sopportare del suo ghigno accusatore: dovevo chiederle. E approfittai del mentre che aveva iniziato a fare effetto l’anestetico sulla pugnalata accanto la clavicola destra, quando al primo punto che aveva iniziato ad allacciare sembrava troppo concentrata su ciò che stava facendo per avere tempo di continuare a detestarmi: l’animale addomesticato preferito di Hannibal, non avrebbe mai permesso a delle emozioni di avere la meglio sul bisogno che le era stato instillato di realizzare sempre e comunque un lavoro impeccabile. Trovai quello il momento migliore per approfittarne.


“Non mi importa cosa pensi di me, se non trovi sopportabile nemmeno la mia vista qui ed ora, se probabilmente stai solo sperando di vedere un cenno di Hannibal per piantarmi quel maledetto proiettile in testa… Ma ho bisogno di sapere. Si salverà…? Io…Io devo saperlo.”
Sussurrai, prima di abbassare gli occhi al pavimento, evitando di incrociare il suo sguardo.


Sentii che per qualche secondo l’ago aveva smesso di viaggiare dentro e fuori di me, prima di riprendere il suo cammino quando lei cristallina si pronunciò.


“Avrei preferito vederlo morto mentre faceva a pezzi quanti più degli agenti dell’FBI che ormai ha alle calcagna, piuttosto che saperlo divorato centimetro per centimetro da te e da quello che gli stai facendo. L’ho sempre immaginato render gloria al ricordo della piccola Misha fino alla fine, potente e feroce come non mai…. Ma si trova qui, ora, esattamente dove lo hai voluto. Piccolo ometto venefico: che sopravviverà puoi starne certo, ma il fatto che sia un bene vista la tua presenza nei paraggi, non posso dirlo.”

…Grazie….

Sospirai. Cercai allora con lo sguardo la sua figura distesa sul letto, finalmente al sicuro, e la carezzai con gli occhi quanto più a lungo mi fu possibile. Ne fui tanto profondamente confortato, che l’idea di stendermi accanto appena cucito a dovere, e rendere realtà il condividere finalmente un momento di quiete, vennero da sé come conseguenza naturale l’una dell’altra.


A detta di Chyioh, io riuscìì a dormire quasi un’intera giornata: purtroppo dalla benda appoggiata sui punti alla guancia, del sangue era uscito lordando il cuscino su cui mi ero accomiatato – in quel momento, lo trovai poco piacevole alla vista, ai limiti dell’inappropriato- ma Hannibal seduto accanto a me con un vassoio sulle gambe dove gli era stato poggiato quello che dall’odore sembrava poter essere il pranzo, non sembrava averlo notato. O perlomeno, dallo sguardo che mi stava rivolgendo, sembrava che altro richiamasse la sua attenzione, permettendogli di soprassedere riguardo quello spiacevole fuori programma rispetto al candore delle lenzuola che sino a quel momento ci avevano accolto.


“Bentornato, Will. “


Sorrise, dolce, prima di allungare una mano per scostare le ciocche di capelli che mi coprivano il volto ancora annebbiato dal sonno ristoratore.
Non voleva perdere il benché minimo istante, di me. Ne fui immensamente grato.
Tentai di stirarmi mentre mi sollevavo per riprendere cognizione di causa, ma i punti tiravano non solo sulla pelle, ma anche e forse più stretti attorno la nuova forma che avevo ritagliato del mio Io, dopo le ultime vicende. Mentre lui finiva una sorta di minestra e Chyioh provvedeva a liberarlo dal vassoio, io trovai le energie per sedermi placidamente sulla coppia di cuscini che mi avevano tanto amorevolmente accolto sino a quel momento.


Teneva stesa una mano lungo il fianco che era dedicato al mio lato del letto; ne approfittai, e gliela presi stretta, con la mia.


“… Fa male, vero?”, chiesi indicando la garza tenuta con i cerotti medicali sulla ferita all’addome.


Sorrise quasi imbarazzato abbassando per un istante lo sguardo, prima di rispondere:” Non iniziare a dedicarmi queste attenzioni, se non sei pronto a renderle una costante. Sono un bambino capriccioso, dovresti saperlo.” Ammiccò, prima di proseguire:


“Al momento comunque posso dirti, meno di quello che sembra, ti ringrazio per avermelo chiesto. Gli antibiotici che la piccola Chyioh ha raccolto hanno impedito il progredire dell’infezione per cui la formazione di liquido infetto si è arrestata abbastanza in fretta, ed ora non mi resta altro che riposare. La tua guancia invece…?”, disse prima di aver allungato l’altra mano e iniziato ad accarezzare ogni punto, sapiente maestro di ogni mio desiderio.
…. Smettila di preoccuparti per me, maledizione. Sei mezzo morto per causa mia, finiscila….
 

L’empatia verso un simile mostro mi rendeva un mostro io stesso? Probabile. Curarmene ulteriormente delle implicazioni che ciò avrebbe comportato? Non più contemplabile.
Il sonno della ragione genera mostri, e la mia mente oramai vagava per lidi dai quali l’argentea luna illuminava seducente le zanne delle sirene che sugli scogli, attendevano gli incauti marinai dal loro canto ammaliati. Misere pietanze per creature divine, nate e cresciute solo per attendere il giorno in cui avrebbero potuto servire allo splendore della loro magnificenza, quel che ne restava poi una volta soddisfatto l’appetito, erano tra gli scogli solo carcasse putrescenti, iniqui rimasugli di una festa del sangue senza precedenti. Quello spettacolo nascosto nelle ombre avrebbe dissacrato il comune senso del pudore di chiunque.


Nell’orrore che dietro i miei occhi si celava, invece, io iniziavo a deliziarmi.


Sentendo le sue dita sfiorare la sutura chinai la testa come un cucciolo che chiede un momento ancora le attenzioni del suo padrone, ma mordace la risposta giunse presto sulla punta della mia lingua. Sollevai per un attimo la maglia che avevo messo prima di stendermi la mattina precedente e fissandolo dritto negli occhi, sogghignai indicando il sorriso che mi aveva lasciato:” Ho visto di peggio.”

“O di meglio, se mi concedi. Mai la mano mi fu tanto fedele, nell’impegno promanato nel realizzare un’opera d’arte, Will. E tu SEI la mia opera d’arte, Will…la più riuscita.”, soggiunse Hannibal, abile diavolo avvocato di sé stesso.

Il Wendigo nascosto sotto la sua pelle, si mostrò improvvisamente ai miei sensi spalancando enormi ali di pipistrello quando la stanza d’improvviso, si era fatta d’una solida tenebra. Timide lucciole, ricordo della sua infanzia, ebbero l’ardire di addentrarsi nei meandri di quella menace stanza all’interno delle nostre memorie, ed io non avevo nulla addosso se non la vergogna di esser tanto acerbo dinanzi un simile frutto della creazione. Il desiderio pulsò sempre più forte dentro di me, e mentre la mia pelle diveniva fiamma, non potei fare a meno che stringerlo dilaniati assieme, in quell’infinito tempo, in quell’infinito spazio.

Stavo annegando nell’immenso abisso che dai suoi occhi sgorgava, e mi sentii venir meno nel mentre: sarebbe stato mio, e io sarei stato suo completamente… almeno fino a che non fossimo stati in grado, alla fine, di porre fine finalmente l’uno alle terrene sofferenze dell’altro.

Poggiandomi sul gomito destro, mi sollevai quanto fu sufficiente per poterlo guardare dritto negli occhi:
“Stringimi adesso e riposa accanto a me. Le tue elucubrazioni al momento rischiano di rivelarsi un dispendio di energie inutile, riposiamo… Ora che ho lasciato le ultime vestigia della mia umanità sui resti martoriati del Grande Drago Rosso, il rischio che Achille perda Patroclo qui è scongiurato. Anzi aspetta, mi appoggio io accanto a te, i punti devono restare dove sono, non spostarti …” dissi, mentre con un gesto colmo d’amore, mi limitai a poggiare la testa sul suo petto, accanto al cuore.
Sì, amore.
Solo col senno di poi, divenni consapevole che probabilmente non avrei mai più amato nessuno come amavo lui. Dipingevo accanto alla sua figura con gli occhi iniettati di sangue, che sventrava un uomo per poterne prendere i reni e cucinarli fiammeggiandoli col brandy, quella di un uomo affettuoso, attento, paziente, che aveva fatto di tutto per salvare la nostra piccola Abigail prima che la mia mano decidesse di armare la sua e portarlo sul viale del tradimento.
Quando i più saggi erano soliti ricordare che la strada dell’inferno è lastricata delle buone intenzioni di chi la percorre, inconsapevolmente mi hanno dedicato più di un pensiero, nella loro vita.

Avrei solo voluto non esser tanto crudele da approfittare della fiducia che Molly e suo figlio intendevano riporre nel mondo, non esser tanto meschino da ignorare completamente quella disperata richiesta di attenzione che il povero Frederick nascondeva dietro tracotanza e finta autostima mettendolo puntualmente sul cammino dell’omicida di turno; avrei solo voluto che l’illusione dell’attrazione per la Dr.Bloom avesse potuto durare per sempre o forse avrei solo voluto non esser tanto annoiato da curarmi più umanamente, di tutto ciò.

Ma il bisturi aveva appena iniziato a dissezionare il corpo sul tavolo d’acciaio, ed io non ero sicuro del fatto che quel corpo fosse realmente privo di vita.

Non che questo, iniziasse più ad avere una qualche valenza, ai miei occhi.

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Capitolo 3
*** La notte è appena iniziata ***


Dopo tanto tempo, giunse un sonno senza sogni. Niente orrori notturni, stati allucinatori, niente urla dello spettro della mia ormai defunta sanità mentale turbarono quel riposo, tanto che il risveglio fu accompagnato da un sano appetito.

Accanto ad Hannibal.

Mi ero risvegliato, …affamato.

Non ricordavo di esser mai stato tanto politicamente corretto, in vita mia.

Con un sorriso sornione, placido dischiusi gli occhi mentre lui, con la testa inclinata da un lato ancora sospirava, ed io sentivo il peso del suo odore salirmi dentro l’Anima.

…Dolce Orfeo nel mondo dei sogni…, pensai, mentre con cura, facevo salire la coperta dove il suo fianco sinistro era rimasto denudato, muovendosi in un probabile sonno agitato.

Questo gesto di spontanea e inconsueta cura, in qualche modo mi predispose ancor più in uno stato ai limiti dell’estatico –posso dire ora, col senno di poi-.
Quindi, attento ai punti che tenaci sentivo tener stretta la carne, mi alzai dal letto e iniziai l’esplorazione del cottage, dato che necessario a quel punto si rivelò trovare la cucina e vedere cosa avessi potuto mettere sotto i denti. Le tenebre oramai abbracciavano anche il paesaggio circostante, come notai dalla finestra della camera, e non appena mi riuscì di buttare un occhio all’orologio nel corridoio appeso, l’ora davvero tarda mi portò a chiedermi che fine avesse fatto la nostra Chyioh, mentre pesavo ogni passo per definire all’incirca la grandezza del nostro rifugio, gettando un occhio a destra e sinistra sulla predisposizione delle stanze, tutte plausibili vie di fuga in caso fossimo stati individuati prima del tempo.

La vita avrebbe preso tutt’altra piega da quel momento in poi, e se non volevo porre fine a tutto ancor prima di averne saggiato l’inizio, l’andamento trasognante con cui ero solito affrontare le mie giornate tra un’emicrania e la successiva, costretto a fingere compassione per le vittime degli omicidi anziché cullarmi nell’empatia per gli esecutori materiali degli stessi, andava messo nel dimenticatoio: tra l’ottimismo ipocrita che ero solito usare per deflettere le attenzioni altrui dalle mie nevrosi e la voglia di vivere alla luce.

Sin dalla nascita, l’essere umano viene lambito dalla marea oscura che sgorga dal pozzo nero che dentro lo protegge e lo spirito di negazione che lo tenta, al di fuori: perennemente in conflitto con sé stesso, non attende mai, non riposa mai, non si sofferma mai per alzare lo sguardo e rimirare le stelle, solinga creatura persa nell’oceano delle possibilità. Ed imperituro nella sua cecità, capita così di rado che la bellezza della notte lo raggiunga, da trascorrere intere ere nascosto tra la cera delle sue prigioni: tenue ombra tra le ombre, perennemente in attesa, vigila sognando la venuta del ragno partorito dalla propria inedia; in grado finalmente di consumarne le carni, il dì della agognata dipartita.

Piccoli sciocchi esseri umani… Sacrificati alla fame di Hannibal, alla fine, uno scopo lo acquistate…

Non mi lasciava più, oramai, e i pensieri fugaci a lui rivolti ne divennero riprova.

Io non sentivo quella fame, o perlomeno ancora non sentivo né gusto né curiosità, all’idea; ma qualcosa, qualcosa sulla punta delle mie dita aveva iniziato a fremere, inquieta. Una sensazione pressante, a tratti tagliente, un’adorabile insetto entrato sotto la pelle che con le sue tenaglie si era attaccato dove la carne viva pulsava più forte, iniziando a succhiare voluttuoso il sangue che nelle vene sottostanti scorre; magnete piccolo ma denso come una stella di neutrini, trascinava i miei pensieri sempre verso l’addome squarciato del Grande Drago Rosso e su quanto avessi trovato delirante la bellezza del fiume di sangue che avevo visto sgorgare dalla sua carne martoriata, nemmeno fossi stato un dio alla tavola degli dei dinanzi la sua coppa di ambrosia.

Con quei nuovi occhi, divenni più acuto osservatore del micro universo che custodivo, anziché iniquo testimone delle esplosioni stellari che ciclicamente lo sconvolgevano, madri sfuggenti degli incubi nascosti sotto le pelle che ogni mattina vedevo fuggire dalla mia verità, in preda al panico.
E Bene e Male divenivano, sotto i riflettori della mia attenzione null’altro che prospettive impiegabili secondo gusto, completi alla moda da indossare nelle varie cangianti tonalità, a seconda dell’occasione.
Come i completi di Hannibal, mai troppo a lungo nel suo armadio.

La propensione dell’Io non era altro che una scelta di stile, e mentre i miei passi grevi risuonavano in quel corridoio e lanciavano un eco infinito nella mia mente, ne divenni consapevole. L’estetica, la bellezza, la poesia e l’armonia di ciò che addiviene materia in questa terra avrebbe reso la bontà del mio agire, non il comune senso della morale, davvero inflazionato e a dir poco abusato, tra i più.

A svegliarmi dall’incanto delle mie introspezioni ad occhi aperti, giunse un odore a dir poco accattivante, e tornando nella realtà, mi accorsi di esser finalmente giunto a destinazione. Accogliente e molto, risultò di primo acchito anche la cucina: gli infissi delle finestre sopra il lavabo erano candidi, una cerata a fiori copriva il tavolo, e io mi ritrovavo come se nulla fosse accaduto, ad avvicinarmi al frigo in canotta e boxer, per cercare un disimpegno al mio povero stomaco contratto dai crampi per l’appetito.
Non avevo mai lasciato la mia dimora nonostante tutto, e quel che respiravo era profumo di casa.

O forse Casa sta sospirando nel riposo, dillà… Sospirai, compiaciuto.

