Carestia, portami gioia

di RLandH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (Prologo) Più di quanto io non possa esprimere ***
Capitolo 2: *** Atto I|capitolo I: Senhal ***
Capitolo 3: *** Atto I|Capitolo II:O frati, i vostri mali … ***
Capitolo 4: *** Atto I|Capitolo III: Ed ora, ebbro, torno senza di te. ***



Capitolo 1
*** (Prologo) Più di quanto io non possa esprimere ***






Carestia, portami gioia

 
Prologo

– Più di quanto io non possa esprimere –
 

 
"Allora ... Sì ... Sì è accesso. Ammetto che sono più abituata ad utilizzare i registratori del telefono che con questi vecchi.
Ma forse ...  Era necessaria un po' di scena.
Infondo è il mio ultimo atto.
Se stai ascoltando questo, probabilmente  io sono morta o sono prossima ad esserlo.
E fa schifo. Fa veramente schifo.
Ho passato gli ultimi mesi della mia vita aspettando passivamente la morte. Me ne pento.
Avrei dovuto impegnarmi di più  per sopravvivere.
Ma ho pensato che forse, sparendo, avrei potuto proteggere le poche persone che mi sono rimaste care.
Questo è anche il motivo per cui questo nastro è arrivato a te. Immagino che tu te lo stessi chiedendo o forse no, sei un ragazzo sveglio, almeno più di me.
Ma arriveremo a questo con calma.
Lasciami finire il mio sfogo, non sono che le ultime parole di una moribonda, infondo.
Tornando indietro cambierei l'ultimo periodo della mai vita ... Ma, non ciò che ho fatto o ciò che mi ha condotto qui.
Volevo sapere. E penso che il mondo meriti di sapere la verità.
Questo è anche il motivo per cui lo sto dicendo a te, all'inizio della nostra conoscenza questo argomento lo avevamo sfiorato, nulla più di un accenno impreciso, più  simile ad un'idea buffa che la realtà.
Allora con la tua intelligenza so che di ... questo.
L'altro motivo è che io e te ci conosciamo, in una maniera superficiale, e sei risultato la persona più lontana - e difficile da raggiungere - tra i miei conoscienti.
Devo chiederti scusa perchè inevitabilmente ti ho messo in pericolo ...
Mi rendo conto che nei hai passate tante.
Troppe, anche se mai le hai raccontate.
Un po' sono amareggiata di non poter scoprire i tuoi segreti, un difetto della mia professione - voler sapere sempre tutto, ma ormai penso che non abbia senso piangere sul latte versato.
Sarei tentata di usare questi ultimi momenti per dire addio. Qualcuno più sano di me lo farebbe - ma quel qualcuno di mente non si sarebbe cercata i guai che io mi sono ritrovata.
Quindi, beh sì, penso sia ora di finire questo lungo preambolo.
Scusa questi singhiozzi, io d-dammi qualche secondo... Fermo un momento la registrazion-
-Ccomi, mi sono calmata, mi sono ripresa. 
Sto cercando di ignorare la morte che mi preme addosso. Forse sono un po' melodramamtica, eh?
Siamo seri, almeno alla fine; anche se devo precisare che Gambit mi diceva sempre che ero troppo seria: "Sorridi bambolina, che se no sei brutta."
Maledetto Clown bastardo.
Ti ricordi dunque di quando teorizzasti la grande cospirazione ghoul?
Esiste.
Si chiama V.
Per me è sempre stato il sinonimo dell'uomo nero, sembra una cosa stupida a pensarci ora, ma è così. "Fa la brava o V. verrà a prenderti!"  lo diceva sempre la mamma.
Forse avrei dovuto farlo, perchè V sta venendo per me.
Perchè V. forse ti starai chiedendo? O Forse no, non ho voglia di pensarci.
Ciò che conta è che questa organizzazione  in realtà ha sempre fatto parte della mia vita ... In un certo senso, io sono in V. o avrei dovuto farne parte.
Visto che mia madre ha passato tutta la vita in fuga da loro. Perchè? Per me.
Non voleva che io avessi il destino che era riservato a lei, non ho idea di quale fosse, posso essere onesta.
Sono stata una ragazzina piuttosto scema, che non si è mai curata di niente e nessuno.
E alla fine sono rimasta sola, con tante domande.
Eppure,  se potessi riavere mia madre qui, anche solo per n momento, non le chiederei neanche una parola su V. Ma su tante cose.
Scusami, sto diventando nostalgica.
Credo che dovrei impegnarmi un po' di più ... che la tentazione di non ficcare tutto dentro una valigia e scappare è fin troppo difficile da combattere, che quasi potrei arrendermi.
Ma che vita sarebbe, sempre in fuga?
Lontana dalle persone amate?
Mettendole in pericolo.
Ne parlo proprio a te poi, credo che sia la persona che più di me lo comprende. Solo che pensavo con quanta ironia V. sia stata la constante della mia vita, nonché l'unico modo per definirmi. Ho cambiato tanti nomi e tante identità, ma V. le ha accumunate tutte. 
Trovo questa cosa così disgustosa da farmi vomitare.
E piangere.
Eh, temo dovremmo arrenderci che questa reg-queste, temo saranno più di una ... dicevo, temo che queste registrazioni saranno piuttosto languide e patetiche.
Ma alla fine che importa, no?
Ricordati di me che sorrido e dico stronzate, per favore, mi farebbe davvero bene saperlo.
 
 




 
Be, eccoci dopo una lunga riflessione, ho deciso di postare questa roba, non ne sono sicura, ma, ehi, ormai è andata.
Ringraziamo di cuore Chemical Lady per aver betato; in un modo contorto le nostre storie sono intrecciate!
Diversamente dal mio solito questa storia è stata plottata per essere “breve” (che per me è un concetto del tutto relativo).
Comunque sia il titolo della storia e del prologo saranno spiegati alla fine * faccio suspance becera* ma posso dirvi che sono presi da una poesia che mi sta molto a cuore.
La storia è ambientata durante Re, sfortunatamente avendo scelto un punto di vista così legato a V. (Ma RLandH perchè? Di V. Non sappiamo praticamente niente! Eh, bella questione) personaggi dell’opera originale avranno ruoli piuttosto marginali, non tutti eh, qualcuno è molto presente.
In più ci sono vari OC di Chemical Lady, come d’altronde lei usa i miei.
Spero siate arrivati fino a qui,
un bacio
RLandH

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Capitolo 2
*** Atto I|capitolo I: Senhal ***


 
     








Carestia, portami gioia


 
Atto I

 – Non canto né fui cantore –
 

Capitolo primo: Senhal
 
 

"La verità è che sono un po' incerta da dove cominciare a raccontare.
Sarei tentata di cominciare dal principio, come sarebbe giusto ...
Però l'ho ammetto, ho sempre avuto un debole per i racconti che iniziavano in Media Res. Dunque, sì, cominciamo da un momento ... un momento davvero brutto ..."


 

Qui Kurhei Shukumei, al momento sono impegnata.  Lasciate un messaggio  e –  se avete una grande storia –  sarete richiamati.
 
 Aizawa aveva ascoltato il messaggio della segreteria telefonico con un certo biasimo sul viso. La voce di Shukumei sembrava brutalmente meccanica. "Acida Seronja*", aveva mormorato a mezza bocca, buttando il telefono spento tra le cartacce.
Moriva di sonno, aveva fatto la notte e due autopsie, i corpi  erano arrivati al limite di quella che poteva essere considerata decenza, aveva inoltre dovuto finire alcune cartelle e sottostare alle richieste impossibili dei classe speciali.
Voleva solamente dormire ... e quella  neanche si degnava di rispondere al telefono.
 
L'aroma del caffè lo aveva risvegliato dal suo poltrire sulla tastiera. “Mi appari come l'angelo nel sepolcro", aveva sussurrato guardando come Shimura,  il suo collega, si fosse palesato all'interno del loro ufficio  con ancora gli abiti civili, due fumanti tazze di caffè e la barba  non fatta  di giornata.
"Non ho idea di cosa tu stia dicendo", aveva risposto Shimura, allungandogli un bicchiere. “Zucchero di canna", lo aveva tranquillizzato, prima che Aizawa riuscisse a fare qualsiasi domanda, mentre l'altro si accomodava sulla sedia dietro la sua scrivania. "Comunque vedo un'ombra sul tuo viso" lo aveva stuzzicato Aizawa, mentre sorseggiava un po' della bevanda, sentendo quel dolce nettare degli Dei  rinvigorirgli le ossa e lo spirito. "Deve essere andata bene con la commessa della videoteca”, aveva aggiunto.
Shimura aveva preferito bere il suo caffè che rispondergli e Aizawa aveva iniziato a sospettare non fosse l'unico ad essere andato in bianco.
"Così male?" aveva inquisito allora, "Be, alla fine ... Sì, una vera tragedia. Per consolarmi ho passato la nottata a vedere film dell'orrore." Aveva spiegato quello, riprendendo a bere. Come se mestiere sezionava i morti avesse ancora voglia di vedere cose così poco felici; il suo collega sembrava proprio avere una passione per quelli particolarmente brutti. "Ti prego non un'altra volta Death Sushi**", aveva provato Aizawa. "Quel film è un capolavoro", aveva sentito il bisogno di replicare Shimura.
"Cosa si dovrebbe dire allora de La Corazzata Potionsky?”, aveva chiesto sarcastico, ma prima che potessero lasciarsi in un'affascinante dibattito su quali - e con quali criteri - i film avrebbero dovuto ritenersi capolavori,  entrambi i fissi sulle loro scrivanie erano suonati.
Aizawa aveva commentato il tutto con una smorfia sul viso, mentre con un certo sdegno e noncuranza fissava l'apparecchio scuro che continuare a trillare. Al suo contrario Shimura sembrava un lavoratore vagamente più decente - e che non aveva fatto la notte - si era infatti sporto ed aveva raccolto la cornetta. "Ufficio del cor-sì, sì ... al più pr-sì. Chigyou Ah. Sì adesso glielo ch-sì, glielo dico", aveva mormorato quello, prima di guardarlo con gli occhi bassi da capo bastonato. "Era il laboratorio, vero?", aveva chiesto Aizawa, guardando il fondo del suo bicchiere di caffè con un certo pessimismo addosso."Il dottor Chigyou, in realtà,  ha chiesto personalmente di te", aveva soffiato l'altro, grattandosi i capelli, erano di un castano chiaro ed con una leggera stempiatura cominciava a mostrarsi.
"Però sei hai fatto il turno di notte vado io", si era offerto Shimura; il laboratorio voleva dire che andava fatta l'autopsia ad un ghoul per il recupero dell'organo predatorio ed era una cosa in cui Aizawa era parecchio bravo. Lui aveva anche una manualità maggiore di Shimura - che di norma si occupava per lo più delle vittime umane.
Aizawa non aveva distinzione - in realtà sembrava preferire di più aprire  i ghoul, era sempre una sorpresa scoprire dove erano finiti gli organi per far spazio al Kakuho. Di norma però i corpi arrivavano loro all'obitorio, posizionato  nel loro stesso piano all'interno della sede centrale. Se dovevano arrivare fino al laboratorio voleva dire che il ghoul in questione era un soggetto abbattuto. "Tranquillo. Sminuzzo un po' e poi vado a dormire", lo aveva tranquillizzato Aizawa, rinunciando a finire il suo caffè, tanto era una brodaglia tiepida ormai.
"Ma tu da adesso sei il mio tappettino" aveva aggiunto, strizzandogli un occhio, un sorriso non molto angelico aleggiava sul suo viso.
Non aveva neanche fatto la prima rampa di scale per raggiungere il piano terra - dagli "Inferi" dove loro lavoravano - che aveva già preso il telefono dalla tasca, accorgendosi con un certo disagio di aver ancora indosso il camice. Di rimpetto a lui aveva visto scendere due persone dalla scalinata, "Sharkboy, Oreo" aveva trillato subito riconoscendo i capelli particolarmente accessi del membro della quadra dei Quinx, "Oh! Aizawa buongiorno!" lo aveva salutato Ginshi Shirazu, sfoderando il sorriso seghettato. Al suo fianco Kuki Urie era rimasto impassibile con un’espressione boriosa sul viso, “La grazia: oggi non sei di turno, forse?" aveva chiesto retorico quello.
"So che la cosa vi spezzerà il cuore, ma oggi dovrete ripiegare su Shimura”, aveva detto il dottore con un tono melodrammatico, da Urie non aveva ricevuto alcuna reazione, se non uno sguardo ostile ed una faccia da poker davvero poco credibile - dentro doveva star gongolando parecchio. Shirazu aveva ridacchiato, "Mi sento quasi un amante tradito, Aizawa", lo aveva giocato un po' in giro prima di riprendere la discesa per gli inferi, seguito dal suo compagno.
Ad Aizawa i Quinx piacevano parecchio. Erano dei piccoli fenomeni da baraccone potenzialmente letali che Aizawa vedeva come prodigi della scienza e della medicina. Dei quattro creati, Aizawa aveva assistito a tutte e quattro le operazioni: una volta da esterno, due volte dall'interno della sala operatoria ed una volta anche come secondo del dottor Shiba.  "Oreo, mi raccomando sorridi di più o non troverai mai una signora Biscotto!" aveva strillato al ragazzo, che ormai gli dava le spalle. Aveva visto la schiena  irrigidirsi, ma aveva continuato per la sua strada, mentre sentiva anche Shirazu cominciare a stuzzicarlo.
Forse avrebbe dovuto presentare sua nipote ad uno dei due.
Urie era il suo preferito, forse perchè era stato quello che aveva aiutato a creare e si sentiva, dopo aver messo letteralmente le mani tra i suoi organi, di poter avere tutta la confidenza che voleva - sebbene l'agente stesso non sembrasse accettarlo. E poi gli Oreo erano i suoi biscotti preferiti.
Era dovuto tornare inditro per togliersi il camice e recuperare la giacca - doveva fare poca strada, ma il clima di quei tempi non era affatto mite. Nell'ufficio comunque non aveva trovato i suoi investigatori preferiti, né il suo collega, probabilmente già preso nelle sue opere, così era andato di filato fuori dalla sede centrale della CCG per raggiungere il Laboratorio, sempre nella prima circoscrizione. La distanza era irrisoria ed aveva pensato bene di farselo a piedi, nonostante il tempo fosse davvero fresco, quasi come uno schiaffo in faccia. Aveva recuperato il suo telefono ed aveva composto il numero senza neanche preoccuparsi di doverlo cercare in rubrica o ricordarlo, tanto era l'abitudine che aveva nel farlo. Si era portato il cellulare all'orecchio ed aveva aspettato. Dopo un paio di squilli, era partita la segreteria.
 

