White Day

di lenina blu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettera ***
Capitolo 2: *** Addio ***
Capitolo 3: *** Vicini di casa ***
Capitolo 4: *** Chiacchiere notturne ***
Capitolo 5: *** Coincidenze ***
Capitolo 6: *** Vento ***
Capitolo 7: *** Speranza ***
Capitolo 8: *** Sfida accettata ***
Capitolo 9: *** Promessa ***
Capitolo 10: *** Obiettivi ***
Capitolo 11: *** Sfogati ***
Capitolo 12: *** Incontro ***
Capitolo 13: *** Come falene ***
Capitolo 14: *** Mitologia ***
Capitolo 15: *** Pianificazione ***
Capitolo 16: *** La velocità dei sentimenti ***
Capitolo 17: *** Attaccare è difendersi ***
Capitolo 18: *** il primo amore ***
Capitolo 19: *** Fame ***
Capitolo 20: *** Pensieri in movimento ***
Capitolo 21: *** Impressione ***



Capitolo 1
*** Lettera ***


13 Marzo, Tokyo, quartiere di Ikebukuro.
I petali dei ciliegi avevano trasformato il viale del collegio femminile Furinkan in qualcosa di simile all'ingresso del paradiso. Nuvole di petali rosa e bianchi vibravano nell'aria trasportate dalla delicata brezza primaverile. La tranquillità della natura si confondeva con le voci femminili delle giovani che finalmente tornavano a casa. Da qualche parte si poteva persino udire il suono del prestigioso coro femminile che faceva le prove. Il sole pian piano calava e accompagnava le ragazze al termine della giornata. Minuto dopo minuto, le aule si svuotavano, i corridoi divenivano deserti e il silenzio prendeva spazio. Solo nella seconda aula dell'ultimo piano, c'era ancora una ragazza.

Hikari era incantata a guardare il tramonto fuori dalla finestra, lasciata aperta, il vento si scontrava con i suoi capelli nerissimi, scompigliandoli lievemente. Indossava ancora l'uniforme invernale, ma aveva sostituito i collant con le parigine. Aveva dei fogli stropicciati sul banco e batteva nervosamente il tempo con il piede destro. Le mani le tenevano il viso e lo sguardo nero guardava lontano, oltre i petali, oltre i cancelli, oltre i grattacieli che ostacolavano l'orizzonte.

Hikari era elettrizzata. Le cuffiette alle orecchie vibravano al ritmo dell'ultimo singolo degli Shinee. Il basso che iniziava, accompagnato dalla batteria, scandivano insieme il tempo. La voce sensuale di XXX la caricava. “Trust, my love” . E Hikari ci credeva. Si sarebbe presa dalla vita quello che voleva, ci credeva. Sarebbe un giorno arrivata anche lei là, su quel palco, con la chitarra in mano, un microfono e una platea adorante.

Ruppe il silenzio l'aprirsi della porta. Hikari subito nemmeno la notò. Minami Aiko se ne stava arrabbiata sulla soglia. I capelli scoloriti color biondo incorniciavano un viso che non era chiaramente giapponese. Non al 100% almeno. La figlia del preside aveva chiare origini russe, come gli occhi e la pelle chiara dimostravano. Era famosa nel collegio, ma non per via del padre. Era famosa per aver avuto una relazione con il professore di pianoforte. Relazione che era appena stata scoperta e aveva comportato ovviamente il licenziamento del docente. Era arrabbiata e delusa. Entrambe non notarono subito la presenza l'una dell'altra. Dopo qualche secondo, casualmente i loro occhi si incrociarono. Indifferenza da una parte, rabbia dall'altra.

-Tanaka-san non sei ancora andata a casa?- disse Minami dirigendosi verso il suo banco. La sua provenienza sociale le impediva di esternare troppo le sue emozioni, che però trasparivano involontariamente dai suoi gesti.

-Se sono qui, evidentemente no- disse Hikari stiracchiandosi. Il suo momento di pace era finito per quel giorno. Se ne sarebbe tornata nel suo minuscolo appartamento che la nonna le aveva lasciato prima di andarsene per sempre. Viveva da sola, nell'appartamento a fianco sua zia e i suoi tre figli.

-Beh ricevuto della cioccolata?- disse con noia Minami, prendendo i libri e riempiendo la borsa.

Non si erano mai parlate molto. Anzi, considerando che in classe erano circa in 50 e Hikari conosceva a mala pena i suoi vicini di banco, era sorpresa che la figlia del preside si ricordasse il suo cognome.

-Ovviamente no- disse Hikari alzandosi e cominciando a sistemare le sue cose. Minami faceva riferimento al White day. Il 13 Marzo i ragazzi regalavano la cioccolata alle ragazze di cui erano innamorati. Era il momento di risposta a San Valentino. L'importante era che il regalo, cioccolata, gioielli o biscotti, fossero rigorosamente bianchi.

Hikari non aveva granchè voglia di conversare. Voleva andarsene a casa e esercitarsi con la chitarra elettrica. Aveva lavorato tutta la scorsa estate nell'hotel di suo zio a Kyoto. Si era messa da parte un bel gruzzoletto e aveva iniziato a lavorare per il suo sogno. Peccato che in collegio non ci fosse un club di musica leggera.

Uscì dall'aula senza aspettare la sua compagna di classe, percorse il corridoio sbadigliando. Si stupì ancora una volta di quanto potesse essere silenziosa e inquietante la scuola. Quella che di giorno era uno dei bellissimi edifici che rendevano il paesaggio di Ikebukuro meno grigio e noioso, alla sera si trasformava in qualcosa di sinistro. Arrivò fino all'ingresso, fece per aprire l'armadietto da cui prendere le scarpe, quando trovò qualcosa di inaspettato. C'era una lettera. La prese corrugando la fronte. Era sicuramente uno scherzo. Estrasse il biglietto dalla busta. Ma invece di mettersi a ridere o di capire meglio, rimase sorpresa. Era un biglietto, completamente bianco.

 

 

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Capitolo 2
*** Addio ***


14 Marzo, Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

Il sole aveva colorato ogni cosa d'arancione. Era una delle prime giornate in cui le nuvole non avevano intralciato la luce e ora che scendeva la notte, ogni cosa, le macchine, le persone, avevano fretta di tornarsene a casa. Il rumore dei motorini, dei clacson e l'odore penetrante del gas di scarico, rendeva il primo impatto, all'uscita della metro, frastornante.

In mezzo al caos e alle vite di persone che scorrevano nel traffico, c'erano due ragazzi, vicino alle scale d'ingresso della metro. Shou non credeva a quello che la sua ragazza le stava dicendo. Misaki si sentiva in colpa per averlo nascosto fino a quel momento. Se ne sarebbe andata per sempre. Suo padre la aspettava in Cina e là avrebbe frequentato l'università. L'anno scolastico in Giappone terminava a marzo, e ora che anche gli ultimi esami erano stati fatti, Misaki doveva partire.

Shou le stringeva le braccia, la guardava negli occhi e Misaki piangeva. Le cadde dalle mani il telefono. Non lo raccolse. Alzò invece la mano lasciata ormai vuota, voleva accarezzare il viso di Shou un'ultima volta.

-Perchè Misaki? Lo sapevi ormai da mesi...- disse Shou. Aveva gli occhi lucidi e faticava anche lui a trattenere le lacrime. Da domani non l'avrebbe più vista.

-Se te lo avessi detto... avremmo rovinato quel poco che ci rimaneva...io, non volevo perdere nemmeno un minuto con te- disse lei provando a sfiorare il volto di Shou. Si erano conosciuti un anno prima per caso e si erano piaciuti subito. Shou mollò la presa e annullò il contatto tirandosi indietro. Si sentiva perso. Misaki era stata una delle persone più importanti della sua vita. Si sentiva preso in giro.

Misaki aveva il volto rigato dalle lacrime, gli occhi scuri spenti e lo guardava inerte. Sembrava svuotata. Abbassò la mano rimasta a mezz'aria. Shou manteneva il volto abbassato, i ciuffi neri che gli coprivano gli occhi. Misaki si abbassò a raccogliere il cellulare e nel farlo, notò i pugni contratti di Shou, tremavano. Avrebbe fatto meglio a sparire ora. Avrebbe dovuto semplicemente mandargli un messaggio il giorno dopo, dileguandosi dalla sua vita. Misaki ora guardava per terra, incapace di fare qualsiasi cosa.

Consapevole che quelle sarebbero state le loro ultime parole, che le loro vie per poco tempo si erano incrociate e che entrambi ora salivano su treni diversi, Shou pronunciò le ultime parole di saluto.

-Quest'anno trascorso con te è stato il più bello della mia vita. Non ti dimenticherò-

Shou si avvicinò e Misaki, sorpresa da quelle parole, si lasciò baciare per l'ultima volta. La mano di Shou le stringeva il polso, ma le labbra erano delicate, leggere come se Misaki fosse qualcosa di fragile, ormai rotta e persa per sempre.

Quando il contatto terminò, Shou la guardò per qualche secondo, cercando di ricordare ogni cosa di quel momento. Misaki deglutì, abbassò gli occhi, si staccò e prima che un'ondata di lacrime la travolgesse di fronte a lui, gli diede le spalle e corse via.

Shou rimase a guardare la figura di Misaki scomparire nell'oscurità della metro. Si promise di ricordarsi ogni cosa di lei: il profumo, la voce, il sorriso. Una parte della sua vita se ne stava andando sotto i suoi occhi. L'unica piccola e magra consolazione era quella busta bianca, che ora stringeva nella tasca destra. Conteneva un biglietto bianco, molto molto speciale.


                                     (foto non mia e liberamente interpretata - l'addio di Misaki e Shou)

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Capitolo 3
*** Vicini di casa ***


14 Marzo, Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

Il sole era sceso ormai. Le luci delle stelle non raggiungevano più Tokyo da tempo, ma nessuno se ne preoccupava: erano state efficientemente sostituite da tanti lampioni, da tanti schermi colorati, da tante insegne luminose, che ormai non c'era più differenza tra giorno e notte.

Hikari non capiva. Forse qualcuno si era sbagliato e aveva messo quella lettera nel suo armadietto per errore. Ci aveva pensato per tutto il tragitto di ritorno a casa e persino ora che era uscita per fare la spesa, continuava a pensarci. Le sue giornate erano state tanto monotone quanto focalizzate a quell'unico obiettivo che era suonare, che quel semplice biglietto l'aveva turbata. Soprattutto in un giorno come quello.

Aveva camminato per le vie più affollate di Ikebukuro, dopo essersi tolta la divisa e aver indossato una semplice t-shirt bianca e dei jeans a vita alta. Era rimasta a guardare la gente, fantasticando che ognuno di loro potesse essere stato il mittente di quel biglietto. I suoi occhi scuri avevano scrutato i visi delle persone, ma nessuno di loro poteva essere.

Poi era arrivata al termine della sua passeggiata serale, aveva preso la metro ed ora se ne tornava tranquilla a casa, con un sacchetto ricolmo di schifezze. Tanto per le cose buone ci pensava la zia. Lei aveva ancora 17 anni, poteva permettersi di preoccuparsi di essere felice e non di sopravvivere. Soprattutto da quando la sua famiglia era morta in un incidente, Hikari aveva vissuto con gli zii e ora le avevano dato il permesso di vivere da sola nel piccolo appartamento che aveva a fianco a loro. Era stato comprato con quello che le avevano lasciato i suoi. Le era sembrato incredibile acquistare tutta quella libertà, semplicemente mettendo una porta tra lei e il mondo.

Ma non importava. Così come non importava nemmeno di quella lettera. Salì le scale e per la seconda volta in quel giorno rimase stupita.

Sul lungo pianerottolo su cui si affacciava la porta del suo appartamento e l'appartamento di sua zia, da cui proveniva un buonissimo profumo, c'era un ragazzo seduto per terra. Era il suo misterioso vicino di casa, la terza porta del secondo piano che era perennemente chiusa, da cui non proveniva mai un suono o un profumo, di cui non si sapeva nemmeno a chi appartenesse.

Se ne stava seduto per terra, la schiena appoggiata alla porta, le gambe rannicchiate che nascondevano la testa. Hikari subito si domandò se non fosse qualcuno di sgradito al proprietario. Poi ricordandosi di aver letto moltissime volte il suo nome sul campanello, fece una prova:

-Sasaki Shou...-kun?- chiese incuriosita. Da un primo sguardo era un giovane universitario. Indossava una camicia sbottonata, un paio di jeans e la tracolla con il computer era a terra. Ma la cosa che maggiormente attirò l'attenzione di Hikari, fu il ciondolo a forma di pletro metallico. Era un chitarrista?

Il ragazzo però non aveva alzato lo sguardo. Era rimasto immobile come scollegato dalla realtà. Hikari però ormai era curiosa. Si avvicinò con cautela e si rannicchiò di fronte a lui.

-Tutto bene?- chiese ancora una volta cercando un segnale. Il suo vicino di casa, come scottato, improvvisamente si rese conto che una persona era entrata nel suo campo visivo.

-si? Scusa... io...- farfugliò qualche parola e cercò di tirarsi su in piedi.

-Sei rimasto chiuso fuori casa?- continuò Hikari. Lui spostò i suoi occhi su di lei e la vide per la prima volta.

Shou non era mai a casa. Non aveva idea di chi fossero i suoi vicini, ne di che razza di gente abitasse in quel quartiere. Da quando si era trasferito a Tokyo per frequentare la miglior università asiatica, la Todai, aveva trascorso la sua vita a lezione e in biblioteca durante il giorno, la sera in giro a suonare. In tutto questo quasi sempre accompagnato da Miyuki. Miyuki però adesso se ne era andata per sempre.

-Eh si purtroppo... ho lasciato le chiavi da un amico...sarà qui tra qualche ora però- disse Shou ritornando nel mondo reale. Si era passato la mano tra i capelli scuri, leggermente imbarazzato. Prima che Hikari potesse dire qualcosa, la porta alle sue spalle si aprì. Una signora bassa e in carne, con due grandi occhiali e con un grembiule rosa shoking apparve alla porta.

-Hikari stavo per venirti a chiamare- disse la zia guardandola per un attimo sorpresa. Aveva aperto la porta e aveva visto quella che per lei era sua figlia ormai, parlare con un ragazzone. Zia Kaori amava in particolare quattro cose cose: il cibo, la sua famiglia, i colori sgargianti e le telenovelas. Come un fulmine in mezzo al cielo notturno, in quel momento decise che sua figlia e quel ragazzo, potevano dar vita a una fantastica storia d'amore. Armata di sorriso a 245 denti si rivolse ancora una volta a sua figlia, squadrando il giovane.

-Oh, ma sei con un amico?- chiese cercando di fare l'ingenua.

-No, Sasaki-kun è il nostro vicino di casa. Lo ho conosciuto in questo momento perché è rimasto chiuso fuori- disse Hikari ingenua, non capendo perché zia Kaori improvvisamente fosse così allegra. Zia Kaori si ripromise che avrebbe insegnato meglio a sua figlia le tecniche di seduzione, e si sentì imbarazzata per il ragazzo. C'erano altri modi per dire queste cose, evitando di mettere in imbarazzo gli altri. Shou infatti mostrava un sorriso di circostanza e non sapeva cosa dire.

-Beh sarai affamato! Perchè non vieni a cena da noi?- propose immediatamente zia Kaori, che si sentiva una volpe in quel momento. Shou non sapeva che scusa usare. Si sentiva a disagio, ma allo stesso tempo affamato. Quelle persone alla fine erano solo gentili con lui.

Se avesse rifiutato si sarebbe chiuso in casa a suonare tutta la notte. Dopo quello che era successo quel giorno aveva bisogno di sfogarsi. Aveva voglia di isolarsi, di mandare tutto il mondo a quel paese. Però aveva voglia di non rimanere completamente solo. Quella piccola parte di lui che era rimasta ancora bambino, aveva voglia di essere consolata, di essere ascoltata. Non fece in tempo a ribattere nulla, perché squillò il suo cellulare.

-Scusatemi- disse lui rispondendo al telefono. Heiji era sotto casa in moto, lo aspettava per dargli le chiavi. Appena chiuse la telefonata, zia Kaori ormai aveva capito che l'occasione era sfumata.

-Ho le chiavi. Siete state gentilissime con me. Mi dispiace di non essermi presentato prima- disse lui. Ormai in piedi, fece un veloce inchino e scese dalle scale. Hikari lo seguì con gli occhi, fino a quando non sparì. Poi guardo sua zia. Zia Kaori la guardava con un sorriso, ancora più grande di quello di prima e con uno sguardo malizioso.

-Carino questo vicino di casa- disse lei alzando le sopracciglia divertita.

-Shh zia!! ti potrebbe sentire!!- disse lei entrando nell'appartamento di sua zia.

-E se mi sente cosa importa? Velocizziamo solo i tempi cara- disse zia Kaori divertita. Chiuse la porta alle sue spalle, ben conscia che avrebbe avuto altre occasioni e non se le sarebbe lasciate scappare.  


Hikari che va a fare la spesa. Questa immagine non mi appartiene, è liberamente interpretata. 

