Pioggia d'estate

di SomeoneNew
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ora di chiusura ***
Capitolo 2: *** Sfidando la gravità ***
Capitolo 3: *** Quando eravamo giovani ***
Capitolo 4: *** In caso ... ***
Capitolo 5: *** Ubriachi ***
Capitolo 6: *** Dentro di me, tu vedi ***
Capitolo 7: *** Così vicini ***
Capitolo 8: *** Sipario ***



Capitolo 1
*** Ora di chiusura ***


Ora di chiusura


Rilesse il tutto velocemente prima di chiudere bruscamente il PC e ricadere esausta sullo schienale della sedia verde militare girevole. E in effetti si sentiva proprio così, stanca, sfinita, come se avesse appena terminato una maratona di venti chilometri per poi scoprire al traguardo di essere in ritardo di cinque ore. Ecco, il suo umore era precipitosamente calato a picco in pochi minuti. Era bastata una e-mail. Una singola stupida e-mail per farla precipitare nell’abisso dell’autocommiserazione. Un sonoro sbuffo fuoriuscì quasi involontariamente dalle sue labbra e iniziò a torturare con i denti quella pellicina del pollice che da un paio di giorni le dava noia. La nuova stagista si voltò con un espressione al quanto sdegnata in volto, così decise di raccogliere qualche scartoffia dalla sua piccola scrivania un tempo bianca, infilare il portatile nella sua custodia rigorosamente blu notte e sloggiare velocemente e soprattutto silenziosamente da quel posto. Non prima, però, di aver fatto capolino dalla porta dell’ufficio di Cristina  per augurarle Buon Natale e un buon anno nuovo, anche se in tutta risposta le arrivò un ‘si si come vuoi’ al quale seguì un’occhiataccia che lasciava ben poco all’immaginazione.

L’aria gelida di Dicembre le si insinuò velocemente nelle ossa non appena mise piede fuori dal grande palazzo della rivista Women. Si mise alla ricerca del cellulare nelle tasche enormi del cappotto rosso scuro altrettanto enorme per la sua figura minuta, cercando contemporaneamente di evitare che la borsa le scivolasse via giù per l’avambraccio. Quando riuscì finalmente a tirarlo fuori la luce del display le accecò gli occhi illuminandole il viso pallido nel buio della strada. Due messaggi:
 
Passo a prenderti alle 8:30 pm
 
Mi manchi.

Un lieve sorriso le addolcì il volto, momento che si spezzò non appena i suoi occhi si posarono sull’orario segnalato in alto sullo schermo. 8:35 pm. Merda.
Ma non se ne preoccupò più di tanto. Il ritardo era uno dei segni che maggiormente contraddistingueva la sua persona.   
 
 
Ti amo, le aveva detto quella sera. E il solo pensiero che era riuscita a formulare era stato Cavolo. Così l’aveva baciato, perché in quel momento le era sembrata la cosa più naturale da fare. L’aveva fatto e basta, ed era stato … semplice. Ecco. Questa era la parola giusta per definirlo. Semplice. Nessuna complicazione. Nessun ripensamento. D’altronde tutto con lui era sempre stato semplice. Fin da subito si erano piaciuti. C’era stato un primo appuntamento. Poi un secondo, e poi un terzo. E non si erano più fermati. Fino a quel ti amo. No, lei non se la sentiva proprio di spiaccicare parola dopo quella sentenza e così si erano alzati dal tavolo vicino alla finestra, come piaceva a loro, e volgendo un cordiale sorriso alla signora dai capelli grigi alla reception erano tornati in macchina. La radio era stata accesa, Closing time dei Semisonic.

Closing time
Open all the doors and let you out into the world.
 
Aveva poggiato la testa al vetro freddo del finestrino osservando distrattamente la vita scorrere al di fuori dell’auto e, aveva avuto come l’impressione che tutto andasse di fretta nella completa frenesia della notte, mentre lei si allontanava nella direzione opposta.

Closing time
Turn the lights up over every boy and every girl.
Closing time
One last call for alcohol so finish your whiskey or beer.
 
Chiudendo gli occhi aveva cercato di allontanare il più possibile quell’angoscia. Quella sensazione di essere in errore, di essere lo sbaglio nel giusto.

Closing time
You don’t have to go home but you can’t stay here.
 
Si sentiva come intrappolata. Come se stesse sbagliando tutto, di nuovo. Così sollevatasi di scatto aveva cercato a tentoni quel maledetto tasto e il finestrino si era aperto permettendo al gelo invernale di invadere in pochi secondi l’intera auto. Come si era aperto però si era velocemente richiuso senza aspettare stavolta che lei schiacciasse lo stesso interruttore.

I know who I want to take me home …  

 
‘Non ti senti bene?’ aveva chiesto lui stringendo la presa sul volante.
‘Mh?’ stava ancora cercando di ricordare a se stessa di inspirare ed espirare.
‘Non ti senti bene?’ aveva ripetuto pazientemente posandole brevemente lo sguardo addosso.
‘Sono solo stanca.’ Ed era vero. Niente di più vero era stato pronunciato in tutta quella serata, probabilmente. Perché lei era davvero stanca, di quel tipo di stanchezza che non sai bene quando inizia e neanche quando finisce. Lei era stanca di quella stanchezza che una buona dormita difficilmente avrebbe insabbiato. Come quando ti guardi allo specchio e riconosci la carne ma non lo spirito. E tu sei lì però non ci sei davvero. E allora cosa fai?

Closing time
Time for you to go out to the places you will be from.

 
‘Giornata pesante a lavoro?’
‘Già’ come se questo non fosse stato argomento di metà cena. Il resto del tempo l’avevano trascorso parlando di loro due. E lui non aveva fatto altro che infilare tra frasi sconnesse cose come insieme, ci piace, noi due, e poi faremo, vorremo,  e lei lo aveva fissato per tutto il tempo con un sorriso stampato in volto e annuendo di tanto in tanto. Perché insomma, lei era così fortunata, giusto? E lui così da mozzare il fiato, come dicevano le sue colleghe. E poi era dolce, gentile, cordiale, premuroso, felice. Un buffet al quale aveva avuto l’onore di essere stata invitata lei in persona. Lei, che al liceo raramente veniva invitata alle feste dei suoi compagni di classe. Lei, la secchiona che non veniva mai notata da nessuno. Già. Lei aveva avuto questo privilegio, perciò dopo ben due anni non poteva far altro che sorridere come una sciocca mentre osservava le loro mani intrecciate sul tavolo di un lussuoso ristorante nel centro di San Francisco.

Closing Time
This room won’t be open ‘til your brothers or your sisters come.

 
Eppure, non aveva mai smesso di sentirsi quella ragazza in carne snobbata per i voti troppo alti e i capelli legati sempre in una coda impersonale. Nonostante l’acne fosse ormai sparita del tutto e le rotondità adolescenziali avessero lasciato il posto a fattezze signorili e semplici curve su un corpo asciutto, il liceo per lei non era mai davvero terminato. Non perché venisse ancora esclusa da alcuno ma semplicemente perché forse quando ti abitui a sentirti in un determinato modo finisci per rimanerci incastrata.

So gather up your jackets, and move it to the exits
I hope you have found a friend.

 
Qualcosa in lei era mutato certo, questo lo doveva al tempo, nonostante si sentisse ancora legata al passato, riusciva a vivere appieno il suo presente. Fino a quel ti amo, quella sera. Non era stato il primo in due anni, sia ben chiaro, ma stavolta era stato diverso. C’era qualcosa che non andava. Lo sentiva, lo percepiva. E nelle sensazioni era sempre stata brava lei. E quel qualcosa l’aveva riportata con la mente ai suoi anni da liceale, al suo passato e a quest’ultimo in correlazione con il presente. E poi c’era stata quell’e-mail che aveva letto e riletto tutta d’un fiato per un numero di volte maggiore probabilmente a otto. Un invito ad una rimpatriata liceale nella sua città natale durante le prossime vacanze natalizie, era il succo di quelle dieci righe che a fatica era riuscita a metabolizzare.
No, non ci sarebbe andata, questo era stato il suo primo pensiero appena aveva riacquistato un minimo di lucidità.

Eppure in poche ore qualcosa era cambiato, perché adesso pensieri poco chiari le frullavano per la testa e iniziò a chiedersi cosa sarebbe potuto accadere se invece, per una volta avesse ignorato quella parte razionale di se. Cosa sarebbe potuto succedere? E’ solo una stupida rimpatriata. E forse è proprio ciò di cui ha bisogno. Che i suoi fantasmi le confermino che non sta sbagliando tutto, che è proprio dove dovrebbe essere e con chi dovrebbe essere. Che tutto questo è proprio ciò che ha aspettato per tutta la vita.
 
 

Si, ci andrò, pensò tra se e se mentre la pista di atterraggio diventava sempre più distinta sotto di lei.
Una voce femminile dal retrogusto metallico si insinuò tra i sedili dei momentanei passeggeri dell’abitacolo.

Gentili passeggeri, benvenuti a Portland, Oregon. Temperatura di 37 °Fahrenheit. Fra pochissimo raggiungeremo il piazzale. Si prega di rimanere seduti e aspettare che l'aereo si fermi, grazie per aver viaggiato con noi. Buon Natale e buon anno.

Bentornata a casa Grace, sospirò premendo pausa e togliendo gli auricolari dalle orecchie.

Closing time
Every new beginning comes from some other beginning’s end.

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Capitolo 2
*** Sfidando la gravità ***


Sfidando la gravità


Ricontrollò per l’ennesima volta le coordinate che le erano state inviate da Callie il giorno prima e svoltò a destra dove si stagliava una lunga e larga salita affiancata da alti e imponenti pini. Al termine di essa ciò che le si presentò davanti agli occhi le tolse il fiato: sulla sinistra si innalzava un’enorme villa residenziale preceduta da larghi e bassi gradini in mattoni rustici circondati da arbusti stranamente verdi nonostante la stagione. Ad un vasto prato verde ripulito probabilmente solo poche ore prima dalla neve, seguivano le luci incastonate nella pietra pavimentale che illuminavano dal basso un grande arco, anch’esso dello stesso tipo di mattoni della scalinata. Essa annunciava un lussuoso ingresso costituito da un portone a due ante in vetro decorate con rifiniture di ferro e addobbato ai lati da lucine a intermittenza rosse e dorate. Quest’ultime seguivano anche sul tetto, intorno al comignolo e circondavano una sorta di cupola che affiancava l’entrata, nella quale erano intagliate finestre la cui forma ricordava le monofore nelle cattedrali romaniche e attraverso le quali si distinguevano grazie a delle tende bianche di tessuto leggero, ombre che fluttuavano all’interno dell’abitazione. A destra si stendeva invece un grande terrazzo circondato da archi simili a quello dell’entrata e una ringhiera in ferro battuto anch’essa addobbata in tema natalizio.

Ora che ci faceva caso l’intero viale era completamente tappezzato di auto, segno che come sempre era in ritardo. Spense il motore dell’auto di sua madre e intraprese a piedi il sentiero al lato del giardino, cercando di mantenere l’equilibrio e non finire con il sedere su quei mattoni che avevano tutta l’aria di costare molto più delle sue chiappe. Arrivata stranamente inerme di fronte al portone la sua attenzione venne catturata da un vaso molto alto all’ingresso, le cui decorazioni sembravano appartenere alla cultura Indù. Nonostante si fosse laureata in lettere all’università, niente come l’arte le avrebbe mai dato il piacere visivo che provava quando si fermava ad osservare le particolarità di una sottile pennellata o la leggerezza e la perfezione di una curva marmorea. Quale stupida testa di carciofo avrebbe mai potuto lasciare un vaso di quel valore artistico all’esterno alla mercé degli agenti atmosferici?

Un fracasso seguito da uno scoppio di risate isteriche la risvegliò dai suoi pensieri così si decise a suonare quel campanello una volta per tutte: Mr. & Mrs.Hemmings
In pochi secondi apparve sull’entrata Callie. Grace ne era sicura, era sicuramente lei. In sei anni non era cambiata di una virgola. Stessi capelli solo un po’ più cotonati, stessi occhi scuri come la pece, stessa espressione da svampita stampata in volto. Eppure la mora non doveva averla ancora riconosciuta perché continuava a strizzare nel buio quei suoi piccoli occhietti formando della piccole rughe che si confondevano con le sue lunghe ciglia finte.

Iniziando a sentirsi a disagio per l’accurata radiografia che sembrava le stesse facendo decise di farle presente il suo nome ed evitarle un eccessivo sforzo mentale per il suo cervello da oca.
‘Callie, sono Grace.’ Al suono alquanto monotono e inespressivo di quell’affermazione la giovane donna sulla porta sbarrò gli occhi, mentre le pupille le si dilatavano gradualmente in maniera spaventosa.
‘Oh Dio!’ esclamò senza pudore ed in modo eccessivamente teatrale. ‘Grace, io … perdonami non … sei così cambiata che … ’ Sembrò tentare di riprendere fiato per poi gettarle le braccia al collo e stritolarla in un abbraccio come se fossero state amiche del cuore per tutta la vita.

Subito dopo queste imbarazzanti effusioni affettive Grace venne trascinata all’interno della casa, la quale risultava essere proprio all’altezza delle aspettative che l’esterno regalava.
Venne introdotta in un’enorme stanza all’interno della quale dominava un maestoso albero addobbato anch’esso a festa e un camino abnorme sul quale era stata appesa una ghirlanda dalla quale pendeva un fiocco rosso. Il fuoco ardeva probabilmente ormai da ore perché Grace ebbe come l’impressione di poter morire lì sul posto per asfissia dal troppo calore rappreso in quelle mura. Il silenzio che calò non appena le circa venti persone sparse per il salone la notarono fu per lei terrificante. E la situazione non migliorò neanche il minuto successivo quando seguirono sussurri e scambi di vacue occhiate tra i presenti. Sentì Callie alle sue spalle suggerire al marito il suo nome e poté sentire chiaramente la mascella di Luke staccarsi e frantumarsi miseramente a terra. Solo dopo aver ricevuto uno strattone dalla moglie e averle lanciato un’occhiataccia perché diamine questa giacca costa tremila dollari riuscì a ricomporsi e ‘Grace, finalmente! Pensavamo non saresti più arrivata’ e sfoggiare uno dei suoi migliori sorrisi tutto denti bianchi e scintillanti.

Dopo un po’ la tensione sembrò essersi dissolta quasi del tutto, dopo svariati ‘non ti vedo da un po’ in giro’ ‘po’’ che equivaleva a qualcosa come sei anni, ‘non ti si riconosce più’, ‘sei così cambiata’ e occhiatacce sprezzanti da parte di un gruppetto di sue ex compagne. Aveva trovato posto accanto a Jane e Ashton su uno dei tre divanetti color cenere e quando la gente iniziò a stancarsi di osservarla poté finalmente rilassare le spalle e tirare un sospiro di sollievo.
Presto venne servita la cena costituita da finger food servito su vassoi d’argento che una decina di camerieri facevano svolazzare da una parte all’altra della stanza destreggiandosi al meglio nelle loro divise bianche e nere. Di tanto in tanto si chiedeva se per caso non avesse sbagliato cena e fosse finita ad un galà.

Le prime due ore volarono in fretta tanto che Grace non riusciva quasi a capacitarsi di essere sopravvissuta li dentro per così tanto tempo e non solo, trascorrendo quelle ore anche in maniera abbastanza piacevole intrattenendo una conversazione con Jane e Ashton. Quei due erano la prova vivente di quanto siano infondate le dicerie sull’amicizia tra maschio e femmina. Si conoscevano ormai da quasi vent’anni e, ne era certa, nessuno dei due aveva mai considerato l’altro diversamente da un fratello o una sorella. Ed era proprio così che si comportavano, non facevano altro che litigare e fare pace e non passava giorno che questa non fosse la loro routine quotidiana. Quanto li aveva invidiati in cinque anni di liceo? Tanto. Nonostante fosse sempre riuscita a cavarsela da sola non le sarebbe dispiaciuto avere di tanto in tanto qualcuno accanto che la comprendesse e la appoggiasse, o semplicemente qualcuno con cui litigare come facevano Jane e Ashton per poi fare pace con una naturalezza davvero singolare. Insomma, una spalla su cui piangere senza doversi preoccupare di ciò che sarebbe accaduto l’indomani.