Qui è Sada-chan, se non vi sto rispondendo è perchè sto facendo qualcosa di urgentissimo, ma non temete miei prodi, ritorno sempre. Un bacio.

Che segreteria inutile.
"Rispondi a questo telefono, santa donna”,  aveva borbottato, prima di rendersi conto di averlo detto dopo il messaggio acustico. Non voleva essere il messaggio lasciato, quanto un'imprecazione, ma alla fine aveva rinunciato.
Trovava davvero fastidioso come quella mattina non ci fosse verso di riuscire ad entrare in contatto con nessuno. Ma che stava facendo adesso?
Non aveva impegni,  lo sapeva, ne avevano parlato qualche giorno prima. Aizawa le aveva anche detto che gli sarebbe piaciuto adare da lei dopo aver fatto la nottata all'obitorio. E poi non rispondeva al telefono.
La verità era che si stava sforzando di non preoccuparsi, alla fine qualche chiamata senza risposta di mattina volevano dire poco che nulla, oppure ... Non voleva pensarci. Il telefono gli era squillato in mano ed aveva avuto il batticuore, ma si era reso presto conto che il numero da cui veniva la chiamata era quello di sua sorella.
"Yumino", aveva detto con una voce un po' serrata. Non voleva essere fastidioso con sua sorella, ma la verità era che non avrebbe mai voluto che il telefono fosse occupato. "Junichi! Stai bene?", aveva chiesto Yumino non sembrava preoccupata quanto mero gesto cerimoniale di cortesia il suo, Aizawa poteva immaginarsela tutta precisa dall'altra parte della cornetta. "Sto bene, ma tu non dovresti tenere una lezione?”, aveva cercato di tranquillizzarla lui, non era neanche metà mattina e sua sorella doveva essere in pieno orario lavorativo. Insegnava matematica in un liceo privato, in una circoscrizione piuttosto tranquilla. Aveva una laurea alla Kami ed un master al M.I.T. avrebbe potuto essere ovunque, eppure era lì ad insegnare ad un mucchio di ragazzini snob; Aizawa mandava giù bile al pensiero che forse anche lui era causa di quella scelta. "Ho un'ora buca ed ho pensato di chiamarti", aveva soffiato Yumino.
"Oh Yumi, sono sempre contento di sentire la mia sorellina, ma devo andare a lavoro, i ghoul non si apriranno da soli”, aveva cantilenato Aizawa, buttando giù il telefono sulla voce acuta di sua sorella che cercava di tenerlo in linea.
Sapeva perchè lo aveva chiamato, una decina di giorni e sarebbe stato il compleanno del loro padre. Il Signor Aizawa teneva sempre ad avere la famiglia riunita - e con tutta si intendeva tutti, cugini di quarto grado inclusi. Onestamente doveva cominciare a premurarsi di non essere in nessun luogo facilmente rintracciabile o suo fratello maggiore lo avrebbe trascinato lì per i capelli. 
 
Al laboratorio lo avevano indirizzato immediatamente ai piani superiori, il Regno del dottor Kouitsu Chigyou, dove si divertiva a creare quelle raccapriccianti macchine di morte note come quinque. Ad Aizawa un po' inquietava il concetto di quinque, questo non lo aveva mai fermato da fare la sua parte nella realizazione ed osservare con meticoloso interesse il processo di assembramento. Doveva ammettere a se stesso che era sempre stata una persona particolare, attirato dalle stesse cose che in parte lo disgustavano e spaventavano.
Le porte dell'ascensore si erano quasi chiuse quando una mano l'avevano intercettate facendole riaprire, a quel punto Aizawa aveva potuto scorgere una donna davanti a lui. I capelli neri appiccicati al volto, un tubino dall'aria parecchio scomoda, la camicia fuori dalla gonna ed un badge incastrato tra i denti, mentre le mani si applicavano per cercare qualcosa nella borsa. "Buongiorno, Cheiko”,  aveva detto salutandola con un sorriso solare, mentre la donna rossa d'imbarazzo entrava nell'ascensore,  rinunciando a cercare quello che doveva per sfilasi con una mano il badge dalle labbra per ficcarlo nella borsa. "Buongiorno Ivak, oggi stai molto bene”,  aveva buttato fuori lei d'un fiato, con le gote  ancora imporporate. "Un vero miracolo, visto che ho passato la notte a fissare uno schermo. Tu però sei raggiante per davvero”, aveva detto languido. Cheiko non era una brutta donna, solo che aveva un aspetto incredibilmente anonimo; "Sali o scendi?”,  aveva chiesto lei, passandosi una mano tra i capelli, nel tentativo di rassettarli. “Salgo" aveva replicato lui.
Aizawa non scendeva mai, nonostante ci avesse provato un sacco di volte a sbirciare lì dentro, davvero incuriosito da cosa negli anfratti oscuri del laboratorio succedesse - aveva anche provato a chiedere a Komoto. Ma lui era entrato in modalità scimmietta Non vedo, Non sento, Non parlo che ogni tanto gli veniva, in completa opposizione a quando doveva raccontare chi avesse fatto cosa con chi e dove. In quel caso era una scolaretta delle medie.
"Ma prima le signore", aveva concesso cortese a Cheyko, che Aizawa sapeva bene scendesse. Quella aveva annuito con lo sguardo un po' basso, l'imbarazzo ancora cucito sul volto, non si doveva essere acuti osservatori per sapere che alla signorina era venuta una cotta per lui. Era una cosa tenera, in verità, che faceva un po' di commozione ad Aizawa, il quale si era sempre ritrovato a metà tra il coltivare, per un mero desiderio egocentrico, e l'interrompere brutalmente, timoroso della sua fidanzata. "Sai, sono proprio contenta di averti incontrato oggi, Ivak”,aveva cominciato lei, alzando lo sguardo verso Aizawa. Aveva occhi neri come tizzoni di carbone Cheyiko; “Oh, davvero?" aveva inquisito lui lezioso.
La dottoressa sembrava, davanti al sorriso sornione di lui, perso un po' del suo brio, “Sì, ecco ... Io avrei trovato questa ricetta per fare uno strudel  di mele e volevo il tuo parere, quindi vedi, sì... Se una sera avessi voglia, sì magari ...”,  aveva provato a buttare fuori la donna, inciampando nella sua stessa lingua.
"Vuoi il mio parere per uno strudel di mele? Non sono esattamente un cuoco" aveva chiesto lui confuso aggrottando le sopracciglia, "Io, sì .. Visto che è un piatto tipico ...”, ma prima che potesse finire di parlare, Aizawa le aveva detto sopra, "Della Republica Ceca? In realtà direi che è più Austriaco. Comunque io e la mia ragazza ne saremmo davvero contenti", aveva risposto e il din dell'ascensore aveva dato a Cheyko, l'opportunità di fuggire evitandosi un certo imbarazzo, con il viso ancora dipinto di rosso.
Aizawa era tante cose. Scortese no, preferiva prendere in giro - in maniera bonaria - ma nulla sembrava metterlo più di cattivo umore che parlare della sua parte non nipponica. In parte perchè nonostante per metà fosse ceco non aveva mai visto la terra di sua madre, in parte perchè per gli anni della scuola i compagni di classe gli avevano sempre fatto pesare quella differenza. Un po' perchè tutto quello che lo legava a sua madre lo metteva sempre in difficoltà.
Era una cosa difficile da spiegare, c'era riuscito una sola volta e con una sola persona.
 
Con il dottor Chigyou  non era andata male, era una persona divertente con cui parlare ed era rimasto a fare compagnia per tutto il tempo dell'estrazione, chiacchierando del più o del meno. Per lo più del nuovo macchinario di conservazione del Kahoku che era stato costruito in Francia e stava prendendo piega a macchia d'olio in europa. "Sì, ho sentito che praticamente lo conservano vivo per un paio di giorni senza bisogno dell'acciaio quique”,   stava dicendo il Chigyou, ad un interessato Aizawa, che aveva dovuto indossare,   mascherina, guanti e grembiule.
Per quanto l'argomento lo intregasse alquanto, era rimasto turbato da ciò che aveva trovato sul tavolo autoptico e aveva dovuto faticare parecchio. Aveva capito, però, per quale motivo avevano richiesto specificatamente lui.
Il ghoul che gli era arrivato era una frattaglia, stabilire che fosse un maschio - ed approssimativamente sulla trentina d'anni - non era stato affatto facile, non che qualcuno glielo avesse chiesto. Aveva i capelli scuri come acini d’uva ed un occhio azzurro a giudicare dal colore dell'iride  che aveva ritrovato. "Cosa?", aveva chiesto con un brivido di disgusto.
La verità era che Aizawa aveva visto così tanti ghoul morti che non sembrava così strano notare quanto somigliassero agli uomini.
"Squadra Hirako”, aveva spiegato con due sole parole tutto quello che c'era da sapere l’altro dottore, non doveva stupirsi di cosa fosse capce quello che era stato per anni il secondo di Arima.
Il ghoul sul tavolo autoptico era il grado S+  Dente di Fata, un ghoul, uno parecchio ostico che non sembrava prediligere una singola circoscrizione, che aveva dato per più di un buon decennio gatte da pelare alla CCG e non sembrava neanche andare d'accordo con gli altri ghoul.
Ed era un Ukaku, questo aiutava almeno Aizawa a capire cosa dovesse cercare. "Povero diavolo eh”, aveva sussurrato, mentre cercava di identificare dove fosse la quinta vertebra per cercare l'organo predatorio. "Mi hanno detto che ha un kagune molto scenico”, aveva cominciato il Chigyou. "Da uno che si chiamava Dente di Fata mi aspetto delle orribili ali brillanti",aveva detto Aizawa,  con un sorriso mesto, mentre recuperava quella che sembrava la parte superiore del busto, per voltarla prona ed avere la visione della schiena.
Sembrava orribile scherzare su un morto.
"Ti ricordi il Pavone?" aveva chiesto il dottore,"Abbiamo accidentalmente stimolato l'organo qui dentro" aveva ricordato Aizawa con una risatina, pensando che non poteva esserci stato nulla di più raccapricciante e divertente di vedere delle grosse ed affilate code di un Rinkaku muoversi a destra e manca da una piccola matassa di carne. Era stato un miracolo che, sciolte le protuberanze,   fosse stato possibile recuperare l'organo.
Era potente e molto istabile - alla fine era stato deciso di conservarlo, senza però averlo reso una quinque.
A quanto pareva i piani alti avevano deciso di preservarlo per il progetto quinx se si fosse protratto - da leggersi come un kagune che sembrava prestarsi difficile a divenire un'arma.
"Eccolo, piccolo infame”, aveva berciato, quando aveva scavato la pelle con un seghetto elettrico. Certe volte si sentiva più un macellaio che un patologo. Aveva ritrovato  il piccolo organo, il quale era di un rossastro ribollente e sembrava sorprendentemente vivo, rispetto al resto del corpo. 
Era proprio strano quell'organo.
E lui ne era tremendamente affascinato.
 
Di norma sarebbe rimasto per il resto del processo della creazione della quinque, ma aveva uno spasmodico desiderio di tornare a casa, tolto il brio dell'autopsia aveva avvertito la stanchezza finirgli di nuovo sulle ossa. "Chigyou, che ne dici se invece di mandare tutto all'inceneritore lo porto un po' al primo livello Sasaki?" aveva chiesto, mentre osservava i resti del corpo. "Stai cercando di farlo impazzire?”,  lo aveva guardato incuriosito il dottore, era noto che la carne dei ghoul non beneficiasse  sulla psiche di questi ultimi, ma un po' alla volta non avrebbe dovuto fare un gran danno, inoltre lo stesso Sasaki sembrava sentirsi più in pace nel mangiare i suoi simili che gli umani. Cosa che Aizawa onestamente non capiva.
Ma non capiva un mucchio di cose di Sasaki, compreso perchè continuasse a bere la cioccolata che lui gli offriva. Creature affascinanti i ghoul.
"Non dovrebbero esserci problemi, ma denuncia tutte le quantità, così Shiba può ... Controllare”,   aveva detto il dottore Chihyou.
"Roger”, era stata la risposta di Aizawa.
 