Accennai un sorriso abbassando lo sguardo a terra per un momento, mentre quieto mi avvicinavo al piatto coperto, poggiato sul tavolo. Uova strapazzate, pancetta, e dei bocconcini di carne che non riconobbi immediatamente mi salutavano succosi, mentre la mente volava alle prelibatezze che Hannibal aveva cucinato per me, fin dal primo invito a cena nella sua residenza. Ora divenivo consapevole di come ogni portata distintamente recasse il tono delle ultime emozioni di chi aveva salutato questa terra per farmi godere di tanto gusto e, onorato, salutavo la loro memoria sacrificata alla maestria del Cannibale: note acidule che affrontavano il mio palato colorivano la tristezza, sfumature piccanti risaltavano su coloro che avevano affrontato gli ultimi momenti come strenui combattenti, e il velo sui miei sensi si sollevava, lasciandomi osservare il mondo spinto da quel rinnovato verbo.

E anche fosse, dio quanto sono gustosi questi bocconcini. Caro maialino, sei stato allevato proprio bene….

La guancia mi doleva e non poco, ma il bisogno di recuperare le forze impellente iniziava a farsi sentire, e con tutta la pazienza possibile, compresi il bisogno di tornare in forze e a lui mi dedicai senza riserve.

Probabilmente, essendo ogni mio sforzo concentrato a soddisfare l’appetito, quello che ne venne fu un peccato di disattenzione: un cigolio, uno spostamento d’aria, un odore, nulla mi aveva avvisato del suo arrivo alle mie spalle, e proprio mentre stavo alzandomi per riporre il piatto nel lavabo il peso della testa di Hannibal irruppe accanto la mia guancia destra, mentre le sue braccia si poggiavano lievi, sul mio petto.

“Non lasciarmi solo, Will, inizio a trovare piacevole, il tuo calore accanto a me, la notte…”, disse, mentre sentivo l’angolo esterno delle sue labbra vicino alla mia pelle come delicato petalo di rosa che su un letto d’amore si posa, prima di inclinare leggermente la fronte verso la mia tempia, quasi in cerca di attenzioni.

Hannibal… Non farmi questo…

Sospirai. Mentre un singulto mi scosse e divenni rosso in viso.
Non riuscii neppure a voltarmi per rispondere: preferii limitarmi a raccogliere le sue mani tra le mie, prima di riprender fiato e trovare la forza per proferire parola.
“A te Chyioh serve le portate direttamente a letto, io purtroppo devo venirmele a cercare.” Ammiccai.

“Perdonami davvero, ma non volevo svegliarti, è notte fonda, e sei così debole, ancora… Così maledettamente debole. Non ricordo di averti mai visto in queste condizioni.”, ripresi fiato prima di proseguire.

“Sai? Ricordo perfettamente di non ricordare nulla dal momento dell’impatto dell’acqua, l’altra notte... Il che a rigor di logica mi porta ad una riflessione: la ferita d’arma da fuoco all’addome è stato solo l’inizio. Tutto il sangue versato è stato sempre e solo per salvare me; prima, dal proiettile di Francis –credevi davvero che non avessi notato il passo verso destra che hai fatto poco prima dello sparo? – e poi, quando io… quando… “, ma non mi riuscì di dire null’altro.

La gola d’improvviso era asciutta come un deserto rovente e le parole si ritrovavano perse tra le dune, mentre il mio sguardo vacuo tra le nebbie del ricordo di quelle immagini, fissava qualcosa tra le assi del pavimento che non c’era. Solo il suo odore mi teneva ancorato alla nuda terra.
Inghiottii ogni lacrima che sentivo voler esplodere dietro i miei occhi come un’amara medicina.

…Stringimi, ti prego, stringimi, non lasciare più che gli incubi mi portino via….

Le sue dita delicate avevano spostato il mio viso dal suo lato, e aveva iniziato a baciarmi con tanta delicata cura da non lasciar adito ad altro che non fosse una più completa, solerte e devota attenzione, nei suoi confronti. Il suo naso accanto al mio, le labbra che danzavano in una festa di primavera, aprivano l’epifania dei miei desideri ed io ero perso sempre più, pellegrino alla fonte della sua giovinezza.

Si scostò un attimo dalle mie cure solo per guardarmi un momento in viso e sussurrarmi “Ora, seguimi…”.

Ero sempre stato morbida creta tra le sue mani: tutta d’un pezzo un istante prima e di nuovo materia malleabile un istante poi, pronto a innalzarmi ove il suo genio intendeva condurmi. Dritto sulla porta mi tendeva la mano, e io lo seguii, senza accennare una parola, ipnotizzato dal calore che la sua mano emanava, stringendo la mia.

…Sei tu la Morte e porti Corona, sempre tu sei, mia Signora e Padrona…

Il Wendigo apriva così le porte di un Inferno che più accattivante non poteva apparire, ai miei occhi quando le fiamme vermiglie mi carezzavano le carni soavi, prima di ustionarle. Ma lui non chiese altro da me che la mia testa poggiata sul suo petto, mentre con le dita che giocavano tra i miei capelli, tornava nel sonno ristoratore di cui tanto sentiva bisogno.

E in fondo anch’io.

Pensieri inconfessabili tatuavano sulla mia pelle il nome di un dio profano, quando eco della mia mente perduta, la Luna alta nel cielo intonava un requiem soave alla presenza della nostra corte.
Lo tenni accanto quanto più possibile: l’intenzione di continuare a combatterlo era sfumata col consumarsi del lumino della mia coscienza, e quel calore che mi cullava lontano, suonava tra le pareti dei miei ricordi come una ninna nanna tanto spaventosa quanto familiare. Non l’avrei mai più dimenticata.

Mi svegliai solo in tarda mattinata, colpa di un martellante rumore di sottofondo.
“Ma cosa diavolo…”, bofonchiai, con la testa ancora immersa nelle mie fantasie.

Hannibal già svegliò, con la schiena poggiata dritta sui cuscini sollevati e tra le mani quella che sembrava una cartina nautica, si voltò.

“Tranquillo, è solo la piccola Chyioh che sta lavorando la cacciagione per il pranzo. Piuttosto, come ti senti oggi, Will.”, disse, prima di scostare la maglia e guardare i punti sotto la clavicola.

“La zona oltretutto è isolata all’estremità di una riserva marina che viene pattugliata solo dalla guardia costiera ad orari regolari ed i proprietari del cottage non verranno a controllare la manutenzione necessaria per la permanenza estiva prima di Maggio, quindi siamo al sicuro. Non lasciarti turbare da nulla, piccolo passero, non ancora almeno.”, disse, prima di proseguire in una trascesa spensieratezza.
“Sai, stavo pensando piuttosto che in questa stagione Cuba è davvero meravigliosa; un’esplosione di colori e sapori il cui clima ancora mite consente di godere delle sue meraviglie. Lo dico soprattutto per te, che sei abituato alle inquiete gelate della nostra cara, vecchia Virginia, ed è ora che godi il merito di quanto realizzato, concedendoti una vacanza. A te poi decidere se a tempo indeterminato, o meno…”, disse, sorridendo con la testa inclinata da un lato, in un tentativo di rincuorarmi da quel risveglio sufficientemente brusco.

“Mmmm …”, mi stirai nei limiti del possibile, visto che pian piano i punti iniziavano oltre che a tirare, a prudere come forsennati, alle estremità; la via della guarigione sembrava imboccata, ma quella sensazione mi rendeva a dir poco irrequieto.

 Proseguì qualche istante dopo, voltandosi nuovamente verso la cartina:

“Però, prima di salutare questi luoghi oramai poco amichevoli e dalla memoria decisamente lunga, dovrei salutare una comune amica. Un’amica a cui ho fatto una promessa non molto tempo fa. E io mantengo sempre, le mie promesse Will. Quindi, prima di salutare questi luoghi divenuti infausti, avresti piacere ad accompagnarmi in quest’ultimo atto dovuto? “

Lo fissai prima di sparare a bruciapelo la mia cartuccia.

“Dipende. Avrò possibilità di trovare diletto anche io?”, chiesi, dando temporanea soddisfazione al piccolo mostro nascosto sotto la pelle, che iniziava a mordere più tenace.

Hannibal mi rivolse uno sguardo che sembrava colmo d’orgoglio, e appoggiandomi una mano sulla guancia integra, riprese:

“Will, te l’ho già detto, più di un piacere voglio condividere, con te, da lungo tempo…. Trovarti ora così ben disposto all’idea di toccare con mano quanto il mondo ha da offrirti, mi rende a dir poco entusiasta. Ho tanto da mostrarti, quasi da rimpiangere di avere solo una vita da spendere, per realizzarlo.”
Chinai leggermente il capo in avanti per poterlo guardare di sottecchi, e dopo aver lasciato trapelare un languido beneplacito, preferii salutare l’imbarazzo alle porte del discorso che sembrava stare trovando strada da sé proseguendo altrove: “In ogni caso, dato che le mie ferite non sono gravi come avrebbero potuto sembrare, alla prossima uscita notturna di Chyioh, preferirei accompagnarla. Vorrei avere almeno una mappa mentale della zona, così da poter dormire sonni più tranquilli. Non sei più solo in questo viaggio… Io ora vedo. E non ho intenzione di restare con le mani in mano. Ma sarò di ritorno più in fretta che posso, è una promessa.”

Dopo qualche secondo di silenzio colmo dei frutti di quel che stava crescendo, Hannibal rispose al mio accorato appello:

“Se Chyioh non ha obiezioni, fai pure. Promettimi solo che porterai un’arma con te, sarà sufficiente il coltello a scatto che Francis stava usando l’altra notte. Qualcosa mi dice che hai trovato il modo di conservarlo…, vero?”.

Mi conosci fin troppo.

“Mi ero affezionato, che vuoi farci.”
Dopo aver diligentemente piegato la mappa, mi invitò nuovamente tra le sue braccia, e io mi piegai alla devastazione, chiedendo solo la pace di quel dolce annichilimento. Appoggiando il braccio nel cingergli il fianco, mi accorsi della sporgenza delle ossa iliache sotto il pantalone del pigiama, e un vento caldo mi infiammò la fronte. Sentii tanta armonia in quel particolare da venirne quasi sopraffatto, mentre il sangue nelle vene pompava più in fretta, e la voglia di lui diventava un bisogno ossessivo.

“… Abbiamo così tanto di cui parlare, spero di poter smettere di preoccuparmi presto del tuo recupero, così da poter affrontare argomenti più leggeri senza rimorsi…”, sussurrai tentando di rifuggire la vergogna di quel che la mia mente vedeva.

Nel mentre, il Wendigo lento si muoveva nella stanza, e mi fissava. Vedevo risplendere sulla sua pelle di ebano il riflesso di un’antica battaglia mai interrotta, e mentre i corpi dilaniati dei soldati caduti tornavano ancora e ancora, i generali di quella guerra prendevano le fattezze mie e di Hannibal. I nostri occhi erano un fiume di sangue in piena.

 So cosa voglio, sto solo aspettando il momento giusto. Puoi guardare altrove, mio vecchio amico.

E proprio quando sembrava divenisse facile l’accomiatarmi dai miei stessi deliri, giunse l’ora di mettere qualcosa sotto i denti. Parzialmente stizzito dall’arrivo di Chyioh in camera ad interrompere quel momento, la consapevolezza che la sera sarebbe giunta presto e il mio desiderio di uscire a caccia che saliva impellente, rese quel pasto più digeribile.

Caccia.

Ad Hannibal avevo appena detto altro, non che la mia fosse intenzione di andare a caccia…

Sentii il mostro sotto la pelle, sorridermi.
 
 

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Capitolo 4
*** Homo Homini Lupus ***


Non sentivo sufficiente il ghigno stampato in fronte per mostrare al mondo la contentezza che i profumi della notte portavano tanto che, tra un passo e l’altro, non nego che mi lasciavo solleticare addirittura dall’idea di usare lo stesso serramanico che stretto tenevo nella mano destra, per dipingere quanto ancora mancante.

Tentavo di seguire Chyioh esperto segugio da caccia, col fucile carico stretto tra le mani che scrutava ogni angolo; ma tanti nuovi colori mi rendevano distratto come un bambino condotto la prima volta al parco giochi, e i miei pensieri riprovevoli, mi rendevano una massa informe di carne pulsante incapace di restare troppo a lungo, fedele a sé stessa.

Perso tra gli specchi disseminati in quel campo minato che era la mia mente contorta su sé stessa, guardando più attentamente tra i riflessi dell’acqua del torrente che stavamo risalendo durante la ronda, iniziavo a scorgere la mia figura che prendeva corpo in un altrove senza catene, tanto lucente quanto perso tra l’oscurità delle stelle.

Svanisco…

Nero giullare iniziavo a figurarmi, tra quei flutti, alla mercè della corte dei miracoli per la quale mi esibivo, mentre gli spettatori del mio teatrino della morte si deliziavano delle acrobazie che realizzavo senza eguali, tra i corpi dei cadaveri appena dissacrati e le urla mute di coloro ai quali le lingue erano appena state tagliate. La luna illuminava i sonagli della mia cinerea tenuta, e quando il copricapo tintinnava allo scuoter della testa, il sangue sullo stesso colato, volava sui volti della mia folla adorante: e l’applauso che dalla stessa ogni volta si alzava, riempiva le pareti del mio palazzo dei ricordi, rimbombando come nemmeno uno specchio esploso in centinaia di pezzi, cadendo a terra riesce a fare.

E più il pugnale nella carne affondavo, più mi sentivo innalzato; e più quelle mani imploranti mozzavo, più di quell’incubo mi sentivo il sovrano.

Almeno fino all’intonare dei violini della danse macabre.

Perchè mentre il mio spirito fluttuava tra le carezze dell’acqua, la danza in punta di piedi al cospetto di quello che sembrava il mio sire iniziava; e quando a terra rovinavo solo per vederlo sorridere di me, con me, e per me, le mie mani lorde di sangue e frattaglie si coprivano d’improvviso di un porporato manto che ai suoi piedi poggiavo, eterno custode della sua benevolenza, e la compiacenza tanto ne agognavo. La sua corona era fatta di ossa, indossava occhi come anelli, il suo mantello era cucito con la pelle dei suoi schiavi più indegni: ma nulla di quel mondo malato lo avrebbe toccato, finché fossi stato in grado di emettere anche solo un fiato, mio Titano tra i titani, ti servo il mio cuore pulsante, ancora caldo in mano.

Anche lui ha il Tuo volto…

Camminavo tra le ombre che bisbigliavano il mio nome, le sentivo ovunque sussurrarlo e chiamarmi; infime, maliziose seduttrici, orrende succubi in cerca di una nuova preda, allungavano le loro propaggini su di me senza alcuna vergogna, nella speranza che io venissi distratto dai miei propositi.

Trovavo esilarante sentirle squittire di dolore, mentre le schiacciavo sotto il calcagno.

In grado di riportarmi alla dimensione terrena solo il freddo della lama che nella tasca stringevo: all’apparenza freddo, nulla più, perché quell’acciaio lucente stretto nel pugno, fremeva come una compagnia alle prime armi; delicato quando lasciavo scorrere il polpastrello del mio pollice su tutta la lunghezza, impaziente quando tentando
di spingere la lama nel suo alloggio, trovavo parziale riluttanza. D’improvviso, però, qualcosa mi scosse e mi ritrovai destato tutto d’un colpo.