L’orologio stilizzato all’angolo del camino segnava quasi le undici quando decise che vi era abbastanza caos in giro per la sala da permetterle di avvicinarsi alla finestra senza attirare l’attenzione di nessuno. Da lì il suo sguardo giungeva a quasi ogni angolo della stanza e guardandosi attorno ebbe per un attimo la sensazione che il tempo si fosse fermato a sei anni fa. Le sembrò infatti che ogni cosa fosse rimasta congelata per ben sei anni e che solo quella sera quelle stesse persone con le quali aveva condiviso una piccola aula nella Portland High School, avessero ripreso lentamente conoscenza, catapultate nel futuro. A fianco al camino su uno dei divanetti vi era il gruppetto delle ragazze popolari, poco lontano da loro alcuni dei ragazzi della squadra di football, in fondo alla stanza quelli che venivano considerati tra i più fighi della scuola. Ogni cosa davanti ai suoi occhi giaceva inerme su se stessa e iniziò a provare compassione per quelle stesse persone che aveva avuto sotto il naso per così tanti anni, sembravano ora solo burattini in mano al destino al quale si erano reclusi. Erano lì a tentare di sembrare adulti, a contorcere il viso in espressioni serie e corrucciate mentre non facevano altro che rivivere ogni giorno il loro passato.
E poi tutto a un tratto un moto di stizza la invase. E se anche io risultassi così agli occhi degli altri? pensò.

“Hey” una voce squillante proveniente dalle sue spalle la fece sobbalzare. Maledetti nervi.
“Louis” sorrise appena si voltò riconoscendo quegli occhi dal taglio furbo e peperino. Louis Tomlinson, uno degli alunni più ribelli che la loro vecchia scuola avesse mai fronteggiato. Soprannominato il buffone della classe, si divertiva a farne di tutti i colori a chiunque capitasse nel suo mirino. E Grace non era stata mica risparmiata. Come quella volta che le aveva infilato di nascosto tre uova sul fondo dello zaino e quando riponendo i libri si erano rotte miseramente, se ne era uscito con una frase del tipo ‘oh una grazia divina, stavo proprio morendo di fame e una frittata è proprio ciò che mi ci vuole’. Chiunque non rientrasse nei suoi standard di normalità era oggetto di scherno da parte sua. E così puntava il dito contro sottogruppi sociali e disadattati, senza mostrare alcun tipo di rimorso. “Ti diverti ad osservarci dall’altro della tua supremazia?” disse mantenendo quel suo solito sorrisino stampato in volto e alzando il bicchiere di vino che aveva in mano verso quella che sembrava essere uno dei tanti atti di una rappresentazione teatrale.
Grace lo guardò confusa e lui dovette notarlo perché dopo un altro sorso di vino spiegò “Oh andiamo” sbuffò “tu sei una delle poche persone qui dentro ad avere raggiunto la soglia della propria realizzazione personale.” Non riusciva ancora a capire, incrociò le braccia e si appoggiò al davanzale della finestra alle sue spalle, fissando gli occhi in quelli celesti del ragazzo. Così lui continuò “Scrivi per uno dei blog più famosi in America e nonostante non sia un amante delle statistiche, probabilmente nel mondo. Hai da poco pubblicato un libro che ogni singola persona qui presente ha letto, anche solo per curiosità, per capire come una come te abbia potuto raggiungere un successo del genere, perché non era nei loro piani. Tu qui dentro sei la star, Grace. E’ per questo che tutti ti lanciano occhiate furtive e ti guardano di sottecchi. Perché sanno finalmente quanto vali e ciò li spaventa.”
Gli occhi di lei si spostarono lentamente sullo stesso quadro in movimento che stava osservando fino a poco fa, prima che tutte quelle parole le ricadessero addosso come una pioggia fitta. Lei aveva raggiunto la soglia della propria realizzazione personale. Lei era la star. Allora perché continuava ad avere la sensazione che la sua stessa vita le stesse sfuggendo di mano?
“E poi guardati” continuò Louis agitando pericolosamente il bicchiere davanti al suo naso “sei uno schianto” disse allargando ancora di più il sorriso sulle labbra e facendo comparire delle graziose rughe attorno agli occhi. Lei rimase a bocca aperta mentre un lieve rossore le colorava le gote perché, no, questo proprio non se lo sarebbe mai aspettato. Ma il ragazzo mise subito le mani avanti “e non ci sto provando con te giuro” rise “anche perché non credo che il mio ragazzo la prenderebbe con molta diplomazia”.
Grace metabolizzò lentamente quelle tre paroline, il mio ragazzo. Ne era proprio sicura, aveva detto il mio ragazzo.
“Louis William Tomlinson” biascicò con un filo di voce dall’incredulità.
“Non credere di essere l’unica qui dentro ad essere cambiata.” Ottenne in tutta risposta insieme ad un occhiolino prima che lui si allontanasse verso il lungo tavolo del buffet.
Eppure lei non si sentiva affatto cambiata.

Poco prima di mezzanotte a Luke venne la brillante idea che non ci fosse modo migliore di ricordare i vecchi tempi da liceali se non giocando al gioco della bottiglia. Un’odiosa ricorrenza che consisteva nel mettersi in cerchio e far girare una bottiglia vuota al centro. Nel momento in cui essa si fosse fermata puntando uno dei partecipanti al gioco, questo avrebbe dovuto scegliere tra un obbligo al quale far sottomettere la prossima persona che la bottiglia avrebbe indicato, e verità, ponendo una domanda qualsiasi alla vittima la quale avrebbe dovuto rispondere in assoluta sincerità. Grace non riusciva a capire quale fosse la peggiore tra le due opzioni, in verità entrambe la spaventavano a morte perché alla fine dei conti il vero obiettivo del gioco era mettere in imbarazzo i presenti e creare situazioni spiacevoli che tutti avrebbero poi ricordato con una grossa e grassa risata tra anni, tranne i veri protagonisti delle disavventure.

Per qualcosa come i primi cinque giri filò tutto liscio, o quasi, a parte un bacio alquanto imbarazzante tra Ashton e Jane e rivelazioni oscure su vari aneddoti scolastici. Finché la bottiglia senza alcuna esitazione puntò dritta verso Grace. Cavolo. Proprio quando sembrava che la serata potesse finire senza disgrazie.
Verità. Questa era stata la scelta di Jody, famosa ai tempi della scuola per essere un blog di gossip bipede.

La tanto attesa domanda era ‘Per chi avevi una cotta nel 2008?’.

Che gran bastarda, pensò Grace. Sa benissimo della mia cotta stratosferica del 2008. E lo sapeva talmente bene che proprio dopo avere fatto la domanda puntò i suoi grandi occhi da cerbiatta dritti in quelli verdi e dalla forma insolitamente orientale di Grace, sfidandola a colpi di ciglia finte. L’unica arma per battere quei due canotti che simulavano le sue labbra da pettegola sarebbe stata l’indifferenza.
 
E, cari lettori credeteci o no, fu proprio ciò che fece la nostra piccola eroina. Senza vacillare per un solo istante e tentando di controllare quel tremolio di tono dovuto all’adrenalina del momento, si schiarì la voce e rispondendo allo sguardo di Jody la pettegola decise che quello sarebbe stato finalmente il suo momento di gloria. Avrebbe smesso di permettere agli altri di decidere della sua vita. Di certo ciò che voleva quella vipera dalla lingua lunga era metterla in imbarazzo come ai tempi del liceo. Ma dannazione, il liceo è finito da un pezzo, pensò Grace, siamo adulti ormai, lei, nessuno di loro ha più potere su di me. Così, decisa a farsi valere come donna, qual’era ormai diventata, e soprattutto come persona matura, si voltò alla sua sinistra e dopo aver incrociato quello stesso sguardo per il quale aveva perso la testa quasi una decina di anni fa pronunciò il suo nome: Zayn Malik.



My Corner

Hey persone di Efp! Vi rubo davvero pochissimo tempo per dirvi che sono davvero contentissima delle visualizzazioni ricevute al prologo di Pioggia d'estate e spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Mi piacerebbe davvero avere qualche riscontro da parte vostra perciò, se vi va e se avete qualche minuto da dedicare a questa neo-storia lasciate una piccola recensione.

Al prossimo venerdì,
Daisy.

 

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Capitolo 3
*** Quando eravamo giovani ***


Quando eravamo giovani


La prima vera cotta non te la scordi mai. Ti rimane marchiata sulla pelle come un tatuaggio indelebile. Non c’è un momento nella vita in cui alzando lo sguardo verso l’orizzonte ti chiederai “Chissà chi fu la mia prima cotta?”. Perché per quanto tu possa andare avanti negli anni e intraprendere strade totalmente diverse e lontane dal quel momento, continuerai a concedere a quella persona un piccolo spazio nel tuo cuore.

Fu un attimo. Callie riprese la bottiglia facendola nuovamente girare e tutti sembravano aver già dimenticato l’accaduto, pronti per il prossimo giro di situazioni imbarazzanti. Era stato come ritrovarsi in una scena a rallentatore che aveva poi ripreso il corso della storia a velocità doppia. Ma nell’aria c’era qualcosa di diverso. Qualcosa era cambiato. Eppure gli sembrò che nessuno se ne fosse accorto, tranne lui. Si rese conto che per tutta la serata non aveva fatto altro che osservarla da lontano, ma solo pochi secondi prima quando i loro sguardi si erano incrociati l’aveva guardata davvero. Gli skinny jeans blu scuro, il maglioncino color sabbia che lasciava intravedere le magre clavicole, i capelli biondi che le scendevano morbidamente fino a metà schiena, le dita sottili e slanciate e le unghie mordicchiate prive di smalto. Ogni cosa in lei sembrava essere cambiata. Ma quando per la prima volta in tutta la serata l’aveva guardata negli occhi, lì dentro aveva ritrovato lei. Non fu capace di distogliere lo sguardo neanche quando, dopo aver pronunciato il suo nome era ritornata a fissare la bottiglia di vetro come tutti gli altri. Ma lui no, lui proprio non ci riusciva a far finta di niente. Perché dopo aver fatto qualche conto tra ricordi sbriciolati sotto il peso del tempo aveva realizzato una cosa sola. 2008. Non poteva essere vero. Non avrebbe dovuto dirlo maledizione! Perché adesso tutto il suo mondo era diventato improvvisamente un gran casino, passato e presente sembravano fondersi davanti ai suoi stessi occhi senza riuscire a distinguere l’uno dall’altro. Maledizione, maledizione maledizione, pensò. Come aveva fatto a non accorgersene? Era stato talmente impegnato a nascondere i suoi stessi sentimenti da ignorare completamente ciò che davvero desiderava. E adesso, a distanza di anni, alla domanda ‘Per chi avevi una cotta nel 2008?’ lei aveva pronunciato il suo nome come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. E per lui era stato un po’ come una doccia fredda perché la verità, miei cari lettori è che quello stesso anno anche Zayn aveva preso una cotta colossale per la nostra eroina, e l’anno dopo, e l’anno dopo ancora. Diciamo che era stata una cotta un po’ troppo lunghetta per poterla continuare a definire tale dopo qualche tempo. Ma il liceo è un po’ questo, tutto sembra essere o troppo grande o troppo piccolo per poterlo definire, e soprattutto spaventoso. E quando poi entrano in gioco i sentimenti tutti noi vorremmo avere a portata di mano un paracadute ed un aereo dal quale buttarci. Le cose si complicano e diventano sempre più ingarbugliate tra di loro, come tanti fila senza un capo ed una fine che formano proprio al centro un grosso nodo. Allora cosa fai? Ti metti lì armato di santa pazienza a tentare di districare il groviglio o semplicemente tagli i fili? E secondo voi Zayn cosa fece all’epoca? Affilò le unghie mettendosi all’opera o andò a cercare una forbice? Di certo non era un tipo da cose complicate, non lo era per niente. Così quando si era ritrovato a dovere fronteggiare addirittura dei sentimenti, non se l’era proprio sentita. E di fili ne aveva tagliati e come. Aveva tentato in ogni modo di sopprimere quelle sensazioni che provava quando la guardava, quando le era vicino, quando sentiva la sua voce e si era così impegnato nell’intento che negli anni era poi diventata un’abitudine. Non ricordava più quando aveva smesso. Probabilmente quando terminato l’ultimo anno di liceo aveva rinunciato a cercarla nei volti della gente per strada. Sapeva che era partita. Non che lei gliel’avesse detto, gliel’aveva semplicemente letto in viso, in quell’ultimo sguardo che aveva lanciato alla loro vecchia scuola e quando poi, per la prima volta aveva sfidato se stessa, alzando gli occhi verso i suoi compagni di scuola, guardandoli ad uno ad uno mentre loro, come sempre non si accorgevano di lei. Poi era uscita da quel cancello. Quello era stato il suo addio, al liceo, a Portland, alla sua adolescenza e a tutto ciò che poteva tenerla ancorata al passato, e probabilmente anche a lui. E Zayn dal canto suo si era sentito abbandonato. Sapeva di non averne il diritto ma era così che si era sentito, e questa era stata probabilmente la prima cosa che si era concesso di provare. Poi era arrivato il pentimento, poi l’autocommiserazione seguita da una buona dose di odio nei propri confronti e poi semplicemente aveva smesso di cercarla, si era arreso.

Non aveva alcuna intenzione di andare a quella rimpatriata. L’ultima cosa che voleva era ritrovarsi in una stanza piena di rimpianti ed errori compiuti nel passato ed era perciò deciso a declinare l’invito. Poi aveva ricevuto una telefonata da parte di un Luke alquanto esasperato che lo pregava attraverso la cornetta di non costringerlo a riferire un no a Callie, e si era detto che forse era ciò che gli serviva per poter finalmente dire anche lui una volta per tutte addio al passato. Lui stesso era rimasto sorpreso della sua decisione ma per nulla paragonabile alla sorpresa di vedere entrare lei in quella sala. Pensava non sarebbe venuta, anzi, era certo che non sarebbe venuta.

Adesso aveva decisamente bisogno di uscire al più presto da lì. Doveva allontanarsi da tutti loro e soprattutto da lei. Così appena poté decise di sgattaiolare via rifugiandosi sul grande terrazzo a fumare una sigaretta in santa pace.

Grace nel frattempo si era resa conto che dalla postazione in cui si trovava ora non riusciva a vedere il grande orologio da muro. Si era alzata ed era andata alla ricerca della sua borsa nera e appena aveva tirato fuori il suo iphone, cinque chiamate perse fremevano sul suo blocca – schermo, tutte quante della sua capo redattrice. Doveva velocemente trovare un posto appartato e richiamarla, così appena scorse una via d’uscita e notando che nessuno faceva caso a lei compose il numero e fece partire la telefonata, ritrovandosi anche lei sul terrazzo buio.

La telefonata era stata breve e coincisa, doveva al più presto inviarle la bozza del pezzo a tema natalizio e si appuntò mentalmente di farlo non appena sarebbe tornata a casa. La temperatura si era abbassata ancora di più rispetto a qualche ora prima, e il freddo pungeva sulla pelle coperta soltanto da quel maglioncino che aveva comprato in saldo nel negozietto sotto casa a San Francisco. Eppure non appena i suoi occhi si posarono sul panorama di fronte a lei neanche i pinguini l’avrebbero convinta a rientrare in casa. Arricciò le dita attorno alle maniche larghe e incrociando le braccia come a tentare di trattenere il poco calore restante nel suo corpo, si avvicinò alla ringhiera e forse per la prima volta rimase estasiata da quella città per la quale aveva provato tanto disprezzo in passato. Portland, che sembrava essere infinita illuminata dalle luci della notte, si prostrava ai piedi di un cielo nero come la pece proprio davanti ai suoi occhi, e l’ombra di un sorriso si posò sulle sue labbra.