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Capitolo 4
*** Chiacchiere notturne ***



 

14 Marzo, Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

Tokyo era instancabile. Niente si fermava mai. A tutte le ore c'era qualcuno che faceva, camminava, piangeva, si disperava, gioiva, viveva. Era quasi mezzanotte e diluviava. Il rumore delle gocce che si infrangevano sui muri, sui vetri, sulle pareti era rilassante. Nonostante la tempesta, dalle grandi vetrate della camera da letto, Heiji vedeva tutta la città. Era coricato da qualche ora ormai, ma non riusciva a prendere sonno. Tutte quelle luci colorate, quegli edifici così imponenti, quel caos incessabile, gli ricordava che era una semplice formica. Era un piccolo essere umano e come tale poteva sbagliarsi, poteva morire. Aveva bisogno di ricordarlo spesso, perché sapeva che gli esseri umani sono deboli, soprattutto quando credono di essere forti. Lui sapeva di esserlo. Sia debole, sia forte. Ma questo faceva parte del gioco.

Era disteso a braccia a parte, comodo nel suo letto matrimoniale. Allungò la mano sul comodino e prese una busta bianca. Se la rigirò tra le mani, le labbra incurvate e soddisfatte. Anche quest'anno aveva ricevuto la lettera bianca. Anche quest'anno si sarebbe divertito e avrebbe vinto. Non aveva bisogno di soldi, ne di visibilità. Lo faceva solo per mostrare agli altri quanto lui fosse diverso. Non migliore, ma semplicemente diverso. Era consapevole che tutti fossero particolari a modo suo, ma lui voleva dimostrarlo, perché solo così scopriva e conosceva se stesso. Gli altri conducevano le loro esistenze senza preoccuparsi molto di quello che li circondava. Non erano ne curiosi verso il mondo, ne curiosi verso se stessi. Per lui invece era la sola cosa che contava nella vita: scoprire continuamente il mondo. Scoprire gli esseri umani, scoprire se stesso.

Lasciò cadere la piccola busta bianca sul letto e si tirò su. Appoggiò la schiena alla testiera del letto. Si stiracchiò un po' e prese il telefono. C'era un messaggio non letto.

 

Ti è arrivata? Comportati bene”

 

Heiji sorrise tra sé e sé. Non riusciva a dormire perché era eccitato da quello che stava per succedere. C'erano prove da fare, ricerche, acquisti e strategie da fare. Voleva già mettersi all'opera. Guardò l'orologio e decise che se ne sarebbe uscito. Tanto non riusciva a dormire. Si sarebbe fatto una passeggiata sotto l'acqua e si sarebbe schiarito le idee. Adorava la pioggia e non si sentiva per niente stanco.

Si cambiò, indossò una felpa di quelle che usava per andare a correre e se ne uscì. Ikebukuro era enorme. Era vissuto anni e anni in quel quartiere, ma ogni volta c'era un negozio, una via, un locale nuovo. Adorava quella città perché lo riusciva a stupire sempre in qualche modo.

Quel giorno era andato a portare le chiavi di casa al suo migliore amico. La ragazza l'aveva scaricato e lui era visibilmente instabile. Ma Heiji sapeva che sarebbe successo prima o poi. Sapeva perché era in parte complice di quello che era successo. Miyuki era stata da sempre indecisa se seguire suo padre e da brava fidanzata non aveva mai detto nulla a Shou. Lui aveva solo fatto in modo che lei si decidesse. Sapeva che i sentimenti di Shou erano eccessivi, che aveva perso la testa per una ragazza che non lo ricambiava nemmeno. Gli sarebbe servito come lezione.

Senza rendersene conto camminò fino alla zona in cui abitava il suo amico. Si rese conto di avere fame, e si mise alla ricerca di un qualche supermercato rimasto aperto. La pioggia nel frattempo si era calmata e aveva lasciato spazio solo all'umidità e ad una brezza fresca.

Quando svoltò l'angolo si ritrovò di fronte a un negozio illuminato. Nonostante fosse mezzanotte c'era qualche cliente ancora. Si avvicinò alle porte automatiche ed entrò. Si abbassò il cappuccio e venne investito dalla luce al neon bianca accecante. Un po' stordito si avvicinò alle casse per prendere la prima schifezza da mettere in bocca, quando una ragazza le tagliò la strada.

Era decisamente più piccola di lui, aveva dei lunghi capelli neri lisci legati in una coda alta. La frangetta e i grandi occhi scuri le davano l'aria di una persona decisa. Avrebbe detto fosse stata anche una bella ragazza se non avesse indossato una felpa oversize rosa shoking e dei pantacollant grigi. Era evidente che ci galleggiava dentro quei vestiti. Ed era altrettanto evidente che probabilmente erano il pigiama.

Le aveva tagliato la strada e gli aveva rubato il posto per fare la fila. Non che a quell'ora ci fossero tante persone, però era rimasto sorpreso da quel modo di fare. Sembrava sicura di sé, nonostante l'aspetto sciatto e disordinato.

                                                                                               

-Prego maglia rosa- disse Heiji divertito.

-Le donne incinta hanno la precedenza- disse la ragazza girandosi verso di lui. Aveva in mano una scatoletta di antidolorifici. Inoltre quella ragazza era decisamente magra per poter essere in gravidanza. Inoltre Heiji si chiedeva se una donna incinta potesse comprare medicinali di decima categoria e che potesse assumerli così senza problemi.

-E' per questo che vai in giro con un sacco rosa addosso?- disse Heiji divertito.

-Esattamente- tagliò corto lei. Era venuto il turno della ragazza. Il cassiere prese svogliatamente il pacchetto, passò il codice a barre, e allungò la mano verso la ragazza. Non disse nemmeno quanto costava, quasi fosse abituato.

La giovane lasciò gli yen nella mano del cassiere, prese la scatoletta e se ne scappò in tutta fretta fuori dal negozio. Heiji aveva capito il perché di quell'atteggiamento, ma non sapeva ancora che quell'incontro non sarebbe stato l'ultimo.  

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Capitolo 5
*** Coincidenze ***




16 Marzo. Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

Era quasi mezzogiorno. In una delle sperdute vie del quartiere di Ikebukuro, c'era una libreria. Chiunque c'entrasse, notava fin da subito l'odore di incenso, e poi l'oscurità, la tranquillità e la pace dei libri. Varcava la soglia di ingresso e si trovava in un angolo dimenticato da Dio, lontano dagli affanni umani e dalle preoccupazioni. Pochi la scoprivano, ma quei pochi continuavano a ritornarci. Questo era sempre stato vero anche per Ren Takahashi. Fino a quando l'origine dei suoi problemi aveva varcato la soglia. Una chioma scolorita, una gomma in bocca, lo sguardo incuriosito. Ren ricordava ancora il giorno in cui aveva incontrato Minami. Le era parsa subito una ragazza ribelle, di quelle che girano con i piercing e tatuaggi ovunque, con un linguaggio e una cultura da discarica, e con il rispetto verso gli altri pari a zero. Eppure qualcosa nel suo atteggiamento l'aveva sorpreso. Minami si era guardata un po' in giro, incredibilmente incuriosita e poi era finita a chiedergli che libro leggesse. All'epoca Ren aveva appena ottenuto la cattedra da insegnate e all'età di 30 poteva cominciare a pensare a un lavoro fisso. Per anni aveva lavorato come musicista, ma aveva dovuto archiviare il suo sogno, perché di musica non si vive. Aveva appena comprato l'appartamento con i risparmi di anni e anni di mance e lavoro. Stava cominciando a sistemarsi. L'unica cosa che gli mancava era qualcuno con cui condividere tutto quello.

Aveva voluto troppo. Ora Ren Takahashi era un disoccupato e solo. Aveva chiuso i rapporti con Minami. Stava per chiuderli anche con i suoi amici e si era rifugiato nella libreria nascosta. Aveva cercato la pace in uno dei tanti libri sconosciuti, ma continuamente il suo cervello lo forzava a pensare ad altro.

Ren aveva ricevuto anche quest'anno la lettera bianca. Ma a differenza degli altri anni, questa volta se ne era sbarazzato. Non avrebbe partecipato. Di questa sua decisione i suoi compagni di band non ne sapevano ancora nulla. Già erano senza cantante, figuriamoci ora che anche il batterista se ne andava. Gli dispiaceva da un lato, però dall'altro non aveva ne lo spirito, ne la voglia. Aveva sempre avuto un buon ricordo insieme agli altri, e non voleva rovinarlo.

Aveva appena perso il lavoro e probabilmente avrebbe dovuto cambiare mestiere. Qualcuno aveva fatto la spia e la sua relazione con Minami, la figlia del suo datore di lavoro, era finita sulla bocca di tutti. La sua carriera come insegnante di musica era finita ancora prima di iniziare. Ma non era colpa sua, non del tutto almeno. Aveva fatto di tutto per stare alla larga da quella ragazza, per tutto l'anno le aveva corso dietro. Alla fine lui aveva ceduto. Un bacio. Un altro bacio. Qualcuno li aveva visti. Addio lavoro, addio Minami. Suo padre gli aveva promesso che non avrebbe avvertito le altre scuole, se solo lui avesse smesso di frequentare sua figlia. Ren si era reso conto che forse il suo era stata solo un'emozione passeggera e che era meglio per entrambi chiuderla qui. Eppure gli mancavano le battutine e la sua curiosità. Chiuse il libro che aveva in mano e lo ripose nello scaffale. Controllò l'orologio. Shou e Heiji dovevano essere arrivati ormai.

Sospirò e uscì dall'angolo di tranquillità. Percorse alcune vie nascoste e improvvisamente si ritrovo in una delle arterie principali di Ikebukuro. Erano le nove di mattina eppure le strade erano già piene: turisti, studenti che saltavano scuola, disoccupati, venditori di ogni sorta, madri indaffarate. L'appuntamento era da Milky Way, famoso caffè, che tutti ricordavano per le luci al neon blu e bianche appese alle pareti. Soprattutto alla sera conferivano un'atmosfera magica e fiabesca. Fuori dal locale vide Heiji con il casco in mano che finiva di fumare una sigaretta, di fronte a lui Shou che parlava al telefono.

Ren non sapeva come dirglielo, ma doveva trovare in qualche modo il coraggio.

Cinque minuti dopo erano tutti e tre seduti attorno ad un tavolo, tre tazze fumanti di tre liquidi diversi li dividevano. Al centro un piatto con tre brioche.

-Allora Prof. Perché quest'anno avresti intenzione di lasciarci?- esordì Heiji appoggiando il pacchetto di sigarette sul tavolo, insieme all'accendino. Come al solito Ren fu sorpreso. Heiji era il ragazzo più intelligente che conoscesse. Non era la prima volta che indovinava esattamente quali fossero i suoi pensieri. Lo aveva sperato in segreto, perché così avrebbe fatto meno fatica.

-Cosa?- disse Shou alzando gli occhi su Ren. Fino a quel momento era stato intento a decidere quale delle tre brioche fosse più ricolma di cioccolata.

-Come facevi a saperlo?- chiese Ren incrociando le braccia e appoggiandosi allo schienale.

-Beh, ci chiedi di vederci per parlare e non per fare prove, a tutti e tre è arrivata la lettera due giorni fa, tu hai appena perso il lavoro e conoscendoti preferisci chiuderti in te stesso piuttosto che affrontare il problema. Se ci aggiungiamo che hai chiuso anche con Minami, in questo momento non sei psicologicamente stabile per prendere una decisione. Quindi noi ti ascolteremo, ma non prenderemo un no come risposta.- disse Heiji. Concluse con un sorriso da volpe. Ren si sorprese ancora una volta. 23 anni e una laurea in scienze della comunicazione, una carriera da giornalista appena iniziata e probabilmente da futuro politico. Questo era Heiji Akabane. Suo padre era uno dei dirigenti della NTV, uno dei più importanti emittenti televisivi giapponesi. Suo fratello lavorava come attore. Lui invece avrebbe fatto il giornalista. E poi c'era Ren disoccupato.

-Non so come tu possa mollare la musica in un momento del genere- disse Shou addentando una brioche.

-E' la musica che non vuole me- rispose Ren abbassando lo sguardo.

-Ren tu sei il migliore batterista che io abbia mai conosciuto. Sai suonare perfettamente il pianoforte e il Sax. Componi delle musiche fantastiche e lo sai anche tu. Quando dal palco vediamo la gente piangere, c'è un motivo. Per non parlare anche delle parole. Sei un compositore con la C maiuscola. Devi solo tenere duro, ma non puoi buttare via la cosa che sai fare meglio- disse Shou guardandolo preoccupato.

-Ormai ho già dato a qualcun altro la lettera- Ren disse quello che aveva fatto e di cui si sentiva profondamente in colpa. Prima di andarsene da scuola, lo aveva ficcato nel primo armadietto che aveva trovato. Tutte le ragazze del Collegio Furinkan sapevano suonare uno strumento. Magari avrebbe fatto qualcosa di buono per qualcuna.

-Cosa hai fatto!?- esclamò Shou.

-Non preoccuparti. Immaginavo sarebbe successo, conoscendoti. Ne ho una per te- disse Heiji tirandola fuori dal portafoglio. Ren era stupito. Non voleva sapere come Heiji era riuscito ad ottenerne un'altra. Era difficilissimo ottenerla, figuriamoci averne persino due.

-Non voglio sapere come hai fatto- disse Shou guardando sorpreso Heiji.

-Ed infatti io non ho intenzione di dirvelo- rispose divertito.

-Questo non significa che parteciperò- disse Ren. Cercò di contenersi, ma era felice. Non aveva gettato del tutto la possibilità di partecipare anche quest'anno. In effetti con altri due in squadra come Heiji e Shou, si poteva vincere.

-Dobbiamo trovare una ragazza, che sappia cantare. A chi hai dato la lettera?- chiese Heiji, grattandosi il mento.

Ren ricordava l'armadietto, ma non ricordava il nome. Questo era un problema perché lui non poteva mettere piede in quella scuola e nemmeno loro due essendo maschi.

-Non ne ho idea- disse deluso ancora una volta da se stesso.

-Beh non importa- disse Heiji bevendo il the.

-Aspetta, ma in che scuola è che insegnavi? Come sono fatte le divise?- chiese Shou improvvisamente serio.

-Giacca blu, gonna beige- disse Ren sospirando. Senza nemmeno farlo apposta le era apparsa sotto i suoi occhi la figura di Minami.

-Hanno un fiocchetto rosso attorno al collo?- chiese ancora Shou.

-Esattamente. Come fai a saperlo? - chiese Ren corrugando la fronte.

Shou sorrise e addentò il cornetto. La crema al cioccolato gli aveva sporcato le mani e anche le labbra. Il fiocco rosso era la prima cosa che aveva notato. Anche la divisa elegante e diversa da quelle che aveva sempre visto. La sua vicina di casa era una studentessa del collegio femminile.  

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Capitolo 6
*** Vento ***




16 Marzo. Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

Quel giorno c'era molto vento. Era l'ultimo giorno di scuola per Hikari, poi ci sarebbero state le vacanze e finalmente avrebbe iniziato il terzo e ultimo anno. Il sole stava tramontando e non riusciva a scaldare l'aria fredda che investiva gli studenti.

Hikari però era contenta. Avrebbe avuto finalmente qualche giorno di relax per dedicarsi completamente alla chitarra. A scuola durante le ore di musica aveva imparato il pianoforte e il canto, ma la chitarra era sempre rimasto il suo pallino. I suoi erano morti e solo per quello aveva potuto iscriversi ad una scuola come il Collegio Furinkan. I suoi zii le avevano permesso di studiare quello che voleva, cosa che non sarebbe stata possibile con i suoi genitori. Lei infatti avrebbe dovuto prendere le redini della famiglia e portare avanti il negozio di famiglia. Poi i suoi erano morti in un incidente stradale, con loro anche suo fratello. Il negozio era stato chiuso, avevano venduto la casa di famiglia, i proventi e i risparmi di una vita erano in banca e aspettavano solo la sua maggiore età. Aveva 17 anni. Ne mancavano ancora tre. Hikari era ancora persa nei suoi pensieri quando una voce squillante la chiamò.

-Hikari-san!-

Hikari si bloccò riconoscendo quel suono, si voltò verso di lei.

-Minami Aiko-san!- disse sorpresa. Non si erano mai parlate in un anno intero, ora nel giro di due giorni la cercava per ben due volte. La frangetta bionda e il sorriso felice, la facevano sembrare quasi una bambina. Gli occhi neri di Hikari si incrociarono con quelli verdi di Minami.

-Devo chiederti una cosa- disse la bionda avvicinandosi. Teneva lo sguardo fisso negli occhi di Hikari, che dall'altra parte non sapeva cosa aspettarsi. Hikari alzò le sopracciglia sorpresa e rimase in attesa della domanda.

-Qualche giorno fa, ho visto che qualcuno ti ha messo qualcosa nell'armadietto. Io... ho bisogno di sapere cosa- disse Minami decisa. Teneva i pugni serrati, tutta l'attenzione rivolta verso Hikari. In quel momento una ventata gelida le investì, facendole stringere ancora di più nella giacca della divisa blu.