Aveva lasciato la stanza portandosi dietro una borsa frigo, quando aveva intercettato le gambe lunghissime del secondo livello Occhi di Gatto, la quale era seduta su una sedia bevendo caffè assieme a Faccia da Volpe, comunemente noti come Masa Aiko ed Kuramoto Itou. Aizawa non aveva capito se scopassero solo o se avessero anche una relazione  seria.
"Ei piccioncini", li aveva attiratati con lo sguardo. Sembravano entrambi provati dalla lunga notte che doveva averli visti, da quel che aveva capito Aizawa,  un inseguimento piuttosto deleterio in una circolazione orribilmente caotica contro un ghoul di classe S+. Quello che aveva stupito Aizawa però era stato il fatto che la squadra Hirako indagasse su un ghoul che non era di Aogiri, quando normalmente erano sempre loro il target. Il mondo era strano, non doveva farsi troppe domande.
"Oh dottor Aizawa”,   l'aveva salutato Kuramoto gentile e lo sguardo sottile, Masa aveva abbozzato un sorriso amichevole. "Ho visto quello che avete combinato, con quel demone, ci ho messo due ore per capire dove fosse la collottola", aveva detto sornione lui. "Non te la prendere con noi”, si era giustificato immediatamente Itou. "Non ci siamo scontrati con un altro ghoul, o meglio Masa, senza di lei sarei morto”, aveva rivelato squisito Kuramoto, posando una mano sulla spalla della sua partner.
Masa si era passata una mano tra i capelli scuri, erano corti e molto lisci."Davvero, è stato un caso”,   aveva spiegato quella, "Fortuna",  aveva aggiunto.
Aiko era una a cui non piaceva prendersi i meriti.
"Hachikawa ti darà il tormento lo stesso”, aveva commentato con una risata Kuramoto. “Perchè cosa è successo?", si era impicciato Aizawa.
Ito si era subito prodigato nello spiegargli le vicende, non risparmiandosi affatto di complimentare la scaltrezza di riflessi della sua partner, senza la quale sarebbe sicuramente morto.
Aizawa aveva ascoltato quel discorso veramente intrigato e curioso, almeno fino ad un certo punto ...  "Ed il ghoul?”,  aveva chiesto,  "La ghoul",  lo aveva corretto Masa.
Senza che i due ben capissero come si fossero trovati lontani dalla zona dello scontro, mentre raggiungevano il resto dello squadra per fronteggiare Dente di Fata - che si era momentaneamente alleato con i Completi Bianchi - si erano ritrovati dritti contro un altro ghoul. 
Kuramoto ci aveva guadagnato una testata, ma il ghoul aveva beccato una lancia nel torace da Masa. La ragazza si era prontamente svestita di tutti i complimenti che le erano stati riservati dicendo che era stata semplicemente fortuna, il ghoul non l'aveva vista, era stata troppo concentrata su Ito.
"Io ero per terra, lei mi fissava e se non fosse stato per Masa  probabilmente ora sarei a pezzi per le strade dei Tokyo", aveva ripreso Kuramoto, posando una mano sulla spalla della compagna e facendola poi scivolare sulla schiena, in un gesto intimo. "Sai, io non penso volesse combattere", aveva invece detto quest'ultima, con gli occhi gialli fissi davanti a lei, come se stesse rievocando la scena.
"Si ma la ghoul?",  aveva inistito  Aizawa. Quei due non sembravano affatto intenzionati a raccontare che fine avesse fatto quella. "Ah, non te lo abbiamo detto?”, aveva chiesto Kuramoto. “Sul serio?” aveva borbottato con un po’ di acidità lui, ma era stato ignorato. Itou aveva continuato: "In realtà ci è scappata. Complice che noi dovevamo raggiungere Take, ma lei ... correva come una scheggia".
Aizawa l'aveva già sentita sulla lingua pizzicare la battutaccia sul fatto che due investigatori in piena forma si fossero fatti scappare una ghoul con un foro in pancia, quando Itou aveva ripreso a parlare:"Be, è la specialità di Lisca, infondo, scomparire alla svelta”.
Aizawa aveva richiuso la bocca."Lisca?”, aveva chiesto poi, crucciando un sopracciglia."Immagino che tu non l'abbia mai sentita”, aveva parlato questa volta Masa, "E' un ghoul di classe B. Non combatte quasi mai, credo che neanche io l'avessi mai sentita fino a questa mattina",  aveva poi spiegato, prendendo lo sguardo fisso di Aizawa come invito a continuare. "Fino a chè Vash The Stampede*** non è venuto a sbraitarmi contro per aver lasciato andare un ghoul che cercava da tempo”, aveva detto. "Parla di Hachikawa",era intervenuto Kuramoto. "Ti concedo che gli somiglia”, aveva scherzato Aizawa, ma si era reso conto che il suo tono era parecchio ferroso. "Praticamente è stato lui a farle avere la classe B, credo che lo abbia fatto principalmente perchè vuole il suo kagune",  aveva ripreso Masa. "Ho visto delle foto, praticamente è uno scudo. Sai che con la scusa che ci è scappata vuole fare una richiesta formale perchè diventi di classe A?”, aveva chiesto retorico Kuramoto.
"Bestioline, adoro parlare male della gente, in particolare per i creepy cosplayer involontari di manga, ma ho bisogno di dormire”, aveva detto alla fine Aizawa. “Inoltre ho i resti di Dente di Fata da ... smaltire", aveva aggiunto, battendo una mano sul contenitore frigorifero.
 
Da Chyoda ad Itobashi*** aveva impiegato venti minuti.
Venti lunghissimi minuti, passati con le mani sul volante così strette da fare diventare bianche le nocche.
Per una volta aveva deliberatamente ignorato tutte le regole che seguiva ciecamente, parcheggiando direttamente nel primo posto libero che aveva trovato nei pressi della palazzina dove era diretto.
Prima di aprire anche solo la portiera si era tastato la cintola, dove aveva sentito la sua pistola.
I proiettili Q. erano stati difficili da recuperare, non potevano semplicemente essere chiesti in un negozio di balistica. Ne poteva prenderli liberamente a lavoro.
 Grazie Deepweb.
"E invece gli inibitori sono a casa. Fantastico. Bravo Ivak”, aveva riflettuto, a denti stretti. Infondo, si disse,  non era neanche colpa sua. Allungò una mano e recuperò la borsa frigo personale, che aveva messo sul sedile del passeggero. L'altra - con la scorta maggiore - era rimasta nel bagagliaio, sommersa di ghiaccio, destinata a Sasaki. Avrebbe dovuto fermarsi prima allo Chateau, ma aveva avuto una fretta della miseria. Un profondo respiro ed era sceso dalla macchina. Coraggio, si disse: lo aspettava solamente un ghoul ferito e probabilmente affamato.
La fortuna era che aveva le chiavi di riserva della casa, non che avesse trovato un solo motivo per compiacersene. Aveva sentito le spalle farsi rigide quando aveva fatto scattare il cancelletto e non si era sentito meglio neanche mentre percorreva il giardinetto privato del palazzo. Quando era entrato nell'atrio aveva sentito improvvisamente anche le gambe farsi marmoree.
Ma si era reso conto che non era più per se stesso.

Mentre imboccava la scala per raggiungere il terzo piano, aveva potuto sentire un'odore forte di candeggina. Qualcuno aveva pulito.
"Oh, Dottor Aizawa”, si era sentito salutare, mentre udiva ticchettare lungo la scale un signore le stava percorrendo all'inverso.  Waiu Kinomiya aveva settant'anni, una spiccata passione per i berretti a quadri ed una salute di ferro. tanto da vivere in un edificio dove l'ascensore non funzionava un giorno e l'altro pure.
"Signor Kinomya, berretto nuovo?”, lo aveva preso in giro,  "Ho un appuntamento con una signora”,veva risposto lui, lisciandosi i baffi sale e pepe,  facendolo ridacchiare.
L'uomo lo aveva quasi superato, quando Aizawa lo aveva fermato, chiedendogli come mai ci fosse un'odore così persistente di candeggina.
"Beh, a quanto mi ha detto la signora Darai - quella con il cagnetto - stamattina hanno trovato del sangue. Questa è una circoscrizione tranquilla, mi sembra strano che qualcuno abbia combinato qualcosa di male, ma se dovessi puntare il dito direi su Tatsuno dell'ultimo piano.”
Si riferiva a un ragazzo dal vestiario gotico che non parlava molto; ogni tanto Aizawa aveva notato avesse le nocche sbucciate, ma, no, il signor Kinomiya sbagliava.
La prima goccia di sangue l'aveva trovata ad un metro dall'uscio dove era diretto, probabilmente il ghoul aveva cercato di fermare l'emorragia su quel piano, per evitare che venisse ricondotto a lei.
Aveva aperto la porta ed era bastato che guardasse il legno dell'anticamera per capire che la situazione era grave. Esso macchiava il parchè parquet e c'erano alcune delle scarpe della proprietaria, ma anche le ciabatte da casa. Aizawa non aveva preso tempo ed aveva seguito la scia, fino al soggiorno dell'appartamento. Le tende erano tirate e la stanza era completamente ombreggiata, ma questo non gli aveva impedito di riconoscere una figura prona sul divano, uggiolante.
Era rimasto per un momento indeciso  sul da farsi. Preparare il cibo, vedere che scorte avesse ancora, avvicinarsi.
Aveva posato per terra la borsa frigo e si era fatto vicino quatto, schivando una parrucca che giaceva per terra. "Mei ... Mei, cosa hai combinato?”, aveva chiesto palesando la sua presenza. Il viso del Ghoul era affondato nel divano, la giacca di pelle blu scura abbandonata per terra, la maglia era ridotta a brandelli, completamente strappata sulla spalla dove sorgeva il suo kagune. La pelle della scapola ribolliva, viva, era l’organo predatorio sotto che si muoveva.
Aveva abbassato lo sguardo, nel centro della schiena non era solo l’indumento ad essere sfilacciato ma anche la carne. Aveva sfiorato appena con le dita la ferita, la carne si stava rimarginando con una lentezza disarmante per un ghoul. Probabilmente non si era nutrita a dovere nei giorni prima di quell’avventura.
Ma se fosse stata umana sarebbe morta.
Mei aveva voltato appena il viso, "I-Ivak”, quasi aveva pensato di averlo sentito il sussurro, aveva fatto scattare lo sguardo verso il volto di lei, per vedere appena le iridi farsi nero fanghgilia e due rubini rossi fissarlo.
L'attimo dopo si era scatenato un putiferio d'avorio.
Il kagune di Mei era composto di sottili schegge, che fuoriuscivano dalla scapola e ricoprivano il braccio come una sorta di esoscheletro. Una sorta di armatura spinata, sottile di un colore che ricordava le ossa. Il fatto che le punte sembrassero spine, per la finitura,  non stupiva che fosse stata nominata Lisca.
Aizawa aveva sentito le punte degli aghi forargli la manica della sua giacca, e anche la camicia ed aveva sentito scavare appena la pelle, come la puntura di un ago. Il braccio che era rimasto libero aveva afferrato la pistola caricata a proiettili Q., per posare la canna sulla fronte di Mei. 
Gli occhi di lei erano famelici pozzi oscuri e mai in quel momento era sembrata più simile ad una fiera. Forse tutto il loro legame doveva essere letto in quella chiave, un domatore che si divertiva ad infilare la testa nelle fauci di un leone, ricorso dal brivido di sapere che la belva un giorno si sarebbe abbandonata alla sua natura bestiale.
"Non sei carina, visto che ti ho portato il pranzo”, l'aveva presa in giro. Non aveva tirato l'otturatore e non riusciva a muovere il braccio che era sotto la stretta delle spine di Mei, ma sperava che lei fosse intimorita dall'arma da non averlo notato. Vane speranze si rendeva conto.
Il ghoul sembrava aver recepito le sue parole e si era scostata subito di dosso, lanciandosi deliberatamente sulla borsa frigo e sfamandosi con ciò che vi era all'interno. Questo aveva dato ad Aizawa il tempo di alzarsi dalla posizione in cui era caduto - spinto - e di rimettere la pistola nella fondina. Aveva guardato il ghoul; aveva sentio i brividi corrergli lungo il corpo, nel vedere come i denti perlacei di Mei strappavano i resti della carcassa che le aveva portato.
Si era diretto in cucina, seguendo una scia di sangue secco. Il frigo era stato lasciato aperto, ogni fonte di cibo per il ghoul era stato completamente ripulita. Aizawa non faticava ad immaginare che così malridotta quella avesse cercato di recuperare le forze spazzolando il poco che le era rimasto in casa.
Avrebbe dovuto procurarle  più cibo.
Prese una fragola dal ripiano dall'elettrodomestico e richiuse l'imposta. Quando tornò in soggiorno, Mei sembrava nuovamente una buona imitazione essere umano. Il kagune si era dissolto, la sua sclera era del colore del latte e le sue iridi grandi e scure. Le labbra erano sporche appena di rosso.  "E' un ghoul”, disse solamente lei, guardando i resti che teneva tra le mani.
A Mei non piaceva mangiare la carne di ghoul. Lo aveva fatto solo in disperati momenti di magra o quando aveva dovuto acquisire forza.
Ed Aizawa glielo aveva sempre visto fare con le lacrime agli occhi. Per Mei i ghoul non potevano – non dovevano – essere mangiati. Le persone invece non gli facevano né caldo né freddo. Non l'aveva mai vista predare questo era vero, ma l'aveva vista consumare carne umane senza battere ciglio, se non addirittura con gusto. Glielo aveva confidato che non considerava uomini e ghoul uguali. E allora io? si era chiesto Aizawa. Senza avere il coraggio di domandarlo ad alta voce.
Ma aveva capito che Mei mentiva a se stessa, la vera domanda che lo aveva premuto poi era stato se lo avesse sempre fatto o se avesse cominciato dopo. 
"Cosa vuoi che ti dica, questo passava la cucina”, aveva risposto in malo modo lui, dopo aver inghiottito una bella porzione della fragola. Poteva sentire il liquido essergli colato lungo il mento e le labbra tutte zuccherine. A lui le fragole facevano anche abbastanza schifo, solo che Mei, nonostante non potesse nutrirsene, ne aveva una vera e propria ossessione.
Mei lo aveva guardato. "Grazie", aveva mugolando, riprendendo a mangiare. "Un povero diavolo, che ha avuto la sfortuna di ritrovarsi contro Hirako Take”, aveva commentato, prima di mangiare l'ultimo pezzo del frutto e ritrovarsi soltanto le foglie tra le dita, "Ma tu questo dovresti saperlo, perchè anche tu eri lì", aveva detto con un velato fastidio.
"E non mi hai detto nulla,  Seronja."
La donna aveva di nuovo guardato i resti che erano nella borsa frigo, prima di voltarsi verso di lui, i suoi occhi sembravano adesso ombreggiati di una consapevolezza diversa, ma Aizawa era troppo impegnato a guardare il ventre che aveva dato cenni di un'auto rigenerazione. Era stata Inazami a ferirla, una quique che aveva collaborato a costruire.
"Chi era?”, aveva chiesto improvvisamente, con mordente. "Ieri c'era un po' di persone, l'Aogiri, un Clown, io ...”, aveva cominciato un po' a farfugliare tra sé e sé. "Fatina dei denti, o un nome trash simile”, aveva liquidato la cosa Aizawa, sedendosi sul divano.
Non aveva idea neanche di che faccia avesse il ghoul in questione, sapeva che era almeno un decennio che era un palo in culo per il CCG e si era però ritrovato faccia a faccia contro Hirako per un caso.
Che sfiga eh, quella notte sarebbe dovuto morire Naki dei Completi Bianchi ed invece ...
E Mei cominciò a piangere; "Kaido"  sussurrò "Questo è Kaido."
 