Per tutto quel tempo Zayn era rimasto lì, nell’ombra, e lei non si era accorta di lui neanche quando aveva sussultato vedendola uscire sul terrazzo. Era come una visione. A causa sua aveva combattuto contro se stesso per così a lungo che adesso, percependola ad un paio di metri di distanza non riusciva proprio a capacitarsi di come avesse fatto in questi sei lunghi anni a privarsi di una visione del genere. Fu quando vide quel leggero sorriso che, d’impulso decise di fare un passo avanti e “Credo di non averti mai vista sorridere”. Grace fece un balzo all’indietro di quasi un metro sbiancando in volto in pochi secondi e portandosi una mano all’altezza del petto.

“Ho appena perso dieci anni di vita per lo spavento, Zayn” disse in un sussurro tentando ancora di riprendere fiato “Credevo fosse un ladro, santo cielo!
“Qui dentro c’è un sistema antifurto talmente potente che neanche una mosca riuscirebbe ad entrare in questa reggia.” Rise spegnendo la sigaretta nel vaso lì accanto e appoggiandosi con gli avambracci sulla ringhiera a qualche centimetro di distanza da lei. Grace aveva seguito ogni suo movimento e ritornando ad osservare il panorama di fronte a loro pensò ad alta voce “Alla fine è andato tutto come previsto, un matrimonio da favola, una villa che potrebbe far invidia alla White House. Hanno ottenuto ciò che volevano.”
“Non tutto ciò che appare perfetto lo è davvero.” La interruppe Zayn.
Lei non capì “Che vuoi dire?” gli chiese.
“Non c’è niente di perfetto lì dentro, non te ne sei resa conto? Il matrimonio di Callie e Luke sta crollando a pezzi. In questa casa non c’è più niente di perfetto da molto tempo ormai.”
“Cos’è successo?” gli chiese voltandosi nella sua direzione e iniziando a delineare con gli occhi il suo profilo.
“Hanno cercato di avere un figlio un paio di anni fa. Non ci sono riusciti.” Fece una pausa, “Callie è sterile. Per Luke è stato un contraccolpo terribile. Cerca di tenere duro per lei ma ogni giorno che passa è come vederli appassire tra queste stesse mura.”
“Io non ne avevo idea.”
“Lo so” sorrise guardandola negli occhi “E’ difficile. Credi di essere preparato a certe cose, a sostenere i tuoi amici nel momento del bisogno. Ma quando ti ritrovi di fronte ad un dolore del genere ti sembra che le parole si svuotino del loro significato, e tutto ciò che puoi fare è cercare conforto nel silenzio.” Luke e Zayn erano stati grandi amici al liceo, nonostante Luke fosse il capitano della squadra di basket e Zayn di sport ne capisse ben poco. Era una bella amicizia la loro, sincera soprattutto. Ma come sempre la vita non va mai come ci si aspetta. “Sono cambiate molte cose da quando te ne sei andata.” lo disse lentamente quasi per paura di far trasparire la verità da quelle semplici parole. E poi sentì il bisogno di interrompere quel legame visivo che si era creato prima di potersi tradire. Ritornò a fissare un punto indistinto al di là della città. Doveva assolutamente rilassare l’atmosfera prima di rischiare di compiere un qualunque passo falso, così tentò di buttarla sul ridere.
“Comunque il tono professionale mentre parli al telefono non ti si addice molto, piccola Grace.”
“Hey, non chiamarmi ‘piccola Grace’!” si lamentò mentre un sorriso impertinente le sfuggiva dalle labbra. Così cercando di apparire più autoritaria gli diede una spallata.
Lui fece un passo indietro sollevando le mani “Davvero siamo già al contatto fisico? Placa gli ormoni piccola Grace, hai ventiquattro anni non più quindici. Capisco che hai appena dichiarato di amarmi da anni e che tu voglia sposarmi ma …”
“Oh si, in effetti avevo giusto qui l’anello per a proposta” rispose lei fingendo di cercare l’oggetto nelle tasche dei jeans, reggendogli il gioco senza conoscere l’effetto che quelle stesse parole provocavano in lui.
“E vediamo, dove ti vorresti sposare?” sapeva che doveva fermarsi, che quello stupido gioco gli sarebbe potuto costare caro.
Lei ci pensò un po’ su, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio “Non lo so. Non ci ho mai pensato” confessò alzando le spalle “Se mai accadrà sarà qualcosa di molto strano, nulla di tradizionale probabilmente.”
’Se mai’ ‘non ci ho mai pensato’” la imitò “Possibile non ci sia  nessuno che ti faccia battere il cuore? Che ti faccia sognare ad occhi aperti questo tipo di cose? Non c’è nessuno nella tua vita, piccola Grace?” sentendosi porle quelle domande si rese conto di non volerlo sapere davvero, e si pentì amaramente di non essersi fermati molto prima di finire sui carboni ardenti.

Grace, spostando il peso del proprio corpo da un piede all'altro distolse lo sguardo visibilmente a disagio. Non aveva accettato di partecipare a quella serata per parlare di lui, anzi, si era appena resa conto di esserci andata proprio per non pensare a lui. Si sentì terribilmente irritata a dovere sostenere quella sorta di interrogatorio, e da chi poi? Niente popò di meno che la sua cotta liceale. Quando si dice ‘oltre al danno la beffa’. Non voleva che la sua mente ritornasse a quella serata di qualche giorno prima e soprattutto non voleva riprovare quella sensazione sulla propria pelle.

Il suo silenzio gli fece capire che si, c’era qualcuno. Qualcuno del quale però non sembrava essere molto convinta, o che per lo meno le provocava quel disagio che i suoi gesti e i suoi occhi lasciavano trasparire. Una miriade di brutti pensieri iniziarono ad affollare la mente di Zayn. Era ovvio ci fosse qualcosa che non andava, e se avesse dovuto arrendersi e lasciarla andare una volta per tutte, non avrebbe mai e poi mai potuto farlo sapendo che lei non era al sicuro. Era perciò deciso. Al diavolo i carboni ardenti, doveva saperne di più. Ma non appena aprì bocca per parlare, lei stessa ruppe il silenzio.

“Questo è il periodo dell’anno che amo di più.” Aveva cambiato discorso, ma no, lui non avrebbe demorso. Aveva il diritto di sapere. Non aveva potuto proteggerla dieci anni prima, quando era solo un ragazzino che dava troppa importanza alle sciocchezze. Lo aveva capito tardi. Lui era un po’ così in tutto, ma come diceva sempre la nonna ‘meglio tardi che mai’. Così, deciso a controbattere ritornando sull’argomento precedente aprì di nuovo bocca, e per l’ennesima volta inutilmente. “Ogni cosa è così silenziosa. Fa freddo ma riesci comunque a sentire il calore delle persone. Poi c’è la famiglia, quei parenti che vedi solo una volta all’anno e che dici ti stiano antipatici ma che, in fondo in fondo, se non ci fossero ti mancherebbero. E poi l’albero, le decorazioni, i negozi affollati, i sorrisi della gente, i maglioni imbarazzanti che ti permetti di indossare solo in questo periodo dell’anno. La neve, i canti natalizi, tutto a Natale si illumina ed è magia pura.” E il sorriso che le si stampò in volto illuminato solo dalle luci della città gli tolse il respiro. Forse non se ne rendeva conto ma in quel preciso istante era lei ad emanare luce propria, lei era magia pura. E mentre lo sguardo di Grace si perdeva tra le lontane luci di Portland, Zayn non riusciva a distogliere i suoi occhi dallo spettacolo che per così tanto tempo aveva cercato di ignorare. E lei, se solo avesse potuto vedere quello che vedeva lui in quel preciso istante, avrebbe smesso di cercare così lontano la bellezza e la magia di cui tanto parlava.

Let me photograph you in this light
In case it is the last time
That we might be exactly like we were
Before we realized
We were sad of getting old
It made us restless
I’m so mad I’m getting old
It makes me reckless
It was just like a movie
It was just like a song
When we were young
 

“Buon Natale, Zayn.”

Quando Grace rientrò in casa Zayn rimase ancora un  po’ lì fuori a contemplare il vuoto, accendendo l’ennesima sigaretta. Rivederla e parlarle era stato quasi innaturale. E poi c’era stato quel suo tentennamento quando lui si era spinta un po’ troppo oltre la linea di margine che si era prefissato, e aveva capito che chiunque fosse quel qualcuno, era un argomento tabù per lei. Per quale motivo poi, non gli era stato concesso saperlo. E realizzò che, probabilmente, per la seconda volta, si era lasciato sfuggire l’unica persona che fosse mai stata capace di farlo sentire vivo in quel modo.

“Buon Natale, Grace.” 


My corner

Scusate il ritardo ma ho avuto qualche problemino tecnico con il PC. Coooomunque eccoci qui. Spero vi sia piaciuto il capitolo, come sempre sarei davvero felicissima di ricevere una recensione o semplicemente un breve commento.

Mi trovate anche su twitter @/daisyyrral
A venerdì prossimo,
Daisy :)

 

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Capitolo 4
*** In caso ... ***


In caso ...



Ci aveva messo un po' a convincere suo padre che si, ricordava ancora dove si trovava l'ufficio postale. In realtà alla fine aveva sbagliato per ben tre volte strada, ma non l'avrebbe mai ammesso di fronte a suo cugino Stan rischiando che egli si autonominasse sua guida turistica per l'intero soggiorno a Portland. Non che lei non gli volesse bene ma, parliamoci chiaro, chi vorrebbe essere seguita ventiquattro ore su ventiquattro da un tredicenne in piena fase adolescenziale con gli ormoni in subbuglio e la smania di un so tutto io? Ogni volta che si trovava in sua compagnia si chiedeva se lei, alla sua età, fosse mai stata così ... così poco incline alla simpatia ecco. Ma dal momento che almeno fino ai venti anni aveva evitato alcun contatto umano, avere una figlia tredicenne logorroica non rientrava di certo tra i problemi della sua famiglia. Anzi, la incitavano proprio a questo. Per tutta l'infanzia e parte dell'adolescenza non avevano fatto altro che rinfacciarle la sua timidezza. A casa, a scuola, ovunque frasi come "sei troppo chiusa" e "perché stai sempre zitta? Devi aprirti di più con gli altri!" le ridondavano nelle orecchie come quel tormentone estivo che, nonostante nessuno riesca più a tollerare già dopo il secondo ascolto, continuano a mandare in radio. E alla fine si era convinta anche lei, crescendo con il tarlo di essere difettosa qualunque cosa facesse. Perché non le piaceva condividere le sue emozioni con il mondo, le sue insicurezze, i suoi sentimenti, e questo per gran parte di coloro che la circondavano era sbagliato. Alle volte le persone dovrebbero semplicemente capire che ognuno è fatto a modo suo, vive a modo suo e si adegua alla vita a modo suo. Guardare con sospetto chi decide di approcciarsi al mondo esterno più lentamente rispetto agli altri, perché magari si ha bisogno di più tempo per fidarsi di chi ti sta davanti o semplicemente preferisce non sentenziare sciocchezze, non risolve il problema. Spesso si dà troppo peso alle parole, quando ciò che conta davvero è il gesto. Che te ne fai di un bel discorso? Te lo puoi incorniciare. Ma le azioni, quelle ti rimangono sulla pelle.
E poi, cari miei, ricordate che 'se non si ha nulla di carino da dire, allora meglio stare zitti'.

Fu quando, dopo aver imboccato la strada principale per tornare a casa e aver svoltato l'angolo che lo vide. Era enorme e maestoso e ricopriva quasi un terzo dell'intera parete dell'edificio che un tempo era stata la sua scuola. Credette di non aver mai visto nulla di così bello in tutta la sua vita. Le linee, i colori, tutto era perfettamente armonizzato, e anche se probabilmente non era ancora stato terminato, la ragazza dai tratti del viso dolci e rilassati era comodamente sdraiata di profilo in quella che sembrava essere una pozza d'acqua che rifletteva le sue stesse tonalità. Più guardava quel dipinto e più aumentava la sensazione di smarrimento che le stringeva il petto di fronte agli occhi così decisi della ragazzina dal volto perlaceo. Eppure non era lei quella sdraiata in una pozza.

"Hey, non può stare qui!" fu una voce femminile alquanto alterata a risvegliarla da quella sorta di trance in cui era entrata. Una giovane donna dall'espressione notevolmente contrariata si affacciò al finestrino abbassato dal lato del passeggero. Probabilmente qualche anno più piccola di lei, aveva i capelli scuri legati in modo scomposto in un mini bun alto, gli occhi grandi illuminati dal riflesso del sole e la labbra sottili piegate in una leggera smorfia seccata. Le braccia erano scoperte nonostante il freddo e sporche di vernice, segno che era lei, quasi certamente, l'autrice del murale dal quale Grace era rimasta incantata.

Non si era resa conto di aver spento il motore dell'auto osservando l'affresco e così facendo aveva bloccato il passaggio. Si affrettò a ricomporsi tentando di spiaccicare delle scuse miste a complimenti per l'oggetto della sua distrazione, quando una voce maschile sembrò giungere dalle spalle della ragazza dai capelli nero corvino:

"Qualche problema, Vanessa?" Le si affiancò un ragazzo molto più alto di lei, dal momento che Grace non riusciva a vedere il viso dall'interno del veicolo. Anche le sue braccia sembravano essere macchiate dalle stesse tonalità di vernice che si trovavano su quelle della ragazza che probabilmente portava il nome di Vanessa.

Fu Grace a prendere parola, scusandosi e spiegando che in realtà era stato proprio quello che doveva essere il loro dipinto a distrarla, ma si interruppe quando il ragazzo abbassandosi all'altezza del finestrino rivelò il suo volto.

"Liam" pronunciò a stento il nome della sconosciuto che non era ormai più tale.

L'espressione sul voltò di lui mutò. "Ci conosciamo?"

"Sono Grace, Liam." E rieccoci, la stessa identica reazione che aveva letto negli sguardi di Callie, Luke e poi di tutti gli ex compagni che aveva rincontrato qualche sera prima. "Grace Montgomery." precisò nel tentativo di aiutarlo.

Il ragazzo fece il giro attorno all'auto giungendo fino alla portiera del guidatore e spalancandola. 'Bene, direi che i suoi modi da vicino scorbutico sono migliorati' pensò Grace. La incitò ad uscire dall'auto, così slacciando la cintura e sospirando ormai arresasi ad accontentarlo, uscì fuori dall'auto rabbrividendo per l'impatto improvviso del suo corpo con la temperatura esterna.

"Santo Cielo!" esclamò Liam passando in rassegna la sua figura dall'alto in basso, "come ..." e le restanti parole gli morirono in bocca.

"Anche per me è bello rivederti, Liam" sbottò sarcasticamente Grace tentando di riscaldarsi le mani strofinandole tra di loro.

"Vieni qui, fatti abbracciare" esclamò lui tentando di ritrovare un briciolo di contegno.

In tutti quegli anni di vicinato il massimo dello spazio vitale che abbiamo condiviso saranno stati circa otto metri di distanza, poi basta non farti vedere in giro per qualcosa come sei anni, per ricevere in un solo abbraccio stritolante tutte le attenzioni mancate in diciannove anni.

Dopo aver spostato l'auto ed essere stata trascinata in un piccolo magazzino dal forte odore di pittura, Grace subì un lungo interrogatorio da parte di Liam sulla sua vita, mentre Vanessa se ne stava in un angolo dello stanzino, relegata ad una minuscola scrivania a lavorare a qualcosa, mentre di tanto in tanto le lanciava qualche occhiataccia firtiva. Quella ragazza non le piaceva affatto. Cosa aveva tanto da guardare in quel modo?