Non la vedevo più.

“Chyioh…?”.

“… Chyioh…? Chyioh! Dove sei?”.

“Chyioh maledizione! Dove ti sei cacciata!”

Ma non ricevetti alcuna risposta. Chyioh era scomparsa, o io sovrappensiero l’avevo persa di vista, non avrei saputo dirlo con certezza; fatto sta, che non era più qualche passo innanzi a me.

…Pensa Will, pensa… Chyioh camminava avanti a te: hai visto che stivali indossava, sta calmo. Conosci le sue impronte, segui le tracce, no…?

Fermare il respiro che iniziava a diventar corto, primo passo, rallentare i pensieri senza lasciarsi andare alla tensione, secondo, e terzo, dovevo assumere il controllo: lasciarmi andare in balia del contesto emotivo non era più un opzione spuntabile dalla lista, data la situazione avrebbe potuto condurre a conseguenze a dir poco disdicevoli, decisamente fuori la portata delle mie intenzioni e del risvegliato gusto che avevo ogni intenzione di testare.
Iniziai allora a scrutare nel terreno fangoso per rintracciare le impronte che Chyioh aveva lasciato ed una volta individuate, presi a seguirle, mentre non lasciavo un attimo di tregua al serramanico che tenevo nella tasca. Tra le pietre, accanto al cespuglio, dritto verso un gruppo di abeti, cercavo di non perderne un movimento: in un punto addirittura sembrava avesse appoggiato il calcio del fucile a terra, e si fosse voltata per attendere tanto erano più profonde, quasi come avesse avuto tutto il tempo di far scendere il suo seppur esiguo peso a terra, quasi a darmi modo di tenere un punto fisso per proseguire le mie ricerche.

…Chyioh ma che sta succedendo…

Fino a che, attraversando una leggera boscaglia, alla fine la vidi; era di spalle, rivolta verso il tronco di quella che sembrava un immensa quercia, con il fucile poggiato a terra accanto a lei.

Dopo aver rimosso un rovo che rimanendomi impigliato tra i capelli, graffiava la tempia sinistra, esclamai ad alta voce:

“Chyioh! Ti sei divertita, spero. Cosa hai trovato di così interessante da spingerti a lasciarmi indietro…”.

Quando lei si voltò, tuttora non comprendo se la mia mente avesse fotografato come più raccapricciante il ghigno che aveva stampato in volto vedendomi alla fine giunto alle sue spalle, o quello che la sua figura stava coprendo davanti il tronco.

Ridotto appena alle fattezze di un uomo, una figura accartocciata su se stessa era in ginocchio a terra, legata ben stretta, mugolante di dolore.

Avrà avuto sui trent’anni all’incirca, gli stinchi poggiavano su quello che sembrava uno strato di brecciolino, penitente in attesa del castigo; di corporatura robusta ma non grasso, nascondeva un abbigliamento anonimo sotto uno strato di leggera fanghiglia, come se fosse stato lasciato all’addiaccio, messo alla prova nello spirito oltre che nel corpo viste le intemperie che negli ultimi giorni avevano colpito l’area. Per quanto riguarda le scarpe, ne era stato privato e tenuto scalzo quasi sicuramente da tante ore quante aveva trascorso lì, ora alla mercé della sua guardiana, dato che la cianosi dei tessuti iniziava ad esser visibile anche a 3 metri di distanza, circa; e dato che le temperature toccavano picchi negativi poco felici principalmente la notte, non poteva esser legata esclusivamente a quanto fossero stati tenuti stretti da quel pezzo di corda che li teneva fermi.

I capelli biondi, lunghi, invece erano stati raccolti dietro la nuca, elemento composto in un quadro scomposto, quasi come se nulla dovesse interrompere la visione di cosa era in divenire, lì, dinanzi a me, stampato sul suo volto.

La bocca sigillata da un enorme pezzo di nastro isolante era lasciata come ultima tappa dal mio sguardo indagatore che, salendo sino le mani, vide finalmente ciò che più aveva grottescamente attratto la mia curiosità…

…. Le mani.

Erano tenute ferme da un nastro di stoffa, legato da un nodo scorsoio ad una corda che seguiva tutta la circonferenza dell’albero, mentre i palmi, sovrapposti, erano inchiodati al tronco.

Mi avvicinai col passo più svelto che mi fu possibile.

Chyioh mi aveva lasciato spazio arretrando di poco sulla destra, consentendomi di ammirare ed adulare la bellezza di quella composizione, come nemmeno davanti la Primavera a Firenze, accanto ad Hannibal. Qualcosa di familiare risuonava nell’aria, ed ero a dir poco estasiato: vedevo il male sotteso in quella sua costrizione, e sapendo che nulla era stato lasciato al caso, ne pregustavo i frutti, mentre istintivamente con una carezza, raccoglievo le lacrime che la guancia destra gli segnavano. Dato il fiotto di sangue che sgorgava rigoglioso dalla lacerazione sulle mani e quanto gli occhi fossero ancora strabuzzati in preda al dolore, evidente era come quella sevizia fosse fresca di esecuzione.

Mi voltai verso Chyioh.

“E’ un regalo di Hannibal, vero?”.

Lei annuì compiaciuta.

“Voglio sapere cosa ha fatto. Solo questo. Mi sarà sufficiente, conosco Hannibal, sono certo non metterebbe mai nelle le mie mani, carne innocente.”

Gettò sui miei piedi una copia del quotidiano locale.

Il titolo in prima pagina era dedicato allo scandalo scoppiato gli ultimi giorni, nella scuola superiore della cittadina che si trovava a poche miglia. Causa? Gli approcci poco professionali dell’insegnante di musica che, a detta delle testimonianze raccolte dalle autorità, era solito garantire il posto nel coro a studenti di ambo i sessi, purché gli stessi fossero stati docili e sottomessi ai suoi appetiti davvero poco consoni al ruolo che ricopriva.

…Aaaaa, cosa farei senza di te, Hannibal…Pensai, prima di sogghignare verso il mio nuovo amico, che non riusciva a smettere di fissarmi, dal fondo di occhi blu divenuti vitrei dal terrore.

Con tutta la calma e cortesia possibile, mi rivolsi alla mia silente guida:
“Chyioh, spero vorrai perdonarmi, ma avrei bisogno di un momento di privacy. Ho così tanto di cui discutere col nostro comune amico, e non vorrei che davanti estranei, sia restio ad aprirsi... La strada per il ritorno non è difficile da raggiungere, entro un paio d’ore sarò di nuovo nei paraggi. Vai a controllare se Hannibal piuttosto ha bisogno di te, le bende ormai andranno cambiate.”

…Vattene Chyioh, vattene… Qui ora debbono accadere grandi cose…

Sorniona come nemmeno un gatto che gioca con la preda tra gli artigli, la risposta giunse:

“…Vi siete trovati, eh…? A più tardi allora, Mr.Graham. Il mio lavoro, qui, è finito.”
Totalmente in preda al bisogno, neppure mi accorsi di lei che ci lasciava. Sentivo solo il serramanico nella mano destra che pulsava tra le mie dita, caldo, ora scorrevole sulla mia dimensione come il tocco di un amante esperto, appassionato, che pelle contro pelle non faceva altro che riempire l’aria intorno a me di ardente desiderio pronto ad esplodere. Mentre la sua vita volgeva al termine, la mia iniziava a scorrere a rilento, e il tempo dilatato mi accompagnava come un padre amorevole.

…Il Nero Giullare è pronto a danzare…

Al primo taglio mi commossi ritrovandomi ad ammirare la maestria con cui madre natura aveva disegnato la muscolatura sottostante: per una decina di centimetri, a sinistra dello sterno, avevo lasciato che la lama superasse prima la resistenza della maglia, poi quanto di inutile era in grado di opporre un morbido lembo di pelle umana, verso puro acciaio sullo stesso premuto, ed avevo ammirato il divino. Vedevo il volto del mio nuovo seppur fugace amico esplodere in un urlo muto, mentre le vene del suo collo si gonfiavano nel vano tentativo di lasciar esplodere quella lancinante agonia, senza risultato però, giacché le sue labbra ben serrate, poco spazio gli lasciavano. Tentava di contorcersi mentre affondavo e ritraevo la mano con cui impugnavo la passione per quell’amante conosciuto quella notte, ma io non vedevo altro che fiorire dinanzi a me, un intero vivaio pieno di magnificenti rose rosse.

Questo, era il mio divenire.

Allargai l’apertura sul suo sterno quanto più mi fu possibile per raggiungere il cuore, in fondo dato quello che avevo letto sul suo operato, era in mio diritto dubitare che ne avessi potuto trovare uno.

Credo che quelle che scuotevano il mio nuovo amico fossero state convulsioni, ad un certo punto, ma io non volevo interrompere la mia ricerca tanto accalorata e frenetica: raggiungere la rosa più bella dell’intero vivaio, non era cosa da tutti. Per me che la vedevo, era una benedizione: e mentre mi guardava, dal fondo, sotto il lucernaio delle costole che attorno la cullavano, baciata dalla luce della luna e protetta dalle altre più piccole che tentavano di crescerle più fitte attorno per difenderla, sentivo che nulla mia avrebbe impedito di strapparla dalla sua prigionia e tenerla tra le mie mani.

E così fu.

Il respiro affannoso non mi lasciava pensare in maniera lineare, e le mani tremolanti a malapena riuscivano a reggere il peso della mia vittoria: ma ora era lì, con me, la rosa più bella, la dea più amata, e come le raffigurazioni dell’Addolorata, le percezioni del mio Io divenivano un tutt’uno con l’universo circostante, servo fedele del cuore trafitto che tra le mani stringevo.

Mi rannicchiai su me stesso. Non ricordo di aver mai pianto, come quella notte.

E mentre cercavo di lavare il delirio del peccato dalla mia anima dannata, sentii un petalo lieve poggiarsi sulla mia spalla: un dolce tepore d’improvviso mi avvolse, abbracciandomi in un attimo di infinito odio e di infinito amore.

Era Hannibal.

Come di consueto, abile felino tra i felini, sapeva ottenere ciò che voleva e quando voleva, senza mai aver bisogno di chiedere, spettro di un’umanità consumata e mai rinata. Il profumo che portava con sé, in ogni caso, non smetteva un momento di consolare i miei pensieri oscuri, e superando gli abissi più tetri e le vette più impervie, sapevo saremmo stati sempre assieme.
Con appena un filo di voce, inclinai leggermente il volto verso destra, sul lato della schiena dove sentito poggiata la testa mentre mi cullava nel suo abbraccio ristoratore, e finalmente mi riuscì di proferire parola:
“Giacciono qui i resti della mia umanità, amore mio.”, …respirai profondamente, prima di proseguire. Ero annichilito da ciò che stringevo tra le mani, devastato, stordito, eppure era lì, e le mie dita serrate nella gabbia che lo proteggevano, ne erano la riprova. Stretto tra le mie mani, custodivo il segreto del mondo.

“Esserlo sempre stato un mostro, o esserlo divenuto, non fa alcuna differenza. Ho appena rimosso il cuore dal torace di un uomo perfettamente cosciente, senza alcun rimorso, stando attento unicamente a non rovinarlo nel rimuoverlo. Tra le mani ciò che stringo, non è la sua vita perduta: ma il mio biglietto per l’inferno. Promettimi solo una cosa, Hannibal…  ”.

“…Dimmi, Will.”.

“Non permettere mai che il mio operato vada sprecato. Aiutami ad onorare la bellezza di ciò che il mio divenire sta portando in questo mondo, o altrimenti sarebbe solo un altro omicidio… non lo potrei tollerare.  Ti prego…”, sussurrai, prima di intrecciare le sue mani con le mie, guardiani di un mondo che oramai non sarebbe stato più.
“…Non lasciarmi solo, ora, ho, ho…dio, ho paura, è così buio, fuori...”, gettai nel vento, prima di rovinare con la testa contro il suo petto.

...Aiutami ti prego, cosa mi sta succedendo, fa male, e brucia. Dio quanto brucia, mi sta aprendo da parte a parte come un animale al macello, sono un condannato in balia dei suoi torturatori, ma se smetto ora sono morto ancora prima di aver capito... Perché Hannibal, ti prego, aiutami, non lasciarmi…

Mentre la mano destra continuava a stringere il mio terrore, le dita della sua mano sinistra si liberarono delicate dalla mia presa e, come una piuma che leggera volteggia sul mondo, mi raggiungevano: il pollice sulle labbra mi chiedeva di riposare, mentre accompagnate dal palmo le dita disegnavano sulla mia guancia il simbolo del perdono.

Mi sorrideva, senza pretendere nulla da me; mi sorrideva, ed io ero di nuovo in me.

“…Tu sei la mia promessa più grande. Nulla che amo, a questo mondo, sarà di nuovo ridotta in pezzi finché io avrò solo un alito di vita in corpo. La paura della conoscenza è un retaggio che ti è stato indottrinato, non ti appartiene anima pura, quindi perché portarne il carico. Respira, una volta, respira, una volta ancora, e presto sarà tutto un brutto ricordo di quelli che senti, persi nei corridoi della memoria, ma talmente inutili da non sentire alcun bisogno di cercarli.”

Sereno come una giornata di primavera, fece scorrere il pollice coperto di sangue, su tutta la lunghezza delle mie labbra, prima di saggiare quale sapore avesse la mia vita, in quel momento.

 Il peso della sua grandezza gravava sulla mia miseria come una spada di damocle.

Lasciavo che la mia lingua scandisse le parole corrette senza emettere un suono che non fosse altro che una disperata richiesta che quel bacio non finisse mai. Il fiato non occorreva più, il tatto non esisteva più, l’Io mi abbandonava nel labirinto, il serpente avrebbe potuto smettere di morder la propria coda in quello stesso momento, lasciando l’universo intero estinguersi, padre Nulla che tutto vedi e nulla perdoni; io avevo già avuto tutto ciò che vite intere avrebbero potuto offrirmi, altro sarebbe stato solo oblio.

Stordito dalla pienezza dei miei stessi sensi, provvide lui ad un certo punto a restituirmi alla vita una volta ancora, staccandosi un momento da me, prima di pronunciarsi chiaramente:

“Per tutto l’amore che ho per te ti chiedo solo un favore. Se non te la senti di guardare, voltati. Non costringerti ad assistere. Lo farò, le tue mani torneranno linde e potranno esser lordate una volta ed ancora per quanto vorrai, ma non ho alcuna intenzione di ridurre le memorie della tua umanità ad uno sfizio per palati sottili. Voglio divorarti qui ed ora, come l’ho sempre voluto, fin dal primo momento che ti ho visto… Apri pure le tue mani. “

…Ti offro il mio cuore. Fanne ciò che vuoi….

In ginocchio, a terra, poggiai le mani sul mio ventre lasciando che le dita sbocciassero come un fiore.

“Non ho più alcuna paura, Hannibal. Buon appetito…”, riuscii appena a dire, poco prima che lui si avventasse su di me, strappando, masticando, ingoiando.