"...Il giorno che ho mangiato il mio migliore amico.
Ah, si, caso mai non lo avessi capito: sono un ghoul"
 
*stronza in slavo
** è un orribile film horror giapponese che IO NON HO MAI VISTO (ma mi hanno assicurato che è trashissimo e grottesco)
*** il protagonista di Trigun.
**** Sono due distretti di Tokyo: Primo e Diciannovesimo, rispettivamente. (Yep è la circoscrizione di Labbra Cucite: la cosa è stato davvero un caso)

N.B. Eccomi! Ci ho messo una vita lo so, ma, ehm ... ho dovuto dare l'ESAME.
Bene il capitolo è qui: Mei ed Aizawa li conoscevate giià tramite Chemical Lady (RINGRAZIATELA perchè ha betato questo capitolo) e Masa è la sua bambina e anche Shimura.
Appunti che devo fare: il capitolo doveva essere più lungo, ma ho deciso di spezzarlo perchè sono tremendamente prolissa.
Questi primi capitoli comporerranno il primo Atto, che sarà di presentazione dei personaggi per lo più. Il titolo dell'Atto viene dalla già citata poesia in precedenza, mentre il titolo del capitolo: Sehnal è letteralmente un modo per dire "Pseudonimo" di norma quando i poeti/cavalieri scrivevano le poesie d'amore per le loro Madanno (di solito mogli di Signori) erano costretti ad usare un nomignolo. (Quindi in un certo senso il Sehnal è uno speudonimo che dai a qualcuno)
Inoltre quando ho pensato alla struttura di questa storia non avevo ancora visto 13 Reason Why; ora l'ho fatto, ma invece di cambiarla, già che questa è una ff mi sono detta: prendiamo e rielaboriamo.
Un bacio
RLandH
 

 

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Capitolo 3
*** Atto I|Capitolo II:O frati, i vostri mali … ***






Caresti
a, portami gioia


Atto I

 – Non canto né fui cantore –


 
 
Capitolo secondo: O frati, i vostri mali …
 
 
“… Voglio parlarti di Kaido, perché … perché in un certo senso questo non è semplicemente un documento, non è semplicemente una denuncia. È il mio biglietto d’addio e le mie memorie, so che dovrei stringere – come stringe il tempo – è parlare di V e spiegare perché Kaido era lì quella notte, cosa lo ha condotto alla morte, però lui non era semplicemente un’altra vittima …”
 
 
Kaido Higurashi era la persona più stupida che Shizune avesse conosciuto. A distanza di anni Mei lo pensava ancora.
Quando aveva incontrato Dente di Fata, lei si faceva chiamare Shizune ed aveva nove anni. Lei voleva stare in pace sull'altalena, l'altro era suo coetaneo ed era già un bambino difficile che mordeva chiunque provasse ad avvicinarsi; con le pietre appuntite scriveva kanji osceni sul legno dei giochi.
Erano stati amici per quasi vent'anni ... Ed adesso Kaido era morto. Era nella sua pancia.
E tutto per colpa sua.
"Non posso dirti che la tua morte non sarà in vano, ma ti giuro Kaido ... Sistemerò tutto”, disse guardando lo specchio, quasi potesse scorgere nel suo riflesso lo spauracchio di Kaido, con i capelli sempre intrecciati e gli occhialini da aviatori con i peli azzurri.
La maschera più brutta che avesse mai visto, che aveva indossato per l'ultima volta la notte prima, prima di farle un occhiolino.
"Stai tranquilla Pesciolino, nessuna rete ti catturerà questa volta", le aveva detto con quel suo tono sempre malizioso. Era andato a darle delle informazioni e si erano ritrovati infilati nel mezzo di una manovra della CCG  verso una qualche disparata parte di Aogiri. Mentre fuggiva, Mei era certa di aver anche riconosciuto qualche maschera troppo sorridente.
...E poi Kaido era morto.
Aveva raccolto il coltello che aveva portato con sé, il quale era di fatto di acciaio quique - era stato difficile da trovare - ed aveva cominciato ad incidere la sua pelle sulle guance, prima la sinistra e poi la destra. Prima che la ferita cominciasse a rimarginarsi, aveva infilato sotto la cute delle protesi di silicone per sollevare gli zigomi e cambiare di poco la struttura del suo viso.
Aveva stretto i capelli scuri sotto una retina ed aveva indossato una lunga parrucca di un castano piuttosto chiaro, ondulati come onde.
C'erano voluti un altro po’ di lavoro ed accorgimenti e poi il viso emaciato di Mei, nota come il Ghoul Lisca, era scomparso dietro il viso sorridente e gli occhiali dalla montatura rossa e quadrata di Sadako Koijima, ghost writer imberbe.
Quel giorno avrebbe dovuto occuparsi di altro, ma non poteva lasciar perdere,  non poteva fare questo a Kaido. Doveva prima chiudere gli affari dell'amico o sarebbe stato capacissimo di ritornare come spettro.
Le sarebbe piaciuto vederlo un'ultima volta anche solo per ringraziarlo di tutto, invece non aveva neanche potuto dare lui un degno saluto. Se fosse stata un po' più coraggiosa avrebbe probabilmente provato a recuperare la valigetta in cui la CCG aveva fatto scempio del suo corpo.
Quando era riemersa dal bagno, di Aizawa erano rimasti solamente i fazzoletti sporchi di sangue che aveva usato per comprimere la ferita e gli aghi da sutura con cui si era ricucito la parte della coscia che lei aveva morso.
Ma non era andato via. Poteva sentire ancora il suo odore in tutto l'appartamento ed il respiro profondo dell'uomo dalla camera da letto.
Ogni volta Mei si chiedeva come fossero arrivati lì, come fosse successo, come un essere umano avesse potuto accompagnarsi ad un ghoul e come lei avesse potuto accompagnarsi a lui.
"Sei un po' come quelli che hanno un coniglio come animale da compagnia ma non hanno il coraggio di metterlo in forno”, quella frase gli fischiava sempre nella testa, la voce carezzevole di Gambit.
Forse aveva ragione, era per quel coniglio che Gambit era morto. E quello stesso uomo aveva aiutato a mutilare il corpo di Kaido. Lei lo aveva lasciato in pace dormire nel suo letto.
No, si rese conto con orrore, che  non era la codardia a frenarla.
Nobunaga, un suo collega alla rivista - o meglio un collega di Shukumei -  l'aveva riempita di chiamate e messaggi sugli avvenimenti che si erano svolti nella quinta circoscrizione quella sera. 
I Completi Bianchi, Dente di Fata e perfino Lisca in una retata. Giusto il materiale di cui Shukumei si occupava. Solo che lei si era messa in malattia un giorno prima. Aveva pensato che forse le cose non sarebbero andata lisce,   non aveva immaginato così male però.
La verità era che non era neanche certa che sarebbe potuto ritornare a scrivere gli articoli come Shukumei, cronaca nera inerente ai ghoul, visto che la sua principale fonte si era beccata da lei una testata la notte prima. Di tutte le maledettissime colombe che avrebbe potuto incontrare, Lisca aveva dovuto fare un frontale con Ito Kuramoto. Era rimasta di ghiaccio, terrorizzata che dopo tutte le volte che si erano parlati lui la potesse riconoscere, per questo non aveva notato la donna con la valigetta, che le aveva infilazato una lama nella pancia. Aiko Masa, aveva detto Aizawa, non l'avrebbe mai dimenticata.
La prima colomba ad averla beccata.
Aveva liquidato Nobunaga dicendo che non si sentiva ancora per nulla bene e quello si era ben prodigato per chiederle se doveva portarle del brodo o delle medicine. Era una personcina incredibilmente buona Nobunaga. Per quando Mei avesse cercato in tutti i modi di non voler stringere il loro legame, si era ritrovata inevitabilmente affezionata a lui. Era tutta colpa di Ivak, prima di lui non era mai capitato che si affezionasse così tanto agli esseri umani, aveva avuto delle simpatie in passato questo era vero, ma un legame così stretto mai prima di lui.
 
 
I suoi tacchi erano risuonati per l'androne dell'ospedale, con i suoi piccoli passi felpati. Doveva impegnarsi in maniera quasi estenuante nell'essere Sadako, molto più di quanto facesse con Shukumei.
Sadako era uno spirito giovane, sempre sorridente con un carattere zuccherino al limite dello stucchevole, Shukumei ... Somigliava in maniera quasi spaventosa a 'Mei'. Forse perchè era l'identità più lunga che avesse mai avuto, o forse perchè l'aveva modellata per essere tale.
La verità era che Mei in un certo senso pensava a Shukumei come la migliore parte di se stessa.
Si era diretta all'ospedale della prima circoscrizione come Sadako e come tale persona avrebbe dovuto agire.
Aveva salutato infermieri, dottori, passanti, chiunque, chinando il capo ed un sorriso con le labbra lucide. Ed era stata ricambiata.
La stanza che aveva cercato era al terzo piano, così aveva preso le scale ed aveva seguito il corridoio, facendo attenzione a non toccare mai con le scarpe rosse le righe delle mattonelle, fino alla camera dove risiedeva il suo amico.
"Buongiorno, raggio di sole!", aveva canticchiato, standosene ancora dirimpetto all'uscio, posando un fianco sullo stipite della porta. Yamada Taro era steso sopra un letto, aveva la nuca rivolta verso di lei, il viso guardava delle vetrate piuttosto ampie che davano su una caotica e macchinosa Tokyo.
L'intera stanza era così pregna dell'odore di fiori da rendere impossibile percepirne qualsiasi altro, anche per un naso buono come quello di un ghoul. Non era stato necessario neanche soffermarsi troppo nell'osservare la camera per poterne scorgere da ogni dove.
Taro si era voltato verso di lei, rimanendo però nella posizione supina, il suo viso era semi nascosto dal lenzuolo che aveva tirato fin sopra il naso, in un gesto che sembrava più vergogna che pudicizia. A Mei non sarebbe importato nulla, vedere quello che Taro aveva nascosto non l'avrebbe impressionata per nulla, ma Sadako era una ragazza che si era sempre mostrata turbata.
Aveva preso posto sulla sedia accanto al letto, mentre Taro la ricambiava con un cenno della mano. "Non posso restare molto oggi", aveva detto con un’espressione triste, mentre tirava fuori dalla borsa quello che era venuta a portargli. 
Di norma non gli dispiaceva passare del tempo con Taro, era un ragazzo piuttosto intelligente con una vera propensione per le teorie del complotto, le scie chimiche e la massoneria; Mei riconosceva che certe fossero probabilmente frutto della costruzione di un personaggio, castelli in aria del lato più indecente di internet, altre ... Un po' meno.
Aveva allungato a Taro un libro di Oneda, o meglio un libro che Sadako aveva battuto al pc, ma che portava la firma dell'esperto di ghoul. Alcune cose scritte lì sopra erano sensate e vere, altre erano molto simili a voli pindarici - anche se dopo aver conosciuto Kimi l'uomo si era dato una certa regolata.
La donna innamorata di un ghoul, quando l'avevano raccontato a lei, aveva ridacchiato, dicendo che era una cosa impossibile. Che ipocrisia, aveva pensato.
La Grande Ruota le piaceva, era lì che aveva conosciuto Oneda, Taro e gli altri. Erano venuti insieme a Sadako, letteralmente lei esisteva per loro.
Aveva sentito parlare di quel gruppo - chiamarla organizzazione sarebbe stato piuttosto eccessivo e pretenzioso - mentre ficcanasava un po' in giro come Shukumei. Avrebbe potuto continuare a tastare il terreno con quella identità. Ed invece si era ritrovata a crearsi un'altra ed era entrata nel La Grande Ruota.
 