-Perchè lo vuoi sapere?- disse Hikari. Non sapeva se quella ragazza le stava simpatica. Non la conosceva abbastanza. Ad un primo sguardo non avrebbe potuto dire di si. Le ciglia truccate di nero, il fard rosa sulle guance e gli orecchini dorati ad anello. Se poi si consideravano anche i capelli praticamente bianchi e piastrati. Sembrava una piccola rockstar. Le piaceva il suo look deciso, ma non troppo. Se si considerava poi che portava la custodia del violino sulla spalla destra, la rendeva alla fin fine una ragazza interessante.

-Perchè per me è molto importante. Il ragazzo che amo ha messo qualcosa e voglio capire se mi tradiva con te- disse lei. Quindi il Takahashi sensei aveva messo quella busta nel suo armadietto. Hikari era sorpresa. Non c'era alcun motivo per cui Takahashi sensei avesse dovuto mettere una busta bianca nel suo armadietto. Era ancora più sorpresa dal fatto che quella ragazza, che era sempre stata fredda con gli altri, lei compresa, le avesse detto qualcosa di così personale.

-Era una busta, con una lettera completamente bianca- rispose Hikari.

Minami aggrottò le sopracciglia e abbassò lo sguardo pensierosa. Non capiva nemmeno lei. Poi improvvisamente gli occhi le brillarono e capì tutto.

-Ho capito tutto. Questo mi solleva tantissimo. Avevo veramente il terrore che mi avesse lasciato per qualcun'altra.- disse Minami radiosa.

Hikari però non aveva capito niente ed era curiosa di sapere cosa fosse quella lettera effettivamente.

Ma prima ancora che potesse chiederlo, Minami la interruppe.

-Devo andare nel negozio di musica qui all'angolo. Se mi accompagni, ti racconto tutto-

Hikari rimase sorpresa per la terza volta. Voleva sapere il perché di quella lettera. Se le aveva proposto, così sorridente, di andare insieme e se le aveva parlato con tanta apertura, quella ragazza aveva bisogno di parlare dei suoi problemi. Aveva bisogno di confidarsi con qualcuna della sua età. Hikari in quel momento seguì l'istinto: accettò.

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Capitolo 7
*** Speranza ***




16 Marzo. Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

-Devo comprare un accordatore elettronico- disse Minami al commesso. Non appena Hikari e Minami erano entrate da MusicalBox, tutti i commessi si erano irrigiditi. Avevano riconosciuto la chioma bionda e si erano ricordati dell'ultima volta che era venuta. Aveva acquistato una chitarra per la sorella più piccola ed erano rimaste ore e ore indecise a scegliere quale fosse la migliore. Per non parlare poi della scelta dell'amplificatore e persino delle corde. Avevano mobilitato tutto il negozio per alla fine comprare una Fender e il primo amplificatore che le avevano proposto.

Subito il ragazzo al bancone era scattato e Minami si era rivolta a Hikari.

-Quella lettera bianca credo che sia un invito ad una competizione speciale. I migliori artisti emergenti di Tokyo ricevono il 14 Marzo questa lettera, che li impegna ad esibirsi al WM Club il 7 luglio per il Tanabata. Ren mi parlava di come l'anno scorso fosse arrivato terzo. Quest'anno aveva cambiato completamente i membri del gruppo con cui suonava. Non sapevo avesse cambiato idea e non volesse partecipare.- disse Minami pagando e prendendo la scatoletta.

Il commesso fu incredibilmente sorpreso dal constatare che questa volta non aveva nemmeno controllato la marca di quello che stava acquistando. Prese i soldi, diede il resto e consegnò lo scontrino.

Hikari era sorpresa e anche eccitata. Ora quel biglietto spettava a lei. Poteva partecipare ad un concorso così importante. Forse aveva la possibilità di iniziare così la sua carriera. C'erano ancora troppi forse, troppi ma. Doveva saperne di più.

-E come faccio a sapere qualche altra informazione? Devo chiedere a Takahashi sensei?- chiese Hikari.

-Eh ti darei il suo numero di telefono, ma lo ha cambiato- disse Minami prendendo il resto dalle mani del commesso. Infilò l'acquisto in borsa e si avviò per uscire dal negozio.

-Ah...mi dispiace- disse Hikari imbarazzata. Non aveva quella confidenza tipica delle amiche e un po' era imbarazzata. D'altronde lei parlava un po' con tutti ma non era amica di nessuno. La sua vicenda familiare aveva fatto si che facesse fatica a legarsi alle persone. Aveva il terrore di perderle.

Stavano uscendo in quel momento quando di fronte a loro apparve Heiji Akabane, cappellino storto, occhiali da sole, custodia di uno strumento sulle spalle.

Heiji riconobbe entrambe le ragazze: una era Minami Aiko, la ex ragazza del suo batterista. L'altra era la ragazza dalla felpa rosa shoking che si era dichiarata incinta. Tutti e tre si bloccarono sorpresi da quell'incontro.

-Ciao Aiko-san- esordì il ragazzo sorridendo. Heiji era molto alto rispetto ad entrambe. Era in maniche corte nonostante le temperature non troppo calde, indossava una maglietta nera e dei jeans scuri che lo slanciavano ancor di più.

Minami fu sorpresa di vedere l'amico di Ren. Conosceva Heiji solo perché ci aveva scambiato qualche parola, ma non avrebbe saputo dire ne cosa facesse nella vita, ne se fosse fidanzato. C'era qualcosa di freddo in lui, come se non fosse vero.

-Ciao Akabane-kun, anche tu qui?- disse la prima cosa che le passò in mente.

-Se sono qui, evidentemente si- rispose ridacchiando. Era la seconda volta che si sentiva dire quella frase in due giorni. Si voltò verso Hikari, la prima che le aveva risposto così. Hikari continuava a guardarlo però, concentrata sul suo viso. Si ricordava di aver già visto quel ragazzo, ma non sapeva dove.

-Mi dispiace per Ren comunque- disse lui togliendosi gli occhiali da sole. 

-Non importa. Doveva andare così. Spero solo che riesca a trovare qualcos'altro...- Minami doveva nasconderlo, però le importava molto invece. Avrebbe terribilmente voluto chiedergli dove suonassero prossimamente, ma sapeva che Ren non avrebbe voluto. Aveva chiuso con lei.

-Cosa suoni? Ti ho già visto da qualche parte- chiese al suo fianco Hikari.

-Il basso. Tu non sei la ragazza incinta con la maglia rosa?- disse lui divertito. Hikari improvvisamente si ricordò di qualche giorno prima. Era corsa al supermercato a prendere qualcosa che le facesse passare quel mal di testa dovuto al ciclo. Lo aveva superato, era vero, ma lui se ne era stato impalato senza decidersi a pagare. 

-Comunque lui può darti qualche informazione in più sulla lettera bianca- disse Minami sorpresa.

Ren rimase per meravigliato, ma non disse nulla. Tutte quelle coincidenze. Qualcosa gli diceva che era lei la ragazza che aveva il biglietto di Ren. Se era in un negozio come quello, forse suonava anche. Magari aveva una bella voce. Forse avevano una cantante.  

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Capitolo 8
*** Sfida accettata ***




16 Marzo.Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

Come tutte le volte in cui era da MusicalBox, Hikari si sentiva a casa. Si sentiva in mezzo a persone che riuscivano ad esprimersi attraverso la musica. Si sentiva bene e compresa. Come tutte le altre volte, anche quella era stata così.Fino a quando non le si era presentato davanti agli occhi di nuovo quel ragazzo. Da un lato le sembrava carino, dall'altro le sembrava freddo. La prima impressione che aveva avuto, vedendolo entrare e conversare con Minami era il disinteresse. Era entrato con fare annoiato e non appena aveva visto Minami si era tirato sulla testa gli occhiali da sole. Le aveva sorriso. Ad un primo sguardo era sembrato gentile.

Eppure c'era qualcosa che non convinceva Hikari. Sorrideva, ma per qualcos'altro. Le era sembrato che non ci fosse un motivo per sorridere così. Con quella specie di ghigno mascherato. Non stava sorridendo a Minami in quel momento, ma a qualcosa che gli era venuto in mente vedendola. Nel giro di qualche minuto Hikari era giunta a questa conclusione. Tant'è che quando lei gli aveva rivolto la parola, lui era sembrato sinceramente sorpreso dalla sua presenza. Quel tipo non le piaceva molto.

-Quindi anche tu hai ricevuto la lettera?- chiese Hikari sorpresa. Quel ragazzo era uno dei migliori artisti emergenti quindi. Era sorpresa da quanto fosse piccolo il mondo. Si sentiva rincuorata perché poteva chiedere a qualcuno qualche informazione. Allo stesso tempo non si fidava. Aveva l'impressione che avesse una maschera. Però quell'invito poteva essere una prima porta di ingresso per il mondo in cui voleva vivere. Non riusciva ancora a credere di aver avuto un colpo di fortuna così grande.

-Come ogni anno. Tu invece? Non ti ho mai vista nel giro- disse lui studiandola. Le stava chiedendo se quell'invito se lo meritava oppure no. Hikari si sentì messa alle strette. Decise di essere sincera. Quando una persona voleva metterla in difficoltà, l'unico modo per uscirne era dire la verità.

-Per una casualità è in mano mia-disse la ragazza puntando i suoi occhi neri in quelli di lui. Voleva sfidarla? Voleva metterla in difficoltà? Hikari non aveva paura di dire le cose come stavano. Tanto prima o poi le sue capacità sarebbero venute fuori. E allora non ci sarebbero stati ne se ne ma,ne "chi ti ha dato l'invito", ne altre insinuazioni. Lei ci stava mettendo l'anima.

Lui allargò le labbra e sembrò divertito.

-Interessante. Sai cantare?- chiese lui diretto.

La stava mettendo alla prova. Hikari annuì decisa. Aveva fatto anni e anni di coro durante le scuole medie. Da quando era arrivata presso l'Istituto Furinkan aveva imparato a suonare il pianoforte ed aveva studiato canto. Il suo sogno però era sempre stato imparare a suonare anche la chitarra.Quest'anno si era messa di impegno da sola.

-Si- disse Hikari decisa.

-Bene. Noi abbiamo bisogno di una cantante. Prima però voglio sentire se sei all'altezza. In questi giorni lavoro, ma lunedi sera scrivimi a questo numero- Heiji prese il portafoglio nero, ne estrasse un biglietto da visita e glielo allungò. Non aveva chiesto nemmeno il parere di Hikari.

-E se io non volessi cantare con voi?-chiese Hikari mantenendo lo sguardo. Non gli piaceva per niente. Non si fidava a vedere quel tipo da sola di nuovo.

-Beh almeno ti darò qualche informazione utile. Quello ti interessa no?- disse lui continuando a guardarla e a mantenere il biglietto nella sua direzione. Hikari lo prese, facendo attenzione a non toccare le sue dita.

-Bene. Se vuoi venire anche tu Minami-san sentiti pure libera. Non preoccuparti per il prof. Lui è adulto e molto più responsabile di noi. Se vorrai accompagnare la tua amica, lui capirà- disse Heiji. Minami si irrigidì leggermente.Sapeva bene che non era così. Ren aveva deciso di mettere la parola fine alla loro relazione per motivi di opportunità, ma se avesse potuto non l'avrebbe lasciata. Aveva solo 30 anni alla fine. Era maturo ma estremamente sensibile. Minami non capì cosa volesse dire Heiji con quella frase.

-Se Hikari-san mi vorrà allora verrò-disse Minami sorridente. A quel punto Hikari, che aveva guardato per tutto il tempo il ragazzo, fece qualcosa che Minami non si aspettava.La prese a braccetto e la avvicinò a sé.

-Certo. Ora dobbiamo andare. Mi farò sentire lunedi. Ciao Akabane-kun- disse Hikari senza accennare alcun sorriso. Strattonò Minami e se la portò via. Heiji sapeva di non starle simpatico, ma non gli importava. Le serviva una cantante, una cantante che avesse un invito. Considerando che gli inviti erano segreti, sarebbe stato praticamente impossibile trovare qualcun altro.

Mentre Hikari si allontanava con la sua nuova amica, sapeva che quel ragazzo, pur avendo una maschera, era il treno, l'occasione per avvicinarsi al suo sogno. Sia lei che lui avrebbero prima cercato di capire quanto potevano essere utili l'uno all'altro. Poi avrebbero deciso.

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Capitolo 9
*** Promessa ***


16 Marzo. Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

-Minami-san conosci bene quel ragazzo?- chiese Hikari.

Passeggiavano fianco a fianco, con la tranquillità di chi ha le vacanze di fronte a sé. Erano uscite da MusicalBox e ora erano in direzione fermata della metro. Il vento si era calmato e aveva lasciato al suo posto una fresca brezza che sollevava i petali e le foglie cadute nella strada. Entrambe le ragazze erano rimaste un po' pensierose dopo quell'incontro.

-Suona insieme a Ren. Non ci ho parlato mai molto. Mi ha sempre dato l'impressione di essere un po' freddo- disse Minami guardandosi la punta delle scarpe. Quell'incontro poi le aveva lasciato un po' di amaro in bocca. A Minami mancava Ren e la sua dolcezza. Le parole di Heiji-san l'avevano colpita però. Come poteva non preoccuparsi di lui? Come potevano loro due far finta di nulla, dopo che Ren aveva perso il lavoro a causa della loro relazione?

-Secondo me è un doppiogiochista. Ogni sua parola era misurata per farci sentire o a disagio, o perché dicessimo qualcosa che gli tornasse utile. Non mi piace proprio- sentenziò Hikari. Calciò un sassolino con nervosismo. Non le era mai capitato di conoscere una persona che le desse una così brutta impressione fin dall'inizio.

-Si beh, è sempre stato un po' così... non sono mai riuscita a inquadrarlo come persona- disse Minami continuando a guardare per terra. Stava ripensando alle parole di quel ragazzo. Avrebbe terribilmente voluto vedere Ren, ma lui le aveva chiesto di non cercarlo più e di sparire dalla sua vita. Minami aveva accettato perché in fondo era stata colpa sua se li avevano scoperti. La sua euforia, la sua felicità l'aveva scoperta.

-Non vorrei più vederlo se possibile... mi ha dato proprio l'impressione di essere una persona da evitare- continuò Hikari arrabbiata.

Vedendo che Minami, di solito molto più loquace, non rispondeva, la guardò. La bionda sembrava triste. Hikari si sentì in connessione con lei in quel momento. Ripensò a quello che le aveva detto Heiji. Si fermò, rivolta nella sua direzione.

Minami, vedendo che Hikari si era improvvisamente bloccata, alzò gli occhi su di lei.

-Non so in che rapporti tu sia rimasta con Takahashi sensei, però credo che Akabane-kun abbia detto quelle cose per vedere una tua reazione. Non preoccuparti per quello che ti ha detto. Fai quello che ti senti e lascialo perdere. Se vuoi venire con me, sarò felice. Ma se credi di complicare troppo la situazione tra voi o che non sia passato abbastanza tempo per vedervi di nuovo, sono sicura che ci sarà qualche altra occasione. Non essere triste Minami-san, non per Akabane-kun - concluse Hikari sorridendole per la prima volta. La frangetta nera era spettinata e rendeva il volto di Hikari più dolce. Minami rimase sorpresa da quel moto di gentilezza e si rese conto che forse aveva trovato un'amica.  



NA
Ciao a tutti :)
Sono Elena! Mi scuso per il capitolo così corto, ma sono in piena sessione! Vi ringrazio per la comprensione <3 presto il nuovo cap! 

Bacio,
Elena

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Capitolo 10
*** Obiettivi ***


18 Marzo. Tokyo, quartiere di Shibuya.

Hikari era arrivata 5 minuti in anticipo. Di solito non usciva molto e era una delle prime volte che andava con una amica a Shibuya. Minami era stata una sorpresa. Non pensava che alla fine dell'anno potesse frequentare qualche ragazza fuori da scuola. Hikari aveva trascorso ogni anno, dalle elementari al penultimo anno delle superiori, per i fatti suoi. Non odiava gli altri, ma semplicemente non aveva mai trovato qualcuno con cui si trovasse bene, con cui si sentisse in qualche modo simile.

Se non poteva essere se stessa, allora era meglio stare da sola. Almeno era libera e non doveva rispettare tutte quelle finte e noiose convenzioni sociali, le stesse che Akabane-kun aveva usato per darle fastidio. L'aveva sfidata tra le righe, senza farlo apertamente. Dopo qualche giorno però il nervoso le era passato e aveva deciso che domenica gli avrebbe mandato un messaggio.

Ma prima ancora che potesse arrivare il weekend aveva ricevuto una chiamata da parte di Minami per invitarla ad uscire. Aveva accettato, e ora si trovava ad aspettarla nella terza stazione ferroviaria più grande di Tokyo. La gente attorno a lei camminava, ognuna concentrata sulla sua strada. Era una giornata calda e nonostante fosse l'ora di pranzo, c'era moltissima gente ferma ad aspettare. Hikari aveva pescato dall'armadio una gonna in jeans e una camicia. Era contenta di non indossare più la divisa per qualche giorno. Vedersi vestita sempre uguale, per quanto l'uniforme fosse carina, l'annoiava terribilmente.