"Tranquilla, fa così ma di solito non morde." Le suggerì Liam divertito dallo sguardo spaventato di Grace ogni qualvolta incrociava quello della mora.

Grace distolse velocemente gli occhi imbarazzata e "Credevo di vederti la scorsa sera da Callie." Accennò alla rimpatriata alla quale il ragazzo non aveva partecipato.

"Non fanno per me i tuffi nel passato." Si morse le labbra come a volersi auto impedire di dire altro.

Grace scoppiò in una fragorosa risata che le costò l'ennesima occhiataccia da parte di Vanessa.

"Oh Liam, non dirmi che ti struggi d'amore ancora per quella pidocchiosa di Rosy Grey ti prego."
lo quasi implorò.

"Non chiamarla in quel modo." Anche lui tentava di trattenersi dal ridere.

"E comunque non c'era neanche lei alla cena." Lo informò Grace.

"Sai che fine abbia fatto?"

"Per quello che so io è sposata, ha tre figli e tutti e tre hanno i pidocchi." Ci aveva provato a rimanere seria fino all'ultima ma aveva fallito miseramente trascinando con sé anche Liam.

In quel preciso istante la porta di ferro del magazzino venne spalancata.

"Quante volte vi ho detto di non lasciare i barattoli di vernice lì fuori incustoditi perché quelle piccole bestiole indiavolate comunemente chiamate 'gatti' li fanno cadere? E adesso siamo senza vernice verde." La figura controluce apparteneva chiaramente ad un ragazzo, ma ciò che fece scattare sull'attenti l'istinto di Grace fu la sua voce.

"Amico rilassati. Guarda chi è venuta a trovarci."

Egli spostò lentamente lo sguardo da Liam all'ombra alla sua sinistra. Ci mise un po' a mettere a fuoco, ma quando lo fece dovette stringere la presa sul manico del contenitore di latta per evitare che quel poco colore che era rimasto scivolasse a terra. E l'unico pensiero che riuscì a formulare fu 'Cosa ci fa lei qui?'

"Zayn?" Grace da parte sua nella foga del momento aveva totalmente dimenticato il forte legame fraterno tra i due ragazzi ma, soprattutto la passione che li accomunava. L'arte. Così quando aveva finalmente riconosciuto quella minacciosa figura che aveva irruentemente interrotto la loro importante discussione di grande spessore sociale, si diede mentalmente della stupida per non averci pensato prima.

Zayn proprio non ce la faceva a spiaccicare parola, così fece qualche passo in avanti appoggiando il sacchetto di carta con i nuovi pennelli che era uscito a comprare circa una mezz'ora prima. Per la seconda volta nell'arco di una settimana lo aveva colto di sorpresa e questa volta perfino nel suo territorio. Doveva riprendere il controllo di se stesso. Okay, uno ... due ... tre ...

"Grace è rimasta talmente affascinata dal nostro murale che aveva deciso di bloccare la strada con la sua auto in modo che tutti si fermassero ad ammirarlo." Grazie, Liam. "Le ho detto che potevamo trovare un modo leggermente più conforme alla legge che bloccare una strada principale per radunare fans, e dopo vari tiri e molla sono riuscita a trascinarla via da lì."

Liam ci aveva provato a rendere le cose più semplici. Sapeva l'impatto che questo incontro avrebbe potuto avere su Zayn e, aveva sperato fino in fondo che lui trovasse qualche intoppo per strada che lo facesse tardare. Ma poi l'inevitabile era giunto e lui quell'espressione sul suo volto l'aveva notata eccome. Aveva tentato di sdrammatizzare, aveva cercato l'appoggio di Vanessa che lo aveva totalmente ignorato ma alla fine era riuscito a scuotere Zayn tirando in ballo il dipinto che aveva ammaliato Grace.

"Sai che Margot è una sua creazione?"

"Ma smettila, sai benissimo che non è così!" Irruppe nuovamente la voce di Zayn dopo minuti di silenzio che erano sembrati ore.

"Ora fa il finto modesto ma il disegno di base è suo." Insistette Liam con un sorriso soddisfatto stampato in volto.

"Chi è Margot? " chiese Grace guardando prima Liam poi Zayn.

"La ragazza nel dipinto."

Ecco, il più era fatto, pensò Liam, si erano rivolti la parola.

"La ragazza nel dipinto si chiama Margot" precisò Zayn.

"Le ha dato un nome, capisci?" scoppiò a ridere Liam "E quando gli ho chiesto perché proprio Margot sai cosa mi ha risposto? Perché ha gli occhi da Margot"

Ora Grace iniziava a capire. Margot non esisteva davvero, non era una ragazza reale. Era una creazione di Zayn alla quale aveva dato quel nome.

Era curiosa, voleva saperne di più. Quel dipinto l'aveva affascinata, ed erano stati proprio gli occhi a colpirla maggiormente perciò "Che occhi hanno le Margot, Zayn?".

"Quante storie per un nome." Sbuffò lui scocciato. Non voleva parlarne, non in quel momento.

Il telefono di Liam squillò e chiusa la telefonata informò i presenti di doverli sfortunatamente abbandonare. Dopo aver dato una pacca sulla spalla al moro e aver ricevuto in cambio un'occhiataccia che resentava l'omicidio, uscì di scena.

I due superstiti si spostarono all'esterno e sedettero sul muretto di fronte al murale. Il tramonto si stava sciogliendo alle loro spalle e la luce calda e sfumata di quell'ora rendeva i colori di Margot ancora più vivi e intensi. Ma erano i contorni di quelle due ombre delineate da quella stessa luce sul suo corpo, a far di lei una spettatrice.

"E' davvero bello, Zayn." Lo disse dolcemente, quasi per paura di spezzare quel sacrale silenzio che li circondava. "Avevo dimenticato quanto fossi bravo." Lui seduto al suo fianco le sorrise. "Ti ricordi quella volta in secondo superiore quando ci fecero fare quel test sulle nostre aspirazioni nella vita? Tu scrivesti 'Sto cercando la bellezza'." Cercò il suo sguardo e capì che si, lui ricordava. "Quando lo leggesti ad alta voce tutti si misero a ridere, anch'io lo ammetto. Solo più tardi capii cosa intendevi. Mi incuriosivi così iniziai ad osservarti da lontano. All'inizio non riuscivo a vedere altro che un ragazzino belloccio, sicuro di sé e arrogante ma poi iniziai a notare delle piccole cose in te che gli altri non avevano. I tuoi occhi " sorrise ricordando come si era presa la sua prima vera cotta adolescenziale, "I tuoi occhi sembravano essere costantemente alla ricerca di qualcosa. E quando guardavi il mondo intorno a te era un po' come vederti all'azione. Era questo che intendevi, vero?"glielo chiese così, a brucia pelo, indicando il muro di fronte a loro. "Credo tu l'abbia trovata, Zayn, la bellezza intendo. Perché non credo di aver visto niente di più bello in tutta la mia vita." Era emozionata ed eccitata. Eccitata all'idea di averlo detto ad alta voce. Di aver ammesso che lei in quello che poteva sembrare un semplice disegno su un muro ci vedeva del sentimento, ci vedeva vita. E questo la emozionava così tanto da farle venire i brividi lungo la schiena, da farle accelerare il battito cardiaco e farle tremare la voce. "E' fantastico cosa riesci a fare con dei semplici colori. Con le tue mani puoi dare vita ad emozioni." Sussurrò come se fosse un segreto, il loro segreto.

Se solo lei avesse saputo. Se solo avesse avuto la minima idea di quanto inconsciamente l'avesse aspettata per tutto quel tempo, di quanto l'avesse cercata per le strade tra volti sconosciuti, di quanto l'avesse amata. Perché era questo ciò che aveva fatto e finalmente riusciva ad ammetterlo con se stesso. Non era una semplice cotta da liceale, non erano più adolescenti. E quei sentimenti cuciti sotto pelle. No, non gli sarebbe mai passata, non avrebbe mai smesso di guardarla con gli stessi occhi con cui la guardava adesso, e con cui la guardava a 15 anni. E segretamente glielo promise . Le promise di proteggerla e di prendersi cura di lei. Le promise in silenzio che avrebbe avuto sempre una casa alla quale ritornare. Perché certe cose non cambieranno mai. Puoi provarci, puoi lasciare che il tempo le corrodi ma, resteranno sempre lì ad aspettare che tu le riprenda indietro.

I know
One day eventually
Yeah, I know
One day I'll have to let it all go
But I keep it just in case
Yeah, I keep it just in case
In case
You don't find what you're looking for
In case
You're missing what you had before
In case
You change your mind, I'll be waiting here
In case
You just want to come home

Avrebbe voluto dirle tutto. Adesso che gli occhi le brillavano riflettendo i colori di Margot le avrebbe rivelato ogni cosa e poi l'avrebbe baciata, senza aspettare nulla in cambio, senza aspettare una sua risposta avrebbe posato le labbra su quelle di lei e le avrebbe rubato quel bacio. Uno solo, si, un singolo bacio sarebbe bastato a rallentare i loro battiti cardiaci, a rendere ogni cosa più reale e quei colori più vivi.Eppure non lo fece, nonostante sapesse che se ne sarebbe pentito probabilmente per il resto della sua vita. Sapeva che c'era qualcun altro. L'aveva intuito quella sera sul terrazzo, era rimasta in silenzio ma non aveva negato.

"Ti ho appena detto che hai raggiunto lo scopo della tua vita e non dici nulla?" esclamò scocciata Grace. Ci aveva messo così tanto fervore nel rivelargli quanto bene le facesse la sua arte che ora si sentiva quasi stupida per essersi lasciata prendere così tanto dall'entusiasmo. Grace pensò che sicuramente con tutte quelle parole lo aveva spaventato e che in quell'arco di tempo che aveva passato in religioso silenzio non aveva pensato ad altro che a cercare un modo per scappare il più lontano possibile da lei e dalla sua imbarazzante parlantina. Dannazione. Cosa le era preso? Come le era venuto in mente di esporsi così tanto con lui? E se stesse pensando che io sia ancora innamorata di lui? Possibile che non riusciva ad evitare di mettersi nei casini? E per giunta con le sue stesse mani. Ventiquattro anni e sono ancora un disastro.

Zayn scosse il capo sorridendo "No, non credo di aver raggiunto lo scopo della mia vita, altrimenti mi sentirei in un certo senso ... completo, forse appagato, suppongo. E ti assicuro che non è quello che provo" sospirò in un triste sorriso "E tu? Hai raggiunto lo scopo della tua vita, piccola Grace?"

"No, ovviamente. Altrimenti non sarei finita ad una rimpatriata liceale." Lui attese in silenzio una spiegazione che non tardò ad arrivare, nonostante una vocina nel cervello di Grace continuasse ad incitarla a smettere di parlare a sproposito. "Il principale motivo, okay forse l'unico, per cui sono venuta a quella cena la scorsa settimana è stato cercare ..."

" ... risposte" completò la frase, Zayn.

"Esatto. Non lo so. Era come se avessi bisogno di conferme, come se il passato potesse in un certo senso concedermi la certezza di star facendo la cosa giusta."

"E ha funzionato?" chiese lui, cercando di controllare la voce, mentre dentro stava letteralmente bruciando dalla voglia di sapere di più sulla quotidianità di lei.

"Forse si. O forse è semplicemente un'illusione che svanirà non appena tornerò a casa."

Fu strano per lui sentirle dire quelle parole. Tornare a casa. Non era forse questa casa sua? Portland? E ancora una volta si sentì come intrappolato in una dimensione spazio temporale dalla quale non riusciva ad uscire. Lei era andata avanti. Conduceva una vita completamente nuova e soprattutto sconosciuta a lui, mentre 'io' pensò 'è come se ogni giorno rivivessi i miei diciassette anni'.

Grace sobbalzò quando si rese conto che il suo cellulare stava effettivamente suonando da un po'. Capì di chi si strattava, lo riconobbe dalla suoneria personalizzata che aveva scelto lui stesso appositamente. Non voleva rispondere, non ora che aveva ritrovato un soffio di pace. Lo avrebbe richiamato più tardi, non era ancora pronta a guardare in faccia a quelle tanto aspirate risposte che era venuta a cercare.

"Non rispondi?"
"No."
"Come fai a sapere chi sia?"

Grace fece di tutto per mascherare il più possibile la verità che le si leggeva in volto. Era sempre stata una pessima attrice. Zayn si voltò verso di lei "A meno che non ... piccola Grace non sembri affatto un tipo da suoneria personalizzata" rise Zayn incredulo. Come dicevamo, pessima attrice.

"Le persone cambiano." Tentò di difendersi lei mentendo a se stessa. Lui spostò lo sguardo davanti a sé.
"È lui?" Una sola domanda, semplice e diretta. Doveva sapere. Non ne aveva alcun diritto, ma ne aveva bisogno. Il silenzio che seguì lo convinse sempre di più che non avrebbe ottenuto risposta. Finché:
"Niall." Era la prima volta dopo quasi due settimane che pronunciava il suo nome a voce alta e le fece uno strano effetto. Come se lo avesse sentito pronunciare da una voce esterna.

Zayn incassò il colpo in silenzio, sforzandosi di mantenere quelle'espressione calma e neutrale che aveva indossato, come una maschera, per tutto il tempo.

"Le cose non vanno bene tra di voi?" A questo punto Zayn pensò che le opzioni sarebbero potute essere due. Poteva chiudersi in se stessa e semplicemente andarsene o, poteva aprirsi con lui e fidarsi di qualcuno che non vedeva da anni. Inutile dire che lui sperasse nella seconda, anche se gli sembrava troppo illusoria.

E invece ecco che ancora una volta lo sorprese. "No, al contrario" sospirò "è tutto ... perfetto." Di nuovo quell'aggettivo, doveva sicuramente rivalutare la sua concezione di 'perfezione'.

"Alle volte il fatto stesso che non ci sia alcun problema è in realtà il problema." Lo aveva detto davvero? Aveva davvero sparato quell'enorme cavolata davanti a lei? E poi, come si era permesso ancora una volta di curiosare nella sua vita privata e commentarla in modo così sfacciato? Che idiota, pensò.

In realtà non sapeva che Grace stesse realmente riflettendo su quella 'enorme cavolata' come l'aveva definita lui. Forse, un fondo di verità in quelle parole c'era davvero. Non c'era nulla di sbagliato in lei e neanche in Niall, semplicemente era tutto troppo. Troppi sorrisi, troppe parole, troppi 'ti amo' lasciati al vento, troppo amore soffocato in baci al lume di candela in un ristorante lussuoso. Che forse è vero che alle volte l'amore non basta, che non importa quanto tu ci tenga davvero se poi ti volti a cercare la prima via di fuga disponibile. Perché, ora che ci pensava, tra di loro non c'era mai stato neanche un litigio, niente urla o lacrime. Era sempre stato tutto così lineare. Ed era per questo che ora si ritrovava ad invidiare Margot. Questa, probabilmente fradicia di quell'acqua sporca, per strada, al freddo, scossa da brividi, aveva il coraggio di provare qualcosa, di sentirsi viva. E lei? Grace Montgomery era ancora in grado di rabbrividire in quel modo quando qualcuno la sfiorava?

Era ritornata a Portland alla ricerca di risposte.
Le aveva trovate?
Si, pensò, forse si.

"Sai che in un'altra vita potresti essere un piccolo Freud, Zayn?" sbottò Grace divertita.

"Non sono io" rispose con fare ovvio Zayn "è Margot" le disse indicando il murale.
"Allora mi riservo il diritto di tornare qui, in questo esatto posto ogni volta avrò bisogno di risposte" affermò divertita ma al contempo decisa.