Taro le aveva indicato qualcosa al suo fianco e Sadako aveva voltato il capo per vedere che apostrofava il comodino, su cui sopra vi era un vaso di gerani, un libro di Sen Takatsuki - scrittrice encomiabile, troppo lugubre; Nobunaga l'amava - ed il cellulare. Non aveva bisogno che Taro si impegnasse per specificare quale volesse, lei gli aveva passato l'apparecchio e lui aveva alzato un pollice in segno di assenso, prima di prenderlo e mettersi a digitare con una certa fretta. Poi aveva voltato lo schermo verso di lei.
"Oggi sei cupa”, aveva letto. Taro era davvero bravo a capire le persone, lei se n'era accorta subito, anche in una maniera piuttosto preoccupante. Essere Sadako voleva dire mentire sempre, costantemente, al punto che la menzogna diveniva verità. Certe volte Mei era convinta di essere Sadako, ma Taro sembrava essere lì, pungolante, a ricordarle che no non lo era, stava mentendo e che lui lo sapeva. O forse era solo la suggestione paranoica di Mei a farlo. "Ho avuto una brutta nottata”, aveva confermato con una voce spenta, prima di chiedere al ragazzo cosa fosse capitato a lui.
Non era strano che Taro stesse male, aveva diversi problemi fisici che lo portavano a frequentare gli ospedali con una certa frequenza, quasi fastidiosa, al punto che Mei aveva notato cercassero sempre di metterlo nella stessa stanza, come se in un certo senso fosse sua. Il ragazzo non amava affatto parlare di sé  e delle sue debolezze, era uno bravo ad irretire gli altri, leggeva le persone come libri aperti e gli spingeva a raccontare tutto di loro, ma scelse comunque di non svicolare la domanda che gli era stata posta. Ed ebbe anche la grazia di non indagare oltre sul suo malumore.
Questo non rendeva Mei più tranquilla. Si aspettava sempre che da un momento all'altro Taro si sarebbe voltato verso di lei e gli avrebbe detto, o scritto: "So che sei un ghoul”.
Il paziente si era messo a pigiare i tasti del suo telefono, mentre Mei aveva accavallato le gambe osservandolo. Era più giovane di lei, anche se non avrebbe saputo dire di quando, gli occhi però erano vivaci e amichevoli, di questo ne era certa.   La vita era stata impietosa con Taro. Sotto il lenzuolo Mei poteva figurarsi la carne mangiata, le cicatrici e tutto il resto; le aveva viste una volta, durante un incontro con Taro che si era scostato la sciarpa perchè aveva cominciato a dargli prurito.
"Enfisema sotto cutaneo, infezione e sanguinamento", aveva letto Mei le sterile parole che Taro aveva scritto sul suo telefono. “Roba brutta”, aveva aggiunto, mentre con la mano destra girava l'anello che portava sull'anulare della sinistra.
Taro aveva mosso le spalle, azione che forse gli era costata un po' di fatica, mettendosi seduto, con la schiena dritta e tenendo su il lenzuolo con la mano libera, per non farlo cadere. "Sono complicanze minori”, aveva semplicemente digitato. Aveva una flebo collegata ad un braccio, che non aveva notato.
"Ma stai tranquilla, Sacchan, sarò fuori presto, anche perchè inizio a non sopportare più stare qui dentro”, aveva scritto poi. Così incantata a guardare la sacca di liquido trasparente appesa all'uomo morto, Mei non si era accorta che quello avesse riportato altro, finché Taro non aveva provato a richiamare la sua attenzione con la sua voce.
Forse aveva cercato di chiamare il suo nome, era venuto fuori qualcosa di simile ad un risucchio, mischiato ad gorgoglio, per lo più silenziato dal lenzuolo. Qualcosa per cui si era comunque dovuto sforzare molto e per cui lei poi si era sentita in colpa. "Mi dispiace”, aveva detto di prima acchito. “Però sono contenta che sarai agli incontri, la tua mancanza si sente davvero molto" aveva ammesso con un tono dolce, pensando che per quanto fossero confusionari quegli incontri, il battito di mani di Taro che richiamava tutti all'ordine o l'attenzione su di lui sembrava davvero una forte mancanza.
"Però tranquilla, Kikyo mi ha portato tutti i verbali. Sa che siamo un gruppo al pari di un club del libro e non un comitato?", aveva digitato velocemente Taro, se era possibile anche i suoi occhi ghignavano.
"Kikyo prende i ghoul molto seriamente", aveva commentato Mei, con una mezza risatina. 
 
Ad averli interrotti era stato l'ingresso di un'infermiera, che aveva tossicchiato un po' per attirare l'attenzione su di lei. Non era particolarmente attraente come donna e neanche troppo giovane. Era piuttosto alta ed aveva un’espressione seccata sul viso, i capelli neri raccolti e gli occhi sottili. Forse non era neanche del tutto giapponese.
Taro aveva ridacchiato. "La tua fidanzata è qui" aveva detto l'infermiera con un tono molto criptico, che se possibile avevano reso ancora più divertito il ragazzo, il quale aveva anche rinunciato a coprirsi il viso.
Recuperato il suo telefono, Taro aveva digitato velocemente un altro messaggio.
"L'infermiera Zenji mi rimprovererà   sempre di essere uno svergognato”, aveva letto Sadako.  "Dice che ci sono sempre belle donne nella mia camera”, aveva digitato poi Taro, che nel frattempo aveva recuperato il lembo del lenzuolo per tirarlo su e nascondere il viso dal mento in su; Mei era certa d'essersi tradita così presa dagli occhi di fuoco di Zenji e dai messaggi del ragazzo non aveva mostrato alcun orrore per la pelle del viso.
Era in parte anche sospettosa che questi l'avesse fatto apposta. Era un ragazzo sveglio.
Zenji si era chiusa gli occhi dietro il palmo, "Si, sei uno svergognato”, aveva mormorato a mezza bocca con un certo modo esasperato. I due sembravano in una certa confidenza e questo non stupiva Sadako, era abbastanza certa, tenuto conto della costanza delle visite all'ospedale di Taro, che i due si fossero visti molto volte. 
Il ragazzo aveva digitato velocemente un altro messaggio.
"Ma sei tu la mia ragazza preferita”, aveva dovuto leggere Sadako con una risatina e Taro aveva strizzato gli occhi verso l'infermiera. "Non vedo l'ora di raccontarlo alla tua fidanzata”, aveva replicato quest'ultima.
Ancora una volta aveva utilizzato un tono strano e Mei aveva ricevuto l'antifona.  "Allora sarà il caso che io vada”, aveva squittito alzandosi dalla sedia dove era stata fino a quel momento e schioccando un bacio sulla tempia di Taro, "Non vorrei farti fare la figura del Dongiovanni”, aveva aggiunto.
Taro le aveva ricordato che sarebbe uscito entro un paio di giorni.
Lei gli aveva sorriso ed alla stessa maniera aveva ricambiato anche all'infermiera Zenji che non l'aveva prestata di nessun interesse, che invece si era fiondata direttamente su Taro.
Avrebbe potuto aguzzare l'udito ed ascoltare cosa di importate aveva lui da riferirli, ma alla fine aveva lasciato perdere. 
Il Grande Enigma che era Yamada Taro la intrigava, voleva anche risolverlo, ma quando avesse avuto tempo, adesso doveva risolvere le cose con Kaido.
Glielo doveva.
In parte era anche il motivo per cui si era ritrovata lì, il suo incontro con Taro non era stato disinteressato, avrebbe si dovuto incontrare il giovane lo stesso, ma avrebbe potuto rimandare.
Aveva preso le scale quando aveva visto salire la ragazza con i fiori e non aveva accennato a guardarla in faccia. Aveva continuato la sua discesa con il ticchettio dei tacchetti rossi lungo la scalinato.
La ragazzina con i fiori aveva voltato appena il capo, ma lei aveva appena svoltato l'angolo in tempo per evitarla.
Si era ritrovata inchiodata con gli occhi sanguini dell'Associato Classe Speciale Suzuya.
Non era raro trovarlo per l'ospedale, in particolar modo per quel reparto, ma non le era mai capitato di ritrovarsi così vicino a lui, per più di una ragione. La prima era una voce, che si era diffusa fra di loro, riportava che fosse in grado di riconoscere un ghoul semplicemente dall'odore.
"Salve, signorina Khurei”, l'aveva salutata Suzuya con un sorriso piuttosto aperto sul viso. “Agente”, aveva sussurrato Mei, toccando gli occhiali. Indossava il viso di Sadako, non era raro che qualcuno riuscisse a ritrovare somiglianze, ma non aveva mai visto nessuno riconoscerla così nell'immediato, nonostante l'odore diverso, la parrucca ed il viso aggiustato.
Inoltre l'agente che le stava di fronte non era mai stato una in sua compagnia, quindi si era decisamente sorpresa.
Suzuya le aveva sorriso.  "Quel colore di capelli non le sta bene", aveva confessato l'investigatore.  "Però sembrano veri”, aveva soffiato. "Sono sotto copertura”, aveva squillato Mei, passandosi le dita tra i capelli chiari, strizzando l'occhio a Suzuya prima di cercare una via di fuga.
L'agente l'aveva fatta fuggire senza preoccuparsi di fermarla e Mei aveva provato ansia per tutto il tempo. Avrebbe dovuto lasciare l'ospedale, ma prima doveva finire.
Si era diretta nel bar del interno; era sorprendete come la gente fosse abitudinaria.
Aveva trovato chi cercava lì, stava sorseggiando un caffè mentre leggeva un articolo giornalistico. Aveva fatto un po' ridere Mei, perchè da qualche parte tra le pagine di quel quotidiano c'era anche qualcosa scritto da lei.
Si era fiondata su di lui come un avvoltoio, e quello aveva appena sollevato il capo, per fissarla, senza nascondere una certa irritazione.
"Si?” , aveva chiesto il giovane e c'era un riverbero di rimproverò nella sua voce. Aveva un viso pulito da bravo ragazzo, i capelli ramati ed indossava degli occhiali sottili. Non era di certo un brutto uomo.
"Ho bisogno del tuo aiuto, Nishiki", aveva vuotato il sacco Mei.
Quello aveva sbattuto gli occhi per un secondo. "Scusa, chi cazzo sei?", le aveva chiesto senza nessuna remora.
 