Hikari era rimasta sorpresa quando guardando il telefono le era arrivato un messaggio da parte di Minami. Non l'aveva più vista da lunedi. Ma rimase ancora più sorpresa quando una ragazza dai capelli color cioccolato le venne incontro sorridente. Minami aveva cambiato colore di capelli.

-Cosa hai fatto?- esclamò Hikari sorpresa.

-Sono tornata al mio colore naturale. Ho deciso di cambiare- disse lei sorridente. Hikari immaginava che quella decisione fosse frutto del desiderio di andare avanti, di cambiare pagina e di dimenticare Ren. Hikari decise di non dire niente, per non far tornarle in mente momenti belli che non sarebbero mai più ritornati.

-Sei molto più...naturale così. Stai bene, sei più dolce- disse Hikari incoraggiandola. Era vero però.

Ad un primo sguardo magari era meno visibile rispetto a prima, d'altronde una chioma bionda in giappone non era molto comune. Le lunghe ciocche ondulate, le guance rosa e gli occhi luminosi la facevano sembrare esattamente quello che era: una ragazza solare e graziosa. Non una piccola gangster.

 

 

 

Qualche ora dopo se ne stavano entrambe sedute da Sushi Genko con la pancia piena di uramaki e sushi. Hikari non aveva mai parlato tanto in vita sua. Aveva raccontato a Minami della sua vita, del suo essere orfana, del suo essere cresciuta con gli zii, del suo sogno di fare la cantante. Minami dall'altra parte si era aperta. Le aveva raccontato cosa significava essere la figlia del preside di una delle scuole più costose di tutta Tokyo, del fatto che aveva la vita già completamente decisa e che però alla fine le andava bene così. A differenza di Hikari, Minami non aveva un sogno in cui credere con tutta se stessa. Certo la musica le piaceva, ma non avrebbe messo in discussione il ruolo che la sua famiglia aveva previsto per lei. Solo una cosa non le andava giù. Non tollerava che la famiglia decidesse le sue frequentazioni. Da quando il padre aveva scoperto della relazione con Ren, non le aveva più parlato.

-Beh... tra due settimane si ricomincia... quest'anno a che club ti iscrivi?- chiese Minami cambiando discorso.

-Club? Io ho sempre cercato di non fare niente. Non ho tempo per frequentare club se voglio imparare a suonare la chitarra. Ho fatto tanto quest'anno, ma solo perché avevo tempo.- disse Hikari bevendo un sorso d'acqua.

-Eh in effetti... non c'è molta scelta. Io quest'anno ho frequentato il club di tennis, ma ho odiato le ragazze che erano con me. Insopportabili e pettegole- sbottò Minami. Si portò alle labbra la cannuccia e succhiò la coca cola ghiacciata. Aveva abbassato gli occhi di lato. Probabilmente aveva a che fare con Ren.

-Ci fosse un club di musica leggera o qualcosa del genere... potrei almeno imparare qualcosa!- disse Hikari.

Non passò nemmeno un secondo che le due ragazze si bloccarono. All'unisono alzarono gli occhi e si guardarono. Avevano avuto la stessa idea. Se il club non c'era, l'avrebbero fondato loro.  


NA
Ciao ragazze :)
scusate il ritardo! Eccomi tornata! Questi due ultimi capitoletti sono un po' di passaggio, c'è bisogno che le nostre due protagoniste consolidino un po' l'amicizia, e come fare se non ponendosi un obbiettivo da raggiungere insieme? Dal prossimo capitolo ritorneranno i nostri guys, abbiate un po' di pazienza :D grazie per aver seguito la storia fino a qui, tra poco si entra nel vivo!

bacio,
Elena

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Capitolo 11
*** Sfogati ***




20 Marzo. Tokyo, quartiere di Ikebukuro, appartamento di Hikari.

Quella settimana di vacanza stava per volare via. Hikari ci stava pensando mentre guardava dalla sua piccola finestra, il cielo notturno illuminato dalle luci intermittenti degli aerei, quasi come stelle cadenti artificiali. Valeva lo stesso se esprimeva un desiderio?

Una settimana e avrebbe iniziato il suo terzo e ultimo anno. Sarebbe stato l'anno in cui decidere cosa fare delle propria vita. Doveva essere questo l'anno del cambiamento. Di certo avrebbe continuato a vivere nel mondo della musica, in un modo o nell'altro. Il 7 luglio al WM Club avrebbe dato tutta se stessa.

Sulla scrivania di fronte a lei, se ne stava in bella vista il biglietto da visita di Heiji. Nonostante avesse ripensato a lui in quei giorni, era un po' preoccupata. Quel tipo non le piaceva proprio. Anche solo parlarci a telefono l'avrebbe messa a disagio. Eppure le sembrava la sua unica strada per poter partecipare, per poter iniziare così ad entrare in quello che voleva diventasse il suo mondo.

Era ancora assorta nei suoi pensieri quando, un rumore metallico e sommesso la catturò. Era il

suono di una chitarra. Si irrigidì immediatamente. Da dove proveniva? Chiuse gli occhi, rimase in ascolto.

Aveva un ritmo ripetitivo, cadenzato, non troppo veloce. Una nota dopo l'altra, la melodia che emergeva era di una tristezza infinita. Ogni tanto era interrotta. Il ritmo era dato dalle dita che si appoggiavano sulle corde. Sembrava un addio colmo di speranza. Nessuna parola, nessuna voce. Una muta dichiarazione di arresa al dolore.

Le corde erano sfiorate appena, eppure ogni nota, ogni suono era un taglio netto. Era una protesta ormai senza forza. Il silenzio era riempito completamente dalle corde metalliche, che vibravano e sembravano piangessero ogni volta che le dita cambiavano posizione sulla tastiera.

In quel momento Hikari spalancò la porta del balcone. La melodia si interruppe improvvisamente. Quando la ragazza, con gli occhi pieni di lacrime, si affacciò, vide il suo vicino di casa, seduto per terra, che la guardava. Anche gli occhi di Shou erano lucidi. Rimase solo il rumore delle macchine in lontananza e di qualche cane lontano che abbaiava. Occhi neri riflessi in altri occhi neri. Sconosciuti ma allo stesso tempo mai così connessi. Gli occhi, le stelle, i loro cuori, tutto in quella sera di primavera, brillava. Durò il tempo che dura una stella cadente nel cielo.

Shou abbassò in un attimo il volto, nascondendo gli occhi dietro i ciuffi di capelli castani, cercando di ricostruire la sua corazza. Hikari spostò il suo sguardo sulla punta dei piedi, cercando di nascondere quel dolore che aveva rinchiuso in un posto lontano. Entrambi erano leggermente imbarazzati. Avevano condiviso qualcosa di così intimo, con qualcuno che era un estraneo.

-Scusa se ti ho disturbato- disse Shou alzandosi in piedi. Teneva la chitarra acustica per il collo, il corpo che appoggiava sul suo piede destro. Hikari come scossa, si affrettò a negare.

-Non mi hai disturbato. Era bellissima, anche se troppo triste- disse lei sforzandosi di guardarlo negli occhi. Shou sorrise un po' amaro senza guardarla. Era vero. Stava male. Gli mancava tutto di Miyuki. Aveva suonato ad occhi chiusi, lasciandosi trasportare, immaginando in quel momento che lei fosse lì con lui. Poi tutto ad un tratto si era avvicinata e lo aveva abbracciato. Shou, in quel momento, avrebbe potuto giurare di aver sentito per un istante il suo profumo, il suo calore. Ogni parte di lui l'aveva cercata. Poi si era aperta la porta. La sua vicina di casa era rimasta a guardarlo in balcone. Shou si era svegliato ad un tratto, rendendosi conto di avere solo sognato.

-Già- disse lui semplicemente. Shou non aveva nemmeno voglia di provare a negare. Lo aveva visto nel momento di maggior debolezza.

-Ti manca qualcuno?- chiese Hikari un po' titubante. Quella canzone le aveva messo così tanta tristezza addosso, che non poteva semplicemente far cadere il discorso. Shou si era tenuto tutto dentro. Si sentiva come una caffettiera pronta a fischiare. Ma non avrebbe parlato. Il suo orgoglio non glielo permetteva.

Abbassò ancora una volta la testa e cominciò a pensare ad una scusa per andarsene.

-Continua a suonare. Era triste, è vero, ma bellissima. Solo pochissime volte mi sono commossa così sentendo suonare qualcuno dal vivo. Continua- disse Hikari. Capiva che lui non volesse aprirsi, d'altronde non si conoscevano nemmeno. Si sentiva in colpa perché si rendeva conto che quel ragazzo, qualunque cosa fosse successo, aveva bisogno di sfogarsi e lei lo aveva interrotto. Se a parole non ne aveva il coraggio, lo avrebbe continuato a fare con la musica.

 

Shou era un po' sorpreso, però ancora una volta non sapeva come comportarsi. Da un lato era bloccato, dall'altro moriva dalla voglia di buttare fuori tutto quel dolore. Era stanco. Era da giorni che continuava a pensare a Miyuki, a tutto quello che avevano fatto insieme. Aveva cercato di rileggere tutti i loro momenti, cercando un indizio che in qualche modo gli suggerisse che doveva andare proprio così. Sapeva che Miyuki da sempre era stata brava a scuola, ma addirittura andarsene senza avvertirlo prima. Come aveva potuto? Si era goduta i giorni con lui, gli istanti che stavano insieme con la consapevolezza che presto sarebbe tutto finito. Aveva deciso tutto lei.

Era incazzato, ma se solo le avesse risposto a quei dieci messaggi-papiro che le aveva scritto, le avrebbe perdonato tutto. Avrebbe aspettato mesi prima di rivederla ancora, ma gli sarebbe andato bene lo stesso. A lui non interessavano altre, non interessava dover occupare il suo tempo con una ragazza. A lui interessava solo lei.

Si sedette nuovamente per terra, le spalle nuovamente rivolte al muro, imbracciò la chitarra e le sue dita finirono immediatamente a premere le corde. Prese il pletro incastrato tra le corde vicino al capotasto e la mano cadde violenta in una prima pennata. La cupa melodia invase il silenzio.  

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Capitolo 12
*** Incontro ***




21 Marzo. Tokyo, quartiere di Ikebukuro. Casa di Heiji.

La luce dorata si diffondeva per tutto il salotto creando un'atmosfera rilassata e distesa. Il silenzio era rotto dal ticchettio dell'orologio a pendolo. Vicino alla porta Mr.Neko infilzava la sua pallina di gommapiuma, rotolandosi e miagolando ogni tanto.

Stravaccato vicino alla a-bat-jour, con il colletto della camicia allentato e gli occhi chiusi se ne stava Heiji. Aveva iniziato a leggere quel libro, ma poi la stanchezza di tutto un weekend passato nei backstage di concerti lo aveva distrutto. Si era laureato da poco e grazie al padre era stato subito assunto. Essere il figlio di uno dei dirigenti aveva dei vantaggi, ma altrettanti svantaggi. Era bravo, ci sapeva fare, eppure non gli veniva riconosciuto nulla. Ma a Heiji non importava molto dell'opinione dei suoi colleghi. Gli interessava scalare e salire ai vertici, e per farlo, andare d'accordo con i suoi colleghi non gli sarebbe servito a molto. La strada era farsi conoscere e farsi apprezzare dal pubblico. Avrebbe condotto un proprio programma televisivo prima o poi. Ora doveva fare la gavetta ed era contento. Stava imparando molto di più che stando sui libri, stava guadagnando qualcosa e stava facendo quello che amava fare: sondare le persone. Le sue non erano interviste, le sue erano viscide e subdole sessioni psicologiche. Questo gli piaceva del giornalismo: voleva conoscere l'essere umano in tutte le sue sfaccettature, voleva imparare a prevedere e capire le sue azioni. Un po' come giocando a scacchi. E poi voleva farlo sapere a tutti.

Se non fosse stato per Mr.Neko probabilmente si sarebbe addormentato. Il rumore di sottofondo lo aveva in qualche modo tenuto collegato alla realtà. Il suono del campanello lo assordò. Si ricordò in quel momento che attendeva ospiti. Rinsavì e si passò una mano tra i capelli. Scattò subito in piedi e andò velocemente al citofono per controllare chi fosse. Era lei. Premette un pulsante e rispose.

-Sto scendendo, ti apro la porta di ingresso così entri visto che sta diluviando-

Non attese risposta. Andò in bagno, si rinfrescò il viso e si guardò. Sorrise. Vediamo se quella persona poteva essere utile. Il suo istinto non lo deludeva quasi mai. Aveva chiamato anche Shou. Sarebbero andati a testare immediatamente le sue capacità canore, ma anche, per la gioia di Heiji, psicologiche.

 

 Aggressiva e seducente la voce di Halsey aveva portato Hikari quasi in trance. Se  ne stava appoggiata alla vetrata, cuffiette nelle orecchie, nella hall di ingresso di  uno dei palazzi più lussuosi in cui era mai stata. Al primo piano, dall'entrata  principale si accedeva direttamente ad un centro commerciale enorme. Solo dal  sesto piano in poi iniziavano gli appartamenti privati. Lei era entrata dall'ingresso  dei residenti, come le aveva detto Heiji a telefono. Hikari aveva deciso che non si  sarebbe fatte troppe domande su di lui. Non le piaceva però probabilmente era un  bravo musicista, e a questo lei bastava. Si voleva concentrare su se stessa, sulle  sue capacità. Era su se stessa che doveva lavorare se voleva sfondare il quel  mondo. Doveva essere la migliore.

 Aveva pensato tutto questo nel tragitto sotto la pioggia. Aveva le gambe scoperte  e la giacca della divisa bagnata. C'era un po' freddo e tremava. Ma sapeva bene che in realtà quella era solo ansia. Voleva dimostrare le sue capacità e allo stesso tempo era terribilmente curiosa di capire quale fosse il suo livello. Era presa dai suoi pensieri quando dall'ascensore di fronte a lei se ne uscì un ragazzo alto, magro e sorridente. Indossava una camicia bianca aperta sul collo e un paio di pantaloni semi-formali neri. Non erano aderenti eppure riuscivano a dare alla gamba un taglio slanciato.

-Ciao. Ben arrivata. Seguimi, ci aspettano al Veil of Shadows- disse Heiji. Non aspettò nemmeno una sua risposta, ma salì i tre gradini a fianco agli ascensori. Hikari non disse nulla e lo seguì su per gli scalini. Fece un profondo respiro.

-Agitata?- chiese lui continuando a camminare nel corridoio.

-Il giusto- disse lei. Hikari si sentiva un topo da laboratorio quando c'era Heiji nei paraggi. Aveva come la percezione che lui notasse e giudicasse ogni suo singolo comportamento.

-Esatto. E' giusto così. Non preoccuparti troppo però. Se deve andare andrà, altrimenti ci saranno altre occasioni- disse lui quasi per confortarla.

-E' strano detto da te- disse Hikari un po' sorpresa.

Heiji sorrise divertito ma non disse nient'altro. Era una delle formalità tipiche della società civile quella di infondere finto coraggio. Però doveva ammettere di essere curioso. Sperava che fosse brava a cantare, un po' per verificare se il suo intuito c'aveva azzeccato anche sta volta, un po' perché così avrebbe risolto un problema.

Si stava dirigendo verso una porta nera blindata, ignorando le scale alla sua destra che salivano ai piani privati. Hikari sapeva dove stavano andando, conosceva il locale di nome, ma non c'era mai stata. Il Veil of Shadows era una discoteca che si trovava sottoterra. Si accedeva passando per il centro commerciale e scendendo la grande scalinata di vetro. Non era mai scesa, e non aveva idea di come fosse all'interno. Sapeva solo che due grandissime porte scorrevoli erano l'ingresso e che erano sempre presiedute da una squadra di buttafuori in giacca e cravatta. Eppure si domandava come potesse essere aperta alle 17 del pomeriggio. Come se Heiji le avesse letto le parole nel pensiero disse aprendo la porta.

-il fratello del Prof è il gestore del Veil, ci lascia usare il locale come sala prove durante il pomeriggio. Ah a proposito, ci sarà anche lui probabilmente e anche il nostro chitarrista.- disse Heiji in attesa di vedere una reazione da parte di Hikari. Hikari cercò di rimanere immobile e di non esprimere nulla. Non le piaceva essere sondata così. L'idea che qualcun altro la stesse ad ascoltare un po' le aveva messo ancora più ansia. Ma anche questo era calcolato. Heiji voleva vedere come reagiva alla tensione, se era in grado di sopportare lo stress di essere messa alla prova. Hikari fece un altro profondo respiro e mandò mentalmente a quel paese Heiji.