"Certo, questa è casa tua, Grace" 

Quella fu la prima casa che Zayn le regalò.




 

My corner

Capitolo luuuuuuungo, lo so, ma sinceramente non mi andava di dividerlo in più parti perciò avete appena letto 3400 parole. Congratulazioni!

Anyway, grazie a tutte quelle persone che stanno seguendo questa storia e che ritrovo ogni volta tra i commenti. Vi adoro! Ah! E vi comunico anche che una ragazza qualche giorno fa mi ha contattata per accertare il nome della ship.

La scelta sta tra Zayce o Grayn
VOTATE NEI COMMENTI!

Un'ultima cosa e poi giuro che mi volatilizzo. Vi consiglio vivamente di passare a dare un'occhiata alla fanfiction di Captain Payne 'Troubles in Heaven', IO LA STO AMANDO!

 

Al prossimo venerdì cuori,
Daisy :)

Twitter: daisyyrral

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Capitolo 5
*** Ubriachi ***


Ubriachi


6 MESI DOPO.
 
“Non sono una persona insicura” proferì sulla difensiva.
“Lo so.”
“E non ho bisogno di conferme.”
“So anche questo.”
“E di certo non mi serve un uomo per sentirmi realizzata.”
“Questo è poco ma sicuro” aveva imparato il gioco, doveva solo continuare ad assecondarla.
“Voglio dire, sono una donna indipendente ed emancipata e se il mio lato autoritario ti spaventa allora puoi andartene al diavolo” sbottò sempre più decisa a vincere quella guerra.
“Io credo solo che tu abbia aspettative troppo alte, ecco.”
“Che cosa? Io, aspettative troppo alte?” come non detto. Avrebbe dovuto attenersi al piano principale, sorridere e annuire. “Io non ho affatto aspettative. Esco con una specie di cuoco senza un ristorante che ha un sogno più grande del mio appartamento, e tu hai visto il mio appartamento. E poi non ha neanche un’auto …”
“Lui ha un’auto.”
“No, tesoro. Mi rifiuto di chiamare quella cosina ‘auto’” disse agitando il dito per sottolineare la sua contrarietà.
“A me piace Dave. E’ spiritoso, passionale, è un sognatore, che di questi tempi è davvero una rara qualità da trovare nelle persone. E poi è un galantuomo e ti tratta come se fossi una regina. In poche parole, quell’uomo ti venera e tu neanche te ne rendi conto. Potrai anche non essere una persona insicura, bisognosa di conferme e potrà anche non servirti un uomo per sentirti realizzata, ma tu hai bisogno di quell’uomo per essere felice, Cristina. Non farti scappare il tuo principe azzurro solo perché non ha l’armatura lucente e il suo cavallo non è bianco.” Ci credeva davvero in quello che le aveva appena detto “Spero che ora non mi licenzierai perché ti ho contraddetta” aggiunse in fretta simulando lo sguardo più sottomesso che possedeva nel suo repertorio.
Cristina, che fino a quel momento le aveva dato le spalle volgendo lo sguardo sulla distesa di grattacieli che si scorgeva dalla vetrata del suo ufficio della rivista Women si voltò “No. Ci sai fare troppo con le parole per licenziarti. E poi, se ti licenziassi, addosso a chi vomiterei le mie non-insicurezze?” sospirò facendole l’occhiolino. “Riguardo stasera, vengo a prenderti io o vieni con la tua auto?”
“Cosa?” Stasera?  Aspetta, che giorno è ‘stasera’? Ma perché diavolo non mi decido a comprare un’agenda? Eppure stavolta sono sicura di non aver dimenticato nulla.
“No. No, no, no, no. NO” okay, forse aveva dimenticato qualcosa. “Non dirmi che te ne sei dimenticata!” certo che lo aveva fatto, aveva la memoria di un novantenne. Eppure credeva di essere migliorata da quando aveva iniziato a comprare la Settimana Enigmistica aka Allena la mente. Allena la mente un corno, aveva solo contribuito a renderla più miope di quanto lo fosse già.
“La festa” sentenziò Cristina per aiutarla a ricordare. Si sforzò tentando di far riaffiorare qualcosa riguardò ad una festa: il nulla più totale, “di Catherine” Catherine? Ancora il nulla più totale “Catherine Donovan.”
“Dannazione riesci a dire una frase di senso compiuto entro le prossime ore?” si scocciò Grace.
“La pittrice.” Oh. Si, ora ricordava. Ed ecco perché aveva completamente rimosso quella festa dalla sua memoria. Non aveva alcuna intenzione di andarci.
“Io non vengo.”
“Certo che ci vieni.”
“No.”
“Si.”
“Cristina non insistere, quella donna mi odia e devo dire che il sentimento è del tutto ricambiato.” Era vero. Quella bambolina biondo platino con la pelle di porcellana la irritava tanto quanto aveva la percezione che lei la irritasse. La prima volta che si erano strette la mano al principio dell’intervista che Grace le aveva fatto, l’aveva praticamente scannerizzata dall’alto in basso, e rifilandole un’occhiataccia di appena sufficienza le aveva fatto notare che le sue convers da quattro soldi stavano pestando un pavimento da sessanta mila dollari. Le avrebbe fatto notare che sarebbe stata felicissima di mettere lei sotto i piedi per evitare quell’oltraggio che stava infliggendo a quel terrificante parquet, se non fosse stato per la dannata intervista che le era stata rifilata all’ultimo secondo perché tutti l’avevano rifiutata. Ora ne capiva le motivazioni. Quando poi alla domanda su quale fosse la più bella opera che lei avesse mai ammirato aveva risposto ‘ le mie iridi nello specchio ’ Grace aveva deciso che sarebbe stato inutile tentare di far apparire Catherine Donovan peggiore di quanto fosse, visto che faceva tutto il lavoro da sé.

“Ma che importa se vi odiate a vicenda. E’ una festa, il che significa alcool, musica, nuove conoscenze” E il primato della coerenza va a …
“Cristina”
“Lo so, lo so che non sei sul mercato ma questo non ti impedisce di conoscere nuova gente.” Quel sorrisino la inquietava parecchio.
“Sul serio, non ho alcuna intenzione di …”
“E poi chissà, magari è proprio ciò che ti serve.” Ancora una volta non capiva “Il libro, Grace, il tuo nuovo libro.”
“Non credo che ubriacarmi potrà essere molto utile al fatto che non riesco a scrivere un paio di parole di seguito che abbiano senso compiuto da ormai due mesi.”
“Invece si. Sei visibilmente stressata con tutta quella roba da …” e concluse la frase simulando un conato di vomito perché lei quella parola proprio non riusciva a dirla.

Cristina era un concentrato di potenza e indipendenza. Femminista fino al midollo rifiutava ogni tipologia di profondo romanticismo. Dipendente dal suo lavoro, determinata a raggiungere i suoi obiettivi a qualunque costo (o quasi), era una di quelle persone che a San Francisco vengono definite come ballin, ovvero qualcuno che ha fatto successo ed è perciò ora popolare e ricco. Razionale e competitiva, spirito libero solo quando si tratta di relazioni amorose, ed eccellente nel suo campo, era diventata capo della famosa rivista Women a soli ventiquattro anni. E ora, sulla soglia dei trenta era diventata una sorta di mito, una leggenda intrappolata in un esile corpicino, occhi scuri come la pece e capigliatura folta e sbarazzina. Eppure a distanza di anni era ancora incapace di gestire le proprie emozioni, e così si rifugiava nell’introversione di un mondo fatto di logica e praticità. Il lavoro era da sempre stato la sua vita, certo, aveva avuto delle relazioni ma niente di importante. Finché non aveva incontrato Dave. Cuoco alle prime armi, sognatore, romantico, di qualche anno più giovane di lei, era il suo esatto opposto. Cristina, che dal canto suo aveva sempre creduto al ‘chi si somiglia si piglia’ e mai al ‘gli opposti si attraggono’ non riusciva proprio a spiegarsi come fossero finiti assieme. Si frequentavano ormai da quasi un anno, tra alti e bassi e soprattutto sbalzi di umore da parte di lei, eppure probabilmente non avrebbe mai e poi mai ammesso di non essersi mai sentita così viva come in quel periodo della sua vita. Fino a qualche mese fa credeva che il suo lavoro fosse tutto ciò di cui aveva bisogno, ma adesso qualcosa era cambiato …

“Passo da te alle nove, bel culetto.” E uscì dalla stanza regalandole una pacca sul sedere. Devo far maggiore attenzione quando stringo amicizia con gente strana, rifletté a voce alta.
 

We’re so late nights
Red eyes, amnesia, on ice
Late nights, red eyes, amnesia, I need you

Eccola: l’estate.
Tutti l’aspettano, tutti la cercano, tutti la amano incondizionatamente finché non arriva con i suoi trentasei gradi di afa pura. A quel punto iniziano a maledirla e ad invocare il gelo e i pinguini del polo Sud, sognando distese di neve e ghiaccio lastricato su cui pattinare. Grace faceva parte di quella minuscola percentuale di persone a cui l’estate proprio non andava giù, in qualsiasi stagione dell’anno si trovasse. Non le erano mai piaciute cose come il caldo e il sole scottante, per non parlare della temuta prova costume. L’unica cosa che la attraeva della calda stagione era il mare, o meglio il poter fare il bagno in mare. Era una di quelle cose capaci di farla sorridere, l’avrebbe guardato per ore, giorni senza mai stancarsi. Il mare rappresentava per lei il vivido concetto di immensità. Puoi tentare, puoi sforzarti, sollevarti sulle punte per sbirciare oltre l’orizzonte ma mai e poi mai vedrai la fine, perché effettivamente non ce l’ha, perché quella spiaggia che tu potresti considerare la fine in realtà potrebbe essere l’inizio per  qualcun altro.  Un’enorme distesa di acqua salata indomabile e coraggiosa che si prostra ai tuoi piedi senza pudore e riserve, e tutto ciò può farti sentire impotente ma allo stesso tempo terribilmente libero e privo di ogni difesa. Grace amava il mare, lo amava in qualsiasi stagione ma in estate più di tutte, era l’unico periodo in cui riusciva ad avere un contatto tanto diretto con esso e questo la mandava in estasi.

Ritornò a quell’esile scrivania improvvisata nel suo piccolo appartamento nel centro di San Francisco e riprese a scrivere. O meglio, ci provò. Ebbe come l’impressione che fossero passati secoli dall’ultima volta che aveva almeno tentato di riordinare quel casino che si ritrovava in testa riuscendo a ricavarne davvero qualcosa. Bloccata. Ecco come si sentiva. Bloccata in una dimensione che non riusciva a comprendere, intraducibile. Ed era stanca anche solo di provare ad uscirne, di cercare una soluzione al suo problema. Anzi, preferiva ignorarlo del tutto. Primo poi finirà, giusto? Pensava tra sé e sé, nel tentativo di auto convincersi. E così si affacciava dalla finestra che dava sulla stradina popolata e si perdeva nell’osservare tutti coloro che entravano nel suo campo visivo. E viaggiava con la mente e i suoi occhi si riempivano di strane storie e personaggi strampalati. Riservava per ognuno emozioni diverse e immaginava le loro vite come la pellicola di un film a scorrerle davanti agli occhi. Mentre quelle pagine, quelle che davvero doveva impegnarsi a riempire rimanevano vuote, bianche e pure, quasi come se avesse paura di sporcarle con parole superflue. Poi d’un tratto si sentì irritata con se stessa perché, dannazione lei era felice, lo era davvero perché per la prima vota nella sua vita tutto le sembrava chiaro e limpido come non lo era mai stato. In seguito al ritorno da Portland molte, un sacco di cose erano cambiate, aveva finalmente capito ciò di cui davvero aveva bisogno e le era sembrato che ogni tassello del puzzle fosse andato al posto giusto. Così pian piano aveva iniziato a percepire attorno a se, come un’aurea, quella strana sensazione di calma e tranquilla felicità che stonava del tutto con il fatto che si sentisse totalmente poco ispirata. E così aveva smesso di scrivere.  

Provò a spostare di qualche centimetro la pila di romanzi accanto al computer, si sistemò meglio sul dorso del naso gli occhiali da vista che ormai portava solo a casa quando toglieva le lenti a contatto e tornò a fissare l’ultima parola che aveva scritto cinque mesi e dodici giorni fa: pelle . La ripeté ad alta voce: pelle, ma ancora una volta nulla. Nessuna emozione, nessuna idea, il nulla più totale.

In uno scatto d’improvvisa insoddisfazione abbassò lo schermo del portatile e si alzò dalla sedia. Doveva fare qualcosa per aggiustare le cose, e se questo comprendeva prendersi la terza sbronza della sua vita lo avrebbe fatto.
 
 
Right now I can't see straight
Intoxicated it's true 
When I'm with you
I'm buzzing and I feel laced
I'm coming from a different phase
When I'm with you
Il loft lungo e stretto come un corridoio era avvolto da luci basse e un’atmosfera soft, del tutto lontana dall’dea di festa che Cristina si era fatta. Grace, infatti notò l’espressione di delusione che le si dipinse in volto appena ebbero varcato l’ingresso. Ma Cristina non si era data per vinta, giusto il tempo di individuare il bar e nel giro di qualche minuto Grace si era ritrovata del tutto sola. Così aveva deciso di dare un’occhiata in giro e magari fingere di soffermarsi ad ammirare qualche quadro mediocre di quella che doveva essere la padrona di casa, ma della quale non si era vista ancora neanche l’ombra, cercando il coraggio di avvicinarsi al barista e chiedere qualcosa di molto forte per affrontare la serata.