Gli baciai la nuca.

Non avrei staccato gli occhi da quella scena per nessuna ragione al mondo
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Sono, dunque, uccido. ***


Quello che alla fine giaceva tra le mie mani non era altro che l’ombra di un ricordo, nulla più. I resti che tra i polpastrelli scendevano, non portavano più il calore del vivido sogno che avevo vissuto qualche istante prima, ed impietosi reclamavano la terra, per tornare da dove erano venuti.

…Cenere alla cenere, polvere alla polvere…

La malia del colore delle sue viscere aveva marchiato la mia mente, ed un liquido viscoso trasudava dall’immagine del mio fugace compagno di giochi come purulenza da una ferita infetta; nuovo Cristo redentore, avevo crocifisso ed esposto la sua inutile esistenza al comune gaudio, cosicché tutti potessero rallegrarsi della neonata salvezza. Salvezza di sangue, salvezza di orrore, salvezza di assurdo, e depravazione; salvezza nel limbo, salvezza per me che altro non ero un triste ramingo, salvezza nel furore e di dannazione, sola tu eri sempre stata la mia unica soluzione.

Il suo cuore avevo strappato e gettato in pasto ai lupi. Nella bellezza della malinconia e del rimpianto che quella scena mi ispirava, mi sentivo rinato: trovare piacere nell’autocommiserazione era il mio capriccio più grande, ed ora finalmente comprendevo come non fosse null’altro che l’elegia di quello che un tempo credevo il mio stesso spirito tormentato.

Di tormentato, non v’era sempre stato altro che il mio istinto per il dramma, oramai incapace di esser stuzzicato dalle comuni vie, annoiato, rattristato.

…Sei proprio un ragazzo crudele, Will…, pensai prima di sbottare in un risolino.

“Che sapore aveva la mia umanità?”, chiesi ad Hannibal che, concluso il suo pasto, non smuoveva i suoi occhi dai miei. Aveva il respiro corto, la foga nel consumare quel lauto pasto lo aveva reso impaziente e, come un bambino satollo dopo aver avuto la sua torta di compleanno, non cercava altro che ristoro. Trovavo le sue labbra grondanti sangue pura armonia.

…Sento un violino in lontananza…

“Vita. Aveva l’aroma stesso della vita. In equilibrio sui tuoi martiri, l’avevi riempita di tanti buoni propositi e altrettante punte aguzze sparse tutte attorno per farli esplodere, da renderla quasi incorporea. O forse era semplicemente un tenero muffin che appoggiato sulla lingua, non doveva esser neppure masticato per esser ingoiato: il tuo gusto per il rimpianto l’aveva resa così fragrante da far sì che si sciogliesse in bocca… Vuoi averne un assaggio?” disse, poco prima di aver appoggiato le sue labbra sulle mie solo per poter delicatamente spingere con la lingua, tra i miei denti, un piccolo brandello di carne.

Mi limitai a farlo passare lentamente sul palato prima di ingoiarlo.

“Ti dirò, preferisco un sandwich al prosciutto.”

Scoppiammo a ridere entrambi.

Mi dispiaceva non condividere quel suo gusto, ma il mostro che mordeva i miei nervi sotto la pelle, sentiva piacere altrove. Avremmo potuto completarci, ma nulla più; quel mio senso sarebbe stato solo mio e non avrebbe vissuto del riflesso di nient’altro che non fosse stato il mio più completo ed appagato godimento.
Mi voltai verso la mia prima, adorata composizione e, seppur a malincuore al pensiero di spostarla dalla tela per metterla via, mi venne pensato che impellente era il bisogno di far sparire il risultato delle mie prime pennellate. Ero stato avventato, e nonostante tutto non fosse altro che un presente del mio Nero Principe, era mio dovere impedire che gli fosse arrecato danno, conducendo l’FBI alla nostra posizione attuale.

“Dovremmo trovare modo di seppellirlo. Qui intorno gli alberi non sembrano molto rigogliosi, e il sottobosco pare fin troppo spoglio. E’ evidente che hanno bisogno di nutrienti… non credi anche tu?”

 Dopo aver gettato una rapida occhiata agli scarti che avevo abbandonato accanto al tronco, mi carezzò nuovamente la guancia ferita e sentirlo pronunciarsi, scese nelle mie orecchie dolce come miele.

“Mia malinconia, tenero rimpianto di un incubo di una notte di mezz’estate, sappi che adoro, vederti prendere le redini… Ma non sarà necessario tanto tuo impegno, non ancora. E’ già stato tutto ampiamente predisposto, quindi ora ti prego, piuttosto, mi sento decisamente affaticato dalla passeggiata nei boschi: potresti offrirmi il tuo braccio per tornare al cottage?”

… Modellami come vuoi…

Sospirai.

“Sta bene. Ma prima o poi mi auguro inizierai a rendermi partecipe delle tue iniziative machiavelliche… Per il momento, andiamo, non hai neppure da chiederlo.”

Leggermente claudicante dal lato della ferita, non rallentò mai il passo. Lui non indietreggiava mai, non si voltava mai, non dubitava mai; almeno fino a quando non aveva conosciuto me, variabile tra le costanti, unica macchia nel candore in cui si era immerso in grado di portarlo nuovamente a chiedersi il perché nell’esistenza e di un’esistenza che, in fondo, alla sua ombra non meritava neppure un accenno.
Sì, ombra, perché nonostante tutte le mie resistenze, lui ai miei occhi era sempre stato il sole: il sole nero che avrebbe portato la terra dove cammino, ad ardere fino a dissolversi, polvere cosmica in un infinito divenire.

Giunti a destinazione però, fu evidente come ancora un giorno di riposo almeno fosse necessario al suo recupero, dato che nemmeno eravamo riusciti a varcare la soglia che lui d’improvviso mi crollò tra le braccia, prima di sussurrare:” Tranquillo Will… Ho solo esagerato nel chiedere al mio corpo; per il momento, ti prego, se le tue ferite non ti danno troppa noia, portami a letto. ”

…Ancora la dolce arrendevolezza con cui insisti a chiedere invece di pretendere…

Neppure risposi, mi limitai solo a volare con lui sulle spalle, in camera, sbrigandomi a controllare sia le garze che i punti sull’addome. Gli tolsi la maglia cercando di non impazzire all’idea di quanto la sua pelle sotto le mie dita, fosse così morbida e calda; ma almeno i punti avevano retto, e tanto mi bastò per placare quello che le mie labbra non osavano pronunciare.

…Quanto ti voglio…

Continuavo a ripetere tra me e me, mentre lo aiutavo da poggiato sui cuscini a pulire ciò che indosso lo lordava dal suo ultimo pasto. Mai avevo sollevato dubbi sulla mia sessualità sino a quel momento, ma nelle sue movenze e nella sua essenza io non solo perdevo me stesso, ma trovavo una nuova via dall’aroma antico che mi rallegrava ed instillava rinnovato vigore. Trovavo estremamente liberatorio guardare le ossa iliache che sporgevano dal pantalone da notte, e immaginarle carezzate dalle mie labbra, mentre con una mano avrei potuto stringergli il fianco prima di lasciar scivolare il mio volere tanto in basso da non reggere neppure il pensiero di ciò che chiedevo.

Senza neppure accorgermene, d’improvviso arrossii.

Solo poi mi ritrovai a riflettere su quanto accaduto quando, nella radura, lui aveva deciso di accettare la mia proposta e condividere con me un momento di così profonda e accorata intimità. Nelle cucina, le mani di Hannibal, sapienti maestre del terrore, avevano reso il massacro un’arte in grado di trascendere il divino. Minuziosamente attente ai dettagli, le vedevo volare tra la preparazione di un fegato, la lavorazione di reni, o lo scottare di lingue in padelle come solo la dea Kalì portatrice di distruzione era in grado di fare, mentre brandendo le teste dei nemici appena decapitati recava morte e distruzione al suo passaggio: le sue mani erano entropia che diviene materia per poi decadere di nuovo nell’entropia.

…Scorgevo il Wendigo tendermi la mano…

Ma quella sera, io avevo visto una bestia affondare i denti, non il raffinato esteta attento alla purezza della sua opera. Avevo visto un animale straziare i resti del malcapitato scarto della società che era finito tra le mie mani, una bestia lubrica e sanguinaria che gioiva del fluire del sangue delle sue vittime in gola e danzava nel loro sangue, in festa alla luce della luna. Cercavo di restare fedele a me stesso, quando lo aiutavo a stendersi sotto le coperte, e prima di lasciare a terra ciò che avevo indosso per trascorrere quanto restava della notte: cercavo, ma non riuscivo. Tolta la maglia dinanzi la finestra, sentii un brivido lungo i fianchi al ricordo di quanto sangue avevo versato, al ricordo di quanto lui aveva ingoiato, e non potei fare a meno di stringere la mia immagine riflessa nello specchio, sperando in uno sfuggente conforto che sapevo non sarebbe arrivato.
Sospirai, greve, mentre la mia immagine alla finestra si dissolveva come fosse stato uno specchio d’acqua in cui viene gettato un sasso. Il Wendigo, giunto al mio fianco, mi guardava nel riflesso dell’oceano dei pensieri in cui mi stavo perdendo e, mentre poggiava le sue adunche mani sulla mia spalla destra in un gesto quasi consolatorio, la mia pelle diveniva d’ebano anch’essa, ed io ero nuova Notte.

D’un tratto, la voce del mio sire di nuovo in sé, mi destò del sogno.

“Will…”, sussurrò, prima di sorridermi come solo la stella polare può fare ai navigatori smarriti, quando appare nella volta celeste.

“Sai come mai il sangue, durante la notte, appare nero come la pece? Ancora non te lo sei domandato? …Solo la grande madre notte è in grado di mostrare la vera essenza dell’uomo. Quello della luce, al più non è altro che un crudele inganno che porta con sé un volere a noi estraneo, una scelta già presa che non lascia in alcun modo spazio al libero arbitrio: è il volere di un dio crudele che illude i suoi figli, prima di abbandonarli a se stessi. La notte invece, mostrando la verità su ciò che dà vita all’uomo, lo rende sia consapevole dell’ombra che dentro lui stesso porta sia in grado di scegliere cosa fare di quel male, che nelle viscere gli scorre. Lo culla senza mai chiedergli nulla in cambio, addirittura oso dire che lo vizia quando lo lascia crogiolare nell’illusione che il giorno successivo sarà vita rinnovata, e tutto potrà cominciare ancora, ma non per questo è meno impietosa nel ricordargli, quando la vita finisce, che da lei tutto è iniziato e in lei prima o poi tutto sarebbe tornato...”, un breve colpo di tosse gli ruppe il fiato.

“Hannibal! Stai bene?!”, chiesi, mentre mi fiondavo accanto a lui per aiutarlo a lasciar passare quella crisi.

“Eh eh, *cough* sì, tranquillo, era solo della saliva. *cough cough* Faccio un po’ di fatica a deglutire, mi duole la bocca dello stomaco e i risultati si vedono, tutto lì. Mi dispiace, sono stato interrotto proprio nel momento apicale di ciò che stavo cercando di dire. Will, vedi, la notte può far paura, può lasciare uno spazio vuoto nella vita che non sapendo come colmare, la massa preferisce lasciar andare. Alcuni fortunati, invece, risvegliandosi sotto la benedizione della luna, riescono ad osservarla e, nelle forme che sotto la sua luce si formano, trovano se stessi. Alle volte è un cammino estremamente doloroso, in cui le minacce nascoste negli interstizi della stessa mente non faranno altro che pugnalare il malcapitato fino a ridurlo ad un grondante sacco di carne, divenendo la selva oscura in cui la diritta via, venne smarrita… ma tu, tu mio piccolo passero, avrai sempre chi cucirà le tue ferite, chi vivrà solo per il pensiero di stringerti la mano quando il terrore lascerà le tue gambe tremolanti gettarti a terra. La notte è oscura per null’altro motivo che il sangue che le porti: quindi nella gloria della tua scelta, prendi ciò che di appartiene di diritto, e rendilo immortale. La bellezza di ciò che cerchi, si rifletterà nell’armonia di ciò che crei. Vivi per sempre in quell’attimo.”

Il bacio e le carezze che seguirono tanto sentito ammonimento, resero quella notte un momento glorioso in quel battito di ali di farfalla che era stata la mia vita, sino ad allora; e più la sua bocca scendeva per cercare il mio perché, più io sentivo il mostro sotto la pelle crescere ancora ed ancora sino a lasciare che la mia schiena non divenisse altro che un ganglio di muscoli, pelle e sangue contratta nel piacere e nel dolore. Le ossa si spostavano frantumandosi, la mia carne si strappava mentre l’occhio sul mio sterno si apriva e mi rivelava al mondo in un fiume di sangue in cui vedevo galleggiare i corpi smembrati delle sue vittime, delle mie vittime, e di coloro che sarebbero divenuti vittime.

Le sue mani strette sui miei lombi erano il richiamo per il mostro che, dal fondo del fiume, risucchiava a sé i corpi martoriati prima che la cascata a valle li lasciasse dispersi in mare, per sempre: Cariddi dei miei incubi, mostrava i canini aguzzi affiorare dall’acqua poco prima che una fontana di sangue, zampillasse verso di me che tentavo di celebrare almeno un degno funerale per quella vita che tanto mi ero impegnato a preservare, in passato. Eppure, avvicinarmi al limitar della riva, non rendeva altro che la creatura più vorace ed inquieta; e, quando mi accorgevo che altro non mi restituiva quel fluido impietoso se non l’immagine della mia piccola Abigail trafitta da una danza di lame, la mia Cariddi disperata ruggiva e guaiva, preda del suo stesso vorace appetito che la costringeva a riempire le sue fauci nonostante dal letto del fiume, quello che risuonava non era altro che l’eco di un pianto sommesso.

…Sono il mostro divoratore di mondi…

“…Hannibal…”, riuscii a malapena a bisbigliare, prima che la mia voce venisse rotta dall’affanno.

“Ti prego, non riesco a resistere oltre…”.

Lui si limitò ad alzare il capo, scivolando sul mio torace come una sirena che si affaccia sugli scogli al suo primo canto e, dopo avermi regalato un sorriso delicato inclinando il capo, sussurrò al mio orecchio:

“Allora diventa mio, ora, e per sempre.”

Strabuzzai gli occhi, ma il desiderio di vedere quanto fosse profonda la tana del bianconiglio, mi divorava fin da quando nell’attesa della venuta del Grande Drago Rosso, lo osservavo pulire il calice nel quale sarebbe stato versato il vino. Per tre anni avevo camminato sulla corda tesa nel baratro dal fondo del quale lui mi chiamava, spingendolo ad urlare il mio nome quasi come un ossesso; e dalla mia corda, ogni volta che la sua voce risuonava nel vento libera e potente come ciò che sentivo trascinarmi verso di lui, ad ogni passo lasciavo che dei ragni intessessero la tenuta del mio giullare, senza mai riposare, senza mai smettere di sognare.
Carne, dolore, sangue, piacere, sudore: forma indistinta divenni quella notte al cospetto del nostro vizio. Compiacere il suo desiderio rappresentava la forma più elevata di esaltazione che il mio gusto per la tragedia e l’autocommiserazione era stato in grado di trovare, e non potei fare a meno di inchinarmi nella più dolorosa e appassionata preghiera mai rivolta al creato.