NA
Scusate il ritardo, ma sono finalmente tornata! Finita la sessione estiva ora ho tutta l'estate per morire su penale :D ma don't worry, entro settembre vorrei finire di scrivere tutta White Day. Nel frattempo se non sapete cosa fare, mi trovate anche qui sul mio canale YT, così vedete chi sono, che faccia ho, e scoprite uno degli amori della mia vita. E' inutile dire che se vi iscrivete sarebbe un onore! Anyway grazie per il supporto a tutti! Al prossimo capitolo :D 

Elena :) 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Come falene ***




21 Marzo, Tokyo, quartiere di Ikeburo. Veil of Shadows.

Appena le porte si aprirono Hikari e Heiji vennero investiti dall'oscurità. Le luci soffuse aranciate e violacee illuminavano i tavolini, le sedie alte, il bancone, i divanetti e persino le bottiglie di alcolici esposti in bella vista sulle mensole. Una grandissima sala si apriva sotto i nostri occhi, mattonelle a specchio per terra, lampadine al neon qua e là. Tutto era arredato in modo elegante ma contemporaneo. Di lato c'era il piano bar e tutti i divanetti. La pista da ballo era vuota in quel momento, solo una console a farle compagnia. La stanza dava poi su un corridoio, dal pavimento illuminato da tante luci rosa e azzurre.

Era strano vedere deserto un locale che di solito doveva essere ricolmo di gente. Essere lì in quel momento faceva sentire Hikari un po' importante. Lei che non era nemmeno mai entrata in una discoteca, poteva addirittura andare a farci le prove. Hikari si domandava che cosa ci fosse di particolare in quei locali. Perchè la gente preferiva un posto piuttosto che un altro? Le sembrava alla fin fine fosse un bar come tutti gli altri, solo arredato in maniera più artistica.

Heiji entrò e alzò una mano in segno di saluto. In tutta la stanza c'erano solamente due persone: un uomo vestito da barista che stava lucidando un bicchiere, e una donna vestita in tailleur seduta sullo sgabello di fronte a lui. Sembravano chiacchierare come se fossero vecchi amici. La donna teneva con la mano destra un bicchiere di vino, che faceva agitare ogni tanto.

-Shou è già arrivato?- chiese Heiji in direzione dell'uomo.

-No. C'è già Ren però, è nella sala rosa.- rispose lui. Ritornò a parlare con la donna.

Hikari seguì Heiji imboccare il corridoio illuminato. Tutt'attorno alle pareti c'erano scritte che si coloravano al loro passaggio. Hikari era molto sorpresa e anche affascinata da quella realtà così lontana dalla sua. Era tutto così finto, artefatto e plastico.

Si fermarono di fronte a una porta nera, di quelle spesse e pesanti, blindate ed ignifughe. Heiji aprì la porta e di fronte a loro si aprì una stanza enorme. Lo stile era lo stesso, ma i colori delle luci erano rosa e viola. C'erano tantissimi divanetti, mancava la pista da ballo, ma al centro di tutto il locale si sviluppava una pedana rialzata circolare. Sopra, irradiato dall'unica luce bianca in tutta la sala, quasi come il bagliore della luna che trapassa le nuvole, c'era un pianoforte.

Laccato di nero, firmato in oro Steinway and sons, la luce bianca lo investiva e ne risaltava le forme, le curve. Il coperchio superiore creava ombra, eppure la cordiera brillava di argento. A Hikari sembrava essere di fronte ad un essere magico, mitologico. Quello strumento era lì, solo, quasi in attesa di qualcuno che gli permettesse di esprimersi.

Hikari sapeva che quello era un signor pianoforte. Sapeva pure che quella non poteva essere una semplice discoteca per contenere un cavallo da novanta come quello. Entrambi si avvicinarono sempre di più al piccolo palco, le iridi nere di Hikari puntate sullo strumento. Al suo fianco il microfono e l'asta erano già in posizione.

Heiji si guardò velocemente in giro. Erano soli.

-Rimani qui. Vado a chiamare Ren. Intanto bastiamo noi due- disse il giovane. Hikari annuì incantata dall'atmosfera in cui era immersa. Heiji le passò a fianco, ma lei nemmeno lo vide. Si sentiva attirata, chiamata da quello strumento. Fece un passo, salì i gradini e si ritrovò sulla grande pedana. La luce bianca ora investiva anche i suoi capelli neri e la sua divisa.

I tasti bianchi e neri la seducevano in attesa di una sua reazione. Sembravano essere lì, sospesi in un tempo infinito, fiduciosi che qualcuno degno di loro sarebbe arrivato.

Hikari nemmeno si accorse di come successe, tutto ad un tratto era seduta. Suonava.



NA
Ciao :)
sono tornata! Ecco il nuovo capitolo. Spero di essere riuscita a rendere la situazione, l'atmosfera quasi sensuale che nasce tra un artista e lo strumento che permette di esprimere la sua arte. Non lo so, mi piacerebbe un vostro feedback, per sapere se vi ho lasciato qualcosa! Detto ciò buone vacanze a tutti! :D

un super bacio,
Elena

ps. mi trovare anche su FACEBOOK oppure sul mio nuovo canale YT 


 

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Capitolo 14
*** Mitologia ***


CLICCA QUI PER LA CANZONE 

Quando Heiji rientrò nella sala insieme a Ren, era in silenzio. Ren sapeva che essendo la ragazza una studentessa del Collegio Furinkan probabilmente se la cavava a cantare. Era comunque curioso. Shou invece doveva ancora arrivare ma ci teneva a esserci. Stava uscendo dal lavoro in quel momento, e con un po' di fortuna sarebbe arrivato in tempo. Heiji invece era in attesa. Era terribilmente curioso ed elettrizzato, voleva vedere se ancora una volta aveva avuto ragione. Ecco perché quando loro due entrarono non dissero nulla. Rimasero sorpresi dal silenzio, interrotto da un respiro quasi impercettibile amplificato dal microfono. La luce bagnava la figura di Hikari e le curve del pianoforte. Le due sagome sembravano appartenere ad una dimensione lontana e misteriosa, quasi fatata. Le dita sfiorarono i tasti, il suono occupò tutta la stanza, e i due giovani rimasero incantanti.

Era una melodia delicata, triste a tratti. Aveva una vena di rassicurante speranza, scandita dai martelletti. Si fermava, come per lasciare tirare un sospiro allo strumento, e poi riprendeva, sempre un po' più forte, un po' più decisa, un po' più sicura. E poi Hikari iniziò a cantare.

-Take off- cambiò tasto.

-all of your skin- increspò le sopracciglia.

-and brave, when you are free- chiuse gli occhi. Si fermò, riprese.

-Shake off- con delicatezza.

-all of your sins- con vigore. Poi quasi si fosse scottata, continuò incerta.

-and give them to me-

Hikari si sentiva un tutt'uno con il piano. Era una denuncia, era un inno al coraggio. Aveva paura, si sentiva triste ma anche speranza le riscaldava il cuore. Noi siamo vivi diceva il ritornello. La famiglia che aveva perso, gli occhi di suo fratello, i sorrisi spezzati di zia Kaori, e le stelle del suo balcone oscurate dallo smog le tornavano in mente. Andava avanti e si sentiva sempre più decisa. Era una dichiarazione di profondo amore nei confronti di tutto quello che era stata, di quello che aveva passato, ma anche di quello che sarebbe diventata. Una dichiarazione d'amore alla musica, che la toccava nel profondo e portava a galla tutto quello che provava con forza. Hikari era felice.

 

 

Nel momento stesso in cui Hikari finì di suonare, Ren scoppiò in un applauso fragoroso. Era commosso. Era convinto che quella ragazza avesse un'anima per la musica. Erano bastati quei pochi secondi per capire che la sua non era solo tecnica. Lei stava dando tutta se stessa, stava trasformando in parole, in suone, in note, quello che provava. Era un'artista. Anche se dal punto di vista tecnico, si poteva ancora migliorare, la parte più importante c'era: quella ragazza era convincente. Se trasmetteva emozioni, allora era fatta. Il canto si può imparare, così come qualsiasi altro mestiere. Quello che non si può imparare è la sensibilità. Ren lo sapeva e aveva sentito qualcosa provenire da lei.

A suo fianco Heiji puntava i suoi occhi di sfida contro Hikari, le braccia appoggiate sui fianchi, la testa leggermente inclinata all'indietro. Si godeva ancora una volta il momento in cui aveva fatto centro, in cui aveva riconfermato la sua capacità a leggere le persone. In quel momento la porta dietro di loro si spalancò.

Shou entrò, la chitarra sulle spalle, il fiatone, i capelli fradici. Non fece in tempo che alzare lo sguardo verso i suoi compagni, che i suoi occhi incrociarono la figura di Hikari curva sul pianoforte. I suoi occhi si spalancarono. La riconobbe immediatamente. Era la sua vicina di casa.

Hikari che fino a quel momento era stata come in trance, si rese conto che Heiji e Ren la stavano guardando e l'avevano giudicata. Si voltò verso le tre figure. La luce su di lei, le impediva di vedere bene i tre ragazzi nell'oscurità della stanza. Si alzò e coprendosi dalla luce con una mano, si avvicinò alle scalette. Fece qualche scalino e vide anche lei il suo vicino di casa. Rimase con le labbra schiuse.

-Ma tu sei...Sasaki-kun- disse Hikari sorpresa. Le venne immediatamente in mente la sera prima, quando lo aveva ascoltato suonare fino a tardi. Si era persino addormentata sul piccolo sdraio. Poi ad un tratto Shou si era allungato dal suo balcone, e le aveva toccato in qualche modo la spalla. L'aveva svegliata e le aveva allungato una tazza di the fumante. Poi era rientrato ed era andato a dormire, lasciando la tazza e Hikari insieme.

-Tanaka-san? Non sapevo cantassi- disse Shou riprendendosi dopo quel momento di sorpresa. Non si aspettava di rivedere ancora quella ragazza. Si rese conto che aveva ancora la sua tazza preferita. Le aveva preparato del the per ringraziarla della compagnia e della sua gentilezza. Nonostante gli mancasse da morire Misaki, e nonostante subito avesse rpeferito stare da solo, alla fine la sua presenza l'aveva tranquillizzato. Non aveva voluto sapere di più ed era rimasta ad ascoltarlo fino a notte fonda. C'era qualcuno ad ascoltare il suo rancora, la sua rabbia, la sua frustrazione e questo lo aveva incredibilmente rasserenato. Era riuscito persino a dormire dopo. Prepararle del the era stato il minimo. Si rendeva conto che avrebbe potuto chiedere di smettere di suonare, che era tardi. Invece non solo aveva capito, ma era rimasta a fargli compagnia. Si era sentito incredibilmente solo, perché quella ragazza non sapeva nulla, e non era nemmeno Misaki, eppure si erano sentito incredibilmente in pace. Era un sentimento difficile e contrastante, però da quella notte, aveva cominciato ad accettare l'idea che Misaki non c'era più nella sua vita.

-Oh, vi conoscete?- disse Heiji voltandosi verso Shou. Quella si che era una situazione interessante. Heiji aveva alzato un sopracciglio sorpreso e aveva prima guardato Shou, e poi Hikari.

-Si...siamo vicini di casa- disse Shou spostando gli occhi scuri sull'amico.

-Che coincidenza- disse Ren sorpreso anche lui -comunque Tanaka-san, dopo la tua performance, direi che sei dei nostri- continuò lui facendo un passo in direzione di Hikari. La ragazza nel frattempo aveva sceso tutti gli scalini e si era avviata verso di loro un po' titubante. Shou l'aveva trapassata con lo sguardo, e ora tutti e tre erano rivolti verso di lei. Hikari si chiedeva se Shou l'aveva sentita cantare. Non sapeva cosa pensare. Quella esibizione, pur essendo stata solo una prova, le aveva fatto tirare così tanto fuori, così tanto di se stessa, che ora capiva il silenzio di Shou della sera precedente. Era come se si fosse spogliata e avesse detto a tutti “guardatemi”.

-Io me la sono persa- disse Shou guardando l'ex professore.

Hikari si sentì delusa subita. Aggrottò le sopracciglia e cacciò via quella sensazione. Non aveva alcun senso sentirsi delusa dal non essere stata giudicata.

-Avrai occasione durante le prove. Se il Prof è d'accordo, allora non abbiamo più alcun dubbio- disse Heiji divertito. Guardava Hikari con una luce di aspettativa e superiorità. Tutto era andato secondo quanto previsto.

-Il 7 luglio vinceremo e tu sarai la cantante-

 

 

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Capitolo 15
*** Pianificazione ***




21 Marzo. Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

Aveva smesso di piovere. I gradi erano crollati e ora c'era freddo. Un freddo penetrante, arricchito dalle sferze gelide del vento. Ma anche quella era primavera.

Hikari sedeva in una delle caffetterie del centro commerciale, una tazza fumante di te, e tre giovani che le facevano compagnia. Era la prima volta che sedeva con tanti ragazzi, semi sconosciuti. Tra l'altro erano anche più grandi di lei e si sentiva un po' in soggezione, anche se non lo avrebbe mai ammesso. La presenza del Professor Takahashi faceva sembrare tutto così strano: di solito si manteneva a molta distanza dai professori. Soprattutto nel collegio Furinkan, formalità, freddezza ed eleganza erano l'elemento distintivo di tutto il corpo docenti. Era così che dovevano uscire le allieve: belle, fredde, eleganti e determinate. Hikari non sapeva se rispecchiarsi in quella descrizione, anche se di certo era consapevole di non essere una ragazza molto loquace.

Shou si stava gustando il caffè con una fetta enorme di torta al cioccolato. Sembrava quasi un bambino, gli occhi famelici indecisi su quale parte assaggiare per prima. Heiji invece aveva di fronte a se un espresso, così come il professore.

Erano usciti dal Veil of Shadows per poter parlare senza disturbare il fratello di Ren. Inolre si stava cominciando a fare tardi e presto Hikari sarebbe dovuta tornare a casa. Quella sera gli zii erano a cena da amici e lei avrebbe dovuto badare a Miharu. Era il loro unico figlio, e nonostante zia lo avesse avuto tardi, quasi vicino alla menopausa, era stata una gioia. Miharu aveva solo qualche anno e quindi quella sera Hikari si sarebbe assicurata che non avesse alcun problema. Per cui alle sette doveva essere assolutamente a casa.

-Mancano pochi mesi al Tanabata. In questi giorni cercherò di capire chi sono gli altri concorrenti. Una cosa è certa, in giuria ci sarà Muramasa. Questo significa che vincere ci porterà ad avere abbastanza successo e fare un EP.- disse Heiji guardando tutti i suoi interlocutori.

-Se va come l'anno scorso, è la volta che non mi laureo più- disse Shou, che nonostante con il cucchiaino da dolce stesse dividendo languidamente la fetta di torta, stava seguendo la conversazione.

-Perchè?- chiese Hikari incuriosita. Stava guardando nel suo piatto e doveva ammettere che quella fetta sembrava terribilmente buona.

-C'è da lavorare ragazzi- disse Heiji appoggiando i gomiti sul tavolino. Appoggiò il viso sulle dita incrociate, guardando avanti verso qualcosa di indefinito. Vedendo qualcosa che gli altri non riuscivano a distinguere.

-Allora, per quanto riguarda i tre brani di repertorio, pensavo di fare tutto completamente nuovo- disse Takahashi sensei.

Hikari sentiva di respirare aria di determinazione e ambizione. Senza nemmeno rendersene conto stava pian piano innamorandosi di quell'ambiente, di quell'atmosfera. Voleva vivere così. Vedendo i suoi sogni come obiettivi raggiungibili e lavorando arrivarci.

-Assolutamente si. Non possiamo presentarci con qualcosa che abbiamo già fatto- disse Shou, continuando a sezionare la fetta di torta, cioccolato da una parte, rose di zucchero dall'altra.

-Concordo. Iniziamo le prove la settimana prossima. Teniamoci buoni i weekend, tanto nessuno di voi ha ragazze, e anche se ci fossero, questo ha la priorità- disse Heiji guardando uno ad uno, per sondare la loro responsabilità. Tenne per ultima Hikari. A giudicare da come si era comportata con lui fino a quel momento avrebbe detto non avesse un ragazzo. Chi non avrebbe storto il naso a sapere che la propria ragazza stava andando a incontrare dei ragazzi per suonare in una band? E poi se era davvero innamorata si sarebbe fatta qualche scrupolo ad accettare di andare a casa sua quel giorno. No, pur essendo sempre stata un po' sulla difensiva nei suoi confronti, era sempre stata disponibile. Ed infatti annuì impercettibilmente. Aveva indovinato ancora.

-Io entro la settimana prossima vi porto il primo pezzo. Poi ci lavoriamo insieme- disse Takahashi sensei.

-Io suono il pianoforte e la chitarra. Non so se può essere utile- disse Hikari.

-Certo, ottimo. Così possiamo lasciare più spazio a Shou per gli assoli- disse Takahashi grattandosi il mento. Era una informazione di cui tenere conto, anche se effettivamente doveva capire quali fossero le capacità di Hikari con lo strumento a corde.

-Bene. Direi che ci aggiorniamo prossimamente. Intanto abbiamo risolto un problema. Ci vediamo sabato prossimo al Veil of Shadows allora- disse Heiji alzandosi. Aveva improvvisamente fretta. Ora che aveva risolto quella situazione, aveva altri pensieri per la testa. Doveva finire di sbrigare alcune cose per lavoro e anche per il loro concorso.