"Come stai?"
La voce di Ivak veniva dall'altro capo del telefono, che era agganciato alle cuffiette con cui lo stava ascoltando.
"Quasi nuda ", aveva ridacchiato lei, mentre scalciava via dai piedi il vestito a fiori che aveva indossato come Sadako. "Come piace a me”, si era sentita dire, "Oh, ma per favore”, aveva digrignato lei, passandosi le mani sul ventre. Una leggera cicatrice attraversava l'addome, lì dove la lancia dell'Agente Masa l'aveva passata.
Fino a quel momento era appena un sottile segno scuro sulla pelle, presto sarebbe stato del tutto assorbito. Ci si poteva lamentare di tante cose su chi si nutriva dei propri simili, ma di certo si poteva ammettere che l'ammontare di cellule RC superiore faceva orribilmente comodo. La guarigione, la forza ... Funzionava tutto meglio.
Mei però non ci riusciva, le veniva la nausea, il disgusto ed un'infinita tristezza a pensare di potersi nutrire di un suo simile.
Eppure lo aveva fatto: in passato ed in quel momento.
Ed era stato Kaido, che era stato suo amico, per così tanto tempo.
"Sto praticamente facendo Superman nella cabina telefonica" aveva aggiunto, mentre toglieva anche le scarpe rosse posandole nel ripiano dell'armadietto.
Aveva lasciato il cambio d'abiti lì prima di andare da Taro: una palestra di modeste dimensioni che si occupava di lotta come facciata e combinava di tutto dietro. Nessuno faceva mai domande e Mei aveva costantemente bisogno che nessuno le facesse.
"Come ti vestirai? Shukumei? Lisca? Qualche altra identità che mi manca?”, aveva chiesto allora Aizawa, che questa cosa dei mille nomi sembrava sempre lasciarlo con un certo divertimento.
Mei aveva incontrato molte persone che non lo avevano capita, che forse l'avevano anche giudicata male per questo. Il proprio nome era la propria identità. Non era così che nelle leggende si prendeva il controllo delle creature? Possedendone il vero nome? No?
Beh, Mei sarebbe stata grata se qualcuno gli avesse detto il suo, non ne aveva mai avuto uno che potesse esser considerato tale ed aveva sempre continuato a cambiarlo. Ivak da questo punto di vista la capiva e contemporaneamente non riusciva; anche lui non aveva un nome, ma perchè aveva ripudiato quello che gli era stato dato per crearsene uno nuovo, che lo vestisse meglio.
Onestamente lei pensava ci fosse riuscito.
Invece lei non si riteneva così fortunata. Doveva ammettere però che di tutti i suoi nomi e di tutte le sue identità fossero state tre quelli che più aveva sentito come calzanti.
Forse perchè non li aveva scelti lei. Ed era così che funzionava con i nomi, infondo.
"No, nessuna identità nuova, nessuna identità vecchia”, aveva stabilito, senza mezzi termini, privandosi della parrucca, che aveva a forza ficcato in una vecchia borsa sportiva per indossarne un'altra, di un colore vivace e più finto.
Aveva lasciato il silicone negli zigomi però, ma aveva indossato dei capi d'abbigliamento più neutri e comodi, così come gli anfibi con il carrarmato che di solito utilizzava con lo pseudonimo di Lisca.
Erano sporchi di sangue sulle punte. Il suo. Aizawa aveva respirato appena nella cornetta, poi dopo un lungo sospiro aveva parlato "Senti, Mei, penso che tu non debba farlo e che sia un’immensa cazzata”, aveva detto.
Mei aveva arricciato le labbra, mentre si chiudeva l'impermeabile addosso. "Ne abbiamo già parlato, Ivak”, aveva stabilito.
"Ma è una cosa tipica di voi Ghoul essere così stupidi? Questo spiega perché morite come mosche”, aveva sillabato Ivak. Se sperava di ferirla, farla arrabbiare o distrarla era sulla strada sbagliata.
Aveva abbozzato un sorriso. “Sei, serio? Ascolto le tue cattiverie da anni, puoi fare di meglio, dottor Aizawa", aveva stabilito. "Oh forse è che ti stai preoccupando per me?”, aveva chiesto con un leggero divertimento.
Aizawa aveva detto più e più volte quanto loro fossero una strana combo su cui la natura doveva essersi impuntata e sapeva che all'inizio il dottore era stato guidato a lei per una pura attrazione verso la morte ed il pericolo. Ivak viveva la sua intera vita come una punizione che doveva essere espiata.
E gli aveva anche detto perchè.
"Si, beh sai, dopo tutti questi anni mi infastidirebbe dover addomesticare un altro ghoul", aveva buttato fuori quello, un po' irritato.
Le cose non erano più così da un po'. Ivak non era più il masochista che voleva provare a vedere quanto si potesse avvicinare ad una bestia prima di provocarla. Lei non era più quella affranta, disperata ed involucro di sé stessa.
Non erano più gli stessi.
Mei aveva riso, acre "Hai detto che non hai notizie su Dente di Fata, no?”, aveva chiesto retorica. Il caso era chiuso, perchè il Ghoul era morto e la sua carcassa se l'erano spartita il Carnefice, quel fedifrago traditore dell'investigatore Sasaki e lei. Che gli aveva voluto bene.
Che era stato il fratello che non aveva mai avuto.
Una persona diversa da lei avrebbe cercato la vendetta.
Era un imperativo sociale a cui aggrapparsi, ne era consapevole. Ma di tutte le cose che Mei aveva imparato sbagliate nella sua vita, il non perseguire la vendetta era una delle poche giuste.
Ricordava un giorno di tanto tempo prima in cui aveva cercato di insegnarlo a qualcuno che aveva quell'unico desiderio, quell'unico scopo, a cui aggrapparsi. A volte si chiedeva come sarebbe stata al sua vita se fosse stata più capace  di lottare per le cose che amava, anziché lasciarle andare.
"Ivak, andrà tutto bene”, aveva stabilito poi.
"Mi fai stare in ansia quasi quanto mi ci fa stare Oreo”, aveva sentito la voce di Aizawa. C'era un certo divertimento, "Un giorno mi spiegherai tanto perchè lo ami quell'investigatore”, aveva commentato lei, staccando le cuffie e mettendo direttamente il telefono all'orecchio, mentre si preoccupava di chiudere il resto nell'armadietto.
"Ma perchè lo ho sfornato io”, aveva risposto con un certo divertimento Ivak; "Questa cosa è raccapricciante" era andata dietro Mei.
Kaido Hiwa aveva avuto il suo nascondiglio nella prima circoscrizione, in mezzo gli investigatori, perchè da che ne avesse avuto memoria Mei era un po' un impavido ed un gradasso, gli piaceva vivere così sempre al limite.
Il commento di Mei era stato acido e spento in quel frangente.  "Ma perchè la prossima volta non ti trovi direttamente lo shinigami bianco come dirimpettaio?”, lo aveva provocato, non voleva esserci gioco nella sua voce.
Aveva percorso la strada fino a raggiungere il palazzo dove aveva vissuto il suo amico, fino al giorno prima. 
Il cielo cominciava a tingersi di una sfumatura rossastra, aveva sperato di riuscire a fare tutto in tempo, tutto prima, ma alla fine le ore della giornata erano scappate al suo controllo, senza che riuscisse ad organizzare tutto alla perfezione.
Il favore della notte li avrebbe aiutati, ma Mei sapeva che senza una precisa organizzazione si rischiava di morire.
Nel favore delle tenebre, il nero di certe giacche spariva completamente - no, non doveva pensare a ciò in quella situazione, non c'erano giacche nere da cui guardarsi, solo bianche.
Aveva scavalcato il muretto, quando si era accorta che nessuno aveva preso attenzione a quella zona ed era entrata nel giardino del condominio  e poi si era dovuta arrendere a percorre il piano scavandolo il verticale, premunendosi di non lasciare segni sulla facciata. Saltellando di balcone in balcone, cercando di non entrare mai nel campo visivo della finestra e sperando che con l'imbrunire nessuno notasse la figura oscura che si era seduta sul cornicione di un poggiolo verso gli ultimi piani.
A Kaido erano sempre piaciuti i posti in alto, forse perchè veniva dal basso. Forse non aveva più importanza.
Aveva scavalcato con un movimento fluido atterrando sulle mattonelle della balconata dell'appartamento ed aveva bussato contro il vetro.
Quando non aveva ottenuto risposta aveva forzato la finestra senza il minimo remora, limitandosi ad usare la forza e non altro. Allora si era infilata nell'appartamento, ritrovandosi nel soggiorno.
L'attimo dopo il suo kagune era scivolato letteralmente fuori dalla sua pelle, ponendosi come scudo, tra i denti aguzzi nelle punte aveva potuto distinguere una lama nera ed una mano che era rimasta impalata. Seguendo il polso che per un miracolo non era stato del tutto tranciato aveva trovato un giovane ghoul. I suoi occhi erano pozzi neri senza fondo, dove l'iride rossa non sembrava altro che una fioca scintilla che si andava ad esaurire. Lacrime di sangue cadevano giù come da una ferita, lungo le guance.
"Sono io,  Moryumaru”, aveva detto dolce, mentre le sue appendici si liquefacevano, davanti lo sguardo atterrito del ghoul.
Le sue lacrime si erano fatte cristalline di nuovo, così come i suoi occhi erano tornati nascosti, mostrando quella strana peculiarità delle iridi eterocrome. Moryumaru era crollato in ginocchio tra i singhiozzi, il coltello giaceva sulla moquette e lui con una mano si teneva il polso.
"Ho ... la notizia ... Kaido ....", le sue parole erano state un fiume in piena di uggiolati e Mei si era chinata per terra con lui e l'aveva stretto con forza, facendoli posare la testa sulla spalla.
Se Kaido era così vorace era perchè doveva sfamare due ghoul, lui e Moryumaru.
E solo gli Dei sapevano quanto fosse quest'ultimo incapace di provvedere a se stesso. Adesso sarebbe toccato a Mei prendersi cura dell'amante del suo amico. Era suo dovere.
"Si, Moryumaru, sì”, aveva sussurrato solamente, piangendo anche lei, per la prima volta da quell'infinita giornata. "Ma adesso devi ascoltarmi", aveva detto allontanandosi da lui. Il caso Dente di Fata era chiuso, ma di norma quando si uccideva un ghoul senza che se ne conoscesse l'identità, si facevano dei dovuti accertamenti, per vedere che giro avesse, dove agisse, con chi era in contato, se nascondesse altri ghoul ... Se degli umani lo avessero coperto.
E le colombe non erano stupide: Kaido predava con molta frequenza e di norma di ingordo se ne incontra uno su dieci, di norma un tale caccia voleva dire più bocche da sfamare.
"Non sappiamo cosa stanno cercando le colombe, né se arriveranno mai qui”, aveva sussurrato, "Ma capisci che dobbiamo andare via”, aveva aggiunto. "Prendi tutto quello che ti serve”, aveva impartito.
Moryumaru aveva continuato a fissarla con un certo pallore, senza riuscire a capirla davvero, gli occhi diversi erano sprofondati in un’agonia senza successo, i capelli biondi erano torturati macchiati di sangue e scivolavano sul viso. Avrebbe compiuto vent'anni a marzo dell'anno successivo, era così ...  Piccolo.
Sembrava assurdo, come alla sua età Kaido fosse una bestia che non temeva niente e nessuno.
"Shinra”, aveva sussurrato, "Io ... senza di lui, non vivo”, aveva sussurrato.
"Lo farai, lo so”, aveva mormorato lei, baciandoli la fronte. "Avevo la tua età quando lo shinigami bianco si è preso quella che più amavo”, gli aveva detto.
E ne aveva fatto un'arma. Così come sarebbe capitato a Kaido - ed Aizawa aveva partecipato a quello.
E lei lo aveva mangiato.
Se Kaido era stato lì quella sera era colpa di Mei. Perchè gli voleva bene e gli aveva dato retta sulle sue faccende. Se non fosse stato per lei, sarebbe vivo, avrebbe stretto lui tra le braccia Moryumaru.
 
Moryumaru aveva ficcato pochi vestiti in valigia, si era stretto una maglietta con una frase sconcia al viso ed aveva soffocato un pianto rotto, mentre Mei recuperava tutta la roba di informatica che il ragazzo le aveva detto di prendere.  Era bravo a smanettare con la tecnologia ed aveva aiuto in una maniera più professionale Mei con la creazione delle identità, specie in un mondo tecnologico come si stava rivelando il loro. Sarebbe stato più corretto dire che le faceva sparire; vite create ad hoc che scomparivano dietro codici binari e clik.
Se avesse avuto un nome, Mei pensava che lo Smacchiatore gli sarebbe stato appropriato.
Aveva ritrovato alcuni vecchi album, era assurdo come Kaido tenesse a cose così stupide come le foto, quando anche solo una di queste avrebbe potuto metterli tutti in pericolo.
Avrebbe dovuto bruciarle ed invece le aveva raccolte quasi tutte. Si era fermata a guardarne una, c'era Kaido con la tintura per capelli verdognola che sorrideva verso l'obiettivo ed al suo fianco con l'aspetto inquietante c'era Urameshi, con quel suo dannato rossetto viola. 
La foto, si ricordava Mei, l'aveva scattata lei. Sul retro con i segni sbilenchi, della brutta grafia che era stata di Urameshi, c’era scritto ‘Estate 95’.
Dieci lunghissimi anni prima.
Ed ora erano morti entrambi. Fatti a pezzi.
Kaido era stato ucciso dagli uomini. Urameshi dai Ghoul.
E allora, quale era il loro posto, nel mondo? "Ho fatto”, la voce di Moryumaru era un sussurro. aveva infilato la foto nella tasca dei pantaloni e fatto cadere l'album nella borsa che si era portata, "Dobbiamo far sparire ogni cosa che ti identifichi; DNA, foto ... nomi, qualsiasi cosa”, aveva cominciato a dire, ma appena aveva sollevato lo sguardo aveva trovato Moryumaru tremare sul divano, teneva ancora la maglietta tra le mani e la stritolava. "Shinra, voglio ucciderlo”, aveva sussurrato. E mai ti sparirà questa voglia, mai, neanche per un istante.  "Ci penseremo dopo”, gli aveva detto, accarezzandoli i capelli. "Adesso mi serve il tuo aiuto”, gli aveva confidato.
"Che dobbiamo fare?”, aveva miagolato lui.
"Dar fuoco a tutto”, aveva risposto Mei.
“… Kaido era stato il mio compagno di vita più di qualsiasi amante o amico. Ci siamo conosciuti bambini e siamo rimasti legati per sempre, erano le braccia in cui sempre avrei potuto ritrovare conforto.
Era mio fratello e la mia famiglia, prima e dopo la morte di mia madre, più di chiunque altro; tutti se ne sono andati, onestamente non credevo che avrei vissuto per vedere anche Kaido.
Ci siamo conosciuti da bambini e ci siamo presi cura l’un l’altro.
Dopo la morte di mia madre, dopo quella di Urameshi, di Iguza … non importava cosa Kaido era lì per me. Lì a dirmi che uscire con un clown era una cazzata e che stringere i rapporti con un essere umano era anche più stupido.
Le sue braccia erano sempre un posto sicuro dove trovare rifugio.
Kaido era meraviglioso, aveva un modo suo di essere e di fare, ma si prendeva sempre cura di chi amava ed aveva un gran cuore. Avrei voluto fosse un po’ più egoista, che avesse rifiutato di aiutarmi, che avesse deciso di
fregarsene di far scappare gli altri ghoul da quello scontro e che fosse tornato da Moryumaru.
Ho cercato di sistemare ogni cosa per lui.
Era inutile parlare di questo, ma dovevo, perdonami gli ultimi vaneggi melanconici, prometto di andare avanti.
… Però Kaido se puoi sentirmi: ovunque tu sia, prepara un bicchiere di bile per me”
 


N.B. Eccoci tornati con un delirante capitolo di Nulla; nello scorso capitolo abbiamo visto bene Aizawa ed in questo vediamo Mei. O almeno un po’ di lei.
Oltre a ciò: il capitolo è pieno di Guest Star di Ishida(Suzuya non doveva esserci, ma si è infilato, perché lo amo).
Riguardo a Yamada Taro … il suo nome è il corrispettivo giapponese di Jon Doe, Signor NN e co.
Come sempre ringraziamo Chemical Lady per aver betato questo capitolo (e tutte le maledizioni che mi ha tirato).
Il titolo del capitolo è una citazione del ventitreesimo canto dell’Inferno di Dante: I Fraudolenti.
Oltre ciò vorrei ringraziare chiunque ha letto, grazie di cuore.
Un bacio
RLandH

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Capitolo 4
*** Atto I|Capitolo III: Ed ora, ebbro, torno senza di te. ***






Carestia, portami gioia
 


Atto I



 – Non canto né fui cantore –


 p 
 
Capitolo terzo: Ed ora, ebbro, torno senza di te.
 