“… Hannibal, dimmi che mi ami…ti…ti prego…”

Avevo disperato bisogno di sentirglielo dire.

Lui, dopo aver scostato i capelli che sul viso erano incollati dal sudore e avermi baciato in mezzo alla fronte, dopo qualche momento di silenzio, irruppe nella mia mente come un tuono a ciel sereno:

“Ti amo fin dal giorno in cui ho compreso che l’unica cosa che desideravo, era il tuo sguardo costantemente posato su di me.”

…Hannibal…

  Persa la mia ombra era nel suo fulgore, mentre tra un fiato e l’altro trascendevo il divino; e la carne e il sangue che quella sera avevo violato, di rimando in fondo alla gola ne sentivo il boato. Urla mute dal fondo del mio costato risuonavano rompendo l’aria mentre il profumo delle rose riempiva la stanza: di santità quell’unione aveva oramai l’impronta, e benedetta nel sangue e nel dolore, nessuno avrebbe mai potuto lavarne l’onta. Su un nero destriero era iniziata la mia corsa verso il tramonto, e quando il sole aveva lasciato posto finalmente all’immacolata luna, il volto di Hannibal, adorante, accanto a me mi riempiva d’immenso mentre le corna del Wendigo ci avvolgevano in una confortante culla d’amore e di morte. Ed io mi sentii potente come non lo ero mai stato sino a quel momento: ma non di una pura e semplice forza distruttiva, ma della forza creatrice dell’universo libero da ogni catena.

Stremato, accanto a lui mi voltai un momento, incrociando i suoi occhi illuminati come nemmeno la prima stella della sera, e dissi:

“Vivo, ma non per questo smetto di essere. Penso, ma non per questo smetto di ragionare. Provo, ma non per questo smetto di soffrire… Hai sempre avuto ragione.
…Ti amo anche io, come non ho mai avuto modo prima in vita mia.”

E finalmente, trovai conforto, sul suo petto. Il battito del suo cuore riusciva a scandire i miei pensieri, alle volte fin troppo confusi…

“Però, mentre qualcosa dentro di me è perso per sempre, qualcosa è stato guadagnato, e l’entropia ha trovato terreno fertile in me e nella mia vita con te, ormai questo è appurato. Vivo dell’istinto che la tua presenza solletica in me e nel mostro che sotto la mia pelle alberga, i miei occhi trasudano veleno mentre fantastico su cosa le mie mani sono in grado di realizzare su un corpo umano… Come l’antimateria, al solo pensiero di entrare in contatto con la mia odiata sorella, mi annullo, e sono in grado di portare la miseria del vuoto che dentro mi porto ad inghiottire il mondo stesso. Non potrò mai fare a meno di piangere sulle mie miserie, ne sei consapevole, vero?”

“Amo come urli nel vento la disperazione per il tuo cuor perduto, dovresti saperlo”.

“Allora perdonami se tanto francamente ti esterno questo mio bisogno ora, spero la tua sensibilità non ne verrà urtata, ma sento il bisogno di esternarlo. Sappi una cosa: non mi interessa chiunque sia l’amica che vuoi salutare prima dell’inizio del nostro soggiorno a Cuba, o di come probabilmente avrai già organizzato gli spostamenti per raggiungerla, o di cosa sarà di lei, una volta che l’avremo raggiunta. Non mi interessa se quella che vuoi raggiungere è la Dr.ssa Du Maurier o la Dr.ssa Bloom, o chiunque altro nel tuo o nostro passato ha avuto la sfortuna d’incappare in una tua promessa, il destino di creature tanto sciocche e ridicole non mi interessa. Ora so, ora so cosa voglio, e se merita il tuo castigo, vuol dire che la mia coscienza non avrà nulla da obiettare al riguardo: quindi promettimi solo che, quando avrai avuto da lei tutto ciò di cui avrai bisogno, a me andrà il suo cuore. Voglio stringere il suo ultimo respiro, tra le mie mani.”

…Lo confesso, ma lo temo; lo bramo, ma lo aborro… dio mio, cosa sono diventato…

E nel mentre, uno squarcio cremisi si apriva sul petto di Hannibal, in grado di lasciarmi scorgere il suo cuore palpitante.

Le mie allucinazioni peggioravano visibilmente mentre l’innocenza del mio bisogno, iniziava a prepararmi la strada per poter distruggere il mondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** La malinconia del diavolo ***


Volevo volare, volevo sapere, volevo sparire e mai più ritornare,

Volevo danzare, volevo annegare, volevo urlare e nel vento morire,

Volevo gioire, volevo patire, volevo guardarlo sino ad impazzire,

Volevo sentire, volevo tagliare, volevo nel vuoto, poter riposare.

Lunga è la strada che percorre chi diritto guarda all’inferno,

quando dentro, non porta altro che inverno.

…E venne il giorno.

Riuscire anche solo a dare una forma alla mia materia divenuta incorporea, fu un’impresa quella mattina. Estraneo a me stesso mi recai in bagno senza riconoscere neppure colui che nello specchio mi osservava a sua volta, mentre toglievo di dosso gli indumenti, prima di entrare sotto una più che richiesta doccia memore della notte più turbolenta mai trascorsa in vita mia. Mentre il vapore saliva dall’acqua che lasciavo scorrere sulla nuca, dei flash della notte appena volta al termine mi tornavano alla mente e non mi restava altro sperare che, strizzando gli occhi, potessi ricacciarli da dove erano sbucati; ma nulla avrebbe creato sufficiente spazio tra me e il ricordo di quello che ora, su di me, vedevo segnato col fuoco. Le illusioni sono dure a morire e se possibile anche crudeli, nel loro esalare l’ultimo respiro, perché non faranno altro che piantare i loro artigli trainati dalla disperazione e tirare quanto più possibile mentre il loro cadavere rovina a terra assieme alla tua pelle e la tua carne, esposta, urla al mondo il tuo dolore.

…Io, io non…non volevo….

Sì, non volevo che la mia prima vittima fosse un regalo di Hannibal.

...Ma cosa sto…

Le voci nei recessi della mia mente si sollevavano sempre più forti ed impetuose, ciascuna in disaccordo con l’altra, pronte a darmi addosso ogni qualvolta tentassi di imporre la mia autorità sul marasma che ingeneravano nell’ambiente circostante. A mano a mano mostri di nebbia, le vedevo crescere nella loro furia divenendo prima vento poi tempesta, feroce sorella in grado di inondare le stanze del mio palazzo dei ricordi e annegare quelle che ingenuamente, erano le marionette delle mie buone intenzioni nei tempi che furono: povere piccole anime perse, con vestiti di pezza, pronte a scomparire nell’abisso dei miei incubi senza neppure proferire un gemito, vita ingrata era stata la loro, trascorsa sugli scaffali ove le avevo riposte solo in attesa del giorno in cui fossi stato in grado di sacrificarle al mio dolore. Le pareti elastiche scosse dalla discussione e dal fiume di lacrime che nella tempesta seguiva il suo crescendo, iniziavano ad ogni mio passo rivolto a quelle ombre, a seguire un ritmo, tremulo ricordo di una vita passata, infausto presagio di una sciagura futura. E divenivano sotto i miei occhi, gli atrii e i ventricoli di un cuore pulsante, pareti viventi di un organo morente.

Guardavo con fare indagatore, il cuore della mia umanità dilaniata chiedere vendetta.

…Come se ti occorresse a qualcosa, mia cara…

Allucinazioni e disgregazione della personalità. Non avevo intenzione di farmi mancare nulla, davvero.

I giorni iniziarono a scorrer veloci dalla mattina successiva a quella che Hannibal avrebbe poi chiamato la mia “rinascita”, e la bolla di sapone nella quale fluttuavo tra uno spostamento e l’altro mi lasciava riflesso in un caleidoscopio di colori tanto vivido quanto evanescente. L’unico ricordo di questa terra in grado di mantenere il mio contatto con la realtà ed impedire allo smarrimento che il morso del demone sotto la pelle mi procurava, era il suo tocco. Alle volte sentivo le mie difese soverchiate da quel mostro con la pelle di serpente che vedevo sorridermi insolente attraverso i punti delle ferite, ipnotizzato dal sibilare del suo morso tra le vene, inebetito dall’ipnosi che di conseguenza al suo verso, certi loschi figuri suscitavano su di me durante il nostro viaggio e dalla curiosità che instillata era oramai in me, la possibilità di scavare a fondo nelle loro vite per dare un’occhiata a quanto fosse ampio il vivaio che nella loro anima portavano: ma Hannibal ogni volta mi riconduceva a sé senza neppure parlare, solo prendendo la mia mano al momento giusto e lasciando che il suo animale sacro, zittisse dall’alto della propria cattedra quel neonato bisogno di morte.

Ed io finalmente trovavo sollievo.

Chyioh provvedeva al cambio delle autovetture per il trasporto ogni 12 ore all’incirca, facendo in modo tale che i cambi d’abito a nostra disposizione avessero altrettanta frequenza. Era necessario che i nostri spostamenti non fossero rintracciabili, come pure la nostra fisionomia fosse meno esposta possibile a strumenti di sorveglianza in grado di registrare il nostro passaggio; dunque prioritario era mantenere un basso profilo attraversando il paese impiegando le statali secondarie meno infestate di videocamere e, soprattutto, raggiungendo quanto prima una nazione che non fosse in rapporti con l’America tali da concedere facilmente la nostra estradizione, ove mai fossimo stati raggiunti dalle strette maglie della rete che Jack aveva iniziato ad intessere, attorno alla nostra fuga.

…Ah. Ora capisco come mai, Cuba…

Mi venne pensato, al terzo cambio d’auto dalla partenza dal cottage. Però la logica dei nostri spostamenti non mi era molto chiara e, nonostante fosse ovvio come la maggior parte delle nostre tappe fossero dei depistaggi per confondere le acque, iniziare a riconoscere il paesaggio in cui stavamo affacciando la nostra rinnovata coscienza, mi lasciò a dir poco confuso.

Dopo circa un giorno e mezzo di viaggio, infatti, mi ritrovavo a salutare il gelo delle foreste della mia amata Virginia.

Fortunatamente, durante le nostre tappe, ero stato almeno in grado di trattenere i miei impulsi, quindi macchie rosse in grado di mettere sul chi va là l’attenzione della squadra del nostro caro agente Crawford proprio sotto il proprio naso, non vi erano state. Nulla avrebbe potuto condurli a sospettare che due fuggitivi con tanti corpi nella propria scia, avessero potuto azzardare una tappa nella zona dalla quale sarebbero dovuti tenersi lontani come fossero appestati durante la morte nera; dunque la domanda a questo punto sorgeva spontanea, ed era a dir poco sciocco continuare ad indulgere nel dubbio.

…Alana o Bedelia, Hannibal… Chi…

Ed un morso giunse, a scuotermi dal torpore.

…L’idea ti eccita, lo so: ma non ancora amico mio, non ancora…

Pensavo, mentre guardando lo specchietto retrovisore, non desideravo altro che iniziare a prenderlo a testate fino a lasciare pezzi di materia grigia incastrata nelle sue schegge.

Hannibal, che era solito sedere accanto a me sul sedile posteriore del mezzo con il quale Chyioh ci scortava, notò immediatamente il mio attimo di smarrimento. Prese la mia mano, e rivolgendola col palmo verso l’alto, l’avvicino a sé regalandomi il bacio che solo un fedele in Chiesa è in grado di donare a dio, nel momento in cui riceve il corpo del cristo sotto forma di ostia.

…Non smetter mai amor mio, o quel giorno ho paura non ricorderò più nemmeno il mio nome…

L’appoggiò a sé, sul suo petto, sul suo cuore, e disse:

“Ricorda, questo è il suono della vita che ti riporta a sé. Quando senti le ombre sovrastarti, quando la marea sembra quasi coprirti il volto mentre vai a fondo, ripensa al brivido che ti dà il tocco delle mie labbra sulla pelle. E respira.”

Socchiusi gli occhi e sorrisi placido, in un gesto d’approvazione.

…Ti amo come solo il diavolo sulla porta dell’inferno che ti accoglie, sa fare…

“Hannibal…Farà male purtroppo, lo so perfettamente. Spero solo avrai la pazienza necessaria per restarmi vicino finché non sarò più, ehm, diciamo stabile, ecco.”, dissi, prima di abbandonare il mio sguardo fuori dal finestrino, lontano dalla luce, lontano dall’orrore.

“Will, non giocare da solo tra le ombre, resta con me.”

…ma, come…

Disse, prima di allungare il braccio sinistro dietro il mio fianco, e stringermi a sé, lasciando la mia testa immersa nell’odore della sua pelle, che suadente saliva dallo scollo dal maglione che aveva indosso.

“Sopravvivo solo per compiacere te, te l’ho già detto. Finché mi vorrai accanto, non andrò da nessuna parte. Sta tranquillo. Però a questo punto credo sia mio diritto saperlo: è evidente che stiamo andando a salutare una vecchia amica comune, conosco bene queste strade, e da quando le nostre vite si sono incrociate, ho decisamente smesso di credere nelle coincidenze. Voglio solo sapere una cosa: l’amica che stiamo andando a salutare prima di partire per Cuba, è bionda o mora. Mi basta, non voglio sapere altro.”

Adoravo giocare con le dita nel punto dove la maglia e i pantaloni appena si sfioravano, e mentre la sua pelle iniziava a diventar d’oca, la sua mano poggiata sul mio fianco stringeva sempre più forte.

“Non avere fretta piccolo passero, la sorpresa ci sta aspettando, e nulla le impedirà di accoglierci a dovere. Sarà davvero illuminante, la serata che intendo trascorrer tutti assieme: festa grande ci attende e non vedo l’ora di vederti banchettare con ciò che la vita ti offre. Non curarti del fatto che possa esser bionda o mora la nostra ospite, pensa solo a dedicarle la cortesia ed attenzione necessarie. Pensavo di averti insegnato, le priorità… Mpff …”, concluse, sbottando in un leggero risolino.

“Sono e resterò sempre, il tuo passatempo preferito.
… E sia, andiamo. Sarà più divertente aprire il mio regalo.”, soggiunsi, prima di lasciarmi andare al tepore che dal suo petto saliva, in un riposo né pieno né appagante, ma rassicurante tanto quanto bastava per poter smettere di chiedermi il perché di quanto mi stesse accadendo.

Le mie palpebre, tende di un maniero infestato, non lasciavano che la luce mi raggiungesse in alcun modo; ma la mia mente, a tratti lucida, recepiva dei suoni del mondo esterno come un catino vuoto raccoglie l’acqua piovana se lasciato al suo daffare, così le parole “…la mia terapeuta…”, non passarono inosservate. Un brivido mi scosse dalla testa ai piedi.

…Bedelia, ti avevo avvertito di fare i bagagli…Oramai, stiamo arrivando…

Lo strinsi ancora più forte e finalmente quello stato di ipnotico dormiveglia, si trasformò in apprezzato riposo: ma mentre la creatura informe sogghignava compiaciuta attraverso la mia pelle divenuta trasparente come vetro, il ritratto del mio cuore appeso al muro dell’androne del mio palazzo dei miei ricordi, non smetteva di sanguinare.