Hikari controllò l'orologio e si rese conto che se voleva essere a casa alle sette avrebbe dovuto correre come una disperata. Bevve il the tutto d'un sorso e si alzò.

-Scusate ma devo correre a casa perché mi aspettano. Vi ringrazio per avermi coinvolta, è veramente importante per me- disse lei inchinandosi. Era vero. Non aveva avuto occasione per ringraziarli, ma le sembrava ancora incredibile di poter finalmente salire su un palco.

-Bene. Direi che allora ci vediamo la settimana prossima- disse Takahashi finendo il suo caffè e alzandosi. Shou li guardava sorpreso. Aveva ancora la fetta di cioccolato da assaporare e se ne stavano andando via tutti.

-Ma come, mi lasciate così?- chiese lui sorpreso. A Hikari quell'espressione faceva tenerezza. Sarebbe rimasta ad aspettarlo, ma doveva proprio andarsene.

-Io ho mio fratello di due anni a casa da solo- disse lei quasi scusandosi. Shou guardò gli altri suoi amici, ma non vedendo alcuna risposta sospirò. Si voltò alle loro spalle e chiamò la cameriera.

-Me lo incarta per favore?- disse allungando quello che era rimasto della torta. La cameriera non disse nulla, ma dal suo viso era evidente che non sapeva da che parte iniziare per sistemare quel disastro.

-Hikari, sono in motorino. Se vuoi ti do un passaggio- disse Shou subito dopo.

Hikari si sentì leggermente imbarazzata. Avrebbe voluto dire di no, perché beh, non aveva molta confidenza, però non le veniva in mente nessuna scusa carina da usare.

-Beh ragazzi, vi saluto- disse Ren andandosene.

Heiji aveva guardato la scena e aveva già tratto le sue conclusioni. Non disse nulla perché effettivamente non avrebbe saputo cosa dire. Era perplesso e per la prima volta non espresse un giudizio. Se quei due avessero iniziato ad uscire sarebbe andato bene per il concorso? Decise di rimandare la risposta ad un altro momento, visto che stranamente non sapeva cosa dire.

 

NB.
scusate per il ritardo, ma sono tornata :) 
non succede molto in questo capitolo, ma serve per il prossimo. In relatà la nostra Hikari pian piano sta svegliando i suoi ormoni (specialmente nel prossimo capitolo) e si troverà a provare qualcosa che non ha mai provato, che le scombussola le giornate. Già che ci sono voglio ringraziarvi per il supporto che mi date anche durante queste vacanze! Vi volevo dire che questa storia è in contemporanea con la pubblicazione su Wattpad, per cui se ci siete anche lì e magari vi trovate più comode, vi lascio il link. Colgo l'occasione per dirvi che mi trovate anche su YT, dove ogni sabato tengo una piccola rubrica "giuridica", cioè vi spiego le cose di tutti i giorni ma dal pdv giuridico. Non so, per es quello che pagate quando comprate un volo aereo, oppure la pubblicità occulta che ci sorbiamo sui social ogni giorno. Questo il sabato, un altro giorno della settimana a caso, di solito parlo di libri che ho letto/ film che ho visto/ drama che ho amato. Grazie per tutti quelli che ci faranno un salto. Un super bacio dalla Sardegna e buone vacanze!

Elena :) 

 

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Capitolo 16
*** La velocità dei sentimenti ***


21 Marzo. Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

Quando Shou le allungò il casco, Hikari era emozionata e terrorizzata al tempo stesso. Era sceso il freddo, ma in motorino avrebbe fatto decisamente presto. Avrebbe potuto sopportare quella temperatura. Shou era tranquillo. Aveva estratto il casco per lei da sotto la sella, mentre lui se l'era fatto prestare da Heiji. Avrebbe dovuto attraversare tutto il quartiere in quell'ora di punta in 5 minuti per poter essere a casa in orario.

Hikari in quel momento non era preoccupata per l'orario, ma per la proposta che aveva accettato. In fondo lei non conosceva per niente quel ragazzo che le stava dando un passaggio. Nonostante fosse il suo vicino di casa, nonostante lo avesse visto piangere e lo avesse ascoltato sfogarsi, non sapeva nulla. Non sapeva nemmeno il motivo della sua tristezza.

Non sapeva se fidarsi, però ormai aveva già detto di sì e quello sarebbe stato l'unico modo per tornare ad un orario decente. Per fortuna aveva smesso di piovere nel frattempo.

Shou vedendo che Hikari non riusciva ad allacciarsi il casco, le si avvicinò e divertito strinse la cinghia per lei. Hikari non era abituata a tutta quella vicinanza con un ragazzo.

-Come lo senti?- le chiese lui, cercando di capire se aveva stretto troppo.

-Bene- disse Hikari con un filo di voce. I suoi occhi neri non riuscivano a guardarlo, mentre non sembrava lo stesso per Shou. Hikari poteva sentire il profumo del cioccolato. Il collo, la giacca aperta, la barba accennata, gli occhi scuri. Si rese conto che stava osservando incuriosita tutti quei dettagli di Shou. Increspò leggermente le sopracciglia confusa.

Shou fece un passò allontanandosi da lei e le indicò con le mani il motorino.

-Prego- disse lui sorridente.

Hikari non disse nulla, sorpresa da se stessa, dalla reazione che stava avendo, e da quella situazione nuova. Si sedette sul motorino, come si sedevano le principesse a cavallo, a cavalcioni, mani rigide sulla gonna di lana. Le parigine erano ben alte e previdente come al solito, portava sotto la gonna dei pantaloncini cortissimi.

Shou si chiuse il casco, salì sul motorino.

-Attaccati che facciamo in fretta- disse lui prendendo le mani di Hikari e portandosele ai fianchi. Hikari non avrebbe mai fatto quel gesto da sola. Tutta quella situazione era nuova e non sapeva come comportarsi. Sembravano quasi insieme. Strinse le mani sui fianchi di Shou e partirono.

Sfrecciarono tra le vie intasate dal traffico, dai rumori e dallo smog. C'era umidità mista a gas dis carico delle auto e Hikari sapeva che giunta a casa i suoi capelli avrebbero preso quell'odore.

Nonostante Shou le avesse garantito che avrebbero fatto in fretta, era costretto a fermarsi molto spesso per via di semafori, di macchine che si lanciavano in mezzo alla strada. Hikari era sorpresa da come il mondo potesse passarle a fianco così velocemente. Si sentiva un po' in bilico. Stringeva con forza la giacca di Shou, terrorizzata dal fatto che se si fosse mossa troppo magari lui avrebbe perso l'equilibrio. Era come correre sul ciglio del burrone, sapendo che se ti comportavi bene non sarebbe successo nulla. Era una sensazione strana. Nemmeno si rese conto delle strade che percorsero. Improvvisamente si ritrovò nel parcheggio all'aperto della palazzina in cui abitavano. Shou ad un tratto si fermò, e Hikari, imbarazzata per aver stretto le sue mani ai suoi fianchi, mollò la presa, quasi scottata. Non voleva che trapelasse quanto quel semplice gesto era stato emozionante per lei.

-riesci a saltare giù?- chiese Shou voltandosi verso di lei. Hikari non se lo fece ripetere due volte e in qualche modo scese. Shou appoggiò i piedi per terra e accompagnò il motorino nel parcheggio. Scese e velocemente, tolse le chiavi e mise il cavalletto.

Hikari era rimasta affascinata da tutto quello che aveva fatto. Nel mettere il cavalletto aveva dovuto impuntare il piede dietro per terra e tirare indietro con le braccia. In quel momento aveva stretto la mandibola e il muscolo del collo per un attimo si era teso. Hikari era sorpresa. Non capiva tutte quelle sensazioni, non capiva il perché, il motivo di tutte quelle emozioni così improvvisamente. Era insensato. Era rimasta imbambolata a guardarlo, non sapendo cosa dire o fare. Sentendosi ridicola improvvisamente aveva cercato di sganciare il casco, ma non sapeva da che parte iniziare.

Shou si era slacciato in pochissimo la sicura e si era voltato verso di lei, ancora il casco in testa, i gancetti penzolanti. Vedendola così imbranata aveva sorriso e l'aveva raggiunta.

-Vieni qui, ti faccio vedere- disse lui divertito. Hikari non era preparata alla sua vicinanza di nuovo.

Le si avvicinò, i suoi occhi puntanti sul gancio, le sue mani che armeggiavano vicino al collo di lei. Hikari deglutì cercando di non guardarlo.

-Ora è slegato. Guarda con il mio- disse lui facendo un passo indietro. Cominciò a farle vedere come fare, ma Hikari non seguiva molto quello che stava dicendo. Si sentiva le guance in fiamme, ed era preoccupata lui in qualche modo se ne rendesse conto.

-Okay adesso prova- disse lui chiudendosi la sicura. Come se le avessero fatto un pizzicotto, Hikari si rese conto che lui si aspettava una reazione. Lei si concentrò e si impose di spostare l'attenzione su quel maledetto gancetto. Allungò le mani verso di lui e si rese conto che il meccanismo era di una semplicità disarmante.

-Ma è così semplice!- disse più a se stessa che al ragazzo.

-Te l'avevo detto- disse lui sorridendo.

Per un attimo si guardarono negli occhi, per qualche istante si ricreò quella stessa atmosfera di comprensione di qualche sera prima. Per qualche secondo ci furono solo loro due. Hikari con le mani delicate sul suo casco, Shou con la testa piegata nella sua direzione.

Poi entrambi ruppero l'incantesimo. Hikari si allontanò, abbassò la testa e si sfilò il casco imbarazzata. Shou spostò gli occhi e si schiarì la voce.

-Hikari! Finalmente! Ti ho chiamata al telefono ma non mi rispondevi!-

Zia Kaori spuntò dal balcone del suo appartamento, incurante che tutta la palazzina e tutto il vicinato potesse sentirla. Hikari si voltò verso di lei, ringraziandola mentalmente per averla tolta da quel momento imbarazzato.

-Si zia arrivo!- disse lei allungando il casco a Shou. Lo salutò velocemente e scappò in direzione della porta di ingresso. Shou prese il casco e senza dire niente si avviò verso il portone.. Come varcò la porta, la solitudine lo investì come un treno. Erano passati quasi 10 giorni da quando Misaki se ne era andata. Quel piccolo momento di svago era finito, e ne la torta al cioccolato, ne Hikari potevano farci qualcosa.

NA
Ciao a tutti :)
ecco l'atteso giro in moto con Shou! Qualcuno qui si rende conto di qualcosa finalmente! Finalmente un passo avanti raga! Qui in veneto si dice : " dai che ghe la femo!" per dire che finalmente si riesce a combinare qualcosa. Beh, più che dire qualcosa io, vorrei sapere cosa ne pensate VOI del capitolo, cosa vi ha convinto e cosa no, quali sono i vostri dubbi suiprossimi sviluppi! 

Bacio,
Elena :) 

 

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Capitolo 17
*** Attaccare è difendersi ***




23 Marzo. Tokyo, quartiere di Shibuya.

Heiji guardava da dietro il vetro della sala regia il suo lavoro. Quella che doveva sembrare la nuova stella della Zeta Records stava litigando con il suo ragazzo, ossia il suo datore di lavoro. Il suo ragazzo infatti era il capo della baracca, il grande Zenda, rapper adorato dalle folle e adesso produttore discografico: Heiji aveva un appuntamento con lui per un'intervista. Heiji era stato avvertito che quella mattinata Zenda sarebbe stato impegnato, ma essendo l'unico giorno libero tra altre interviste e altre cose importanti da fare, aveva dovuto accettare. Le domande gliele avrebbe fatte in pausa pranzo. Tanto ormai erano le due e quella ragazzina dai capelli fluo rosa era visibilmente stufa e stanca. Zenda era un perfezionista e come tale pretendeva da tutti il meglio del meglio. Aveva ragione.

Heiji era già entrato in uno studio di registrazione: gli piaceva l'ambiente. Tutta quella strumentazione, il mixer, i microfoni, le casse stereo. In quelle due stanzette si respirava creatività, e per lui era molto meglio di qualsiasi altra droga.

In quel momento entrò nella sala regia una ragazza, occhiali da sole, capellino bianco da baseball calato sugli occhi, alle spalle la custodia di una chitarra. Heiji la guardò. Il suo cervello scattò subito nel cercare di riconoscerla. Di solito chi si copriva così era un artista famoso, che aveva dovuto camuffarsi per raggiungere la sala si registrazione senza essere fermato ogni cinque metri.

-Ciao Gwen. Cercavi Zen? - chiese uno dei due giovani al mixer.

-Esatto- disse lei guardando Heiji da dietro le lenti.

Heiji rapidamente scorse i nomi di tutti quelli che potevano aver un così stretto rapporto con Zenda, chiamarsi Gwen e girare vestito in quel modo. Giunse alla conclusione che doveva essere un compositore. Non aveva mai sentito il nome, presumibilmente d'arte, visti i lineamenti giapponesi, però era di sicuro un musicista, e aveva uno stretto rapporto con il produttore. Qualcosa in lui gli aveva suggerito compositore, ma sapeva che poteva essere benissimo anche un amica, o un artista emergente o chiunque altro.

La ragazza fece un passo avanti, si tolse gli occhiali da sole e non nascose apertamente la sua curiosità nei confronti di Heiji.

-non ti ho mai visto- dichiarò lei.

-nemmeno io se per questo- rispose divertito Heiji.

Per nulla intimorita fece qualche passo in direzione di Heiji e si fermò di fronte a lui. Il ragazzo stava seduto a gambe distese, mani nelle tasche e la guardava divertito, in attesa di verificare se la sua deduzione era corretta. Heiji notò che i ragazzi dietro Gwen gli avevano fatto delle facce preoccupate, dei gesti con la mano come per suggerire di darsela a gambe.

Gwen e i suoi lunghissimi capelli neri si abbassarono per avvicinarsi a Heiji. Quella ragazza aveva due occhi scuri e la pelle chiarissima. Portava una felpa blu il doppio di lei e una gonna cortissima in jeans. Le adidas total yellow contrastavano con i calzini blu.

-Io sono Gwen, le persone che non stanno alle mie regole mi irritano molto. Per me è una cosa logica, ma per la società, che mi ha ettichettato come sociopatica, no. Odio quando mi si manca di rispetto, odio quando le persone mi fissano con quel ghigno di superiorità, odio quando anche gli insetti come te, non sanno stare al loro posto- disse lei avvicinandosi molto al viso di Heiji. Sembrava quasi a un passo dal baciarlo. Ma la vicinanza fisica era tutta studiata per incutere più timore, e questo Heiji lo sapeva. Perchè anche lui la usava. Azzerare lo spazio con l'altro, avvicinarsi per fare paura. Sociopatica? Lei? Bugie. Heiji sapeva bene che quella non poteva essere sociopatica, perché il sociopatico tra i due era lui. Al massimo poteva essere bipolare, per la reazione esagerata che stava avendo. Ai matti bisogna sempre dar ragione.

-Allora Gwen ti chiedo scusa. Sono un giornalista – disse Heiji tirando fuori il tesserino – e ho un appuntamento con Zenda per fargli un'intervista. Ti ho guardata perché hai aperto la porta e non c'era niente di più interessante da guardare- disse Heiji con un finto sorriso dispiaciuto.

-Me ne vado. Dite a Zen che sono passata. Ho da parlare con lui urgentemente- disse Gwen voltandosi verso gli altri due nella stanzetta, ignorandolo completamente. Vedendo i due annuire, sospirò come se avesse fatto una grande fatica, si passò una mano tra i lunghissimi capelli neri e si voltò. Senza più degnare di considerazione nessuno, uscì dalla porta.

Calò il silenzio. Heiji stava per aggiungere qualcosa quando uno dei tecnici si voltò verso di lui e fece segno di zittirsi. Solo dopo qualche altro secondo, sentirono la porta richiudersi.

Aspettarono ancora qualche secondo in silenzio. Quella ragazza non era sociopatica, ma di sicuro non aveva tutte le rotelle al loro posto. La reazione che aveva avuto era stata spropositata.

-Non fare mai arrabbiare Gwen... è la compositrice di Zenda, è un genio per quanto riguarda la musica, ma non è in grado di trattare con le persone. Come hai visto, ha queste reazioni...ogni tanto però- disse uno dei due a bassa voce.

-Con tutti quelli che entrano in studio e non conosce, ha questa sorta di reazione di difesa...- disse l'altro.

-Non credo che comunque sia sana- sentenziò Heiji sbadigliando. I matti non lo interessavano per niente. La loro patologia era già scritta sulla carta. Quelli interessanti, quelli imprevedibili erano gli esseri umani. E a lui interessavano solo quelli funzionanti: solo così poteva studiarli, capirli e in alcuni casi romperli. Questo lo faceva sentire bene e soddisfatto.

-non lo credo nemmeno io...ma infatti ho sentito che ha avuto una brutta infanzia e che è seguita da qualcuno- disse uno dei due. In quel momento la loro conversazione fu interrotta da Zenda che rientrava in sala regia. Lui e la sua ragazza avevano deciso di abbassare le armi, di concedersi un armistizio almeno per la pausa pranzo. Per la gioia di Heiji.