 
Shiori, quello era il nome con cui si presentava, si era accomodata allo stesso tavolino che occupava ogni qualvolta passava per quel bar della ventesima. Per una certa questione logistica, ovvero vivere in un’altra circoscrizione, era costretta ad andarci molto meno di quanto in verità volesse.
Però era contenta quando riusciva a passare di lì. In fin dei conti aveva il miglior caffè della città.
Non si era neanche preoccupata di allungare una mano verso il menù per scegliere quale miscela di caffè voleva che il cameriere le aveva servito, a tradimento, un bicchierino. Era colmo di quello che a primo acchito sarebbe potuta passare per acqua se non per l’odore, era forte ma anche incredibilmente allettante.
Sapeva esattamente cosa era.
Bile fermentata.
Aveva alzato il capo, non nascondendo sul viso una certa confusione, incontrando il sorriso amichevole di un giovane uomo, dai selvaggi capelli castani ed un naso a patata. "Un uccellino mi ha detto che qualche giorno fa è stato il tuo compleanno", aveva spiegato il cameriere, dandole una portentosa pacca sulla spalla.
Lei aveva annuito, arrossendo appena sulle gote. “Grazie,  signor Koma”, aveva cinguettato.
"Guarda che non ha ancora l'età per bere", era venuta a tuonare imperiosa l’altra donna, aveva appena lasciato ad una coppietta delle fette di torta.
"Diciassette giusto?", aveva chiesto poi in maniera più gentile. Lei aveva annuito con un certo orgoglio, non c'era davvero un vanto, ma si sentiva comunque importante. Alla fine per un ghoul anche diciassette anni potevano essere un vero traguardo. “Come sei diventata grande”, aveva commentato la cameriera sporgendosi per darle un abbraccio caloroso. “Grazie, signorina Irimi”, aveva risposto lei.
Shiori li aveva conosciuti entrambi prima che i due cominciassero a svolgere quel diligente lavoro e finissero sotto le ali protettive del direttore del caffè.
Assieme ai suoi amici aveva sempre avuto un’indole errabonda ed erano tante le volte che erano sconfinati nella ventesima.
In verità non dovevano aver suscitato alcun timore se alla fine se n’erano andati con le loro gambe ed una certa strigliata di capo da parte di sua madre.
Irimi le aveva lisciato il crine della parrucca fiammeggiante in maniera amichevole. "Per questa volta chiudiamo un occhio", aveva aggiunto, facendole l'occhiolino. "Ti porto anche del caffè, va bene?", aveva  aggiunto oltre, ottenendo un secco cenno d'assenso da lei. “Sono venuta qui per questo”, aveva esposto lei.
Koma era rimasto a farle compagnia non molto interessato evidentemente a svolgere il suo lavoro; Shiori aveva allungato una mano prendendo il bicchierino, ci aveva appena poggiato le labbra per sentire il sapore forte e dolciastro.
Ne aveva saggiato un po', quando aveva scorto anche il direttore del locale avvicinarsi. Le piaceva il signor Yoshimura, era una persona così karmica e così a modo. "Spero che Kuchi non lo scopra", aveva enunciato, in un tono amichevole, passando una mano sulla spalla di Koma. "La signora può essere spaventosa" aveva squittito quello.
Parlavano della madre di Shiori, lei ed il signor Yoshimura si conoscevano da molto tempo. O almeno così le era stato raccontato da sua madre.
Shiori però non credeva di poter dire se i due lo fossero o almeno lo fossero stati; vedeva che vi era un rispetto profondo ed un’intessuta fiducia tra loro. Una volta sua madre le aveva raccontato di conoscere i segreti di Kuzen come lui conosceva i suoi. Shiori aveva preso atto di quella consapevolezza con un certo disinteresse, conseguenza della sua immaturità, fermandosi poi solo in seguito a riflettere quali segreti avesse sua madre.
"Diciassette anni ...", aveva assaporato Kuzen Yoshimura quel numero come se fosse qualcosa di più di un semplice dato anagrafico o una parola. Gli occhi buoni erano tinti di una certa opaca foschia e sebbene fossero rivolti verso di lei, non la stavano guardando affatto.
Uno dei segreti che sua madre gli aveva rivelato era che il Signor Yoshimura aveva avuto un figlio, unico nel suo genere – che negli ultimi tempi aveva dato da parlare di sé – la cui  età era pericolosamente vicina a quella di Shiori.
Non serviva possedere una spiccata intelligenza o una certa empatia per comprendere che il ghoul in quel momento doveva star pensando al suo bambino.  
"Lo sai che la mamma ha accettato di farmi andare in vacanza?", aveva soffiato tutta pimpante Shiori, sembrava follia il solo pensarci, non poteva andare su nessuna isola, ma Kaido si era già attrezzato per andarsene alla terme. "Un atto di grande coraggio, conoscendo Kuchi" aveva commentato con voce amichevole l'uomo. “Certo non posso stare via più di tre giorni e non posso lasciare la prefettura. Praticamente è una scampagnata”, aveva raccontato Shiori. Lo sapeva che le preoccupazione di sua madre erano legittime. Per un ghoul la vita non era facile, per quelle come loro lo era anche di meno. Onestamente Shiori non aveva mai compreso a pieno cosa avesse fatto sua madre per essersi ritrovata per l’eternità qualcosa di ben più pericolo delle colombe ad inseguirla.
Il signor Yoshimura aveva intrapreso una filippica, nonostante i toni gentili tale era, sull’attenzione che avrebbe dovuto avere.
Lei aveva annuito in maniera non molto partecipe, mentre infilava una mano nella sua borsa per cercare il libro che aveva messo lì. Ne aveva ricevuti due per il compleanno.
Quello che aveva in quel momento era stato un regalo di Urameshi, arrivato solamente in seguito all'altro che aveva ricevuto.
Voleva bene ad Urameshi, non riusciva più a provare quel sentimento di calore nel petto che aveva provato quando era più bambina. Quando si erano baciati la prima volta dietro il vicolo della stazione del treni della dodicesima circoscrizione, però  provava affetto, ne provava tanto. Lui era una delle persone più importanti della sua vita.
Avrebbe tanto voluto che lui provasse le sue stesse emozioni,  Urameshi sembrava rimasto indietro e la cosa sembrava rendere ogni loro contatto difficile.
Così come il libro che le aveva regalato. Non che lo avesse fatto per farle arrivare un qualche criptico messaggio, Urameshi non era così.
Urameshi era una persona spontanea, con una lingua affilata e velenosa che non aveva remore nel dirti ciò che pensava e provava nel bene e nel male.
Era l’altro le sue labbra erano sigillate ed i cui i gesti erano enigmi.
Forse aveva smesso di tenere in quel modo ad Urameshi perché si era innamorata di qualcun altro.
Anche lui le aveva regalato un libro,
"Lei e mia madre siete persone sagge”, aveva ripreso a parlare Shiori, mentre passava le dita sul libro. Non aveva ascoltato metà delle parole dell’uomo.
Yoshimura aveva allungato l'occhio osservando il libro. "Il Divoratore?" aveva domandato con una certa curiosità, leggendo il titolo del libro.
Shiori amava in maniera piuttosto energica la lettura ed adorava raccontare storie, così non aveva potuto imbrigliare la lingua quando s'era ritrovata a raccontare le vicende del libro. “È di un’autrice che ha fatto successo negli ultimi anni”.
Le piaceva soprattutto il particolare che in quel romanzo che la voce narrante non coincidesse con il protagonista, anzi non avrebbero potuto essere più diversi, nelle azioni che compiva e nel modo che avevano di viverle. In un certo senso erano speculari.  "L'eroe, se vogliamo chiamarlo così,  è triste e malinconico. Per vivere è costretto a rubare la vita degli altri”. Aveva  raccontato sognante: "Non vuole più vivere, ma è incapace di morire", aveva aggiunto. "Però la sua nemesi, credo sia questo, non lo so, non sono ancora giunta a metà è questa creatura mostruosa che si nutre del dolore e della disperazione.  Però lo fa con un certo gusto, sebbene anche lei sembra permeata di questa tristezza. Soprattutto però vi è una rabbia senza fine che la sta divorando. La narratrice, lo ammetto, certe volte mi spaventa, ma adoro come racconti ed interpreti lui. A volte sembra lo ami ed altre lo odi. E non si sono ancora incontrati!”, aveva vuotato il sacco.
Il signor Yoshimura sembrava incuriosito da quelle vicende. “Anche lui la cerca. Non smania come lei, ma lo percepisce che è il destino a condurli nello stesso luogo. Onestamente lui mi piace di più. Lo trovo umano”, aveva spiegato lei.
"Nell'ultimo capitolo che ho letto erano sul punto di incontrarsi. Non vedo l'ora. Però mi fa ridere che nonostante sia lei la più accanita nelle ricerche, probabilmente lui la troverà prima”, aveva ghignato felice. Si rendeva conto di non aver spiegato per nulla bene la trama, ma non era neanche sicura lei di averla compresa. Fino a quel momento sembrava la vita di una creatura sola, raccontata da un altro mostro che sembrava l’unico a comprenderlo.
"Hai un'anima romantica", le aveva detto Irimi, arrivata a portarle il caffè. “Oh è arrossita”, l’aveva un po’ presa in giro Koma.
"No, cioè si penso sarebbero una gran coppia. Sono praticamente speculari, ma insomma credo che il loro incontro finirà per creare qualcosa di sorprendentemente raccapricciante”, aveva detto con un leggero impaccio Shiori, prima di ridacchiare di quelle battute.
"Raccapricciante?”, aveva chiesto Yoshimura.
"C'è tanta rabbia, rancore e tristezza in tutti e due. In realtà è qualcosa che permane in tutta la narrazione" aveva aggiunto.
"Ho fatto un po' di ricerche, questo è il terzo libro di quest’autrice; nei blog che ho letto in giro per quanto venga lodata per la sua genialità e lo spettro emozionale dei suoi caratteri, pare un tratto distintivo la rabbia e l'angoscia che vivono dentro le sue pagine”, aveva detto Shiori. "Che vita triste devi aver Sen Takatsuki" aveva terminato.
Anni dopo il ghoul di cui era innamorato Shiori a diciassette anni, avrebbe detto a Mei che era stato Urameshi a regalare il libro migliore.
 

Il viso di Touka non era una maschera ben riuscita, era palese quanto cercasse di mantenere un atteggiamento caldo e posato, ma dietro le iridi azzurre ribollisse un certo fervore.
Mei, dal canto suo, non si sentiva di volerla biasimare, (no virgola)   neanche un po’. Se non era ancora esplosa urlando ingiurie contro di loro, era unicamente dovuto al fatto che l’espressione disperata che permeava sul viso di Moryumaru aveva la capacità di avvilire ogni animo, anche il più focoso, e chetare qualsiasi imperativo di rimprovero.
"Quando ci hai chiesto una mano non credevo mica che fossi una fottuta piromane, Lisca di merda", il commento di Nishiki era stato immensamente gradito, nonostante i suoi vocaboli maleducati, poiché aveva rotto quel silenzio pesante che si era annidato nel :Re. Lei aveva annuito. "Grazie",  aveva risposto Mei, guardando ossessivamente la punta dei suoi anfibi. "Dare fuoco ad un edificio nella prima circoscrizione", aveva ringhiato Touka alla fine, ma dopo quella aveva preso un bel respiro ed aveva disteso il viso, non era minimamente rilassata, ma stava fingendo meglio di prima.
"Ho avuto paura che potessero risalire in qualche modo a Moryumaru", aveva spiegato solamente Mei, facendo una carezza sulla schiena del ragazzo che era al suo fianco. Quello non li aveva degnati di un minimo d’attenzione.
Era immobile, con gli occhi eterocromi virei, come se non fosse lì e che nulla di ciò che gli era intorno lo toccasse. Al petto stringeva il borsone.  
Touka lo aveva guardato, erano circa della stessa altezza. Aveva allungato una mano ed aveva accarezzato i capelli biondi di Moryumaru, "Tesoro, perchè non vieni a prenderti un caffè?",  il suo tono era calmo e materno. Aveva fatto scendere la mano Touka, sfiorando le spalli sottili del ragazzo, prima di guidarlo verso il bancone e Moryumaru l'aveva seguita senza fare un solo suono.
Mei aveva guardato Nishiki ed il signor Yomo.  "Grazie, grazie davvero", aveva detto lei, passandosi le mani tra i capelli.  aveva tolto la parrucca ed aveva potuto sentire la consistenza spaghettosa della sua chioma. "Ci prenderemo cura di lui", l'aveva rassicurata il signor Yomo. Era un bell'uomo, irradiava tranquillità, non le aveva neanche sorriso ma sembrava così gentile, da farle venire voglia di piangere. Lei ed il signor Yomo non dovevano essere molto distanti d'età, eppure l'uomo sembrava staccarla incredibilmente in quanto  maturità.
Nishiki aveva sogghignato un po'."Alla fine il :Re esiste per questo", aveva aggiunto;  "Nonostante l'arredamento faccia schifo",  aveva piegato le labbra in maniera sorniona.
"Avresti potuto aiutarci, invece di fare The Punisher , Nishiki di merda", aveva sentenziato Touka mentre serviva il caffè a Moryumaru.   "Adesso porta tutto in mansarda invece di sparare cazzate",  aveva impartito ferma.
Erano una strana combo quei due, aveva pensato Mei, da che li aveva conosciuti due anni scarsi prima aveva sempre pensato potessero essere una bella coppia.
Sapeva che il :Re era risorto dalle ceneri dell'Anteiku. Un posto che Mei ricordava con estrema nostalgia, quando era un’adolescente e usava andarci. Negli ultimi anni, prima della sua distruzione, vo aveva infilato il naso solo qualche volta. Però le mancava il signor Yoshimura, per tanto tempo era stato l’unico legame che le era rimasto con sua madre.
Il :Re invece era un luogo che frequentava con una certa cadenza, come Shukumei, come Lisca o come qualche altra identità. Molto più di quanto avesse mai fatto con l’Anteiku.
Le piaceva , era un posto dove sentirsi a casa, sicuri e Touka non faceva mai domande scomode né pretendeva nulla.