Ed era bellissimo.

Quando mi risvegliai, la macchina era parcheggiata in una radura dalla quale ancora riuscivo ad intravedere la strada, ma Chyioh si era dileguata, ed eravamo rimasti soli.

“Hannibal…mmm…che succede, siamo arrivati?”, chiesi ancora sonnolente.

“Will, ascolta. La nostra meta è vicina, ma ho davvero bisogno della tua completa attenzione.”

E dopo avermi poggiato le dita sul mento mi tirò a se, stampandomi sulla carne un bacio da toglier il fiato.

…La tua lingua è davvero la mia rovina…

“Aaah…Hannibal, hai la mia attenzione. Ma smettila o se continui potrei finire per rivolgerla verso pensieri poco appropriati.”, dissi, sperando di mantenere tanta calma necessaria a che il mio desiderio, non trasparisse in maniera eccessiva. Adoravo la compostezza che adornava il nostro rapporto; non trovavo esteticamente corretto rovinarla con del bieco istinto.

“Perfetto. Ascolta, la nostra amica non abita molto lontano da qui, dovremo raggiungerla a piedi se non ti arreca disturbo. Ma il punto principale su cui ho bisogno della tua più completa attenzione è legato al fatto che quando l’avremo raggiunta, io avrò bisogno del tuo aiuto. La ferita sul petto sta guarendo in maniera egregia, nulla da dire, ma ho bisogno di ancora tempo prima di potermi impegnare in attività che potrebbero portare a far saltare qualche punto o addirittura farla riaprire…. E lì entri in gioco tu. Lei sarà tanto sorpresa del nostro arrivo da sembrare terrorizzata e magari intenta a fuggire, di primo acchito: sarà nostra cura, prima che questo divenga possibile, impedirlo. Io la distrarrò all’ingresso principale, tu dovrai raggiungerla alle spalle dalle vetrate sulla destra nello studiolo, e soffocarla tanto da svenire. E dico soffocarla, perché se possibile vorrei evitare colpi al cranio in grado di rovinare quel suo cervello tanto abile e fino, potrebbe tornare utile prima di quanto immagini.”

“Sta bene. Ma non dovrai mai smettere di guardarmi.”

“TU, non smettere mai di guardare me. E ora andiamo.”

Durante quella che si rivelò più una scarpinata nei boschi che una passeggiata, mi ritrovai a canticchiare sereno e beato, come se non fossi stato perfettamente consapevole del fatto che stessimo andando a commettere un omicidio; quasi saltellavo, all’idea che avrei salutato a modo mio una vecchia amica, e divertente trovavo lo scatto del serramanico che usciva ed entrava dal suo alloggiamento.
Giungemmo in prossimità della villa dopo quasi un’ora.

…Eccoti, Bedelia…  

Eravamo giunti nei pressi della residenza della dott.ssa Du Maurier, all’imbrunire, così da consentire a me di aggirare il perimetro senza dare dell’occhio, mentre Hannibal avvicinava lento la porta d’ingresso. La potevo vedere mentre, soffermandomi tra una stanza e l’altra, cercavo riparo dietro i cespugli attento a buttare un occhio negli angoli alla ricerca dell’occhio indiscreto di possibili telecamere: devo dire di esser rimasto più che sbalordito nel non vederne alcuna, nonostante la promessa di morte che Hannibal le aveva fatto da quando, dietro la parete della sua stanza nel manicomio criminale, non mancava di inviarle ad ogni Natale e ricorrenza, una ricetta con cui avrebbe apprezzato averla per cena corredata sempre dei più sentiti auguri.
5 minuti. Regolando gli orologi, avevo 5 minuti per giungere all’ingresso che mi aveva indicato Hannibal, prima che lui si muovesse verso la porta d’ingresso: non potevo sbagliare un passo, ne andava della sua vita.

...Dottoressa, però se non mi dai almeno un po’ di filo da torcere, sappi che potrei rimanere molto deluso… E divento cattivo, quando sono deluso.

…cosa? ...

Scossi un momento la testa per scacciare quel ronzio, e finalmente mi riuscì di giungere alla porta finestra che mi aveva indicato Hannibal. Chiusa.

...Maledizione…

Al che, attesi di sentire almeno il campanello, e preparai la mano arrotolata nella manica della giacca per poter dare un pugno al vetro vicino alla maniglia e romperlo nei tempi più rapidi possibili. Avrei fatto rumore purtroppo, solo lo stretto necessario per entrare e giungerle alle spalle mentre Hannibal le annunciava propriamente il nostro arrivo e l’inizio del party più esclusivo a cui avrebbe mai partecipato in vita sua.

…Ricorda, rapido. Appena suona e la porta si apre, vola…

Pensai, mentre inginocchiato accanto la maniglia della porta, sentivo il cuore iniziare a batter sempre più rapido e greve. Il respiro rallentava quando nel frattempo cercavo di ripassare a mente la struttura della casa, richiamando alla memoria quanti più particolari necessari a definire la mappa che mi avrebbe condotto alla porta d’ingresso: celere avrei dovuto essere, uno strale che non lascia al suo obiettivo nemmeno il tempo di un respiro, o per Hannibal avrebbe potuto esser fatale.
Lui tempo addietro, aveva chiamato *a savage pleasure…* quello che stavamo per condividere, e per nulla in questo od ogni altro mondo, avrei consentito che qualcuno ci potesse interrompere.

10…9…8…7…6…5…4…3…2…1.

Il campanello.

Le giunsi alle spalle come un fantasma: impietrita com’era dall’apparizione di Hannibal alla porta, non aveva avvertito alcun rumore proveniente dalla mia mia piccola effrazione, e ne avevo approfittato per coglierla di sorpresa, mentre riusciva sì e no ad indietreggiare qualche passo alla vista del Mostro.

…Hannibal, guardami. Guardami…

Al terzo o quarto passo, credo, ne approfittai per accalappiare il suo collo nell’incavo del mio braccio destro, ed iniziare ad esercitare la pressione necessaria che le impedisse di urlare emettendo sì e no qualche gridolino soffocato, mentre i sensi la abbandonavano. Aveva tentato di opporre resistenza, scalciando e tentando di raggiungermi con le braccia nonostante l’avessi quasi sollevata di peso, ma più la luce la abbandonava e le gambe le cedevano, più io la stringevo dolce a me impedendole di rovinare a terra come un semplice sacco di carne, e la accompagnavo in un sonno senza sogni preludio della notte più importante della sua vita.

“E’ stato bellissimo, Will. Sei pura poesia ai miei occhi, sappilo.”,

Disse, mentre la dott.ssa Du Maurier giaceva finalmente esanime.

Il mio respiro pesante riempiva l’aria, ma non smettevo un momento di reggere il suo sguardo. Era il senso stesso della vita, a chiedermelo.

"Mentre la porto in cucina, inizia ad accostare le tende nella sala da pranzo. Non voglio esser disturbato.", 

Dissi freddo, distaccato.

"Ho intenzione di stringere questo piacere tra le mie mani, ed offrirtelo. Banchetteremo amor mio, nel dolore e nel sangue, e non ho alcuna intenzione di esser disturbato."

Mi sorrise con un'espressione così dolce... 

Avrei dovuto sentirmi in colpa per ciò che volevo e chiedevo, ma la differenza tra il dovere e il potere, spesso fa la differenza tra la vita e la morte.

E la dottoressa Du Maurier ne avrebbe avuto un assaggio di lì a breve.

 
 

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Capitolo 7
*** Grand Guignol ***