NB.
Scusate il ritardo D: sono tutti tornati dalle ferie in consiglio comunale, quindi mi tocca un po' correre insieme ai funzionari per organizzare gli eventi per l'autunno. Detto ciò veniamo alla storia: questo capitolo sembra un po' fine a se stesso, in realtà serve ad introdurre un personaggio, il primo persoanggio contro cui Hikari dovrà confrontarsi. Prometto che il prox capitolo sarà più dolce e romantico, ma mi serviva presentarvi un'altr asquilibrata, o almeno presunta, visto che Heiji è il nostro psyco per eccellenza. Detto ciò, grazie a tutti quelli che continuano a leggere questo piccolo esperimento :) vi ricordo che ci sono anche su Wattpad, dove magari trovate i capitoli con qualche immagine in più. Inoltre mi trovate anche su YT :D ma lì parlo di altre cose, ma se volete comunque venire a trovarmi basta che scriviate "Elena Lucia Zumerle" sulla barra di ricerca e vi facciate guidare dal vostro istinto :D
Detto cio, bacione enorme a tutti :)

Elena 

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Capitolo 18
*** il primo amore ***



24 Marzo. Tokyo, quartiere di Ikebukuro.

Shou stava tornando a casa, la spesa in due sacchetti ricolmi. Era da un secolo che non la faceva. Aveva passato tutto il primo anno in giro a mangiare con Miyuki. A studiare in biblioteca con Miyuki. A suonare per locali con Miyuki che lo sosteneva dalla platea. Era stata la sua prima ragazza, il suo primo amore. L'aveva chiamata ancora in quei giorni, ma ormai aveva perso tutte le speranze. Stava da cani. Ed era stufo di continuare a pensarla così spesso, così tanto. Sentiva di star impazzendo. Doveva studiare invece. C'erano gli esami in programma e lui non frequentava la Todai per sport. Aveva faticato come un pazzo per poterci entrare, ora doveva solo prendere quel maledetto pezzo di carta, ma era solo all'inizio. Doveva studiare e lo avrebbe fatto a casa. Non aveva la forza di vedere le amiche di Miyuki. Non le voleva più frequentare. Come potevano non avergli detto niente? E poi, perché non avevano bloccato Miyuki prima che se ne andasse?

Voleva chiudere e cambiare giro. Se non fosse che appunto ora, aveva da studiare. Sospirò aprendo in qualche modo la porta di ingresso, e spingendo con il piede. Salì svogliato le scale, sentendosi sempre più pesante ad ogni scalino. Si sentiva stufo di tutto quella tristezza.

Raggiunse il suo pianerottolo, appoggiò la spesa per terra e cominciò a cercare le chiavi di casa. In quel momento aprì la porta di casa la sua vicina di casa. In quei giorni Shou era rimasto sorpreso da quante coincidenze ci fossero nella loro vita. Erano vicini di casa, suonavano assieme, avevano ricevuto entrambi la lettera bianca. Fino a dieci giorni prima nemmeno si conoscevano. Fino a dieci giorni prima era insieme a Miyuki ed era felice. Roteò gli occhi mentalmente, stanco di se stesso.

-Hai una faccia- disse Hikari guardandolo sorpresa e uscendo dalla porta. Aveva un ghiacciolo in bocca. Portava dei pantacollant neri che le fasciavano le gambe magre e una felpa rosa più grande di lei. I capelli erano leggermente spettinati, così come la frangetta.

-ma di tutte le volte che ci siamo visti, mi hai mai visto felice?- chiese esasperato Shou. Lo sapeva anche lui che non aveva una bella cera, ma che diamine, non aveva nemmeno il diritto di essere triste? Hikari non colse il suo tono e quindi andò avanti ingenua:

-si, quando stavi mangiando la torta al cioccolato- disse lei guardandolo con gli occhi neri. Shou non ci provò nemmeno a ribattere.

-beh, allora me ne servirà tanta perché sono di esami e...-

-di esami? Ecco perché tutto questo cibo. Ti serve un aiuto psicologico!- esclamò Hikari divertita. Shou sorrise per la sua ingenuità. Nel frattempo aveva trovato le chiavi e le aveva inserite.

-Esattamente. Ho i gelati che mi si sciolgono, quindi entro- disse lui quasi per congedarsi. Non è che le stesse antipatica Hikari, ma la sua sincerità e ingenuità, così disarmanti, così semplici, erano troppo per lui in quel momento.

-Vuoi una mano? Io stavo uscendo a fare una passeggiata...- disse lei spostando i suoi occhi sulle buste ricolme.

-in realtà non so nemmeno come tu abbia fatto a portare tutto questo da solo- aggiunse lei prima che Shou potesse dire qualcosa.

-non preoccuparti- disse Shou fingendo di avere la situazione sotto controllo.

In quel momento squillò il cellulare di Shou, la musica degli Skillet invase il silenzio tra loro due. Non guardò nemmeno chi stava chiamando, portò il telefono all'orecchio e disse:

-Si?-

-Shou- la voce femminile tanto agognata lo ghiacciò. Guardò il sconcertato lo schermo del cellulare cercando di capire se era veramente lei. Miyuki lo stava chiamando. Portò lentamente il telefono nuovamente all'orecchio, rimanendo in attesa. Non si aspettava che lo richiamasse. Si aspettava che non lo cercasse mai più.

-mi manchi- disse lei. Uno schiaffo, una pugnalata al cuore. Lei era lì al telefono, era lì e gli stava dicendo che gli mancava. Shou era senza fiato. Hikari di fronte a lui aveva increspato le sopracciglia preoccupata. C'era silenzio tra loro e quindi aveva sentito tutto. Nel giro di qualche secondo Hikari si era sentita come se, tra lei e Shou, ci fosse un muro. Un muro invisibile che lei non aveva mai visto ma che invece era stato davanti a Shou tutto il tempo. Lui era stato carino e gentile con lei come lo è un amico. Lei era rimasta affascinata da tutto quello. Ci aveva ripensato in quei giorni e ammetteva che aveva deciso di uscire in quel momento solo per vederlo, per incrociarlo per sbaglio. Lo aveva sentito salire le scale e ancora una volta aveva visto quel viso triste.

Non voleva immischiarsi nella loro conversazione, soprattutto ora che si era resa conto di quanto poco importante fosse lei nella sua vita. Gli fece un cenno con la mano e percorse velocemente il pianerottolo. Raggiunse le scale e scappò giù per i gradini. Non voleva sentire nulla, voleva andare lontano e dimenticarsi di quella leggera infatuazione. Era ovvio che un ragazzo carino e gentile come lui avesse una ragazza. Se considerava anche la reazione che lui aveva avuto, e la tristezza di quei giorni, quella doveva essere stata la sua ex ragazza. Hikari ora si rendeva conto del perché lui non avesse voluto dire nulla. Era qualcosa che non centrava nulla con lei, in cui lei non doveva immischiarsi. Shou era già di qualcun altro.

Pestò ogni singolo gradino con rabbia e delusione, fino ad arrivare al piano terra. Di fronte a lei, la luce del sole primaverile filtrava dalla porta a vetro. In quel momento non doveva concentrarsi sull'amore. Ora aveva la possibilità di diventare qualcuno con quel concerto. Questo era l'unica cosa che contava.

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Capitolo 19
*** Fame ***




25 Marzo. Tokyo, quartiere di Ikebukuro. Veil of Shadows.

Minami portò il ghiacciolo alle labbra. Lo sapeva anche lei che marzo era il mese sbagliato, che c'era ancora freddo, però le serviva qualcosa per giustificare la sua presenza in quel locale. Conosceva le abitudini di Ren molto bene. Anche se tra loro era finita da poco, aveva deciso che lo avrebbe riconquistato. Si era resa conto che nessuno la aveva fatta divertire e la aveva fatta sentire così amata. Minami era sempre stata troppo impegnata a essere brava a scuola, brava negli sport, brava in qualsiasi cosa, tranne che ad esprimere i suoi sentimenti. Si era sentita vuota in quegli anni. Tutte le sue amiche si fidanzavano e sembravano felici, lei invece non poteva sopportare nemmeno uno dei loro ragazzi. Bambini con cui si annoiava dopo poco, ragazzini che non sapevano nemmeno loro cosa volevano dalla vita. Quando aveva incontrato Ren era stato un maestro per lei. Gli aveva fatto vedere le cose da un altro punto di vista, le aveva trasmesso la passione per i libri, per la cultura, e non per quello che doveva imparare per scuola. Le aveva fatto vedere che c'era un mondo fuori dal Collegio, che c'era una vita ricchissima di possibilità, che ognuno di loro aveva la possibilità di potercela fare. Questo era quello che gli aveva trasmesso. Era stata una guida ma anche un amico vero tra quelle mura. Mura bellissime, per carità, ma terribilmente fredde. Come suo padre. Aveva cacciato Ren.

Ma Minami voleva solo lui. Considerando che Ren faceva solo il professore, mentre per lei c'erano altissime aspettative, il padre non lo avrebbe mai permesso. Ecco perché quando il padre aveva scoperto tutto, non aveva provato a negare più di tanto. Non negando, aveva dichiarato guerra aperta a suo padre. Lui aveva vinto prendendosela con Ren.

Ecco, un difetto di Ren, era che non combatteva per se stesso. Aveva deciso che Minami sarebbe stata meglio senza di lui e aveva troncato la relazione con lei. Minami non lo aveva accettato, ma era rimasta zitta. Aspettava l'occasione, per ribaltare la situazione. Aspettava il momento giusto.

Ecco perché Minami se ne stava il cappuccio della felpa tirato sul viso, parrucca nera con ciocche azzurre, frangetta scompigliata sugli occhi, jeans strappati e borchiati, calze a rete sotto le ginocchia, anfibi. Nessuna sua compagna di scuola l'avrebbe riconosciuta conciata in quel modo. Le gambe erano incrociate, ghiacciolo azzurro tra le labbra, occhi fissi sulla scalinata del Veil of Shadows. Quante volte era andata lì a vederlo suonare, insieme a Miyuki la ragazza di Shou. Poi improvvisamente tutto era cambiato. Miyuki se ne era andata, lei aveva rotto con Ren.

C'era stata una new entry però: Hikari Tanaka. Minami non aveva problemi a socializzare con le ragazze, il suo intuito le aveva detto che Hikari non poteva essere un pericolo per lei e Ren. Aveva usato la scusa della lettera per conoscerla. Sapeva che quello doveva essere l'invito per il Tanabata, e sapeva anche, da come gli aveva confermato Heiji, che Ren avrebbe suonato. Ma prima di suonare, Ren avrebbe dovuto comporre. Alle 17 di solito usciva dal locale, dopo aver fatto le prove per la serata: d'altronde lui era il pezzo grosso per le serate di gala. Era un ottimo pianista, era bello e giovane. Nella sala rosa, quando venivano organizzate delle cene di lavoro, in cui venivano invitati i dipendenti e i dirigenti delle società di tutta Tokyo, Ren era quello che apriva le danze.

Lo aveva ignorato per 20 giorni. Ora non ne poteva più. Lo vide sbucare dalla scalinata, una sigaretta ancora spenta tra le labbra. I capelli neri, la pelle chiara, gli occhi stanchi. Aveva la camicia bianca allentata e i pantaloni grigi, che lasciavano intravedere la caviglia. Aveva quell'aria da musicista, stanca, stressata. Una volta avrebbe detto anche felice. Minami sospirò. Adesso se ne sarebbe uscito, si sarebbe fumato una sigaretta. Avrebbe camminato in giro a caso per la città, sarebbe arrivato a casa e sarebbe rimasto sveglio fino a notte fonda a comporre. In quei momenti lui preferiva stare da solo. Ma da quando Minami lo aveva conosciuto, non c'era stata una volta in cui lei non lo avesse seguito. Non sapeva se lui se ne rendesse conto oppure no. Non le importava. Non poteva rinunciare a quel momento in cui pur essendo lui da solo, lei le era vicino. Era il momento in cui lui si scollegava dalla realtà e a Minami piaceva pensare di essere in qualche modo l'unico essere umano collegato con lui in quel momento.

Come previsto Ren fece qualche passo in direzione dell'uscita del centro commerciale. Minami lo seguì con gli occhi, immobile, trattenendo il respiro, quasi lui potesse vederla. Poi estrasse l'accendino e uscì.

Minami scattò in piedi. Ghiacciolo in bocca e cercando di sembrare indiscreta, si avvicinò dietro a una colonna. Prese il telefono e finse di giocherellarci. Vide che Ren si stava spostando. Strano. Non aveva nemmeno acceso la sigaretta che se ne stava andando. Qualcosa non le tornava. Eppure era stata super indiscreta, non poteva averla scoperta. Seguì con gli occhi la sua figura allontanarsi nel grande viale. Temendo di perderlo tra la folla, uscì e venne investita dal venticello ancora troppo freddo. Le venne la pelle d'oca. Rabbrividì.

Lo aveva perso di vista. Minami non capiva. Fino a un momento prima lo aveva perfettamente sotto occhio. Si arrabbiò. Perchè Ren doveva fare così. L'aveva scoperta. Minami però era cocciuta, non si sarebbe arresa per così poco. A costo di diventare una stalker ossessiva. Lei voleva parlare e voleva che tutto tornasse come prima, anzi, meglio di prima. Voleva essere libera di dire a tutto il mondo quanto fosse innamorata di lui. Cominciò a incamminarsi nella direzione in cui l'aveva visto sparire. Doveva aver attraversato la strada. Si mise a camminare velocemente, gli occhi che lo cercavano disperatamente tra le macchine, la folla di persone che tornava a casa. Ad un tratto si sentì strattonare in un vicolo. Fece per urlare ma riconobbe subito la stretta. Era Ren.

La trascinò per il braccio lungo quella via e svoltò ulteriormente. Si trovavano in un vicolo cieco, sul retro di un ristorante e di alcuni negozi. Non c'era nessuno, se non i bidoni della spazzatura e le voci dei cuochi che lavoravano. Ren stava davanti a lei e la guardava arrabbiato.

-Smettila di seguirmi- disse lui.

-Ah ma quindi te ne eri accorto?- chiese Minami sorpresa.

-Da sempre. Minami per favore non rendere le cose più complicate di quello che già sono- disse lui corrucciando la fronte.

-Le cose sono semplicissime invece. Chissene frega di mio padre. Io voglio solo te- disse limpida e diretta Minami.

-Lo sai vero che probabilmente tuo padre ti fa seguire da un investigatore?- disse lui assottigliando gli occhi.

-Si esatto. Per questo sono vestita così e per questo mio padre mi crede a casa di Hikari. Non so se noti che ho anche una parrucca in testa- disse Minami togliendosi il cappuccio e toccandosi i capelli. Aveva indossato una parrucca proprio per quello. Era andata da Hikari, si era cambiata ed era uscita conciata in quel modo. Aveva lasciato da lei il suo cellulare nel caso la rintracciassero anche con quello. Ora erano in quel vicolo da soli.

Per un attimo Minami vide Ren vacillare.

-Minami...io, noi non possiamo, veramente. Non complicare le cose. Io non troverò mai più lavoro e tu ti meriti di sicuro qualcuno che possa garantirti un futuro più ricco- disse lui. Ma Ren aveva detto quella frase senza crederci molto. D'altronde era il mantra che si ripeteva ogni giorno per convincersi della sua scelta.

-tu non vuoi fare il professore. Tu vuoi solo suonare e io sono già ricca di mio. Mi aspetta già un futuro ricco- disse Minami avvicinandosi. I suoi occhi verdi fissavano Ren.

Ren da parte sua poteva sentire il suo profumo, poteva finalmente rivedere il suo viso, sentire la sua voce. Era stufo di convincersi di qualcosa in cui non credeva. Il suo muro, quello che aveva costruito faticosamente in quei giorni, crollò su se stesso.

Si chinò su Minami e la baciò. Subito Minami rispose al bacio, schiuse le labbra. Quando le loro lingue si toccarono, Minami rabbrividì. Ren l'avvicinò a se, Minami gli appoggiò le braccia al collo e lo attirò sempre di più. Si staccarono solo per riprendere fiato. A Ren erano mancate quelle labbra, quel profumo, la sua presenza. Rimasero vicini, i loro respiri, occhi chiusi. L'uno gustandosi quel momento, quella vicinanza dopo tanto tempo lontani.

Minami aprì gli occhi, lo stesso fece Ren. Le accarezzò il viso. La schiena di Minami era finita per appoggiarsi al muro , Ren poggiò il palmo sulla parete a fianco al suo viso. Si guardarono qualche altro secondo in silenzio. Poi lui ricadde sulle sue labbra di nuovo. Ancora. Più vicino. Di più. Non era abbastanza.

-Che razza di idiota- disse Ren staccandosi ad un tratto. I suoi occhi neri guardavano Minami, nell'unico modo che la faceva sentire la cosa più preziosa al mondo. Ren era terribilmente attirato da quella scena. Minami aveva gli occhi lucidi, le labbra rosse. Lo guardava sorpresa, ma in attesa.