Così si avvicinò ad un gruppetto di persone sulla sua sinistra che si erano radunate attorno a quello che doveva essere un quadro davvero interessante per attirare l’attenzione di così tanta gente. Decisa come poche volte nella sua vita a scoprire di che cosa si trattasse, e grazie anche alla sua esile figura riuscì a farsi spazio tra la folla ritrovandosi proprio di fronte al dipinto. Si trattava di una donna, i cui contorni erano delineati dalla sottile punta di una matita blu, distesa di lato su delle lenzuola sfatte. I capelli ricci erano sparsi in disordine sul cuscino, il braccio sinistro piegato sotto la testa mentre la mano destra era nascosta tra le cosce nude. L’espressione di lei era l’unica cosa che poteva davvero portare fuori strada, apparentemente rilassata ma in realtà concentrata. In basso lesse il titolo: Dormiente, titolo alquanto assurdo, pensò Grace, dal momento che tutto ciò che emanava la figura era tensione. Le braccia, le gambe, le spalle, il collo e le palpebre degli occhi, sembravano tutti essere tesi come delle corde di violino pronte a spezzarsi. L’audacia di quelle linee la stravolse. La donna raffigurata stava chiaramente provando forti emozioni e sembrava essere prossima all’orgasmo e tutto ciò che il titolo affermava era: Dormiente. Forse perché nessuno di quei signori altolocati presenti e nessuna di quelle signore appartenenti all’alta società avrebbero mai ammesso pubblicamente la verità di ciò che stavano osservando. Per questo motivo stavano adesso annaspando nel cercare quel carattere “dormiente” inesistente tra i tratti descritti sulla tela. Un signore accanto a lei in giacca blu e dai lineamenti francesi insisteva nel dire che si trattava della corona di ricci che le incorniciava il volto, una voce femminile alle loro spalle rispose che la verità si celava tra le labbra dischiuse e abbandonate e ogni secondo che passava una nuova teoria veniva rilasciata velata da quella comune preoccupazione di avvicinarsi sempre di più alla verità. Grace non riusciva a comprendere questa visione unilaterale della vita e iniziava a provare un brivido di ripugnanza per tutta quella gente che cercava disperatamente un appiglio al quale aggrapparsi pur di non cedere a se stessi, ma soprattutto era disgustata dal tentativo della stessa pittrice di celare le sue passioni tentando di soffocare l’arte dietro un titolo. Tutto ciò che sarebbe bastato dire era:
“Autoerotismo” affermò qualcuno con voce ferma, zittendo l’intero gruppo, perché finalmente la bomba era esplosa e ognuno di quei lussuosi manichini pensava senza nascondere un sospiro di sollievo che non erano stati loro a sparare per primi.
“Esatto” esclamò ad alta voce Grace come se si fosse trattenuta a stento dal mettersi ad urlare. Ma non appena si rese conto che non si trattava di una voce nella sua testa ma proveniva dall’esterno si girò di scatto cercando quel salvatore di anime dipinte tanto coraggioso. Notò che la folla si era velocemente e silenziosamente dispersa come se fosse stata sul serio evacuata, e le venne da ridere riflettendo su quanto stupidamente puritana potesse essere alle volte la razza umana. Poi i suoi occhi si spostarono sull’unica figura che era rimasta alle sue spalle e che ora si stava lentamente avvicinando quasi per paura che lei scappasse.
Another way now
Like we're supposed to do
Take you to the back now
I take a shot for you
Wasted every night
Gone for every song
Faded every night
Dancing all night long
In realtà il pensiero di scappare non attraversò per nulla la mente di Grace, la quale rimase invece immobile attendendo che lui si avvicinasse abbastanza da permetterle di scorgere meglio il suo viso.
“Sa di avere appena oltraggiato le illustri menti di quei signori con le sue insinuazioni, signore?”
“Spero solo di non avere offeso la sua di mente, signorina.” rispose affiancandola “E poi con tutto il dovuto rispetto, ma i suoi amici sembravano avere davvero bisogno di un suggerimento miss … ?”
“Montgomery.” Precisò.
Sentendo quel cognome sorrise tenendo lo sguardo fisso sul quadro. “Mi permetta di chiederle la sua personale opinione sul dipinto, miss Montgomery.”
“Devo dire che, nonostante io non sia proprio una fan dell’autrice, stavolta devo concederle il merito di aver creato qualcosa di così magnetico alla vista. E’ quasi come se l’intera e sola immagine riuscisse ad inebriare tutti e cinque i sensi stravolgendo con la propria veridicità la percezione del reale, mentre nelle linee tracciate c’è una sorta di virilità femminile morbidamente sfumata. Peccato per il titolo al quale è stata condannata, rovina ogni cosa.”
"E' vero. Adoro lo stile di Catherine, ma la scelta del titolo è molto triste."
"Conosci Catherine?" Aveva smesso di dargli del lei.
"L'ho conosciuta qualche anno fa ad una mostra iconografica qui a San Francisco. Se sei qui devi conoscerla anche tu, o sei un'imbucata?" Anche lui era ormai passato a darle del tu.
"Primo, si la conosco" ed evitò di aggiungere quel 'purtroppo' che tanto le premeva sulla lingua, "e secondo se fossi un'imbucata di certo non mi imbucherei ad una 'festa' del genere."
"Touché" sorrise lui guardandosi intorno.
"Cosa ti porta da queste parti, giovane straniero?"
"Intendi qui, a San Francisco?"
"No, intendo qui di fronte ad un quadro erotico." Rispose ironicamente lei "Si, a San Francisco."
Tu, pensò lui, ma non era del tutto vero. "Opportunità." fu ciò che rispose.
"Ti mantieni sul vago" lo prese in giro.
"Non mi piace sbilanciarmi" era ciò che aveva fatto per tutta la vita. "E tu cosa ci fai qui?"
"Ci vivo" sorrise.
"No, intendo di fronte ad un quadro erotico" che colpo basso.
"Cerco di fare la disinvolta" fece spallucce "ho intenzione di ubriacarmi stasera" gli sussurrò avvicinandosi e provocandogli un sorriso involontario sulle labbra.
"Eppure hai ormai passato metà serata ad osservare un quadro erotico" la prese in giro.
"In effetti credo sia il caso che ci spostiamo da qui prima che tutti i presenti inizino a considerarci dei pervertiti" e per la prima volta nella serata si voltò a guardarlo.
“Troppo tardi, piccola Grace.”
Drunk all summer
Drunk all summer
We've been drunk all summer
Drinking and flowing and rolling
We're falling down
 


My corner

Hola! Come state? 

Io mi sto lentamente sciogliendo sulla tastiera del PC.

Nonostante ciò ecco un altro venerdì e un altro capitolo di 'Pioggia d'estate'.

Fatemi sapere cosa ne pensate di questo ennesimo incontro che proseguirà nel prossimo capitolo, e se avete capito di chi si tratta (che domanda idiota, scusate è il caldo).

Le cose si faranno particolarmente interessanti il prossimo venerdì (risata malefica) e accadrà qualcosa che potrà cambiare per sempre il rapporto tra i due (doppia risata malefica).

Buon caldo a tutti! ... Emm volevo dire weekend, buon weekend a tutti!

Al prossimo capitolo,

Daisy.


 
 

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Capitolo 6
*** Dentro di me, tu vedi ***


Dentro di me, tu vedi

“Tequila? Non sapevo fossi un tipo da tequila!” Rivolse un’occhiata stranita alla bottiglia che Zayn teneva stretta tra le mani.
“In Grey’s Anatomy la tequila è protagonista delle migliori sbronze” affermò fiero di se stesso.
“E non sapevo fossi un tipo da Grey’s Anatomy” ammise trattenendo una risata. 
“Levati dal tuo bel faccino quell’espressione e smettila di guardarmi in questo modo. Mi piace il dramma, okay?” era offeso. No, forse non troppo. “Piuttosto dimmi dove stiamo andando”
“Sai Zayn, l’unico aspetto positivo di una festa noiosa in un loft sulla spiaggia è proprio la spiaggia” verità inconfutabile.
“Non vorrei ferirti Grace,” premise “ma saranno ben dieci minuti ormai che camminiamo sulla sabbia e, non vorrei sbagliarmi, ma questa sotto di noi assomiglia molto ad una spiaggia e, oh mio Dio, quello sarà per caso il mare?” disse piantandosi nella sabbia indicando il lontano e ormai indistinguibile orizzonte davanti a loro.
“Davvero molto simpatico, Zayn. Ma se devo ubriacarmi per bene preferisco farlo il più lontano possibile da un probabile pubblico che attesterebbe quanto io idiota possa diventare dopo aver bevuto anche solo un paio di bicchieri.”

Alla fine Zayn aveva acconsentito a diventare suo compagno di sbronza per una sera, e più che acconsentito si era auto invitato affermando di non volere responsabilità e sensi di colpa nel momento in cui avrebbe assistito al suicidio sociale di una stella nascente della letteratura americana, come l’aveva definita lui. E lei semplicemente non aveva potuto rifiutare, d'altronde era per una giusta causa, no? Il suo blocco dello scrittore, niente di più. Lo stress e la tensione di tutti i preparativi si era accumulata sulle sue spalle da settimane e doveva solo riuscire a lasciarsi andare un po’, giusto il necessario.

“Qui è perfetto” proclamò lanciando a qualche centimetro da lei le scarpe che aveva in mano e sedendosi nella posizione più decente che era riuscita a pensare, il tutto reso più difficile dal vestito che le si sollevava fino all’ombelico non appena si azzardava a muovere anche solo le dita dei piedi.
Zayn ricadde accanto a lei e dopo aver dato un’occhiata in giro e aver sbottato che potevano benissimo fermarsi qualche metro prima, stappò la bottiglia e gliela porse “A te l’onore”
“Non mi hai detto come hai fatto a procurartela” ora che ci pensava quella bottiglia era apparsa dal nulla.
“Agganci” Rispose facendo spallucce.
Grace irritata da tutta quella segretezza lo spintonò facendolo dondolare sul posto “Continui a fare il misterioso” si lamentò bevendo il primo sorso di tequila che le infiammò velocemente la gola.
“Devo mantenere quell’alone di mistero che piace a voi donne.” Il riferimento era chiaro, e Grace non era ancora abbastanza ubriaca per non coglierlo.
“Mi stai rinfacciando la cotta che avevo per te, lurido bastardo? Ti prendi gioco di me proprio adesso che sono indifesa e con una bottiglia di tequila in mano? Questo si chiama giocare sporco”
“Al contrario, sono profondamente onorato di essere stato il tuo primo amore.” E detto ciò capì che ora si che aveva bisogno di alcool. E il primo sorso annebbiò per un attimo anche i suoi sensi.
“Chi ha parlato di amore? Era solo un’infatuazione” ci teneva a precisarlo, non sarebbe stato da lei dare un tal valore ad una cotta liceale.
"E dimmi, cos'è che fa la differenza? Voglio dire, cosa ti permette di tracciare una linea tra le due cose?" si sdraiò su di un lato e iniziò ad esaminarla, tracciando al buio con lo sguardo il suo profilo.
"Una cotta è solo una cotta" gli sfilò la bottiglia dalle mani, ne prese un secondo sorso e sistemò la piccola tracolla sulla sabbia, vi appoggiò sopra la testa incastrando la gonna del vestito tra le cosce in modo da non farla scivolare in basso e gli ripassò la bottiglia. Tutto ciò sotto lo sguardo attento di Zayn che non riusciva a toglierle gli occhi di dosso da quando aveva incrociato per la prima volta il suo sguardo quella sera. Ora difficilmente avrebbe potuto affermare con certezza se il lieve stordimento che iniziava a provare fosse dovuto all’alcool o al leggero profumo che emanava il corpo perlaceo disteso a pochi centimetri da lui, ricoperto da quel leggero tessuto setoso blu che continuava a scivolarle sulle gambe sollevate e che lei scocciata si ostinava a riportare su.
"Innamorarsi è ..." riprese Grace, “è quando senti un certo qualcosa” tentò.
“Che tipo di certo qualcosa?”
 Lei ci pensò un po’ su, strizzò gli occhi come a volere scorgere la risposta all’orizzonte e inspirò lentamente. E sempre trattenendo il respiro si voltò a scrutarlo in volto e con la messa a fuoco che iniziava a vacillare già dopo un terzo della bottiglia vuoto distese le labbra in un debole sorriso “Come si fa ad amare qualcuno che non si conosce?” gli chiese mettendosi seduta prima che l’alcool le risalisse in gola.

I built a wall so high no one could reach
A life of locks
I swallowed all the keys


Zayn rimase interdetto. Non riusciva a capire cosa lei intendesse. Chi era colui che non conosceva? Perché stavano parlando di loro due fino a due minuti prima, giusto? E non potevano essere loro, che erano cresciuti insieme, a non conoscersi. Così ignorando il fatto che lei avesse volutamente evitato la sua domanda come in una corsa ad ostacoli, la imitò sollevandosi e appoggiando la schiena contro la fredda e ruvida superficie della roccia dietro di lui. “Di chi stai parlando?”

Grace allontanò la bottiglia dalla sua bocca e controllò se l’avesse sporcata del rosso delle sue labbra. Quel rossetto rosso era l’unico che possedeva da ben due anni e che decideva di utilizzare solo in quelle rarissime occasioni in cui si sentiva coraggiosa abbastanza da azzardare un colore del genere anche se solo accennato. E quelle rare volte che lo indossava si sentiva persino in colpa nei confronti di quel povero rossetto che veniva utilizzato in un modo tanto indegno. Accertata la non presenza di alcuna traccia del passaggio delle sue labbra, si avvicinò a Zayn e tendendogli la bottiglia ammise “Sto parlando di noi”.
I was petrified
Only knew how to hide
They can’t hurt me if they don’t know me
A full facade made a mirage outta me
 
“Non puoi dire che siamo degli sconosciuti” si impose lui cercando il suo sguardo “ci conosciamo da anni ormai. Magari non siamo mai stati migliori amici ma passare ore ed ore ogni giorno con le stesse persone in una stanza che assomiglia molto ad un bungalow dovrà pur significare qualcosa. E poi, il fatto stesso che ora ci troviamo qui chissà dove su una qualsiasi spiaggia di San Francisco con una bottiglia di tequila dimostra che siamo amici” Grace rimase in silenzio a fissare il vuoto. Sembrava che quella valanga di parole l’avesse travolta in pieno e che ne avesse recepito a malapena la metà e che di quella metà ne stesse cercando un senso logico. Avanti guardami, pensava nel frattempo Zayn, guardami negli occhi e dimmi che mi riconosci, che sai chi sono, che non siamo perfetti sconosciuti. Dimmi che siamo sempre stati noi.

"La verità è che tu non mi conosci e che io non conosco te. Magari credi di sapere chi sono ma ti assicuro che non è così. Avere condiviso per anni gli stessi dieci metri quadrati assieme ad altre quindici persone non fa di noi degli amici."
"Sei ubriaca" la interruppe Zayn, sperando davvero che fosse la verità. 
"Allora dimmi qual è il film che ho guardato centinaia di volte, o la canzone che mi rende triste o il mio quadro preferito. Raccontami di quella volta quando a dieci anni stavo affogando perché mia cugina mi aveva trascinato a largo e non sapevo ancora nuotare, o di quando caddi dall'altalena rompendomi un braccio. Prendimi in giro per la mia memoria corta e poi fammi la ramanzina perché sono talmente pigra da non pulire i miei occhiali da vista finché non arrivano al limite dell'oscenità." Non era arrabbiata, era più che altro irritata. Aveva combattuto per tutta la vita contro quello sguardo con cui le persone di guardano credendo di conoscere tutto di te. Io sono come sono e non devo dimostrarlo a nessuno, tanto meno a te che possiedi la convinzione di avere un’immagine chiara di me. E invece tutto ciò che riconosci sono i bordi entro i quali colorare.

Egli, sempre più confuso schiuse le labbra per dire qualcosa senza essere comunque capace di sillabare parola. Non riusciva a capacitarsi di come si fosse ritrovato in una situazione del genere, evidentemente possedeva un talento puro per scambiare di archivio le conversazioni da evitare con quelle fattibili. Così espresse ad alta voce i suoi pensieri "Penso che nessuno ti conosca davvero, voglio dire, non ci riveliamo mai del tutto a chi ci sta di fronte, che sia un amico stretto o la tua stessa famiglia. Siamo circondati da ombre, noi stessi siamo ombre perché nessuno conosce realmente la persona che gli sta accanto. Siamo come sagome nere dai contorni indefiniti. Al buio." Quello stesso buio che li circondava in quegli istanti eterni, con una leggera brezza ad accarezzargli la pelle e i sussurri delle onde a infrangersi sulla sabbia.

"Anche il mio gatto conosce il mio film preferito, Zayn" Arrangiò Grace dopo averci riflettuto un po’ su.
"Cosa? Hai un gatto?" Cavolo, forse avrebbe dovuto fingere di sapere almeno del gatto.
Grace alzò gli occhi al cielo mentre un'espressione divertita le si dipingeva in volto. Come fossero finiti a discutere di questo proprio non se lo ricordava.
 