Mentre la tenevo tra le mie braccia, mi domandavo quale avrebbe potuto essere il peso del mio cuore.
Avevo impiegato troppa veemenza nel chiederle cortesemente di riposare e costringerla a quella piega scomposta, mi fece sentire quasi in colpa: stringevo tra le braccia il più curato agnello sacrificale visto dai tempi di Isacco, avrei dovuto esserne un degno custode.
… perché questi miei pensieri, se non mi riesce di smettere di piangere…
Il calore ed il candore emessi dalla sua pelle di porcellana, il respiro flebile e la sua fragilità alla mia mercé però mi avevano svuotato rendendomi alieno a me stesso, e io non sapevo più dov’ero. Feci solo pochi passi prima di rimanere atterrito da ciò che io stesso desideravo e mentre le gambe iniziavano a tremare convulsamente, il pianto iniziò a scendere feroce, crudele, senza limiti.
Hannibal dopo aver provveduto a chiudere la porta dietro di sé e sistemato le tende del salotto, mi raggiunse alle spalle: poggiò la sua testa sulla mia schiena e mi strinse forte ma senza pretese, se non quella di porre fine al fiume che dalle mie lacrime stava nascendo, e un giorno sarebbe stato la causa della mia morte prematura. Ma come avrebbe potuto, amor mio, se quelle lacrime nascevano proprio dalla tomba che nella mia anima mi ha aiutato a scavare e sulla quale un monumento funebre senza precedenti, mi ha aiutato ad innalzare… Non avrebbe potuto far nulla, a conti fatti.
…sono fumo…
Il peso del suo orrore gravava sulla mia vertigine ed io perso vagavo, in quel vortice. Lo sentivo e non chiedevo altro che il suo respiro continuasse a render la mia mente terra fertile e il mio corpo una primavera di colori; ma il suo sguardo non faceva altro che aprire tra i prati e le foreste della mia immaginazione profonde spaccature, dalle quali non intravedevo altro che pareti formate da centinaia, anzi che dico migliaia di corpi smembrati, ammassati l’uno sull’altro, usati come calce per tenere insieme le alte mura del girone dell’inferno che con amore e costanza avevo costruito quegli ultimi anni, da quando lui aveva fatto capolino nella mia vita e gli avevo chiesto cortesemente di non psicoanalizzarmi, perché non gli sarebbe piaciuto affatto cosa avrebbe potuto trovare in me.
In fondo avevo sempre saputo che qualcosa di oscuro e violento si nascondeva sotto la mia pelle di cristallo, ma neppure tra mille vite, avrei pensato che cercare disperatamente di impedire che quella mia avversione per la vita altrui venisse a galla, avesse potuto rivelare effetti tanto devastanti.
Il peso di Hannibal su di me era il conforto di un dannato all’inferno prima che, ancora e ancora, la sua pelle venisse strappata da tenaglie e la sua carne condannata alle fiamme in eterno; perché sentivo che lui, su di me, rendeva il mondo un luogo ospitale dove avrei potuto sentirmi a casa e, finché le sue labbra avessero continuato a posarsi sulle mie, nulla potevo temere o rimpiangere. Ma finché guardavo quella pelle rosea e profumata affacciarsi dalla scollatura della camicetta del prossimo trofeo tra le mie vittorie, stupendo regalo che il destino aveva voluto porre sul mio cammino una volta ancora, mentre vedevo il volto di Hannibal riflettersi nello stagno profumato dei miei incubi, non desideravo altro che affondare il serramanico per vedere se il cuore del mio candido cerbiatto, fosse stato altrettanto curato e pregiato.
…Hannibal, Hannibal, Hannibal, non vedo, non sento, non respiro altro che te…
Chinai la testa, in segno di penitenza.
Provai a scrollare di dosso quella sensazione di fastidiosa impotenza, e voltandomi appena verso Hannibal poggiato su di me, sdrammatizzai dicendo: “Sarà di elevata fattura, ma non ho mai sopportato il suo profumo. Credo di esser addirittura allergico, guarda che lacrime...! Meglio dirigersi in cucina, non perdiamo altro tempo, i preparativi vanno realizzati a dovere”, conclusi, ammiccando.
Mentre lo sentii sollevarsi dalla mia schiena, prese un profondo respiro portandosi innanzi a me, e, prima di iniziare a farmi strada sino alla cucina, si voltò e disse: “Finalmente. Andiamo, ora.”.
Quel tavolo di marmo su cui l’avevo lasciata era così freddo rispetto alla carne palpitante che fino a qualche secondo prima avevo tenuto stretta tra le mia braccia; la lama nella mia tasca, in compenso, bruciava.
La povera Bedelia giaceva inerme dinanzi a me, e io non sapevo più se provare sconforto per la sorte che le stava per rovinare addosso o se iniziare a preoccuparmi del fatto che lo stato di semincoscienza in cui versava avrebbe trovato a breve termine, e io trovavo mortalmente fastidioso l’idea di sentire la sua voce passare il tempo ad implorare pietà mentre io ed Hannibal preparavamo la serata del nostro primo rendez-vouz ufficiale: io, lui, e tutta la carne che fossimo stati in grado di lavorare ad hoc fino a che l’ultimo soffio di vita, non l’avesse abbandonata.
…Tu non hai avuto pietà di coloro che Hannibal ha ucciso e fatto a pezzi con te nei paraggi, perché dovrei averne ora io, maledetta cagna…
Respirare lentamente mi avrebbe aiutato a non perdere il controllo, dovevo mantenere la concentrazione, mi stavo smarrendo di nuovo nell’incubo dell’orrore e del sangue, e non volevo; mai come in quel momento sentivo il bisogno di usare la lama nascosta tra i miei occhi per tagliare il velo che separava la realtà dalla mia verità.
Irruppe però Hannibal nella retorica in cui lasciavo sciogliere i miei stessi pensieri alle volte, e disse, sparando a bruciapelo sulla mia soglia di attenzione quei giorni decisamente suscettibile agli impatti:
“Per cortesia, Will, toglile la camicetta e voltala. Ho necessità che la sua schiena sia in bella vista, dovrò essere decisamente accurato, a breve.”
…Cosa? ...
“Hannibal, cosa…”
“Ti fidi di me?”
“Non mi sembra di fare altro da quando ti conosco. Volente o nolente, febbricitante o meno. E maledizione, d’accordo, la spoglio. Aiutami solo per voltarla delicatamente, non vorrei che la bassa temperatura della pietra a contatto col viso, possa aiutarla a risvegliarsi anzitempo…”
Iniziai a sentire il cuore salirmi sino in gola tanto l’idea di spogliarla suonava stonata tra le note del requiem che il giullare nella mia testa aveva iniziato a suonare, solitario, muto.
“Di cosa ti crucci, io sono qui. Non temere. Però appena avrai fatto ciò che ti ho chiesto, spostati qui innanzi alla sua testa, ho bisogno di un favore ancora, so che non me lo negherai. Appena te lo chiederò, mettile una mano sulla bocca e fai pressione quanto più ti è possibile, devi impedirle di urlare. Ma non staccare gli occhi dai miei neppure un momento. E no, perdonami, stavolta non ho intenzione di essere il bastone su cui fanno leva i tuoi capricci. Ma saprò farmi perdonare, in questo, hai sempre potuto confidare.”, concluse inclinando la testa verso sinistra, sorridendomi come solo il diavolo sa fare.
Ribollivo di rabbia ma dalle mie gambe uscivano radici che mi saldavano a terra, desideravo le mie mani intorno al suo collo stringere tanto da spezzarlo e vedere la sua testa rovinare all’indietro senza vita, ma smettere di guardarlo e desiderarlo, nonostante tutto, mi era impossibile.
“…Va bene.”
La presi tra le mie braccia una volta ancora per poterle togliere le maniche senza scuotere il suo sonno al di là del necessario, ma a quel punto Hannibal improvvisamente aveva smesso di proferire anche solo un suono, e preferiva guardarmi, sorridendo beato, mentre da bravo obbedivo alla sua ipnosi una volta ancora.
…. Ti sfido, Hannibal. Qui ed ora. Agisci, e che sia una mossa in grado di far suonare le trombe del giudizio e saltare i cancelli del paradiso, o sarà peggio per te…
Pensai, mentre lo guardavo dal di là della spalla della dottoressa. La creatura che si nascondeva sotto la pelle, iniziò a mordere.
Dopo aver preso dal porta utensili accanto al lavabo quello che sembrava un pestello anch’esso di marmo, Hannibal iniziò a scorrere le dita lungo la spina dorsale della nostra ospite, che iniziava ora ad emettere lievi mugolii, segno che il tempo della calma volgeva al termine. Ma fui subito incuriosito, non capivo e avrei voluto capirlo, lo vedevo scandire con le labbra dei numeri, calmo e molto attento, disegnando con le dita la forma di ciascuna vertebra sino a che, giunto al numero 9, si voltò serafico verso di me e sentenziò: ”Ora”.
Il volto di Hannibal rimase impassibile tutto il tempo, seppur non ne occorse molto per realizzare ciò che aveva in mente: nulla era trapelato dalla sua espressione che mi spogliava senza alzare neppure un dito, che mi prendeva a sé e mi conduceva in una danza in punta di piedi sul fiume di sangue che ci stavamo lasciando alle spalle, nulla, a partire dal momento in cui il braccio che impugnava il pestello si era sollevato fino a quando si era di nuovo abbassato rovinando in maniera così violenta e feroce sulle ossa della dottoressa, da lasciarmi quasi di sasso.
...E’…E’…Bellissimo.
Dritto alla t9 aveva emesso un tonfo sordo che a malapena aveva coperto il rumore della vertebra che si spezzava, mentre il volto della dottoressa implodeva per il dolore provocato dal trauma: la mia mano non riusciva a contenere tutta la saliva che la sua bocca, nell’urlo che le stavo ricacciando in gola, tentava di vomitare.
Il mio Sire mi chiedeva di danzare e cantare, come avevo potuto anche solo pensare di rifiutare un suo desiderio da realizzare.
Il mio Sire era apparso accanto al Giullare che si apprestava a suonare le ultime note del requiem che sullo spartito aveva scritto col sangue, non indossando null’altro se non la pelle dell’ultimo schiavo che era stato sacrificato, carne da macello che in nessun altro modo sarebbe stato possibile impiegare.
Il mio Sire aveva sollevato quella pelle e l’aveva poggiata sulla mia tenuta mentre la corte si era ritirata nelle proprie stanze, ed ora eravamo soli, persi l’uno nell’odore del sangue sull’altro, mentre la sua mano prendeva la mia, e la portava sul pugnale che aveva nascosto sotto il mantello.
Il mio Sire innalzava il manico d’avorio intarsiato tra i dannati dell’inferno che tra le mani stringevamo, lo avvicinava alle mie labbra, e mi chiedeva un bacio sulla lama.
“Per l’amore che questa lama prova per coloro ai quali concede il dono della morte, prestami qui il tuo voto, o muori su di essa, e non fare mai più ritorno”, le sue parole.
Il mio Sire era tutto ciò che per il resto della mia inutile vita avrei voluto servire e, dopo aver baciato la lama, la usai per aprire sul mio palmo un occhio sull’incubo; al che, inginocchiandomi alla sua grandezza e stringendo la mia mano sanguinante ai suoi piedi, chinai il capo tintinnante e proferii il mio giuramento:
“Non avrò mai altro incubo all’infuori di te, non servirò mai altro orrore che non sia il piacere che posso dare a te.
Nel dolore, nell’amore, nella truculenza di questo orrore, io getto il mio sangue ai tuoi piedi, perché nulla di me ha valore se non votata a te.”
…Hannibal, ti voglio…
Mi svegliai d’improvviso da quel sogno stringendo la testa di Hannibal a me, che lo baciavo intensamente.
Bedelia aveva perso nuovamente i sensi dopo che si era conclusa la scarica di adrenalina provocata dal trauma alla colonna vertebrale e, girati gli occhi indietro, si era lasciata andare ad una posa a dir poco volgare, completamente riversa nella pozza di saliva che lei stessa aveva lasciato. La mano destra penzolante nel vuoto aveva un tic all’estremità delle dita che si muovevano a scatti, pochi istanti, poi si fermavano, scuotendo quello che di lei a breve sarebbe rimasta unica parte del corpo dotata di recettori nervosi funzionanti. Con quella frattura Hannibal probabilmente aveva cercato di sopperire alla mancanza di anestetici in grado di consentirgli di lavorare quanto più possibile con ciò che la nostra amica aveva da offrire prima che il politrauma che la stava per investire, la portasse tanto vicina alla morte da toglierle ogni forza per interloquire con i suoi attenti e amorevoli ospiti: non penso di aver mai sentito tanto trasporto nei suoi confronti come quello che provavo in simili frangenti.
“So bene da quanto tempo le spedivi ricette corredate dai più sentiti auguri. Dunque, tralasciando inutili duelli verbali senza esclusione di colpi, da cosa vorresti cominciare? A mio modesto parere, data l’altezza della frattura, le gambe… Almeno per un po’, non avrà da ridire su ciò che sta accadendo.”, dissi, dopo aver salutato un ultimo momento le sue labbra e poggiato la mia fronte alla sua.
“Io ti ho promesso grandi cose stasera, tu mi hai promesso grandi cose in questa occasione, questo è ciò che abbiamo sempre meritato, e lo prenderemo, lo strapperemo dal calice della vita. E ne godremo ampiamente amore mio, gli antichi baccanali impallidiranno a confronto… e io sarò ancora tuo, e tu sarai mio. Come stasera, ora, e sempre. Ora, dimmi cosa posso fare. Vado a cercare non so, qualcosa per contenere le emorragie? Bisturi ne hai o sai dove lei potrebbe averne? Hai bisogno di strumenti di precisione, dovrà essere una festa, non una mattanza. Perlomeno, non è richiesto...subito.”
Sorrisi compiaciuto mentre la mano del Wendigo compariva sulla mia spalle, ed io divenivo d’improvviso infinitamente potente, seppur di riflesso a ciò che in Hannibal vedevo straripare su di me.
…Fammi godere Hannibal, che niente di lei e del mio amore per la vita, sopravvivano a questa lunga notte….
“Hai già compreso la natura del gusto che voglio mostrarti, piccolo passero. La fretta nella vita non è mai una consigliera avveduta: impara ora dunque che prendere il tempo necessario alla soddisfazione del piacere, e modularlo nel tempo, renderà la tua vita degna di esser vissuta e probabilmente, a molti darà finalmente un senso seppur in vista della fine. Nel tuo piacere loro potranno brillare dunque starà a te, per impedire che divenga un vuoto omicidio fine a se stesso, raggiunto l’apice saperlo carezzare, sfiorare, baciare, e leccare ancora e ancora finché non ne sarai sazio. Io non cercherò mai di strapparti al tuo divenire: sappi solo che arò sempre accanto a te, quindi non dovrai mai aver paura nelle tenebre, perché non saranno vuote. Ora, per cortesia, dirigiti nello studiolo, quello che hai visto passando prima dall’esterno. Nello scrittoio di mogano accanto la sua poltrona, la dott.ssa Du Maurier ha una fornitissima cassetta del pronto soccorso in cui ho provveduto ad inserire un interessante doppio fondo prima della nostra partenza per Firenze. Ti andrebbe di andare a prenderla?”
Mi ritrovai letteralmente a volare per la contentezza tra le camere e nel vedere la gamba sinistra della cara Bedelia abbondantemente stretta a metà coscia con dello spago, compresi quanto la festa avrebbe rivelato connotazioni a dir poco interessanti.
“Taglia Hannibal, taglia. E ti prego, non risparmiare dettagli su ciò che sto vedendo.  Ho appena messo piede nella tana del bianconiglio e, data l’esperienza, la caduta stavolta voglio godermela.”, dissi senza alcuna remora.
“Mi stai permettendo di fare la tua storia, quindi… Io… Io… allora sappi che devi perdonarmi. E’ capitato, ma non metterò mai più in dubbio la tua parola quando sentirò dirti che mi ami. Ti amo anche io Will, e questo è sempre stato il mio dono per te. Non avrei mai potuto pensare a qualcosa di più grande dello splendore dal quale ti vedo tendermi la mano… La tua purezza devasta le mie certezze sin dalla prima volta in cui ho posato i miei occhi su di te, e ho sempre saputo che avrei potuto vederti fiorire solo raggiungendo la primavera delle tue percezioni. Bene, se ciò che cerchi è soddisfazione alla tua sete di conoscenza, vieni. La gamba della nostra amica non ha più sensibilità, vedi?”, e prese a puntarle sulla pelle l’ago di una siringa che aveva estratto dalla cassetta che gli avevo appena porto.  
“Possiamo iniziare, ho già controllato, e gli ingredienti di cui abbisogno per deliziare il tuo palato sono a mia disposizione. Stasera niente carpaccio, sono sicuro che nonostante non sia prosciutto, apprezzerai lo stesso come ho intenzione di cucinare questo tenera maialina.”
In quella Primavera di Vivaldi che iniziò a riecheggiare nell’aria, bramavo l’infinito.
Pelle, carne, vene, tendini si dissipavano tra le mani di Hannibal come la tela di Penelope perdeva la sua forma ad ogni imbrunire; e in quel sangue che a mano a mano iniziava lento a gocciolare a terra, ritrovavo me stesso. Le sorde lamentele e le inutili preghiere di Bedelia, oramai sveglia e conscia del fatto che non potendo più muovere le gambe qualcosa di più grande della sua volontà era già in moto, non sortirono alcun effetto sulla mano sapiente e amorevole che non lasciando nulla al caso, si muoveva abile clampando ove necessario e scansando, più che fosse stato possibile.
…Quelle mani saranno la mia rovina…
E un vivido rossore mi divampò in volto.
Ben presto un tovagliolo della cucina divenne un bavaglio improvvisato tanto eravamo stufi di quel chiacchiericcio e pianto isterico senza futuro cosicché la nostra amica si ritrovò ad inondare di lacrime il suo silenzio, assieme alla possibilità di avere ancora quell’arto integro di lì alle successive due ore.
Poggiandole la mano sul capo e carezzandola placidamente mi ritrovai a sussurrarle:
“Ssshhh Bedelia, ssshhh…. Non temere. Bellissima lo sei sempre stata, ma ora ancor di più. Hai ragione comunque, sarebbe davvero stato meglio tu fossi stata l’ultima delle mogli di Barba blu, una possibilità di uscire viva dalle stanze del palazzo l’avresti avuta ma sarà per la prossima vita, non temere. Perlomeno pensa che non sentirai nulla di ciò che accadrà… Beh, almeno non finché sarai sotto le cure di Hannibal. Mi preoccuperei appena lo vedrai sazio che riposa, perché là, sarà il mio turno.”
Sorrisi come solo una maledetta bambola di porcellana senza vita, sa fare.
Appena furono due e non più una, chiesi ad Hannibal cosa avessi potuto fare per rendermi utile, la pozza di sangue ora ricopriva una porzione abbondante del tavolo su cui era poggiata, e non era possibile adoperare la cucina in quelle condizioni.
“Ascolta, ora cauterizzerò la ferita quanto mi sarà possibile, poi appena sarà bendata a dovere, portala nel bagno padronale. Qui non è il maggiore dei problemi, ho prodotti a non finire per rendere di nuovo la zona immacolata: ma lei in queste condizioni a cena non la voglio, dobbiamo aiutarla a darsi un contegno. Ebbene sì Will, lei sarà una degna ospite dall’inizio della fine… E noi faremo in modo tale che nulla le venga a mancare, perlomeno non di vitale, o non ancora. Apriamo le danze mio piccolo enfant prodige, stasera voglio vederti volare.”
“Ed io, stasera, non vedo l’ora di poterti gustare.”
Mentre sollevavo quel macigno fatto di disperazione, vidi la mia strada accendersi nelle fiamme.
E ne fui compiaciuto.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Ti stringo il cuore ***


Mentre io prestavo attenzione alla cura della persona per la nostra Bedelia che non smetteva un momento di piangere, Hannibal si era recato nella camera da letto per dare un’occhiata all’armadio e sceglierle qualcosa di più appropriato da indossare per la serata, piuttosto che abiti insozzati dal suo stesso materiale organico.

Le pulivo il viso delicatamente, con il latte detergente trovato nel mobile accanto la vasca da bagno. Volevo vederla recuperare in qualche modo la lucentezza che il baratro sul quale stava cadendo, le aveva spento in viso, ma la cosa non sembrava sortire alcun effetto; al che, sperando almeno di non doverla più vedersi tanto lagnare dato che continuava a rovinare il mio daffare, tentai un’ultima risorsa e guardandola dritto in viso, dissi:
“Ascolta, questa sera sarà speciale, davvero, non parlo con l’inganno. La situazione dal tuo canto pare a dir poco disastrosa, non lo posso negare, ma a questo punto mi domando perché abbandonarsi al dolore e alla disperazione. Purtroppo nulla potrà cambiare il tuo destino se non il modo in cui tu stessa deciderai di affrontarlo, quindi ascolta bene la promessa che sto per farti: se vorrai farmi il dono della parola, e bada bene, parola, non urla di richiesta di aiuto, ti prometto che almeno ti sarà tolto il bavaglio e il rispetto che guadagnerai alla mia attenzione, ti consentirà un trattamento di riguardo fintanto che mi sarà possibile. Altrimenti, resta pure nella pozza di lacrime in cui ti stai abbandonando e lì marcisci. Ma ricorda che così stai gettando alle ortiche la tua ultima possibilità di rivolgere la parola ad un essere umano…”.

Lei ben aveva compreso la piega che gli eventi stavano prendendo e forse, parzialmente toccata almeno nell’orgoglio dalla mia proposta, dopo aver chiuso un momento gli occhi e abbassato il capo, sollevò di nuovo lo sguardo dritta verso di me, stavolta molto più dura e senza più alcun velo a celarne il carattere freddo e calcolatore con cui l’avevo conosciuta.

“Batti le palpebre due volte se sei d’accordo, allora.”

Non si fece desiderare molto la sua reazione, e io fui ben lieto di sciogliere quel bavaglio ormai lercio e poterle finalmente parlare heart to heart.

“Aaahhhh…. Ti sei deciso, finalmente. Sei passato sulla pelle di parecchi, ma vedo che alla fine ti sei deciso e hai smesso di ammorbare l’altrui esistenza fingendo una morale che non ti apparteneva. Ti sei concesso anima e corpo all’amore che provi per lui, bravo, fa piacere vedere una relazione che sboccia. Solo di un particolare sono curiosa, a questo punto: quando si farà vedere l’essere umano che mi rivolgerà la parola… Perché io qui, di essere umani, non ne vedo. Vedo solo zanne, artigli, unghie, e dio mio, il mio sangue… Tutto quel sangue. Scommetto che ti ha eccitato e non poco vederlo tagliare, piccolo verme: ma non esser troppo certo del fatto che un giorno questa stessa sorte non possa toccare a te.”, sputò, con l’odio negli occhi.