Nishiki aveva recuperato le cose che avevano portato lì lei e Moryumaru e si era applicato per sistemarle ai piani superiori, dove Touka aveva alcune stanze. Era noto all'intero sotto bosco ghoul che lì vi era un rifugio per ogni Ghoul che ne avesse avuto bisogno, senza guardare l’appartenenza o le azioni. 
Moryumaru aveva continuato imperituro a non emettere fiato, così come aveva proseguito a fissare il vuoto, senza curarsi di nulla intorno a lui, neanche del caffè caldo di Touka.
Era rimasto solo al mondo a quindici anni. Poi aveva trovato Kaido. E ora era di nuovo solo.
Quando Nishiki era tornato per prendere il borsone che Moryumaru aveva posato ai piedi della sedia, finalmente il ragazzino ghoul aveva mostrato un po’ di reticenza. Una molle battaglia che era proseguita il tempo perché Nishiki si accorgesse che ve n’era una. Aveva lasciato il borsone, Moryumaru lo aveva fatto cadere a terra e poi aveva cominciato a singhiozzare. "Sarai al sicuro", lo aveva rassicurato Touka, prendendogli le mani e carezzandole. Mei aveva attraversato svelta il locale e lo aveva soffocato in un abbraccio, promettendoli ancora che si sarebbe presa cura di lui, che sarebbe andato tutto bene.
Gli aveva baciato la nuca, tra i capelli ed aveva resistito dall'impulso di piangere.
"Lui è morto ed io non ho potuto fare niente", aveva singhiozzato Moryumaru, mentre le dita tremolavano, facendo sbordare il caffè. Touka non aveva detto nulla, poi aveva allungato le mani per metterle sopra quelle di Moryumaru ; "Andrà meglio," aveva detto, nessuna rassicurazione o altro.
"Sembra difficile, sembra impossibile", aveva ripreso Touka con sicurezza, continuando a tenere le mani del ragazzo. "Ma andrà meglio", lo aveva rassicurato.
Moryumaru aveva guardato il nero del caffè, prima di sollevare lo sguardo verso la ragazza ed aveva abbozzato un sorriso, tra le lacrime.
Poi si era voltato verso di Mei, "Per quanto tempo resterò qui?", aveva chiesto. "Finchè non ti sistemi", aveva risposto lei, poi si era presa una pausa non voleva che Moryumaru pensasse lo volesse abbandonare; "Potresti aiutare Touka", aveva enunciato lei poi.
La risata di Moryumaru era stata un po' sinistra, con una certa disperazione anche. “Io? Non riesco neanche a controllare il kagune”, aveva commentato il ragazzino aspro, passandosi la mano sugli occhi, erano umidi e disperati. "Faceva tutto Kaido", aveva ammesso.
Touka gli aveva sorriso ed era stata incoraggiante. "Abbiamo insegnato ad usare il kagune ad una persona che non era nata ghoul, possiamo anche con te," lo aveva rassicurato poi, scambiandosi uno sguardo con il signor Yomo, c'era tristezza in lei.
Mei aveva di nuovo accarezzato i capelli a Moryumaru, ricordava che era un gesto che Kaido aveva fatto un milione di volte. "Quando è morta Iguza ho realizzato di essere debole, ancora una volta; ma ho anche capito che la forza non è solo quella fisica", aveva quindi esposto Mei con una certa sicurezza.    "Tu hai un talento che credo davvero che a Touka possa essere utile", aveva stabilito, voltando lo sguardo verso la ragazza del :Re.
Sia la proprietaria del bar sia Moryumaru sembravano condividere la medesima confusione.
"A lei ed ogni Ghoul che aiuterà."
Yomo le aveva fatto un caffè da portar via.
Poi l'aveva accompagnata lui a casa, per non farle prendere la metro o chiamare un taxi, non di certo per la sua sicurezza, Mei aveva molto più forza di qualsiasi malintenzionato, lo aveva fatto per una qualche gentilezza - o forse perchè l'aveva vista davvero provata.
"Perchè eravate lì?”.  Yomo la domanda non l'aveva fatta a tradimento, aleggiava nell'aria fin dal principio, ma Mei era rimasta comunque scossa quando l'aveva sentita. Aizawa aveva fremuto per chiedergli quello, ma si era trattenuto - il che era un vero miracolo, considerando come era fatto - ed anche Moryumaru aveva voluto farlo, ma poi aveva taciuto. Nonostante ciò quella domanda pesava su Mei da ore. Aveva preso a muovere freneticamente la mano destra per giocare con l'anello sull'anulare sinistro.
"Colpa mia", aveva ammesso lei.  "Come sempre, come per i miei genitori e tutti gli altri", aveva risposto continuando a fissare vacua la strisciolina d'argento che spiccava sul suo dito. "Doveva riportarmi delle informazioni, dovevamo fare delle cose. Se non avessi insistito per farle così nell'immediato", aveva rireso Mei,  "Allora forse non avremmo mai incontrato Take Hirako e la sua squadra", aveva terminato.
E Kaido sarebbe vivo.
Non era stata una coincidenza, continuava ad urlare la sua coscienza, quella sera non era stata una coincidenza. Sarei dovuta morire io.
"So cosa provi", le aveva detto il Signor Yomo, mentre stringeva le mani sul volante. I suoi occhi erano fissi sulla strada e c'era fuoco vivo che ne divampava dentro. Era noto a tutti che ai tempi in cui egli era il Corvo aveva avuto una certa animosità contro lo shinigami Bianco. Però Yomo aveva raccontato per bene una volta, per caso  preso dall’ebrezza del vino. Erano all’Helter Skelter – quando ancora Mei poteva entrare – presa dalla sbornia aveva raccontato pateticamente di come Kishou Arima aveva la persona che amava. Ed il signor Yomo aveva raccontato di sua sorella.
Di suo cognato.
Dei suoi nipoti.
Avevano parlato di tristezza, di rancore, di vendetta.
Ma la vendetta ... la vendetta non era mai stata il suo Dharma.
"No, signor Yomo. La rabbia che provo non è per nessun altro se non me stessa",aveva confidato.
"So cosa provi", aveva ripetutp  Yomo.
E Mei aveva deciso  che lei non era nessuno per giudicare i sentimenti altrui.


Aveva preso l'ascensore e quando le porte si erano aperte sul suo piano aveva potuto sentire l'odore ferroso del sangue. Non era molto forte, come se qualcuno si fosse ferito nel corridoio qualche ora prima. Poteva non significare nulla, le metteva solamente fame.
Ringraziava di aver potuto mangiare al :Re o a quel punto sarebbe stata incontrollabile.
Aveva imboccato la strada verso la sua porta ed aveva sentito l'odore farsi più intenso, ma ne aveva annusato anche un altro. Era troppo sottile e troppo soffocato  rispetto quello più  succulento del sangue.
Il suo uscio però era chiuso.
Si sarebbe dovuto essere preoccupare. Quelli vestiti in nero   erano bravi, i migliori, Clown, Aogiri, Gang, non erano niente, mera polvere, rispetto loro, rispetto il loro.
Sua madre lo diceva sempre. Si muovevano nella notte come ombre.
Però quel poco di percepibile dall’odore estraneo che sentiva era famigliare. Era casa.
Aveva aperto l'imposta ed era entrata, trovando la sua casa più illuminata di quanto Ivak l'avesse assicurata di averla lasciata; era stato l'ultimo ad andarsene quel giorno. Un paio di scarpe eleganti da uomo stavano accanto alle sue. L'odore di sangue era fortissimo, impregnava tutto l’appartamento.
Lei si era tolta le scarpe, abbandonandole in disordine all’ingresso e senza preoccuparsi di mettere le pantofole aveva imboccato per l’ingresso.
Spettrale lo aspettava lì.
"Ciao Tatara", aveva detto Mei.
Uno dei capi dell'Aogiri era seduto sul suo divano, con le gambe accavallate, che leggeva un libro. Sul tavolino basso che Mei aveva posizionato in prossimità della tv, vi era il sacchetto che odorava così deliziosamente.
"Nergui", si era sentita rispondere.
L'attimo dopo lei aveva percorso gli ultimi metri che la separavano dal ghoul, non dandogli il tempo di alzarsi e lo aveva stretto in un abbraccio al limite del asfissiante. E poi aveva pianto, in maniera infantile e copiosa, soffocando il viso e le lacrime  nella veste bianca di quest’ultimo.
Ci aveva provato a non crollare, si era trattenuto tutto il giorno dal farlo , non sapeva neanche perchè avesse ceduto proprio in quel momento, davanti quelle iridi rosse così ruggenti.
Tatara, come ogni volta, l'aveva accettata con una passività disarmante, prima di sollevare una mano per posarla sul fondo della schiena, se avesse voluto dire qualcosa poi aveva deciso di tacere. Come sempre. Mei si era stacca da lui.   "Scusa è stato stupido", aveva sussurrato, rendendosi conto di essergli praticamente seduta su di lui. "Sei tutta stupida" aveva risposto Tatara, la sua voce era sottile come una stilettata.
"Quella parola ti piace proprio", aveva detto lei, passandosi il polso sugli occhi.  C'era un po' di allegrezza nel fondo della sua voce, sotto la tristezza profonda che la stava animando.
Ricordava che quella era stata una delle prime parole in giapponese che Tatara aveva imparato - e che aveva deciso di usare spessissimo per lei - era un ricordo sbiadito, sembrava passato così tanto tempo. Era molto di meno, si rendeva conto con freddezza, ma sembravano millemila anni. "No, è che tu sei stupida" ,aveva ripetuto lui, c'era una cattiveria apparente nel suo tono, ma in realtà tradiva molto più calore di quanto allo stesso Ghoul facesse piacere far trasparire.
Era sempre stato così Tatara, uno che doveva dimostrare di non importarsene di nulla e nessuno, ferreo ed inflessibile, deciso a perseguire il suo obiettivo senza potersi concedersi il lusso di rimpiangere nulla. Però, Dei, se anche Tatara non provava sentimenti.
"Perchè sei qui?", aveva chiesto poi, quando finalmente aveva sentito gli occhi asciutti.    "Ho sentito del tuo scontro con le colombe e la morte di Dolarhyde", aveva risposto con un tono spiccio Tatara, come se di ciò non gli interessasse un minimo.
"Cosa?" aveva chiesto confusa, mentre si rendeva conto che aveva cominciato a sentire che la voglia di piangere era cominciata a scemare. "Thomas Harris? Red Dragon? Hannibal Lecter**?", aveva spiegato Tatara.    "Eppure dovresti aver studiato letteratura alla Todai", c'era parecchio sprezzo nella sua ultima affermazione.
Mei era scivolata a sedere sulla poltrona, dove giusto quella mattina Ivak l'aveva ritrovata, era ancora macchiata di sangue. "Sai ho un amico che mi ha dato una mano, il professor Huang, presente?", aveva chiesto con un certo sarcasmo. "Stupida", era stata la lapidaria risposta di Tatara, per l’ennesima volta.
E Mei aveva riso e quanto ne aveva sentito bisogno, mentre rideva alla fine era terminata per mettersi a piangere come una scema di nuovo. Tatara aveva continuato a guardarla, dalla poltrona con un’espressione piuttosto vuota. "Puoi venire ad abbracciarmi?", aveva chiesto tra i singhiozzi.
Tatara aveva sospirato, ma l'aveva accontentata, come faceva sempre. "Kaidou è morto", aveva sussurrato Mei, chiudendo il viso nell'incavo del collo dell'uomo, che si era limitato a tenerla stretto. "Lo so", aveva risposto Tatara. "Lo hanno fatto a pezzi, come Urameshi", aveva singhiozzato la donna, se aveva qualche cattiveria da condividere Tatara scelse di farlo in cinese. Pensando che lei non lo capisse e Mei continuò a farle credere quello.
Aveva imparato quella lingua per lui e non glielo aveva mai detto.
Era così triste da non riuscire neanche ad arrabbiarsi con lui. Per Urameshi.
"L'ho mangiato", quella confessione era venuta fuori senza che Mei riuscisse a trattenerla, assieme alle lacrime e la frustrazione. Non lo sapeva, ma lo aveva fatto. "Ho riconosciuto il suo odore in casa", aveva fatto notare Tatara.  "Vuoi dirmi come è successo?", aveva chiesto lui, ma Mei aveva scosso con forza il capo in diniego.
"Perchè continuo a far uccidere le persone che amo?", aveva chiesto lei all’altro ghoul.
Non aveva ricevuto nessuna risposta e questo in realtà non l'aveva stupita, era una persona che poteva sentire e comprendere quei sentimenti, Mei lo capiva bene, ma non era mai stato capace con le parole. Era cresciuto in un mondo spietato, non lo aveva neanche mai sentito piangere per suo fratello, mai, neanche una volta e per quanto Mei lo avesse tampinato Tatara non si era mai sbottonato nel parlare dei suoi sentimenti.
Non aveva fatto neanche una piega quando Mei lo aveva cacciato fuori di casa ... dalla sua vita.
Uno degli errori più stupidi mai compiuti.
"Ti ho portato qualcosa da mangiare", aveva detto evasivo Tatara, ammiccando alla busta che stava sul tavolo. "Onestamente pensavo di trovarti ferita ed agonizzante, ma quando sono arrivato c'era ancora il tuo umano". Quell'ultima frase il ghoul l'aveva detto con un certo disgusto. Mei avrebbe tanto voluto che lui non lo sapesse mai, ma aveva imparato bene quanto fosse incapace di controllare gli eventi della sua vita. A volte pensava fosse un miracolo la sua sopravvivenza fino a quel momento. "Promettimi che non lo ucciderai mai", non sapeva perchè lo aveva detto, le parole erano venute fuori come un fiume in piena.
Una volta aveva sentito sua madre dire che per le persone che si amano si è disposti a sacrificare anche i propri principi.
“Promettimelo”, aveva ripetuto.
“Nergui”, si era sentita rispondere.
Voleva dire Nessun Nome , in mongolo se non sbagliava, Tatara glielo aveva affibbiato in onore ad un membro delle Lingue di Fuoco che era morto, perché come Mei anche lui non aveva un’identità.
“Promettimelo”, aveva insistito decisa ancora.



*** Francis Dolarhyde è l'antagonista di Red Dragon della Saga di Hannibal Lecter, conosciuto anche con lo pseudonimo - a lui non molto gradito - di Fatina dei Denti, che in italiano era stato tradotto erroneamente come Dente di Fata.

 



di cuore Chemical Lady per la betatura.
(Tatara merita tanto amore ❤)

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