Then you came and started digging for a treasure underneath
And you found a better version of me I had never seen
 
"Va bene" esordì Zayn "Forse è così. Forse ci sono un mucchio di cose che non conosco di te e che tu non conosci di me" finalmente si è arreso, pensò "Ma so che quando sei nervosa giocherelli con la parte posteriore degli orecchini. So che quando sei pensierosa risucchi il labbro inferiore tra i denti e inizi a martoriarlo finché non diventa fucsia" e non riuscì a trattenere un sorriso perché, dannazione, quante volte avrebbe voluto baciarle quelle labbra. "So che alle volte ci sono un mucchio di cose che vorresti dire ma che ti trattieni dal dirle, anche se non ne conosco ancora il motivo. Riconosco quelle piccole rughette che si creano ai lati dei tuoi grandi occhi quando sei alla ricerca di qualcosa e i tuoi tentativi inutili di far scrocchiare le dita quando vuoi apparire più sicura di quanto tu sia in realtà. Riconosco il tuo modo di sbattere più volte le palpebre quando qualcosa non ti è chiaro, lo facevi sempre durante l'ora di fisica. E so che quando sei in imbarazzo ti gratti l'avambraccio sinistro. Ed è vero che non so quale sia il tuo film preferito o la canzone che ti fa piangere, e so che non ero lì a tenderti la mano e ad aiutarti a rialzarti quando cadesti dall'altalena. Eppure c'era un filosofo di cui non ricordo il nome, che avrebbe detto che tutto questo è conoscenza acquisita che non potrebbe essere nulla se non si avesse una conoscenza innata. Nel corso degli anni ho imparato a conoscerti, Grace, e la mia conoscenza innata sta nel chiederti come stai quando mi sorridi piegando la testa di lato, e poi portarti alla mostra del tuo artista preferito per risollevarti il morale." 
Into me, you see
Into me, you see
You broke me wide open
Open sesame

Lo ammise con una naturalezza assurda, come se stesse leggendo la lista della spesa. Come si deve rispondere ad una cosa del genere? Si può dire qualcosa senza rischiare di rovinare queste stesse  parole che aleggiano in aria attorno a noi? E adesso cosa avrebbe dovuto fare? Perché la verità era che le veniva da piangere e stava implicando tutte le sue forze per evitare di darla vinta a quelle stupide lacrime insensate che minacciavano di uscire dai suoi occhi. La realtà dei fatti era che non si era mai sentita così prima in vita sua. Non si era mai sentita così nuda e libera e allo stesso tempo intimorita da tutta quella troppa libertà, e tutto ciò le faceva venire la pelle d'oca. Pensò, allora è così che devono sentirsi i libri ogni qualvolta li sfogliamo e ci appropriamo della loro storia. Perché ciò che aveva appena fatto Zayn davanti ai suoi occhi era ritrarla come mai nessuno c’era riuscito prima, in ogni sua sfaccettatura, spogliarla lentamente di ogni suo strato con la stessa cautela con cui si maneggia una statuetta di cristallo, per poi accarezzarle delicatamente l’anima senza far rumore. Eppure non vi era stato alcun contatto fisico. Perché finisce sempre che ci cuciamo addosso le nostre insicurezze, come Arlecchino con il suo vestito fatto di toppe. E diventiamo maschere, burattini di noi stessi, dipendenti dalla nostra finta indipendenza. E quando la stanchezza cessa di essere fisica e diventa psicologica, dove si dovrebbe cercare la forza di ricominciare? Le persone si aspettano da te ciò che tu fai intendere loro di aspettarsi.  Che alla fine ci importa davvero. Ci importa di coloro che ci abbandonano, ci importa dei sogni infranti, delle speranze seppellite, di quella piccola fetta del ‘meglio di noi’ che chi ci volta le spalle porta via con sé. Non voglio che tu mi legga fra le righe, pensò, non voglio che ti appropri delle note ai margini delle pagine del mio libro, perché di quel ‘meglio di me’ ne ho fin troppo poco, e non posso permettere a nessuno di togliermi anche quel poco. Perciò, ti prego, non leggermi troppo, fai in modo che questo non diventi il tuo libro preferito, e non fingere che lo sia. E in quel momento voleva solo trovare la forza di reagire a lui, a se stessa, a loro, alle persone che aspettano e a quelle che ormai non aspettano più. Stava combattendo con tutta se stessa per non mostrargli le sue emozioni perché alla fine, lei per prima non riusciva mostrarle a se stessa.

Si strinse le ginocchia al petto, appoggiandovi la guancia rivolse lo sguardo a lui e non appena incontrò i suoi occhi sorrise e iniziò a raccontare. Perché un po’ se lo meritava, perché un po’ sentiva il bisogno di doverlo fare. Un po’ perché era lui, ed erano loro e basta su quella spiaggia deserta priva della concezione del tempo e dello spazio. Così gli rivelò di non avere in realtà nessun gatto ma che le sarebbe davvero piaciuto averne uno, che il titolo del suo film preferito era Colazione da Tiffany, nonostante la sua radicata ossessione per High School Musical ai tempi del liceo. Gli confidò che la canzone più triste che avesse mai ascoltato era When I was your man di Bruno Mars ma che se avesse dovuto scegliere una sola canzone da ascoltare per tutta la vita quella sarebbe stata senza ombra di dubbio Somewhere only we know dei Keane. Gli raccontò di quel periodo della sua vita in cui era ossessionata dal pensiero di volere fare la cantante da grande e di come sua sorella avesse stroncato i suoi sogni sbattendole in faccia la dura verità, ovvero che fosse stonata come una campana. E raccontava come se non ci fosse un domani come se le parole non avessero avuto consistenza, leggere come tante piume, mentre il tempo scorreva sulle loro teste senza neanche un accenno di stanchezza o di cedimento da entrambe le parti. Il suo piatto preferito e quel legume che proprio disprezzava con tutto il suo corpo, la fobia per le cose grandi come i canotti da mare e il suo sogno di potere volare su una mongolfiera un giorno. Parlava di cose futili, rivelazioni che non determinano la realtà di un rapporto ma che in quel momento le sembravano rivestite di un'importanza nuova. E un pensiero la sfiorò lievemente per un secondo, che se solo avesse voluto, se solo le cose fossero andate in maniera diversa quel ragazzo seduto di fianco a lei proprio in quel momento forse avrebbe potuto amarla davvero. Forse avrebbe potuto imparare ad amarla.
Se solo avesse saputo da quanto tempo l'amava già.

"Hai mai fatto il bagno a notte fonda nell’oceano, Zayn?" gli chiese continuando a fissare quella distesa di acqua scura di fronte a lei.
"No"
"Neanch'io" ammise sinceramente.

Passarono qualche minuto in silenzio finché Grace non saltò in piedi facendo rovesciare la bottiglia di vetro che Zayn aveva incastrato nella sabbia.
"E ora dove stai andando?" Le chiese alzando un sopracciglio sospettoso.
"A rimediare. Vieni con me?" E aveva già iniziato a far scivolare sulle braccia le spalline del vestito che indossava e insieme ad esso anche anni di insicurezza.
“Tu sei tutta pazza” sbottò Zayn “Grace, sei ubriaca e sarà ormai l’una di notte, per favore” ma lei sembrava non sentisse più la sua voce mentre legava i lunghi capelli in un disastroso chignon fin troppo alto “e rimettiti quel vestito” sussurrò coprendosi gli occhi, era una situazione troppo assurda per essere reale.
“Avanti, che sarà mai? Guarda che ho imparato a nuotare da quella volta con mia cugina” rise scalciando via il vestito sulla sabbia “e poi guarda” gli fece cenno verso l’oceano “è calmissimo” Zayn le si parò davanti tentando di farla ragionare “Non abbiamo neanche il costume” “E allora? Hai addosso le mutande, vero?” “Potrebbe vederci qualcuno” “Fare cosa? Il bagno? Guarda che non è illegale, Zayn. Dov’è finito il tuo spirito da artista di strada?” ma lui continuava a fissarla negli occhi come se stesse cercando ancora di capire se fosse seria o stesse in realtà scherzando. Eppure quello non sembrava affatto uno scherzo dal momento che era in biancheria intima a pochi centimetri da lui.
“Va bene. Io vado.” E non gli diede neanche il tempo di afferrarle una mano per trattenerla che era corsa già via verso l’oceano.

Non appena l’acqua fredda le sfiorò le dita dei piedi essa risvegliò i suoi sensi intorpiditi dalla tequila e nell’arco di cinque secondi si tuffò in mare aperto senza un briciolo d’incertezza. E la pace la investì. In quei brevi istanti ogni cosa attorno a lei scomparve. L’unico suono che percepiva era il battito rallentato del suo cuore, mentre il buio riempiva ogni suo spazio vuoto. In quegli stessi istanti si sentì come se fosse scomparsa nel nulla e pensò che la vita è piena di sparizioni. Le cose scompaiono, i luoghi, le persone, le parole, perfino le emozioni, e si chiese, se qualcosa che non sapevamo di possedere scompare, possiamo sentirne la mancanza? E se lei fosse scomparsa, qualcuno se ne sarebbe accorto? E se si, dopo quanto tempo? Dopo quanto tempo le persone che le stavano attorno ogni giorno si sarebbero accorte della sua assenza? Per quanto tempo sarebbe potuta rimanere lì sottacqua, lontano da ogni cosa, indisturbata?

A interrompere il corso dei suoi pensieri fu il tocco di qualcosa sul suo fianco che la fece spaventare a morte. Iniziò a dimenarsi nel tentativo di allontanare qualunque essere fosse stato a toccarla e raggiunta finalmente la superficie prese una grossa boccata d’aria, fino a quasi fare scoppiare i polmoni. Di fronte a quegli occhi sbarrati Zayn scoppiò in un’echeggiante risata, ma non appena Grace realizzò cosa fosse stato a farle prendere un accidenti gli saltò al collo minacciando di ucciderlo per avergli fatto perdere dieci anni di vita.

“Hey! Così finirai per uccidermi sul serio!” si difese tentando di staccare le sottili dita di Grace dalla base del suo collo, ma lei sembrava non avere alcuna intenzione di arrendersi.
“Questo è il piano” era vicinissima al suo viso, talmente vicino da permettergli di distinguere un piccolo taglio al centro del labbro inferiore. E come se fosse un gesto abitudinario spostò la sua mano dal polso di lei alle sue labbra, tracciando accuratamente con le dita quel taglietto visibile solo ad una distanza tanto ravvicinata. Pensò a quanto fosse fortunato in quel momento a poterlo scorgere e realizzò quanto fossero effettivamente vicini. Pelle contro pelle, nessuno dei due accennava ad allontanarsi dal caldo corpo dell’altro. Mentre lei faceva scivolare con una lentezza estenuante le mani sui suoi pettorali, lui faceva scorrere il pollice appena sotto i suoi occhi ripulendole il viso dalle tracce del mascara sbavato e rifletteva su come potesse essere così bella anche con il trucco colato sulle guance e le labbra appena sporche di ciò che rimaneva di quell’accenno di rossetto che indossava.
Into me, you’ll see
Into me, you’ll see
You bend me wide open
Now I’m ready


E così, guardandola negli occhi le disse in un sussurro “Adesso ti bacio”.

Grace si morse istintivamente il labbro, “No” soffiò  e Zayn ebbe come l’impressione di leggere rassegnazione nei suoi occhi “Si, se non me lo impedirai” aggiunse lui “dì qualcosa, qualunque cosa per cui non dovrei farlo e io non lo farò. Altrimenti ti bacerò per la prima volta nella mia vita.” Lo aveva detto davvero e non l’avrebbe ritrattato per nulla al mondo perché era ciò che voleva fare da anni e finalmente era lì a pochi centimetri dalle sue labbra e quegli stessi centimetri erano tutto ciò che separava le loro anime.

Annulliamo le distanze e volte, contro ogni previsione, contro ogni logica, le tocchiamo. Eppure quella volta contro ogni previsione, contro ogni logica le distanze rimasero tali. Grace allontanò violentemente le mani dal petto di Zayn e guardandolo negli occhi tentando di mantenere ferma la voce lo disse, lo disse e basta:

“Sto per sposarmi.”

E qualcosa si spezzò.
Is this intimacy?
 


My corner

Ed eccoci finalmente! Scusate il ritardo ma è stata una settimana alquanto frenetica. 

Parlando del capitolo ... Eravate stati avvisati MUHAHAHA

E ora? Secondo voi cosa succederà?

Come reagirà Zayn? E com'è sta storia del matrimonio? 

MUHAHAHAHAHAAHAHAHAHAHAHHAHA

Okay basta, giuro che ho finito.

Lasciate le vostre considerazioni, i vostri pensieri e i vostri insulti nei commenti e noi ci vediamo al prossimo venerdì.

Un bacione grande,

Daisy.

 

Twitter: daisyyrral

P.S.
Se non l'avete ancora fatto passate a dare un'occhiata alla storia di Captain Payne 'Troubles in Heaven', ne vale davvero la pena.
E in più volevo ringraziare pubblicamente Mandy 'dangerandmandy' per le splendide recensioni che ogni volta dedica a 'Pioggia d'estate'! 
Grazie mille, davvero.



 

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Capitolo 7
*** Così vicini ***


Così vicini


1 MESE DOPO
 
You are in my arms

And all the world is calm

Avete presente quel momento in cui è notte fonda e sei consapevole del fatto che dovresti essere addormentata già da un bel po’ perché ti aspetta l’indomani una giornata davvero impegnativa, ma c’è quella canzoncina che continua a ronzarti nella mente e più pensi che dovresti smetterla di canticchiarla nella tua testa e più sembra alzi metaforicamente il volume? E allora ti prende il panico e inizi a fare il conto di quelle poche ore che ti rimangono per poter dormire; allora, se è l’una di notte e devo svegliarmi alle sette dormirò sei ore, ma aspetta, era mezzanotte quando ho chiuso gli occhi, saranno passate almeno due ore quindi sono le due, allora mi rimangono solo cinque ore, o forse sono le tre? E intanto è la quarantatreesima volta che riparte il ritornello.
 
So close to reaching that famous happy ending

Almost believing this was not pretend

And now you are beside me and look how far we’ve come

So far we are so close 
 
Doveva dormire almeno un paio d’ore, altrimenti avrebbero dovuto seppellire anche lei il giorno dopo, pensò, e subito dopo si maledisse per la pessima battuta. Tendeva a diventare pesantemente cinica in situazioni del genere e le ventiquattro ore che sarebbero scoccate a minuti senza chiudere occhio di certo non erano d’aiuto. E poi c’era quella stupida canzone. Non riusciva neanche a ricordare dove l’avesse sentita eppure la sua mente continuava a torturarla come se ripeterla all’infinito fosse un bisogno fisico.
 
The music playing on for only two

So close together

And when I am with you

So close to feeling alive
 
Si ricordò di quella puntata di Private Practice in cui Addison, seduta sul divanetto arancio del suo psicologo continuava a canticchiare la melodia di una canzone e al suo ‘è solo una canzone’ lo psichiatra aveva risposto ‘ non è mai solo una canzone’. E se fosse davvero così? E se oltre allo earworm di cui parlano tanto gli scienziati ci fosse anche un fattore psicologico del perché quella determinata canzone finisce per rimanere intrappolata nella nostra mente? Magari tenta di suggerirci qualcosa, ad esempio se non riesci a dimenticare Send my love to your new lover di Adele con la sua stessa espressione da ‘ora ti faccio il culo ignobile idiota’, evidentemente non hai così tanto superato la rottura come vuoi far credere. E se ti sorprendi a canticchiare Chandelier di Sia sarebbe opportuno, per il tuo bene, iniziare a cercare uno sfogo più salutare di quello di penzolare da un lampadario. Per non parlare di Run the world Girls accompagnata magari addirittura dal ballo invoca - spiriti dell’insuperabile queen Beyoncé nel video musicale, un netto avvertimento per l’intero genere maschile che ti circonda.
 
A life goes by 

Romantic dreams must die

So I bid mine goodbye and never knew
 
Si chiese ad un tratto se i suoi sogni romantici fossero già arrivati al capolinea, se fossero già diventati nebbia, se lei avesse porto di già i suoi saluti senza neanche accorgersene, come diceva la canzone. O forse semplicemente era lei a viverla in questo modo, come se la vita non riservasse più sorprese, come se fosse già tutto scritto in uno dei suoi libri e non valesse la pena di respirare ogni giorno come se fosse l’ultimo. E andava avanti come un automa, rispondendo ‘si’ o ‘no’ alle domande, sorridendo e annuendo, e sospirando di tanto in tanto quando credeva che nessuno se ne accorgesse. Chissà, magari era per questo motivo che non riusciva più a lavorare come una volta, quando tutto quello non era ancora un lavoro e ogni cosa sembrava così pura e semplice, mentre adesso ogni parola veniva soppesata dalla sua più pesante autocritica mentre passava in rassegna anche i puntini sulle i. Non era da lei. Non era più lei.