-Puoi ben dirlo- disse lei scompigliandogli i capelli. Ren sorrise ancora una volta, si chinò su di lei. Di nuovo.

 

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Capitolo 20
*** Pensieri in movimento ***


25 Marzo. Tokyo, distretto di Marunouchi

Hikari aveva preso quella decisione dopo essere stata tutto il giorno a rimuginare. Dal giorno prima aveva fatto di tutto per evitare Shou. Voleva concentrarsi sulla musica, sulla scuola che stava per iniziare, sul suo futuro. Voleva veramente togliersi dalla testa quelle emozioni strane che aveva provato. Sentiva di aver bisogno di risistemarsi, di far ritornare la quiete dentro di sé. Dopo un'altra giornata a pensarci, aveva deciso che era ora di finirla.

Doveva concentrare e stupire il suo cervello con qualcosa di nuovo e diverso. Ecco perché alle sei del pomeriggio, aveva preso la saggia decisione di cambiarsi, mettersi in tenuta sportiva, e letteralmente, scappare di casa. Aveva bisogno di correre lontano dai pensieri, lontano dallo stress, lontano da Shou. Era bastato poco per scombussolare tutto il suo mondo. Ecco perché non aveva indossato nemmeno le cuffiette, aveva voluto concentrarsi sul suo respiro, sul mondo e farsi stordire dalla realtà. La musica l'aiutava a pensare e ora aveva solo bisogno di dimenticarsi di se stessa per qualche ora. Era scesa nel primo ingresso per la metro che aveva trovato, era salita ed era scesa nella fermata di Shibuya.

Sapeva bene dove voleva andare: i giardini del palazzo imperiale. L'ultima volta che li aveva visitati era stata con i suoi genitori. Poi erano morti tutti e lei aveva preferito non toccare quel ricordo. Ora però aveva bisogno di qualcosa di forte e visitandoli andava sul sicuro.

Sapeva che ad aprile i fiori di ciliegio avrebbero dato un'atmosfera ancora una più mitica. I viali alberati bianchi e i suoi ricordi avrebbero fatto il resto. Scese alla fermata più vicina, ansiosa di entrare nei giardini imperiali. Quello che era rimasto delle mura faceva da contorno ai laghetti artificiali, ai ponticelli, ai piccoli stagni, alle siepi e ai prati verdi.

 Quello che era rimasto delle mura faceva da contorno ai laghetti artificiali, ai ponticelli, ai piccoli stagni, alle siepi e ai prati verdi

Era così contenta di ritornare finalmente in quel posto. Era ansiosa di scoprire quali sarebbero stati i sentimenti che avrebbe provato. Salì le scale e usci velocemente dalla metropolitana. La luce del tramonto la investì in pieno accecandola per qualche secondo. Era l'ora di punta quindi oltre alla luce, fu travolta anche dal caos delle auto e dalla massa di persone che le passavano accanto. Tutto attorno a lei si stagliavano una serie di grattacieli grigi, in pieno contrasto con il cielo rosato.

 Tutto attorno a lei si stagliavano una serie di grattacieli grigi, in pieno contrasto con il cielo rosato

Hikari si fece largo e riuscì a raggiungere la strada. Attraversò e cominciò con una corsa leggera, lungo il marciapiede costeggiando il fossato pieno d'acqua che circondava le mura. I suoi occhi scuri cercavano l'entrata. Si ricordava una specie di ingresso monumentale, con due grandi portoni, sovrastato dal tipico tetto zen. I capelli neri erano legati in una lunga coda alta, la frangetta era fissata dietro, lontano dagli occhi. Hikari indossava una tshirt tecnica azzurra e un paio di semplicissimi pantacollant neri. Le nike blu elettrico ai piedi.

Sapeva che una parte del parco poteva essere visitata senza guida e per questo cercava quell'ingresso. Continuò a correre, l'acqua nel fossato al suo fianco scorreva lenta e languida. Tutto attorno poteva vedere gli alberi contornati da petali bianchi. Era stranissimo: un'oasi di pace come quella che si ergeva, che si prendeva spazio nel pieno cuore di Tokyo. Era come se tutto quello oltre il fossato appartenesse ad un'altra dimensione.

Era concentrata nel guardare quel poco che si intravedeva oltre le mura, che non si rese conto della figura che stava correndole incontro

Era concentrata nel guardare quel poco che si intravedeva oltre le mura, che non si rese conto della figura che stava correndole incontro.

Un ragazzo alto, dai capelli castani, canottiera tecnica nera, pantaloni bianchi, occhi e testa concentrati sulla prossima mossa da fare. Hikari continuava a guardare a destra e quando le passò a fianco, lui continuò dritto. Così fece anche lei. 

Il giovane la superò ma rallentò la corsa e si voltò verso di lei.

La figura magra, il sedere ben fatto, i capelli neri liscissimi mossi dalla brezza, la stessa posizione assorta. Si bloccò e la riconobbe. Sorrise e decise di sorprenderla da dietro. Hikari continuava la sua corsa assorta. Persino più assorta di lui. La raggiunse senza fare molto sforzo, le si affiancò. Solamente dopo qualche secondo Hikari si rese conto che c'era qualcuno al suo fianco. Si voltò e rimase sorpresa. Ma non si fermò.

-Heiji-kun!- disse lei stupita di vederlo in quel modo. Aveva le spalle più grandi di quello che sembravano, e non fosse stato per il suo carattere infido, finto e doppiogiochista, avrebbe pensato fosse un bel ragazzo.

-Non ti facevo una sportiva- disse lui guardandola divertita. La superò di qualche metro. Hikari decise di incrementare il ritmo. Già con Heiji era sempre sotto continuo giudizio, almeno voleva dimostrargli che oltre a cantare e suonare, poteva anche essere un'ottima runner. Non era molto convinta in realtà delle sue capacità sportive, ma non sopportava lo sguardo divertito, da quello che aveva il controllo della situazione, che Heiji le scoccava.

-Cosa ci fai da queste parti?- chiese lei ignorando la sua battutina. Doveva mascherare anche il fiatone. Lui in risposta aveva aumentato ancora di più il ritmo. Hikari sentiva che la milza faceva male. Il suo corpo le stava dicendo che o correva o parlava.

-Lo stesso che stai facendo tu. Però io lo faccio quasi tutti i giorni. Tu invece sei la novità di oggi- disse lui divertito. Heiji lo era veramente. Per lui Hikari era un piccolo cucciolo che presto sarebbe diventato un mastino. Ma sempre attaccato al guinzaglio, come tutte le altre persone che conosceva. Per Heiji, Hikari era un di quelle persone che sembrano noiose, abitudinarie, sempre uguali, ma invece ogni tanto se ne vengono fuori con qualche novità, con qualche idea, che le rende incredibilmente strane e interessanti. Heiji era curioso: se Hikari era venuta a correre da quelle parti ci doveva essere un motivo. A giudicare dai vestiti, probabilmente andava a correre spesso. Eppure non l'aveva mai vista. Perchè avrebbe dovuto prendere la metro per venire fin lì? D'altronde era troppo lontana da casa e non sembrava molto affaticata.

-il parco... sono venuta per fare un giro... E' da tantissimo che non torno- disse Hikari cercando nuovamente di mascherare il fiatone.

-oh, intendi quello che ha chiuso due ore fa?- disse Heiji divertito. Hikari si stoppò immediatamente. Gli occhi sgranati puntati su di lui. Aveva la frangetta ritirata indietro, lo sguardo risaltava molto di più.

-Come!- esclamò lei. Heiji si fermò rivolto nella sua direzione, qualche metro più avanti di lei. qualche goccia di sudore gli imperlava le guance. 

-Chiude alle quattro a Marzo. Dalla settimana prossima apre fino alle cinque- continuò lui. Lo sapeva perché gli era capitato spesso di uscire da lavoro e andare a farci una passeggiata.

-Ma no!- disse lei increspando le sopracciglia. 

-Tutta questa strada solo per il parco?- chiese Heiji divertito. Si passò la fascia che aveva al polso sulla fronte, per asciugarsi. 

Heiji sapeva benissimo che doveva esserci un motivo sotto. 

Hikari lo guardò assottigliando gli occhi. Sapeva che Heiji voleva sapere la vera ragione per cui era lì. Lei non glielo avrebbe detto. Già la giudicava anche solo perché stava respirando, figuriamoci se di sua spontanea volontà gli avrebbe raccontato di Shou o della sua famiglia.

-Esatto. Era tanto per cambiare aria- disse lei guardandolo negli occhi. Heiji capì benissimo, ma non si arrese. Le convenzioni sociali gli permettevano di insistere ancora un po'.

-e quindi tu ti fai 20 minuti di metro per venire a correre nel parco imperiale, senza nemmeno guardare gli orari- disse lui studiandola. Per lui era ovvio che quella fosse stata una scelta improvvisa. 

Se qualcuno li avesse visti da fuori, avrebbe detto fossero due fidanzati pronti a litigare. Ma quello che si era creato tra Heiji e Hikari non era tensione di quel tipo. Hikari non sopportava il modo in cui lui la faceva sentire, mentre Heiji si divertiva da matti a metterla alle strette.

-Esatto. Mi piace la metro- disse Hikari sostenendo lo sguardo. Come gli aveva risposto la prima volta che si erano incontrati al supermercato. Se voleva a tutti i costi una risposta, lei glie'avrebbe data. Un po' assurda, ma ne avrebbe ricevuta una. 

Hikari aveva un po' di fiatone, non poteva mascherarlo. Si sentiva anche il volto rosso per lo sforzo a cui non era abituata. Odiava il modo di fare di Heiji. Perchè non potevano semplicemente ignorarsi per strada e fare finta di essere amici durante le prove? Troppo bello. Non sarebbe stato divertente per Heiji. 

Hikari sapeva quanto lui si stesse divertendo a comportarsi così. Gli piaceva studiare le persone. Lo aveva visto parlare anche con Shou e con Takahashi-sensei. Era molto più mascherato, ma si comportava allo stesso modo con i suoi compagni di band. Come poteva anche solo pensare di aprirsi con uno del genere?

-Comunque stavo per chiamarti. Questo weekend suonano in un locale, una delle band emergenti più importanti di Tokyo, che ovviamente sarà nostra avversaria. Io devo andare anche per lavoro, ma credo sarebbe un'esperienza... interessante anche per te- disse lui soppesando le parole.

Hikari non mise in dubbio che quello fosse un appuntamento. Heiji le stava chiedendo perché voleva vincere e voleva che lei fosse preparata ai loro avversari. Non voleva che lei gli facesse fare brutta figura. Hikari si sentiva responsabile  sia nei confronti della band, sia nei confronti di se stessa. Quella era la sua grande occasione e non la poteva sprecare. Almeno avrebbe potuto concentrare la sua attenzione su qualcos'altro che non si chiamasse Shou.

-Va bene. Non vedo l'ora di vedere contro chi siamo- disse Hikari decisa. Era vero. Nonostante avesse un po'di paura, era emozionata e si sentiva viva, pronta a combattere per il suo sogno.

 

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Capitolo 21
*** Impressione ***


28 Marzo. Tokyo, quartiere di Shibuya. Not Sorry.

Hikari aveva accettato la proposta di getto, ma nel corso di quei due giorni aveva ripensato. Sua zia Kaori sapeva che sarebbe uscita con amici quel sabato. Non le aveva ancora raccontato della storia del Tanabata perché non sapeva bene come l'avrebbe presa. Di sicuro meglio dei suoi genitori biologici. Heiji le aveva detto che sarebbe passato a prenderla all'ingresso della metropolitana vicino casa. Era contenta che non venisse sotto casa. Non voleva che ne sua zia, ne i vicini cominciassero a parlare male. Già era venuta a casa in motorino con quello che era il suo vicino di casa. Se poi si faceva accompagnare a casa da un uomo diverso tutte le volte, conoscendo la mentalità delle persone che la circondavano, avrebbe potuto dire addio alla sua reputazione di brava ragazza. Shou per fortuna da quel giorno era sparito e lei dopo la corsa aveva smesso di pensarlo così spesso. Sapeva che doveva solo riprendere le redini della sua vita e concentrarsi su altro.

Sapendo che il locale in cui andavano, il Not Sorry, non era il classico posto per fighetti, ma più un locale per appassionati di musica, si era rilassata decisamente. Condividere lo spazio con qualcuno che come lei amava la musica, non l'avrebbe messa a disagio. Si era piastrata i capelli, aveva messo un filo di eyeliner, un velo di lucidalabbra ed era uscita di casa. Addosso portava una giacca in jeans, una tshirt nera di una band che solo lei conosceva, i jeans a vita alta, le doctor martens nere, con i lacci rossi.

Era scesa in strada e aveva percorso di 100 metri che la separavano dall'ingresso alla metro. Si era guardata un po' in giro, ma non aveva visto nessuno. In effetti era perfettamente in orario e magari Heiji aveva incontrato traffico. Si aspettava veder arrivare una macchina, quindi quando sentì il rombo della moto da infondo la strada, non fu sorpresa. Lo fu, quando il motociclista le si accostò e alzò il vetro del casco. Era proprio Heiji. Quella moto era decisamente troppo.

Dieci minuti dopo Hikari scendeva da quello che era stato un viaggio decisamente emozionante. Il rombo della moto, tutti che si giravano, la guida sicura di Heiji. Certo, continuava a ritenerlo uno psicopatico, però aveva guidato bene. Si era aggrappata a degli appigli dietro e aveva evitato di spalmarsi sulla schiena, come invece aveva fatto probabilmente con Shou.

-Ma ogni giro in moto ti diverte così tanto?- chiese lui togliendosi il casco.

-Da morire- disse Hikari entusiasta. Per un attimo si era dimenticata di aver di fronte Heiji. E se forse era lei che attribuiva a Heiji delle sensazioni negative che poi in realtà non erano vere? Magari lui non era cosi come lei se lo era dipinto. Magari lui era solo un po' snob e si limitava a guardare gli altri dall'alto in basso. Hikari non rispose a quella domanda. Non lo conosceva abbastanza e voleva vedere come si comportava con gli altri.

Lui la guardò, per un momento, soddisfatto di aver visto una reazione così spontanea da parte di Hikari. Poi le diede le spalle e si avviò verso quello che sembrava una porta di servizio. Aveva parcheggiato in un vicolo, ben illuminato per carità, ma pur sempre un vicolo dimenticato da dio. Hikari seguendolo aveva notato in quel momento una piccola targhetta sulla porta. C'era scritto "Not Sorry". Rimase sorpresa.

-Emozionata? - chiese lui continuando a darle le spalle.

-Curiosa più che altro- disse lei seguendolo. Lui mise una mano sulla maniglia, ma nel momento in cui stava per spingerla si bloccò.

-Sta sera si esibiscono i The Plaza. Sono nati da pochissimo ma pare stiano facendo faville. Il cantante ha già partecipato al Tanabata, arrivando in finale con noi. Ha perso, esattamente come noi. Ha deciso di riprovarci, ma con qualcun altro- disse Heiji. Poi spinse la maniglia e una scala buia apparve di fronte a loro. Scendeva e finiva in un corridoio praticamente buio, se non fosse stato per qualcosa di intermittente bianco, che dalla loro posizione non si capiva se fosse una lampadina rotta o un effetto voluto.

Hikari era curiosa, ma allo stesso tempo un po' diffidente. Già non si fidava al completo di Heij, quel posto poi non la convinceva molto. L'unico motivo per cui non era già scappata era il leggero rumore di voci, parole e risate che proveniva da quel corridoio. Heiji scese subito, Hikari lo seguì, vicina ma non troppo. Guardò la porta dell'esterno chiudersi alle loro spalle e farli calare nella completa oscurità. Scese le scale, vedendo un po' di più, Hikari si ritrovò in un corridoio piuttosto lungo, al termine del quale c'era una porta nera. Era una ambientazione degna del più spaventoso dei film di Hitchcock. E come la più banale delle protagoniste dei film horror, non si voltò e continuò dritto verso la porta. In quel momento si spalancò e vennero investiti dal rumore di strumenti musicali, voci e altri suoni indefiniti. Lì investì anche l'odore di essere umano, che in un luogo così piccolo e chiuso era inevitabile. Due ragazze, castane, ma con una ciocca rossa, vestite praticamente uguali, uscirono in quel momento. Una delle due aveva un pacchetto di sigarette in mano, mentre l'altra ne teneva una tra le labbra. Due linee pesanti di mascara, minigonna nera in jeans strappata e un lunghissimo kimono in seta rosa e nero, lasciato aperto, decorato dai fiori ricamati. Hikari si sentiva piccola. D'altronde lei aveva quasi 18 anni, ma quello non era il suo ambiente.

Si concentrò un attimo su Heiji e cercò di attingere dalla sua sicurezza. Se lui l'aveva accettata, se persino lui aveva permesso che Hikari partecipasse, voleva dire che aveva visto qualcosa in lei. Hikari aveva il compito di difendere quel qualcosa. Non poteva lasciarsi impressionare dagli altri. Non se c'era in gioco il suo sogno.

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