Sentii il bisogno di posarle una mano sulla guancia sinistra e, con tutto l’affetto di cui ero capace, le risposi:

“Non vedo l’ora di avere un filet au mignon della tua lingua servito con dei tartufi bianchi.”

Digrignò di tutta risposta:

“…Spero ti vada di traverso.”

Hannibal fece capolino a dirimere quel simpatico alterco:

“Mi auguro di non aver rovinato nulla e se sì, vi prego, continuate pure: un intermezzo come aperitivo prima che io mi rechi in cucina, potrebbe solleticarmi l’estro creativo… Dott.ssa Du Maurier, a quanto pare Will ha trovato piacevole la tua conversazione alla fin fine, dato che non scorgo più il bavaglio sul tuo viso; ne sono davvero lieto. Ho sempre trovato sconveniente il fatto di non avervi mai visto andare troppo d’accordo, in fondo entrambi usate la mente per sezionare la realtà circostante e renderla vostra, ed è bene che menti affini si uniscano per trarre l’uno forza dall’altra anziché contrastarsi.
Beh, almeno finché le funzioni vitali lo rendano possibile.
Comunque, se non doveste avere altro di cui discutere, Will – ed ora mi rivolgo a te – ho bisogno che conduci la nostra ospite in camera, ho trovato l’abito che indosserà per la serata. ”

Sorrisi mostrando una dentatura da squalo e prendendo tra le mie braccia la caustica prigioniera, sentii di non esser più solo. Il Wendigo stava sollevandosi dall’ombra che le luci del bagno avevano acceso ai piedi di Hannibal e melma oscura, un dio aveva preso forma accanto a me. A mano a mano che quella marea nera aveva preso a ribollirmi vicino, culla di vita e di morte, nuova essenza fluiva nelle vene, pompava ad ampi getti nelle arterie, ed io respiravo a fondo come non mai, ed io sentivo la dimensione dei miei istinti, dei miei pensieri, dei miei desideri come avrei sempre voluto: forti e vividi come solo una falena che brucia sulla fiamma sa essere.

“Hannibal!”.

“Mmm?”.

“Io ti ho visto, tanto tempo fa. E ho accettato di ignorare la parte peggiore di te senza che nemmeno avessi bisogno di sentirtelo chiedere. Però ora, tu, puoi vedere me…?”.

“Io ti vedo Will. Ti vedo e ti sento, ogni tuo pensiero è già scritto nella mia mente ancora prima che io possa udirlo con le mie orecchie, e le tue movenze sono una bibbia di cui conosco ogni passo. Ti vedo, e sono perso nel miracolo che sei: in te io vedo la Morte, di cui porti la corona. Tu ne hai fatto, tua signora e padrona, stupenda creatura che altro non sei. Io ti vedo, e ti amo come non pensavo avrei mai più potuto in vita mia quando, per giustiziare l’ultimo mostro che mi aveva portato via la mia piccola Mischa, avevo deciso di rinunciare all’amore dell’unica persona che aveva sperato di poter vedere ancora qualcosa di buono in me.”

“… Mostrami cos’hai trovato da farle indossare. Sono curioso.”, dissi, sorridendogli leggero, scrivendomi sull’espressione del volto tutto l’amore che avevo per lui.
Intermezzo non richiesto, rapido giunse l’intervento di Bedelia:

“Sia maledetto il giorno in cui ho deciso di accettare il tuo paziente, Hannibal. Sia maledetto il giorno in cui ho deciso di accettarti come paziente, Hannibal. E sia maledetto il giorno il giorno in cui hai deciso che lui non sarebbe stato più solo un paziente, Hannibal. Ci avete condannato a morte senza neppure avere possibilità di obiettare davanti un giudice imparziale. Siate maledetti entrambi.”.

Sgarbatamente ed a dir poco indelicata nei modi, la dottoressa aveva appena segnato una tacca sul mio barometro della sopportazione. Ma la risposta giunse tempestiva dalla bocca di Hannibal in uno dei rari momenti in cui credo di aver notato cenni di impeto nel suo comportamento.

“Dott.ssa Du Maurier, ti chiedo solo un’accortezza, se puoi: ricorda quanto poco apprezzo la mancanza di tatto nei miei commensali. Il trattamento di riguardo di cui godi potrebbe esser revocato prima di quanto immagini. Non sfidarmi. Ed ora, andiamo.”.

…Ti vedo danzare…

E finalmente la serata iniziò a assumere quelle tonalità cangianti che tanto avevo agognato, seppur non troppo discostanti dal fulgore del rosso che avevo visto sgorgare dalla vita di Bedelia quando aveva iniziato ad abbandonarla.

E quando un odore a dir poco invitante iniziò a spargersi dalla cucina, compresi che la strada intrapresa per me era senza alcun ritorno. Mentre cercavo di intrattenere la nostra indelicata ospite sperando che l’imminente morte ne rendesse gli spigoli ancora più appuntiti e pronti a dar battaglia –ammetto che non desideravo altro che una scusa per saltarle alla gola-, in realtà dopo il rimbrotto rivoltole da Hannibal, l’amazzone aveva rinfoderato le armi e seduta al suo posto, preferiva accennare più che altro profondi respiri accompagnati da una lacrima di rassegnazione: raramente lasciava accendere il blu di quegli occhi profondi, in segno di raccolta del mio guanto di sfida. Probabilmente la perdita copiosa di sangue iniziava anche ad incidere sulle sue capacità cognitive, non posso negarlo, e deciso sembrava il suo tentativo di raccogliere le energie piuttosto che sprecarle in vane stilettate nei confronti miei o di Hannibal, ma devo ammettere che trovavo il tutto piuttosto esilarante.

...Voglio vedere cosa pensi di riuscire a fare con una gamba sola…

Mi ritrovavo spesso a pensare mentre la guardavo.

Non nego che, ripensando al periodo che aveva trascorso con Hannibal a Firenze, sentivo una punta di fastidio solleticarmi dietro l’orecchio, una sorta di personificazione del mio demone personale che si divertiva ad incidermi sulla pelle decine e decine di modi sul come avrei potuto farle pagare tanta presupponenza e boria. Davvero, cosa le fosse passato per la mente tanto da convincerla di poter imbrigliare il mistero del mostro e farlo suo, non mi sovviene neppure nella più astrusa della fantasie: stupido limitato sacco di carne, avrebbe pagato tutto.

…Non posso crederci, sono geloso…

Bella in fondo lo era, e molto, pensai. Durissimo si rivelò però riconoscere io stesso che il motivo principale che rendeva ai miei occhi l’idea di sventrarla come un animale dolce come il miele, fosse l’idea che le sue mani su Hannibal non avrebbero dovuto mai più posarsi neppure per scherzo.

…Sono un ragazzo crudele e capriccioso, i miei giocattoli non devono essere toccati da nessuno…

Pensai, prima di ridacchiare in maniera quasi isterica nei suoi confronti.

“La materia che si disgrega propende alla soddisfazione delle sue inclinazioni più primitive, la morale può essere una crudele illusione alle volte. Sai? E’ stato quasi divertente vederti abnegato nei confronti degli ideali di giustizia e amor proprio che usavi per fingere di non essere perennemente alla ricerca di distruzione sia fisica e morale, Mr. Graham. Ti vedevo mordere e graffiare la tua immagine allo specchio esclusivamente solo perché eri convinto che non avresti potuto mai abbracciarla… E invece ora eccoti qua. Dimmi, cosa trovi più esilarante, vedermi ridotta ad un animale da macello utile solo a soddisfare un appetito che non potrà mai essere saziato, o il fatto che con la mia morte, non dovrai mai ammettere che su di te avevo sempre avuto ragione…?”, disse la mansueta Bedelia, sempre più sofferente ed affaticata.

Le bende sulla sua gamba iniziavano a dipingere una rosa scarlatta. Il tentativo di cauterizzare la ferita iniziava a cedere negli argini e la vita, goccia a goccia, a breve l’avrebbe abbandonata.

“Entrambe le soluzioni che propugni devo dire mi rendono piuttosto allegro, ma credo che ciò che darà davvero giustizia alla mia neonata voglia di stupire e lasciarmi stupire, sia più che altro il fatto che adesso è la mia curiosità a dare un senso alle mie azioni, senza che moralismi di sorta la costringano in cantucci che non le appartengono. Ho trascorso tutta la vita lasciando agli altri la facoltà di dirigere la mia bussola nel nord adatto alle circostanze: ora basta. Vita e morte come pure l’odio e l’amore non sono altro che amanti inseparabili nello stesso letto, unite in un abbraccio infinito in cui l’una senza l’altra, smettono di aver senso se tentano di allontanarsi dall’amplesso che le unisce. Io ora mi limito semplicemente ad accogliere ciò che riesco a dipingere come mio sentiero, dunque della tua ragione o del suo appetito, se proprio vuoi saperlo, non me ne faccio assolutamente nulla.”

L’odore invitante nella stanza iniziava a diffondersi e come una droga dritta alle mie sinapsi, ne respiravo a fondo il senso in attesa che le vene del mie collo iniziassero a pulsare in maniera più regolare anziché frenetiche come un il ballo convulso di streghe in estasi ad un sabba.

…Respira Will, respira…

“Devo riconoscere una cosa Bedelia: hai un profumo davvero unico. Non vedo l’ora di darti un morso.”, dissi, mentre i suoi occhi divenivano vitrei di consapevolezza ed Hannibal finalmente faceva capolino nella sala con un vassoio tra le mani che aveva nella poesia della composizione, un che di divino.

“Signori, è pronto. Forza, a tavola. Will, aiuta la nostra ospite per cortesia, favorirà anche lei ovviamente. Stasera non ho né tartufi bianchi né escargot, quindi purtroppo dovrà partecipare alla portata principale.
E ripeto, dovrà, non sarebbe educato da parte sua offendere il cuoco con un digiuno. Non credi, dott.ssa Du Maurier?”, disse, accennando il solito sorriso con il capo inclinato da un lato che tanto amavo.

“…voi siate maledetti, maledetti, nulla deve restare di voi, maledetti, maledetti...”, la sentii bisbigliare mentre la poggiavo al suo posto a capotavola, regina incontrastata dell’ultima cena più .

“Will, devo prendere i piatti di contorno ed il vino che ho lasciato a decantare, vuoi accompagnarmi? Tanto lei non andrà da nessuna parte, non temere, e a me una mano in più si rende assai apprezzata. Sono ancora privo delle forze necessarie, e cucinare mi ha stancato più del dovuto: per qualche tempo ancora dovrai essere il bastone su cui reggerò i miei attimi di debolezza.”

“Non dovresti neppure chiederlo...”

Al nostro ritorno in sala da pranzo notai qualcosa però che mi disturbava, e non poco: dal punto del desco apparecchiato per la nostra Bedelia, era scomparsa la forchetta da insalata.

…Solo, il povero negretto
in un bosco se ne andò:

ad un pino si impiccò,
e nessuno ne restò…


Stavi andando così bene, così bene, mia vecchia amica… Che spreco.

Le giunsi accanto, dove era evidente la sistemazione della posata mancante, e rimasi immobile per quasi un minuto; poi presi a carezzare il punto vuoto, mimando con le dita la forma di ciò che sapevo doveva essere ma ora mancava, similarmente alla forma nascosta dietro le palpebre che stavo disegnando per la tomba della mia pazienza, gradualmente soppiantata dal profumo acre di una montante, furiosa cieca rabbia.

“Hannibal, perdonami, ma ora ho davvero bisogno che mi lasci fare. Non so quanto ancora riuscirò a far finta di nulla… E credo che avrai notato anche tu come la dott.ssa Du Maurier non stia facendo nulla per facilitarmi il compito. Lo sento, i miei nervi stridono, i miei tendini sono corde di un violino che mi sta urlando contro, e il mio cuore… dio mio, è un fiume in piena pronto a travolgermi: il tributo di sangue non può più attendere, va versato. Fidati di me, come io mi sono sempre fidato del tuo giudizio.
Non ti deluderò.”

“…. Spero mi perdonerai allora se nel frattempo io inizio a cenare, non vorrei la mia portata si freddasse.”, rispose Hannibal all’accorato appello mentre aveva già iniziato ad affilare i coltelli con cui avrebbe preparato il filetto preso da una delle portate potrei quasi dire più “pianificate” di sempre; il tutto ovviamente accompagnato da salsa al vino.

“Sta bene, tanto la vista del sangue non è mai stato un deterrente per il tuo appetito.” soggiunsi, mentre come un lampo mi ritrovai a fare i passi necessari per giungere dietro il mio agnello.

Le strinsi il collo nell’incavo del gomito e iniziai a far forza tanto bastava per lasciarla in grado appena di proferire parola e respirare mentre, dopo averla sollevata dal suo sedile, le spezzai indice e medio della mano sinistra, quella accanto le forchette.

Sentii delle lacrime bagnarmi la camicia, mentre dalla bocca spalancata usciva sì e no un sibilo.

“Il trattamento di favore è finito, Bedelia. Spero che ne sarà valsa la pena per te far sparire quella forchetta quanto lo sarà per me. Ci divertiremo tantissimo i prossimi minuti, puoi starne certa.”, dissi, prima di frantumarle il suo bel nasino alla francese sullo spigolo esterno del tavolo.

“Dio, sei un mostro… sei un mostro…mostro…”, continuava a ripetere mentre i suoi bei lineamenti diventavano una maschera rossa di un carnevale dei bei tempi andati, poco prima che la sollevassi di nuovo per la nuca prima di scaraventarla a terra.

Hannibal intanto intingeva il suo filetto nella salsa.

Vederla strisciare sui gomiti mentre voleva volare con una speranza che di sicuro non l’avrebbe potuta portare, aveva un non so che di romantico; sentire il rumore della sua carne che scivolava sul sangue a terra che mano a mano si andava rapprendendo, stava quasi iniziando ad eccitarmi.

…Guardami Hannibal, non smettere un momento. Perché poi sarò io la tua prossima portata…

Pensai, guardandola un ultimo istante prima di afferrare il coltello per la carne al volo, voltare la sua carcassa alle mie attenzioni ed aprire il suo bel torace come fosse stata un’adorabile maialina a Natale pronta per esser lavorata sul tavolo del contadino.
Mentre la sua bocca restava paralizzata in un urlo che nell’altrove sarebbe risultato agghiacciante, mi ritrovai a tenere stretto il suo cuore nella mano destra, mentre canini ed incisivi affondavano e strappavano per sentire che sapore avesse la disperazione.

“Hannibal?”, dissi, con la bocca ancora grondante sangue.

“Sì, Will?”, rispose impassibile.

“Voglio fare l’amore con te come la prima volta, come se fosse l’ultima. Vieni da me.”

Sono un mostro. Amo un mostro. Stringo il senso della vita, e quando voglio, lo divoro.

Imploratemi.

Odiatemi.

Invidiatemi.

Ma vi do un consiglio: non compatitemi.

Io non lo farò se il vostro petto da squarciare sarà il prossimo. 

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