Valutò seriamente l’opzione di lanciare un urlo per fermare quelle voci, ma dopo aver scartato tale possibilità con quel poco di buon senso che non era ancora stato bruciato dall’insonnia di quei giorni, poggiò la testa contro il vetro freddo e sollevò le palpebre accettando lentamente la realtà attorno a lei. Il buio la circondava e a stento riuscì a riconoscere i tratti stanchi e rassegnati del viso riflesso sul finestrino a qualche centimetro da lei.
 
How could I face the faceless days

If I should lose you now?
 
Maledizione! Chi avrebbe potuto perdere proprio in quel momento oltre se stessa?
Forse è vero che quando ti abbandoni troppo nei rapporti con gli altri alla fine finisci per consumarti. Ti guardi allo specchio, e provando un pizzico di pena ti chiedi chi sia quella persona dallo sguardo vitreo e smarrito che a sua volta ti sta scrutando. E a quel punto capisci che tu non ci sei più, che di te è rimasto solo l’involucro della crisalide, la vecchia pelle abbandonata, mentre la vita ti passa d’avanti e tu, incurante, la osservi scorrere. Di nuovo quella sensazione. Rieccoci, sospirò. Quando sarebbe finita? Quando, finalmente, si sarebbe sentita davvero nel posto giusto al momento giusto? Quando il mondo avrebbe iniziato a girare nel verso giusto anche per lei? E, nella stessa situazione di sette mesi prima, si sentiva sperduta, confusa e spaventata da ciò che le sarebbe aspettato, l’ignoto. Lei, una volta regina del controllo, nemica delle sorprese organizzatele alle sue spalle e amante dei film visti e rivisti almeno dieci volte perché mi piace sapere come va a finire, ora non riusciva più a prendere in mano le redini della sua vita senza che queste le scivolassero di nuovo come sabbia tra le dita. Come capire quali fossero le scelte giuste da fare? Come scegliere la strada esatta di fronte ad un bivio? Erano mesi ormai che continuava, giorno dopo giorno, a prendere decisioni che rimetteva in discussione in quegli stessi attimi. Quali centro-tavola prediligere? E i tovaglioli, di che colore? E cosa fare riguardo le allergie agli arachidi, uova e latticini di metà della sua famiglia? Due primi o due secondi? O meglio entrambi? E se quel giorno non piovesse? Sapeva già che avrebbe rimpianto per il resto della sua vita coniugale un matrimonio in spiaggia mancato, solo per aver dato ascolto alla sciatica dello strano zio Sam di Niall, che a quanto si raccontava prevedeva le previsioni meteorologiche nel raggio di nove mesi. E poi c’era il libro. Aveva ricominciato a scrivere da quasi un mesetto ma a stento scorrevano le parole e quelle poche che componeva con una lentezza stancante sulla tastiera del suo laptop, da uno a due la convincevano meno di zero. Aveva decisamente bisogno di un Jess Mariano appena arrivato dalla Stars Hollow delle Gilmore Girls a risolverle la vita una volta per tutte. Insomma, l’intera esistenza di Rosy stava letteralmente andando a rotoli prima che Jess entrasse in azione indicandole la retta via come un buon Virgilio per la seconda volta, e poi magicamente il cammino le si è illuminato. In realtà, pensandoci bene, la vita di Rory aveva iniziato a scivolare nel baratro nel momento esatto in cui aveva malauguratamente incontrato il bello e maledetto Logan Huntzberger. Oh mio Dio! E se il suo Logan fosse Niall? E se Niall fosse il bello e maledetto della situazione? Non lo aveva mai considerato in questi termini ma, dannazione! E allora chi era il suo Jess? In ogni caso doveva trovarlo al più presto, possibilmente prima che l’esaurimento nervoso per mancanza di sonno la portasse al ricovero in psichiatria.
 
So close was waiting, waiting here with you
And now forever I now
All that I wanted to hold you so close
 
Doveva decisamente dormire, almeno un’ora, non chiedeva di più, quel minimo di tregua che le sarebbe bastato per riposare gli occhi e la mente. Si, era deciso, avrebbe chiuso gli occhi e avrebbe riposato seriamente per ben sessanta minuti, doveva farcela almeno prima che …
Gentili passeggeri, benvenuti a Portland, Oregon. Temperatura di 28 °C. Fra pochissimo raggiungeremo il piazzale. Si prega di rimanere seduti e aspettare che l'aereo si fermi.  Vogliamo ringraziarvi per aver scelto di volare con noi oggi. Buona permanenza.

… si, prima che l’aereo atterrasse.



MY CORNER

No, non è venerdi. Si, è da più di un mese che non pubblico. No, non sono morta e resuscitata o ferita in alcun modo, grazie a Dio. Si, mi odiate profondamente.

Okay gente, sono le 12:53 di Martedì notte e mi sono finalmente decisa a pubblicare qualcosa. So che è pochissimo per una che vi deve gli aggiornamenti di qualcosa come sei settimane, ma per il momento gioite con me per questa breve conquista. So anche che dal capitolo non si capisce molto, anche perchè l'ultima volta che ci siamo sentite eravamo rimaste ad un punto abbastanza scioccante per tutti, ma ci serve come capitolo di transito. Nei prossimi episodi verrà introdotto un personaggio al quale tengo moltissimo (in questa ff come nella vita reale) e non vedo l'ora di farvelo/a conoscere! *sorride come una deficente mezza addormentata*.
In ogni caso, questo è tutto per ora. Grazie per la lettura e soprattutto per la pazienza. Se vi va lasciate qualche commento. 

Al più presto, prometto,
Daisy.


P.s.

Vi consiglio vivamente di ascoltare la canzone citata nel capitolo 'So close' di Jon McLaughlin!

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Capitolo 8
*** Sipario ***


Sipario


Chissà quante tonalità di bianco esistono. Insomma potrebbero essere un sacco. Potrebbero essere un sacco e noi non lo sapremmo mai. Parliamo di bianco, ma abbastanza in generale. Lo trattiamo come se fosse un colore come un altro. Ma il banco è bianco. Non è un colore come un altro. Stava diventando sul serio paranoica, doveva smettere di fissare il soffitto bianco cercando di capire di che tonalità fosse. Aspettate, il bianco può avere diverse tonalità? Quanta ignoranza in un solo corpo. Prima o poi sarebbe dovuta uscire da quella camera, e anche se preferiva l’opzione ‘poi’ al ‘prima’ fece un profondo respiro e sollevò lentamente la testa dal cuscino nascosto dal copriletto a quadrettoni blu. Nulla era cambiato all’interno di quelle quattro mura. Mettere piede in quella stanza significava ogni volta gettarsi a capofitto nel passato, mettere in funzione una macchina del tempo che non sapeva di possedere. Tranne i libri che aveva portato via con se quando si era trasferita alcuni anni prima, tutto era esattamente come l’aveva lasciato, nulla era stato violato nel proprio spazio vitale. Il salvadanaio nelle vesti di una coccinella accanto al mappamondo sulla mensola in basso, il portapenne di Garfield sulla scrivania di legno scuro, la lampada sulla quale si poteva ancora leggere ‘chi ha trovato se stesso ora fotte il mondo’, la palla di vetro all’interno della quale trionfava una Londra innevata ogni volta che la si capovolgeva. Un brivido le percorse la schiena. Quante cose erano cambiate in quegli anni, quante stavano cambiando proprio in quel momento e quante ancora sarebbero cambiate. Sua nonna era morta Meno di trenta sei ore prima respira e poi ad un tratto non c’era più, e non ci sarebbe stata più per sempre. Come si può accettare tutto questo? Come può una persona svanire da un momento all’altro? Come può cessare di esistere nell’arco di pochi secondi? Come può stare bene e poi d’improvviso morire? E soprattutto, come si convive con la consapevolezza che tutto ciò che percepiamo attraverso i nostri sensi potrebbe cessare di esistere nell’arco di tempo in cui la neve tocca terra nella palla di vetro che stringeva ancora tra le mani? Noi stessi potremmo morire proprio in questo istante, uccisi magari dalla tavoletta di un gabinetto che ci piomba in testa dal cielo alla velocità della luce, come in quella serie televisiva. Com’è che si chiamava? ‘La ragazza della tavoletta’? No, forse questo era solo il nomignolo della protagonista. Ora proprio non riusciva a ricordarlo. In ogni caso il punto era che, tutto ciò può farci sentire talmente piccoli ed insignificanti nell’Universo da chiederci per quale motivo non ci siamo ancora abbandonati a una rassegnata passività, subendo gli eventi e il nostro destino in maniera incosciente, come il protagonista di ‘L’arte di cavarsela’. Adorava quel film, e Freddie Highmore certo. Il fatalismo l’aveva sempre affascinata, e anche Freddie Highmore ovviamente. Il fatto era che, sua nonna era morta. Sua nonna era morta e stare in quella stanza la faceva pensare troppo. Le risate, le lacrime, le sere passate sui libri e le domeniche raggomitolata tra le coperte di quello stesso letto a leggere un libro. E poi le urla con sua sorella, i litigi con sua madre, i silenzi, quest’ultimi soprattutto con sua nonna. Fece un profondo respiro quando l’immagine del volto rugoso e severo di sua nonna le sfiorò la mente. La verità era che il loro non era mai stato un rapporto florido, in realtà probabilmente non c’era mai stato nessun rapporto, solo tante incomprensioni e molti pregiudizi, e nonostante condividessero gli stessi spazi non avevano mai avuto l’opportunità di comprendersi a vicenda, o forse ne avevano avute tante di opportunità ma nessuna delle due aveva avuto il coraggio di coglierne almeno una. E adesso che pensava agli anni passati della sua infanzia, trascorsi tra quelle mura, non riusciva a ricordare neanche un episodio in cui era stata deposta l’ascia di guerra e avevano ceduto un sorriso all’altra, con semplicità, con quel calore familiare che si dovrebbe respirare in un rapporto tra nonna e nipote. Era stata proprio una fortuna che avessero scelto Donia per celebrare la sua adorata nonna durante la commemorazione con uno di quei discorsi strappalacrime, com’è giusto che sia durante una cerimonia del genere, in cui si raccontano aneddoti di frammenti di vita condivisi con il defunto. D'altronde, anche la nonna avrebbe scelto lei se fosse stata viva durante il suo funerale, la sua nipote preferita. Si, proprio una fortuna, perché per quanto si sforzasse non le veniva in mente proprio nulla. Eppure in ogni film che si rispetti una situazione del genere avrebbe portato a galla anche il più stupido e insignificante dei ricordi, ma la verità era che non si ricordava neanche se le avesse mai passato il telecomando senza sbatterle in faccia la sua pigrizia, perché hai tredici anni, sei sana, hai due gambe e due braccia e il telecomando avresti potuto prendertelo da sola. E poi le venne in mente un verso della canzone If I die young dei The Band Perry, ‘è divertente come le persone inizino ad ascoltarti quando sei morto’. E se fosse stato vero? Se fosse accaduto anche a lei? Se per la prima volta nella sua vita avesse iniziato ad ascoltare ciò che le diceva sua nonna, proprio ora che era morta? E non parlava in senso metaforico. Le era già capitato.

Durante il suo terzo anno alle superiori la sua professoressa di scienze era morta improvvisamente pochi mesi dopo essersi ammalata. Grace era rimasta talmente scossa dalla perdita da continuare a percepire la presenza della donna accanto a lei per mesi dopo l’accaduto, e tutt’ora quando le veniva la pelle d’oca senza un particolare motivo scatenante sorrideva spontaneamente, immaginandola proprio lì di fianco a lei, a guardarle le spalle. Era stata una delle prime persone a credere in Grace. Sembrava avesse visto in quella personcina goffa e spaventata, ma troppo fiera per ammetterlo, qualcosa di speciale, qualcosa di cui lei stessa ancora adesso non riusciva a capacitarsi. Le sue mani, una cosa che avrebbe ricordato per sempre. Sembravano infinite, con quelle dita lunghissime e affusolate sarebbe potuta diventare una gran pianista se solo avesse voluto. Ma magari non aveva mai provato a suonare il piano o qualsiasi altro strumento, o forse si e Grace non l’avrebbe mai saputo. Così poco tempo per conoscere una persona tanto immensa. Un’insegnante di vita con una forza e una voglia di vivere indescrivibile e un sorriso sincero. Le aveva detto ‘non vacillare, mai’ e così aveva fatto, o per lo meno ci aveva provato, perché nel tempo aveva capito che alle volte vacillare un po’ fa bene ma che avere una testa dura come la pietra è sempre comodo. Ed è così che accade. Perdere qualcuno accanto a te ti fa pensare a tutte quelle persone che hai perso lungo il tuo cammino, ma che nonostante il tempo trascorso continuano a viverti accanto, passo dopo passo. Ed è strano continuare a respirare, affacciarsi alla finestra e rendersi conto che il mondo continua a girare e non si è mai fermato. Il problema era che questa volta aveva come l’impressione che neanche il suo di mondo si fosse fermato. Quella lenta passività l’aveva accompagnata durante l’intera durata del funerale e non si era lasciata toccare da alcuna emozione. Nessuna lacrima aveva rigato il suo volto concesso l’ultimo saluto, nessuna smorfia di dolore aveva contorto le sue labbra dopo la sepoltura. E adesso, tutto ciò che riusciva a percepire era una fitta in fondo allo stomaco, il senso di colpa era finalmente entrato in scena. Si sentiva in colpa per tutto questo, per il dolore mancato, per la sua apatia, per il cinismo attraverso il quale aveva affrontato la situazione. Sentiva che era giusto adesso sostenere la vergogna. Aveva atteso con pazienza qualsiasi tipo di emozione, e ora che finalmente riusciva a provare qualcosa tutto ciò che aveva intenzione di fare era assaporare quelle sensazioni, per potersi sentire nuovamente umana dopo un tempo che le sembrava essere stato infinito.

Con il naso schiacciato contro il vetro freddo della finestra che dava sul piccolo giardino, osservava di fronte a lei il grande albero che dopo anni si ergeva ancora, alto, imponente e soprattutto fuori luogo tra il minimalismo che lo circondava. L’estate era ormai agli sgoccioli. L’aria sempre più rarefatta e i giochi di luce melanconici allestivano uno scenario perfetto per l’arrivo sul palcoscenico di uno di quei caratteri che difficilmente dimentichi, ma che restano impressi nei fotogrammi della tua memoria in maniera indelebile, immortale. E in effetti l’autunno è un po’ questo, un’antica diapositiva che nonostante gli anni assorbiti dalle sfocature sembra essere rimasta inviolata dal tempo, come un’anziana donna che in ogni ruga del suo volto porta l’antica bellezza conservata atto dopo atto.

Forse l’estate poteva anche avere il mare, e l’inverno il Natale ma l’autunno era per lei ciò che Mansfield Park era per Fanny Price, ciò che Tara era per Rossella O’hara o Thornfield Hall per Jane Eyre, il suo posto nel mondo senza neanche essere un posto. Era questo l’incantesimo dell’autunno su Grace, ovunque si trovasse in quei brevi mesi lei si sentiva a casa, circondata da una costante malinconia che si mostrava semplicemente per ciò che era. Perché effettivamente nessuno nutre aspettative nei confronti di tale stagione, è solo una scomoda e triste via di mezzo tra l’estate e l’inverno. Ma era per questo che a lei piaceva particolarmente, le concedeva la spensieratezza di poter essere triste senza mai sentirsi fuori luogo, come quell’albero nel misero giardino della sua casa paterna.


Che sia dato il via alle danze pensò, aspirando a ritrovare la pace interiore che quella stessa estate le era scivolata come sabbia tra le dita. E mentre si accingeva a tirare giù la sottile tendina una foglia toccava terra per la prima volta. Era l’inizio, e allora,

“Sipario”.

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